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Italian Pages 308 Year 2007
Philip M. Bromberg
Clinica del trauma e della dissociazione Standing in the Spaces
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Rq/àello Cortina Editore
Philip M. Bromberg
CLINICA DEL TRAUMA E DELLA DISSOCIAZIONE Standing in the Spaces
Edizione italiana a cura di Vittorio Lingiardi, Vincenzo Caretti, Francesco De Bei
~ Rqf/àello Cortina Editore
www.raffaellocortina.it
Titolo originale Standing in the Spaces. Essays on Clinica! Process, Trauma, and Dissoczation
© 1998/2001 The Analytic Press, Inc. Traduzione di Francesco De Bei ISBN 978-88-6030-102-4 © 2007 Raffaello Cortina Editore Milano, via Rossini 4
Prima edizione: 2007
INDICE
Introduzione (V Lingzardz; V Caretti) Prefazione all'edizione italiana (PM. Bromberg)
VII XIII
xv
Ringraziamenti Nota dei curatori (V Lin giardz; V Carettz; F De Bei) Capitolo I Un'introduzione
XIX
3
Parte prima
Scenari dal ponte Capitolo II Entrare in se stessi e uscire dal proprio sé. Sui processi schizoidi (1984)
23
Capitolo III L'uso del distacco nelle sindromi narcisistiche e borderline (1979)
33
Capitolo IV Lo specchio e la maschera. Narcisismo e crescita psicoanalitica (1983)
41
Capitolo V Conoscere il paziente dall'interno. L'aspetto estetico della comunicazione inconscia (1991)
69
V
Indice
Parte seconda
Dissociazione e processo clinico Capitolo VI L'ombra e la sostanza. Una prospettiva relazionale sul processo clinico (1993)
93
Capitolo VII Psicoanalisi, dissociazione e organizzazione della personalità ( 1995)
119
Capitolo VIII Resistenza, uso dell'oggetto e relazionalità umana (1995)
137
Capitolo IX Isteria, dissociazione e cura. Una rilettura di Emmy von N (1996)
157
Parte terza
Standing in the spaces Capitolo X "Parla, che riesco a vederti!" Alcune riflessioni su dissociazione, realtà e ascolto psicoanalitico ( 1994)
175
Capitolo XI Standing in the spaces. Molteplicità del Sé e relazione psicoanalitica (1996)
205
Capitolo Xll Restare lo stesso nel cambiamento. Riflessioni sul giudizio clinico ( 1998)
231
Capitolo XIII "Aiuto, sto uscendo dalla sua mente!"
251
Bibliografia
273
Indice analitico
287
VI
INTRODUZIONE Vittorio Lz'ngiardz; Vincenzo Caretti
Standing in the Spaces, titolo originale di questa raccolta di saggi scritti da Philip Bromberg tra il 1979 e il 1998, è un'espressione destinata a far parte del vocabolario e del bagaglio clinico e teorico di chiunque si occupi della relazione terapeutica e del funzionamento mentale. Con l'immediatezza delle espressioni felici, essa ci restituisce, in modo al tempo stesso intuitivo e spiazzante, l'idea per cui la capacità di vivere in modo spontaneo, ma anche consapevole, dipende da una dialettica continua tra separatezza e unitarietà dei propri stati del Sé: ogni sé deve funzionare in modo ottimale, senza interrompere la comunicazione e la negoziazione con gli altri. Se il percorso evolutivo è stato buono, il soggetto è solo vagamente o momentaneamente consapevole dell'esistenza di self-states individuali e delle loro rispettive realtà, perché ciascuna funziona come parte della "sana illusione" di un Sé unitario. La salute è invece per Bromberg "la capacità di rimanere negli spazi tra realtà diverse senza perderne alcuna. Questo è quello che ritengo significhi accettazione del sé e quello che sia la creatività - la capacità di sentirsi uno in molti" (p. 116). Questa concezione "non lineare" del Sé, le cui radici attraversano un secolo di psicoanalisi, ma inevitabilmente portano a Janet ( "Se si leggesse l'attuale letteratura psicoanalitica come un romanzo gotico a puntate, non sarebbe difficile intravedere il fantasma senza pace di Pierre Janet, scacciato dal castello da Sigmund Freud un secolo fa, ritornare oggi per tormentare i suoi discendenti", p. 119), non catalizzerebbe la nostra attenzione se non prendesse consistenza nella lunga consuetudine clinica di Bromherg con pazienti con disturbi gravi della personalità. In questi pazienti, lo "shock del trauma" attiva una rigida difensività dissociativa che ha il duplice scopo di proVII
Introduzione
