Brevettabilità del vivente. Principi deboli e interessi forti. I comportamenti umani sul patrimonio genetico tra questioni giuridiche e etiche 9788855293655, 9788855293730

La scoperta dei principi genetici che regolano lo sviluppo della persona umana, hanno aperto nuovi orizzonti all’interve

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INDICE
CAPITOLO I ADATTABILITÀ DEL SISTEMA BREVETTUALE ALLE BIOTECNOLOGIE
CAPITOLO II LA REGOLAMENTAZIONE NORMATIVA DEL BREVETTO BIOTECNOLOGICO
CAPITOLO III MANIPOLAZIONE DEL VIVENTE, PROFILI BIOETICI
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Brevettabilità del vivente. Principi deboli e interessi forti. I comportamenti umani sul patrimonio genetico tra questioni giuridiche e etiche
 9788855293655, 9788855293730

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Antonella Nurra Brevettabilità del vivente Principi deboli e interessi forti I comportamenti umani sul patrimonio genetico tra questioni giuridiche ed etiche

Quaderni dell’Archivio Giuridico Sassarese

Collana diretta da Giovanni Maria Uda

Comitato scientifico Luigi Balestra, Francesco Capriglione, Maria Rosa Cimma, Claudio Colombo, Maria Floriana Cursi, Andrea Di Porto, Iole Fargnoli, Roberto Fiori, Lauretta Maganzani, Dario Mantovani, Maria Rosaria Maugeri, Fabio Padovini, Salvatore Patti, Andrea Zoppini

Quaderni dell’Archivio Giuridico Sassarese

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Antonella Nurra

Brevettabilità del vivente Principi deboli e interessi forti I comportamenti umani sul patrimonio genetico tra questioni giuridiche ed etiche

© 2023, INSCHIBBOLETH EDIZIONI, Roma. Proprietà letteraria riservata di Inschibboleth società cooperativa, via G. Macchi, 94 – 00133 – Roma

www.inschibbolethedizioni.com e-mail: [email protected] Quaderni dell’Archivio Giuridico Sassarese ISSN: 2724-1769 n. 10 – gennaio 2023 ISBN – Edizione cartacea: 978-88-5529-365-5 ISBN – Ebook: 978-88-5529-373-0

Copertina e Grafica: Ufficio grafico Inschibboleth Immagine di copertina: Lezione di anatomia del dottor Tulp Rembrandt, olio su tela, 1632

a Gerolamo Niccolò

«Nell’uomo avviene una doppia nascita: una prima volta nel grembo materno e una seconda volta nella libertà». Rabindranath Tagore, Il nido dell’amore

INDICE

I.  ADATTABILITÀ DEL SISTEMA BREVETTUALE ALLE BIOTECNOLOGIE

1.  L’evoluzione delle biotecnologie 2.  La tutela delle invenzioni biotecnologiche tra Status Naturae, dignità umana e tutela delle biodiversità 3.  I requisiti di brevettabilità dell’invenzione biotecnologica 3.1.  La novità 3.2. L’originalità 3.3.  L’industrialità e il concetto di utility 4.  Le obiezioni etiche alla brevettabilità delle biotecnologie II.  LA REGOLAMENTAZIONE NORMATIVA DEL BREVETTO BIOTECNOLOGICO

1.  Nascita dei brevetti biotecnologici: il caso statunitense Chakrabarty 2.  Le origini della disciplina europea: Oncomouse della Harvard Medical School 3.  Il contenuto della Direttiva 98/44/CE 3.1.  Corpo umano: genoma patrimonio dell’umanità 3.2.  Natura e limiti delle invenzioni biotecnologiche 3.3.  Privilegio dell’agricoltore o farmer exception 3.4. Rinvio

p. 13 p. 13 p. 24 p. 30 p. 30 p. 36 p. 39 p. 48 p. 61 p. 61 p. 66 p. 77 p. 83 p. 86 p. 90 p. 92

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INDICE

4.  Il recepimento tardivo della Direttiva 98/44/CE in Italia 4.1.  Ruolo che il consenso informato della persona da cui il campione è attinto è chiamato a svolgere 4.2.  Licenze obbligatorie 4.3.  Estensione della tutela 4.4.  Un non senso giuridico

p. 99 p. 101 p. 103 p. 105

III.  MANIPOLAZIONE DEL VIVENTE, PROFILI BIOETICI

p. 109

1.  La questione dell’utilizzo di materiale biologico derivato da parti del corpo 2.  Questioni complesse: la brevettabilità dei test genetici 3.  Infine, la Sentenza della Corte Suprema 4.  L’opposizione europea 5.  La questione delle cellule staminali embrionali: quando inizia la vita umana? 6.  Il precedente Brüstle 7.  Ulteriore tassello, utile alla complessiva ricostruzione del puzzle eurounitario dell’embrione 8.  Il diritto alla salute 9.  Notazioni provvisoriamente conclusive 10.  L’equivoco di far iniziare la persona dalla feconda  zione 11.  Le nuove frontiere

p. 93

p. 110 p. 114 p. 120 p. 123 p. 127 p. 133 p. 147 p. 150 p. 152 p. 159 p. 163

CAPITOLO I

ADATTABILITÀ DEL SISTEMA BREVETTUALE ALLE BIOTECNOLOGIE

Sommario: 1. L’evoluzione delle biotecnologie. – 2. La tutela delle invenzioni biotecnologiche tra Status Naturae, dignità umana e tutela delle biodiversità. – 3. I requisiti di brevettabilità dell’invenzione biotecnologica. – 3.1. La novità. – 3.2. L’originalità. – 3.3. L’industrialità e il concetto di utility – 4. Le obiezioni etiche alla brevettabilità delle biotecnologie.

1. L’evoluzione delle biotecnologie Col terzo millennio si apre una nuova era per la genetica moderna; dopo la rivoluzione industriale basata sulla ricerca delle risorse fossili e energetiche ora ci troviamo di fronte alla «rivoluzione biotecnologica» in cui i geni fanno da protagonisti e gli esseri viventi «vengono utilizzati come strumenti per cambiare il mondo»1. Il termine biotecnologia è una parola nuova che descrive però una disciplina antica, risalente alla preistoria. Infatti già migliaia di anni fa l’uomo ha iniziato a produrre birra, vino e a trasformare il latte in formaggio. I nostri antenati2 non furono abili nel mettere in atto processi di carattere biotecnologico e la consapevolezza si levò solo con il microscopio di Leeuwenhoek, il quale alla fine del 1600 riuscì ad osservare i microrganismi che intervenivano nel meccanismo della fermentazione.

 M. Buiatti, Le biotecnologie, il Mulino, Bologna, 2004, p. 7.   I Sumeri, i Babilonesi e gli Egiziani producevano vino e birra (6000 a.C.), gli Egiziani il pane lievitato (4000 a.C.) e l’aceto (400 a.C.), gli Assiri il formaggio e lo yogurt (3000 a.C.). 1

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CAPITOLO I

Successivamente è stato necessario per la lenta maturazione della ricerca attendere la seconda metà dell’Ottocento perché Pasteur ponesse finalmente lo studio delle tecniche di intervento sulla materia vivente su rigorose basi razionali e scientifiche, identificando ed isolando l’agente responsabile dei processi di fermentazione, ossia un organismo unicellulare chiamato lievito3. Sempre la seconda metà dell’Ottocento è ricca di scoperte ed intuizioni basilari per la moderna biotecnologia, dal momento che Mendel conferisce forma compiuta alle leggi fondamentali della genetica e della trasmissione ereditaria e Miescher scopre l’esistenza di acidi nucleici all’interno della cellula. Mentre gli studi di genetica diedero origine ad applicazioni di modesta portata, dispiegando le proprie potenzialità soprattutto nell’affinamento delle tecniche di incrocio e ibridazione, la microbiologia trovò, fin dall’inizio, importanti attuazioni concrete, dapprima nella razionalizzazione delle tecniche fermentative in campo alimentare ed industriale, e, in un secondo momento, da Alexander Fleming in avanti, nel settore farmaceutico, con lo sviluppo della produzione di antibiotici e vaccini. Le tappe che hanno segnato la nascita della biotecnologia del XX secolo sono sostanzialmente due scoperte che hanno rivoluzionato la biologia tra gli anni ’50 e gli anni ’70. Nell’anno 1953, James Watson e Francis Crick insieme Maurice Wilkins, il sempre dimenticato della triade dei premi Nobel, lavorando al laboratorio Cavendish di Cambridge, ebbero una delle intuizioni più geniali della storia della biologia: individuarono la struttura a doppia elica della molecola del DNA, presente nelle cellule degli organismi viventi, che permette di ipotizzare il meccanismo della duplicazione del materiale genetico, ponendo le basi molecolari dell’ereditarietà di ogni individuo. Watson e Crick utilizzarono le precedenti ricerche degli scienziati per determinare la struttura del DNA. Infatti era già noto che il DNA è costituito di 3  V. D’Antonio, Invenzioni biotecnologiche e modelli giuridici: Europa e Stati Uniti, Jovene, Napoli, 2004, pp. 7 ss.

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nucleotidi e che ciascuna molecola di DNA ha un uguale numero di basi di adenina e timina, come uno stesso numero di basi di guanina e citosina. Watson e Crick erano convinti che il DNA dovesse essere una molecola autoreplicante che produceva copie di se stessa durante la divisione cellulare e la struttura ad elica pareva costituire il modello ideale per includere tali proprietà. Ma la chiave stava nelle osservazioni di Erwin Chargaff sulle quantità delle basi presenti nel DNA. E fu proprio Chargaff, che nel 1952 fece visita al Cavendish Laboratory, dove lavoravano i due scienziati, ad indurre Crick alla soluzione dell’enigma: questi si rese conto che, se in ogni molecola di DNA era presente lo stesso numero di adenina e timina così come lo stesso numero di guanina e citosina, l’unica conclusione possibile doveva essere che l’adenina si appaiasse sempre con la timina e la guanina con la citosina. Sulla base di questa intuizione Watson e Crick passarono ad elaborare un modello a doppia elica, che implementasse dunque le regole di appaiamento delle basi e giunsero al modello definitivo del DNA: una doppia elica con le basi rivolte all’interno, una di fronte all’altra, unite da legami a idrogeno, con lo scheletro composto da fosfati a tenere insieme l’intera molecola, e con il desossiribosio a fare da ponte tra il fosfato e la relativa base. Si scopri così che la complessità della sostanza vivente può essere ridotta ad alcune strutture di base, assolutamente identiche. Solo alcune differenze nella loro combinazione provocano l’apparire di realtà diverse. E infatti il genotipo, la struttura interna del DNA, interagisce con l’ambiente e condiziona il fenotipo, la struttura esterna dell’organismo vivente, in modo che a modificazioni della struttura interna corrispondono modificazioni della struttura esterna. Di conseguenza si comprese che l’individuazione del DNA, responsabile del carattere di un fenotipo, assieme alla disponibilità di una tecnica di manipolazione di quella sequenza, avrebbe consentito una modificazione “mirata” del fenotipo attraverso la manipolazione del fenotipo stesso.

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CAPITOLO I

Al termine degli anni ’70 le strade della microbiologia e della genetica si incrociarono e si rese possibile, con l’ingegneria genetica, la lettura dei geni reclamati a seguito dell’indagine biologica. Si aprì agli scienziati la possibilità di indagare su un campo vastissimo, prima ancora che di scoperte, di applicazioni, segnando una rottura tra le biotecnologie definite tradizionali, ovvero metodologie per l’utilizzo di tutte le forme viventi per produrre sostanze utili all’uomo e le biotecnologie avanzate o meglio metodi di modificazione genetica mediante tecniche di DNA ricombinante o di fusione cellulare, idonee a modificarne le caratteristiche4. Le biotecnologie innovative sono, dunque, tecnologie ad alto contenuto rivoluzionario che permettono di trasferire in un organismo geni che in condizioni naturali non avrebbe mai l’occasione di incontrare e acquisire perché in natura esistono barriere che generalmente non permettono alla specie di mescolarsi tra loro5. Esse permettono di analizzare, modificare in modo predeterminato l’agente biologico utilizzato, impiegando la progettualità e non sfruttando la casualità6. Affinché nasca qualcosa che si possa definire a tutti gli effetti biotecnologia, bisogna aspettare la rivoluzione biologica della metà del Novecento e bisogna guardare alla genetica. Com’è noto, la genetica nacque grazie agli studi di Mendel7 che con le leggi sulla ereditarietà permise di rendere più efficienti le tecniche già in

 G. Aglialoro, Il diritto delle biotecnologie dagli Accordi TRIPS alla Direttiva n. 98/44, Giappichelli, Torino, 2006, pp. 3 ss. 5   Comitato Nazionale per la Bioetica, Considerazioni etiche e giuridiche sull’impiego delle biotecnologie, 30 novembre 2001, http://governo.it/bioetica/testi.html. 6   M. Tallachini – F. Terragni, Le biotecnologie. Aspetti etici, sociali e ambientali, Mondadori, Milano, 2004, p. 53. 7   R. Lewontin, Il sogno del genoma umano e altre illusioni della scienza, tr. it. di M. Sanpaolo, Laterza, Roma-Bari, 2004, pp. 61 ss.; E. Gallori, Genetica, Giunti, Firenze, 1997, pp. 10 ss.; S. Aldridge, Il filo della vita. Storia dei geni e dell’ingegneria genetica, tr. it. di G. Sabato, Dedalo, Bari, 1999, pp. 39 ss.; A. Serra, Un modello di dinamica della ricerca sperimentale. Lo sviluppo della teoria del gene, in C. Huber (a cura di), Teoria e metodo della ricerca scientifica, Gregoriana, Padova, 1981, pp. 65 ss.; J. Schwartz, In Pursuit of the Gene. From Darwin to DNA, Harvard University Press, Cambridge-London, 2008, p. 86 ss. Per una 4

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uso, aumentando le capacità di predire i risultati in base alla conoscenza del patrimonio genetico di partenza. Non si utilizza ancora il termine gene che, sin da quando Johanssen coniò il termine nel 1909, rimase per lungo tempo entità logiche che «sfuggivano ad ogni analisi diretta e potevano essere percepiti solo osservando gli effetti del loro funzionamento o meglio del loro presunto non funzionamento»8. In effetti, il principale problema per la genetica ai tempi di Mendel rimaneva il fatto che i geni non erano altro che pura astrazione anche se: «quando si riflette sullo straordinario sviluppo della genetica, non si può che essere colpiti dallo straordinario sforzo di astrazione che ha diretto l’elaborazione del concetto di gene. Concepire queste specie di atomi (nel senso di unità indivisibili) del determinismo genetico, dimostrandone l’esistenza mediante esperimenti rigorosi condotti con strumenti di analisi estremamente semplici, mentre gli oggetti analizzati (piante o animali) presentavano un’enorme complessità, costituisce uno sforzo di astrazione incredibile»9. Fu con la scoperta che il DNA era portatore di informazione genetica che i geni cominciarono a perdere di astrattezza e a divenire un po’più reali. Il segreto della vita, la molecola del DNA, era stato isolato per la prima volta dal biochimico svizzero Friedrich Miescher10 un secolo prima di F. Crick e J. Watson. Miescher dimostrò che la molecola del DNA era contenuta nei nuclei, compartimentali cellulari ben visibili al microscopio ma la funzione dei quali era ignota ai biologi di allora. La sostanza che si otteneva per questa via fu nominata da Miescher nucleina, dal momento che, appunto, sembrava essere con-

biografia di Mendel, cfr. Mendel, in Aa. Vv., The American Heritage Science Dictionary, Houghton Mifflin, Boston, 2005, pp. 391 ss. 8  P. Kourilsky, Gli artigiani della vita, tr. it. di L. Tinelli, G. Dehò, Mondadori, Novara, 1994, p. 41. 9   Ibidem. 10   Su Miescher e sulla storia della scoperta del DNA, S. Aldridge, Il filo della vita, cit., pp. 10 ss.

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tenuta nel nucleo della cellula. Analizzandola si rese conto che si trattava di un acido contenente fosforo per cui non poteva rientrare tra le sostanze della cellula già note, come proteine, carboidrati e lipidi. Miescher continuò a lavorare sulla nucleina e constatò che la nucleina era presente in molte altre cellule e formulò diverse ipotesi sulla sua funzione. Era chiaro, pertanto, quali fossero gli elementi contenuti nel nucleo ma risultava difficile stabilire quale elemento fosse responsabile della trasmissione ereditaria. Nel 1879 il chimico tedesco Walter Flemming si accorse che certe tinture rosse erano in grado di far risaltare piccoli granuli all’interno del nucleo cellulare che egli chiamò cromatina, poiché assorbiva il colore dei reagenti con cui si coloravano cellule e tessuti allo scopo di osservarli. Sei anni più tardi il tedesco von Waldeyer introdusse per questi filamenti di cromatina il nome con cui li conosciamo ancora oggi cromosomi. La cromatina, che conteneva la nucleina, risultava dunque essere responsabile dell’eredità. Per lungo tempo, del resto, si guardò alle proteine come principale veicolo dell’ereditarietà. All’inizio del Novecento tutto ciò che si sapeva del DNA era la sua composizione: un gruppo fosfato, uno zucchero (il desossiribosio) e le basi azotate. Fu Phoebus Levene, un biochimico del Rockefeller Institute for Medical Research, ad analizzare il modo in cui tali elementi si combinavano tra loro. Egli mostrò che i tre componenti erano uniti da legami chimici a formare delle unità, che egli chiamò nucleotidi, in cui lo zucchero fungeva da ponte tra il fosfato e la base. Tali nucleotidi si disponevano in fila per mezzo di legami chimici tra i gruppi di fosfato, a formare quella che sembrava una sorta di collana di perle. Levene, tuttavia, era convinto che le basi azotate si disponessero secondo un ordine ben preciso, ripetuto lungo tutti gli anelli della catena, in maniera identica. Mostrò che esistono due tipi di acidi nucleici contenenti due zuccheri diversi, il ribosio da cui derivano gli acidi ribonucleici, RNA e il desossiribosio da cui derivano gli acidi desossiribonucleici, DNA. Credeva però che il DNA svolgesse solo un ruolo di supporto, abbastanza marginale, nella trasmissione dei

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caratteri ereditari, limitandosi a mantenere nella giusta posizione le proteine presenti nel nucleo. Fu Oswald Theodore Avery11 nel 1944 a dimostrare che il DNA, e non le proteine, conteneva l’informazione genetica, ovvero il «prin­cipio trasformante». Insieme ai suoi colleghi Colin McLeod e Maclyn Macarty, egli tenne un esperimento nel quale isolò i diversi tipi di macromolecole presenti all’interno della membrana cellulare di un batterio (proteine, polisaccaridi, acidi nucleici e lipidi) per capire quali di queste sostanze fosse in grado di trasformare il ceppo non virulento del batterio in quello virulento. Tutte, eccetto l’acido desossiribonucleico, erano incapaci di alcun effetto trasformante. Secondo le parole di Avery «gli acidi nucleici devono essere considerati in grado di possedere specificità biologiche la cui base resta, per ora, indeterminata»12. Fu il successivo esperimento di Alfred Hershey e Martha Chase, nel 1952, a rivelare definitivamente che il materiale genetico è contenuto nel DNA e non nelle proteine13. Lavorando con un virus chiamato fago, si proposero di infettare alcuni batteri (Escherichia coli) per stabilire quale dei due componenti fosse entrato nelle cellule batteriche infette, e quindi quale dei due contenesse il materiale genetico. A questo scopo marcarono radioattivamente tanto il nucleo quanto l’involucro proteico del virus, sfruttando la diversa composizione chimica tra DNA e proteine (il fosforo è presente solo nel DNA mentre lo zolfo solo nelle proteine) e in questo modo essi potevano seguire il destino delle due componenti dopo l’infezione. I batteriofagi, infatti, inoculano nel batterio solo il materiale contenente le istruzioni genetiche utili alla riproduzione, lasciando un involucro vuoto all’esterno. Dopo aver quindi mescolato batteri e fagi ad infezione avvenuta, Hershey e Chase passarono a dividere la coltura di batteri infettata dagli involucri dei virus. A quel punto, scoprirono che nelle cellule dei batteri era presente fosforo radio11   Per un approfondimento dell’esperimento di Avery, cfr. I. Barrai, Introduzione alla genetica dei caratteri quantitativi, Piccin, Padova, 1980, pp. 96 ss. 12   Cfr. ivi, pp. 93 ss. 13   Cfr. S. Aldridge, Il filo della vita, cit., pp. 24 ss.

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attivo e non zolfo, che invece fu ritrovato nell’involucro vuoto dei fagi: le proteine avevano dunque svolto un mero ruolo di protezione nei confronti del DNA, che risultava quindi, a conferma dell’esperimento di Avery, l’unico agente responsabile della riproduzione. Si apriva così un territorio completamente nuovo, in cui era possibile scorgere, «[…] con contorni ancora confusi, i fondamenti di una grammatica della biologia. Avery ci aveva dato il primo testo di una nuova lingua o meglio ci aveva mostrato dove cercarlo»14. Ma un determinate contributo fu dato da Erwin Chargaff15 in merito alla comprensione del DNA. Utilizzando le tecniche di cromatografia gli fu possibile analizzare la composizione delle basi all’interno del DNA, superando, tra l’altro, la concezione di Levene: adenina, citosina, guanina e timina (le note basi A, C, G, T) non risultavano essere presenti in numero uguale. Le diverse percentuali, piuttosto, variavano a seconda della specie: nel DNA umano, ad esempio, il 30,9% del contenuto di basi è adenina, mentre la stessa base si trovava al 27,3% nel lievito. Il dato più interessante era che tali percentuali non variavano né a seconda del tessuto estratto né in base all’individuo della stessa specie. I risultati erano identici sia che si estraesse DNA dal bulbo di una cipolla, ad esempio, sia che lo si estraesse da una foglia o anche da un’altra cipolla. Inoltre, a prescindere da quale campione di DNA si studiasse, il numero di molecole di adenina era sempre identico al numero di molecole di timina, e così pure la quantità di guanina risultava essere sempre identica alla quantità di timina. Questi risultati furono pubblicati nel 1950. Tre anni più tardi, come abbiamo già avuto modo di analizzare, Watson e Crick giunsero al loro celebre modello a doppia elica, che resero noto il 25 aprile 195316. Questo modello, raffigurato sulle copertine e nelle

 S. Aldridge, Il filo della vita, cit., p. 27.  Cfr. ibidem. 16   J.D. Watson – F.H.C. Crick, Molecular Structure of Nucleic Acids. A Structure for Deoxyribonucleic Acid, in Nature, 1953, 171, pp. 737 ss.; Iid., Genetical Implications of the Structure of Deoxyribonucleic Acid, ivi, pp. 964 ss.; J.D. Wat14 15

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illustrazioni della maggior parte dei libri di biologia e di genetica, è diventato presto l’immagine dell’era biotecnologica e a tutt’oggi costituisce un simbolo ben radicato nell’immaginario collettivo e nella visione scientifica della realtà. Il modello di Watson e Crick ha innumerevoli meriti: semplice e chiaro, capace di «catturare immediatamente l’immaginazione scientifica e popolare come nessun’altra scoperta aveva fatto dopo i progressi della fisica atomica»17. Inoltre esprime con chiarezza la funzione del DNA, e come evidenziato nelle loro parole non sfuggì «il fatto che l’accoppiamento specifico che abbiamo postulato suggerisca immediatamente un possibile meccanismo di trascrizione del materiale genetico»18. Il modello a doppia elica sembra essere la chiave interpretativa di tutto il mondo biologico, e «ogni scolaretto sa che il DNA è un lungo messaggio chimico scritto in un linguaggio a quattro lettere»19, il codice della vita, come sovente viene definito. Tuttavia, per quanto con il DNA si fosse trovata la chiave di lettura del codice della vita, l’accesso ai testi, rimase precluso ancora per diversi anni20. In effetti si era definito solamente l’aspetto strutturale comune dei geni, senza sfiorare la specificità della loro struttura e «nonostante che l’esistenza della doppia elica fosse conosciuta, che il meccanismo globale del funzionamento dei geni fosse chiarito e che il codice genetico fosse stato decifrato, i geni restavano indefiniti, essenzialmente astrazioni quasi irriducibili»21. son,

La doppia elica, tr. it. di M. Attardo Magrini, Garzanti, Milano, 1968 (poi in Id., La doppia elica. Trent’anni dopo, tr. it. di B. Vitale, M. Attardo Magrini, Garzanti, Milano, 1982); F.H.C. Crick, La folle caccia. La vera storia della scoperta del codice genetico, tr. it. di L. Sosio, Rizzoli, Milano, 1990. 17  S. Jasanoff, Fabbriche della Natura. Prassi del principio di responsabilità, tr. it. di E. Gambini, A. Roffi, il Saggiatore, Milano, 2008, p. 49. 18   J.D. Watson – F.H.C. Crick, Molecular Structure of Nucleic Acids, cit., p. 738. 19   F. H. C. Crick, What Mad Pursuit. A Personal View of Scientific Discovery, Basic Books, New York, 1990, p. 62: «Every schoolboy knows that DNA is a very long chemical message written in a four-letter language». 20  P. Kourilsky, Gli artigiani della vita, cit., p. 41. 21   Ibidem.

