Codex Manichaicus Coloniensis: Atti del simposio internazionale (Rende-Amantea 3-7 settembre 1984)


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Italian, German, English, French Pages 390 [388] Year 1986

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Codex Manichaicus Coloniensis: Atti del simposio internazionale (Rende-Amantea 3-7 settembre 1984)

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CODEX MANICHAICUS COLONIENSIS Atti del Simposio Internazionale (Rende-Amantea

3-7 settembre 1984)

a cura

di

LUIGI CIRILLO con

la collaborazione

AMNERIS

di

ROSELLI

oa MARRA

EDITORE 1986

COSENZA

Theology Library Claremont.

Shoot of Theology Claremont, CA

AMMINISTRAZIONE

PROVINCIALE

DI

COSENZA

Questo volume é stato stampato con i fondi dell’Amministrazione Provinciale di Cosenza

aie canal

- we went vs ute foes

PRESENTAZIONE

Albert Henrichs e Ludwig Koenen hanno fatto conoscere al mondo degli studiosi una nuova fonte per lo studio delle origini del Manicheismo: il Codex Manichaicus Coloniensis (P. Colon. inv. nr. 4780, edito nella Zeitschrift fiir Papyrologie und Epigraphik 19, 1975; 32, 1978; 44, 1981; 48, 1982 ed ora riproposto per intero nella definitiva edizione diplomatica a cura di Ludwig Koenen e Cornelia Romer, Papyrologische Texte und Abhandlungen, 35, Bonn 1985). Il loro ampio commento al testo e le ricerche collaterali di altri studiosi hanno messo in evidenza che il contenuto del Codex interessa in realta molti settori della scienza dell’antichita. Datato alla fine del quarto o all’inizio del quinto secolo e proveniente probabilmente da una localita dell’alto Egitto tra Assiut e Luxor, il Codice @ contemporaneo e, come sembra, conterraneo dei codici -manichei scoperti a Medinet Madi nel Fayum anch’essi della fine del quarto secolo o degli inizi del quinto. Tutti questi testi devono essere considerati come testimonianze letterarie di comunita manichee saldamente radicate in quelle terre accanto ai gruppi gnostici da cui proviene la Biblioteca di Nag Hammadi. Col titolo «Il divenire del suo corpo» l’anonimo compilatore del Codex ci ha trasmesso una biografia di Mani che talora si configura come un’autobiografia. Il testo infatti non é altro che il susseguirsi di citazioni delle parole di Mani e dei fatti del periodo forse piu importante della sua vita, quello cioé della sua formazione e degli inizi della sua missione (220-242 d.C.), cosi come parole e fatti venivano tramandati dalla primitiva tradizione manichea e nelle opere dei primi discepoli di Mani. II testo attuale della Vita é in greco, ma alcuni elementi hanno fatto pensare ad una traduzione dal siriaco antico, che fu la lingua di Mani e dei primi manichei. In ogni caso attraverso le parole di Mani rivivono esempi inediti del mondo mesopotamico giudaico e giudeo-cristiano legato all’esperienza del fondatore del Manicheismo. Donde l’im- — portanza del nostro Codex, il piu piccolo dei codici finora conosciuti (3,8x4,5 cm.)!

Era percid opportuno che gli studiosi interessati si incontrassero e discutessero insieme dei nuovi problemi aperti dalla pubblicazione del Codex. I] Centro Interdipartimentale di Scienze Religiose dell’Universita della Calabria ne ha dato loro l’occasione invitandoli a partecipare ad un Simposio Internazionale che si é svolto dal 3 al 7 settembre 1984 in due Comuni della Provincia di Cosenza, Rende e Amantea. Ed ora siamo lieti di pubblicare gli Atti di quella settimana di Studi, che fu presieduta dalla competenza del Professor Alexander Bohlig, al quale abbiamo doverosamente demandato il compito di fare la prefazione agli Atti stessi. Il Simposio é stato patrocinato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, dall’Universita della Calabria, dall’Amministrazione Provinciale di Cosenza, allora presieduta dall’Avvocato Francesco Fiorino, dalla Cassa

di Risparmio di Calabria e di Lucania, dal Comune di Rende, diretto dal Sindaco Avvocato Sandro Principe, ove si é lavorato per quasi tutta la durata del Simposio, e dal Comune di Amantea, allora diretto dal Sindaco Professor Salvatore Caruso, ove sono stati conclusi i lavori.

L’Ente Provinciale del Turismo ha contribuito all’organizzazione del Convegno. E merito dei responsabili di questi Enti se pote giungere a buon fine il progetto di un Simposio internazionale sul Codex Manichaicus Coloniensis. A tutti loro va il doveroso ringraziamento degli orga-

nizzatori. La pubblicazione degli Atti offre ora agli studiosi una sintesi dei maggiori problemi relativi al Codex Manichaicus Coloniensis; essa non sarebbe stata possibile se l’Amministrazione Provinciale di Cosenza attualmente in carica non se ne fosse assunta l’onere finanziario: un gesto che rivela la sapiente lungimiranza e I|’interesse per la cultura di tutti i membri del Consiglio Provinciale ai quali va la riconoscenza di quanti — dovunque — utilizzeranno il volume come loro strumento di lavoro.

|ing Arcavacata, maggio 1986

A.R.

ELENCO

Prof. Prof. Prof. Prof. Prof. Prof.

DEI PARTECIPANTI

A. AuTIERO, Bonn H.D. Betz, Chicago U. BIANcHI, Roma A. BouLic, Tiibingen F. Botciani,. Torino S. CALDERONE, Messina

Dr. G. Casapio, Roma Prof. L. Crritto, Arcavacata Dr. A. ConcoLino, Arcavacata Prof. F. A. Dat Pino, Padova Prof. M. GrurFrE Scipona, Messina Prof. S. Giversen, Aarhus . Prof. A. Henricus, Harvard

Prof. A.F.J. Kun, Groningen Prof. L. KoeNen, Ann Arbor Prof. J. Maier, Kéln Dr. G. MANTOVANI, Roma Prof. M. Mara, Roma Prof. M. Mazza, Napoli Dr. J.C. Picarb, Paris Prof. P.H. Porrier, Laval Prof. J. Ries, Louvain Dr. C. Roemer, K6ln Prof. A. RoseLii, Arcavacata Dr. J.M. RoSENSTIEHL, Strasbourg Prof. K. Rupo.pu, Santa Barbara - California Prof. P. Saccui, Torino Prof. G. SFAMENI GASPARRO, Messina Prof. G. StrREcKER, Goettingen Prof. G. Stroumsa, Jerusalem Dr. W. SUNDERMANN, Berlin DDR

VORWORT Alexander Boutic, Tiibingen

Die Aufforderung, das Prasidium bei einem Symposion iiber den K6lIner Mani-Codex zu iibernehmen, mufte mich faszinieren. Hatte ich doch ein Leben der Forschung an Gnosis und Manichaismus gewidmet. Bald nach der Auffindung des koptisch-manichdischen Fundes von Medinet Madi war ich zur Mitarbeit bei seiner Herausgabe herangezogen worden, um dann ein Jahrzehnt an diesen Texten zu arbeiten. Nun konnte ich mit Freude erleben, wie eine neue Generation an Hand eines neuen, auch aus Agypten stammenden Textes neue Ergebnisse ihrer Arbeit austauschen konnte. Das zentrale Thema war die religionsgeschichtliche Einordnung eines Jugend und Friihzeit Manis behandelnden Papyruscodex der K6lner Papyrussammlung (P. Colon. invent. nr. 4780). Dieser Text bot ‘einen in mehrfacher Hinsicht neuartigen Charakter. Zundchst war seine Abfassung auf griechisch eine freudige Uberraschung. Seine etwaige Ubersetzung aus dem Syrischen ware noch einmal gesondert zu untersuchen, ebenso wie der Stil seiner Sprache. Hier ging es um seine Bedeutung fiir die Beurteilung des Wesens des Manichdismus, ja des Wesens von Mani selber. Die weite Ausbreitung der manichdischen Kirche, im Westen bis zu den «Sdulen des Herakles», im Osten bis nach China, hatte vielfaltige Quellen und Schriften entstehen lassen, die aber zum grofen Teil mit der Unterdriickung und dem Aussterben dieser Religion verlorengegangen waren, so daB Mani und seine Lehre lange Zeit nur iiber seine Bestreiter oder gelehrte Berichterstatter bekannt waren. Als dann Originalschriften aus Chinesisch-Turkestan und Tun-huang auftauchten, die in iranischen Idiomen, auf alttiirkisch (uigurisch) und chinesisch abgefaBt waren, verfiihrte die Nomenklatur die Religionsgeschichtler, bestimmte Ziige des missionierenden Manichdismus aus ihr als original anzusehen. In Verbindung mit seiner starken Betonung des Dualismus und Manis Leben im Sassanidenreich wird von daher der Manichaismus weithin als eine iranische Religion betrachtet. Erst der koptische Fund

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brachte die Méglichkeit mit sich, dstliche und westliche Uberlieferung miteinander auszugleichen. Nachdem aber der Zweite Weltkrieg die Bearbeitung der koptischen Texte lange Zeit hemmte, ja gewisses Material hatte verschwinden lassen, blieb immer noch als offene Frage: Welchen Kreisen verdankt Mani die Entwicklung seiner Jugend; was fiihrte ihn aus einer Taufersekte zur Begriindung einer eigenen Lehre? Der Kélner Codex erméglichte hieriiber neue Einsichten, weil er tiber Manis Jugend und die friihe Mission AufschluB gab. Seine Auswertung erméglichten A. Henrichs und L. Koenen dadurch, daf sie nicht nur einen gehaltvollen Vorbericht (1970), sondern auch bis 1982 eine vollstandige Transkription, Ausgabe und Ubersetzung in einzelnen Aufsatzen vorlegten, die mit z.T. sehr ausfiihrlichen Kommentaren versehen waren. Ihre Arbeit soll die Grundlage fiir eine jetzt vorgesehene Standardausgabe bilden, bei der ihnen Cornelia Roemer zur Seite stehen wird. In den vergangenen 10 Jahren hatten die inzwischen bekanntgewordenen Neuigkeiten in der wissenschaftlichen Welt ein Echo gefunden, das wert war, auf einem Symposion diskutiert zu werden, an dem die mafgeblichen Fachleute teilnehmen konnten, und zwar nicht nur Erforscher des Manichadismus, sondern Wissenschaftler, die den allgemeinen religionsgeschichtlichen und kulturellen Rahmen fiir Manis Leben abzustecken imstande waren. Das taten U. Bianchi (Rom) mit einem einleitenden Vortrag, der Mani im Rahmen der Tagung darstellte, M. Mazza (Neapel) als Kulturhistoriker mit einer Darlegung der kulturellen und sozialen Verhdltnisse Mesopotamiens zur Zeit Manis und J. Maier (Koln) mit einer Ubersicht itber das Judentum in diesem Gebiet. Wesentlich war auch die Heranziehung von Gelehrten, die sich durch editorische Tatigkeit und zugleich auch mit den inhaltlichen Problemen beschaftigt hatten. Da waren A. Henrichs und L. Koenen anwesend, begleitet von C. Roemer. W. Sundermann, der im Auftrag der Akademie der Wissenschaften der DDR die Edition der iranischen Turfanfragmente bearbeitet und dabei gerade Stiicke zu Manis Vita verdffentlicht hat, nahm ebenfalls am Symposion teil. S. Giversen (Kopenhagen) konnte berichten, daB er noch nicht edierte Texte der Sammlung Chester Beatty zur Bearbeitung erhalten habe, eine Mitteilung, tiber die ich besondere Freude zum Ausdruck brachte, weil dieses Material ja nach dem Tod von C.R.C. Allberry im Krieg so lange der wissenschaftlichen Welt vorenthalten worden war. Bei der Bedeutung des Elkesaitismus im K6lner Codex und seiner Stellung zu Taufertum und Judenchristentum waren Fachleute, die sich

VORWORT

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bereits zu dieser Problematik gedufert hatten, Teilnehmer des Symposions: K. Rudolph (St. Barbara), G. Strecker (Gottingen), L. Cirillo (Arcavacata) und A.F.J. Klijn (Groningen). Andere Wissenschaftler, die iiber religionsgeschichtliche Fragen des Manichdismus und des Gnostizismus gearbeitet hatten, boten weitere Referate: H. D. Betz (Chicago), M. Giuffré Scibona (Messina), J. C. Picard (Paris), P. H. Poirier (Laval), J. Ries (Louvain-la-Neuve), L. Rosenstiehl (Strasbourg), G. Sfameni Gasparro (Messina), G. Stroumsa (Jerusalem). Die Ver6ffentlichung der Vortraige dieses Symposions bietet sich schon dadurch an, daB damit ein kurzgefaBtes Handbuch der Probleme des K6lner Codex vorliegt. Das Judentum scheint in Manis Jugendzeit wohl keinen EinfluB auf ihn gehabt zu haben. Jiidische Einfliisse, wie Gesetzlichkeit und apokalyptisches Denken, sind tiber das Judenchristentum auf ihn gekommen. Die Taufer, unter denen Mani grofB wurde, waren ja Elkesaiten. Sie sahen Elkesai als den Stifter ihres Gezetzes an. Ob dieser eine historische oder mythische Figur ist, steht zur Debatte. Im letzteren Fall ware es leichter gewesen,

wenn

Mani

ihm Erlebnisse

unterschiebt,

in denen er

seine eigenen Lehren vorprogrammiert darstellt. Der gesetzliche Charakter des Judenchristentums bildet die Grundlage fiir den gesetzlichen ‘Charakter des Manichdismus. Beten, Fasten und Almosengeben sowie Enkratie und Taufertum konnten sich leicht bei einem Schiiler solcher Sekten in dogmatischem Denken weiterentwickeln und in ein neues System einbauen lassen. Die Bedeutung der drei Signacula wird daraus verstandlich. Allerdings wird die manichdische Lehre von ihnen zum Grund fiir die Trennung. Denn der zentrale Ritus der Waschung wird ja von Mani abgelehnt. Er versucht, aus der Lehre des Elkesai und aus dem Neuen Testament das Taufertum zu widerlegen. «An die Stelle der Taufe tritt bei Mani die pneumatische Reinigung durch Gnosis» (Henrichs-Koenen). Sie besteht in der Erkenntnis des aus dem Dualismus sich ergebenden Zustands, die durch Zuwendung zum Licht tiber die Finsternis siegt und die Mischung beseitigt. Das Licht in der Welt darf nicht

geschaddigt werden. Deshalb das Gebot der Signacula manuum und oris. Wenn «der Staub der Erde das Fleisch und Blut Jesu» ist, so findet sich hier im K6lner Codex der gleiche Gedanke wie in der Bezeichnung Jesus

patibilis im nordafrikanischen Manichdismus und der Einheit Jesu mit den Lichtelementen im chinesischen Hymnenbuch. Bereits bei Mani selbst ist sie im Schabuhragan in seiner Deutung von Matth. 25,34-46 zu erkennen. Im AnschluB an judenchristliche Vorstellungen sieht sich

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MANICHAICUS

COLONIENSIS

Mani in der Reihe der von Anbeginn an erscheinenden Propheten und dehnt diese iiber den biblischen Bereich hinaus auf Zarathustra und Buddha aus, so daf er selbst das Siegel der Propheten, also der endgiiltige Paraklet ist. Diese innere Entwicklung Manis wird als Folge von Offenbarungen dargestellt, in denen der Syzygos, sein alter ego, ihm erscheint und eins mit ihm wird. Ob die gnostische Vorstellung des Perlenliedes in den Thomasakten auf Mani gewirkt hat, ist zu diskutieren. Ob die Offenbarungsvisionen einzelne historische Erlebnisse fiir Mani selber waren oder erst in der Tradition seiner Schiiler schematisiert wurden, bedarf der naheren Untersuchung. Als Apostel Jesu, wie Mani sich bezeichnet, lag es nahe, vom 12. Lebensjahr bis zur Kreuzigung Parallelen zum Leben

Jesu aufzustellen, ihm 12 Jiinger beizugeben u.a4. Andererseits sah Mani die Offenbarung als Damaskuserlebnis an. In der Nachfolge des Paulus zeigen ihn auch seine Briefanfange. Als apostolus haereticorum scheint Paulus angesehen zu werden, wenn der Galater- und die Korintherbriefe

sowie die Deuteropaulinen Epheser- und Kolosserbrief im Kélner Codex besonders gern herangezogen werden. Der Paulinismus und die Ablehnung des judenchristlichen Gesetzes weisen auf den Ubergang Manis zu Vorstellungen des Markionitismus hin, der ihm freilich nicht geniigt. Er sucht vielmehr, so wie er dem Weltgeschehen einen Platz im All zuweist und den Gang der Weltgeschichte in gegliederter Form analysiert, so auch seine Person im Rahmen der Heilsgeschichte darzustellen. Wenn der Kélner Codex auch nicht das Ende Manis und erst recht nicht das Weltende schildert, so klingt doch auch hier schon ein eschatologischer Zug an. Dazu paft ganz die ausfiihrliche Darstellung der Eschatologie in den koptischen Texten. Mit seiner Behandlung der Jugend und Friihzeit Manis zeigt der Kélner Codex, wie Mani zwei bedeutende Richtungen des Christentums, das Judenchristentum und den Paulinismus, als Mutterboden hat, in denen er bereits gnostische Vorstellungen kennengelernt hat, die er im Licht der ihm zuteil gewordenen Offenbarung zusammen mit orientalischen Gedanken verarbeitete. . Die literarische Form des Kolner Codex als ein Aufbau aus mit Namen gekennzeichneten Traditionsstiicken erméglicht eine Unterscheidung der Stiicke nach den Tendenzen ihrer Verfasser. Der K6lner Codex ist somit ein hervorragendes Mittel zu einer wirklich historisch-kritischen Erforschung des Manichdismus.

PREFAZIONE Alexander Bou.ic, Tiibingen (traduzione di A. AuTieRo, von Humboldt - Stiftung, Bonn)

La richiesta di assumere la presidenza di un simposio sul Codex Manichaicus Coloniensis doveva necessariamente affascinarmi, avendo io dedicato una vita alla ricerca sulla Gnosi e sul Manicheismo. Appena dopo il rinvenimento del reperto coptomanicheo di Medinet-Madi venivo chiamato a collaborare alla sua edizione e lavorai cosi per un decennio a questi testi. Ora con gioia ho potuto constatare che una nuova generazione di studiosi é stata in grado di apportare nuovi risultati di ricerca, sulla base di un nuovo testo, anch’esso proveniente dall’Egitto. Il tema centrale del simposio é stata la collocazione storico-religiosa di un codice papiraceo della raccolta dei papiri di Colonia (P. Colon. invent. n. 4780) riguardante |’infanzia e la giovinezza di Mani. Questo testo offriva un carattere sotto molti aspetti originale. In primo luogo la sua redazione in greco era gia una piacevole sorpresa. Sulla sua eventuale traduzione dal siriaco ci sarebbe ancora da ricercare a parte, cosi come anche sullo stile del suo linguaggio. Nel simposio si é affrontato il problema della sua rilevanza per la valutazione della natura _ del Manicheismo e della persona dello stesso Mani. La vasta espansione della chiesa manichea, in Occidente fino alle «colonne d’Ercole» e in Oriente fino alla Cina, aveva dato origine a molteplici fonti e scritti. Questi, pero, andarono in gran parte perduti con la repressione e la scomparsa di questa religione, cosicché Mani e la sua dottrina furono conosciuti a lungo solo attraverso i loro oppositori e attraverso documentati informatori. Quando pero dal Turchestan cinese e da Tung-huang vennero alla luce scritti originali, redatti in idiomi iranici, in turco antico (uigurico) e in cinese, la loro terminologia indusse gli storici delle religioni a considerare originali alcuni tratti del Manicheismo missionario in essa contenuti. Per il suo forte accento sul dualismo e poiché Mani visse nel regno dei Sassanidi, il Manicheismo viene considerato una religione iranica. Il reperto copto per primo rese

possibile confrontare la tradizione orientale e quella occidentale.

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COLONIENSIS

poiché la seconda guerra mondiale aveva a lungo bloccato la elaborazione dei testi copti e parte del materiale era andato smarrito, rimaneva ancora aperta la questione: a quali ambienti deve Mani |l’evoluzione della sua giovinezza; che cosa lo portd da una setta battista alla fondazione di una dottrina propria? Il Codice: di Colonia ha reso possibili nuovi modi di vedere a tale riguardo, dando informazioni circa la giovinezza e la prima missione di Mani. A. Henrichs e L. Koenen ne hanno reso possibile l’utilizzazione perché non solo ne hanno dato esaustiva relazione (1970), ma anche perché fino al 1982 hanno proposto in successivi articoli una completa trascrizione, edizione e traduzione, arricchite da un commento a volte molto dettagliato. I] loro lavoro costituisce la base per una edizione tipo che é gia in programma e per la quale ad essi si affianca Cornelia Roemer. Nell’ultimo decennio, le novita che via via erano rese note hanno. trovato nel mondo scientifico un’eco tale che valeva la pena di discuterle in un simposio al quale hanno potuto partecipare gli esperti pit autorevoli e cioé non solo esperti del Manicheismo, ma anche studiosi in grado di fornire elementi del contesto generale storico-religioso e culturale della vita di Mani. Questo é stato il compito di U. Bianchi (Roma), con un contributo introduttivo che colloca Mani nel contesto generale del tema del simposio; M. Mazza (Napoli), in qualita di storico della cultura, con una esposizione delle condizioni culturali e sociali della Mesopotamia al tempo di Mani; J. Maier (Colonia), con una panoramica sul Giudaismo in quella regione. Essenziale é stato anche |’intervento di studiosi che si sono occupati dell’edizione del testo e nel contempo di problemi di contenuto. Erano presenti A. Henrichs, L. Koenen e Cornelia Roemer. Al simposio ha preso parte anche W. Sundermann, che lavora, su incarico dell’ Accademia delle scienze della Repubblica Democratica Tedesca, all’edizione dei frammenti iranici di Turfan e ha pubblicato testi riguardanti la vita di Mani. S. Giversen (Copenhagen) ha comunicato che gli é stata affidata Vedizione di testi ancora inediti della collezione Chester Beatty. Per questa notizia ho espresso una particolare gioia, poiché questo materiale era stato cosi a lungo sottratto al mondo degli studiosi, dopo la morte in guerra di C.R.C. Allberry.

Sul significato dell’Elchasaitismo nel Codice di Colonia e del suo rapporto con il Battismo e il Giudeocristianesimo si sono espressi gli esperti in materia che parteciparono al simposio: K. Rudolph (St. Barbara - California), G. Strecker (Gottinga), L. Cirillo (Arcavacata) e A.F.J. Klijn (Groninga).

PREFAZIONE

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Altri studiosi che si sono occupati delle questioni storico-religiose del Manicheismo e dello Gnosticismo hanno offerto ulteriori contributi: H.D. Betz (Chicago), M. Giuffré-Scibona (Messina), J.C. Picard (Parigi), P.H. Poirier (Laval), J. Ries (Lovanio), D. Rosenstiehl (Strasburgo), G. Sfameni-Gasparro (Messina), G. Stroumsa (Gerusalemme). La pubblicazione degli atti di questo simposio si presenta come cosa significativa, poiché essi costituiscono quasi un compendio dei problemi del Codice di Colonia. I] Giudaismo pare non aver avuto alcun influsso sul giovane Mani. Influssi giudaici, quali l’importanza della legge e il pensiero apocalittico, gli sono giunti attraverso il Giudeo-cristianesimo. I Battisti, in mezzo ai quali Mani era cresciuto, erano appunto Elchasaiti. Essi consideravano Elchasai il fondatore della loro legge. Se questi é.una figura storica o mitica rimane oggetto di discussione. Ma se Mani: gli attribuisce esperienze nelle quali premeditatamente sono presentate le sue proprie dottrine, allora la seconda ipotesi sarebbe pit plausibile. Il carattere legalistico del Giudeo-cristianesimo costituisce la base del carattere legalistico del Manicheismo. Preghiera, digiuno ed elemosina, come enkrateia e battismo, per un discepolo di tali sette, poterono facilmente evolversi in pensiero dogmatico ed essere integrati in un nuovo sistema. Il significato dei tre «signacula» diviene cosi comprensibile. A dire il vero, la dottrina manichea a tale riguardo diviene motivo di divisione. Infatti il rito centrale dell’abluzione viene appunto rifiutato da Mani. Egli tenta di confutare il battismo sulla base delle dottrine di Elchasai e del Nuovo Testamento. «Al posto del battesimo, si trova in Mani la purificazione spirituale attraverso la Gnosi» (Henrichs - Koenen). Essa consiste nella conoscenza della situazione che é il risultato del dualismo, conoscenza che, rivolgendosi verso la luce, vince la tenebra ed elimina la mescolanza. La luce nel mondo non deve essere danneggiata: percio il precetto dei «signacula manuum et oris». Se «la polvere della terra ¢

carne e sangue di Gest», allora si trova qui, nel Codice di Colonia, lo stesso pensiero che si riscontra nell’indicazione dello «Jesus patibilis» del Manicheismo nordafricano e dell’identificazione di Gest con gli elementi di luce del libro cinese degli Inni. Essa é riscontrabile gia presso lo stesso Mani, nello Schaburagan, nella sua interpretazione di Mt 25,34-46. In collegamento con idee giudeo-cristiane, Mani si considera nella schiera

dei Profeti

presenti

fin dall’inizio

e la estende

al di la

dell’ambito biblico, fino a Zaratustra e a Budda, cosicché egli é il sigillo. stesso dei Profeti e percid il Paraclito che viene alla fine.

Questa interiore evoluzione di Mani viene considerata la conseguen-

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za di rivelazioni nelle quali il Syzygos, suo alter ego, gli appare e diventa una sola cosa con lui. Se l’idea gnostica del «Canto della perla» negli Atti di Tommaso abbia avuto un influsso su Mani é oggetto di discussione. Se le visioni e le rivelazioni furono per lo stesso Mani vere e proprie esperienze storiche, oppure furono schematizzate solamente in seguito, nella tradizione dei suoi discepoli, deve essere ulteriormente approfondito. Poiché Mani stesso si definisce apostolo di Gest fu facile stabilire parallelismi con la vita di Gest, dal dodicesimo anno di vita fino alla crocifissione: anche a lui furono attribuiti dodici discepoli ed altre cose simili. D’altra parte Mani considerd la rivelazione come equivalente dell’esperienza di Damasco. Anche il modo con cui cominciano le sue lettere lo mostrano nella sequela di Paolo. Questi viene considerato quale «apostolus haereticorum», dal momento che il Codice di Colonia contiene particolari riferimenti alle lettere ai Galati e ai Corinti, come pure alle lettere deuteropaoline agli Efesini e ai Colossesi. Il paolinismo e il rifiuto della legge giudeo-cristiana mostrano il passaggio di Mani

alle idee del Marcionismo,

che perd certamente

non

gli é

sufficiente. Egli cerca piuttosto di situare la sua persona nel quadro della storia della salvezza, cosi come assegna alla vicenda del mondo un posto nel tutto e analizza in forma articolata il corso della storia. Sebbene il Codice di Colonia non parli né della morte di Mani e neppure della fine del mondo, gia si percepisce tuttavia in esso una tendenza escatologica. A cid corrisponde perfettamente la esposizione esplicita dell’escatologia nei testi copti. Trattando dell’adolescenza e della giovinezza di Mani, il Codice di Colonia mostra come egli si sia alimentato a due significativi orientamenti del cristianesimo: il Giudeo-cristianesimo e il Paolinismo. Gia attraverso di loro egli ha conosciuto le idee gnostiche che ha poi ulteriormente

elaborato

insieme

al pensiero

orientale,

alla luce

delle

rivelazioni ricevute. La forma letteraria del Codice di Colonia, una costruzione formata dall’assemblaggio di testi pit antichi che conservano il nome dei loro singoli autori permette di distinguere le singole parti, secondo le tendenze degli autori stessi. Per questo il Codice di Colonia é uno strumento di eccezionale importanza per un’efficace ricerca storico-critica sul Manicheismo.

Osservazioni storico-religiose sul Codice Manicheo di Colonia Ugo BiaNcHI, Roma

Pur con tutti i problemi di critica storica che inevitabilmente il Codice suscita, si deve riconoscere a questo testo il valore unico di una auto-testimonianza del manicheismo nel suo processo di formazione. Nel caso particolare, questo significa il farsi della esperienza religiosa di Mani nei confronti di (e in opposizione a) un movimento, quello di un gruppo cristiano battista elchasaita di Mesopotamia, cui egli aveva appartenuto fin dalla prima fanciullezza; movimento che dunque, in positivo e soprattutto in negativo, costituisce storicamente e fenomenologicamente non certo la ‘spiegazione’, ma almeno il primo referente interpretativo specifico della nuova religione. Cid é tanto pit vero in quanto il punto del dissenso di Mani nei confronti dei suoi ex-correligionari non ha alcun carattere di occasionalita o di pretesto, né appare come la goccia che fa traboccare un vaso gia pieno di incompatibilita -svariate. Anche a costo di sopravvalutare l’autorita documentaria del nuovo testo, si dovra riconoscere che punto essenziale del dissenso di Mani é una diversa interpretazione del tema encratitico della purita 1. Mani si appella a una conoscenza rivelata e salvifica, elargitagli da un suo divino syzygos (nelle altre fonti chiamato ‘gemello’), sulla cui base egli afferma una congenita impurita del corpo, motivata certo dalla dottrina del dualismo radicale tra sostanza di luce e materia tenebrosa che le fonti concordemente gli attribuiscono; insieme e nello stesso contesto egli insiste su una concezione tutta specifica della inviolabilita degli elementi di luce e di vita sparsi nel grande mondo. Questi elementi vitali, si tratti dell’acqua, o della terra, o delle piante e dei loro frutti,

sono personificati in una forma di nuovo animismo o pan-animatismo, nella visuale patetica e tragica di una sofferenza che, inflitta agli elementi e alla luce-vita che li anima, realizza gia la classica concezione

manichea dello Jesus patibilis e della croce in cui la luce é crocifissa in questo universo. ' ' Sulle premesse poste dal Codice di Colonia un’analisi storico-reli1 Cfr. CMC pag. 85.1 ss.

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giosa e storico-tipologica del manicheismo nascente si presenta dunque pil’ agevole, permettendo di eludere nei limiti del possibile precomprensioni soggettive e alternative generiche tra iranico e occidentale, tra mitico e filosofico, tra eresiologico e storico-religioso. Una analisi del dissenso di Mani permette di apprezzare, su punti sostanziali, la novita della religione del profeta di Babilonia, e insieme il suo cointeressamento in posizioni e preoccupazioni pit antiche di lui. Come é universalmente riconosciuto, il manicheismo é una religione gnostica, implicante una specifica ontologia dualistico-radicale e una osservanza di carattere principalmente (anche se non esclusivamente) astensionistico; — astensionismo che pone il problema ineludibile del rapporto della predicazione di Mani con una diffusa e articolata tradizione encratitica che é variamente percepibile in diversi settori e aree delle grandi e piccole religioni gnostiche e non gnostiche dell’ambiente e dell’epoca di lui”. Capire la connessione intrinseca tra lo gnosticismo di Mani e il suo encratismo significa entrare ben addentro alle intenzioni del profeta di Babilonia; ma non é impresa facile, dato che gia in altre forme di gnosticismo pit antiche di lui, 0 a lui contemporanee, questi due elementi, gnosticismo ed encratismo, si combinano in forma e

misura varie, né basta a fornire una caratterizzazione del combinarsi di questi questa luce e nuum

due elementi nel manicheismo quello che é il dato piu tipico di religione, appunto il dualismo radicale delle sostanze coeterne, tenebra. La nozione tipicamente manichea del signaculum mao — come si esprime il Codice — del ‘riposo (delle mani)’*,

? Cfr. il ‘documento finale’ del Colloquio internazionale sulla ‘tradizione dell’enkrateia’ (Milano, Maggio 1982), Atti in stampa, per una presa di posizione collettiva su questo problema e la terminologia che vi é coinvolta. 3 Il ‘tiposo’ (&vénavoic), menzionato in 5.6 s. (Kka8éyo@v thy avanavol), 9.1 (restit.), 12.4, si riferisce al ‘riposo delle mani’; l’espressione completa (&vanavoic tv YXEpOv) ricorre in 102.15 s., dove peraltro viene inclusa in una serie di usanze cultuali dei battisti della originaria comunita di Mani, e quindi pare riferirsi alla osservanza del sabato. Ma la pointe del discorso di Mani anche in quest’ultimo testo sta nel fatto del cambiamento radicale di senso che egli fa subire al ‘riposo’, il quale, come abbiamo Osservato, viene in lui a significare il rispetto della ‘croce di luce’, che non dipende da circostanze calendariali. Del resto anche la dyveia e la capKodeopia che fanno parte delle ‘letture’ di quei battisti (16 S6yya tv dveyv@Kdtwv Epi Gyvelac Kai oapKode[oni]ac Kai KaTOXISs dvalna]boews tTHv YEIp@v riguardano precisamente tematiche di ‘purezza’, dunque tematiche utilizzabili, mutatis mutandis, anche nel manicheismo. Cid conferma che

in questo

significato (latamente forma di Henrichs

testo

viene

trasceso

polemicamente

e allusivamente

|’eventuale,

originario

di dvanavoig TOV yEIpP@v come ‘riposo sabbatico’ e ci si avvicina al senso inteso) di una espressione quale la ben nota &noyt tév guwbyov (estesa a ogni vita). E in questo senso, dunque, che ci pare vada limitata l’esegesi dello (Mani and the Babylonian Baptists... in «Harvard Studies in Classical

:

UGO

BIANCHI

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interessa contemporaneamente i due aspetti, quello gnostico e quello encratita, della visuale di Mani e da a questo gnosticismo e a questo encratismo — e quindi alla combinazione dei due — un contenuto di novita tale che sembra sfidare la propensione dello storico comparatista a ricercare precedenti e connessioni. Certo, un complesso di temi come quelli che emergono dal dissenso di Mani circa le sofferenze della sostanza di vita, l’impurita congenita del corpo, la presenza in questo, e non solo in questo ma anche negli elementi (acqua, terra) e negli altri esseri viventi, di una sostanza di luce minacciata di contaminazione e maltrattamento, tutto cid — date le circostanze dell’epoca — non puod non apparire allo studioso che come materiale ideologico predestinato alla costruzione di un sistema gnostico. Si tratta infatti di qualcosa di pit del comune fopos, noto gia all’apocalittica giudaica, del lamento che le creature oppresse — e la terra stessa, contaminata dal sangue degli uccisi — rivolgono verso Dio in uno stato

Philology» 77 (1973), pp. 48-50, partic. p. 49 n. 93), che giustamente (per un verso) distingue tra la dvanavoic tdv xyEipdv di 102.15 s. e il ‘riposo delle mani’ completamente manicheo di Kephal. 192.9 s., citando l’analoga distinzione tra ‘riposo’ manicheo e riposo sabbatico menzionata da Agostino, C. Faust. 6.4 (CSEL 25 p. 288.22-290.24). Si devono infatti considerare gli altri tre passi del CMC citati all’inizio di questa nota, dove si allude proprio a questa situazione di passaggio (storicamente reale o ricostruita a posteriori da Mani), nella quale l’apostolo della luce convive con i battisti ma pratica gia il suo particolare ‘riposo’; cfr. le giuste osservazioni di Henrichs, art. cit., p. 48 e di Henrichs e Koenen, «Ztschr. f. Papyrol. u. Epigraphik» 19 (1975), p. 7 n. 9, e ibid., 44 (1981), p. 240

n. 327). Si consideri in particolare 9.1 ss., dove si astensione dal cogliere i vegetali del giardino dei dono’ [v. infra, n. 18]; (la convergenza delle due sintomatica di un manicheismo ormai strutturato e

parla contestualmente di ‘riposo’ e di battisti, che Mani richiede come ‘pio espressioni, ‘riposo’ e ‘pio dono’, é funzionale). Le chiaramente divergenti motivazioni dei battisti elchasaiti (quali risultano dal CMC) e di Mani relativamente alla purita sono bene messe in luce dallo Henrichs, art. cit., p. 58; gli uni (i loro predecessori,

cioé la loro tradizione) vogliono purificare il corpo e assicurargli eterna pace (Henrichs e Koenen, «Ztschr. f. Papyr. u. Epigraphik» 5 (1970), p. 143, ma v. anche ibid., 32 (1978), p. 160 s. n. 225, a proposito di 87.5 s.), l’altro vuole purificarsi dal corpo. Non ritengo

tuttavia che CMC 43.1-7, dove si menzionano &vanavoig e KdAao1g dopo byos e Pa8oc, e prima di pvotypia t& AeAnOdta, alluda alla fede nell’eterno riposo del corpo propria dei predecessori degli Elchasaiti, alla quale invece allude in qualche modo (cfr. Henrichs e

Koenen, «ZPE» 32 cit.) il passo 87.5 s. Il procedere di 43.1-7 per coppie di opposti, la cui conoscenza é la conoscenza piena e, appunto, completa dei rivelati misteri, definisce nel passo in’ questione proprio la gnosi di Mani (con un formulario di parziale ascendenza paolina: byos e Bd8os), e l’avanavoic menzionata nel passo é la consueta dvanavoig manichea, sublimata — o, meglio, considerata come scopo e definitivo effetto — rispetto

a quel ‘riposo delle mani’ che ad essa costituisce accesso, mentre il ‘riposo’ di 12.4 é gia avvio in questa direzione. (Cfr. a questo proposito Ph. Vielhauer, “Avanavoic. Zum gnostischen Hintergrund des Thomasevangelium, in Apophoreta, Festschrift fir Ernst Haenchen, Berlin 1964, p. 290-292: Zukunftigkeit und Gegenwartigkeit der Ruhe). Inoltre,

proprio per la differenza radicale delle rispettive motivazioni

della purificazione,

non

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di estrema corruzione di questo mondo (1 En. VII 6 cfr. VIII 4); questo topos non é infatti di per sé caratterizzato da presupposti ontologici dualistici, o se lo é, come nel caso famoso del ‘Lamento dell’Anima del Bue’ nella letteratura zoroastriana (yasna 29), si tratta di un dualismo diverso da quello gnostico, cioé di un dualismo non anti-cosmico. Analogo invece alla posizione implicita nei testi manichei or ora citati é, nella letteratura mandea (Ginza di Destra, XV, 3), il lamento dell’‘acqua viva’ contro i pianeti suoi oppressori, quell’‘acqua viva’ gettata nell’ ‘acqua nera’: ‘acqua viva’ che peraltro, come nota la Sfameni Gasparro‘%, costituisce per i Mandei uno degli elementi costitutivi di questo mondo — il che trova un parallelo nell’analoga idea manichea degli elementi di luce la cui presenza limita il carattere anticosmico di questa dottrina, del resto gia relativizzato dal fatto che nel manicheismo il cosmo é costruito da un’entita di luce per funzionare come macchina di depurazione della luce medesima, nell’atto in cui questa risale alla ‘terra lucida’ da cui proviene. Presupposto e insieme dato essenziale del farsi della spiritualita manichea é€ quindi questo riferimento agli elementi nel contesto di un signaculum manuum che gia basta a differenziare l’encratismo manicheo dagli altri encratismi presenti all’epoca: un riferimento agli elementi che d’altra parte specifica in senso proprio anche lo gnosticismo manicheo e che, per tanto insistere sul tema cosmologico, appunto, degli ‘elementi’, assume per qualche aspetto quella tonalita paganeggiante che caratterizza anche, come abbiamo altrove posto in rilievo, il dualismo, peraltro di tipo diverso, dello zoroastrismo veneratore degli elementi*. Tonalita paganeggiante la quale traspare talora anche dai testi mandei, per non parlare naturalmente dei Sabei di Harran. Ma ora facciamo un passo indietro e, lasciando da parte per il momento la questione della fenomenologia generale del manicheismo, torniamo agli spunti di analisi genetica che ci offre il Codice di Colonia, e in particolare alle questioni relative al signaculum manuum, alla considerazione ontologico-animatistica degli elementi di luce e alle valen-

ze gnostiche speciali che Mani ha costruito su (0 se si vuole ha dedotto da) questa base.

riteniamo accettabile la definizione proposta da Kessler (cit. per gli Elchasaiti come «manichei pre-manichei», neppure portata come fa Henrichs nell’articolo citato. ‘ Studi di storia religiosa della tarda antichita, pubbl. religioni dell’Universita di Messina, Messina 1968, p. 97. > Zaman i Ohrmazd. Lo zoroastrismo nelle sue origini 1958, pp. 71-73 e 75 s.

da Henrichs, art. cit., p. 58) limitandone ulteriormente la

dalla cattedra di storia delle e nella sua essenza, Torino

,

UGO

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E forse d’obbligo qui un primo riferimento a un testo tutt’altro che ignoto in ambito manicheo, e forse gia presto noto a Mani, il ‘Vangelo di Tommaso’. Accenno al lJogion 77 (Pap. Oxy. 1) di questo libro encratita ma di sicure aperture gnostiche: ‘Spaccate un legno e io sono li, sollevate la pietra e li mi troverete’. In una delle sue possibili interpretazioni, specie nella versione copta, questo /ogion respira non certo un banale panteismo, e forse neppure una forma di panenteismo, ma almeno un soffio di cosmicita che per qualche verso anticipa Mani, pur restando estraneo a uno dei momenti pil specifici dell’esperienza del profeta di Babilonia, quello del rispetto degli elementi conseguibile solo — come egli afferma in faccia ai battisti suoi ex correligionari — con il ‘riposo delle mani’. Ma nel vasto ambito dello gnosticismo c’é gia di piu. Il lamentarsi umano delle piante sottoposte alla violenza (dell’ accetta) del battista coltivatore e brutalmente utilizzate da lui per il commercio con i ‘fornicatori’ ° non é poi cosi lontano dai presupposti ontologici della Predica dei Naasseni, dove ogni natura nell’universo aspira a un’anima, e dove quest’anima é luogo e strumento di sofferenza (e di punizione) per la ‘creatura dell’Uomo perfetto’, presa nei vincoli della

materia’. Da

parte di autorevoli

studiosi

ci si ¢ chiesto

donde

derivi

al

manicheismo questa dottrina, anzi questa sensibilita che si manifesta nella concezione e relativa pratica del signaculum manuum o ‘riposo delle mani’, questa nozione dello Jesus patibilis® e della croce di luce’. I riferimenti al buddismo sono facili e presenti in studi gia antichi e in ricerche contemporanee: ma il riferimento pili urgente — come risulta

dal paragone con la gia citata Predica dei Naasseni —

é quello alla

citazione agostiniana del manicheo ‘Tesoro della vita’, dove la vitalis substantia del Padre é liberata ab inpiis retinaculis et angustiis atque angoribus... e ’anima laxata evadit et suo purissimo aeri miscetur ee un ‘aere purissimo’ che ci ricorda quello di un luogo decisivo della gnostica ‘Apocalisse di Adamo’ di Nag Hammadi, dove lo straniero (= purissimo) aere é il luogo di provenienza e quasi la sostanza del Phoster,

® CMC 97.18 ss. 7 Hippol., Refutatio V, 7,11 e V, 7,7. 8 Agostino, C. Faustum, 20,2; A. Adam, Texte, infra cit., p. 47. ° Cfr. Agostino, Enarr. in ps. 140, par. 12 (P.L. 37, col. 1823; A. Adam, Texte zum Manichéismus, Berlino 1969, p. 64): ...agricola multum laedit crucem luminis...; cfr. de

moribus Manichaeorum, 10 (P.L. 32, col. 1353; Adam, manuum, omnem operationem...

10 Adam, Texte, p. 2.s., cfr. p. 92.

Texte, p. 61): ... (signaculum)

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l’Illuminatore gnostico '!. Urgente riferimento é insomma il concetto e l’esperienza di una vita rinchiusa in realta corporee e che si manifesta di preferenza tramite quelle, tra queste realta, ove la vita-luce € meno commista di tenebra-materia-morte: voglio dire gli elementi puri — luce, acqua, aria, vento, fuoco, e gli esseri vegetali, oltreché, s’intende, l’uomo, in cui alla preoccupazione di non essere contaminato si aggiunge quella di non contaminare, per evitare il circolo diabolico in base al quale cid che é gia di per sé organicamente impuro — il corpo — maltratta e uccide, con il mangiare, il lavorare e il procreare, quella vita-luce-anima che nei corpi é contenuta, cosi perpetuando la sua e Valtrui disgrazia. : Se si tiene presente questa tematica, nella quale l’elemento purita e purificazione rimane al centro dell’interesse, ma vi rimane sulla base di una nuova motivazione, di carattere ontologico, che elimina |’efficacia delle ripetute pratiche battiste degli ex correligionarii di Mani, e cid a causa del carattere congenitamente impuro del corpo, per cui tutta la questione diventa un problema di sostanze che si contrappongono in una forma di dualismo radicale; se si tiene presente questo, si pud pensare di individuare nel manicheismo un esempio dell’insorgere di una dottrina gnostica sul tronco accogliente di una dottrina e di una prassi prive peraltro di analoghe radici ideologiche. Cosi, il manicheismo, nel III secolo, sarebbe un esempio tardivo ma pertinente di gnostizzazione di centri e movimenti di spiritualita caratterizzati da contenuti che non definiremo certo con il termine ambiguo di ‘pregnostici’, ma che pure a tale gnostizzazione potevano prestarsi, sotto l’impulso di nuova e diversa ispirazione, implicitamente suscettibile di nuove specificazioni e pit profonde motivazioni ontologiche e cosmologiche. Tali contenuti sono i seguenti: l’insistenza su una missione profetica che é@ base di una dottrina e di una osservanza propria, all’inizio, di un gruppo minoritario ed esclusivo, il riferimento a una personalita carismatica, depositaria di forza e potere, l’accostamento, talora bruscamente semplificato in forme di crudo naturismo, tra realta cosmologica e realta spirituale e lidentificazione fra |’elemento luce e l’elemento anima, confluenti nelVelemento ‘vita’. Stiamo accennando con questo a fenomeni di gnostizzazione diversi, p. es., dal caso di un Valentino, che ha a disposizione tutto il complesso patrimonio della letteratura e dell’istituzione della Grande

"' NHC V, pag. 82.25 s.

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Chiesa per appendere a una sua personale elaborata teologia degli eoni un sistema che giunge fino alla scomposizione della figura di Cristo e alla teoria delle tre nature, pneumatica, psichica e hylica, con la quale lo gnostico di Alessandria determina i rapporti tra sfera demiurgica e sfera umana in un panorama articolato e pieno di sfumature. Nei fenomeni di gnostizzazione cui ora invece accenniamo il procedere é pit! immediato ed univoco, comandato da una unica intuizione di fondo. In questi non si parte, come avviene con Valentino, da un pleroma divino articolato, Ospitante per la sua natura appunto gerarchica la possibilita di una interna tensione !”, che sbocchera in dramma, quel dramma di Sophia che, almeno agli inizii, si gioca nelle altezze metafisiche, ben addentro al mondo divino, e non nelle bassure di violenti arconti, di acque tenebrose e di cieca materia. Questo é invece il panorama di cui discorrono le formazioni gnostiche che stiamo considerando, tra cui appunto il manicheismo. In questo, il dramma risiede non nelle increspature di una crisi che scuote la periferia potenzialmente inquieta di un mondo di pace, come é il mondo degli eoni di Valentino, bensi in una violenta mutazione di rapporti e di reciproca posizione di sostanze opposte, in un tutto in bianco e nero, che contrappone seccamente tenebra e luce come dati coeterni, un mondo in cui cid che sta in basso ha una sua, anche se eventualmente provocata e acutizzata, capacita di iniziativa, quella

‘epithymia-concupiscenza che si traduce in termini di ottusa ma anche perversamente oculata capacita di aggressione. Le possibilita di comparazione con certi sistemi della gnosi cosiddetta ternaria € evidente, nonostante le differenze che comunque la distanziano dal manicheismo (differenze che si notano anche a proposito di quel sistema dualistico assoluto di non meglio precisati ‘barbari’, cui secondo gli Acta Archelai era interessato lo gnostico Basilide*. Tale sistema, pur con le sue affinita iraniche, fondate sul carattere radicale della contrapposizione luce-tenebra, é tuttavia radicalmente diverso cosi dal mazdeismo come dal manicheismo, i quali ignorano qualunque colpevole curiosita e declinazione della luce, di cui invece parla il sistema dei ‘barbari’ in

questione). Altro esempio di questa variegata categoria di sistemi implicanti una aggressivita dal basso é il simonianesimo, che addirittura pare

12 YJ, Bianchi, Religio-historical Observations on Valentinianism, in B. Layton (ed.), The Rediscovery of Gnosticism, vol. 1, Leiden 1980, pp. 103-111. 13 Hegemon.,

Acta

Archelai,

67,

4-12

Christlichen Gnosis, Tiibingen 1932, p. 38 s.).

(W.

Volker,

Quellen

zur

Geschichte

der

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ignorare ogni idea di una componente pneumatica dell’anima e pare limitarsi al riscatto di quella Ennoia-Elena che — innocente — era stata afferrata e umiliata dagli angeli-arconti da lei generati (tratto quest’ultimo chiaramente inassimilabile al pit drastico dualismo manicheo, che nega ogni rapporto genetico tra i due mondi); — simonianesimo che condiziona la salvezza degli uomini non tanto alla virtu della gnosi implicante risveglio alla propria natura, quanto alla speranza in Simone e nella sua grazia; e cid — altra differenza rispetto al manicheismo — al di fuori di ogni encratismo, ma al contrario con un libertinismo di fondo, che é soluzione alternativa a quella encratica e poggiata su

tutt’altre premesse 4. Pil vicina, invece, alla cosmologia di Mani, ma non identica, é la dottrina di Bardesane, dove tutto si gioca al livello degli elementi cosmici e della loro infelice, ‘casuale’ mescolanza: una mescolanza che é

casuale ma in qualche modo, si direbbe, predestinata dalla congenita impetuosita del vento, uno degli elementi; e su questa disordinata mescolanza subito si innesta la tenebra, forse originariamente situata nello strato infimo dell’universo *; ma questa tenebra é di consistenza

pili cosmologica che non demoniaca, come invece é in Mani. Comunque, insorgere della tenebra e mescolanza degli elementi sono dati connessi gia in Bardesane, in una gnosi filosofica peraltro ben distinta dalla gnosi-messaggio cui appella Mani. Altro esempio, ma di tutt’altro genere, di una quasi predestinata gnostizzazione di posizioni ideologiche piu elementari, che si direbbero ad una dimensione, é il marcionismo, il quale, pur non ignorando affatto il concetto di una purita degli invisibilia e il concetto di una impurita e negativita specifica della nascita /°, del corpo

e della materia,

nel contesto

di una

conoscenza

chiamata gnosi, soprattutto si fonda sulle rudi contrapposizioni ° del diteismo, addirittura separando la genesi dell’umanita da ogni rapporto con il mondo di sopra, quello del Dio buono, al punto che il salvatore non ricompra o redime, ma piuttosto compra, a prezzo di sofferenza, Pumanita giacente nelle mortificanti bassure del suo demiurgico fattore.

“ Tren., adv. haer. 1, 23, 1-4 (Vélker, p. 2 s.). © Cfr. H.J.W. Drijvers, Bardaisan of Edessa, Assen 1966, p. 138 s. etc. U. Bianchi, Le fonti del dualismo di Bardesane, in Umanitd e storia. Scritti in onore di A. Attisani,

Messina 1971, vol. Il, pp. 633-639 = U. Bianchi, Selected Essays on Gnosticism, Dualism and Mysteriosophy, Leiden 1978, pp. 341-347. © U. Bianchi, Marcion: théologien biblique ou docteur gnostique?, in Studia

Evangelica V (1968) (Texte u. Unters. z. Gesch. altchristl. Liter. 103), pp. 234-241 (= U. Bianchi, Selected Essays, pp. 320-327).

.

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Abbiamo elencato dei casi di gnostizzazione presupponenti movimenti e premesse che gnostici non erano: il milieu sincretistico samaritano e dositeano dei Simoniani, la cosmologia raffinata del milieu culturale di Bardesane, il diteismo aspro, con annessi docetismo e encratismo, da cui si lascia ispirare Marcione, sulla base — in parte — di posizioni non ignote al giudaismo dell’epoca, che parla talora di angeli demiurgi e di due poteri in cielo 1”. Tre fenomeni di gnostizzazione per cosi dire dal basso, su premesse semplici, ben lontani dall’elaborata teologia dei valentiniani, con il suo prologo in cielo e la colpa antecedente ivi consumata da un essere divino come Sophia; fenomeni di gnostizzazione che al massimo possono elaborare nozioni come quella di una ‘casuale’ e malaugurata confusione degli elementi di cui parla Bardesane o quel concetto di cattivo o inetto regime di questo mondo presupposto delle riflessioni di un Simone o un Marcione. Fenomeni di gnostizzazione, ai quali possiamo aggiungere il manicheismo, che partono da valutazioni direttamente, esistenzialmente ispirate dalle modalita di questo mondo inferiore, dove entita innocenti e ontologicamente pure sono violentate e contaminate, dove la tenebra macchia con la sua espansiva presenza l’armonia e la pace degli elementi e delle anime, dove il corpo non é, come volevano i Battisti di Mani, purificabile ad ogni passo, ma impuro di costituzione, come contro di loro afferma il profeta di Babilonia. Encratismo, esigenza di purificazione, difesa da un male incombente, tutto questo eredita Mani dalla collettivita battista cui aveva aderito suo padre, pit volte ammonito a cid nel ‘tempio degli idoli’?; ma tutto questo egli fonda su basi nuove, inaudite e scandalose per quei Battisti il cui agire egli ha disapprovato e silenziosamente scartato per anni. La dottrina delle due sostanze primigenie e degli elementi di luce, cui si contrappongono elementi di tenebra, e la dottrina di una mescolanza che non é solo perdita di valore e ottenebramento degli elementi, come in Bardesane, ma intrusione del demoniaco nel divino luminoso, ecco uno schema ottimamente utilizzabile per un uomo che come Mani ha certo avuto conoscenza di cose zoroastriane; — e proprio qui egli trova nuovi basilari elementi per costruire un sistema, pero sulla base, naturalmente gnostica e non zoroastriana, di una negativita irrimediabile della

tenebrosa e demoniaca hyle. 17 Cfr. j contributi di P. Boyancé e M. Simon in U. Bianchi (ed.), Le origini dello gnosticismo, Leiden 1967 (1970), pp. 349-352 e, rispett., 363-369 (per Filone). Per le sétte giudaiche in questione v. 1 testi cit. in U. Bianchi, Le gnosticisme..., in B. Aland (ed.), Gnosis. Festschrift fir H. Jonas, Géttingen 1978, p. 63 s. Inoltre, A.F. Segal, Two Powers in Heaven, Leiden 1977.

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Vero é — almeno a quanto appare dal Codice — che non sara su questa base di ontologia dualistica che egli discutera con i suoi ex correligionarii, troppo lontani da tali tematiche, ma piuttosto di argomenti aventi un senso, seppure diverso, per ambedue le parti: la coltivazione, raccolta e vendita dei frutti dei campi dei battisti, oppure il ‘riposo delle mani’, o la preparazione o meno di un pane particolare per i puri, un pane, si noti, pretendono i battisti, che non venga da donne o da idolatri (93.4 ss.), prezioso indizio, se ce ne fosse bisogno, dell’encratismo anche sessuale di questa comunita; e altri motivi di discussione offrono l’efficacia 0 meno dei ripetuti battesimi delle persone o dei cibi, oppure la denuncia delle empieta di chi, credendo di purificarsi o almeno di lavarsi con l’acqua, viene a contaminare, al contrario, Vacqua medesima con la propria sporcizia; e ancora: l’umiliazione che viene inferta alla terra e alle piante, quando il coltivatore pensa di poter disporre di loro: insomma tutta quella significativa anticipazione della vita manichea, e pili precisamente dell’eletto, che culmina nella richiesta gia perfettamente manichea fatta dal profeta, di ricevere come “pio

dono’ ’* il frutto che il battista suo correligionario ha peccaminosamente

coltivato e trattato. Il tutto, una combinazione di non violenza applicata agli elementi in cui é vita e di nuova, inaudita osservanza presupponente il dono generosamente e doverosamente fatto a chi per ragioni di perfezione lo deve ricevere. Una enkrateia (con una prassi di nuovo tipo) che — ancora una volta — richiama esperienze religiose orientali, ma che non si intende veramente se si prescinde dal dato base, quello della sostanza vitale presente negli elementi, nelle piante, nell’uomo. La preoccupazione di non ‘uccidere’, cioé umiliare, contaminare, mescolare e disperdere ulteriormente la sostanza vitale, fa il paio con quella di non prolungare la presenza della sostanza di vita nei corpi fatti di tenebra. E certo anche qui avra cooperato un elemento di provenienza iranica: la

sacralita degli elementi’’, la necessita di non contaminarli con pratiche

funerarie, la loro malaugurata capacita di farsi contaminare dalla tenebra cosi come il fuoco dal fumo, ma anche la loro affinita con Dio — una volta che il mondo, quello di Ohrmazd, é stato creato con sostanza

di luce o di fuoco a lui coessenziale *°; e magari anche I’uso di mattare il 18 CMC

9.8 s. e 9.12. A. Henrichs, Mani and the Babylonian Baptists, cit., p. 36 n.

48, per evoéBeia(t) come ‘elemosine’ nel manicheismo. Cfr. «Ztschr. f. Papyrol. u. Epigraphik» 19 (1975), p. 11 n. 20.

'? U. Bianchi, Zaman i Ohrmazd, p. 119 s.

anche

Henrichs-Koenen,

20 Cid non significa peraltro un puro e semplice ‘panteis mo’ zoroastriano, neppure nei trattati medievali: U. Bianchi, Zaman i Ohrmazd, pp. 119 ss. e 190-206, a proposito di

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:

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bue senza farlo soffrire, perché in lui ¢ Ohrmazd, come recita una testimonianza concernente i magusei d’Asia Minore”’; — tutto questo fa o pud far parte di una eredita culturale ricevuta da Mani, ma — ancora una volta — non ci autorizza a ‘spiegazioni’ o riduzioni iranologiche del manicheismo 22 L’originalita dello gnosticismo encratitico di Mani resta un dato acquisito, e coinvolge l’aspetto teorico e quello pratico del suo sistema. Questo ¢ veramente tale, una architettura fantastica e barocca, talora di cattivo gusto, ma organica nei suoi elementi portanti: la concezione del macrocosmo, l’universo fatto di tenebra ma costruito da un essere di luce, e — inversamente — la concezione del microcosmo, il corpo dell’uomo generato dall’ipostasi

Concupiscenza”? e da due demoni, ma racchiudente luce, e suscettibile

dell’applicazione, tramite la vita manichea, di quei ‘sigilli’ che del corpo bloccano le effluenze mortifere “; e cid fino al paradosso dell’inversione di significato della alimentazione degli eletti, che ha effetti liberatorii della luce, esattamente contrarii a quelli, rovinosi per la luce, dell’alimentazione profana del non-encratita.

Conviene soffermarsi un momento

sul tema dell’alimentazione, cioé

testi quali quelli evocati da J. Duchesne-Guillemin, Some Aspects of Anthropomorphism, in S.G.F. Brandon (ed.), The Saviour God (Studi E.O. James), Manchester 1963, p. 84. A nostro avviso, diverso qui da quello del Duchesne-Guillemin, le tematiche del tipo Urmensch e lo zurvanismo non toccano e non riducono la portata teologica della figura di

Ohrmazd in quanto entita personale e creatore (cfr. Zaman, cit., p. 72 n. 12), anche se

possono attenuarne la trascendenza (Zaman, p. 199). 21 Mar Barhad Beshabba, ap. R.C. Zaehner, Zurvan. A Zoroastrian Dilemma, Oxford 1955, p. 439, cfr. Strabone, XV, 733. U. Bianchi, Zaman i Ohrmazd, p. 181. Cfr. anche S. Basilio, P.G. 32, col. 952: i magi si cibano della carne di bue, solo se questo é stato mattato da altre mani. ' 2 Un altro punto di parziale coincidenza tra zoroastrismo e manicheismo concerne naturalmente la figura di Az, e il concetto secondo cui la voracita di questo demonio — secondo le speculazioni di una teologia zoroastriana di tonalita ascetica — costituisce nell’uomo una condizione di defectus e di ‘fame’, alla quale si affronta peraltro vittoriosamente, sempre nello zoroastrismo, la positivita del (non eccessivo) cibo; —

fuori,

quindi, di una predicazione del digiuno, cui lo zoroastrismo repelle. Cfr. le considerazioni sul tema zoroastriano della fame come defectus di origine daevica avanzate da U. Bianchi e M.V. Cerutti in La tradizione dell’enkrateia: motivazioni ontologiche e protologiche (Atti del Colloquio di Milano, maggio 1982), in stampa.

23 Cfr. la n. precedente.

% Cfr. P. Nagel, Anatomie des Menschen in gnostischer und manichdischer Sicht, in

P. Nagel (ed.), Studien zum Menschenbild in Gnosis und Manichdismus, Halle (Saale), pp. 67-94,

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della possibilita di sussistenza degli eletti affidata alle offerte da parte degli uditori e presupponente |’inevitabile peccato di violenza commesso da questi sui vegetali destinati all’offerta stessa. Questo é un elemento essenziale e forse uno dei principali scopi dell’ecclesiologia manichea ”°, che in cid va ben al di 1a della comune distinzione sociologico-religiosa tra diverse categorie di fedeli dentro un unico corpo religioso di tipo gerarchico, anche di natura iniziatica. L’esistenza degli ‘uditori’ e della loro necessaria opera di pieta nel somministrare la sussistenza agli eletti é un dato organico, una condizione di funzionamento del sistema manicheo; della sua soteriologia, nonché della possibilita stessa di una sopravvivenza della chiesa manichea e dei suoi membri pit qualificati. Questa particolarita dell’alimentazione degli eletti ha presupposti diversi da quelli della gerarchia tra ‘vergini’, enkrateis*® e sposati che peraltro ha un senso anch’essa (e un senso tutto proprio) nell’ecclesiologia manichea. Ovviamente, la differenza sta anzitutto nel grado diverso di praticabilita delle due diverse astensioni, dal cibo e dal sesso. Ma tale diverso trattamento delle due astinenze é reso possibile da una serie di cautele applicate all’alimentazione dei perfetti, la pit importante delle quali é appunto la trasformazione di un peccato di violenza — che pur resta reale — in un ‘pio dono’*’, fino al paradosso dell’inversione di significato per l’attivita alimentare dei perfetti, resa paradossalmente mezzo di liberazione della luce. Questo, ovviamente, implica un cambiamento di segno, sia pure parziale, che il perfetto manicheo impone alla propria attivita fisiologica e in genere alla propria corporeita. Qui si pud vedere un parallelismo, sia pure lontano, con I’altro aspetto della vita encratica, quello sessuale, quale previsto nell’ambiente valentiniano. Presso questi gnostici le nozze degli psichici erano considerate opera di concupiscenza e di morte, mentre le nozze degli pneumatici assurgevano a simbolo delle nozze delle entita aioniche. Individuata nel manicheismo la possibilita di una attivita fisiologica eccezionalmente irriducibile, anzi contraria alle intenzioni delle entita diaboliche formatrici del corpo umano e della sua fisiologia, dirigeremo Ja nostra attenzione ai riferimenti che il Codice di Colonia fa alla corporeita di Mani. Troviamo qui un certo parallelismo tra la matura-

5 Cfr. le osservazioni di A. Bohlig negli Atti (citati, sopra, n. 22) del Colloquio ‘La tradizione dell’enkrateia’ e il ‘documento finale’ del Colloquio.

76 Su questa gerarchia, le osservazioni di J. Ries negli Atti cit. alla n. precedente. . 27 Cfr. sopra, n. 18.

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zione spirituale del profeta di Babilonia, punteggiata dagli interventi del syzygos, e la maturazione del suo ‘corpo’. L’insistenza sul termine ‘corpo’ in relazione al raggiungimento delle due maturita é frequente nella prima parte del Codice. Gia il titolo menziona il corpo di Mani: Ilepi tig yévvnsg to} c@patoc avtod, titolo che non interpreteremmo nel senso paolino di un ‘corpo mistico’ di Mani costituente il complesso della sua chiesa che nasce e si sviluppa*®, ma che intenderemmo piuttosto nel senso fisico di una entita visibile e materiale — appunto il

corpo di Mani?’ — che é di origine certo diabolica come tutti i corpi, ma ridotto provvidenzialmente a supporto e strumento per la predicazione della salvezza, uno strumento non violento e non omicida perché protetto da influenza divina — fin dai 4 anni di eta — (11.7 ss., 12.8 ss.) e avviato al ‘riposo’ (anapausis)*°, in vista della missione personale del profeta in questo mondo. Cid é in parallelo con un/’altra tematica, pur essa concernente le modalita di questo mondo, voglio dire la tematica della temporalita. Una espressione come quella di 4.10 s. ‘durante tutto quel tempo della mia giovinezza’ puod fare il paio con le espressioni che si riferiscono al crescere del corpo di Mani. Cosi, vediamo Mani protetto dalla sua osservanza, tanto diversa da quella dei suoi Battisti, durante tutto il periodo in cui ‘il suo corpo era giovane’ (11.6 s.)*’ e fino a quando egli ‘raggiunse la sua maturita corporea’ (12.9 s.), cioé fino alla definitiva rivelazione e missione dei suoi ventiquattro anni (18.1), nella continua soggezione del corpo all’anima

28 Secondo un’interpretazione avanzata da L. Koenen gia in «Ztschr. f. Papyrol. u. Epigraphik» 8 (1971), p. 270. Rimangono nel dubbio, invece, R. Cameron e A.J. Dewey,

The Cologne Mani Codex..., Missoula 1979, p. 2 e K. Rudolph, Die Bedeutung des Kélner

Mani-Kodex...,

in Mélanges ...H.-Ch.

Puech,

Paris 1974, p. 471.

Noi preferiamo senz’altro l’interpretazione che Henrichs e Koenen avevano dato nella stessa rivista, 5 (1970), p. 103 s. e n. 15. Tradotto il titolo con Uber das Werden seines Leibes, essi osservano qui: «Der Titel lasst némlich den manichdischen Dualismus deutlich der Biographie ist, ist also ...Die Erdenzeit Manis, die Gegenstand anklingen charakterisiert durch die Bindung an den Leib... Nur er ist dem standigen Werden unterworfen». In n. 16 citano, tra l’altro, CMC 84.2-7, che pero sembra meno pertinente al tema, alludendo alla quotidianamente rinnovata impurita del corpo, mentre qui invece si tratta del crescere anche corporeo — crescere provvidenziale e glorioso — dell’inviato di

Dio (v. infra).

29 Cosi intenderemmo

CMC

46.8 s.: ‘riguardo alla generazione

del suo corpo’

(espressione che secondo Cameron e Dewey, op. cit., p. 37 n. 11 pud essere — e secondo noi é — l’origine del titolo del Codice). Vi si parla secondo ogni verisimiglianza del corpo fisico di Mani, cioé della sua manifestazione e vita nel mondo sensibile. Cfr. i testi che adduciamo subito dopo, e in particolare 33.1, 72.20, 45.9 s.

30 Sopra, n. 3, e in particolare CMC 31 Cfr. sopra, n. 29.

12.4.

30

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

(14.13 s.); e cid perché attraverso il corpo, cioé la sua presenza visibile nel mondo, Mani possa eseguire la sua opera di riscatto e illuminazione (16.1 ss.), al punto che, come egli si esprime in 17.8 ss., ‘al tempo in cui il mio corpo raggiunse la sua piena maturita, immediatamente venne volando e apparve davanti a me, quella bellissima e grandissima immagine speculare del mio [‘Sé’]...’; il che avvenne, come si é detto, quando egli ebbe ventiquattro anni (18.1); allora egli incontra e quasi incarna il suo syzygos, che gli ordina di manifestarsi ormai al mondo. Le istruzioni del syzygos (21.2 ss.) sono in piena linea gnostica, eppure resta significativa l’insistenza sul termine ‘corpo’ — un corpo certo afflitto da disvalore (cfr. 51.8 ss.: ...«mi strappd fuori dal mondo dal quale ero stato generato»), ma pure un corpo che per un verso é quasi segno della missione del profeta, la cui anima, abbiamo visto, lo domina e quasi lo cavalca. Questo gli rivela il syzygos: ‘Chi io sia, [che cosa @] il mio corpo, in che modo io sono venuto... come io sono stato generato

in questo corpo di carne*”, da quale donna sono stato fatto nascere

secondo questa carne, e da quale [passione] io sono stato generato’. E ancora pil esplicitamente (22.2 ss.): ‘...Chi é il mio Padre lassu, o per che via, separato da lui, io sono stato inviato secondo le sue finalita... prima che io mi rivestissi di questo strumento, e prima che fossi sviato in questa detestabile carne **, e mi rivestissi della sua ubriachezza e delle sue abitudini’. E cid fino al punto che la nozione di ‘corpo’ di Mani é in 73.3-5 corrispondente alla menzione pura e semplice della persona di lui (30.5 s.) *4: cosi suonano infatti le due espressioni: ‘la legge in cui il suo corpo fu allevato’ e ‘la legge [in] cui io fui allevato’. Certo, Mani non si attiene al ‘[costume] carnale’ dei suoi correligionari CS.LR. See 30.1 s.), 1 quali hanno ‘indossato’ il corpo, che cercano vanamente di purificare ogni giorno (83.1 ss., 85.4 ss.). Essi non si accorgono di Mani e lo considerano secondo un metro di giudizio corporale (74.2 ss.). Al contrario, egli ‘é stato generato’ allo scopo di comunicare la rivelazione del suo divino syzygos (33.1 s., cfr. 72.20: ‘fu generato secondo il corpo’). 2 Cfr. 72.17 ss.: «come egli fu inviato da un comando di [suo] Padre e in che modo egli fu generato secondo il [corpo] (éyevviOn Kata tO {o@pa]), una ‘venuta’ spirituale (72.163) che in nessun modo contrasta con la nascita fisica dell’apostolo. La nascita secondo il corpo qui menzionata va posta in contrasto con la nascita di Mani dal Padre di Verita: 66.7: €€ ob} Kai yéyova e 66.15 s.: 8 abdtod yap tovtov mépvKa. Si noti la corrispondente differenza delle voci e forme verbali usate.

°° Cfr. 83.16 ss.: ...‘tutta la sporcizia é dal corpo’.

4 Cfr. anche 44.4 ss. (‘insegnamento in cui io fui allevato’), cfr. 11.3 ss., e 70.8 s. (‘quella legge in cui fui allevato’).

,

UGO BIANCHI

31

Questa condizionata ma in un senso positiva valutazione della generazione di Mani, det suo corpo, della ‘nascita del suo corpo’, ai fini specifici della sua missione di apostolato e di illuminazione di anime contaminate e prigioniere, ha una importanza non trascurabile perché introduce nel complesso della sua visuale una modalita non immediatamente riducibile alla mera contrapposizione tra elementi di

luce

ed

elementi

di

tenebra.

Si

pud

dire

che

questa

nascita

provvidenziale di Mani faccia da pendant all’altro estremo cronologico della vita di lui, la sua passione e morte nella prigione del re. Si pud pensare che sia nel primo che nel secondo caso sussista ancora un rapporto dell’ideologia gnostica di Mani con i suoi presupposti giudeo-cristiani, che si fondano ovviamente sulla nascita e morte del Salvatore come termini essenziali della sua missione tra gli uomini. E del resto in questo Mani non é solo: ammetteva (sia pure a modo suo) la passione di Cristo anche Marcione, che pur non faceva altrettanto con la nascita di lui, perché la nascita sarebbe troppo coinvolta con la spurcitia della generazione; e prende sul serio la passione corporale di Cristo Valentino, che assegna al corpo psichico del Salvatore la straordinaria capacita di soffrire sul piano della hyle, quella hyle che non ha parte alcuna in lui. *

*

*

Qualche ulteriore contributo allo studio della corporeita — sia pure una corporeita anch’essa eccezionale, quella di Adamo e degli uomini della sua epoca — viene dato da un testo estraneo al Codex e appartenente al cap. 57 dei Kephalaia, intitolato ‘sulla generazione di Adamo’ (titolo che ci conforta nella nostra interpretazione del titolo del

.

Codex).

Qui un catecumeno babilonese domanda a Mani di essere istruito su

Adamo, la sua formazione o generazione. Egli domanda se si tratti dello

stesso tipo di generazione di oggi o se c’é una differenza 35. Infatti Adamo era di possente statura e longevo, e longevi e numerosi erano tutti quelli della sua generazione; gli uomini di oggi sono invece tutto il contrario. Il topos é facilmente inquadrabile in una problematica giudeo-cristiana. La grande statura di Adamo prima del peccato é ben nota alle fonti rabbiniche; una decadenza di Adamo e un accorciamento 35 Kephalaia, ed. A. Bohlig, 144,13 ss. A. Manichdismus, Ziirich-Miinchen 1980, pp. 176-179.

Bohlig,

Die

Gnosis

HI

Bd.

Der

32

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

degli anni degli uomini sono ben concepibili nella letteratura biblica e apocrifa. Un allontanarsi progressivo dell’umanita dal prototipo Adamo é noto a Filone di Alessandria*®, e Videa di una _progressiva degenerazione dei protoplasti é familiare anche alle fonti zoroastriane >”. Meno immediatamente concepibile é la stessa tipologia in un contesto manicheo, dove Adamo non é fatto di terra pura né dalle mani di Dio, ma generato (e non soltanto corrotto) da esseri demoniaci e concupiscenti. Mani da risposta alla domanda del catecumeno, una risposta che pare risentire ancora di presupposti giudeo-cristiani, ma é nello stesso tempo originale. Vi sono cinque potenze celesti, egli afferma, che si chiamano rispettivamente anno, mese, giorno, ora, minuto: ora, gli uomini e gli animali vengono generati in corrispondente successione da queste potenze e la loro durata di vita é corrispettiva alle diverse durate 0 signorie di queste. Nelle generazioni antiche vigeva la potenza dell’anno, nelle altre vigono rispettivamente le altre, in ordine decrescente, con il che si arriva alle brevi vite degli uomini di oggi. Da cid Mani deduce la vicinanza della fine del mondo ma aggiunge un’altra circostanza importante: nelle pil antiche generazioni, cioé nel mondo dei tempi antichi, c’era pit «vita e luce» che non nel mondo di oggi. E analoga risposta egli da ad ulteriore domanda del catecumeno; nei tempi antichi il ventre materno era pil prolifico, mentre nei tempi attuali la prole di un parto é solitamente unica, e in pid ha tutte le caratteristiche negative: sono piccoli, storpi, odiosi a vedersi, deboli, pessimi nelle loro dottrine e pensieri, e cattivi; di pil, vivono poco e si avviano affaticati

alla morte, che rapidamente li afferra *°. Il testo € sorprendente. Certo, esso é spiegabile sulla base di dati proprii del manicheismo: l’abbondanza di luce e di vita si spiega in un Adamo generato per ispirazione del demone Saklas, il quale, allo scopo di contrastare l’azione degli esseri luminosi, ha fatto si che i futuri, demoniaci genitori dei protoplasti raccogliessero in sé quanto piu possibile di luce ingoiando la propria demoniaca prole e le particelle di luce da questa a suo tempo incorporate; e Saklas fa questo allo scopo di legare per sempre la luce con i ferrei legami di corpi umani assoggettati tramite la concupiscenza al ciclo infinito della generazione. Tuttavia, il testo non pare avere obliato certe tonalita positive, giudeo-cristiane o

36 De opificio mundi, 136. *7'U. Bianchi, Zaman i Ohrmazd, p. 180, e M.V. Cerutti, Tematiche ‘encratite’ nello

zoroastrismo pahlavico, in La tradizione dell’enkrateia, cit.

38 Gnosis cit., Ill, p. 178 s.

,

UGO BIANCHI

33

anche zoroastriane, concernenti la condizione primigenia dell’uomo. Quella ricchezza anche numerica oltreché di sostanza vitale propria degli uomini di una volta sembra ancora stranamente affascinare il catecumeno manicheo e il lettore rimane almeno per un _ istante suggestionato dall’idillica, nonostante tutto, visione di una umanita primigenia ricca di vita, e in cid superiore a quella di oggi, prima di ricondursi a una visione, pili propriamente manichea, del progressivo contaminarsi e frammentarsi (ma anche diminuire) della parte di luce presa nel ciclo doloroso della generazione. Due visuali formalmente, ma forse non del tutto, unificabili dal tenore della risposta di Mani circa la progressiva diminuzione della luce in questo mondo e quindi Vavvicinarsi della fine del medesimo, evidentemente a seguito di un progressivo recupero della luce nel mondo celeste e quindi di un progressivo venir meno dell’innaturale mistura che é questo universo. Ulteriore esempio, crediamo, di quella gnostizzazione non sempre senza residui, cui tematiche anteriori non gnostiche, siano esse giudaiche, cristiane 0 zoroastriane, sono state assoggettate, nelle scuole gnostiche e

soprattutto nel manicheismo, che pur rappresenta una radicale metabasis eis allo genos.

Come ultimo argomento diamo qualche cenno della disputa di Mani con i seguaci di Bardesane,

fatte a proposito

cui ci invitano le precedenti considerazioni

del filosofo

di Edessa.

Secondo

quanto

riferisce il

Fihrist circa il contenuto del ‘Libro dei misteri’ *? di Mani, questo libro avrebbe

trattato

in tre luoghi dei Daisaniti,

soprattutto

a proposito

dell’anima e del corpo. Alla questione accenna anche Al Biruni%®, dicendo tra l’altro che Mani, nell’opera sopra menzionata, trattava della metensomatosi, avendola appresa, dice Al Biruni, nel suo viaggio in India. Nella stessa opera Mani avrebbe polemizzato con l’idea dei Daisaniti secondo cui il risollevamento e la purificazione dell’anima vivente avrebbe luogo nel corpo dell’uomo, chiamato, invece, letteralmente da Mani ‘il cadavere’. Cid mostrerebbe che dunque essi non conoscono una inimicizia tra corpo e anima, e non ammettono che il corpo sia prigione e tormento per essa. Se la loro idea fosse giusta, argomenta Mani, il creatore dell’umana figura non la stimolerebbe ad 39 Gnosis cit., I], p. 224 ss.

M270). p226.

CODEX

34

MANICHAICUS

COLONIENSIS

incorrere in turbamento e disgrazia e a trovarvi danno, e non le avrebbe addossato la coazione a trapiantarsi nel seno materno tramite l’inseminazione. Mani concorda quindi con Bardesane su una purificazione diversa da quella dei Battisti encratiti, che era puramente esteriore. Anche per Bardesane cid che é in questo mondo, e quindi anche |’anima, risente di una mescolanza con il residuo di tenebra rimasto dopo la creazione del mondo da parte dell’ipostasi Parola del Pensiero. Solo che l’edesseno, pur non riscattando il corpo della sua oscura origine, non vede nel corpo un ostacolo alla purificazione dell’anima; il che equivale a dire, con Mani, che egli non vede una inimicizia tra anima e corpo, anzi ritiene che la purificazione dell’anima dalla sua parte di tenebra avvenga dentro (e quindi anche tramite) il corpo (destinato peraltro anche per Bardesane a sparire, senza possibilita di resurrezione data la sua ontologica inferiorita e impurita). Se accettiamo l’interpretazione del

Drijvers*’,

Bardesane

sarebbe

stato

favorevole

all’opera

della

procreazione (concezione e nascita). Questa, lungi dall’affliggere la sostanza di luce e perpetuarne la cattivita suddividendola ulteriormente, produrrebbe invece l’effetto contrario, cioé diluirebbe la quantita di tenebra presente nel mondo e contribuirebbe quindi alla purificazione di questo. Tipico esempio di come due concezioni per qualche aspetto affini possano giungere nel complesso a valutazioni opposte, tanto opposte che l’idea di una negativita dell’istinto della procreazione viene nel testo citato di Mani non dimostrata in opposizione alla controparte, ma presentata come un presupposto dell’argomentazione stessa: se anima e corpo non fossero nemici, egli argomenta, il creatore non avrebbe posto nell’uomo I’istinto generativo con il carattere coattivo che ad esso inerisce. Dal che risultano due idee collegate ed essenziali dell’esperienza base di Mani: il carattere misto e percid impuro della attuale costituzione umana e la forza coattiva dell’istinto; insomma una ripresa sul tragico e una stravolgente estremistica riforma dell’ideale platonico dell’assurgere dell’anima al di 1a dei limiti di genesis e di Phthora, cioé della procreazione come fatto di questo mondo, e al di la delle costrizioni di ananke, la ‘necessita’, che di questo mondo é tipico

componente 4”.

Cio equivale a dire che la componente encratita é rimasta egemone nel pensiero di Mani, ma allargata nella sua tematica cosmologicamente “" Bardaisan of Edessa, pp. 110, 152, 221, 226. 42 Timeo, 42 A, cfr. 41 E.

'

UGO

BIANCHI

35

e ontologicamente fondata sul tema della commistione impura e dell’attentato alla sostanza di luce. Per essere cosi diabolicamente efficace questa commistione non si realizza piu tra elementi puri e con una tenebra sostanzialmente inattiva e priva di iniziativa, come in Bardesane, ma direttamente tra luce e tenebra, che Mani deve allora promuovere a dualismo di sostanze opposte e coeterne, destinata la prima a vincere e la seconda a sprofondare inerte nella tomba, ma caratterizzate ambedue, lungo tutto il tempo della loro lotta, da iniziativa e da intelligenza, pacifica l’una e perversa la seconda. E invece piuttosto nel diteismo totale di Marcione (che era anche encratita e doceta) che si pud trovare una anticipazione, anche se diversamente formulata, dell’altrettanto radicale opposizione manichea tra le due sostanze originarie. Insomma, abbiamo gli elementi per ricomporre nella trama storica e fenomenologica quella triade che é rimasta fissa in una lunga tradizione eresiologica siriaca, particolarmente in Efrem, e che sembra aver conosciuto passaggi anche di comunita dai primi due

all’altro

pit

giovane

eresiarca:

voglio

dire

la

triade

Marcione,

Bardesane, Mani~*.

43 Ci permettiamo indicare qui due altri contributi dello scrivente allo studio del CMC: Some Reflections on the Greek Origins of Gnostic Ontology and the Christian Origin of the Gnostic Saviour, in A.H.B. Logan e A.J.M. Wedderburn (edd.), The New Testament and Gnosis: Essays in honour of R. McL. Wilson, Edimburgh 1983, pp. 38-45, e The

Contribution

of the

Cologne

Mani

Codex

to the

Religio-Historical

Manicheism, nel volume in onore della Prof. Mary Boyce [apparso nel 1985].

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Zum Problem der jiidischen Gemeinden Mesopotamiens im 2. und 3. Jh. n. Chr. im Blick

auf den CMC Johann

Marer, Koln

VORBEMERKUNG

Im vorgegebenen Rahmen werden die durch das Thema bezeichneten Probleme nur in groben Ziigen und soweit behandelt, als sie dem Judaisten fiir einen eventuellen judaistischen Beitrag zum Verstandnis des CMC ins Blickfeld kommen.

1. Zur Geschichte der Juden in Mesopotamien '. 1.1. Bis zur Zerst6rung des Jerusalemer Tempels 70 n. Chr. Die israelitisch-jiidische Diaspora des Zweistromlandes reicht zwar bis zu den assyrischen Teil-Deportationen nach dem Fall des Nordreiches Israel im Jahr 722 v. Chr. zuriick, doch verlieren sich die Spuren dieser Deportierten nahezu vdllig. Allerdings hoffte man schon seit dem 1.Jh.n.Chr. auf eine endzeitliche Wiederkehr dieser sagenhaften «zehn verlorenen» Stéamme. Die sogenannte «babylonische Gefangenschaft» hingegen, die Deportationen aus der judaischen und jerusalemer Oberund Mittelschicht unter Nebukadnezar nach den Eroberungen Jerusalem 597 und 587/6 mit der Zerst6rung des 1. Jerusalemer Tempels, wurde

geschichtsbestimmend. Da sich unter den Deportierten sowohl die Reprdsentanten der davidischen Dynastie wie der Jerusalemer Tempelpriesterschaft befanden und mit der Exilierung offensichtlich eine intensive Sichtung und Verkniipfung vorhandener Uberlieferungen einsetzte, wird mit guten Griinden dieses «babylonische Exil» als ein entscheidenDer

Codex

Manichaicus

Coloniensis

(CMC)

wird

im

Folgenden

nach

der

vorlaufi-

gen Ausgabe zitiert: A. Henrichs — L. Koenen, Der Kélner Mani-Kodex, in: Zeitschrift fiir Papyrologie und Epigraphik, 19,1975, 1-85; 32,1978,87-200; 1982, 1-59. Zitiert als ZPE mit Jahrgang und Seitenzahl.

44,1981,201-318;

48,

! J. Neusner, A History of the Jews in Babylonia, I-V Leiden 1966-1970 (dltere Fachliteratur hier); ferner s. Anm. 11. Wichtig ist noch: M. Beer, The Babylonian Amoraim. Aspects of Economic Life (in hebr.), Ramat Gan 1982.

38

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

der Wendepunkt in der Geschichte der jiidischen Religion gewertet. Jedenfalls wurde die «Zeit des zweiten Tempels» mafgeblich durch die im babylonischen Exil geschaffenen Grundlagen bestimmt, sie wurden und blieben auch fiir das spatere pharisdisch-rabbinische Judentum bis heute richtungsweisend, was nicht heiBt, daB alle Deportierten dieser Linie folgten. Man ist ja versucht, von da aus iiberhaupt mehr oder minder undifferenziert vom Judentum zu sprechen, zumal die spatere jiidische Tradition bis heute die Kontinuitaét hervorkehrt,

verdichtet im

Begriff des sogenannten «normativen Judentums» fiir die pharisdischrabbinische Strémung der Spatantike, womit alle anderen Gruppierungen das Etikett «haretisch» erhalten. Doch die historische Situation war von vornhinein komplizierter. Die Deportierten in Babylonien, héchstens 3% der Gesamtbevélkerung des Gebietes”, bildeten schwerlich eine kompakte Einheit, und in welchem Maf in welchen Kreisen die zwischen 586 und 538 geschaffenen Grundlagen in Babylonien auch nach der unter Kyros ab 538 erméglichten Teilheimkehr weitergepflegt wurden und wie weit dies in Ubereinstimmung mit der Entwicklung unter den Heimgekehrten in Jerusalem/Judah geschah, ist nicht festzustellen 3. Die Heimkehrer gerieten ja alsbald in einen langwierigen Konflikt mit den Daheimgebliebenen. Sie erfuhren dabei tatkraftige Unterstiitzung aus Kreisen der babylonischen Diaspora, die am Achamenidenhof teilweise einen gewissen EinfluB auszuiiben vermochten und mit der Entsendung Esras und Nehemias die exilische Linie in Judah noch einmal massiv zur Geltung brachten, was dann zur Ausscheidung abweichender Richtungen und nicht zuletzt zum samaritanischen Schisma gefiihrt hat. Eigentiimlicherweise versiegen von da ab die ohnedies sparlichen Nachrichten tiber das Judentum in Babylonien unter den Achdmeniden fast vdllig, obschon der standige Kontakt mit Palastina bezeugt ist. Dies gilt bedauerlicherweise auch fiir die hellenistische Periode, mit der in Palastina vor allem ab ca. 200 v. Chr. das Judentum in eine Reihe von rivalisierenden

? Verlassliche Zahlenangaben sind nicht erreichbar, aber gewisse Anhaltspunkte bieten die Untersuchungen von Personennamen. Vgl. M. D. Coogan, West Semitic Personal Names in the Mura&8ii Documents, Missoula 1976; G. Wallis, Jiidische Biirger in Babylonien wahrend der Achémenidenzeit, Persica 9,1980, 129-188; R. Zadok, On West Semites in Babylonia during the Chaldean and Achaemenian Periods, Jerusalem 1977; Ders., The

Jews in Babylonia during the Chaldean and Achaemenian Periods, Haifa 1979. 3 Neuere massgebliche Darstellungen: P. Sacchi, Storia del mondo giudaico, Torino 1976; W. D. Davies — L. Finkelstein (ed.), The Cambridge History of Judaism, I 1983; J. Blenkinsopp, Prophecy and Canon, Notre Dame 1977; D. E. Gowan, Bridge between the Testaments,

London

Pittsburg

1977.

1976;

J. H. Hayes - J. M. Miller, Israelite and Judaean

History,

JOHANN MAIER

39

und teilweise einander mit Absolutheitsanspriichen sogar ausschlieBenden Richtungen zerfiel. Und dies gilt auch fiir das Zwischenspiel der makkabdischen Aufstandsbewegung und der hasmondischen Herrschaft, bis im Krieg gegen Rom 66-70 n. Chr. diese innere Zerrissenheit in der Katastrophe endete, die fortan in Analogie zur Zerst6rung des 1. Tempels durch die Babylonier gewertet wurde. Bemerkenswerterweise hinterlieB die hellenistische Kolonisation* auch im babylonischen Judentum deutliche Spuren°. Wahrscheinlich sahen sich viele babylonische Juden ebenso wie westliche Diasporajuden in einer den hellenistischen Kolonisten vergleichbaren Situation und offneten sich daher deren Einfliissen williger als denen aus der persischen Oberschicht oder aus der vorhandenen Umgebung®. Dies gilt jedoch gewif nur fiir bestimmte Schichten und Gruppen, nicht zuletzt als Folge der Rabbinisierung von Palastina her. Im groBen und ganzen muf mit breiten, aber in der jiidischen Uberlieferung nicht beriicksichtigten Schichten und mit allerlei Gruppen von Juden gerechnet werden, die mit der ost-aramdischen Sprache auch zu engeren Beziehungen zur Umwelt fanden und insofern auch in einer kaum mehr kontrollierbaren Weise zum Synkretismus der Zeit beitrugen. Wir wissen zum Beispiel nichts tiber 4uBeres Schicksal und religidse Geschichte jener Exilierten priesterlicher Abstammung, die sich nicht zur Heimkehr an den zweiten Jerusalemer Tempel entschlieBen konnten oder von der vorherrschenden Richtung in der Heimkehrergemeinschaft nicht als dienstberechtigt anerkannt wurden. Solche Priesterfamilien muften zwangslaufig auch in Babylonien mit jenen jiidischen Instanzen in Konflikt leben, die sich am wiedererbauten Jerusalemer Tempel orientierten (vgl. dazu unten tiber Mesene). Wie haben sie ihre verfahrene Situation gemeistert, welche Ersatzméglichkeiten fanden sie fiir jene Funktionen, die nach kultischem Welt-und Lebensversténdnis als unentbehrlich gal-

ten? Fiir Paladstina bieten die Texte von Qumran ein beredtes Beispiel dafiir, wie eine priesterlich gefiihrte oppositionelle Gruppe dieses Grund-

problem in den beiden letztén vorchristlichen Jahrhunderten zu bewilti-

4 J. Hofstetter, Die Griechen in Persien. Prosopographie der Griechen im persischen Reich vor Alexander, Berlin 1978; F. Altheim — J. Rehork (Hrsg.), Der Hellenismus in Mittelasien, Darmstadt 1969 (WdF 91); La Persia e il mondo greco-romano, Roma 1966. 5 A. Hultgard, Das Judentum in der hellenistischen Zeit und die iranische Religion, in: Aufstieg und Niedergang der Romischen Welt II, 19/1, Berlin 1979, 512-590 (S. 562ff.). ws. Neusner, op. cit. (Anm. 1) I, 10ff.; G. Widengren, Iranisch-semitische Kulturbegegnung in parthischer Zeit, K6ln 1960.

CODEX

40

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COLONIENSIS

gen suchte, und es ist wohl anzunehmen, daf es sich nicht um einen historischen Einzelfall handelt. In Babylonien kénnen also sehr wohl schon friih vergleichbare Ausgangspositionen vorhanden gewesen sein und gewisse Grundziige der kultischen Ersatz-Lésungen diirften bei aller 6rtlich und zeitlich bedingten Verschiedenheit ebenfalls ahnlich gewesen sein. Es wurde insofern nicht véllig grundlos die Vermutung geaufert, da die paldstinischen «Essener» letztlich einen babylonischen Hintergrund haben’, nur fehlen dafiir die Belege. Womit man immerhin rechnen muf, ist eine komplizierte und vielschichtige Wechselbeziehung zwischen jenen paldstinischen und auswartigen jiidischen Gruppen, die sich im innerjiidischen Meinungsspektrum in vergleichbaren Frontstellungen befanden. Bei ihnen war wohl auch die Bereitschaft zur Kontaktaufnahme und zum Informationsaustausch staérker ausgepragt, ein Umstand, der auch der Verbreitung des Christentums zustatten kam. Derartige Vermutungen kénnen, so plausibel sie klingen mdgen, jedoch mangels jiidischer Quellen aus der betreffenden Zeit leider so gut wie nicht erhartet werden. Denn leider muf, soweit konkrete Inhalte gefragt sind, fiir die Zeit des «ersten Tempels» und sogar noch gut ein Jahrhundert dariiber hinaus in bezug auf das babylonische Judentum eine ausgesprochene Fehlanzeige konstatiert werden. Dies ist umso bedauerlicher, als die jiidischen Gruppierungen im Osten und Westen wahrend all der Zeit und auch weiterhin bis zur arabischen Eroberungswelle im politischen Spannungsfeld zwischen Rom und Partherreich * agierten, was nach allen vorhandenen Analogien schon friih auch entsprechende geschichtstheologische Begleiterscheinungen gehabt haben muf — wie es dann fiir die talmudische Periode ja auch bezeugt ist.

1.2. Die vortalmudische Periode (70 - ca. 230 n. Chr.) in Babylonien. a) Sieht

man

von

Flavius

Josephus

ab,

so

stehen

uns

fiir das

1.Jh.n.Chr. nur geringe Quellen zur Verfiigung, die meisten Nachrichten betreffen zudem syrisch-nordmesopotamische Gebiete und sie deuten auf eine recht bunte Vielfalt. Die spateren rabbinischen Traditionen, erst im 3./4.Jh. literarisch nach und nach fixiert, sind nur mit grofer Zuriickhaltung als unmittelbare historische Quellen verwertbar. Ihr literarischer

7 So H. Shanks, Essene Origins —

Palestine or Babylonian?,

Bibl. Arch. Rey. 8,5,

1982, 30-36. 8 BE. Dabrowa, La politique de |’état parthe a Végard de Rome — Vologése I, Krakova 1983; K. H. Ziegler, Die Beziehungen zwischen Partherreich, Wiesbaden

1964.

d’Artaban II a Rom und dem

JOHANN

MAIER

41

Charakter, ihr Interessenhorizont sowie ihre innerjiidische Gruppentendenz werden zu haufig verkannt, weil die pharisdisch-rabbinische Tradition sich selbst als die eigentliche Wahrerin jiidischer Kontinuitat prasentierte, das spatere Judentum sich vorrangig in diesem Sinne verstand und die «Wissenschaft des Judentums» bis heute dieses Vorverstandnis mehr oder minder teilt. Doch selbst bei positiverer Einschatzung des Quellenwertes bleiben die Nachrichten iiber die religidse Praxis und die religidsen Vorstellungen diirftig. Wie wenig insgesamt tiber die Juden Babyloniens jener Zeit bekannt ist, wird an dem geringen Umfang deutlich, den die Darstellung Jacob Neusners in seiner 5-bandigen «History of the Jews in Babylonia» fiir die parthische Periode (bis 227 n. Chr.) erreicht: Es handelt sich um den 1. Band (Leiden 1965). Dabei betrifft der GrofBteil des Stoffes das Verhaltnis friiher palastinischer Rabbinen («Tannaiten») zu Mesopotamien (im weitesten Sinn). J. Neusner ging seinerzeit aber noch von einer recht optimistischen Einschatzung des Quellenwertes der rabbinischen Traditionen aus (spater urteilte er vor allem hinsichtlich der Méglichkeit zuverlassiger Datierungen skeptischer), aber fiir eine Geschichte des babylonischen Judentums insgesamt hielt er das Material fiir unzureichend ’. Trifft dies selbst fiir den rabbinischen Bereich zu, so umsomehr fiir Gruppen auferhalb der rabbinischen Bewegung. Gewif, est gibt aus der Region eine beachtliche Zahl von aramdischen Einzelzeugnissen des Volksglaubens, magische Texte, deren Substrat zu einem Teil in alteren Vorstellungen wurzelt 19 Allerdings mangelt es an zuverlassigen Kriterien fiir die Datierung und auch zur Bestimmung dessen, was davon als «jiidisch» zu etikettieren ist, ob nur die Herkunft (und dabei eventuell nur einzelne Motive) oder auch die Anwendung, und wenn letztere als gewifB gelten kann, bleibt doch die soziologische, gruppen-und schichtenspezifische Zuordnung offen. Zudem handelt es sich um ein Gebiet, auf dem die interreligidse bzw. interkulturelle Information ein hervorragendes Anliegen darstellt, weil die Voraussetzung gilt, daB gerade Fremdes magisch besonders

9 J. Neusner op.cit. (Anm. yet to be written» (S. 433).

1) IV, 433ff.: «The History of Judaism in Babylonia is

10 1 Blau, Das altjiidische Zauberwesen, Budapest 1898 (reprint Farnborough 1970);

Ch. D. Isbell, Corpus of the Aramaic Incantation Bowls, Missoula 1975; W. S. McCullough, Jewish and Mandaic Incantation Bowls in the Royal Ontario Museum, Toronto 1967; J. A. Montgomery, Aramaic Incantation Texts from Nippur, Philadelphia 1913; J.-H. Niggemeyer, Beschwérungsformeln aus dem «Buch der Geheimnisse» (Sefar ha-rasim),

Hildesheim

1975;

I. Teitelbaum,

Dropsie College Philadelphia 1964.

Jewish

Magic

in the Sassanian

Period,

Diss.