teggere il mondo interno e di mantenere il controllo su quello esterno, per evitare la ritraumatizzazione. L'importanza del contributo di Bromberg non risiede però solo nell'analisi della relazione fra trauma e dissociazione, ma nei nuovi significati che i processi dissociativi assumono all'interno del suo modello interpersonale-relazionale o, se vogliamo dargli una genealogia precisa, sullivaniano-mitchelliano. In una serie di articoli davvero innovativi sul piano teorico e molto sofisticati sul piano clinico, Bromberg ha sviluppato un approccio originale allo studio degli stati dissociativi nello sviluppo, nella psicopatologia, nel funzionamento mentale normale e nella relazione terapeutica. (\All'origine di ogni quadro psicopatologico Bromberg coglie una dimensione traumatica che, attraverso la dissociazione, riorganizza, struttura e sovverte la vita mentale e l' autoriflessività. "La capacità della mente umana di limitare adattivamente la sua autoriflessività è il segno distintivo della dissociazione, un fenomeno che è stato considerato in maniera sempre più seria dalla maggior parte delle scuole psicoanalitiche contemporanee. Come difesa, la dissociazione diviene patologica nella misura in cui essa limita proattivamente, e spesso preclude, la capacità di contenere e riflettere sui differenti stati della mente all'interno di un'esperienza unitaria di me-ness" (p. 10). Il trauma psicologico è, per Bromberg, reale e multiplo (potremmo dire cumulativo, riprendendo la citazione di Masud Khan che troviamo a p. 79); indipendentemente dalla sua gravità, può essere definito come il catastrofico sconvolgimento della continuità del Sé attraverso l'invalidazione dei pattern di interazione che danno significato a "ciò che siamo". Esso produce la dissociazione, che a sua volta crea falsificazioni retrospettive del passato e della capacità di pensare il futuro. In lavori più recenti, l'autore preciserà come l'esito psicopatologico sia in gran parte legato alla caratteristica di processo o di struttura che la dissociazione viene ad assumere nella mente umana (Bromberg, 2003; Chefetz, Bromberg, 2004). La dissociazione non è però intrinsecamente patologica: "Vi sono prove sempre più forti a supporto dell'idea che la psiche non nasce come un tutto integrato che in seguito, come esito di un processo patologico, diviene frammentato, ma che fin dall'origine non è unitaria; è una struttura che origina e si sviluppa come una molteplicità di configurazioni Sé-altro, o 'stati comportamentali' (come li chiama Wolff, 1987), che con la maturazione sviluppano una coerenza e una continuità vissuta come un senso coeso di identità personale - un sentiVIII
Introduzione
mento sovraordinato di 'essere un Sé"' (p. 110). Ciò che va continuamente esplorato è il confine tra una dissociazione come risultato di relazioni traumatiche e una dissociazione come processo strutturale/strutturante della mente. La dissociazione è una funzione normale della mente che esclude dal campo della coscienza stati di sofferenza intollerabile, legati a realtà interne ed esterne; è un meccanismo di sbarramento che mette al riparo la coscienza ordinaria dall'inondazione di stimoli dolorosi, come quelli di origine traumatica. Il suo scopò è quello di proteggere l'Io, in tutte le fasi evolutive, per mezzo dell'alterazione dello stato di coscienza ordinario tramite un processo inibitorio attivo di informazioni intollerabili e sopraffacenti, e la costruzione di una realtà parallela più favorevole, in cui trovare rifugio. Il sollievo ottenuto dal ritiro temporaneo in questo rifugio non è patologico e può essere messo al servizio dell'Io, dell'energia personale, della creatività e delle relazioni oggettuali; ma quando tende alla reiterazione eccessiva e alla dipendenza morbosa esso comporta il rischio della coazione all'isolamento e alla distorsione del senso di Sé e delle relazioni, fino alla perdita del contatto vitale con la realtà, a favore di attività compulsive e di forme di dipendenza patologica, fìno ai veri e propri disturbi dissociativi d'interesse psichiatrico. Lo scopo di questa introduzione non è però quello di riassumere i concetti che Bromberg, in maniera sia esplicita sia potenziale, affronta in questo libro. Il suo pensiero è molto articolato e la scrittura è avvincente - e non vogliamo togliere al lettore il fascino della lettura che lo attende. Piuttosto, può essere interessante tracciare qualche collegamento biografico. È proprio Bromberg, tra l'altro, a ricordare, fin dal saggio che introduce questi scritti, come la sua attenzione all'interiorità tragga origine da un atteggiamento che aveva, da bambino, nei confronti