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Il problema principale consisteva nel fatto che, per poter leggere i testi, ovverosia per poter essere capaci di analizzare i geni, si sarebbe dovuto analizzare per prima cosa la sequenza delle loro basi, ma non si conosceva un metodo generale che consentisse di isolare e quindi di analizzare i singoli geni cellulari. L’enormità di informazioni contenute in un singolo DNA, infatti nelle cellule umane è contenuto circa un metro di DNA, è tale che «se volessimo allineare, unendo le estremità, tutto il DNA contenuto in un solo essere umano, otterremmo una lunghezza pari alla distanza tra la Terra e il Sole»22. Non si riuscì a venire a capo di queste difficoltà, che sembravano insormontabili, fino agli anni ’70, quando la scoperta degli enzimi di restrizione, ad opera di Werner Arber, che ebbe il premio Nobel per la medicina nel 1978, insieme a Daniel Nathans e a Hamilton Smith23, ha avviato lo sviluppo della biologia molecolare e dell’ingegneria genetica, offrendo inaspettatamente un metodo generale per poter purificare i geni, riuscendo a tagliare il DNA in siti specifici e a riunire molecole di DNA di diversa origine, la cosiddetta scoperta delle «forbici del Dna»24. «Da allora la natura del gene si modificò radicalmente. Da astrazione divenne oggetto chimico dotato di struttura interamente definita e oggetto manipolabile, tanto più manipolabile quanto più se ne conosceva la struttura: il sapere (la struttura del gene) e il saper fare (la sua manipolazione) si trovarono uniti in una conoscenza comune»25.

  Ibidem.   Cfr. l’autobiografia di Arber in W. Odelberg (a cura di), The Nobel Prizes 1978, Nobel Foundation, Stockholm 1979, reperibile sul sito: nobelprize.org, alla pagina web: http://nobelprize.org/nobel_prizes/medicine/laureates/1978/ arber-autobio.html. Sugli enzimi di restrizione. D.W. Ross, Introduzione alla medicina molecolare, tr. it., a cura di M.R. Micheli, R. Bova, Springer, Milano, 2005, p. 36 ss.; C. Salerno, Appunti di biochimica clinica, Scriptaweb, Napoli, 2006, p. 432. 24  G. Milano, Bioetica. Dalla A alla Z, Milano 1997, p. 122. 25  P. Kourilsky, Gli artigiani della vita, cit., p. 44. 22

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Nel 1973 tre americani, Stanley Cohen, Annie Chang e Herbert Boyer costruirono il primo batterio geneticamente ricombinate e nel 1977 per la prima volta, un gene umano ricombinato venne inserito in un batterio per clonare una proteina, sviluppando un nuovo metodo per il sequenziamento del DNA. Fino ad arrivare agli anni ’90, quando ha inizio il Progetto Genoma, un impegno internazionale per sequenziare e mappare il genoma dell’uomo, portato a compimento nel 2003 con la realizzazione di una mappatura completa del genoma umano. Nel nuovo millennio l’attenzione si è concentrata prevalentemente sull’individuazione dei 25-30.000 geni che costituiscono il DNA umano, la più grande rivoluzione dopo Leonardo, sull’identificazione delle mutazioni genetiche che contribuiscono all’insorgenza di determinate patologie26 e sulla proteomica, sullo studio, cioè, delle proteine costituite in base alle indicazioni contenute nel mRNA27, individuando anche una nuova tecnica per mappare i geni, una specie di codice a barre, che consiste in sequenze infinite e uniche tali per cui possono essere focalizzate sui cromosomi insieme al gene da cui sono state prodotte. Dal 2012 una nuova tecnologia CRIPS stravolge il viaggio nel mondo dell’editing genomico, cioè di riscrittura del DNA, e si dimostra capace di correggere, modificare e revisionare errori genetici. Qualunque tipo di cellula vegetale, animale, inclusa quella umana, può essere modificata geneticamente e la correzione può avvenire ovunque nel genoma. «La novità non consiste tanto nell’idea, quanto piuttosto nell’assemblaggio molecolare realizzato per effettuare l’operazione di editing, che apre prospettive di intervento fino a pochi anni fa inim-

  Il progetto internazionale HapMap si pone la finalità di migliorare le capacità di identificare mutazioni genetiche responsabili di malattie comuni: cfr. http//:wwwhapmap.org. 27   Si tratta di uno studio complesso, se solo si considera che un singolo gene può codificare per più proteine, che una singola proteina può essere coinvolta in più di un processo o che, in senso opposto, funzioni simili possono essere svolte da diverse proteine. 26

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maginabili, con caratteristiche di precisione, specificità relativa semplicità, facile accessibilità efficienza a bassi costi»28. Su queste basi sempre più delicati e stringenti sono gli interrogativi che la genetica pone al diritto, chiamato a porre soluzioni che non possono prescindere dal costante e inesausto aggiornamento del discorso scientifico. La predittività delle informazioni che si possono ottenere, in quanto capaci di consegnare una immagine non solo di quello che l’individuo è, ma anche di quello che potrà diventare, ha aumentato la preoccupazione che il DNA sia future diaries29 che, come pone in evidenza la bioetica30, potrà dare luogo a nuovi problemi per l’esistenza umana implicando rischi di concretizzazione della vita e manipolazioni genetiche, con risultati imprevedibili. D’altronde però la distinzione tra etica e diritto è motivata sulla base del principio del «positivismo giuridico»31 il quale implica che un precetto o scelta sia il risultato di determinate procedure che devono essere rispettate prescindendo dal fatto che si ritengano corrette o meno32.

2. La tutela delle invenzioni biotecnologiche tra Status Naturae, dignità umana e tutela delle biodiversità Lo sviluppo delle biotecnologie ha consentito di delineare, negli ultimi venti anni, ambiti di ricerca e campi di applicazione interamente nuovi, con obiettivi coraggiosi che potrebbero essere prima

  L’editing genetico e la Tecnica CRIPS-CAS9: considerazioni etiche, Comitato Nazionale di Bioetica, Presidenza Consiglio del Ministri, 23 febbraio 2017, p. 5. 29   G.J. Annas, Privacy Rules for DNA Databanks: Protecting Coded “Future Diaries”, 270 Am. Med. Ass., 1993. 30   B. Bryan, Biotechnology, Bioethics and liberalism: Problematizing Risk, consent and Law, in 11 Health Law Journal, 2003, pp. 119 ss. 31   J. Gardner, Legal Positivis; 5 1/2Myths, in American Journal of Jurisprudence, 2001, pp. 199 ss. 32   M.D. Howe, The Positivism of Mr Justice Holmes, in 64 Harvard Law Review, 1951, pp. 529 ss. 28

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o poi, almeno in parte, raggiunti33. Si aprono così scenari dai confini non ancora delineati: non solo nuove prospettive terapeutiche o diagnostico-preventive, ma anche, per quel che attiene all’ambito giuridico, possibili discriminazioni in ambienti lavorativi e assicurativi; conflitti tra appartenenti al medesimo gruppo biologico circa la disponibilità di informazioni che, pur riferendosi al titolare dell’informazione genetica, coinvolgono un numero indeterminato di persone: infatti spesso il valore informativo di un determinato dato, direttamente ricollegabile ad un unico soggetto, non si esaurisce all’interno della sfera privata e familiare ma giunge ad incidere sulla dimensione pubblica e collettiva34. Le conoscenze sul genoma umano sono aumentate enormemente negli ultimi anni35 ma ancora tanto è da fare. Infatti seppur del DNA conosciamo l’alfabeto e comprendiamo la grammatica, cioè la funzione di molti dei geni noti, ne ignoriamo largamente la sintassi, cioè il modo in cui ogni gene collabora con gli altri36. In base a ciò comprendiamo malattie semplici, cioè determinate in modo diretto dalla presenza della variante patologica di un solo gene; comprendiamo ad esempio la fibrosi cistica, distrofie muscolari, emofilia, qualche forma rara di cancro, ma non comprendiamo malattie complesse, cioè determinate dalla presenza di varianti patologiche a più geni, spesso in complessa interazione con l’ambiente quali il diabete, le malattie neurodegenerative come Alzheimer, Parkinson e sclerosi multipla, malattie mentali come la schizofre33   Cfr. A. Pizzoferrato, Brevetto per invenzione e biotecnologie, in F. Galgano (dir.), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, XXVIII, Cedam, Padova, 2002, pp. 43 ss. 34   Cfr. K. Finkler – C. Skrzyni – P. Evans, The new genentics and its consequences for family, kinship medicine and medical genetics, in Social Science and Medicine, 2003, 57, pp. 403-412. 35   D. Altshuler – M.J. Daly – E.S. Landerses, Genetic mapping in human disease, in Science, 2008, 322, pp. 881-888; K.A. Frazen – S.S. Murray – N.J. Schork – E.J. Topol, Human genetic variation and its contribution to complex traits, in Nature Reviews Genetics, 2009, 10, pp. 241 ss. 36   G. Barbujani, Per niente elementare, Watson, in Il Sole 24 ore, 16 Novembre 2008, http://rassegnastampa.unipi.it/rassegna/archivio/2008/11/17SI61088.pdf.

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nia e l’autismo, le malattie cardiocircolatorie, la grande maggioranza dei tumori e altre delle cui basi genetiche ben poco è noto. Per tutte queste malattie, le più diffuse e importanti, anche disponendo dell’informazione completa sul genoma, la genetica al massimo è in grado di stimare il rischio che un certo individuo possa svilupparle nel corso della sua vita. Si conoscono ad esempio circa 20 geni che hanno effetto sulla statura: messi insieme, spiegano circa il 3% della variabilità osservata. Ciò significa che il restante 97% dipende da molti altri geni (probabilmente migliaia), con effetti di minore incidenza, e quindi difficilissimi da identificare37. Molto lavoro ancora è da fare e l’istituto giuridico del brevetto è diventato lo strumento essenziale, appunto, per compensare gli enormi investimenti economici nella ricerca scientifica, sia essa pubblica o privata, e per incentivare quelli futuri. Da una parte la possibilità di ricevere una tutela brevettuale ha dato slancio alla ricerca scientifica e dall’altra il suo continuo utilizzo ha «giustificato l’idea che il brevetto sia il principale, se non esclusivo, incentivo all’innovazione»38. Anche la ricerca di base è stata interessata da questo nuovo modo di interpretare gli scopi primari della ricerca scientifica applicata e la legislazione nazionale americana, ad esempio, già dagli anni ’80, con il Bayh-Dole Act39 ha spalancato le porte alla brevettazione di opere di ingegno da parte di istituti federali e scienziati per ottenere brevetti, beneficiando di fondi pubblici nella loro ricerca.

37   M.N. Weedon et al., Genome-wide association analysis identifies 20 loci that influence adult height, in Nature Genetics, 2008, 40, pp. 575-583: http://www. nature.com/ng/journal/v40/n5/abs/ng.121.html. 38   M. Tallachini – E. Gambini, Brevettabilità delle biotecnologie e culture epistemiche: i diritti di proprietà intellettuale dinanzi a nuove forme di appropriazione e gestione dell’innovazione, in S. Rodotà – P. Zatti (a cura di), Trattato di biodiritto, I, Ambito e fonti del biodiritto, Giuffrè, Milano, 2010, p. 590. 39   A.J. Baumel, The Bayh-Dol Act:The Technology Revolution Shows its Age, in Venture Capital Review, 2009, http://www.snrdentor.com; Bayh-Dole Act 1980, Public Law 96-517 and subsequent amendment Public Law 98-620, implemented at 37 Part 401.

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Si è sentita l’esigenza di riconoscere dei diritti ai ricercatori e a tutti coloro che, con dispendio di tempo ed energie intellettuali, non solo contribuiscono al progresso delle conoscenze scientifiche ma mettono a disposizione del genere umano prodotti e ritrovati in grado di risolvere problemi, con possibilità di sfruttamento industriale assai rilevanti40. Il brevetto è l’istituto giuridico attraverso cui l’innovazione trova compimento e i diritti di proprietà intellettuale ad esso inerenti, lo strumento della sua massimazione. Gli stessi accordi TRIPs41 sugli aspetti relativi ai diritti di proprietà intellettuale e con essa la materia dei brevetti, dettano norme di notevole miglioramento, per la maggior parte di contenuto assai prossimo alle corrispondenti previsioni delle tre convenzioni europee sull’unificazione, sul brevetto europeo e sul brevetto comunitario. L’art. 27 dell’Accordo pone un divieto di discriminazione di settori tecnologici, segnalando a tutti gli Stati firmatari l’esigenza che la normativa brevettuale sia aperta a tutti i settori e non impedisca a nessuno di essi l’accesso al brevetto. Si ritiene, infatti, che il sistema brevettuale costituisca un incentivo all’attività di ricerca volta alla realizzazione di nuove invenzioni e, inoltre, all’attività di sperimentazione dell’invenzione che si renda necessaria dopo la sua realizzazione per giungere al concreto sfruttamento economico del trovato. La concessione di un diritto di esclusiva compensa l’inventore delle spese sostenute per la realizzazione di un’innovazione tecnologica, costituendo pertanto uno stimolo alla ricerca, e, al medesimo tempo, lo induce ad investire nella sperimentazione necessaria per sfruttare industrialmente l’invenzione e trarre così profitto dall’esclusiva42.  G. Aglialoro, Il diritto delle biotecnologie, cit., pp. 12 ss.   Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio – OMC (noto come “Accordo TRIPS”), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 nell’ambito dei negoziati dell’Uruguay Round, ratificato dall’Italia con L. 29 Dicembre 1994 n. 747 e pubblicato in G.U. 10 gennaio 1995 n. 7 – S.O. n. 1. È in vigore dal 1° gennaio 1995. 42   Cfr. F. Leonini, Il ruolo del brevetto nella ricerca biotecnologica, in Studi di diritto industriale in onore di Adriano Vanzetti, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 811 ss. 40

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Inoltre il sistema brevettuale, ponendo a carico del brevettante l’onere della descrizione del trovato, costituisce un incentivo alla divulgazione delle invenzioni a favore della collettività e uno strumento di diffusione delle conoscenze tecnologiche43. Studi ampiamente acquisiti nella riflessione in materia, consapevoli dei dubbi sistematicamente ricorrenti in ordine alla sua idoneità a fungere da strumento di incentivazione della ricerca e di tutela dei suoi risultati, tendono abbastanza concordemente ad affermare che il sistema brevettuale esprime l’esigenza di progettare un adeguato sistema di protezione legale delle idee, in grado di tener conto delle caratteristiche di sequenzialità e cumulabilità del processo di innovazione e del mutamento intercorso negli ultimi anni nel paradigma tecnologico a seguito della nascita delle biotecnologie44. Ma l’impianto originario dei diritti del brevetto è ormai lontano dalle condizioni in cui essi vengono attualmente esercitati. Negli anni ’50 quando il dott. Jonas Salk e i suoi colleghi inventarono il vaccino per la poliomielite, nessuno pensò di brevettarlo. Oggi invece i ricercatori chiedono brevetti per le cellule prelevate dalla milza di un malato usate per sviluppare prodotti medici45, per il sangue contenuto nel cordone ombelicale. Si rivendica la proprietà di lunghi segmenti di genoma umano nonostante i normali criteri per l’assegnazione del brevetto siano spesso contestabili. Non solo si sta brevettando l’informazione genetica ma si stanno privatizzando anche gli strumenti per studiare i geni, il che può significare che ulteriori progressi nel settore potranno essere controllati dal proprietario del software46. Ormai «la tutela dell’opera dell’ingegno come diritto della personalità, radicata nella figura del autore-inventore romantico è stata

 Cfr. ibidem.  G. Sena, I diritti sulle invenzioni e sui modelli industriali, Giuffrè, Milano, 1990, pp. 32 ss. 45   W.S. Hylton, Who Owns This Body, in Esquire, June 1, 2001, p. 104. 46   A. Newitz, Genome Liberation, in Salon, February 26, 2002: http://www. salon.co/tech/feature/2002/26/biopunk. 43 44

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soppressa dagli apparati di investimento tecnologico e di ricerca, né il carattere individuale né l’interesse morale scisso da quello commerciale sopravvivono nell’organizzazione industriale dei brevetti»47. Contro molti brevetti vengono sollevate serie obiezioni etiche. Ci si chiede se sia giusto che una società possa utilizzare i diritti legati al proprio brevetto per impedire ricerche di cure salva vita perché queste potrebbero danneggiare la loro quota di mercato. Questi interessi, non intercettati dalla dicotomia tra diritti individuali e applicazioni di mercato, stanno incidendo ad esempio sui rapporti internazionali tra paesi emergenti e industrializzati, riproponendo situazioni di colonialismo commerciale: un colonialismo biologico e genetico. Inoltre essi rischiano di deprimere la ricerca e l’innovazione, come pure mettono in pericolo l’equo accesso ad alcune terapie mediche e farmacologiche, poiché è sempre meno evidente che la privatizzazione dell’innovazione e la stessa innovazione tecnologica si muovano sullo stesso binario48. Al di là di queste questioni etiche, l’aumento della portata dei brevetti oggi può sicuramente comportare il blocco delle future innovazioni e della concorrenza del mercato. Due dei principali commentatori di questo argomento, Rebecca Eisenberg e Michael Heller fanno notare che la privatizzazione della medicina ha una conseguenza involontaria e paradossale, una proliferazione di diritti sulla proprietà intellettuale a monte può soffocare le innovazioni che consentono più a valle di salvare vite umane nel corso della ricerca e dello sviluppo del prodotto. L’eccessiva proprietarizzazione della conoscenza, tramite i brevetti, può rivelarsi «una scelta contraria al bene comune», anticommons, considerato che le persone «hanno minori possibilità di utilizzare già scarse risorse perché troppi proprietari possono bloccarsi l’un l’altro»49.   M. Tallachini – E. Gambini, Brevettabilità delle biotecnologie, cit., p. 590.   J.J. Doll, The patenting of DNA, in Science, 1998, 280/5364, p. 689. 49   M. Heller – R.S. Eisenberg, Can Patents Deter Innovation? The Anticommons in Biomedical Research, in Science, May 1, 1998, pp. 698 ss. 47 48

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L’erosione del pubblico dominio del sapere scientifico fornisce ai detentori dei brevetti un monopolio troppo vasto che può precludere futuri progressi della conoscenza. La gravità del problema inizia ed essere riconosciuto e anche l’Ufficio brevetti ha cominciato a rivedere alcune delle procedure di approvazione per tentare di restringere gli standard di concessione dei brevetti. Spesso infatti il diritto dei brevetti ha normalizzato le biotecnologie e ha disinnescato il suo potenziale di diversità avallando la tesi secondo cui esse non costituiscono una novità, se non in accordo con il concetto di novità già appartenente alla semantica brevettale. Le biotecnologie sarebbero brevettabili proprio in quanto il loro carattere innovativo e inaspettato è uno degli elementi che qualifica l’invenzione e ne giustifica la protezione giuridica50. Tuttavia, la tendenza a rendere di proprietà ogni settore nascente del sapere pubblico rimane incontrollata. Se però vogliamo salvaguardare la vitalità e il futuro delle innovazioni dobbiamo stabilire una nuova connessione tra scienza e società passando attraverso l’esplicitazione trasparente delle premesse scientifiche e delle norme implicite nel funzionamento della tecnoscienza. È necessario che gli ordinamenti giuridici si pongano come momento di riflessione critica e di istituzione di garanzia nei confronti dell’impresa tecnologica piuttosto che, come sta accadendo, come osservatore passivo che subisce i tempi, le direzioni e le modalità di controllo di questa. Dobbiamo salvaguardare il bene comune alla luce dei principi di democrazia e giustizia internazionale.

3. I requisiti di brevettabilità dell’invenzione biotecnologica 3.1. La novità La nostra analisi tenderà ad esaminare se la disciplina dettata per le invenzioni biotecnologiche sia coerente con il sistema dei bre  M. Tallachini – E. Gambini, Brevettabilità delle biotecnologie, cit., p. 590.

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vetti e possa inserirsi al suo interno o se invece la peculiarità della materia non comporti un radicale stravolgimento dei presupposti su cui il sistema è fondato al punto da qualificarla come una tutela ad hoc. L’art. 1, comma 1 della Direttiva 98/4/CE stabilisce che «gli Stati membri proteggono tramite il loro diritto nazionale dei brevetti, le biotecnologie» ma lo stesso legislatore ha avvertito la necessità di una riflessione accurata, prevedendo all’art. 16 lett. c) la necessità di «una relazione periodica annuale sugli sviluppi del diritto dei brevetti nel campo della biotecnologia e dell’ingegneria genetica». Il primo requisito necessario perché anche l’invenzione biotecnologica possa trovare protezione dal sistema brevettuale è che essa sia nuova, novità intrinseca, non compresa nello stato della tecnica51, ovvero «non sia stata divulgata, ossia non sia stata resa accessibile al pubblico prima del deposito della domanda di brevetto e quindi non sia stata pubblicata o in altra forma resa conoscibile a terzi»52. Il c.d. “doppio gradiente” di differenziazione del trovato implica che l’invenzione non deve mai essere realizzata in precedenza da terzi o dallo stesso inventore e deve possedere un quid di approc-

51   L’art. 14 l. inv. («Un’invenzione è considerata nuova se non è compresa nello stato della tecnica») nonché l’art. 54 CBE («An invention shall be considered to be new if it does not form part of the state of the art»). Sempre secondo l’art. 54 comma 2 CBE ciò che rileva è sapere cosa è stato reso accessibile al pubblico, non assumendo rilievo ciò che può essere «inerente» in ciò che è stato reso accessibile al pubblico. Ne consegue che un uso nascosto o segreto, in quanto non è reso accessibile al pubblico, non costituisce ragione per negare validità al brevetto. 52   Ancora l’art. 14 l. inv. («Lo stato della tecnica è costituito da tutto ciò che è stato reso accessibile al pubblico nel territorio dello Stato o all’estero prima della data del deposito della domanda di brevetto, mediante una descrizione scritta od orale, una utilizzazione o un qualsiasi altro mezzo») e l’art. 54 CBE («The state of the art shall be held to comprise everything made available to the public by means of a written or oral description, by use, or in any other way, before the date of filing of the European patent application»); G. Guglielmetti, La protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, Legge 22 febbraio 2006 n. 78, in Le nuove leggi civili commentate, 2008, p. 371. Per l’ufficio brevetti giapponese e per l’ufficio statunitense esiste un periodo di grazia, rispettivamente di 6 mesi e di un anno, nel quale l’inventore può pubblicare l’invenzione prima del deposito della domanda di brevetto, senza che tale divulgazione possa inficiare la novità.