42

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wirksam eingesetzt werden kann, wahrend ansonsten religidse Gruppen sektenhafter Pragung eher zur Abgrenzung neigen, wie stark die unbewuften Einfliisse von aufen auch sein médgen. b) Nichtjiidische Quellen bezeugen zwar fiir viele Gebiete und Orte das Vorhandensein von Juden, doch selten erlauben sie eine nahere Bestimmung in gruppen-und schichtenspezifischer Hinsicht. Dies fallt umso mehr ins Gewicht, als etwa die Hinweise aus christlichen Quellen meist Gebiete betreffen, die gerade nicht Kerngebiete der jiidischen Siedlung darstellten. In solchen, also im eigentlichen Babylonien, fate die christliche Mission dann auch spater Fuf als in den syrischen und nordmesopotamischen Regionen und offenbar auch spater als in den vom internationalen Handel beriihrten Orten am persischen Golf. Ein eingehender Vergleich der neuesten Erkenntnisse tiber die Ausbreitung des Christentums im Orient mit den Ergebnissen der letzten kritischen Forschungen zur jiidisch-babylonischen Topographie '’ steht zwar noch aus, doch sollte man sich davon auch nicht zuviel verlaBliche Anhaltspunkte erwarten, weil dabei selten etwas iiber religidse Vorstellungswelt und Praxis zu erfahren ist. Nicht einmal aus den rabbinischen Zeugnissen fiir die jiidischen Hauptsiedlungsgebiete ist ein klares Bild der sozialen Schichtungen, religidsen Gruppierungen und der politischen Strémungen zu erheben”, geschweige denn fiir Randzonen wie etwa Mesene, das in vorsassanidischer Zeit politisch-administrativ ein Eigenleben gefiihrt hat, aber als geographische Bezeichnung nicht immer dieselbe Bedeutung hatte. Zweifellos existierte im eigentlichen Babylonien ein jiidisches Establishment, das sich mit den herrschenden politischen Verhaltnissen zu arrangieren hatte und dessen Beziehungen zum palastinischen und westlichen Judentum in erster Linie dem dortigen Establishment (Patriarchat) galten und auferdem politische und wirtschaftliche Riicksichten zu nehmen hatte. Politisch handelte es sich um das Spannungsfeld zwischen den beiden rivalisierenden Machten Rom und Partherreich, wirtschaftlich ging es im Kontext dieser politischen Konstellation auch um den internationalen Handel, nicht zuletzt den Seidenhandel. Doch davon war

'! B.-Z. Eshel, Ji88ibé ha-J°haidim b‘Babel bitqfifat ha-Talmid, Jerusalem 1979; A. Oppenheimer, Babylonia Judaica in the Talmudic Period, Wiesbaden 1984. Insbesondere durch A. Oppenheimers Arbeit werden zahlreiche Vermutungen und Ortsidentifizierungen korrigiert, nicht zuletzt in dem bislang massgeblichen Werk von J. Obermeyer, Die Landschaft Babylonien im Zeitalter des Talmuds und Gaonats, Breslau 1938. Das betrifft nicht zuletzt Mesene.

'2 Siehe die Werke von J. Neusner und M. Beer (Anm. 1).

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die Mehrheit

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der jiidischen Diasporabevélkerung

ja nicht unmittelbar

betroffen'*, sie war in Babylonien vorwiegend in Landwirtschaft, Gartenbau und Handwerk tatig!*. Die rabbinischen Quellen spiegeln im wesentlichen die Interessen einer Elitegruppe im Rahmen einer spannungsreichen Symbiose zwischen rabbinisch orientierter Schultradition und Religiositat, vertreten durch die rabbinischen Gelehrten, und der politischen Elite, raprasentiert durch den Exilarchen (re’s galiita’) 15 der wieder das Verhaltnis zur Staatsgewalt zu bedenken hatte. Und es ware seltsam wenn es innerhalb der sozialen Oberschicht und Mittelschicht keine rivalisierenden Strémungen gegeben hatte. Das pharisdisch-rabbinische Judentum, das so gern als authentisches Judentum prdsentiert wird, stellt in Palastina wie in Babylonien religionsgeschichtlich gesehen eher ein sich durch stetige neue Abgrenzung profilierendes Eliteprodukt dar als eine konstante Ur-Tradition. Der sogenannte Synkretismus war schwerlich ein Abfallsprodukt der Traditionswahrung in einer ftir sich isolierten Gruppe sondern — fiir den Vorderen und Mittleren Orient wohl allgemein ‘© — eher das Vorgegebene, aus dem sich die einzelnen Gruppen erst gegeneinander abgrenzten und dabei teilweise wieder neuen Synkretismus schufen. Das babylonische Judentum der Arsacidenzeit jedenfalls stellt ein solches Vorgegebenes dar, aus dem von aufen her, durch rabbinischen EinfluB aus Palastina, ab ca. 132 n. Chr., und durch obrigkeitliche Férderung, durch das Biindnis zwischen Exilarchat und Rabbinat, das talmudische Judentum der Sassanidenzeit erwuchs.

‘¢) Durch christliche Quellen mehr, durch rabbinische Uberlieferungen weniger abgedeckt, ist die Situation in den nérdlichen. und syrischen

Regionen ‘’. Hier hat es eine nicht unerhebliche jiidische Kolonisation gegeben und teilweise war es auch in stérkerem Ma zu Konversionen zum Judentum gekommen, so aus politischen Erwagungen in Adiabene !*. Welche Spielarten des Judentums waren aber hier vertre-

‘13M. Beer, op. cit. (Anm. 1), S. 156ff.

14 Mf. Beer, op. cit. (Anm. 1) S. 15ff.; 106ff. Der in dem Zusammenhang selbstver-

standliche Binnenhandel bedarf keiner besonderen Hervorhebung. 15 Wf. Beer, The Babylonian Exilarchate in the Mishnaic and Talmudic hebr.) Tel Aviv 1970.

Period (in

16 Vp]. U. Brenner, Untersuchungen zur Verwendung des Synkretismus - Begriffes,

Géttingen

1982,

A.

Dietrich

(Hrsg.)

Synkretismus

im syrisch-persischen

Kulturgebiet,

Gottingen 1975; F. Dunand — P. Lévéque, Les syncrétismes dans les religions de Vantiquité, Leiden 1975; J. Ch. Margueron (ed.), Le moyen Euphrate. Zone des contacts

et d’échanges, Paris 1977. 17 Aufstieg und Niedergang der Rémischen Welt II, 8-9: Berlin 1976-78. 18 J, Neusner,

The

Conversion

of Adiabene

Literature 83,1964, 60-66; L. H. Schiffman,

to Judaism,

Proselytism

in: Journal

of Biblical

in the Writings of Josephus:

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ten? Und welch eine Auspragung des Judentums verk6érperten Gruppierungen mit groBem Proselytenanteil? Nur Hinweise in nichtjtidischen

Quellen, bei den syrischen christlichen Schriftstellern ?, deuten die fiir hier anzunehmende Vielfalt an, wobei man noch sehr markant zwischen stadtischen und landlichen Niederlassungen unterscheiden mu. Bemerkenswerterweise wurden diese Gebiete relativ rasch christianisiert °, wahrend kompakte jiidische Siedlungsgebiete in Paldstina und Babylonien davon lange fast unberithrt blieben”!.

1.3. Die friihamordische (friihsassanidische) Periode in

Babylonien 7”. a) Die palastinisch-rabbinische Tradition, seit ca. 132 n. Chr. an einigen Orten Mesopotamiens vertreten, erreichte im 3. Jh. in Palastina ihren glanzvollen Héhepunkt, reprasentiert durch den Patriarchen als der rabbinischen wie politischen Spitze in Personalunion. In Babylonien begann diese Tradition erst ab ca. 220 dank intensiver Férderung durch die politische Autoritaét, den Exilarchen, nach und nach das offizielle Gesicht des Judentums zu pragen, vor allem dank der Wirksamkeit zweier in Palastina geschulter Persénlichkeiten, Rab und Samuel. Doch wie zuvor in Palastina erfolgte diese rabbinische Umpragurg im Lauf eines langeren Prozesses und ohne jeden Zweifel darf die Breitenwirkung nicht tiberbewertet werden. Sogar die traditionell gern herausgestrichenen grofen talmudischen Schulen (Jesib6t) sind fiir die altere Zeit als

vergleichsweise bescheiden anzusehen”*. Das heiBt aber, daf fiir die Lebenszeit Manis der Charakter der babylonisch-jiidischen Volksreligiositat unbekannt ist 4. Die rabbinische Tradition ist ja weithin introvertiert, auf bestimmte Gruppenanliegen konzentriert, sie erwahnt Fak-

Izates of Adiabene in Light of the Halakha, in: U. Rappaport (ed.), Josephus Flavius (in hebr.), Jerusalem

1982, 247-265.

19 J. Neusner, Aphraat and Judaism, Leiden 1971. 20 J, Neusner, The Conversion of Adiabene to Christianity, in : Numen

13,1966,

144-150; Ders., op. cit. (Anm. 1), I, S. 166ff.; M.L.Chaumont, Les Sassanides et la christianisation de |’Empire iranien au III® siécle de nétre ére, in: Revue d’Historie des Religions 155, 1964, 165-202.

1 J. Neusner, op. cit. (Anm. 1) S. 182f. 2 J. Neusner, op. cit. (Anm. 1) Bd. IJ-IIJ; M. Beer, op. cit. (Anm. Widengren,

The

Status

of the Jews

in the Sassanian

Empire,

Irania Antica,

1); G. 1,1961,

117-162.

23 D.M. Goodblatt, Rabbinic Instruction in Sassanian Babylonia, Leiden 1975. 4 Vel. J. Neusner, op. cit. (Anm. 1) IV, S. 434: «The other forms of Judaism are still less accessible. The religion of the ordinary Jew left only a few, mostly negative remains in Talmudic sources».

JOHANN

ten und historische

Sachverhalte

MAIER

nur nebenbei

einem geschichtlichen Zusammenhang

4s

und ohne

Interesse an

oder auch nur an einem chronolo-

gischen Ablauf. Fiir die Zeit der Wirksamkeit Manis nach 240 n. Chr. ware freilich zu erwarten, daB der jiidische Exilarch und andere Juden mit Beziehungen zum KO6nigshof etwas iiber ihn erfuhren. Die rabbinische Literatur bietet jedoch nichts dariiber. b) Fiir die Zeit des jungen Mani in Mesene kann aus jiidisch-rabbinischer Tradition verstandlicherweise nur noch weniger erhoben werden”. Allein die geographische Lage und Abgrenzung dessen, was jeweils unter MéSan/Mesene verstanden wurde, ist nicht immer eindeutig nachvollziehbar, im weitesten Sinne des rabbinischen Sprachgebrauchs handelt es sich um das siidlichste Babylonien sitidlich der Linie Kufa im Westen und Kuf al-Amara im Osten, von den Rabbinen als Grenze der zuverlassigen genealogischen Nachweisbarkeit der Zugehorigkeit zum Judentum angesehen 7°. Haufig scheint man unter Mesene vorzugsweise die Gegend am Golf und die Tigrisnachbarschaft nérdlich davon verstanden zu haben, im Sinne der einstigen politischen GréBe, mit Kashkar bzw. Bashkar im n6érdlichen Teil und mit Charax und Forat im siidlichen Teil als Hauptorte?’. Dieses weitlaufige Gebiet mit seiner im Unterlauf der Stréme Euphrat und Tigris sehr komplizierten landschaftlichen Struktur umfafte Gegenden mit einer infolge der zahlreichen Seen, Siimpfe und Flufarme ziemlich abgeschnittenen Siedlungslage, wahrend manche Orte als Anlaufstellen der internationalen Verkehrswege wahrscheinlich einen weltlaufigeren Charakter auswiesen. Bemerkenswert ist der Umstand, daB vom Golf Handelswege nach Palmyra und Petra fiihrten, also eine direkte Verbindung nach Westen und Nordwesten vorhanden war. Niederlassungen in Mesene muften also nicht von Babylonien her erfolgen und Kontakte mit jiidischen Gruppen im Westen und Nordwesten waren ohne babylonische Vermittlung mdglich. GewiB waren, wie schon

Josephus ”* wufte, auch Juden am Handel tiber Mesene beteiligt, und seine Angaben iiber die Beziehungen zwischen den K6nigshausern von Mesene und Adiabene in Verbindung mit jiidischen Einfliissen verdienen

25 Wel. J. Neusner, op. cit. (Anm. 1) I, S. 26. 241f. 256f.; II, S. 22 («in substantial number» —

7); III, S. 87ff. 201; IV, S. 389. Siehe v.a. IV, S. 435: «About Judaism in...

Mesene...we know practically nothing».

26 A. Oppenheimer, op. cit. (Anm. 11) S. 29ff. (Apamea); 31ff. 171ff. (Kashkar); 241ff. (Mesene); 347ff. (Perat de-Meshan).

27 Kltere, meist rein hypothetische Ortsidentifizierungen sind nach A. Oppenheimer (s. Anm.

11) zu korrigieren.

28 Josephus, ant. XX, 22ff.

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im Kerngehalt Vertrauen. Aber man muf sich davor hiiten, den jiidischen Anteil am Handel zu hoch zu veranschlagen und auferdem gilt es zu bedenken, daf derartige Handler in der Regel einer sozialen Eliteschicht angehérten. Immerhin ist es méglich, daB die Karawanen solcher jiidischer Fernhandler auch jiidische Informationen und jiidische Personen von West nach Ost wie von Ost nach West brachten. Mit zu erwagen ist ferner die Méglichkeit, daB von frih an jiidische Gruppen von Babylonien her nach Siiden auswichen, weil sie in irgendeiner Hinsicht mit den dort vorherrschenden Verhialtnissen nicht einverstanden waren bzw. von dort verdrangt worden sind. Es fallt immerhin auf, daB von den wenigen rabbinischen Bezugnahmen auf mesenische Juden drei”? eine fragwiirdige Abstammung unterstellen, wovon zwei sich expressis verbis auf Priester beziehen. Gab es etwa in Mesene von alters her Priesterfamilien, die bei den Jerusalem-orientierten Richtungen keine Anerkennung gefunden hatten? In dem Fall ware fiir sie eine religidse Sonderentwicklung durchaus naheliegend, wie sie bereits oben im Vergleich zur Qumrangemeinde angedeutet worden ist. Aber die wenigen Hinweise sagen einfach zu wenig aus, um solche Thesen erharten zu kénnen. Der Gegensatz zum babylonischen Judentum diirfte aber eklatant gewesen sein, weil die rabbinische Polemik ziemlich pauschal

negativ urteilt: Mesene gilt als «tot» °° und als «anmaBend» *!, das heift widerspenstig, von der fragwiirdigen Abstammung zu schweigen. Ob man aus der Erwadhnung eines in einer Frage an palastinischer religionsgesetzlicher Tradition orientierten Rab Uqba aus Mesene in bSabbat 37b (bBetza 36a) schlieBen darf, daB fiir ihn dies auch in anderen Fragen galt und fiir die Juden in Mesene auch, ist fraglich. Im Grunde wissen wir tiber die Juden in Mesene, ihre Gruppierungen und sozialen Schichten gar nichts. 2. Das Grundproblem:

Die westlichen Urspriinge

Falls die Taufer Manis aus dem nordwestlichen, syrischen Raum in die Golfregion gekommen waren, ergibt ein Vergleich mit den babylonisch-jiidischen Traditionen nicht viel fiir die Definition dessen, was in dieser Taufergemeinschaft als «jiidisches» Erbe vorhanden war. Und da die Quellenlage fiir den nérdlichen und syrischen Raum so schlecht ist, steht man letzten Endes vor der schon leidlich bekannten Crux, eine 29 bJebamot 17a; jJebamot 1,6, fol. 3b; bQiddushin 72b. 3° jQiddushin IV,1, fol. 65c; bQiddushin 71b; Genesis R. 37,8. 31 bQiddushin 49b.

'

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vermutbare, aber nicht naher definierbare palastinisch-syrische Herkunft postulieren zu miissen — man steht also vor der gerade auch aus der Mandierforschung bekannten Problematik. Wie in Bezug auf gewisse judenchristliche Gruppen stellt sich die Frage, was von den Voraussetzungen noch sinnvoll als «jiidisch» bezeichnet werden kann. Betrifft es Topoi, die aus den vorhandenen jiidischen Quellen nicht belegt werden konnen, besagt das bloBe Etikett «jiidisch» zu viel, weil man zu rasch an die bekannten Gréfen denkt, beriicksichtigt man das quellenmapig Belegbare, besagt das Etikett «jiidisch» zu wenig, es miuBte genauer definiert werden k6nnen. Synkretismus war gerade im palastinisch-syrischen Raum sowohl als vorgegebener Faktor wie als Folgeprodukt der Auflésung und Vermischung wirksam. Von friih an gab es hier eine in sich vielgestaltige Volksreligion, die man «religio aramaica» im weitesten Sinne nennen

kann *?. Sie begegnet in der in Bibel und nachbiblisch-jiidischen Schrifttum bezeugten tendenzidsen Traditionsauswahl so gut wie nur als Gegenstand der Polemik. Neuerdings wird sie jedoch durch Funde wie

in Deir ‘Allah im Jordantal*? oder Quntillat ‘Agrud im Negev* in bemerkenswerterweise

illustriert,

was

im

Rahmen

der

gesamten

ar-

chdologischen Erforschung der Region auch zu einer neuen Bewertung

der Nachrichten

in den Elephantine-Papyri

fihrt*°.

Die durch die

Jerusalemer Tradition bestimmten Spielarten des Frithjudentums und deren Ausliufer und Opponenten der Folgezeit haben sich von diesem Hintergrund durch kontinuierliche Auseinandersetzung abgehoben und durch literarisch-programmatische Produkte wurde diese Profilierung noch im Nachhinein verstarkt und riickprojiziert. Zu all dem miissen

32 J. Hoftijzer,

Religio Aramaica,

Leiden

1967; J. Teixidor,

The Pagan

God,

Princeton 1977; R. J. W. Drijvers, Cults and Beliefs at Edessa, Paris 1980; J. Hajjar, Le triade d’Héliopolis — Baalbek, I-II Leiden 1977; F. Ragette, Baalbek, Park Ridge/N.J. 1980; R.J.W. Drijvers, The Religion of Palmyra, Leiden 1976; J. Teixidor, The Pantheon of Palmyra, Leiden 1979.

33 J. Hoftijzer — G. van der Kooij, Aramaic Texts from Deir ‘Alla, Leiden 1976.

34 7. Meshel, Kuntillat ‘Ajrud, in: Qadmoniot 9, 1976, 119-124 (hebr.); P. Beck, The Drawings from Horvat Teiman (Kuntillat ‘Ajrud), in: Tel Aviv 9, 1982, 3-68; A.

Angerstorfer, A’erah als «consort of Jahwe» oder ASirtah, in: Biblische Notizen 17,1982, 7-16.

35 Pp. Grelot, Documents araméens d’Egypte, Paris 1972; B. Porten, Archives from

Elephantine, Berkeley 1968; M. R. Silverman, The Religion of the Elephantine Jews — a New Approach, in: VI" World Congress of Jewish Studies 1, Jerusalem 1977, 377-388;

vgl. aber immer auch noch A. Hoonacker, Un communauté judéo-araméenne a Eléphantine, London 1914 (reprint ’Eléphantine, Paris 1932.

1980);

A.

Vincent,

La

religion

des

Judéo-Araméens

de

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noch weitere Kreise einkalkuliert werden, vor allem jene, die mit israelitisch-jiidischen Traditionen und Praktiken im Bereich jiidischer Siedlungen Bekanntschaft machen konnten oder gar gewaltsam, im Zug politisch-militarischer Expansionen, damit bekannt gemacht worden sind. Das Verhaltnis zum «Judentum» konnte in solchen Kreisen ambivalent bis feindselig sein. Die Méglichkeit der Umdeutung und sogar Pervertierung jiidischer Topoi sowie der Vermittlung an weiter AuBenstehende war hier wohl recht vielfaltig. Fir die Zeit nach 70 n. Chr. bietet die rabbinische Tradition eine Reihe von polemischen Hinweisen auf Personen und Gruppen, die sich durchaus als Juden verstanden, aber militant antirabbinisch orientiert waren und zahlreiche zentrale Glaubensiiberzeugungen und den grdften Teil der religidsen Praxis der Rabbinen ablehnten. Es sind die unter dem Sammelbegriff Min/Minim/Miniit zusammengefaBten Gegner der Rabbinen, die in der Fachliteratur infolge einer einseitigen Fixierung auf das christlich-jiidische Verhaltnis oft zu Unrecht einfach mit Christen und

Judenchristen gleichgesetzt werden *°. Auch solche Minim kommen als Vermittler israelitisch-jiidischer Inhalte an AuBenstehende in Frage, weil ihnen von rabbinischer Seite gerade die Offenheit gegeniiber Umwelteinfliissen vorgeworfen wurde. Doch sollte man dabei nicht zu kurzschliissig verfahren sondern eher mit mehreren Vermittlungs-und Interpretationsstadien rechnen als mit Minim als Judenchristen oder gar Gnostikern. Die gesamten Zeugnisse rabbinischer Polemik bediirfen noch einer kritischen und umsichtigen Bearbeitung ohne vorgefaBte Zielsetzung oder Vermutung.

3. Terminologische Schlu®folgerungen *’ Auf Grund des skizzierten Sachverhaltes ist im Blick auf Taufsekten wie jener, welcher Manis Vater und der junge Mani angehdorten, aus den erhaltenen babylonischen Traditionen des rabbinischen Judentums so gut wie nichts zu erwarten. Und sofern en detail etwas als «jiidisch» deklariert werden kann, besagt dies qualitativ noch wenig, solang offen bleiben mufB, um welche Art von Judentum es sich gehandelt haben diirfte. Diese Problematik gilt fiir das Etikett «jiidisch» auch in der °° Vgl. vorlaufig J. Maier, Jesus von Nazareth in der talmudischen Uberlieferung, Darmstadt 1978 (Index S. 350); Ders., Jiidische Auseinandersetzung mit dem Christentum in der Antike, Darmstadt 1982 (Index S. 287).

*7 Vgl. auch J. Maier, Jiidische Faktoren bei der Entstehung der Gnosis?, Tréger (Hrsg.), Altes Testament —

Friihjudentum —



in: K.-W.

Gnosis, Berlin 1980, 239-258.

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Kombination «judenchristlich», wenn es undifferenziert verwendet wird und dabei stillschweigend vorausgesetzt wird, der jiidische Faktor bediirfe keiner Definition. Die Editoren des CMC haben gelegentlich prazisiert, daB sie die Bezeichnung «judenchristlich» fiir bestimmte Taufergruppen und insbesondere fiir jene Taufergruppe, der Mani nach dem CMC angehGért hat, nicht im strikten Sinn einer Gruppendefinition verwenden sondern eher im Sinn eines irgendwie gearteten Traditionszusammenhanges. Einen Traditionszusammenhang wird man im Einzelfall aufzuweisen haben, sporadische Belege aus vollig disparaten jiidischen Texten erweisen einen solchen noch nicht. Auch die Differenzierung zwischen «jiidisch» — wie immer koloriert — und «judaisierend» ist wichtig, wenn auch haufig genug unmdglich. Und die Frage, ob die eine oder andere Vorstellung oder Praxis auch wirklich noch als jiidisch empfunden wurde, ist selten zu beantworten. Gerade letzteres, das Selbstverstandnis der

betreffenden

Gruppe,

ware aber ein Hauptkriterium. Der bloBe Aufweis von Einzelparallelen reicht also nicht aus, man miifte schon einen in sich schliissigen Kontext religidser Vorstellungen und Praktiken nachweisen k6nnen, einen wirklichen Traditionszusammenhang und nicht bloB die Ubernahme oder Vermittlung isolierter Topoi oder vereinzelter Texteinheiten, wie sie fiir gnostische Zirkel eine so groBe Rolle spielten, in denen sie dann in einem Sachkontext bis zur Umpolung der urspriinglichen Aussage verwertet werden konnten. Allerdings.begegnet eine terminologische K1arung mehreren Hindernissen. Der Ausdruck «Juden» und «jiidisch» ist historisch gesehen nicht bloB vom geographischen Begriff Judah/Judaea herzuleiten, er ist nicht zuletzt mit den Kreisen verkniipft, die von babylonisch-exilischen Voraussetzungen her das Kyros-Edikt fiir sich exklusiv in Anspruch nehmend unter Esra-Nehemia ihr Gruppenziel weitgehend durchzusetzen vermochten. Allein von dieser Basis aus ergaben sich in den folgenden Jahrhunderten aber zahlreiche rivalisierende jiidische Richtungen. Die pharisdisch-rabbinische Richtung, die in der talmudischen Periode und mit der talmudischen Uberlieferung als Judentum schlechthin hervortrat, kann jedenfalls bis gegen 150 n. Chr. keineswegs als so dominant eingeschatzt werden, daB andere Str6mun-

gen als «hdretisch» definiert werden diirften. Dazu kommen jene Israeliten bzw.

Judiaer, die sich dieser Orientierung

fiigten und dennoch

nicht Samaritaner

weitere

spater

Umfeld

der

von

den

an Esra/Nehemia

wurden. Rabbinen

38 A. Oppenheimer, The ‘Am ha-Aretz, Leiden 1977.

Sie gehdren als

‘Am

nicht

in das

ha-’aretz 2s

50

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bezeichneten Schichten und in den Bereich des so viel beschworenen «hdretischen» Judentums. Der Bereich des griechischsprachigen Judentums, der sich in Syrien auf alle Falle mit den hier relevanten Regionen deckt, kommt noch hinzu. Die Méglichkeit, «Juden/jiidisch» auf die ersteren Richtungen zu beschranken und im tibrigen von «israelitischen» Gruppen zu reden, ware zu erwdgen. Aber die Bezeichnung «Israel» ist die traditionelle Selbstbezeichnung des pharisdisch-rabbinischen Judentums, wahrend «Juden/jiidisch» vorrangig eine Bezeichnung im Munde Aufenstehender war und blieb. Somit ware letzten Endes in vielen Fallen die Verwendung eines geographischen Begriffes sinnvoller: etwa «palastinisch» bzw. «palastinisch-syrisch». Doch dies st6pt gewiB auf Ablehnung bei traditionsbewuBten jiidischen Fachleuten. Der heute vorherrschende hebrdische Sprachgebrauch vom «Land Israel» wiederum laBt ein politisches Programm anklingen. So bleibt nur der Wunsch, die Etikette «jiidisch» nach Modglichkeit durch jeweils passende Zusatze naher zu definieren. Der jiidische Ursprung eines Details, auch wenn er naher lokalisiert werden kann, ergibt noch keinen Traditionszusammenhang zwischen Ursprung und Letztbeniitzer. Die Vermittlungsméglichkeiten waren vielfaltig und vielschichtig und das letztere bedeutet eben auch oft eine Anzahl von Interpretationsphasen. Aus judaistischer Sicht ware es hilfreich, einige Grundregeln zu beachten: A. Im Blick auf biblische Texte und Inhalte sollte die Bezeichnung «jiidisch» nur gewahlt werden, sofern durch Textform oder Auslegungstradition eine jiidische Anwendung bzw. Vermittlung nachzuweisen ist. Im ubrigen empfiehlt sich die Bezeichnung «biblisch» bzw. «alttestamentlich». Biblisches kann jiidisch, samaritanisch und — im Fall der hier behandelten Thematik gerade vorzugsweise — christlich verwendet worden sein, dariiber hinaus gnostisch und heidnisch allgemein. Hauptvehikel war statistisch gesehen das NT und die friithchristliche Literatur, daneben thematisch einschlagige Texteinheiten und Florilegien. Sobald Ubersetzungen und Abschriften vorlagen, bedurfte es dazu keiner jiidischen Vermittlung, und falls jiidische Vermittler im Spiel waren, miissen sie nicht auch den neuen Kontext der verwendeten biblischen Texte und Inhalte geschaffen oder mitgestaltet haben. B. Friihjiidische Texte, die vorrangig oder iiberhaupt nur dank christlicher Uberlieferung erhalten geblieben sind, rechtfertigen nicht ohne weiteres die Bezeichnung «jiidisch» fiir Texte und Sachverhalte, in denen sie irgendwie verwertet worden sind.

'

JOHANN

MAIER

51

C. Jiidische Texte und Traditionen der Zeit 70 n. Chr. sind zu unterscheiden nach a) rabbinischen Traditionen, b) nichtrabbinischen Traditionen, c) polemischen Fiktionen (Standard-Behauptungen in Kontroversliteratur christlicher oder anderer Herkunft). D. Das Vorkommen von Einzelheiten (Namen, Brauche, Vorstellungen) in Bereichen mit starker Neigung zur Aufnahme «fremder» Elemente, vor allem fiir die Magie, ist zu unterscheiden von spekulativ-systematischen Ansdtzen zur Darstellung eines Weltbildes mit Verwertung von Einzeltraditionen eventuell ganz unterschiedlicher Herkunft.

4. Ein jiidisch-apokalyptisch-esoterischer CMC?

Traditionszusammenhang

im

a) Einen Versuch, Inhalte des CMC vom Judentum her zu deuten, unternahm I. Gruenwald *?. Allerdings ging er von Voraussetzungen aus, die ernsthaften Zweifeln unterliegen. Die These eines lebendigen und kontinuierlichen Traditionszusammenhanges zwischen friihjiidischer Apokalyptik und spaterer rabbinischer Esoterik (Hekalot-und Markabah-Spekulation), von I. Gruenwald schon in einer Monographie

verfochten *°, ist schwerlich haltbar*!. Gruenwald setzt ferner im allgemeinen die schon von G. Scholem durchwegs verfochtene Frihdatierung der sogenannten esoterischen Texte voraus 42° mochte sogar noch weiter zuriick. Dafiir gibt es aber kritisch betrachtet keinen Beweis. Die meisten Texte dieser Art sind fast nur in hoch-und spatmittelalterlichen

Handschriften iiberliefert**, meist aus Kreisen, die zu ihrer Zeit an

solchen Texten ein eminentes theologisches Interesse hatten. Die Friithda-

tierung stiitzt sich auf Detail-Parallelen im talmudischen Schrifttum, die als Zeugnisse einer mystischen «Erfahrung» und «Praxis» gedeutet 39 1 Gruenwald, Manichaeism and Judaism in the Light of the Cologne Mani Codex, in: ZPE 50,1983, 29-45. 40 1. Gruenwald, Apocalyptic and Merkabah

Mysticism, Leiden

1981.

41 Vel. die Rezensionen von J. Dan, Tarbiz 51,1981/2, 68ff.; G. Vajda, Revue des Etudes

Juives

140,1981,

217-224;

H.

E. Gaylord,

Journal

for the Study

of Judaism

13,1982, 187 ff. 42 G. Scholem, York

New

Jewish Gnosticism, Merkabah Mysticism, and Talmudic Tradition, 19657; vgl. dazu auch D. Biale, Gershom Scholem, Cambridge/Mass. 1979,

129ff.

43 Die meisten Handschriften wurden grésstenteils synoptisch kompiliert in: P. Scha-

fer — M. Schliiter — H.G. v. Mutius, Synopse zur Hekhalot — Literatur, Tiibingen 1981.

52

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

werden. Die talmudisch-esoterischen Einzelpassagen stehen aber zum guten Teil im Dienst von Schul-Auseinandersetzungen, haben also vorrangig literarischen Charakter und bezeugen keineswegs ohne weiteres «mystische Erfahrungen», was immer dies sei**. Wieviel von den Inhalten der sogenannten «esoterischen Texte» wirklich aus talmudischer Zeit stammt, bedarf noch der Klarung. Gruenwalds Hinweise auf diese Hekalot-und Miarkabah-Traditionen besagen fiir das Verstandnis des CMC nichts. Eher gilt, daB im Manichdismus Traditionen und Ansichten bezeugt sind, die spater — im Friihmittelalter — auch in gewissen jiidischen Zirkeln in einer mehr oder minder adaptierten Form auftauchen. Auswirkung und Vermittlung des Manichaismus im Westen (iiber die dort sich vollziehende Hebraisierung des Judentums) und im Osten (infolge der nach der arabischen Eroberung neu entstandenen geistig-kulturellen Situation) waren allerdings aktuelle judaistische Sachprobleme. I. Gruenwald setzt schlieBlich programmatisch voraus, was die CMC-Herausgeber den Leser eher ungewollt vermuten lassen, namlich ein kompaktes, geradezu ahistorisches Judentum. Ort und Zeit einzelner Traditionen spielen fiir Gruenwalds Versuch so gut wie keine Rolle und auch der jeweilige Sachkontext der Einzeltraditionen wird sowohl im Blick auf den CMC wie bei den zum Vergleich herangezogenen Texten ignoriert. Die verbleibende Méglichkeit eines rein phanomenologischen Vergleiches wird durch die Unterschiedlichkeit der Voraussetzungen und Zweckbestimmungen der verglichenen Details infragegestellt. Konkret

behandelt I. Gruenwald

vor allem** die «Speisevorschriften»

(siehe

unten) der Taufer des CMC und setzt diese standige Praxis der Taufergruppe in Parallele zu bestimmten nicht standigen, konkreten Zwecken

dienenden Praktiken,

die in esoterischen jiidischen Texten der

oben genannten Uberlieferung erwahnt werden und zwar im Zug der Vorbereitung fiir Offenbarungsempfang bzw. einer «Himmelsreise». Aber diese von Gruenwald zutreffend als «preparatory practices» bezeichneten Fastentibungen mit speziellen Speiseeinschrankungen und damit verbundenen vorgeschriebenen Lustrationen haben phanomenologisch weit mehr Ahnlichkeit mit Vorschriften in magischen Rezepten als mit der alltaglichen Praxis der CMC-Taufer. Obwohl Gruenwald die

“4 Vgl. D. Halperin, The Merkabah Bibliographie).

in Rabbinic Literature, New Haven

45 Op. cit. (Anm. 39) S. 37ff.

“© Zu CMC 9,1ff.; 10,1ff.; 91,1ff.; 93,3ff.

1980 (mit

JOHANN

MAIER

53

unterschiedliche Motivierung ausdriicklich anerkennt, findet er doch anhand der Detail-Parallelen einen «code of ascetic ordinances which were observed by the apocalyptic visionaries and the Elchesaites respectively». Es bleibt unberiicksichtigt, daB literarische Zeugnisse vorliegen, die schwerlich als direkter Niederschlag einer apokalyptischen bzw. esoterischen Visions-«Praxis» gelten kénnen. Die literarischen Konventionen solcher «Visionsberichte» oder «Himmelsreisen» waren schlieBlich ziemlich fest und ihre Beniitzung zu irgendwelchen Zwecken verdient gewiB mehr Beachtung als die fiktive «Praxis» des Offenbarungs-

empfangs

bzw.

einer «Himmelsreise»*’,

und dies laBt sich in der

Geschichte der jiidischen Religion, und nicht bloB in dieser Religion allein, bis in moderne Zeiten weiterverfolgen. Der CMC-Befund laBt offen, ob die CMC-Taufer solche «Offenbarungschriften» mit Adamiten-Namen wirklich gekannt haben oder ob eine manichaische Fiktion vorliegt, die Traditionen tiber Adamiten kannte und mit Paulus-Apokalypsen-Stoffen verband. b) Die in CMC 48, 16-60, 12 angefiihrten Apokalypsen (im Sinne von Offenbarungschriften) werden bei I. Gruenwald*® als «jiidisch» klassifiziert, die von den CMC-Herausgebern konstatierte apologetische Verwendung wird von ihm bestritten und eine kontinuierliche Fortfiihrung jiidischer apokalyptischer = esoterischer Tradition im Manichdismus

angenommen*’. Dies, obschon es dafiir inhaltlich keine Handhaben gibt und letzten Endes angesichts der Erwahnung des Paulus als Empfanger einer derartigen Offenbarung die von den CMC-Herausgebern konstatierte apologetische Zweckbestimmung anerkannt werden muf. Die CMC-Herausgeber neigten dazu, in diesen Apokalypsen judenchristliches Erbe zu sehen, wenngleich auch dies in'den angefiihrten Schriften selbst nicht nachzuweisen ist. Die bloBe Tatsache, daf Adam, Seth(el), Enosch, Sem und Henoch als Offenbarungsempfanger auftauchen,

rechtfertigt nadmlich allein noch nicht die Etikette «jiidisch» oder «judenchristlich», und in der Tat erbrachten die CMC-Herausgeber mit gutem Recht als nachste Parallelen gnostische Belege. Es handelte sich wohl eher um «Offenbarungs»-Berichte, die biblische Motive (AdamitenListe) im Sinne christlich-gnostischer Auslegungstraditionen verwerteten,

47 Vgl. zuletzt fiir die hellenistisch-jiidische Journeys, Frankfurt a. M./Bern 1984.

48 Op. cit. (Anm. 39) S. 31ff. 49 Op. cit. (Anm. 39) S. 35f.

Literatur

M.

Dean-Otting,

Heavenly

54

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als um ein «semi-gnostic Judaism»°°.

COLONIENSIS

Sie wurden im Manichdismus

aufgegriffen, um Manis Offenbarungsanspruch zu erlautern. Mit Paulus

verbanden sich ja christliche*! und gnostische Traditionen einschlagiger Art >”. Im iibrigen verdienen die Reste der «Zitate» aus den AdamitenApokalypsen im CMC noch eine genauere Untersuchung, sie stehen jedenfalls der christlichen Paulusapokalypsen-Tradition in manchem nahe. Ob es sich um tatsachliche Zitate handelt oder um eine an der Adamitenserie aufgereihte Folge von gleichgestrickten Offenbarungssituationen nach dem Muster von Paulus-Apokalypsen, ware noch zu priifen. Daf es jiidische Apokalypsen waren, aus denen zitiert wurde, ist nicht zu erweisen.

c) Auch das Motiv der Furcht des Offenbarungsempfangers im Augenblick des Offenbarungsempfangs, im apokalyptischen Repertoire in der Regel nach dem Audienz-Muster (Situation vor dem thronenden K6nig) stilisiert, taucht in den CMC-«Zitaten» ** auf. I. Gruenwald sieht auch darin ein Bindeglied zur rabbinischen Esoterik. Aber das dort bezeugte Gefahrdungsmotiv ist mit dem Audienz-Furchtmotiv nicht identisch sondern mit der Vorstellung vom Aufstieg des Esoterikers verknipft, der aus eigener Initiative in die himmlischen Bereiche eindringt und dabei den zustandigen Wachterengeln begegnet, im deutlichen Unterschied zur Entriickung des Apokalyptikers. Das Audienz-Furchtmotiv ist — bedingt durch die Gott-K6nig-Hof-Situation vor dem himmlischen Thron, beiden gemeinsam. Ein «Gefahrdungsmotiv» der rabbinisch-esoterischen Aufstiegsschilderungen besteht in einer Sinnestauschung, bei der Steine (einer Mauer) mit Wasser verwechselt werden. Dieses Motiv hat seinen Ursprung in bestimmten Traditionen iiber den optischen Eindruck der Jerusalemer Tempelanlage. In einer schwer nachvollziehbaren Umdeutung vermutet J.M. Baumgarten**, eine Beziehung zur elchasaitischen °° A. Henrichs, Mani and Babylonian Baptists, in: HSCP 77,1973 ,23-59 (S. 30f.). 51 B, Hennecke, Neutestamentliche Apokryphen, 3. Auflage hrsg. von W. Schneemelcher, II, Tiibingen 1964, 536ff.; M. Erbetta, in: Gli apocrifi del nuovo testamento, III, Casale Monferrato 1969, 341-347. °2 NHC V,2. Siehe W. R. Murdok - G. W. MacRae, The Apocalypse of Paul, in: D. M. Parrot, Nag Hammadi Codices V,2-5 and VI, Leiden 1979, 47-63.

3 Vgl. z.B. CMC 57,4ff. ** The Book of Elkasai and Merkabah

Mysticism,

Jewish Studies, Jerusalem 1982, C, 13-18. Zu sehr kurzgeschlossen ist auch die Behauptung,

in: VIIIth World Congress of

dass die rabbinische Esoterik Qumran-

Traditionen fortgefiihrt habe. Dies behauptete J. C. Greenfield in seiner Einleitung zum

Neudruck von H. Odeberg, 3 Enoch, New York 1973, S. XXXVI,

worauf sich L. Koenen

;

JOHANN MAIER

;

55

negativen Wertung des Feuers und positiven Wertung des Wassers (Epiphanius, haer. XIX, 3, 6f.), bei «Feuer» eine Anspielung auf (Brand-) Opfer voraussetzend. 5. Einzelthemen

5.1. «Griechen»

Der in der jiidischen Tradition so markante politisch-heilsgeschichtstheologische Gegensatz Israel — Weltvélker bzw. Weltmachte («Griechenland»; Rom als «Edom/Esau») hat nicht dazu gefiihrt, daB «Griechen» oder «R6mer» im palastinisch-jiidischen Sprachgebrauch zu Bezeichnungen fiir Nichtjuden schlechthin wurden. Sofern man nicht allgemein von «Fremden» und «Gd6tzendienern» sprach, verwendete man die Bezeichnung «Aramder», und dieser Sprachgebrauch begegnet im babylonischen Talmud noch verstarkt und bemerkenswerterweise bSabbat 139a-b gerade auch in bezug auf Nichtjuden im Zusammenhang mit Baskar/Kashkar in Mesene. Dies ist fiir die Deutung des Ausdrucks «Griechen» im CMC (80, 16-18; 87,19-21; 91-93) von einiger Bedeutung. Man kann an Joh 7,35 und an judenchristliche anti-paulinische Polemik denken*°, obwohl das letztere weniger zum Ausdruck «Brot der Griechen» fiir «Weizenbrot» paBt. Aber vielleicht steckt einfach der Vorwurf der Romfreundlichkeit dahinter, ein Reflex antimanichdischer Polemik. Unter Umstanden muf die Herkunft der Taufersekte Manis in

einer Region gesucht werden, die vorwiegend griechischsprachig war. In

diesem Zusammenhang fallt auf, daB neben dem «Perlenlied» ~° gerade das «Testament

Abrahams»

im CMC

besondere

deutliche literarische

Spuren hinterlassen hat°’, was tiber den syrischen Hintergrund hinaus noch auf Agypten hinweisen kénnte. 5.2. Speisevorschriften und Mahlgemeinschaft

a) Im CMC

werden bestimmte Speisevorschriften der Mani-Taufer

beruft: Manichdische Mission und Kléster in Agypten, in: Das rémisch-byzantinische Agypten, Mainz 1984, 93-108 (S. 107, Anm. 56). Der gemeinsame Nenner besteht in der Verarbeitung und (unterschiedlichen) Ausarbeitung von Ezechiel-Motiven und von Jes

6, 1ff.

55 Sq A. Henrichs, op. cit. (Anm. 50) S. 52f. 56 A. Henrichs - L. Koenen, Ein griechischer Mani-Kodex, ZPE 5, 1970, 97-216 (S. 171ff., 184ff.); A. Henrichs, op. cit. (Anm. 50) S. 38f.; Ders., The Cologne Mani Codex Reconsidered, HSCP 83, 1979, 339-367 (S. 359, note 29). Siehe zuletzt L. Cirillo, Elchasai e gli Elchasaiti, Cosenza, 1984, 96f.

57 CMC 7,1ff. (10,8ff.) und ZPE 19,1975,S. 8ff.; A. Henrichs, Literary Criticism of the Cologne Mani Codex, in: B. Layton (ed.), The Rediscovery of Gnosticism II, Leiden

56

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erwahnt (9,1 ff.; 91,1ff.; 93,3ff.), die den Eindruck eines «jiidischen Ritualismus» erweckt haben. Ist aber «Ritualismus» an sich ein «jiidisches» Merkmal und wie «jiidisch» sind die konkreten Vorschriften selbst? Hier waren klare Differenzierungen nétig, zum Teil sind sie auch moglich. Vegetarismus kann schwerlich als jiidisches Merkmal gelten und ebensowenig die Ablehnung von Weizenbrot als «Brot der

Griechen» °°. Ein Vergleich mit den mass6t, dem ungesduerten Fladenbrot fiir das Pasach-Mazzot-Fest, ist kaum méglich, dies ist ja auf eine einzige Spanne des liturgisch-kultischen Jahreszyklus beschrankt. Auch das Speisopfer kann nicht ohne weiteres bemiiht werden, denn dort handelt es sich um eine Weizen-Feinmehlsorte, nicht um Weizenmehl schlechthin (Ex 29,2). Es bleibt die Vermutung, daB Weizenmehl in der Umgebung, in der die Mani-Tauferschaft ihre Lebensgewohnheiten auspragte, als Luxusartikel galt, der mit der hellenistischen Zivilisation in Verbindung gebracht wurde, was sowohl fiir den rémischen wie den parthisch-sassanidischen Herrschaftsbereich zutraf. Die «Speisegebote» der CMC-Taufer machen eher den Eindruck, Symptome einer Protesthaltung zu sein als solche eines «jiidischen Ritualismus». Speisevorschriften auf Grund von Vorstellungen iiber rituelle Reinheit und Unreinheit lassen sich mit der abstrakten Bezeichnung «Ritualismus» nur scheinbar auf einen Nenner bringen. Allein die quellenmaPig bezeugten Auspragungen weisen eine beachtliche Bandbreite auf.

1981, 721-733

Tales, BASP

(S. 729); Ders.; Thou

shalt not kill a tree. Greek, Manichean

and Indian

16,1979, 85-108 (S. 105ff.).

58 Die rabbinische Literatur unterscheidet sehr wohl zwischen dem gewohnlichen Gerstenbrot und dem Weizenbrot sowie anderen Brotsorten; vgl. etwa bShebu‘ot 23a; 26a-b; bChagiga 20a. Weizenbrot gilt als qualitatsmassig besser. Brot, von Nichtjuden gebacken, gilt grundsatzlich als verboten, vgl. mAbodah zarah II,6 und bAbodah zarah 36a-b, doch sind in der rabbinischen Praxis erhebliche Erleichterungen vorgesehen, jedenfalls fiir Gebiete mit problematischer jiidischer Versorgungsméglichkeit. Der Erwerb

von Brot bei nichtjiidischen gewerblichen Backern bzw. Verkaufern wurde jedoch gestattet (vgl. jAbodah zarah II,9, fol. 41d). Strengere Praxis ist bei gewissen Gruppen sicher tiblich gewesen. Ein Sonderfall ist Samaritaner-Brot, pat Kati(m), vgl. bChullin 13a-b; mShebi‘it VilI,10; bChullin 4a (hier beziiglich der massét). Es ist durch nichts erwiesen, daB die CMC-Taufer ungesduertes Gerstenbrot verwendeten, wie ZPE 32, S. 162ff. vermutet wird. Zu bedenken ware jedoch, daf fiir Gruppen, die sich im Sinne diensthabender Priester verstanden, eine entsprechende Brot-Praxis anzunehmen ware, aber dafiir bietet der CMC keinen Anhaltspunkt.

Im allgemeinen vgl. auch: M. Wahren, Brot und Gebick im Leben und Glauben der alten Agypter, Bern 1963; Ders., Brot und Geback im Leben und Glauben des alten Orients, Bern 1967; J. Trachtenberg, (1961 reprint), S. 160ff.

Jewish

Magic

and Superstition,

New

York

1939

JOHANN

MAIER

57

Die bekannten jiidischen Speisevorschriften*? werden

durch folgende

Faktoren und Kriterien bestimmt: (a) Unterscheidung zwischen Genuftauglichem und Genufuntauglichem. (b) Heiligkeitsgrade und Reinheitsstufen im kultischen Sinne. Dies betrifft kultische Abgaben und Opferanteile, deren GenuPberechtigtenkreise und eventuelle Bindung an den heiligen Ort. (c) Rituelle Verunreinigung bzw. Eintritt der GenuB- bzw. ‘Verwendungstauglichkeit infolge der Beriihrung mit Unreinem (Unreinen) oder andersgradig Heiligem. Besondere Problemgebiete sind Fleisch, Fliissigkeiten, keramische GefaBe. Die gefahrlichsten Unreinheitsfaktoren sind Totenunreinheit und Gétzendienst. Diesen Vorstellungen liegt bei aller Komplexitat der Details ein System zugrunde, in dessen Rahmen Motivation und Zweckbestimmung in der Regel erkennbar werden. Randgruppen haben natiirlich eigentiimliche Auspragungen der Reinheitsvorstellungen und -praktiken aufzuweisen. Doch gerade bei solchen gruppengebundenen Randerscheinungen stellt sich die Frage, woher die mafgeblichen Impulse fiir die Sonderentwicklungen kamen, wie «jiidisch» sie noch waren. Diese «Ursprung»-Frage, die in letzter Konsequenz in die Frage nach den Urspriingen aus der Umwelt des alten Israel und Judentums miinden mite, hilft in der Sache wenig, entscheidender | ist der Sachkontext, in dem die vergleichbaren oder eventuell von irgendwoher tibernommenen Details erscheinen, und von dem aus sie ihren (neuen) Sinn erhalten. So bewertet haben weder die «Speisevorschriften» noch die Mahler der erwahnten Gruppierungen so viel gemeinsam

wie es auf den ersten

Zweckbestimmung

Blick scheinen

mag,

denn

Motivation

und

differieren doch betrachtlich.

b) «Auch die Betonung des Gemeinschaftsmahles war bei den Manichdern und Essenern sowie Therapeuten gleich und in die Tradition des jiidischen Mahles eingebettet». «Wenn wir nunmehr die Entwicklungslinie vom Gemeinschaftsmahl der Essener zu den Manichdern ziehen, miissen wir dazwischen auf die Taufer Manis treffen». Diese weitreichenden Feststellungen L. Koenens 6° scheinen einen direkten Tra-

ditionszusammenhang vorauszusetzen, doch schwacht Koenen gleich da-

59 J. Neusner, The Idea of Purity in Ancient Judaism, Leiden 1973; Ders., A History

of Mishnaic Law of Purities, I-XXII, Leiden 1974ff.; R. M. Grant, Dietary Laws among

Pythagoreans, Jews, and Christians, in: Harvard Theological Review 73,1980,297-310; F. J. Simons, Eat Not This Flesh, Madison 1961; S. Stein, The Dietary Laws in Rabbinic and Patristic Literature, in: Studia Patristica 2,1958,141-154; K. Boéckenhof, Das apostolische

Speisegesetz in den ersten fiinf Jahrhunderten, Paderborn 1903.

60 | Koenen, Manichdische Mission.. (s. Anm. 54) S. 104.

58

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rauf wieder ab bis auf die Feststellung, daB Manis Taufer und Essener «beide im gleichen Urgrund des spaten (sic!) Judentums: verwurzelt» sind, zumal beide die «klésterliche» Lebensgemeinschaft gemein hatten, womit auf das «Kloster» von Qumran angespielt wird. Ob Qumran als «Kloster» bezeichnet werden kann, ohne Mifverstandnisse hervorzurufen, ist fraglich. Die angefiihrte «jiidische Mahltradition» verspricht in so allgemein angefiihrter Form mehr, als konkret damit anzufangen ist, auBerdem sollte man die Essener des Josephus, die Therapeuten und die Qumran-Leute nur mit kritischen Vorbehalten miteinander identifizieren. Die Qumrangemeinde hat ihre jahad-Lebensweise als Tempelkultersatz praktiziert und sich daher im Sinne einer diensthabenden Priesterschaft am Heiligtum verhalten, von den CMC-Taufern kann man dergleichen nicht behaupten, ein priesterliches Element taucht da erst gar nicht auf, in klarem Unterschied etwa zu den Mandidern. Die «allerheiligste Speise» der Therapeuten setzt hingegen die Kultvorstellung von Heiligkeitsgraden voraus, nach denen bestimmte kultische Abgaben angemessene Reinheitsstufen erfordern, zugleich wird eine «Spiritualisierung» vorausgesetzt. Das Gemiise der vegetarischen CMCTaufer laBt solche Qualitaéten nicht erkennen, auch wenn es einer Waschung unterzogen wird, und iiber ein rituelles Mahl der Taufer enthalt der CMC nichts. So sind wohl zwei andere Satze Koenens hervorzuheben: «Wir bewegen uns in einem sehr komplexen historischen Beziehungsfeld»... «In Wirklichkeit muB die Entwicklung komplexer gewesen sein». 5.3. Waschungen

Mit den «Speisevorschriften» tiberschneidet sich die Lustrationspraxis der CMC-Taufer im Punkt der Gemiise-«Taufe». Es ist schwierig, diese in eine jiidische Tradition einzuordnen°!. Inwiefern die Waschungen der CMC-Taufer «jiidischen Ritualismus» reprdsentieren eee scheint umso zweifelhafter, je genauer man die Praxis en detail und die Motivation und Zweckbestimmung mit den bekannten jiidischen Zeug$1 ZPE 32, S. 135 (Anm.

181) und S. 183: «Die Nahrungsmitteltaufe der Taufer

Manis ist fiir die Elchasaiten nicht bezeugt; sie steht aber in jlidischer Tradition» (ohne Belege). 6 CMC 79, 12ff.; 82; 83; 90f.; 94ff. Siehe A. Henrichs — L. Koenen, ZPE 5, S. 140ff. (op. cit. Anm. 56); L. Koenen, Augustin and Manicheism in Light of the Cologne

Mani Codex, ICS 3,1978,154-195 (S.188ff.); Ders., From Baptism to the Gnosis of Manicheims, in: B. Layton (ed.), The Rediscovery of Gnosticism II, Leiden 1981, 734-754 (S. 745ff.); fiir die Elchasaiten siehe auch L. Cirillo, op. cit. (Anm. 56), S. 97ff.

:

JOHANN

MAIER

59

nissen © vergleicht. Man gerat dabei am ehesten in den Bereich der in ihren Urspriingen nicht eindeutig festlegbaren Taufsekten, die auch in jiidischen Randgruppen vertreten waren und durch die christliche Uberlieferung von Johannes dem Taufer sekundar ein starker jiidisches Image erhalten haben diirften als ihnen urspriinglich zukam. Solche Taufsekten bedurften entsprechender unkomplizierter Méglichkeiten fiir Waschungen und Volltauchbdder, die nicht iiberall gegeben sind. Es diirfte schwer fallen, alle diese Waschungen einlinig von der priesterlichen rituellen Praxis am Heiligtum abzuleiten. Fiir die Qumranleute, die sich im Rahmen ihres jahad-Lebens als diensttuende Priester verstanden und meinten, so «Siihne fiir das Land» zu erwirken, gilt dies noch, auch was von den «Essenern» berichtet wird, laBt dies noch erkennen. Doch treten zusitzliche Motive auf, die eine besondere Auffassung von Welt und Frémmigkeit verraten, welche nicht an den Tempelkult gebunden war ™., Sobald jemand — ohne priesterliche Funktion — damit begann, tagliche rituelle Bader zu nehmen (vgl. Judith 12, 7 ff.) und besondere Speisevorschriften zu beachten, galt ihm die Welt an sich als mehr oder minder unrein und meist verbindet sich damit auch der Volksglaube®. Eine solcherart negative Weltsicht ist nicht spezifisch jiidisch, aber jiidische Gruppen sind davon nicht unberiihrt geblieben, vor allem in Gebieten, die in besonderem Maf mit Wasser gesegnet waren. Dies ist

jedoch jedenfalls fiir die palastinischen Kerngebiete des Judentums nur begrenzt der Fall. Folgerichtig spricht man von der Jordangegend als ungefahrem Ursprungsgebiet von Taufsekten 66 Gerade dort lebten aber nicht nur Juden sondern auch jiidisch beeinfluBte Bevélkerungsgruppen, daren Verhdltnis zum konkreten Judentum durchaus auch ambivalent

oder gar negativ gewesen sein kann. Die Situation wird also auch in dieser Hinsicht recht kompliziert gewesen sein 67 Reinheitsvorstellungen

63 J. Neusner, op. cit. (Anm. 59); W. Brandt, Die jiidischen Baptismen, Giessen 1910. Zu beachten ist in diesem Zusammenhang auch die sog. «Tempelrolle» von Qumran. 64 Siehe P. Sacchi, Da Qohelet al tempo di Gesu, in: Aufstieg und Niedergang der

rémischen Welt II, 19/1, Berlin 1979, 3-32 (S. 12ff. 25ff.); W. Paschen, Rein und Unrein, Miinchen 1970; J. M. Baumgarten, Purity and the Temple, in: Ders., Studies in Qumran Law, Leiden 1977, 39ff.

65 QO, Boécher, Damonenfurcht und Damonenabwehr, Stuttgart 1969. Im ibrigen weisen auch die elchasaitischen Baptismen deutliche Merkmale magisch bestimmten Volksglaubens auf, vgl. auch L. Cirillo, Elchasai e gli Elchasaiti, Cosenza 1984, 62ff.

66 Fiir die Mandaer siehe W. Rudolph, Die Mandaer I, Gottingen 1960, 239ff.; A.

Henrichs, op. cit. (Anm. 50) S. 56.60; Ders., op. cit. (Anm. 56: HSCP 83) S. 3591T. 67 vgl. die kritische Bemerkung G. Streckers in: W. Bauer, Rechtglaubigkeit und Ketzerei im dltesten Christentum,

Gdttingen

19627, S. 271ff.

60

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

und Reinheitsriten sind keine ausschlieBlich jiidische Domane gewesen, die orientalischen Kulte neigten allgemein zur Entfaltung dieser Praktiken und haben damit in hellenistisch-r6mischer Zeit auch im «Westen» viel Anklang gefunden °°. Gewisse, gemeinhin direkt auf jiidische Praxis zurtickgefiihrte Reinigungspraktiken sind wahrscheinlich eher Symptome dieser allgemeiner verbreiteten pessimistischen Weltsicht, von der sich die Hauptrichtungen des Judentums durch Festhalten am Schépfungsgedanken mehr oder weniger abzugrenzen vermochten, wenigstens solang, als die neuplatonische Weltwertung noch nicht Allgemeingut war. Letztere bewirkte auch spater im rabbinischen Judentum des Mittelalters extremere Reinheitspraktiken, doch eben wiederum in einem stark dualistisch gefarbten geistigen Umweltklima. Selbstverstandlich haben christliche bzw. judenchristliche Gruppen solche Symptome einer pessimistischen Weltwertung in biblisch-jiidischer Tradition zu begriinden versucht. Seltsamerweise laBt der CMC fiir die Mani-Taufer dergleichen nicht erkennen, es wird lediglich auf das Gruppengesetz (siehe unten) und auf die Vatertradition verwiesen. 5.4. Das «Gesetz»

Da im CMC mehrmals vom Gesetz — nomos — der Taufer die Rede ist (vgl. u.a. 91,1ff.), wird in der Regel darin ein Hinweis darauf gesehen, daB die Taufer in jiidischer oder zumindest judenchristlicher Tradition stehen °’. Dieser Verweis laBt sich nur fiir den rein formalen

Aspekt aufrechterhalten, daB ein «nomos»

und daf eine Vatertradition

erwahnt werden ”°. En detail in Bezug auf die Inhalte ist jedoch schwerlich ein Traditionszusammenhang in dem Sinn nachweisbar, man kommt hochstens in die Schicht nicht mehr greifbarer Baptistensekten. Legalismus als globales Etikett reicht nicht aus, um etwas als jiidisch zu definieren, da es sich um ein christlich-polemisches Etikett handelt. Ferner fallt auf, dap nie (wie in jiidischen Traditionen) eine nahere Bestimmung begegnet, wie 8 Vgl. allein die treffenden Hinweise bei F. Cumont,

Die orientalischen Religionen

im rémischen Heidentum, Leipzig-Leiden 1910, S. 48.142.178.184; ferner s. Nilsson, Geschichte der griechischen Religion II, Miinchen 19743, S. 73ff. 130ff.

M.

P.

® ZPE 19, S. 72 (zu CMC 5,10 f.); A. Henrichs, op. cit. (Anm. 56: HSCP TNS! 47ff.; Ders., op. cit. (Anm. 56: HSCP 83) S. 357; I. Gruenwald, op. cit. (Anm. 39) S.

37f.; L. Cirillo, op. cit. (Anm. 65) S. 88ff. 7° A. Henrichs hat in HSCP 77 (s. Anm. 56) S. 47ff. die inhaltliche Differenz sehr wohl in Rechnung gestellt und die Formulierung «ritualistic concept of piety» fiir Taufsekten jiidisch-haretischer Herkunft gewdhlt.

'

JOHANN

MAIER

61

«Torah Gottes», «des Mose», «Israels». In CMC liegt — wie im Fall «synhedrion» (siehe unten) — manichdisch-polemische Formulierung vor, es ist «ihr», der Taufer Gesetz, eine Redeweise, die jener mancher Christen gegeniiber der jiidischen Torah (vgl. z.B. Joh 18,31) entspricht. Eine formale und funktionale Parallelisierung mit der jiidischen Torah im Sinne der paulinischen Polemik ginge sicher auf Konto der manichaischen Polemik und besagt nichts iiber das Verstandnis, das die Taufer von ihrem nomos und ihren Traditionen hatten. Nun liegt es nahe, mit dem griechischen Wort nomos die Vorstellung eines «Gesetzes» im paulinischen Sinn zu verbinden. Es ist jedoch fiir die vermutete syrische Vorlage wohl nicht so, da fiir nomos einfach namtisa’ anzusetzen ist ’’, denn der Sprachgebrauch in manchen CMCKontexten setzt eindeutig voraus, da es sich um ein Wort handelt, das sowohl «Gesetz» wie auch «Religion(sgemeinschaft)» bedeutet ’*, und das trifft fiir dat zu, ein in die aramaischen Idiome und ins Hebrdische eingedrungenes Wort persischen Ursprungs. Damit fallt aber die Deutung im Sinne eines jiidischen «Gesetzes», denn dat fiir sich ist stets ausgesprochen neutral verwendet worden. Haben also die manichaischen Verfasser des syrischen CMC noch gar nicht an ein «Gesetz» im Sinne des Paulus gedacht? 5.5. Alttestamentliches

Von den «Apokalypsen» abgesehen, werden (siehe oben 4.), enthalt der CMC

die Adamiten zugeschrieben kaum Beziige zum AT. Fir

CMC 97,4 wird von den Editoren ’* zwar auf Gen 2,7 verwiesen, doch handelt es sich um nicht mehr als um einen vagen Anklang; noch schwacher ist der Anklang CMC 107, 9f. Interessant ware eine Verwendung des Manna-Motivs in CMC 107, 18 f. Aber es handelt sich um eine Textergénzung recht unsicherer Art,

die von den Editoren

vorgeschlagen wird und somit kann der Verweis

auf Ex 16,4 kaum ernsthaft in Betracht gezogen werden. In die Aufzahlung von CMC 107, 1ff. paBt tibrigens das Manna nicht hinein. Auch CMC 86, 21ff. zeigt, wie entfernt die Formulierung von

einem moglichen biblischen Texthintergrund in Dt 13,2 bereits ist °. Das 71 Wie A. Henrichs, HSCP 77 (s. Anm. 56) S. 47f. vermutet. 72 Treffend hervorgehoben von L. Cirillo, op. cit. (Anm. 65) S. 89.

© ZPH 320 Sa192: 4 7PE 44, S 215 und dazu S. 263f. 7 Die Stelle wird ZPE 32, S. 154f. zwar angefiihrt, doch noch eine Reihe naherliegender nach-biblischer Belege auf.

fiihren die Herausgeber

62

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

ist fiir einen manichdischen Text freilich nicht verwunderlich, doch gibt es auch in Bezug auf den angenommenen judenchristlichen Charakter der Taufergemeinde Manis zu denken. Am auffalligsten ist in dem Zusammenhang eine Notiz bei Epiphanius haer. 19,1.8-97°. Ein gewisser Pinehas, Nachkomme des alttestamentlichen Priesterahns und zelotischen Prototyps Pinehas, soll die voriibergehende Verleugnung des eigenen Glaubens zur Vermeidung des Martyriums gutgeheiBen haben. Das klingt polemisch, und zwar gegen jene jiidischen Uberlieferungen, die mit dem Namen des Pinchas gerade

riicksichtslosen

Glaubenszelotismus

verbanden’’.

Allerdings

war

die

Pinchas-Gestalt auch in christlichen Bereichen Gegenstand besonderer Aufmerksamkeit ’®. Das Interesse an dieser Figur beruht nicht zuletzt auf der Identifizierung mit Elias (ebenfalls ein Zeloten-Prototyp) und damit mit dem eschatologischen Hohepriester. Aus dem CMC 1laft sich jedenfalls nicht entnehmen, daf die Mani-Taufer einen AT-Text (in welcher Sprache auch immer) kannten

bzw. hatten ”’. 5.6. Zur Gemeindeverfassung der CMC-Taufer

Soweit die Organisationsformen

der Taufergemeinde

erwahnt wer-

den (CMC 74,11ff.; 86,20ff.; 97,20ff.) °°, lassen sie keine eindeutigen Beziige zu jiidischen Vorbildern erkennen. Der Ausdruck presbyteroi allein reicht dafiir nicht aus, da er aus der patriarchalischen Gesellschaftsstruktur stammt, die fiir den gesamten Alten Orient als kennzeichnend

gilt®! und auBerdem iiber Ortsverwaltungen (vgl. CMC 97,20ff.) und Gruppenorganisationsformen weit verbreitet war. So bleibt der Ausdruck synhedrion in CMC 74,11ff. («Altester ihres Synhedrion») als

eventueller Hinweis auf das jiidische Synhedrion **. Aber dabei ist der Sprachgebrauch zu beachten. Im Syrischen wurde das ntl. synhedrion nicht mit dem aramaisierten sanhedrin iibersetzt, das in der rabbinischen

7% A. F. J. Klijn —

G. J. Reinink, Patristic Evidence for Jewish-Christian Sects,

Leiden 1973, S. 60.

™ Vgl. dazu M. Hengel, Die Zeloten, Leiden 1976”, S. 152ff. ie Vgl. R. Stichel, Ausserkanonische

Elemente

in byzantinischen

Illustrationen zum

Alten Testament, in: R6mische Quartalschrift 69,1974, 159-181 (S. 176ff.). 7 L. Koenen, From Baptism... (s. Anm. 62), S. 736, note 13. Bine aramaischer AT-Ubersetzungen ist wohl nicht nachweisbar.

8° Dazu s. L. Cirillo, op. cit. (Anm. 65) S. 92f. 81 1. Reviv, The Elders in Ancient Israel (hebr.), Jerusalem

82 So die Herausgeber ZPE 32, S. 166 (Anm. 241).

1983.

Beniitzung

:

JOHANN

MAIER

63

Literatur vorkommt, sondern mit knwsSt’ («Versammlung») oder djn’ («Gericht») und auch im CMC begegnet 89,6ff. das griechische synodos! Falls im CMC jemand iiberhaupt an das jiidische synhedrion als Vorbild fiir diese Tauferinstanz gedacht hat, dann der manichdische Verfasser, der den Ausdruck «ihr synhedrion» in 74,11 gepragt hat, und zwar auch nur in dem Fall, daB er — wie beim Ausdruck «ihr nomos» — eine neutestamentliche, christlich-polemische Redeweise iibernehmen wollte. Naher liegt jedoch die Annahme, daf sowohl synhedrion wie synodos dem gewohnlichen griechischen Sprachgebrauch entsprechen. Fiir jiidi-

sche Gemeindeverfassungen hat iibrigens weder das Synhedrion der Zeit vor 70 n.Chr. noch der Sanhedrin der talmudischen Periode als Modell gedient; das Wort begegnet allerdings auch fiir lokale Gerichtshéfe, aber das liegt im Rahmen des griechischen Sprachgebrauchs. Der Titel «Alteste» begegnet nicht exklusiv fiir Mitglieder der jiidischen Gemeindeleitung sondern als eine Bezeichnung neben anderen. Keinesfalls sollte man von einer jiidischen «Presbyterialverfassung» reden. 5.7. Sabbatheiligung Hielten die «Elchesaiten» den Sabbat? Die bei Hippolyt, Ref. IX, 16,2-4 enthaltene Information besagt nichts tiber die Sabbatruhe an sich, es geht darum, die Vermeidung von Arbeitsanfangen und Taufen an allen Tagen zu beachten, die unter schaddlichem GestirnseinfluB stehen, genauer: solange dieser Einflu® im Zusammenhang mit dem Mond an ihnen wirksam ist. Dann erst folgt: «Ehret (timésate) auch den Sabbat-

tag, denn dieser ist ein Tag von ihnen». Der Passus ist ausgesprochen kryptisch und laBt keine jiidische Begriindung fiir die geforderte Sabbatehrung erkennen. Die Editoren des CMC setzten unter Verweis auf diese

Stelle aber eine Sabbatruhe fiir die CMC-Taufer

voraus**, doch im

CMC fehlt ein ausdriicklicher Bezug der anapausis ton cheiron, auf den Sabbattag. Es bleibt somit eine erhebliche Unsicherheit, ob die manichaische anapausis ton cheiron, die den Eklekten vorbehalten ist und jegliche Handarbeit iiberhaupt ausschlieBt, wirklich auf eine Verallgemeinerung der elchasaitischen Sabbat-Arbeitsruhe zuriickgeht. Leider enthalt auch CMC 5,6f. (wo t6n cheiron fehlt) keinen Hinweis auf Zeit

und Charakter dieser «Ruhe» *4. Mit Recht betonen die Editoren des 83 7 CMC

102,15f. in ZPE 44, S. 240 und vgl. ZPE 19, S. 7 sowie ZPE 32, S. 173. 77 (s. Anm. 56) S. 48ff.

Ferner auch A. Henrichs, HSCP

84 G_ Delling, Jiidische Lehre und Frémmigkeit in den Paralipomena Jeremiae, Berlin 1967, S. 30f.; J. Ries, Plutarque,

historien

et théologien

des doctrines

gnostiques,

in:

64

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

CMC, daf in diesen Passagen Mani bereits in seiner Tauferzeit wie ein manichdischer Eklekt gezeichnet wird, was die Glaubwiirdigkeit der Angaben erheblich mindert. Die elchasaitische Sabbatauffassung scheint mehr jener zu entsprechen, die in magisch und astrologisch interessierten Kreisen iiber den Rand des Judentums hinaus ihre Anhdnger hatte. 5.8. Zum «Buch der Giganten» Obwohl

der

CMC

selbst

darauf

keinen

Hinweis

enthalt,

spielt

Manis «Buch der Giganten», von dem nur Fragmente erhalten sind *°, eine betrachtliche Rolle in der Diskussion um das Verhaltnis zwischen

Manichdismus und friihjiidischen Gruppen *°. AnlaB dazu gab die Publikation aramaischer Fragmente von Henochtexten aus Qumran durch J.T. Milik ®’, der die Edition mit umfangreichen Rekonstruktionsversuchen verband, die auch ein aramdisches «Buch der Giganten»

einschlossen **, welches mit dem «Buch der Wachter» (Kap. 6-36) des ath. Henochbuches ®? gewisse Gemeinsamkeiten aufweist. J.T. Milik hatte schon zuvor” auf die Verwandtschaft mit Manis «Buch der Giganten» verwiesen und auf ihn stiitzen sich die seither zum Teil viel weiterreichenden Behauptungen beziiglich des Verhaltnisses zwischen Qumranfragmenten und Manis Gigantenbuch-Fragmenten, nadmlich, als habe Mani gerade jene aramadische Gigantenbuchfassung iiberarbeitet, die aus den Qumranfragmenten bekannt ist. Eine Uberpriifung der Fragmente en detail ergibt jedoch ein differenzierteres Bild. Es war gewiB nicht die durch die Qumranfragmente bezeugte Textgestalt eines

Gnosticisme et monde héllénistique, Louvain 1982, 146-163 (S. 162f.); J. Helderman, Die Anapausis im Evangelium veritatis, Leiden 1984. 85 W. Henning, The Book of Giants, BSOAS 11,1943/6, 52-74; W. Sundermann, Ein weiteres Fragment aus Manis Gigantenbuch, oblata, Leiden 1984.

86 87 88 *

in: Orientalia

J. Duchesne-Guillemin

emerito

L. Koenen, Manichaische Mission... (s. Anm. 54) S. 104. J. T. Milik, The Books of Enoch, Oxford 1976. Op. cit. (Anm. 87) S. 57f. 298ff. Dazu s. Th.-M. Wacker, Weltordnung und Gericht, Wiirzburg 1982; U. Bianchi,

La recherche sur les origines du gnosticisme, in: Ders. (ed.), Le origini dello gnosticismo,

Leiden 1967, 716-746 (S. 735ff.). Zu dieser ganzen Problematik siehe auch die treffenden Ausfiihrungen von P. Sacchi, Il «Libro dei vigilanti» e l’apocalittica, in: Henoch 1, 1979, 42-98. Lediglich die Verwendung des Ausdrucks «Midrasch» fiir solche Traditionen kénnte den Leser etwas dariiber hinwegtauschen, dass es sich um Material handelt, das sekundar an Gen 6,1-4 angeschlossen wurde.

°° ‘J.T. Milik, Turfan et Qumran, Livre des Géants juif et manichéen, in: Festgabe K.

G. Kuhn, Géttingen

1971, 117-127.

JOHANN

MAIER

65

«Buches der Giganten», die Mani vorgelegen hat, sondern nur eine mehr oder minder verwandte Fassung. Damit entfallt die Méglichkeit, eine direkte Traditionslinie Qumran-Mani (etwa gar im Sinne einer persona-

len Kontinuitat zwischen Qumrangemeinde bzw. «Essenern» und Frihmanichdismus) zu ziehen. Das postulierte Bindeglied, die «elchasaitischen» CMC-Tdaufer, tragen kein Zeugnis fiir eine eventuelle Mittlerfunktion bei, denn die «Apokalypse» Henochs in CMC 58,6ff. (s. dazu oben 5.) ist ja etwas anderes. Nun wird auch von den Verfechtern eines direkten Traditionszusammenhanges nicht bestritten, daB die Henochliteratur eine vielfaltige und weitreichende Verbreitung gefunden hat, und zwar sowohl in vorchristlicher Zeit im Judentum und in christlicher Zeit gerade in besonderer Weise durch das Christentum. Man wird schwerlich all dies auf eine einzige jiidische Quelle zuriickfiihren diirfen, ndmlich Qumran. Eine der schwierigsten Fragen bleibt ja nach wie vor das Verhaltnis solcher Stoffe zur friiheren biblisch-jiidischen Tradition und zu Uberlieferungen in der engeren oder weiteren Umweltkultur, und diese Frage ist nach wie vor auch fiir die biblischen Zeugnisse von

Belang, denn sie stellen eher sparliche Reflexe einer bereits vorhandenen und breiteren Tradition dar als den Ursprungspunkt aller Henoch-Traditionen, wieviel davon spdter an den biblischen Reminiszenzen auch

immer

aufgehdangt wurde?’.

Auch

hier gilt, daB die Situation weit

komplizierter sein diirfte als die erhaltenen Fragmente erkennen lassen, und diese komplizierte Situation erklart auch die duBerst unitibersichtliche Nachwirkung in das Mittelalter hinein. Kurz und gut: Woher der Inhalt der von Mani beniitzten Vorlage fiir sein «Buch der Giganten»

letzten Endes stammt, aus dem Westen oder aus dem Osten”, oder ob dieser Ursprung wegen friiher Verbreitung tiberhaupt irrelevant ist, bleibt offen. Mani hat jedoch eher konkret eine Textfassung beniitzt, die er in christlich-gnostischen Handen vorfand 3 als ein Exemplar aus

Qumran-abhangiger Tradition. Thematik und Stoff des «Buches der Giganten» ist offensichtlich alter als jene Vielfalt von eschatologischspekulativen Tendenzen, die unter der theologischen Fiktion «Apokalyptik» zusammengefaBt

werden,

91 Auf keinen Fall sollte man

und

der Sinn

der Thematik

und

des

sich die Entfaltung dieser Traditionen allein von Gen

6,1-4 aus und weiter vom Judentum aus vorstellen. Gen 6,1-4 ist Reflex einer alten, weiter verbreiteten Auffassung und die Dominanz

der spateren jiidischen Henochtraditionen

ist

eine lediglich durch den Zufall der literarischen Uberlieferung bedingte. 92 Vgl. auch G. Widengren, Iran and Israel in Parthian Time with Special Regard to the Ethiopic Book of Enoch, in: Temenos 2, 1966, 139-177.

93 So auch A. Bohlig, Die Gnosis III: Der Manichdismus, Ziirich 1980, S. 46.

MANICHAICUS

CODEX

66

COLONIENSIS

Stoffes hat mit der Einbindung in eine eschatologisch orientierte Geschichtsdeutung einen neuen Stellenwert erhalten™. Wie «jiidisch» war aber der Inhalt des «Buches der Giganten» zuvor? Die sogenannte «Apokalyptik» hat dltere, gern der «Weisheit» zugeschriebene Uberlieferungen verwertet, eben auch Erklarungen menschlicher Erkenntnisurspriinge und Kulturanfange, wie sie in der Bibel andeutungsweise in Gen 4-6,4 enthalten

sind,

aber

offenbar

in weit umfangreicheren

Ausfiih-

rungen in Umlauf waren, und zwar nicht bloB im Judentum.

6. Zu einzelnen CMC-Stellen

6.1. Zu CMC 56,1f. vermerkten die Herausgeber 7°, dos bzw. déte doéxan to theo «ist eine jiidische liturgische Formel».

Die Belege dafiir

stammen alle aus dem NT; dabei handelt es sich Joh 9,24 und R6m 4,20 um keine liturgische Formel und Apk. Joh 14,7 und 19,7, mehr

entsprechend,

hat keinen Formel-Charakter.

Naher stehen der «liturgi-

schen Formel» Ps 29,1-3; 96,7-8 (9); I Chr. 16,28ff. Doch gibt es auch eine Formel der Bekenntnis-Aufforderung, vgl. Ps. 24,7.10 mit mdlak hak-kabod= basileus tés doxés. Dazu kame dann allerdings noch das hellenistische megistos (vgl. dazu auch Mt. 5,35: Jerusalem als Stadt tou megalou basileos). SchlieBlich ist noch I Tim 1,17 mit der Zusammenstellung von fimé und dodxa zu beachten. Sofern jiidischer Sprachgebrauch hinter der CMC-Formulierung steht, ist er hellenistisch umgepragt.

6.2. Zu CMC 56,8ff. heift es bei den Herausgebern * nach Verweis auf Test. Job 25,2 und I Hen 24,3: «man denkt an die himmlischen Hallen, die Hekhalot, der spateren jiidischen Entriickungsliteratur...». Aber die Hekalot-Texte enthalten eben nicht Entriickungs- sondern Aufstiegsschilderungen, von den sieben Hekalot ist in CMC keine Rede und auch die Herabkunft des kathestérion epidoxon pat nicht dazu. Sofern ein Modell vorliegt, dann das tibliche der apokalyptischen Entriickung vor den Thron, breit ausgefiihrt in 4th. Hen 14 und 71; vor allem aber ist Apk. Joh 21,2ff. zu beachten. 6.3. Zu * Siehe °> ZPE 2°ZPE °7 ZPE

CMC

98,1ff.

bemerkten

dazu P. Sacchi, op. cit. (Anm. 89). 19, S. 56f. 19" Se. $72 32, S. 194 (Anm. 289).

die

Herausgeber?’

wegen

der

JOHANN

MAIER

67

offenbar strengen Binnenwirtschaft der Mani-Taufer: «Andererseits paBt die Moral der Geschichte ausgezeichnet zur jiidischen Tradition. In der Damaskusschrift von Qumran (sic!) war angeordnet...» (zit. Dam XII,8f.). Aber dort geht es um die Frage der rituellen Reinheit auf Grund der bekannten kultischen Motivation. Eine solche ist fiir das Gemiise der Mani-Taufer schwerlich nachzuweisen, also muB man wohl die von den Herausgebern zuvor dargestellte manichdische Auffassung in den Vordergrund riicken.

6.4. CMC 107,1ff. wird die Zweckbestimmung der Loslosung Manis von der Taufergemeinschaft beschrieben. Ab Zeile 18 ist von dieser Serie von Tatigkeitsmerkmalen im Text nur mehr etwas an den Zeilenanfangen erhalten, beginnend mit (18) staxai de ton s [...] (19) epi tou laou [...] Die Herausgeber haben dazu” eine kiihne Ergadnzung geliefert und diese intensiv kommentiert. Sie gingen davon aus, daB vom Manna die Rede ist, das laut Ex 16,4 Gott vom Himmel her als «Brot» gibt, konstatierten aber sogleich erhebliche terminologische Abweichungen, die teils auf den Ubersetzungscharakter des CMC, teils auf den EinfluB

«spatjiidischer Traditionen» zuriickgefiihrt wird. In der Tat lassen die weiteren Ausfiihrungen der Herausgeber nur erkennen, daf die Texterganzung samt ihrer Deutung 4uferst unsicher ist. Der erganzte Satz paBt auch sinnmafPig nicht gut in die Serie. SCHLUSSBEMERKUNG

Das Fazit einer kritischen Sichtung der Belege fiir den angeblichen «judenchristlichen» Charakter der CMC-Taufergruppe ergibt, daB das nachweisbar «Jiidische» sich auf einen sparlichen Rest reduziert. Dies so deutlich, da® nicht einzusehen ist, warum man diese Gruppe im Vergleich zu heidenchristlichen bzw. (und) groPkirchlichen Gruppen als «judenchristlich» deklarieren soll. Es fehlt vor allem ein gewichtiges Kriterium, die Beschneidung. Sofern nicht Epiphanius haer. 19, 3,5 (Elchasai betreffend) mit herangezogen werden kann, gibt es dafiir -keinen Beleg, und dazu kommt unmittelbar die Frage, wie «judenchristlich» eine Gemeinschaft sein kann, die das genealogische Abstammungsverhdltnis nicht mehr zur Norm ihrer Gemeindemitgliedschaft gemacht haben soll.

% 7PE 44, S. 215 und dazu S. 263ff. (Anm. 361).

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5x est impossible.

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4, que

seulement

*” Dans le Fihrist, voir A.F.J. Klijn et G.J. Reinink, Elchasai and Mani..., a/-Hasth est nommé r’is, c’est a dire «fondateur». Dans CMC 95,9 - 10,11 Alchasaios est nommé AatpNS... Kai dikatoc, voir Henrichs et Koenen, dans ZPE 32 1978, ann. 277 et 278, p.

188-189. Selon 95,18-22 et 97,12 Alchasaiois a eu des disciples.

:

'

A.F.J. KLIJN

151

tion d’un groupe juif déja existant dans une situation pénible **. La mission d’Alcibiade 4 Rome ou de l’elkesaite anonyme a Alexandrie était également orientée a introduire une nouvelle conversion dans Véglise établie. Désormais n’oublions pas que chez les Sampsées Elxai était qualifié de «maitre». Evidemment il était consideré comme une autorité centrale dans la vie de la secte. Mais en méme temps nous avons constaté que V’importance du livre semble mineure dans ce groupe. Egalement nous n’étions pas capable de découvrir des éléments typiquement empruntés au livre dans CMC. Apparemment nous avons ici un développement du mouvement elkesaite trés ancien, parce que nous avons constaté la méme chose chez les membres de la secte de CMC. Aussi ici nous n’avons pas de trace d’un livre auquel Mani aurait fait appel. L’appel est fait par lui au fondateur lui-méme. II est ici l’autorité comme chez les Sampséens. Il parait que cela était un trait intégrant du mouvement elkesaite. Mani a fait appel a la prohibition de se laver avec de l’eau, de labourer la terre et de cuire du pain*’. Il est clair que nous rencontrons ici des idées purement manichéennes. Nous devons nous demander s’il était possible 4 Mani de faire un appel comme celui-ci a Alchasaios. Si nous nous bornons au livre d’Elxai cet appel est absolument impossible. Mais nous avons constaté que le mouvement elkesaite n’était pas seulement caractérisé par le contenu du livre mais aussi par |’autorité d’Elxai. On ne peut jamais exclure que dans le mouvement elkesaite des idées connues du manichéisme étaient déja présentes en quelque maniere. Cest la méme chose avec les autres éléments dans CMC. II s’agit ici surtout des révélations et des purifications. Mais a partir de ce que nous connaissons du contenu du livre nous devons constater qu’il n’y est pas

question d’une influence directe. Mais dans les groupes dits elkesaites on ne peut exclure des idées semblables. ~ Cest a dire que nous sommes justifiés 4 donner le nom «Elkesaites» aux membres de la secte de CMC. S’ils ont accepté Alchasaios comme leur fondateur, ils sont des elkesaites, comme les Sampséens et comme les sectes qui sont réprésentées par Alcibiades et le missionnaire qui a paru a Alexandrie. Seulement, il ne faut pas perdre de vue la différence entre le 38 Le livre a été écrit au temps de Trajan en Parthie. 39 CMC

transport dattiers.

94,10 - 97,17. Dans

des légumes

97,18 - 98,8 il s’agit de Sabbaios

et dans 98,8 - 99,8 de Aianos

en rapport

en rapport avec le

avec Vabattage

des

152

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

contenu du livre d’Elxai juif et le développment du movement parmi les sectes judéo-chrétiennes *°. Nous connaissons le contenu du livre plus ou moins, mais la nature divergente du movement n’est que partiellement connue. Pour ce que nous le connaissons, l’elkesaitisme de CMC serait remarquable mais pas invraisemblable.

ae Nous sommes d’accord avec Rudolph, Antike Baptisten..., p. 14: «Es scheint sich aber um eine haretisch-jiidische Sekte gehandelt zu haben, die bald auch christlicher, besonders judenchristlicher Akkomodationen befleissigte...».

Esotericism in Mani’s Thought and Background Gedaliahu G. Stroumsa,

Jerusalem

Mani is the only known Antique thinker to have established, quite intentionally, a world religion. With the notable exception of Judaism, all major religious traditions had a place in his highly syncretistic system and were integrated into his conception of Heilsgeschichte. One wellknown aspect of this attitude was the systematic translation, or rather adaptation, of Manichaean mythology into various languages and cultures. Mani considered himself as being the last of a series of prophets sent to mankind, and among whom stood prominent Buddha, Zarathustra and Jesus. As the last prophet, Mani would reveal Truth, for the first time, in its entirety, and to all peoples. Previous prophets had each revealed only one side of Truth to their own people. Now, no aspect of Truth would remain hidden or partially understood anymore !. Prima facie, such an attitude would appear to rule out the existence of any esoteric trend in Manichaean teachings. Indeed, students of Manichaeism do not seem to have noticed yet any allusions to esotericism in Manichaen texts and traditions. The purpose of this article is to argue that a closer look at Mani’s Umwelt and early development, as it is revealed to us mainly in the Cologne Mani Codex (= CMC), should bring to a revision of the opinio communis. One of the main points worthy of our attention in the CMC is the description of the sectarian background from which Mani’s very conscious and eclectic universalism emerged. For the historian of religion, this is puzzling only in appearance. The propensity of small and radically exclusive sects to devote intense theological attention to the

destiny of the whole think only of Qumrdn of humankind might against whose beliefs

of humankind is a well-known fact — one need in this respect. Indeed, Mani’s interest in the fate have been partly inherited from the baptist sects and practices he revolted.

! For a recent presentation of Mani’s conception of prophecy, see M. Tardieu, Le Manichéisme (Paris, 1981), 19-27. For a more detailed discussion, with references, see H.-Ch. Puech, Le Manichéisme, son fondateur, sa doctrine (Paris, 1949), 61-63 and notes.

154

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

The new text offers a glimpse at the very passage from sect to world religion, from a basically monotheistic theology to the most radically dualistic system ever devised”. As a radical reformer, Mani exploded theological as well as sociological patterns. Early in his career, he claimed to go back to the original heritage of the baptists, to the truth that had once been their lot, and that they had forgotten with time. Mani’s revolt, which appears to be primarily of a cultic character (rejection of the Elchasaites’ way of life, and in particular of their baptismal rites and food-tabus) is accomplished in the name of a truer interpretation of their own tradition*. Mani knew to appeal to Elchasai’s doctrinal authority while arguing with the baptist leaders about the soteriological value of cultic practices*. It should be noted that his attitude did not arouse only diffidence, 4nd that to some of the baptists he seems to have appeared as a prophet and a teacher, as the holder of a secret revelation who should be listened to, or even as the expected Messiah (CMC 85, 13 - 87, 6). Mani, who claimed that «in no way (he) would destroy the commandments of the Savior» (CMC 91, 20-22), also boasted to have «destroyed and put to nought [the baptists’] words and mysteries» (CMC 80, 6-8), on the strength of the «mysteries» revealed to him by his heavenly Twin. This would imply that the baptists had become in

time alienated from the Truth once imparted to them. But to what do the votnpia refer in the context of the CMC? The word has obviously a very broad semantic spectrum in late antiquity, and is more often that not amphibological, or used in a metaphoric or at least a rather loose sense. Yet, it seems to be used also in the stricter sense of Glaubensgeheimnisse in the CMC, as the editors have noted °. I shall first analyze 2 On Manichaean dualism, see G. Stroumsa, «K6nig und Schwein: zur Struktur des manichdischen Dualismus», in J. Taubes, Hrg., Gnosis und Politik (Paderborn, 1984),

141-153. > See in particular A. Henrichs,

«Mani

and the Babylonian

Baptists:

a Historical

Confrontation», Harvard Studies in Classical Philology 77 (1973), 23-59, and J. J. Buckley,

«Mani’s Opposition to the Elchasaites: a Question of Ritual», in P. Slater and D. Wiebe,

eds., Traditions in Contact and Change (Waterloo, Ont., 1983), 323-36. 4 CMC 94, 1 - 97, 17. The text, edited by A. Henrichs and L. Koenen, is published in

the Zeitschrift fiir Papyrologie und Epigraphik (= ZPE) 19 (1975), 1-85 (pages 1-72); 32 (1978), 87-199 (pages 72, 8 - 99,9); 44 (1981), 201-318 (pp. 99,10-120); 48 (1982), 1-59 (pp. 121-192). Page 1 to 99, 9 of the CMC have been translated into English by R. Cameron

and A. J. Dewey in their The Cologne Mani Codex (P. Colon inv. nr. 4780) «Concerning the Origin of his Body» (SBL, Texts and Translations, 15; Missoula: Scholars Press,

1979). It is this translation which is quoted here. > ZPE 32 (1978), 136, n. 183 on CMC 80, 8; cf. ZPE 44 (1981), 278, n. 398 on CMC 112, 10-11.

G.G. STROUMSA

155

the main passages where pvotHpiov/a and connected words appear in the Codex. Only later shall I turn to the broader context and attempt to show the roots of Mani’s conception of esotericism. . Salmaios the ascetic reports about a baptist who intended to fell a date-palm tree. When the endangered tree pleaded with Mani for its life, the confounded baptist fell at Mani’s feet, saying «I did not know that this secret mystery (todtTO TO GNOPPNHTOV vOTTpIOV) is with you. Whence was [the agony of the palm-tree] revealed to you?» When Mani lets him know that all plants speak to him, he says in his bewilderment:

«guard this mystery (tO pvoTHpiov tovTo), tell it to no one, lest someone become envious and destroy you» (CMC 8, 11-13). The «mystery» is here conceived as a supernatural power, or ability, possessed by Mani alone and ignored by everyone else. It appears as a mana of sorts, through which Mani retains a contact with the vegetal world, alone knowing that it is besouled. This «mystery», moreover, should remain hidden, since it could evoke jealousy, with immediately danger-

ous consequences for its possessor. What is the origin of this «mystery» bestowed upon the young Mani? Another passage gives us the answer: «When, then, that all-glorious and all-blessed one (i.e. the Twin) disclosed to me these exceedingly great secrets (t@ Gndppnta tadta Kai wéylota), he began to say to me: ‘This mystery (t65e TO pvotH[piov]) I have revealed to you [...] to reveal...’» (CMC 26, 7-15). It is his heavenly Twin, then, who reveals the mystery to Mani. The Twin is thus functionally similar to those angels who had revealed «very great mysteries of majesty» (uéylota LVOTHPILO TiG LEYaAMOUVNC) to Mani’s prophetic precursors, such as Sethel (i.e. Seth), Enosh, Shem, Enoch, or Paul, who had been snatched up to heavens for the occasion 6 Secrets (AnOppnta) is then an exact equivalent of «mystery», a term which also appears in the plural with a similar meaning: «Now he revealed to me (GnmexdAvye 5€ por) the mysteries (ta pvotypia) hidden to the world, which are not permitted for anyone to see or hear» (CMC 43, 3-7). Here again, the esoteric character of the knowledge imparted to the prophet by his revelatory angel is quite explicit. This knowledge — the mystery, or mysteries — is hidden and should remain so. The social consequences of the revelation of the mystery are thus obvious: the prophet can no longer be part of his community, his blessing directly entails a curse: «Then, immediately

6 On Enoch’s rapture, CMC 52, 5-7.

156

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

I separated myself from the ordinances of that teaching in which I was reared, and became like a stranger and a solitary in their midst...» (CMC 44, 2-8). Or again: «Little by little, I detached myself from the midst of that Law [in] which I was reared, marvelling beyond all measure at [those] mysteries...» (CMC 30, 4-7). To be sure, the mystery is eventually to be revealed, but the prophet is unable to do so when he still is alone to know the Truth in

the midst of Error: «How then shall I, alone against all, be able to reveal this mystery in the midst of the multitude, [entangled in] error...» (CMC 31, 3-9). In order to proclaim the Truth of which he has been made the bearer by the angelic revelation, the prophet then reaches the ultimate social conclusion: he must leave the community of his youth. The first and obvious level of esotericism, then, is that forced by social circumstances: the proclamation of Truth among devotees of false dogmas is immediately and physically dangerous for the prophet. Thus, he must keep silent until these circumstances are changed: «... I went about in that Law, preserving this hope (tivde thy éAnida, an equivalent of wvotipiov) in my heart; no one perceived who it was that was with me, and I myself revealed nothing to anyone during that great period of time» (CMC 25, 2-13). Esotericism is thus shown to be of a circumstantial character: it seeks to hide doctrines since their revelation could have adverse consequences in a given situation. One may speculate as to whether all doctrines of esotericism eventually partake of a circumstantial character. In any case, it may be noted here that the ultimate transformation of this doctrine, which justifies /ying in order not to reveal one’s true doctrines under duress — a phenomenon known as tagiyya in Shi‘i Islam — was also known to the Manichaeans, as

attested by a Sogdian text’.

The fundamentally ambivalent character of esoteric doctrines — to be kept secret from most, or at least for a time, but eventually meant to 7 I refer to the parable of the child who pretends to be deaf and dumb. One of the fragments contains the epimythion: «Lord Mar Mani said to the magus: I, together with my disciples and Electi, and like that child who was silent as an expedient (...) (who) did not speak and did not hear... So we are silent (swkw) and we speak with no one and perform good deeds and pious actions as an expedient, (but) that time will come at last when I shall speak before all, like that child (z’kw), and we shall demand justice for ourselves...» The fragment is edited and translated by N. Sims-Williams, «The Sogdian Fragments from Leningrad», BSOAS 44 (1981), 231-240, esp. 238. I thank prof. W. Sundermann for calling my attention to this fragment. On other aspects of secretive attitudes among Manichaeans, see G. Stroumsa, «Monachisme et Marranisme chez les Manichéens d’Egypte», Numen 29 (1983), 184-201.

:

G.G. STROUMSA

157

be revealed to those able to recognize their truth — this character is admirably described in the CMC. Esoteric doctrines can be transmitted in two ways: either orally or in writing. Both ways were known in late antiquity, although the second is obviously much more easily documented than the first. The CMC provides clear evidence of the fact that at least some of Mani’s writings transmitted esoteric doctrines. Two epistles of Mani are quoted in our text. The quotation from the first, sent to Edessa, begins thus: «The truth and the secrets (ta &n6ppynta) which I speak about... not from men have I received it nor from fleshy creatures, not even from studies in the Scriptures» (CMC 64, 8-15). Mani goes on acknowledging his heavenly Twin’s grace for having pulled him «from the council of the many who do not recognize the truth and revealed to me his secrets (ta TE ADTOD ANOPpNta) and those of his undefiled Father and of all the cosmos. He disclosed to me how I was before the foundation of the world, and how the groundwork of all the works, both good and evil, was laid, and how everything of [this] aggregation was engendered...» (CMC 65, 3-22). The point of the revelation of these secrets — which seem to encompass the most part of Manichaean mythology — was to save Mani and «those prepared to be chosen by him (i.e. by Mani’s Twin) from the sects» from death. These are Mani’s «fellow-travellers», as he calls them (toic é"oic Evveundpoic) in his Gospel, quoted a little further in the CMC (67, 2). It is to these «children of peace», to this «immortal race», to his Elect (EkAoynv) — and only to them — that Mani’s Gospel is adressed, which includes «these eminent mysteries (tadta ta tijc brEplo]yxiic dSpyia, CMC 67, 16-18). Mani here states most explicitly the esoteric character of his doctrines: «All the secrets (ndvta ta GNOppyta) which my Father has given to me, while I have hidden and covered (them)

from the sects and the heathen, and still more from the world, to you I have revealed according to the pleasure of my most blessed Father» (CMC 68, 6-15). In order to understand more precisely the meaning of words such as LLVOTTPLOV, ATOPPHTA, AMoKGAvYic in Mani’s parlance, we should turn to the broader context of Jewish, Christian and Gnostic literatures, and

in particular to the Jewish Christian background of the Elchasaites. We shall see traces of antiquity them to

that these various literary traditions all keep rather precise esotericism. The best way to protect the secrecy of doctrines in was, of course, to keep them oral, to refrain from committing writing. Individual by nature, oral transmission permitted the

158

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

careful selection of those worthy of being imparted the secret knowledge. Another way of protecting secret doctrines from falling into unworthy hands was to limit strongly access to secret writings, and to punish severely revelation of their content outside the group of elect, the sect. Both methods were known among Jews in the first Christian centuries. ' The Essenes had secret writings: Josephus tells us that a new member of the sect had to swear «terrible oaths» to protect its secret teachings from outsiders, to keep secret the ndmes of the angels, and to guard the sect’s secret writings®. The Damascus Document as well as the Manual of Discipline reiterate this insistence on protecting the esoteric character of Essene teachings’. Moreover, reference should be

made to the importance of the word raz in the Qumran texts — a word whose

semantic

range

is as broad

as that

of its Greek

equivalent,

uvotrpiov '°. The texts refer to various kinds of «mysteries»: together with cosmic mysteries (which include the calendar) there are historical mysteries — for instance the fate of mankind and the future reserved for the elect. The Master of Justice, in particular, is the bearer of a great mystery, and has been sent by God to communicate it to his

disciples‘'. Mention hidden

should

in the Scriptures

and

also be made destined

of a scriptural mystery,

to be revealed

at the end of

times |”. The semantic spectrum of raz in the Qumran texts is not unlike that of pvotrpiov in the Pauline epistles. In particular, there is a close parallelism between the connection of raz to da‘at in one corpus and LvOTHplov to yv@o1c in the other (see for instance I Cor. 13:2). For Paul as for the Covenanters, the knowledge of the mysteries clearly retains an esoteric character, reserved to a handful of perfect. Apocalyptic literature, too, knows of esoteric knowledge: the author if JV Ezra for istance (a work written towards the end of the Irst

8 Bell. 2.141 ff. See «xpbxtw, New

KtA...» in G. Kittel’s Theological Dictionary of the

Testament Ill, 972.