della realtà esterna, quando rifiutava l'ingiunzione adulta a mettere in parole i propri sentimenti: "Sono sempre stato diffidente verso le parole - forse un preambolo strano, se si considera quanto sta per seguire" (p. 3). Fin da piccolo nutriva un profondo rispetto verso la realtà interiore, non sentita come "inferiore" o "nemica" del mondo esterno. Semmai ricorda come questo atteggiamento di distacco dalla realtà risultasse un problema per chi gli stava intorno: di fronte a questa barriera, genitori e insegnanti non sapevano quale fosse l'atteggiamento giusto per "farlo uscire" dal proprio mondo interno. È stato proprio questo "scontro" tra interno ed esterno, tra assorbimento in sé ("la mia mente ha una sua mente", dice il poeta Allen Ginsberg) e IX
Introduzione
richieste del mondo, a condurlo a una riflessione, al tempo stesso sognante e rigorosa, sui sottili legami tra realtà e fantasia, interiorità e relazioni sociali, dimensione schizoide e processi dissociativi. Ancora oggi, sono proprio i momenti in cui i pazienti non riescono a raccontarsi con le parole, quelli che calamitano il suo interesse di clinico e di teorico. Una difficoltà, dice Bromberg, dovuta all'impossibilità di accedere a determinati pattern relazionali: vorrebbero esprimere le proprie situazioni di disagio, ma non ci riescono, perché le esperienze traumatiche vissute nell'infanzia, non elaborate e simbolizzate, galleggiano nella psiche come "isole dissociate". Brombcrg (1991) riassume gli avvenimenti biografici e professionali che hanno contribuito in maniera determinante a dar forma al suo pensiero in quattro periodi tra gli anni Sessanta agli anni Novanta. Il primo coincide con la frequentazione, alla fine degli anni Sessanta, del William Alanson White Institute, dove svolse il training psicoanalitico. Qui la sua attenzione era rivolta più al processo clinico che alla teoria, e in particolare al trattamento, alla luce della lezione sullivaniana dell"'osservazione partecipe", di quei pazienti al tempo definiti "non analizzabili", come le forme gravi narcisistiche e schizoidi. La seconda fase è quella che vede il passaggio dall'approccio interpersonale a quello relazionale. La terza può essere considerata quella in cui Bromberg scopre la propria "inclinazione" clinica, che consiste nell'ascoltare gli stati del Sé del paziente, in una visione della mente come strutturalmente organizzata dalla dissociazione. Il focus non è più, come nella cornice classica, sul contenuto degli stati mentali del paziente, ma sulle discontinuità nel passaggio da uno stato all'altro. Nel corso degli anni Bromberg va conferendo maggiore importanza all'esperienza soggettiva e agli enactment, più che alle interazioni verbali. In questa luce assume sempre più rilievo ciò che il paziente sente e fa, anziché ciò che riferisce in analisi. L'ultima fase è ancora in evoluzione, dice Bromberg (2004), e quindi non se ne possono definire a priori le caratteristiche finali. Ma nel suo ultimo libro, Awakening the Dreamer (2006), il tema della dissociazione mantiene una posizione cruciale, accanto a nuove narrazioni teoriche e cliniche, sempre più influenzate dall'intersoggettivismo. Tra queste, il concetto di "really real" gli è particolarmente caro, perché cattura il fatto complesso che la realtà come fenomeno soggettivo non è statica, e perché una persona sia stabile e al tempo stesso creativamente flessibile, essa deve adattarsi alle mutevoli domande delle diverse configurazioni degli stati del Sé senza perdere la capacità di percepire il mondo come lo percepiscono gli altri. X
Introduzione
L'approccio di Bromberg alla psicoanalisi si è evoluto da un'impostazione strettamente interpersonale (concentrata sulle relazioni reali Jel paziente) a un orientamento relazionale (concentrato sulle relazioni interiorizzate) nel quale però non vengono abbandonate alcune concettualizzazioni sullivaniane. Il suo modello teorico potrebbe essere considerato il dialogo tra due orientamenti analitici, in ugual modo centrati sulle relazioni, l'uno focalizzato su quelle reali e l'altro su quelle interiorizzate. Per Bromberg, benché entrambe assumano una rilevanza fondamentale nel processo clinico, l'attenzione del clinico va sempre rivolta alle relazioni multiple, reali e immaginate, che possono facilitare l'azione terapeutica. Gli scritti raccolti in questo volume riguardano