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cio creativo idoneo a distinguerla dai momenti di normale progresso tecnico. Il parametro della divulgazione va inteso in modo restrittivo e assoluto e a nulla rileva la circostanza che questa sia avvenuta in uno altro Stato membro della Comunità o all’estero, o che i dati siano stati anteriormente pubblicati o altrimenti resi accessibili al pubblico53, anche ad un gruppo ristretto di persone o al limite, a una sola persona che comunque sia in grado di conoscere il messaggio e di trasmetterlo ad altri per la sua attuazione54. La legge non si cura del fatto che lo stato della tecnica sia conosciuto o meno; la legge ignora questo aspetto e fa un passo indietro, parlando di «accessibilità al pubblico»55. Dal dato normativo si rileva che il concetto di «stato della tecnica» è delineato in senso assoluto, poiché richiede solamente la mera possibilità che l’invenzione, attraverso qualsiasi mezzo, sia stata conosciuta da terzi, indipendentemente dalla circostanza che la concreta conoscenza dell’invenzione56 vi sia stata. Nello stato della tecnica rientrano tutte le conoscenze tecniche e scientifiche messe a disposizione al momento della presentazione della domanda di brevetto e attraverso qualsiasi mezzo, idoneo a

53  M. Franzosi, Novità e non ovvietà. Lo stato della tecnica, in Riv. dir. ind., 2001, pp. 68 ss. 54  A. Pizzoferrato, Brevetto per invenzione e biotecnologie, cit., pp. 164 ss. 55   A. Scheuchzer, Nouveauté ed activité inventive en droit européen des brevets, 1981, p. 113. 56   L’art. 46, comma 3, ritiene distruttive della novità le domande segrete di brevetto italiano o le domande segrete di brevetto europeo designanti l’Italia. Nulla è detto per le domande di brevetto depositate all’estero per brevetti nazionali, e che siano ancora segrete. La dottrina e la giurisprudenza maggioritaria, anche prima della modifica del 2005, hanno ritenuto che, dal sistema emergente dagli articoli 15, 16, 55, n. 2 e 59 legge invenzioni, la privativa concessa all’estero invalidasse quella italiana dal momento del deposito della domanda, poiché la validità dei brevetti retroagisce alla data anteriore alla domanda, indipendentemente dalla circostanza che, nell’art. 16 legge invenzioni, la domanda di brevetto fosse esplicitamente qualificata come italiana o estera. La giurisprudenza ha, infatti, affermato che l’invenzione di cui alla successiva domanda, debba ritenersi potenzialmente nota e pertanto inidonea ad apportare un contributo crea­ tivo al progresso tecnico.

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raggiungere lo scopo57. Lo stato della tecnica è, dunque, inteso in termini universali ed è costruito in un” ottica di potenzialità; esso sembra basato su valutazioni di dati chiari e oggettivi, quali le descrizioni, le utilizzazioni o altri mezzi obiettivi di conoscenza58. Il requisito della novità riflette una concezione di base presente nella logica di concessione del brevetto: può essere brevettato solamente un prodotto o un procedimento, che prima non esisteva. Da ciò scaturisce l’esigenza di ricompensare solamente l’inventore, che per primo abbia raggiunto quel risultato idoneo a essere divulgato e a essere a disposizione della collettività59, poiché l’invenzione rivendicata aggiunge qualcosa di nuovo all’ammontare delle conoscenze del pubblico. In ogni caso, non si ha predivulgazione, novità «estrinseca», quando l’inventore comunica i propri risultati a soggetti vincolati al segreto60 così come non si verifica un’anteriorità opponibile all’inventore ogni volta in cui altro imprenditore usi la stessa invenzione nella propria azienda maturando cosi un diritto al preuso sulla stessa; in questo caso è l’esistenza del diritto ad escludere che

  La continua mobilità dello stato della tecnica richiede una valutazione attenta di tutte le innovazioni attuate e in tale non semplice ricostruzione, gli uffici brevetti nazionali e sovranazionali hanno fatto ricorso a strumenti di soft law, sia per ragioni di uniformità, sia per fornire un criterio agli inventori, che desiderano depositare delle domande di brevetto. La ricerca delle anteriorità si dovrà comporre di tre momenti: 1) ricerca del settore al quale l’invenzione appartiene; 2) selezione degli strumenti adatti per compiere la ricerca; e 3) determinazione della strategia di ricerca appropriata per ciascuno degli strumenti selezionati. È prassi di tutti gli Uffici Brevetti la compilazione di un search report, che cita anche i documenti che potrebbero rappresentare delle anteriorità invalidanti. La compilazione di questo report avviene attraverso una continua consultazione con l’inventore, il quale può presentare prove per eliminare qualsiasi dubbio. 58   S. Gutierrez-Lacour, Le temps dans les propriétés intellectuelles, Litec, Paris, 2004, p. 66. 59   Si tratta di idee oggi piuttosto ovvie. Per una loro esposizione efficace si veda J. Nathan, Novelty and Reduction to Practice: Patent Confusion, in Yale L.J., 1966, 75/7, pp. 1194-1204; vedi anche D. Lichtman – S. Baker – K. Kraus, Strategic disclosure in the Patent System, in Vanderbilt Law Review, 2000, 53, pp. 2157 ss. 60   Il riferimento è ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi, ai finanziatori e ai soggetti vincolati ad un patto di riservatezza e di non concorrenza. 57

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il preuso, sempre che sia rimasto segreto e riservato, possa distruggere la novità dell’invenzione. Il requisito della novità si riferisce alla soluzione di un problema prima ignoto, ovvero alla soluzione di un problema già noto ma ancora insoluto o risolto diversamente, «nel presupposto che la soluzione implichi il ritrovamento di un nuovo rapporto causale e sia la conseguenza dei mezzi trovati dall’inventore»61. Lo stato della tecnica sarà caratterizzato dalle informazioni pertinenti le caratteristiche, le proprietà, la struttura fisica e chimica di un particolare microrganismo, di un organismo oppure di un dato segmento di DNA così come rilevabili tramite lo studio dei componenti depositati62 ma perché un trovato biotecnologico sia considerato come appartenente allo stato della tecnica non è sufficiente che esista in natura, è indispensabile la sua possibilità di utilizzo da parte della collettività. Ecco che, allora, il materiale biologico non isolato non appartiene allo stato della tecnica e, di conseguenza, una volta reso disponibile tramite l’intervento umano, diviene nuovo, sebbene, almeno in teoria, sia già esistente63. Le invenzioni biotecnologiche possono essere definite applicazioni tecnologiche che utilizzano materiali biologici, ovvero materiali contenenti informazioni genetiche, autoriproducibili o capaci di riprodursi in un sistema biologico e quindi organismi viventi o loro derivati, per realizzare o modificare prodotti o procedimenti. Esse, quindi, riguardano materiale biologico preesistente allo stato naturale. «Un materiale biologico già presente in natura è brevettabile quando sia stato isolato dal suo ambiente naturale o prodotto tramite un procedimento tecnico»64. Ne deriva che la preesistenza 61  G. Caforio, Le invenzioni biotecnologiche nell’unità del sistema brevettuale, Giappichelli, Torino, 1995, p. 63. 62  V. D’Antonio, Invenzioni biotecnologiche, cit., p. 150. 63   Ivi, p. 151. 64  V. Falce, Sulla tutela dell’innovazione nei “nuovi” settori della tecnica con particolare riguardo alle invenzioni biotecnologiche. Primi appunti sul contributo dell’analisi economica, in G. Ghidini – G. Cavani, Brevetti e tecnologie, Luiss, Roma, 2008, pp. 122 ss.

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in natura in sé e per sé non toglie novità all’invenzione di un materiale biologico anche perché ciò che preesiste in natura non necessariamente è già noto o immediatamente conoscibile e riproducibile con caratteri costanti65. Si è orientati a ritenere che le scoperte devono essere considerate tali solo quando restano in una dimensione meramente teorica, mentre diventano suscettibili di protezione giuridica in funzione della loro applicazione tecnica66 ovvero quando assumano una potenziale applicazione industriale. La novità sussisterà, poi, a maggior ragione quando il materiale biologico, oggetto dell’invenzione, sia diverso da quello preesistente allo stato naturale, purché purificato o modificato in qualche sua parte. Può, dunque, costituire oggetto di un brevetto biotecnologico non soltanto quel materiale biologico che sia stato geneticamente modificato oppure, addirittura, creato dall’uomo, ma anche quello che viene isolato dal suo ambiente naturale e creato tramite un processo tecnico, anche se preesisteva allo stato naturale. Il problema della novità è oggetto di discussione anche con riferimento ai cosiddetti risultati o effetti inerenti. Nel campo biotecnologico può accadere che una sostanza o una composizione note, utilizzate per un determinato scopo, producano al tempo stesso anche un ulteriore effetto che, tuttavia, rimane inizialmente sconosciuto. Con riferimento a queste ipotesi, l’Ufficio Brevetti Europeo ha deciso che un effetto che si produca in maniera inerente in un utilizzo già noto di una sostanza o di un prodotto, non può essere considerato per questo solo fatto privo di novità67.   G. Sena, L’importanza della protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, in Riv. dir. ind., 2000, I, p. 68. 66   Art. 5 Direttiva 44/98/CE e regola 29 EPC 2000 (Convenzione di Monaco). Nello stesso senso, G. Sena, L’importanza della protezione giuridica, cit., p. 71, secondo cui «il fatto che i geni sono sostanze esistenti in natura, che essi possono essere scoperti, ma non inventati, e che perciò non possono essere nuovi in senso stretto, non ne esclude la brevettabilità; anche i geni possono essere considerati nuovi perché, prima della loro scoperta ed identificazione, non appartengono al patrimonio tecnico-scientifico». 67  G. Guglielmetti, La brevettazione delle scoperte-invenzioni, in Riv. dir. ind., 2000, I, pp. 105 ss. 65

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Nel caso dei procedimenti biotecnologici e di prodotti biotecnologici ottenuti, un concetto di novità molto discusso è la brevettabilità di proteine ottenute mediante un procedimento di purificazione, modificazione o tecnologia ricombinante, qualora la proteina sia già nota. Di fronte all’ufficio brevetti Europeo, applicando la conoscenza generale nella brevettazione chimica, l’indicazione proteina ricombinante o modificata non è sufficiente a provare la novità della proteina, se detta proteina è stata già ottenuta in una forma identica attraverso un procedimento diverso o se essa era comunque già nota. Tuttavia, il rendere disponibile una proteina, già descritta nella tecnica anteriore in una forma non totalmente pura, può divenire una nuova invenzione poiché la proteina ricombinante presenta proprietà diverse dalla proteina naturale68. Concordemente, secondo alcuni scrittori statunitensi, una proteina ricombinante di prima generazione può essere considerata nuova, purché essa esibisca proprietà mancanti nella proteina naturale, quali purezza o attività (potency). Allo stesso tempo una proteina modificata può essere nuova se la modificazione della sua sequenza non è implicitamente resa disponibile attraverso documenti noti69. 3.2. L’originalità Se il requisito della novità, novità estrinseca, è essenziale al corretto funzionamento del sistema brevettale perché impedisce l’attribuzione del diritto esclusivo su una creazione intellettuale realizzata da altri e già di pubblico dominio, il requisito dell’attività inventiva detta anche originalità o dalla giurisprudenza novità intrinseca o inventive step, svolge nel sistema brevettale il compito di impedire che sia accordata la protezione a una idea di soluzione di qualsia68   Decisione Corte di appello europea, Micropheres v. Biomaterials Universe Inc. T0151, 1995. 69   S.J.R. Bostyn, Enabling biotechnological inventions in Europe and in the United States, EPO, 2001.

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si problema tecnico per il solo fatto che sia nuova e come tale non compresa nello stato della tecnica. Lo stesso dettato normativo nel sottolineare che «un’invenzione è considerata come implicante un’attività inventiva se, per una persona esperta del ramo, essa non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica»70 supera alcune teorie secondo le quali l’applicazione rigorosa del requisito dell’attività inventiva potrebbe escludere dalla brevettazione gran parte dei risultati della ricerca, dato che molte delle invenzioni risulterebbero da un «uso di tecniche note applicate in modo routinario a materiali biologici preesistenti tramite operazioni serialmente ripetute e costosissime, che coinvolgono esplorazioni ad ampio raggio per tentativi ed errori e richiedono tempi lunghi, risorse finanziarie cospicue, dotazioni strumentali sofisticate, pazienza ma non anche capacità personali particolari, creatività ed ingegno elevati, né tecniche nuove»71. Adottando la stessa formula dell’art. 56 EPC (Convenzione sul Brevetto Europeo CBE o, nell’acronimo inglese, EPC, ovvero European Patent Convention)72 la normativa stabilisce che una invenzione è considerata come implicante una attività inventiva se per una persona esperta del ramo, essa «non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica» e poiché il brevetto ha per oggetto non la conoscenza teorica della natura ma la sua applicazione materiale; il carattere di originalità deve essere ragguagliato alla specifica applicazione e non alla conoscenza su cui questa si basa73.

  Si veda a tal proposito l’art. 48 del d.lgs. 10 febbraio 2005 n. 30.   V. Di Cataldo, La brevettabilità delle biotecnologie. Novità, attività inventiva, industrialità, in Riv. dir. ind., 1999, p. 184. 72   La Convenzione sul Brevetto Europeo, firmata a Monaco di Baviera il 5 ottobre 1973, consente ad ogni cittadino o residente di uno Stato membro di avvalersi di un’unica procedura europea per il rilascio di brevetti, sulla base di un corpo omogeneo di leggi brevettuali fondamentali. Dal 13 dicembre 2007 è in vigore la Convenzione del Brevetto Europeo EPC2000 (acronimo di European Patent Convention) che va a sostituire la Convenzione sottoscritta a Monaco nel 1973. 73   M. Ricolfi, La brevettazione delle invenzioni relative agli organismi geneticamente modificati, in Riv. dir. ind., 2003, I, pp. 29 ss. 70

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Anche laddove i mezzi attuativi dell’applicazione rivendicata dal brevetto derivino dall’impiego di tecnica nota o di routine, ciò non precluderebbe l’attività inventiva ogniqualvolta quella realizzazione non fosse pur tuttavia ancora accessibile al pubblico, fin quando, cioè, il depositante non abbia apportato la nuova conoscenza della realtà naturale74. La ricorrenza di un’attività inventiva originale, col tempo ha subito mutamenti e si è abbassata la soglia richiesta per accedere alla tutela brevettale. Infatti a partire dai primi decenni del secolo scorso questa non si determina più facendo riferimento alle capacità intellettuali dell’inventore, ad un eventuale flash of genius come Leonardo, da una improvvisa folgorazione, ma si predispone quale frutto di un’organizzata e non ordinaria attività di ricerca, intesa come «costoso e paziente lavoro di sperimentazione di grandi équipes di ricercatori»75 condotto secondo forme e modalità qualitativamente superiori alla media e con considerevoli rischi di risultato76, in un faticoso ed oneroso lavoro composto da migliaia, a volte centinaia di migliaia, di esperimenti, di tentativi e errori. Si passa così da una dimensione singolare ad una dimensione plurale dove si perde la centralità del fattore persona per ridurla a semplice risorsa economica. In tal modo la tutela brevettale, con la progressiva erosione dei propri requisiti tradizionali, si sta sempre di più avvicinando ad una tutela sui generis, volta a proteggere il dato meramente economico dell’investimento. Talvolta l’attività inventiva nel campo delle biotecnologie si manifesta nella fase della ricerca che porta all’individuazione di una realtà prima ignota e una volta che tale conoscenza è stata ottenuta, la successiva attività necessaria per la sua utilizzazione pratica, ossia il passaggio dalla sfera del conoscere a quella del fare, senza

74   In questo senso vedi: ibidem; Trib. Milano, 11 novembre 1999, Caso “kit diagnostico epatite C”, in Riv. dir. ind., 2000, II, pp. 342 ss. 75  A. Vanzetti, Presentazione, in Id. (a cura di), I nuovi brevetti. Biotecnologie e invenzioni chimiche, Giuffrè, Milano, 1995, pp. 7 ss. 76   Cfr. A. Pizzoferrato, Brevetto per invenzione e biotecnologie, cit., p. 162 ss.

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la quale non si ha invenzione, può spesso risultare ordinaria e alla portata della persona esperta del ramo tecnico77. In questi casi la ricerca si sviluppa attraverso un percorso nel quale prima viene realizzata una scoperta attraverso un’attività di notevole impegno (ad esempio l’individuazione del codice genetico di un microorganismo patogeno) e poi della scoperta viene messa a punto in maniera chiara un’applicazione pratica (creazione di un test diagnostico)78. Può accadere che i risultati della prima ricerca che ha portato alla scoperta, non vengano resi pubblici e non entrino a far parte dello stato della tecnica prima della data del deposito o di priorità della domanda di brevetto che ne rivendica l’applicazione pratica. In questo caso ai fini dell’attività inventiva si dovrà valutare l’invenzione come blocco unitario, a prescindere dal percorso con il quale è stato conseguito. Ne consegue che l’attività inventiva deve considerare esclusivamente il risultato finale a confronto con lo stato della tecnica preesistente, indipendentemente dal percorso concretamente seguito nella ricerca che ha portato all’invenzione della cui brevettabilità si giudica, senza frammentare a posteriori il risultato con i passaggi logico – mentali che possono aver orientato l’inventore. Tutto ciò in applicazione del principio di carattere generale per cui «l’invenzione deve essere considerata nel suo complesso e per cui il requisito dell’attività inventiva deve essere valutato attraverso un confronto dell’invenzione presa nella sua unità e globalità con lo stato della tecnica preesistente»79. 3.3. L’industrialità e il concetto di utility Ai fini della brevettabilità occorre poi l’intervento di un ulteriore requisito, espressamente previsto dall’art. 3.1 della Direttiva 98/44/

77   Cass. Sez. I civ., Sentenza 22 giugno 2012, n. 9548. Così nella legislazione degli negli Stati Uniti (35 U.S.C. 103) e nella legislazione del Giappone (Art. 29.2 della legge giapponese). 78  G. Guglielmetti, La protezione giuridica, cit., p. 381. 79   Ivi, p. 108.

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CE «sono brevettabili le invenzioni nuove che comportino un’attività inventiva e siano suscettibili di applicazione industriale, anche se hanno ad oggetto un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene, o un procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico»80. Si tratta di un requisito nebuloso che indica la ripetibilità del processo di fabbricazione per un numero non infinito di volte e con risultati costanti81. È sufficiente questa definizione perché si possano sollevare dubbi circa la scelta del sistema delle privative industriali quale mezzo di protezione delle invenzioni biotecnologiche; perplessità che trovano origine nella scarsa attitudine di questa particolare forma di trovato ad avere una applicazione industriale e, dunque, a soddisfare il requisito di brevettabilità preso in considerazione. Ciò in quanto molte invenzioni, specie le più importanti, e così anche quelle che derivano dalla ricerca di base, per essere utilizzate in una attività industriale, richiedono una fase di sperimentazione, adattamenti, soluzioni tecniche complementari. Vi è infatti una fase di ricerca dove si estrinseca il requisito della originalità i cui risultati possono costituire una base di partenza per altri ricercatori al fine di individuare ulteriori potenzialità pratiche del trovato, associandogli nuove funzionalità. Ecco allora che mentre un’invenzione che produca risultati imprevedibili, in quanto dipendenti da meccanismi causali non ancora controllabili, non potrà considerarsi industrialmente applicabile, viceversa una certa 80   Nello stesso senso il Patent Office statunitense si è rifiutato, all’inizio degli anni ’90, di brevettare sequenze di DNA corrispondenti a numerosi geni di cui tuttavia, al momento della presentazione della domanda di brevetto, la relativa funzione e le proteine in essi codificate erano ancora sconosciute. Diamond v. Chakrabarty, 447 US 303 (1980). A tal proposito si ricorda la Posizione comune CE n. 4/94 il cui Considerando n. 11 recita che: «non sono brevettabili acidi nucleici umani isolati che non hanno alcuna applicazione descritta diversa da quelle di proprietà previste attribuibili di norma a qualsiasi acido nucleico di tale tipo, ad esempio la loro capacità di essere utilizzati come sonde o elementi iniziali per la sintesi di ulteriori copie di acidi nucleici». 81  V. Di Cataldo, I brevetti per invenzione e per modello di utilità, in F.D. Busnelli (dir.), Il codice civile. Commentario, Giuffrè, Milano, 2012, p. 95.

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variabilità del risultato, nei limiti in cui l’invenzione resti sfruttabile, dovrebbe essere ammissibile82. In campo biologico può, infatti, accadere che il procedimento che ha portato all’invenzione dipenda da fattori causali non ripetibili in maniera costante, pur essendo il risultato ottenuto suscettibile di essere sfruttato, attraverso l’idoneità del materiale biologico ad autoriprodursi. Sono le mutazioni naturali, cui è soggetta la materia vivente, a rendere nella realtà difficilmente prevedibile la ripetizione costante del risultato originariamente ottenuto dall’inventore nei trovati aventi come punto di riferimento materiale biologico. Sono innumerevoli, infatti, le ipotesi in cui l’inventore non è in grado di garantire che, ripercorrendo il percorso sperimentale da lui in origine seguito, si possa pervenire, alla fine, al medesimo risultato inventivo. La dottrina si è sforzata di elaborare delle strade alternative per giustificare la brevettabilità dell’invenzione biotecnologica, essendo evidente che un’applicazione troppo rigida del presupposto dell’industrialità avrebbe comportato, in sostanza, la concreta impossibilità di proteggere tali forme di trovati. Ed allora il requisito in esame viene inteso come potenzialità, idoneità all’utilizzazione pratica senza richiedere una immediata possibilità e convenienza tecnica ed economica di sfruttamento nell’attività produttiva83. D’altronde, «i procedimenti aventi ad oggetto materia vivente, proprio per la scarsa conoscibilità di questa, non sempre danno risultati prevedibili, anzi può accadere che i microrganismi siano ottenuti in modo del tutto casuale o che lo stesso procedimento dia luogo a microrganismi diversi sicché, se un procedimento dà risultati assolutamente irregolari la brevettabilità dovrà essere negata»84.

 G. Guglielmetti, La protezione giuridica, cit., p. 385.  G. Sena, La brevettabilità delle scoperte e delle invenzioni fondamentali, in Riv. dir. ind., 1990, II, p. 324. 84  C. Usai, Biotecnologie e diritto delle invenzioni, Dir. e pratica comm., 1997, p. 1343. 82 83

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L’UBE (Ufficio Brevetti Europeo con sede a Monaco) riconosce la brevettabilità delle invenzioni in relazione alle quali la ripetibilità risulti comunque assicurata pur in presenza di un numero di insuccessi. Infatti, di fronte al margine di imprevedibilità, che nelle invenzioni relative alla materia vivente pregiudica la costanza dei risultati, la soluzione più coerente risulta essere quella di mantenere l’unità del sistema brevettuale, con l’adozione di una nozione di industrialità che sia coerente con i trovati da proteggere. Si ritiene, infatti, che solo formalmente le invenzioni biotecnologiche siano parificabili alle altre forme di trovati, presentando in realtà una serie di particolarità legate alle specificità comportamentali del materiale biologico, tali da imporre una rilettura delle regole tecniche del diritto dei brevetti. Il requisito in questione assumerà, allora, contorni meno netti e definiti e verrà inteso come un elemento la cui presenza è richiesta in via meramente potenziale85. Tanto si desume anche dalla formulazione dell’art. 45 del Codice Proprietà Industriale dove si parla di invenzioni «atte ad avere un’applicazione industriale», dall’art. 57 della Convenzione di Monaco sul brevetto europeo, il quale fa riferimento ad una «invention […] susceptible of industrial application», e dall’art. 27 dell’Accordo TRIPS86, dove il richiamo è alle «inventions […] capable of industrial application». Ha tenore analogo la direttiva 98/44/CE all’art. 5 comma 1 quando si riferisce alla brevettabilità di invenzioni aventi «ad oggetto un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene, o un

  Contrariamente accade nel diritto statunitense, dove il requisito dell’utility ha natura attuale; a riguardo cfr. M. Llewelyn, Industrial Applicability/Utility and Genetic Engineering: Current Practices in Europe and United States, in E.I.P.R., 1994, 11/473, pp. 474 ss., secondo cui «there has to be a practical utility shown for the thing at the time of application». 86   Accordo TRIPs adottato a Marrakech il 15 aprile 1994 relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, ratificato dall’Italia con legge 29 dicembre 1994, n. 747. 85

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procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico». La Direttiva 98/44/CE fa riferimento al dato meramente potenziale della suscettibilità di applicazione industriale87 mentre sembra perdere la sua originale identità quando si passa ad analizzare la brevettabilità delle invenzioni aventi ad oggetto materiale biologico di origine umana perché in quel caso l’applicazione industriale di una sequenza o di una sequenza parziale di un gene deve essere concretamente indicata e descritta nella richiesta di brevetto e ciò al fine di escludere dalla brevettazione le invenzioni di sequenze per le quali non siano ancora note funzioni utili e di consentire un effettivo controllo dell’esistenza del requisito dell’industrialità. Lo scopo è, in altri termini, di impedire che possano essere monopolizzate le strutture di DNA prima che di esse sia reperita ed indicata nella domanda di brevetto la specifica funzione, e quindi quando tali sequenze, essendo ancora sprovviste di una applicazione industriale, sono da considerare come mere «scoperte»88 e anche per impedire l’appropriazione monopolistica di una sequenza di DNA e di una sequenza parziale89. Sarà possibile soddisfare i requisiti dell’industrialità, cosi come si evidenzia nel Considerando 24 della Direttiva 44/98/CE, qualora nella domanda si precisi «quale sia la proteina o la proteina parziale prodotta oppure quale funzione essa assolve», con l’evidente conseguenza che il requisito dell’industrialità possa essere soddisfatto indifferentemente dall’indicazione della proteina per la quale la sequenza codifica o dalla funzione che essa assolve90.