° Damascus Doc. 15.10 f.; see C. Rabin, The Zadokite Documents? (Oxford, 1958), 73. Man. Disc. 1 QS 9.17; cf. 5.16 f., 8.11 f. 0 On the semantic spectrum of raz and cognate words in Qumran texts, see J. Coppers, «Le ‘Mystére’ dans la théologie paulinienne et ses paralléles Qumrdaniens», in A.

Descamps ef al., Littérature et théologie pauliniennes (Recherches Bibliques 5; Paris, 1960), 142-151, esp. 142-146 and 144, n. 1. See also E. Vogt, «‘Mysteria’ in textibus

Qumran», Biblica 37 (1956), 247-257.

1 QH 5.25: 8.11, 2 1 Qp Hab. 7.5.

:

G.G. STROUMSA

159

century C.E.) tells us that only the 24 Biblical books were made public by Ezra, while the remaining 70 — the apocalypses — were given only to the wise among the people. The very language of the Hellenistic mystery cults is borrowed by Philo, who refers to the «holy mysteries» hidden in the Biblical text and

revealed uvotnpiov

only to the initiated’*, while a similar use of the word is made

by the Rabbis

in reference

to biblical

exegesis.

Besides raz and sod Rabbinic literature knows the loan word misterin,

mistorin'*. The Mishna, the mistorin (R. Judah b. Shalom, knows my mistorin, says God are called mistorin while the

oral tradition, is referred to as God’s around 370, in Ps. Rab. 5 [14b]); he who «is my Son». Further, the Messianic times calendar comput is referred to as a sod.

The exegetical rules of the Torah (ta‘amei Torah) moreover, are called razei Torah, while the teachings about cosmogony (ma‘asse bereshith) and the mystical vision of God (Ezechiel’s charriot, ma‘asse merkavah) are identified by a semantic parallel, sitrei Torah. To be sure, it is very difficult to date rabbinic sources with precision, but the antiquity of these esoteric conceptions is not to be doubted. They go back at least to the first century C.E., as Gershom Scholem and others have conclu-

sively argued '*. Indeed,

the Rabbis

are the heirs of the esoteric

doctrines of the Pharisees. One further point should be noted. The polyvalence of uvotipiov, raz, or sod, does not lie only in the various kinds of doctrines they refer to, but also in that they can also stand for rites of initiation, such as circumcision or baptism. This fact has been recently emphasized by Morton Smith, who has argued convincingly that both Paul and the

13 See for instance De Cherub.

of Jesus (London,

48 f., cited by J. Jeremias,

The Eucharistic

Words

1966), 129. Jeremias devotes an entire section to esoteric trends in

Judaism and in early Christianity. See also A.D. Nock, «Hellenistic Mysteries and Christian Sacraments», in his Essays on Religion and the Ancient World, ed. Z. Stewart,

- II (Oxford, 1972), esp. 801-803. 14 See the texts cited by Strack and Billerbeck, Kommentar zum neuen Testament aus Talmud und Midrash, 1 (Miinchen, 1922), 659-660, from which the following examples are taken. See now G.A. Wewers, Geheimnis und Geheimhaltung in rabbinischen Judentum (Berlin-New York, 1975). 15 G. G. Scholem, Jewish Gnosticism, Merkabah Mysticism and Talmudic Tradition (New York, 1965’), 36-42; M. Smith, «Observations on Hekhalot Rabbati», in A. Altmann, ed., Biblical and Other Studies (Cambridge, Ma., 1963), 142-160, esp. 152. See also J. M. Baumgarten, «The Book of Elkesai and Merkabah Mysticism», in Proceedings of the Eighth World Congress of Jewish Studies, Section C (Jerusalem, 1983), 13-18. Cf.

my «Form(s) of God: Some notes on Metatron and Christ, Harvard Theological Review 76 (1983), 269-288.

160

CODEX

rabbis

«took

Greco-Roman stem

from

over

the

MANICHAICUS

word

COLONIENSIS

wvotipiov

meanings» /*. Thus,

with

the

full range

in the Hekhalot

the circles of the Merkavah

mystics,

of its

writings,

the «Great

which Secret»

(ha-sod ha-nora) is not only to be revealed to the fit, but also practised by them. This act is to be preceded by a propaideutic ascetical behavior, which involves the mystic’s fasting, baking his own bread, and taking

ablutions '’. There is little doubt that esoteric doctrines existed, too, in Christianity from its earliest strata. Documentation is here very sparse, but by no means nonexistent. Joachim Jeremias has insisted on the role played by esotericism already in the teaching of Jesus. Jesus’s self description as «son of man» is for Jeremias the key element for understanding his messiahship as being of an esoteric character '®. Various references are also made in the Gospels of esoteric teachings of Jesus, either on particular topics, such as the eschatological prophecies, or in general terms. Paul, too, alludes to the divine «wisdom» which can be imparted only to the «perfect» or «spiritual» ones (II Cor. 2:6, 13). Similarly, the secrets of Christology are not to be taught to everybody, as Hebrews makes clear: repentance from dead works, faith and baptism are taught to all Christians, but not Christology, which is reserved for those mature in faith (Heb. 5:11 — 6:8; ibid. 7:1 — 10:18). Finally, and most importantly, Paul knows that the secrets of the divine nature belong to the Arkandisziplin, of which it undoubtedly forms the center. Indeed, Paul’s ascension to Paradise, of which he speaks only in the most allusive terms, has often been compared to the mystical ascent — or rather descent — of the Merkavah mystics !. How far these secret teachings were preserved later on, and how far the very idea of esotericism was retained in a later period, is very difficult to evaluate. It stands to reason that the combination of the

‘6 M. Smith, Clement of Alexandria and a Secret Gospel of Mark (Cambridge, Ma., 1973), 181. For the broad spectrum of meanings in the Greek Magical Papyri, see A.-J. Festugiére, L ’idéal religieux des Grecs et l’Evangile, (Paris, 19812), 304 and esp. n. i

‘7 |, Gruenwald, «Manichaeism and Judaism in Light of the Cologne Mani Codex»,

ZPE 50 (1983), 29-45, esp. 38. 18 The Eucharistic

Words

of Jesus,

129-130.

See now

qu’il était Dieu? (Paris, 1984), 45-55. 1° See for instance

Scholem,

Jewish

Gnosticism,

14-19.

F. Dreyfus,

Jésus savait-il

But see the serious

reser-

vation expressed by P. Schafer, «New Testament and Hekhalot Literature: The Journey into Heaven in Paul and in Merkavah Mysticism», Journal of Jewish Studies 35 (1984), 18-35.

G.G. STROUMSA

161

Roman view of Christianity as a «secret society» — with the implications of such a perception*® — and the proliferation of esoteric groups in the second century (I am referring mainly to the various Christianizing Gnostic trends) encouraged the Church Fathers to insist on the universal character of Christianity, and on the exoteric nature and universal claims of its soteriological doctrine. In Alexandria, however, clear traces survive of esoteric doctrines transmitted only among a religious élite. Clement of Alexandria, in particular, does not only make liberal use of the language of the mystery cults; he also refers to a body of secret traditions derived from Peter*!. In a fragment preserved only by Eusebius (HE 11.1.4. f.) he mentions the gnosis given by the Lord, after his Resurrection, to James the Just. In the Eclogae Propheticae,

Clement

kept secret by the Christian gnostikoi who has analyzed all these references Clement’s works, the presbyteroi — who originating in the Jerusalem church —

refers to certain books

in Alexandria. Morton Smith, at great length, notes that in would seem to keep traditions are the bearers of secret tra-

ditions. Finally, mention should be made of Clement’s now famous letter to Theodore, discovered by Smith at Mar Saba, and stating in no ambiguous terms the existence of esoteric doctrines, relating to the teachings of Jesus, in the Alexandrian church. In particular, Clement speaks of ta peydAa pvotipia, a term which is for us of special interest since it is also used by Hippolytus in his description of Elchasaite doctrine and practice 7”. Is is very difficult to find further traces of esoteric doctrines in later Patristic literature. In Early Byzantine spiritual literature woothpiov/a seems to have been used mainly — besides its cultic and christological

meanings — in reference to mystical conternplation?*. Yet, it should be noted

that in the Syrian

Orient,

in Mani’s

Umwelt,

the idea of

20 On this see R.L. Wilken, The Christians as the Romans saw them (New Haven, 1984), 31-47. 71 See

M.

Smith,

Clement

of Alexandria,

30.

Origen,

too,

refers

to

esoteric

doctrines; see J. Daniélou, Message Evangélique et culture hellenistique (Paris, 1961), 427-430. See also R.P.C. Hanson, Origen’s Doctrine of Tradition (London, 1954), 53-72 on Clement’s and 73-90 on Origen’s doctrine of secret Tradition. On the preservation of esoteric doctrines in early Christianity,

see D. Powell,

«Arkandisziplin»

in Theologische

Realenzyklopddie 4(1979), 1-8.

22 Hippolytus, Elenchos IX, 15.1, pp. 116-117 in A.F.J. Klijn and G.J. Reinink, Patristic Evidence for Jewish Christian Sects (Suppl. to N.T. 36; Leiden, 1973).

23 See references in Lampe’s Patristic Greek Lexicon, s.v.

162

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

esoteric doctrine survives a little longer. The Syriac Liber Graduum, for instance, dated from the fourth century, insists on the two classes of Christians, the just and the perfect ones to whom different teachings

must be imparted **. Texts usually qualified as «Gnostic» by modern scholarship vary greatly in their cultural background and cultic implications. Yet, we can detect esoteric doctrines in various Gnostic trends. Among Gnostic texts, the «Naassene Hymn» seems to stand particularly close to those trends in Hellenistic religiosity commonly referred to as «Mystery religions». The Hymn purports to reveal a mystical doctrine (Adyo¢ WvoT1K6c) about anthropogony. This doctrine — actually a myth of the Primal Man — is also called uvotypiov, and has been known to various peoples, such as the Egyptians or the Samothracians, under various garbs. About the latter, for instance, the text adds that this «great and unspeakable mystery» is known only by

the perfect ones (todtT éotT1 TO sya Kai G&ppntov LapolpaKewv uvotrpiov, 6 pdovoig &Eeotw Esidévar Toic TEeAsioug, a phrasing which im-

plies that the pvotrptov is a secret doctrine”. Other texts, Christianized in a less tangential way, confirm the importance of secret traditions in Gnostic trends. The Gospel of Truth knows of esoteric speculations on the Divine Name, when it calls the Name «the mystery of the invisible which comes to ears that are

completely filled with it» 7°. Esoteric traditions about the true meaning of scriptual passages were preserved in the Valentinian school. In his Letter to Flora, Ptolemaeus claims that the apostolic tradition alone, transmitted through succession only to those deemed worthy, knows

about the origin and birth of both demiurge and devil*’. According to Clement of Alexandria, Valentinus would have inherited this tradition

from Theudas, a disciple of Paul — hence its apostolicity**. Irenaeus

4 On the Liber Graduum, the Patrologia Syriaca, Ill. 25 See now

see M. Kmosko’s

detailed introduction to his edition, in

J. Frickel, Hellenistiche Erloésung in christlicher Deutung:

Naassenerschrift (Nag Hammadi Studies 19; Leiden, 1984), Hymn, 218 (about the Egyptians).

die gnostische

10.9, p. 222; cf. 27, p.

© CG I, 36, 17-21. See also the proemium of the Apocryphon of John, CH Il, 1, 1-4. On which see now M. Tardieu, Codex 239-240. On pvotrpiov in Gnostic literature his Mysterion und Wahrheit: Gesammelte (Leiden, 1968), esp. 31-40. 27 Letter to Flora, 7.9, in G. Quispel,

de Berlin (Ecrits Gnostiques 1; Paris, 1984), see A. Bohlig, «Mysterion und Wahrheit», in Aufsdzte zur spdtantiken Religionsgeschichte ed., trans., Ptolémée, Lettre a Flora (Sources

Chrétiennes 24°; Paris, 1964), 72-73. 8 Clement, Stromateis VII. 106, quoted by Quispel, op.cit.

15 and 104.

:

G.G. STROUMSA

163

confirms the existence of such a conception: «The Valentinians forge an accusation against the Holy Writ when they say that some passages are not correct, and have no authority or contradict each other, so that it is impossible for those who do not know the secret tradition to find Truth

in the Bible» ??. As to Clement himself it would seem, particularly in the light of his recently discovered letter, that he was in agreement with the Gnostics about the existence of an esoteric oral doctrine, of apostolic origin *°, but thought that they had got their knowledge of it in an illegal way and then corrupted its content 3!. For the Apocalypse of Adam, a text whose background is to be found in the Baptist milieus of Syria-Palestine, Adam’s revelations to Seth are a «hidden knowledge», identical to «the holy baptism of those who know the eternal knowledge». As was the case for various Apocrypha, these revelations could not be committed to writing — which would have destroyed their esoteric character — but were to remain protected «on a high mountain, upon a rock of truth» 32. Indeed, some Gnostic teachers counted on private revelations in order to impart their teaching. Thus did Cerinthus, whose Christology retains some very close affinities to that of the Ebionites, «preach the GyvoovpEvov BEd6v»

by means of revelations **. Henning

W.B.

had

already

noted

that

the

Aramaic

for

word

mystery, raza, was «nearly as multivocal» in the Manichaean as in the

Mandaean texts °4. Kurt Rudolph has confirmed the polyvalence of the

term in Mandaean parlance: «For the Mandaeans, the World is full of Mysteries», he states, insisting that the whole content of the soteriologi-

cal teaching is called «mystery» *°. Such are, too, cultic practices or

magical incantations. One of Rudolph’s references is particularly noteworthy in our context: In the Ginza, the foreign (or false) religions are 29 Irenaeus, Adversus Haereses II1.2.1. 30 See Strom. V1.7.61. The passage is discussed by Quispel, op. cit. 17-20. 31 This is at least W. Jaeger’s opinion, as quoted in M. Smith, Clement Alexandria,

of

38.

32 CG V, 85 passim. 33 Eusebius, Hist. Eccles. 11.28.1. 34 Henning, «Two Manichaean Magical Texts, with an Excursus

on the Partian

Ending — endeh» in his Selected Papers III (Acta Iranica 15; Téhéran-Liége-Leiden, 1977),

45-46. See already Albiruni’s testimony:

«By mystery Plato means

a special kind of

devotion. The word is much used among the Sabians of Harran, the dualistic Manichaeans, and the theologians of the Hindus». In E. Sachau, Alberuni’s India (London,

1910), I, 123.

35 Rudolph, Die Mandder, 254-259.

II, Der Kult (FRALANT

75, N.F.

57; Géttingen,

1961),

164

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

called «fallen mysteries», raz@ naplé*°, which is closely parallel to Mani’s saying in the CMC that he has destroyed all the Baptists’ mysteries — a tes-

timony to the use of the term in malam partem (CMC 80, 6-8) °” Yet, the most interesting traditions for a better understanding of Mani’s background are found among the Elchasaites and other Jewish Christian groups. According to Patristic tradition, the very name of Elchasai reflects a strong propensity to esotericism. Epiphanius knows that the name means, in Aramaic, «secret power» (hail kasay) **, an etymology which draws immediate associations with Simon Magus’s self appellation as «the Great power» of God (Acts 8:10). It is Hippolytus, however, who is most explicit about the existence of esoteric doctrines among the Elchasaites. A candidate to baptism had the Book containing the secret doctrine read to him before being baptised a second time «in the name of the great and most high God (Gwiotocg = ‘ely6n) and in the name of his son, the mighty king». He would then purify himself through immersion, while invoking the names of «seven witnesses», heaven, water, the holy spirits, the angels of prayer, oil, salt and the earth. Hippolytus concludes: «these are the marvellous, ineffable and great mysteries of Elchasai, which he transmits to worthy disciples 3’. It is thus clear that by these «great mysteries» Hyppolytus does not only refer to baptism, but also to the esoteric doctrines revealed, during that rite de passage, to those deemed worthy of it. Unfortunately, however, Hippolytus does not tell us anything else about the nature of these doctrines. It stands to reason to assume, among the Baptists of Mani’s youth, a rather similar relationship between baptism and esoteric doctrines.

Our

permit a might at followed theology

direct

sources,

however,

remain

very

scant,

and

do

not

clear identification of the content of such doctrines. Yet, we least get a clue to the patterns which these doctrines might have if we turn to traditions about Jewish Christian groups whose stood close to that of the Elchasaites.

The Ebionites, for instance, are known to have invoked the Book of Elchasai, as well as some apocryphal Acts of the Apostles 4°. These

6 G. R. 320, 31; Rudolph, op.cit., 255 n. 11. 7 The amphibological

278, n. 398.

use of pvottpiov/a

is noted by the editors, ZPE 44 (1981),

*8 Epiphanius, Panarion 19.2.2; 156-157 Klijn-Reinink. ° radta Ta Savudou LvotHpia tod “HAyacat ta a&xdppnta Kai HeyaAa, & APB iSOo toig GEto1g wabyntaic. Hippolytus, Elenchos, 1X.15.1; 116-117 Klijn-Reinink. ° Epiphanius, Panarion 30, 16.6 and 20.1 7. 4; 184-185 Klijn-Reinink.

G.G. STROUMSA

165

Ebionites also conceived of themselves as the bearers of secret revelations: according to Eusebius, it is due to such a revelation, adressed to the worthy ones and prophecizing the destruction of Jerusalem, that they had decided to leave the holy city*!. They also boasted of direct revelations of Christ, on the existence and the nature of false pericopes in the Pentateuch. «Because Christ has revealed it to me», 6t1 Xpiotdc wou &mEeKGAvwe, answers Ebion to a question on his knowledge of the

false pericopes *. The most interesting testimony, however, comes from the Kerygmata Petrou, fragments of an early Jewish Christian writing later incorporated into the Pseudo Clementinian novel, which preserve many major aspects of Jewish-Christian theology. Scholarship on the Kerygmata Petrou has insisted on the gnosticizing tendency of the work, in which baptismal terminology in particular is strongly coloured by gnostic

traits*3. The baptism described in the letter of Peter which introduces the Clementine writings is of special interest, and has been described as an «act of initiation» **. Georg Strecker has duly noted the close parallelism between the Kerygmata Petrou and the Book of Elchasai, which both represent diverse aspects of a gnosticizing Jewish-

Christianity *°. Yet the importance of the esoteric element in the Kerygmata Petrou

does not seem to be emphasized enough in current research**. On various occasions, the Kerygmata Petrou refer to «the mysteries» which Jesus taught his disciples, insisting that this knowledge was to remain

private: «And

Peter said: we remember

that our Lord and Teacher,

commanding us, said: ‘Keep the mysteries (ta wvotrpia) for me and the sons of my house...’». The text goes on: «for it is impious to tell the

secrets») *’. What are these mysteries which must be kept secret by the

41 Busebius, Hist. Eccles. 11.5.2 ff. 42 Ephipanius, Panarion 30.18.9; 188-189 Klijn-Reinink. 43 See for instance G. Strecker, Das Judenchristentum

in den Pseudoklementinen

(TU 70°; Berlin, 1981), 209. On the Pseudo Clementine literature, see now F. S. Jones,

«The Pseudo-Clementines:

a History of Research», Second Century 2 (1982), 1-34 and

63-96. On Jewish Christianity, see esp. pp. 84-96. 44 Rudolph, Die Mandder, Il, 396; cf. H.-J. Schoeps, Jewish Christianity (Philadelphia, 1969), 17. 45 Strecker, Das Judenchristentum,

214.

46 The existence of this element

had already been noted by O. Cullmann,

probleme littéraire et historique du roman pseudo-clémentin (Paris, 1930), 190.

also

Le

47 ”. These quotations have sufficiently established the existence and the importance of esoteric traditions among the Jewish-Christians. They

also have made clear that the central theme of these traditions was the

proper exegesis of the Biblical text, and in particular, the correct understanding of the nature of God. For Peter, these parts of the Scriptures in which God appears to be ignorant and to rejoice in murder, when He accepts sacrifices or behaves unjustly are false, and are written only in order to try men. Those who know the truth will not err and slander God’. Indeed, the major problem of Biblical exegesis was, for the Ebionites, the problem of God’s nature. This problem also

appears to have been the central preoccupation of the Gnostics. Only their conclusions were radically different. For the Ebionites, therefore, baptism sealed the catechumen’s passage from

his first birth,

derived

from

sexual

lust, to knowledge

and

salvation >4. This conception seems very close to that known to Mani 51 Hom. 2.39; 51 Rehm. I quote according to the translation in the Ante Nicene Christian Library, vol. 17 (Edinburgh, 1870). 2 of SiSacKahia tIva tTolodtov pabeiv A€yel, GALA AnoKaddye pdOvov, Hom. secrets 18.6.1; 244 Rehm. Cf. Hom. 18.14, where Simon reveals to the evil ones «the which he would not reveal to the just». 53 Hom. 18.19-20; 249-250 Rehm.

54 See for instance Hom.

11.24.

168

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

in his childhood, and which he rejected. The background which I have attempted to map here might help us in understanding the context and meaning of the word yvottpiov/a in the CMC as well as in other Manichaean texts, and in raising — although not answering — the question of the existence of esoteric doctrines, to be imparted only to the elect, in Manichaeism. In the piety of the newly established religious community, Mani himself is the «noble holy image of the mysteries of God» (Manichaean Psalms 16:28), in whom all the mysteries have been fulfilled by the Churches (ibid. 18:3; 21:8-9). The members of the new community know that «the mysteries that were before the foundation, thou didst reveal them to [thy] faithful, that there was Light» (ibid. 3:22). They also «know the mystery, to whom there has been revealed the knowledge of the secret of the Most High through the holy wisdom, wherein there is no error, of the holy church of the Paraclete, our Father» (ibid. 8:22-25).

The Baptist «to go into the founded. As we conflict with the revelation

leaders accused Mani, in front of his father, of wishing world» (CMC 89, 11-14). The accusation was quite have seen, his revelation forced Mani into a radical Baptists. Eventually, he had to make public the private

he had

received,

and

open

up

to his followers

the

secret

knowledge imparted to him. Hence he even wrote a Book of Mysteries. Unfortunately, the contents of this book have remained sealed for us. The book is lost, and the only trustworthy testimony we have about it is that of Ibn Al Nadim, in the

long chapters of his Fihrist devoted to the Manichaeans >>. Ibn Al Nadim

gives a list of 19 chapters of this Kitab sifr al asrar. Three of the chapters, at least, were devoted to polemics against Bardaisan. Otherwise, the book would appear to have been particularly concerned with Judaism and Christianity (in particular prophecy) as P. Alfaric noted in his analysis of the various traditions about the Book of Mysteries >°. What appears clearly, in any case, is that the Book was widely read. Both Heraclion of Chalcedon

and Photius, Razi and al Ya°akoubi refer to it >’. Mani did succeed in reveal-

ing the secrets. But his success was that of his religion, and it eventually drowned with it. °° See G. Fliigel, Mani, seine Lehre und seine Schriften (Leipzig, 1862), (text) 102-103 (translation) and 356-361 (notes). Sips Alfaric, Les Ecritures Manichéennes, I (Paris, 1919), 17-21. °7 On Razi’s testimony, see J. Ruska, «Al-Biruni als Quelle fiir das Leben und die

Schriften al-Razi’s», Isis 5 (1923), 26-50, esp. 30-32, where Biruni notes his deception

when finally able to peruse the kitab sifr al asrar.

La doctrine de l’4me du monde et des trois sceaux dans la controverse de Mani avec les Elchasaites Julien Ries, Louvain-la-Neuve

La morale manichéenne exige trois catégories d’abstentions dans le comportement et dans la vie du gnostique. C’est par le mot dikaiosuné, justice, que le Kephalaion 80, 192, 5 formule la doctrine relative a ce comportement’. Dans le cadre du genre littéraire des documents de catéchése manichéenne, c’est |’Illuminateur lui-méme qui parle a ses disciples afin de leur donner la connaissance authentique de la vérité. Mani leur enseigne qu’il y a une premiére forme de justice. Elle consiste dans la continence (enkrateia) et dans la pureté, dans le repos des mains qui observent le respect de la croix de lumiére, dans la pureté de la bouche qui se garde du vin et des boissons alcoolisées (K 80, 192, 6-13). Cette premié¢re forme de justice concerne le corps (14-15). Le rédacteur copte décrit ensuite une deuxiéme forme de justice, caractérisée par le mots sophia, sagesse, nachte, foi, agapé, amour (K 80, 192, 16-28). Puis il‘passe a une troisi¢éme justice, celle des catéchuménes: jefine, repos, le jour du Seigneur, pri¢re, aum6ne. Ces diverses formes de la justice sont longuement exposées dans un véritable compendium d’éthique gnostique qui est constitué par les Kephalaia 79, 80, 81, 84, 85, 87, 93. Nous avons eu l’occasion d’en faire une bréve étude”. Nous allons ici nous arréter un instant aux trois éléments de la premiére forme d’abstinence, la sharep ndikaiosuné (K 80, 192, 7). Dans son De moribus manichaeorum, Augustin a consacré de nombreuses pages a ces trois éléments,

qu’il nomme signacula?.

1 Dans manichéens.

Stuttgart, H=H.J.

le présent travail nous indiquons par des sigles les éditions des textes K=C. SCHMIDT, Kephalaia, 1, Stuttgart, 1940 et A. BOHLIG, Kephalaia, Il, 1966. PSM=C.R.C. ALLBERRY, A manichaean Psalmbook II, Stuttgart, 1938.

Pototsky,

Manichdische

Homilien,

Stuttgart,

1934.

CMC=Der

Kélner Mani-

Kodex publié dans ZPE. 2 J. Ries, Commandements de la justice et vie missionnaire dans |’Eglise de Mani, dans M. KRAUSE, Gnosis and Gnosticism, Nag Hammadi Studies VIII, Leiden, 1977, 93-106. 3 Nous utilisons le texte du De moribus manichaeorum, publié par B. ROLAND-GOSSELIN, La morale chrétienne, Bibliothéque augustinienne 1, Paris, 1949, 254-367.

170

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

I. LES TROIS SIGNACULA MANICHEENS

1. Dans le De moribus, Augustin décrit briévement le signaculum sinus (XVIII, 65-66). Puis il fait suivre son texte d’un long commentaire intitulé de moribus dissolutis manichaeorum (XIX-XX). Il y stigmatise l’abstinence sexuelle des manichéens, car ceux-ci déforment la notion de mariage au point de prétendre qu’engendrer des enfants est un péché plus grave que l’union des corps. Il explicite la motivation de pareille attitude: éviter l’?enchainement de l’4me humaine a la matiére ténébreuse. Le K 80, 192, 8-9 fait mention de la continence (enkrateia) et de la pureté (toubo), alors que le K 79, 191, 14-15 développe un autre aspect, a savoir le jefine lié a la pureté, du fait que l’-homme chatie ainsi son corps et dompte les archontes qui y habitent. Ajoutons que cette notion» de l’encratisme sexuel connait de nombreux développements dans les textes manichéens coptes de Médinét MAdi*. Les divers passages montrent que l’enkrateia manichéenne est une attitude et un comportement de l’élu et du catéchuméne vivant dans la condition du mélange de la lumiére et des ténébres. Au sens strict, l’enkrateia est l’abstention sexuelle. 2. Le deuxiéme sceau gnostique est le signaculum manuum auquel Augustin a consacré un long chapitre (XVII, 54-64). Il y insiste particuligrement sur deux aspects: la défense de tuer des animaux; |’interdiction d’abattre des arbres. Il profite de l’occasion pour exposer la doctrine manichéenne de |’4me des arbres et des figues, Ame composée de parcelles lumineuses célestes. Le commandement du sceau des mains est formulé de maniére concise mais précise en K 80, 192, 10-11: «arriver a la paix des mains et garder sa main de la croix de lumiére». Le compendium d’éthique gnostique dont nous avons fait mention consacre des commentaires détaillés au sceau des mains et au respect de la croix de lumiére, celle-ci appelée Jesus patibilis par Augustin. II s’agit de veiller 4 ne pas blesser l’4me du monde constituée des parcelles de lumiére arrachées par les ténébres au Royaume de la Lumiére. Ainsi K 85, 208-213, insiste sur le respect de toute végétation et tente de concilier la triple obligation imposée aux élus: végétarisme alimentaire, respect de toute végétation, obligation de parcourir le monde afin de précher la sophia. Ce méme Kephalaion autorise la marche missionnaire des élus et

‘ Tl s’agit de l’utilisation des deux vocables parthenos et enkratés: H 14, 1; 16, 25*et 28; 17, 5 et 8; 19,°45°21 5 10; 225°4,°14'a 1777936, 28-29: 76, 31; PsM pe151 5019; p. 175,012:

p. 179, 8, 9; K 98, 248, 13-19; 22-30; 249, 1-27; K 91, 228, 8-19; 23-24; 233, 3-12.

JULIEN RIES

171

permet aux catéchumeénes de cueillir des fruits, d’arracher des légumes en vue de préparer les repas des élus afin de libérer davantage de parcelles lumineuses (K 85, 211, 7-8; 25-26; 213, 6-12).

3. Au sceau de la bouche, signaculum oris, Augustin a donné priorité. Non seulement il le traite en premier lieu alors que K 80 le place en troisiéme position, mais il le développe au long de six chapitres. Il s’arréte a l’abstinence alimentaire et au blasphéme mais il explique aussi le fondement des croyances manichéennes, a savoir la présence d’une partie de la substance divine dans les plantes, les légumes, les fruits et les arbres. K 80, 192, 12-13 formule ainsi ce commandement: «Il s’agit de la pureté de la bouche; il doit garder sa bouche de toute chair et du sang et ne doit pas goiiter ce qu’on appelle vin et boissons alcoolisées (sikera)». Aprés une allusion au jefine en vue de dompter les archontes présents dans le corps, K 79, 191, 14-15 insiste sur l’économie alimentaire placée dans l’optique du salut de la lumiére: chaque jour, grace aux aliments choisis, une parcelle de l’4me vivante pénétre dans le corps

de l]’élu ot elle est «sanctifiée,

purifiée,

lavée et séparée

de la

matiére ténébreuse (191, 7)». K 85, 211, 3-19 s’arréte aux paroles qui nuisent (blaptein) a \’Ame lumineuse: il s’agit du blasphéme. Ainsi, le sceau de la bouche fait partie du grand mystére des enfants de la lumiére: il ordonne de n’absorber que des aliments lumineux et d’éviter blasphéme, viandes, sang, alcool et vin.

II. LES TROIS SIGNACULA DANS LE CODEX MANI



Le CMC constitue une nouvelle source pour la connaissance des trois signacula. De plus, il permet de cerner cette doctrine a ses origines, au moment ou Mani recoit sa révélation. Nous allons procéder a un rapide inventaire des textes.

‘1. Une premiére série de textes peut regrouper les passages dans lesquels il est question des aventures et des discussions 4 propos du double précepte révélé 4 Mani: «Tu ne prendras pas de légumes du jardin; tu ne couperas pas de bois»: CMC 6, 1-12; 7, 1-15; 8, 1-15; 9, 1-16; 10, 1-10. Ces textes proviennent des testimonia d’un disciple de Mani, Salmaios l’Ascéte, connu déja par notre documentation antérieure sur V’Eglise gnostique. Selon la Formule grecque d’abjuration, Salmaios était du nombre des douze apdtres de Mani. Le début du CMC, malheureusement fort abimé, donne le premier message de |’angelos

CODEX

172

MANICHAICUS

COLONIENSIS

céleste au futur Prophéte: interdiction de prendre des légumes du jardin de la communauté; défense de couper du bois. Deux aventures se greffent sur ce double précepte: d’abord, la tentative d’un elchasaite d’élaguer un palmier; ensuite, l’intervention du chef de la communauté qui interroge Mani sur son refus de manger des légumes du jardin.

2. Une seconde série de textes provient de la relation de prodiges accomplis a l’occasion de tentatives meurtriéres contre l’4me du monde. Ces récits sont tirés de festimonia du manichéen Zachéas. Peut-on identifier ce personnage avec Mar Zaqu des textes iraniens? Le titre de la section est mutilé mais les éditeurs du CMC optent pour l’identification en question°. La section de nos récits fait suite 4 une section dont V’auteur est Baraiés le Didascale, un personnage important dans le CMC et dont les extraits repris dans le Codex concernent le probléme du salut gnostique. Baraiés était un missionnaire qui a oeuvré durant le dernier quart du IlIle siecle. Sa prédication rencontrait une large audience. Les testimonia de Zachéas ne sont pas des documents théologiques, mais des

tranches de littérature populaire °. C’est Mani lui-méme qui relate ces prodiges. Le contexte du récit est le refus de la doctrine et des mystéres de la communauté elchasaite. En effet, Mani réagit contre le baptéme quotidien et contre l’ablution des légumes ’. Il prétend que la purification exigée par les elchasaites est contraire au commandement du Sauveur. Aussi proclame-t-il de facon solennelle sa propre révélation: «La pureté au sujet de laquelle il est écrit, est donc la pureté par la gnose, (c’est-a-dire) la séparation de la Lumiére et des Ténébres, de la mort et de la vie, des eaux vivantes et des eaux mortes» (CMC, 84, 10-15). Cette intervention provoque un tumulte dans la communauté. En effet, Mani rejette la loi d’Elchasai ainsi que les préceptes relatifs aux aliments; il rejette aussi le baptéme (CMC 88, 16-23). Pattikios, le pére de Mani, est le maitre de maison. Sita, le prieur de la communauté monacale, convoque un synode. Mani se trouve face a ses adversaires a la maniére de Jésus en présence des pharisiens. Il répond aux diverses accusations et fonde ses réponses sur des miracles tirés de la tradition elchasaite.

3. Dans

l’argumentation

de Mani

nous

trouvons

cing épisodes

° Voir ZPE, 19, 1975, p. 80, note 80. ° Les testimonia de Baraiés, CMC 94, 10-24, 95 1-14. 7 CMC 80, 1 a 83, 19.

79, 14 a 93, 23. Les testimonia de Zachéas CMC

JULIEN

RIES

173

relatifs a la doctrine des signacula: a. une double justification du refus du baptéme tirée de la vie d’Elchasai: apparition d’une forme humaine dans l’eau, CMC 94, 10-24 et 95, 1-14a; une seconde apparition et des paroles de réprobation concernant l’ablution, CMC 95, 14b-24 et 96, 1-17. Aussi, Elchasai n’a pas osé procéder aux ablutions projetées; b. le prodige de la terre qui refuse d’étre cultivée alors qu’Elchasai vient de faire préparer les charrues en vue du labourage: CMC 96, 18-22 et 97, 1-10; c. l’épisode du pain qui parle a Elchasai au moment ow ses disciples s’apprétent a en commencer la cuisson: CMC 97, 11-17. Ce texte est a compléter par CMC 91, 19-23 et 92, 1-23; d. la révolte des légumes au cours de leur transport par Sabbaios Velchasaite qui veut les vendre au chef de la ville: CMC 97, 18-23 et 98, 1-8; e. la scéne qui relate la conversation du palmier-dattier avec |’elchasaite Ajanos de Koché: CMC 98, 9-20 et 99, 1-9. III. L’AME DU MONDE, MYSTERE INDICIBLE

Le début du CMC est quelque peu lacuneux, ce qui nous prive de précisions certainement intéressantes. Cependant, dés les premieres lignes se présente l’orientation générale du message que Mani va recevoir de la part de l’envoyé céleste. Ce message est annoncé comme le mystérion (CMC 2, 8-9) qui sera révélé tranche par tranche (brachu, brachu). Cette annonce est assortie d’un double précepte: interdiction de prendre des légumes du jardin; défense de couper du bois (CMC 6, 2-6). Voici qu’un de ses coreligionnaires invite Mani a venir avec lui. IIs arrivent a l’endroit ow l’on peut se procurer du bois. Le compagnon grimpe sur un palmier. Ce dernier s’écrie: «Si tu écartes de nous la souffrance, tu ne mourras pas avec les meurtriers» (CM 7, 2-5). Saisi de frayeur, le compagnon de Mani se précipite sur le sol. Il se jette aux pieds de Mani et lui dit: «Je ne savais pas que ce mystére indicible est avec toi. Par qui te fut révélée la souffrance du palmier?»*®. Nous sommes en présence d’un texte-clé. Au sujet du mystére indicible et caché, touto to aporréton mystérion, il n’y a pas d’hésitation possible: c’est le mystére des parcelles lumineuses constituant l’4me du monde. La réponse de Mani l’identifie clairement: «Pourquoi as-tu pris peur et

8 CMC 6, 7-14 et 7, 1-15.

174

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MANICHAICUS

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as-tu changé de couleur quand le palmier t’a dit cela? Combien plus sera perturbé celui avec lequel parlera toute la végétation» (CMC 8, 1-7). Le compagnon de Mani est dans |’admiration et dit: «Garde ce mystere, ne le confie 4 personne afin que personne ne te supprime par jalousie» (CMC 9, 1-16). La suite du texte est consacrée au second précepte, a savoir les légumes du jardin. Apres une lacune malencontreuse, nous trouvons un mot important, anapausis, présent ailleurs dans le contexte du sceau des mains (CMC 102, 16; 128, 10). Mani refuse de prendre des légumes au jardin. Il désire les quémander comme on fait pour un don pieux, en logéi tés eusebeias. L’archégos lui demande le motif de son comportement. La réponse nous échappe a cause d’une lacune du texte (CMC 9, 1-16). La suite du texte parle de cri et de sang sous les coups de la faucille (CMC 10, 1-16). Malgré les lacunes, le sens du passage apparait: Mani ne refuse pas_les légumes; il refuse de les arracher. II] désire les recevoir comme un don précieux, ce don que font les catéchuménes de |’Eglise gnostique chargés de toute la préparation rituelle du repas des élus. Le double épisode du palmier et des légumes, relaté dés le début du CMC, prend une signification particuliére. I] est destiné 4 mettre en évidence la doctrine manichéenne de l’4me du monde, le Jesus patibilis selon Augustin, la croix de lumiére dont parlent les textes coptes. Le mot anapausis insiste sur le respect de la lumiére retenue prisonniére dans la matiére; car cette lumiére est divine; elle est partem Dei’. Ainsi, dés ses premiéres lignes, le CMC tente de cerner la premiére révélation communiquée au jeune Mani, au début de son initiation: le mystére dualiste. C’est le mystére fondamental, ineffable, communiqué aux initiés: le mystére de la lumiére retenue prisonniére par la matiére, le mystére de l’4me du monde, ce qui implique |’attitude de l’homme a son égard. C’est sur ce mystére que se greffe la doctrine des trois signacula. IV. LA CONTROVERSE MANI-ELCHASAITES

C’est dans la controverse entre Mani et les elchasaites au milieu desquels il vit, que va se préciser la théorie des signacula. Cette controverse est élaborée a l’aide de faits prodigieux relatés par Mani, mais qui ont trait aux origines de la fondation de la secte et a la vie méme d’Elchasai. Il s’agit de récits populaires qui circulaient peut-étre ° De moribus...

XVI, 39.

JULIEN RIES

175

dans les cercles de la premiére communauté manichéenne et devaient illustrer la discussion entre Mani et les elchasaites, présentée comme le lieu théologique dans lequel apparut, par opposition, la révélation gnostique. Par ailleurs, dans le récit de la controverse présentée par le CMC, sont présentes de nombreuses traces de la lutte de Mani contre les doctrines et contre les sectes baptistes. Le rédacteur du Codex manichéen a bien situé ces faits et ces prodiges dans le cadre de la communauté elchasaite. Leur valeur probante aux yeux de Mani et de ses disciples vient du fait qu’ils sont placés sous le patronage de trois grandes autorités: Elchasai luicméme (CMC 94, 2 a 97, 17); Sabbaios (CMC 97, 18 a 98, 8); Ajanos (CMC 98, 9 a 99, 9). Le contexte est manifestement celui de l’apologétique manichéenne et de la polémique contre les sectes et contre les Eglises baptistes.

1. Le refus du baptéme Accusé de rejeter les ablutions d’eau, Mani se défend en tablant sur la loi et sur les révélations transmises par Elchasai lui-méme. Un premier argument est tiré de la vie du fondateur: CMC 94, 10-24; 95, 1-14. Un jour, il a voulu se plonger dans |’eau. Il y voit la figure d’un homme qui lui déclare: «N’est-ce pas assez que tes animaux me blessent? Toi-méme tu me malménes et tu commets un crime contre mon eau». Etonné, Elchasai répond: «La prostitution, la saleté et V’impureté du monde sont jetées sur toi sans que tu ne l’empéches, mais tu t’attristes A cause de moi». L’apparition lui dit alors: «Il est possible que tous ceux-la n’ont pas reconnu qui je suis. Mais toi, pourquoi ne m’as-tu pas honoré alors que tu prétends €tre un adorateur (/atrés) et un juste (dikaios)?» Ce dialogue montre la différence entre l’interprétation elchasaite et l’interprétation manichéenne du baptisme. Aux yeux des elchasaites, eau est un élément divin qui, par le contact rituel, efface les péchés. Pour Mani, le contact rituel de l’eau provoque une blessure de |’Ame cosmique présente dans |’eau. Exprimée ici de fagon trés populaire, cette doctrine apparait dans le Kephalaion 101, 253-255 sous un vétement poétique et enrobée dans la symbolique des formes humaines, des formes des étoiles et des astres se réflétant dans l’eau. Mani y développe tout le symbolisme du T6chme-Sdétme, de l’Appel et de l’Ecoute,

opposant ainsi son interprétation gnostique du salut au rituel baptismal. Selon Mani, l’apparition de l’eikén d’un homme dans |’eau au moment ou l’homme se présente pour s’y plonger, montre la malice du péché

176

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contre l’Ame du monde, inhérente au rituel baptismal: le contact du corps matériel blesse l’A4me cosmique et lumineuse de l’eau. Aussi donne-t-il de cette image de l’homme dans l’eau une interprétation spirituelle, liée au mystérion pneumatikon de la gnose: elle doit s’interpréter selon l’Appel et l’Ecoute qui ont rendu la liberté a l’Homme Primordial retenu dans les Ténébres. En d’autres mots, le salut ne vient pas du baptéme rituel mais du message gnostique. Il y a deés lors opposition radicale entre l’elchasaisme et le manichéisme. Un théme identique est développé en CMC 95, 14b-24 et 96, 1-17 ot nous trouvons un second épisode de la vie d’Elchasai avec une nouvelle tentative d’ablution. 2. Le labourage de la terre: CMC 96, 18-22 et 97, 1-10

Elchasai vient de préparer des charrues en vue des labours. Mais voici que la terre se fait entendre. Elle pose la question: «Pourquoi tirez-vous de moi votre profit?» Elchasai ramasse de la poussiére de cette terre qui vient de parler; il la baise en pleurant; il la serre contre sa poitrine en disant: «Ceci est la chair et le sang de mon Seigneur». L’allusion a l’eucharistie chrétienne est claire: cet aspetct ne retient pas ici notre attention. Dans l’optique de notre étude, ce qui importe c’est le symbole sous-jacent a la réaction d’Elchasai: l’image de Jesus patibilis exprimée par la formule sarx kai aima tou kuriou mou. Il s’agit de lame du monde que risquent de blesser les travaux de la terre, ce qui explique le défense expresse de cultiver la terre faite aux élus manichéens. 3. La cuisson du pain

La mise en scéne du pain qui parle a Elchasai alors qu’on est en train de le cuire est fort breve: CMC 97, 11-17. Elle rappelle l’interdiction de la cuisson du pain édictée par le fondateur. Cependant, l’interpretation de ce texte doit se faire a la lumiére de la discussion 4 propos du pain, au début du synode: CMC 91, 19-23; 92, 1-23; 93, 1-23. Tirée d’un texte de Baraiés le Didascale, cette discussion porte une empreinte théologique prononcée. L’influence du NT est marquante. Mani répond a deux accusations: contrairement a la loi des elchasaites, il prétend manger du pain de froment et des légumes. Par Augustin nous savons

que les manichéens tenaient en haute estime le pain de froment!°, A 0 De moribus... XVI, 39.

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177

leurs yeux, froments, légumes, herbes potagéres, fleurs et fruits contenaient partem Dei. Se. basant sur le NT, Mani répond 4 ses contradicteurs que les disciples de Jésus ont accepté du pain et des légumes, offerts méme par des femmes et des idolatres. Ce qui est essentiel, c’est le don; ils se sont procuré leur nourriture ni par le travail de leurs mains ni par le labourage de la terre. Par ailleurs, Jésus a envoyé en mission ses disciples et ceux-ci n’avaient ni four a pain ni moulin. Ce qui signifie qu’ils recevaient leur pain par don. Il faut insister sur l’aspect du don lié au refus du travail manuel, . particuliérement du travail agricole. Le texte de Baraiés qui rapporte les propos de Mani a ce sujet, montre bien d’une part, que cet aspect de la doctrine gnostique est présent dans la pensée de Mani dés le début et d’autre part, que le fondement de la pratique du don, obligation essentielle des catéchuménes, est lié a la théorie de l’Ame du monde. Le refus du travail manuel a caractérisé l’Eglise de Mani. Les deux premiers

mots de l’édit de Dioclétien de 302 sont otia maxima''. Mis en évidence de pareille facon, ils constituent comme une formule lapidaire résumant la vie oisive des communautés manichéennes. Cette oisiveté a, pour une bonne part, motivé les mesures exceptionnelles de Dioclétien contre leur Eglise. 4.. La vente des léguimes En CMC 97, 18-23 et 98, 1-8, le baptiste Sabbaios intervient comme auteur d’une tentative de vente de légumes. Il est en route avec sa cargaison en vue de livrer sa marchandise au presbyter de la ville. Les légumes l’interpellent. «N’es-tu pas dikaios? N’es-tu pas katharos? Dés lors, pourquoi nous conduis-tu chez les impurs?». Les éditeurs du CMC font remarquer que dés les débuts du manichéisme, les vocables dikaios et katharos groupés, désignaient les élus. Par ailleurs, Augustin parle de l’interdiction manichéenne de faire des dons aux mendiants. «Vous défendez de donner a un mendiant qui n’est pas manichéen du pain, des

légumes ou méme la chose commune a tous, de l’eau, de peur que ses péchés ne souillent le membre de Dieu mélé a ces aliments et n’empé-

chent son retour» ”. 1 Dans

son

édit, Dioclétien

s’est opposé

avec

véhémence

a ces

pratiques

des

manichéens. Voir J. Ries, Sofériologie manichéenne et paganisme romain, dans U. BIANCHI et M.J. VERMASEREN, La soteriologia dei culti orientali nell’Impero Romano, Leiden, 1982, 762-777.

12 De moribus... XV, 36.

178

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MANICHAICUS

COLONIENSIS

5. Ajanos, le dattier et les voleurs Les éditeurs du CMC ont souligné la parenté de ce récit (CMC 98, 9-20; 99, 1-9) avec l’aventure de Mani au début de son séjour chez les elchasaites (CMC 6, 1-12 et 7, 1-15). Ici il s’agit de fruits; dans le récit antérieur, Mani et son compagnon sont 4a la recherche de bois. Il y a cependant une différence, car notre récit de la conversation démarque le récit évangélique du figuier stérile. Baptiste de Koché, Ajanos s’appréte a couper un dattier qui ne porte pas de fruits. Le dattier lui demande de le laisser en place, car ses dattes ont été enlevées par des voleurs. Il demande un sursis d’un an. En effet, durant l’année, il donnera plus de dattes que la quantité volée. Puis le dattier avertit le voleur: «Ne reviens plus voler mes fruits. Si tu revenais, je te ferais tomber d’en haut et tu mourrais» (CMC 94, 4-8). Ainsi se termine la relation des cing prodiges rapportés par Mani en vue de réfuter les doctrines elchasaites. Ces prodiges se sont manifestés a l’occasion d’attaques contre l’4me du monde menées par des elchasaites: ablution, agriculture, cuisson de pain, vente de légumes a des pécheurs, tentative d’abattage d’un dattier. Ces prodiges sont rapporté par Mani lors du synode convoqué par Sita, le prieur de la communauté elchasaite dans laquelle vivent le jeune Mani et son pére, mais de laquelle Mani se sépare de plus en plus. Dans la bouche de Mani, le récit de ces prodiges constitue la démonstration, en provenance de la tradition elchasaite elle-méme, de l’erreur fondamentale de l’elchasaisme qui rattache le salut au baptéme et aux ablutions. Les rites baptistes blessent l’4me du monde qui est l’objet du salut. Cela explique le rejet du baptéme comme moyen de salut. Seule la gnose peut sauver. De cette controverse ressort

l’importance d’une doctrine fondamentale de Mani: le salut de l’A4me du monde constituée des parcelles de Lumiére prisonniéres des Ténébres. V. L’AME

DU MONDE

ET LES TROIS SCEAUX

Notre recherche a pris en considération trois documents qui traitent des signacula: le compendium des Kephalaia, — texte de catéchése manichéenne; le De moribus manichaeorum d’ Augustin, traité polémique chrétien; le Codex Mani. 1. Ces trois documents montrent que le fondement de toute 1’éthique manichéenne exprimée par les trois signacula est la doctrine de l’4€me du monde, constituée de toute la Lumiére en provenance du combat cosmique des origines et retenue par les Ténébres aprés la

JULIEN RIES

179

défaite de l’Homme Primordial. Sur la doctrine du salut de l’4me du monde se greffent les trois signacula entre lesquels existent certains recoupements, spécialement entre le signaculum oris et le signaculum manuum. Ainsi, dans le De moribus, Augustin parle du bois et des branches, du froment, des légumes, des herbes potagéres, des fleurs, des fruits en XVI, 39 et 45, dans le contexte du sceau de la bouche puisqu’il s’agit de l’alimentation. Cependant, il en reparle en XVII, 57, 60 et 62 ou il est question du sceau des mains.

2. Il est légitime de poser la question de la hiérarchie des sceaux. L’ordre n’est pas identique dans les trois documents. Le Kephalaion, 80, 192, 6-13 regroupe les trois abstentions, les trois

sceaux, sous le vocable dikaiosuné, justice. Il s’agit d’une justice qui concerne les élus et les catéchuménes. Voici l’ordre des signacula: d’abord l’enkrateia et la pureté, donc le sceau du sein; ensuite la paix des mains; enfin le sceau de la bouche. Augustin nous présente l’ordre inverse: oris, manuum, sinus. C’est au sceau de la bouche qu’il s’arréte le plus, traitant longuement d’abord du blasphéme, ensuite de |’abstinence alimentaire. Le CMC semble davantage préoccupé par l’anapausis ou paix des mains, mais il ajoute une note sur le probléme alimentaire. Dans les trois documents, l’4me du monde occupe le centre de la scene. Seuls les développements sur le comportement du fidéle sont traités dans des perspectives différentes marquées par la longueur des

textes. 3. La perspective du Codex Mani De la lecture du CMC se dégage une donnée incontestable: l’importance de la doctrine relative a l’4me du monde. Le Codex situe cette doctrine aux origines de la pensée du jeune Mani. Dés les premiéres lignes, il est question du mystére caché et indicible, aporréton mysteérion. La premiére révélation recue par le Prophéte lui livre le secret du dualisme gnostique. Cette révélation va commander I’attitude du fidéle, Yanapausis t6n cheirén, le sceau des mains. Ce respect du mystéere se manifeste par deux faits: refus de couper des branches d’arbre, refus de prendre des légumes au jardin de la communaute. Mani est au début de l’initiation gnostique. La fin du Codex fait mention des premiéres prédications de Mani a la suite de sa rupture définitive avec la communauté elchasaite. Il y est question de l’enseignement des vérités gnostiques, ta tés gnoseds (CMC 128, 2-12). Nous avons le détail de ces vérités: l’anapausis ou sceau des

180

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MANICHAICUS

COLONIENSIS

mains; les commandements, tas entolas; la proskynésis devant les illuminateurs célestes. Ainsi, les premiéres prédications avaient comme objet l’Ame du monde et le sceau des mains, l’ensemble du comportement du fidéle et la priére. C’est le sceau des mains qui occupe la premiére place. Cette perspective est renforcée par |’analyse des prodiges relatés par Mani au début du synode et qui nous sont connus par les festimonia de Zachéas. Sans nul doute, le contexte est apologétique et polémique. Par une série d’arguments ad hominem, Mani répond aux accusations des elchasaites, démontrant l’inanité de leurs préceptes. Le point central de la démonstration est Ame du monde et l’anapausis t6n cheirén: refus des ablutions, de l’agriculture, de la cuisson du pain, de la vente des

légumes, de la cueillette des fruits. Toute la discussion débouche sur une conclusion capitale: la gnose est la seule voie de salut. Cependant, l’insistance sur l’anapausis ou sceau des mains est a mettre en paralléle avec le sceau de la bouche dont parle le texte de Baraiés le Didascale (CMC 91, 19-23; 92, 1-23; 93, 1-23). Si le récit des prodiges est une tranche de littérature populaire, les considérations de Baraiés par contre s’inspirent des Evangiles et de la pratique de Jésus: choix du pain de froment; repas de Jésus avec des femmes; acceptation du pain offert par des femmes, voire par des idolatres. Un fait est a souligner: tout cela provenait de dons car ni Jésus ni ses disciples n’ont travaillé la terre. Ainsi, le sceau de la bouche est, lui aussi, lié directement a la doctrine du respect de l’Ame du monde. CONCLUSIONS

Les rédacteurs du CMC ont rassemblé et utilisé des documents rédigés par des témoins directs de la fondation de |’Eglise de Mani. Ces testimonia relatent divers événements de la vie du futur Prophéte de Babylone au milieu d’une communauté elchasaite, dans laquelle il a recu sa premiere formation religieuse. La révélation transmise par étapes a Mani par un messager du Royaume de la Lumiére se présente comme une doctrine de salut opposée a |’elchasaisme. Les discussions entre Mani et ses coreligionnaires permettent de connaitre les éléments de sa pensée au moment ow il prend conscience de sa mission de formateur d’une religion universelle. Dans cette religion nouvelle, la doctrine centrale est la révélation du mystere caché et ineffable: l’4me du monde. II s’agit de la présence en ce monde de parcelles lumineuses et divines dont il faut assurer le salut. Aussi, la premiére attitude de l’-homme consiste dans le respect de ce

JULIEN

mystére de l’Ame vivante: d’ou

RIES

181

l’anapausis ou sceau des mains qui fait

éviter a cette Ame toute lésion ou injure. Une conséquence logique est la prohibition du travail agricole, de la cuisson du pain, du commerce des légumes, de |’abattage des arbres et de toute ablution d’eau. Le sceau de la bouche concerne I’alimentation. Le sceau du sein est a peine présent en filigrane dans le CMC. Cette religion du salut se fonde sur la connaissance du mystére ineffable. Dés lors, elle est une gnose dualiste qui rejette rites et rituels. Dés sa premiére révélation, Mani s’oppose au baptéme, aux ablutions des légumes, aux diverses pratiques de la communauté elchasaite: travail agricole, commerce, jardinage, travail de bicheron, fabrication du pain. Gnose opposée au rituel, la religion de Mani rejette le baptéme comme moyen de salut. La doctrine dualiste fondée sur l’4me du monde et la prohibition du travail ont besoin d’un complément indispensable: c’est V’obligation du don qui permettra a ceux que le CMC appelle Jatreus et dikaios, les élus, de subsister. Aussi, la création d’une communauté d’élus et de catéchuménes semble en projet chez Mani au moment ot il quitte les elchasaites.

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The Timing of Supernatural Events in the Cologne Mani Codex Albert HENnricus, Harvard University

As a work of religious literature the Cologne Mani Codex (CMC) conforms to no established genre in the extant corpus of Jewish, Christian or Gnostic writings; as an account of the life and travels of the founder of Manichaeism, it invites comparison with the Christian

Gospels

as well as the apocryphal

Acts

of the Apostles.

These

two

genres have contributed numerous facets, both large and small, to the various Manichaean traditions collected in the CMC. There can be no doubt that the CMC shares many of the main features of these Christian writings, most of which were available to Mani and his followers. On the whole, however, the differences far

outweigh the similarities. The exact relationship between the CMC and its Christian prototypes remains to be studied in depth. For our present purposes, there is no need for more than a summary outline, which will lead to my principal topic, a series of reflections on Mani’s concept of time.

Let us take the apocryphal Acts first. They contain fictitious accounts of missionary journeys of the disciples of Jesus. They are

invariably cast in the form of travel diaries in which descriptions of foreign countries and unforeseen adventures alternate with sermons, conversion stories and other edifying tales. More often than not, the geographical details are inaccurate or even fabricated. At first glance, the last part of the CMC is very similar. It describes Mani’s first mission, which leads him from Ktesiphon to Azerbaijan and perhaps to Armenia, then back to Babylonia and to Forat, one of the main ports of Mesene (MaiSan), whence he apparently goes by ship to India. At this

point, the text of the CMC shows several remarkable affinities with the

184

CODEX

description

of Thomas’

MANICHAICUS

departure

COLONIENSIS

for India in the Acts of Thomas,

according to which he sails from Jerusalem, which has no port, to Sandaruk/Andrapolis, an as yet unidentified city in northern India!. Compared to the apocryphal Acts, Mani’s itinerary as given in the CMC

inspires relative confidence, even though the narrative employs themes that seem remote from real life. The place names, however, are real and occur in such a regular order that Mani’s route can be followed on a map, which speaks for its authenticity. The reader has the impression that Mani is moving in the actual world of the Sassanian empire, and not in a realm of pure fiction. But the real world functions only as a stage on which the divine plan is enacted. The frequent appearances of the Syzygos, Mani’s celestial Twin, serve as a reminder that the supernatural is never very far away and that a higher order of events may impinge upon historical reality at any time. The relationship of the CMC to the New Testament is less straightforward. Mani counted Jesus as well as Paul among his predecessors. He derived his knowledge of them directly from Tatian’s version of the Gospels and from a selection of Paul’s letters. As a missionary he followed in the footsteps of Paul and surpassed him in ambition. But Mani’s imitation of Paul was not merely external. Through his conscious adaptation of Pauline concepts he became one of the very first interpreters of Paul*. Mani’s understanding of Jesus is infinitely more ' CMC 144-145 (ZPE 48, 1982, 36f.); Acts of Thomas (Greek text) 2-3. On Mani’s sojourn in India, in 242/243 A.D., and his return passage from Déb in the delta of the Indus river to Réw-Ardasihr in the Sassanian province of Pars (Persis) see W. Sunder-

mann,

«Zur friihen missionarischen

Wirksamkeit

Manis», Acta Orientalia Hungarica 24,

1971, 87-90, and Henrichs, Bulletin of the American Society of Papyrologists 16, 1979, 97-103. On the problems surrounding the identity and location of Sandaruk (according to

the Syriac version of the Acts of Thomas) or [LJevadpay/’AvdpanoAic (Greek versions) see A. Dihle, «Neues zur Thomas Tradition», Jahrbuch fiir Antike und Christentum 6, 1963, 54-70, esp. 59 = Antike und Orient. Gesammelte Aufsatze, Supplemente zu den

Sitzungsberichten der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, Phil.-hist. K1. 1983.2, Heidelberg 1984, 54-77, esp. 66. The Acts of Thomas, which are generally believed to have been composed in the first half of the third century A.D., show numerous affinities with Manichaean terminology and doctrine (cf. P. Nagel, «Die apokryphen Apostelakten des 2. und 3. Jahrhunderts in der manichdischen Literatur. Ein Beitrag zur Frage nach den

christlichen

Elementen

im

Manichdismus»,

in K.-W.

Tréger,

ed.,

Gnosis

und

Neues

Testament. Studien aus Religionswissenschaft und Theologie, Berlin 1973, 149-182, esp. 171f. and 178-181). Their relationship to the new Manichaean accounts of Mani’s missionary journey to India requires further study. It is not inconceivable, however, that the tradition of Thomas’ Indian mission, which is first attested in the Acts of Thomas and which reflects the earliest Christianization of northern India by the Syrian church, originated in reaction to the rival activities of Mani, who considered himself the Apostle of Jesus Christ. 2-H. D. Betz, «Paul in the Mani Biography» (in this volume).

ALBERT

HENRICHS

185

complicated than his approach to Paul. He differentiated sharply between the historical Jesus whose life and preaching are described in the Gospels, and several divine hypostases of the same name, who are key figures in Mani’s theology*®. It was the Jesus of the Gospels who provided Mani with a model according to which he and his disciples interpreted his own life. Several major episodes in Mani’s life narrated in the CMC are modeled directly on comparable accounts in the Gospels*. For this reason alone, the CMC is neither a biography nor a history book but, like the earlier Gospels, a specimen of devotional literature. As such it is more concerned with faith and beliefs than with history and facts. Far from offering a factual record of historical events, it presents an ideal picture of the life of god’s chosen spokesman against the background of constant divine intervention. From start to finish, the CMC is designed to promote the sublime interests of salvation history («Heilsgeschichte»), rather than to map the plain course of secular history («Geschichte»). In fact for the modern historian of Manichaeism the CMC is likely to prove a source of considerable embarrassment, despite the invaluable information it has brought us. With the help of the CMC, the earliest chapters in the life of Mani have now been rewritten by several scholars, most judiciously by Michel Tardieu*. Further attempts to reconstruct Mani’s career will doubtless follow. In the long run, however, our quest for the historical Mani is bound to be nearly as frustrating as the ongoing quest for the historical Jesus. There is one crucial difference,

however, the truth of which has

been confirmed more than once by the CMC. We are incomparably better informed about the chronology of the life of Mani, despite the large gaps in our knowledge, than about the life of Jesus. It is important to remember that Mani’s life was almost twice as

long as that of Jesus, and much more eventful. Mani’s mission alone occupied more years than Jesus’ entire lifespan. He traveled to distant lands, visited local shahs, and even came into contact with the Great

King himself, whom he followed into battle against the Romans. Unlike Jesus, Mani acted on a global scale and kept careful track of his activities. Confident of his special place in the religious history of

3 EB. Rose, Die manichdische Christologie, Studies in Oriental Religions 5, Wiesbaden

1979. 4 A. Henrichs and L. Koenen, ZPE 32, 1978, 120 ff. nn. 205, 216, 226, 255, 287, and 300; ZPE 44, 1981, 204, Index under «Imitatio Christi».

5 M. Tardieu, Le manichéisme, Paris 1981, 3-27.

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mankind, he created his own legend by preserving the story of his life for posterity. Much of the strictly biographical material gathered in the CMC bears Mani’s own stamp. Compared with the Gospels and with the multiple stages of redaction which separate them from the historical Jesus, the CMC represents a more direct and authentic tradition which goes back to the testimony of Mani’s immediate disciples or directly to Mani himself, whose works are quoted on several occasions®. The autobiographical component in the extant accounts of Mani’s life appears to be substantial, whereas it is nonexistent in the Jesus traditions. Thanks to Mani’s written statements about himself, we know the exact date of his birth and can date major religious developments in his life at least by the year in which they took place’. After his death in 276/77 A.D., his disciples recorded the hour, day, month and year in which he died, even though the actual year of his death is now lost ®. As we turn to Jesus, we notice a striking difference. Not a single event in his life can be dated with any accuracy. He reportedly lived for over 30 years, ° A. Henrichs, «Literary Criticism of the Cologne Mani Codex», in B. Layton (ed.), The Rediscovery of Gnosticism, Leiden 1981, II 724-733. 7 §. H. Taqizadeh and W. B. Henning, «The Dates of Mani’s Life,» Asia Major 6, 1957, 106-121 = W. B. Henning, Selected Papers II, Acta Iranica 6, Teheran/Liége 1977, 505-520; A. Henrichs and L. Koenen, ZPE 5, 1970, 116-132; L. Koenen, ZPE 8, 1971,

247-250. 8 The fullest information on the date of Mani’s death can be found in the Parthian text M 5569, 17ff.: (after a long lacuna) «...and it was under the rulership of [lacuna] sign of the zodiac, on the fourth of the month of Shahrevar, on the day of Shahrevar, on a Monday at the eleventh hour, in the province of Khuzistan and in the city of Belabad, when this Father of Light [i.e. Mani], full of power, was taken up to his own home of Light» (translated by J. P. Asmussen, Manichaean Literature, Persian Heritage Series 22, Delmar, New York 1975, 56). The year of his death must be reconstructed from various texts written in four different oriental languages and using as many different calendars. Not surprisingly, the most recent calculations have produced conflicting results. Taqizadeh

(preceding note) dated Mani’s death to February 26, 277 A.D.; O. Klima first suggested March 20, 276 (Archiv Orientalni 19, 1951, 393-403 and 22, 1954, 63-68; Manis Zeit und Leben, Prague 1962, 381f.) but settled later for March 3, 276 (Archiv Orientalni 34, 1966,

212-214); Henning (preceding note) preferred March 2, 274. Mani was born on Nisan 8, 527 of the Babylonian lunar calendar, which corresponds approximately to April 13/14, 216 in the Julian calendar. According to unanimous Manichaean tradition, which I see no reason to doubt, he was 60 years old when he died. Mani completed his sixtieth Babylonian year on or around April 11/12, 276, and would have been 61 on or around

March 31/April 1, 277. His death must have fallen between April 276 and April 277. (My calculation of Julian dates is based on H. H. Goldstine, New and Full Moons 1001 B.C. to A.D. 1651, Memoirs of the American Philosophical Society 94, Philadelphia 1973. Due allowance has been made for the variance between the astronomical new moon (conjunction) and the apparent new moon (as observed in Babylon). The variance for Babylon in spring time is about 20 hours according to E. J. Bickerman, Chronology of the Ancient World, Ithaca 1968, 18).

,

ALBERT HENRICHS

187

but neither the year of his birth nor that of his death is certain’. Had Jesus left written records as Mani did, we would be better informed about his life and his person. But he did not, which explains why the authors of the four Gospels are in many ways more familiar entities than Jesus himself.

II As long as we look mainly for religious substance and meaning in the lives of Jesus or Mani, it hardly matters how much or how little. we know about the chronological framework of their careers. But when it comes to the hard facts of their earthly existence, the difference in the actual state of our knowledge is significant and seems to suggest a more fundamental difference in their personalities, outlook and self-understanding. Mani has been aptly called «a man with a daemon» 20 won account of his celestial Twin or Syzygos who accompanied him like a true guardian angel and gave him instant spiritual access to that divine

world

from

which

he himself

had

come

and

to which

he would

eventually return. If Mani was an expert in the art of communication with the supernatural, he was equally well aware of the need to deal with the powers of this world. Compared to earlier religious leaders, he possessed an unusually keen sense of history and of his own place in it. The trouble which he took with the recording of precise dates and

careful itineraries is but one measure of this particular awareness. The universal

concept

of his mission

as a whole,

in spatial as well as in

temporal terms, is another 11 He considered himself the ultimate Apostle, thus concluding the long series of divine messengers which reached back to the beginning of the world. Unlike his predecessors, he had been sent to bring final salvation to every country and every person on earth. Once his mission was completed, the world would soon come to an end, the Last Judgment would divide the righteous from the sinners,

° On the problems surrounding the year of Jesus’ birth see R. E. Brown, The Birth of the Messiah, New York 1977, 166-167 and 547-555. The year of Jesus’ death was never recorded; H. Koester, Introduction to the New Testament, Philadelphia 1982, Il 76 sums

up our ignorance: «It is certain, however, that Jesus was arrested while in Jerusalem for the Passover, probably in the year 30, and that he was executed».

10 p. Brown, Religion and Society in the Age of Saint Augustine, London and 101.

1! Tardieu (above, n. 5) 19-27.

1972, 99

188

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MANICHAICUS

COLONIENSIS

and the original separation of Light and Darkness would be restored for all eternity. Mani’s concept of time and history is clearly very different from ours, and from that of many of his contemporaries. In Mani’s eyes, time was not what it is for most of us, either a linear process without a definite beginning, without a predictable end and without inherent purpose, or a convenient measure of man’s progress through history. Time as Mani recognized it did have a known beginning as well as a foreseeable end, both of which lay outside the regular course of history. History as we know it was, in Manichaean perspective, merely a painful circular road on which Light would return to its original timeless beginnings. Mani’s own life was a brief but instrumental episode in the history of salvation. Every day in Mani’s life that did not contribute to the separation of Light from Matter was discounted as a non-event. Conversely, every event which speeded up the work of redemption was remembered as a red-letter day. Secular history, common chronology and even the day-to-day course of Mani’s own life were seen by him as merely ancillary to the over-arching rhythm of the on-going battle between Light and Darkness, which was approaching its final resolution. He would use traditional categories of time and time-reckoning whenever they served a higher purpose. But when they did not, he would ignore them altogether and substitute other concepts of time which were either peculiar to his own system of beliefs or adapted from earlier religious tradition. Other Gnostics had preceded Mani in offering equally drastic reinterpretations of conventional concepts of time. Any religion that postulates a perfect state of things in the distant past in order to promise future salvation at the expense of the present will find itself in the same situation. The usual Gnostic solution is to become completely indifferent to the present world and to one’s own place in secular history '*. This indifference explains, I believe, why we are so ill-infor'2 H.-C. Puech, «La Gnose et le temps», Eranos-Jahrbuch 20, 1951, Ziirich 1952, 57-113 = En quéte de la Gnose, I, Paris 1978, 215-270, esp. 110 = 267: «Dans toutes ses manifestations, l’esprit gnostique tend de la sorte a nier le temps ou, tout au moins, a s’en passer et a le dépasser. Mis en présence d’éléments historiques, il les raméne spontanément a de l’intemporel ou, plus exactement, a du mythique». Of all the students of Manichaeism, only Hans Jonas recognized that Mani and his followers paid more attention to secular time than any other Gnostics (Gnosis und spatantiker Geist, I, 3rd ed., Gdttingen 1964, 304): «Allerdings hat gerade der Manichdismus mehr als andere gnostische Systeme den Weg gegenstandlich-kausaler Konstruktion im Horizont der dusseren Zeit beschritten, d. h. mit einer transitorischen Folge des Friiher und Spater, so dass das Jetzt des

ALBERT

HENRICHS

189

med about the actual lives of leading Gnostics. Even of such prominent figures as Basilides, Marcion and Valentinus, we know at the most under which emperors they lived. It is just as symptomatic of the Gnostic indifference to secular time that the whole Nag Hammadi Library does not seem to contain a single reference to an historical date. The history of Gnosticism appears in retrospect more like a history of ideas and systems of thought than one that was composed of individual careers and lives. Why is it that Mani emerges as the only exception? The CMC suggests an answer to this question by revealing some of the conditions of his exceptional historicity. Its use of biographical material is highly selective and its presentation very calculated. The selection as such and the bias which it reflects explain why Mani, unlike his various predecessors, remains such a clearly delineated historical figure to the present day. He himself and those of his followers who recorded the main episodes of his life managed to subordinate the historical circumstances of his individual existence to the cosmic time frame of universal salvation without obliterating his essential traits or the major facts of his life. I suggest that they owe much of their success to their systematic manipulation of different concepts of time. If I am right, a preliminary analysis of these concepts will serve as a first step towards a better understanding of Mani’s historical as well as religious personality. Neither the Manichaean tradition nor modern scholarship has produced a terminology that would be up to the task. It is easy enough to create a set of suitable terms. But to determine the specific Manichaean connotation of each of the adopted terms will be more difficult. Obviously one has to do both. I propose to use the following five terms, which I will explain in due course: cosmic time, historical time and biographical time on the one hand, and soteriological as well as aretalogical time on the other hand. I have arranged these terms deliberately in two separate categories to account for the fact that the Manichaean perception of time is two-dimensional, as we shall see presently. The suggested classification is still tentative and must be tested and substantiated with recourse to the extant corpus of Manichaean writings. For now I will rest my case as much as possible on the new evidence of the CMC. This means that my documentation will be incomplete. Even so, I hope to convey an accurate impression of the

Menschen in «dieser» Weltzeit auf der kontinuierlichen Fortsetzung «jener» Urzeit liegt, bei aller Entfernung doch in derselben Zeitebene und nur durch die dazwischenliegende Dauer von ihr getrennt».

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MANICHAICUS

COLONIENSIS

conceptual complexity and structural symmetry of the Manichaean response to the problem of time. The Manichaean system of thought is at once the most elaborate and the most perplexing product of late-antique Gnosticism. Its abundant use of numerical series, of analogies and of symmetrical permutations gives it a mathematical as well as a visual character. Its more intricate aspects are, therefore, easier to understand when laid out graphically. Mani himself is the author of a picture book called Eixav. In the interest of clarity, I will follow his example and use diagrams to

illustrate my comments 7%. Ill The first diagram (see p. 191) illustrates the most fundamental doctrine of Manichaeism, which amounts to a dualistic definition: of cosmic time and space. Space is defined by the two Principles of Good and Evil, or Light and Darkness, and their opposite locations. Time is perceived as a linear progression from one fixed point of reference to another, or in other words, as a horizontal line. I refer to this horizontal time line as cosmic time. The two fixed points connected by this line correspond to the past and future separation of the Two Principles. The interval between these two points is the present mixture of Light and Darkness, which is the result of a vertical movement of the Two Principles towards each other. The so-called Three Times thus correspond to the three periods of time before, during and after the mixture. This particular explanation is offered by several Manichaean texts of eastern

provenance *. So far it has not been found in any of the western texts, which explain the Three Times differently. In his anti-Manichaean writings Augustine takes frequent aim at the

'3 | gratefully acknowledge the help of Miss Susan Boland, who designed the lay-out of these diagrams on a Macintosh computer screen, and of Mr. Gary Bisbee, who drafted the final copy.

‘4 For a complete collection of the evidence, see H.-C. Puech, Le manichéisme.

Son

fondateur, sa doctrine, Paris 1949, 157-159 n. 284. The explanation of the Three Times in

the Uighur Khvastvanift is typical: «We know the light principle, the Realm of God, (and) the dark principle, the Realm of Hell. And (1) we know what existed previously, when there was no earth and heaven, (2) we know why God and the Devil were fighting, how Light and Darkness were commingled, (and) who created earth and heaven, and finally (3) we know why earth and heaven (once) will cease existing, how Light and Darkness will be separated, (and) what then will be (happen)». I have reproduced the translation of Asmussen,

Manichaean

Literature (above, n. 8) 73.

ALBERT

HENRICHS

191

duo principia, or duae naturae, and at the three stages of their conflict,

which he calls initium, argument

medium

and finis'*. At one point in the

he refers to the Three Times

in disparaging terms

as «the

I. Two Natures and Three Times

LIGHT

FUTURE SEPARATION

PAST SEPARATION

cosmic

time

DARKNESS

battle of God, the defilement of God, and the condemnation of God», thus describing the extremely passive role of the divine Light in its effort

to keep the forces of Darkness at bay 16 His description implies that in

15 F Decret, L’Afrique manichéenne (IV¢ - V¢ siécles). Etude historique et doctrinale,

Paris 1978, II 229f. n. 160 has collected the relevant passages.

16 C, Faustum 28,5 (CSEL 25, 743). The only other passage in which Augustine explains the substance of the Three Times is C. Faustum 13,6 (CSEL 25,384), where he describes the initium as the battle between God and the gens tenebrarum, the medium as the «purification» of God (understood as the imprisoned Light) through the digestive efforts of the elect (cuius membra in pomis et oleribus manducando et digerendo conteritis, ut purgetis), and the finis as the miserable fate of the remaining particles of Light which are condemned to perpetual imprisonment in the globus tenebrarum (i.e. the notorious B@Ao0c, on which see A.V.W. Jackson, «The Doctrine of the Bolos in Manichae-

an Eschatology», Journal of the American Oriental Society 58, 1938, 225-234, and F. Decret, «Le ‘globus horribilis’ dans l’eschatologie manichéenne d’apreés les traités de saint Augustin», in Mélanges d’histoire des religions offerts A Henri-Charles Puech, Paris 1974, 487-492). Augustine’s two explanations are thus perfectly consistent. His polemical bias, however, is reflected in the fact that he oversimplifies the Manichaean doctrine by reducing the Manichaean concept of God to the Light commingled with Matter (thus ignoring other manifestations of the divine Light) and by depicting the third and last

192

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the beginning of time, long before this world was constituted, the two Natures became involved in a conflict; that their confrontation continues throughout the middle period of their present mixture; and that such confrontation will be resolved only at the end of time in the Last Judgment, which leads to their final separation. Augustine clearly views the Three Times as three consecutive phases within the long process of hostile interaction between the Two Natures. Their actual separation before and after their mixture is completely ignored. By contrast, the Manichaean texts from the East define the Three Times as the original separation, the present mixture and the ultimate separation of the Two Natures, thus reducing Augustine’s three periods to the single intermediate period of mixture!’. Did Augustine misrepresent the authentic Manichaean teaching, either because he did not know better, or for polemical reasons? Only Decret thought so, and he was mistaken '®. Augustine’s description of the Three Times overlaps to a large extent with a similar description found in the Coptic

Kephalaia'®. The accuracy of Augustine’s information is therefore beyond doubt. According to the Kephalaia, the first of the Three Times comprises the initial descent and eventual return of the First Man, the first direct contact between the realm of Light and the realm of Darkness *°. The Second Time includes the protective measures taken by the Living Spirit and the Mother of the Living, which culminated in the creation of the material world as a mechanism for the salvation of the Light imprisoned in Matter ?’. The Third Time is the actual process of salvation, which began with the gnostic awakening of Adam, the first human being born from sexual intercourse, and which will end at the

phase as an imprisonment of Light, whereas the Manichaeans themselves regarded it as the ultimate imprisonment of Matter and salvation of Light. '7 With the exception of Peter Nagel (below, n. 19), recent interpreters of Manichaeism invariably follow the eastern definition of the Three Times (above, n. 14) and ignore the different interpretation in Augustine and the Kephalaia (published in 1940). '8 Decret, l Afrique manichéenne II 230 n. 160, and Aspects du manichéisme dans Afrique romaine. Les controverses de Fortunatus, Faustus et Felix avec saint Augustin,

Paris 1970, 260. ? P. Nagel, «Bemerkungen zum manichdischen Zeit- und Geschichtsverstandnis», in P. Nagel (ed.), Studia Coptica, Berliner Byzantinistische Arbeiten 45, Berlin 1974, 201-214

(esp. 205-207) saw that Augustine’s references to the «Drei-Zeiten-Formel» must be understood in light of the definition given in chapter XVII of the Kephalaia (summarized below). But he overlooked the two key passages, C. Faustum 13,6 and 28,5 (above, n. 16), which confirm his point.

20 Keph. 55,25-56,6.

71 Keph. 56, 7-14.

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consummation

HENRICHS

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of time with the ultimate return of the remaining Light

to its divine source’. The Kephalaia and Augustine are in virtual agreement when they interpret the history of salvation solely in terms of the direct interaction between Light and Darkness. Augustine’s description of the Three Times is a simplified and demythologized version of the more technical description offered in the Kephalaia. Both versions emphasize the actual battleground, that is, the realm of mixture, but ignore the two inactive periods of separation which precede and follow the intermediate period of mixture. The mixture was the critical phase, without which neither the need nor the opportunity for salvation would have existed. It is tempting to conclude that Manichaean communities in the Roman Empire, whose members practiced their faith in a hostile environment, tended to emphasize the actual battle between the Two Natures, whereas their brethren in the East attached equal or greater importance to the serene state of detachment — the Manichaean equivalent of nirvana — before and after the mixture. Mani’s own position in this matter is not at all clear, even after the publication of the CMC. According to the CMC, Mani refused to reveal to the baptists anything «of what happened or of what will happen» (26,1-2). This phrase, which is also found in the Kephalaia, must be an abbreviated

reference to the Three Times 7*. But which particular aspect of the past or future is meant? If interpreted according to the eastern model, the phrase must refer to the two states of separation before and after the mixture. According to the western model, however, td yevOweva and ta yevnoopeva must be the beginning and end of the intermediate period, that is, the first and last stage of the mixture itself. There is no way of telling which interpretation is correct. The CMC is much more explicit on the corresponding doctrine of the Two Principles. In one of his conversion stories, Mani reports that he «revealed the separation of the Two Natures» (CMC 132, 12-13 thv

Sidotacw

[tav Svo0] mvoewv) to the local king and his court**. Guy

22 Keph. 56, 15-29. 23 Keph. 15, 19-20: «everything which has happened and which will happen was revealed to me» and 73, 27-28: «(revelation) concerning that which has happened and which will happen»; CMC 66, 12-15 (from Mani’s Gospel): «all things which are

(yeyovota) and which will be (yevnoépeva) exist through his power».

24 On the Syriac, Greek and Latin terminology for the Two Natures, see E. Beck, Polemik gegen Mani und die Manichder im Rahmen der zeitgendssischen

Ephrams

griechischen Polemik und der des Augustinus, Corpus Scriptorum Christianorum Orienta-

lium 391, Subsidia 55, Louvain 1978, 25-66 (a useful discussion, even though Beck ignores

194

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Stroumsa has argued in a recent article on the structure of Manichaean dualism that the CMC makes no mention of the principle of evil >. This is not true. Several passages describe the separation of the Two Principles, either directly as the «separation of Light from Darkness» (CMC 84, 12-13 ym@piopdocg MwTds aNd OKdTOVG) or indirectly by substituting other pairs of opposites for the Two Natures proper. In one of these passages (CMC 108, 9-12), the personification of the evil principle is explicitly referred to as «the Fiend». Mani explains that he came into this world in order to separate the «Sons of the Kingdom» from the «Sons of the Fiend» (tod dvopEvods naidec). This «Fiend» is no ordinary devil. He corresponds to the «King of Darkness» of Manichaean myth, whose five sons joined their father in his assault on the

Light *°. II. Present Mixture LIGHT

ME

y

Y Y

N ss ii

Creati reation

Cyclic Incarnation

I

ie}

;

=

Ill

N

Last Judgment

First Man—»Adam- Apostles of Light

MIXTURE

——5

Uj

pico

Mani => J

eee ne

the

Splend

nO” SEPARATION

Eschatology

I N T

B

U S I ie) N

.

Myth

DARKNESS

the original Manichaean sources as well as recent scholarship). The two standard terms, which are used interchangeably, are @voelg (naturae, in Syriac k*yanin) and apyat (principia, réSénw4té).

5 G. Stroumsa, «K6nig und Schwein. Zur Struktur des manichdis chen Dualismus»,

in J. Taubes (ed.), Gnosis und Politik, Paderborn

1984, 141-153, esp. 143.

*° The fullest account of this myth can be found in Theodore bar Khoni’s Book of

ALBERT

HENRICHS

195

The CMC is not a catechism of the Manichaean faith, the principal tenets of which are taken for granted rather than explained. As a life of Mani, the CMC is naturally most informative on the second of the Three Times, that is, the period of the present mixture, within which Mani’s life falls. The second diagram illustrates this period. Before we take a closer look at it, I should point out that the second diagram is a magnified version of the shaded area of the first diagram. In fact each of the diagrams II-IV is an enlargement of the shaded area of the preceding diagram. As we proceed, we narrow our focus and adjust our sight to increasingly smaller segments of the cosmic time line, until we reach the lifetime of Mani in the last diagram. Mani believed that the time which elapsed between the beginning of the mixture and its end was getting progressively shorter as the amount of Light imprisoned in Matter diminished 27 The second diagram reflects this shrinking process. In addition, it illustrates my own division of the period of mixture into three stages, which largely correspond to the modern categories of myth, history and eschatology. These three stages overlap with the Three Times as defined in the Kephalaia or by Augustine, without being completely identical with them. Nothing is known about the relative length of the first stage, which receives but scant attention in the CMC. A reference to it can be easily recognized in

the phrase

«good

first Right

Hand»

(CMC

19, 6-7 TpOtH

dSs&ua

aya0n), which recalls the Manichaean myth of salvation®*. «First» is

here used in the sense ‘of primeval. The mythical pattern of salvation is repeated time and again throughout the whole length of the second stage, to which I refer as historical time and which covers the long time

span from the birth of Adam to the completion of Mani’s mission by his church after his death. Although this second stage is defined strictly in terms of salvation history, it also includes the entire course of secular

history as far as Mani knew it. The third stage marks the final moment

Scholia, translated and commented on by A.V.W. Jackson, Researches in Manichaeism, New York 1932, 221-254. On the Manichaean conception of the «Evil One» (bi84) see Beck (above, n. 24) 45-51.

27 Keph. 144, 14 - 147, 20.

28 Henrichs and Koenen in ZPE 19, 1975, 21 n. 46, where the closest Manichaean

parallel, 7 SeGia tod toc, in Acta Archelai 5, 1 (p. 6,1 Beeson, cf. p. 10,14 and 11,2) and in the Acts of Thomas 48 (p. 164, 12f. Bonnet), should be added. For the mythical background and its realization in Manichaean cult practice see C. Rémer, «Mani, der neue Urmensch» (in this volume).

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in the process of salvation and leads to the ultimate separation of Light and Darkness. Manichaean eschatology lies outside the scope of the

CMC 2. But as I have mentioned already, it is possible that the second

half of the phrase «what happened and what will happen» envisages this last stage.

IV

In addition to the horizontal line of cosmic time with its three subdivisions, the Manichaeans also recognized a vertical time line which measures the supernatural rhythm of the activities of Light and Darkness, as the Two Principles emanate from above or intrude from below into this world. The original intrusion of Darkness into the realm of

Light did not succeed *°. It was stopped well within the mythical period and before the dawn of history, that is, history in our sense. But the damage to the Light had been done, and the world of mixture was created as a borderland separating the two realms. While the intrusion of Darkness was a one-time affair, divine emanations from the realm of Light continued to arrive in this world in the form of successive redeemers or Apostles of Light, of whom Mani was the last. The combination of the vertical and the horizontal time lines constitutes the two-dimensional concept of time shared by the Manichaeans with many other religions which believe in divine revelation. What makes the Manichaean use of this concept so special is the singlemindedness with which the vertical time is brought into play again and again to account for the exceptional status of Mani. The last two diagrams illustrate the Manichaean variations of the vertical time line. It is here that the CMC makes its most important contribution. Diagram III illustrates the effect of vertical upon horizontal time during the second period of cosmic time. In other words, it traces the

22 See G. Stroumsa, «Aspects de l’eschatologie manichéenne», Revue de Vhistoire des religions 198, 1981, 163-181; L. Koenen, «Manichaean Apocalypticism at the Crossroads of Iranian, Egyptian, Jewish and Christian Thought»

(in this volume).

30 The powers of Light surrendered part of their substance voluntarily in order to control the encroachment of Darkness.

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197

III. Cyclic Incarnation

LIGHT- NOUS

eta ZO Apostles

of Light

Adam Buddha Zarathustra

Jesus

Paul

Wi;

Li

historical time

soteriological time

transformation of history into salvation history. The most significant events in the history of salvation take place whenever these two time lines intersect. For this reason I refer to this particular manifestation of vertical time as soteriological time. As in the second diagram, the vertical line marks the points of time when the divine will decides to speed up the process of salvation by sending its messengers into the world. Their missions correspond to the divine emanations of the mythical period. By his own reckoning Mani stood at the end of a long succession of divine messengers of whom Adam and some of his descendants had been the first. It is fitting that the list of Mani’s predecessors, which has received much attention in modern scholarship,

should begin with the names of six biblical patriarchs *’. For it is well known that Mani derived his concept of periodic revelation from Jewish Christian tradition. But Mani broke emphatically with this tradition when he added Buddha, Zarathustra, Jesus and Paul to the list. What is more, he claimed that this whole line of succession culminated in his own person, a claim which made him the sole heir to all previous 3! The fullest discussion of the various lists of Mani’s predecessors can be found in Puech (above, n. 14) 144f. n. 241, Tardieu (above, n. 5) 20-24, and Henrichs, «Mani and the Babylonian Baptists», Harvard Studies in Classical Philology 77, 1973, 25f., 30f., 53

n. 111, and 54f.

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religions 3. By placing himself in a key position at the final intersection of the soteriological and historical time lines, Mani suggested, in effect, that there was no need for further revelation and that the history of religions had run its course. If Mani is the last incarnation of the Apostles of Light, his life and mission derive their religious confirmation from the very existence of his predecessors. It would be surprising if such an important aspect of Mani’s self-understanding had not left its imprint on his biography. One of the most interesting and substantive sections of the CMC contains a detailed discussion of cyclic revelation which fills over two dozen manuscript pages and in which this concept is used to defend the legitimacy and authenticity of Mani’s revelations against the charge that

his disciples had made them up**. The defense is supported by a series of quotations from various books of revelation written by some of the very apostles whom Mani had claimed as his predecessors. The list in the CMC includes Adam, Seth, Enosh, Sem, Henoch and Paul, who is followed by Mani himself. The combined weight of these texts is impressive, even though all but two of the authors did not write the revelations ascribed to them. It is not so much the glaring discrepancy between pseudepigraphical and genuine works that is of interest in this

comparison of Jewish, Christian and Manichaean revelation texts. A major difference emerges when we compare the various divine sources from which the real or alleged authors of these texts received their revelations. The five Old Testament patriarchs received their apocalypses

from angels**. Paul gives Jesus Christ and God the Father as his source >>, Mani’s case is more complex. Jewish or the Pauline mechanism

Instead of adopting either the

of revelation, he has combined both.

32 The two principal passages, from Mani’s Shabuhragan, are reprinted in A. Adam, Texte zum

Manichdismus,

Kleine Texte

175, 2nd ed., Berlin 1969, 5-7.

33 CMC 45, 1 - 72, 1. References to periodic revelation are frequent in the CMC (17, 4-7; 39, 1-2; 45, 5-7; and 47, 9-11). The most explicit descriptions of this concept occur in CMC 48, 8-11 (cig Exactosg Kata tiv TEpiodsov Kai TEpIPOPaV TiC ANOGTOATS adtOd), and in one of the new fragments from the Shabuhragan edited by D. N. MacKenzie, Bulletin of the School of Oriental and African Studies, University of London, 42, 1979, 500-534 (lines 17ff., about XradeSahr, one of the primeval divine emanations, «who first [gave] that male creation, the original First Man, wisdom and knowledge, and (who) afterwards from time to time and from [age] to age sent wisdom and knowledge to mankind»). On the concept of cyclic revelation outside Manichaeism see Henrichs and Koenen, ZPE

32, 1978, 152f. n. 219.

34 CMC°49,

3ff., 50, 11ff., 53, 19f, 56, 12ff., and 58, 20ff. 35 2 Cor. 12, 2-5 and Gal. 1,1 and 1,11-12 as quoted in CMC 60, 13ff.

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Mani claims repeatedly in the CMC that he received his revelation from God who sent him the Syzygos, who is at the same time God’s messenger and Mani’s personal angel °°. The Syzygos is a mirror image of Mani and stands in the same relationship to Mani as Mani himself stands to the world. As Mani has came into the world to save the Light,

so the Syzygos descends from heaven at regular intervals to protect Mani and to assist him in his mission. The role of the Syzygos in Mani’s life is the subject of the fourth and last diagram, which introduces two additional time concepts. On the horizontal scale, biographical time is the segment of historical time which coincides with Mani’s life. On the vertical scale, aretalogical time IV. Mani’s apostleship LIGHT- NOUS

Epiphanies

BIRTH

ef

A.D. 216 Infancy |Childhood

YEAR

(A.D)

4 (220)

ai

DEATH —® biogra-

D276 OF phical

Adulthood

12 (228)

59 (2)

24 (240)

ee ey NC om Life in Baptist

Sect

Missionary

Journeys

aretalogical time

36 Henrichs and Koenen, ZPE 5, 1970, 161-189; G. Sfameni Gasparro, «Tradizione e nuova creazione religiosa nel manicheismo: il syzygos e la missione profetica di Mani» (in this volume).

200

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is a particular function of soteriological time and marks the moments when the Syzygos makes his appearance. Two of these appearances were particularly conspicuous. They are known as Mani’s first and second revelation, which he received at age 12 and 24 respectively, according to

his own statements in the CMC and elsewhere *’. He dated each of these revelations by day, month and year, the same way he dated his birth. In keeping with common practice he used more than one chronological system and gave the years of both the Babylonian era and the reigning

Sassanian king**. That Mani should have dated his major revelations

was to be expected. The dating of visions and revelations was well blished in Jewish prophetic and apocalyptic literature, a practice which Mani must have been familiar *’. Less conventional and of cial biographical interest is Mani’s dating of his revelations by the of his life, as well as by regnal years and eras be

37 Henrichs and Koenen,

ZPE

5, 1970, 119-131; W. Sundermann,

estawith espeyears

Mitteliranische

manichdische Texte kirchengeschichtlichen Inhalts, Berliner Turfantexte XI, Berlin 1981, 18-19, and «Mani’s Revelations in the Cologne Mani Codex and in Other Sources» (in this volume). In the latter discussion, Sundermann

argues that Mani’s second revelation at the

age of 24 is the definitive event, whereas his earlier revelation at the age of 12 is a secondary construct propagated by Mani in his Shabuhragan (below, n. 38). I find this theory implausible, but lack space to present my objections here. My present argument is not affected by Sundermann’s theory, which assumes, as I do, that the tradition of both revelations originated with Mani himself.

38 The fullest date outside the CMC is that of Mani’s first revelation, given in his Shabuhragan and reported by al-Birtint (Chronologie orientalischer Vélker von Albériini, ed. E. Sachau, Leipzig 1878, pp. 118, 17-19 and 208, 10-11; I follow Sundermann’s translation [preceding note]): «The revelation came to him when he was 13 years old, in the year 539 of the era of the Babylonian astronomers and in the third year of the King of Kings Arda’ir». For Syriac examples of the combined dating by the Babylonian lunar calendar as well as by regnal years see R. Kébert, ZPE 8, 1971, 245-247. 39 Isa. 6,1 (regnal year); Jer. 1, 2-3 (regnal year, month); Eze. 1, 1-2 (thirtieth year [of his life], month, day, year of exile), 8, 1 (year of exile, month, day), 40,1 (year of exile, month, day, year of the era of the fall of Jerusalem); Zech. 1,1 (month, regnal year), 1,7 (day, month, regnal year); Dan. 7,1, 8,1 and 9,1 (regnal year), 10, 1-4 (regnal year, day, month); 4 Ezra 3,1 (year of the era of the fall of Jerusalem); 2 Baruch 1,1 (regnal year). Cf. K. Baltzer, Die Biographie der Propheten, Neukirchen-Vluyn 1975, 23, 108f., 120f., and 129 (with bibliography). The same method of dating was adopted by the

authors of Christian and Gnostic apocalypses: Asc. Isa. 6,1 (regnal year); Apocalypse of Paul 1 (consulship); Apocalypse of Adam CG V 64,4 («in the seven hundredth year [of his life]»); Apocalypse of Peter CG VII 70,15 («in the three hundredth year of the Covenant»); Apocalypse of Enos CMC

52, 10-11 (year and month of unspecified era).

4° The closest parallel is Eze. 1,1-2 (preceding note).

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V Yet Mani’s ultimate purpose cannot have been autobiographical. His real intention will emerge from an examination of his date for the second revelation as given in the CMC. The full date reads as follows (CMC 18, 1-5): (1) [When] I was twenty[-four] years old, (2) [in] the year in which Dariardaxar, the King of Persia, subdued the city of Hatra, also in which his son Sapores, the King, crowned himself with the great diadem, in the month of Pharmouthi, on the eighth day of the lunar calendar, (3) the most blessed Lord was greatly moved with compassion for me, called me into his grace, (4) and immediately sent to me [from there my] Twin. The date given by Mani is extremely meticulous and falls into four separate parts. The first two parts date the time of the revelation on the horizontal time scale with reference to his age (= biographical time) as well as to the co-regency of the Sassanian kings Ardashir and Shapur (= historical time)*’. This date serves as a frame of reference for the two supernatural events described in the next two parts, which represent the vertical time line of divine intervention. In the third part, God makes his decision to intervene in Mani’s life by sending the Syzygos, which is carried out in the fourth part. The soteriological decision ex-

pressed in the third part occurs elsewhere in the CMC

in a temporal

clause setting the time for the appearance of the Syzygos*”. There are three such examples, of which I quote the third (CMC

69, 9-15):

(1=3) When my Father was pleased (nvd6Knoev) and showing compassion and care for me, (2=4) he sent out from there my most unfailing Twin.

41 The importance of this passage for early Sassanian chronology has been discussed by M.-L. Chaumont, «Corégence et avénement de Shahpur 1°», in Ph. Gignoux and A. — Tafazzoli (eds.), Mémorial Jean de Menasce, Louvain 1974, 133-147; K. Mosig-Walburg, . «Bisher nicht beachtete Miinzen Sapirs I.», Boreas 3, 1980, 117-126; R. Altheim-Stiel, «Die Zeitangaben der mittelpersischen Dipinti in der einstigen Synagoge zu Dura-Europos», Boreas 5, 1982, 152-159; R. N. Frye, The History of Ancient Iran, Handbuch der Altertumswissenschaft III 7, Munich 1984, 292-295.

42 Apart from CMC

69, 9-15, see CMC

19,8-17 and 64,15-65,12.

202

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COLONIENSIS

Here and elswhere in the CMC, the soteriological time of divine intervention is described in direct imitation of Paul’s Epistle to the Galatians as a time when god was moved to action by his own good will (ed5oxia), and saved Mani by sending the Syzygos 43. The comparison between these two parallel passages shows that soteriological time always takes precedence over historical or biographical time. The fact that god reached a soteriological decision at one time or another is more important than its exact chronological fixation, which is only of secular

interest and which is often suppressed. The dates for Mani’s birth and first revelation come from fragments of his Shabuhragan, which was composed in Middle Persian for an audience of non-believers“*. The full date for his second revelation occurs only in the preceding passage of the CMC, where it is part of an unidentified quotation from one of Mani’s lost works. Perhaps this date derives ultimately from the Shabuhragan as well. It is apparent that only the most significant events of Mani’s life are dated exhaustively, whereas lesser events are usually dated less elaborately with reference to the years or periods of his life.

The CMC preserves several simple dates of this type*°. God’s decisions result in instantaneous action: he sends out the Syzygos «immediately» (CMC 18, 15 eb@Uc). The actual arrival of the Syzygos on earth is often described as a supernatural event which happens suddenly (£aigvnc, napaypiiwa, adtixa), like a miracle *®. The suddenness of divine epiphanies has a long tradition which goes back to the New Testament and to the Jewish and pagan miracle stories

which influenced it*’. In diagram IV these sudden manifestations of the

43 Gal. 1, 15-16 Ste 5& edddxnoev (cf. CMC 19,8f. and 69,9f.) 6 a&gopicas pE (CMC 20,8f., 30,5, 65,4f., and 70,6f.) &« Koldiacg pNntpdc pov Kai Kadécac (CMC 18,12f.,

20,12f.