i temi del trauma, Jella dissociazione, nelle sue declinazioni normale e patologica, e di come in quest'ultimo caso essa produca organizzazioni di personalità come quelle schizoidi, narcisistiche e borderline; ma, soprattutto, mostrano come questi temi abbiano una ricaduta nel lavoro clinico e informino la pratica terapeutica. Tradizionalmente, lo spazio clinico è visto come la situazione in cui analista e paziente sono "alla ricerca" dei significati reconditi di un passato nascosto. Per l'autore, l'obiettivo della psicoanalisi non è tanto la ricostruzione del passato del paziente per mezzo delle interpretazioni dell'analista, ma la costruzione delle interconnessioni fra le multiple rappresentazioni del sé, tra le capacità adattive e immaginative, tra realtà interna ed esterna. Questo grazie alla "straordinaria capacità" della personalità umana di "negoziare simultaneamente stabilità e cambiamento" (p. 95), ma anche "di restare lo stesso nel cambiamento" (p. 231). Un'ultima osservazione in tema di molteplicità. L'edizione italiana degli scritti di Bromberg è il risultato del lavoro di diversi Sé che si sono messi all'opera per leggere, tradurre, curare e finalmente proporre al lettore italiano un libro davvero fuori dal comune. Con Bromberg, non poteva che andare così.
XI
PREFAZIONE ALL'EDIZIONE ITALIANA Philip M. Bromberg
Tanto nel corso dello sviluppo quanto nel processo di guarigione la personalità umana tende a manifestare, sul piano sia individuale sia culturale, un aumento della sua "interezza". Il termine "interezza personale" è una formula breve che sta a indicare l'esperienza del sentirsi connessi alla società umana e agli altri in maniera sicura e creativa. Fino a questo momento la "personalità" di questo libro è stata influenzata principalmente dal contesto culturale in cui ha vissuto i suoi primi anni di vita. È un enorme piacere per me che Standing in the Spaces stia per interagire con un'altra cultura, usando il suo linguaggio, e in special modo che questa lingua sia l'italiano. Sono sicuro che questa nuova relazione con i lettori italiani sarà felice, e lo ravviverà con una più ampia gamma di sfumature e una varietà più complessa di interpretazioni, aumentandone così !'"interezza". Io credo che sia l'esperienza di interezza relazionale a consentirci di conservare la nostra individualità e di abbandonarla a un "altro" senza timore di perderla. È per questo motivo che siamo in grado di sentirci uno in molti- di restare negli spazi tra sé multipli senza dissociarli. Ma forse la cosa ancora più importante, per quello che è il punto centrale di questo libro, è l'idea che ciò che soggiace allo straordinario talento della personalità umana è il sentirsi parte dell'umanità: la sua capacità, in presenza delle giuste condizioni relazionali, di negoziare simultaneamente stabilità e cambiamento. Nel trattamento analitico, se il terapeuta è in grado di relazionarsi a ogni aspetto del Sé del paziente attraverso la sua soggettività, ogni singola parte del Sé del paziente diviene sempre più in grado di coesistere con il tutto e, in questo senso, di sentirsi connesso agli altri - un senso di continuità personale, di coerenza e di coesione che passa atXIII
JJre/àzione all'edizione italiana
traverso la relazionalità umana. Quando noi "oggettiviamo" i pazienti (spesso quando la nostra posizione analitica viene utilizzata in maniera difensiva), viene perso temporaneamente il senso di coerenza personale ed entrambi, sia noi sia il paziente, sacrifichiamo così l' esperienza di integrità. Sono questi i momenti in cui è più probabile che ci sorprendiamo a trovarci in presenza di un paziente che sta cercando di costringerci a uscire da uno stato del Sé isolato in cui siamo nascosti. Tutto questo si verifica, in maniera tipica, attraverso l' enactment - una comunicazione tra stati del Sé dissociati del paziente e dell'analista. Se quest'ultimo è, alla fine, capace di riconoscere che il suo sentirsi a disagio include l'inquietante esperienza di essere soggetto a una comunicazione dissociata tra sé e il proprio paziente, si trova davanti all'opportunità di percepire il suo rifiuto condiviso di essere derubato dall'altro della propria "totalità". Auguro al lettore una lettura piacevole, intellettualmente stimolante e, spero, clinicamente utile.
XIV
RINGRAZIAMENTI
La fonte primaria di nutrimento per la preparazione