 V. Di Cataldo, La brevettabilità delle biotecnologie, cit., p. 188.  G. Guglielmetti, La protezione giuridica, cit., p. 386. 89   G. Morelli Gradi, La legittimità comunitaria della direttiva sulle invenzioni biotecnologiche, in Il dir. ind., 2001, pp. 323 ss., secondo l’autrice «all’ultimo comma dell’art. 5, il requisito della “suscettibilità dell’applicazione industriale” […] viene inteso restrittivamente, nel senso che l’inventore, nel caso di un trovato riguardante sequenze o sequenze parziali di un gene, deve indicare nella descrizione, immediatamente e “concretamente” il risultato possibile della sua invenzione, vale a dire l’applicazione industriale». 90  M. Ricolfi, La brevettazione delle invenzioni, cit., pp. 48 ss. 87

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In tal senso non sembra esatta la prassi dell’Ufficio Europeo dei Brevetti in virtù della quale l’EPO (European Patent Office) «pare non ritenere necessaria, nella domanda di brevetto per un gene, la descrizione precisa della funzionalità della proteina codificata dal gene»91, concedendo pertanto la tutela brevettuale anche a fronte di invenzioni in cui la rivendicazione è fatta in termini estremamente vaghi92. Le invenzioni che sono utili solo per i successivi livelli di ricerca, come le sequenze di DNA, possono essere brevettate93. Questo modus operandi si espone al rischio che la domanda indichi solo la proteina per la quale la sequenza codifica, senza che venga precisata la funzione in concreto svolta dalla proteina stessa, con la conseguenza che il corrispondente brevetto, anziché ricompensare l’inventore per l’apporto oggettivamente reso alla collettività, finisce per attribuire al richiedente una sorta di prenotazione di tutela per un campo di ricerca promettente ma non ancora portato a maturazione dall’inventore94. Di qui l’esigenza, nelle invenzioni

  T. Faelli, La tutela delle invenzioni biotecnologiche in Europa: prime valutazioni d’insieme, in Riv. dir. ind., 2001, p. 134. 92   Vedi per tutti quanto stabilito dall’Ufficio nel caso Biogen, T 886/91 (Hepatitis B virus/BIOGEN INC.) del 16 giugno 1994. Biogen rivendicava nel brevetto controverso dei tratti genetici che «codificano polipeptidi con funzione HBV antigenica». In appello si sosteneva la mancanza del requisito «di applicabilità industriale ai sensi dell’art. 57CBE, perché non vi era nessuna indicazione concreta circa la HBV antigenicità di cui era fatto riferimento». L’EPO ha giudicato sufficiente la descrizione del brevetto non accogliendo l’appello; Si è ritenuto che i polipeptidi ottenuti fossero utili genericamente in quanto antigeni per la diagnosi e la cura dell’epatite B. Ancora, nel caso T 923/92, dell’8 novembre 1995, l’EPO ha sostenuto che una rivendicazione di un procedimento che comprende la preparazione di una proteina che svolge funzione di attivatore del plasminogeno di tessuto umano (tPA), senza ulteriore indicazione di quale sia tra le molte funzioni del t-PA umano quella cui è fatto riferimento, non è ammissibile ai sensi degli articoli 83 e 84 CBE. Questa decisione è in linea con il principio per il quale i risultati della ricerca di base possono essere coperti da brevetto nel caso in cui sia indicata la direzione verso la quale la ricerca voglia proseguire. 93   C. Gugerell, The European Experience, in Le génie génétique. Biotechnology and Patent Law, Cedidac, Losanna, 1996, p. 91. 94  M. Ricolfi, La brevettazione delle invenzioni, cit., p. 48. 91

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aventi ad oggetto sequenze geniche, di indicare cumulativamente la funzione svolta dalla sequenza e la proteina per cui essa codifica. Dunque, per brevettare una sequenza di DNA, in funzione di strumento per produrre una proteina, va indicata la funzione di quest’ultima; non è però indispensabile descrivere dettagliatamente l’uso di tale proteina, come se la descrizione del futuro brevetto su di essa venisse assorbita nella prima privativa. Se infatti si esigesse una descrizione della proteina, come se fosse questa l’oggetto del brevetto, si andrebbe contro alle stesse norme brevettuali biotecnologiche, che diverrebbero accessibili solo per le ricerche già completate95. Con riferimento, invece, alle invenzioni relative a parti del corpo umano o a sequenze di DNA il nostro legislatore impone che l’applicazione industriale sia non solo descritta ma anche rivendicata. Estremamente significativi in tal senso sono gli art. 3, comma 1, lett. d) e art. 4, comma 1, lett. d) della legge n. 78 del 2006 dove si afferma che «è brevettabile l’invenzione relativa ad un elemento isolato dal corpo umano o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, a condizione che la sua funzione e applicazione industriale siano concretamente indicate, descritte e specificamente rivendicate in base al modello product-by-process patent»96. L’art. 4, comma 1 lett. d) esclude invece dalla brevettabilità «la semplice sequenza di DNA o la sequenza parziale di un gene, salvo che venga fornita l’indicazione e la descrizione di una funzione utile alla valutazione del requisito dell’applicazione industriale e che la corrispondente funzione sia specificamente rivendicata; ciascuna sequenza è considerata autonoma ai fini brevettuali nel   Vedi il gene del Genentech Interferone gamma T233/92 scoperto nel 1992. L’Interferone gamma (noto con sigla IFNY) è una citochina che fa parte della famiglia degli interferoni è prodotta dai linfociti T. Svolge diverse funzioni: inibire la replicazione di virus all’interno delle cellule infette; impedire la diffusione virale ad altre cellule; rafforzare l’attività delle cellule preposte alle difese immunitarie, come i linfociti T e i macrofagi; inibire la crescita di alcune cellule tumorali. Recentemente è stato trovato un polimorfismo del gene in posizione +874, che consiste nella sostituzione di una T (timina) con una A (adenina). 96   Art. 5 comma 2 Direttiva 44/98/CE. 95

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caso di sequenze sovrapposte solamente nelle parti non essenziali all’invenzione». Le rivendicazioni sono un atto sostanziale del procedimento di brevettazione, in quanto finalizzate a definire l’oggetto dell’esclusiva. L’indicazione o la descrizione di una funzione utile alla valutazione del requisito dell’applicazione industriale e la prescrizione che la funzione corrispondente sia specificatamente rivendicata, accentuano il nesso tra industrialità e utilità pratica. Ai fini dell’accesso ai benefici dello ius escludendi alios non basta l’identificazione della esistenza e funzione di un certo elemento ma diventa necessario che ne vengano dichiarate la funzione e il possibile impiego industriale. Inoltre, l’invenzione avente ad oggetto una porzione delle specie viventi deve rivestire il carattere della industrialità, ossia deve dimostrare attitudine, data la ripetibilità del risultato, a trovare applicazione a livello industriale in quanto capace di realizzare l’effetto pratico tipico97. Sarà priva del requisito dell’industrialità l’invenzione che, pur essendo attuabile, sia sprovvista di qualunque concreta utilità, così da non essere destinabile al mercato98. Pertanto, la messa a disposizione di una nuova struttura biologica non comporta necessariamente anche l’immediata conoscenza della funzione da essa svolta, e quindi della sua utilità, ma, affinché l’invenzione brevettabile possa dirsi perfezionata, occorrerà che sia raggiunta anche una conoscenza delle particolarità utili della nuova struttura. Ne deriva che l’invenzione avente ad oggetto una porzione delle specie viventi non solo deve rivestire il carattere dell’industrialità, ossia essere idonea, data la regolarità e la ripetitività del risultato, a trovare applicazione a livello industriale, ma deve anche contenere, nella domanda di brevetto, l’indicazione di un concreto utilizzo della scoperta, una sua validità pratica. Una scelta dettata dalla opportunità di incentivare, attraverso l’attribuzione di un monopolio legale pro tempore, le attività su97   In tal senso è l’art. 27 dell’Accordo TRIPs che conferma l’estensione del­ l’ambito di competenza della protezione brevettale alle innovazioni che apportano utilità «in tutti i campi della tecnologia». 98   G. Guglielmetti, La protezione giuridica, cit., p. 386.

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scettibili di applicazioni industriali e quindi «in traduzione di beni socialmente utili», in innovazioni in quanto tali di immediato interesse per il mercato99. Il sistema brevettuale statunitense condensa tale requisito nel concetto di «real world utility», ossia di utilità che sia «substantial, specific and credible», i cui effetti siano mirati nella direzione indicata dall’inventore, deve essere «useful» in base allo stato delle conoscenze100.   In particolare, per J. Schumpeter, «Invention was the act of conceiving a new product or process and solving the purely technical problems associated with its applications»: così F. Scherer, Industrial Market Structure and Market Performance, McNally and Co., Chicago, 1970, p. 350. 100   A. Pizzoferrato, La tutela brevettale delle invenzioni biotecnologiche, in Contr. e impr., 2000, pp. 1238 ss. Fino alla sentenza della Corte Brenner vs Manson (383 U.S. 519, 1966) sia l’Ufficio Brevetti che le Corti concedevano brevetti per prodotti chimici senza porsi domande sulla loro utilità, la quale era ritenuta sussistente in re ipsa. Una svolta si è avuta proprio con il caso in esame, quando la Corte Suprema statunitense ha stabilito che le invenzioni, per essere brevettabili, devono possedere il requisito dell’”utility”, dal quale sono esclusi prodotti e procedimenti utili solamente come strumenti di ricerca e, dunque, funzionali alle ricerche di stadio successivo e l’utilità prevista per la collettività sia “credibile”. Nel 1985 caso Cross v. Izuka, la Corte Suprema ha stabilito che l’utilità di una invenzione può essere anche essere indicata in via indiziaria, tali che la rivelino almeno come probabile tramite dati concordanti. Ancora nel 1995, il Federal Circuit nel caso Brana, ha sostenuto che l’indicazione dell’utilità delle invenzioni biotecnologiche è assolta dalla descrizione di una utilità in vitro, escluso il caso in cui sia evidente che non si possa riprodurre in vivo A.J. Breneisen – R.S. Mac Wright, Impact of Gatt on United State patent law and practice regarding biotechnology applications, in Le génie génétique, cit., p. 56. anche In re Ziegler, 992, F.2d 1197, 1993; In re Fisher, 421, F.3d 1365, 76, 2005. Successivamente, però, il rigore del requisito dell’utilità pratica dell’invenzione è stato attenuato, risultando necessaria una puntuale indicazione di una utilità almeno sperimentale dell’invenzione ed essendo sufficiente che l’utilità pratica vera e propria non fosse a priori esclusa sulla base delle conoscenze dello stato della tecnica In re Brana, 51 F.3d 1560, 34 USPQ2d 1436, 1995; In re Jolles, 628 F.2d 1322, 1326, n. 10, 206, USPQ 885, 1980. Si è affermato che il requisito dell’utilità pratica per invenzione biomedica non richiede l’approvazione formale da parte della Food and Drug Administration. E l’utilità è soddisfatta dalla descrizione di un’utilità in vitro, ossia in provetta. Nel 1995 e poi nel 2001 l’Ufficio Brevetti ha redatto le Guidelines PTO (Examination guidelines on utility requirement) dove stabilì che, ai fini del requisito di utilità concreta del 35 U.S.C. 101 e 102, deve essere considerato sufficiente ogni ragionevole uso dell’invenzione che il depositante nella domanda di brevetto ha 99

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In tal senso sarà specifica se si manifesta in una direzione ben definita, sostanziale se raggiungerà finalità pratiche rispondenti ad esigenze reali che possano giustificare uno sfruttamento del trovato nell’ambito di un’attività industriale diretta al mercato101; «credibile» se a «person skilled in the art»102 la riterrà esistente secondo un criterio di ragionevole probabilità alla luce delle informazioni rivelate nel brevetto e delle conoscenze ed esperienze generali e proprie del settore cui appartiene103. In altri termini, l’invenzione deve manifestare una assai probabile utilità effettiva, ovvero la realistica probabilità che l’invenzione riesca a offrire costantemente il risultato promesso, che funzioni effettivamente secondo il suo scopo, tecnicamente fattibile.

4. Le obiezioni etiche alla brevettabilità delle biotecnologie Non sarebbe possibile concludere questa indagine senza almeno accennare a quello che da più parti del mondo scientifico, accademico e, non ultimo, della società civile viene considerato il vero nodo

individuato e che può essere considerato di beneficio per la collettività. Alla luce di queste guidelines, il requisito dell’utility dell’invenzione nel sistema americano permette, dunque, la brevettazione delle sequenze di DNA in generale, e delle ESTs brevi sequenze di DNA utilizzate per individuare la sequenza di un gene ancora sconosciuta, purché di esse si indichi in termini precisi l’utilità per il successivo stadio della ricerca e per la collettività. 101  G. Guglielmetti, La protezione giuridica, cit., p. 234. 102   Trib. Torino, 14 luglio 1997, in GADI 1999, p. 209. La figura modello della persona esperta del ramo è stata generalmente descritta come «un esperto del settore specifico cui inerisce il brevetto, provvisto del comune bagaglio tecnico di carattere generale e facente altresì attenzione alle problematiche emergenti nei settori affini». Parallelamente le Guidelines for the examination in the European Patent Office, status june 2012, part G, VII, 3, in www.epo.org.indicano che «the “person skilled in the art” should be presumed to be a skilled practitioner in the relevant field of technology, who is possessed of average knowledge and ability and is aware of what was common general knowledge in the art at the relevant date». L. Sordelli, Il paradigma della “persona esperta del ramo” nella legge sulle invenzioni, in Studi in onore di Remo Franceschelli, Giuffrè, Milano, 1983, p. 234. 103  G. Guglielmetti, La protezione giuridica, cit., p. 387.

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gordiano da sciogliere nella materia che ci occupa, ovvero quello relativo alle questioni etiche104 di fondamentale importanza sottese alla brevettabilità della materia vivente. L’irruzione delle biotecnologie e dell’ingegneria genetica nella attuale realtà economica e culturale ha caricato il tema della liceità dell’invenzione del compito di fungere da mezzo di controllo etico dell’innovazione biotecnologica, rendendolo un elemento argomentativo necessario per la formulazione ed applicazione del diritto dei brevetti a questo settore105. Nell’attesa che maturassero risposte legislative e giurisprudenziali specifiche alla domanda di compromesso etico dell’innovazione, la verifica della conformità dell’invenzione, descritta in una domanda di brevetto, all’ordine pubblico e al buon costume è sembrata lo strumento istituzionale adatto a rispondere al bisogno di apporre confini a ciò che «la tecnica oramai definiva fattibile»106. Determinante, da questo punto di vista, è stato, allora, l’art. 50 del Codice della proprietà industriale afferente al requisito della liceità dell’invenzione il quale, al 1° comma, recita testualmente che «non possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni la cui applicazione o la cui attuazione è contraria all’ordine pubblico o al buon costume». Indispensabile è stata la Carta dei diritti fondamen  Per un quadro d’insieme delle problematiche coinvolte si può fare riferimento a V. Menesini, Le invenzioni biotecnologiche tra scoperte scientifiche, applicazioni industriali, preoccupazioni bioetiche, in Riv. dir. ind., 1996, p. 63; A. Kaufmann, Riflessioni giuridiche e filosofiche su biotecnologia e bioetica alla soglia del terzo millennio, in Riv. dir. civ., 1988, I, p. 205; P. Drahos, Biotechnology Patents, Markets and Morality, in EIPR, 1999, 21/9, p. 441; S. Sterckx, Some Ethically Problematic Aspects of the proposal for a Directive on the Legal Protection of Biotechnological Inventions, in EIPR, 1998, 20/4, pp. 123 ss.; R. Moufang, Patenting of Human Genes, Cells and Parts of the Body. The Ethical Dimension of Patent Law, in I.I.C., 1994, pp. 487 ss.; F.D. Busnelli, Opzioni e principi per una disciplina normativa delle biotecnologie avanzate, in Riv. crit. dir. priv., 1991, pp. 298 ss.; G. Salvi, Biotecnologia e bioetica, un ritorno alla metafisica? Terapia genica in utero, clonazione umana e lo statuto morale dell’embrione, in Riv. crit. dir. priv., 1999, pp. 587 ss. 105   Cfr. P. Spada, Liceità dell’invenzione brevettabile ed esorcismo dell’innovazione, in Riv. dir. priv., 2000, p. 5. 106   Ibidem. 104

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tali dell’Unione Europea107 che nell’enunciare una serie di valori irrinunciabili delle moderne democrazie, ha offerto protezione alla proprietà intellettuale ma nell’ambito di uno sviluppo equilibrato e sostenibile in grado di coniugare progresso della scienza e sviluppo scientifico108. La Carta, strumento di interpretazione del diritto comunitario vigente, protegge la proprietà industriale soggiacendo però al limite dell’equo contemperamento con gli altri diritti quali il rispetto della vita e dell’integrità fisica, della sicurezza e libertà, della tutela della salute. Si delinea pertanto un concetto condiviso di ordine pubblico per tutti gli stati membri dell’Unione, i quali possono però liberamente arricchirlo e differenziarlo in base alla propria storia e tradizione. La stessa Direttiva interpreta la necessità, manifestata in ambito europeo, di migliorare e di aumentare il livello di salute, benessere e sicurezza della società; forzando la tradizionale chiave di lettura astensionistica del diritto brevettale, ha imposto la verifica a monte del rispetto delle condizioni minime di liceità. Ciò a prescindere dall’esistenza o meno di altri corpora normativi espressamente dedicati alla prevenzione e rimozione delle conseguenze pregiudizievoli di un uso contra legem dei risultati della ricerca scientifica109. Il legislatore, non solo ha voluto specificare meglio gli ambiti della brevettabilità escludendo solo quelle invenzioni che vengono ritenute dalla coscienza collettiva ripugnanti, ingiuste e inaccettabili110 o che si pongono in netto contrasto con i principi fondamentali degli stati aderenti alla convenzione; ma ha anche voluto inserire i due limiti fondamentali dell’ordine pubblico e del buon costume

  Proclamazione solenne raggiunta in occasione del Trattato di Nizza il 7-8 dicembre 2000, a conclusione di lavori della Conferenza intergovernativa per la revisione dei Trattati, e pubblicata in Guce C364/1 del 18 dicembre 2000. 108  F. Pocar – C. Secchi, Il Trattato di Nizza e l’Unione Europea, Giuffrè, Milano, 2001, p. 151. 109   Documento del Trade Policy Review Bdy WIPO del 12-14 luglio 2000, WT/TPR/M/72/Add.1, in https://docs.wto.org/. 110  R. Romandini, Commentario all’art. 4, legge 22 febbraio 2006 n. 78, in L.C. Ubertazzi (a cura di), Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, Cedam, Padova, 2007, pp. 1376 ss. 107

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in una norma che si potrebbe definire in bianco, proprio per i rischi che le invenzioni socialmente pericolose potrebbero comportare111. Oggi le biotecnologie avanzate trovano ormai ampia utilizzazione sia per la ricerca scientifica che per la produzione industriale. Di conseguenza, per l’invenzione biotecnologica si chiedono le stesse forme di tutela proprie di tutte le altre invenzioni. Tuttavia, anche quando un trovato biotecnologico riesce a soddisfare i requisiti stabiliti dal sistema brevettuale, persistono ancora forti le resistenze e le problematicità dal punto di vista etico nell’accettare la brevettabilità del vivente e, spesso, le invenzioni in materia vengono condannate di per sé, per il solo oggetto che le caratterizza, «al limbo della illiceità»112. Si supera in tal modo la distinzione tra norme che disciplinano l’attribuzione di un brevetto e norme «che regolano l’attuazione pratica delle scoperte e delle invenzioni, brevettate o non brevettate»113, secondo la quale il sistema dei brevetti sarebbe di per sé «ethically neutral» in quanto «granting a patent is an event from which nothing follows consequentially and inevitably in terms of human action. Therefore, patenting cannot be classified as wrong, or even right, but can put into the category of the ethically neutral»114.  A. Kaufmann, Riflessioni giuridiche e filosofiche, cit., p. 206.  F.D. Busnelli, Opzioni e principi, cit., p. 284. 113   Come sostiene A. Kaufmann, Riflessioni giuridiche e filosofiche, cit., p. 228, «delle decisioni normative responsabili non possono essere prese neppure soltanto sulla base del criterio della situazione concreta. Debbono essere capaci di raccogliere consenso, e per questo occorre la loro generalizzazione nel contesto delle conoscenze e delle esperienze di altri: altri studiosi, altri scienziati, altre istituzioni, altre associazioni, altri paesi. Forse in nessun campo il “discorso razionale”, il dialogo ragionevole interdisciplinare e internazionale è tanto importante quanto nel campo delle biotecnologie». 114   Teoria evidenziata più volte dalla dottrina italiana quanto da quella straniera, soprattutto anglosassone: R.S. Crespi, Biotechnology Patenting: The Saga Continues, in Biotechnology and Genetics Engineering Reviews, 1998, V/15, p. 379; V. D’Antonio, Invenzioni biotecnologiche, cit., p. 55; G. Sena, L’importanza della protezione giuridica, cit., p. 75, il quale afferma tuttavia come non si debba trascurare che «con una certa contraddizione logica, diverse norme in tema di brevettabilità prevedano limiti in relazione ad esigenze che possiamo indicare 111 112

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Come è stato osservato115, se è vero che la concessione di un brevetto comporta di per sé semplicemente il riconoscimento di una esclusiva temporanea alla produzione e alla commercializzazione di un dato prodotto o procedimento e non un diritto di proprietà sul medesimo, non si può d’altra parte non considerare come l’atto di escludere qualcuno, nella misura in cui ne può ledere un interesse giuridicamente rilevante, non possa certamente valutarsi come neutro. Alla medesima conclusione conduce peraltro la stessa concezione del brevetto quale utile strumento di controllo della realizzazione e diffusione di trovati più o meno desiderabili, rappresentazione, questa, propugnata dai sostenitori del sistema brevettuale contro le accuse di coloro che ne sottolineano i limiti etici116. Ancora una volta, non può essere negata la difficoltà di conciliare l’idea dello strumento di controllo con l’idea di un sistema virtualmente neutro e, in quanto tale, non discrezionale. Ad ulteriore conferma dell’impossibilità di considerare il sistema dei brevetti come non suscettibile di valutazioni etiche, c’è poi la constatazione che le normative di tutti gli Stati e la direttiva stessa prevedono delle clausole di non brevettabilità per tutti quei procedimenti considerati “immorali”. Nell’ambito della Direttiva 98/44/CE tale funzione viene affidata all’art. 6 dove si richiedere all’interprete di formulare giudizi che portino a negare il rilascio del brevetto qualora sia ragionevolmente possibile valutare come contrario all’ordine pubblico o al buon costume lo sfruttamento commerciale di una determinata inven-

come etiche o politiche, esigenze che attengono tuttavia, come ho accennato, alla attuazione delle invenzioni piuttosto che alla loro brevettabilità». 115   P. Drahos, Biotechnology Patents, cit., p. 441: «the claim that patenting is an ethically neutral act seems weak. […] Since the whole point of patenting is to exclude others from access to informational resources of the patent, is hard to see how patenting can be described as ethically neutral. The act of exclusion will almost always affect someone’s interest». 116   In tale senso, S. Sandri – E. Caporuscio, in Biotecnologie: l’ultima proposta dell’Unione europea, in Riv. dir. ind., 1994, I, p. 650; anche R. Nott, The Biotech Directive, Does Europe Need a New Draft?, in EIPR, 1995, 17/12, p. 563.