64,18)

81a

tig

yapitog

adtodb

(CMC

anoKxarvyar tov vidv adtod év Epo... ev0E@>g (CMC

18,13f.,

64,18f.,

and

65,3f.)

18,15) od mpocavebéunv capKi Kai

aipat.

44 Above, nn. 37-38. 4° CMC 4,7-12; 11,1-8 (see the revised text published by L. Koenen and C. Romer, ZPE

58, 1985, 47); 17,7-10; and 164, (1)ff.

“© CMC 133, 4ff. (2Eatpvnc), 125,7ff. (Eaipvns, resumed by téte), 17, 11ff. and 156, (7)f. (napaxptiwa), 130,8ff. (adtika, resumed by tote), and 32,6-9 (adt661). Despite the semantic difference between éEaipvnc («suddenly») and napaypfiwa («straightaway»), their aretalogical function in the CMC is the same — they both characterize a supernatural

event as contrary to expectation.

‘7 Tlapaxypiia is significantly more common in the New Testament than &a{ovnc. On their use and meaning,

see D. Daube,

The Sudden

in the Scriptures,

Leiden

1964,

ALBERT

HENRICHS

203

supernatural are called aretalogical time. The same adjective is normally used in connection with Hellenistic accounts of healing miracles and divine epiphanies **. The use of aretalogical time in the CMC is appreciably more frequent than that of biographical time as well as historical time.

VI The conclusion to be drawn from this tentative analysis is that the Manichaeans were interested in time only to the extent that it could be exploited as a function of the process of salvation. This will surprise no one. Most major aspects of the Manichaean concept of time have been known for decades owing to the rich harvest of new texts from Turfan and Egypt. Students of Manichaeism are on the whole familiar with the doctrine of the Three Times in both its eastern and western formulation (diagrams I-II), with the Manichaean adaptation of the idea of cyclic revelation (diagram III), and with the tendency — fundamental to the Manichaean understanding of the cosmic process — to correlate secular history with salvation history (diagrams II-IV). But so far these three aspects have been studied in relative isolation from each other, as if they were separate Manichaean doctrines rather than integral parts of a comprehensive and coherent concept of time aie The CMC has now given us the complete picture. By integrating all the various aspects of the Manichaean use and definition of time in a roughly chronological account of Mani’s life and mission, the CMC has

put us in a better position to understand the Manichaean

concept of

time in its entirety and full complexity. Mani’s own meticulous method of dating supernatural events in his life with reference to both biographical and historical time while simultaneously mobilizing the traditional

apparatus of divine volition and intervention exemplifies the dual concept of horizontal time and vertical time, and defines their exact correlation by establishing the priority of vertical over horizontal time.

28-79. O. Weinreich, Antike Heilungswunder, Religionsgeschichtliche Versuche und Vorarbeiten VIII 1, Giessen 1909, 197f. lists sudden miracles in pagan tradition. 48 Henrichs, «Horaz als Aretaloge des Dionysos», Harvard Studies in Classical

Philology 82, 1978, 203-211.

49 Nagel (above, n. 19) is again the only exception.

204

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

In particular, the pivotal part played by the Syzygos throughout the CMC illustrates for the first time in a Manichaean context how the horizontal progression of biographical time is momentarily suspended at crucial junctures in Mani’s religious career in order to take time out, as it were, for the sudden intervention of the supernatural. Aretalogical time, or the very moment of divine intervention, can thus be seen as a specific function of soteriological time (diagrams III-IV). On a larger scale, the CMC clarifies the relative position of historical and biographical time on the horizontal axis of cosmic time by connecting Mani’s mission diachronically with the earlier apostolates of his forerunners (diagram III) and by relating his life synchronically to the fixed points of contemporary Sassanian history (diagram IV). Thanks to the CMC, the major components of the Manichaean concept of time and, above all, their interconnecting functions within this concept as a whole are

now better understood °°.

°° I am grateful to Mr. Seth Fagen for assisting me in the preparation of this paper, and to Professor Zeph Stewart for several helpful suggestions.

Mani’s Revelations in the Cologne Mani Codex and in Other Sources Werner SUNDERMANN,

Berlin

“We hear of Mani’s age only on three occasions: when he was twelve, when he was twenty-four, and when he died at the age of sixty. Is it credible that the prophet’s life thus proceeded in even jumps of twelve years precisely? Five and twelve, we must remember, were sacred numbers for Mani; everything in his system was grouped in pentads and dodecads. Did life accomodate itself to Mani’s system to the extent of granting him a span of life equal to the product of his favourite numbers? Such figures are no more than approximate values at best”. This is how W.B. Henning described and evaluated in five sentences Mani’s biography as it was handed down by the Manichees themselves '. Henning gives due prominence to Mani’s revelations for they are what

happened in Mani’s 13 and 25™ year. Henning’s words are a good starting point for my following remarks, although IJ think they are in need of some qualifications. A single, continuous Mani vita, to begin with, containing and combining all these dodecadic figures is untestified so far.It is not even to be found in an-Nadims completely preserved and somewhat detailed description of Mani’s life”. Mani’s first revelation is mentioned there when he had finished his 12™ year of life and his second one after finishing the 24" year. But no mention is made of Mani’s death at the ageof sixty. Thus Mani’s hagiographical vita as described by Henning is Henning’s own reconstruction, a convincing and a consequent one of course, but no more. Provided that it is by mere accident that Henning’s Mani vita does not appear in our sources, it can be no more than a «Weiterbildung» among Mani’s disciples after their teacher’s death. Mani himself could have given his own death a part in his hagiographical biography only by way of a precise prophecy which is very unlikely. 1 W.B. Henning in: The Dates of Mani’s Life, AM NS 6, 1957, p. 119. 2 Kitab al-Fihrist I, ed. G. Fliigel, Leipzig 1871, p. 328, 10-17, translation B.Dodge, The Fihrist of al-Nadim II, New York, London 1970, p. 774-775.

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206

MANICHAICUS

COLONIENSIS

There is, moreover, positive evidence to the absence of a dodecadic arrangement of biographical dates in some prime sources of Manichaean hagiography. Above all one may mention al-Birinis two almost identical remarks on Mani’s prophetic career in his Atar al-bagiya ‘ani I-qurin al-haliya*, Birinit himself tells us that they refer to the chapter magi’ ar-rasil «The Coming of the prophet» of Mani’s Sabuhragan, so that we may regard Birini’s words as reflecting Mani’s own opinion. Biraini writes: «The revelation came to him when he was thirteen years old» (wa hiiwa bnu talata ‘akrata sannatan, \it. «and he (was) a son of 13 years») in the year 539 of the era of the Babylonian astronomers and in the third year of the king of kings ArdaSir (lit. «when two years of Ardagir, king of kings, had elapsed»). That Biriini in fact means Mani’s 13" years of life follows from his dating Mani’s birth in 527 sel. lun. It should be pointed out in particular that Biriini speaks of the revelation to Mani (al-wahy), not of one or a first one. Sachau’s translation «he first received divine revelation»* and «he received the first divine revelation» °, obviously inspired by the above mentioned Fihrist parallel story, leads astray and distort Biriini’s statements. In fact Birtini does not mention a second revelation. This is not necessarily to say that Birani’s source had only one revelation. But if it had more than one revelation, Birini must have got the impression that the first was also the most important one, and this differentiation would be sufficient to disprove a dodecadic sequence of revelations in Mani’s Sabuhragan. Another description of Mani’s early days is to be found in the first chapter of the Coptic Kephalaia, entitled “On the Coming of the Apostle» © thus repeating the heading and perhaps also the contents of the autobiographical Sabuhragan chapter. One more correspondence is that the Kephalaia, too, know of one revelation only, and what is more, they even date it, but unfortunately in a somewhat inexact way and in defective context, too. The relevant passage runs in Polotsky’s translation: «In diesem selben Jahr, als Ardaschir der K6nig (?) [im Begriff war?], die Krone [zu empfangen], da kam der lebendige Paraklet herab [zu mir und] redete mit mir»’. Ever since Polotsky’s edition this

3 Chronologie orientalischer Volker von Albériini, ed. E. Sachau, Leipzig 1923, p. 118,17-19, p. 208,10-11, translation E. Sachau, The Chronology of Ancient Nations, London

1879, p. 121, p. 190.

“ Sachau, The Chronology (cf. note 3), p. 121.

> Sachau, The Chronology (cf. note 3), p. 190. © Kephalaia I, [ed. H.J. Polotsky and A. Bohlig,] Stuttgart 1940, p. 9, 12-13.

7 Kephalaia (cf. note 6), p. 14,31-15,1.

:

WERNER

SUNDERMANN

207

statement has been interpreted as describing Mani’s first revelation, although one had to put up with the difficulty that in this case the text seems to maintain a very late date of ArdaSir’s coronation, namely the year 228/229 at the earliest, which is five years after Ardasir’s victory over Ardavan V and two years after the official commencement of his rule. This is rather problematical and in my view by no means confirmed by Taqizadeh’s results which on the contrary are dependent on Polotsky’s translation®. So I submitted my doubts to Prof. Nagel and asked him for his opinion on the passage. Prof. Nagel envisages three possibilities. First: On condition that all the remaining traces of letters had once correctly been identified, A. Béhlig’s revised translation seems possible. It reads as follows: «Zur selben Zeit als der K6nig Ardaschir gekroént wurde, kam der lebendige Paraklet [zur mir] herab und redete mit mir»°. The only doubtful point is, according to Nagel, Coptic €TEPE , a present I and as such possessing a durative aspect. «Wurde, became» is not what should be expected as the meaning of such a verb. Second: this difficulty can be avoided if one translates: “In dem gleichen Jahr, als ArdaSir der K6[nig (noch) das Dia]Jdem trug, da kam der lebendige Paraklet herab z[u mir (und) rJedet[e] mit mir». Third: On condition that the Coptic text did not have 6](PH)N€ «receive/wear the diadem» but rather [KWK TI(4H)NE «[complete] one’s time (of life)», one might date the revelation in the Kephalaia text in the year of Ardagir’s death. To sum up: The date of Mani’s revelation according to the first chapter of the Kephalaia cannot be definitely determined. According to Polotsky and Boéhlig the Kephalaia describe the. same so called first revelation as Mani himself in his Sabuhragan. If this is what the text really implies, Bohlig’s translation seems preferable to me because it allows an earlier coronation of ArdaSir and does not strictly exclude a coronation in the year of his official accession. Nagel’s second alternative moves the event to the Persian years 239/240 or 240/241, the third possibility requires a still later date which is unlikely. If it is Mani’s first revelation which the Kephalaia are describing, one could qualify Henning’s theory in the following manner: the dodecadic division of Mani’s life is not yet traceable in Mani’s own

8 S.H. Taqizadeh, The Early Sasanians. Some Chronological Points which Possibly Call for Revision, BSOAS 11, 1943, p. 22 n. 1. 9 A. Bohlig unter Mitwirkung von J.P. Asmussen, Die Gnosis III, Der Manichdimus, Ziirich, Miinchen 1980, p. 85.

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208

MANICHAICUS

COLONIENSIS

works, Mani claimed one decisive and directing revelation at an age of 12 years. Manichaean hagiographical texts in Iranian languages have recently been published in my collection «Mitteliranische manichaische Texte kirchengeschichtlichen Inhalts» 10 A Parthian fragment belonging probably to a sequence of hagiographical homilies describes a revelation to Mani and it contains a date which can be restored as «in the year 539 of

the rule of Alexander»!!. This is the date of Mani’s so-called first

revelation. It agrees with Mani’s Sabuhragan and probably depends on it. Another noteworthy new text consists of Middle Persian fragments of

a second ms. of Mani’s Sabuhragan'*. Some of them contain autobio-

graphical information and thus seem to belong to the famous chapter “The Coming of the Prophet”. They appear to describe Mani’s continuous guidance by his spiritual twin. In one of them one reads: «And even now he himself accompanies me, and he himself keeps and protects

me» }3, All these fragments prove that Mani’s Sabuhragan did not only claim one revelation in Mani’s 13 year but also many following smaller ones. One of them, but not the last one, might have happened on

Mani’s 24" birthday. The new Iranian texts do not go against the theory developed above on Mani’s revelations. And yet, this theory cannot be upheld any longer. It is refuted, or at least proved to be incomplete, by the Cologne Mani Codex [CMC]. In one point the CMC confirms the description of the Sabuhragan: it teaches a long sequence of supernatural experiences, of miracles, protective measures, visions and spiritual conversations between Mani and his twin or other angels ‘*. In another respect, however, the CMC directly contradicts the Sabuhragan. It gives prominence to a revelation in Mani’s 25", not in his 13 year. It is worth while quoting the relevant passage, itself a quotation of an unidentified work of Mani: «Als ich vierundzwanzig Jahre alt war, in dem Jahr, in welchem Da10 W. Sundermann, Mitteliranische manichdische halts, Berliner Turfantexte XI, Berlin 1981.

Texte

kirchengeschichtlichen

In-

‘l Cf. note 10, p. 18-19. Cf. note 10, p. 91-98. 13 J.P. Asmussen’s translation (Manichaean Literature, Delmar, New York 1975, p. 10). Text published in F.C.Andreas, W.B.Henning, Mitteliranische Manichaica aus Chinesisch-Turkestan II, SPAW, Phil.-hist.Kl., Berlin 1933, p. 307. 4 Cf. in particular A. Henrichs, L. Koenen, Der Kélner Mani-Codex (P.Colon.inv.

nr.4780) TIEPI THY TENNHZ TOY LQMATOL 19, 1975, p. 4-45=CMC, p. 2-44.

AYTOY,

Edition der Seiten 1-72, ZPE

WERNER

SUNDERMANN

209

riardaxar, der K6nig von Persien, die Stadt Hatra unterwarf und in welchem der K6nig Sapores, sein Sohn, sich das groBk6nigliche Diadem aufsetzte, am 8. Tag des Monats Pharmuti nach dem Mondkalender, erbarmte sich der allerseligste Herr meiner, berief mich in seiner Gnade

und schickte mir von dort sogleich meinen Gefahrten...» '*. The 8" of Pharmuti has been explained by the editors as a «Mitiibersetzung» of an 8 of Nisan in Mani’s own Aramaic native language which would be

Mani’s 24" birthday, the 18 or 19" of April 240'°. But the CMC does not mention

the other revelation in Mani’s

13 year, and more

so, it

seems to move details of earlier revelations to what happened in Mani’s

25" year '’. Thus it is at the latter time that Mani is taught the essentials of his doctrine, while the instruction to leave the baptists and to teach

the world follows shortly after }®. This second event is what the Fihrist describes as the subject of Mani’s second revelation, and in this point the correspondence between the CMC and the Fihrist is particularly

close /’.

|

All the details about Mani’s revelation in April 240 have been derived from a homily of Baraies*°, a famous disciple of Mani’s who preached and wrote towards the end of the 3™ century. Baraies himself, however, quotes Mani’s own oral or written statements, for it is Mani who is speaking about himself in these passages. Should we conclude then that Mani was the first to give different and even contradictory descriptions of his prophetic career? The editors of the CMC did take this possibility into serious consideration. They made the Fihrist version their starting point, obviously regarding this as the authentic and primitive version of Mani’s autobiographical myth, and from this premise went on to assume that the CMC version must be a distortion of Mani*s selfstyled vita. They attributed this distortion to

15 Cf. note 14, p. 20-21=CMC, p. 18,1-16. Also: Der Kélner Mani-Codex... (cf. note 14). Edition der Seiten 72,8-99,9, ZPE 32, 1978, p. 92-93=CMC

p. 73,5-8. 16 Cf. note 14, p. 79-80 with further literature quoted there. 17 Cf, L. Koenen, Das Datum der Offenbarung und Geburt Manis, ZPE 8, 1971, p.

249 n. 2. Taking into consideration that the period between the revelation on Mani’s 24th birthday and Mani’s definitive separation from the baptists must have been a short one, one may single out the following telling example: CMC 25, 10-13 (= note 14, p. 26-27):

Kai adtoc éy@ AnekddAvya ovddevi OvdSév KATA TOV YPdVOV ExEivoV TAELOTOV DTAPXOVTA. 18 A. Henrichs und L. Koenen, Der Kélner Mani-Kodex... (cf. note 14). Edition der Seiten 99,10-120, ZPE 44, 1981, p. 212-215=CMC, p. 104, 10-106,22. 19 A.

Henrichs,

L. Koenen,

Ein griechischer

130-131.

20 Cf. note 14, p. 16-17=CMC, p. 14,3.

Mani-Codex,

ZPE

5, 1970, p. 127,

210

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MANICHAICUS

COLONIENSIS

Baraies, who, as they put it, combined «in irrefiihrender Weise Selbstaussagen Manis, die sich auf zwei verschiedene Offenbarungen beziehen» and who suppressed («unterdriickte») the date of Mani’s first revelation, «offenbar um auf diese Weise vor dem Leser die Tradition von Manis Kindheitsoffenbarungen zu verschleiern» 21. But why did he do so? Perhaps in order not to encourage sceptics who, according to the CMC p. 45-72, called in question Mani’s revelations. This is possible, but it would have been insufficient to convince a radical sceptic, and what argues against this hypothesis is that it requires one to suppose that a disciple of Mani’s might have treated his master’s canonical words at his own pleasure and turned down his impressive, carefully styled autobiographical myth. That is hard to believe, and as an

alternative possibility I should like to plead for Baraies and to suggest rather that Baraies dated Mani’s so-called first revelation on his 25" year because he did not know better. In other words: because both a revelation in Mani’s 13" year and a dodecadic sequence of revelations was unknown to him. This does not necessarily mean that Mani’s so-called first revelation is without any correspondence in the CMC. It is indeed referred to if the editors are right in explaining Mani’s Gkyaiov tod c@pwatoc as the «Vollendung des 12. Lebensjahres» (CMC, p. 12,9-10 with note 25). But this would be a rather ambigous and inaccurate way of dating an important event in Mani’s life, and no proper date at that. Baraies himself does not repeat it in his summary on p. 72-73, and it is not surprising that the editors themselves changed their minds concerning its interpretation (cf. Vorbericht, p. 119 note 46). I suggest the following interpretation of all the different and seemingly contradictory reports on Mani’s revelation in the various prime sources. The version of the CMC is not a late and arbitrary rifacimento of Mani’s vita. It is on the contrary a rather faithful reflex of Mani’s own, original autobiographical ideas. They consist of a sequence of minor revelations and supernatural protective actions from Mani’s fourth year on. The definitive revelation of his doctrine was unambiguously attributed to Mani’s Syzygos and dated on a hagiographically important day, Mani’s 24" birthday or shortly after, but in any case at a period close to the real appearance of Mani as a kind of reformist in his

21 Cf. note 14, p. 77, Koenen in note 17, p. 249 n. 2.

WERNER

SUNDERMANN

211

father’s baptist community. The succeeding, not precisely dated divine command to go to the gentiles and teach the world may mark the time when Mani broke with the baptists. All this is not very far from the historical background of the story and it reflects to some extent Mani’s spiritual experiences. When Baraies wrote his homily he was confronted with the problem that Mani did not clearly distinguish between the minor preparatory revelations in his childhood and the definitive revelation of his doctrine on his 24" birthday. And he had also to put up with the problem that only Mani’s last great revelation was properly dated. More often than not it must have been impossible to tell which tradition belonged to which revelation. It thus came about that Baraies added some traditions which require an earlier date to Mani’s definitive revelation 7”. Earlier than Baraies Mani himself had rewritten his own history with drastic changes and innovations. This happened in his Sabuhragan, his only book we know so far written in the Middle Persian language. It never gained canonical standing among the communities of Mesopotamia and in

the Roman world 3, and it seems not to have penetrated into the western Manichaean communities. Or, to put it more cautiously, its name is not reliably attested in western Manichaean sources. So there is a good chance that what Mani wrote in his Sabuhragan remained unknown to Baraies or was not accepted by him as reliable information. The Sabuhragan is generally regarded as one of Mani’s earliest works, perhaps even his first one. One reason is certainly the convincing idea that there was a connection between Mani’s first audience with

Sabuhr I, and the other one that this audience happened on Sabuhr’s coronation day, i.e. about 240. It was A. Maricq who convincingly disproved this connection”. Of course, we cannot exactly date the audience, but it surely happened after Sabuhr’s coronation, in the first half of the fourties at the earliest, about 241-242 according to a severely mutilated fragment of the CMC (p. 164) which has been restored to this effect by the editors. In any case, there was enough time for a prolific author like Mani to write other books, letters and homilies before the Sabuhragan, works which contained the original version of his autobio-

graphical myth. 22 Cf. note 17. 23 wW.B. Henning in AM NS 3, 1952, p. 209 n. 2. 24 A. Maricq, Les débuts de la prédication de Mani et l’avénement de Sahpuhr I, Annuaire de |’Institut de Philologie et d’Histoire Orientales et Slaves 1951, p. 246-256,

262-263, 266-267.

\

:

212

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MANICHAICUS

COLONIENSIS

When Mani wrote his great dogmatic tract ad usum divi Saporis he may have seen fit to introduce himself to the Great King. That is why a whole chapter of the Sabuhragan, Birtni’s Magi’ ar-rasiil, was devoted to the prophet’s early life within the scope of a worldwide successio apostolica. In this chapter he styled Buddha, Zoroaster and Jesus his forerunners and himself the unique fulfiller of their message. He competed with them and of course surpassed them and Jesus in particular who was better known to him than Buddha and Zoroaster. I think this is one reason - if not the only one - why he antedated the revelation of his doctrine on his 13" year of life thus imitating the date of the story of twelve year old Jesus in the temple, and perhaps a Gnostic tradition of Jesus’ vocation at an age of 12 years”. The Sabuhragan date remained unknown to Baraies as to the author of the CMC, too. Their alternative chronological pattern became decisive for all those Christian Syriac historiographers who supposed

that Mani was born in 240/241 7°, a date adopted in the beginnings of modern manichaeology by J.S. Assemani and I. de Beausobre ACh Puech has shown that it reflects the date of Mani’s so-called second revelation. But now we are in a position to explain why this wrong tradition came about. It is perhaps because Mani’s revelation in 240 remained the determining and best known event in Mani’s West Manichaean biography, by far better known than the negligeable year of his birth. It was understood by the Syriac chronologists as Mani’s year of birth. As it was to be expected, the Sabuhragan version came to be adopted and transmitted in later specimens of Eastern Manichaean literature. We have one example at least: the above mentioned fragment of a Parthian sequence of homilies containing the date of Mani’s so-called first revelation in his 13 year of life. But at this point a serious problem arises: it is certainly true that what I have called hagiographical homily or sermon and what may constitute a veritable sequence of homilies is a characteristic literary form of Eastern Manichaeism. But it is not completely without correspondence in Western

25 H.J. Polotsky, Manichdismus, in: Paulys Real-Encyclopddie der Classischen Altertumswissenschaft,

Supplbd.6,

Stuttgart

1935, col. 244, Henrichs-Koenen

in note

19, p.

124. 6 H.-Ch. Puech, Dates manichéennes dans les chroniques syriaques, in: Mélanges Syriens offerts 4 M.R. Dussaud, Paris 1939, p. 596-598, 601, H.-Ch. Puech, Le Manichéisme. Son fondateur — Sa doctrine, Paris 1949, p. 17, 20, 42-43.

27 H.-Ch. Puech, Le Manichéisme (cf. note 26), p. 20.

WERNER

Manichaeism.

A good

instance

SUNDERMANN

to show

what

213

I mean

is the Coptic

«narrative on the Crucifixion» ** which is comparable to a Parthian «sermon on the Crucifixion» (d’rwbdgyftyg wyfr’s)*? both in title and

contents *°. If it is admissible to assume that in this case a primitive Manichaen composition which: does not depend on the CMC found its way to Egypt, one must take into consideration the possibility that the date of Mani’s first revelation, too, did not remain completely unknown in the countries west of Mesopotamia. This might look like sheer fantasy and perhaps it is. But there are two reasons for my remark. One is the faint possibility that Mani’s first revelation was mentioned and even dated in the Kephalaia chapter. The other one is the strange observation that Mani’s age of 12 years seems to be of some consequence in the Acta Archelai which are not completely devoid of trustworthy informations in their historical parts as H.-Ch. Puech was able to show *!. The Acta have it that Mani went to the capital where the king lived, when he was 12 years old**. If this is more than an accidental coincidence one has to revise the above suggested differentiation of Manichaean hagiographical traditions on Mani’s prophetic career in the following way: The tradition of Eastern Manichaeism seems to be dominated by Mani’s autobiography given in the Sabuhragan. Western Manichaeism does not have a uniform and uncontradicted tradition. We find both traces of the Sabuhragan version and of an older, probably primitive version, and we do not know whether they coexisted side by side or excluded each other and stood their ground in different communities. I think, I need not emphasize the version of Mani’s revelations as the late its final stage perhaps. An-Nadim’s own his version is a compilation of different first and second revelations belongs to a Ishaq’s, i.e. an-Nadim’s own authority

28 Manichaische

Homilien,

fact that I regard the Fihrist product of a long development, words allow the conclusion that traditions. The story of Mani’s passage told on Muhammad b. without reference to primary

ed. H.J. Polotsky, Stuttgart

1934, p. 42, 9-10, cf. p.

85,32-34.

29 Cf. note 10, p. 76, 1. 1117-1118.

30 1 hope to deal with this in my not yet published «Studien zu Geschichte und Wert

historiographischer

Traditionen

der Manichdéer

unter

bensonderer

Beriicksichtigung

der

iranischen Uberlieferungen». 31 Cf, H.-Ch. Puech, Le Manichéisme (cf. note 26), p. 25-26, p. 110 note 77. 32 Hegemonius, Acta Archelai, ed. Ch. H. Beeson, Leipzig 1906, p. 92-93, chapter 64, 2-3.

214

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

sources. The date of Mani’s first public appearance, the first of Nisan, Sunday, when the sun was in the zodiacal sign of Aries and when Sabuhr put the crown on his head, is ascribed to the Manichees. The following date of Mani’s first public appearance in the second year of the emperor Gallus is incompatible with this date if Trebonianus Gallus

is meant (i.e. about 252) *? and not Gordianus III (i.e. 239-240) *. It is imaginable that also an-Nadim’s own report on Mani’s revelation combines different traditions, the Sa@buhragan version with Mani’s so-called first revelation and the CMC version with the second one. That an-Nadim or his authority allowed himself to be guided by a dodecadic sequence of important events in Mani’s life is quite probable. On the other hand it must not be forgotten that the author of the Fihrist does not make use of Mani’s death at an age of 60 years. The dodecadic myth of Mani’s life seems not to have attained perfection. But fresh information from not yet discovered sources of the calibre of the CMC may well show me in the wrong.

33 Cf. Koenen in note 17. *# So G. Fliigel, Mani, seine Lehre und seine Schriften, Leipzig 1862, p. 150-152.

Paul in the Mani Biography (Codex Manichaicus Coloniensis) Hans Dieter BETz, Chicago The strong influence of the apostle Paul in the Mani Biography (hereafter abbreviated CMC)! has been noted by a number of scholars, especially the editors Albert Henrichs and Ludwig Koenen. ? Even prior to the discovery and decipherment of CMC, it was known that Mani regarded himself as an imitator Pauli and that his close relationship to the apostle was probably due to the influence of Marcion?. The new information contained in CMC has now increased our understanding of these interests of Mani so considerably that an entirely fresh investigation is needed to place Mani in the history of Paulinism*. Marcion no longer seems to be exceptional in this later period because of his genuine understanding of Paul’s theology, but he now looks more like a prominent representative of a strong tradition to which Mani and some of his disciples, among them Baraies in particular, must also have belonged. 1 The text is quoted in the following, according to the edition by A. Henrichs and L. Koenen, «Ein griechischer Mani-Codex (P. Colon, inv. nr. 4780), «ZPE 5 (1970): 97-216; 19 (1975): 1-85; 32 (1978): 87-200; 44 (1981): 201-18; 48 (1982): 1-59. In addition, the edition and translation of pp. 1-99 by R. Cameron and A. J. Dewey was consulted: The Cologne Mani Codex (P. Colon inv. nr. 4780) «Concerning the Origin of his Body», Texts and Translations 15, Early Christian Literature Series 3 (Missoula, MT: Scholars Press, 1979). Regarding the translation, Cameron’s and Dewey’s has been utilized, but I have ; often preferred my own. 2 See ZPE 5 (1970): 106ff., 139, 186ff.; 32 (1978); 137, note 186; A. Henrichs, «Mani and the Babylonian Baptists: A Historical Confrontation», HSCP 77 (1973): 23-59, 51-53; and the annotations throughout the edition; A. Béhlig, «The New Testament and the Concept of the Manichaean Myth», in The New Testament and Gnosis: Essays in Honour of R. McL. Wilson (Edinburgh: Clark, 1983), pp. 90-104. 3 See Henrichs, HSCP 77 (1973): 52ff. For sources, see A. Harnack, Marcion: Das Evangelium vom fremden Gott (Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1960), pp. 348ff. *, 379*; for the general development of the Marcionite church, see pp. 156ff. 4 Previously,

however,

only H.-Ch.

bution «Saint Paul chez les Manichéens

Puech

has discussed

d’Asie Centrale»,

the matter

in his contri-

in Proceedings of the IXth

International Congress for the History of Religions, Tokyo and Kyoto 1958 (Tokyo: Maruzen, 1960), pp. 176-87. The paper has been reprinted in his collected essays Sur le manichéisme et autres essais (Paris: Flammarion, 1979) pp. 153-167, with an additional note referring to CMC (p. 167). See also G. Widengren, Mani and Manichaeism (London: Weidenfeld & Nicolson,

1965), pp. 80f.

216

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

To date, however, New Testament scholarship has paid only scant attention to this important new source*. The following paper does not pretend, either, to do justice to the problem under consideration, but intends only to highlight some of the interesting features of the new text. A far more thorough investigation is needed not only for the question of Paul and Paulinism, but also for other aspects of New Testament Christianity as they are reflected in CMC. In approaching the subject, careful distinctions are called for in view of the material because Paulinism occurs in different ways and degrees at different levels of the text. As far as Pauline influences are concerned, the following kinds can be distinguished: (1) A general image of Paul (2) Stylistic and literary imitation of Paul’s letters (3) Pauline conceptuality and theology derived from Paul’s authentic letters and the deutero-Pauline letters, especially Colossians and Ephesians (4) Quotations from Galatians and 2 Corinthians (5) Material drawn from post-New Testament Paulinist traditions. These influences must be identified as they occur at the different levels of the text. Thanks to the editors, the literary composition of CMC has been clarified to a sufficient degree® so that the following literary activities can be distinguished (in their chronological order): (1) Quotations from Mani’s own writings (2) Quotations from the works of Mani’s disciples (3) The work of the final redactor, which includes (a) the creation of the genre of the overall framework of CMC (b) the writing of new sections > For a brief remark, see my commentary on Galatians (Philadelphia: Fortress Press,

1979), p. 6, n. 28. Without

reference to CMC

is A. Lindemann,

Paulus im diltesten

Christentum, BhTh 58 (Tiibingen: J. C. B. Mohr [P. Siebeck], 1979). G. Liidemann, Paulus der Heidenapostel, vol. Il: Antipaulinismus im friihen Christentum, FRLANT 130

(Géttingen: Vandenhoeck and Ruprecht, 1983), pp. 191-93, discusses in a very cautious way the anti-Pauline tendencies ascribed to the Elchasaites in CMC. © See ZPE 5 (1970): 106ff. I am relying on A. Henrichs, «Literary Cricitism of the Cologne Mani Codex», in The Rediscovery of Gnosticism. Proceedings of the International Conference on Gnosticism at Yale, New Haven, Connecticut, March 28-31, 1978 (London: Brill, 1981), vol. 2, pp. 724-33.

H.D. BETZ

217

(c) the compilation of the quotations and excerpts (4) The translation of the work into the Greek, which includes (a) the translation of the Syriac original into the Greek (b) the insertion of the New Testament quotations, apparently directly from the Greek New Testament.

I. THE QUOTATIONS FROM MANI’s Own WRITINGS

The quotations from Mani’s own writings (CMC 64, 8-68, 5) confirm previous knowledge: Paul’s apostleship served as the model for Mani’s understanding of his own vocation and mission. The title of «the gospel of his most holy hope» (to svayyéAov Tic aylwtatns adtod éAnidoc [66, 1-3]) is derived no doubt from Paul’s, not the Synoptic Gospels’, understanding of the term evayyéAov’. Important, however, is the fact evident from the quotations of the work in CMC 66, 1-68, 5, that Mani’s Paulinism views Paul through the medium of Ephesians and Colossians. Since New Testament scholarship has learned to interpret the Paulinisms of the deutero-Pauline letters on their own terms, rather than simply fusing them with Paul’s authentic letters, it is now also possible to see Mani in the perspective of the diverse history of Paulinism. Mani’s self-introduction, «I am Mani» (éy@ Mavviyaioc [66,4]), has its parallel and probably its starting point in Eph 3:1: tovtov yapiv éy@ TlabdAoc..., which introduces a (pseudo-) autobiographical sketch

(3:1-7). What is characteristic in Mani’s many and varied allusions to Pauline texts is that they are never wooden and pedantic but congenial, highly creative, and remarkably free from arbitrariness. The honorific title claimed by Mani is clearly derived from Paul: «Apostle of Jesus Christ through the will of God the Father of the

truth» (Inood Xpiotod andotoAos 51a OEAnpatocs Veod MatPdc TTI¢ G&AnOeiac [66, 4-7]). It should be noted that the parallels of this form of the title occur in 1 Cor 1:1; 2 Cor 1:1 and Col 1:1; Eph 1:1; 2 Tim 1:10. Of course, the epithet of God as «Father of the truth» does not come from Paul but from a later tradition®. Peculiarly, the phrase

7 On this point see ZPE 5 (1970): 189ff.; 19 (1975): 84, n. 122.

8 For references see ZPE 5 (1970): 190, n. 267.

CODEX

218

«through

the will

MANICHAICUS

of God»

(814

COLONIENSIS

SeAjpatog

BEob)

plays

the

same

important role for Mani’ as it does for Paul himself 10 a fact that points to underlying presuppositions of Paul’s concept of apostleship still understood by Mani. The peculiar difference at this point between the middle-Persian version of the Turfan Fragment M17 and the Greek version has been analyzed by the editors in ZPE 5, pp. 192-96: where CMC 66, 5 has 616 OeArjwatoc Seo, Turfan Fragment M 17 has «in the love of the Father», clearly a wrong translation. But this mistake also shows that the Greek is more reliable, especially in regard to its Paulinism. Only the Greek text has preserved Mani’s Paulinism, whereas other Manichaica may not necessarily appreciate this theological connection, although the theologumenon of the divine will was a constitutive element in

Manicheism generally. The phrase «from whom I also came» (€& ob Kai yéyova [66,7]) again reminds us of the deutero-Pauline Epistles which carefully place the apostle Paul in the cosmic salvation drama (see especially Col 1:23, 25: ob (or fc) éyevounv éy@ TlatAog SiéKovoc...; Eph 3:7: ob éyevnOnv SidKovoc...; cf. 3:1: tovtov yap éy@ TlabAog SiaKovoc; Rom 1:5: &v ob} &AGPouev yYapw Kai &xootoAtv. In CMC the phrase is followed by a hymnic section showing Mani’s great literary abilities nits The section elaborates the theme of &€ od Kai yéyova (66,7) by aretalogies first of God (6¢ Cf... [66, 7-15]) and then of Mani (&& adtod yap tovtov néguKa... [66, 15-68, 5]). The composition as whole, although distinctly Mani’s own, is strongly reminiscent of similar hymnic compositions in Colossians and Ephesians which also include aretalogies of God and Christ, followed by those of Paul (Col 1:15-20, 21-29; Eph 1:3-14; 3:1-7). A second quotation, most probably from Mani’s Gospel as well, is found in CMC 68, 6-69, 8. It deals with Mani’s position as a revealer of the divine mystery-secrets (ta G&mdppnta). Also here the influence of Paul is conspicuous with regard to three aspects of revelation discussed. First, there is the revelation of the mystery to Mani by the Father: «All the secrets which my Father has given to me...» (mavta TO &nOppHnta anmep po. 6 &dc nathp dSedmpntoar [68, 6-8]). The wording is more

° For discussion see ZPE 5 (1970): 194, n. 243; 199, n. 266. 10 T have pointed this out in my Galatians, p. 42f. with n. 61. 'l For a poetic arrangement

(1970): 198-202.

and commentary

notes

on

the fragment,

see ZPE

5

H.D. BETZ

219)

technical than specifically Pauline, although Paul also refers to ta G&ppnta priwata in 2 Cor 12:4. More important is the key phrase «according to the favor of my most blessed Father» (kata tiv evdokiav Tod LaKkaplwtatov pov natpdc [68, 13-15]) which is first of

all to be connected with Gal 1:15: éte 8& edvSdxnoev [6 Oedc]... )”. However, the terms evédoxia/eddoKeiv play an important role elsewhere in the Pauline tradition as 1 Cor 1:21; 10:5; and Col 1:19; Eph 1:5 demonstrate. Most important is the occurrence in Eph 1:9: yvwpicacs Hwiv tO pvotHpiov tod HeAjpatos adtod, Kata tiv edvdoKiav adtod, As will be pointed out later, this key terminology of evdoxia/eddoxeiv continues to play a conspicuous role in the Manichean tradition with regard to Mani’s vocation. Secondly, if this is true of the Father’s revelation to Mani, it is equally true of Mani’s revelation to his disciples «if again he should be pleased, I in turn reveal (them) to you»

(ci maAW eddoKyoo1, adbic byiv [4]xnoKadrdintw [CMC 68, 15-17]). To be sure, this sentence is reminiscent of Paul in 1 Thess 2:8: ...£0S0KODpEV pEeTadOdVal HLiv ob Wdvov TO EdayyéALIov TOD OHEod...

However, the close parallel in Matt 11:25-27'* shows that the language may not be specifically Pauline but may be tied up with a concept of the divine revealer more generally. In CMC 68, 17-21, Mani praises again the revelation «For indeed the gift which was given to me from the Father is very great and very rich» () yap tor doped 7 mapa tod nmatpdc por SedmpnuEvy pE[yio]t toyyaver Kai [TAOVOIWT]ATH). This idea of the great gift of grace is reminiscent of Paul (Rom 5:15, 17; 2 Cor 9:15; cf. Eph 3:7; 4:7). In CMC, however, the gift is strictly reserved for Mani. The whole world (6 6A0¢ KécHOG) can have access to it only by becoming obedient to it (6nH[Kovev ad)tih [68, 22-28]) 14 Indeed, the gift is said to be so great that even if all people become obedient, the wisdom (cogia) would still

be sufficient for the whole world (68, 21-29, 8)'°. This exuberance is reminiscent of Paul’s hymnic language of Rom 11:33 but also of the hymns in Ephesians (especially 1:8, 17) and Colossians (especially 1:9, ZBied dnd2 ai

12 See also my Galatians, p. 69, n. 130. For the later Patristic and gnostic usage, see PGL, s.v. sdvSoKéw, evdoxia.

13 See ZPE 19 (1975): 84, n. 130. 14 The notion of SxaKovew

appears to be derived from Pauline tradition, but its

origin may be in the hellenistic Jewish (Christian) mission. See esp. 2 Cor 10:5-6; 7:15; Rom

1:5; 5:19; 6:12, 16, 17; 10:16; 15:18; 16:19, 26; Phil 2:12; Phm 21; 2 Thess 2:1; etc.

15 See on this point also ZPE 5 (1970): p. 8, n. 2.

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220

MANICHAICUS

COLONIENSIS

The third quotation (69, 9-70, 10), apparently also from Mani’s Gospel, is again an elaboration of the evdoxeiv of Gal 1:15; Eph 1: 5,9: «When my Father took pleasure...» (6nnvika nbdddxnoev 6 Eudg TatHP [69, 9-10]). Now, however, the great gift of the Father («he showed mercy towards me and care» nenointar oiktippov sig Ene Kai KndSepoviav [69, 11-13]) consists of the sending of the Twin (ovCvyoc). This heavenly Twin is described by Mani in much the same soteriological language Paul uses in his christology: «...so that he might redeem and ransom me [from] the error of the people of that law» (...a@¢ dv ovtoc gEayopdonft] pe Kai Avtpw@oaito [EK] TH¢ NAGVNS tTHvV TOD [vé]wov é&Ketv[ov] [69, 17-20]). The language seems to be derived from

Pauline tradition and is reminiscent of Gal 3:13; 4:51°. For Mani, however, the «error of the law» refers to the Elchasaites, from which the Syzygos liberated him, just as Christ appeared to Paul and liberated him from the Jewish law (Gal 1:16). Salvation is called by Mani «the best hope, that is redemption» (...éAn[i5a thy a]ptotnv Kai [AUTpwow)

[69, 22-23]), certainly good Manichaean and also Pauline terms '’. In fact, Mani names three benefits as the legacy of the Syzygos: the best hope, that is redemption bringing immortality; true instructions

(6noOfjKo1 G&ANOeic) and the ritual laying on of hands (xe1ipobecia 8 [69,22-71, 3]). As far as his own person is concerned, the Syzygos elected Mani: «...he elected me, preferring, separating and pulling me out of the midst of the people of that law according to which I was reared» (...2€eAéEato we mpoKpivac Kai SiéotHoEv éEmiomacduEvos éK wéoov TOV TOD vVOuLOU Exsivov Ka Sv avEetpaOnv [70, 5-10]), — words reminiscent of Gal 1:15-16, although Mani’s words are different. In fact, Paul himself never speaks of his «election» as an apostle but of the election of Christians '?. However, Acts 9:15 has the unique concept of Paul as oKebdoc éKAoyijc, a concept remarkably close to Mani’s

understanding of his election ”°. 16 See ZPE 19 (1975): 85, n. 134. '7 See 1 Thess 5:8; Gal 5:5 and my Galatians, p. 262; G. Nebe, Hoffnung bei Paulus. Elpis und ihre Synonyme Vandenhoeck

and Ruprecht,

im Zusammenhang

der Eschatologie,

StUNT

16 (Gottingen:

1983).

18 For references see ZPE 19 (1975): 21, n. 46. 19 See 1 Thess 1:4; 1 Cor 1:27f.; Rom 8:33; 16:13; Eph 1:4; Col 3:12, etc. 20 The expression looks like a fixed expression coming from tradition, but its origin is unclear. For later occurrence, see Ep. Apost. 31 (42), E. Hennecke, W. Schneemelcher, R. McL. Wilson, New Testament Apocrypha, vol. 1 (Philadelphia: Westminster, 1963), p. 144; Ps.-Clem. Hom. 3:49. Cf. G. Schrenk, ThWNT 4 (1962): 183f.; Ch. Maurer,

ThWNT 7 (1964): 365.

H.D. BETZ

221

In addition to the fragments from Mani’s Gospel, CMC 64, 6-65, 22 cites from a letter by Mani to Edessa’. This quotation is clearly an elaboration of Gal 1:1, 12 in application to Mani himself. He begins by listing his salvific gifts which he has brought: «The truth and the secrets which I speak about — and the laying on of hands which is in my possession» (tiv GANPElav Kai Ta ANdPPHTA a&rEp SiarEyouar — Kai xe1pobecia 7 ovca map époi [64, 8-11]) and claims they are not from human tradition: «not from men have I received it nor from fleshly creatures» (o0K &€ GvO0ponwmv adthiv napérAapov fH capKiK@v TAGOLWATM@V [64, 11-13]). This claim is undoubtedly based on Paul’s

definition of his apostleship in Gal 1:1, 127%. The same can be said of the claim: «but not even from the studies of the Scriptures» (GAA’ oddé EK TOV OLIV TOV Ypagav [64, 13-15]), which appears to paraphrase

Paul’s statement oite &150y%8nv (Gal 1:12) 7°. The following sentence (64, 15ff.) uses Gal 1:15-16 for describing Mani’s vocation by the Father: «But when [my] most blessed [Father], who called me into his grace, saw me, he took pity... «(@AA’ onnvika Bewptioas pe OiKTIpEv [LOL] 6 LaKaplMtatoc [n(at)TIp] 6 Karéoac LE sic [tv] yapiv adtod [64, 15-19]). The quotation restates what Mani has said with somewhat different words in his Gospel**. Paul’s conceptuality is mixed with Mani’s own in an intriguing way, going of course beyond Paul. In this development Mani was probably stimulated by Ephesians. In his authentic letters Paul does not claim, as Mani does (65, 12-22), to have had a vision of the primordial state of the cosmos (npiv KataBoAtic Kdopov [65,14]), but it seems that the author of Ephesians thought that Paul had such a vision (cf. Eph 1:4: mpo

KataBorfic Koopov)*°. Although the material is limited in quantity, the quotations clearly reveal that Mani understood his vocation and office in terms of the conceptuality of Paul, which he applies to himself in a congenial and creative way. Mani’s understanding of Paul is based primarily on

21 See also ZPE 5 (1970): 108, n. 24; 19 (1975): 84, n. 115. 22 On the interpretation of the definition, see Betz, Galatians, pp. 38f., 62f.

23 For the interpretation, see Betz, Galatians, 62, with nn. 70-71. 68, 5-15; cf. 18, 11-14; 20, 11-16. 25 The hymn 1:3-14 presupposes a vision of the cosmos. On the hymn itself, see R.

24 CMC

Schnackenburg, Der Brief an die Epheser, EKK 10 (Ziirich: Benziger Verlag; NeukirchenVluyn: Neukirchener Verlag, 1982), pp. 42-68. Eph 3:8-11 also assumes that Paul has received knowledge about the mysteries of the cosmos. See for the interpretation,

Schnackenburg,

pp. 137-43.

CODEX

222

MANICHAICUS

COLONIENSIS

Galatians and Corinthians, seen through Ephesians. Mani’s preference for Galatians and Corinthians may be due to the influence of Marcion’s

canon which began with these letters 7°. Il. EXCERPTS FROM THE WorKS OF MANnr’s DISCIPLES

The final redactor of the Mani Biography included in his work a series of excerpts of previous works by disciples of Mani. These are highly interesting also for the question of Paulinism. Remarkably, not all of the disciples of Mani share the same intense interest in the apostle Paul. It is really only Baraies the Teacher who is an ardent Paulinist”’. There are several long excerpts from Baraies, their connection with each other being not entirely clear. (1) The first fragment (14, 3-26, 5) discusses one of the main problems of Manichean soteriology in general and the Mani Codex in particular: the origin and nature of Mani’s body (o@ua), in which his light-soul (vobdc) became embodied and through which the «revelation of his wisdom» (&noKdAvyic Tig adtod cogiacs [15, 13-14]) occurred. Put as a self-revelation into Mani’s mouth, the section is part of a longer argument of an apologetic nature7*, comparable to early Christian christological arguments concerning the incarnation of Christ. More specifically, Baraies’ arguments draw heavily on the concepts and theology of the Pauline tradition. What was the purpose and function of Mani’s o@ua? This question is answered first by analogies (14,1-15, 16), then by a doctrinal aretalogy of Mani’s o@pa (16,1-17,7). Not only the key-term o@®pua but much of the doctrine, as Baraies develops it, is strongly reminiscent of Paul’s

doctrine of the o@ua tod Xpiotob”® and its later interpretations in Colossians, Ephesians, and Ignatius of Antioch. Carefully woven into this doctrine are also notions coming from Paul’s apostleship, especially its deutero-Pauline interpretations. While Paul understood his apostolic office in terms of imitatio Christi, the later Paulinists established explicitly close relationships between the body of Christ and Paul’s 6 On the Apostolikon of Marcion, see Harnack, Marcion, 40ff*.

27 On Baraies see ZPE 5 (1970): 110, 135-37, 140, 147f., 154, 165, n. 150; 19 (1975): 16, n. 28; 80, n. 80.

28 See ZPE 19 (1975): 80, n. 80. ?° As A. Henrichs has pointed out, the concept of o@pa as used by CMC is derived from Paul. See A. Henrichs, «Mani and the Babylonian Baptists: A Historical Confrontation», HSCP

77 (1973): 23-59, 40.

H.D. BETZ

223

apostleship (see esp. Col 1:24; Eph 1:23; 3:1ff.). Given these presuppositions, it is only natural that Baraies proceeds to discuss Mani’s vocation (17, 7-23, 15)°°. This discussion appears to be again based primarily on notions derived from Paul’s defenses of his apostleship in Galatians and 1 Corinthians. Mani’s vocation is timed providentially: «at the time when my body reached its full growth» (kat& TOV KaIpov Toivvv Kad’ Sv ovvenepavbn Lov TO Opa ev TEAEL [17, 7-10]), somewhat analogous to Paul’s vocation in the prime of his manhood (Gal 1:13-15). But the vocation took place suddenly

(napaypiiwa [17,11])3! as an epiphany of the Syzygos: «suddenly (he) flew down and appeared before me» (xapayptipa Katantag den Eumpooév pov [17, 11-12]). The verb form ®@6n undoubtedly points to 1 Cor 15:5-8, where it designates the series of Christ’s appearances before the apostles, culminating with Paul. The Syzygos who appears to Mani is called «that most beautiful and greatest mirror-image of [my person]» (éKkeivo tO sveldéotatov Kai péylotov KatonTpOV t[OD mMpoow]zov pov] [17, 13-16]), a statement which appears to be connected with Paul’s concept of Christ as the eikav (see esp. Rom 8:29; 1 Cor 15:49; 2 Cor 3:18; 4:4; Col 1:15; 3:10) oe. The narrative about Mani’s vocation, however,

told in the first

person singular, is based on Gal 1:15-16, as it is in Mani’s own writings: «the most blessed Lord took pity toward me and called me into his grace» (6 paKapimtatoc KUplog éonAlay]yvicOn én’ Ene Kai pE ék[d]Acoev sic tiv adtod yapw [18,10-14]). The Syzygos plays the same

role for Mani that Christ plays for Paul (18, 14-19, 7)*?. In 19, 7-18 another statement of Mani concerning his vocation is introduced; this statement uses the key-term evdoxeiv familar from Mani’s Gospel! quotations: «And again he spoke thus: When my Father

was pleased...» (kai mddw sinev obta>o Mo Onnvika NoddKNoEV 6 matip pov... [19, 7-9]). Describing his vocation as a liberation «from 30 For Baraies’ apologetic tendencies see ZPE 19 (1975): 77, n. 40. 31 On the motif of suddenness in connection with epiphanies see ZPE 19 (1975): 79, n. 41.

32 See ZPE 19 (1975): 79, n. 41; furthermore, G. Widengren, Religionsphdnomenolo-

gie (Berlin: De Gruyter, 1969), pp. 497f.; H. D. Betz, «The Delphic Maxim yourself? in the Greek Magical Papyri», HR 21 (1981): 156-71, esp. 166-68.

‘Know

33 Tt is not clear whether the Syzygos concept was actually developed in imitation of

Paul’s

560-99, 241-49;

christology.

See C.

Colpe,

«Gnosis

II (Gnostizismus)»,

RAC

11 (1980),

cols.

602-07; M. Smith, «Pauline Worship as Seen by Pagans», HThR 73 (1980): cf. Koenen, «From Baptism to Gnosis,» pp. 740-42. See also E. Rose, Die

manichdische

Christologie,

Studies

in Oriental

1977), with the review by K. Rudolph,

Religions

5 (Wiesbaden:

ThLZ 107 (1982): 444-47.

Harrassowitz,

224

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

the error of the Law observants» (é« tij¢ tv S0yLaTIoTOV TAGVNG), referring of course to the Elchasaites, seems to reflect a surprisingly good understanding of the deutero-Pauline theology, where 56ypata refers to some kind of Jewish Law (Col 2:14; Eph 2:15) and dSoypatiCew (Col 2:20), as its practice. Further statements by Mani underscore this point, repeating statements found also in the quotations from his Gospels: «When he (the Twin) came, he delivered, separated, and pulled me out of the midst of that law, according to which I was reared» (6mnvika totvuov &gixtar, SiAvoatd pE Kai Sidpice Kai anEonNdoato EK pEGOv TOD vopnov éksivov Kab’ Sv advetpagnv [20, 7-11]). In conclusion, the vocation is interpreted as election: «In this way he called, chose, pulled and separated me out of their midst...» (kata& todtov tOv TpdTOV éKGAsoév pe Kai émedsEato Kai eiAKvoev Kai SiéotnoEv Ex pEGOv tovt[@v...] [20, 11-17]). The final section (21, 2-23, 15) is again aretalogical, spelling out the meaning of Mani’s arrival in the world (j G@iéic pov sic tévde TOV KOopov [21, 5-6]) by drawing on a variety of traditions. All the divine gifts Mani has received come down to revelations concerning his own origin and self, and concerning the universe. This means, in fact, that «everything» was revealed to him: «He revealed to me, then, in addition the boundless heights and the unfathomable depths, he showed [me] everything» (Eonve 8° abd Euo0i Tpdc TotUTOIG TA TE &rEipa bwH Kai TA Baby ta avetiyviaota, dnéder€é[v or] mavta [23, 12-15]). The almost hymnic phrase seems to make use of similar language in Rom 11:33, just as the author of Ephesians does in describing the meaning of Paul’s vocation (esp. Eph 3:1, 18-19). (2) The second excerpt from Baraies is lengthy and apparently a complete text (45, 1-72, 7). Apologetic in nature, it is closely patterned on Paul’s self-defense in Galatians. Like Paul’s claim of having had a revelation from Christ was disputed by opponents, so Mani’s opponents have contested his claim of a divine origin of his gospel. According to Baraies, the opposition was directed especially against Mani’s disciples who are said — here Baraies cites the accusation — to be only interested in their own self-promotion: «These alone have written about the rapture of their teacher in order to boast» (obto. wdvor yeypadqaoiv

apnayiv tod SidacKdAov adtdv mpd¢ Kabynow

[46, 4-9])34. As a

34 To do so would indeed be improper. Paul argues the same point in a different way in 2 Cor 12:1-5.

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225

defense, Baraies puts together a series of forefathers (mpoyevéotepor matépec [47, 4-5]) °° who each had his own &moKdAvyic as evidence of his €kAoyn. These forerunners of Mani wrote down the things revealed to them for the memory of those who came after them *°. What had happened to Mani was precisely the same as that which had occurred to the great prophets of the past (47, 1-48, 15). In 48, 16-62, 9 Baraies presents six testimonies as proof, beginning with quotations from the Apocalypse of Adam (48, 16-50, 7), then continuing with similar testimonies from the Apocalypses of Sethel (50, 8-52, 7), Enos (52, 8-55, 9), Sem (55, 10-58, 5), and Enoch (58, 6-60, 12). Strangely, Jesus is not included in this and other lists of forerunners. What are the reasons for this omission? The sixth testimony from Paul is different, since Baraies had apparently no Apocalypse of Paul at

his disposal*’. The testimony is that of Paul’s rapture into the third heaven, which is supported by quotations from Gal 1:1; 2 Cor 12:1-5;

and Gal 1:11-12 (60, 13-61, 22) 3%, followed by an interpretation of these passages (61, 23-62, 9). They show that Paul had an ecstatic seizure and was raptured into the third heaven and into Paradise, where he saw and

heard things. Baraies admits that Paul wrote only in vague allusions *” about these things, not like the seers of the Apocalypses previously cited: «and it is these very things that he wrote down indistinctly about his rapture and apostleship for the fellow initiates of the mysteries» (kai adto TodTO évexapacev aiviywatwsac nEpi TE Tic Apnayiic avtod Kai ANOGTOATS TOIS GLLWKOTAIC TV anoKPUOaV [62, 4-9]). Thus the passage from Paul, the interpretation of which is diametrically opposed to the original intent to 2 Cor 12:1-5 but is in conformity with contemporary

Christian

interpretation 40 is not as useful a testi-

mony for Baraies’ argument as are the other testimonies. The fact that he brings in Paul nevertheless shows that Baraies is as much an ardent 35 For further references see ZPE

19 (1975): 47, n. 85.

36 For this idea see also CMC 55, 7; 63, 8-9; furthermore ZPE 19 (1975): 49, n. 89. 37 The Mani Biography demonstrates why an Apocalypse of Paul was desirable. Had Baraies known of one of the existing ones, he would no doubt have been delighted. See Hennecke, Schneemelcher and Wilson, New Testament Apocrypha, vol. 2 (Philadelphia: Westminster, 1965), index s.v. Apocalypse of Paul; J. M. Robinson, ed., The Nag Hammadi Library in English (San Francisco: Harper and Row, 1977), pp. 239-41: NHC

V, 2: The Apocalypse of Paul.

38 On the quotations see ZPE 5 (1970): 114f., 215f. 39 The term aiviywat@d@c is, however, technical.

40 See H. D. Betz, Der Apostel Paulus und die sokratische Tradition (Tiibingen: J. C. B. Mohr [P. Siebeck], 1972), pp. 70ff.; E. Dassmann, «Paulus in der ‘Visio Sancti Pauli’», JbAC Ergdnzungsband 9 (1982): 117-28.

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Paulinist as Mani, who modelled his self-understanding on Paul as his direct forerunner. As Baraies points out in a final summary (62, 9-63, 1), Paul belongs to the chain of «apostles, saviors, evangelists, and prophets of the truth» (&ndotoAo1 Kai owtiipes Kai edayyeMotai Kai tiic GAnOeiacg mpoe~sitar [62, 11-14]) who were granted the vision of «the living hope for proclamation» () éAnic i C@oa mpdc TO KHpv[yLJa [62, 16-18]) and who have left their memoires for the future sons of the spirit who know how to understand them (62, 18-63, 1). The climax of the tradition is, of course, the seventh testimony, Mani himself. This is pointed out by Baraies in the following section (63, 1ff.), which also includes the quotations from Mani’s own writings discussed above (64, 3-70, 23). Baraies’ conclusion sums up the apologetic purpose of the entire argument (70, 23-72, 7). Apart from the numerous references to Paul’s letters and theology, too numerous to discuss in this paper, there are at least two interesting observations to be made. (1) Baraies constructs his argument in a similar way to 1 Cor 15:1-8, where Paul defends his vision of Christ by putting himself in a line of apostolic forerunners, thus constructing some kind of history-of-religions proof. (2) The New Testament texts Baraies uses to support his argument are Galatians and the two Corinthian letters (esp. 60, 13-61, 22). With this preference and order, Baraies follows Mani, who probably follows the canon of Marcion. This dependence, however, does not pertain to the actual text of the quotations. They do not follow Marcion’s text, since the quotation from Gal 1:1 has the phrase Kai 8¢00 matpdc which we know Marcion omitted from his

text; This raises the question of the origin of the New Testament quotations in 60, 13-61, 22. They do not appear to be translated from the Syriac but to be taken directly from the Greek New Testament *?. Therefore, one must conclude that the Vorlage, the Syriac text of Baraies, if it included the same quotations, may have had a different text and that the translator of the Mani Biography did not translate the Syriac New Testament quotations into the Greek but replaced them directly with the Greek New Testament quotations. If this is correct, it would explain why CMC seems to be dependent on Marcion’s canon and yet quotes a non-Marcionite text.

41 See on this point Harnack, Marcion, p. 67f.* * See also ZPE 19 (1975): 83, n. 109: «...der Ubersetzer muss in diesen Fallen den griechischen Wortlaut herangezogen haben».

:

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(3)’A third excerpt from Baraies is found in CMC 72, 8-74, 5%. It appears to be the conclusion of a new homily on Mani’s parousia (72, 16)** repeating much of the material elsewhere, including its Paulinism. The passage is concerned with the familiar question of how Mani lived among the Baptists for such a long time before he broke away from them. This question is again comparable to Paul’s situation as he describes it in Gal 1:12-16: Paul, too, was separated from his mother’s

womb (1:15), but lived as a Jew of the Pharisaic sect until of mature age (1:13-14). Did he know about God’s plans with him during that time? Were there no inklings at all? Paul does not raise or answer this question *°, but his words suggest that Christ’s appearance to him was a total surprise*°. Baraies, however, answers the analogous question for

Mani*’: Mani knew all along who he was, but the Baptists never found him out because «for always with prudence and craftiness he lived in their midst» (névtote y[ap] obv cogio Kai svunylavio] dveotpégEeto

év pé[om] adt@v [73, 16-19])**. Baraies’ solution to the problem is quite different

from

even

later

speculations

about

Paul’s

Christian

life 4°, and one will have to look for its theological roots in gnosticism. The comparisons with the lamb in the alien herd and the bird living among other birds singing a different song (73, 12-16) also point in a

gnostic direction °°. (4) The with Mani’s a (pseudo-) immediately

/ast excerpt from Baraies is again a lengthy section, dealing separation from the Baptists (79, 13-93, 23). The passage is autobiographical narrative of Mani dealing with the period preceding his secession. There is an introduction (79, 14-80,

43 See ZPE 32 (1978): 120-22, n. 139. 44 See ZPE 32 (1978): 122, n. 41: «nxapovoia ist t.t. fiir die Gegenwart des Gottlichen geworden, insbesondere fiir die Wiederkunft Christi (so N.T.), aber auch fir seine Menschwerdung...» The usage of the term in CMC may reflect second-century Paulinism, where it referred to the birth of Christ (Ign Phld 9:2; Ps.-Clem. Hom. 2.52; 8.5), rather than his eschatological return as in Paul (1 Thess 2:19; 3:13; 4:15; 5:23; 1 Cor 15:23). See Bauer, s.v. mapovoia;

PGL, s.v. TApPOvoia.

45 Others tried to do it for him, however. See Betz, Galatians, pp. 67, no. 102; 68, n.

124.

46 See Betz, Galatians, p. 69. 47 He says (72, 16-17) that Mani’s parousia must be understood nvevpatosisa@c («in a spiritual way»), an indication of the apologetic nature of the text. For the meaning of the term, see ZPE 32 (1978): 122, n. 142. 48 The final redactor, in what may be his own account, takes over this explanation

(CMC 5, 3-4). See ZPE 19 (1975): 7, n. 8. 49 For references see Hennecke, Schneemelcher and Wilson, New Testament Apocry_ pha 2, pp. 39-41.

50 For parallels see ZPE 32 (1978): 121f. (n. 139).

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5), followed by a number

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of sections dealing with Mani’s theological

debates against the Baptists*!. Not surprisingly, the entire passage is saturated with Pauline concepts again referring especially to Galatians and Corinthians. Briefly stated, Mani’s confrontations with the Baptists are presented as recurrences of Paul’s confrontations with his opponents in Galatians and, to a lesser degree, 1 Corinthians 32, In general, the Baptists are classified under vouoc just like Paul

does with his opponents in Galatians **. Mani claims to be orthodox and a faithful follower of the owttp Christ (80, 11)°4 when he sets out to destroy the Baptists’ doctrines and way of life: «When I dissolved and destroyed their words and their mysteries» (6mnvika 5& KatéAvov Kai KaTH[pylovv abtdv todvs Adyousc Kai TH pvOTHpIa [80, 6-8]). On the other side, the Baptist opponents raise the question regarding Mani’s goals: «Does he not want to go to the Greeks?» (unt sig toOvS “EdAn[vlac PovAstar nopevOf{[v]ar; [80, 16-18])*°. The terminology, especially katadvew and katapysiv are key-terms already in anti-Paulinist controversies in the New Testament (see Gal 2:18; Rom 3:31; Eph 2:15; Matt 5:17; cf. Did 11:1). Mani’s major attack is directed against the Elchasaites’ baptism of food (80, 21-82, 23) and their daily baptism of the body (82, 23-83,

19)°°. Mani’s critique seems to reflect Paul’s reservations regarding Jewish Christian baptismal theology (1 Cor 1:10ff.)°’ as well as the early Christian argumentation about purity and impurity in Mark 7:1-23°8. In connection with these arguments, Mani offers evidence from observation: baptized foodstuffs lead to the same impure excrements as unbaptized ones (81, 5-82, 22). Similarly, daily baptisms of the body*? do not achieve purity precisely because they have to be

5! For an analysis see ZPE 32 (1978): 132f. (n. 175). °? Henrichs and Koenen (ZPE 32 [1978]: 132 [n. 175]), refer to Jesus’ debates with the Pharisees as parallel; see also p. 137, n. 186.

°° Like for Paul, véwoc includes the religious system in its entirety. For background of the Manichaean concept see ZPE 19 (1975): 72, n. 11; Henrichs, HSCP 77 (1973): 47f.

%4 For parallel references see ZPE 32 (1978): 133f., n. 179. °5 For the parallel passages see ZPE 32 (1978): 135, n. 183. © For a general discussion see ZPE 32 (1978): 134f., nn. 180 and 181. 57 It is evident especially in 1 Corinthians that Paul had reservations regarding the ritual of baptism, but he does not fully spell out what these reservations were.

°8 See on this passage H. Hiibner, «Mark. VII.1-23 und das ‘jiidisch-hellenistische’ Gesetzesverstandnis», NTS 22 (1975/6): 319-46. Henrichs and Koenen refer to Mark 7 in

ZPE 32 (1978): 139, n. 189. °° For general references see ZPE 32 (1978): 142, n. 197.

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29

repeated daily °°. It is the body which is and which remains impure (82, 23-84, 7). In fact, the Elchaisite practice goes against the teaching of Jesus: «...as also the practice is being followed without a commandment from the savior» (...0¢ Kai yevéo8a1 TO Tpayya diya EvtOAijhymne montre qu’il ne saurait étre postérieur au début du III® siécle de notre ére. Il s’agit la, bien entendu, d’un pur ferminus ante quem et non d’une datation de l’oeuvre. Ajoutons que la prise de la Méséne par le Sasanide Ardachir peu aprés son avénement (i.-e. peu aprés 224) enleva 4a cette région le rdle de transit caravanier entre l’Est et 1’Ouest qu’elle jouait et

que l’Hymne de la Perle célébre }°. Sur le milieu d’origine de Il’hymne, on peut aussi faire état de quelques données certaines: c’est en effet vers l’Iran et plus précisément vers le monde parthe que nous oriente l’étude des titres et des

toponymes “ de l’hymne. A cela, il faut ajouter la tendance «iranisante» du lexique’* de l’hymne ow I’on reléve un nombre relativement, anormalement méme, élevé de mots d’emprunt d’origine iranienne. En plus de ces points, notons qu’on arrive aussi a appréhender assez clairement la signification originale de l’hymne et |’interprétation qu’ont pu en donner certains de ses lecteurs. Nous y reviendrons. Au terme de cette analyse et de l’inventaire des résultats auxquels elle a permis d’aboutir, une question demeure cependant. Nous remarquons en effet que l’Hymne de la Perle nous a été transmis dans les Actes de Thomas et dans ces Actes seulement. Par ailleurs, force est bien de constater que les liens entre ceux-ci et I’>hymne sont, sur le plan autant du contenu que de la forme, des plus ténus. Dés lors, pourquoi l’Hymne de la Perle a-t-il été inséré dans les Actes de Thomas, quelle est la nature des liens qui unissent Il’hymne aux Actes ou, du moins et peut-étre encore plus, a leurs utilisateurs? Ce n’est qu’a la condition de répondre a ces questions qu’on pourra entrevoir la place de l’Hymne de

la Perle dans histoire littéraire et doctrinale. 1! Tbid., p. 183-184. Un arrangement différent de ces étapes est suggéré par P. Devos, dans Analecta Bollandiana 101 (1983), p. 178.

12 Cf, Poirier, op. cit., p. 185-193, 194-197. 13 Cf. E. FREZOULS, «Les fonctions du Moyen-Euphrate a l’époque romaine», dans Le Moyen Euphrate. Zone de contacts et d’échanges. Actes du Colloque de Strasbourg, 10-12 mars 1977 (Université des sciences humaines, Travaux du Centre de recherche sur le Proche-Orient et la Gréce antiques, 5), Leiden, 1980, p. 355-386 et sp. p. 377-382.

14 Cf, PoIRIER, op. cit., p. 211-264. 15 Tbid., p. 193-194.

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Il. SIGNIFICATION DE L’Hymne de la Perle

Mais avant de s’attacher a la solution de ces problémes, il importe de commencer par lire l’Hymne de la Perle. Le lire, c’est-a-dire, indépendamment de toute interprétation qu’on a pu, ou aurait pu lui donner, essayer de bien saisir sa nature en tant qu’oeuvre littéraire et le fonctionnement de ses éléments. Ce préalable étant assuré, on pourra considérer les exégéses et les relectures dont il a été l’objet. Si Hymne de la Perle est présenté par la tradition manuscrite comme un madrasa et un waduoc, c’est d’une maniére tout a fait formelle et qui n’aide en rien a son intelligence: il s’agit, en effet, d’une composition rythmée qui s’apparente a la poésie par son style et par les images qu’elle utilise. Le point qu’il faut considérer pour caractériser Hymne de la Perle, est plutdt celui de son théme et de son genre littéraire. Autrement dit: de quoi parle l’Hymne, et comment en parle-t-

il?

|

A ces questions, nous sommes en mesure de proposer une réponse précise: l’Hymne de la Perle est un récit de quéte dont le narrateur est le héros. Ce récit a essentiellement pour objet de raconter un envoi en mission, sous la forme d’une quéte, dont le but est de soumettre le héros a une épreuve, au terme de laquelle, s’il réussit, il sera transformé et rendu apte a jouer un nouveau ré/e dans la société. L’argument de V’hymne est donc une mise a l’épreuve en vue de la conquéte d’un héritage. Dans cette perspective, la quéte de la perle est le passage obligé qui permettra au héros de devenir adulte et de se qualifier pour assumer la fonction qui lui est réservée et qui lui sera dévolue, si toutefois il s’en est montré digne. Ce motif ressort clairement du texte, lorsqu’est proposé au jeune prince le «pacte» (v. 11), la mission qu’il devra réaliser: «Si tu descends en Egypte, et que tu rapportes la perle unique, celle qui est au milieu de la mer, tu revétiras ton splendide vétement et ta toge qui repose sur lui, et avec ton frére, notre second, tu seras héritier dans notre royaume» (v. 12-15). Le but du voyage qu’entreprend le prince est de ramener la «perle unique», mais, comme dans tous les récits de quéte, l’objet recherché n’est pas une fin en soi: dans l’Hymne de la Perle, ce n’est que l’occasion qui est donnée au héros de montrer qu’il peut devenir héritier. Ceci explique le traitement de deux éléments de I’hymne, la perle et le vétement. Les commentateurs ont en effet été frappés par la place

;

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démesurée que l’hymne accordait au vétement et a sa description, alors que la perle n’est mentionnée que de facon trés discréte. La raison de cette différence d’accent est trés simple: elle réside dans le fait que la perle, tout en étant le moteur du récit, n’a pour ainsi dire aucune importance en soi. Elle ne constitue pas le terme, le but de l’épreuve, elle n’est que l’objet de la quéte, ce qui permet Il’épreuve. En ramenant a son pére la perle qu’il a arrachée au serpent, le prince ne fait que prouver qu’il a effectivement réussi le «beau geste» qui montrera sa capacité d’étre héritier. Que la perle soit l’objet de la quéte n’est évidemment pas étranger au symbolisme qui lui est attaché: symbolisme trés riche dont le dénominateur commun est le fait que la perle est quelque chose de précieux parce qu’unique ou rare. Si le theme du vétement est plus important que celui de la perle, c’est a cause du lien étroit qui l’unit au terme de l’épreuve: «si tu descends en Egypte..., tu revétiras ton splendide vétement..., et tu seras héritier». Si le prince accomplit sa mission, il recouvrera d’abord son -vétement. Mais le terme ultime de l’épreuve demeure cependant de devenir héritier. Sans vouloir nous livrer, faute de données, a une analyse socio-historique qui permettrait de préciser le milieu d’origine de l’Hymne de la Perle, il est permis d’affirmer qu’il évoque quelque chose qui se rapproche d’une «investiture». En effet, le vétement semble représenter le statut social et familial que le fils du roi posséde par naissance, statut qui lui permet de prétendre a un certain rdéle; il doit cependant assumer ce statut en faisant montre de sa compétence et de sa capacité par la réussite d’une épreuve qui le qualifiera. S’il réussit, il a alors le droit de remplir le réle auquel le destinait son statut d’origine: il retrouve sa place dans la famille et la société pour accéder de la a un niveau supérieur, il reprend possession du vétement et devient héritier. En cela, le théme de la véture et de la dévéture concorde bien avec l’ordonnance des rituels initiatiques ou de passage. I] marque en effet la renonciation a un statut premier puis l’accession a un nouveau statut. Il n’est pas impossible qu’un tel récit se fasse l’écho de pratiques ayant eu cours dans des monarchies héréditaires ot le prince, le fils du souverain régnant, est celui qui, de jure, doit hériter, mais a condition qu’il se qualifie, qu’il subisse une épreuve de passage, qui permettra a son clan de le reconnaitre comme héritier. Dans le cas de l’Hymne de la Perle, \’épreuve est double puisqu’elle marque pour le prince le passage a l’Age adulte, ainsi que le souligne bien la déclaration du vétement a l’adresse du prince, lorsque ce dernier remonte vers |’Orient: «C’est

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pour ce plus vaillant des serviteurs qu’on m’a élevé devant mon pere; moi aussi je sentais en moi que ma stature, comme ses labeurs, grandissait» (v. 91-92). Toutefois, princes et rois sont les protagonistes réguliers de ce genre de récit. Il serait donc hasardeux d’y chercher quelque allusion historique trop précise. Il en va de méme de la mise en scéne d’épreuves au terme desquelles le héros du récit sera investi d’un nouveau statut. Certes, il s’agit bien la d’un théme qui rappelle les rituels initiatiques, mais le passage d’une ou de plusieurs épreuves est un des éléments constitutifs pour plus d’un genre. Deux éléments de ce récit pourraient cependant évoquer plus directement certains rites d’initiation: il s’agit du theme du passage de l’enfance a l’état adulte, associé a celui du vétement dont le héros est d’abord dépouillé pour en étre a4 nouveau revétu au terme de |’épreuve. Quoi qu’il en soit, le théme que l’on peut dégager a la lecture de l’hymne est celui de la conquéte d’un héritage, conquéte qui se fait par Vintermédiaire d’une quéte dont les rebondissements successifs constituent autant d’épreuves pour le héros. Si, au terme de cette analyse thématique, nous nous interrogeons sur le genre littéraire de l’>Hymne de la Perle, nous dirons qu’il s’agit d’un récit, i.-e. d’un texte mettant en scene des personnages qui s’entraident, s’influencent, s’affrontent dans le cadre d’une action, d’une intrigue, dont les séquences permettent des transformations de ces

mémes personnages. Que |’Hymne de la Perle soit un récit au sens strict, ressort encore de ce qu’on peut lui appliquer sans lui faire violence la méthode élaborée pour l’étude des récits par A.J. Greimas, a la suite

d’ailleurs de V. Propp’®. Le recours a cette méthode fait apparaitre le découpage de |l’Hymne en séquences narratives bien marquées et la grande cohérence du discours qui se développe en plusieurs registres correspondants et paralléles: ceux du temps — temps ou moments de action, temps ou age du prince —, de l’espace — l’Orient, |’Egypte, puis a nouveau |’Orient —, du vétement — véture/dévéture, déguisement/abandon du déguisement —, et des intervenants. II ressort de tout cela que nous nous trouvons en face d’une piéce littéraire qui tire son inspiration de la littérature populaire. L’Hymne de la Perle, par les acteurs qu’il met en scéne (prince, rois, serpent), la quéte dont il fait le récit, de méme que par la grande place qu’y tient le «merveilleux» (lettre

'6 Pour le détail de Panalyse et l’exposé de ses résultats, cf. ibid., p. 205-209.



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qui vole, vétement qui grandit et parle) reléve bien du conte, et du conte populaire. Que sa rédaction ait toutefois contribué a lui donner une forme plus «littéraire», cela est probable. On peut se demander si les lecteurs et utilisateurs de l’Hymne de la Perie ont pu effectivement le saisir dans son sens premier et dans son unité. Il est permis d’en douter, si du moins l’on se référe au seul exemple d’exégése de |’Hymne de la Perle qui nous soit connu, celui du «métaphraste» byzantin Nicétas de Thessalonique (XI® siécle) 4 qui nous devons une adaptation des Actes de Thomas, comme aussi des Actes de Jean. Nous pouvons supposer, avec beaucoup de vraisemblance, que ceux qui lisaient les Actes de Thomas et |’Hymne de la Perle, \e faisaient dans un contexte social et doctrinal qui leur en donnait une clef d’interprétation et qui leur permettait de faire fonctionner l’Hymne a Vintérieur d’un systéme. Pour nous, il est donc tout aussi important de retrouver ces interprétations, dans la mesure ot les documents nous le permettent, que d’analyser l’hymne en lui-méme. Il importe de noter ici qu’aucune interprétation gnostique ou manichéenne de l’Hymne de la Perle n’est historiquement attestée comme telle. Nous verrons cependant dans quelle mesure nous sommes justifiés de reconstituer cette interprétation, du moins pour les manichéens, si toutefois ils sont responsables, comme nous le croyons, de l’insertion de l’Hymne de la Perle dans les Actes de Thomas. Pour en revenir a Nicétas de Thessalonique, il apparait que pour lui, l’hymne n’est rien d’autre qu’une allégorie de l’histoire de l’>humanité personnifiée par l’apd6tre Thomas. Sous un langage figuré, l’apdtre y expose «la noble origine de I’homme, la richesse des graces qu’il recut de Dieu, ia perte de celles-ci 4 cause de l’indifférence et de la transgression, les exhortations par les divines Ecritures, l’attaque des démons, le rappel par le repentir, la grace du baptéme et le rétablissement futur». Il s’agit donc de l’histoire de l’homme, fait a l’image de Dieu, déchu par le péché et revenant a son état premier par le repentir et grace aux sacrements de |’Eglise. Chaque élément de |’hymne est interprété en fonction de cette ligne herméneutique générale. La conséquence la plus importante de cette interprétation est la suivante: ce qui était dans le texte original un envoi en mission devient, dans la relecture, une chute, fruit de «l’indifférence et de la

transgression» ‘’. Ce sont le sens profond et l’intention de l’oeuvre qui 17 Assez paradoxalement, la méme erreur d’interprétation sera reprise par plus d’un exégete moderne de |’Hymne de la Perle, qui y verront le récit d’une chute.

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sont ainsi modifiés. Mais Nicétas n’est que partiellement responsable de cette transformation dans la mesure ow il nous donne, sans aucun doute, la seule interprétation de l’Hymne de la Perle qui était possible pour lui, compte tenu de son milieu socio-culturel. Elle se comprend tout a fait si on essaie de voir quelle était la situation de Nicétas face a l’Hymne de la Perle. En effet, Nicétas recevait l’hymne intégré 4 un ensemble auquel il reconnaissait. une certaine valeur normative, en tant qu’il rapportait les faits et gestes d’un apdotre. L’interprétation de Nicétas a donc essentiellement pour but de récupérer un texte qu’il ne pouvait écarter, parce que véhiculé par une oeuvre qui faisait autorité 4 ses yeux. Pour Nicétas, un texte comme |l’Hymne de la Perle, étant donnés sa situation et son environnement, avait nécessairement quelque chose a dire pour «le service de la pieuse vertu et le profit des auditeurs». Dés lors, ce principe étant posé, le texte se laissait tres facilement «orthodoxiser», sans que, pour autant, Nicétas puisse étre taxé de mauvaise foi. C’est précisément en cela que réside, pour une majeure partie, Vintérét de Nicétas de Thessalonique: son exégése est probablement assez représentative d’une lecture ecclésiale et orthodoxe de l’Hymne de la Perle qui a di étre pratiquée a chaque fois que l’hymne était lu en milieu chrétien. Cela explique qu’une piéce comne |l’Hymne de la Perle ait été maintenue dans les Actes de Thomas: en effet, sa légitimité ne pouvait étre mise en doute par les lecteurs qui la rencontraient dans leur exemplaire des Actes de Thomas. III. L’Hymne de la Perle ET LE MANICHEISME Revenons maintenant au probleme que nous soulevions a |’instant, celui de la présence de |’Hymne dans les Actes de Thomas. Pour le résoudre, il faut se demander qui, parmi les utilisateurs de ces derniers, avait intérét a y insérer un morceau aussi doctrinalement neutre, du moins a premiére vue, que |’Hymne de la Perle. Nous savons que les Actes ont été largement diffusés dans le christianisme ancien tant oriental que grec. Nous savons aussi de facon sire que les manichéens se sont appropriés les Actes et qu’ils les ont peut-étre transformés. Quoique nous n’en ayons pas de témoignages précis, il est par ailleurs permis de penser que des gnostiques chrétiens ont pu utiliser les Actes, comme ils ont fait pour l’Evangile et le Livre de Thomas retrouvés a Nag Hammadi. De ceux-ci, chrétiens, manichéens ou encore gnostiques, il apparait que ce sont les manichéens qui sont les plus susceptibles de s’étre



P.H. POIRIER

243

intéressés a l’Hymne de la Perle et de |’avoir introduit dans les Actes. Non qu’il faille voir dans l?Hymne de la Perle une oeuvre manichéenne au sens ol on y retrouverait dans le détail une expression du mythe manichéen, ou encore une présentation symbolique de la vie de Mani. Les tentatives d’interprétation de l’Hymne de la Perle menées en ce sens, ne se sont pas révélées trés concluantes. C’est plutét du cdté des pratiques littéraires des manichéens qu’il faut chercher. Nous savons en effet qu’en plus de leurs Ecritures proprement manichéennes, oeuvres de Mani et de ses disciples, ils n’ont pas hésité a s’approprier ou a utiliser tout autre écrit, religieux ou profane, qui pouvait servir leurs desseins de propagande missionnaire’®. Ils y étaient habilités par leur conviction d’étre les héritiers et le «sceau» de toutes les religions qui les avaient précédés, ce qui les autorisait 4 regarder comme leur bien propre tout ce qui, chez leurs prédécesseurs, faisait écho a la doctrine manichéenne. IIs ne faisaient dés lors que puiser dans un patrimoine religieux qu’ils reconnaissaient comme le leur en vertu des prétentions universalistes de leur religion. Et bien loin de se limiter a des écrits religieux, ils ont intégré a leur littérature des récits, des contes, des fables et des oeuvres poétiques qui pouvaient étre utilisés dans un but d’édification morale et d’enseignement. En ce qui a trait a l’Hymne de la Perle, nous sommes en face d’une oeuvre dont une des caractéristiques principales, et aussi pour nous une des difficultés majeures, est d’étre polyvalente au plan de la signification: ’hymne, pris en soi, n’est ni chrétien, ni manichéen, ni gnostique, ou plutét, ce qui revient au méme, il peut étre aussi bien interprété comme une oeuvre chrétienne, manichéenne ou gnostique. Cette polyvalence est illustrée 4 merveille par l’histoire de la recherche: on a pu, moyennant un peu de concordisme, mais toujours avec une certaine vraisemblance, tirer l’hymne d’un cété ou de l’autre. Mais qu’en est-il

18 T a-dessus, cf. W. BANG(-KAUP), «Manichdische Erzahler», Le Muséon 44 (1931) 1-36; W.B. HENNING, «Neue Materialen zur Geschichte des Manichdismus», ZDMG 90 (1936) 1-18 (= Acta Iranica 14, Téhéran/Liége, 1977, p. 379-396); «The Book of the Giants», BSOAS 11 (1943) 52-74 (= Acta Iranica 15, Téhéran/Liége, 1977, p. 115-137); «Sogdians Tales», BSOAS 11 (1945) 465-487 (= Acta Iranica 15, Téhéran/Liége, 1977, p. 169-191); W. SUNDERMANN, Mittelpersische und parthische kosmogonische und Parabeltexte der Manichder mit einigen Bemerkungen

zu Motiven der Parabeltexte von Fr. Geissler

(Schriften zur Geschichte und Kultur des alten Orients, 8, Berliner Turfantexte, 4), Berlin, 1973, p. 83-84 et 141-142; Jes P. Asmussen, Manichaean Literature. Representative Texts Chiefly from Middle Persian and Parthian Writings (Persian Heritage Series, 22), Delmar (New York), 1975, p. 37-43. Voir en outre, pour Mani, (Coll. «Que sais-je?», 1940), Paris, 1981, p. 41-45.

M. TarpigEu,

Le manichéisme

244

CODEX

MANICHAICUS

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effectivement? L’hypothése qui nous semble s’imposer, compte tenu de ce que nous savons de I’hymne, des Actes et de leurs utilisateurs, est la suivante: l’Hymne de la Perle, oeuvre littéraire populaire d’origine parthe, a été utilisé par les manichéens qui |’ont introduit dans les Actes de Thomas. Pourquoi se sont-ils ainsi appropri¢és l’Hymne de la Perle? Selon toute vraisemblance parce qu’ils y voyaient une certaine illustration du destin de Mani, i.-e. une parabole de ce qu’avait été la mission de Mani. La richesse des éléments symboliques que comportait l’hymne suffit a expliquer qu’ils aient pu le lire en ce sens, sans qu’il soit nécessaire de supposer qu’ils aient di, pour cela, le charger, en le remaniant, d’une valeur théologique ou idéologique qu’il n’aurait pas eue 4 l’origine. Cette hypothése qui fait de l’Hymne de la Perle une oeuvre manichéenne au sens non pas d’une oeuvre composée ou méme remaniée par eux, mais d’une oeuvre qu’ils auraient adoptée, s’appuie sur les habitudes littéraires des manichéens que nous avons évoquées et aussi sur certaine présentation de la vocation de Mani que nous a révélée le Codex manichéen de Cologne. C’est que nous allons considérer maintenant. IV. L’Hymne de la Perle rt LE Codex manichéen de Cologne Les éditeurs du Codex manichéen de Cologne ont pris soin dans leur mémoire de 1970 et a chaque fois que Il’occasion s’en présentait dans leur édition, de relever tous les rapprochements que |’on pouvait faire entre le codex et Il’hymne. Ils ont surtout mis ce dernier a contribution lors de leur étude du «double» ou du compagnon (ovCvyoc) céleste de Mani. Il n’y a rien a ajouter a la matiére de leur analyse. Il faut cependant remarquer que tous les paralléles qu’ils ont inventoriés n’ont pas le méme poids lorsqu’il s’agit d’établir les relations du codex avec l’hymne et vice-versa. Pour donner a chaque rapprochement entre l’hymne et le codex Vimportance réelle qu’il a, il importe de les classer selon ce que nous appellerions leur «ampleur». C’est ainsi que nous pourrons distinguer 1° des rapprochements de thématique globale, 2° des rapprochements de themes et 3° des rapprochements de vocabulaire. Si ces derniers, pris en eux-mémes et de facon isolée, ne prouvent rien, les premiers étant les seuls a avoir une valeur déterminante, ils prennent dans le cas qui nous occupe un relief particulier, car il existe entre l’hymne et le codex une parenté littéraire telle qu’elle ne peut étre fortuite. Bien plus, cette

P.H. POIRIER

245

parenté ne concerne pas des éléments secondaires de l’une et |’autre oeuvre, mais bien ce qui constitue un des épisodes centraux de l’Hymne de la Perle et une des figures les plus importantes de l’univers symbolique du manichéisme. C’est

aux

pages

17,7-24,15

que

l’on

peut

le mieux

constater

la

parenté du Codex manichéen avec l’Hymne de la Perle. Citons d’abord ce texte dont les éléments recoupent a grands traits le schéme de Hymne de la Perle. Mani y apprend, a l’occasion de la seconde révélation du ovCvyoc, qui il est, comment il fut séparé du Pére qui demeure dans les hauteurs, comment il a été envoyé, chargé d’une mission, et qu’il s’est revétu du corps comme d’un instrument, ce qui lui

fut source d’oubli et d’ivresse 1”: (17,7) Ainsi donc, du moment ot mon corps parvint a sa perfection, aussitdt ce trés gracieux et grand miroir de moi-méme vola d’en-haut et apparut devant moi [+6 lignes manquent]. (18) Lorsque j’eus vingt-quatre ans, en l’année ov Dariardaxar le roi de Perse, soumit la ville d’Hatra, et ot Sapor, son fils, ceignit la grande couronne, dans le mois de Pharmouthi, au huitiéme jour (selon le comput) lunaire, le trés bienheureux Seigneur fut touché de compassion pour moi et il m’appela en vue de sa grace: a nouveau, il m’envoya d’en haut mon Compagnon qui apparait en grande gloire [+ 8 lignes manquent] (19), éveillant le souvenir 7° et révélant tous les excellents desseins qui proviennent de notre Pére et de la bonne premiere Droite. Et, de nouveau, il (sc. Mani) parla ainsi: Lorsque mon Pere le jugea bon et qu’il fut pris de pitié et de compassion pour moi, en vue de me sauver de l’erreur des membres de la Secte (sc. des Elkhasaites), me montrant son attention par ses tres nombreuses manifestations, il m’envoya mon Compagnon [+ 6 lignes manquent] (20) (qui apporta) la trés bonne espérance et la délivrance 4 ceux qui sont patients, et les trés véritables principes et avis, ainsi que l’imposition de la main qui vient de mon Peére. Dés lors, donc, qu’il arriva, il me délivra, me mit a part et m’arracha du milieu de cette loi d’aprés laquelle j’avais été élevé. De cette maniére, il m’appela, me choisit, me tira

et me sépara du milieu de ces gens. (Et) m’ayant tiré a part 7’ [+

19 Traduction d’aprés |’édition de A. Henrichs-L. Koenen, Zeitschrift fiir Papyrologie und Epigraphik 19 (1975), p. 18-27. 20 Pour la traduction de wvjotwp en 19,2, nous tenons compte de la remarque de G.J.D. AALDERS, «Einige zusatzliche Bemerkungen zum K6lner Mani-Kodex», Zeitschrift fiir Papyrologie und Epigraphik 34 (1979) 27-30 (sp. p. 28). 71 Au lieu de suivre la lecon d’abord proposée par les éditeurs (sic belav nAevpav cf. Zeitschrift fiir Papyrologie und Epigraphik 19 [1975] 23), nous traduisons d’aprés celle qu’ils ont finalement retenue, par comparaison avec la tournure paralléle en 101,6-7: sic

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246

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7 lignes manquent] (21), (le Compagnon me révéla) qui je suis, (moi) et mon corps, de quelle maniére je suis venu et comment se produisit mon arrivée en ce monde, qui je suis parmi les plus remarquables quant a l’excellence, comment je suis né dans ce corps de chair, ou par quelle (femme) j’ai été délivré et mis au monde selon cette chair, et par quel amour j’ai été engendré [+ 8 lignes manquent] (22), qui est mon Pére, celui qui se trouve dans les hauteurs, et encore de quelle maniére, m’étant séparé de lui, je fus envoyé conformément a son dessein, quel commandement et quelles instructions me furent donnés avant que je revéte cet instrument, que j’erre dans cette chair infame et que je revéte son ivresse et (sa) maniére (d’étre), et qui il est, lui, mon Compagnon qui est vigilant [+ 6 lignes manquent]. Comme dans l’Hymne de la Perle, cette révélation que recut Mani, l’amena a se reconnaitre et lui permit l’accomplissement de sa mission:

(23) (Le Compagnon me révéla aussi) les secrets, les visions et les surabondantes (richesses) de mon Pére, et, me concernant: qui je suis et qui est dés lors le Compagnon qui m’est ajusté; et encore, concernant mon Ame, qui est l’4me de tous les mondes: ce qu’elle est elle-méme, et comment elle est venue a |’existence. Puis il me fit connaitre, outre ces choses, les hauteurs infinies et les profon deurs insaisissables; il me montra tout [+ 2 lignes env. manquent]. Tout comme le prince reconnait dans le vétement son double et une partie de lui-méme, ainsi Mani dans son Compagnon: (24) Je l’acquis comme mon bien propre, Je le crus, (car) il m’appartenait et était mien et il m’était un bon et excellent conseiller. Je le reconnus, et je compris que j’étais celui-la, dont j’étais séparé. J’attestai que moi-méme j’étais celui-la, étant inébranlable. Le rapprochement entre ces textes et l’Hymne de la Perle est frappant. De part et d’autre, nous y trouvons la compassion des parents ou du «trés bienheureux Seigneur» a l’égard de celui qui est au loin, dans l’erreur de la «Secte» ou dans le sommeil de l’oubli; l’envoi d’un adjuvant, le ovGvyoc dans le Codex, la lettre dans 1’Hymne qui apporte délivrance et éveil, ainsi que la connaissance, ou mieux, la reconnaissanpiav mAevpav;

cf. ibid.

44 (1981)

209 et surtout

234-235,

note

315, ot la nouvelle

conjecture est éloquemment justifiée par recours a l’araméen et au syriaque.

:

;

P.H. POIRIER

247

ce de soi-méme; et surtout la prise de conscience de l’identité adjuvant et de celui vers qui il est envoyé. Nous avons vu en termes le Codex manichéen exprime cette prise de conscience. l’Hymne de la Perle nous en trouvons une affirmation tout aussi

de cet quels Dans claire:

Soudainement, lorsque je lui fis face, tel mon miroir, le vétement me ressembla.

Je le vis tout entier 27, et aussi, moi, Car deux nous et a nouveau, en une forme

je recus tout en lui. avions été dans la division, nous (étions) un, unique (v. 76-78).

Ce qui permet cependant de parler, pour l’Hymne de la Perle et le Codex manichéen de Cologne d’une thématique apparentée, c’est, bien plus que les éléments que nous venons d’énumeérer, le fait que nous rencontrions de part et d’autre un envoi en mission. Pas plus pour Mani que pour le jeune prince, il n’est question de chute. La-dessus, l’hymne et le codex se recoupent de facon remarquable. II suffit pour s’en rendre compte de citer en paralléle l’un et |’autre:

Codex manichéen de Cologne

Hymne de la Perle

pee223.2-15 Kai 6 TaTHp LOD 6 év bwer TIC TOYYGVEL

v. 1-3a Lorsque...j’habitais dans mon royaume, la maison de Pe rinOM: Pere, rs de |’Orient.

ff noim. TPdTaI dSiactac avtod

v. l6a Je quittai |’Orient.

ANEOTAANV

v. 3b Mes parents m’équipérent et m’envoyerent. v. 57 La perle, pour laquelle

j’avais été envoyé en Egypte.

KATO THV adTOD yYvOu"NV Kai toiav éVTOAHV TE Kal OTOONKHV Sedspntai por

v. lla Ils firent un pacte avec moi. v. 100a Parce que j’avais accompli ses commande-

ments....

22 Ta version grecque insiste davantage sur |’identité du prince et du vétement-miroir: «Mais, soudainement, lorsque je vis la ressemblance du vétement, comme dans un miroir

je me contemplai moi-méme tout entier en lui».

248

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MANICHAICUS

COLONIENSIS

Tpiv EvVSvOMp"AL tO Spyavov tddE

v. 29a Je pris un vétement comme le leur.

Kai mpiv TAAVNI® év Tit OaPKI TAVTHL tht BdSeAvpadeEr

v. 33a J’oubliai... v. 62a Leur vétement souillé et impur...

Kai piv Evddvai WE THV TE WEONV ADVTS Kai TOV THOTOV

v. 35b Je m’endormis d’un profond sommeil. v. 29a Je pris un vétement comme le leur.

Tel est pour l’essentiel le paralléle le plus significatif que nous pouvons faire entre le Codex manichéen de Cologne et \’Hymne de la Perle. Que peut-on en tirer? Tout d’abord, que les rédacteurs du Codex, sinon Mani lui-méme, ont pu connaitre |’Hymne de la Perle; et ensuite, que le vocabulaire et la thématique de l’Hymne de la Perle ont pu influencer le Codex. Cependant, sur ce dernier point, nous n’irions pas aussi loin que H.-Ch. Puech qui écrivait que les deux oeuvres «se recoupent et se correspondent en trop d’endroits pour qu’on ne soit pas porté, non seulement 4 commenter l’un par l’autre les deux textes, mais méme a aller jusqu’a voir dans Hymne lune des sources dont Mani se_ serait inspiré pour exprimer et relater ses propres expériences spirituelles» 3 De la méme facon, nous hésiterions a suivre A. Henrichs et L. Koenen lorsqu’ ils affirment: «Mani hat es (sc. das Perlenlied) wohl selbst gekannt und ist von ihm beeinflusst worden» *. Le theme du ovCvyoc est trop enraciné dans la mythologie manichéenne et le vocabulaire du codex trop homogéne pour qu’on puisse les voir en dépendance immédiate de |’Hymne de la Perle. Quoi qu’il en soit, il reste que le parallélisme de destin entre le jeune prince et Mani, n’aura pas été sans frapper les adeptes de ce dernier et ils auront reconnu dans l’Hymne de la Perle une version poétique ou parabolique de la vocation et de la mission de leur maitre, sans pour autant vouloir faire correspondre chaque détail de l’Hymne a lun ou l’autre événement de la vie de Mani. Si les manichéens furent les lecteurs des Actes de Thomas et de l’Hymne de la Perle, qui, sinon eux, est responsable de l’insertion de ’hymne dans les Actes? Ayant reconnu en Mani le dénominateur commun qui permettait de conjoindre le Thomas des Actes et le prince de l’Hymne, ils n’auront pas hésité 4 mettre dans la bouche de I|’apGtre de I’Inde ce merveilleux récit dont la symbolique gémellaire convenait tout aussi bien a celui-ci qu’a |’Apotre de la lumiére.