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zione biotecnologica. Sarà pertanto importante, mentre si analizzano le problematiche di bioetica che presentano le diverse forme di privativa legate alla materia vivente, porre al centro della propria riflessione non il trovato in sé, categoria neutra117, ma l’attuazione concreta della invenzione biotecnologica, delineando criteri di giudizio effettuali attraverso cui valutare la liceità o meno della singola invenzione in relazione al suo uso. Sarà necessario valutare nel modo il più possibile oggettivo e globalmente, l’applicazione che del trovato si intende fare. Spesso, infatti, il vero discrimen tra lecito e illecito è determinato, non dall’invenzione in sé, ma dalle sue utilizzazioni, circostanza che evidenzia la soggettività di ogni giudizio congetturato circa la liceità di una invenzione che prescinda dalle sue rivendicazioni applicative. Il brevetto è una realtà giuridica elaborata per favorire il mercato e la ricerca, non per «educarli»118. È comunque certo che le biotecnologie avanzate, se correttamente utilizzate, rappresentano uno dei più importanti strumenti a disposizione dell’uomo per migliorare la qualità della vita; esse non sono più «interessanti tecniche in cerca di applicazione, ma rappresentano ormai una industria anche se in fase iniziale»119. Oggi gli interventi biogenetici sull’uomo, sulle piante e sugli animali prospettano per la società umane un futuro di insperate possibilità di prevenzione e cura su larga scala di molte patologie e deficit funzionali. I genomi delle specie viventi hanno rappresentato la prima fonte di risorse biogenetiche naturali, la base conoscitiva per decodificare, e quindi replicare e modificare, le informazioni genetiche delle specie viventi. Grazie alle biotecnologie, tali informazioni si sono tradotte in applicazioni biotech utilizzate a fini agricoli, industriali, diagnostici, terapeutici, ecc. Ma l’evoluzione delle conoscenze sui processi biogenetici, la decodificazione del genoma umano e di molte altre  V. D’Antonio, Invenzioni biotecnologiche, cit., p. 55.   Ivi, pp. 61 ss. 119   V. Menesini – G. Caforio, Sistema brevettuale e problemi etici delle biotecnologie, in Riv. dir. ind., 1993, pp. 39 ss. 117 118

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specie viventi, le informazioni circa le funzioni dei geni codificanti, desunti da varie sequenze genetiche, prospettano oggi possibilità ulteriori. L’ingegneria genetica più all’avanguardia, infatti, va ormai ben oltre la sola possibilità di modificare i genomi per inserire caratteri di maggiore resistenza, longevità o adattabilità all’ambiente. Il nuovo orizzonte delle biotecnologie si avvale della sinergia multidisciplinare della biologia molecolare, della chimica, dell’informatica, dell’elettronica e dell’ingegneria genetica per costruire ex novo modelli o sistemi genetici originali, assemblando fra loro porzioni di genoma, sia copiati da sequenze naturali sia frutto di sequenze artificiali create in laboratorio. Il settore delle biotecnologie mirato ad interventi sul corpo umano si presenta, dunque, come quello che, per la prima volta, ha posto direttamente a confronto i diritti che nascono da un’invenzione industrialmente utilizzabile e la più intima struttura del corpo umano. La densità problematica del rapporto fra diritto di brevetto e dignità della persona ha inevitabilmente fatto sì che ad esse siano stati attribuiti significati opposti. Per un verso, infatti, tale rapporto è stato percepito come uno strumento in grado di aprire orizzonti nuovi all’attività inventiva degli uomini, in particolare di offrire ad essi nuove occasioni per affermare la propria dignità, a vantaggio del profitto delle imprese biotecnologiche e a beneficio del benessere generale dell’umanità120. Per altro verso, quello stesso settore attribuisce opportunità tecniche di realizzazione ad attività che, secondo alcuni orientamenti della coscienza collettiva, sono percepite come distruttive delle condizioni essenziali richieste per garantire un’uguaglianza minima tra tutti gli uomini e, dunque, la possibilità stessa della convivenza sociale121. Secondo i termini attuali del dibattito scientifico in materia, sono sicuramente escluse da ogni forma di tutela brevettuale le invenzio-

 G. Stammati, La dignità della persona umana e il diritto di brevetto, in Il dir. ind., 2001, p. 117. 121  Cfr. ibidem. 120

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ni riguardanti l’essere umano in quanto tale o che potrebbero modificare l’identità genetica dell’individuo. Tutte le proposte di normativa nel settore delle biotecnologie, in ambito comunitario e/o nazionale, hanno evidenziato che l’esclusione della brevettabilità dell’essere umano e la protezione della sua integrità genetica fanno parte della difesa dell’integrità e della dignità della persona umana. Principio riconosciuto dall’ordinamento giuridico comunitario come facente parte dei diritti fondamentali il cui rispetto è assicurato122. Adottare quale principio-guida il criterio del rispetto della dignità umana è sicuramente appropriato, senza tralasciare, però, il rischio concreto di ridursi ad operare con una nozione di ordine generale dai confini estremamente ampi, nozione sottoposta, di conseguenza, all’alea di valutazioni soggettive. Da più parti, di conseguenza, si è cercato di individuare un contenuto minimo del concetto di dignità umana, un fondamento solido su cui costruire forme di tutela più elaborate. Tale contenuto minimo, in riferimento alle tecniche di ingegneria genetica, è stato individuato nel divieto di modificare le caratteristiche fisiologiche e biologiche dell’uomo e nel riconoscimento del diritto all’individualità genetica di ogni essere umano123. La dignità umana riassume in sé due esigenze apparentemente contrapposte: quella della libertà di azione e di ricerca la cui assolutizzazione conduce all’asservimento della persona alla tecnica; e quella del rispetto dell’essere umano che richiama al principio di responsabilità: «Agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilità di un’autentica vita umana sulla terra»124. La dignità umana evoca, in altre parole, la forte tensione sussistente tra autonomia e responsabilità per e dell’uomo125.

 V. D’Antonio, Invenzioni biotecnologiche, cit., pp. 64 ss.  G. Caforio, Le invenzioni biotecnologiche, cit., p. 50. 124   H. Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, tr. it. di P. Rinaudo, Einaudi, Torino, 1990, p. 16. 125   Cfr. C. Viafora, Introduzione alla bioetica, Franco Angeli, Milano, 2006, pp. 98-100. 122 123

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Si potrebbe dire che «l’idea di dignità oscilla tra una nozione etero-diretta, che evoca la corrispondenza a un modello ideale di uomo, non a disposizione dell’individuo – cioè definito in larga misura a prescindere da quelle che potrebbero essere opzioni di valore della singola persona – ed una nozione, esattamente opposta, che si pone a garanzia della autoaffermazione dell’individuo in ragione delle sue specifiche predilezioni esistenziali»126. Di qui il facile equivoco della sua strumentalizzazione, sia nell’ambito del dibattito giuridico sia in quello etico127. Il rispetto del diritto alla salute, diritto inviolabile che costituisce la condizione per il riconoscimento del valore intrinseco dell’essere umano, si esplica, quindi, in campo biomedico, nel rispetto di altri diritti, come quelli all’integrità e all’inviolabilità del corpo128. Il rapporto tra l’individuo e il proprio corpo deve essere letto in termini di libertà corporale e di diritto all’autodeterminazione, visto che ogni intervento sul corpo umano è, in linea di principio, condizionato al previo ottenimento del consenso libero ed informato. Il consenso informato del paziente è il cardine della relazione terapeutica liberale, improntata al principio di autonomia ed al rispetto reciproco129, e trova il suo fondamento giuridico negli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione: nei diritti irrinunciabili della persona, nella

  A. Vallini, Illecito concepimento e valore del concepito, Giappichelli, Torino, 2012. 127   A tal proposito L. Risicato, Dal «diritto di vivere» al «diritto di morire», Riflessioni sul ruolo della laicità nell’esperienza penalistica, Giappichelli, Torino, 2008, p. 12: «È legittimo […] domandarsi se una protezione così ampia e pignola della vita biologica sia realmente il modo migliore per realizzare quella tutela della dignità umana». 128   C. Campiglio, Brevetti biotecnologici: da Lussemburgo a Strasburgo? (Corte di Giustizia CE, 9 Ottobre 2001, causa 377/98), in Dir. comm. int., 2002, 16/1, pp. 187 ss. 129  P. Borsellino, Bioetica tra autonomia e diritto, Zadig, Milano, 1999, p. 80, secondo cui «quella morale del rispetto reciproco […] considera irrinunciabile la considerazione degli individui come soggetti autonomi e capaci di dar forma alla propria esistenza», e «non vi sono buone ragioni per fare eccezioni o sospendere tale morale quando sono in gioco le decisioni relative alla salute e, in generale, agli interventi sul corpo». 126

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libertà di autodeterminazione in ordine ad atti che coinvolgono il proprio corpo, nell’affermazione della volontarietà del trattamento sanitario, da cui discende il diritto di esprimere anche il rifiuto di interventi diagnostici, terapeutici o sperimentali proposti (e non disposti) dai sanitari. Il diritto all’autodeterminazione del paziente può essere esercitato soltanto attraverso un consenso che sia personale, cioè manifestato dal paziente capace di intendere e di volere, esplicito, manifestato in modo chiaro e non equivoco, specifico, perché deve indicare in maniera puntuale i trattamenti sanitari prospettati o l’intervento da eseguire, attuale perché deve essere prestato al momento dell’inizio dell’intervento o del trattamento sanitario, libero, perché non deve essere frutto di costrizioni altrui, consapevole, in quanto espresso soltanto dopo aver ricevuto le informazioni necessarie e informato, in quanto attraverso l’adeguata informazione il paziente viene edotto dal medico circa i rischi e le conseguenze, anche negative, che il trattamento sanitario può comportare. Il consenso, che capovolge la gerarchia tra medico e paziente nel rapporto di cura e sottrae la persona al potere decisione del terapeuta e subordina alla libera e informata determinazione del paziente la pratica clinica e diagnostica, ha attribuito all’interessato il pieno potere di governo del corpo fisico130. L’autodeterminazione cosciente e informata attrae la capacità decisionale all’essenza stessa della persona umana, significativamente fondata sulla dignità e sulla libertà. «Il consenso informato, pur assumendo rilevanza essenzialmente in ambito contrattuale, inerisce a situazioni giuridiche patrimonialmente neutre, fondamentali ed aventi i caratteri dell’indiscutibilità, imprescrittibilità e inalienabilità»131. Il diritto all’integrità fisica, tuttavia, non è privo di limiti, e in particolare non è disponibile: non sono ammessi trattamenti bio130  S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, Milano, 2006, p. 80. 131  A. Sassi, Equità e interessi fondamentali nel diritto privato, Università degli Studi di Perugia, Perugia, 2006, p. 408.

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medici, benché ne sia dato il consenso, contrari e lesivi della dignità umana cosi come trattamenti e tecniche espressamente vietati132. Primaria importanza assumono, dunque, l’art. 21 della Convenzione sulla biomedicina133 e l’art. 3 della Carta dell’Unione Europea134, i quali prevedono che, al fine di garantire il rispetto della dignità umana, sia necessario che il corpo non costituisca fonte di profitto. Tale impostazione è stata, poi, confermata dall’art. 4 della Direttiva 98/44/CE, il quale esclude dalla brevettabilità «il corpo umano, sin dal momento del concepimento e nei vari stadi del suo sviluppo, nonché la mera scoperta di uno degli elementi del corpo stesso, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, al fine di garantire che il diritto brevettale sia esercitato nel rispetto dei diritti fondamentali sulla dignità e l’integrità dell’essere umano». Alla base del divieto non vi sono motivazioni etiche assolute, bensì l’esigenza di non commerciare in esclusiva le parti del corpo umano, frenando così la successiva ricerca, se di tali parti non siano state individuate utilizzazioni industrialmente utili135. Punto focale della questione, infatti, non è rappresentato dalla tecnologia in sé, ma dalla sua applicazione scorretta; la regolamentazione normativa del brevetto non è diretta ad inibire la ricerca in quanto tale, bensì a regolarne le applicazioni per quanto attiene al loro sfruttamento commerciale.

  Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, all’art. 3 lo annovera tra i principi fondamentali della medicina e della biologia. Art. 3: «Ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica. 2. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: a) il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge; b) il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone; c) il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro; d) il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani». Cfr. A. Sassi, Equità e interessi fondamentali nel diritto privato, cit., p. 435. 133   Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina: Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina-Oviedo, 4 aprile 1997. 134   Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, 2000/C 364/01. 135  G. Guglielmetti, La protezione giuridica, cit., p. 398. 132

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Ne deriva che la disciplina dei brevetti non ha, di per sé, interferenze dirette con i problemi etici, i quali, sebbene effettivamente sussistenti, attengono in realtà alla attuazione pratica dell’invenzione e non riguardano né la ricerca, né l’istituto brevettuale in sé considerato136. D’altronde la stessa Direttiva Comunitaria 98/44/CE non si occupa della eticità delle invenzioni biotecnologiche, né ha l’obiettivo di riconoscere la liceità o l’illiceità di certe metodologie e conseguenti pratiche manipolative. Viceversa, tale Direttiva si occupa solo del lecito sfruttamento commerciale delle tecniche di ingegneria genetica, limitandosi a fissare i presupposti per il riconoscimento dei relativi diritti di proprietà industriale. Essa, cioè, stabilisce in quali circostanze la ricerca scientifica condotta su materiale vivente possa essere brevettabile, lasciando agli Stati membri la competenza di regolamentare ed orientare la stessa attività di ricerca verso obiettivi e con modalità rispondenti ai principi etici, morali e di buon costume condivisi in ciascun paese. Così, l’espresso divieto sulla brevettabilità dei procedimenti di clonazione di esseri umani, dei procedimenti di modificazione dell’identità genetica dell’essere umano, delle utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali, opera solo a valle, in sede di rilascio del brevetto, ma non costringe gli Stati membri, in sede di recepimento della Direttiva, a porre, a monte, un divieto generale di svolgimento dell’attività di ricerca nei richiamati settori137. Il vincolo, cioè, vale solo come linea interpretativa per gli uffici brevettuali nazionali mentre non delimita un’area di illegalità della ricerca scientifica perché «l’assenza di brevetto, in mancanza di altre norme, non impedisce, di per sé, né la ricerca, né l’attuazione delle invenzioni che ne derivano anche perché è sempre difficile, se non impossibile, negare a priori l’utilità e il valore di una scoperta o invenzione»138. 136  G. Casaburi, Le relazioni pericolose tra etica e biotecnologie, in Riv. dir. ind., 2004, I, p. 29. 137  A. Pizzoferrato, La tutela brevettale, cit., p. 1287. 138  G. Sena, L’importanza della protezione giuridica, cit., pp. 76 ss.

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In tal senso chiarisce il considerando n. 14 della Direttiva 98/44 CE che «un brevetto di invenzione non autorizza il titolare ad attuare l’invenzione, ma si limita a conferirgli il diritto di vietare ai terzi di sfruttarla a fini industriali e commerciali e, di conseguenza, il diritto dei brevetti pare non poter sostituire né rendere superflue le legislazioni nazionali, europee o internazionali che fissino eventuali limiti o divieti, o dispongano controlli sulla ricerca e sull’utilizzazione o sulla commercializzazione dei suoi risultati, con particolare riguardo alle esigenze di sanità pubblica, sicurezza, tutela dell’ambiente, conservazione della diversità genetica». Il fatto che le invenzioni biotecnologiche siano coperte da brevetto non impedisce, quindi, la previsione di divieti o autorizzazioni che possono incidere sulla realizzazione o commercializzazione dell’invenzione stessa.

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LA REGOLAMENTAZIONE NORMATIVA DEL BREVETTO BIOTECNOLOGICO

Sommario: 1. Nascita dei brevetti biotecnologici: il caso statunitense Chak­ rabarty. – 2. Le origini della disciplina europea: Oncomouse della Harvard Medical School. – 3. Il contenuto della Direttiva 98/44/CE. – 3.1. Corpo umano: genoma patrimonio dell’umanità. – 3.2. Natura e limiti delle invenzioni biotecnologiche. – 3.3. Privilegio dell’agricoltore o farmer exception. – 3.4. Rinvio. – 4. Il recepimento tardivo della Direttiva 98/44/CE in Italia. – 4.1. Ruolo che il consenso informato della persona da cui il campione è attinto è chiamato a svolgere. – 4.2. Licenze obbligatorie. – 4.3. Estensione della tutela. – 4.4. Un non senso giuridico.

1. Nascita dei brevetti biotecnologici: il caso statunitense Chakrabarty Il concetto di brevettabilità era stato definito dal Congresso nel 1793 grazie a una legge sui brevetti formulata da Thomas Jefferson, secondo la quale era possibile ottenere «brevetti per ogni arte, macchina, manifattura o composizione di materia nuova o utile, o per ogni perfezionamento nuovo e utile delle medesime»1. La legge non diceva nulla riguardo alla brevettabilità degli organi viventi ma sembrava negare questa possibilità perché in un precedente che risaliva al 1889, fu formulata una teoria secondo la quale possono essere brevettati i processi di estrazione di ciò che è rinvenibile in Natura mentre non lo possono essere gli oggetti na1   Tale articolo sancisce espressamente: «Whoever invents or discovers any new and useful process, machine, manufacture, or composition of matter, or any new and useful improvement thereof, may obtain a patent therefore, subject to the conditions and requirements of this title».

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turali scoperti poiché non sono invenzioni, né possono essere di proprietà di qualcuno. Nel 1930 nel Plan Patent Act il Congresso aveva permesso di brevettare solo piante che potevano essere ottenute tramite riproduzione asessuata e per circa quarant’anni non si registrarono estensioni della legge sui brevetti ad altre entità viventi. Nel frattempo, e precisamente nel 1972 emerse con forza il caso di Ananda Chakrabarty, biochimico indiano residente negli USA, che utilizzando quattro ceppi diversi di batteri realizzò, con tecniche di ingegneria genetica, un nuovo ceppo di batteri capace di dividere catene di idrocarburi e di disgregare le chiazze di petrolio rendendolo biodegradabile in acqua marina. Il nuovo batterio poteva operare con le stesse caratteristiche di quattro ceppi già preesistenti e faceva ben sperare, sulla carta, di essere un ottimo disinquinante, con benefici evidenti per la salute dei cittadini e dell’ambiente2. Il 7 giugno 1972 A. Chakrabarty chiese il rilascio del brevetto per il suo nuovo batterio ma il Patent Office statunitense glielo negò sostenendo che un organismo vivente non poteva essere brevettato perché era products of nature seppur nuovo, richiamandosi al par. 101 dell’art. 35 U.S.C. che espressamente escludeva gli organismi viventi dalla brevettabilità3. Tale articolo stabiliva che l’oggetto dell’attività inventiva doveva rientrare nell’ampia nozione di statutory subject matter; qualificarsi, cioè, come «process, machine, manufacture, or composition of matter» oppure come «new and useful improvement thereof». Contro il rifiuto opposto dal Patent Office, Chakrabarty propose appello presso il Board of Appeals, il quale, con decisione del 20 maggio 1976, confermò l’orientamento assunto precedentemente   Il caso è citato in ogni pubblicazione dedicata al rapporto tra diritto e biotecnologie: due opere di alto profilo sono R.S. Eisenberg, The Story of Diamond v. Chakrabarty: Technological Change and the Subject Matter Boundaries of the Patent System, in R.C. Dreyfuss – J.C. Ginsburg (a cura di), Intellectual Property Stories, Foundation Press, New York, 2006, pp. 206 ss., e A. Lumelsky, Diamond v. Chakrabarty: Gauging Congress’s Response to Dynamic Statutory Interpretation by the Supreme Court, in University of San Francisco Law Rev., 2005, 39/3, pp. 641 ss. 3  V. D’Antonio, Invenzioni biotecnologiche, cit., p. 214. 2

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e dichiarò la non brevettabilità degli organismi viventi. I batteri geneticamente modificati vennero assimilati a mere mutazioni naturali. Inoltre, il rifiuto si fondava sulla paura, che una decisione favorevole, aprisse la via della brevettabilità ad una serie illimitata e imprecisata di materiali biologici4. Il Board of Appeals però concordò con Chakrabarty rispetto all’assunto secondo cui i batteri rivendicati non dovessero essere considerati dei semplici prodotti della natura. Infatti, dalla documentazione prodotta si evinceva che il nuovo batterio chiamato Pseudomonas, contenente due o più plasmidi diversi, generatori di energia, non si trovava spontaneamente in natura. La Corte ritenne che il secondo motivo di rifiuto delle rivendicazioni fondato sul par. 101 dell’art. 35 U.S.C. fosse corretto: «they are drawn to live organisms and do not fit any of the categories of patentable subjiect matter as defined by 35 U.S.C. § 101»5. Il 25 marzo 1979, pur con una sentenza votata con cinque voti favorevoli e quattro contrari, la Corte Suprema degli Stati Uniti6 dichiarando la brevettabilità dei microrganismi geneticamente modificati riforma la decisione del Board of Appeals favorendo le nuove invenzioni della tecnoscienza, aprendo la strada alla brevettazione dei brevetti biotecnologici7. La decisione della Corte chiarì, in particolare, che una invenzione poteva avere come oggetto anche organismi viventi, spalancava alla brevettabilità del primo organismo complesso, Oncomouse, un topo modificato con un oncogene che favorisce lo sviluppo di tumori alla mammella. Si rigettava quindi che fosse un product of nature   Ivi, p. 219.   W.F. Eberle, Bergy, Chakrabarty and Flook; is a living Article of Manufacture patentable subject matter under 35 U.S.C.§ 101?, in Intellectual Property Law Rev., 1979, pp. 381 ss. 6   Sentenza Diamond v. Chakrabarty, 447 U.S. 303. 7   Per una analisi dettagliata del sistema dei brevetti in Europa e negli Stati Uniti cfr. G. Van Overwalle, Study on the Patenting of Inventions Related to Human Stem Cell Research, in Luxembourg Office for Official Publications of the European Communities, 2002. 4 5

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e che dovesse essere il Congresso ad autorizzare i brevetti relativi a microrganismi. Si ritenne, da parte di accreditata dottrina, che il compito della sentenza fosse quello di dare una interpretazione corretta al tessuto normativo vigente8. Con la sentenza della Corte Suprema fu affermato che il vero tratto distintivo della brevettabilità è dato dal confine tra «lavoro della natura» e «opera umana»9 e che «anything under the sun that is made by man», con la conseguenza che il criterio di distinzione tra ciò che è e ciò che non è brevettabile è «not between living and inanimate things, but between products of nature, whether living or not, and human-made inventions»10. La brevettabilità è indipendente dall’essere l’invenzione entità vivente o inanimata e ciò che conta è che l’invenzione sia realizzata dall’uomo, il cui ingegno deve ricevere un generoso incoraggiamento. L’organismo di Chakrabarty, secondo la Corte, «is not nature’s handwork, but his own», e come tale, considerato come artefatto biologico, rientra nel novero dei materiali brevettabili ai sensi del par. 10111. Fu chiarito l’ulteriore concetto che, benché i microrganismi siano naturalmente presenti nell’ambiente, tuttavia essi non esistono

  M.A. Bangley, A Global Controversy: The Role of Morality in Biotechnology Patent Law in Public Law and Legal Theory Working Paper Series, Paper 57, 2007. 9   U.S. Supreme Court, 16 gennaio 1980, in List of Unit State Supreme Court Case, 1980, 447, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha precisato: «Einstein could not patent his celebrated law that E = mc2; nor could Newton have patented the law of gravity. Such discoveries are manifestation of nature, free to all men and reserved exclusively to none. […] respondent’s micro-organism plainly qualifies as patentable subject matter. His claim is not to a hitherto unknown natural phenomenon, but to a non naturally occurring manufacture or composition of matter – a product of human ingenuity […]. His discovery is not nature’s handicraft, but his own». 10   U.S. Supreme Court, 16 gennaio 1980, in List of Unit State Supreme Court Case, 1980, 447: «a person may have invented a machine or a manufacture, which many included anything under the sun that made by man». 11   E.W. Guttag, The Patentability of Microorganisms: Statutory Subject Matter and Other Living Things, in Intellectual Property Law Review, 1979, pp. 17 ss. 8

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spontaneamente in natura, come colture biologicamente pure. Un «microrganismo isolato e biologicamente purificato» è brevettabile – a differenza di un microrganismo impuro – perché esso è il prodotto di una attività umana e non preesiste ad essa12. Vennero cosi esplicitati i criteri di isolamento e di purificazione, ripresi poi dalla Direttiva 98/44/EC, i quali divengono i criteri scientifico-normativo che fondano la presunzione legale di artificializzazione. Vale a dire che a fronte di microorganismi isolati e purificati si presume che essi siano il frutto di procedure tecniche idonee a trasformare i materiali biologici e genetici in artefatti brevettabili. Applicati al corpo umano, isolamento e purificazione alludono il primo alla separazione del materiale umano dal corpo e alla sua individuazione come materiale singolo, il secondo alla separazione e identificazione di una precisa funzione, il dato informazionale, per quel singolo materiale13. Questa decisione della Corte Suprema segna, dunque, una tappa fondamentale nella storia del sistema brevettuale e viene convenzionalmente considerata come la data di nascita delle inquietudini sulla brevettabilità dei materiali biotecnologici. Dopo la sentenza vi furono una lunga serie di casi in cui la domanda di brevetto riguardò direttamente nuove entità viventi,   U.S. Court of Customs and Patent Appeals (CCPA), In re Bergy 563 F.2d 952, 967-68 (1979), «Appellants responded with a request to reconsider this rejection supported by affidavits of three Upjohn microbiologists, Dr. Joseph E. Grady, Dr. Thomas L. Miller, and “the well-known microbial taxonomist Alma Dietz,” pointing out that the microorganism did not exist as a biologically pure culture in nature and asserting that such a culture is a “manufacture” […]». 13   Directive 98/44/EC of the European Parliament and of the Council of 6 July 1998 on the legal protection of biotechnological inventions, OJL 213, 30/7/1998, pp. 13-21, Art. 5.1: «The human body, at the various stages of its formation and development, and the simple discovery of one of its elements including the sequence or partial sequence of a gene cannot constitute patentable invention»; Art. 5.2: «An element isolated from the human body or otherwise produced by means of a technical process including the sequence or partial sequence of a gene may constitute a patentable invention, even if the structure of that element is identical to that of a natural element». M. Tallachini, Soglie di bioartificialità: le oscillazioni della brevettabilità genetica, in A. Santosuosso – C.A. Redi – S. Garagna – M. Zuccotti (a cura di), I giudici davanti alla genetica, Ibis, Pavia, 2002, pp. 94 ss. 12

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realizzate dall’attività inventiva dell’uomo attraverso l’uso di biotecnologie e si aprì la strada alla brevettabilità di forme più elevate di vita, inclusi gli animali. Contemporaneamente si iniziarono a definire alcuni caratteri e a delineare problematiche che tutt’ora rimangono costanti e che vengono individuati nei costi di ricerca elevatissimi e nei rischi altissimi di insuccesso, nella promessa di grandi benefici, connessa alla preoccupazione per possibili effetti negativi imprevisti, la cui esistenza è sempre di difficile valutazione14. La possibilità di brevettare il vivente non rappresenta altro che la manifestazione della radicata capacità evolutiva, in particolare delle corti statunitensi di muoversi, per quel che riguarda lo specifico della Patent Law, nell’ottica, tracciata dall’art. 1 par. 8 U.S.C., del «promote the progress of science and the useful arts». A supporto non si può non evidenziare che le corti statunitensi hanno da sempre saputo accogliere nell’alveo del diritto le new technologies ed hanno fatto in modo che il sistema delle privative industriali fosse un incubatore per sviluppare l’attività inventiva umana.

2. Le origini della disciplina europea: Oncomouse della Harvard Medical School Il settore brevettale è stato contrassegnato sin dal secolo scorso da una vivace tendenza alla collaborazione internazionale al fine di predisporre regole e strumenti volti ad agevolare il compito dei privati che intendessero richiedere tutela alle loro invenzioni. La ragione va ravvisata nell’esigenza di superare le difficoltà risultanti per gli operatori del settore, negli stati industrialmente più sviluppati, dalla mancanza di coordinamento tra le varie regole nazionali e ancor di più dalla diversità della disciplina sostanziale in materia.

  V. Di Cataldo, Biotecnologie e diritto. Verso un nuovo diritto e verso un nuovo diritto dei brevetti, in Studi di diritto industriale, cit., p. 445. 14

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Tal processo, caratterizzato dal riconoscimento, da parte di tutti gli Stati aderenti, dell’efficacia sul loro territorio di atti compiuti da privati sul territorio di altri stati e dall’adozione di una serie di regole di forma e di procedura armonizzate, era cominciato con la Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà intellettuale del 188315, successivamente più volte modificata, attraverso la quale si stabilirono procedure per facilitare l’ottenimento delle tutela delle invenzioni a livello internazionale, Segui la Convenzione Internazionale per la Protezione dei Risultati Vegetali (UPOV), adottata nel 1961 a Parigi e aggiornata a Ginevra nel 1991, e la Convenzione di Strasburgo, adottata nel 1963 dal Consiglio d’Europa con l’obiettivo di stabilire un mercato comune europeo e unificare le previsioni sostanziali del diritto del brevetti. Tali convenzioni internazionali hanno avuto una rilevante influenza sulla legislazione successiva intervenuta in materia di brevettazione di materiale biotecnologico. In particolare, hanno inciso fortemente sulla Convenzione sul brevetto europeo, firmata a Monaco nel 197316 e sulle normative interne degli Stati membri tese alla armonizzazione del settore delle privative industriali. Ognuno di questi complessi di norme ha contributo a porre in essere quelli che sono i principi base della materia: se, da un lato, si è riaffermata la nozione tradizionale di invenzione, dall’altro, si è, nello stesso tempo, aperta la strada ai trovati biotecnologici. La Convenzione UPOV17 si è soffermata sulla protezione giuridica dei ritrovati vegetali con l’obiettivo di assicurare che i membri 15   Paris Convention for the Protection of Industrial Property, Convenzione internazionale stipulata in data 20 marzo 1883 ed in seguito modificata nel 1900 (Bruxelles), 1911 (Washington), 1925 (L’Aia), 1934 (Londra), 1958 (Lisbona) e 1967 (Stoccolma) ed emendata nel 1979 conta attualmente 174 Stati aderenti. Tale Carta formulò i principi di base del diritto dei brevetti. 16   Convenzione sul Brevetto Europeo (CBE). Questa Convenzione, sottoscritta il 5 ottobre 1973, è la prima a disegnare una disciplina sovranazionale comune per la concessione del brevetto. Il testo attuale della CBE è il risultato di una prima revisione del 1991 e di una seconda, più robusta, del 2000; la così detta European Patent Convention 2000. L’ultima revisione in ordine di tempo è quella del 2013, per il quarantesimo anniversario della CBE. 17   International Convention for the Protection of New Varieties of Plants, sot-

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dell’Unione Europea riconoscano i risultati raggiunti dai costitutori vegetali, estendendo la protezione al materiale di riproduzione o propagazione della varietà protetta, cercando di salvaguardare anche gli interessi dell’utilizzatore non speculativo e dell’inventore successivo. Seguendo la strada ricostruttiva della materia delle invenzioni biotecnologiche tracciata dalla Convenzione di Strasburgo18, nata in un periodo storico in cui il problema delle biotecnologie non era ancora avvertito19, la disciplina prevista dalla Convenzione di Monaco rappresenta a tutt’oggi, anche dopo l’emanazione della Direttiva 98/44/CE, un punto di riferimento essenziale per l’interprete. La Convenzione di Strasburgo ha tracciato la strada alla European Patent Convention20, che nella materia delle invenzioni biotecnologiche, sfruttando i margini di discrezionalità attribuiti dai precedenti interventi internazionali, la molteplicità di situazioni normative dei vari Stati membri e dello stesso Ufficio di Monaco, ha dettato una disciplina estremamente restrittiva: questo per molti anni, nonostante il lento lavoro di erosione interpretativa operato dalla dottrina e dalla giurisprudenza dell’Ufficio Brevetti Europeo e di quelli nazionali, ha portato ad una fuga delle invenzioni europee, aventi ad oggetto materiali biologici, verso realtà giuridicamente più

toscritta in data 2 dicembre 1961, entrata in vigore in data 10 agosto 1968 e da ultimo modificata nel 1991. 18   Convention on the Unification of Certain Points of Substantive Law on Patent for Invention sottoscritta dagli Stati membri del Consiglio D’Europa a Strasburgo in data 27 novembre 1963 e entrata in vigore in data 1 agosto 1980. 19   La Convenzione di Strasburgo ha invece ammesso la tutela dei procedimenti microbiologici e dei prodotti ottenuti mediante questi procedenti, rispettando in ogni caso l’autonomia dei singoli legislatori nazionali in relazione alla protezione da accordare alle varietà vegetali o alle razze animali come pure ai procedimenti essenzialmente biologici per l’ottenimento di vegetali o di animali. P. Rambelli, La direttiva europea sulla protezione delle invenzioni biotecnologiche, in Contratto e impresa/Europa, 1999, p. 491; O. Mills, Biotechnological Inventions Moral Restraints and Patent Law, ed. riv., Ashgate Publishing, Farnham (UK)-Burlington (USA), 2010, p. 26. 20   Convenzione sul brevetto Europeo (CBE), cit.

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ospitali, d’oltreoceano, paralizzando di fatto l’industria biotecnologica comunitaria21. Infatti la disciplina fissata dalla Convenzione di Monaco se da un lato ammette all’art. 53 la concessione di brevetti europei «per i procedimenti microbiologici e i prodotti ottenuti da tali provvedimenti» dall’altra esclude espressamente, all’art. 53 lett. b) il divieto di brevettazione delle varietà vegetali – già tutelate dalla privativa sui generis della Convenzione UPOV – e delle razze animali quanto quella dei procedimenti essenzialmente biologici di produzione di vegetali e di animali22. Negli anni seguenti però, l’evoluzione interpretativa di dottrina e giurisprudenza ha portato a interpretare estensivamente le stringenti le definizioni dell’art. 53 lett. b) CBE permettendo che anche in Europa le invenzioni biotecnologiche usufruiscano di forme di tutela adeguate, sebbene non ancora raffrontabili, quanto ai vantaggi immediati per l’inventore, alla equipollente disciplina statunitense23.

  Da più parti si era evidenziato che la confusione in materia aveva un impatto negativo sullo sviluppo delle biotecnologie, in particolare nel confronto con le industrie statunitensi e giapponesi. Si veda in particolare Commissione Europea, Comunicazione Promoting the Competitive Environment for the Industrial Activities Based on Biotechnology Directive within the Community, 1991, SEC (91); in dottrina N. Jones, The New Draft Biotechnology Directive, in European Intellectual Property Review, 1996, 6, pp. 363 ss.; G. Oudemans, The Draft European Patent Convention: A Commentary with English and French Texts, Steven & Sons-Matthew Bender & Co., London-New York, 1963; V. D’Antonio, Invenzioni biotecnologiche, cit., p. 33. 22   U. Schatz, Patentability of Genetic Engineering Invention in European Patent Office Practice, in International Review of Intellectual Property and Competition Law, 1998, pp. 2 ss. 23   A tal proposito il sistema europeo è stato definito come «ask (moral) question first, then patent» in contrapposizione a quello statunitense definito all’opposto «patent first, then ask (moral) question». Per quanto riguarda la brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche negli Stati Uniti e per un confronto tra la normativa UE e quella USA si vedano: M. Dunleavy – M. Vinnola, A Compartative Review of the Patenting of Biotechnological Inventions in the United States and Europe, in The Journal of World Intellectual Property, 2000, pp. 65 ss.; A. Ozdemir, Patenting Biotechnological Inventions in Europe and the Us, in Ankara Bar Review, 2009, pp. 40 ss.; S. Schmieder, Scope of Biotechnology Inventions in the United States and in Europe – Compulsor Licensing, Experimental Use and Ar21

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Il caso più rilevante nel passaggio alla brevettabilità degli organismi è quello legato alla vicenda giudiziaria del brevetto sul primo organismo complesso geneticamente modificato24 Oncomouse prodotto presso la Harvard Medical School nel 1988: un roditore transgenico, nelle cui cellule era stato inserita una sequenza oncogena al fine di predisporlo allo sviluppo del cancro in modo da farne una cavia utile allo screening industriale accelerato di sostanze cancerogene25. Il brevetto era già stato rilasciato negli Stati Uniti, Giappone e in Australia. In Europa il topo di Harvard ha avuto vita dibattuta. Dopo aver inizialmente respinto la richiesta di brevetto in relazione all’art. 53 lett. b) della Convenzione di Monaco, che nega la brevettabilità delle varietà animali, l’EPO (European Patent Office) concesse il brevetto nel 1992 sostenendo che l’art. 53 lett. b) esclude dalla tutela brevettale solo alcune categorie di animali e che il divieto non riguarda un animale geneticamente modificato, se i vantaggi derivanti dall’invenzione per il genere umano sono maggiori delle possibili sofferenze e dei rischi ambientali, rendendo cosi non operativi i limiti, indicati per la prima volta, dell’ordine pubblico e del buon costume26. Nel concedere il brevetto, il primo su un organismo complesso, l’European Patent Office affermava la particolarità del caso ricono-

bitrion: A Study of Patentability of DNA-Related Inventions with Special Emphasis on the Establishment of an Arbitration Based Compulsory Licensing System, in Santa Clara Computer e High Technology Law Journal, 2004, pp. 163 ss.; M.A. Bagley, A Global Controversy: The Role of Morality in Biotechnology Patent, in P. Yu (a cura di), Intellectual Property and Information Wealth: Issues and Practices in the Digital Age, Praeger Pess, Westport, 2006, pp. 317 ss. 24   Technical Board of Appeal, Decisione 19/90 del 3 ottobre 1990, in Off. Journ. Eur. Patent Office, 1991, pp. 486 ss.; vedi anche C.F. Walter, Beyond the Harvard Mouse: Current Patent Practice and the Necessity of Clear Guidelines, in Biotechnology Patent Law, http://www.law.indiana.edu/ilj/v73/no3/walter.html. 25  A. Pizzoferrato, La tutela brevettale, cit., pp. 1239 ss. 26  A. Bonfanti, Environmental Risk in Biotech Patent Disputes: Which Role for Ordre Pubblic before the European Patent Office?, in European Journal of Risk Regulation, 2012, p. 47; C. Campiglio, I brevetti biotecnologici nel diritto comunitario, in Dir. comm. int., 1999, pp. 894 ss.

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scendone la liceità ex art. 53 lett. a), nonostante le sofferenze indotte all’animale, facendo leva sull’ammissibilità dei prodotti ottenuti con procedimenti microbiologici e considerando che tale modificazione del DNA fosse necessaria per l’importanza che il topo transgenico avrebbe rivestito nella ricerca oncologica27. L’EPO (European Patent Office) riteneva, quindi, brevettabili non solo gli animali derivanti direttamente dall’invenzione e cioè dalla manipolazione genetica, ottenuti con procedimento non essenzialmente biologico bensì microbiologico, ma anche gli esemplari da essi discendenti attraverso un procedimento di riproduzione biologica, trattandosi di product by process, cioè di prodotti definiti tramite il procedimento per ottenerli.28. In relazione all’applicazione dell’art. 53 CBE alle invenzioni sulle piante, va menzionata anche la decisione della Divisone di opposizione, del 25 febbraio 1993 che ha confermato la validità di un brevetto nella parte in cui quest’ultimo prevedeva la possibilità di intervenire tramite tecniche di ingegneria genetica sul genoma delle cellule di una pianta introducendo una particolare sequenza di DNA29. Nel decidere su un’opposizione di Greenpeace contro un brevetto per una pianta resistente agli erbicidi, la divisione rifiutò di applicare un test di bilanciamento degli interessi analogo a quello

  Nella decisione Harvard/Onco-Mouse si legge in Off. Journ. Eur. Patent Office, 1992, pp. 588 ss.: «The genetic manipulation of mammalian animals – spiega la Commissione tecnica – is undeniably problematical in various respects, particularly where activated oncogenes are inserted to make an animal abnormally sensitive to carcinogenic substances and consequently prone to develop tumours, which necessarily cause suffering. There is also a danger that genetically manipulated animals, if released into the environment, might entail unforeseeable and irreversible adverse effects. The decision as to whether or not article 53 a) EPC is a bar to patenting the present invention would seem to depend mainly on a careful weighing up of the suffering of animals and possible risk to the environment on the one hand, and the invention’s usefulness to mankind on the other». 28  V. D’Antonio, Invenzioni biotecnologiche, cit., p. 123. 29   Per ulteriori riferimenti sulla giurisprudenza dell’UBE, R. Pavoni, Brevettabilità genetica e protezione delle biodiversità. La giurisprudenza dell’ufficio europeo dei brevetti, in Riv. dir. int., 2000, p. 447. 27

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richiesto dal Board of Appeal nel caso del topo transgenico30. Con riferimento alle Guidelines si affermò che il caso dell’Oncomouse non costituisce un superamento del principio per cui l’art. 53 a) va invocato solo in casi estremi, quale appunto fu quello del topo di Harvard. Infine, la Commissione dei Ricorsi, il 28 luglio 1994, ha confermato la validità di un brevetto avente ad oggetto l’antigene dell’epatite B. Successivamente, la Divisione di Opposizione, l’8 dicembre 1994, respingendo un’opposizione presentata dal gruppo parlamentare dei Verdi del Parlamento europeo contro la concessione del relativo brevetto, ha dichiarato brevettabile un’invenzione consistente in un frammento di DNA capace di codificare una proteina umana (nel caso di specie la relaxina). Questa decisione ha definitivamente esteso la brevettabilità a parti del corpo umano, come le linee cellulari e sequenze di DNA, nonché proteine o tessuti specificando i brevetti relativi a DNA codificante non conferiscono al titolare nessun diritto sui singoli esseri umani esattamente come i brevetti relativi ad altri prodotti umani (es. proteine). «Il DNA, infatti, non è vita bensì una sostanza chimica che fornisce informazioni genetiche e che può essere impiegata per la produzione di proteine utili dal punto di vista medico: anzi è solo grazie alla donazione dei geni che si è potuto disporre di importanti proteine umane in numero sufficiente da poter essere impiegate a fini medici, sia in terapie “classiche” che in terapie sulle cellule somatiche che infine in terapie geniche somatiche»31. I principi espressi prima dalla Convenzione sul brevetto europeo e poi dall’Ufficio Europeo dei Brevetti relative alla brevettabilità di tecniche di ingegneria genetica, sono stati totalmente recepiti dalla   Cfr. J. Straus, La problematica delle invenzioni di ingegneria genetica alla luce della proposta di direttiva CEE e dei GATT-TRIPs, in A. Vanzetti (a cura di), I nuovi brevetti, cit., p. 31. 31   A tal proposito va ricordato il caso che ha confermato la validità di un brevetto avente ad oggetto l’antigene dell’epatite B e ancora la decisione relativa alla brevettabilità di una invenzione consistente in un frammento di DNA capace di codificare una proteina umana. Decisione 8 dicembre 1994, in Off. Journ. Eur. Patent Office, 1995, p. 388; C. Campiglio, I brevetti biotecnologici nel diritto comunitario, cit. 30

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Direttiva 98/44/EC che ha deciso di descrivere, in maniera precisa e definitiva, l’oggetto delle invenzioni biotecnologiche brevettabili, in sostanza legittimando la prassi permissiva registratasi in seno all’EPO (European Patent Office)32. La persistente confusione in materia aveva un forte impatto negativo sull’innovazione biotecnologica del Continente nel confronto competitivo con le industrie statunitensi e giapponesi dove libertà e pluralismo hanno sempre garantito un importante sostegno economico accrescendo la possibilità di raggiungere più facilmente e rapidamente risultati scientifici apprezzabili33. Il diritto però, com’è noto in Europa, accusa un ritardo fisiologico e forse patologico nella regolamentazione degli avvenimenti sociali; i progressi compiuti in campo scientifico non trovano una risposta soddisfacente sul piano normativo e scienza e diritto inconfutabilmente viaggiano su binari distinti, a velocità molto diverse. Questo divario normativo accumulato nel settore delle biotecnologie dettato anche dalla scarsa vincolatività degli atti internazionali, dalla incapacità di incidere efficacemente negli ordinamenti giuridici nazionali e sopranazionali dettando una disciplina uniforme, rischiava di bloccare gli investimenti e di far perdere contatto con un mercato dalle enormi potenzialità economiche-occupazionali34. Da ciò la decisione di adottare per la tutela brevettuale alla ricerca biotecnologica un atto normativo (la Direttiva) e un istituto (il brevetto) che potessero garantire la tutela giuridica richiesta nel modo apparentemente più neutro e generale possibile. Il legislatore comunitario ha cercato, in positivo, di operare sul piano dei diritti nazionali dei singoli Stati membri, secondo la modalità tipica di una direttiva tesa ad armonizzare i Diritti interni,

 P. Rambelli, La direttiva europea, cit., p. 492.   Sul punto l’opinione di P. Drahos, Biotechnology Patents, cit., p. 445, che a tal proposito parla di patent mercantilism. 34   Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni La biotecnologia e le scienze della vita – Una strategia per l’Europa, presentata il 23 gennaio 2002, in Guce n. C 55 del 2 marzo 2002. 32 33

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ma anche, in negativo, a far rinunciare a perseguire la strada di una revisione dello strumento internazionale della CBE (European Patent Office)35. Il processo elaborativo della normativa comunitaria si è prolungato per un arco di tempo di dieci anni e i lavori hanno interessato molteplici proposte. Nel 1988 venne presentata una prima proposta36, la quale si limitava alla disciplina degli aspetti tecnico-giuridici, senza far cenno agli inevitabili connotati etici. E fu proprio l’assenza di regole di natura etica, in ordine in particolare alla brevettabilità di geni umani, a determinarne l’insuccesso e il repentino accantonamento37. I suoi ventuno considerando sono tutti incentrati, quasi a testimoniare l’inconfondibile matrice politica dell’atto, sulla necessità di procedere ad un ravvicinamento delle legislazioni nazionali in questo settore e di fornire una tutela, considerata d’importanza fondamentale per lo sviluppo industriale della Comunità38. Successivamente, nel 1992, la Commissione presentò un secondo disegno di direttiva39, recependo, però, solo alcuni degli emendamenti proposti dal Parlamento giudicando che, per lo più, le questioni etiche interessavano in maniera marginale un settore legislativo quale quello dei brevetti definito come «ethically neutral» in quanto «granting a patent is an event from which nothing follows