3 Dans En quéte de la gnose II: Sur l’Evangile selon Thomas, Paris, 1978, p. 231. 4 Art. cit. supra (note 4), p. 172.

Tradizione e nuova creazione religiosa nel manicheismo: i/ syzygos e la missione profetica di Mani Giulia SFAMENI GASPARRO,

Messina

«La sapienza e la conoscenza sono cid che gli Apostoli di Dio non hanno cessato di portare di Eone in Eone. Cosi esse sono apparse in un’epoca nella figura dell’Apostolo, che era Buddha, nelle regioni dell’India; (di nuovo) in un’altra (epoca) nella figura di Zaradust nel paese della Persia; (di nuovo) in un’altra (epoca) nella figura di Gest nel paese d’Occidente. Poi é discesa questa rivelazione ed ¢ apparsa questa profezia in quest’ultima eta nella figura di me stesso, Mani, |’Apostolo

del vero Dio nel paese di Babele»’. Nell’autoproclamazione di Mani come «inviato del vero Dio nel paese di Babele» dello Sahpuhrakan noto ad Al Biruni é espressa, insieme con la nozione fondamentale della ricorrente manifestazione nel mondo della rivelazione divina, la qualita distintiva del messaggio manicheo come cosciente e programmatica summa delle pit autorevoli e antiche tradizioni religiose. Questa qualita, che coerentemente si coniuga

con un’altrettanto decisa apertura missionaria e universalistica*, sua indiscutibile centralita nell’ethos religioso del manicheismo evidente ad ogni interprete, stimolando le indagini in direzione ricerca di «fonti», di «componenti» o almeno di sollecitazioni ed ! Al-Biruni,

Chron.

p. 207,14-18

Sachau

in A. Adam,

Texte zum

per la risulta di una influssi

Manichdismus,

Berlin 1969”, p. 5 sg. ‘2 Basti citare, con H.-Ch. Puech, un frammento del Turfan da uno scritto di Mani (T

Il D 126 I R edd. F.C. Andreas-W.B. Henning, Mitteliranische Manichaica aus Chinesisch-Turkestan 1 in SPAW 1933, VII, p.. 295), in cui lo stesso Profeta dichiara: «Innanzitutto, le religioni anteriori non esistevano che in una sola regione e in una sola lingua. Ma la mia religione é tale che si manifestera in ogni regione e in tutte le lingue e sara insegnata nei paesi pit lontani». Cfr. H.-Ch. Puech, La conception manichéenne du salut in Sur le manichéisme et autres essais, Paris 1979 p. 89 n. 53. Sulla qualita universalistica del manicheismo si veda Id., Le manichéisme. Son fondateur. Sa doctrine, Paris 1949, pp. 61-68; J. Ries, Commandements de la Justice et vie missionaire dans lV’Eglise de Mani in M. Krause (ed.), Gnosis and Gnosticism, Papers read at the Seventh International Conference on Patristic Studies (Oxford, September 8th-13th 1975), NHS VIII, Leiden 1977, pp. 93-116. Per l’azione missionaria dello stesso Mani cfr. anche M. Tardieu, Le manichéisme, Paris 1981, pp. 27-40.

250

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MANICHAICUS

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provenienti da varii ambiti culturali e convergenti nella costituzione di quel messaggio che cosi esplicitamente appella ad una continuita di dottrina, pur attraverso tempi e contesti assai diversi. La storia degli studi rivela, nell’impegno costante ad illustrare la facies caratteristica di questo complesso fenomeno 3. un’indubbia tendenza ad accentuare gli elementi tradizionali, talora riconducendo pit o meno decisamente il manicheismo nell’alveo dell’una o dell’altra delle grandi religioni cui esso stesso intende collegarsi*. Se in un’ampia corrente interpretativa é prevalso l’interesse per le «radici» iraniche del manicheismo*, talora esasperato al punto da racchiudere e quasi risolvere il fenomeno nell’orizzonte della storia religiosa dell’Iran, € noto come ormai siano state superate posizioni estreme del tipo evocato. Mentre sono state poste in luce Il’interna coerenza e specificita della concezione manichea, pur nella complessita delle sue articolazioni e nella trama variegata degli elementi concorrenti alla sua costituzione°,

le ricerche

attuali,

prevalentemente

orientate

a

situare il messaggio di Mani in rapporto alle tradizioni cristiane quali si configuravano nel suo habitat culturale, risultano pil attente, nell’individuazione di «influssi», «componenti» e analogie, alla necessaria valutazione delle diversita e soprattutto delle trasformazioni anche profonde che gli elementi assunti dai diversi contesti hanno subito all’interno della

visione religiosa manichea. 3 Dopo la rassegna di J. Ries, Introduction aux études manichéennes. Quatre siécles de recherches in Analecta Lovaniensia Biblica et Orientalia, S. III, fasc. 7 (1957), pp. 453-483; fasc. 11 (1959), pp. 362-409, una breve storia degli studi anche in L.J.R. Ort, Mani. A religio-historical Description of his Personality, Leiden 1967, pp. 1-19. Per i

lavori posteriori al 1977 cfr. il bollettino periodico a cura di M. Tardieu in Abstracta Iranica, Studia Iranica, Supplément 1 (1978)-3 (1980). “ Tl rapporto delle dottrine manichee con la tradizione buddista, sottolineato nell’opera di F. Ch. Baur (Das manichdische Religionssystem nach den Quellen neu untersucht und entwickelt, Gottingen 1831, rist. 1928), & stato oggetto di indagini varie per le quali si veda la messa a punto di J. Ries, Buddhisme et manichéisme. Les étapes d’une recherche in Indianisme et buddhisme. Mélanges offerts @ Mgr Etienne Lamotte, Louvain-la-Neuve

1980, pp. 281-295. > In tal senso soprattutto W. Bousset, Hauptprobleme der Gnosis, Géttingen 1907; R. Reitzenstein, Das iranische Erlésungsmysterium. Religionsgeschichtliche Untersuchungen, Bonn 1921. Entrambi gli studiosi sottolineano peraltro la specifica fisionomia gnostica del fenomeno, egualmente presente all’attenzione di G. Widengren, nelle sue ricerche egualmente rivolte ad individuare l’humus iranica di esso: The Great Vohu Manah and the Apostle of God. Studies in Iranian and Manichaean Religion, Uppsala - Leipzig 1945; Mesopotamian

Mandean

Elements

in Manichaeism

and Syrian-Gnostic Religion,

(King and Saviour II). Studies in Manichaean,

Uppsala-Leipzig

smus, Stuttgart 1961, trad. it. Milano 1964. ® Cfr. H. Jonas, Gnosis und Spatantiker Geist,

1946; Mani und der Manichdi-

1 Die mythologische Gnosis, Géottin-

GIULIA SFAMENI

GASPARRO

251

Di fatto, la via pid legittima e corretta per pervenire ad un’adeguata analisi storico-religiosa di siffatta visione appare quella della penetrazione all’interno del delicato equilibrio fra nuova creazione religiosa e utilizzazione di molteplici dati tradizionali che la definisce nella sua piu intima e specifica struttura. Segno immediatamente espressivo di tale equilibrio é la stessa profonda consapevolezza di Mani di essere l’ultimo di una serie ininterrotta di inviati divini, nella quale si percepisce insieme la nozione di una continuita ma anche dell’irriducibile novita del suo messaggio religioso, 1a dove i suoi predecessori sono espressione di un unico progetto divino di rivelazione e di salvezza rispetto al quale pero essi sono stati in vario modo impari e manchevoli. Essi infatti non hanno potuto conservare in tutta la sua purita il deposito ricevuto per cause diverse e concomitanti, quali la mancata redazione per iscritto della rivelazione da parte degli

stessi profeti e la scarsa diffusione del loro messaggio. Soprattutto, pero, la loro parziale sconfitta ¢ stata opera dell’immediata reazione di quelle forze del male che una nota Omelia copta personalizza nella figura di Plane, |’Errore continuamente ricorrente ’. Nell’apostolato di Mani non solo la verita torna a manifestarsi ad una nuova generazione ma cid avviene in maniera integra, totale e indefettibile, in una pienezza di conoscenza che, mentre segna la conclusione stessa del ciclo della rivelazione, apre |’ultima eta del mondo e dell’umanita, ormai chiamata alla scelta definitiva fra verita e menzogna. Ancora di pit, nell’adozione di questa formula che salda originalmente continuita di dati tradizionali quali il Profeta poteva attingere in tutta liberta ai gen 1954,

1964? passim;

The Gnostic Religion,

The message of the alien God and the

beginnings of Christianity, Boston 1967°, pp. 206-237 e passim.

7 Sermone della Grande Guerra ed. H.-J. Polotsky, Manichdische Homilien, (Manichaische Handschriften der Sammlung A. Chester Beatty, Bd. I), Stuttgart 1934, p. 11,5-22. Fra i testi manichei che evocano le successive manifestazioni dei portatori della verita, talora esemplificate nella formula nota ad Al-Biruni dei tre grandi fondatori di religione Buddha, Zarathustra e Gesu, come nell’Inno partico M 42 (edd. F.C. Andreas-

W.B. Henning, Mitteliranische Manichaica aus Chinesisch-Turkestan Il in SPAW 1934, XXVII, pp. 878-881), cfr. Keph. I edd. H.J. Polotsky-A. Bohlig, Kephalaia, 1. Halfte (Lieferung 1-10), Stuttgart 1940, pp. 10,1-14,2. Ancora un autore arabo del X sec., ’Abd al-Jabbar, nell’opera «Determinazione dei segni della profezia», presenta Mani come

«Inviato della Luce», «servitore di Gest», il quale riconobbe in Zarathustra e in Cristo i

propri predecessori, anch’essi «scelti» e inviati dalla Luce, rispettivamente in Oriente e in Occidente. Cfr. G. Mannot, Quelques textes de ’Abd al-Jabbar sur le manichéisme in RHR 183 (1973), pp. 3-9: testo a p. 4. Sul tema si veda H.-Ch. Puech, Le manichéisme, cit., p. 61 sgg. e n. 241, p. 144 sgg.; L.J.R. Ort, op. cit., pp. 117-127. Per un quadro sinottico delle varie «serie» profetiche elaborate nella tradizione manichea cfr. M. Tardieu,

op. cit. p. 22 sg.

252

CODEX

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COLONIENSIS

mondi religiosi con i quali era a contatto e «invenzione» personale, si percepisce il legame vitale di Mani con tradizioni religiose fondate sulla nozione di una serie di profeti ed inviati divini, con funzione di rivelatori e salvatori. Ad esse dunque egli mutua la nozione medesima di una rivelazione continua, in epoche e ambienti geografici diversi; in pari tempo pero egli innova profondamente rispetto a siffatta nozione per quanto riguarda le modalita specifiche della sua «investitura» profetica, oltre che per il contenuto particolare della rivelazione ricevuta, che coincide con la sostanza stessa del suo messaggio religioso. La dialettica di continuita tradizionale e nuova creazione che caratterizza la facies del manicheismo si riconduce cosi al nucleo essenziale di esso, ossia alla stessa personalita di Mani quale fondatore del movimento. Tale dialettica pertanto risulta essere il centro vitale e propulsore dal quale l’intero corpus di dottrine e prassi rituali che lo costituiscono riceve unita sostanziale, imponendo la valutazione di esso come fenomeno omogeneo e specifico, al di la di ogni appello a «sincretismi» di elementi eterogenei o amalgama di «componenti», con prevalenza di volta in volta di dati iranici, buddisti 0 cristiani per i bisogni contingenti della propaganda missionaria. Una conferma decisiva del ruolo essenziale dell’esperienza religiosa di Mani per la definizione dei caratteri costitutivi del movimento da lui fondato come struttura coscientemente costruita con materiali diversi, subordinati peraltro ad un’ispirazione originale che li organizza in un nuovo quadro ideologico, é offerta dal CMC che, a pubblicazione ormai completa, non solo non ha deluso le prime aspettative degli studiosi, ma sempre pil si rivela fonte preziosa di nuovi dati e convalida di quelli gia posseduti*. Cid é@ vero in particolare per il tema centrale dello scritto, 8 Dopo la prima, ampia presentazione del testo da parte di A. Henrichs e L. Koenen, Ein griechischer Mani-Codex (Pap. Colon. inv. nr. 4780) in ZPE 5 (1970), pp. 97-216, Taf. IV-VI, limportanza, immediatamente percepita, del nuovo documento (chee Daniélou in RechSR 59, 1971, pp. 57-60), fu illustrata in maniera sistematica da K. Rudolph, Die Bedeutung des Kélner Mani-Codex fiir die Manichdismusforschung. Vorlaufige Anmerkungen in Mélanges d’histoire des religions offerts a Henri-Charles Puech, Paris 1974, pp. 471-486. Come era naturale, il primo interesse fu rivolto all’ambiente «elcasaita» in cui la biografia di Mani situa l’esperienza del Profeta. In tal senso cfr. A. Henrichs, Mani and the Babylonian Baptists: a historical Confrontation in HSCPh 77 (1973), pp. 23-59; A.F.J. Klijn-G.J. Reinink, Elchasai and Mani in VigChr 28 (1974), pp. 277-289. Un’ulteriore messa a punto dei principali problemi in A. Henrichs, The Cologne Mani Codex reconsidered in HSCPh 83 (1979), pp. 339-367. Una traduzione inglese delle

pp. 1-99 del Codice, accompagnata dal testo greco, é stata curata da R. Cameron-A.J.

Dewey, The Cologne Mani Codex (P. Colon. inv. nr. 4780) «Concerning the Origin of his

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GASPARRO

253

quella progressiva rivelazione della natura e della funzione profetica di Mani che, mentre conferma quanto gia la documentazione

nota attesta-

va sul ruolo primordiale della personalita del fondatore nella costituzione della comunita manichea, con pit chiara evidenza mostra la complessita del quadro storico in cui essa si situa e dal quale emerge con vivace originalita, pur recando in sé tangibili segni di antiche e consolidate tradizioni religiose. Ogni lettore del CMC percepisce subito come la biografia ivi contenuta, costruita da un abile redattore sulla base di varii documenti’, sia scandita sul ritmo di un séguito di esperienze spirituali di Mani che, gradualmente avviandolo alla presa di coscienza della propria natura e del proprio ruolo, pongono le basi del suo sistema religioso e della comunita che ne diventa depositaria e tramite di diffusione universale. In tal senso é espressivo il titolo medesimo dell’opera, ove méepi THIS yévvng tod o@patoc avtod, contestualmente esprime il «venire all’esistenza» in questo mondo e nel corpo e il «divenire» del profeta nella sua specifica dimensione religiosa, stabilendosi un parallelismo tra la crescita fisica e quella spirituale dell’ Apostolo. Se, come vogliono gli editori del CMC !°, la formazione del suo «corpo» pud essere intesa nell’accezione paolina del termine e quindi riferirsi alla chiesa manichea come organismo solidale con il capo e fondatore, nella sua peculiare qualita di rivelatore di verita e salvatore'', non si trascurera, come ha

Body», SBL Texts and Translations 15, Early Christian Literature Series 3), Montana 1979. Notevoli riserve sul valore del CMC come testimone dell’autentico pensiero di Mani e della sua vicenda storica sono avanzate da J.K. Coyle, The Cologne Mani-Codex and Mani’s Christian Connections in Eglise et Théologie 10 (1979), pp. 179-193. ° Oltre i lavori di A. Henrichs citati nella nota precedente, si veda dello stesso A., Literary Criticism of Cologne Mani Codex in B. Layton (ed.), The Rediscovery of Gnosticism. Proceedings of the International Conference on Gnosticism at Yale New Haven,

Connecticut,

March

28-31,

1978, vol. II Sethian

Gnosticism,

Leiden

1981, pp.

724-733. Si distinguono cinque principali «unita tematiche», attorno alle quali il redattore

coagula i numerosi materiali in suo possesso. 10 Cfr. L. Koenen, Das Datum der Offenbarung und Geburt Manis in ZPE 8(1971), p. 249 sg.; Id., Augustine and Manichaeism in Light of the Cologne Mani Codex in ICS 3(1978), p. 165 sg.; A. Henrichs, Mani and the Babylonian Baptists, cit., p. 40 sg. Cfr. anche K. Rudolph, art. cit., p. 471. 11 Su Mani come salvatore si vedano i testi citati da L. Koenen, From Baptism to the

Gnosis of Manichaeism in B. Layton (ed.), op. cit., vol. Il, p. 740 sg. Ad essi, fra le innumerevoli attestazioni del tema, si puOd aggiungere il Salmo CXXII, 30 dove i fedeli cantano: «Gloria a te, nostro Padre Mani, il glorioso, (il grande) Dio, il Salvatore. (Tu sei la) completa remissione dei peccati, il predicatore della vita, l’inviato di coloro che sono in alto» (ed. C.R.C. Allberry, A Manichaean Psalm-Book, Part Il, Stuttgart 1938, p. 3). Su

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sottolineato U. Bianchi in questo Simposio 12 ’insistenza con cui la nuova «biografia» di Mani sottolinea il rapporto fra la manifestazione corporea di lui e la progressiva realizzazione della sua missione salvifica. Il carattere a suo modo «provvidenziale» della dimensione fisica dell’ Apostolo emerge del resto anche da un documento cinese pubblicato

da G. Haloun e W.B. Henning '* dove, descrivendosi gli effetti salvifici

dell’azione di Mani, il redattore manicheo si chiede, retoricamente, perché mai, se tale non fosse stato il risultato della sua missione, «egli avrebbe dovuto essere generato corporalmente nel palazzo regale» a

che,

Come é noto, la graduale rivelazione ¢ mediata da un inviato celeste detto appunto angelos nel suo primo manifestarsi al fanciullo

Mani!*, apparira in tutto il corso della vicenda come syzygos di lui, nella progressiva e sempre pili netta definizione di una trama intensa di rapporti che fondano |’unita inscindibile dei due membri della «coppia», in cui l’uno é indispensabile alla completezza e all’equilibrio dell’altro. Gia nell’approccio iniziale del personaggio emergono alcuni dati peculiari della sua funzione nei confronti di Mani, ossia quella di -

protezione e difesa'® e di rivelazione dei misteri, ora per il tramite di «la concezione manichea della salvezza» ¢ fondamentale |’ampia analisi di H.-Ch. Puech, Sur le manicheisme, cit., pp. 5-101; per la dimensione escatologica di essa cfr. anche G.G. Stroumsa, Aspects de l’eschatologie manichéenne in RHR CXCVIII (1981), pp. 163-181. 12 Si veda, in questi. Atti, U. Bianchi, Osservazioni storico-religiose sul Codice manicheo di Colonia. '3 1] documento, intitolato «Il Compendio delle dottrine e modalita dell’insegnamento di Mani, il Buddha di Luce», é pubblicato in Asia Maior, New Series vol. III, Part 2,

London 1952, pp. 188-196 (G. Haloun-W.B. Henning, The Compendium of the Doctrines and Styles of the Theaching of Mani, pp. 184-196). Cfr. L.J.R. Ort, op.cit., p. 155 sg. 4 Nello stesso contesto si legge che «egli, a causa della sua grande compassione

opponendosi alle forze demoniache e ricevendo personalmente pure istruzioni dal Venerabile Signore della Luce, divenne incarnato ed é pertanto chiamato |’Apostolo della Luce». L’«incarnazione» di Mani é dunque finalizzata alla lotta contro le potenze malefiche e alla trasmissione della conoscenza ricevuta direttamente dalla somma divinita. Pit oltre il testo, nella traduzione inglese degli studiosi menzionati, definisce «singularly refined» la condizione corporea di Mani manifestando una peculiare attenzione per la dimensione fisica del personaggio, come altrove sottolinea le eccezionali modalita della sua nascita (art. cit., p. 197 sg.). Per V’importanza della «biografiay» del fondatore nelle fonti manichee si veda L.J.R. Ort, op. cit., pp. 142-224. 'S CMC 2,2-10 edd. A. Henrichs-L. Koenen, Der Kélner Mani-Kodex (P. Colon. inv. nr. 4780) IIEPI THY TENNHY TOY SQMATOL AYTOY. Edition der Seiten 1-72 in ZPE 19(1975), p. 5. Un parallelo per la designazione del rivelatore come angelo si pud indicare

in un’Omelia

copta

(ed. H.J.Polotsky

p. 47), in cui Mani,

come

nel CMC,

dichiara di non aver ricevuto la conoscenza da alcun maestro e dottore bensi direttamente «da Dio attraverso il suo angelo». ‘© CMC 3,2-7 p. 5. La custodia del fanciullo é affidata alla «forza degli angeli e alle Potenze di santita» che sono posti al suo fianco e lo «nutrono con visioni e segni».

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visioni adeguate, nella loro limitatezza, alle capacita del fanciullo !’. In pari tempo si delinea l’altro, contestuale aspetto dell’azione dell’inviato: la separazione, ora soltanto praticata come interiore distacco e astensione da certe attivita caratteristiche '*, dalla comunita religiosa in cui Mani stesso si trova, quel véu0c tv Bantiotdv che rappresenta insieme il parametro di confronto e l’obiettivo di scontro dell’esperienza spirituale attraverso la quale maturera il suo nuovo habitus religioso. Si annunciano cosi i due termini essenziali entro i quali si articola la vicenda descritta nella «biografia» del CMC, i quali in pari tempo risultano paradigmatici del problema storico delle origini e della natura del manicheismo quale movimento religioso sorto in un preciso ambiente culturale da cui mutua molteplici ed essenziali elementi per la costituzione di una nuova ed originale visione del mondo. Dopo una misteriosa apparizione di un mpdo@nov dvOpa@nov che emerge dall’acqua per invitarlo ad astenersi dal peccare contro di essa, secondo un tema fondamentale' nella polemica anti-battista successivamente elaborata’®, si manifesta «una voce come del syzygos dall’aria», la quale lo invita a raccogliere le proprie forze e a rinvigorire il proprio animo per ricevere la rivelazione ”°. 17 CMC 3,7-12 p. 5. Cfr. 4,7-12 p. 7: «Assai numerose sono le visioni (optasiai) e grandissime le apparizioni (theamata) che egli mi mostro per tutto il tempo della mia fanciullezza. Ma io (rimanevo)... in silenzio»; 11,1-4 p. 13 dove, avendo indicato il quarto anno di eta come data dell’ingresso di Mani nella comunita battista, si sottolinea la permanenza in essa per lunghi anni, sebbene con interiore distacco e sotto la protezione degli angeli inviati da Gest lo Splendore. Analoghe notizie in 12,6-15 p. 15 che ricorda l’apparizione di un «volto d’uomo» dalle acque per ammonire il fanciullo ad osservare «il riposo (anapausis) mediante la mano», si da non peccare né recare offesa ad essa. Si tratta della tipica nozione manichea dell’astensione dal lavoro manuale per non danneggiare la sostanza divina disseminata nel cosmo. Mani quindi conclude: «In questo modo, dal mio quarto anno fino a quando raggiunsi la mia maturita fisica, fui custodito segretamente nelle mani dei pit: puri angeli e delle Potenze della santita». Sui problemi cronologici relativi alle due principali rivelazioni, nel dodicesimo e ventiquattresimo anno di eta, cfr. L. Koenen, Das Datum der Offenbarung,

cit., pp. 247-250; N.R. Fry, The Cologne Greek

Codex about Mani in Ex Orbe religionum.

Studia Geo Widengren, Leiden 1972, vol. I, pp. 424-429. Si vedano ora le precisazioni sul tema risultate dalle discussioni intervenute nel corso del presente Simposio. 18 CMC 5,3-13 p. 7: «Con sapienza e abilita io procedevo fra di loro, custodendo il riposo (anapausis), senza fare nulla di ingiusto, senza procurare sofferenze, senza seguire la legge dei Battisti, senza parlare come essi facevano». 19 CMC 12,1-6 p. 15. Sul significato di tale polemica nel quadro della visione gnostica di Mani si veda L. Koenen, From Baptism, cit., pp. 734-756. 20 CMC 13,2-14 p. 15: «&AAotE 58 co aUCVYOS Ywvi &K Tod dépos SiEAEyEtTO TPdG gue AEyovoa “POodv oov thv Sbvapiv Kai Kpadtvvov tiv Ppéva Kai mpdodeEar Tavta TH &noKaAvntopEeva coi? Kai mdAw EdEyev 10 adTd’ “PHoov thy Sbvaptv Kai otijodv cov tiv Opéva Kai brd0Ta Tavta TH EpXOpEva Emi cE».

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Questa breve notizia”' si intende alla luce del successivo ampio brano, mutuato ad uno scritto del «maestro Baraies» 22° che riferisce sulla fondamentale rivelazione ricevuta da Mani all’eta di ventiquattro anni, offrendo insieme conferma a gia noti documenti sul tema e nuovi essenziali dati per la valutazione dell’esperienza religiosa di Mani e della sua auto-comprensione come profeta e salvatore. Descritta la preparazione del corpo che ospita il nous di Mani come della sua sapienza» santissimo la_ rivelazione e «tempio per preannunciata la sua missione in termini di liberazione delle anime dalle potenze avverse, i «ribelli», e dall’ignoranza attraverso la comunicazione della «verita della propria conoscenza»**, in piena conformita con le fonti gid note, siano esse i testi originali manichei~* ovvero le opere di confutazione polemica”*®, si riassumono le prerogative di lui nella 21 Si tratta della prima manifestazione del «compagno» che la notizia di Ibn al Nadim situa nel dodicesimo anno di eta. Cfr. B. Dodge (ed.), The Fihrist of al-Nadim. A Tenth-Century Survey of Muslim Culture, New York-London 1970, vol. Il, p. 774: «Even when young, Mani spoke with words of wisdom and then, when he was twelve years old, there came to him a revelation. According to his statement it was from the King of the Gardens of Light and, from what he said, it was God Exalted. The angel bringing the revelation was called the Tawm, which is a Nabataean word meaning «Companion». He said to him: ‘Leave this cult, for thou art not one of its adherents.

Upon thee are laid

purity and refraining from bodily lusts, but it is not yet time for thee to appear openly, because of thy tender years». Si veda ora sul tema il contributo di W. Sundermann a questo Simposio (Manis First Revelation according to the Mani-Codex and to other Manichaean Sources).

22 CMC 14,1-26,5 pp. 17-29. Su questo evento fondamentale cfr. anche 1’altro brano attribuito allo stesso Baraies (72,8-74,4 edd. A. Henrichs-L. Koenen in ZPE 32, 1978, pp. 93-95).

23 CMC 14,3-17,3 pp. 17-19. 24 Come é noto, l’auto-proclamazione di Mani come Parakletos era contenuta, fra Valtro, nel suo Vangelo di cui da notizia Al Biruni (Chron. p. 207,18 sg. Sachau in A. Adam, op. cit., p. 1: «Egli afferma che é lui il Paracleto annunziato dal Messia e che é il

sigillo dei profeti»). Quale esempio dell’importanza di tale qualita nella vita religiosa delle comunita manichee basti ricordare la fervida esclamazione del Salmo CCXXIII,1-7 ed. C.R.C. Allberry p. 9: «Sia venerato lo Spirito del Paracleto. Sia lodato nostro Signore Gest che ci ha inviato lo Spirito di Verita. Egli venne e ci separd dall’Errore del mondo, egli ci porto uno specchio, noi guardammo e vedemmo |’universo in esso». Per la funzione del Paracleto come rivelatore di gnosi nei testi manichei si veda S. Giversen, Le Paraclet et la connaissance de Dieu in J. Ries (ed.) Gnosticisme et monde

hellénistique. Actes du Colloque de Louvain-la-Neuve (11-14 mars 1980), Louvain-la-Neuve 1982, pp. 200-207. Lo studioso nota come, accanto alla pid comune identificazione

CCXLVIII,

Paracleto-Mani,

si dia

talora

anche

quella

Paracleto-Gesi

(cfr.

Ps.

56,15-17).

25 Epifanio, Panar. XLVI sive LXVI,19 ed. C. Riggi, Epifanio contro Mani, Roma 1967, pp. 78-83; cfr. ibi 29 p. 146 sg., 61 pp. 258-263; Ibn al Nadim ed. B. Dodge p. 776; Teodoreto, Haer. Fab. Comp. II, 26 P.G. 83, col. 381 A e soprattutto Agostino, Contra Fel. 1, 2 e 9, CSEL XXV, 2 p. 802,9-18 e p. 811,14; Contra Faustum 13,17 CSEL XXV,1



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qualita di mapdKAntoc

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Kai Kopvgaiosg

257

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yEevEedv

a&nootoriic 7%. La

successiva

definizione

delle

modalita

e del contenuto

della

rivelazione, mentre giustifica l’appellativo di parakletos?’ sulla base della definizione della natura di Mani e fonda la sua apostolicita 7°, arricchisce con una serie di tratti vividi e originali il quadro gid noto da altre fonti relativo all’incontro decisivo e trasformante del personaggio con quel «compagno», l’angelo al-Tawm del Fihrist, il Narjamig del testo medio-persiano M 49 II ovvero il saish di varii documenti copti e il

geminus della notizia di Evodio 7°. p. 398,23-26; 15,4 p. 423,1; 32,6 sg. p. 765,18 e 16 p. 776,10-13. Per un’analisi della facies

del manicheismo africano quale emerge dalla polemica di Agostino cfr. F. Decret, Aspects du manichéisme dans |’Afrique romaine. Les controverses de Fortunatus, Faustus et Felix avec saint Augustin, Paris 1970; Id., L’Afrique manichéenne, vol. I-I], Paris 1978. L’identificazione Mani-Paracleto, anatemizzata nel Commonitorium di Agostino (§9 CSEL XXV, 2 p. 981, 26-29), interviene anche in varie formule di abiura sia latine (Prosperi Anathematismi 10 e 18 in A. Adam, op. cit., n° 62 p. 92 sg.) sia greche (Piccola e Grande Formula greca in A. Adam, op. cit., n° 63 p. 96,86-88 e n° 64 p. 97,5 sg. e p. 99,89-94).

26 CMC 17,4-7 p. 19. 27 Su tale designazione di Mani cfr. anche CMC 63,16-23 p. 63: «Poiché abbiamo conosciuto, o fratelli, con questa discesa del Paracleto della verita, quanto grande la sovrabbondanza della sua Sapienza é in rapporto con noi». Jbi 70,17-23 p. 71 (...tod Ta[paKAn]tov mvewUatos tic GAn[GEiac...). ' 28 Nell’argomentazione agostiniana svolta nel Contra Epistulam Manichaei quam vocant Fundamenti |a qualita di Paracleto si salda intimamente con quella di «Apostolo di Gest Cristo», con cui Mani si presenta nella stessa Epistula Fundamenti (ibi V, 6 edd. R. Jolivet-M. Jourjon, BA 17, p. 398 sg.). Agostino infatti dichiara: «sic se ille voluit a Spiritu Sancto, quem Christus promisit, videri esse susceptum, ut iam cum audimus Manichaeum Spiritum sanctum, intelligamus apostolum Iesu Christi, id est, missum a Iesu Christo, qui eum se missurum esse promisit» (ibi V1,7-VIII,9 pp. 402-411, in particolare VI,7 p. 404). Anche nel Liber de haer. 46 Agostino sottolinea la stretta connessione fra l’auto-proclamazione di Mani come Apostolo di Cristo e la sua natura di Spirito santo («Unde se in suis litteris Iesu Christi apostolum dicit eo quod Iesus Christus se missurum esse promiserat atque in illo miserit spiritum sanctum»). Cfr. anche Contra Faustum 13,4 p. 381,4 sg.: «omnes tamen eius epistolae exordiuntur: Manichaeus apostolus Iesu Christi». Sul carattere originario ed essenziale dell’auto-definizione di Mani come «Apostolo di Gest Cristo», affermata anche nel «Vangelo della sua santissima speranza» del quale il CMC ci ha fatto conoscere un estratto (65,23-68,5 pp. 65-69. Cfr. A. Henrichs-L. Koenen, art. cit. in ZPE 5,1970, pp. 189-202) si vedano le opportune osservazioni di G. Quispel, Mani the Apostle of Jesus Christ in J. Fontaine-Ch. Kannengiesser (edd.), Epektasis. Mélanges patristiques offerts au Cardinal Jean Daniélou, Paris 1972, pp. 667-672. Cfr. anche L. Koenen, Augustine and Manichaeism, cit., pp. 154-195, in particolare pp. 167-176. 29 De fide contra Manichaeos 24 CSEL XXV,2 p. 961,14 sg.: «(Manichaeus) qui se mira superbia adsumptum a gemino suo, hoc est a spiritu sancto, esse gloriatury. Per Videntificazione del «gemello» con lo Spirito santo-Paracleto cfr. H.J. Polotsky s.v. Manichdismus in PW, RE Suppl. Bd. VI, Stuttgart 1935, col. 266 sg.; H.-Ch. Puech, Le manichéisme, cit., p. 43 sg. e n. 166 p. 128.

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piu ora di valutare permette Di questa figura il CMC manichea, compiutamente il significato e il ruolo nella concezione offrendo ulteriori elementi per una migliore valutazione delle sue origini e della sua consistenza storico-religiosa. La sua apparizione improvvisa é percepita da Mani come quella di

uno «specchio» del suo volto?°, «molto leggiadro e grandissimo»*', essendo cosi espressa con immediatezza l’intimita inscindibile del rapporto fra i due, implicita nella nozione della syzygia che. essi formano. «Quando ebbi ventiquattro anni — continua il Profeta — nell’anno in cui Daiardaxar il re di Persia sottomise la citta di Hatra e in cui Sapore, suo figlio, cinse la grande corona, nel mese di Pharmouthi, nell’ottavo giorno del mese lunare, il beatissimo Signore ebbe compassione di me e mi chiamo nella sua grazia ed invid tosto a me dall’alto il mio syzygos che apparve in grande gloria..., ricordandosi e rivelando tutti gli eccellenti disegni che provengono dal nostro Padre e

dalla buona prima destra» >. Dopo aver ancora indicato nella divina misericordia che vuole salvarlo dall’«errore dei membri della setta» cui apparteneva*? la motivazione dell’invio del syzygos, Mani illustra con puntuale chiarezza l’opera da questo svolta nei proprii confronti, in vista della realizzazione di una

salvezza

che da lui, attraverso

la missione

profetica

di cui é

investito, deve dilatarsi a comprendere l’intera umanita. Il «compagno» gli annuncia di fatto «l’ottima speranza e la liberazione a quelli che soffrono pazientemente, e le istruzioni del tutto veritiere e le insieme con l’imposizione delle mani che viene dal Padre mio» Avendolo separato dall’ambiente in cui era stato educato, sempre pill nettamente viene acquistando i tratti negativi di una

nozioni, *. il quale fonte di

30 Sul tema della conoscenza «attraverso uno specchio» cfr. Leisegang, La connaissance de Dieu au miroir de l’Gme et de la nature in RHPhR 17(1937), pp. 145-171.

3! CMC 17,8-16 p. 19: «Kata tov Kaipdov Toivov Kad’ Sv ovvenepaven Lov TO c@pa év TEAEL, TApAaXPTWAa KatTantTac Men Eunpoobév prov Exsivo tO Evdeidéotatov Kai Léylotov KatonTpOV t[od TMPOGM]nov p[oDv... ». Si notera il rapporto stabilito fra il raggiungimento della maturita fisica e la pienezza della rivelazione, essendo confermato il parallelismo fra crescita del soma e compimento spirituale cui la «biografia» del CMC sembra particolarmente interessata.

% CMC 18,1-19,7 p. 21: «...6 wakapimdtatos KUpwosg éond[ay]xviobn én’ Ens Kat pe éx[G]Agoev cic thv adtod yap Kai dnéotethév por [EKEiBev E]bOd¢ oUCvYdv [Lov TOV év S6En wleyaan [parvdopevov... [6] wvjotwp Kai pn[vetic] nac@v dpictav ovuBolv] Mov TOV Ex TOD TatpPdc TOD NwETEpov Kai Tig AnoMPd TpatHs Sebvac ayabijo».

33 CMC 19,7-14 p. 21. * CMC 20,1-6'p. 23.

'

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menzogna e di errore °°, il syzygos procede nella sua azione rivelatrice, il cui primo oggetto é la natura stessa di Mani. Di lui si discopre la vera origine dal mondo superiore, essendo la sua presenza nel corpo e nel mondo il frutto del disegno divino che lo ha predestinato ad una

missione salvifica °°. Si evoca l’entolé e ’hypotheke che gli fu data dal Padre suo prima che, scendendo dalle altezze cui apparteneva, indossasse quell’organon di carne che ora lo riveste e di cui, con tipica immagine gnostica, si sottolinea la methe, essendo la situazione corporea descritta in termini di

«errore» e di «infamia». Contestuale alla rivelazione della vera essenza di Mani é la manifestazione della natura del suo «syzygos vigilante». Segue il disvelamento di quegli aporrheta che, ancora coinvolgendo direttamente la persona del Profeta e del suo Compagno, una volta che I’anima di lui é riconosciuta come «l’anima di tutti i mondi» sulla base della tipica nozione .manichea della solidarieta della divina sostanza disseminata nella materia, si allargano ad abbracciare |’intera realta >”. 35 CMC 20,7-17 p. 23: «Non appena dunque egli arrivd, mi liberd, mi separd e mi strappo via da quella legge in cui ero cresciuto. In questo modo mi chiamo, mi scelse, mi trasse e mi separd da coloro».

36 CMC 21,2-22,7 pp. 23-25: «Il Compagno mostro dunque — continua il Profeta — chi sono io e quale é il mio corpo, in quale maniera sono venuto e come si é prodotto il mio arrivo in questo mondo, che io sono tra i pil. ragguardevoli in eccellenza, come sono nato in questo corpo di carne, per mezzo di quale (donna) sono stato liberato e messo al mondo secondo questa carne e per mezzo di quale passione sono stato generato... e come... venni all’esistenza e chi ¢ mio Padre, colui che si trova nelle altezze; e ancora in qual modo, essendomi separato da lui, fui inviato conformemente al suo progetto, quale ordine e quali istruzioni egli mi ha dato prima che rivestissi questo strumento, che io errassi in questa carne infame e rivestissi la sua ubriachezza e la (sua) maniera (d’essere) e chi é lui, il mio compagno che é vigilante». ; 37 CMC 23,1-15 p. 25: «(egli mostro)... i segreti e (le visioni) e le perfezioni di mio Padre; e riguardo a me, chi sono io, e chi é il mio compagno inseparabile. Inoltre, riguardo alla mia anima, che sussiste come anima di tutti i mondi, insieme quale essa stessa € e come venne all’esistenza. Oltre a queste cose mi riveld le altezze illimitate e le

profondita insondabili; egli mi mostro tutte le cose...». Si notera il singolare parallelismo fra le modalita e i contenuti di questa rivelazione e |’illuminazione ricevuta da Adamo secondo la notizia di Teodoro Bar Khonai (Libro degli Scolii ed. H. Pognon, Inscriptions mandaites des coupes de Khouabir, Paris 1898-1899, II p. 130 sg., testo; p. 191 sgg., trad.): «Mani disse ancora che Gest il Luminoso si avvicino all’ignorante Adamo e lo sveglid da un sonno di morte... Allora Adamo si esamino lui stesso e seppe chi era. Gest gli mostro i Padri che risiedono nelle altezze, e la sua propria persona, esposta a tutto, ai denti delle pantere, ai denti dell’elefante, assorbita dai voraci, inghiottita da quelli che inghiottono(?), mangiata dai cani, mescolata ed imprigionata in tutto cid che esiste, legata alla putredine delle tenebre. Mani aggiunge che egli lo fece stare in piedi, gli fece gustare dell’albero della vita. Allora Adamo guardo e pianse. Levd fortemente la voce come leone ruggente, strappo i suoi capelli e gridd(?), colpi il suo petto e disse: “Sventura, sventura al

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con una si conclude L’episodio esprimendo in termini vividi il rapporto

serie di di mutua

che, affermazioni identificazione fra

Mani e il syzygos, risultano di un’importanza senza pari ai fini della valutazione storico-religiosa dell’intero quadro dottrinale in esame. «Ed io lo acquisii — esclama Mani — come mio possesso personale, credetti che egli mi appartiene ed é mio e anche buono e utile consigliere. Lo riconobbi e compresi che quello ero io da cui ero stato separato e resi incrollabile» **. ero colui, essendo testimonianza che io stesso Nonostante il processo di rivelazione, nello svelamento dell’unita profonda di natura fra Mani e il suo syzygos e nella percezione dello stato di separazione in cui la corporeita attuale mantiene 1’Apostolo, possa ritenersi sostanzialmente compiuto, il testo registra una pausa di nascondimento e di riflessione da parte di lui, che rimane ancora sconosciuto nella sua vera dimensione ai membri della comunita

battista *°. La funzione del syzygos non é dunque conclusa; al contrario, dopo quella fondamentale rivelazione, la sua presenza scandira 1 momenti forti della vicenda di Mani nel progressivo manifestarsi del suo nuovo messaggio che, dopo un vivace confronto e scontro con V’ambiente dei battisti, lo indurra alla frattura definitiva con essi e

Creatore del mio corpo, a colui che ha legato la mia anima e ai ribelli che mi hanno asservito». Si veda anche la traduzione con commento di A.V.W. Jackson, Researches in Manichaeism with special Reference to the Turfan Fragments, New York 1932, pp.

249-254. Cfr. gia F. Cumont, Recherches sur le manichéisme. I. La cosmogonie manichéenne d’aprés Théodore bar Khéni, Bruxelles 1908, pp. 1-53, in particolare pp. 46-49.

38 CMC 24,4-15 p. 27: «adtov Kai éxtnoduNnv wc iSiov Ktihpa. éniotevoa S’adtov éuov brdpyovta te Kai dvta Kai ovbuPovAOV ayabdv Kai ypnotov Svta. Exéyv@v pév avtov Kai ovvijka 6ti Exetvocg éy@ sip && od SiexpiOnv. émepaptipnoa S& Sti é&y@ éxe[T]voc abdtdc eit AKAdV[NTO]>¢ bNAPYv....». Un parallelo abbastanza pertinente all’esperienza qui descritta di mutuo riconoscimento ed identificazione fra Mani e il syzygos é stato indicato da G. Quispel in un evento narrato nella Pistis Sophia, cap. 61 (Genius and Spirit in M. Krause, ed., Essays on the

Nag Hammadi

Texts in Honour of Pahor Labib, Leiden

1975, p. 162). Qui Maria, la

madre di Gesu, racconta un singolare episodio della fanciullezza del figlio. In assenza di lui infatti, dichiara Maria, «lo Spirito venne git dalle altezze e venne a me, nella mia casa,

egli ti somigliava. Io non lo riconobbi e pensai che fossi tu. E lo Spirito mi disse: ‘Dov’é Gesu, mio fratello, ché io possa incontrarlo?’». La perfetta somiglianza fra Gest e lo Spirito suo «fratello» € ulteriormente sottolineata nel seguito dell’episodio, allorché i genitori, guardando al figlio e allo Spirito, li trovano identici. I due poi si scambiano un abbraccio e un bacio, dopo il quale, conclude Maria rivolgendosi a Gest, «tu divenisti uno». Traduzione secondo V. Macdermot, Pistis Sophia, Text edited by C. Schmidt (NHS

IX), Leiden 1978, p. 121 sg. Cfr. C. Schmidt, Koptisch-gnostische Schriften, Bd. 1, Die Pistis Sophia. Die beiden Biicher des Jeti. Unbekanntes altgnostisches Werk, 3. Auflage bearbeit. von W. Till, Berlin 1962, p. 77 sg.

CMG

25 l-1on ps2

fa

L

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all’inizio dell’attivita missionaria “*°. In un contesto lacunoso si configura una nuova manifestazione del Compagno come «consigliere (symboulos) per tutte le deliberazioni» che, dinnanzi ai dubbi e alle incertezze di Mani, lo esorta a comunicare

ormai la rivelazione ricevuta*’. Quindi gli promette: «Io ti sard tutore (epikouros) e custode (phylax) in ogni occasione» 4”. Il syzygos si conferma dunque come sostegno stabile e indefettibile dell’attivita apostolica di Mani, essendo questa sua qualita ribadita in altre occasioni decisive, quale la disputa con i battisti, dopo la quale gli assicura ancora una volta il suo soccorso, sollecitando la diffusione della

verita rivelata *?. Sul contenuto di questa si diffonde un altro documento che evoca alcuni elementi tipici del patrimonio dottrinale manicheo e insieme la struttura caratteristica della chiesa, con la sua ripartizione in Eletti e Catecumeni**. A conclusione di questa ulteriore comunicazione di «segreti» interviene ancora la promessa del soccorso indefettibile del Compagno in ogni possibile situazione critica: «Se tu fossi turbato, mi invocherai ed io mi trovero vicino a te, saldo, per essere tua protezione

in ogni turbamento e pericolo» *. L’immagine cosi delineata dei rapporti fra Mani e il suo divino «compagno di coppia»*® riceve gli ultimi tocchi nella narrazione degli

4° All’enunciazione dei contenuti della rivelazione, presentata come un «mistero» (cfr. 26,12 p. 29: «td6de TO pvoTH[plov] anEKGA[v]ya cow) da parte del Compagno, qui definito 6 mavevKkiEet|¢ Kai navevdain@v, era dedicata la prima parte di un altro documento addotto dal biografo come proveniente dai didaskaloi (CMC 26,7-13 p. 29). Ma le pagine 27-28 relative a tale sezione sono perdute. 41 Di fatto, dopo la lacuna, si allude agli ammaestramenti del syzygos e al progressivo distacco di Mani dal proprio ambiente, sebbene egli dubiti delle proprie possibilita di successo in quanto «solitario» (moneres) dinnanzi alla folla, povero dinnanzi ai ricchi. «Come allora — si interroga — potro io solo contro tutti essere capace di rivelare questo mistero in mezzo alla folla irretita dall’errore?» (CMC 29,1-31,8 pp. 29-31). Mentre cosi va meditando nel proprio cuore «immediatamente il mio gloriosissimo Compagno apparve, ritto dinnanzi a me, dicendomi... (a te sard rivelato come un buon) consigliere di tutti i consigli... Sard rivelato... Per questo scopo tu sei stato generato. Tu, allora, manifesta cid che ti ho dato» (CMC 32,1-33,3 p. 33).

42 CMC 33,4-6 p. 33. 43 CMC

101,11-105,21 edd. A. Henrichs-L. Koenen in ZPE 44(1981), pp. 209-213.

MCMC 34,1°35)11i p35! 45 CMC 40,1-6 p. 41. 46 Sull’opera redentrice del syzygos nei confronti di Mani, espressa in primo luogo come separazione dall’errore in cui era stato educato, cfr. ancora CMC 69,9-70,10 pp. 69-71. Si tratta di un brano citato dopo i passi tratti dal Vangelo di Mani e introdotto con la formula «egli disse», senza specificazione del contesto cui il brano medesimo appartiene. Esso comunque esprime in sintesi l’esperienza di Mani come oggetto della scelta

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ulteriori decisivi eventi della vicenda biografica dell’Apostolo. Dopo la dura disputa con i battisti e l’allontanamento da costoro a causa della radicale incompatibilita delle rispettive posizioni 47 si ha una nuova manifestazione del «syzygos beatissimo» che incoraggia Mani a intralag ss prendere la sua azione missionaria 48 Essa, di fatto, vedra a *? ed successo il costante e vigile del divino custode che ne preannuncia esercita, secondo la promessa, un’accorta funzione di guida consolidan-

do V’animo di Mani con nuove

rivelazioni*® e realizzando,

con la

conversione del re a Ktesifonte, * prima sicura are della diffusione vittoriosa del messaggio salvifico*! La frammentarieta delle biting pagine del codice non permette di cogliere a pieno il significato della narrazione e le modalita della propaganda missionaria condotta dal Profeta, insieme con il padre Pattikios e i primi discepoli. Comunque alcuni indizi significativi confermano la costante presenza del syzygos in quest’intensa azione apostolica, risultando cosi essa in diretta ed imprescindibile connessione con la vigile assistenza di lui, in un susseguirsi di visioni e colloqui intesi a

rafforzare la coscienza profetica di Mani °” La sostanziale conformita

del quadro emergente

divina, destinatario della rivelazione mediata dal syzygos,

dal nuovo

docu-

«salvato» dall’errore della setta

in cui era vissuto. «Quando mio Padre — egli infatti dichiara — si compiacque ed ebbe mostrato compassione e interessamento nei miei confronti, invid da quel luogo il mio Compagno saldissimo, il frutto intero dell’immortalita, affinché mi riscattasse e purificasse dall’errore di quella legge. Giunto fino a me, egli mi gratificd con l’ottima speranza e la redenzione basata sull’immortalita, vere istruzioni e l’imposizione delle mani da parte di mio Padre. Quello venendo mi elesse e mi scelse, mi attrasse a sé e mi separo dai seguaci di quella legge in cui sono stato cresciuto». 47 1] dibattito con i Battisti occupa la terza «unita tematica» che costituisce la sezione centrale

del testo,

fra le due

prime

unita,

relative

alla

rivelazioni maggiori da parte del divino inviato, e quelle comunicazione dei misteri e la prima azione missionaria

fanciullezza

di Mani e alle

che descrivono ancora la dell’Apostolo. Cfr. CMC

79,13-99,8 pp. 99-119.

48 CMC

101, 11-105,21 pp. 209-213. Il syzygos é definito despotes e epanaschon,

«signore» e «aiuto» di Mani (ibi 101,12-16 p. 209); egli ¢ Vendoxotatos che gli svela la

natura universale della sua missione («Non sei stato mandato solo a questa religione ma a ogni razza e insegnamento e ad ogni citta e regione») per la diffusione del messaggio salvifico («la speranza») ricevuto (ibi 104,10-22 p. 213). La buona accoglienza del messaggio é garantita a Mani dalla costante assistenza del Compagno: «éy@® yap ovvetpi oot én[i]kovpos Kai brepaon[iotis év navti tonwl. Ka]O’dv &v AGAToEIc naviO’dS]oa ool &nexdAvya» (ibi 105,3-7 p. 213).

49 CMC 124,1-15 edd. A. Henrichs-L. Koenen in ZPE 48(1982), p. 17. 50 CMC 126,2-127,14 p. 19. >! CMC

130,1-135,6 pp. 23-27.

52 CMC 135,6-136,16 pp. 27-29; 153,1 sgg. p. 40.

,

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263

mento rispetto alle fonti gia note non ha bisogno di minute dimostrazio-

ni. Gli editori del testo hanno raccolto e sottoposto ad attenta analisi i passi paralleli che negli scritti manichei ovvero nelle opere di polemisti ed eresiologi variamente evocano la figura del divino latore della

rivelazione >’. Tra quelle fonti risulta particolarmente significativa, oltre alla notizia di Ibn al Nadim che distingue due successivi interventi rivelatori dell’angelo al-Tawm e precisa che il nome di costui_ significa

«compagno»*, il testo frammentario in medio persiano M 49 II. Qui il messaggero celeste, Narjamig (il «gemello») appare egualmente come compagno custode e protettore. La sua azione di guida e difesa si esplica in due direzioni, peraltro convergenti, ossia nella lotta contro le forze del male e nella diffusione del messaggio di «sapienza e conoscenza», il quale € appunto lo strumento fondamentale per la salvezza

_dell’umanita da quelle forze medesime >. Xx

Estremamente significativo é inoltre il riferimento, pur rapido e allusivo, all’inizio dell’opera missionaria di Mani, il quale si misura in primo luogo con il proprio ambiente, con il padre e con gli «anziani» ai

quali comunica |’insegnamento ricevuto*®. Il confronto con il CMC mostra che negli anziani qui menzionati, i quali rimangono meravigliati all’annunzio del nuovo messaggio religioso, si devono riconoscere non i

53 A. Henrichs-L.

Koenen, art. cit., in ZPE

5 (1970), pp. 161-189.

54 Fihrist 1X ed. B. Dodge p. 774 sg. La prima manifestazione di al-Tawn a Mani dodicenne implica soltanto, come si é visto (cfr. sopra n. 21), l’invito al distacco dal culto nel quale é cresciuto e alla pratica di un’integrale purita, dovendo ancora egli rimanere

nascosto a causa della tenera eta. La seconda rivelazione, nella raggiunta maturita del Profeta, reca l’invito all’azione missionaria, in virtu della scelta di cui egli é stato oggetto da parte del Signore che gli ha inviato |’angelo-compagno. Per un ampio commento della , notizia del Fihrist cfr. G. Fliigel, Mani, seine Lehre und Schriften. Ein Beitrag zur Geschichte des Manichdismus, Leipzig 1862. In particolare sull’episodio dell’angelo-rivelatore cfr. p. 84 (testo) e pp. 140-144. Sul nome dell’inviato cfr. R. Kébert, Orientalistische

Bemerkungen zum Kolner Mani-Codex in ZPE 8(1971), p. 244.

>> Testo M 49 II R edd. F.C. Andreas-W.B. Henning, Mitteliranische Manichaica aus Chinesisch-Turkestan Il, cit., p. 307 sg.: «Io dissi: ‘Tu... e dalla tua mano... ed altre cose tu hai dato e portato a me’. Ed ora egli anche mi accompagna ed egli stesso mi sostiene e

protegge. E (con l’aiuto) della sua forza io combatto contro Az ed Ahrman e insegno all’umanita sapienza e conoscenza e salvo gli uomini da Az e Ahrman. E quelle cose delle divinita e della sapienza e la conoscenza della adunata delle anime, che io ricevetti da Narjamig...». Cfr. L.J.R. Ort, op. cit., p. 48 sgg.; A. Henrichs-L. Koenen, art. cit. in

ZPE 5(1970), p. 162. 56 M 49 verso: «da Narjamig... dinnanzi alla mia propria famiglia... io stetti. E mostrai il sentiero degli (uomini) saggi e quelle cose che Narjamig mi aveva insegnato, allora cominciai a parlare e a insegnare a (mio) padre e agli anziani. E quando essi udirono quelle cose rimasero meravigliati».

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membri della famiglia di Mani quanto piuttosto i notabili della comunita in cui il fanciullo é stato educato e ai quali, per primi, egli propone la rivelazione ricevuta. Nei testi manichei in lingua copta la figura dell’inviato celeste appare nella duplice denominazione di saish («compagno») e di parakletos, essendo quest’ultima la pitt comune designazione dello stesso Mani nei medesimi testi. Il Kephalaion VII é stato gia individuato come la piu significativa testimonianza sul divino compagno di Mani e il piu aderente parallelo alla nozione dei rapporti fra i due personaggi offerta nel CMC. Nell’enumerazione dei cinque Padri, ciascuno dei quali evoca tre Potenze, interviene il Nous-luce, direttamente connesso con la vicenda salvifica, essendo colui «che elegge tutte le chiese»*’. Da lui promana l’Apostolo della Luce, ossia la divina ipostasi destinata ad incarnarsi in Mani medesimo e, come seconda Potenza, «il Compagno (saish) che viene all’Apostolo e si rivela a lui, poiché é il suo compagno e lo accompagna dovunque e lo aiuta sempre da ogni afflizione e

pericolo» *°. Mentre altri testi copti menzionanti il saish sono di interpretazione controversa, per la difficolta di percepire con «compagno», che comunque non pare riferibile passi si impongono all’attenzione.

sicurezza l’identita del a Mani’, due ulteriori

°7 Keph. VII edd. Polotsky-Béhlig p. 36, 1 sg.

°8 bi, linn. 3-9. °° Tali passi, raccolti

e commentati

da L.J.R.

Ort (op. cit., pp. 79-81), sono Ps.

CCLXXXVII ed. Allberry p. 111, 10-18 dove si evoca, in un contesto lacunoso, la «santa Sapienza» come «perfetta consorte», forse del Nous, e alcuni luoghi dei Salmi Sarakoton

(p. 138,24; 139,5 e 10-12). Uno di essi, in gloria di Gesu, elenca fra i molti titoli di lui quelli di «Gemello del Perfetto, compagno del Saggio, padre dell’Intelletto di Luce» (p. 166,33-35). In un altro Inno della medesima serie, dedicato con ogni verisimiglianza all’anima, si legge: «La tua mente (nous) che é raccolta, la tua prima sicurezza; il tuo compagno (saish) incrollabile» (p. 146,51-54). Si tratta dell’unico caso in cui, a quanto pare, nei testi editi, un saish é attribuito alla singola anima, laddove la pit generale

dottrina manichea non conosce la nozione di una divina controparte della singola anima ma

piuttosto stabilisce un legame profondo

di solidarieta fra tutte le particelle di luce

imprigionate nella materia fra di loro e con il Nous-luce ovvero Gest lo Splendore. Su tale nozione, esemplificata in molti passi dei Kephalaia (cfr. CXIV pp. 269,14-270,24) e dei Salmi (p. 173,19-22), si veda H.-Ch. Puech, En quéte de la gnose Il, Sur l’Evangile selon Thomas. Esquisse d’une interprétation systématique, Paris 1978, pp. 156-200 e 235-284.

Sulla concezione manichea della consustanzialita divina dell’anima, la quale va situata nel piu ampio quadro della dottrina dei «tre tempi», si veda gia Id., Le manichéisme, cit., pp. 68-85 e in particolare i testi citati nella n. 275 di p. 154 sg. La dottrina manichea contempla inoltre l’incontro con una Figura di Luce da parte di quanti «rinunciano al mondo», la quale é insieme la terza emanazione del quarto Padre Nous-Luce ed essa stessa

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Il Salmo del Bema CCXLI in gloria di Mani fa cantare ai suoi discepoli: «Noi lodiamo il tuo compagno di luce, Cristo, autore del

nostro bene» ©, proponendosi un’identificazione, unica nella documentazione a noi nota, fra il saish di Mani e Cristo. Sebbene le motivazioni di siffatta assimilazione possano essere varie °!, essa si puo intendere nel contesto di un inno che, nell’esaltare la funzione di Mani come salvatore apparso in forme diverse in epoche successive ®*, accentua con forza il parallelismo fra la sua vicenda e quella di Cristo. Il secondo documento si distingue da tutto il complesso di testi finora esaminati per la sua apertura escatologica: nel momento estremo della «passione» di Mani, nell’approssimarsi della morte, egli contempla quinto Padre, secondo lo schema elaborato nel Keph. VII. Tale Figura luminosa, insieme con i tre Angeli sovrani che da lei promanano, ha una tipica funzione escatologica, poiché si fa incontro all’anima di quanti si allontanano dal mondo in stato di giustizia (Keph. VII p. 36,9-21). Il Fihrist menziona «una vergine che rassomiglia all’anima» dell’Eletto e lo accoglie nell’aldila. Le affinita tipologiche di questa «figura luminosa» ovvero della «vergine» che accoglie l’anima del defunto e la guida al luogo di beatitudine con la nozione iranica della daena sono ben note. Sui paralleli iranici della dottrina manichea del «compagno» e della Figura di Luce si veda soprattutto il lavoro gia citato di G. Widengren (The Great Vohu Manah, passim).

60 Rd. Allberry p. 42,22-23. 6! Si vedano in proposito le acute osservazioni di H.-Ch. Puech, En quéte de la gnose, cit., pp. 224-241. In uno dei Salmi manichei della Collezione Chester Beatty ancora inediti, di cui il prof. S. Giversen sta curando la pubblicazione e la traduzione, interviene ancora la definizione di Cristo come «compagno» (saish). Si tratta di un inno in cui i fedeli illustrano, con una serie di immagini e comparazioni, il proprio rapporto con il Salvatore (figli-padre, nave-nocchiero, perle-tuffatore, alberi da frutto-giardiniere). Con riferimento alla parabola evangelica delle vergini si propone allora il seguente parallelismo: «Noi siamo quelle sagge vergini che vegliano, mettendo olio nelle loro lampade, finché appaia lo sposo. Noi siamo le tue spose incontaminate, tu sei il nostro vero compagno (saish), prendici pure, perché possiamo ricordare i tuoi doni». Salmo sul Giorno del Signore 119,21-24 nella traduzione proposta da S. Giversen nel suo contributo al presente Simposio (The inedited Chester Beatty Mani Texts). Interviene qui, sia pure in qualche modo condizionata dal parallelismo con le figure della parabola evangelica, la nozione di un rapporto di «coppia» tra il singolo fedele e il saish-Cristo. Si avrebbe dunque da una parte una nozione corrispondente a quella enunciata nel Salmo Sarakoton sopra citato (cfr. n. 59), in cui anima del singolo sembra avere un proprio saish, e dall’altra la trascrizione a livello antropologico del legame Mani-Gemello, che in un caso si identifica con Cristo. Di tale legame si privilegia, in questa trasposizione, l’aspetto personale, di salvezza individuale connessa con l’unione con la propria controparte celeste, 1a dove negli altri contesti menzionati la figura di Mani si distingue per la sua investitura profetica e la sua qualita di «salvatore», entrambe connesse con la presenza del Gemello divino.

62 Bd. Allberry p. 42,24-34: «Onore alla tua sapienza che ha sconfitto l’Errore delle sétte. Noi benediciamo gli Angeli che ti hanno condotto di legame in legame. Noi veneriamo le tue sofferenze che hai sopportato per i tuoi figli: poiché tu hai lasciato la tua

grande gloria, sei venuto e hai dato te stesso per le anime. Tu hai assunto differenti forme finché hai visitato tutte le razze per la salvezza dei tuoi amati finché li hai scelti fuori dal loro mezzo».

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con i suoi «occhi di luce» il Compagno e in pari tempo guarda al suo «Padre glorioso» che nelle altezze lo attende per aprirgli la porta del

regno divino °°. Risulta cosi saldato il ciclo entro il quale si svolge la vicenda dell’Apostolo, dalla preesistenza e distacco dal suo Compagno di coppia alla missione terrena con funzione salvifica sino al ritorno al mondo superiore, implicante ricongiungimento definitivo con il Gemello che pure lo ha costantemente accompagnato nelle diverse tappe della vicenda mondana. Alla sua azione decisiva egli deve soprattutto la presa di coscienza della propria origine divina e la comunicazione di quella gnosi di verita che permettera il riscatto dell’umanita intera ed € consegnata negli scritti sacri, essi stessi «dono» del saish secondo una precisa

affermazione dei Khephalaia™. Questa essenziale nozione manichea trova un’ultima esemplare illustrazione nel primo capitolo dei Khephalaia medesimi che, intitolato appunto «Sulla venuta dell’Apostolo», situa la manifestazione di Mani in una linea ininterrotta di inviati divini, secondo quella struttura tipica della ricorrente «incarnazione» della parola di verita che qualifica l’ideo-

logia manichea °°. Dopo il parziale fallimento della missione di Gest e del suo discepolo Paolo, entrambi sopraffatti dalle forze del male, la chiesa rimane nell’abbandono. A cid segue tuttavia il riscatto con la manifestazione dell’apostolé di Mani. «Da quel tempo fu inviato il Paracleto, lo Spirito di Verita, che é venuto a voi in quest’ultima generazione, come il

Salvatore ha detto» °°. Il perfetto parallelismo fra l’azione di questo inviato celeste e il Compagno-gemello degli altri testi manichei é¢ chiaramente evidente nel

63 Salmo del Bema CCXXVI ed. Allberry p. 19,22-24: «lo stavo contemplando il mio compagno (saish) con i miei occhi di luce, guardando il mio Padre glorioso, lui che mi aspetta sempre, aprendo dinnanzi a me la porta nelle altezze». A questa visione Mani risponde con un’invocazione: «lo distesi le mie mani, pregando verso di lui; piegai le mie ginocchia, pregandolo anche che io potessi spogliarmi dell’immagine della carne e gettare via il rivestimento di umanita». 64 Keph. CXLVIII edd. C. Schmidt-H.J. Polotsky, Ein Mani-Fund in Aegypten in SPAW 1933, p. 35 sg.; p. 86. Cfr. L.J.R. Ort, op. cit., p. 84 sg.: i Pragmateia, il Libro dei Segreti e la Scrittura dei Giganti sono le opere che, costituendo «un’unica scrittura», sono doni del «Compagno di coppia di Luce». 6° Keph. 1 pp. 10,1-14,2. La serie di personaggi qui enunciata presenta il pit preciso parallelo rispetto a quella dei profeti e visionari menzionati nel CMC che, da Adamo a Paolo, hanno posto per iscritto le rivelazioni ricevute nel corso di «rapimenti» estatici in compagnia di angeli (CMC 47,1-63,1 pp. 47-63).

6 Keph. I p. 14,3-7.

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seguito della narrazione®’. Collocata storicamente la propria nascita al tempo del «re della Partia» Artabane, Mani indica nel regno di Ardashir il kairds della propria vicenda spirituale: «Allora venne git il Paracleto

vivente (a me) e parld con me» °°. Si ha dunque l’enunciazione dei «misteri» rivelati dal Parakletos, nella quale si riassume l’intera sostanza della dottrina manichea ©’, sicché l’Apostolo pud legittimamente concludere: «In questo modo tutto cid che € accaduto e cid che accadra a me é stato rivelato attraverso il Paracleto» ”°. Ma questa comunicazione della conoscenza non rimane un evento di pura rilevanza intellettuale. Nella peculiare accezione gnostica del processo di rivelazione come contestuale processo di salvezza, attraverso il riconoscimento dell’identita divina del rivelatore e del destinatario della rivelazione, si intende l’esultante dichiarazione di Mani: «Io ho visto il Tutto (0: tutte le cose) attraverso di lui e sono divenuto un corpo

€ uno spirito» 71. 7 Per i problemi relativi da una parte alla duplice designazione del rivelatore celeste come «gemello» o Paracleto e dall’altra all’identificazione variamente configurata tra Mani stesso e il Paracleto si vedano le osservazioni di L. Koenen, Augustine and Manichaeism, cit., pp. 167-176.

68 Keph. I p. 14,27-15,1. Cfr. CMC 18,1-16 p. 21. 69 Ibi p. 15,1-19. Cfr. J. Ries, Le manichéisme dans le contexte des grandes religions orientales. Un essai de religion universelle, Liége 1984, pp. 11-14 dove si illustrano i dodici «misteri» enunciati nel Keph. I. A conclusione di esso, dopo un passo lacunoso che comunque sembra riferirsi alla diffusione universale del messaggio salvifico, Mani ribadisce l’autorevolezza della propria «investitura» profetica e missionaria e la veridicita della propria dottrina appellando alla rivelazione ricevuta: «[Poiché lo] Spirito del Paracleto ¢ colui che é stato inviato a me dal [Padre della Grandezza? Cid] che [é] accaduto e cid che accadra mi é stato rivelato». Quindi, per la tipica connessione manichea fra rivelazione e scrittura, essendo l’una garantita dalla fissita e stabilita dell’altra cosi come la seconda riceve fondamento dalla prima, l’Apostolo conclude: «Su cid io vi ho scritto prima ampiamente nei miei libri» (Keph. I p. 16,19-22). Per un’analisi delle modalita di comunicazione della rivelazione nel manicheismo e dei suoi effetti salvifici si veda J. Ries, La révélation dans la gnose de Mani in Forma Futuri. Studi in onore del cardinale Michele Pellegrino, Torino 1975, pp. 1085-1096; C. Giuffré Scibona, Gnosi e salvezza manichee

nella polemica di Agostino in J. Ries (ed.), Gnosticisme et monde hellénistique, cit., pp. 164-188. 7 Keph. 1 p. 15,19-20. 11 Ibi p. 15,23 sg. Per il rapporto dialettico fra l’acquisizione della conoscenza e la salvezza nel manicheismo si vedano le osservazioni di J. Ries, La gnose dans les textes liturgiques manichéens coptes in U. Bianchi (ed.), Le origini dello gnosticismo, Colloquio

di Messina 13-18 Aprile 1966, Leiden 1967, pp. 614-624. Un’analisi dell’accezione manichea della nozione di gnosi anche in L.J.R. Ort, Mani’s Conception of Gnosis, ibi, pp. 604-613. G. Widengren, nel porre in luce il ruolo fondamentale della nozione di

«saggezza» nel manicheismo come equivalente della «vera religione» e fonte di salvezza,

ne ha sottolineato i paralleli iranici (La sagesse dans le manichéisme in Mélanges d’histoire des religions offerts @ Henri-Charles Puech, cit., pp. 501-515).

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La dottrina manichea del syzygos contempla dunque una serie complessa ma organicamente articolata di valenze: il personaggio é insieme un rivelatore-salvatore e la controparte celeste di Mani, entita divina che si manifesta «dall’alto» ma in pari tempo «incarnata» in lui, in un rapporto dialettico di trascendenza-immanenza le cui tensioni si esprimono e insieme si compongono nell’alternanza specchio-immagine per risolversi in una «mistica di identificazione» anticipata nell’incontro e nel mutuo riconoscimento attuato nell’iter della rivelazione ma realizzata compiutamente solo in prospettiva escatologica. Per misurare il significato storico-religioso di siffatta concezione é necessario percorrere alcune linee tradizionali che possano configurarsi come coordinate storiche le quali, senza «spiegare» né esaurire la dottrina manichea, tuttavia abbiano potuto offrire materia e stimolo alla sua formulazione. La prima di tali coordinate € senza dubbio individuabile nella comunita religiosa in cui ¢ maturata l’esperienza spirituale di Mani, quei battisti gia noti attraverso la testimonianza di Ibn al Nadim che ora il CMC ha imposto all’attenzione come il principale parametro di riferimento nel problema storico delle origini del manicheismo. Non ci compete certo affrontare direttamente tale problema né quello della coerenza fra l’immagine del nomos battista in cui é stato

educato e di cui Mani medesimo dichiara archegos Alchasaios’*, quale emerge dalla radicale polemica elaborata nel CMC, e le notizie eresiologiche relative ad una sétta battista egualmente ricondotta all’autorita di

Elchasai ’’. Il tema, gid oggetto di ampio dibattito, proprio da quest’incontro scientifico attende ulteriore luce e nuove proposte di soluzione. Nessuno neghera peraltro, al di la delle questioni specifiche su cui non possiamo fermarci, la legittimita di situare il primo habitat culturale e religioso di Mani nel panorama variegato di quei gruppi giudeo-cristiani che le fonti eresiologiche conoscono fiorenti nel II-III sec. in un’ampia area geografica che dalla Palestina si allarga alla Siria e alla Mesopotamia. Tra essi alcuni risultano pit o meno direttamente connessi appunto

” CMC 94,10-12 p. 115. ” Basti ricordare le riserve avanzate da parte di A.F.J. Klijn e G.J. Reinink (Elchasai

and Mani, cit., pp. 277-289) ad una definizione della comunita battista di Mani come «elchasaita». Su questo problema, oltre i lavori gia citati (cfr. sopra n. 8) e L. Cirillo, J/ «Codex Manichaicus Coloniensis» (CMC) e gli Elchasaiti in Miscellanea di Studi Storici III (1983), pp. 11-35, si vedano ora i contributi dello stesso L. Cirillo (Elchasai e i Battisti di Mani: i limiti di un confronto delle fonti) e di A.F.J. Klijn (Alchasaios et CMC) a questo Simposio.

'

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GASPARRO

269

con Elchasai e soprattutto con un’opera apocalittica posta sotto l’autorita del personaggio, sia esso una reale figura storica o non piuttosto

un’epiclesi divina *. ©

Ippolito, dopo aver brevemente accennato alla recente apparizione di un daimon «straniero», Elchasai, la cui dottrina, un miscuglio di idee di gnostici, astrologi e maghi’°, ha raggiunto una grandissima diffusione, viene a parlare di Alcibiade che, originario di Apamea in Siria, giunse a Roma al tempo di papa Callisto recando con sé un libro che l’«uomo giusto» Elchasai avrebbe a sua volta ricevuto dai Seres nella Partia, essendo peraltro esso rivelato da un angelo gigantesco ”°. Epifanio, da parte sua, attesta che quel libro medesimo era accolto in varie comunita dell’area palestinese che ne avevano recepito |’insegnamento e si adeguavano alle norme rituali ivi proposte. Si tratta degli Ossaioi, di origine giudaica, stanziati presso il Mar Morto, identificati con la comunita dei Sampsei contemporanea del vescovo di Salamina ’’. Anche Ebioniti e Nazorei, a suo dire, avrebbero accettato con favore il

libro contenente la dottrina di Elchasai 7°. Al di la delle caratteristiche peculiari a ciascuna delle comunita menzionate, un tratto comune, oltre l’osservanza delle prescrizioni rituali giudaiche e la pratica di frequenti battesimi, é costituito dalla dottrina delle successive manifestazioni di un rivelatore-salvatore identificato con Cristo. Siffatta dottrina, attribuita da Ippolito all’elcasaita

Alcibiade ”?, ha la sua pit’ ampia. elaborazione nell’ambiente ebionita 7 Una recente messa a punto dei problemi, a commento della raccolta delle fonti eresiologiche, ¢ offerta da A.F.J. Klijn-G.J. Reinink, Patristic Evidence for Jewish-Christian Sects, Leiden 1973, pp. 54-67. Dopo l’opera monografica di W. Brandt (Elchasai. Ein Religionstifter und sein Werk, Leipzig 1912) un nuovo esame globale della documentazione sul tema, notoriamente dibattuto nel pili ampio contesto della questione — a sua volta aperta — del «giudeo-cristianesimo» (cfr. J. Thomas, Le mouvement baptiste en Palestine et en Syrie (150 ay.J.-C - 300 ap. J.-C.), Gembloux 1935; H.J. Schoeps, Theologie und Geschichte des Judenchristentums, Tibingen 1949, pp. 325-334; J. Daniélou, Théologie du Judéo-Christianisme, Tournai 1958, pp. 76-80), in L. Cirillo, Elchasai e

gli Elchasaiti.

Un contributo alla storia delle comunita giudeo-cristiane, Cosenza

1984.

75 Elenchos Prol. IX, 4 in Klijn-Reinink, op. cit., pp. 112-115. GON Tbi IX laa igs2epps.! 14-121. ™ Panar. 19,1,1-6,4 in Klijn-Reinink, op. cit., pp. 154-161. 78 [bi 5,4,1 p. 160 sg.: il nome del personaggio nella notizia di Epifanio appare nella forma Elxai. Cfr. Anakeph. Il, 29-30 p. 160 sg. 79 Elenchos 1X, 14,1 p. 116 sg.: «Egli afferma che Cristo fu generato uomo nella stessa maniera comune a tutti; e che egli non fu generato ora per la prima volta da una vergine ma che, essendo stato gia precedentemente generato e rinato, apparve cosi e venne all’esistenza, attraversando alterazioni di nascita e passaggio di corpo in corpo». Pit oltre l’eresiologo accomuna sotto un’unica rubrica quanti, introducendo come novita cid che invece hanno mutuato ad ogni sorta di «eresie», appellano ad uno «strano libro» posto

CODEX

270

MANICHAICUS

COLONIENSIS

quale é descritto da Epifanio, che peraltro indica in tale cristologia un preciso influsso di Elchasai 80 Di fatto, l’eresiologo afferma che alla piu arcaica concezione di «Ebione», secondo la quale Cristo sarebbe nato alla comune maniera umana da Giuseppe®’, si era sostituita presso alcuni dei suoi pit tardi discepoli una cristologia complessa, di cui

Epifanio registra le molteplici varianti**. Nella sostanza, comunque,

essa contempla la nozione di una periodica manifestazione in forma umana di un inviato divino, sia egli «creato» inizialmente in quanto

Adamo ®? ovvero preesistente e in lui incarnato per la prima volta.

Egli comunque é investito di una missione profetica e salvifica 85 insie-

me, essendo identificato col Gest storico, crocifisso e risorto *°. Epifanio conosce anche la dottrina ebionita di un Cristo-pneuma che discende

su Gest 8’. Le analogie fra tale quadro ideologico Profeta» nella letteratura pseudo-Clementina

e la nozione del «vero sono ben note 88 Senza

sotto il nome

monoteistica,

di Elchasai.

Tutti costoro,

di ispirazione

«non

confessano

tuttavia che c’é un solo Cristo ma che ce n’é uno in alto e che egli é infuso frequentemente in molti corpi ed ora é in Gesu. E, allo stesso modo, egli fu ora generato da Dio e ora divenne uno Spirito e ora nacque da una vergine e cosi via. Ed é continuamente infuso in (diversi) corpi e manifestato in molti popoli e tempi diversi» (IX, 29,1-2 p. 122 sgg). Sulla cristologia degli ambienti giudeo-cristiani si veda in ultimo J. Fossum, Jewish-Christian Christology and Jewish Mysticism in VigChr 37 (1983), pp. 260-287. 80 Panarion 30,3,1-6 pp. 176-179. Sull’influsso «elcasaita» nelle dottrine cristologiche ebionite ibi 30,3,2 p. 176 sg.

81 Thi 30,2,2 pp. 174-177; cfr. 30,3,1 p. 176 sg. E ovvio che, nel parlare di «Ebione» e dei suoi «discepoli»,

intendiamo

riflettere la formula

eresiologica di Epifanio,

senza

entrare nel merito della sua pertinenza alla realta storica.

82 Ibi 30,3,3-6 pp. 176-179. 83 Thi 30,3,3 pp. 176-179: «twéic yap && abdtdv Kai "Addu tov Xpiotov eivar Eyovolv, Tov TPAtdv te TAGOVEVTA Kai EUMvVONVEVTA AO Tic Tod BEod Eninvoiac». 84 Thi 4 p. 178 sg.: «AAor S& év adtoig A€yovow Givwbev pév adtOv Svta mpd Tavtmv S& adtov Ktiobévta, mvedua Svta Kai Onép ayyéAovc Svta MavtTwWV TE Kupievovta, Kai Xpiotov AéyeoOa1, tov Exeioe 5E aidva KEKANPAcVav».

85 Ibi 5 p. 178 sg.: «Epxecdar Sé &vtadOa Ste PovAETa, > Kai év TO "ASGp HAGE KGi TOIS TatTpIapyaic é~aiveto EvSvdpEVOG TO CALA».

86 Thi 5 p. 178 sg.: «mpdc “ABpady 8&8 adv

Kai “IoadkK Kai laxdPB 6 abdtdc

én &oXATOV TOV HuwEPaV TAVEV Kai adTO TO COHpa Tod “Adap Evedvoato Kai M@pbn &vOparoi1s Kai otavpMbn Kai AvEotTH Kai AviAVEV». 87 [bi 6 p. 178 sg. 88 Le connotazioni «ebionite» degli scritti ps. Clementini sono state illustrate soprattutto da H.J. Schoeps,

Theologie und Geschichte des Judenchristentums,

Tiibingen

1949

su cui cfr. le osservazioni di L. Cerfaux in RHE 47(1952), 212-216; Id., Urgemeinde Judenchristentum Gnosis, Tiibingen 1956. Per il problema della definizione dell’ebionismo quale emerge dalle testimonianze patristiche si vedano le osservazioni di G. Strecker, On the Problem of Jewish Christianity in W. Bauer, Orthodoxy and Heresy in Earliest Christianity edited by R. Kraft-G. Krodel, Philadelphia 1979, pp. 272-285.

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GASPARRO

271

pregiudizio dei complessi problemi relativi a tale letteratura ®°, noteremo qui l’importanza decisiva dello schema ivi elaborato a proposito del tema rivelazione-salvezza ai fini della definizione di un quadro ideologico cui Mani poté attingere elementi e suggestioni per l’elaborazione della sua stessa dottrina. Premesso che i veri beni, quali il perfetto intelletto e la vita eterna non possono essere ottenuti senza la conoscenza della realta, le Omelie ps. Clementine indicano nel «profeta di verita» l’unico tramite di tale

conoscenza’,

essendo lui solo capace di «illuminare le menti degli

uomini» ?’. Tale capacita gli deriva dal possesso

«innato

e perpetuo»

8° Cfr. O. Cullmann, Le probleme littéraire et historique du roman pseudo-Clementin. Etude sur le rapport entre le Gnosticisme et le Judeo-christianisme, Paris 1930 che da un quadro completo dello status quaestionis fino a quell’epoca e proprie soluzioni personali. Dopo quella data le edizioni critiche curate da B. Rehm, cui si deve anche uno studio sulla composizione degli scritti (Zur Entstehung der pseudoclementinischen Schriften in ZNW 37,1938, pp. 77-184), permettono un pil corretto approccio al testo (Die Pseudoklementinen 1. Homilien, GCS 42, Berlin 1953, 19697; Il. Rekognitionen in Rufins Ubersetzung, GCS 51, Berlin 1965). Di esso gia W. Frankenberg aveva pubblicato la versione siriaca (Die syrischen Clementinen mit griechischen Paralleltext, TU 48,3, Berlin 1937). In ultimo cfr. G. Strecker, Das Judenchristentum in den Pseudoklementinen (TU

70), Berlin 1958 su cui si vedano le recensioni di H.J. Schoeps in ZGG 11(1959), pp. 72-77 e di J. Daniélou in RSR 47(1959), pp. 576-579. Infine, ancora di G. Strecker l’Appendix I al gia citato volume di W. Bauer in traduzione inglese, pp. 257-271.

9° Hom. 1,4-5 ed. Rehm p. 37. 91 Hom. 1,19,1 p. 32. Cfr. Rec. 1,15-16-ed. Rehm p. 15 sg.: il mondo, a causa degli innumerevoli vizi degli uomini, € come una casa ripiena di fumo che impedisce di vedere ogni cosa. E necessario dunque invocare colui che solo pud allontanare tale fumo e fare risplendere la luce del sole. L’A. quindi continua: «Hunc ergo qui ad auxilium domus, caligine ignorantiae et vitiorum fumo repletae, perquiritur, illum esse dicimus, qui appellatur verus propheta, qui solus inluminare animas hominum potest, ita ut oculis suis viam salutis evidenter inspiciant. Aliter enim inpossibile est, de rebus divinis aeternisque cognoscere, nisi quis ab isto vero propheta didicerit» (cfr. ibi IX, 1 p. 257). Si notera che nel lungo discorso sulla storia umana elaborato nel primo libro delle Recognitiones é assente |’identificazione Adamo-vero profeta mentre il decadimento dell’umanita ha inizio dall’ottava generazione, a causa di unioni peccaminose fra «uomini giusti che avevano vissuto la vita degli angeli» e le donne (1,29 p. 24 sg.), secondo una nozione chiaramente connessa alla nota tradizione giudaica delle nozze tra i «figli di Dio» (solitamente identificati con gli angeli)e le donne. Il movimento inverso di riscatto ¢ inaugurato da Abramo, che riceve visioni con |’assistenza di un angelo (1,32 p. 26 sg.). A lui «apparve il vero Profeta» per istruirlo su tutta la verita (1,33 p. 27). Anche Mosé riceve questa apparizione rivelatrice (1,34 p. 28). Solo Cristo, di fatto, é identificato col vero Profeta predetto da Mosé (1,39 p. 31; cfr. 40 p. 31 sg.). Egli si manifesta per adempire la predizione

mosaica

e, liberati

gli uomini

con

il battesimo

d’acqua,

conferisce

loro

Vimmortalita. E chiaro dunque come il redattore delle Recognitiones modifichi la prospettiva delle Omelie sostituendo allo schema delle «incarnazioni» successive del vero Profeta il tema dell’unico Profeta, identificato con Gest e definito «il Cristo eterno» (cfr. I,43 p. 33) predetto da Mosé e «apparso» a costui per ammaestrarlo, cosi come prima era «apparso» ad Abramo.

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272

MANICHAICUS

COLONIENSIS

dello spirito 7. Nel contesto del «discorso mistico» relativo alla legge delle «coppie» strutturate in maniera antitetica secondo la tipica opposizione verita-menzogna °’, si enuncia |’identificazione Adamo-vero profeta, essendo il protoplasto colui che «possiede il grande e santo spirito della prescienza» divi-

na

e che sié manifestato in ultimo in Cristo per la salvezza degli uomini ”°.

Da Adamo, dopo l’inversione dell’ordine della syzygia che ha dato la precedenza alla componente femminile, «tutta menzogna», si diparte una linea di veri profeti che in Abele ha il suo primo esponente °°) Un Pit oltre, dopo aver ribadito la qualita specialissima di Gesu, figlio di Dio, «unto» con l’olio dell’albero della vita per essere Profeta e Salvatore (1,45 p. 34 sg.), Pietro, rispondendo ad una precisa domanda di Clemente («hai detto che il primo uomo fu profeta...» 1,47 p. 35), dichiara che Adamo ha profetizzato e quindi ha dovuto anch’egli ricevere l’unzione. Tuttavia, nonostante questo riconoscimento della qualita profetica del protoplasto, non si propone la sua identificazione col vero Profeta che, in questa prospettiva, rimane soltanto Gest Cristo. Costui «qui ab initio et semper erat, per singulas generationes piis, latenter licet, semper tamen aderat, his praecipue, a quibus expectabatur, quibusque frequenter apparuit» (1,52,3 p. 38); cfr. anche 1,59 p. 41 sg.: superiorita di Gesti su Mosé e su Giovanni (1,60 p. 42 sg.).

Hom. 111,12,3 p. 61: «...donep 6 SiSdoKarosg hudv Kai npopytns Ov énovto Ki GEVVEM TVELLATL TAVITA MaVTOTE TTicTATO».

°3 Hom. I11,16-28 pp. 62-67. °4 Hom.

I11,17,1 p. 62.

°5 Hom.

II,19,1-6.

Dopo

aver ribadito che, se si negasse ad Adamo,

uscito integro

dalle stesse mani di Dio, lo «spirito santo di Cristo», a fortiori bisognerebbe negarne la presenza in tutti gli altri uomini nati da «stirpe impura», l’autore riafferma la sua nozione della ricorrente manifestazione del «vero profeta» attraverso i secoli da Adamo a Cristo, nel quale «ebbe riposo per sempre» (III,20,2 p. 64: «6g an’ apyiic aidvoc &pa toic dvouaow poppas GAAGoowV Tov aidva tpéyEl WEXPL StE idi@v yYpdvav ToXav, Sia Tod KapUdtovs Beod Edge yproOEic, sic dei EEs1 thy Avarnavow». Anche il redattore delle Recognitiones che, come si é gia notato (cfr. n. 91), modifica

la prospettiva generale sostituendo al tema delle successive «incarnazioni» del vero Profeta quello delle sue apparizioni a personaggi diversi della storia sacra al fine di ammaestrarli e guidarli, esprime questo motivo con l’immagine di un «correre attraverso i secoli», in attesa del riposo finale. Rec. 11,22,4-5 p. 65: «Non ergo nobis difficilis videatur huius itineris labor, quia in fine eius requies erit; nam et ipse verus propheta ab initio mundi per saeculum currens festinat ad requiem». Anche questa nozione peraltro é elaborata in senso etico, come assistenza del Profeta all’uomo: «Adest enim nobis omnibus diebus, et si quando necesse est apparet et corrigit nos, ut obtemperantes sibi ad vitam perducat

aeternam». % Hom. I11,26,1 p. 65. Cfr. L. Cerfaux, Le Vrai Prophéte des Clémentines in RechSR 18(1928), pp. 143-163 rist. in Recueil Lucien Cerfaux. Etudes d’Exégése et d’Histoire Religieuse, vol. 1, Gembloux

1954, pp. 201-319; H.J. Schoeps,

Theologie und

Geschichte des Judenchristentums, cit., pp. 87-116. Il problema dell’origine di siffatta dottrina rimane ancora aperto né é possibile affrontarlo in questa sede. Diciamo soltanto che le recenti conclusioni

di L. Cirillo che, sulla linea di O. Cullmann

e G. Strecker,

postulano una sua origine gnostica, pur condotte su un’ampia analisi del tema e interessanti riscontri comparativi, lasciano insolute alcune importanti questioni (Dottrine gnostiche nelle pseudo-Clementine in Prometheus 5,1979, pp. 164-188). Di fatto, accanto

,

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273

rapporto assai intimo é quindi indicato tra il vero profeta e l’uomo cui si rivolge, nella stretta correlazione tra processo di rivelazione e salvezza. Secondo una simbologia largamente diffusa nell’epoca e gia nota a

Filone Alessandrino *’, l’anima o V’intelletto umano si configura come una nymphe in rapporto al divino rivelatore, qui definito «sposo illustre futuro». «Ogni uomo infatti € una sposa quando, cosparso con il dolce

discorso di verita dal vero profeta, il suo intelletto é illuminato» *°. La trasmissione della verita instaura un legame personale e profondo tra il rivelatore e il destinatario dell’«illuminazione», legame che si configura come comunione dello «spirito vivificatore». Il discorso «mistico» di Pietro si conclude infatti con una pressante esortazione: «Percid bisogna ascoltare solo il profeta di verita e bisogna sapere che la parola seminata da un altro, avendo ricevuto il crimine di adulterio, cosi come dallo sposo allontana anche dal regno di lui. A coloro che hanno conosciuto il mistero, dall’adulterio dell’anima consegue anche la morte. Di fatto, quando I’anima ha ricevuto i semi da altri, allora come avendo c fornicato e commesso adulterio, ¢ abbandonata dallo spirito e cosi il corpo vivente, essendo stato separato dallo spirito vivificatore, si dissolve nella terra e al tempo del giudizio sono attribuiti all’anima, dopo la separazione dal corpo, le punizioni degne del peccato» ”.

ad alcune analogie di struttura fra la dottrina gnostica del salvatore-rivelatore e quella del «vero Profeta» della letteratura clementina si danno anche alcune differenze sostanziali. In conformita all’ontologia dualistica, anticosmica ed antisomatica che qualifica i varii sistemi gnostici, l’inviato celeste é in essi un personaggio estraneo a questo mondo che opera per il riscatto di una sostanza divina imprigionata in esso, alla quale la gnosi rivelata dovra permettere la liberazione dal regime cosmico e dai suoi signori. I] Profeta delle ps. Clementine ¢ un portavoce dell’unico Dio creatore che percorre i tempi, da Adamo a Cristo, ossia passa attraverso successivi individui per riscattare un’umanita traviata e immersa in un mondo in cui l’originario equilibrio é stato stravolto dal prevalere dell’aspetto femminile, malefico, ovvero, pili generalmente, dai vizi. In altri termini, si tratta di due strutture analoghe per alcuni aspetti ma funzionanti in quadri ideologici assai diversi sicché non é possibile affermare la dipendenza dell’una dall’altra. Per alcuni importanti rapporti della concezione ps. clementina con le tradizioni giudaiche basti rimandare alle ricerche di H.J. Schoeps gia citate. Cfr. inoltre Id., Aus friihchristlichen Zeit. Religionsgeschichtliche Untersuchungen, Tibingen 1950, pp. 1-81; Urgemeinde Judenchristentum Gnosis, Tibingen 1956; Bemerkungen zu ReinkarnationsVorstellungen der Gnosis in Numen 4(1957), pp. 228-232.

°7 Cfr. Cher. 50; Quaest. in Genesim 11,49. Sul tema si veda R.A. Baer Jr., Philo’s Use of the Categories Male and Female, Leiden 1970, pp. 51-64 e, pit ampiamente, per la sua presenza anche in ambiente cristiano, R.A. Horsly, Spiritual Marriage with Sophia in

VigChr 33(1979), pp. 30-54. 98 Hom. I11,27,3 p. 66: «vonon yap éotiv 6 mac &vOpwnoc, Sndtav tod dANnPodc TPOMHtov AEvKa® AGy@ GAnOeiac onmeipdpsvoc PawtiCntar tov vodv».

°° Hom. III,28,1-2 p. 66 sg.

274

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

L’antropologia tricotomica qui formulata, con la sua nozione di uno pneuma zoopoion che, aderendo all’anima, le procura salvezza mentre, per l’abbandono-adulterio di lei procura, con il dissolvimento del soma, la rovina dell’anima stessa, evoca tosto la dottrina tazianea della syzygia pneuma-psyché. Tale dottrina, connessa a sua volta con la protologia adamica 100 contempla la possibilita di restaurare |’ originaria armonia della coppia, infranta a causa della colpevole defezione dell’ele-

mento debole, femminile '®', attraverso l’abbandono mondo» e I’adesione al vero Dio}. va

della «follia del

Infatti il decadimento dell’anima ha provocato in lei, che conservacome una scintilla della potenza dello pneuma cui era unita in

syzygia'™, V’errore del politeismo, essendo la sua ricerca di Dio sviata dai demoni che hanno potere sulla terra’. E Taziano continua: «Lo spirito di Dio ed essendosi annuncia alle alla sapienza mentre quelle

non é in tutti, ma venuto a coloro che vivono giustamente unito strettamente all’anima, per mezzo di predizioni altre anime le cose nascoste; e le anime che obbediscono attraggono a sé lo spirito loro congenere (syggenes), che non obbediscono rifiutano pure il servitore del Dio

che ha sofferto e piuttosto che pie si rivelano nemiche di Dio» ™®.

100 Per un’analisi dell’encratismo di Taziano in rapporto alle sue concezioni antropologiche cfr. G. Sfameni Gasparro, Enkrateia e antropologia. Le motivazioni protologiche della continenza e della verginita nel cristianesimo dei primi secoli e nello gnosticismo, Roma 1984 (Studis Ephemeridis ‘Augustinianum’ 20), pp. 23-79, dove é addotta la relativa bibliografia.

101 Oratio Fragments,

ad Graecos

Oxford

12-13

ed. M.

Whittaker,

Tatian

Oratio

ad Graecos

and

1982, pp. 22-29.

102 Thi, (liq 228g; 103 Thi, 13 p. 26 sg.: dopo aver affermato che l’anima é tenebra ma puod ricevere la luce-spirito, da cui essere salvata, Taziano dichiara: «A causa di cid se vive solitaria declina verso la materia e muore con la carne, ma se conquista l’unione con lo spirito

divino non rimane senza (outvyiav 6& Kextnwévy Tpdc a&nep adtiv SdnyEei la nascita dell’anima é in

aiuto ma risale alla regione superiore dove lo spirito la guida tiv tod Oeiov mvevuatos odK EotIv aPonOntoc, &vépyetar Sé yopia TO nmvedpa). Poiché la dimora dello spirito é in alto, ma basso. Cosi lo spirito divenne in principio compagno (syndiaiton)

dell’anima; ma poi lo spirito abbandono lei che non volle seguirlo. Essa conserva come una scintilla (enausma) della potenza di lui». Cfr. ibi 15 pp. 28-31.

104 Tbi 13 p. 26 sg. 105 Thi 13 pp. 26-29: «nvebpa S& tO tod Ocod napa n&ow pév odK Kot, napa SE TLL TOIG SiKaiw@g MOMTEVOPEVOIG KATAYIVOLEVOV Kai CLLLMEPITAEKOpEVOV TH WoyXT Sia MPOAYOPEVSEWV Taig AoITAIg woXaic TO KEKpLULWEVOV avIyyEtrE * Kai at WéEv TEWWdpEvaL (ti) cogia ogiow adtaic épeiAKov 10 nvedwa ovyyevés, ai S& pt mEv8dpevar Kai TOV diaKovov tod nenovOdtoc Veo) napaitovpevar «Beonayou UGAAOV inEp SE0cEBEic a&vEe~aivovto».

:

GIULIA SFAMENI

GASPARRO

275

Nelle forme alquanto allusive di questo discorso si delinea una dottrina della rivelazione singolarmente affine a quella delle ps. Clementine, pur nella diversa consistenza e funzione dei ruoli rispettivi dello pneuma tazianeo, in cui prevale l’aspetto antropologico, e del vero Profeta, dalla pit netta dimensione personale, pur nel suo successivo incarnarsi in figure e tempi diversi, da Adamo a Cristo. Infatti, nella prospettiva di Taziano lo spirito é innanzitutto, pur nella sua superiore origine e natura, un elemento della struttura umana, una componente di ciascun uomo rispetto alla cui anima é syggenes, in uno schema tipico di «coppia». In pari tempo, tuttavia, egli ritiene che, dopo la frattura primordiale legata alla vicenda adamologica, lo pneuma theou si manifesti soltanto in una linea di uomini giusti, ai quali si attribuisce una funzione rivelatrice e salvifica insieme, per la quale ciascuna anima che ne accoglie il messaggio riesce a ricomporre |’originaria unita della «syzygia secondo Dio», tornando a coniugarsi con «lo

spirito santo» 1%. Non é privo di significato l’accenno al «diakonon del Dio che ha sofferto», in cui sembra legittimo riconoscere un riferimento cristologico per il quale il processo di manifestazione della verita da parte dello

pneuma che solo pud procurare la salvezza dell’anima '°’, si salda con la funzione salvifica di Gesu. E noto come E. Peterson abbia ritenuto di poter individuare nella dottrina tazianea dello «spirito connaturale» il principale parallelo ovvero addirittura la fonte della nozione manichea del «gemello», essendo quella dottrina pervenuta a Mani per il tramite della letteratura apocrifa di ispirazione encratita, in particolare attraverso gli Atti di Tommaso

che fanno dell’apostolo il Didymos del Salvatore °°. Non percorreremo qui la dimostrazione offerta dallo studioso sulla base di analogie e parallelismi numerosi e varii. Basti notare che essi risultano assai notevoli, pur essendo di significato e valore diseguali, ma

106 Thi 15 p. 28 sg.: «Kai ypt Aoindv Hac Smep Exovtec AnoAWAEKapEV TOdTO viv avatnteiv Cevyvivar te THY WoXTV TO nvevpaTi TO yim Kai tiv KaTd BEdv ovlvyiav TPaywatevecbar». 107 Cfr. ibi 13 p. 26 sg.: essa muore e si dissolve col corpo «se non conosce la verita». Sulla nozione tazianea dello spirito diakonon e sulla analoga dottrina basilidiana si veda

A. Orbe, El Didcono del Jordan en el sistema de Basilides in Augustinianum 13(1973), pp. 165-183; F. Bolgiani, AIAKONIA TOY TINEYMATOY%. Fortuna e sfortuna di una formula teologica, ibi 20(1980), pp. 523-543. 108 &, Peterson, Einige Bemerkungen zum Hamburger Papyrus-Fragment der Acta Pauli in VigChr 3(1949), pp. 142-162 rist. in Friihkirche, Judentum und Gnosis. Studien und Untersuchungen, Rom Freiburg Wien 1959, pp. 183-208 in particolare pp. 200-208.

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COLONIENSIS

non riescono a ricoprire a sufficienza il divario tra la dottrina tazianea di una syzygia di elementi spirituali presente (almeno potenzialmente) in ciascun uomo e l’immagine del compagno-gemello legata in maniera specialissima alla persona di Mani, con tutta quella carica affettiva che ora il CMC ci ha rivelato e soprattutto connessa alla funzione profetico-salvifica dell’ Apostolo. Nel senso di una convergenza, almeno parziale, delle due posizioni appare allora pili utile indizio l’interferenza, nel Discorso tazianeo, fra la nozione della syzygia anima-pneuma con tutte le sue valenze antropologiche e il processo di rivelazione-salvezza attraverso una continua successione di «giusti» con funzione profetica, essendo essi dotati dello «spirito di Dio». Questa concezione, da parte sua, presenta innegabili analogie con la cristologia elcasaita ed ebionita e con la dottrina delle successive manifestazioni del vero Profeta nella letteratura ps. Clementina. Anche in questa

letteratura,

del

resto,

la cristologia

assume

singolari

riflessi

antropologici, una volta che il rapporto dell’uomo con il vero Profeta tocca l’intimita della sua struttura interiore e decide della presenza o meno di uno spirito con funzione salvifica. Nella singolare convergenza dei due temi, antropologico e profetico-salvifico, quale interviene — pur nella diversa rispettiva accentuazione dell’uno e dell’altro — sia nel pensiero di Taziano sia nella cristologia elaborata nelle Omelie ps. Clementine, si vedra allora un importante parametro di riferimento della concezione manichea in esame. In ogni caso, non sembra legittimo limitare in una sola direzione la ricerca dei parallelismi ovvero delle coordinate storiche che possono aver contribuito alla formazione della nozione manichea del syzygos di Mani, la dove l’orizzonte ideologico e religioso a lui contemporaneo offre un ampio ventaglio di posizioni che a diverso titolo possono costituire parametri di confronto significativi rispetto a quella nozione

medesima °?. '09 Una direzione molto interessante verso la quale pud rivolgersi la comparazione storica appare senza dubbio quella costituita da un’ampia tradizione ellenistica che si svolge attorno alla massima delfica «conosci te stesso», a partire dall’interpretazione proposta nell’ Alcibiade (129 e 133 c) da Platone. Recepita ed elaborata ampiamente negli ambienti neoplatonici, tale interpretazione trova riflesso e nuova espressione anche nella letteratura dei papiri magici, dove si coniuga con la nozione del daimon personale. Sul tema si veda H.D. Betz, The Delphic Maxim «Know yourself» in Greek Magical Papyri in History of Religions 21(1981), pp. 156-171. Ringrazio il prof. Betz per avermi segnalato, nel corso della discussione, questo suo fondamentale lavoro che contribuisce ad illuminare il quadro complesso di quel mondo tardo-antico cosi profondamente interessato al tema

GIULIA SFAMENI

GASPARRO

277

La via della comparazioneé stata gia percorsa con notevoli risultati sicché alcune acquisizioni appaiono ormai consolidate. Pensiamo ai parallelismi individuati da A. Henrichs e L. Koenen nella teologia alessandrina, in particolare nella pneumatologia di Origene e di Didimo

il Cieco con la sua nozione dello spirito ovveCevypévov ti wort 12°, alle acute indagini di H.-Ch. Puech!!! che ha chiamato in causa opportunamente la teoria valentiniana della syzygia costituita dall’elemento pneumatico presente nell’uomo e dalla sua divina controparte, I’«angelo» a sua volta connesso con la figura del

Salvatore ‘!?, teoria che il Vangelo di Filippo elabora in una serie di formule pregnanti e incisive '!?. Lo stesso studioso ha indicato in pari tempo una parallela linea di confronto in quella tradizione apocrifa posta sotto l’autorita dell’apostolo Tommaso che gia nell’appellativo di didymos, «gemello» del Signore evoca la problematica in questione. Se il ruolo della letteratura di Atti apocrifi degli Apostoli nella comunita manichea non ha bisogno di dimostrazioni, l’importanza tutta

particolare che in essa assumevano gli Acta Thomae é ben nota ‘4. Ivi della conoscenza di sé, non in funzione di una pura attivita intellettuale bensi ai fini di una garanzia di «salvezza» personale, sia pur essa quella raggiungibile nelle tipiche forme operative ed immediate delle pratiche magiche e teurgiche.

110 Art. cit. in ZPE 5(1970), pp. 186-189.

111 En quéte de la gnose Il, cit., pp. 219-241. 112 Cfr. Ireneo, adv. haer. 1,4,5: emissione della sostanza pneumatica da parte della Sophia decaduta, quale «frutti ad immagine, un prodotto spirituale nato a somiglianza degli accompagnatori del Salvatore». Exc. Theod. 2,2 ed. F. Sagnard p. 56 sg.; 53,2-3 p. 168 sg.; Eracleone fr. 18 apud Origene, CoJoh. XIII, 11 in W. Vdlker, Quellen zur Geschichte der christlichen Gnosis, Tibingen 1932, p. 72. L’unita della coppia costituita dall’«angelo» e dalla sua controparte terrena, |’«immagine», sara ricostituita in maniera piena e definitiva in prospettiva escatologica. Cfr. Ireneo, adv. haer. 7,1; Exc. Theod. 35,1-4 pp. 136-139; 64 p. 186 sg.

113 Sent. 26 Pl. 106,10-14 ed.

J.E. Ménard, L sEvangile selon Philippe, Paris 1967, p.

60 sg.; Sent. 61 Pl. 113,23-26 p. 74 sg.; Sent. 80 Pl. 118,22-26 p. 84 sg.: la psyché di Adamo ebbe come «compagno» lo pneuma. La simbologia della «camera nuziale» (nymphon,

pastos) come

sede dell’unione

escatologica

dell’«immagine»

e dell’«angelo»,

nel «mistero della syzygia» (Sent. 77 P1. 118, 5-9 p. 84 sg.) anticipato peraltro nella prassi sacramentale, é il tema fondamentale dell’EvPh. Cfr. R.M. Grant, The Mystery of Marriage in the Gospel of Philip in VigChr 15(1961), pp. 129-140 rist. in After the New Testament, Philadelphia 1967, pp. 183-194; J.-M. Sevrin, Les noces spirituelles dans VEvangile selon Philippe in Le Muséon 87(1974), pp. 143-193. Per la composizione di questa simbologia con una specifica tendenza encratita si veda quanto abbiamo osservato in Aspetti encratiti nel «Vangelo secondo Filippo» in Gnostica et Hermetica. Saggi sullo gnosticismo e sull’ermetismo, Roma 1982, pp. 121-160.

114 Sul problema basti qui ricordare i pit recenti lavori di P. Nagel, Die apokryphen Apostelakten des 2. und 3. Jahrhunderts in der manichdischen Literatur. Ein Beitrag zur Frage nach den christlichen Elementen im Manichdismus in K.-W. Troger (ed.), Gnosis und Neues Testament. Studien aus Religionswissenschaft und Theologie, Berlin 1973, pp.

278°

CODEX

non soltanto Tommaso

MANICHAICUS

COLONIENSIS

é detto «gemello» di Cristo’! ma questo si

manifesta sotto i tratti dell’Apostolo nell’episodio della conversione dei due giovani sposi!!®. Inoltre, in un passo che ne esalta le straordinarie prerogative e l’investitura apostolica egli appare come «co-iniziato (symmystes) alla parola nascosta del Cristo», depositario delle sue «parole segrete», «cooperatore» (synerges) di lui e syggenes della grande

stirpe 1’’. Si configura pertanto uno specifico schema concettuale che situa in immediata continuita il divino rivelatore e salvatore e un personaggio umano chiamato alla propagazione del messaggio di conoscenza e di salvezza che da quello promana. E tuttavia difficile sapere se e in quale misura l’immagine dell’apostolo delineata nel cap. 39 degli Atti abbia risentito essa stessa di quella rielaborazione manichea che |l’opera medesima sembra aver subito in alcune delle sue parti quando appunto

fu accolta come testo autorevole nella chiesa manichea "1°. Si nota comunque che la narrazione della vicenda straordinaria dell’apostolo sottolinea assai spesso l’umile dipendenza di lui rispetto a

Cristo, di cui si dichiara «servo» ‘!?, essendo cosi ampiamente divaricati il piano divino cui appartiene il Salvatore e quello umano in cui opera Tommaso. Agli Acta Thomae appartiene quel documento singolare che é il

149-182 e di J.-D. Kaestli, L/’utilisation des Actes apocryphes des Apétres dans le manichéisme in M. Krause (ed.), Gnosis and Gnosticism (NHS VIII), Leiden 1977, pp. 107-116. Infine si veda E. Junod-J.-D. Kaestli, L’Histoire des Actes apocryphes des Apotres du IIT® au IX° siécle: Le cas des Actes de Jean, Genéve-Lausanne-Neuchatel 1982, pp. 49-81.

"5 Cap. 31 ed. M. Bonnet in R.A. Lipsius-M. Bonnet (edd.), Acta Apostolorum Apocrypha, P. Il, II Lipsia 1903 (rist. Darmstadt 1959), p. 148. Nel corrispondente passo della versione siriaca tale definizione di Tommaso come «gemello» é assente. Cfr. A.F.J. Klijn, The Acts of Thomas. Introduction-Text-Commentary, Leiden 1962, p. 79 sg. 6 Cap. 11 ed. Bonnet p. 116. Interrogato dallo sposo, Gesii si dichiara «fratello» di Tommaso. Cfr. anche la parallela versione siriaca in A.F.J. Klijn, op. cit., p. 70. 17 Cap. 39 ed. Bonnet p. 156. Sulle tradizioni encratite relative al personaggio cfr. J.J. Gunther, The Meaning and origin of the name «Judas Thomas» in Le Muséon

93(1980), pp. 113-148.

"8 Cfr. W. Bousset, Manichdisches in den Thomasakten in ZNW 18(1917-1918), pp. 1-39; G. Bornkamm,

Mythos

und Legende

in den apokryphen

Thomasakten

(FRLANT

NF 31), G6ttingen 1933. Sulla complessa storia della redazione del testo e la sua collocazione nel contesto del cristianesimo siriaco si veda A.F.J. Klijn, The Acts of Thomas, cit., pp. 1-61 e in ultimo Y. Tissot, Les Actes de Thomas, exemple de recueil composite in F. Bovon et alii, Les Actes apocryphes des Apétres. Christianisme et monde paien, Genéve 1981, pp. 223-232.

"9 Cfr. cap. 159 sg. ed. Bonnet pp. 269-272; trad. A.F.J. Klijn p. 150; cap. 167 ed. Bonnet p. 281 sg.; trad. A.F.J. Klijn p. 153.

'

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GASPARRO

279

cosiddetto Inno della Perla che ha dato luogo a tante, note controversie

esegetiche !*°. L’analisi degli editori del CMC ha dimostrato la perfetta adattabilita della nozione manichea del syzygos allo schema narrativo ivi elaborato, con la riserva che le prerogative e funzioni del Compagno di Mani illustrate nella nuova «biografia» del Profeta nell’Inno della Perla

si rifrangono in una serie articolata di figure e di simboli!*'. Al di la delle numerose questioni non ancora risolte che questo documento propone all’indagine storica, rimane stimolante la suggestione di H.-Ch. Puech, secondo la quale in esso puo ritrovarsi «una delle fonti cui si é€ ispirato Mani per esprimere e riferire le proprie esperienze spirituali» 1”. Le analisi di G. Quispel intorno alla nozione giudeo-cristiana di un angelo-guardiano posto accanto a ciascun uomo e costituente quasi un suo «doppio», il quale in alcuni casi é identificato con lo Spirito, sottolineando l’analogia di siffatta nozione con quella manichea del «gemello», tendono a ricondurre quest’ultima nell’alveo delle complesse tradizioni di un cristianesimo arcaico non eterodosso ma profondamente

calato in categorie concettuali giudaiche '. In particolare, importante risulta il confronto proposto dallo studioso con un passo del Pastore di Erma in cui il protettore-custode appare investito specificamente del ruolo di rivelatore e connesso con la

funzione profetica del personaggio a lui affidato *. 120 Un’ampia rassegna critica degli studi in P.-H. Poirier, L’Hymne de la Perle des Actes de Thomas. Introduction.

Texte. Traduction. Commentaire, Louvain-la-Neuve 1981.

121 A Henrichs-L. Koenen, art. cit. in ZPE 5(1970), pp. 171-182. Per il rapporto fra il protagonista della vicenda e il fratello rimasto presso il Padre come figura della relazione anima-spirito cfr. anche A.F.J. Klijn, The so-called Hymn of the Pearl (Acts of Thomas ch. 108-113) in VigChr 14(1960), pp. 154-164, in particolare p. 161. Qui l’autore cita il cap. 132 degli Acta Thomae dove, secondo la versione dei Ms. U e P, l’esperienza

battesimale implica la riunione dell’anima allo pneuma. In tal senso € soprattutto significativo il testo di P: «...yoxiv tTpico@s aviotG Kai mvevwatos Gyiov yivetar Kolw@voc» (ed. Bonnet p. 239).

122 Fm quéte de la gnose, cit., p. 231. 23 G_ Quispel, Genius and Spirit, cit., pp. 155-169. Un’analisi vivace della nozione gnostica della controparte divina dell’uomo, in cui é fatto ampio spazio alla dottrina manichea del «gemello», ai suoi paralleli cristiani e alla tradizione greca sul daimon-guardiano, era stata gia proposta dallo studioso in Eranos-Jahrbuch 36(1967), pp. 9-30 (Das ewige Ebenbild des Menschen. Zur Begegnung mit dem Selbst in der Gnosis). 124 Pastore di Erma 25, Vis. V,1-7 ed. R. Joly (SCh 63 bis), Paris 1968, pp. 140-145.

Cfr. G. Quispel, Genius and Spirit, cit., p. 161. Per i problemi complessi della datazione e composizione

dell’opera si veda St. Giet, Hermas

Pasteur d’Hermas,

Paris

1963 e le osservazioni

et les pasteurs.

di J. Daniélou

Les trois auteurs du

(RechSR

52,1964,

pp.

103-107) cui lo stesso Giet ha risposto, ribadendo le proprie conclusioni (Un courant judéo-chrétien @ Rome au milieu du II® siecle? in AA.VV., Aspects du Judéo-christianisme, Colloque de Strasbourg 23-25 avril 1964, Paris 1965, pp. 95-111).

280

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Nella stessa opera, allorché si descrivono le qualita del profeta veritiero e divinamente ispirato, si presenta costui nell’atto di prendere la parola in un’assemblea di giusti, assistito dall’«angelo dello Spirito profetico che sta presso di lui», affermandosi dunque |’identita ovvero intima connessione fra angelo-guardiano e Spirito nel quadro di una

specifica investitura profetica !°. G. Quispel non manca di notare come «l’angelo dello Spirito profetico» del Pastore di Erma si distingua dall’«angelo guardiano» che secondo la concezione di ascendenza giudaica accompagna ciascun

uomo, essendo egli prerogativa peculiare del vero profeta!”°. Siffatta nozione si configura pertanto assai prossima a quella elaborata nella letteratura ps. Clementina. Lo studioso ne conclude che Mani, se da una parte ha adottato la dottrina giudeo-cristiana delle successive manifestazioni del vero Profeta, dall’altra ha trasformato il «concetto giudeo-cristiano dell’Angelo dello Spirito come speciale guardiano del vero profeta». La nozione manichea del «gemello» sarebbe peraltro frutto non tanto di una modifica di quella concezione quanto un arricchimento di

essa, si da configurarla in senso realmente gnostico !?’. 25 Pastore di Erma 43, Mand. XI, 8-9 ed. Joly p. 194 sg.: «Quando dunque l’uomo che possiede lo Spirito divino entra in un’assemblea di uomini giusti che hanno fede nello Spirito divino, e questa assemblea fa una richiesta a Dio, allora l’angelo dello Spirito profetico che é presso di lui riempie quest’uomo e questo, ripieno di Spirito Santo, parla alla folla come vuole il Signore» (ibi, 9). La peculiare alternanza fra la designazione di Spirito Santo e «angelo dello Spirito Santo» interviene, come é noto, anche in quell’opera singolare che € l’Ascensione di Isaia per i cui problemi di composizione, datazione e trasmissione, basti qui rimandare ai risultati di un recente Incontro di studi (Isaia, il Diletto e la Chiesa. Visione ed esegesi profetica cristiano-primitiva nell’Ascensione di Isaia, Atti del Convegno di Roma, 9-10 aprile 1981 editi a cura di M. Pesce, Brescia 1983). Nell’ambito di tale Incontro il contributo di E. Norelli ha dimostrato in maniera pertinente l’equivalenza, nell’AI, delle due formule citate (Sulla pneumatologia dell’Ascensione di Isaia, pp. 211-274). Meno convincenti ci sembrano le argomentazioni dello

studioso svolte in altra sede per dimostrare che nella AI il Diletto-Cristo e lo Spirito Santo costituiscono una «coppia», la quale viene ricomposta con la resurrezione di Gesu. Cfr. E. Norelli, La resurrezione di Gest nell’Ascensione di Isaia in Cristianesimo nella storia

1(1980), pp. 315-366.

26 Art. cit., p. 168 sg. "7 Ibi p. 169. Ai fini della definizione del complesso quadro storico che vede da una

parte la nozione

ebionita-elchasaita

dall’altra la dottrina manichea

delle successive manifestazioni

del Vero

Profeta

degli «inviati» divini con funzione salvifica, ultimo

e dei

quali — il Paracleto-Mani — chiude e suggella l’intero ciclo, risulta interessante la singolare formula cristologica enunciata nella V Similitudine del Pastore di Erma. Vi si afferma infatti che lo Spirito Santo é il Figlio di Dio (Sim. V,5,2(58) ed. Joly pp. 234-237; cfr. Sim. 1X,7(78) p. 288 sg.), il quale é preesistente e creatore di tutte le cose; egli ha preso

dimora in una carne scelta da Dio. Questa «carne» con la sua condotta irreprensibile ha

;

GIULIA SFAMENI

GASPARRO

281

Le conclusioni enunciate ci appaiono sostanzialmente corrette per quanto riguarda l’indubbia utilizzazione dello schema della cristologia elcasaita ed ebionita da parte di Mani. La peculiare concezione dei rapporti di lui con il divino syzygos tuttavia sembra appellare non soltanto ad un «arricchimento» di quello schema ma piuttosto ad una nuova prospettiva scaturente dalla convergenza di esso con una diversa e peculiare linea ideologica, ormai solidamente consolidata nell’ambito delle varie correnti gnostiche dell’epoca. Ci riferiamo alla dottrina della connaturalita divina di un elemento spirituale presente nell’uomo, sia esso il nous ovvero lo pneuma, che in un particolare settore del mondo gnostico si esprime nella formula di un’unita originaria, una syzygia infranta dal decadimento nel corpo di quella sostanza spirituale medesima che peraltro mantiene un legame indissolubile con la propria controparte rimasta incontaminata dalla materia. E superfluo insistere sulla specifica pertinenza di una nozione siffatta all’ambiente valentiniano, del quale peraltro essa non é patrimonio esclusivo. Esemplificazioni significative ne offrono alcuni testi della «biblioteca» di Nag Hammadi, quali soprattutto |’Esegesi

circa l’anima'** e |’Authentikos Logos '*°. Le indagini di H.-Ch. Puech meritato tale elezione e, dopo aver servito in piena integrita lo Spirito Santo, é stata ricompensata degnamente (ibi V,6,4-7(59) pp: 238-241). Tale formula cristologica, come é noto, si situa nell’ampia e articolata tradizione cristiana arcaica che identifica l’elemento divino di Gest con lo Spirito Santo, Cfr. in proposito M. Simonetti, Note di cristologia pneumatica in Augustinianum 12(1972), pp. 201-232 e, pil specificamente sulla cristologia del passo citato, L. Cirillo, La christologie pneumatique de la cinquiéme parabole du «Pasteur» a’Ermas in RHR 184(1973), pp. 25-48. Qui interessa notare che il Pastore, nel recepire la dottrina della presenza dello Spirito Santo nell’uomo Gesu, stabilisce un

parallelismo tra la condizione di Cristo e la situazione di-ciascun fedele. Il Pastore di fatto conclude la sua istruzione al veggente dichiarando: «Infatti ogni carne ricevera la sua ricompensa, carne che sara trovata intatta e senza macchia e in cui lo Spirito Santo avra dimorato» (Sim. V,6,7 p. 240 sg.). Pit oltre si insiste ancora su questo concetto, ammonendosi il veggente a non contaminare la: propria carne, abitazione dello Spirito Santo: «Se tu contamini la tua carne, contaminerai anche lo Spirito Santo» conclude infatti il Pastore (Sim. V,7,2 p. 240 sg.). In conclusione, senza implicare un’identificazione fra lo status di Gest e quello di ciascun fedele, la prospettiva del testo in esame, mentre da una parte contempla la nozione di una «scelta» e inabitazione dello Spirito in un uomo con funzione di rivelatore e salvatore, dall’altra definisce la salvezza dell’uomo comune in termini di integrita del corpo e di unione con lo Spirito, Cfr. V,7,1: «custodisci la tua carne pura e intatta, perché lo Spirito che é venuto ad abitare in essa porti testimonianza in suo favore ed essa sia giustificata... ibi, 2... se dunque contamini la tua carne non vivrai» (p. 240 sg.).

28 Cfr. W.C. Robinson Jr., The Exegesis on the Soul (II,6) in

J.M. Robinson (ed.)

The Nag Hammadi Library in English, Leiden 1977, pp. 180-187.

129 Cfr. G.W. MacRae-D.M. Parrott, Authoritative Teaching (VI,3) ibi pp. 278-283.

282

CODEX

ne hanno Tommaso

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COLONIENSIS

fatto emergere tracce evidenti anche in quel Vangelo di di cui non @ necessario dimostrare la presenza incisiva e

feconda negli ambienti manichei’*®.

In esso interviene l’idea di un

rapporto profondo fra l’uomo e una sua «immagine» preesistente ora nascosta, verso la quale tuttavia egli é proteso in una tensione acuta che

si risolvera in prospettiva escatologica **’. I numerosi paralleli manichei addotti da H.-Ch. Puech per illustrare siffatta concezione, la quale si esprime anche nella significativa figura di un «uomo di luce» racchiuso all’interno dell’uomo fenomenico '°”, dimostrano ampiamente la qualita gnostica di un’ampia sezione della raccolta di Jogia che si presenta come deposito di «Gesu il vivente»

redatto da «Didimo Giuda Tommaso» !77 0 comunque la possibilita di una «rilettura» in senso gnostico di numerosi «detti» di quella raccolta

medesima }**. In pari tempo

quei paralleli esemplificano

la piena

corrispondenza fra l’orizzonte ideologico manicheo e le strutture essenziali dello gnosticismo. In questo quadro trova adeguata collocazione la peculiare dottrina del syzygos di Mani, il «compagno di coppia» insieme trascendente,

130 Si veda la lista dei paralleli ovvero delle citazioni dell’EvTh nei documenti manichei redatta da H.-Ch. Puech, 55 sg. Essa peraltro si é arricchita ulteriormente nel corso studioso durante i cicli di lezioni sul testo tenuti al Collége volume citato.

pit o meno fedeli dei Jogia En quéte de la gnose, cit., p. delle indagini perseguite dallo de France e ora pubblicati nel

131 Cfr, in particolare Jog. 84 e log. 88 trad. Puech, op. cit., p. 23 sg. e commento pp. 108-166.

132 Tog. 24 trad. Puech p. 15. 133 Come é noto, i testi di Nag Hammadi

ci hanno

fatto conoscere

un altro

documento attribuito all’Apostolo Tommaso, egualmente definito con l’appellativo di «Gemello» del Signore e pertanto destinatario privilegiato della rivelazione. Si tratta di quel Libro dell’Atleta Tommaso (J.D. Turner, The Book of Thomas the Contender (II,7) in J.M. Robinson, ed., op. cit., pp. 188-194) che si colloca, con le sue specifiche connotazioni gnostiche, in quella tipica facies encratita che caratterizza sia gli Atti sia il Vangelo posti sotto l’autorita di Tommaso. Cfr. J.D. Turner, A new Link in the Syrian Judas Thomas Tradition in M. Krause (ed.), Essays on the Nag Hammadi Texts in Honour of Alexander Bohlig (NHS Ill), Leiden 1972, pp. 109-119. Sulla tradizione appellante alla figura di Tommaso si veda H. Koester, PNQMAI AIA®OPOI. The Origin and Nature of Diversification in the History of Early Christianity in HThR 58(1965), pp. 279-318 rist. in J.M. Robinson-H. Koester, Trajectories through Early Christianity, Philadelphia 1971, pp. 114-157.

134 Nell’ampio dibattito sull’EvTh, come é noto, non mancano contestano,

in tutto

o in parte,

la qualita

gnostica

del testo.

voci autorevoli che

Basti

qui ricordare

la

posizione di G. Quispel che ha posto in luce soprattutto le componenti giudeo-cristiane ed encratite.

Cfr. Makarius,

das

Thomasevangelium

and das Lied von

der Perle,

Leiden

1967; The Gospel of Thomas revisited in B. Barc (ed.), Colloque International sur les Textes de Nag Hammadi (Québec, 22-25 aotit 1978), Québec-Louvain 1981, pp. 218-266.

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GASPARRO

283

nella sua qualita divina incontaminata dal contatto corporeo, e indissolubilmente legato all’Apostolo in quanto suo personale «possesso», specchio del suo volto, «io» profondo dal quale era stato separato. La concezione gnostica del «doppio» celeste, nell’accezione peculiare al valentinianismo e ad ambienti affini del «compagno di coppia» che, attualmente in stato di separazione, é destinato all’unione escatologica peraltro gia nticipata nel momento decisivo dell’acquisizione della gnosi salvifica, risulta tuttavia profondamente rielaborata nella formula manichea del syzygos. Questo infatti é unica ed esclusiva prerogativa dell’Apostolo, specificamente connesso con la sua qualita profetica e missionaria, nel contesto della dottrina delle manifestazioni successive dell’inviato divino, di cui appunto Mani Pultima, decisiva epifania in quanto egli stesso «Paracleto vivente».

é

E possibile cosi misurare l’originalita della dottrina manichea nel suo porsi alla confluenza di molteplici tradizioni religiose che essa assimila e trasforma in maniera personale, pervenendo ad una creazione religiosa nuova ed irriducibile alle sue stesse «fonti». Il Profeta che si presenta fin dall’inizio della storia umana in tempi e luoghi diversi per comunicare la verita, quale si configurava in una_ tradizione giudeo-cristiana fondata sulla nozione del Dio unico creatore, diventa nella prospettiva radicalmente dualistica manichea un’entita divina incarcerata nella materia in seguito ad una lotta dalle proporzioni cosmiche, in cui si affrontano con esito alterno le forze della Luce e delle Tenebre. Segnato da un’esperienza religiosa di eccezionale intensita Mani, nel prendere coscienza della profonda lacerazione costituente il fondamento della realta, configura una visione del tutto peculiare del processo di rivelazione e di salvezza, coniugando alla concezione del vero Profeta, divenuto manifestazione nel mondo di una natura divina, l’idea gnostica di una controparte celeste, la quale a sua volta si carica di alcune valenze peculiari dello spirito profetico in quanto guida, protettore, largitore di conoscenza. II «compagno di coppia», «gemello» di Mani, pur situato in un’articolata trama ideologica dalla storia lunga e ricca di variazioni, emerge nettamente da quello sfondo con una fisionomia netta ed irripetibile, espressione di una vigorosa capacita creativa atta a produrre da un vario materiale tradizionale una nuova, originale sintesi.

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atedpercsindiRw hoe OOM? ottnep CMC 66.4ff. (see Henrichs, 193 n. 23) ya Mavviyaios “Incod Xpictod dndotoroc Sia OeAHpatos Oeod natpdc tig GANOEiag & od} Kai yéyova, dg te Kai Siapéver sic ai@vac aidvav mpd mavtds pév bndpyo@v, Siapévo@v 5é Kai peta Navta. Mavta Sé TH yeyovota TE Kai yevnoopEeva 51a tod adtod obévouc byéotHKEV. EF adtod yap tTovTOD

mépuKa... For the most part, the translation follows R. Cameron and A.J. Dewey, The Cologne Mani Codex..., Texts and Translations 15, Scholars Press 1979. 6 Many of the discussions of the symposion were focused on Mani’s baptists and their relationship with the «Elchasaites»; see particularly the contributions by L. Cirillo, K. Rudolph, G.S. Gasparro, J. Ries, and A.F.J. Klijn; further see L. Cirillo, Elchasai e gli Elchasaiti, Universita degli Studi della Calabria, Centro interdipartimentale di Scienze

'

L. KOENEN

287

received from his heavenly syzygos, he stirred up controversy among them. Some thought of him as a teacher and prophet, the mouthpiece of the «Living Word» (G@v Adyoc) and the receiver of a secret revelation; others, however, saw him as the «young man», the «new teacher» who, according to the prophecy of the «fathers» (oi mpdyovoi hudv natépsc) about the «Resting of the Garment» (nepi tig dvanatvcoemce tod évévuatoc), would overturn their religion, and, as a representative of error, split their community and be the «enemy of the Law» (6 éy8pdc¢ tO[D vonov] Nudv, 86.1ff.). Because the Mani of the CMC tells us that this group of baptists regarded Elchasaios as founder or leader (6 apxnyos tod vouov bydv, 94.10f.) and was indeed characterized by Jewish-Christian beliefs, the prophecy on the «Resting of the Garment» may be explained in light of the beliefs in a true prophet who having dressed himself in the «garments» of the bodies of his successive incarnations, finally became exhausted and was to enter the «Rest» (G4vanavoic) forever’. The prophecy, therefore, seems to have dealt with the last appearance of the true prophet and with his entry into the avanavois at the end of this world. In the CMC the same prophecy is said to have also predicted the appearance of a young man and new teacher ®who would destroy («ivijoat) the baptists’ religion. In terms of Jewish-Christian apocalypses, this prediction should refer to the eschatological efforts of a pseudoprophet ®. Some of the baptists, or in light of the narrative of the CMC, rather their majority, regarded Mani as one of the apocalyptic pseudoprophets. On the other hand, in the eyes of Religiose, Studi e Ricerche 1, Cosenza 1984; idem in Miscellanea di Studi Storici III (Universita degli studi della Calabria, Dip. di Storia), Arcavacata di Rende 1983, 11ff.; K. Rudolph, «Antike Baptisten», Sb. Akad. Leipzig, Phil.-hist. Kl. 121.4, Berlin 1981, particularly 13ff.; A. Henrichs, HCSP

77, 1973, 23ff. and 83, 1979, 354ff.; L. Koenen in

The Rediscovery of Gnosticism (edited by B. Layton), Studies in the Hist. of Rel. (Suppl. to Numen) 41, vol. Il, Leiden 1981, 745ff., and in Das rémisch-byzant. Agypten (Aegypt. Trev.) Mainz 1983, 99ff.; A. Henrichs and L. Koenen, Stichworterverzeichnis in ZPE 32, 1978, 88 and 44, 1981, 205 s.v. «Elchasaios», «Taufsekten», and «Taufer» (particularly ZPE 32, 1978, 182ff., n. 272), further ZPE 48, 1982, 7; J.E. Fossum, The Name of God and the Angel of the Lord, Proefschrift Utrecht 1982, 164ff.; G.P. Luttikhuizen, The Revelation of Elchasai, Proefschrift Groningen 1984. For the problem of the Judeo-Christian heritage also see the contributions of G. Strecker and J. Maier. 7 ZPE 32, 1978, 160f. n. 225. Here and in the following pages I refer to A. Henrichs’ and my notes in the first edition by volume (ZPE), pages, and number of note; the

pagination is continuous through the first three installments (ZPE 19, 1975, 1ff. [CMC 1-72.7]; 32, 1978, 87ff. [CMC 72.8-99.9]; 44, 1981, 201ff. [CMC 99.10-120]; and 48, 1982, 319ff. = iff. [CMC 121-192)). 8 CMC 86,21ff. [avacti]oetai tic HiBe[og Ex wEo]ov Hua@v Kai [SiSdoKa]Aocg véoc T[po]osAgvoetar. 9° Matth. 24.11 and 24 par. and elsewhere; cf. ZPE 32, 1978, 157 n. 223.

CODEX

288

MANICHAICUS

COLONIENSIS

the Manichaean readers of the CMC, the same prophecy was to be understood as predicting Mani as the final prophet and redeemer who would reform the Elchasaites '°. According to the CMC, the group of baptists with whom Mani grew up thought the final days of the world were close and interpreted Mani’s attempts to reform their community in light of their apocalyptic expectations. The literary form of Elchasaios’ book cannot be determined from the fragments, but it is clear that it contained at least an apocalyptic section. Written in about 116 A.D. during Trajan’s Parthian war, it expected the final war to begin in about 119 A.D.; the last judgment would follow '!. When the catastrophe did not occur, the Elchasaites must have looked for other signs. Hence those who saw Mani as either destroying the beliefs of the fathers

or fulfilling them would have understood him in apocalyptic terms. The interpretation of Mani as pseudoprophet is paralleled by a passage in Zosimos of Panopolis’ book on the letter Omega where Mani in oracular disguise is called the forerunner of the Mimic Demon 12. The 10 ZPE 32, 1978, 155ff. n. 223; the term «Elchasaites» must be taken cum grano salis since Elchasaitism did not exist as the faith of a defined sect; rather the beliefs ascribed to Elchasaios or to his book influenced different groups of baptists and, among them, those with whom Mani spent his youth. See ZPE 32, 1978, 183 n. 272.

1! The date of Elchasaios’ book is clearly indicated by the fact that it refers to Trajan’s Parthian war but ignores the emperor’s death in 117 A.D.; see L. Cirillo, Elchasai (n. 6) 60f.; G.P. Luttikhuizen, op. cit. (nm. 6) 72f. and 180ff. The same time saw a great Jewish revolt which, in Cyrene, was headed by a «king» (i.e. messiah). It provided new hope for the fulfillment of oracles which had predicted Judea’s victory and world-domination

(Suet.,

Vesp. 4.5; Jos., Bell. lud. 6.312; cf. Tac., hist. 5.13) and, according to

M. Hengel (in Apocalypticism in the Mediterranean World and the Near East, Proc. Intern. Coll. on Apocal., Uppsala 1979, ed. D. Hellholm, Tiibingen 1983, 655ff.),

produced the Sth book of the Sib. This revolt moreover anticipated the rebellion of Simon bar Kochba («Simon, the son of the star») who, corresponding to the promise of his name, was expected to fulfill the prophecy of Num.

24.17f. On the pagan side, the war

against the Jewish insurrection of 115/117 seems to have been fought equally with the propagandistic help of prophecies predicting a period of disaster and wars to be followed by a new happy time (see pp. 314ff.); thus the prophecy of PSJ 8.982 =

C.P. lud. Ill 520

is most likely an ad hoc update of the tradition of the Oracle of the Potter. For the messianic character of the Jewish revolt see M. Hengel, Joc. cit.; Sh. Applebaum, JJS 2, 1951, 177 ff. and Jews and Greeks in Ancient Cyrene, Leiden 1979; V. Tcherikover in his introduction to C.P. lud. (I p. 85ff.). For the apocalyptic nature of Elchasaios’ book see A.Y. Collins in Apocalypse. The Morphology of a Genre, ed. by J.J. Collins (Semeia 14), Scholars Press 1979, 75f. and A.F.J. Klijn in this volume. 2 14 (p. 34 H.M. Jackson, Zosimos of Panopolis on the Letter Omega, Texts and

Translations 14, Scholars Press 1978) tadta 5é yivetar Ewe od EXON 6 Avtipimos Saipwv diatnrobwevog avtoic Kai OEAWV OG TO TPONV TAGVijoa Agywv EavtTOV vidV BEod Guwoppos Ov Kai yoy] Kai o@pati. --- mpiv 7 S& tabta toApijoa tov a&vtipmov tov Cnr@tiv mp@tov anootéArer adtOD TPSSpopLov ANXO tic Iepoisoc pvbonAGVOUS AdyoUG AadKodvta Kai nEpi thy ciwapyévnv Gyovta tobs avOpamous. sici 58 Ta otOLyEIA TOD

:

L. KOENEN

289

reference is most likely taken from the apocalypse of Nikotheos which circulated at about the time when Mani grew up among the baptists and was known to Ploteinos (according to Porphyry’s v. Plot. 16) as well as to Gnostic circles. It probably contained a vision of the «Perfect Triple

Power» (téAe10g tpiS0vaytc) '* as well as the story of how Adam (the @@c, i.e. Light-Man) clothed himself with the garment of the elements Ovdpatocg avbtod évvéa Tic SiPAdyyou c@CopEvNS Kata TOV Tic EiLappévNns Spov. sita Weta MEplddovc mAEov i EAaTTOV Enta Kai adtTdOG EauTOD vos EAEboeTa. Cf. Jackson p. 54 n. 72. The date of the apocalypse of Nikotheos depends on Porphyry’s statement that Christian gnostics used it in their debates with Ploteinos (v. Plot. 16): ca. 250, according to H.-Ch. Puech in Histoire des religions (Encycl. de la Pléiade II), Paris 1972, 553, though possibly somewhat earlier. ‘3 Untitled Apocalypse of the Cod. Bruc. (Ch. Baynes, A Coptic Gnostic Treatise contained in the Cod. Bruc., Cambridge 1933; C. Schmidt, Kopt.-gnost. Schriften [GCS 45], Berlin? 1962) 22, 19ff. (p. 84B.): «Since then, in truth, man is a kinsman of mysteries — by this he means he learned of the mystery. They did homage, namely, the Powers of the mighty Aions, to the Power of Marsanes, saying: ‘Who is this who beheld these things with his own eyes, that is, concerning him who in this manner was revealed (in last instance, the Triple-Power)? Nikotheos spake concerning him (sc. the Triple-Power, see below), he had seen him, for he is one who is («was», Baynes) in that place («denn er ist jener», C. Schmidt).’ He (Marsanes?) spake and said: ‘He is, even the Father («Der Vater

existiert», Schmidt), who excels all perfection: Power.

he revealed the invisible, perfect Triple-

They saw him, each one of the perfect men, they spoke concerning him, whilst

they gave him glory, each after his own manner’». According to this passage, Nikotheos had the same vision which then (?) was given to Marsanes, when the latter visited the heavens for three days (Epiph., haer. 40.7.6; C.G. X 1 [NALibEngl] 417ff.). Both revealed their vision to men, and they both participated in the Power. They were part of a series of revealers, much like the True Prophet, Mani and his forerunners, Zoroaster and Saosant (cf. particularly Theod. bar Konai, Schol. II p. 74ff. = J. Bidez-F. Cumont, Les mages hell., Paris 1938, II 126ff. S 15, especially 128: «moi, i.e. Zoroaster, c’est lui, i.e. Saosant, et lui c’est moi»), or Seth and Christ (Epiph., Aaer. 39.3.5; Bidez-Cumont 128 n. 4). The apocalypses of Nikotheos and Marsanes were probably similar; it may be significant that the second part of the Nag Hammadi apocalypse of Marsanes (see above) discusses the mystic meaning of the letters of the alphabet as Nikotheos did: Zosimos, On the Letter Omega 1 (p. 16 Jackson): t0 @ otolysiov otpoyyvAov {to} (TO transposui; alii alia) depts tO aviKov ti EBSduN Kpdvov CHvq Kata tiv Evowpov

opdow — Kata yap thV dompatov AAO Ti éotIv avEpptivevtov 6 pdvog NiKdGE0¢ KEeKpvuévoc oidev (cf. n. 14) —, Kata dé thv Evompov TO AEyduEVOV «OKEavds Oedv, ONol, TavtTMV yYévECIC Kai OTOPd», KaDaNEP OHolV, pHovapyiK (scripsi: ai povapyiKai cod.) tic EvoMpov Mpacewcs. «The letter omega, the round bipartite one, which belongs to the seventh planetary zone of Kronos, in terms of the material language — for in terms of the immaterial language it means something different which is

inexplicable and which only Nikotheos the Hidden knows —, in terms of the material language it means, according to him (Nikotheos), the governing principle of the material language in accordance with the word that the ‘Ocean is the birth of all gods,’ as Homer says (E 201 and 302), ‘and their seed’» (cf. R.P. Festugiére, La Révélation d’Hermes Trismégiste, Paris? 1950, 263f.). On the passage from the Untitled Apocalypse quoted above see also H.M. Jackson, Joc. cit. (n. 12) 40 n. 4 and R. Reitzenstein, Poimandres, Leipzig 1904, 268.

CODEX

290

MANICHAICUS

COLONIENSIS

(the «Adam of the Archons», i.e. the body) and was driven out of paradise into the lower world; there Christ approached him and brought him back to paradise. Then Christ himself became man and, at his death, also took those previous men who belonged to him back to paradise. Presently he continues to admonish men on earth to free

themselves from their bodily «Adam» 4. When the Mimic Demon will finally saving before events

come, men will indeed deliver to him this bodily Adam, thus their inner Adam and ascending to the place where they lived the creation of this world (i.e. to paradise; 14). It is before these take place that the forerunner of the Mimic Demon (i.e. Mani)

will appear *°. The negative view of Mani in the apocalypse of Nikotheos is however a secondary interpretation, since Nikotheos appears in the list of those men whom the Manichaeans and most likely Mani himself claimed as his forerunners. Thus the Persian fragment 299a and the Coptic Second Homily by Kustaios (n. 48) count Nikotheos together with Adam, Shem, Sem, Enosh, and Enoch as representatives of the chain of apostles before Jesus 16 As such, they were, in the final analysis, identical with Mani (cf. n. 13). It is not likely that Nikotheos would have been included in this list if his own apocalypse viewed Mani as a negative force. It may be rather assumed that «Nikotheos» mentioned Christ, the Mimic Demon and their (?) forerunners without historical interpretation '’. In this form, the story was perfectly capable of being understood in terms of the Manichaean myth: Original Man, being divine light, was captured by evil but freed by the Living Spirit and the Mother of Life, while his armor, i.e. part of the divine light, remained in captivity and, in a continuous process, is liberated; Adam, born from the demons in the likeness of the Third Messenger (another '4 Zosimos, On the Letter Omega 10f. and 13; the name of Nikotheos the Undiscovered (6 dvetpEetoc) is attached only to the statement that he alone knows the proper name of the inner man residing within the Adam of flesh; then follows a discussion of his common name ®@c. Most likely this discussion along with the story itself is taken from Nikotheos (cf. the passage in n. 13, end).

'S Zosimos, On the Letter Omega 14 (without reference to Nikotheos). '6 M 299a (W.B. Henning, «Ein manichdisches Henochbuch», SPAW 1934, 27ff. = Selected Papers, Acta Iranica 14, Homm. et op. min. 5, Leiden and Teheran-Liége, I 341ff., Z. 5f.): Shem, Sem, Enosh, Nikotheos (?) - - - (destroyed) and Enoch; Man. Hom.

Ill p. 68.15ff.

(see n. 48): Adam

- - - Enosh,

Sem, Shem, Nikotheos

(?); cf. H.-Ch.

Puech, Le Manichéism, Bibl. de diffusion 56, Paris 1949, 145 n. 241; cf. id. in Histoire des religions (n. 12), 553 and A. Henrichs in this volume, n. 31.

'’ For the fact that Zosimos does not adduce the Name of Nikotheos in the context of the Mimic Demon

and for his forerunner see n. 14.

,

L. KOENEN

291

emanation of God) so that he would serve as suitable prison for the particles of light, was nevertheless awakened by Jesus the Splendor; and after the appearance of pseudo-prophets and the end of the following war (pp. 13ff.), almost all light will return to its proper place of origin in paradise. The secondary interpretation of Mani as forerunner of the Mimic Demon may have been current in circles similar to Mani’s baptists who saw him as the antiprophet of their prophecies (cf. H.M. Jackson, op.

cit.

[see n.

12], p. 54 n.

72). Nikotheos

was

the Power of the

Triple-Power (see n. 13) as Elchasaios was either «The-Hidden-Power» or «The-Hidden-God» and Simon Magus «The-Great-Power-of-God» 2°, It was in such milieu of apocalyptic expectation that Mani spent his youth. b) Mani and the Imminence

of the Latter Days in the CMC

Whether Mani’s baptists knew the apocalypse of Nikotheos or not, their discussion of Mani in eschatological terms implies that they thought of themselves as living at the end of this world; such apocalyptical views were current in their time and milieu. The same story shows that the Manichaeans accepted his apocalyptical view and interpreted the prophecy on the «Resting of the Garment» in their own way. In another passage, Baraies (7)! quotes from a series of apocalypses (Adam,

Sethel, Enosh, Sem, Enoch, 7° and Paul) in order to demonstrate that Mani’s claim to have received revelations is supported by similar claims of those authorities accepted as it seems by Baraies audience. Yet, Baraies draws a line:

18 7PE 32, 1978, 182 n. 272;

| am now more inclined to take the element «of-God»

as an original part of Simon’s name. For the entire problem as well as for Samaritan origins of the concept see J.E. Fossum, op. cit. (n. 6) 156ff. 19 His name is not extant at the beginning of the apologetic discourse in which the series of apocalypses is quoted. 20 At least the first part of Mani’s Book of Giants is taken from the Aramaic Enoch literature as used in Qumran; cf. W. B. Henning, Joc. cit. (n. 16) and BSOAS 11, 1943, 52ff. = Selected Papers II (Acta Iranica 15, Homm,. et op. min. 6, Leiden and Teheran-Liége 1977) 115ff; J.T. Milik, The Book of Enoch, Aramaic Fragments of Qumran Cave 4, Oxford 1976, 298ff.; W. Sundermann, «Ein weiteres Fragment aus Manis

Gigantenbuch», Orientalia J. Duchesne-Guillemin emerito oblata (Homm. et op. min. 9), Leiden-Teheran-Liége 1984, 491ff.; M. Philonenko, «Une citation manichéenne du livre d’Enoch», RHPR 3, 1972, 337ff. (on CMC 58.7ff.); H.J. Klimkeit, «Der Buddha Henoch; Qumran und Turfan», Zeitschr. fiir Religionsgesch. 32, 1980, 367ff.; L. Koenen

in Das Rém.-Byz. Ag. (see n. 6) 104.

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292

MANICHAICUS

COLONIENSIS

«For what purpose and why have we discussed these things (sc. the apocalypses) although we are once and for all convinced that this apostleship (i.e. Mani’s apostleship) excels in his revelations? For the following reason we did begin with our forefathers and repeat the rapture and the revelation of each of them: because of the thoughts of those who have put on disbelief and (wrongly) assumed that they have knowledge about this revelation and vision of our father (sc. Mani) so that they might know that such was also the commission of the earlier apostles. For when each of them was snatched up, he wrote down and set forth all the things which he beheld and heard, and he himself became a witness of his own revelation; and his disciples became seals

of his apostleship» 7?. Baraies’ question implies that the apologetic argument was the only reason why his audience should pay attention to the apostles who had been sent to earlier generations. Mani’s revelation is superior to the earlier ones. Baraies further implies that Mani’s revelation is the most perfect and final one. Thus, according to the Kephalaia,

he was sent to

«this last generation» 7*. The resulting image of Mani and his revelation accords with Mani’s own claim that he was not only the Apostle of Jesus but also the Paraclete, i.e. the Spirit whom the father would forever send to his believers CS 3, 1978, 167ff.). Similarly, when Mani’s function was expressed as «to let drip food upon his people» 7° and when the Greek version of his name was explained accordingly as «shedder of Manna», he was seen as fulfilling Jewish beliefs according to which the miracle of Manna would be repeated when the Messiah appeared at the end of the world (ZPE 44, 1981, 265 n. 361). Mani

21 5CMC!70, 23:

(with the corrections suggested by L. Koenen and C. Romer in ZPE

58, 1985, 50) nepi yap tovt@v tivoc yapw Kai Sia [ti Ke]Kivntor qpiv anak © [nen]eionévoig bnepPaAdAlew] tHvde thy anootoAny év taig adtiic anoxakdvweou; tovtov 5& xapiv édSevtepHoapev Gnd tHv Tpoyov@v hud[v] natépwv tiv te aprayiyv abtdv Kai dnoKdAvyw éEvdcg Exdotov eivexKa TOV AOVloL@V TOV éEvdeSvUEV@V Ti amotiav Kai Olopévoyv TL nEpi tabtNs Tig AnoKaAbWews Kal dntaci[ac] Tod TaTpPdc Ana, iva efidmjow oo St Kai TH[V npoyd]vov anootdAwWY [toL\Ad]t™ yYéyovev 4 diatalyy]. ornvika yap Exa[otoc ab]t@v fpndleto, [& eed]per Kai Kove [tabta nmavta Elypagev Kai Onedei[k]wwev Kai adtd¢ abdtod [tlic adnoKalkvweas paptuc éyéveto: ot 6& pabntai adtod éyiyvovto o@payic adtod tig anooTOAi; there Mani was successful in converting a sort of hairy saint. In the second story he went to yet another place secluded by the mountains (?) and converted a king and his court 7°. As the syzygos told Mani, his apostles were to prepare his way: «Thus, on your (sc. Mani’s) command, the elders and apostles go unto each place. This Hope and the Message of Peace will be preached by them in each town to which you want to

go (?)»?’. Also the Kephalaia speak of Mani and the apostles as going «unto each city and unto each country» (9.18); and Mani’s «Hope went to the East of the world and unto [the West) of the oecumene, unto the Northern and the [Southern] region (KAipa) [of the earth (16.7ff.; see Die Gnosis UI 86)]. Mani could therefore claim: «My religion is of that kind that wiil be manifest in every country and in all languages and will

be taught in far away countries» 7°. Such phrases referring to Mani_

4 CMC 104.12ff. od« ig todto wdvov TO Séypa anEotaAns, GAA] ic nav Evo Kai di[Sajoxadiav Kai sic na[oav md]dkw Kai tomov. [b20 oo]d yap cagnvoby[cetar K]ai KnpvxOrjoetar [ide H EAlmic cic navta [KAiwa]ta Kai meployac [tod Kdo]pov ([d_e and [kAiwa]ta L. Koenen and C. Romer in the diplomatic text of the photographic edition [Der Kélner Mani-Kodex, Abb. u. dipl. Text, PTA 35, Bonn 1985]; [attn and [ta KAipa)ta in the first edition). For the following argument cf. ZPE 44, 1981, 247f. n. 339. 25 CMC 126.7ff. sic anop[pritov]c témous ol AEAN[Oaciv] tobade Tovdcs Td[m0VvC t]@v

avOpanav Kad’ otc [didyouley.

26 CMC 130.1ff. (cf. ZPE 58, 1985, 53) éno[pevOny E]ic tonov tilva AEANO]Ota Kai aneoyoilvicopé]vov tOv mdAEwMV [EKEiv@v (éx. supplevi)]. The pronoun refers to cities mentioned in the preceding story (though we gave a different explanation of t@v noAEMv in the translation of the ed. princ.). 27 CMC 124,6ff. Kai olitwc &« tic [évtoAfic] cov AnootaAn[covtai] mpeoPevtai Kai [&ndoto]Ao1 sic navta to[mov’ Kai KnpvxOnoEstar [dm adt]Ov 7h eAnic abtny [rai TO] KNPUKIOV Tic Ei[pivns Elic Nacav nOAW [eis fv Bo]UAEL nopevOA [var (x. scripsi coll. Luc., 10.1 [n. 29]: nopev8A [var adtovc ed. princ.). Also see 106.20ff. about the first two disciples (cf. ZPE 58, 1985, 52): [nABov 5é&] mpdc Eve ovve[AEvodpEv]or cig Navta Td[TOV Kai naplijcalv a> (@¢ B. Rosenstock [cf. n. 3]; -od[v wo. Koenen atque Romer in ZPE 58, 1985, 32)| obvep[you S6rov Enopevon]pev.

28 M 57941 Ir. 4ff. in Mir. Man. II 295 (W.B. Henning, Se/. Papers [see n. 16], 192; M. Boyce, A Reader in Manichaean Middle Persian and Parthian, Acta Iranica 9, Textes

et mémoires

2, Leiden and Teheran-Liége

1975, a 1, p. 29; Die Gnosis III 80 [ed. A.

294

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MANICHAICUS

COLONIENSIS

chaean missions are modeled on the corresponding passages in the synoptic gospels”. In light of the synoptic apocalypse as extant in Mark, they assume an eschatological quality: for when Jesus predicts to his audience the end of the world and their own sufferings, he adds that

«first the gospel will be preached among all people» *°. Thus the end will come soon, within the lifespan of the living generation. By assuming, as usual, eschatological delay and by transferring the topos of the pre-eschatological world mission into his own message, *’ Mani indirectly fostered the expectation that his generation was to be the last (or almost the last) generation of men. On the other hand, being as cautious as the Jesus of Mark (n. 31), he did not predict a specific date for the

end of the world *?. In the synoptic apocalypse Jesus also predicts the sufferings of his disciples: «People will deliver you to courts of justice, you will be beaten in synagogues, and you will be put to the stand in front of governors and kings for my sake, as witness for them» *?. Correspondingly Mani asked the syzygos after the baptists had become his enemies and he is about to leave them: «Whereto shall I therefore go? All religions and sects are enemies of the good, and I am a stranger and Bohlig, Zurich-Munich, 1980]) quoted here in the translation by J.P. Asmussen, Manichaean Literature (Persian Heritage Series 22), Delmar, New York 1975, 12.

29 Luke 10.1 6 KUpuog - - - &néoteev adtodc - - - cig N&oav NOAW Kai TénoV OD Twerrev adtdoc EpyecOar (though in a geographically narrow area; cf. particularly n. 27); Matth. 28.19 nopevOévtec obv pabntevoate mavta ta E6vn; Mark 16.15 mopevbévtec sic TOV KOoLOV &navta KnpvbEaTE TO EdayyéAlov TdoN TH KTICEl.

3° Mark 13.7-10 dtav S& dxovoate moAgpOVUG - - -, Wh Opoeiabe Sei yevécOar, &AX’ obmm tO TtéAOG. - - - BrAEnete SE Dic Exvtovc. Napaddcovow pac sic ovvédpia Kai cig ovvaywyac Saproeobe Kai Eni Hyewovov Kai Pacidéwv otabrceobe EveKev E100 ic WaptUpiov avdtoic. Kai cig mavta Ta EOvn Mp@tov Sei KnpvxOfivar tO edayyédov. Though by Mark’s time, the eschatological expectation had not been fulfilled, he (and his source) do little to retract from the notion of the imminence of the end of the world (13.32 par. mepi 5& tic Nuépac Exeivns 7 tic pac ovdeic oiSev oddé of &yyEeAo1 sv ovpav@ ovdé 6 vidg ei ph 6 natip). 31 Mark 13.30 (cf. par.) 4y@ dpiv Sti od ph TApEAGH 1) yeved abdty wéxpic od tadta mavta yévntar. Hom. IT (see n. 48) 28,1ff. «Die Kirche wird nicht wanken, indem sie standhalt, so daB mancher unter uns ist, der zu jener Zeit gefunden werden wird bis zum Antichrist. Mein Herr sagte, daB mancher ihn sehen wird unter den Angehérigen dieser unserer Menschengeneration». Cf. Polotsky’s note ad loc.

*? Chapt. 147 of the Kephalaia dealt with the following question «why the apostles reveal everything, but do not make any predictions on future events» (C. Schmidt and H.J. Polotsky, «Ein Manifund in Agypten», SPAW 1933, 23; cf. Polotsky in RE Suppl. VI 261 (= Collected Papers, Jerusalem 1971, 709). 33 Mark 13.9 (cf. par.) napadS@oovor yap buds sic ovvédpia Kai sic cvvaywyac daproeobe Kai Eni hyeudv@v Kai Paciiéwv otabioecbe Evexev sy0d ic HLapTtvplov avtoic.

L. KOENEN

295

alone in this world ---. How shall the world, its princes, and the schools (of religion) receive me so that they listen to these indescribable teachings and accept the commandments that are (so) difficult? How shall I take the stand in front of the kings of all countries, the princes

of the world, and the leaders of the religions?» **. It must have been for a similar expression of Mani’s feelings that the syzygos earlier had chided him: «Why did you say that this mystery cannot possibly be revealed to all kings?»*°. Another time he confesses that the most blessed father (i.e. god) fights against the kings of the earth and the princes of the world through Mani*°. The latter had indeed to confront kings. His missions regularly began with the kings, and this historical concern is surely reflected in these passages; but within the narrative pattern of the CMC, a work that makes Mani’s life as parallel to the life of Jesus as possible, *” the motif of the confrontation with the kings carries also an allusion to the synoptic apocalypse. In the CMC, Mani conceives his mission as a war or, in accordance with the Greek way of thinking and the imagery in Paul’s letters, as an agonistic bout *®. He has dressed himself in his warrior dress, i.e. his

body *’. Or to use a different metaphor, he mounted his horse *?. Living in his body, he saw his function in liberating the parts of divine light that had fallen into the prison of this world from their obedience to the

34 CMC 102.5ff. not nopev0d [t]oivvv; ta yap Séypata navta Kai ai aipgceic avtinaroi cio. tod &yabod. Kaya dOvEiog Kai wovipns év TH KdoLa@ bnApyo - - 103.12ff. noim. tpdnma bnodé~etai we 6 KdoLOG 7 OF pEylota&ves adtod A ai SidacKkadrio mp[dc] 10 &kodoa tovtw[v tTHv] aropprytwv K[ai tavtac] tac évtoOAdc br[odéxe]o0o01 Bapsiac ob[oac; noi]m 5& tpdna@ [napaoctiool]par (éy@ [?] otjoo}par ed. princ.) Eunpoo8[ev tOv Balo[iJAEl@v nac[dv yopav (ndo[n¢ tic yiic] ed. princ.) Kai T[O@V pEylotdv@v tod KOoLOD Kai TOV apyny@v tov Soypatwv; 35 CMC 32.10ff. (see ZPE 58, 1985, 48) [tivoc yap] sinac aco [--- Ttoic Blaciiedoi [obdK éot1 toJito TO pv[lotHpiov ano]KaArAvbA[var.

3° CMC

108.17ff. (see ZPE 58, 1985, 52) [tote] toivey Kata tiv [edvdo]Kiav tod

Kai dv éjpod E[k]énrov KATAOTHONL Thy T[fI¢ iSiJac yvmoeMs GANVE[\aAv] TOV SoyHatOV év [Lé]lo@ Kai tOv yevOv K[ai] év éLoi a&vtioti mp[dc] te tobc Pactrsic tij¢ y[iic] Kai wEylotavas Tod K[dJopov AnwopEvos EK [TAv]twVv TO id1ov.

37 See ZPE 44, 1981, 204 «Stichworterverzeichnis», s.v. «imitatio Christi»; L. Koenen in Rediscovery (see n. 6) 734 and 755f., and below pp. 296f.

38 CMC

115.9 nodeuov (cf. pp. 297ff. and ZPE 44, 1981, 294 n. 418 for parallels

from other Manichaean writings) and 106.3 &ya@va (see ibidem 251f. n. 346); for agonistic metaphors (particularly that of wrestling) as used in Jewish and Christian writings cf. M.B. Poliakoff, Journ. of Sport Hist. 11, 1984, 48ff.

39 CMC 115.12ff. and commentary (ZPE 44, 1981, 294ff. n. 420, particularly p. 299). 40 CMC

14.4ff. (with note 29 [ZPE 19, 1975, 72f.]); cf. 115.7f. (with n. 416 [ZPE 44,

1981, 291ff., particularly 293] and cf. R. Merkelbach, ZPE 57, 1984, 77).

296

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MANICHAICUS

COLONIENSIS

rebels and archons“!; or, with language that smacks of the New Testament, «he came forward from that Law (i.e. the baptists) according to the will of our Lord so that he may sow his most beautiful seed, kindle the most brightly shining lights, redeem the living souls from their obedience

to the rebels, walk the world like our Lord

Jesus, cast the

sword, division, and the knife of the Spirit onto the earth ---»*. In part, these metaphors are a cento of passages from the New Testament, but the choice of words also depends on an eschatological Jogion:

«There will be schisms and separations» *?. In yet another passage, Mani is «to cut off the branches of all rebels with the sickle that cuts off the weeds and the fruits of the

earth» “4. Again, the allusion to a parable in the New Testament (Matth. 13.25) implies that, with Mani’s life and mission, the last days were thought to be imminent **. On the other hand, in the same way as his war prepares for, and opens, the last war, it also repeats the mythical wars which led to the mixture of good and evil in this world and to the beginning of salvation. In one of the revelations which Mani received from the syzygos, the good gods seem to have conquered (?) «the monsters of falsehood that were pitted against them. For it was through

the signs of truth that the signs of falsehood were nullified» **. Corre*" CMC

16.0ff. (cf. ZPE 58, 1985, 47) [iva ywpicetev (e.g. supplevi) oixjhoac év

o[Hpati] todc avdpanodis[BEév]tag Gnd tov Svvact@y Kai AvTpaoatto Kai érevBepHon ta GoEtEpA WEAN &K Tic UNOTAYyiI¢ TOV OTACIAGTMY Kai TiS TOV EmtpONEDOvtav éEovaias - - -. * CMC 107,1ff. mpofjAOov toivov BovAln]oe. tod huetépov Seo[nd]tov xk tod vonov éxe[i]vov mpdc tO Kataonel[i]par TO KaAMOoTOV ad[tod] onépya Kai mpdc TO to[b¢] Pavotatoug éayor afd]tod Aaprtiipac mpd[c te] TO AvTPw@oacbar tac C[dloac yoxas EK tig bx[o]tayiic TOV otaciacta[v] Kai mpdc tO évrepin[atiiloa tai Kdopnar kat’ [ei]Kk6va Kvpiov hudv “Inood [Ei]pog te Padeiv Kali aijpnow Kai wdyalipav] tod MVEDHATOG Eni Tis [yijc] - - -. Cf. ICS 3, 1978, 193f. and the notes 355-360 in ZPE 44,

1981, 256ff.

*? Matth. 13.37 and 10.34; Luke 12.51; 2 Cor. 6.16 (= Lev. 26.12) and Ephes. 6.17; cf. also logion 16 of the Gospel acc. to Thomas. For the eschatological logion quoted above, see Just., Dial. cum Tryph. 35 Eoovta oyiowata Kai aipgceic (Syr. Didask. 6:5; Ps. Clem., Hom. 2.17 and 16.21 [J. Jeremias in Hennecke-Schneemelcher, Neutest. Apokr. 1 54]). “4 CMC 29.1ff. (tij¢ Spendvnc [2]) THs anote[L]votons Clila]lvia Kai Kaprodc tijc Yiic Extepeiv tobc aKpewdvac névtwv tOv otacl[ijactamv. Cf. n. 61 ad Ie. (ZPE 19, 1975, 29).

“© R. Merkelbach

(ZPE 57, 1984, 73f.) stressed the eschatological meaning of the

parable, which I had understood in terms of Mani’s mission. It now becomes evident that the two interpretations do not differ much from each other: Mani’s life is the beginning of

the eschatology. 46 CMC 41.1ff. (éviknoav [vel sim.]) ta tépalta tod wevddovc te d&vtictabévta. Mpdg abtovts. da yap tOv onpEiwv tic GANOEiacg KatHpyHOn ta Tod wevdouc. In the

:

L. KOENEN

297

spondingly, the individual Manichaeans who die and leave the world are

«the souls of the victors» *’. This concept of Mani’s specific function in the wars of the Good against Evil places him close to the end of the time of the world. In this way he became heir to the eschatological expectations of early Christianity. II. MANICHAEAN APOCALYPSE

a) Manichaean Apocalypse in the Homilies and the and Their Debt to Jewish-Christian Apocalypticism

Shabuhragan

The apocalyptic war is the last of five wars which Good wages against Evil according to the Kephalaia, pp. 58ff. This «Great War» as it is called following Iranian terminology corresponds to the «War» of the Apocalypse of John. It is described in the extant part of Mani’s Shabuhragan and in a sermon by Kustaios (Hom. pp. 7.8-42.7). Because only fragments of the Shabuhragan survive, we will mainly follow the

homily which is extant in a Coptic translation*®. The Egyptian provenance of the translation had no influence on the content since it was written from a Babylonian point of view under the impact of persecutions after Mani’s death and against the magi who «rule in the world» *?. Insofar as one can judge from the damaged manuscript, the death of Mani’s first successor, Sisinnos, does not seem to be mentioned. People who had personally met Mani were apparently expected German translation of the ed. pr. and in the English version by R. Cameron and A.J. Dewey (see n. 5), katnpy8n is taken as a gnomic aorist; the past tense rather refers to an episode of the mythical fight of Good and Evil. The passage belongs to the context which C. Roémer discusses on pp. 342ff.

47 CMC 37.6ff. Among other requests, Mani asks syzygos to grant him the following (see C. Romer, p. 336f.): Kai 6mM@c ai yoxyai TOV viknTav &EepyouEevar &xd Tod KdopLOv Tac OMPadpoic avOpanav SewpnOd@otv.

48 “Mani’s Shabuhragan», ed. by D.N. Mackenzie, BSOAS 42, 1979, 500-534 and 43, 1980, 288-310; Manichdische

Homilien,

herausg.

v. H.J.

Polotsky,

Man.

Handschriften

der Sammlung A. Chester Beatty, Stuttgart 1934. For Manichaean apocalypticism see H.-Ch. Puech, op. cit. (n. 16), 176f., n. 351ff. and in Hist. des rel. (n. 12) Il 571f.; G.G. Stroumsa, /oc. cit. (n. 22); H.J. Polotsky in RE Suppl. VI 261 (Coll. Pap. 709); A.V. W. Jackson, JAOS 50, 1930, 177-198. For apocalypticism in general see n. 75. For the Iranian terminology of the «Great War» (Bahm. Yt. Ill 8; Zatspr. 34.52) now see G. Widengren, «Leitende Ideen und Quellen der iranischen Apokalyptik» in Apocalypticism (n. 11), 117 and 139.

49 Hom. 25.30ff. «Die Kirche war bedrangt und hatte zu leiden - - -. Zu jener Zeit dagegen

[wird die ‘Gerechtigkeit’

die Stellung einnehmen],

befinden; denn sie sind es, die in der Welt herrschen».

in der die Magier sich jetzt

Cf. 10.30; Mani is dead: 7.16ff.

CODEX

298

MANICHAICUS

COLONIENSIS

to experience the coming of the «Great king», the ruler of the peaceful realm and forerunner of Jesus the Splendor (Hom. 32,20ff.; below pp. 300f. and 313). At this time the Manichaean church would still be led by an apostle who had seen Mani 5°. Combining these indications, we may date the original Sermon to the persecutions under

Bahram II, let us say, to about 290 A.D.,°! some 14 years after Mani’s

death. This date suits the authorship of Kustaios, one of the disciples who accompanied Mani on his last journey 52. The CMC mentions his religious name: «Son-of-the-Treasure-of-the-Life» (114.6f. Kovotaiog 6 vioc tod Onoavpod tij¢ Zwiic), and it is worth mentioning that the reference to Mani’s «war» in the CMC occurs in a passage authored by Kustaios (n. 38). So Kustaios too thought of himself as living in the last days of the world. At the beginning of his Homily he invoked Mani’s authority who taught «the knowledge of the beginning» and «the mysteries (?) of the Middle (i.e. the present time of mixture) and the separation at the end --- and the destruction of the worlds ---», 53 but he is also aware that the «final war» was the subject of many non-Mani-

chaean prophecies ™. In its literary form, Kustaios’ «Logos» constitutes a sermon on Manichaean apocalypticism, not an independent apocalypse. Nor was Mani’s own Shabuhragan an apocalypse but rather a book written for

king Shapur as a summary of Mani’s beliefs, which contained a substantial chapter on the end of the world. I shall briefly sketch the content of Kustaios’ Homily and refer to the parallel passages in the Shabuhragan. The reader should be aware that it is often impossible to locate the precise transition from one topic to the next. 1. pp. 8.6-10.24(?): After the introduction, the text opens with detailed predictions about a time of disaster with robberies, wars against kings, battles, and with cities and people in confusion; the world will be

°° Hom.

33.10ff. «So wie wir den Apostel geehrt haben, der Gott gesehen hat, so

werden wir [- - -] ehren, der meinen Herrn (i.e. Mani) gesehen hat. Du wirst jenen finden, wie er ihnen [hilft (?)], wie er in ihrer Mitte ist wie mein [Herr]. - - -». Cf. n. 31.

>! 280-300 A.D. according to H.J. Polotsky (op. cit. [see n. 48] XV).

°° ZPE 44, 1981, 284ff., n. 410 and 5, 1970, 111. °° Hom. 7.12ff.; cf. Keph. 55.17ff. and 102.23ff. (Die Gnosis III [n. 28], pp. 165ff.); also above, n. 3.

* Hom. 8.1ff. «Viele haben ihn (sc. the Great War) bezeugt. Alle Apostel haben ihn zur Sprache gebracht. Die Propheten haben iiber ihn gepredigt. Das Geriicht von ihm ist in der ganzen Welt verbreitet. Und auch sein Ursprung (liegt) in allen Religionen (S6ypa)».

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299

permanently in flames and the earth will be flooded with blood; there will be death, hunger,. and thirst; the sun will shine upon the bodies, all social order will be upset and virgins, married women, and free men will be enslaved and be in infamy. The section, which ends with an elabor-

ation of some of the calamities predicted in the synoptic apocalypse, ~° is a general characterization of apocalyptical times rather than a.description of a specific period, say after Christ’s death. 2. p. 10.24(?) - p. 11: A brief discussion of the series of wars of the saviors against Error (mAGvn) puts Mani’s own mission in the context of Heilsgeschichte. a) Zarathrusta threw Error, i.e. the pre-Zoroastrian religion, out of

Babylon (10.27[?]-[?]; cf. 11.21ff.). b) When Error then appeared among the Jews and became the Jewish religion, Jesus was sent to them. He dissolved the Law, destroyed the temple, and was finally crucified (11.?-11.15). c) In the present time, after the destruction of the temple, Error came (back) to Mesopotamia and again became dominant in the fire of the magi. Thereupon, Mani was sent against it. He will remain fighting Error and its kings and noblemen until the end of the world (11.23-?). Thus Mani appears as the paraclete (cf. p. 292). In this series of the saviors Zarathustra, Jesus, and Mani, the latter begins the final cycle in which the salvation of the world is consummated. He repeats the work of Zarathustra and Jesus for his own generation. It is this scheme that, particularly in the CMC, leads to a constant parallelism between Mani and Jesus. 3. pp. 12-21.27: Mani’s mission, indeed ended in renewed disaster and new strength of Error and the subsequent Great War. In a series of metaphors, Kustaios describes the persecutions of all Manichaeans and the obstruction of any further practice of Manichaean religion. The Manichaeans are exposed to temptations. Again the synoptic apocalypse is quoted for such details as people being killed for the sake of the name of [- - -?], dying by the sword, being taken and led away as prisoners, the siege of Jerusalem and the flight into the mountains (13.13f. and 15.6ff., cf. 20.4; Matth. 24.9 [cf. Apoc. Joh. 20.4] and Luke 21.21-24 par.), but also reference is made to the Apocalypse of John (Hom. 14.12; Apoc. Jh. 16.19) and to the Letter to the Romans (Hom. 13.26; Rom. 2.15)°°. From Kustaios’ own period until the Great War there will 55 Matth. 24.17-19; Mark 13.15-17; Luke 21.23 (as noted by H.J. Polotsky). 56 See Polotsky’s footnotes.

300

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COLONIENSIS

be mourning (15.18), particularly on the part of the preacher himself since, in each generation, the apostles weep and suffer (14.17f.), especially when they predict the Great War (14.29ff.). The motif is common. Jesus had wept about Jerusalem; and, for example, in the apocalypse of Enoch quoted in the CMC (58.9ff.) and in JV Esdra the prophets are full of tears. When Kustaios after enumerating all the causes for tears resumes the prediction of the Great War (p. 19), he gives further details: brothers will lose their brothers, sisters their sisters, masters their servants, elect other elect etc. (21.2ff.; see pp. 328f. [II 2]). Probably the same period is predicted on the recto of fragment q of the Shabuhragan, although little is recognizable: mighty men will be «removed in

that battle» and «lie will be in the world» >’. 4. pp. 21.28-33 (end): There follows the peaceful rule of the Great King (see p. 313) from the end of the war until, yet within the lifetime of Mani’s own generation (above, p. 298), the Antichrist will come. The peace and the salvation of the pious begin «like Pharmouthi» (22.1), i.e. like the month of spring in which Mani himself was born. This period offers the final opportunity for conversions. Those who have sinned in the time of persecutions and the Great War, will repent; the evildoers will be burnt like weeds, as is stated in allusion to Matth.

13.40°8. The holy books will survive and the Manichaean church will blossom; sons of the auditors will become elect. Auditors will continue to «fornicate», but dedicate their first children to the church (31.13ff.). Thus the Manichaean church will find itself in the dominant réle that in the present time is enjoyed by the magi (n. 48). «Justice», i.e. the Manichaean religion, will prevail, because all the particles of divine light which are yet migrating in this world and have not yet fully returned to

the heavenly realm will be born again (27.6ff.) °°. Thus the particles of

57 BSOAS 43, 1980, 296f. (see n. 48). Alternatively (although much less likely) the recto of this fragment may deal with the events of # 1 (p. 298f.).

°8 The CMC alludes to the same context (see p. 296). 59 This includes,

for example,

those particles of light which

are still subject to the

migration of the soul as well as those which are still travelling through the areas of heaven and stars and those which are in the process of being transported by the Turning Wheels that shovel the souls down to earth and up to heaven; in addition, there are those particles

of light in trees that will turn themselves into fruit and thus will be collected and turned

into the cycle of birth and salvation (27.6-17). The three Wheels of wind, water, and fire are adaptations of the three ‘mountains’ or atmospheric cycles of Zoroastrian cosmogony as was pointed out to me by G. L. Windfuhr (idem in The World of the Lord Shall Go

:

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301

light will be collected from the four directions of the winds, again alluding to the synoptic apocalypse®. This scheme solves a genuine problem: after so many efforts by the divine emanations and their apostles, we should not expect much light to be left in the prison of the body and of this world. How, then, could this world become almost perfect, when we should expect deterioration? The answer is simple:

because of a last concentration of all that light which is still in the process of returning. After this period of the «plenty of justice», i.e. of the ideal Manichaean church, there will not be much light left in this world. At this time preceding the final appearance of the Antichrist, the kings will be ideal, and trees will speak, thus preventing the suffering of the divine light. According to the CMC, they speak already in the present time to Mani, and did so to previous holy men for the same

purpose °?,

The verso of fr. q of the Sha@buhragan seems to deal with the same period of the restoration of the Manichaean church after the Great War. 5. p. 34: On a page almost utterly destroyed, the Antichrist appears, as was predicted by Mani in words alluding to the synoptic apocalypse (see n. 31). He is quickly defeated (cf. 28.4). This section corresponds to the coming of the pseudo-prophets of the Shabuhragan (A-J Iff.). 6. p. 35-38 (end): The coming of Jesus the Splendor and the last judgment is again based on the synoptic apocalypse. The sheep, i.e. the elect and, after judgment, also the worthy auditors, will. be separated from the rams and placed at Jesus’ right and left side respectively °.

Forth. Essays in Honor of D.N. Freedman, ed. by C.L. Meyers and M. O’Connor, ASOR 1983, 625ff., particularly 629ff.).

°° Hom. 27.11; cf. Matth. 24.31 par. (cf. Polotsky ad Ic.). 1

10.1ff.

and

98.9ff.;

Test.

Abr.

3.2f.;

A.

Henrichs,

BASP

16,

1979,

85-108,

particularly 92ff.; L. Koenen, [CS 3, 1978, 176ff.; ZPE 19, 1975, 13 n. 21 and 32, 1978, 196 n. 296. For the speaking of mountains, roads, stones, and countries in apocalyptic times see Apocalypse of Elijah 41.1 (p. 270 Schrage, with footnote c; see n. 79) and JV Esra 5.5 and 11 (see below, n. 81). Also see p. 306f. # 9. 6? 35.28f. «[Er] wird kommen, um die Bécke zu trennen und zu scheiden [von] seinen Schafen». 36.11ff. «Die Welten werden vor ihm zusammengebracht werden, wie eine Schafherde vor dem Hirten». 37.14ff. «Dann wird der GroBe Glanz seinen Mund 6ffnen - - - der gepriesene Konig der (?) Kénige. - - - Durch die Stimme seines lebendigen Wortes (Hebr. 4.12; CMC 86.5ff. C®v Adyos duidetor év abt [sc. Mani]- - - wrt dpa QMvi| adtTH: EAGANoEv Kata TO AEANOds - - -) aber werden alle Zungen verstehen - - jedes Land und jede Zunge (cf. Acta apost. 2.6ff.), sie werden - - - die Deutung seiner Worte.

Vor seinem - - - seinem Thron. - - - Dann

werden die zur Rechten erstaunt sein

302

.

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MANICHAICUS

COLONIENSIS

In the Shabuhragan’s coverage of the same events the influence of the New Testament, particularly of the synoptic apocalypse, is hardly weaker. The chapter is called: «on the coming of the Son of Men»,

after e.g., Daniel, the synoptic apocalypse, © the apocalypses of I Enoch

(ch. 46) ©, Elias (n. 79), and IVEsdras (n. 81). In this chapter, the Shabuhragan alludes to the same passage in Matthew as the 2nd Homily. A-J 11ff. «And at that time, when things will be thus in the world, [then] also on earth and in heaven, and on the sun and moon, and in the constellations (of the Zodiac) and the stars, a great sign will be appear» (see n. 63). Xradeshahr (i.e. Jesus the Splendor) will issue a great call to the whole universe and its gods, i.e. the five sons of the Living spirit here

- - - «{er] wird ihnen (sc. to the auditors) sagen: ‘Was ihr - - - habt - - -, [damit habt] ihr mir gedient. Und ich - - -’ - - - die zu seiner Rechten stehen, die wird er rechtfertigen und [ihnen] den Sieg [geben], namlich den Katechumenen - - - die er zum Reich des Lichts berufen hat. [Seine] S5ixaiou - - - aber und seine map@évor - - - (sc. the elect) hat er - - - zu Engeln gemacht. Dagegen die Bécke, die zu seiner Linken stehen, [werden] die Hoffnung (?) sehen, die er denen zur Rechten Stehenden gegeben hat. [Ihr] Herz (?) wird sich einen Augenblick freuen, da sie glauben (?), [daB der] Sieg der Schafe auch zu ihnen kommen werde (cf. Luke 16,22ff. and below, # 8). Dann wird er [sich zu denen wenden], die zur Linken stehen, und er wird reden und zu ihnen sagen: [‘Hinweg von] mir, ihr Verfluchten! Geht zum Feuer - - - Teufel (?) und seinen Méachten. Denn ich habe gehungert und gediirstet - - - keiner von euch hat [mir] geholfen - - - und sie werden sagen [‘An welchem Tage] haben wir [dich] gesehen, o Herr - - ~’». Cf. Matth. 25.31ff. dtav S& EAO 6 vids tod &vOpamov év tH S6EQ adtod Kai mavtEs oi GyyeAo1 pet adtod, TOTE KAVicE! Exi Opdvov SdENs adtod. Kai ovvayOjoovtat EunpoobEev adtod mavta TH £0vn Kai Gopics: adtods an’ GAAHA@V, Gonep 6 Nout agopiler Ta MPdPata and TOV épig@v, Kai otHoel Ta pév MpdPata EK Sebidv adtod, ta Sé Epigra EE edbwvbuav. tOTE épei 6 Bacidrede toic Ek Se&Wv adtod: Sebte oi evAoynEVOI - - - Eneivaca yap Kai £50KaTE Lor Oayeiv, &Siynoa Kai énotioaté ps, FEvoc nv Kai ovvnyayeté ps, YOUVOS Kai mepeBaAsté ps, Hobévnoa Kai émeoxewaoUE ws, Ev OLAAKT Hunv Kai HAPatE TPdc ws. TOTE ATOKPLOTCOVTAL ADT oi Sika1or A€yovtec’ KUpIE, MOTE o€ EiSOLEV TEIV@VTA K.7.. --- Kai dnoKpieic 6 Bacireds Epst adtOIc’ dui AEyM bpiv, EM” Soov Exoujoate évi TOUT@V TOV ASEAQ@V pov tav édaylotwv, soi Exoujoats. Tots EpEet Kai toic && evovbuav: nmopevecbe x” En0d of KaTHPApEvoOL Eic TO NOP TO aidviov TO toWacpLEVOV t@ SiaB6rAM Kai toig a&yyéAo1g adtod. énsivaca yap Kai odK &5KaTE LOL OayEiv, éSiynoa Kai odK éxotioaté we, Eévoc nv Kai od ovvnyayseté pe, youvdc Kai od meplepareté pe, dobevijc Kai év MvAaK Kai OdK EmeoKEYaobE LE. TOTE AnOKPLOT|GOVTOL

Kal abtoi dSoov odK ovtoi sic elect from

Aéyovtec’ KUPLE, MOTE OF EiSoMEV TEIMVTA K.T.E. - - - Aut A€éyo OHpiv, eq’ éExoujoate Evi tToUTMV TOV EAaylot@v, OvSE Evoi ExoITOaTE. Kai AnEAEVGOVTAI KOAGoW aidviov, of 5é Sikaior sic Cwiv aidviov. For the exemption of the this judgment also cf. n. 71.

6} See n. 62 and Matth.

24.30 Kai tote @aviostar

TO oNpEiov

tod viod tod

avOpanov év odpave Kai tots KOyovtal N&oal ai MvAGi Tij¢ yii¢ Kai Syovtar TOV vIdV tod dvOpmnov Epyopevov Eni TOV vEe~EAdv tod odpavod pETa SvvduEwWS Kai 5d6ENG TOAATSG. Also see G.G. Stroumsa, Joc. cit. (n. 22), 174f. 64 M.A. Knibb (1978), now in H.F.D. Sparks, The Apocryphal Old Testament, Oxford 1984, 169ff.

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named by their archaic Iranian titles®. They represent the angels in Jesus’ apocalyptic speech. The rulers of the world will pay homage to Xradeshahr, «lustful [and] wicked and tyrannous men will repent» (A-J 40ff.; cf. pp. 300f. # 4). The elect, auditors and «wicked men» will be assembled by messengers before Xradeshahr. The elect will be immediately admitted to the right side, and Xradeshahr will address the auditors also on his right side: «Welcome, you who have been [made] blessed of the Father of Greatness thereby, for I was hungry and thirsty [and] you gave me food; I was naked and you clothed me. I was ill and you cured me. I was bound and you loosed me. I was captive and you set me free. And I was an exile and a wanderer and you gathered me to (your) houses(s). [Then] those helpers of the religious will bow low [to him] and say to him: ‘Lord, - - - When [was it that] we did thee this service?’ And Xradeshahr says to them [so]: ‘That which you did [to] the religious, that [service] you did for me. AndI shall give you the paradise as reward» (A-J 72ff.), all after Matth. 25.35ff. with only minimal variation (see n. 62). The «religious», i.e. the elect, replace «the least of these brothers» in Matthew. Both apocalypses continue with the conviction of the evil-doers on the left, and Mani again borrows the words from Jesus’ speech: «‘You evil-doers were materialistic - - - and I complain about you, for I was hungry and thirsty and you did not give (me) food, and I was naked and you did not clothe me, and I was ill and you did not cure me, [and] I was captive and an exile you did not receive me in (your) house(s).’ And the evil-doers will say to him thus: ‘Our god and Lord, when was it that thou wast so distressed and we did not save thee?’ And Xradeshahr says to them: «You, (by) those (things) which the religious (sc. the elect) have recounted—there(by) you have harmed me [and] I had reason to complain of [you]» (A-J 100ff.). Mani uses the very words of Jesus. Such close quotations from the New Testament in the Shabuhragadn are the more remarkable since in this book Mani addressed Schapur I and an Iranian audience. Of course, these quotations are interwoven with Iranian terms and ideas, and the

65 The «Lord(s) of the House, of the village, of the tribe, of the land, (and) the frontier post»; see D.N. Mackenzie’s note (BSOAS 42 [n. 48] and W. Sundermann, «The five Sons of the Manichaean God Mithra» in Mysteria Mithrae (Proc. Intern. Seminar on the Religio-Historical Character of Roman Mithraism, Rome and Ostia [March 1978], Leiden and Rome 1979, 777-778), and in Altorientalische Forschungen V1, Schriften z. Gesch. u. Kultur des Alt. Orients, Akad. d. Wissensch. der DDR, Zentralinst. f. Alte Gesch. u. Arch., Berlin 1979, 95-133, particularly 126 n. 162.

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technique is very similar to the one used in the CMC®. 7. p. 39.1-18: Under the rule of Jesus the Splendor, the gods, angels, and elect will live together in what sounds like a new golden age (cf. n. 81). The trees will be green again and talk (cf. # 4), «for there are no prosecutors» (39.6f.; cf. Ez. 39.9f. and below, p. 311). All evil will be removed from the world and when and as they wish people will take off their body and ascend to heaven. In the Shabuhragan too, there follows a good time of prosperity and peace, «when god Xradesahr will care for the world» (A-J 130ff.). The division of time (month and year, cf. below, p. 326 and n. 81) will disappear together with greed, lust, pain, disease, (thirst [?]), famine, and torment. The climate (wind, water, fire, rain) will be in good order, and trees, grass, fruits, and plants will grow. Mankind will listen to the Manichaean religion. 8. pp. 39.18-41.11: There follows the dissolution and final destruction of the world. The process begins slowly in order to allow as many remaining parts of light as possible to emerge from matter with the result that the world will become waste. “Quo@dpos, i.e. the Column of Glory or Jesus, and the sons of the Living Spirit (see n. 64), who hitherto maintained the world, will leave the world, when Original Man

shows them his face and attracts them to himself. The appearance of Original Man results in the destruction of the world; it seems to correspond to the «white throne and the one sitting upon it» who appears in the Apocalypse of John so that «earth and heaven take flight and find no place» (20.11). The entire earth, according to the 2nd Homily, will be subjected to an éxknUpm@oic, in which the fire sets free the last particles of light that are redeemable®’. The powers of «dark6° See, for example, CMC 107,1ff. (in part quoted in n. 42). 67 Cf. Apoc. Joh. 20.9 and below, p. 318f. and n. 81 WV Esdra). The use of the fire

for liberating the particles of Light reflects, of course, the Manichaean re-interpretation. The report in the source of Epiphanios’ haer. (66.31.4 [III 69f. Holl, GCS]) and the Acta Archelai (13.1 [p..21 Beeson, GCS]) is quite similar: 6 mpeoBbts Stav Tpopavy adtod tiv eikdva, tote 6 “Quowdposg aginow EEw thy yiiv, Kai odtw> dnoWetar T0 péya ndp Kai SAOV GvadioKer tov Kdopov. The Third Messenger here takes the place of IIp®toc “Av@pmmoc in accordance with his function in the Manichaean cosmogony. The Third Messenger of this passage is therefore not identical with Mani as G.G. Stroumsa thought (/oc. cit. [n. 22], 172). After two sentences (see nn. 72 and 74) the report in Epiphanios and the Acta tells that the gods during the conflagration take residence on the moon; thus in Mani’s Sha@buhragan and in Kustaios’ Homily the gods leave their stations (cf. p. 318 # 3) and even the sun god descends from his chariot (see next paragraph). This may imply that the sun was thought to be the immediate cause of the conflagration (cf. Lact., Div. inst. 7.26.2). Stoics also held this

i

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ness» will be imprisoned in a tomb (41.7f.) ©. Correspondingly, in the Shabuhragan (A-J 160ff.) Xradeshahr (Jesus the Splendor) will leave the world and wind, water, and fire will cease (?). The religious (elect) will ascend to paradise (which will be rejoined with the New Aion) while animals and trees will disappear and go to hell (?). Upon action by Ohrmazd, i.e. Original Man, the world will be left without light and become a place of mere darkness. Mihryazd, the sun god (also the Living Spirit), will descend from his chariot, and the five sons of the Living Spirit will follow a call and ascend to paradise. Hence the world will collapse upon its lower layers, which have become the prison of the demons. In a final conflagra-

tion ”°, «the power and energy of that Splendor of the gods which has remained in the cosmos of earth and heaven» will be «purified [and] go up to the sun and moon and become a god in the form of Ohrmezdbay (i.e. Original Man), and together with sun and moon will go up to Paradise (291ff.)». The gods, those elect who, in the paradise, «will sit on thrones of light», and also, as it seems, auditors will watch the «raging fire», thus inheriting the privilege of Jesus’ apostles 7).

opinion (J. Mansfeld,

«Providence

and the Destruction

of the Universe»

in Studies in

Hellenistic Religions, ed. M.J. Vermaseren, Et. prél. aux rel. or. dans V’Emp. Rom., Leiden 1979, 129-188, particularly 154ff.; for the conflagration of the Stoics also see n. 95).

°8 i.e. in the B@Ao¢ or, using the terminology of Augustine, in the globus horribilis; cf. F. Decret in Mél. d’Hist. des rel. off. @ H.-Ch. Puech, Paris 1974, 487-492. A.V.W. Jackson, JAOS 58, 1938, 225-240 (cf. also n. 69). For the distinction between B@Aoc as the prison of the male demons and the td@og in the Keph. [105.32f.] see G.G. Stroumsa, loc. cit. [n. 22], 168, n. 22). According to the Apoc. Joh, 20.3 and 7, Satan is locked up in the abyss during the 1000 years of Christ’s final rule (see p. 321 # 1). 6° This structure as well as the prison for the demons and evil-doers was prepared outside the world simultaneously with the latter’s creation of the world (M 7984 I v. 15ff. in W. Henning, «Mir. Man.» (SPAW 1932, 184 = Selected Papers \ (n. 16), 10; M. Boyce, op. cit. (n. 28), y 17f. p. 66; A. Béhlig (with P. Asmussen), Die Gnosis III (n. 28),

111. Cf. Shabuhragan 180ff. 7 Cf. Alex. of Lykop. 5 p. 8.1 Brinkmann: after the divine power has been separated from matter, the latter is burnt by an outside fire (t6 &@ nip). Earlier it is said that, at the creation, this fire was separated from the world. The fire is black and, thus, similar to the bolos (3 p. 6.13): tig obv BANS Tc anEeKpiOnoav fAtog Kai GEAtivn TO LEpos eKtdc tod KdopoOv GmEeAnAGoOa1 Kai civarl Exeivo ndp KavoTIKdOV LEV, oKOTM@S5Eec S& Kai GQEYYES VUKTI TPOGdLOLOV). 71 Matth. 19.28 (cf. Luke. 22.30) div A€y@ byiv Sti byEic of a&KoXovOrcavtéc por év Ti madryyevecia, Stav Kabion 6 vidc tod avOpadnov Exi Apdvov SdEnc adtod, Kabjoeobe Kai DuEic Eni SM@SEKa Bpdvous KpivovtEs tac SMSeKa MvAdS tod “Iopanir. Cf. also Apoc. Joh. 20.4. A-J 321ff. which reminds much of Luke 16.23ff. (Lazarus and the rich man; cf. n. 62): «And when those evil-doers are tormented and writhe in that conflagration, then they will look up and recognize the religious and will say to them beseeching-

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The prison had to be an eternal structure outlasting the world. Epiphanios’ report on Mani mentions the final restoration (4anoKataotaoic) of both natures, good and evil. After the conflagration, "Quo@dpoc will throw the B@Ao¢ (see nn.

68 and 70) into the middle (2) of the Aion,” the structure which according to an Iranian fragment, was already built by the Great Architect at the time of the creation of the world. Further, according to the Sbaburagan, «that New World (i.e. New Aion) and the prison of the demons (i.e. the B@Aoc) which the New-World-creating god forms, will be fixed [to] paradise and made fast (?)» (A-J180ff.). Thus paradise as the outer sphere and New Aion as the inner sphere will surround the Ba@Aoc in the same way as now the atmosphere and the orbits of the stars, moon, and heaven surround the earth. Hence the prison will be located in the center of the New Aion. It is in this place that the demons will continue to exist after the end of the conflagration. There they will be firmly separated from the place of the gods and the redeemed and remain imprisoned eternally. 9. p. 41.11-(1?): In the New Aion, the Father and King of Light will reveal his picture to the redeemed and all light will merge into him. There will be two heavenly kingdoms: the Father will rule the Aions of Light, while Original Man will be the king of the New Aion (41.20). History, then, will not completely return to where it began. Good and evil will be separated as they were in the beginning, but evil will be firmly imprisoned and have no further chance to attack the realm of the gods. The demons will no longer inhabit a separate realm in the south of the ‘Earth of Light’, the realm of the gods, as they did before their ly: ‘May your good fortune befall us. Give us a life-line into our hands to pull us up, and save us from burning. We did not think that it would befall us so - - - harshly; but if we had known, we would have believed that which was said to us - - -.’ [And the religious] will speak thus: ‘Do not prate, you evil-doers, [for] we remember that - - - [and you did not consider - - -’», etc.

” Bpiphan., haer. 66.31.5 p. 70 (in continuation of the text quoted in n. 67) eita TAMV

Gino. Tov BPAAOV WE tod Néov Aidvog bnwsg nico ai woyai tdv dwaptora@v dSeb@ow sic tov aidva (ué scripsi coll. I Reg. 11.11 cicnopevsovtar LEOOV Tic TapEpLPoAt, sed possis etiam wéEa: wEta codd; cf. Acta Arch. 13.1 p. 21 deinde iterum dimittitur anima [v. app. crit. in edit. Bees.| quae obicitur inter medium Novi Saeculi); 7 p. 71f. kai peta tadta &dnoKatdotaoic Eota1 tdv S00 Mvcewv (cf. n. 3;

duorum luminarum in Acta Arch. 13.3 p.22 results from misunderstanding) Kai ot G&pxyovtes oikioovclw Ta Katdtepa pépyn éavtdv, 6 Sé natip ta dvwtepa tO iS10v d&nodkaBav.

Because, in the new structure, the bolos is encircled by the New Aion and the

paradise, the center of these circles is also the lowest place. The cosmological ideas adopted by this model are Iranian (cf. G.L. Windfuhr, Joc. cit. [n. 59]. For the creation of the New Aion simultaneously with the creation of the world also cf. n. 70.

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revolt, but will be squeezed into the centre of the New Aion, males and females in separate quarters (see n. 68). Thus they will no longer be able to move, to have intercourse, and to revolt. Even more striking are the two realms of light. This thought hardly suits the inherent logic of Manichaean beliefs. Rather the concept of the kingship of Original Man is due to Christian views. The Kephalaia (40.13ff.) call Original Man «the leader (4pynydoc) of his brothers in the New Aion» and quote Ps. 110.1 (Mark 12.36 par.): «set my son the firstborn on my right, so that I may place his enemies as a footstool under his feet». Like Christ, the

new Adam of Christians and particularly of the Elchasaites 7°, sits at the right of the father, thus Manichaean Original Man was placed in the same position. In this way the time of mixture of good and evil will have a permanent effect on the realm of light, even after the complete imprisonment of evil and darkness. At the end of the 2nd Homily there occurs a remark on the «statue» (Gvdpidc), the context of which is damaged. Fortunately, we know from other sources that, at the final moment of this world, this statue forms itself from the last particles of Light liberated by means of the conflagration (cf. Keph. 29.1ff.) so that it becomes perfect (téXe10¢; Keph. 54.13ff.) and returns to the New Aion. In other words, this is Christus patiens collecting and saving himself from the burning matter...

There is nothing left for further salvation ”*.

Although many details in the Shabuhragan and in the 2nd Homily remain uncertain, it is clear that both follow the same basic structure

and share the words also have much of

many details. Kustaios faithfully followed the eschatology and of his master, although he enriched it with details. It should become sufficiently clear that many eschatological ideas and the phrasing in Kustaios’ apocalyptic sermon and in Mani’s

73 See ZPE 32, 1978, 191ff., nn. 284 and 287 for the equation of earth with flesh and ‘blood of Christ and Adam on the basis of a familiar Hebrew pun.

4 Epiph., haer. 66.31.5, p. 70 (Acta Arch. 13.1, p. 21; cf. nn. 67 and 72) téte dé tadta yeviosta, Stav 6 dvdpiac ~AGy. For the statue and its connection with the Elchesaite «statues» (Christ and the Holy Spirit), see G.G. Stroumsa, Joc. cit. [above, n. 22], particularly 176ff. The text of the Shabuhragan breaks off with the conflagration so that we do not know whether it dealt with the life in the New Aion beyond what is said in the section on the destruction of the world and the conflagration (# 8). The appearance of the statue logically belongs to # 8.

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own Shabuhragan are directly turn, the eschatological ideas within the Jewish tradition, eschatology are paralleled by

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derived from the synoptic apocalypse. In of the New Testament were developed and crucial details of the Manichaean Jewish-Christian and, to a much lesser

extent, by Gnostic apocalypses”°.

Here I wish to focus on a few

elements that are significant for the general structure of the Manichaean apocalyptic. The apocalyptic time begins with the «war» which Mani fights during his life (# 1-2). It leads to renewed disaster and oppression of the Manichaean religion and, subsequently, to the Great War (# 3). Victory will result in a renewal of the Manichaean church under the rule of the «Great King» (# 4). Nevertheless, Pseudoprophets and the Antichrist have still to come (# 5). They necessitate a further final war, followed by the last judgment (# 6), a brief transient renewal of a golden age on earth (# 7), the destruction of this world, punishment and the eternal imprisonment of evil (# 8), and the New Aion in the _ divine realm (# 9). In general this scheme follows the usual pattern of such apocalypses. The fact, however, that the final good time appears thrice (as the restoration of Manichaeism after the Great war [# 4]; as transient renewal of peace on earth [# 7] and the New Aion in heaven [# 9]) deserves attention. It is reminiscent of a scheme in Iranian apocalypticism according to which at the beginning of each of the last three millennia of a world year of altogether 12,000 years a savior renews the prophet’s message and establishes a new golden time which will be followed by a recrudescence of evil. On closer comparison, however, this Zoroastrian scheme is more appropriately used to explain why, in the Homily, Kustaios restricts the large number of Mani’s forerunners to two and, in this way, assumes a total of three periods of prophetic renewals: Zoroaster, Christ, and Mani. According to another

™ See G.G. Stroumsa,

Joc. cit. (n. 22). The following argument tries merely to

supplement his paper and, with a few exceptions, I will not repeat what he has said. On the whole, we may neglect Gnostic apocalypticism in the present context, because the concept of the new creation tends to be lacking in Gnosticism (G. MacRae, «Apocalyptic Eschatology in Gnosticicm» in Apocalypticism [n. 11], 317-325, particularly 323; but see here n. 95 on the Hermetic Asclepius); on Gnostic apocalypticism also see G. Kippenberg’s contribution in Apocalypticism, 751-768 and above, n. 13. For apocalypticism in general cf. the contributions in Apocalypticism and in L’apocalyptique, Et.d’hist. des rel. 3, Université des Sc. Hum. de Strasbourg, Centre de Rech. d’Hist. des Rel., Paris 1977; further see Apocalypse, The Morphology of a Genre, ed. by J.J. Collins (Semeia 14), Scholars Press 1979 and Apokalyptik, ed. by K. Koch and J.M. Schmidt (Wege der Forschung 315), Darmstadt 1982.