 M. Scuffi, La protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche: dalla Convenzione di Monaco sul brevetto europeo al disegno di legge delega italiano per il recepimento della Direttiva 98/44/CE, in Contratto e Impresa/Europa, 2003, pp. 296 ss.; M. Ricolfi, La brevettazione delle invenzioni, cit., in specie pp. 13 e 19 ss. 36   Proposta di direttiva del Consiglio COM (88)496 del 20.10.88. 37   Si vedano sul punto L. Zagato, La tutela giuridica delle invenzioni biotecnologiche; la direttiva 98/44 del 06 luglio 1998, in Riv. dir. agr., 1999, I, p. 425; N. Jones, Biotechnological Patents in Europe – Update on the Draft Directive, in E.I.P.R., 1992, p. 455; B.A. Brody, Intellectual Property and Biotechnology: The European Debate, in Kennedy Institute of Ethics Journal, 2007, 17, p. 69; G. Porter et al., The Patentability of Human Embryonic Stem Cells, in Nature Biotechnology, 2006, 26, pp. 653 ss. 38  L. Zagato, La tutela giuridica delle invenzioni biotecnologiche, cit., p. 430. 39   Proposta di Direttiva del Parlamento e del Consiglio COM (92)589 del 16.12.92. 35

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consequentially and inevitably in terms of human action. Therefore patenting cannot be classified as wrong, or even right, but can put into the category of the ethically neutral»40. Era assolutamente necessario inserire dei limiti espressi e specifici alla brevettabilità del vivente, non essendo considerati adeguati, in tal senso, i riferimenti esistenti alle nozioni generali di ordine pubblico e buon costume41. Nel 1995 fu presentata una terza proposta di direttiva, la quale42 puntò in modo particolare a potenziare gli aspetti morali e sociali per i quali la proposta precedente era stata ritenuta carente. Venne aggiunta, innanzitutto, una nuova serie di considerando al fine di affrontare espressamente la questione etica e si specificarono una serie di divieti di brevettazione, tra i quali quelli relativi al corpo umano e agli elementi di esso in quanto tali ovvero ai procedimenti di modificazione genica negli animali provocanti in essi inutili sofferenze nonché i metodi di terapia genica germinale sull’uomo, ossia i metodi che in futuro avrebbero potuto alterare i geni umani nel quadro di una fecondazione in vitro. Infine, solo nell’ottobre del 1997 la Commissione43 modificò la sua precedente proposta accogliendo sessantacinque dei sessantasei emendamenti proposti dal Parlamento. Quattro mesi dopo, il 26 febbraio 1998, il Consiglio emise, in pressoché totale sintonia con

  Così R.S. Crespi, Biotechnology Patenting: The Wicked Animal Must Defend Itself, in E.I.P.R., 1995, p. 435; Id., Biotechnology Patenting: The Saga Continues, cit., p. 379. Tale affermazione si fonda sulla distinzione tra norme che disciplinano l’attribuzione di un brevetto e norme «che regolano l’attuazione pratica delle scoperte e delle invenzioni, brevettate e non brevettate». A tal proposito G. Sena, L’importanza della protezione giuridica, cit., p. 75, il quale afferma come non si debba trascurare che «con una certa contraddizione logica, diverse norme in tema di brevettabilità prevedano limiti in relazione ad esigenze che possiamo indicare come etiche o politiche, esigenze che attengono tuttavia, come ho accennato, alla attuazione delle invenzioni piuttosto che alla loro brevettabilità». 41   B. Guidetti, La direttiva 98/44/CE sulle invenzioni biotecnologiche, in Contr. e impr., 1999, pp. 483 ss. 42   Proposta di direttiva del Parlamento e del Consiglio COM(95)661 del 25 gennaio 1996. 43   In Guce n. C 311 dell’11 ottobre 1997. 40

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la proposta della Commissione, la sua posizione comune44 e il Parlamento appose il suo sigillo il 12 maggio45. Le tormentate vicende della Direttiva sono proseguite anche successivamente alla sua adozione, essa infatti è stata fatta oggetto di un ricorso di annullamento dinanzi alla Corte di Giustizia da parte dei Paesi Bassi, che hanno ricevuto l’appoggio di Italia e Norvegia. Il ricorso è stato poi respinto con sentenza del 9 ottobre 2001, causa C-377/9846. Dopo dieci anni, la direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche era finalmente realtà47. Le scelte operate in seno alla Comunità Europea sono frutto della consapevolezza che: «dopo la tecnologia dell’informazione, le scienze della vita e le biotecnologie costituiscono la prossima fase dell’economia basata sulla conoscenza, con la creazione di nuove opportunità per le nostre società e le nostre economie […]. L’Europa si trova ad affrontare una scelta strategica di grande importanza. O accettare un ruolo passivo e sopportare le conseguenze dello   In Guce n. C 110 dell’8 aprile 1998.   In Guce n. C 167 del 1° giugno 1998. Si vedano Opinion of the European Parliament, July 16, 1997, OJ C 286, 22 settembre 1997, nonché OJ C 295, 7 ottobre 1996, 11; OJ C 296, 8 ottobre 1996, 4 OJ C 311, 11 ottobre 1997, 12. In Guce n. C 167 del 1° giugno 1998. 46   Sentenza del 9 ottobre 2001, causa C-377/98, Regno dei Paesi Bassi c. Parlamento Europeo e Consiglio dell’Unione Europea, Raccolta, I, p. 79. In argomento si rinvia a C. Campiglio, Brevetti biotecnologici, cit., pp. 187 ss.; F. Rossi Dal Pozzo, Biotecnologie, contenzioso comunitario e norme italiane, in Contratto impresa/Europa, 2003, pp. 280 ss. La Corte si è pronunciata anche in merito ad alcune delle procedure di infrazione avviate dalla Commissione avverso gli Stati membri per mancata attuazione della Direttiva 98/44 nel termine: vd. le sentenze del 1 luglio 2004, causa C-448/03, Commissione delle Comunità europee c. Repubblica francese, del 9 settembre 2004, causa C-450/03, Commissione delle Comunità europee c Granducato di Lussemburgo e causa C-454/03 Commissione delle Comunità europee c Regno del Belgio, del 16 giugno 2005 causa C-456/03 Commissione delle Comunità europee c. Repubblica Italiana, del 28 ottobre 2004, causa C-4/04 Commissione delle Comunità europee c. Repubblica d’Austria e causa C-5/04 Commissione delle Comunità europee c. Repubblica Federale di Germania. 47   Esplicativa fin dal titolo, in proposito, la posizione di R. Nott, «You Did It!»: The European Biotechnology Directive At Last, in European Intellectual Property Review, 1998, 20/9, pp. 347 ss. 44 45

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sviluppo altrove, oppure definire strategie proattive per sfruttarle in modo responsabile, coerente con i valori e gli standard europei. Più a lungo l’Europa esita, meno realistica diventa questa seconda opzione […]. L’Europa deve scegliere non se, ma come affrontare le sfide poste dalle nuove conoscenze e dalle relative applicazioni»48.

3. Il contenuto della Direttiva 98/44/CE La Direttiva 98/44/CE si inserisce in un contesto normativo internazionale ormai consolidato, quale quello del brevetto per invenzioni industriali49. In tal senso prosegue il percorso già intrapreso a livello europeo, si conferma la centralità dell’impianto internazionale della stessa direttiva, l’applicabilità delle regole generali sul brevetto europeo e internazionale lasciando intatta, cosi come indicato nel considerando n. 8, «il diritto nazionale in materia di brevetti” che “rimane il riferimento fondamentale per la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, […] adeguato o completato su taluni punti specifici, in conseguenza dei nuovi ritrovati tecnologici che utilizzano materiali biologici e che possiedono comunque i requisiti di brevettabilità». Precisa, infatti, il considerando n. 8 che «la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche non richiede la cre-

  Tale documento, la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle Regioni, La scienza della vita e la biotecnologia – una strategia per l’Europa, si trovano pubblicati in Guce, 2 marzo 2002, C 55. Restavano comunque profonde divergenze di opinione tra le istituzioni e l’opinione pubblica e l’iniziale opposizione alla proposta fu smussata in virtù dell’importanza commerciale dei ritrovati biotecnologici: R. Brownsword – W.R. Cornish – M. Llewelyn, Editors Comment: Human Genetics and the Law: Regulating a Revolution, in Modern Law Review, 1998, 61, pp. 593 ss. 49   P. Rambelli, La direttiva europea, cit., p. 498; B. Guidetti, La direttiva 98/44/CE, cit., pp. 482 ss.; R. Barzanti, La Direttiva Europea in materia biotecnologica, in M. Volpi (a cura di), Le biotecnologie: certezze e interrogativi, il Mulino, Bologna, 2001, p. 75; R. Gold – A. Gallochat, The European Biotech Directive: Past as Prologue, in European Law Journal, 2001, 7, pp. 332 ss. 48

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azione di un diritto specifico che si sostituisca al diritto nazionale in materia di brevetti». Questa dichiarazione, che potremo definire programmatica, non solo viene ribadita dal considerando n. 28 che ha modo di ripetere che «la presente Direttiva non incide minimamente sui fondamenti del diritto dei brevetti in vigore», ma si concretizza nell’art. 1, comma 1 ai sensi del quale: «Gli Stati membri proteggono le invenzioni biotecnologiche tramite il diritto nazionale dei brevetti. Essi, se necessario, adeguano il loro diritto nazionale dei brevetti per tener conto delle disposizioni della presente direttiva» e regolano autonomamente solo le questioni non disciplinate dalla direttiva stessa50. Non vi è dubbio, che la normativa abbia una portata effettivamente innovativa, grazie alla ratifica delle trasformazioni sostanziali di ampia portata già introdotte nella prassi brevettuale, contribuendo, così, al consolidarsi di un vero e proprio diritto delle biotecnologie51. Tali norme armonizzatrici tracciano il confine tra ciò che nell’ambito della materia organica, vivente e autoreplicante, può essere oggetto di esclusiva e ciò che, invece, costituisce patrimonio dell’umanità52.   Secondo S. Marchisio, Riflessioni sull’attuazione in Italia della Direttiva 98/44/CE, in V. Della Fina (a cura di), Discipline giuridiche dell’ingegneria genetica, Giuffrè, Milano, 2008, p. 99, sarebbe stato opportuno predisporre una legislazione che coprisse tutta la materia. D’altra parte, la Corte di Giustizia ha sottolineato che la disciplina della direttiva, benché limitata a una parte della materia brevettuale, per quella parte è esauriente e si sovrappone alle norme nazionali divergenti (sentenza del 16 luglio 2010 C-428/08 Monsanto Technology Llc c Cefetra BVe al, punti 51-63). Si ricava l’assunto che la disciplina nazionale può regolare autonomamente solo le questioni non disciplinate in quell’atto. 51   G. Morgese, L’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPs), Cacucci, Bari, 2009; G. Aglialoro, Il diritto delle biotecnologie, cit., p. 58. 52   B. Guidetti, La direttiva 98/44/CE, cit., p. 487; A. Falcone, La tutela del patrimonio genetico umano nel processo di individuazione e codificazione ‘costituzionale’ dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in M. Scudiero (a cura di), Il Trattato costituzionale nel processo di integrazione europea, Jovene, Napoli, 2005, pp. 1227 ss. 50

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Di qui l’adattamento dello schema tradizionale alle specificità dell’invenzione biotecnologica in linea con l’esigenza di riconoscere al titolare del brevetto una privativa non sproporzionata al contributo conoscitivo realmente apportato. La nozione di invenzioni biotecnologiche si ricava dal testo della Direttiva e comprende tutte quelle invenzioni aventi ad oggetto «un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene o un procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico»53, nonché quelle aventi ad oggetto «un procedimento microbiologico o altri procedimenti tecnici ovvero un prodotto ottenuto direttamente attraverso siffatti procedimenti»54. Sempre attribuendo molta importanza all’aspetto definitorio, la Direttiva 98/44/CE definisce i procedimenti microbiologici come «qualsiasi procedimento nel quale si utilizzi un materiale microbiologico, che comporta un intervento su materiale microbiologico o che produce un materiale microbiologico»55, il materiale biologico come «materiale contenente informazioni genetiche, auto­ riproducibile o capace di riprodursi in un sistema biologico»56 e il procedimento essenzialmente biologico come «un procedimento di produzione di vegetali o di animali quando consiste integralmente in fenomeni naturali quali l’incrocio o la selezione», cioè procedimenti che anche quando sono accompagnati dall’intervento dell’uomo consistono sostanzialmente in fenomeni naturali57.

  Art. 3 n. 1 Direttiva 98/44/CE. La Convenzione sulla diversità biologica stipulata a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 definisce la biotecnologia come «tutte le applicazioni tecnologiche che utilizzano sistemi biologici, organismi viventi o loro derivati, per realizzare o modificare prodotti o procedimenti a uso specifico». 54   Art. 4, n. 3 Direttiva 98/44/CE. 55   Art. 2, n. 1, lett. b) Direttiva 98/44/CE. 56   Art. 2, n. 1, lett. a) Direttiva 98/44/CE. 57   Art. 2, n. 2 Direttiva 98/44/CE. La definizione di varietà vegetale è invece ricavabile dall’art. 5 regolamento 2100/94, secondo cui per «varietà» si intende un «insieme di vegetali nell’ambito di un unico taxon botanico del più basso grado conosciuto, il quale, a prescindere dal fatto che siano o meno soddisfatte pienamente le condizioni per la concessione di un diritto di protezione delle nuove varietà vegetali, possa essere: – definito mediante l’espressione delle caratteristiche risultante da un dato genotipo o da una data combinazione di genotipi, – distinto 53

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Come affermato nel considerando 34, la direttiva 98/44/CE «non incide sulle nozioni di invenzione e di scoperta definite dal diritto dei brevetti, sia esso nazionale, europeo o internazionale». Proprio questa asserzione, del tutto insoddisfacente allorché si tratti di «valutare l’accesso al sistema brevettuale di un trovato tipologicamente nuovo»58, ha spinto il legislatore comunitario, sulla scorta del principio per cui «né il diritto nazionale né il diritto europeo dei brevetti impongono divieti o esclusioni di principio in ordine alla brevettabilità del materiale biologico»59, a dissipare qualunque dubbio relativo alla qualificazione giuridica di un trovato biotecnologico, introducendo due distinti espedienti relativi alle invenzioni aventi ad oggetto materiale biologico di origine non umana e l’altro invenzioni aventi ad oggetto materiale biologico di origine umana. Il primo viene dettato dall’art. 3, il quale, dopo aver distinto in base all’oggetto delle invenzioni biotecnologiche le invenzioni di prodotto (il materiale biologico) dalle invenzioni di procedimento (per produrre, lavorare o utilizzare tale materiale biologico), evidenzia al secondo comma che «un materiale biologico che viene isolato dal suo ambiente naturale o viene prodotto tramite un procedimento tecnico può essere oggetto di invenzione, anche se preesisteva allo stato naturale». Affermazione, questa, ripresa anche dal considerando n. 19, il quale, escludendo la rilevanza in sé della preesistenza del materiale biologico, rende brevettabili sia i nuovi trovati o procedimenti biologici, sia i materiali naturali preesistenti, purché isolati dall’uomo60. Il secondo accorgimento normativo riguardante questa volta le invenzioni aventi ad oggetto materiale di origine umana, introda qualsiasi altro insieme vegetale mediante l’espressione di almeno una delle suddette caratteristiche e – considerato come un’unità in relazione alla sua idoneità a moltiplicarsi invariato». Le nuove varietà vegetali vengono disciplinate a parte in quanto il regolamento 2100/94 crea un diritto di proprietà intellettuale distinto dal brevetto. 58  V. Di Cataldo, Le invenzioni. I modelli, Giuffrè, Milano, 1990, p. 30. 59   Considerando n. 15 Direttiva 98/44/CE. 60  L. Zagato, La tutela giuridica delle invenzioni biotecnologiche, cit., p. 434.

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dotto dal secondo comma dell’art. 5, stabilisce che «un elemento isolato del corpo umano, o diversamente prodotto mediante un procedimento tecnico, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, può costituire un’invenzione brevettabile, anche se la struttura di detto elemento è identica a quella di un elemento naturale», fermo restando che i diritti attribuiti dal brevetto non si estendono al corpo umano e ai suoi elementi nel loro ambiente naturale61 e che «tale elemento isolato dal corpo umano, o diversamente prodotto, non è escluso dalla brevettabilità perché, ad esempio, è il risultato di procedimenti tecnici che l’hanno identificato, purificato, caratterizzato e moltiplicato al di fuori del corpo umano; procedimenti tecnici che soltanto l’uomo è capace di mettere in atto e che la natura di per sé stessa non è in grado di compiere»62. In entrambi i casi vengono applicati e rispettati i tradizionali requisiti previsti per la brevettabilità delle invenzioni con riguardo agli organismi viventi tout court, legando, così, saldamente il siste  Directive 98/44/CE, cit., Art. 3.2: «Biological material which is isolated from its natural environment or produced by means of a technical process may be the subject of an invention even if it previously occurred in nature». Preamble (20): «Whereas, therefore, it should be made clear that an invention based on an element isolated from the human body or otherwise produced by means of a technical process, which is susceptible of industrial application, is not excluded from patentability, even where the structure of that element is identical to that of a natural element, given that the rights conferred by the patent do not extend to the human body and its elements in their natural environment»; G. Aglialoro, Il diritto delle biotecnologie, cit., p. 62. 62   Directive 98/44/CE, cit., Art. 3.2: Preamble (21): «Whereas such an element isolated from the human body or otherwise produced is not excluded from patentability since it is, for example, the result of technical processes used to identify, purify and classify it and to reproduce it outside the human body, techniques which human beings alone are capable of putting into practice and which nature is incapable of accomplishing by itself»; cfr. W. Zimmerli, cit. da R.S. Crespi, Bio­ technology Patenting: The Wicked Animal, cit., p. 432, il quale evidenzia come «every scientific discovery, if made technologically applicable, becomes an invention»; R. Gold – A. Gallochat, The European Biotech Directive, cit., p. 341: «[…] biological materials, as they exist in a natural state, are unpatentable. Once a technical process is applied to those materials to create something that nature is incapable of producing, however, that result is patentable». 61

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ma brevettuale alla materia biotecnologica63 per cui «l’applicazione industriale di una sequenza o di una sequenza parziale di un gene ovvero la sua utilità in termini tecnici»64 deve essere concretamente indicata nella richiesta di brevetto65. Peraltro, individuare la struttura molecolare di una sostanza non consente, di per sé, il rilascio del brevetto, non trattandosi di invenzioni ma di semplice scoperta, a meno che colui che ha scoperto la struttura molecolare non abbia individuato almeno una correlazione tra la struttura stessa e una sua funzione o uso. In assenza di tale legame viene naturalmente a mancare il requisito di suscettibilità di applicazione industriale. Si evidenzia così, con riguardo ai materiali biologici di origine umana, che il criterio distintivo tra la scoperta o invenzione, sta nel differente manifestarsi del rapporto tra attività dell’uomo e la materia vivente. In definitiva, si avrà invenzione, oggetto di eventuale brevetto, solo se l’intervento dell’uomo mediante un procedimento tecnico relativo a un elemento del corpo umano (non l’intero corpo umano), consente una funzione o un uso di tale elemento non precedentemente esistente trasforma tale elemento da scoperta a invenzione e quindi lo rende brevettabile66. Non costituiscono oggetto di brevetto, al contrario, le razze animali e le varietà vegetali contenute nella CBE, salvo che l’eseguibilità tecnica dell’invenzione non è limitata ad una sola varietà vegetale o razza animale (art. 4 par. 2 Direttiva 98/44/CE) ma sia trasversale67.  V. D’Antonio, Invenzioni biotecnologiche, cit., p. 84.  P. Rambelli, La direttiva europea, cit., p. 499. 65   V. D’Antonio, Invenzioni biotecnologiche, cit., p. 84; P. Rambelli, La direttiva europea, cit., p. 499. 66   R.S. Crespi, Biotechnology Patenting: The Wicked Animal, cit., p. 432: «the distinction between discovery and invention is difficult to define in any of the sciences of nature because the act of discovery so closely underpins the resultant practical application which constitutes the invention». 67   Si veda l’art. 4 par. 2 della Direttiva: «Le invenzioni che hanno quale oggetto piante o animali sono brevettabili se l’eseguibilità tecnica dell’invenzione non è limitata ad una determinata varietà vegetale o razza animale». Non sono brevettabili le stesse fattispecie facenti parte delle esclusioni già oggetto dei divieti dell’art. 53b) della Convenzione di Monaco dove la protezione delle varietà 63 64

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3.1. Corpo umano: genoma patrimonio dell’umanità La Dichiarazione Universale sul genoma umano approvata dal­ l’UNESCO l’11 novembre 1997 qualifica il genoma come patrimonio comune della umanità. Le ragioni di questa qualificazione vengono individuati nei paragrafi 42 e 43 del progetto della Dichiarazione lì dove si sottolineano quelli che sono gli obiettivi che la Dichiarazione si impegna a perseguire68. L’articolo 1 della Dichiarazione fornisce una definizione compiuta del rapporto tra la tutela della dignità ed il genoma umano e dichiara che «il genoma sottende l’unità fondamentale di tutti i membri della famiglia, come pure il riconoscimento della loro intrinseca dignità e della loro diversità. In senso simbolico esso è patrimonio dell’Umanità». Sulla base di questa asserzione fino a che punto può spingersi l’industria biotecnologica? L’esigenza di ricerca scientifica può arrivare a giustificare qualsiasi modificazione del materiale genetico? Come si proteggono i dati genetici delle generazioni future? Questi interrogativi hanno portato la comunità internazionale a adottare uno strumento giuridico in grado di preservare il genoma umano. La necessità di tutelare l’essere umano, sia come “persona” che come “appartenente alla specie umana”. Si deve riconoscere alla specie umana la titolarità di diritti genetici così da garantire la libertà genetica alle generazioni future che verrebbero, inevitabilmente, condizionate dagli interventi sul genoma umano.

vegetali è prevista mediante strumenti legali diversi dal brevetto per invenzione, quale in particolare la Convenzione UPOV ed il Regolamento CEE 2100/94 istitutivo di un brevetto comunitario per le varietà vegetali; P. Rambelli, La direttiva europea, cit., p. 498. 68   «Inscrivendo il genoma umano nel patrimonio comune dell’Umanità, la Dichiarazione intende anzitutto sottolineare il dovere che la comunità internazionale ha di assicurare la protezione della specie umana e dei suoi valori morali di fronte ai rischi potenziali della genetica. Si tratta di un imperativo etico capitale, poiché, al di là della dignità e dei diritti di ogni singolo individuo, è in gioco la dignità stessa del genere umano». Si veda G. Tarantino, Continuità della vita e responsabilità per procreazione, Giuffrè, Milano, 2011.

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Per il raggiungimento di questi obiettivi appariva assolutamente necessario ricondurre il genoma umano sotto la protezione di uno strumento giuridico ad hoc. L’articolo 1 della Dichiarazione universale sul genoma e l’articolo 4 par. 3 della Direttiva 98/44/CE hanno avuto il compito di impedire qualsiasi modificazione degli esseri umani contraria alla dignità umana69. Infatti, non costituiscono oggetto di brevetto «il corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo nonché la mera scoperta di uno dei suoi elementi, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene di cui non sia stata identificata una utilità concreta»70. L’espressione «corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo» ricomprende anche l’embrione, in conformità sia della posizione comune del Consiglio assunta il 26 febbraio 1998 in vista dell’adozione della direttiva 98/44/CE, sia dell’art. 4 della dichiarazione UNESCO sul genoma umano anche in ragione del fatto che il diritto dei brevetti deve essere esercitato nel rispetto dei principi fondamentali che garantiscono la dignità e l’integrità dell’uomo71. Secondo le linee operative e i principi di cui già si è detto, la Direttiva specifica che «una semplice sequenza di DNA, senza indicazione di una funzione, non contiene alcun insegnamento tecnico; […] essa non può costituire pertanto un’invenzione brevettabile»72 mentre «affinché sia rispettato il criterio dell’applicazione industriale, occorre precisare, in caso di sequenza parziale di un gene utilizzata per produrre una proteina o una proteina parziale, quale sia la proteina o proteina parziale prodotta o quale funzione essa assolva»73.