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text, the Bundahisn, a Pahlavi book of the 9th century that contains older materials, «for-three thousand years everything proceeds by the will of Aiharmazd, three thousand years there is an intermingling of the wills of Aiharmazd and Aharman, and the last three thousand years the evil spirit is disabled, and they keep the adversary away from the creatures» (I 20 in E.W. West’s translation). This scheme, then, accounts for a final period of a good creation on earth. In combination with the periods each of which begin with a savior but then deteriorate, the final good time on earth is anticipated by the good time under the savior, and it is to be followed, after the last judgment, by the happy life in heaven. The age of this scheme, however, remains doubtful 7°, since Plutarch’s report on the «Zoroastrian» religion of the magi and their eschatology is ambiguous (De Iside et Osiride 46f., p. 369Dff.). With reference to Theopompos (4th cent. B.C.), he writes that alternately Ohrmazd and Ahriman will dominate each other, each for 3,000 years, then will fight each other for another 3,000 years until the destruction of Ahriman; men will finally experience happy times, need no food, cast no shadow while Ohrmazd will enjoy a brief rest

(avanavecbar ypdvov GAAwWS Lev OD TOAdV TH OEG, Monep avOpaT® KcWM@pLEVW pETPIOV, 47, p. 370.24ff. [155 F 65]). Neither the implied idea of the beginning of a new 9,000 year cycle nor that of the resting god suits Iranian beliefs, but the latter decisively points to Jewish traditions ’’. Hence the «Zoroastrian» apocalypticism described by Theopompos is likely to reflect syncretism.

76 Cf. S.S. Hartman in Apocalypticism (n. 11), 61-75, particularly 62f.; M. Boyce, «On the Antiquity of Zoroastrian Apocalyptic», BSOAS 47, 1984, 57-75, particularly 67f. The age of Iranian apocalypses is a much debated subject; M. Boyce, who dates Zoroaster’s own apocalyptic vision to c. 1400 B.C., ascribes the above described elaboration of the concept of 12 millenni to c. 400 B.C. I must leave these dating problems to Iranists. For the basic problem resulting from the necessity of starting from the final exposition of Iranian apocalypticism in the Pahlavi books and going «back through time, in order to get behind the Sassanian period into the ‘dark age’, the Parthian period» and from there on to the origins in Zoroastrian religion, see A. Hultgard in Apocalypticism (above, n. 11), 387-411.

™ Gen, 2.2. Also cf. the &vadnavoic tic évS5Ucems of the Elchasaite prophet (see p. 314). It should also be noticed that Egyptian gods do become old and tired. In the myth on the Cow of Heaven (ed. and translated by E. Hornung [Orbis bibl. et orient. 46, Freiburg, Switzerland, and Géttingen 1982]), mankind rebels against the sun god Re when he becomes old; the bad times of P. Salt (ed. Ph. Derchain, Brussels 1965) come about when Re, Isis, and Nephtys have become tired. Cf. below on the Apocalypse of Asclepius (n. 95). Because of this exhaustion of the world as well as of the gods Egypt, its kings, and gods were restored in endless series of ritual renewals, so that the world would not fall

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In apocalypses of the Jewish-Christian tradition *, a final earthly 1,000 year reign of Christ became a standard type well represented by the apocalypses of John, Elijah, and in the one that Lactantius compiled from Christian and non-Christian sources. In Jewish and early Christian speculation the 1,000 years correspond to the years of the tree of paradise. Thus, theologically, Christ’s reign is a restoration of

paradise ?. This period of peace and prosperity for the resurrected

into chaos. For Iranian parallels to Plutarch’s report see J. Bidez-F. Cumont, Les mages (n. 13) I 70ff. (D 4); G. Widengren in Apocalypticism (n. 11) 127-133. 78 Apocalypses in which the series of bad and good periods follow each other from the creation of the world until to its end and lead to the establishment of the messianic reign are insufficient to explain the specific structure of the Manichaean apocalypses. The long series of subsequent good and bad periods is most clearly represented by the vision and explanation of the black and clear waters in the Syriac Apocalypse of Baruch, chapt. 53ff. (P. Bogaert, Apoc. de Bar. I [Sourc. Chrét. 144], Paris 1969, SO1ff.; A.F.J. Klijn, «Die syrische Baruch-Apokalypse» in Apokalypsen, Jiidische Schriften aus hellenistisch-r6mischer Zeit V, Giitersloh 1976, 157ff.; R.H. Charles’ translation as revised by L.H. Brockington in H.F.D. Sparks, Apocr. O.T. [n. 64], 835ff.). 79 For the Apocalypse of Elijah see W. Schrage, «Die Elia-Apocalypse» in Apocalypsen (see n. 78), Giitersloh 1980; A. Pietersma-S.T. Comstock with H.W. Attridge, The Apocalypse of Elijah based on the P. Chester Beatty 2018, Soc. Bibl. Lit., Texts and Transl. 19, Ps. epigr. 9, Scholars Press 1974; J.M. Rosenstiehl, L’apocalypse d’Elie, Paris 1972; K.H. Kuhn in H.F.D. Sparks, Apocr. O.T. (n. 64), 753ff. The main sources for Lactantius’ discussion of apocalypses (Div. Inst. 7.16-26; see also the epit. 66-68) are the Sibylline Oracles, the Apocalypse of Asclepius in the Corpus Hermeticum (24-27, II pp. 326ff. Nock-Festugiére; CG VI 8.70ff. [NagHamLibr pp. 303ff. in the translation by J. Brashler, P.A. Dirkse, and D.M. Parrot; M. Krause - P. Labib, Gnostische und hermetische Schriften aus Cod. II und Cod. VI, Gliickstadt 1971, 194ff.]), and the Oracle of Hystaspes (J. Bidez-F. Cumont, Les mages [n. 13] Il 361ff.; cf. H. Windisch, Die Orakel des Hystaspes, Verhand. Koninkl. Akad. van Wetensch. N.S. 28.3, Amsterdam 1929). The extent to which the Oracles of Hystaspes can be restored particularly from Lactantius is questionable. Only such passages quoted nominatim can be ascribed surely to

the Oracles; in addition one may assign to this work very specific passages for which only an Iranian parallel can be found. Unfortunately most of the material in Lactantius is too general for this purpose, since he was particularly interested in the consensus of apocalyptic speculation. For the same reason, in spite of considerable research, it still remains doubtful how Iranian the Oracles of Hystaspes were. For a very optimistic view see J.R. Hinnells, «The Zoroastrian doctrine of salvation in the Roman World: A study of the oracle of Hystaspes» in Man and his Salvation, Studies in Memory of S.G.F. Brandon, Manchester 1973, 125-148 (neglecting the Asclepius); G. Widengren, now in Apocalypticism (n. 11), 121ff. (for the non-classicist reader it may be said that, in his translation [also in his Die Religionen Irans, Stuttgart 1965, 201] it should read: «niemand wird den Grauhaarigen [canos] Achtung erweisen», not «den Hunden»). H. Windisch was much more cautious («Daf die Hystaspesorakel an echte parsistische Traditionen ankniipfen, steht auBer Zweifel», p. 97; but even Windisch’s arguments are weakened by his neglect of the influence which Etruscan speculation on the ten or nine saecula may have had on Rome and its poets). For the Oracle of Hystaspes also cf. A. Hultgdrd, loc. cit. (n. 76), 400f.; C. Colpe, «Der Begriff des Menschensohns und die Methode der Erfor-

:

martyrs

L. KOENEN

(Apoc.

311

Joh. 20.4), for both quick and dead believers (Lact.,

Div. inst. 7.20.1 and Sf; 24.1), and for saints (Apoc. El. 43.10), which

according to Lactantius constitutes a new golden age without death (Lact. 7.24), will follow upon the victory over the evil-doers and the incarceration of Satan. The Apoc. El. ends here. At the end of the 1,000 years, or just before it, Satan will be released; he and his followers including the pseudoprophets will renew the war, encircle the holy city, but then be conquered by fire from heaven (Apoc. Joh. 20.9f.) or by earthquakes (cf., e.g., Matth. 24.6 par.) and fire (Lact. 7.26.2; cf. n. 67). There will be a final judgment for those subject to eternal punishment not yet judged before (Apoc. Joh. 20.11; Lact. 7.26.7); and a new heaven and earth will be founded while Jerusalem descends from heaven (Apoc. Joh. 21.6) or a transformation of heaven, earth, and men will take place (Lact. 7.26.5.f.). Lactantius adds a detail: the burning of evil-doers and their lord will be viewed by the angels and the

just °°. Moreover,

Lactantius

states that after the final victory and

before the transformation of this world at the end of the 1,000 years, there will be a short period of 7 years, a week, which he describes with the words of Ezech. 39.9f.: the forests will not be touched and wood will not be cut; instead the victorious people of God will burn the weapons of the pagans. There will be no more wars, but peace and eternal rest (Lact. 7.26.4). The Sibylline Oracles (3.72ff. and 649ff.) and, less obviously, Kustaios allude to the same passage by the Jewish prophet (see p. 304, # 7). In all, Lactantius’ composite apocalypse

schung messianischer Prototypen III», Kairos 12, 1970, 81-112; R. Merkelbach, Mithras, Konigstein/Ts. 1984, 44. For Jewish and early Christian thoughts on the 1,000 years see P. Pringet, «Le millénium» in L’apocalyptique (n. 75), 139-156 with an interpretation of Just., dial. 81.1f. on Js. 65.17-25 (also cf. n. 101). In Lactantius the 1,000 follow 6,000 years since the foundation of the world. In this combination, the figures are specifically grounded in the Jewish-Christian speculation on 6 «days» plus the Sabbath (Sunday) because, in the eyes of the Lord, 1,000 years are like one day (Ps. 89.4; cf., e.g., ep. Barn. 15.4; Aristokr., Theosophy 95.11 Buresch [Bidez-Cumont, Les mages (n. 13), 363f.]; F. Vittinghoff, /oc. cit. [see n. 95] 536; J.T. Milik, op. cit. [n. 20], 257f.). It is therefore doubtful whether the

1,000 years of the Jewish and Christian tradition have much

to do with the Iranian

speculations on 3,000, 6,000, 9,000, and 12,000 year periods (above; e.g. G. Widengren in

Apocalypticism, 83 and in his Religionen Irans, 107). At the beginning of Jamasp Namag (p. 325 # 15), the evil time is said to begin after a period of 1,000 years. In the Egyptian Or. of the Lamb, it is however the evil time that is to last 900 years (p. 315f. # 2a; cf. p. 321). Also see n. 126. 80 Tact. 7.26.7 sed et dominus illorum cum ministris suis comprehenditur ad poenamque damnabitur, cum quo pariter omnis turba impiorum pro suis facinoribus in conspectu angelorum atque iustorum perpetuo igni cremabitur in aeternum.

312

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

results in the same structure as the two Manichaean apocalypses: a summary of the following description of apocalyptical times ( # 1; cf. Lact. 7.16), the coming of the great prophet ( # 2), war (# 3), reestablishment of the Manichaean church or erection of Christ’s reign respectively (# 4), a new war against the powers of evil including the Antichrist and pseudoprophets (cf. Lact. 7.17.2-10; 19.5-6) and the release of the prince of the demons (Lact. 7.26.1; # 5), last judgment (# 6; cf. Lact. 7.26.1-3) a period of peaceful life on earth (# 7), the destruction of the world and the eternal punishment of the evil under the eyes of the just (# 8) and the New Aion or the transformation of the world respectively (# 9). The idea even of a transient happy life on earth (# 7) instead of immediate ascension into the New Aion hardly suits Manichaean thought. As we concluded before in a similar case (p. 306f.; # 9) it rather is a tribute to the strenght of the Jewish-Christian tradition and, particularly, the Jewish expectation of a happy messianic age here on earth. The apocalypse in Daniel ends with the eternal rule of the Son of Men (here p.302) over all people and nations (7.13f.). According to the Manual of Discipline of the Qumran community, the messianic period characterized by the renewal of the covenant and the meal of the new community will follow the apocalyptic war and be preceded by a prophetic forerunner*’. The Jewish tradition, however, does not preclude the possibility of additional influence from Egyptian, Canaaite, and Akkadian prophecies which feature the reign of the good and legitimate king after a period of destruction of the whole social and political order by godless people or after a series of bad kings and 81 9.11. For Qumran cf. M. Philonenko in Apocalypticism (n. 11), 211-218. Also cf. the peaceful reign in the Apoc. of Baruch (n. 78) and in I Enoch (n. 64) 1.8 (the «Book of the Watchers», a text known to Mani; see n. 20), further the period of fertility in the «Book of Giants» (J.T. Milik, op. cit. [n. 20], 300ff.; also known to Mani), the messianic reign of J Enoch 45 («Similitudes») with the transformation of heaven and earth and the earth rejoicing when, after the resurrection, the righteous live on it, and the golden age of II Enoch 17.3 (65.6ff.): «When the whole creation which the Lord has made comes to an end, and every man goes to the Lord’s great judgement, then the seasons will perish, and there will be no years any more, nor will the months nor the days and hours be reckoned any more (cf. p. 304 # 7), but there will be a single age (i.e. Aion). And all the righteous - - - will be united with the great age (Aion), and the age (Aion) will be united with the righteous, and they shall live eternally. And they shall have no more labour, nor suffering, nor sorrow, nor fear of persecution, nor labour, nor night, nor darkness; but they shall have about them a great light for ever and an indestructible wall, and in the great Paradise shall they have the shelter of the eternal dwelling-place» (A. Pennington in H.F.D.

Sparks, Apocr.

O.T.

[n. 64], 353, based

on A. Vailant’s

text, Paris

1952).

For the

complex Enoch literature see J. C. Collins, Apocalypse (n. 75), 37ff. IV Esdra offers a

:

L. KOENEN

313

unfortunate events ®*. Such influences were in fact already absorbed by Jewish-Christian apocalypticism. The period of ideal Manichaean reign (# 4) was to be ruled by the «Great King». Lactantius’ rex magnus (7.17.11 and 24.15) is Christ, who saves the righteous in his war (# 4) and rules for almost 1,000 peaceful years. The «Great King, who must come into the world», also occurs in an excerpt by Theodor bar Konai from the Prophecy of Zaradust **. In the present context, however, it seems more significant, that the Elchasaites used «Great King» for Christ ®4; the term suits the Jewish and Christian tradition since, for example in the Psalms (46.3; 47.2; 94.3), Malachi (1.14), Matthew (5.35), and in the Sibylline Oracles (3.499; 616) it is used for God; the Malachi passage on the «Great King» is quoted in the Didache (14) as referring specifically to Christ ®°. In light of the Elchasaite tradition, the «Great King» as ruler of the period of the flourishing Manichaean church (# 4) and Jesus the

final vision of a time of wars of everybody against everybody; the son of men appears and fights against an army assembled from all four corners of the world by emitting fire from his mouth. After letting the renewed Sion be seen, he destroys the evil army and assembles the peaceful remnants of the ten tribes of Israel (chapt. 13; J. Schreiner, «Das 4. Buch Esra» in Apocalypsen [see n. 78], Giitersloh 1981; A.F.J. Klijn, Der lateinische Text der Apokalypse des Esra, Texte und Untersuchungen 131, Berlin 1983); cf. also the preceding vision of the eagle. For the period of peace see also Ps. Method., Apoc. 13.14ff. (1st and 2nd red., pp. 126ff. [A. Lolos]). 82 On Egyptian, Akkadian, and Deir ‘Alla prophecies, see pp. 314ff. and nn. 88, 94 and 122. The Tiburtine Sibyl (P.J. Alexander, The Oracle of Baalbek; The Tiburtine Sibyl in Greek Dress, Dumbarton Oaks 1967, lines 188ff. and 206ff., cf. Alexander’s comments

on p. 112f.) paints the Antichrist in the colors of a king of peace who, among other good deeds, grants freedom from taxes. What in the Egyptian tradition is the sign of a good king and the beginning of better times (cf. the philanthropa decrees; for literature see L. Koenen

in Egypt and the Hellenistic

World,

Studia

Hellenistica

27, Leuven

1983,

149,

n. 20) has been recast as a sign of the evil king imitating the good king. In Apoc. of Elijah (31,7f; cf. W. Schrage [n. 79], p. 250 n. d), the motif of not collecting taxes is one of the characteristics of a king who, before the appearance of the Antichrist, is good (see Dao, 13):

83 J. Bidez-F. Cumont, Les mages (n. 13) Il 126f. 84 Epiphan. Haer. 19.3.4 (I 220.9 Holl, GCS); Elench. 9.15.1f. (Hipp.) p. 253.11 ff. GCS). . 85 See Bauer, s.v. Bactkedc (uéyac); W. Brandt, Elchasai, ein Réligionsstifter und sein Werk, Leipzig 1912, 90f. Because the term «Great King» was part and parcel of the Jewish-Christian tradition and was used for Christ, its mention by Lactantius can hardly be claimed for the Oracles or Hystaspes. If, nevertheless the Oracles did use the term, this would still not point to an Iranian tradition (Bidez-Cumont, Les mages [n. 13] II 127, n. 4

and 372, n. 3; J.R. Hinnells, Joc. cit. [n. 79]); J.J. Collins in op. cit. [n. 75], 210; G. Widengren in Apocalypticism [n. 11], 122 and 125); see G.G. Stroumsa, /oc. cit. (22), 167 ny L7.

CODEX

314

MANICHAICUS

COLONIENSIS

Splendor as ruler of the final good days of this world (# 7) are ultimately identical; Christ is the ruler of both corresponding periods in Lactantius. Further, as we saw, after the destruction of the world the New Aion was to be governed by Original Man, another form of Christ (p. 306f.). From the Manichaean point of view we need to add that Christ in all-forms is also identical to Mani. Therefore it was entirely appropriate that the period of the blossoming Manichaean church and religion (# 4) was to be ruled by the «Great King» (Christ). b) Other Direct or Indirect Influences on Manichaean Apocalypticism The Jewish and Christian tradition of eschatological apocalypses were at least partly influenced by Egyptian tradition as is particularly clear in the cases of the Apocalypse of Elijah and the Sibylline Oracles. In Egypt, however, the tradition was neither eschatological nor apocalyptic, but an outgrowth of the Egyptian ideology of kingship and, therefore, a means of political propaganda. The Egyptian prophecies are nevertheless surprisingly similar to the eschatological type of Jewish, Christian, and Manichaean apocalypses. Moreover, the history of the Egyptian tradition illustrates how historical reality changed the intentions of such prophecies from the announcement of the legitimate ruler

to the hope of a renewal of the world after the end of the present time cycle ©. The main steps of the development may be characterized as follows:

1) The oldest example is the prophecy of the priest Neferty °’ dating from 1991 B.C. According to the story, the prophecy was once given to king Snofru who reigned some 600 years earlier. It predicts the destruction of the political, social, and natural order in many details. The 8 For the following survey, which deals only with the main steps of the development, see L. Koenen, «The Prophecies of a Potter: A Prophecy of World Renewal becomes an Apocalypse» in Proc. of the 12th Intern. Congress of Papyrology, Ann Arbor, Aug. 1968, Am. Stud. Pap. 7, Toronto 1970, 249-254; J. Assmann, «Kénigsdogma und Heilserwartung. Politische und kultische Chaosbeschreibungen in agyptischen Texten», J. Bergman, «Introductory Remarks on Apocalypticism in Egypt», and J.G. Griffiths, «Apocalyptic in the Hellenistic Era» in Apocalypticism (n. 11), 345-377, 51-60, and 273-293 respectively; F. Dunand, «L’Oracle du Potier» in L’apocalyptique (n. 75), 41-67. 87 W. Helck, Die Prophezeiungen des Nfr- tj, Kleine agyptische Texte, Wiesbaden 1970; M. Lichtheim, Ancient Egyptian Literature 1, Berkeley-Los Angeles-London 1973, 139ff.; ANET 444ff.; cf. J. Assmann, Joc. cit. [n. 86], 357ff. G. Posener, Littérature et politique dans l’Egypte de la XII* dynastie, Paris 1956, 21ff. and 145ff. A different

interpretation was attempted by H. Goedicke, Hopkins Near Eastern Studies, Baltimore 1977.

The Protocol

of Neferyt,

The

Johns

L. KOENEN

315

chaos will end with Ameni’s accession to the throne; he will reestablish order and initiate a period of strength and peace. Thus, in accordance with the traditional Egyptian concept of kingship, Ameni the reigning king is depicted as creating the world anew from chaos, thus repeating what the gods had done in the beginning. He also appeared as fulfilling

the prophecy and, hence, as the legitimate king sent by the gods ®. 2a) The Oracle of the Lamb®’, follows a similar scheme. After, reading in an old (?) book that the sun god Re had cursed Egypt, the scribe (?) Psinyris asks the Lamb, an epiphany of Chnum-Re, for an interpretation. In response the animal engages in its own dire predictions. From the sixth (and last) year of king Bokchoris for 900 years ”, Egypt will suffer an evil time under Persian occupation; at the end, however, a good and happy rule will follow. After finishing his pro-

88 Also very fragmentary Akkadian prophecies are likely to have predicted the coming of specific good kings (a Kassaite ruler of the 12th cent. B.C.; Nebuchadnezar I [1127-1105], Nebuchadnezar II [604-561]) who would follow a series of mostly bad rulers. These prophecies presumably had the same function of legitimizing the ruling king and followed the same general scheme of bad times preceding the good times. Some details similar to the Egyptian prophecies are of such a common nature that they do not indicate any dependences one way or the other (good winds, rains, benign floods, fertility, repatriation of the statues of a god, etc.); in that the Akkadian Prophecies list series of

predecessors specified by the number of their regnal years, they are different from the Egyptian prophecies which are clearly aimed at the specifics of the Egyptian ideology of kingship. The difference becomes particularly obvious when the organization of the materials

in the Oracle of the Potter is compared

(see pp. 317f.). The Egyptian oracle

covers the bad times under previous Ptolemies without ever treating their individual reigns as separate units. The long Akkadian list of mostly bad predecessors might have influenced later apocalypses of the type of, e.g., the Tiburtine Sibyl (n. 82), but they themselves are, at best, pre-apocalyptic, like their Egyptian counterparts. Cf. H. Ringgren in Apocalypticism (n. 11) 379-386; J.G. Heintz in L’Apocalyptique (n. 75), 71-97. For an

anti-Greek Akkadian prophecy see n. 94.

89 kK-Th. Zauzich in P. Rainer Cent., Festschrift zum

100-jahrigen Bestehen der

Papyrussammlung der Osterreichischen Nationalbibliothek, Wien 1983, 165-174; cf. L. Koenen, ZPE 54, 1984, 9-13; J.G. Griffiths, /oc. cit. (n. 86), 285-287; F. Dunand, /oc. cit. (n. 86), 50f.; L. Kakosy, «Prophecies of Ram Gods, AOH 19, 1966, 341-358. In my view, the oracle was more likely written under the Persian than under the Greek rule in Egypt. Which of the books, the one with the curse of Re or the supplementary prophecy of the Lamb as extant in the present papyrus, was read to the king, is uncertain. According to Manetho, the main prophecy was spoken by the Lamb (see n. 90); and this is also implied by the death of the Lamb and by the king’s arrangements for its funeral.

90 When the period of 900 years after Bokchoris was over and times had not become any better, the figure was changed to 990. This figure is given in the lists of kings by Manetho as they are known from Synkellos (602 F 2 [p. 46.19f.]; fr. 64 Waddell): Boxyapic Laitns Et c’ Eg’ od Gpviov EpbEyEato Eryn A («for a period of 990 years»). Manetho, of course, must have written «900 years» because at his time, the original 900 years (thus in the demotic papyrus written in year 33 of Augustus) had not yet passed. See also n. 91.

316

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

phecy, the Lamb dies, as does the Potter, another prophet (see 2b) at the end of his predictions. Psinyris goes to king Bokchoris and reads to him the «book» of prophecies. Under the Persian rule, the Egyptians no longer had hope for the appearance of a strong king of their own. Hence, the coming of the new era was postponed for a period of 900

years. The figure has symbolic’, but also chronological meaning. If we calculate from the last year of Bokchoris (between 715 and 709), the 900 years would be completed in 186-192 A.D. But, because of the symbolic nature of the figure, this can only be an approximate date. In 139 A.D. a new Sothis period of 1461 years was to begin®*. The Sothis period resulted from the fact that the Egyptian year of 365 days was a quarter of a day too short and, therefore, after four years each given date would occur one day earlier than it should in the solar year. Therefore, at some point, in the course of the Sothis period the summer of the calendar would occur when, in the natural year, it was winter and vice

versa. Only after 1461 years the calendar would again coincide with the natural year. Thus the beginning of a new Sothis period came to indicate the beginning of a new and better time. Similarly it was the message of the Lamb that the world would return to order after the next Sothis period had begun. Then, according to the Lamb, it (i.e. god Re-Chnum) would itself reappear and rule Egypt; the Persians would

leave the country*’. The

message

reveals

a lack of confidence

in

°! 30 times 30, as 30 years are the regular Hebsed period (Zauzich); and 900 years added to a Phoinix period of 540 years almost yield a Sothis period. 100 times 9 years also makes 900 years with 9 corresponding to the 9 chaotic days between the rule of god Shu and his successor Geb and to the 9 years which Sesostris’ brother rules in the absence of

the former (Hekat. of Abd. 264 F 25 = Diod. I 55ff.; Herod. II 107f.). One may also

think of the 9,000 years of the Iranian tradition (n. 79) and on the Etruscan speculations on 9 or, more commonly, 10 saecula; the destruction of Rome was expected within a period of 900 years (Dio Cassius 57.18.5 and 62.18.13; schol. Bern. on Luc. I 564; Luc. 7.387ff. [L. Koenen, Rhein. Mus. 107, 1964, 190ff.]; Juv. 13.28). The 990 (see n. 90) is e oh all numbers from 1 to 44; see K.-Th. Zauzich, Joc. cit. (n. 89) 173, n. 5; also cf. n. 126.

* Scholars still tend to deny the importance of the Sothis period for the Egyptian

religion during the late period of Egyptian history. At least for the Ptolemaic era this period became an important feature regulating the life in Egyptian temples. See R. Merkelbach, Isisfeste in griechisch-rémischer Zeit, Daten und Riten, Beitr. z. klass. Phil.

5, Meisenheim 1963, 45ff.; L. Koenen, Eine agonistische Inschrift aus Agypten und Srihptolemdische Konigsfeste, Beitr. z. klass. Phil. 56, Meisenheim 1977, 56f. and BASP PAS 1984 (honorary volume for J.F. Gilliam), 137 - 141 and n. 44 (together with D.B. Thompson).

*> «Wenn reunification

ich ein Uraus am Haupte Pharaohs bin (i.e. after my death and my

with Re) werden

sie (i.e. the calamities) geschehen.

Aber (placed here by

L. KOENEN

317

Egyptian kings. Only the god himself was expected to restore the world in a new era. : 2b) The extant versions of the Oracle of the Potter, who was another manifestation of Chnum, were composed in the wave of Egyptian insurrection perhaps after 130 B.C., but surely soon after 116 B.C. Before his death (# 2a), the Potter predicts the unfortunate time of the river Nile running dry and of infertility of the soil, dimness of the sun,

collection

of unjust

revenues,

lack

of

food,

robberies,

wars,

invasions by foreign armies, rebellion and murder, upheavel of the social order, incest and immorality, all of which began with Alexander’s foundation of the city of Alexandria and continued under the rule of the «Typhonians», the followers of the evil god Seth as the Greeks were called. It would only end when Isis installed the new king under whose rule Egypt would flourish, the people enjoy life, summer and winter come at their appropriate times, and the winds, which previously had

devastated the fields, would be gentle™*. This king remains a shadowy figure, and the priest issuing the new prophecy had little hope for the success of the rebellion. They quote the Oracle of the Lamb in order to show that the Egyptian leader of the rebellion could not be the expected savior king; nor was it Euergetes II who had died before attaining the

Zauzich’s conjecture) nach der Vollendung von 900 Jahren werde ich tiber Agypten herrschen, und (or: «aber») es wird geschehen, daB der Meder, der sein Gesicht nach Agypten gewandt hat, sich (wieder) entfernen wird nach den Fremdlandern (und) nach seinen aAuferen Orten» (II 20ff.). If, contrary to the demotic version (or contrary to Zauzich’s understanding of the text), the calculation of the 900 years was meant to include the rule of the good king (cf. the Greek in n. 90), the gap between 186-192 and 139 almost disappears. The reign of the good king is 55 years (II 5 «Der von 55 (Jahren) (ist) unser Gekr6énter», thus also in the Oracle of the Potter {[cf. L. Koenen, ZPE 54, 1984, 9-13]). His reign should thus have started around 131-137. Or, possibly, the prophecy calculated the coming of the king of the 55 years, who would overcome the enemies, for 139 A.D. (Sothis period) and the beginning of the rule of the Lamb for 193 A.D. (after the 900

years). Even if the 900 years were unrelated to the calculation of the beginning of the next Sothis period, the argument would essentially remain the same because, in any case, the renewal was only expected after the completion of a long time period. *4 For text and interpretation (also n. 86) see L. Koenen, ZPE 2, 1968, 178-209 and the corrections in ZPE

3, 1968,

137; 13, 1974, 313-319; 54, 1984, 9-13; further in

Egypt and the Hellenistic World, Studia Hellenistica 27, Leuven 1983, 148f. and 174-189 and in /oc. cit. (n. 92) 124f. A similar (though pro-Greek) prophecy should have been the one which Petesios, a carver of hieroglyphs from Aphroditopolis, seems to have given to Nektanebos II, the last Egyptian king, according to a papyrus known as «the dream of Nektanebos»; only the Greek translation of the introductory story of what is written in the Egyptian literary pattern termed «K6nigsnovelle» is extant (UPZ 81; cf. L. Koenen, BASP 22, 1985 [forthcoming]; E. Meyer, SPAW 1915, 294 [pace U. Wilcken’s note on line 1]; A. Hermann, Die Agyptische Konigsnovelle, Leipz. Agyptol. Studien 10,

318

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

reign of 55 years which, again according to the Oracle of the Lamb (see n. 93), would be the right period for the ideal king. In this way the priests postponed hope for any improvement of the present bad conditions. All details of this oracle conform to the Egyptian tradition of political prophecies about the coming of the ideal king, and yet, as already in the Oracle of the Lamb, the door was opened for apocalyptic thought. The ideal king was no longer the present king; he would only arrive when the seasons would come at their right time, i.e. at the beginning of the next Sothis period. All three papyri of the Oracle of the Potter were written in the second and third century. At that time the readers must have understood the oracle in

apocalyptic terms. 3. The Apocalypse of Asclepius (see n. 79), which is part of a Hermetic discourse, follows closely the Egyptian tradition in its general scheme and its description of unfortunate times with bloodshed,

murd-

er, wars, foreign peoples living in Egypt, robberies, deceit, infertility of the soil, instability of the earth, inability to sail the sea, cosmic disorder, and pollution of the air. But the details are focused, more explicitly than usual, on religious themes, particularly on neglect, prohibition, and persecution of religion by new laws. The gods will leave Egypt to the demons (cf. the Typhonians of the Oracle of the Potter). This is the «old age of the world» (see n. 95). God the creator will finally «recall Error» and, in a new cycle, renew the world in some regions by floods, in others by fire, at other times by wars and pestilence ®°. During the

1938, 39ff.). Also the Prophecy of Neferty is written in the literary pattern of a «K6nigsnovelle» (H. Goedicke, op. cit. [n. 87], 14ff. with literature). The prophecies of the so called Demotic Chronicle (J.F. Johnson, Enchoria 4, 1974, 1ff.; L. Koenen in Eg. and the Hell. World 151 n. 23) are related, but follow a different literary scheme.

That, under the good king, the seasons come at the right time is a topos which originally resulted from, but spread beyond, the opposite experience caused by the shortness of the Egyptian civil year (above, p. 343); cf., for example, P. Anastasi 4, p. 10.1 in R.A. Caminos, Late-Egyptian Miscellanea, Brown Egypt. Stud. I, London 1954, 170f. Therefore the Oracle of the Potter could, by itself, be understood without relating the passage on the seasons to the beginning of the next Sothis period. But since the Potter quotes the Lamb and the latter calculates in terms of 900 years, it is much more likely that the reference to the seasons is as pointed as those to the kings of 2 and 55 years: the coming of the savior king is postponed to the beginning of the next Sothis period. The anti-Greek use of such prophecies (cf. the anti-Persian notions of the Or. of the Lamb) is parallelled by the same tendency in an Akkadian prophecy; see H. Ringgren, Joc. cit. (n. 88) 383. Lact. 7.18.4 - - - téte 6 KUpiog Kai matip Kai Oedc Kai tod TPOtov Kai Evdc Oeod Snuiovpydc EmpPAEyas Toig yEvouevoIc Kai tiv éavtod BPovAno., Todt’ Eotiv tO

:

L. KOENEN

319

present bad times the gods who are in charge of the world will withdraw themselves to a town.on a Libyan mountain (27, p. 333,3f.; CG VI 75), i.e. to the mountain of the just in Lactantius (7.17.10) and to the mountains to which the people will flee according to the synoptic aya8ev, a&vtepsioacg tH atakia Kai dvaKaAsodpEVOs tiv nNAdVHV Kai Thv KaKiav éxxabdpac, nm pév KSat: TOAAW KataKkdAvoasc, ni Sé nupi OEvtTaTW Siaxavoac, éviote 5é ToEpOIg Kai Aomoic Exnaioac, Tyayev Eni 10 &pxyaiov Kai anOKATEGTHOEV TOV éavtod Kdopov cf. CG VI 31ff. in NagHamLibr 304 where the god, however, is called «the Lord, the Father and only primal God, God the Creator» and the different modes of

destructions occur at different times; Asc/. 26 tunc ille dominus et pater, deus primi {potens} (delevi) et unius gubernator dei, intuens in mores factaque voluntaria voluntate sua quae est dei benignitas vitiis resistens et corruptelae omnium, errorem revocans, malignitatem omnem vel inluvione diluens vel igne consumens vel morbis pestilentibus iisque per diversa loca dispersis finiens ad antiquam faciem mundum revocabit. Though this passage uses the flood and conflagration along with wars and pestilence as means of punishment and restoration, even if not in terms of a single universal destruction and subsequent new creation of the world, it seems to combine the evil times and the approaching apocalyptic end of the world with the probably Pythagorean and certainly Stoic thought of flood and conflagration as destroying the world at the end of each cosmic cycle (Philol. in Diels, Fragmente der Vorsokratiker 1404 [A 18], Plat., Tim. 22 [referring to Egyptian teachings], Orig. c. Cels. 4.64 [SVF II 1174 etc.; also cf. Strabo 4.4 p. 197 [Druids]; see n. 224 in A. D. Nock’s and A.-J. Festugiére’s edition; M. Pohlenz, Die Stoa, Géttingen 1959, I 79f.; W. Burkert in Apocalypticism [n. 11] 242; idem, Lore and Science, Cambr. [Mass.] 1972, 234 and 315, n. 86). In the accumulation of modes of destruction the Stoic view of the positive réle of conflagration as total unification of the world with god, almost as apotheosis, and of the ensuing flood as the seminal state from which the new world will grow (J. Mansfeld, /oc. cit. [n. 67], unfortunately without discussion of Iranian cosmic cycles and conflagration [see p. 146 n. 52]), is replaced by conflagration and flood as punishments. The flood and the conflagration (cf. pp. 331ff., 337, and n. 81) as well as the notion of the aging world (cf. Asc/. 26 senectus mundi; Lact., inst. epit. 66.6; IV Esra 5.55 [n. 81]; cf. August., div. quaest. 58.2) well suited the Egyptian background of the apocalypse of Asclepius (cf. especially the myth of the Cow of Heaven [n. 77]; in general see W. Scott, «Altagyptische Vorstellungen vom Weltende», Analecta Biblica 12, 1959, 319ff. particularly 324 and 327; Ph. Derchain, «L’authenticité de l’inspiration

dans le ‘Corpus Hermeticum’»,

RHR

61/62,

1962,

175ff., particularly

193f.; L. Kakosy, «Weltuntergang in der 4gyptischen Religion», Acta Antiqua 11, 1963, 17ff., particularly 24ff.). In one version of the Oracle of the Potter the earth (?) catches fire when the Nile carries little water (P2 2f.) and, as was seen by A.D. Nock and A.-J. Festugiére, after the appearance of the savior king «the sun beams forths and exposes the punishment of the evil-doers and the poverty of the Bearers of the Girdle» (P2 47f.; ZPE 13, 1974, 319). When Philadelphos burned the Gauls on an island in the river Nile, he repeated the victory that the Egyptian sun god had won over his enemies in the Lake of Flames; the cosmogonic renewal is preceded by the destruction of the enemies in fire (see L. Koenen in Egypt and the Hell. World [n. 94]). As ‘conflagration’ and ‘flood’ in Asclepius were capable of being understood as «Stoic» in a less precise sense, thus the ‘world’s age’ could be seen as expressing the Stoic notion of the inevitability of the

approaching end of cosmic cycles; for the strength of the notion of the world’s age in late antiquity see F. Vittinghoff, «Zum geschichtlichen Selbstverstandnis der Spatantike», Hist. Zeitschr. 198, 1964, 529ff., particularly 557ff.; R. Haussler, «Ursprung und Wandel des Lebensaltervergleiches der Spatantike», Hermes 92, 1964, 31 3ff. For the Iranian conflagration see G. Widengren in Apocalypticism 79.

CODEX

320

MANICHAICUS

COLONIENSIS

apocalypse (Matth. 24.16; Hebr. 24.16) °°; now, in the good times, these gods who are in charge of the world will return and, in the outermost western corner of the country, reside in a new city «to which the entire mortal race will come». The geographic position describes Alexandria by the sea at the western edge of the delta. In the Oracle of the Potter, Alexandria, the city by the sea (see p. 322 # 2) founded by the Typhonians (the Greeks), is called «the city that nourished all, in which the entire race had been settled» °’. It will be destroyed when its tutelary

deity leaves the city and returns to Memphis **. In the Apocalypse of Asclepius this city will be re-founded and, once more, be settled by the gods protecting the entire world. By this consideration as well as by a substantial number of parallels (cf. F. Dunand, Joc. cit. [n. 86], 58f.) it becomes clear that the Apocalypse of Asclepius is part of the Egyptian tradition. The Egyptian version of the New Jerusalem is the New Alexandria. Both foundations replace their sinful predecessors. What, however, in the Egyptian tradition should have been a prophecy of a new king was freed from its connections with the ideology of kingship, probably because of the continued political frustration. Seemingly under

°° For Iranian parallels see J. Bidez-F. Cumont, Les mages (n. 13) I] 372, n. 2; G. Widengren, Die Rel. Irans (n. 79) 202. °7 entur (see. below, in this footnote) vero qui terrae dominantur et conlocabuntur in civitate in summo initio Aegypti quae a parte solis occidentis condetur, ad quam terra marique festinabit omne mortal genus (27, p. 332.18ff.); «And the lords of the earth will return (see below). And they will establish themselves in a city that is in a corner of Egypt and that will be built towards the setting of the sun. Every man will go into it, whether they come on the sea or on the shore» (CG VI 75, p. 305 in NagHamLib. [n. 79]). The comment on the city by the sea in the Or. of the Potter runs as follows: att

Fv 1) mavtotpdgos eis fv KatoiKioOn nav yévoc avSpav (P3 61f.; P2 37f. with a slight variation); cf also Ps. Kall. I 33.11.18 Kroll Kai mac &é¢ abt (sc. the newly founded Alexandria) eioeAevoetar and 32.4 attn f mddic Ktiobeica SAnv tiv oikouévny Opéwer kai navtayod Eoovtar ot év avdti yevvnOevtes &vOpwnoi (ZPE 2, 1968, 187 n. 19), also Dio Chrys. 32,36; for the topos of capitals being praised as inhabited by the entire world see G. Gernentz, Laudes Romae, Rostock 1918, 49f.; P. J. Alexander, op. cit. (n. 82), 93, particularly n. 63 (with more literature). The verb at the beginning of the Latin version is corrupt (distribuentur, i.e. a diplography of the last word of the preceding sentence). The Coptic has ciz€ , and this verb is frequently used as translation for &vaywpeiv. The Coptic might therefore be rendered: «they will withdraw themselves» (thus J. Brashler [et alii] in NagHamLib. [see n. 79]; see also M. Krause [n. 79] and cf. W.E. Crum, Copt. Dict. 379b). In the context, however, this translation does not yield appropriate sense, and original Greek a&vay@proovor could mean: «they will return» (e.g. Matth. 2.12; see W. Bauer, Wéorterbuch s.v.).

8 Knephis

or Mephis

(the Agathos

Daimon)

will leave Alexandria

and go to

Memphis. The pun indicates that Mephis will return to the city to which he belongs, thus re-founding Memphis.

L. KOENEN

321

Stoic influence (Gif not under the influence of Jewish and Christian or Iranian apocalypticism [cf. pp. 330f.]), it became an apocalypse announcing the end of the present cycle and the beginning of another (possibly final) cycle of the world. The creator god inherited the traditional rdle of the king. The Hermetic apocalypse was then used by Lactantius in his discussion of apocalypticism (see n. 79).

It is extremely difficult to establish cross-cultural influences of one apocalypse upon another since common human experience of disasters such as wars, insurrections, murders, famines, and pestilence provide the colors in which the apocalyptic times are painted. There are nevertheless a few remarkable details which seem to indicate an influence of the Egyptian prophecies upon the Manichaean apocalypses. It will also appear that these details had rather become part and parcel of apocalyptic beliefs in Mesopotamia than that Mani relied on reports

from his missionaries in Egypt ””. I 1. In the Shabuhragan, the length of the conflagration is 1468 years (L-J 289ff.), i.e. an Egyptian Sothis period of 1461 years enlarged

by one ‘week’ of 7 years '®°. In the Oracles of the Lamb and the Potter, the bad times will continue for the remainder of the present Sothis period (pp. 315ff.). From the Manichaean point of view, the most disastrous time is the final conflagration which was to purify the light particles then still imprisoned in matter; thus the conflagration precedes their salvation. In the first century A.D. the time of tribulation of the Jewish people which would precede the days of joy (Ps. 89[90]. 15) was

calculated as 1,000 years!®! and, in the Apocalypse of John and in Lactantius, Satan is imprisoned for 1,000 years during the reign of Christ (see pp. 310f.). These 1,000 years of tribulation before salvation and, in the case of Satan, of incarceration were outdone by the Manichaean conflagration for a full Sothis period; and even the Sothis period was not enough and needed an addition, very much like the Christian week needed the «eighth» day.

°° For the early Manichaean mission in Egypt see L. Koenen in Das rém.-byz. Ag. (n. 6), 93-108; G.G. Stroumsa, «Monachism te», Numen

et Marranisme chez les Manichéens d’Egyp-

29, 1982, 184-201.

100 Also in the Kephalaia 75,20ff. and elsewhere (H.J. Polotsky in RE Suppl. VI 262 [Coll. Pap. 709]. The meaning of the number was correctly explained by Ch. J. Ogden in Dr. Modi Memorial Volume, Bombay 1930, 102-105; G.G. Stroumsa, Joc. cit. (n. 22), 167.

101 R. Elizer (ben Hyrkanus, around 90 A.D.); cf. P. Prigent, Joc. cit. (n. 79), 149.

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I 2. Hom. Il 14.11ff. «All (?) flesh will have (?) to drink also this cup of wrath which [has been mixed for (?)] Babylon and its evil children (after Apoc. of John 16.19); so does the king of the empire [-- -] on the sea which is similar to Jerusalem. This will come upon it - - -». In the Oracle of the Potter (P2 35 = P3 58f.), «the city by the sea» (1) mapabardooiog mO6A1G), which was founded by Alexander and the Greeks, the «Typhonians» (cf. P3 1-5), will be destroyed, before the new savior king will be sent by Re and Isis; and in the Apocalypse of Elijah (26.15 ff.; see n. 79) the «metropolis by the sea» is the residence of the king (Alexander) who initially seems to bring peace, but then proves himself to be an evil king or Antichrist (cf. n. 82). Both the Oracle of the Potter and the Apocalypse of Elijah refer unambiguously to Alexandria; subsequently, the destruction of the city or the cities by the sea became a standard topos in astrological predictions of

unfortunate times !°*. In the historical context of Egyptian resentment toward the Greeks, the hope for the destruction of Alexandria made this «city by the sea» appear in the same rdle as the sinful Jerusalem of the

Jewish-Christian apocalypses /%. It is in this sense that Kustaios used «the empire [and the city (?)] by the sea» as parallel to Babylon. We may presume that, in his context, the «city by the sea» lost its geographical identity. The Manichaeans in Mesopotamia will probably have thought of one of the cities on Tigris or Euphrates since the word «sea» could be used for these rivers (ZPE 44, 1981, 272 n. 381) but the apocalyptic suitability of the «city (and realm) by the sea» was derived from the Egyptian tradition. I 3. In Hom. II 32.2ff., survivors (sons, brothers, and other relatives) speak to the dead: «Who will raise you up so that you may see the extent of joy in which we now live. Alas for you that have died and gone away before it (the joy) came». Kustaios took the passage directly from the Sha@buhragan (A-J 144ff.): «And when they will pass by a cemetery and a place of ossuaries and will see them, [then] they will remember their own family and relatives who have passed away, and they will say: ‘Alas (for) those who in that age of sin died and were lost. But who may raise up their heads from their resting-places and teach

102 ZPE 2, 1968, 187 n. 20. For Alexander’s foundation of Alexandria in the Oracle of the Potter (P3 1f.) cf. ZPE 2, 1968, 187 n. 19; for Alexander

and Alexandria in the

Apocalypse of Elijah see W. Schrage’s footnotes (n. 79); for Alexandria also cf. Oracle Sib. 5.88 and 11.234.

103 Matth. 23.37ff.; cf. p. 347; Kittel, Th. W., s.v. Xiov , A Il 5 [Fohrer].

'

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them this joy in which we now find ourselves?’». The same peculiar wish“ appears in the Oracle of the Lamb (III 3ff.; above, pp. 315f.): «The small number of men who survive in Egypt will say: ‘Would that my father and the father of my father were with me here in the good time to come’». The wish was again taken up in the Potter’s prediction of the arrival of the good king sent by Re and Isis: «Hence the survivors will pray that those who earlier died may rise so that they may share in the good

things» !°. Similarly, in the Apocalypse of Elijah (n. 79) 31.11ff., there will be an interregnum under a king hailed as just (above, # 4; cf. n. 82) before in his fourth year the Antichrist appears (above, # 5); during the good times, «the living will turn toward the dead and say. ‘Rise up and be with us in this rest’» (transl. by K.H. Kuhn). The same sentiment is phrased in 1V Esra 13.24: «Therefore know that the survivors are more blessed than those who died». The same is said by one of the Sibyls in words relatively close to those in the Manichaean apocalypses: «In his days (sc. in the days of the son of the lion), the world will enjoy prosperity so that a living man will pass by the dead one and say to him: ‘Rise up, my brother, so that you may see the

good things and the abundance - - -’» 1°. Other details of the predictions are less significant as they are natural expressions of men’s fears and experiences. Motives like weeping

people and prophets ’” or infertility of the soil, wars and murder, theft and plundering, inversion of the social’®® and political order, or 104 More frequently occurs the opposite congratulation of the dead for not having to endure the fate of the living (see n. 106 and p. 326 # II 1).

105 p, 4iff.

=

P3 67ff. mote edEaoPar tod nEpldvtac TOdG MpOTETEAEvKOTAG

avaotivai, iva petdoxywot tov &yab@v. Cf. ZPE 56, 1984, 13). 106 TY Esdra 13.24 (n. 81): scito ergo, quoniam magis beatificati sunt qui derelicti sunt super eos qui mortui sunt. Cf. 16f. vae qui derelicti fuerint in diebus illis et multo plus vae qui non sunt derelicti. qui enim non sunt derelicti tristes erunt intellegentes nunc quae sunt reposita in novissimis diebus et non occurrent eis. sed et his qui derelicti sunt propter hoc vae, videbunt enim pericula magna et necessitates multas - - -. For the Sibyl see J. Schleifer, Die Erzdéhlung der Sibylle. Ein Apokryph. Nach den karschunischen, arabischen und dthiopischen Handschriften - - -, Denkschriften der Kaiserl. Akad. d. Wissensch. in Wien, phil.-hist. Kl. 53.1, Wien 1908, 67 (18b); the passage is quoted by W. Schrage (n. 79), 250, note i.

107 See p. 300f. # 3 and cf., e.g., Or. of the Lamb (n. 89) II 12ff.: «Weh und ach tiber den jungen Knaben - - -. Weh und ach itiber die [Frauen], die junge Knaben gebaren werden - - -. Weh iiber Agypten, [das weinen wird] wegen des Fluches - - -. Es weint Heliopolis (?) - - -. Es weint Bubastis. Es weint Nilupolis», etc.

108 For example, Hom. II 8.21f. «{Alle] Freien werden klagen. Die Freien und die Sklaven - - -; 9.15ff. «Diese Freien, die Leute, die in der Welt in Freuden und Schwelgerei leben, werden zu jener Zeit und dieser - - - in [Sklaverei] und Schande (4tia) kommen. Die Jungfrauen und die verheirateten Frauen und die - - - Frauen werden in Sklaverei kommen». The Admonitions of Ipuwer (M. Lichtheim I [n. 87], 149ff.; before 1300 B.C.)

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destruction of all family ties (see p. 327f. # II 2) occur in almost all of these apocalypses with little variation. I list a few cases that have some force once the dependence of the Manichaean apocalyptic speculation from Egyptian prophecies, in my view, has been established. I 4. Hom. II 8.16 «Thousands will come for cutting the grain». In the context of war and vengeance, this could be meant metaphorically, though plundering is also mentioned (12). The Oracle of the Potter indicates a literal understanding: because of the shortage of food, there will be fights, «because somebody else will harvest and carry away what

they cultivate» 1°. According to the Admonitions of Ipuwer (6.9; see n. 108), «The grain of Egypt is ‘I go-get-it’».

focus heavily on revolutionary social changes, e.g. 2.4ff. «poor men have become men of wealth, the son of man is denied recognition, the child of his lady became the son of his maid. - - - 3.3ff. Noblewomen roam the land, ladies say: ‘We want to eat’. - - - their bodies suffer in rags. - - - Every have-not is one who has - - - citizen are put to the grindstones. - - - Those who were on their husband’s beds, ‘let them lie on boards’, [one repeats]. - - - Ladies suffer like maidservants. - - - 7.10 See, noble ladies are on boards, princes in the workhouse. - - - See, he who slept wifeless found a noblewoman. - - - See, great ladies who owned wealth give their children for beds - - -». Prophecy of Neferty (n. 87) 47 «I show you the master in need, the outsider sated. - - - 56ff.The poor will eat bread, the slaves will be exalted. - - -». Or. of the Potter (P3 44ff.; see n. 94) «the slaves

will be set free and their masters have no living» (kai oi SodA

édev8epwMbroovtar

Kali o]i KUpior adtdv Bio° denOrjcoov. Or. of the Lamb (n. 89) I 14ff. «The rich man will become poor - - -; the man who gave the orders will carry out the work». Apoc. of Baruch (n. 78) 70.3f. «Les gens indignes domineront sur les gens honorables, les gens méprisables s’éleveront au-dessus des gens respectables. - - - Ceux qui n’étaient rien domineront les forts, les pauvres surpasseront les riches en abundance» (thus also L.H. Brockington-R.H. Charles [n. 78] and P. Riessler, Altjtidisches Schrifttum ausserhalb der Bibel, Heidelberg 1927; «iibertreffen an Zahl», A.F.J. Klijn, hardly correct). Lact., Div. Inst. VII 17.9 non lex aut ordo aut militiae disciplina servabitur, non canos quisquam reverebitur (cf. n. 79), non officium pietatis adgnoscet, non sexus aut infantiae miserebitur. Ps. Methodios p. 90 Sackur: et serviunt eis qui sibi serviebant (also 13.13 of 1st and 2nd red., pp. 126 f. [A. Lolos]). Prophecy from Deir ‘Alla 1 11ff. (about 700 B.C.; see n. 122) «And the poor woman prepares myrrh while the priestess [- - -] for the prince, a tattered loincloth. The respected one (now) respects (others), and the one who gave respect

is (now) [respected]». Jamasp Namag (n. 111) 14f.: «Péndant ces temps, tiendront le pauvre pour fortuné; mais les mauvre ne sera pas fortuné. Pour pour les grands |’existence sera sans saveur. - - - 17 Celle-ci mettra a prix sa (in T. Olsson’s translation) «the insignificant and undistinguished will come 35 «a horseman will become a man on foot» and vice versa (Apocalypticism

109 8,12ff. «Die Pliinderung wird wber die Besitztiimer kommen.

les puissants les nobles et fille», and 21 into notice»; [n. 11], 33f.).

Der Krieg wird

gegen die K6nige entbrennen. Die - - - Zorn. Das Schwert wird plétzlich geziickt werden. Eine Vergeltung wird kommen, um zu vergelten. Tausend werden kommen, um das Getreide abzumahen. Der Ubeltater wird seine Vergeltung bekommen». P2 9f. = P3 21ff.

[ua]xovtar év Aiybntm 51a 16 Evdesic adtoldc slivar tpo~dv’ & yap (yap om. Po, ut videtur) yewpyovow [GAAoc Blepicag anoicetar (a. P2: [anoxwp)ijce are heavily damaged and differ in details).

P3; both papyri

L. KOENEN

325

I 5. According to Hom. II 9.15, «the error (tAGdvn) will freeze !!° to death». The same metaphor occurs in late Pahlavi apocalyptic fragments

termed Jamasp Namag from the Aydatgar i Jamaspig (chapt. 16) in which the sage Jamasp answers to a question of King Wishtasp and predicts 1,000 years (cf. n. 79) of Zoroastrian religion: during the evil times of Iran, wars and foreign invasions will occur until the new Iranian king, with the help of divine forces and in a replay of the deeds of the mythical king Manoshchihr, will overcome the enemies and

restore order, peace, religion, joy and happiness ''’. At this point, «the wicked and the dew-worshipers will be annihilated as when in a cold winter the leaves of trees wither». In a similar context, the Oracle of the Potter refers to the «foreigners falling down like leaves». 1!” The notion of freezing is, of course, un-Egyptian. I 6. According to Hom. II 39.6, under the rule of Jesus the splendor, «trees will become green (?)». In the corresponding section of the Shabuhragan (A-J 130ff.; see p. 304 # 7 and cf. p. 311) time will

no longer be measured by days, months,

and years,''? and «wind,

water, and fire will run (orderly) !!4 in the world, and rain will fall softly [and the trees] and grass and fruit and plants will grow». In the Oracle of the Potter, the good time under the new king is described in similar words: «At the end of the evil, what had been withered will be watered and bloom: The acacia which had shed (?) its leaves will bear new ones; the Nile which had been without water will come with a full flood; the winter that had changed into an untimely dress will run its proper cycle, the summer will take its proper course, and the breezes of

the winds will be orderly» /!’. As we argued before (p. 317f.), this MONAWGBE;

«vielleicht

ist 2WG6BE

‘verwelken’

gemeint», H.J.

Polotsky.

The

correction is not needed as is shown by the Pahlavi parallel here discussed.

111 B. Benveniste, «Une apocalypse pehlevie: le Zamasp-Namak»,

RHR

106, 1932,

337-380; G. Messina, Libro apocalittico Persiano: Ayatkar i Zamaspik, Bibl. Or. 9, Rome 1939 (non vidi); T. Olsson, «The Apocalyptic Activity. The Case of Jamasp Namag» in Apocalypticism (n. 11) 21-49, particularly 31ff. (I use Olsson’s English translations of parts of this apocalypse); A. Hultard, ibidem, 388-411.

112 p, 30ff. = P3 53f. tadta 58 Sota éni téde1 TOV KaK@v éxdv vAdd[poila napayévyntar sig Atyuntov tévmv avép@v. Jamasp Namag (sec. n. 111) 104. 113 Thus also in IJ Enoch, 17.3ff. (quoted in n. 81) and in IV Esra (n. 81), the day of judgment is without sun, moon, stars, night, morning, noon, evening, and seasons (7.39-42); then also clouds, thunder, winds, and rain will disappear as during the dissolution of the Manichaean world (above, # 8) wind, water, and fire will be removed

(A-J 174ff). Cf. n. 94.

114 PN. Mackenzie, Joc. cit. (n. 48) understands that wind, water, and fire will run «free».

115 p, 71ff. (cf. ZPE 13, 1974, 316ff.; P2 deviates in minor details) éni téAei 58 TOV

326

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

passage of the Oracle of the Potter is characteristically Egyptian. The preceding examples indicate an indirect debt of Manichaean apocalypticism to Egypt, while there is no sure indication for any direct use of Egyptian texts on part of Mani and Kustaios. At the same time, one of the less significant examples (# I 5) seems to connect the second Homily with Iranian apocalypticism too (see also nn. 108 and 115). Also the disorder of the climate in the Jamasp Namag ( # I 6) is a notion complementary to that expressed in the Shabuhragan by winds, rain, and fire behaving in a orderly way under the peaceful rule towards the end of time. It seems natural to explain such similarities between the Manichaean apocalypses and fragments of Iranian apocalypses, particularly the Jamasp Namag and the Bahman Yast, as the result of both being heirs to old Iranian apocalypticism. This argument would be strengthened if (as has been argued for [cf. n. 123]) similarities between the Oracle of the Potter and Iranian apocalypticism could show that the Egyptian prophecies were clearly influenced by the latter. For the same reasons, the synoptic apocalypse and those of John, Asclepius, and Hystaspes (or Lactantius’ other sources) and probably other apocalypses of the Jewish and Christian tradition would appear as members of the same Iranian family. Unfortunately, however, most similarities are fairly general. Their nature shall be illustrated by two examples. II 1. According to Jamasp Namag, it would be better not to be born or to die (70); the same sentiment occurs in the Syriac Apocalypse of Baruch with allusion to passages from the Old Testament. The Apocalypse of Esdra states, «it were better for man not to have been

born, better not be alive»’!®. Again, according to Jamasp Namag, KaKk@v [ta] Enpa motioa Exal[vO]ijoe (?)° GkavOa MvAAopotoe Kai 6 Aereic bdaci NeiAoc nenAnpmpévoc éAcvoetar Kai [6] peTHUgIeopévoc (extant in P2) yewaov id[ij@ Spapeitar KvKAM@ Kai 1d O[Epolc Ajpwetar iS1ov Spdpu[o]v [kai cd]taKtor dvéwwv n[voijai [Eoovtai]. Correspondingly, during the evil times, the crops will be destroyed by the winds (P2 7f = P3 11 and 19f.; cf. Proph. of Neferty [n. 87], 28f.), the sun will not shine (P2 6f. = P3 17f.; Proph. of Neferty 24f.; The Balaam Text from Deir ‘Alla 1 6f.; Joel 2.10 and 4.15; Am. 8.9; Is. 13.10 and 50.3; Ez. 32.7; Matth. 24.29 par.; Apoc. of John 6.12f. and 8.12; Lact., div. inst. 7.16.8; Sib. 3.800: Tib. Sib. 210 Alex.; Apoc. El. 39.16f.; Bahm. Yt. II 31; etc.), and the soil will be infertile (P2 7 =

P3 18f.); cf. Ascl. 25 (CG 6.73.11ff.); Lact., div. inst.

7.16.6f.; Jamasp Namag 26 «Et l’atmosphére sera troublée: des vents froids, des vents chauds souffleront. Les fruits des plants diminueront et le sol ne donnera plus de fruits. - - - La plui tombe hors de saison, et reste inutile et nuisible», ect.; Bahm Yt II 42: The rain does not come at the right time. Cf. J.R. Hinnells, Joc. cit. (n. 79), 136f.

16 Apoc. of Bar. 10.6: «Happy the man who was never born, or the child who dies at birth» (L.H. Brockington-R.H. Charles [see n. 78] and cf. A.F. Klijn’s note with reference to Jer. 20.14) and Apoc. of Esdra \ 21 p.25 Tischendorf (U.B. Miller in

L. KOENEN

327

«death will seem sweet to them» (16), and Bahm. Yt. Il 44 «life is not desirable and they ask for the gift of death». The thought concurs with Apoc. of John 9.6 «and in those days men will seek death and they will not find it; and they desire to die and death flees from them». This passage is quoted in the Apoc. of Elijah (25.9ff. and 27.8ff.), in Orac. Sib. II 307, and, in part, in Lactantius (7.16.12). In the second passage from the Apoc. of Elijah men will jump from rocks and ask them to fall upon them. Lactantius adds: «They will congratulate the dead and mourn the living», and, very close to the phrasing in Jamasp Namag, «life will be pleasant for no man»"'’; or in the Apoc. of Asclepius, «death will be regarded as more useful than life» (25 p. 329 mors vita utilior iudicabitur; CG 6.72.18) and, in another passage from the Coptic version, «he who is dead will not be mourned as much as he who is alive» (CG 6.71.22ff.). In the old Egyptian tradition the same thought is expressed as follows: «People go to them (sc. the crocodiles) of their own will. --- Great and small , ‘I wish I were dead’, little children say, ‘He should not have made me live’» (Adm. of Ip. 2.13 and 4.3). Further, in the introductory story of the Oracle of the Lamb, Psinyris, the recipient of the prophecy, wants his wife to drown their newly born children in order to save them from the misfortunes. Correspondingly the prophecy predicts that wise men will throw their

children into the water (II 1 [n. 89])'!*. Kustaios gives the thought a Manichaean twist: «Weep for the man who will remain in his body until

he sees the Great War» (Hom. II p. 15.25f.)'"”. II 2. In the Jamasp Namag, the mother will sell her daughter (17; Apokalypsen [n. 78], p. 85ff. with a note ad. loc. on p. 92; O. Wahl, Apoc. Esdrae, PVTG IV, Leiden 1977; R.J.A. Shutt in H.F.D. Sparks, Apocr. O.T. [n. 64], 927ff.); the first colon appears also in Apoc. of Sedrach 4.2 (O. Wahl p. 33ff.; R.J.H. Shutt p. Sone); further cf. IV Esdra 4.12; I Enoch

38.2; IJ Enoch 41.2.

117 7.16.5 tunc vero detestabile atque abominandum tempus existet quo nulli homi-

num sit vita iucunda. 12 optabitur mors et non veniet - - - gratulabuntur mortuis et vivos plangent. Also cf. n. 106 and Ps. Method., Apoc. (Ist and 2nd red.) 11.16 pp. 107ff. (A. Lolos) Kai paKxapicovei tovs vexpovc. 118 Tp, 5 (end) «If only this were the end of man, no more conceiving, no birth». Apoc. El. 28.11 (n. 79): «The woman in labor (or: «the woman who has children) - - will say: ‘Why do (or: «did») I sit on the birth-stool to bring children into the world.’ The childless and the virgin will rejoice - - -» (cf. W. Schrage’s note). Correspondingly in Jamasp Namag

(24), «qui n’a pas d’enfant, on Vestime fortuné; qui en a, on |’estime a

rien».

119 Cf, Proph. of Nef. 42. «None will weep over death, none will wake fasting for

death». The damaged passage in the Or. of the Potter (P2 23f. = P3 37ff.) which I have claimed for the same idea in ZPE 2, 1968, 204 (app. to lines 23-24) is different (see ZPE

13, 1974, 315).

328

‘“CODEX MANICHAICUS

COLONIENSIS

see n. 108), the son will strike his father and mother and deprive them of their authority, the younger brother will strike the older brother and take his possession (18f.). Similarly, according to Bahm. Yt. II 30, the friendship between father and son and between brothers will disappear; and sons and fathers-in-law and fathers and daughters will be separated and at odds with each other. Already in Hesiod’s description of the races of men, which depends on Near Eastern, though hardly Iranian sources (see p. 331f.), the present iron race is characterized by dissimilarity between fathers and sons, lack of the former hospitality and friendship even between siblings, and neglect of the aging parents (Erga 182ff.; 185 ynpdoKovtas a&tyjoovol ToKijac). The thought reappears in a more pointed phrase in Matth. 10.21 (par.) «Brother will deliver brother to death and a father his child; and children will rise against their parents and kill them». This is quoted and elaborated in the Apocr. of Esdra 3.12ff. (p. 27 Tischendorf). Also according to the Tiburtine Sibyl, brother will deliver brother to death, the parents will deny their children and the children their parents, and brothers and sisters, fathers and daughters will lie with each other (115 Alex.). Already in the Oracle of the Potter, brothers and spouses will kill each other; the virgins will be despoiled by their parents, the father will take

away the husband of his daughter and sons will marry their mothers !?°. In Egypt, the topos is old: «I show you the son as enemy, the brother as foe, a man is slaying his father» (Proph. of Nef. 44f.) and «a man regards his son as his enemy - - - A man strikes his maternal brother» (Adm. of Ip. 1.5 and 5.11). The collections of parallels could easily be expanded. There emerges a remarkable similarity of general topics and expressions in Egyptian prophecies and Jewish, Christian, and Iranian apocalypses. This observation may serve as background for our next point. II 3. In the apocalyptic context of the Bahman Yast the demons are characterized by their leather girdle (III 34); thus in the Oracle of the Potter the Typhonians, i.e. the followers of the evil god Seth, on the historic level the Greek foreigners, are called «the wearers of the girdle» (Cwvopdpot). Earlier, however, in a similar prophecy the characteristic

2° P3; 24f. tlo]itov tod yéy[oluc

[mdAewoc

Kai @6vog

(?) doeBlig

Esta tov

dderpa@v [kai tHv yapetav (cf. P2 11f.). 46ff. (cf. ZPE 13, 1974, 316) Kai ai napbévar (sic) On TOV yovéwv Pbapricovta Kai 6 iNp THs Ovyatpdc &noondosl Tov a&vdpa Kai untpoydpot é[cJovtai. For the political actualization of the topos see ZPE 2, 1968, 192.



L. KOENEN

329

feature (Kall., Hymn to Delos 183 Cwotiipac avaidéac) was attributed to Gaulish mercenaries who were said to have made an insurrection against Ptolemaios II Philadelphos and in 275 B.C., like Typhonians, were burnt to death on an island in the delta of the river Nile. At least in this context, the ‘girdle’ correctly suits historical reality. There is, however, a distinct possibility, that the term («those who wear girdles») was already used in Ancient Egypt for denoting enemies, '*! particularly since the same term now seems to occur in the description of the evil time (?) of the Canaanite prophecy from Deir ‘Alla (I 16; cf. 12) of about 700 B.C. This prophecy predicts a temporary inversion of natural and social order (see n. 108), until presumably under the rule of a savior king (the «scion») good times will return with an abundance of rain and fertility; thus the prophecy closely parallels the Egyptian type 12’. The last example may indeed be specific enough to establish a relationship between the Iranian tradition and the Oracle of the Potter. The fact, however, that the latter (overall and in details) is clearly part of the Egyptian religious, political, and literary tradition and the term «Wearer of the Girdle» is firmly located in this tradition at least since the 3rd century B.C., but most probably already before 700 B.C. if not much earlier (see n. 121), makes it very unlikely that the term originated

in the Iranian tradition and was borrowed

by the Egyptians !7?. It

121 For the details of this argument seeL. Koenen in Egypt and the Hellen. World (n. 82) 181ff., particularly nn. 105f. There also see for a discussion of the nomads «who put on the girdle (?)» in the Instructions for King Merikare (before 1400 B.C.; M. Lichtheim, op. cit. [n. 87], 104f.); W. Struve in Racc. Lumbroso, Milano 1925, 273f.

122 JA. Hackett, The Balaam Text from Deir ‘Alla, Harvard Semitic Monographs 31, Scholars Press 1984; for the wearer of the girdle see p. 56; P.K. McCarter Jr., BASOR 239, 1980, 51f. and cf. 56; B. A. Levine, JAOS 101/2, 1981, 197f. If the «wearers of the girdle» should indeed here be used in the same way as in the Egyptian tradition, then it would be evident that, at the end of «combination» 1, the predictions still concern the evil time; «combination» 2 would easily follow as part of the same prophecy (pace, e.g., H.-P. Miiller, ZAW 94, 1982, 231). In light of the Egyptian tradition, I side with H. Ringgren

for the overall interpretation (Religion och Bibel 36, 1977, 85-89 and in Apocalypticism [n. 11] 386; cf. A. Coquot

- A. Lemaire,

Syria 54, 1977,

189-208;

W.

Burkert,

also in

Apocalypticism 246). For the «savior king» in this text, see H.-P. Miiller, /oc. cit. 239. The relationship of the new text to the Egyptian tradition, however, still needs to be explored in detail, and I should stress that the interpretation of the inscription(s) is still far from a consensus. ‘

123 Thus R. Reitzenstein in Reitzenstein and H.H. Schaeder, Studien zum antiken Synkretismus, Leipzig-Berlin 1926, 44f.; cf. G. Widengren in Apocalypticism (n. 11) 108 and 114. For literature against this view see L. Koenen, Joc. cit. (n. 121) 182 n. 106. Another point of similarity between the Or. of the Potter and Iranian Apocalypticism may be the fact that the evil-doers in the oracle are called Typhonians and in Bahm. Yt. II 36 and III 3 (and frequently) «those of the family of He’m»; HeSm is one of the enemies of

330

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

might, therefore, be time to recast the traditional question and ask whether it was not Egyptian influence that, probably beginning as early as the Persian occupation of Egypt, influenced the later Iranian

apocalypses !*. The Jamasp Namag illustrates the point. Its general

focus on foreign invasions, wars, series of kings (some better than others) social upheavals, disorders in nature follow very much the same pattern as the Egyptian and Jewish-Christian prophecies of the type that

we discussed !2°. The end of the apocalypse of Jamasp Namag is marked

by the victorious king under whose rule the ideal order is restored, the evil-doers annihilated, and the religion of Zoroaster reestablished. Thus also its general structure is very much akin to that of the Oracle of the

Potter, and this observation remains to R. Reitzenstein’s credit '*°. His conclusion, however, needs to be reversed. Later Iranian apocalypticism may have well been influenced by Egyptian prophecies. We already observed that the Persian court of Schapur was exposed to JewishChristian apocalypticism when Mani produced his Shabuhragan with its renderings from the synoptic apocalypse and the implicit interpretation of the Apocalypse of John (cf. also n. 127). This result does not deny that basic eschatological ideas appearing in apocalypticism generally and in the Manichaean apocalypses in particular may nevertheless be ultimately Iranian. This applies specifically to the term of the «Great War», the opposition of Light and Darkness and their mixture, the series of the redeemers, probably the last judgment and the destruction of the world through a final ordeal by flood and good (together with Ahriman); see G. Widengren in Apocalypticism 113f. But this item does not necessarily indicate any dependence of the one tradition on the other. 4 Cf. the influence of the Egyptian calendar on the introduction of the Persian calendar between Kambyses and Alexander the Great; R. Merkelbach, op. cit. (n. 79) 27, n. 15. There were, of course, earlier and later occasions for cultural exchange between Egypt and Persia.

125 It may, however, be noted that Akkadian propheticism may also have influenced Iranian apocalypticism (see nn. 88 and 94).

126 On the other hand, it should be stressed that, in the Jamasp Namag, the 1,000 year period of flourishing Zoroastrian religion which was to be followed by a long period of catastrophies and a restoration of good Zoroastrian times suits the Iranian periodization of Heilsgeschichte (pp. 308f.), but it does not substantially correspond either to the 1,000

years of the reign of Christ (pp. 25f.) or to the 900 evil years of the Egyptian Oracle of the Lamb. The 1,000 years of the Jamasp Namag belong to the mythical past, not to the

apocalyptical future. For the same reason, they do not correspond to the period of indeterminate length during which the Manichaean church would flourish (pp. 300f. # 4). Nevertheless, some similarity to the Christian theological speculation can be seen in the fact that the 1,000 years of Christ’s apocalyptic reign correspond original life in paradise (n. 79).

to the length of the

L. KOENEN

331

fire, and certainly the New Aion with the prison of evil in its center (see n. 72). Though I have sketched the development from Egyptian political prophecies which legitimized the new king (Neferty) to apocalypse (Asclepius) as an inner development in times in which people could no longer imagine a king fulfilling his rdle of pharaonic kingship (pp. 314ff.), this process may very well have been additionally influenced by Iranian apocalypticism, particularly since the teleological view of history as expressed in proper apocalypticism was an idea alien to Egyptian thinking. It is indeed significant that the Oracle of the Lamb, in which the idea of a cosmic cycle seems to appear in an early form (see pp. 315f.), at the earliest was composed during the Persian occupation of

Egypt. At the time when Mani composed his Shabuhragan and Kustaios his homily, the apocalyptical concepts had long become common stock and were mingled with, and modified by, Egyptian and Jewish-Christian traditions. Eschatological wars and victories, the appearance of the periodic prophet or redeemer, destruction of the world mainly by flood and fire, a system of periodic renewals, the last judgment and ultimate punishment, and the structural scheme in which they are organized had been, and continued to be, embraced by Jews and Christians. An additional factor in the amalgam was the fact that, since the days of Hesiod (about 700 B.C.), the series of the four races of gold, silver, bronze, and iron, each worse than the preceding one (Erga 109-201), had become part and parcel of the Greek culture, although it was of marginal importance during the classical period. From the fact that Hesiod inserted a separate race of heroes after the third race where it does not fit into the degenerating order, it becomes evident that he knew the four races from a Near-Eastern, probably Mesopotamian source. Around 300 or 200 B.C. either the same source or the Hesiodic tradition influenced Iranian apocalyptic speculation. Thence the idea of the four empires characterized by four metals was taken up by the apocalyptic

dream and prophecy in Daniel '?’. Hesiod added a desperate wish to his 27 For the analysis of the passage in Hesiod see M.L. West’s commentary (Oxford 1971); J.P. Vernant, RHR 159, 1960, 21ff. (= Mythe et pensée chez les Grecs, Paris 1965, 13ff.); B. Gats, Weltalter, goldene Zeit und sinnverwandte Vorstellungen, Spudasmata 16, 1976; and W. Burkert in Apocalypticism (n. 11) 244. The Iranian concept of four or seven metallic ages (now see S.S. Hartman and G. Widengren in Apocalypticism 61ff. respectively) is relatively late (around 300 B.C.) and not genuinely Iranian, though, as M. Boyce (above, n. 76; pp. 70ff.) has convincingly reasoned, the treatment in Daniel depends on the Iranian concept of the evil nature of mixture (i.e. the mixture of iron and dross). For this reason I do not follow W. Burkert’s hypothesis that Hesiod’s and Daniel’s source was

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MANICHAICUS

COLONIENSIS

narrative on the evil iron age (Erga 175): «Would that I had been born earlier or later (than the iron race)!». Scholars are now inclined to take the «later» as part of a polar statement without specific meaning. In the context of the Erga, however, Hesiod’s wish seems to imply the possibility that a subsequent race could come that would be better than the present race. In the same way his heroic race was «more righteous and better» than the preceding race (158). He, apparently, did not know of any prophecy about such a new better creation, but hoped that moral improvement,

not a destined

sixth race

or period,

would

lead to the

restoration of a better time /”*. That Mani and his followers knew of Hesiod or traditions influenced by him is unlikely. That, living in Mesopotamia, he had easy access to Zoroastrian views, is obvious; his religious thought was nevertheless deeply influenced by the ubiquitous Jewish-Christian apocalyptic traditions, particularly by those nourished by the baptists among whom he grew up. Apocalyptic wars, the cyclic epiphanies of the prophet, the last judgment, and the final rest (&vamavoic) were Elchasaite beliefs, and a substantial section of the Book of Elchasaios was apocalyptic. These traditions gave him a starting point for his own apocalyptic speculation. He grew up in what was already a web of multicultural threads, and, following his goal to interpret all religion as the accumulated sum of the truth revealed by previous prophets and saviors, he continued further to interweave them into a new garment, the individual threads of which were no longer capable of being distinguished.

an Aramaic Sibyl of the 8th cent. For the cosmic cycles and conflagration of the Stoics see ni95: Hesiod

attests the view that the life time becomes shorter from race to race; this motive (implicit also in Genesis) reappears in the apocalyptical topos that, at the end of time, years, months, and days will be shortened (Lact., Div. inst. 7.16.10 and frequently; cf. Matth. 24.22 par.). Hence its recurrence in Iranian apocalypticism (Bahm. Yt. II 31) is another sign of the influences either of Jewish-Christian or Mesopotamian notions (pace G. Widengren views as lately expressed in Apocalypticism

{n. 11], 123).

8 For the ‘polare expression’ see the literature listed by M.L. West (n. 127). He adds however that Hesiod’s inner convictions need not to have coincided with the myth he was telling. «Although the myth has no place for a brighter future, it may be that he is here betraying his own assumption that better times will come».

Mani, der neue Urmensch Eine neue Interpretation der p. 36 des Kolner Mani-Kodex Cornelia ROmMER, K6ln

Der Mythos, der den Manichdéern Grundlage fiir ihre Religion und Garantie fiir Erlésung bot, bleibt im K6lner Mani-Kodex im Hintergrund. Darin unterscheidet sich die Schrift von fast allen anderen manichdischen Originalschriften, die uns erhalten sind. Dort nadmlich wird immer wieder auf die Mutter des Lebens und den Urmenschen, der als erster gegen das Reich der Finsternis ausriickte, sowie auf den Lebendigen Geist und Seine Sdéhne, die die Welt erschaffen haben, Bezug genommen. Nichts davon finden wir im K6lner Kodex. Die Nennung dieser Gestalten scheint geradezu absichtlich vermieden zu werden; an der Stelle, wo offensichtlich von der Erschaffung der Welt die Rede ist, wird die unpersénliche Passivkonstruktion verwendet (CMC p. 65,15-18).

Das Zuriicktreten der mythischen Gestalten mag in der Thematik des Kodex begriindet sein oder das Publikum beriicksichtigen, fiir das die Schrift bestimmt war. Aber auch der Urmensch, dessen Schicksal so eng mit Mani und seiner Mission verbunden ist, tritt im K6lner Kodex

nicht deutlich genannt hervor. Zundchst der Materie unterlegen, dann jedoch gerettet wurde der Urmensch zum Vorbild fiir jeden Menschen, ganz besonders aber fiir die Apostel in ihrer jeweiligen Generation. So wie der Urmensch durch seinen Kampf die spatere Errettung der Menschen erst méglich machte, tritt Mani als sein letzter Nachfolger auf den Plan, um durch die Verbreitung seiner Offenbarung und die Griindung seiner Kirche den Menschen Erlésung zu erméglichen.' 1 Die Gleichsetzung Manis mit dem Urmenschen wird deutlich z.B. im Psalm 227 des koptischen Psalmbuchs (A Manichaean Psalmbook, ed. C.R.C. Allberry 22,6-10. Die Gnosis III, ed. A. Boéhlig 244) «Dies ist der Weg der Wahrheit... Er ist der Weg von

Anfang an, der Erste Mensch (=der Urmensch) und Jesus der Glanz und der parakletische Geist (= Mani)». Im Zyklus der manichdischen Feste galt das erste Fest dem Urmenschen, das letzte Mani (vgl. W. Henning, The Manichaean Fasts, JRAS 1945, 146-164 = Selected Papers II 205-223, besonders 148 bzw. 207; Hinweis von W. Sundermann). Vgl. H.-Ch. Puech, Der Begriff der Erlésung im Manichdismus, Eranos-Jahrbuch 4, 1936,

334

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

Anspielungen auf den Mythos fehlen jedoch nicht vdllig. Diese Anklange bestehen zum Teil in der Wortwahl, in anderen Fallen ist es die Aufeinanderfolge von Textabschnitten, die einen im Sinn des Mythos signifikanten Zusammenhang ergeben. Als der Herrscher der Finsternis ein Auge auf das Lichtreich geworfen hatte, schickte der Vater der Lichter den Urmenschen zum Kampf gegen das Reich der Finsternis aus. Der Unmensch stieg geriistet mit der lebendigen Seele herab und wurde zunachst von den Machten der Finsternis besiegt. Darauf schickte der Vater der Lichter den Lebendigen Geist herab. Dieser rief den Urmenschen an, der Urmensch antwortete, wurde gerettet und wieder heraufgeholt zum Reich der Lichter. Ein Teil seiner Lichtseele bleibt unten zuriick. Dies ist kurz zusammengefasst das Schicksal des Urmenschen. Die Quellen fiir diesen Mythos sind zahlreich 2. Drei Hauptelemente lassen sich herausarbeiten: 1 Der Urmensch wird geriistet und in den Kampf entsandt. 2 Er gerat unter die Machte der Finsternis. 3 Der Lebendige Geist wird losgeschickt; er ruft den Urmenschen. Der Urmensch antwortet und wird erlést. Es ist nun zu fragen, in wieweit sich diese Hauptelemente des Urmenschenmythos im Kélner Mani-Kodex bezogen auf Mani wiederfinden lassen. Punkt 1 Der Urmensch wird geriistet und in den Kampf entsandt. Im 9. Kapitel der Kephalaia besteht die Riistung des Urmenschen aus seinen 5 Zeichen (MEINE) oder 5 Mysterien*. Er erhdlt diese 5 Zeichen zweimal: Zum erstenmal von der Mutter des Lebens als Riistung fiir den Kampf; zum zweitenmal als Zeichen der Errettung von dem Lebendigen Geist. Diese 5 Zeichen der Errettung entsprechen den 5 Riten der Manichaer. Das sind der Friedensgruss (cipjvn), die Rechte (OYNEM), der Kuss (Gonacudc), die Proskynese (npooKtvyjoic) und die Handauflegung (yeipotovia). Die Handauflegung ist im Mythos deutlich von der Rechten unterschieden. 222-237, wieder abgedruckt Darmstadt 1977, 171-180.

in Der

Manichdismus,

herausgegeben

von

G. Widengren,

2 Acta Archelai, ed. Beeson VII 9-10, Ubersetzung in Die Gnosis III 124; Theodor barKonai, Liber Scholiorum XI, Adam? 16-18; Fihrist des Ibn an-Nadim, B. Dogde II 779-781, Adam? 120ff.; Kephalaia, Kap.[X 37,29-42,23 = Die Gnosis III 212-216. Vgl. auch z.B. Psalm 233 (Psalmbook 9,2-10,32, Die Gnosis III 120); Kephalaia, Kap. IV 25,7-27,31 = Die Gnosis III 160; Kap. XXXIX 102,13-104,20= Die Gnosis III 165.

> Kephalaia I edd. H. J. Polotsky und A. Béhlig, Stuttgart 1940, p. 37, 29-42,23= Die Gnosis III 212-216.

CORNELIA

Im dem

ROMER

9. Kapitel der Kephalaia

Mysterien des Urmenschen

335

werden

zuriickbezogen.

Durch

diese 5 Riten auf die die Riten wird somit

die Rettung des Urmenschen symbolisch wiederholt. Diese Vorstellung diirfte bei den Manichdern recht lebendig gewesen sein; auch nach den Acta Archelai hat das Reichen der rechten Hand (6€€1d) seinen Ursprung im Mythos des Urmenschen. Wenn sich zwei Manichder begegnen, voliziehen sie, indem sie sich die Hand reichen, den Akt der Errettung des Urmenschen nach*. Wir wissen, dass die Mandaer den Ritus der Handauflegung aus dem Mythos herleiteten°. Von diesen 5 Zeichen werden 3 im Kodex genannt. 1) Die Erste Rechte. Sie erscheint auch hier als Symbol der Rettung. Von ihr und dem Vater kommen die trefflichsten Ratschliisse, die der Syzygos Mani tiberbringt (CMC p. 19,2-7). 2) Die Proskynese. Sie ist das Zeichen der neu Bekehrten. Soweit unser Text erhalten ist, vollzieht Mani zweimal die Proskynese vor dem Syzygos und zwar jeweils, nachdem er eine Offenbarung von ihm erhalten hat (das ist zum erstenmal nach der ersten Offenbarung (CMC p. 36) und zum zweitenmal nach dem Sendungsbefehl (CMC p. 105). 3) Die Handauflegung. An drei Stellen im Kodex erklart Mani, dass er die Handauflegung erhalten habe. Die drei Textstellen gehéren in ein Exzerpt des Baraies, in Manis Brief an Edessa und in das Lebendige Evangelium. Im Exzerpt des Baraies (CMC 20. 1ff.)° heisst es: «Er (der Syzygos) brachte die beste Hoffnung (das ist sinngemadss erganzt), Befreiung fiir die Dulder, die wahrhaftigsten Lehren und Einsichten, sowie die Handauflegung (yeipo8ecia), die von unserem Vater kommt». In seinem Brief an Edessa schreibt Mani (CMC p. 64. 8 ff.) 7; «Die Wahrheit und die Geheimnisse, tiber die ich rede, und die Handauflegung, die ich besitze, habe ich nicht von Menschen empfangen oder von fleischlichen Geschépfen, ferner auch nicht durch die Lektiire von Schriften»*. In dem Lebendigen Evangelium berichtet Mani (CMC p. 69,20-70,3): «Er (der Syzygos) kam zu mir und hinterliess mir die beste Hoffnung, die auf der Unsterblichkeit beruhende 4 Kap. VIII ed. Beeson p. 11,1-3. 5 K. Rudolph, Die Mandaer II 188ff. ® 20,1... d]plioltinv éanida]/[kai] axodbtpwow TA[N]/[thKoIc Kai Tag GAnOeota- / 4tac bnobiKas te Kai yv@ / was Kai tiv éK Tob hue / tépov NaTpdc xELpobEciav. 7. 64,8 tiv GAnOeiav Kai ta & / NOppyta Gnep Siaréyo / por - Kai h xE1pobecta ob / oa nap’ poi, od« &E dvOpanav / 12 gdthv mapérAaPov ff cap / KIK@v TAGOUATOV, GAN od / 58 EK TOV OWIMAV TOV / Ypagav. 8 69,20 agi[kd] / wevoc 5& mpdc [WE KEK] / wiKE por éAn[id5a tHv G] / piotnv Kai

A[btpwoww] / 7 tiv tig GDavaciag Kai b / nobrKac GAnOEig Kai thy / xelpo8Eciav THY é« tod / * natpdc tod god.

336

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

Erlésung, wahre Instruktionen und die Handauflegung von meinem Vater». An allen drei Stellen handelt es sich um die Zusammenfassung von Geoffenbartem, in allen drei Fallen wird die Handauflegung als Teil des Offenbarungsinhaltes genannt. Sie erscheint als hypostasierte Gabe. Zunichst ist zu fragen: Ist die Handauflegung, die Mani vom Vater bekam, wie er sagt, die 1. Handauflegung, also die der Aussendung zum Kampf, oder die 2., also die der erfolgten Rettung? Ich glaube, dass diese bei Mani zusammenfallen. Im Ritus wird nach den Angaben der Kephalaia die 2. Handauflegung als Symbol der Rettung wiederholt. Manis Rettung ist aber zugleich seine Aussendung. Nach der Offenbarung durch den Syzygos ist Mani sich nicht nur tiber seine Herkunft im klaren, das heisst, er besitzt die Gnosis und ist damit gerettet, sondern auch iiber seine Aufgabe. Das heisst, Aussendung und Rettung fallen bei ihm zusammen. Es gibt im K6lIner Mani-Kodex eine Textstelle, an der Mani das Zeichen des Urmenschen, die Handauflegung zu erhalten und damit geriistet zu werden scheint. An die pp. 35/36 fiigte sich unten eines der Fragmente an, die inzwischen lokalisiert werden konnten. Es handelt sich um Fragment 6°. Durch den neu hinzugewonnenen Text lasst die Seite eine neue Interpretation zu. Auf p. 35 unten ist durch das neu angesetzte Fragment ein Zeugenwechsel sicher geworden. Wir sind also oben auf der p. 36 am Beginn eines neuen Exzerptes. Der Gewahrsmann bleibt leider unbekannt. Auf p. 36 setzt das zweite Redepaar zwischen Mani und dem Syzygos ein. Mani hat hier die erste Offenbarung bereits erhalten. Er tritt hier mit Bitten an der Syzygos heran. Der Zwilling antwortet darauf in einer Rede, die p. 38,7 beginnt und bis p. 41,5 reicht. Die Reihenfolge seiner Antworten richtet sich genau nach Manis Bitten. Rede und Antwort sind streng parallel aufgebaut. Es ist daher an einigen liickenhaften Textstellen méglich, den Sinn jeweils aus der Bitte oder der Antwort darauf zu rekonstruieren. Zunachst zu Manis Rede (p. 36,4ff.): Nach einer Einleitung bittet Mani den Syzygos um folgendes: Er méchte den Siindern Vergebung bringen (36,23ff.), von niemandem an Weisheit iibertroffen werden (37,2ff.) und stets ohne Krankheit und Gefahr sein (37,4f.). Die siegreichen Seelen sollen bei ihrem Ausgang aus der Welt den Augen aller Menschen sichtbar sein (37,6ff.). Ausserdem médchte Mani immer vor

° Vgl. ZPE 58,1985, 48-49.

:

CORNELIA

ROMER

337,

seinen Feinden verborgen bleiben (38,2 ff.) 1°. Alle diese Bitten betreffen Manis Aufgabe auf der Erde. Zunachst geht es dabei um seine eigene Person, die zu der Aufgabe entsprechend ausgeriistet sein muss, das heisst hier, ohne Krankheit und von keinem an Weisheit iibertroffen. Vergleichbar sind die vier Zeichen oder Gunstbeweise, die Vischtaspa

von Zarathustra erbittet '}. Die siegreichen Seelen, das heisst die Lichtteile der Verstorbenen, sollen den Augen aller Menschen sichtbar sein. Mani bittet also hier um den Erfolg seiner Mission. Wenn die Lichtteile auf der Sdule der Herrlichkeit zum Mond aufsteigen, sollen alle Menschen sie als siegreich, gerettet erkennen. Die Naturerscheinung der Mondphasen, des zu- und abnehmenden Mondes, wird dabei zum sichtbaren Beweis der Richtigkeit des manichdischen Glaubens 7”. Wenden wir uns aber der Einleitung von Manis Rede zu. Sie steht auf der p. 36, an die das neue Fragment angesetzt wurde. Sinngemdss

konnte der Text etwa folgender sein }°. 35,23 36,1

4

8

Kpv7]tac Kai &nopprtovc anEKGAvDWEV LOL, TPdG0EV avTOD TPOGKLVHGAS sinov’ tadta d&nep aiToba Tapa cod, didovTal “OL Kai ODLLTApApevodoiv LoL KATA Tavta KaIpov UT amoKpvMTOWEVA, GAAG TPO[S1Aw]¢ 61a TOV YEI-

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37,23 K[ai naddw, Stav nEepirny) / 38:1 96@ bxd OAiwews 7 81 / wyLavV, GnoKpvpa

an’ Eu / npoobev tav &yOpav / “pov. 11 Zartusht Namah, jetzt bei M. Boyce, On the Antiquity of Zoroastrian Apocalyptic, BSOAS 1984,60: «Gu&tasp, having accepted the faith from ZarduSt, asks to have his belief confirmed by the granting of four boons: 1. that he shoult behold in spirit the place he will

occupy in the new world, 2. that his body should be made invulnerable, since he will have to fight in defence of the faith, 3. that he should be given wisdom to know the future and 4. that until the resurrection his soul should not leave his body».

12 Vel. A. Henrichs, L. Koenen, ZPE 19,1975,37 Anm. 73. 13, Vg1. ZPE 58, 1985, 48-49.

338

CODEX

12° 16

20

MANICHAICUS

COLONIENSIS

[p@v cov PaiwyEva [époi te Kai nGJow d—bad[oic avOpamav [aitodwor tv] Sbvapiv [tv pvotnpijov, iva mpa[Em adta talic yEpot pov i,Kestinee Ka]tTa Mav[ta ténov Kai ndoa]s¢ Ko[Waco Kai MOAEIC

«Als er mir die verborgenen und unaussprechlichen Erkenntnisse gezeigt hatte, fiel ich vor ihm nieder und sprach: ‘Was ich von Dir erbitte, wird mir gegeben und wird allezeit bei mir bleiben, nicht verhiillt, sondern offenkundig durch Deine Hande mir und den Augen

aller Menschen’». Z.16ff. etwa: «Und ich bitte um die Kraft der Mysterien, damit ich sie mit meinen Handen ausfihre... in allen Orten, Dorfern und Staddten». Diesem Text sei zundchst die Passage aus dem 9. Kapitel der Kephalaia gegeniibergestellt, an der der Urmensch die erste Proskynese vor der Mutter des Lebens vollzieht und von ihr die erste Handauflegung erhalt (Kephalaia p. 38, 30-39,7) 14. «Die erste Proskynese ist die, mit der der Erste Mensch Verehrung erwies, als er in die Tiefe drunten auszog. Er beugte sein Knie und warf sich vor dem Gott der Wahrheit und allen: Aeonen des Lichts nieder, die zum Hause seiner Leute gehdren, wobei er sie bei seinem Auszug um Kraft zu seiner Begleitung bat. Die erste Handauflegung ist die, welche die Mutter des Lebens dem Haupte des Ersten Menschen auflegte. Sie bewaffnete ihn, machte ihn stark, legte ihm die Hand auf und sandte ihn in den Kampf.

Er zog hinab und vollbrachte seinen Kampf unter den grossen Kraften und Feinden». Der Proskynese folgt in beiden Fallen die Bitte um Kraft. Im 9. Kapitel der Kephalaia erhalt der Urmensch daraufhin die Handauflegung. Auch Mani bittet um Kraft (Z. 16 aitoduar thv Svvaptv). Die Erganzung tv pvotnpiwv ergab sich aus dem folgenden. Mani méchte das Erhaltene mit seinen Handen ausfiihren (Z.17-18). Mysterium bedeutet hier: Mysterium des Urmenschen, also Ritus, den Mani mit seinen Handen ausfiihren wird. Als Symbol der Errettung des Urmenschen bleibt der Ritus selbst Heilsgeschehen, das von Mani vermittelt

wird. Uber Manis

weitere Bitten in dieser Rede

4 Ubersetzung nach A. Bohling, Die Gnosis III 213.

war

bereits bemerkt

CORNELIA

ROMER

339

worden, dass sie sich alle auf Manis Aufgabe auf der Erde beziehen. Die Mysterien sind die Grundlage fiir diese Aufgabe. An dieser Stelle ist es nétig, den Gedankengang kurz zu unterbrechen und auf die Bedeutung und Anwendung der Handauflegung bei den Manichaern zu sprechen zu kommen. Es wurde oben bereits erwahnt, dass sie zu den fiinf Riten gehdrt, die auf die 5 Zeichen des Urmenschen zuriickbezogen werden, die dieser nach seiner Rettung erhielt. An der entsprechenden Textstelle in den Kephalaia heisst es (Kephalaia p. 40, Z.6ff.): 15 “Die zweite Handauflegung ist folgende: Als der Lebendige Geist den Ersten Menschen aus dem Krieg heraufgeholt und ihn aus allen Wogen gerettet hatte, da holte er ihn herauf, schenkte ihm Ruhe in den grossen Aeonen des Lichts, die zum Hause seiner Leute gehdren, und stellte ihn vor dem Vater, den Herrn des Alls,

hin. Als er nun zum grossen Vater der Lichter hinaufging, da kam zu ihm eine Stimme aus der Hodhe und sprach: «Setzet meinen Sohn, meinen Erstgeborenen, zu meiner Rechten, auf dass ich alle seine Feinde als Schemel unter seine Fiisse, lege». Da empfing er die grosse Handauflegung, damit er zum Anfiihrer (4pyny6c) seiner Briider im neuen Aeon wurde. Entsprechend dem Mysterium der zweiten Handauflegung ist diese Handauflegung entstanden, die unter den Menschen geiibt wird, wenn sie sich einander die Hand auflegen, weil der Grosse dem Geringeren Macht (£&0voia) verleiht». Diese Textstelle ist in zweierlei Hinsicht lehrreich: 1. Sie zeigt, dass die Handauflegung fiir den Urmenschen zum wichtigsten Zeichen oder Mysterium wird, das ihn endgiiltig aus der Finsternis reisst. 2. Macht die Textstelle deutlich: Durch die Handauflegung wird die Kraft, die ein Grésserer besitzt, einem Kleineren weitergegeben. Ein in der Gnosis weiter Fortgeschrittener gibt seine Kraft weiter. Dieser Aspekt wird im folgenden in den Kephalaia weiter ausgefiihrt. Zunichst heisst es da, bestanden diese 5 Mysterien nur im gdttlichen Bereich, dann wurden sie durch einen Apostel in der Welt verkiindet. Dieser Apostel baut damit seine Kirche. Er weiht namlich Lehrer, Diakone und Presbyter mit der Handauflegung. Noch einmal seien hier

die Kephalaia zitiert (Kephalaia p. 42, 3ff.)*°: «Man mége finden, dass

die Handauflegung bei Euch viel gilt und Ihr Ehre und Proskynese den

15 (bersetzung nach Die Gnosis III 214-215; zu den Riten der Manichder siehe H.-Ch. Puech, Annuaire du Collége de France, Paris 1967,260-263; 1968,297-303; 1969,283; 1970,288-297; 1971,269-275 = Sur le Manichéisme et autres essais, Paris 1979,355-389 (Interpretation des Kap. IX der Kephalaia). 16 (bersetzung nach Die Gnosis III 216.

340

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Lehrern, Diakonen und Presbytern erweist, die ich geweiht habe, und an denen ich die grosse Handauflegung vollzogen habe. Denn sie stehen in einem sehr grossen Mysterium. Wer die Handauflegung in ihrem géottlichen Charakter, die auf das Haupt des Herrn gelegt ist, verwirft, verachtet und fiir nichts halt, der tut vor Gott und auch vor mir grosse Siinde». Zusammenfassend ldsst sich feststellen: Die Handauflegung bedeutet die Vermittlung einer gottlichen Kraft. Sie wird von einem, der die vollkommene Gnosis besitzt, einem anderen, der diesem Ziel zustrebt, weitergegeben. Der Apostel bringt die Handauflegung in die Welt und bildet durch sie seine Kirche, indem er die Hauptwiirdentrager dieser Kirche mit der Handauflegung weiht. In dieser Bedeutung wird es leicht erklarlich, weshalb an den drei Textstellen im K6lner Mani-Kodex die Handauflegung als Offenbarungsinhalt erscheint. Sie ist nicht nur Zeichen der Errettung, sondern auch Grundlage fiir die Errichtung der Kirche, Manis vorziiglicher Aufgabe. Natiirlich kannten die Manichder auch die andere Bedeutung der Handauflegung, namlich die Handauflegung bei Heilungen. In dem

soghdischen

Text,

Blatt

18224,'’

bittet

ein

Miéissionar

Jesus

im

Gebet folgendermassen um Hilfe: «Schaffe diesem Madchen

Besserung

und

vor

Hilfe durch

meine

Hand,

auf dass

Deine

Gottlichkeit

allem

Volke sichtbar sei». Die Handauflegung war ausserdem bei den Manichdern wohl nicht nur fiir die Weihe von kirchlichen Wiirdentrigern bestimmt, wie es die Kephalaia deutlich machen (s.o.) (darin zeigt sich vielleicht nur der spezifisch christliche Zug der Kephalaia). In einem parthischen Text

(M47)"* erhalt ein Neubekehrter von Mani sofort die Handauflegung. Bei den Mandaern ist die Handauflegung z.B auch Teil des Taufritus 19.

Die herausragende Bedeutung dieses Ritus fiir die Errichtung der Kirche, um die es Mani geht, ist in beiden Fallen gegeben. Wenden wir uns nun der Antwort des Syzygos auf Manis Bitte nach der Kraft der Mysterien zu. In der Antwort des Zwillings werden die Dinge, um die Mani gebeten hat, 5mpeai, Geschenke genannt. Der Syzygos sagt (CMC p. 38, 7ff.): «Von diesen Gaben, um die Du mich gebeten hast, wird eine einigen gegeben, ndmlich den Briidern und

” Herausgegeben

von

W.

Sundermann,

Mitteliranische

manichdische

kirchengeschichtlichen Inhalts, Berliner Turfantexte IX, Berlin 1981,47.

'8 Herausgegeben von W. Sundermann, a.a.O. 101.

'? K. Rudolph, Die Mandaer II 188 ff.

Texte

CORNELIA

ROMER

341

Schwestern (der Text im folgenden ist sehr liickenhaft und braucht hier nicht herangezogen zu werden)» *°. Die Briider und Schwestern sind die Eclecti und Eclectae. Sie werden auch in dem manichidischen Bet- und Beichtbuch so bezeichnet*!. Die Antwort passt zu Manis Bitte. Die Eklekten werden die ersten sein, denen Mani seine Handauflegung weitergeben wird. In den Zeilen 19 und 20 der p. 36 bittet Mani also entsprechend, falls richtig erganzt (vg1. oben p. 338), um die Verbreitung der Mysterien und die Errichtung der Kirche. Also etwa: kata ndvta tomov Kai TACAG KOWASG Kai NOAEIC, «in allen Orten, Ddrfern und Staddten». Wie ist nun Manis Satz zum Beginn seiner Rede zu deuten (p. 36, Z.4-13), «Was ich erbitte, wird mir gegeben und wird allezeit bei mir bleiben, nich verhiillt, sondern offenkunding durch Deine Hande mir und den Augen aller Menschen». Der erste Teil geht sicher auf Matthaus 7,7 (parall.) zurtick: «Bittet, und es wird Euch gegeben; suchtet und ihr werdet finden;

klopfet und es wird Euch aufgetan. Denn jeder, der bittet, empfangt». Der Satz ist also keine Frage, wie etwa: «Wird mir das, worum ich bitte, gegeben werden?». Wir wiirden erwarten, dass der Syzygos dann zunachst auf diese Frage antwortet. Das tut er aber, wie wir oben gesehen haben, nicht, sondern geht direkt auf die Bitte nach den dm@peai ein. Woher aber bezieht Mani seine Sicherheit? Die Hande, die in: Z.11-12 erwahnt werden, legen die Vermutung nahe, dass Mani die Handauflegung hier empfangt als Zeichen der Errettung wie der Urmensch. Daher ist die Erfillung sicher und offenkundig durch die Hande. Manis Bitte im folgenden bezieht sich auf die Weitergabe der Handauflegung. Darauf weist auch schon das «mir und den Augen aller Menschen» in den Z.12-13 hin. Die d0vapic, um die er bittet (Z.16), ist die Kraft der Mysterien. Hier sei kurz eine andere Interpretationsméglichkeit erwahnt, die

jedoch auf Schwierigkeiten stésst. Im 2. Korintherbrief 12,12 spricht Paulus von den onpsia tod &mootoAov und nennt onueia, tépata und dvvapueic. Entsprechend konnte man geneigt sein, hier eine Bitte um das Wirken von Wunderzeichen zu sehen. Dann wiirde Mani zunachst sagen (36, Z.4-11): Was ich

20 38.7 tac Swpsac tavtac / *® donep Ariow nap’ nod, / Tioi pév pia EE adtav / [SiSo]ta1 toig adeA@oic / [Kai Taig a5EAQ] aig ToIg Ka / Me. e 71 Herausgegeben von W. Henning, APAW 1936 X p. 25 = Selected Papers I 439; Die Gnosis III 219.

342

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MANICHAICUS

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erbitte, wird mir gegeben und allezeit bei mir bleiben, offenkundig durch meine Hadnde, 51a tv yelpm@v pov. Der Text kénnte dann > weitergehen (16-17): [Ex@ yap thy] Svvapw [tOv anootdA]@v «denn ich habe von dir die Kraft der Apostel, damit ich sie mit meinen Handen ausiibe». Die Schwierigkeiten der Interpretation sind folgende: 1. Impliziertes Sbvapw mpatte ist unidiomatisch. 2. Die Erwahnung der Hande kénnte zwar auf Wunderheilungen hinweisen; aber warum sollten sie zweimal genannt werden (Z.10 und 18)? Im Kodex kommt nur eine Wunderheilung vor, und die findet lange nach Manis Missionsantritt statt (CMC p. 122,9ff). 3. Die von Mani aufgezahlten Bitten umfassen nicht nur solche, die er mit seinen Handen ausfiihren kénnte; er bittet vielmehr um eigene Weisheit und Gesundheit und dass alle Glaubigen die aufsteigenden Seelen im zunehmenden Mond sehen konnen (S.0.). 4. Auf p. 40 werden tépata tod wevddouc, «Trugbilder der Liige», erwahnt, die gegen die Guten zum Kampf angetreten waren, aber durch das Erscheinen der Zeichen der Wahrheit zurichte gemacht wurden. Das bezieht sich auf die Vergangenheit und ist, wie es scheint, Belehrung tiber den Urkampf. Die paulinische Interpretation wird der Textstelle also nur unvollkommen gerecht. Es ist ausserdem an die besondere Bedeutung der

Hand in der manichdischen Lehre zu denken, die ich anfangs darzustellen versuchte. Eine Anspielung auf die paulinischen onyeia mag vorhanden sein, jedoch sind diese hier mit anderen Inhalten gefiillt. Die besprochene Szene scheint im Anklang an den Mythos des Urmenschen, wie er in den Kephalaia dargestellt ist, komponiert zu sein. Sie stammt aus einem Exzerpt, dessen Gewahrsmann wir nicht kennen. Der Kompilator hat das Exzerpt an eine Stelle im Ablauf von Manis Lebensgeschichte gestellt, wo sie am besten als Parallele zum Mythos des Urmenschen hinpasst, namlich nach der Offenbarung durch den Syzygos. Damit beginnt Manis Kampf, zu dem er an der oben besprochenen Stelle geriistet wird wie der Urmensch zu seinem Kampf. Fiir den Kampf des Urmenschen wird im koptischen Text der Kephalaia das griechische Wort &y@v gebraucht. Dieses Wort bezeichnet auch im CMC Manis Kampf auf der Erde. Auf p. 106 Z.3 nennt Mani selbst seine Auseinandersetzung mit den Taufern einen ersten @y@v, dem andere folgen werden. Vergleichen wir kurz, wie es dem Urmenschen erging, als er noch vom Auszug in seinen Kampf entfernt war, und Mani, als er die Offenbarung des Syzygos noch nicht erhalten hatte. Schon damals

CORNELIA

ROMER

343

wurde Mani von den Engeln beschiitzt (CMC p. 3, (2) ff.): 514 c8Evouc TOv GyyéAwv é&MvuAdyOnv Kai tov SvvdpEwvV Tig SoldtHTOS TAV eyyeiprobe1o@v Thy suv TapagvAaknyv. Auf p. 11, (7) ff. berichtet Mani dhnliches iiber seine Jugendzeit seit Eintritt in die Taufergemeinde. Wieder gibt es vergleichbares aus dem Mythos des Urmenschen nach dem 9. Kapitel der Kephalaia (p. 38,

Z.15ff.)?”. Bevor dieser loszieht, heisst es dort: «Die Gétter und Engel zogen mit ihm und begleiteten ihn und gaben ihm ihren Friedensgruss, ihre Starke, ihren Segen und ihre Siegeswiinsche». Den zweiten Punkt im Urmenschenmythos, «Der Urmensch gerat unter die Machte der Finsternis», kénnen wir schnell iibergehen, da er fiir Mani entfallt, der schon in der Materie seines Leibes gefesselt ist. Wir kommen somit gleich zu Punkt 3: Der Lebendige Geist wird losgeschickt; er ruft den Urmenschen. Der Urmensch antwortet und wird erlést. Der Ruf des Lebendigen Geistes weckt den Urmenschen unten in seiner Gefangenschaft. Wenn der Urmensch antwortet, ist er erwacht und hat seine alte Identitat wiedererkannt. Schlaf charakterisiert nach gnostischer Auffassung den Zustand der Seele in diesem Leben. Der Urmensch muss also geweckt werden. Das ist sehr hiibsch darge-

stellt in einem Psalm des Herakleides im koptischen Psalmbuch **. Da wird

der Lebendige Geist losgeschickt (auch Manis Syzygos word losgeschickt ‘das griechische Wort im Kodex dafiir ist Gnooté\Aw@); er kommt, um den Urmenschen zu wecken und pocht heftig an seine Tiir, indem er ihn auffordert aufzuwachen. Er, der Lebendige Geist habe wichtige Nachrichten fiir ihn aus dem Himmel. Der Urmensch erwacht und weiss sofort, wer er ist und wen er im Himmel zuriickgelassen hat. Er stellt nun seinerseits Fragen nach den Verwandten im Himmel. Die Funktion des Rufes erfiillt bei Mani die Offenbarung des Syzygos. Durch diese wird Mani berufen. Ein Wort fiir berufen im Kodex ist ka)eiv, was auch einfach rufen heissen kann. Manis Antwort auf die 1. Offenbarung des Syzygos besteht in einer Rede, in der er das Wesen seines Gefahrten und seiner selbst aufdeckt. Er weiss wieder, wer er ist und wer der Syzygos ist. Der Text steht auf p. 24 des K6lner Kodex. Soweit erhalten lasst er sich in drei gleichlange Abschnitte zu je drei Kola teilen. Jeder Abschnittsanfang ist durch herausgeriickten Zeilenanfang gekennzeichnet. An diesen Abschnittsanfangen folgen hintereinander éniotevoa, énéyvov, suaptvpnoa, «ich habe geglaubt, erkannt, 22 Ubersetzung nach Die Gnosis III 212.

23 A Manichaean Psalmbook 197ff.

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bezeugt». Diese Worte kennzeichnen Manis zunehmende Gnosis, oder gnostisch ausgedriickt, sein Erwachen. Der letzte Textabschnitt, «Ich habe bezeugt, daB ich selbst jener bin und da ich daher unerschiitter-

lich bin», ist die volle Erkenntnis ~*. Zusammenfassend lasst sich sagen: Die Hauptmotive aus dem Mythos des Urmenschen finden sich in der Geschichte von Manis Leben im K6lner Kodex. Man kénnte einwenden, sie gehérten teilweise zum allgemeinen Schatz gnostischer Motive wie der Ruf und die Antwort und hatten daher keine direkte Signifikanz fiir die Parallelitat von Manis Schicksal und das des Urmenschen. Es scheint aber, dass im Falle der Handauflegung diese Parallelitat herauszustellen das Anliegen des Gewahrsmannes der p. 36 war.

4 24,13 énewaptvpnoa Sé oti & / y® éxeli]vocg abtéc sip / akAOy[NTo]¢ brdpyav. Zu niotig und yv@o1c bei den Manichdern vgl. L. Koenen, From Baptism to Gnosis, in: The Rediscovery of Gnosticism, Proceedings of the International Conference on Gnosticism at Yale, ed. B. Layton,

Leiden

1981, 734-745.

C.M.C.

60,13-62,9: contribution a l’étude de

l’Apocalypse apocryphe de Paul Jean-Marc

ROSENSTIEHL,

CNRS,

Strasbourg

La liste d’illustres Péres prédécesseurs revendiqués par Baraiés pour authentifier l’apostolat de son maitre Mani commence par Adam! et se termine évidemment par Mani lui-méme?’; on y cite encore Sethel, le fils

d’Adam?, Enosh*, Sem°, Hénoch® et Paul’. C’est ce dernier qui nous intéresse ici. Voici le texte qui le concerne: (60,13) «De méme aussi, nous savons que |’apétre Paul a été ravi jusqu’au troisiéme ciel, selon ce qu’il dit dans son Epitre aux Galates: «Paul, Envoyé, non par des hommes ni [par l’intermédiaire d]’hommes, mais par l’intermédiaire de [Jésus-]Christ et de Dieu le Pére qui l’a [relevé] d’entre les [morts.»] Et dans (61) la deuxiéme aux Corinthiens, il dit: «J’en viendrai de nouveau aux visions et révélations du Seigneur. Je connais un homme en Christ qui - était-ce dans le corps, était-ce hors du corps, je ne sais, Dieu le sait - cet (homme) fut ravi dans le Paradis et entendit des choses ineffables qu’il n’est pas possible aun homme de dire. Pour cet homme-la je m’enorgueillirai, mais pour moi-méme je ne m’enorgueillirai pas». De nouveau dans |’Epitre aux Galates: «Je démontre, fréres: l’évangile que je vous ai annoncé, ce n’est pas par un homme qu’il m’a été transmis, mais [par] une révélation de Jésus-[Christ.»] Et alors qu’il était en dehors de lui et (62) ravi au troisiéme ciel et au Paradis, il vit et entendit: c’est cela méme qu’il consigna énigmatiquement au sujet de son ravissement et de son apostolat a l’intention de ses compagnons-initiés des choses cachées». I. LE TEXTE DANS SON CONTEXTE

Une analyse de toute cette succession de Péres prédécesseurs nous livre quelques informations: 1 2 3

4 5 6

CMC 48,16. CMC 63,1. CMC 50,8. CMC 52,8. CMC 55,9. CMC 58,6.

7 CMC 60,13; pour ces listes, fréquentes dans le Manichéisme, voir H.C. Puech, Le Manichéisme, Paris, 1949, p. 61 et p. 144-145 note 241 et A. Henrichs - L. Koenen, Ein

346

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COLONIENSIS

L’auteur s’appuie sur des paroles que ces personnages ont pronon-

cées: c’est le cas pour Adam ®, Sethel®, Enosh!®, Sem!!, Hénoch?’,

Paul 13 et Mani ‘*. Ces paroles n’ont pas été recueillies oralement, mais par écrit: un

Ange ordonne d’écrir 4 Adam '°, a Enosh'° et AaSem?’. On précise le caractére écrit des paroles d’Enosh 1%, d’Hénoch’®, de Paul?°, et de Mani?!: enfin, l’auteur parle des «écrits» d’Adam?*, de Sethel”’, d’Enosh™, de Sem”* et d’Hénoch”®. Pour confirmer encore cet aspect écrit, on nous dit d’une maniére générale: «Tous les bienheureux apGtres, sauveurs, évangélistes et prophétes de la vérité, chacun d’entre eux a contemplé... et ils on écrit,

légué et en ont fait un dépét...?’» et encore: «... chacun des Péres prédécesseurs a montré sa propre révélation a son élu... et il l’a écrite et léguée

aux successeurs 7%», On constate donc qu’une importance toute particuliére est accordée

a l’aspect écrit 2. Et ce souci porté a l’écrit se poursuit jusque Vindication du titre de l’oeuvre citée:

dans le détail de

- Adam, dans son apocalypse 7° griechischer Mani-Codex (P. Colon. Epigraphik, V, 1970 p. 107.

inv.



4780),

Zeitschrift fiir Papyrologie

und

8 CMC 48,17 einev.

° CMC 50,11 Agyav. 10 CMC 52,9 réyel. 1! CMC 55,11 &on. CMC 58,7 &9n; 58,16 EAeyev; 59,16 @not.

3 CMC 60,16; 61,2 A€yer.

* CMC 64,5 now; 64,7 Aéyer; 66,1 einev; 68,5 En; 69,9 Ereyev. 1S CMC 49,4-6. © CMC 54,13,16. 17 CMC

58,3.

18 '? 20 21 22 43

55,6. 60,11-12. 62,5. 63,7-8; 66,1. 50,7. 52,2.

CMC CMC CMC CMC CMC OMG

a CMC

55,1-2,

25 CMC 58,1. 26 CMC 60,11-12. 27 CMC 62,10-21. *.CMCi47,3-13; Cette insistance sur l’écrit peut expliquer l’absence de Jésus (et de Zoroastre, Bouddha et Noé) qui figure toujours sur les listes signalées ci-dessus note 7.

°° CMC 48,18, mais il s’agit d’un passage restitué.

,

J.M. ROSENSTIEHL

347

- Sethel, dans son apocalypse *? - Enosh, dans son apocalypse *” - Sem, dans son apocalypse **

- Hénoch, dans son apocalypse ** - Paul,

dans

son

épitre aux

Galates?5 et dans

sa deuxiéme aux

Corinthiens *° - Mani, dans les écritures envoyées A Edesse *’ et dans |’évangile de son plus saint espoir *°. Pour Paul, qui nous concerne ici, l’origine des paroles citées se trouve bien dans les écrits portant ces titres. A n’en pas douter, les autres titres désignent aussi des écrits précis connus de |’auteur an QUELQUES EXPRESSIONS

ET CONCEPTIONS

PARTICULIERES

La conclusion de toute la liste d’envoyés, d’Adam a Mani, se lit en CMC 70,23 a 72,7. On y trouve le schéma littéraire qui sert de base a chacun des passages. Sans en entreprendre |’étude détaillée, nous releverons ici quelques expressions et conceptions particulieres. a) CMC 7,15-16: «révélations et visions»: c’est l’expression de IT Corinthiens 12,1 *°, retournée certes, mais utilisant les termes méme de Paul. b) CMC 71,22-23: «ce qu’il a vu et entendu»*!. Par le fait d’écrire

ce qu’ils ont vu et entendu*’, les Péres prédécesseurs sont devenus

chacun un témoin. On n’est pas loin de la conception des Actes ou les Douze, ayant vu et entendu Jésus 43 jui-méme de son vivant, en sont les 31 32 33 34 35 36

CMC CMC CMC CMC CMC CMC

50,10. 52,9, exactement: «Dans |’apocalypse d’Enosh». 55,11-12. 58,7-8. 60,17-18; 61,15-16. 60,23-61,1.

w co

CMC

66,1-3.

37 CMC 64,4-6.

39 Pour l’Evangile de Mani, voir Henrichs-Koenen, Z.P.E. V, 1970, p. 190. Pour Hénoch, voir M. Philonenko, Une citation manichéenne du livre d’Hénoch, Revue WHistoire et de Philosophie religieuses 52, 1972, p. 337-340.

40 Cf. la citation de IJ Corinthiens 12,1 en CMC 61,3-4. 41 Ou pour Paul CMC 62,3 «il vit et entendit». 42 A propos de Sethel, CMC 52,5-7, le rédacteur emploie le terme paien de «myste-

re», déja utilisé par Paul (voir notamment

Ephésiens

1,4-10; 3,3-10; Colossiens

1,26-27)

qui l’emprunte probablement a Y’apocalyptique juive (Testament de Lévi 2,10; III Baruch 1,6,8; 2,6; I Hénoch 103,2; 106,19: 1 QS 3,23: 4,18; 11,5,19; CD 3,18; I QH 2,13; 4,27-28; 30, 7,26; 11,10; 12,20; 13,2...) Voir aussi plus bas le texte d’Irénée, Adversus Haereses II,

7 et d’Hippolyte, Elenchos V, 8, 26.

4 Actes 4,20.

348

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

témoins“* et ot Paul, qui a vu et entendu Jésus d’un autre manieére, revendique aussi la mission de témoin *°.

c) CMC 71,8-11**: «le rapt et la révélation» de chacun des Péres prédécesseurs: ces expressions sont reprises dans les passages concernant

Sethel*’, Enosh**,

Sem‘*, Paul®® et Mani>!.

Or ces termes sont a

l’évidence empruntés 4 Paul qui les utilise en JJ Corinthiens 12>. Ces trois exemples d’emprunts directs laissent apparaitre dans tout ce passage du CMC le souci évident de se conformer aux themes néotestamentaires et plus particuliérement pauliniens.

II. Les CITATIONS DE GALATES ET II CORINTHIENS 22 a) La citation de Galates

1,1 en CMC

60,18-23

est conforme

texte recu de l’épitre ™. b) La

citation

de IJ Corinthiens

12,1-5

en

CMC

61,2-14,

au

com-

mence en fait seulement au verset 1b°°: la n’est pas repris*°; des

versets 2-4, le rédacteur a conservé le verset 2a oi5a &vOpwnov &év Xplot@ puis il omet 2b a 3a depuis mpd ét@v dSexatecodpov, pour

reprendre a 3b site év o@pati>’. 4 Cf. Actes 1,22; 2,32; 4,33; 10,39-42;

Au verset 5, simple changement 13,31.

“° Actes 20,24; 22,15; 26,16; mais voir aussi ci-dessous note 63.

© Rapprocher CMC 47,13-14.

*7 Dans le commentaire de la citation CMC 52,3,5. 48 Dans la citation CMC

53,1,13,17 et dans son commentaire CMC

$5,3-4. L’utilisa-

tion de &praCew dans la citation-méme de apocalypse d’Enosh 53,1,13 montre que cette apocalypse n’est pas antérieure a IJ Corinthiens (voir ci-dessous note 52). ° Dans la citation CMC 55,17; sur Putilisation de a&pmaCew voir la note précédente.

°° Dans les citations de IJ Corinthiens 12 en CMC 61,3-4,8 et de Galates en 61,21-22;

dans le commentaire,

CMC

60,14-15 et 62,6-7.

*! Dans des commentaires, en CMC 63,14-15 et 70,15-17.

° apracew signifiait le rapt par la mort (Sagesse 4,10-11; Testament d’Abraham, A 18,6; 19,13; Vie grecque d’Adam et Eve 37,3: Apocalypse de Sédrach 13). Paul emprunte ce terme au vocabulaire hellénistique de l’enlévement (cf. G. Lohfink, Die Himmelfahrt Jesu (Studien zum Alten und Neuen Testament 26), Miinchen, 1971, p. 42) et l’introduit en II Corinthiens 12,1 ov il désigne le ravissement au ciel pour une révélation (méme sens en Apocalypse d’Esdras 5,7; Actes 8,39: I Thessaloniciens 4,17; Apocalypse 12,5; I Apocalypse apocryphe de Jean 2; Actes de Pierre et André 1; Evangile de Nicodéme 25 et cf. ci-dessus notes 48 et 49).

*> Cf. Henrichs-Koenen, Z.P.E. V, 1970, p. 106-110. ** Seule différence: a la fin, CMC porte &« tav vexp@v, alors que Galates a é«

VEKPQOV.

°° CMC: éhevoonat néduv, NT: éhevcona 8é.

6 Le rédacteur a peut-étre estimé que le verset 5 reprenait suffisamm ent Vidée du verset 1 pour qu’il soit inutile de le reproduire; cette idée cependant lui tient a coeur, voir CMC 46,7. 57 Simple changement: ywpic tod odpatos de la majorité des témoins du NT est rendu

'

J.M. ROSENSTIEHL

349

non significatif **. c) La citation de Galates, 1,11-12: yvwpitm du NT est rendu par un

équivalent: deixvuyi>’. La fin du verset 11 est omise, 11 étant soudé a 12: CMC: 6t1 odk && GvOpw@nov adtd nNapEiAnga correspond a NT: 671 ovk (Eotiv Kata GvOpwnov odd yap syd) napa advOpamov

nmapérapov adté ©. Dans les deux citations de Galates, il n’y a pas grand’chose de significatif a retenir. La citation de IJ Corinthiens 12 semble plus instructive. Non pas tant par l’absence du verset 3a dont le détail chronologique des quatorze ans est négligeable et dont le reste est répété en 3b. Mais par l’absence de 2b, ce qui nous prive a cet endroit du texte de la précision que Paul a été ravi au troisiéme ciel. Cette derniére omission est cependant volontaire, puisque le rédacteur avait déja fourni cette précision dans son

introduction ®! et qu’il y revient encore dans le commentaire dont il fait suivre la citation et que nous abordons maintenant. LE COMMENTAIRE

DE CES CITATIONS

PAR BARAIES

«Et alors qu’il était en dehors de lui et ravi au troisiéme ciel et au Paradis, il vit et entendit: c’est cela méme qu’il consigna énigmatiquement au sujet de son ravissement et de son apostolat a |’intention de ses

compagnons-initiés des choses cachées °». Baraiés ne se contente pas ici de paraphraser le texte. A l’instar des commentateurs de son époque, il entre dans le rdle de l’exégéte savant qui explique et précise le texte. Son interprétation repose sur cing points: Premiérement: alors que Paul ne sait pas s’il était dans le corps ou hors du corps, le rédacteur manichéen, lui, le sait; «il était hors de lui-méme». C’est la l’une des solutions adoptées par la littérature des voyages au ciel.

par &kt0c c@patos. Et un ajout: dt Hpzdyn 6 to1odtog CMC, probablement parce qu’il a omis 3a: tov totodtov &vOpmnov. 58 §nép tod... est rendu deux fois par zepi...

59 Ce terme est d’ailleurs bien attesté dans la langue du CMC, cf. CMC 94,5; 96,18; 97,18; 98,9. 60 Le rédacteur a gardé napadrapPavew alors que dans le reste du texte il préfére utiliser KataAeinew pour exprimer |’idée de cette transmission, cf. CMC 47,3ss; 55,5-6; 62,18-19. 61 CMC 60,15.

6 CMC 61,23-62,9.

350

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

Deuxiémement: il ramasse en une phrase les deux phrases de Paul: ravi au troisiéme ciel et au Paradis. Le procédé est assez fréquent, mais son utilisation est complexe: pour les uns la conjonction des deux éléments doit apporter la preuve que Paul n’a effectué qu’un seul voyage au Paradis qui se trouve au troisiéme ciel; pour les autres, la démonstration est inverse: Paul a été ravi au troisiéme ciel, en un premier voyage, et au Paradis, en un deuxiéme voyage. Baraiés ne donne pas de précision sur ce qu’il entend par la. Troisiémement: le rédacteur nous précise que c’est la que Paul a vu et entendu. D’aprés Hippolyte, les Naasénes aussi® prétendaient qu’au Paradis Paul «a vu ce qu’il a vu et entendu des choses ineffables»: et la suite du texte parle de «mystéres ineffables». Quatriémement: c’est cela méme qu’il consigna énigmatiquement; en qualifiant d’énigmatique ou d’imprécis le rapport que Paul aurait fait de son voyage au ciel, Baraiés ne fait qu’utiliser une technique de Vexégése de son époque: il commente Paul a l’aide de Paul, plus précisément il complete IJ Corinthiens 12 a \’aide de I Corinthiens 13, 12a ot Paul se souvient probablement de Nombres 12,8. On retrouve presque la méme exégése au début de la Onziéme Lettre Festale d’Athanase™ offi l’évéque d’Alexandrie situe l’affirmation de la connaissance partielle de J Corinthiens 13,9,12b au moment du retour de Paul

de son voyage au ciel. © Cinquiémement: a l’intention de ses compagnons-initiés des choses cachées; le point précédent inviterait 4 reconnaitre ici la méme technique exégétique: le Manichéen pourrait fort bien s’appuyer sur J Timothée

6,20 et IJ Timothée 2,2: Tertullien, en effet®* nous montre que ces textes étaient utilisés pour justifier l’existence d’un dépét de doctrines cachées de Paul, confiés non pas a tous, mais seulement 4 des hommes fidéles. III. LE CMC

&T LES REVELATIONS DE PAUL

L’existence de révélations de Paul est bien attestée a l’époque de 3 Elenchos V,8,25, ed P. Wendland, G.C.S. 26, Leipzig, 1916, p. 93, 1. 26. De méme Irénée, Adversus Haereses II, 30,7 ed. Sources Chrétiennes 294, Paris, 1982, p. 312, 1. 24-25:

mysteriorum speculator et auditor: et cf. CMC

* Migne P.G. 26, col. 1404.

55,5-6: Enosh, jKovoev Kai cidev.

°° Athanase se référe au &« wépouc de J Corinthiens 13,9,12b alors que l’auteur du

CMC a dans I’esprit év aiviypati de J Corinthien 13,12a. De méne Origéne, De Principiis II, 11, 6 relie 17 Corinthiens 12 a I Corinthiens 13.

°° De Praescriptione 25, ed. Sources Chrétiennes 46, Paris, 1957, p. 120. Noter que Ignace, Aux Ephésiens 12,2 parle des TlavAov ovupvotar.

'

J.M. ROSENSTIEHL

351

Mani et de ses disciples. En nous limitant aux deuxiéme et troisiéme siécles, ces attestations consistent d’une part en des temoignages littéraires, d’autre part dans deux Apocalypses de Paul dont les textes nous sont parvenus.

Irénée ®’ nous laisse entendre que certains ont l’audace de prétendre que Paul a été le spectateur et l’auditeur de mystéres plus grands que le démiurge. Tertullien © attaque ceux qui affirment connaitre ce que Paul aurait entendu au troisiéme ciel et au Paradis. Et aussitdt il expose la doctrine classique de |’Eglise, 4 savoir qu’il est dément d’avancer que les apdtres aient annoncé certaines choses en public, pour tout le monde, et qu’ils

en aient confié d’autres secrétement, 4 un petit nombre ®’. Hippolyte ”° cite des traditions naasséniennes greffées sur IT Corinthiens 12: Paul a été ravi par un ange jusqu’au deuxiéme et troisiéme ciel, dans le Paradis, ot ila vu ce qu’il a vu, et entendu des choses ineffables... Ce sont la les mystéres ineffables connus des seuls naasséniens hee A ces témoignages il convient d’ajouter les deux Apocalypses de

Paul, l’une découverte

4 Nag Hammadi ” et datant du deuxiéme siécle,

l’autre ’? composée probablement vers les années 250 en Egypte i* Ces deux Apocalypses, parentes lointaines, sont des récits de voyages aux cieux et comportent |’une et l’autre, a des degrés différents, des

descriptions de réalités célestes ”°. Une question doit dés lors étre posée: POURQUOI LE CMC NE CITE-T-IL PAS UNE APOLCALYPSE DE PAUL?

Deux l’esprit:

raisons

externes

au

CMC

se présentent

immeédiatement

a

67 Adversus Haereses Il, 30,7, ed. Sources Chrétiennes 294, Paris, 1982, p. 312-313. 68 De Praescriptione XXIV, 5-6 - XXV, 1-3, ed. Sources Chrétiennes 46, Paris, 1957, p. 120-121.

© Ce dernier étant le «depositum» dont parle J Timothée 6,20. ‘10 Elenchos V,8,25-26, ed. P. Wendland, G.C.S. 26, Leipzig, 1916, p. 93. 71 connu braeus, Studies 72

Pour la période qui nous concerne ici, il faut encore signaler qu’Origéne aurait une apocalypse de Paul, si l’on en croit une citation du Nomocanon de Barhereproduite dans R.P. Casey, The Apocalypse of Paul, The Journal of Theological 34, 1933, p. 26. NH V,2; voir notre étude a paraitre dans la collection «Bibliothéque Copte de Nag

Hammadi» aux Presses de |’Université Laval, Québec. 73 Pour ce texte, l’article de Casey, cité note précédente, donne une vue d’ensemble; il

n’a pas été remplacé. Pour le latin, voir les remarquables études de T. Silverstein.

74 Casey, art. cit., p. 28 et T. Silverstein, The Date of the «Apocalypse of Paul», Mediaeval Studies, 24, 1962, p. 335-348. Cette date de 250 est actuellement acceptée sans

discussion. Pourtant cette apocalypse nous semble encore plus ancienne. 7° De par leur contenu, voyages au ciel et description de réalités célestes, l'une ou

352

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

— il n’existait pas encore d’apocalypse de Paul — Mani et ses disciples ne connaissaient pas d’apocalypse de Paul. Rappelons que l’existence de révélations précises sur le monde céleste prétées a Paul est certaine. La connaissance de telles révélations par Mani et ses disciples est, pour sa part, vraisemblable ’°. Les deux raisons externes ne sont donc pas valables. En revanche, le texte lui-méme nous fournit deux autres raisons, internes celles-la, pour justifier le silence. La premiere est d’ordre littéraire: l’auteur a composé ce passage en se servant d’un plan faisant ressortir les distinctions suivantes: — des cinq patriarches empruntés a la généalogie de Genése 5 il cite des apocalypses. — de Paul il se référe a des épitres — de Mani il renvoit a des /ettres et a un évangile. Cette progression n’est probablement pas le fruit du hasard, elle semble intentionnelle. I] ne faut donc pas voir dans la liste des Péres prédécesseurs un catalogue complet des livres connus par les Manichéens, mais plutdt le résultat d’un choix circonstantiel qui nous est livré ici en vue d’un but précis. Ce but précis constitue la deuxiéme raison, qui nous parait détermi-

nante. Baraiés s’intéresse a nien. La liste qui mobilise

fait peu de cas du contenu des révélations qu’il cite. Il ne ces révélations qu’a titre d’illustrations d’un schéma pauli-

des prédécesseurs s’articule autour de Paul; et pour Paul, ce son intérét, ce n’est pas le contenu des révélations qu’il a pu avoir, mais ce qui peut légitimer son apostolat. La pointe de la démonstration de Baraiés repose sur Paul qui, lorsqu’il a di fournir des preuves de sa légitimité, n’a pas revendiqué

une légitimité humaine, de type filiale’’ ou de type institutionnelle 78,

autre apocalypse de Paul aurait bien pu prolonger, dans le CMC, les citations des apocalypses d’Adam, Sethel, Enosh, Sem et Hénoch. 7° Le commentaire de IJ Corinthiens 12 par Baraiés, CMC 61,23-62,9 va dans ce sens. La référence a une «grande révélation de Paul» en Kephalaia 2, p. 19, 1. 11 est difficile a interpréter. I] peut étre intéressant de rappeler qu’au moment ow un scribe écrivait l’Apocalypse de Paul NH V,2 prés de Nag Hammadi, un autre scribe, a quelques dizaines de kilometres de la, copiait le CMC...

77 faisant appel a la généalogie: noter que la liste du CMC commence par un souvenir

d’une telle généalogie. 78 faisant appel, par exemple, a la succession de la Prétrise, ou, a l’appartenance aux Douze investits par Jésus lui-méme.

,

J.M. ROSENSTIEHL

mais une légitimité divine prophétique. é S’adressant

résultant

a des Chrétiens,

de sa vocation

le disciple de Mani

353

directe,

de type

ne cherche pas a

faire étalage de ses connaissances, mais a fonder la légitimité de son Maitre. Il le fait en utilisant habilement le précédent de Paul, qui a da défendre sa propre légitimité dans ses épitres 7°. C’est d’une maniére parfaitement logique que l’auteur poursuit sa démonstration jusqu’au bout: non seulement il revendique pour Mani la légitimité de Paul qu’il fonde sur le rapt et la révélation, mais encore il s’évertue a retrouver les mémes preuves de légitimité dans les citations

des écrits des patriarches Enosh °° et Sem *', ou bien, lorsque les termes de la citation ne le permettent pas, il forge lui-méme ces preuves dans son commentaire, comme le montre l’exemple de Sethel ®”. Ce n’est pas surprenant: Baraiés avait clairement annoncé ses intentions avant d’ouvrir sa liste ®° et il les répéte dans sa conclusion *. A Vévidence, le but recherché se passait de toute référence a une apocalypse de Paul, qui n’aurait fait qu’encombrer et obscurcir la démonstration.

79 Notamment dans Galates et Corinthiens: c’est la raison principal de la référence a ces deux épitres dans le CMC.

80 Voir ci-dessus note 48. 81 Voir ci-dessus note 49. 82 CMC 52, 3-7 ot hpxayn commente, ou plutét corrige &émoe de CMC 51,8. Ce n’est pas, pour l’époque, de la mauvaise exégése: on se rappelera que, de la méme maniére, le «transfert» d’Hénoch deviendra souvent chez les Péres, un «rapt».

83 CMC 47,1-16, et cf. 48,14-15. 84 CMC

62,9-63,1.

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Gnosi e salvezza nel Codex Coloniensis

Manichaicus

Concetta GIUFFRE SCIBONA, Messina

«... [Quando ebbi venti] quattro anni, nell’anno in cui Dariardaxar, il re della Persia, conquistd la citta di Atra, nel quale anche Sapore, il re, suo figlio, si incorond con il grande diadema, nel mese di Pharmouthi, l’ottavo giorno del mese lunare, il Beatissimo Signore fu mosso grandemente a compassione per me, mi chiamo nella sua grazia e immediatamente mi mando [da li il] mio Gemello [che apparve in]

grande gloria». Cosi il Codex Manichaicus Coloniensis (CMC) fissa nell’anno 240 d.C., nel giorno 24 di aprile, in una comunita religiosa di battisti, operanti in Mesopotamia nel solco della tradizione giudeo-cristiana, linizio dell’azione di un uomo dalla razionalita vigorosa e sistematica, il quale sorse ad opporsi criticando i punti fondamentali della dottrina di quella setta. Esso ci ha conservato la preziosa testimonianza della vicenda della crisi di Mani, della sua predicazione, del suo insuccesso e della sua definitiva separazione dall’ambiente in cui fino ad allora era vissuto. Ma il valore documentario del codice, come é stato gia notato’, trascende di gran lunga per lo storico delle religioni, i riferimenti, pur precisi e suggestivi, alla biografia del profeta. Di piu, la narrazione di essa non ha un puro e semplice valore di «testimonianza», ma ¢ ordinata certamente ad un fine particolare in quella che si pud definire 1 Codex Manichaicus Coloniensis 18,1-16, edizione di R. CAMERON and A.J. DEWEY, The Cologne Mani Codex «Concerning the Origin of his Body», Society of Biblical Literature, Univ. of Montana, Missoula 1979, pp. 18 s. (d’ora in avanti abbrev. in CMC). Per la fissazione di queste date fondamentali della vita di Mani si v. A. HENRICHS-L. KoENEN, Ein griechischer Mani-Codex, in Zeitschrift f. Papir. und Epigr. (=ZPE) 1970, p.

116-132. 2 A. HenRICcHS, Literary Criticism on the Cologne Mani Codex, in B. LAYTON (ed.) The Rediscovery of Gnosticism. (Proc. Int. Conf. on Gnosticism at Yale, March 1978) vol. II Sethian Gnosticism, Leiden 1981, p. 725 (abbrev. HENRICHS, Yale).

356

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

la struttura polifunzionale del sistema della gnosi manichea. Una struttura che, stigmatizzata nella dottrina dei due principi e dei tre tempi, presentava un processo di devoluzione, frammentazione, crisi e liberazione della sostanza divina. La storia, i fatti degli uomini, inclusi nel secondo dei tre tempi, sono ordinati solo alla risoluzione finale di tale processo. Essi costituiscono tutti percid i momenti di una metastoria. In essa si lasciano percepire, composte in una originalissima sintesi, la concezione orizzontale, iranica del tempo’, come realta strumentale per la salvezza (v. il valore del gumecishn* e della discesa delle fravashi*) e quella verticale, gnostica, con la sua vicenda di caduta, imprigionamento e liberazione-reintegrazione della sostanza divina. Nel secondo dei tre tempi-la dimensione spazio-temporale, quella cioé del corpo, del cosmo, dell’esistenza materiale, riceve rilievo, efficacia e significato dal momento protologico (il primo tempo) e la comunica a quello escatologico (il terzo tempo), in un gioco di forze complementari e dialettiche che si riflettono nei momenti «forti» e nelle realta significanti di essa: il corpo é fatto di tenebra, ma attraverso quello dell’eletto si libera la sostanza di luce; il cosmo é ontologicamente negativo, ma viene plasmato coi corpi degli arconti da un essere divino, come una macchina di purificazione e liberazione della sostanza divina; la chiesa é formata da due categorie di fedeli: eletti ed uditori che con due etiche diverse perseguono il medesimo fine. Da cid la gnosi manichea assume il carattere di una scienza completa della vera realta che i vari livelli, mitico, profetico, pratico, ecclesiastico ripropongono e che l’insegnamento e la lettura dei testi «attualizzano» continuamente provocando nei fedeli la modificazione ontologica che portera alla salvezza. In essa il corpo e l’organizzazione ecclesiastica costituiscono la sostanza e la funzione attraverso le quali si realizza il meccanismo salvifico. Orbene la vicenda di Mani, quale ci é riferita dal CMC, ci pare voglia porsi proprio al centro di tale meccanismo nel suo valore ecclesiologico e teologico. Con la nascita di lui, cioé del suo corpo (tou somatos autou) si prepara infatti l’ultima risolutiva parte del processo di liberazione della sostanza divina insieme alla creazione della chiesa manichea. Dell’origine di questa chiesa, che costitui certamente una realta estremamente funzionale ed originale del manicheismo rispetto ai vari sistemi gnostici che lo precedettero, il CMC voleva essere, sul modello 3 Zand-Akasth (Ban-dahishn) I, 39, ed. ANKLESARIA p. 12 s. (abbrev. Bd.). 4 Bd I 40, ibidem.

° Bd Il 23-24, p. 44-45.



CONCETTA

GIUFFRE

SCIBONA

357

dei vangeli cristiani, un testimone valido ed efficace. Considerazioni di questo tipo hanno portato ad intendere il sostantivo soma nel titolo del codice (Peri tes gennes tou somatos autou) nel senso paolino della chiesa come corpo mistico, in questo caso la chiesa di Mani, come corpo mistico di lui®. Di fatto l’unicita, pit che il carattere paradigmatico, della vita del profeta, ed il suo valore risolutivo nella vicenda della liberazione della sostanza divina, sono sottolineati continuamente nel testo e pill volte, come vedremo, esso si ferma sull’importanza della sua venuta nel mondo e sul corpo di lui, essendo quest’ultimo visto come

mezzo imprescindibile di attuazione della comunicazione della gnosi e della salvezza. Infatti si ritorna a varie riprese sulla considerazione del corpo di Mani in relazione alle modalita ed ai tempi della rivelazione fatta a lui. Ad una prima osservazione essa si lascia distinguere in tre tempi fondamentali. Dapprima una serie di «visioni e segni» accompagnano la infanzia del profeta che, dai quattro anni («mentre il mio corpo era giovane») fino ai ventiquattro anni («la maturita del mio corpo») viene protetto dagli Angeli di Luce. In questa prima fase Mani, pur non rivelando ad alcuno le sue visioni, pare attuare il signaculum manuum’. Dopo una esortazione della voce del Syzygos affinché rafforzi le sue facolta fisiche e razionali, si annuncia a Mani come prossima una visione. Questa puo essere considerata la seconda fase della rivelazione. Ma prima di giungere alla terza e piu importante il profeta ritorna di nuovo a parlare del corpo con una serie di immagini che lo mostrano in luce positiva, se guidato dal Nous®. Tali espressionisi riferiscono evidentemente al corpo materiale di Mani, esaltato paradossalmente nella sua eccellenza perché luogo dell’incarnazione dell’anima divina del profeta: «...ed un certo abito fu accomodato per colui che lo indossava, la nave fu allestita per il migliore nocchiero, cosi che egli potesse pescare preziosi tesori dal mare; il luogo santo fu innalzato a gloria del Nous; il santissimo tempio per la rivelazione della sua saggezza...»°. Subito dopo esso viene connesso con la missione di rivelazione e salvezza di Mani: «(é) ne(1) [corpo] (che) egli poté riscattare quelli fatti schiavi dai

6 A. HENRICHS, Mani and the Babylonian Baptists: a Historical Confrontation, Harvard Stud. Class. Phil. 77, 1973, p. 40 s. (abbrev. HENRICHS, HSCPh); cfr. L. KogNEN, Augustine and Manichaeism in Light of the Cologne Mani Codex, Illinois Class. Stud. III, 1978, p. 164 ss. (abbrev. KOENEN, ICS). 7 CMC 5,3-12; 12,1-12.

8 CMC 14,4-12. 9 CMC

15,4-12. Cfr. C. Faustum XX, 3 (CSEL XXV

1, p. 531).

358

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

poteri (dell’altro mondo)e rendere libere le loro membra dalla soggezione dei ribelli e dall’autorita di quelli che fanno la guardia e per mezzo di esso (cioé il corpo), poté svelare la verita della sua gnosi ed in esso aprire immensa la porta ai prigionieri, [e per mezzo di esso] egli pote offrire la [vita beata] a quelli... e da tutte le leggi, e (che) egli pote liberare le anime dall’ignoranza divenendo Paraclito e capo dell’aposto-

lato in questa generazione» !°. E questo il luogo del codice in cui meglio traspare, assieme alla centralita ed alla eccezionalita dell’opera di Mani, la funzionalita primaria del corpo (non solo.del suo) nel meccanismo manicheo della liberazione della sostanza di luce. Il confronto con luoghi paralleli dei Kephalaia e di alcuni testi cinesi la chiarisce nei suoi particolari e ci da modo di precisare il significato specifico dell’agostiniano «signaculum» in rapporto ai suoi corrispondenti semantici (greco e copto sphragis, iran. muhr, ar. hawat, uigur. tamga)''. Il Keph. XXXVIII presenta una situazione analoga a quella del nostro testo: il Nous-Luce nella sua opera di salvezza, penetra nei corpi, pone cinque pensieri nuovi nei

cinque organi dei sensi’”. Egli regna sui corpi chiudendoli a tutte le apparizioni del peccato, dona all’eletto un grande pneuma’. Il Keph. LVI presenta il mito della creazione del corpo di Adamo ed Eva da parte di Saklas e dei suoi arconti’*. L’arconte creatore (plastés) ha diviso in compartimenti (tameia) i loro corpi che sono simili ad un grande campo con delle porte (gli organi dei sensi dotati di enthymesis), davanti a ciascuna delle quali é posto un arconte-guardiano. Al centro del campo sta la coscienza che deve decidere di aprire o chiudere le

porte’. Quando il Nous-Luce cerca di penetrare all’interno, gli arconti gli sbarrano l’entrata: essi fanno la guardia (cfr. la identica espressione di CMC 16,8) 1°. Ma il Nous-Luce li sottomette e, rotti i catenacci del corpo, penetra attraverso queste porte dalle quali prima entravano i fantasmi del desiderio. Egli indebolisce l’epithymia, induce l’uomo alla giustizia, all’ascolto delle parole giuste, degli inni e delle preghiere, delle

10 CMC

16,1-16;

17,1-8.

‘' Si v. su questi termini e sul loro significato H.-Ch. PuEcH, La conception mani-

chéenne du salut, in Sur le manichéisme et autres essais, Paris 1979, p. 67 ss.

2 Keph. XXXVIII p. 89, 26-29. '3 Keph. XXXVIII p. 100. af Keph.

LVI p. 137-144.

'S Keph. LVI p. 142, 1-1t.

16 Keph. LVI p. 142, 12-16a.

f

CONCETTA

GIUFFRE SCIBONA

359

parole di verita. Sigilla gli organi (dei sensi) col sigillo (sphragis) della

verita *”.

.

Una situazione analoga, pur nella struttura formale del sutra buddista, @ presentata dall’«Inviato della Luce» (sc. Mani) ad un certo A-t’o 8 nel ben noto trattato manicheo cinese pubblicato pit di 70 anni fa da Chavannes et Pelliot. Rispondendo alla domanda del suo interlocutore se «la natura originaria del corpo carnale sia semplice 0 doppia», l’Inviato Celeste espone tutta la vicenda dell’assalto e dell’imprigionamento della sostanza di luce fino alla creazione, da parte dell’arconte della cupidigia, delle «forme dei due sessi» in cui la sostanza divina subisce la definitiva situazione di mescolanza. «Ma — continua Mani — quando c’é un Inviato della Luce che appare nel mondo per istruire e convertire la moltitudine degli esseri viventi, per liberarli da tutte le loro sofferenze, egli comincia con il fare discendere dalle porte delle loro orecchie il suono della legge meravigliosa; in seguito egli entra nell’antica dimora... Quando é entrato nell’antica citta ed ha distrutto i nemici maligni, bisogna che egli subito separi le due forze della Luce e della Tenebra, e che non permetta pit che esse si mescolino. ...il Grande Inviato della Luce benefica, nei corpi di eccellenza (degli eletti) si serve

del fuoco affamato per produrre un grande vantaggio» ’’.

Anche in questo testo dunque come nei Kephalaia e nel CMC si pone in evidenza la funzione primaria assunta dal corpo, opportunamente diretto dal Nous, in ordine alla modificazione ontologica operata dalla gnosi in vista della salvezza della sostanza di luce. Dal confronto poi delle modalita di tale meccanismo risulta chiarito che il significato di signaculum e dei suoi paralleli semantici € legato a qualcosa che pud aprire o chiudere il corpo a realta positive o negative che provengano

.

dall’esterno.

Con l’apparizione del Syzygos 20 figura originale manichea in cui ‘ 17 Keph. LVI p. 142, 16b-26a; p. 143, 21b-32. 18 Identificato dagli editori con l’apostolo di Mani in oriente, |’Addas degli Acta Archelai. Cfr. E. CHAVANNES-P. PELLIOT, Journ. Asiatique XVIII 3, 1911, p. 501.

Un

traité manichéen

retrouvé

en Chine,

in

19 CHAVANNES-PELLIOT, p. 535-539. 20 Sul rapporto di identita tra il Syzygos ed il Paraclito e di conseguenza tra Mani e il

Paraclito é illuminante la testimonianza di Evodio, De fide 24 (CSEL XXV, 2 p. 961, 12-16). Il CMC sottolinea invece il momento in cui Mani ritrova in lui la sua identita, aspetto gia espresso in Keph. I p. 15, 23-24 attraverso un’immagine mutuata a Eph. IV 3-4

e Corinth. VI 15-17: «...io sono divenuto (con lui) un solo corpo e un solo spirito...». Su tutta la questione cfr. H.-Ch. PUECH, Doctrines ésotériques et thémes gnostiques dans V’Evangile selon Thomas, in Annuaire du College de France, 71 (1970-71), p. 256-260. Sulla dottrina manichea del Paraclito in Agostino cfr. F. Decret, L’Afrique manichéenne.

360

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

sono confluiti gli aspetti fondamentali della syzygia valentiniana~!, ma che rivela anche, nel suo carattere di «doppio», delle ascendenze proba-

bilmente iraniche”, ha inizio la terza fase della rivelazione. Essa viene subito messa in rapporto con il tempo in cui il corpo di Mani ha raggiunto la sua piena maturita7*. Persiste pertanto un intenzionale parallelismo tra i due elementi che nel CMC sono al centro del messaggio gnostico: il corpo materiale di Mani e la chiesa manichea. Con l’intervento del Syzygos ha inizio infatti la storia della salvezza di lui che € anche la storia della chiesa manichea e la fase conclusiva della vicenda dell’anima divina. L’azione di lui sul profeta, se da una parte mostra Mani nella singolarita delia rivelazione riservatagli, fondandone

|’autorita religiosa,

dall’altra si collega nelle sue modalita agli altri livelli del sistema gnostico: da una parte alla vicenda protologica dell’ Anthropos primordiale, dall’altra alla esistenza dell’uomo attuale. In una sequenza di tre fasi il Syzygos chiama, sceglie e separa Mani dalla setta dei battisti. Comincia subito dopo il momento didascalico cosi importante e specifico nella gnosi manichea”*. In esso la prima e IV-V siécles, Paris 1978 vol. I p. 278 ss. Per una messa a punto del problema alla luce del

CMC si v. L. KoENEN, ICS p. 167-176.

21 Secondo KOENEN, ICS p. 174 n. 80, la concezione manichea del Syzygos deriverebbe da una composizione del concetto della syzygia gnostica con quello della syzygia

maschio-femmina di una tarda setta elchasaita di cui da notizia al-Nadim (Fihrist 2,811 ed.

DopceE)

oltre

che

da altre

concezioni

simili

diffuse

in sette

cristiane

battiste:

cfr.

L. KOENEN, From Baptism to the Gnosis of Manichaeism, in B. LAYTON (ed.), The Rediscovery of Gnosticism, Il p. 743 s. (abbrev. KOENEN, Yale). Ma a noi pare che proprio l’aspetto essenziale del Syzygos che emerge dal CMC, quello cioé di «doppio perfetto» del profeta non si ritrovi in nessuna di queste concezioni. 2 La complessa animologia della religione iranica offre alcune entita che avrebbero potuto prestare i loro caratteri specifici alla figura manichea del «Gemello», specialmente se si considera il suo rapporto fortemente individuale con la persona di Mani («quella bellissima immagine speculare di me stesso» di CMC 17,12) gia nella preesistenz a («io lo

riconobbi e capii che io sono quello dal quale fui separato» di CMC 24,12). La daena (cfr. Yasht 46,6) e la fravashi (che é alla presenza di Ohrmazd in Bad. Ill, 13, p. 41) ad esempio, pur avendo subito nel corso della evoluzione del pensiero religioso in Iran delle notevoli trasformazioni sono, a quanto pare, nella loro sostanza originaria dei principi

animici individuali, preesistenti alla nascita dell’uomo e viventi durante la vita e dopo la morte. E notevole che anche di un’altra componente animica dell’uomo, la «forma»

(advenak), si dica sempre in Bd. III, 13, p. 41, che si trova nella stazione del sole.

3 CMC 17,8-12.

4 Su questo elemento fondamentale nella gnosi manichea ha insistito a lungo, per Ovvii motivi, la polemica dell’uditore Agostino. Cfr. per es. C. Secundinum X, 586 in R. JOLIVET-M. JouRJON, Six traités anti-manichéens, Bibl. August. 17, Paris 1961, p. 568 (abbrev. BA). Si veda in comparazione il testo mediopersiano M 9 IV in F.C. ANDREASW. HENNING, Mitteliranische Manichaica aus Chinesisch Turkestan Il, Sitz. Preus. Ak.

Wiss., Phil. Hist. Kl., Berlin

1933, p. 298 (abbrev.

ANDREAS-HENNING

SPAW).

Per la

:

CONCETTA

GIUFFRE

SCIBONA

361

fondamentale operazione deve essere la presa di coscienza dello stato indebito di mescolanza delle due nature nell’uomo. Mani comincia infatti col riconoscere dapprima in tutte le sue implicanze la sua parte materiale: il corpo. Il testo insiste nel sottolineare il concetto della generazione materiale di Mani e della passione che sta all’origine di tale generazione, quasi a volere ribadire e chiarire a lui, e cosi a tutti gli uomini, la realta ontologicamente negativa della sostanza corporea e dell’enthymesis che la agita*®. Il processo di ritorno alla memoria dell’origine divina, se da una parte si costituisce come paradigmatico nei confronti dei fedeli e di tutta la sua chiesa, dall’altra mostra che la sua discesa nella realta fisica é strumento del piano salvifico del Padre’. Dopo aver visto nel Syzygos la sua vera realta, Mani si riconosce come parte dell’anima divina sparsa nel mondo”*. Seguono tre espressioni introdotte ciascuna da un verbo”’. Con esse Mani sottolinea l’acquisizione della conoscenza della sua controparte divina e l’adesione totale della sua mente ad essa. I tre verbi, pistéuein epigigndskein, epimarturéin («credere, riconoscere, testimoniare»), si riferiscono evidentemente alle tre fasi principali del processo di introduzione del fedele ai contenuti della gnosi. E questo il momento culminante del ritorno dell’anima divina alla sua identita originaria. Una successiva apparizione del Syzygos sottolinea la funzione salvifica della generazione materiale di

Mani*° e ne mostra il carattere di testimonianza della verita. Dalla testimonianza di Mani deriva infatti il valore della pistis?! nella gnosi figura del Cristo didascalos (cfr. C. Fortunatum

17, BA p. 158 e C. Felicem II 20, BA p.

750) si veda J. Ries, Jésus Christ dans la religion de Mani, Augustiniana XIV,

1964, p.

444, Sul magistero di Mani nella polemica agostiniana cfr. F. DECRET, op. cit. I, p. 273-285. *° Tra i tanti testi che illustrano questo argomento si possono citare il «Fragment Pelliot», in CHAVANNES-PELLIOT, Un traité manichéen retrouvé en Chine, 2° partie, Journal Asiatique I 1913, p. 114, il Keph. CXXXVIII (ed ScHMmipDT-POLoTsky, p. 22) e C. Epistulam Fundamenti XII, 182, BA p. 422. Si vedano inoltre gli studi di L.J.R. Ort, Mani’s Conception of Gnosis, in U. BIANCHI (ed.), Le origini dello gnosticismo. Colloquio di Messina 13-18 Aprile 1966, Leiden 1967, p. 606 e 613. e di J. Ries, La gnose dans les textes liturgiques manichéens coptes, Ibidem, p. 619 e 623. 26 CMC 21,2-16. La conoscenza del corpo é necessaria al fedele manicheo per

comprendere il proprio grado di mescolanza da superare gradualmente attraverso la gnosi. Cfr. testo mediopersiano M 9 II in ANDREAS-HENNING

27 CMC 22,1-16.

SPAw II 1933, p. 299-300.

28 CMC 23,4-8.

29 CMC 24,4-12. 30 CMC 32,4-20; 33,1-4. 31 Nel Keph. LXXXV la Fede, insieme alla Charis ed all’Agape caratterizza l’azione dell’eletto tra gli uomini per la diffusione della gnosi. Cfr. J. Ries, Commandements de la justice et vie missionaire dans |’Eglise de Mani, in M. KRAUusE (ed.), Gnosis and Gnosti-

CODEX

362

MANICHAICUS

COLONIENSIS

manichea. Dopo la rivelazione delle due navi luminose e della colonna di luce, Mani pud contemplare nella preesistenza la realta della sua chiesa. Quale principio di essa egli viene investito dal Syzygos delle sue funzioni ecclesiastiche: rimettere i peccati, insegnare con |’eccellenza della saggezza, liberare l’anima di luce. Sono le prerogative degli eletti

manichei 22. Il Gemello afferma infatti che questi stessi doni potranno essere concessi anche a qualcuno dei discepoli del profeta. Dopo aver promesso a Mani anche il conforto della sua testimonianza 33 nella rivelazione della gnosi, egli scompare, lasciandolo, figura patetica ma anche didascalica, dello gnostico nella tragica frattura della sua realta esistenziale, separato dalle regole di quell’insegnamento nel quale fu allevato e divenuto «come uno straniero e solitario in mezzo a loro fino

al tempo della partenza da [quello] insegnamento» **. Un nuovo excursus attribuito ** a Baraies introduce la narrazione di varie apocalissi e visioni di personaggi biblici posti sulla linea che

precede l’apostolato di Mani**. Il testo del codice conferma in questa parte l’eredita elchasaita del concetto dell’incarnazione ciclica del vero profeta®’, ma nello stesso tempo mostra |’applicazione totalizzante e sistematica che essa ha assunto nel sistema manicheo. In esso infatti tale

cism. Seventh. Int. Conf. on Patristic Studies (Oxford Sept. 8-13 1975), Leiden 1977, p. 95-96 e 100-102. Il manicheo Photino, nella disputa con il cristiano Paolo affermava che «i Manichei sono salvati dalla gnosi e dalla fede»: Paulus Christianus, Disputatio cum Photino Manichaeo 43, Migne, PG 88, col. 572 c. Per la peculiarita del concetto di fede nel manicheismo e per la coincidenza di essa con |’osservanza della prassi cfr. KOENEN, Yale, pp. 738-742.

32 CMC 39,1-2. Sulle funzioni dell’eletto manicheo quali risultano dai testi copti cfr. J. Ries, Commandements de la justice, cit. p. 97-102. Si veda anche del medesimo autore Les motivations de l’encratisme sexuel et alimentaire chez les manichéens. (Etude des textes coptes) in U. BIANCHI (ed.), La tradizione dell’enkrateia. Motivazioni ontologiche e

protologiche. Milano 20-23 Aprile 1982. Atti del Colloquio Int. in corso di stampa. Agostino, opponendo, come é noto, una critica serrata alla prassi degli eletti, ci fornisce in negativo numerose notizie su questa fondamentale struttura della chiesa manichea. Cfr. F. DECRET, Aspects du Manichéisme dans Il’Afrique romaine. Le controverses de Fortunatus, Faustus et Felix avec saint Augustin, Paris 1970, p. 300 ss. V. anche C. GIUFFRE SciBONA, Le motivazioni ontologiche e protologiche dell’enkrateia nel manicheismo dentale, in U. BIANCHI (ed.), La tradizione dell’enkrateia, cit., in corso di stampa.

occi-

33 CMC 40,1-8; 41,1-8.

34 CMC

44,4-8. Sulle complesse valenze gnostiche di tale «solitudine» dedotte da

un’indagine sui paralleli semantici copti e siriaci dei termini greci che indicano nel codice tale stato di Mani cfr. A. HENRICHS,

HSCPh,

p. 35-39.

35 HENRICHS-KOENEN, ZPE, 19, 1975, p. 45 n. 80. 36 CMC 45-72,1-4. 37 Cfr. HENRICHS, HSCPh, p. 54-55; HENRICHS-KOENEN, ZPE, 5, 1970, p. 139; v. anche KOENEN, ICS p. 169, n. 59.

:

CONCETTA

concezione, connessa con una incentra nella persona di Mani ideologico organico, governato dalle dimensioni assolutamente complesso battista e da quello assolutamente imprescindibile

GIUFFRE SCIBONA

363

particolare esegesi di Giovanni 16,7 *° e nella incarnazione di lui un complesso da una visione completamente nuova e diverse rispetto ai modelli assunti dal cristiano. Il riferimento a tale diversita é per percepire alla luce dell’insieme dei

testi i reali valori della concezione manichea*?. Nell’incarnazione di Mani, nella sua discesa nel corpo, si manifesta infatti per la prima volta in modo chiaro, coinvolgendo e dando un senso a tutta la storia dei profeti che l’hanno preceduto, l’opposizione delle due sostanze che stanno alle radici della realta e il destino di salvezza della sostanza di luce. Ci si rende ben conto percid che l’immagine del «corpo di lui» citato per due volte a questo punto nel codice e connesso con I|’origine degli scritti concernenti «l’apostolato dello spirito e il Paraclito» *°, pur mostrando di voler assumere la forma esteriore del paolino soma Christou, si riferisce prima di tutto e specificamente al corpo materiale di Mani, visto certamente come il primo dei corpi degli eletti che formeranno la sua chiesa e attraverso i quali la sostanza di luce sara salvata, ma anche come un particolare corpo, sede privilegiata della

sostanza

divina*’

e provvidenziale

nella storia

della

salvezza.

Tale

concetto si ritrova tra l’altro, vestito, per cosi dire, di forme buddiste nel «Compendio delle dottrine e dei modi dell’insegnamento di Mani, il Budda di Luce» testo manicheo cinese, edito nel 1952 da G. Haloun e W.B. Henning. Si parla dell’opera di Mani, qui chiamato apostolo di luce, fra gli uomini dopo la sua incarnazione: «...se non fosse cosi, perché egli sarebbe stato generato corporalmente nel palazzo reale: colto nello spirito e capace di comprendere la Via, di percepire i Principi e di capire le Radici, saggio nell’opinione e straordinariamente onesto, nella

sua condizione corporea straordinariamente perfetto?...» *”. Il CMC continua mostrando la via di trasmissione della rivelazione gnostica attraverso la creazione della chiesa, la predicazione degli eletti e

soprattutto attraverso la tradizione scritta**. «A tutte queste cose scrit38 Sulla particolarita di questa esegesi che, a quanto pare, si esercitava sulla versione siriaca del Vangelo di Giovanni cfr. KOENEN, ICS, p. 169-176.

39 Cfr. Keph. I p. 14, 3 ss.; 24 ss. 40 CMC 45,1-8; 46,1-8. 41 Si vedano nel CMC 15,10 ss. e 12,10 ss. le espressioni attribuite al corpo di Mani. Cfr. C. Faustum XX, 3, CSEL XXV,

1, p. 537: «...ipsum me... rationabile Dei templum

puto...».

42 Asia Major, N.S. III, 2, 1952, p. 188-196. 43 Si tratta di una particolare «rivelazione-tradizione» (Cfr. U. BIANCHI, Le origini

364

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

te» esso si richiama infatti per testimoniare «il modo in cui fu mandato questo apostolato in questa generazione» “*. Visto nella prospettiva della chiesa intesa come comunita di eletti che ha in Mani la sua origine, il codice mostra qui in maniera esplicita il suo valore di autotestimonianza della gnosi manichea su uno degli aspetti pit specifici di essa: la creazione di una gerarchia ecclesiastica depositaria della conoscenza attraverso la quale essa é€ al tempo stesso soggetto e oggetto di

salvezza *°. Molti testi manichei confermano la centralita delle funzioni della chiesa nell’ambito del sistema manicheo, un sistema in cui la illuminazione gnostica, lungi dall’essere una rivelazione immediata e definitiva, costituiva un processo di lenta e progressiva educazione e modificazione della propria realta ontologica, nel quale l’opera degli eletti era stimolo e sostegno. Sulla importanza della tradizione apostolica manichea fondamentale é il Keph. I «Sulla venuta dell’Apostolo», nel quale la rivelazione fatta a Mani si pone di seguito a quella dell’apostolo Paolo, ultimo di una serie di inviati (Sethel figlio di Adamo, Enosh, Henoch, Sem, Budda, Zarathustra e Gest), come compimento della promessa di Gest dell’invio del Paraclito e si trasmette attraverso l’opera di predicazione e soprattutto attraverso la testimonianza delle scritture alle generazioni seguenti*°. La scrittura era il mezzo pid efficace nella costruzione

della credibilita

manichea

e dava

a questa

concezione

religiosa un

carattere di verita inoppugnabile*’. Per tale motivo essa fu anche tra gli oggetti primari della persecuzione da parte della legislazione antieretica

romana *°, dello gnosticismo, cit. Documento quanto testimonianza storica, ma attuale trasformazione ontologica.

finale, p. XXI) che trova la sua validita non solo in anche e sopratutto come strumento di continua ed

“4 CMC 45,1-4. “° Cfr. Keph. XXXVIII, p. 90, 8-9. “© Sulle modalita della tradizione scritta manichea

in Agostino

si v. C. MAYER,

Garanten den Offenbarung. Probleme der Tradition in den anti-manichdischen Schriften Augustins, Augustinianum 12, 1972, pp. 31-78. 47 Si veda nell’introduzione ai Kephalaia, p. 5-8 il discorso fatto da Mani ai catecumeni sull’importanza delle scritture, sulle scritture manichee, sulla mancanza di scritture degli inviati che l’hanno preceduto. 48 Si veda ad es. il rescritto di Diocleziano al proconsole Giuliano: «...Jubemus namque auctores quidem ac principes, una cum abominandis scripturis eorum severiori poenae subjici, ita ut flammeis ignibus exurantur». Testo in Fontes Juris Romani Antejustiniani,

Pars

altera,

(edd.

J. BAvierA,

et J. FURLANI)

Florentiae

1940,

p. 580

s.=A. ADAM, Texte zum Manichdismus, Berlin 1954, p. 82 s., n. 56. Cfr. F. DECRET, L’Afrique manichéenne 1 p. 169 s.; II p. 118 s. Si v. inoltre J. Ries, Sotériologie manichéenne et paganisme romain, in U. BIANCHI e M.J. VERMASEREN (edd.), La soterio-

CONCETTA

GIUFFRE SCIBONA

365

Nel codice di Colonia ognuna delle visioni attribuite rispettivamente ad Adamo, Sethel, Sem, Henoch, Paolo, si conclude con la testimonianza scritta offerta da ciascuno di questi personaggi. Tra di loro un posto x eminente € occupato da Paolo. Ma é estremamente notevole anche la

presenza di Sethel (=Seth)*? perché conferma~*°, insieme con la rilevanza del ruolo giocato da questa figura nell’antropogonia manichea e nella storia della salvezza, una appropriazione ed utilizzazione di essa avvenuta verosimilmente gia in eta antica da parte dei manichei, insieme a quella di alcune strutture gnostiche che ruotavano attorno ad essa. L’importanza dei testimonia viene ribadita nel CMC dall’espressione che pone fine a questa serie di apocalissi: «ed essi annotarono, trasmisero, conservarono come ricordo per i futuri figli dello Spirito (divino), che comprenderanno il senso della sua voce» *?. Della storia della trasmissione di questa rivelazione che, indirizzata

a tutti i popoli, come altrove nel codice é detto°”, viene accolta di fatto solo dai pochi che saranno in grado di comprenderla, Mani, pur essendo posto alla fine della serie profetica, costituisce, per cosi dire, una arché perché egli e non altri*? é il definitivo rivelatore della gnosi. Questa sua posizione é sottolineata nel testo attraverso la citazione di due scritti del profeta: una lettera mandata ad Edessa ed il Vangelo. Come é detto in questi testi egli non ha ricevuto la sua rivelazione da altri uomini né ‘dalla lettura di scritti, cosi come non ha ricevuto da esseri carnali, ma

logia dei culti orientali nell’?Impero romano, Atti Coll. Roma Sett. 1979, Leiden 1982, p. 768-772. 49 Timportanza di questa figura nel manicheismo era stata gid posta in luce da H.-Ch. Puecu, Les nouveaux écrits gnostiques découverts en Haute-Egypte, in Coptic Studies in honor of W.E. Crum, Byzantine Institute, Boston 1950 p. 127 n. 3.

50 M. TARDIEU (Les Trois Stéles de Seth, in Rev. Scienc. Philos. et. Theol. 57, 1973 p. 545-567) ha connesso la figura del Sethe! manicheo menzionato nei Kephalaia con il Seth dei trattati di Nag Hammadi, ritenendola un indizio della penetrazione sethiana nel manicheismo egiziano o della volonta di recupero da parte dei missionari manichei delle sette gnostiche egiziane. Recentemente G.A. STROUMSA (Another Seed: Studies in Gnostic Mythology, in N.H. Studies XXIV, Leiden 1984, p. 145-152) ha dimostrato che questa figura era «part and parcel of Mani’s own theological Bildung». 51 CMC 62,20. 52 CMC

104,12-20. Cfr. HENRICHS-KOENEN,

ZPE 44, 1981, p. 212 s. L’idea é espressa

chiaramente in Keph. CLIV (in C. ScHmipt-H.J. PoLotsky, Ein Mani Fund, Berlin 1933

p. 44, 86): «quanto alla mia dottrina di salvezza essa si diffondera certamente tanto in oriente quanto in occidente. E la proclamazione del suo messaggio si intendera in tutte le lingue e si annunziera in tutte le citta».

53 Cfr. Keph. LXXVI p. 184, 3-5. Sui modi di questa rivelazione nei testi copti cfr. l’esame semantico di J. Ries, La révélation dans la gnose de Mani, in Forma Futuri. Studi in on. del card. Pellegrino, Torino 1975 p. 1085-1096.

366

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

direttamente dal mondo divino la cheirothesia**. Questa parola che designa |’atto dell’imposizione delle mani é resa con cheirotonia nei testi copti.

Lo studio del Keph.

IX*° ha permesso

a H.-Ch.

Puech*® di

percepire, attraverso la connessione di cinque atti, definiti nel testo «i cinque misteri», una cerimonia di iniziazione e di ammissione verosimilmente allo status di eletti. Orbene di questi cinque atti che tutti si collegano alla vicenda mitica dell’ Anthropos primordiale, l’ultimo, che é€ chiaramente il pit solenne, é proprio l’imposizione delle mani.

Altrove*” abbiamo dimostrato come questo atto che nel nostro codice Mani riceve direttamente dal Padre, sancisca la perfezione nell’ acquisizione della gnosi e la missione apostolica dell’eletto. Nel Keph. IX infatti si dice che il fedele dopo questo atto «é giunto fino al Nous-Luce» ed é divenuto «uomo perfetto» °°. Con l’imposizione delle mani il profeta diventava percid il primo eletto della sua chiesa >’. La citazione della lettera ad Edessa e del Vangelo di Mani nel codice di Colonia mostra la grandiosita della rivelazione fatta a lui. In essa, pil’ che in altre parti del testo, si mostra la provvidenzialita della sua incarnazione e della sua missione. La preesistenza della realta, i modi e i tempi del venire all’essere, oggetto della rivelazione, danno a questa sapienza il carattere di una scienza completa. Proprio perché tale, essa non era percepibile da chi non era in grado di accoglierla. Mani la nascose infatti, come afferma nel testo, alle sette e ai pagani e ancor piu al mondo ©. Ancora un accenno dunque all’importanza della necessaria preparazione preliminare all’acquisizione della gnosi. Mani viene infatti prima scelto, separato dall’ambiente dei battisti e preparato dal suo Syzygos ad accogliere adeguatamente la rivelazione divina®!. Il testo del codice insiste sul valore ontologico del concetto di separazione, oppo-

*4 CMC

64,1-20; 65,1-20. Cfr. Hom.

47,9-10, (ed. H. PoLotsky-H.

IBScHER, Mani-

chaische Homilien, Stuttgart 1934).

53 Keph. IX p. 37-41. °6 Liturgie et pratiques 353-389.

rituelles dans le manichéisme,

in Sur le Manicheisme

p.

°7 C. GIUFFRE SCIBONA, Gnosi e salvezza manichee nella polemica di Agostino in, J. Ries ed., Gnosticisme et monde hellénistique. Actes du Coll. Mars. Neuve 1982 p. 164-188.

1980, Louvain-la-

8 Keph. IX p. 41,8-10. °° In Agostino, Epist. 236,2 (CSEL t. 57, p. 524, 14), si descrive una tale pratica compiuta da parte degli eletti sugli uditori. 6 CMC 68,8-12.

1 CMC 69,12-20; 70,1-8.

:

CONCETTA

GIUFFRE SCIBONA’

367

nendo la venuta spirituale di Mani (/parou]sian autou pneu[mato]Jeidos) alla sua generazione secondo il corpo (poioi tro[poi eg]ennethe kata to [soma]), la segregazione operata in lui rispetto alla legge in cui il suo corpo fu nutrito (suzugos autou... dieste[sen] auton ek tou nomou kath’on anetraphe autou [to] soma); il suo stato di straniero e sconosciuto di fronte a coloro che lo consideravano in base al giudizio del

corpo (kata ten timen tou somatos)®. L’episodio di Sita®, uno degli anziani tra i battisti, che offre a Mani un tesoro nascosto, ci introduce al momento piu significativo della vicenda del profeta: la manifestazione chiara della sua conversione ad una nuova concezione religiosa e la separazione definitiva dalla setta dei battisti. Ma prima un’altra visione gli é riservata: dopo quella della preesistenza e del farsi della realta Mani assiste agli eschata. Tra i destinati alla rovina finale pud riconoscere lo stesso Sita ™. La critica di Mani alle posizioni dei battisti é¢ netta e precisa. Essa dimostra inconfondibilmente una nuova e completamente diversa impostazione religiosa. Partendo dalla critica dei loro atti di pieta, egli intacca e distrugge il cuore della loro stessa dottrina nella quale essi sentivano di seguire i comandamenti del Salvatore. Egli dimostra loro che il battesimo e le continue purificazioni che essi praticano non attuano tali comandamenti ed alla loro ritualistica concezione della purificazione del corpo oppone una dottrina nettamente gnostica che vede nella parte somatica una realta irrimediabilmente contaminata e perciO negativa in sé. L’unica vera purificazione € pertanto quella che si fa attraverso la gnosi. Mani la definisce una «separazione della Luce dalle Tenebre, della Morte dalla Vita, delle Acque viventi dalle Acque

Torbide» ©. Essa sola permette di riconoscere la vera realta ed attua veramente i comandamenti del Salvatore in modo che l’anima possa essere salvata dalla rovina e dalla distruzione. Con poche ma efficaci espressioni Mani ha formulato cosi i vari momenti di un processo salvifico che, se in alcune delle sue parti richiama e si collega, come é stato opportunamente notato 66 ad analoghe concezioni di precedenti scuole gnostiche, nella sua impostazione generale ed in molte sue sostanziali implicanze, é una originale e specifica sua creazione. Cosi il carattere preliminare della separazione 6 63 64 65 66

CMC 72,16-20; 73,1-20; 74,1-4. CMC 74,8-20; 75,1-20; 76,1-20; 77,1. CMC 77,4-20; 78, 1-20; 79,1-12. CMC 79,8-20; 80,1-20; 81,1-20: 82,1-20: 83,1-20; 84,1-20; 85,1-12. KoENEN, Yale p. 743 e 749-754.

368

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

delle due nature nel processo di acquisizione della gnosi; il collegamento fondamentale della dottrina con la prassi («i comandamenti del Salvatore»); l’importanza dell’insegnamento e della chiesa nella comunicazione

del messaggio gnostico; la peccabilita dei fedeli®’; il valore della fede che costituisce una adesione continua ai contenuti della gnosi e che va alimentata e rafforzata dall’insegnamento e dalla prassi. Ma |’elemento certamente pit originale nella concezione manichea, e quello che nel nostro codice provoca la frattura pit netta con l’ambiente dei battisti é quello del pampsichismo della realta. Una concezione che pare sconcertarli e rafforzare la loro convinzione che Mani voglia poreuethenai eis tous Hellenas oppure eis ta ethne («andare verso i greci o verso i

gentili») °°. Essa riflette infatti nella vicenda dell’Anima di Luce decaduta, imprigionata nel cosmo e salvata dalla materia una vera e propria

misteriosofia ©’. Di questa concezione, non certo esposta esplicitamente da Mani ai suoi ex-correligionari, ma che con tutta la sua novita e diversita sta alla base della sua opposizione a coloro nella cui legge era stato fino ad allora educato, ¢ importante percepire nel codice il rapporto di antiteticita con le pratiche encratite dei battisti e con le concezioni che esse perseguono. Esso non consiste solamente in un rigetto del rituale del battesimo che non puo purificare perché non agisce sull’uomo interiore, secondo un’immagine che ha le sue radici nella polemica neotestamentaria di Gest contro le pratiche dei farisei’° e nel suo nuovo modo di battezzare rispetto a Giovanni: e che assume un ben diverso significato nella tradizione gnostica ’' che sta prima di Mani. Si tratta piuttosto di un ribaltamento totale di valori e realta, attraverso il quale egli vede il corpo che essi purificano destinato alla completa perdizione e l’anima,

un’anima divina, con caratteri estremamente concreti, ovunque presente € prigioniera, oltre che nel corpo, nel cosmo, ed alla cui continua ricerca e liberazione il fedele manicheo deve aspirare, in un processo di adesione intellettuale e pratica ai contenuti della gnosi. Vista in questi termini che ci pare emergano chiaramente in negativo dal confronto§7 Sulla concezione manichea del peccato e sul suo carattere «attuale» cfr. PUECH, Péché et confession dans le Manichéisme, in Sur le manichéisme cit. p. 169-178. 68 CMC 80,16-18; 87,19-21. ® Per la definizione di una tale concezione religiosa e per la considerazione delle connessioni storiche di essa con le strutture religiose dei misteri e della gnosi si v.

U. BIANCHI, Initiation, Mystéres, Gnose, in C.J. BLEEKER sburg Sept. 1964, Leiden 1965 p. 154-171.

7° KoENEN, Yale p. 755 s.

| Ibidem p. 745-754.

(ed.), Initiation, Conf.

Stra-

CONCETTA

GIUFFRE SCIBONA

369

scontro del profeta con i suoi antichi correligionari, una tale concezione non si lascia ridurre né a quella dello zoroastriano rispetto degli

elementi ’”, né all’opposizione delle syzygie dei battisti 7°, né alla cosmi-

ca e quasi fatale mescolanza degli elementi di Bardesane”™, né alla dottrina indiana o buddista della metensomatosi ’°. Pur richiamando di tutte queste concezioni aspetti e caratteri, essa infatti ne ha profondamente modificato i significati. L’unico valido referente comparativo di

essa € solo quello dei contesti gnostici cosiddetti ternari’®, in cui l’attenzione al livello cosmico ed a quello della genesis ’’, caratterizzato anch’esso dalla presenza totale e concreta di un’anima divina in stato di kolasis, presenza che da loro un tono esteriormente pagano, si traduce

in una esegesi continua in chiave animistica e fatta in dimensioni universali, di concezioni e figure pagane e di culti di tipo misterico. E notevole che tali elementi pagani si trovino legati perd in modo indissolubile ad immagini e strutture giudaiche e cristiane. La vocazione «esegetica» e universalistica ’* dei Naasseni di Ippolito che speculano e indagano sulla presenza universale dell’anima, si riflette nel carattere «scientifico» ”? e totalizzante della gnosi manichea che ricerca dappertutto nel cosmo e nel composto «uomo» le due radici della realta e le separa per la salvezza dell’anima medesima: |’azione demiurgica di un principio divino su un cosmo animato e funzionale per la salvezza, si ritrova nell’Anthropos naasseno e nello Spirito Vivente del manichei-

smo; la tendenza alle celebrazioni rituali di questi gnostici®® si riflette

7 Cfr. per es. Yn. 29. 73 KOENEN, Yale p. 743 s. ™ Cfr. U. BIANCHI, Le fonti del dualismo di Bardesane, in IDEM, Selected Essays on Gnosticism, Dualism and Mysteriosophy,

Leiden 1978 p. 336-350.

75 A. HENRICHS, «Thou Shalt not Kill a Tree»: Greek, Manichaean and Indian Tales, in Bull. Amer. Soc. Papyrologists 16,1-2, 1979 p. 85-108. 76 Per una «situazione» di questi complessi e della articolato

del fenomeno

terminologie,

origines,

dello

gnosticismo

délimitation,

cfr.

in «Gnosis»

loro

specificita

U. BIANCHI,

Le

Festschr.

Jonas,

nel quadro

Gnosticisme:

concept,

Goettingen

1978 p.

44-51.

77 Sull’attenzione posta da queste correnti gnostiche sulla realta composita dell’uomo fenomenico e sul livello della genesis, e per la loro impostazione «vitalistica» si v. U. BiaNncul, Le probléme des origines du gnosticisme, in Le origini dello gnosticismo, cit., p. 9 e J. BERGMAN,

Gnosticism Stockholm

Kleine Beitraege zum

Naassenertraktat,

in Proceed.

Int. Coll.

on

1973, Leiden 1977 p. 94.

78 Ibidem, p. 92-95. 79 Cfr. C. Faustum XXXIII,

9 (CSEL 25,1, p. 796); C. Fortunatum

166 s. p. 174 s.) Cfr. F. DecreT, L’Afrique manichéenne I p. 262 ss.

80 J. BERGMAN, art. cit. p. 95.

20-21 (B.A., p.

370

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

nell’attenzione manichea alla liturgia ®’. Il CMC ha mostrato chiaramente la sostanza del «milieu» originario di Mani: una setta giudaica battista in cui si erano infiltrati ed

avevano incominciato ad agire i germi della speculazione gnostica ®*. In questo sfondo esso ha pero ribadito il geniale salto di qualita operato da lui rispetto a tale ambiente. Mani ha infatti plasmato e combinato in una sua particolare forma contenuti ed ideologie di circoli gnostici in cui modelli pagani e cristiani si utilizzavano in procedimenti esegetici spiritualisti 8? della realtaé cosmica e antropologica, a quanto pare anche sulla base di testi desunti dalla doppia tradizione pagana e cristiana ed opportunamente approntati **. Convocato dai capi della setta per difendersi Mani risponde francamente e nettamente alle loro contestazioni, affermando che egli non intende disobbedire ai comandamenti del Salvatore. Quanto al rifiuto del battesimo e della profanazione dell’anima vivente racchiusa nei vegetali e nella terra egli si appella ad episodi della vita di Elchasai che chiama il fondatore della loro legge. La teoria della frammentazione della sostanza divina che pid di ogni altra concezione delle sette gnostiche refutate colpisce ® Ippolito e ne suscita lo spirito polemico, colpisce e sconcerta profondamente anche i battisti correligionari di Mani i quali reagiscono con violenza ®° contro di lui. Ma Vavventura ecumenica della nuova religione era ormai

avviata ®’. Da questo punto in poi comincia nel CMC la narrazione dei viaggi missionari di Mani, delle conversioni della diffusione della sua rivelazione.

miracolose

e prodigiose,

81 PugcH, Liturgie et pratiques rituelles dans le Manichéisme, in Sur le Manichéisme, p. 235-394.

82 KOENEN, ICS p. 188-190. 83 HENRICHS, HSCPh p. 57. *4 Sull’esistenza nella tarda antichita di florilegi in cui si connettevano, con particolare esegesi gnostica, testi biblici e pagani cfr. M. SCOPELLO, Les citations d’Homéere dans le Traité de |l’Exégése de |’Ame, in «Gnosis and Gnosticism», cit. p.3-12.

®° Ref. X 30,34. Cfr. G. VALLEE,

A Study in Antignostic Polemics.

Hippolytus and Epiphanius, Waterloo, Ontario, Canada

1981, p. 59-61.

86 CMC 100,1: HENRICHS-KOENEN, ZPE, 44, 1981 p. 208 s. 87 CMC 104,1: ibidem p. 212 s.

Trenaeus,

The inedited Chester Beatty Mani Texts SoREN GIVERSEN, Aarhus Universitet, DK

The inedited Chester Beatty Mani texts are among the many invaluable treasures in The Chester Beatty Library and Gallery of Oriental Art in Dublin’. In nearly every paper on Mani or the manichaean religion references are given to the two texts from this collection, which have been published so far. But there are still unpublished parts of this collection. It has been my privilege to study these inedited texts, and although it originally was my intention to point to some interesting parallel ideas in CMC and the unpublished CB (Chester Beatty) texts I have preferred here first to give some short informations about the CB collection, and then to give you an idea of the work which is going on with the papyri. To this I will add a couple of examples from the Psalm-Book Part I and also give you a glimpse from a historical text. First, very shortly about the collection. The whole CB collection consists of somewhat 1040 pages of which only 334 have been published so far. I said somewhat 1040 pages — the exact number depends on how some very fragmentary pages or remnants of pages are counted. These 1040 pages are: A) Psalm-Book 546 pages, B) Unidentified codex 26 pages, C) «Kephalaia» 358 pages, D) Homilies 98 pages, E) Addenda

et Varia 20 pages. The story about how the whole collection of 7 codices was discovered by Carl Schmidt, how it was divided and went into three different libraries is

not to be repeated here”. It will be sufficient here to say that of the whole library discovered,

1 | thank the director of The Chester Beatty Library and Gallery of Oriental Art, Dr. Patrick Henchy, the new director, H. Lockwood and the Chairman His Eminence, Archbishop, Dr. D. Ryan, and the Trustees of the Library for kind permission to study the Manichaean Papyri in the Library and to prepare an edition of them. Mani

2 Carl Schmidt & H.-J. Polotsky, Ein Mani-Fund in Agypten. Originalschriften des und seiner Schiiler. Sonderausgabe aus den Sitzungsberichten der Preussischen

Akademie der Wissenschaften,

Phil.-Hist. Klasse,

1933,1. Berlin 1933, p. 5ff.

372

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

one part was acquired by Mr. A. Chester Beatty (+ 1968) while a second part was acquired by Carl Schmidt (jf 1938) and shortly afterwards by Staatliche Museum in Berlin, although a dozen pages went to Vienna as well. All the books were made of a very fine papyrus, but they were very damaged and in a bad condition. The conservator, Hugo Ibscher (¢ 1943), described them so: «Als die Mani-Handschiften durch Hrn. Prof. Schmidt in das Berliner Museum gelangten, wurden sie von einigen Herren als vielbenutzte Fussmatten und von andern als Ballen Torf angesprochen»*. Somewhere else Dr. Ibscher said about the papyri: «Niemand glaubte, dass mit diesem Packen, der einer zerzausten, verschmutzten Periicke dhnlicher sah als einem Teil eines Kodex, sich irgend etwas wiirde anfangen lassen»*. One eye-witness, C.R.C. Allberry (+ 1943), described the papyrus volumes in this way: «They looked more like torn prayer-mats than papyrus volumes» >. Why was it so? The papyrus material of which the codices were made was of an exceptionally fine quality, and the scribes had done their best and written the books with a beautiful calligraphy. But the cellar where the manuscripts were found was periodically exposed to damp, and this has probably happened regularly every year for more than a millenium. The dry papyrus material had acted as a filter with the result that salt crystals had formed

and the leaves were now

stuck

together. To this must be added that the dealers after the discovery of the books divided them by tearing the parts asunder. It has also been suggested °— but not proved — that the books already in ancient times were ripped out of their original bindings with the result that the inner margin had disappeared. All these unhappy circumstances are mentioned here in order to explain why it is so difficult to read these papyri. All the books, A. Chester Beatty’s as well as Carl Schmidt’s, were brought to the Berlin conservator Hugo Ibscher who began the very difficult job to restore the papyri; this important task was later on completed by his son, Rolf Ibscher (} 1967). > H. Ibscher in: C. Schmidt & H.-J. Polotsky, Ein Mani-Fund, p. 81. 4H. Ibscher in: H. J. Polotsky, Manichdische Homilien. Manichiische Handschrif ten der Sammlung A. Chester Beatty, Band I, Stuttgart 1934, p. IX. CRC Allberry, Manichaean Studies, Journal of Theological Studies 39, 1938,

p. 341.

© H. Ibscher in: C.R.C.

Allberry, A Manichaean

Psalm-Book,

Part II. Manichaean

Manuscripts in the Chester Beatty Collection, Volume II, Stuttgart 1938, p. XVIII.

SOREN

GIVERSEN

373

The discovery was first announced by Carl Schmidt and Hans Jacob Polotsky in «Ein Mani-Fund in Agypten», Sitzungsberichten der preussischen Akademie der Wissenschaften, Phil. hist. Klasse 1933,1, Berlin 1933, in which a survey of all the discovered manuscripts is given. This survey is very important and has until now been the best survey, and although some of the details can now be corrected, the main part of it is still of great importance, especially because it informs us about parts of the discovered manuscipts, which are at present absent — and which have perhaps disappeared for ever. What has happened with the manuscripts after more than a millennium’s rest in the wooden chest in the cellar in Medinet Madi can be described as a drama in several acts. The fate of the papyri has been the subject of quite a lot of papers at different conferences, especially at meetings of papyrologists and orientalists: how most of the papyri were kept in Berlin during the second world war, how some of them during the last months of the war were brought to Bavaria by the young Rolf Ibscher in order to save them from destruction, how others went eastwards for the sake of safety, how the Chester Beatty material returned to London and how the Berlin material came back etc. etc. At the same conferences there have been some reports, on the work of the papyri. The best survey of this is found in Alexander Bohlig: «Die ‘Arbeit an den koptischen Manichaica», a paper which was read at the 25th conference on oriental studies in Moscow 1960 and printed in the Acts from that conference; a reprint is found in Alexander Bohlig: «Mysterion und Wahrheit. Arbeiten zur Geschichte des spateren Judentums und Christentums», Band VI, 1968, 177-178. Bohlig’s paper is very important because it is from the hand of a scholar who has been involved in the research of these mansucripts ever since they came to Europe. Very informative also are the papers from the 24th conference of oriental studies in Munich in 1957 with the papers of Rolf Ibscher, Alexander Boéhlig and Carsten Colpe: «Der Mani-Fund»’. To this can be added some printed communications, e.g. Rolf Ibscher: «Mani und kein Ende» *®. Two articles about the manuscripts are still to be mentio7 Akten des Vierundzwanzigsten Internationalen Orientalisten-Kongresses Miinchen 1957, Herausgegebun von H. Franke, Wiesbaden 2959, p. 226-230. 8 Atti dell’XI Congresso di Papirologia, Milano 1966, p. 218-224. Very short, unfortunately is the printed report by Rolf Ibscher, Wiederaufnahme und neuester Stand des Konservierungswerkes des Manichdischen Papyruscodices. Proceedings of the TwentyThird International Congress of Orientalists, Cambridge 1954, London 1956, p. 359-360. A fuller manuscript from the hand of Dr R. Ibscher is kept in the archives of the Chester

Beatty Library.

374

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

ned: Otto W. Luke, Die Umkonservierung des Berliner Kephalaia-Kodex (Forschungen und Berichte, Band 12, Archdologische Beitrage, Berlin 1970, 151-152), informs us about the completion of the work with Berlin Kephalaia Codex which should prevent the danger of condensation. The other article is the very useful and instructive article by Tito Orlandi: «Les manuscrits coptes de Dublin, du British Museum et de Vienne» (Le Museon 89, 1976, 323ff.) in which professor Orlandi inter alia describes the collection in Dublin, compares his observations with Bohlig’s article (mentioned above) and comes up with some new suggestions. As it appears from Bohlig’s article a good part of the Berlin collection disappeared during the second world war’. The Chester Beatty collection had a better fortune than the Berlin collection. In 1950 Sir Chester Beatty removed his collections of art and manuscripts from Baroda House in London to Dublin. Among the treasures in The Chester Beatty Library is the collection of the Manichaean papyri in Coptic, today the largest existing part of the manuscripts discovered in 1930. In all, there are kept about 1040 pages of papyrus (some of them fragmentary) in this collection. Of these approximately 710 are still unpublished. Since H.-J. Polotsky in 1934 published the Homilies and

C.R.C. Allberry in 1938 published a part of the Psalmbook !° nothing has been published. Allberry’s edition contains what he called «the second part of the Psalm-book». For, as Allberry says in the introduction, before the codex appeared in the Cairo market it had already been split up into several blocks. Dr. Ibscher began his work of reconstruction on the last, the largest and least mutilated of these blocks, together with a smaller block preceding it, and between 1931 and 1934 H. Ibscher succeeded in separating and glassing about one hundred and twenty consecutive leaves. Of these Charles Allberry edited 117 leaves or 234 pages in 1938. These 234 pages or 117 leaves are so far the only published part of the Psalm-book. Allberry had started on the preparation of the edition of another part of the papyri before he went into the war during whith he lost his life. In a letter from Cambridge june 27, 1939 he explained: «I am thinking of resuming work on the Psalm-book in September...». ° A very useful survey of the Coptic manuscripts in the Berlin papyrus-collection is Wolfgang Miller, Die Koptischen Handschriften der Berliner Papyrussammlung. Koptologische Studien in der DDR. Wissenschaftliche Zeitschrift der Martin Luther Universitat Halle-Wittenberg. Sonderheft 1965, 65-69.

10 See note 4 and 6.

SOREN

GIVERSEN

“Ms}

From a letter daded August 4, 1940 it appears, that he had started on

the work» ".

.

The part II of the Psalm-book which Allberry published is, as Allberry and Ibscher rightly remarked, based on the best preserved part, although the leaves are very mutilated. A main problem with the Psalm-book is, however, that the leaves are without pagination. Ibscher

estimated that the codex once contained 672 pages’*, but he added repeatedly that the final answer had to wait until the last leaf of the codex was restored. Of these pages Allberry published what he and Ibscher regarded as the last part, in all 234 pages. To this must be added a few pages which either were left blank or consist of «twins» which Ibscher left in their position as such, because it was impossible to separate them. But the unpublished part of the Psalm-book consists of approximately 310-320 pages (the number depends on how some fragments are counted). This means that more than 100 pages are missing from the codex if it, as H. Ibscher estimated, when complete, contained 672 pages. This fact together with the very bad condition of the codex makes it very difficult to reconstruct the original codex with regard to the place of each page. A closer investigation of the published part of the papyrus shows that also Ibscher and Allberry had to dispense with the exact

reconstruction

of part II’*. It is, however,

as I have mentioned

elsewhere '*, to a certain degree possible to place a good deal of the pages in the right order thanks to the identification of the psalms. The published part II begins with Psalm no. CCXIX. This indicates that the preceding part probably contained 218 psalms. Until now I have succeeded in identifying approximately 50 of the psalms, and although the work is going slowly, the result until now.has been better than it was hoped when I started. It seems that the first part of the Psalm-Book once contained 10-15 different groups of hymns. Each of these groups has been mentioned either by its use or by its author, sometimes by both. We have here e.g. Psalms to the Lord’s day, beginning with Psalm 119. We have a group of Psalms to the Bema beginning with no. 218 (the last of the 11 These letters are kept in the archives of the Chester Beatty Library. 12 In C.A.R. Allberry, A Manichaean Psalm-Book, Part II, 1938, p. XIV. 13 This is the probable explanation why Psalm-Book Part II page 136 with vertical is facing the horizontal fibres of p. 137, just as the vertical fibres of p. 142 are facing the horizontal fibres of p. 143. 4 In a paper read at II International Conference of Coptic Studies, Rome 1980.

376

CODEX

MANICHAICUS

COLONIENSIS

unpublished Psalms). We have also what is called Five Easter-Psalms by the lord Herakleides, beginning with no. 150. One group is called: By the lord Paulus (in Greek: kyriou Paulou). A single Psalm is introduced so: By the lord Kyrus, viz. no 171. Two groups are called «Different Psalms». It is interesting to see that one person, Herakleides, is mentioned as the author of two groups of Psalms; just as the same person also is the author of a group of Psalms in Part 2, namely the Five Easter-Psalms no. 150-154, and the 12 Psalms no. 206-217, and in the Part 2, 10 Psalms no. 277-286. My work has mainly been concentrated on the identification of the Psalms in order to try to establish the right order of the sheets. With Psalm no. 136 begins a group of 14 Psalms. Of these 7 are now identified totally, 5 partially. They will probably soon all be identified, and I have as an example chosen here to present the first of this group, no. 136. Unfortunately the title of this group is not preserved in full. Only the word arche is left. This must be in Greek, since all the other titles are in Greek, e.g. psalmoi tes kyriakes. But I have chosen this to show you some of the difficulties. From notes and decipherment from 1931 I can see, that something has gone lost since then, especially at the beginning of lines 30-33. A closer investigation will perhaps make it possible to give a more complete text.

Psalm-Book Part I Preliminary translation 136 10

15

20

Arch[

Christ, my Father, who redeems me, the fire which is in the Spirit together with the holy Mind and the Wisdom, the good captain! The beloved rays of the sun! Look at me, listen to me, O Son, the light of man, the flower which causes that they are in the holy Kingdom! Have mercy upon me, the soul which works together with you, Christ, my Father, who redeems me! I was a power of holy light, but now I am wearing the breastplate of the daemons. I was the daughter belonging to the holy God. Today I am surrounded by the types and the figures of the earth. I was wise, living

SOREN

GIVERSEN

by nature. How was I bound to the beasts

which never had life? I was immortal, being divine from my beginning, more tempted than any one

25

30

else among all What a divine the wickedness Therefore, they

the foreigners. O big wonder: richness! I am buried here in of death. I was strong with a holy body. spoke to me with strength to drink the poison of the Archons.

O soul, thou hast come to this country to catch the enemies and to lay hands upon them. But the diligent word, the unconquerable power has cast her upon them all to shine upon upon them; he has spread her over them, although they were in ten thousand forms he has bound ten thousand races together. This is the reason why I was numbered

with them. 5

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