  S. Rodotà – P. Zatti, Trattato di biodiritto, II, Il governo del corpo, Giuffrè, Milano, 2011. 70  G. Morelli Gradi, La legittimità comunitaria, cit., p. 327; A. Bonfanti, La brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche legate al corpo umano e la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, in N. Boschiero (a cura di), Bioetica e biotecnologie nel diritto internazionale e comunitario: questioni generali e tutela della proprietà intellettuale, Giappichelli, Torino, 2006, pp. 199 ss. 71   Considerando n. 16 Direttiva 98/44/CE. 72   Considerando n. 23 Directive 98/44/CE. 73   Considerando n. 24 Directive 98/44/CE. 69

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Il sistema brevettuale, quindi, delineato consente l’imposizione di diritti di privativa su parti di genomi o intere sequenze genetiche appartenenti ad uno specifico organismo vivente, a condizione però che siano associati ad un procedimento biotecnologico, capace di isolarli e riprodurli a fini di sfruttamento industriale. Oltre a ciò, in sede di richiesta deve essere indicata una specifica applicazione. Ricapitolando, isolamento, riproduzione a fini industriali, indicazione di specifica applicazione non sono univoci come pure sono controversi gli standards di manipolazione per le invenzioni biologico-genetiche umane. «Capita, infatti, che i criteri naturalistici e giuridici nella qualificazione di ciò che è un ‘artefatto’ non arrivino a risultati univoci e spesso, infatti, il concetto di brevettabilità è stato usato come scorciatoia per presumere l’artificialità del nuovo prodotto, o per avallare la commerciabilità di un materiale umano assumendone, più che accertandone, l’avvenuta artificializzazione». Ma soprattutto, ciò che emerge è che «il valore della corporeità consiste nel suo contenuto informazionale, le cui potenzialità economiche vengono allocate a chi dimostri di possedere i mezzi di “controllo tecnologico” sull’informazione medesima, intendendo tale controllo come la possibilità di trasformare l’informazione in prodotto di mercato»74. Sono comunque non brevettabili, riprendendo, in tal senso, l’art. 27 comma 2 TRIPs, con una formulazione identica a quella dell’art. 53 a) della Convenzione di Monaco, le invenzioni il cui sfruttamento economico sia contrario all’ordine pubblico o al buon costume75.

74  M. Tallachini, La trappola e il topo: la brevettabilità del vivente, in A. A. Santosuosso – C.A. Redi – S. Garagna – M. Zuccotti (a cura di), Le tecniche della biologia e gli arnesi del diritto, Ibis, Como-Pavia, 2003, pp. 203 ss. 75   Le Guidelines for Examination in the European Patent Office pubblicate per la prima volta dall’EPO nel 1977 affermano che, ai fini dell’interpretazione dell’art. 53, lettera a) EPC, «(a fair test to apply is to consider whether it is probable that the public in general would regard the inventions as so abhorrent that the grant of patent rights would be inconceivable», Guidelines, 2010, Part, Chapter IV, 4; v. Direttiva 98/44/CE, Art. 6.1: «Sono escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale è contrario all’ordine pubblico o al buon costume; lo sfruttamento di un’invenzione non può di per sé essere considerato

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Appartengono a questa categoria i procedimenti di clonazione di esseri umani, i procedimenti di modificazione genica germinale di esseri umani, le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali e commerciali, i procedimenti di modificazione genica di animali provocanti loro sofferenze senza avere un’utilità medica sostanziale, nonché gli animali stessi derivanti da questi procedimenti. Questi divieti però operano solo a valle, in sede di rilascio di brevetto, ma non costringono gli Stati membri, in sede di recepimento della Direttiva, a porre a monte un divieto generale di svolgimento dell’attività di ricerca in questi settori. Il vincolo cioè, vale solo come indicazione interpretativa per gli uffici brevettuali nazionali e non individua di per sé un’area di illegalità della ricerca scientifica; non bisogna, infatti, dimenticare che «l’assenza di brevetto, in mancanza di altre norme, non impedisce, di per sé, né la ricerca, né l’attuazione delle invenzioni che ne derivano e è sempre difficile, se non impossibile, negare a priori l’utilità e il valore di una scoperta o invenzione»76. La variabilità dei criteri utilizzati nei diversi contesti nazionali (e anche al loro interno) hanno però impedito negli anni la formazione di indirizzi univoci in materia. 3.2. Natura e limiti delle invenzioni biotecnologiche Il capitolo secondo della Direttiva attiene, invece, all’ambito della protezione delle invenzioni biotecnologiche, della quale vengono definiti natura e limiti, e persegue la finalità di assicurare la libertà di circolazione dei prodotti biotecnologici brevettati mediante l’armonizzazione delle legislazioni dei singoli Stati membri. L’art. 8, nei suoi due paragrafi, si riallaccia alla tradizionale distinzione della disciplina dei brevetti tra invenzioni di prodotto e invenzioni di procedimento. Il primo comma prevede che il diritto

contrario all’ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto che è vietato da una disposizione legislativa o regolamentare». 76  G. Sena, L’importanza della protezione giuridica, cit., pp. 76 ss.

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di esclusiva connesso al brevetto di prodotto si estenda a tutti i materiali biologici da esso derivanti mediante riproduzione o moltiplicazione e dotati delle stesse proprietà. Mentre il secondo comma, relativo al brevetto di procedimento, allarga l’ambito di protezione a tutti i materiali biologici direttamente ottenuti tramite il procedimento medesimo e al materiale biologico con identiche caratteristiche derivato per riproduzione o moltiplicazione dal materiale direttamente ottenuto con il procedimento brevettato77. L’art. 8 trova completamento nell’art. 9, il quale precisa che «la protezione attribuita dal brevetto ad un prodotto contenente e consistente in un’informazione genetica si estende a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato e nel quale l’informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione». In altre parole, la tutela segue il gene brevettato ovunque si trovi, con la sola eccezione, specificata attraverso il richiamo all’art. 5, del corpo umano. Ne deriva che queste disposizioni sono rivolte a definire l’ambito di protezione di un brevetto avente per oggetto un materiale dotato della caratteristica della autoriproducibilità, peculiare delle invenzioni biotecnologiche. Il diritto di esclusiva viene riconosciuto a tutti i materiali biologici derivati tramite riproduzione o moltiplicazione dal materiale biologico brevettato e dotati delle stesse proprietà da esso derivati mediante riproduzione o moltiplicazione in forma identica o differenziata e dotati delle stesse proprietà ed aventi le sue identiche caratteristiche. Inoltre, «la protezione attribuita da un brevetto relativo ad un procedimento che consente di produrre un materiale biologico dotato, per effetto dell’invenzione, di determinate proprietà si estende al materiale biologico direttamente ottenuto da tale procedimento e a qualsiasi altro materiale biologico derivato dal materiale biologico direttamente ottenuto mediante riproduzione o moltiplicazione

 G. Morelli Gradi, La direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche e la normativa di recepimento nazionale, in Riv. dir. ind., 2006, 1, pp. 21 ss. 77

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in forma identica o differenziata e dotato delle stesse proprietà»78. Esclusa la brevettazione del corpo umano e dei suoi elementi, la protezione attribuita da un brevetto si estende al prodotto contenente o consistente in un’informazione genetica a qualsiasi materiale nel quale il prodotto è incorporato e nel quale l’informazione genetica è contenuta e svolge la sua funzione. Tale meccanismo consente, di fatto, la progressiva imposizione di diritti di privativa su un numero potenzialmente enorme di genomi naturali di origine animale e vegetale anche preesistenti allo stato naturale, privatizzati grazie all’inserimento della caratteristica genetica coperta da brevetto. Se quindi l’organismo animale o vegetale già esistente allo stato naturale non è di per sé brevettabile, lo stesso organismo, arricchito del gene coperto da brevetto, diventa a sua volta brevettabile79. Ciò che maggiormente produce un effetto di dissonanza con il concetto di invenzione è la probabilità che si possa brevettare un gene o un organismo a prescindere da qualsiasi intervento inventivo del bene stesso80. Nessuna differenza sostanziale esiste tra la sequenza naturale di un gene e la sua copia artificiale prodotta in laboratorio. L’assunto da cui parte la Direttiva è, quindi, errato perché nega l’interattività del materiale genetico in ogni genotipo e la potenziale varietà e variabilità delle informazioni codificate nei geni81. Infatti,

  Art. 8 Direttiva 44/98/CE.   Questa norma consente di superare il divieto di brevettabilità di interi organismi animali e vegetali previsto all’art. 4 della direttiva, ma originariamente fissato dalla Convenzione di Strasburgo del 27/11/1963 e già ribadito a livello comunitario (vd. Decisione della Divisione d’esame dell’Ufficio Brevetti Europeo 14/7/89, in ICC, n.6/84, 889). 80   Conformemente, R. Pavoni, Biodiversità e biotecnologie nel diritto internazionale e comunitario, Giuffrè, Milano, 2004, p. 82; A. Martín Urganda, La protección jurídica de las innovaciones biotecnológicas, Comares, Bilbao-Granada, 2003, pp. 140 ss.; V. Menesini, Le invenzioni biotecnologiche, cit., pp. 399 ss.; G. Grandoni, La nuova direttiva sugli organismi geneticamente modificati, in Riv. dir. agr., 2001, pp. 427 ss.; P.G. Ducor, Patenting the Recombinant Products of Biotechnologies, Kluwer, London, 1998, p. 139. 81   In tal senso J.P. Berlan, Brevetti. La legge del profitto contro la legge della vita, in C. Modonesi – S. Masini – I. Verga (a cura di), Il gene invadente Il gene 78

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non esiste differenza qualitativa fra la sequenza naturale di un gene e la sua copia artificiale ottenuta in laboratorio, né la mera scoperta dell’azione codificante di un gene integra di per sé un’invenzione. L’aver abbracciato, nella qualificazione del genoma e dei geni, una prospettiva di «riduzionismo epistemologico e genetico»82 è condizione necessaria per «definire un bene, delimitarlo ed attribuirgli un valore di mercato, un passaggio imprescindibile per fondare la legittimità di diritti di sfruttamento esclusivo della risorsa genetica che deve essere delimitata nella funzione e nella applicazione»83. Riconoscere giuridicamente il carattere multi codificante dei geni impedirebbe, al contrario, la legittimazione della richiesta del brevetto sulla sequenza genetica o sulla sua copia artificiale e, quindi, l’imposizione di diritti di privativa sul supporto biologico, oltre che sull’informazione genetica decodificata e sulla sua applicazione. In realtà l’equivoco di fondo fra scoperta e innovazione, che attraversa tutta la Direttiva 98/44/CE, mira a coprire proprio questa taciuta consapevolezza da parte delle aziende biotech che fortemente ne hanno voluto l’approvazione. Queste, ben consapevoli delle potenzialità di espressione di ogni singolo gene, tramite l’estensione del brevetto dall’applicazione industriale al materiale genetico da cui è tratta l’informazione, tendono a garantirsi pro-futuro lo sfruttamento di qualsiasi altra informazione genetica e sua potenziale applicazione che dovesse essere codifiinvadente. Riduzionismo, brevettabilità e governance dell’innovazione biotech, Baldini-Castoldi-Dalai, Milano, 2006 p. 207: «È necessario prendere atto che la direttiva europea si basa sull’esistenza di una “materia biologica” intesa come una “materia che contiene informazioni genetiche e che è autoriproducibile o riproducibile in un sistema biologico». 82   G. Tamino, Il riduzionismo biologico tra tecnica ed ideologia, in C. Modonesi – S. Masini – I. Verga (a cura di), Il gene invadente, cit., pp. 73 ss.; M. Eigen – P. Schuster, The Hypercycle, Springer, Berlin, 1979; H. Jonas, Creazioni dell’uomo, in Il Mulino, XXXVI/312, pp. 615-626; J. Monod, Il caso e la necessità, tr. it. di A. Busi, Mondadori, Milano, 1970, p. 234; W.E. Ritter, The Unity of the Organism, Badger, Boston, 1919, pp. 56 ss. 83  E. Gagliasso Luoni, Riduzionismo: il metodo e i valori, in C. Modonesi – S. Masini – I. Verga (a cura di), Il gene invadente, cit., p. 116.

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cata dal gene “privatizzato”, o nella cui espressione questo si trovi coinvolto. Un materiale biologico di per sé brevettato potrebbe, infatti, essere ottenuto attuando la lettura del relativo brevetto, una sola volta, in ambito prettamente sperimentale, ma una volta ottenuto, sulla base di un’attività che appare rivestire tutte le caratteristiche del lecito uso sperimentale, grazie alla sua riproducibilità, esso diviene una fonte inesauribile dell’invenzione brevettata. Ed è proprio in relazione a tale fattispecie e ai fini di una tutela del diritto dell’inventore viene estesa la protezione brevettuale ai derivati ottenibili dalla riproduzione o moltiplicazione del materiale biologico brevettato. Il titolare può opporsi all’esportazione del materiale da lui commercializzato o da questo derivato senza ulteriori moltiplicazioni, nel caso in cui l’esportazione sia diretta a Paesi che non proteggono il genere o la specie cui la varietà appartiene e il materiale in questione non sia destinato al consumo. Deve ritenersi che la possibilità di opporsi all’esportazione riguardi anche i casi in cui il Paese di destinazione del materiale della varietà non protegga affatto le varietà vegetali. 3.3. Privilegio dell’agricoltore o farmer exception Altra limitazione del diritto del costitutore o breeder exemption è la cd. esenzione agricola, che si ricollega ad un’antica usanza del mondo rurale e consiste nella possibilità per gli agricoltori di utilizzare parte del raccolto per successive semine nella propria azienda. Gli agricoltori possono usare «a fini di moltiplicazione, nelle loro aziende, il prodotto del raccolto che hanno ottenuto piantando, nelle loro aziende, materiale di moltiplicazione di una varietà diversa da un ibrido o da una varietà di sintesi che benefici della privativa comunitaria per ritrovati vegetali»84. Si giunge, cosi, alla

  L’art. 14 Regolamento (CE) n. 2605/98 della Commissione del 3 dicembre 1998 recante modifica del regolamento (CE) n. 1768/95 della Commissione che 84

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norma che introduce una importante eccezione alla tutela brevettuale di cui agli articoli 8 e 9 della Direttiva: il cosiddetto privilegio dell’agricoltore o farmer exception contemplata dalla Convenzione UPOV per le varietà vegetali. L’agricoltore, una volta che abbia legittimamente acquisito dal titolare del brevetto il materiale di riproduzione tutelato, è autorizzato a far uso di tale prodotto come materiale di riproduzione o moltiplicazione nella propria azienda; gli è consentito, cioè, di riutilizzare parte del raccolto ottenuto tramite il materiale biologico brevettato per seminare nuovamente in futuro. Tuttavia, tale privilegio opera soltanto con riferimento a quelle varietà vegetali che sono tutelate nel territorio europeo e appartenenti a un elenco ben preciso di piante tra cui quelle da foraggio, oleose, cerealicole85. Visto l’esiguo numero di specie protette, 23 specie, la dottrina si è espressa affermando che appare discutibile affermare che la Direttiva salvaguardi il privilegio dell’Agricoltore; infatti, se il repertorio della deroga ha ad oggetto le specie di maggior importanza alimentare, è pur sempre vero che mancano tutte le specie orticole, frutticole, medicinali e industriali. Pertanto, quella che prima era una regola generale è diventata una eccezione86. Questo privilegio, finora garantito dalla normativa e dalla prassi internazionale al solo agricoltore, viene esteso anche all’allevatore di prodotti zootecnici: nel momento in cui, infatti, quest’ultimo viene legittimamente in possesso, tramite vendita o altra forma di transazione commerciale intervenuta con il titolare del brevetto o con il suo consenso, di bestiame di allevamento o di altro materiale di riproduzione di origine animale, può utilizzarlo per uso agricolo. Questo significa che l’allevatore è implicitamente autorizzato a disporre dell’animale o di altro materiale di riproduzione di ori-

definisce le norme di attuazione dell’esenzione agricola prevista dall’articolo 14, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2100/94 del Consiglio concernente la privativa comunitaria per ritrovati vegetali. 85   Art. 14 Reg. Ce n. 2100/94 e art. 11 Direttiva CE 98/44. 86  T. Schiva, Brevetti OGM, http://www.siga.unina.it.

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gine animale per la prosecuzione della propria attività agricola, ma non può venderlo ai fini di una attività di riproduzione commerciale87. 3.4. Rinvio La direttiva non si occupa di altri profili riguardanti la disciplina del brevetto che viene lasciata alla regolamentazione interna o internazionale: intende solo ammettere la brevettabilità dei ritrovati tecnologici e individuarne l’ambito di protezione. Richiama ad ulteriore giustificazione del proprio intervento l’utilità della ricerca biotecnologica nella produzione di medicinali per sconfiggere malattie endemiche. Anche se si potrebbe pensare, per alcune risultati scientifici raggiunti, che l’effetto della Direttiva lungi dal tutelare i diritti economici di chi inventa qualcosa di utile per la società, potrà essere usata nel lungo periodo per impedire a chiunque non possegga il brevetto sui geni di una malattia, di arrivare all’invenzione vera e propria, cioè di mettere a punto la cura. Si spera che le industrie non creino un regime di oligopolio, con tutti i pericoli per il libero mercato e la salvaguardia dei consumatori. Si auspica che venga favorita la libertà e la trasparenza della ricerca scientifica, il pluralismo degli apporti scientifici, la diffusione delle conoscenze in materia e l’accessibilità al settore da parte di tutta a comunità scientifica. La situazione di fatto che sta emergendo nel mercato biotech pone un problema prioritario di tutela dei diritti fondamentali, davanti ai quali un uso distorto ed arrogante del diritto di proprietà non può né chiedere né trovare legittimazione e protezione giuridica prevalente88.

 V. D’Antonio, Invenzioni biotecnologiche e modelli giuridici, cit., p. 101.   S. Rodotà, Invenzioni biotecnologiche: diritti interessi in confitto, e M. Luciani, Esclusiva brevettuale e uso sociale delle nuove tecnologie, in C. Modonesi – S. Masini – I. Verga (a cura di), Il gene invadente, cit., risp. pp. 226 e 172. 87

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4. Il recepimento tardivo della Direttiva 98/44/CE in Italia A distanza di più di sette anni dall’adozione della Direttiva n. 98/44/CE concernente la protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche finalizzata ad armonizzare la normativa europea in materia, promuovere gli investimenti e favorire la libera circolazione dei brevetti biotech nel mercato unico, lo Stato italiano con decreto legge 10 gennaio 2006 n. 3, convertito con legge 22 febbraio 2006 n. 78 ha recepito la Direttiva 98/44/CE. La legge italiana di trasposizione è intervenuta con alcune limitazioni rispetto alla normativa comunitaria. L’atteggiamento italiano nei confronti delle biotecnologie avanzate e della possibilità di tutelarne le invenzioni attraverso l’adozione dello strumento brevettuale, è stato, storicamente, di estrema diffidenza89. Nel corso dei lavori preparatori della Direttiva n. 98/44, la persistenza di numerose perplessità aveva condotto il nostro Paese a chiedere delle moratorie allo scopo di approfondire le implicazioni etiche, economiche e scientifiche delle biotecnologie e il mancato accoglimento dell’istanza aveva causato l’astensione dell’Italia nel raggiungimento della posizione comune del Consiglio del 26 febbraio 1998. Nello stesso ordine di idee si colloca l’adesione dell’Italia al ricorso presentato dai Paesi Bassi contro la Direttiva; a questo proposito, la Corte di giustizia ha prima negato la sospensione in via d’urgenza dell’esecuzione della direttiva con ordinanza 25 luglio 2000 e poi ha rigettato il ricorso con sentenza 9 ottobre 2001. In seguito al deposito della sentenza della Corte di giustizia, la Commissione CE avviò la procedura di infrazione ai sensi dell’art. 226 del Trattato CE contro gli Stati membri che non avevano attuato la direttiva90.

89   A. Palmieri, Brevetto e biotecnologie: ritardo incolmabile o rincorsa affannosa?, in Foro ital., 2006, IV, pp. 390 ss. 90   Per un esame più accurato del giudizio della Corte di Giustizia della Comunità Europea Case C-456/03, http:europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/ en/oj/2005/c_2005/c_217/c_21720050903en00140014.pdf.

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Il significato e il valore reale che può essere attribuito al ritardo nel recepimento della Direttiva è il segno di un dissenso esplicito che riguarda i contenuti. La ricezione della Direttiva, di contro, può avere un significato politico importante, quale indicatore della volontà del nostro Paese di tenersi agganciato all’Europa su un tema così delicato, manifestando, al contempo, l’intenzione degli Stati membri di superare il tempo del dibattito sull’opportunità di una disciplina dei brevetti per le invenzioni biotecnologiche, per avviare una più feconda riflessione sulle norme ad esse relative, valutandone l’adeguatezza e le modalità interpretative91. La legge n. 78/2006 detta una disciplina giuridica indirizzata a tutte le invenzioni maturate nei vari settori della scienza, senza particolari differenziazioni e anche dal punto di vista definitorio appare alquanto lacunosa. La legge Italiana stessa si rifà a diverse convenzioni internazionali: alla CBE – Convenzione di Monaco sul brevetto europeo: alla Convenzione di Rio de Janeiro sulla diversità biologica del 199292, tenendo conto in particolare del principio dell’uso sostenibile delle risorse genetiche e dell’equa distribuzione dei benefici derivanti dallo sfruttamento delle medesime; alla Convenzione di Oviedo per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina sottoscritta il 04 aprile 199793 ed al suo Protocollo addizionale sul divieto di clonazione di esseri umani sottoscritto a Parigi il 12 gennaio 1998; 91  V. Di Cataldo, La protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, in Le nuove leggi civ. comm., 2008, p. 359. 92  CBD Convention on Biological Diversity negoziata in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, Convenzione ratificata da 193 Nazioni, e recepita in Italia il 14 febbraio 1994 con legge n. 124. 93   È ormai nota in Italia la questiona relativa al mancato completamento del procedimento per la ratifica di tale convenzione in Italia, sul punto S. Penasa, Alla ricerca dell’anello mancante: il deposito dello strumento di ratifica della Convezione di Oviedo, in Foro di Quaderni Costituzionali, reperibile sul sito: http://www. forumcostituzionale.it/site/images/stories/pdf/documentiforum /paper0007_penasa.pdf.

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e infine all’Accordo TRIPS sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio adottato a Marrakech il 15 aprile 199494. Le uniche definizioni presenti nel dettato normativo sono quelle previste dall’articolo 2 e riguardano: a) il materiale biologico, inteso come un materiale contenente informazioni genetiche, auto riproducibile o capace di riprodursi in un sistema biologico; b) il procedimento microbiologico, indicato come qualsiasi procedimento nel quale si utilizzi un materiale microbiologico che comporta un intervento su materiale microbiologico e che produce un materiale microbiologico. L’articolo in questione aggiunge che «un procedimento di produzione animale o di vegetali è essenzialmente biologico quando consiste integralmente in fenomeni naturali quali l’incrocio o la selezione». In merito alla definizione di varietà vegetale la legge richiama in toto la definizione di cui all’articolo 5 del regolamento CE n. 2100/94 del 27 luglio 1994. La legge n. 78/2006 si caratterizza per una particolare snellezza in quanto riporta sostanzialmente il dettato normativo della Direttiva 98/44 CE fornendo per la prima volta nel nostro ordinamento una espressa disciplina su ciò che è brevettabile così come indicato all’interno della tradizionale tripartizione che viene fatta nel diritto nazionale dei brevetti tra invenzioni di prodotto, di procedimento e di uso95; ciò che è soggetto a licenza obbligatoria (art. 6); l’ambito della tutela dei brevetti (art. 8); le modalità di deposito, accesso e di nuovo deposito di materiale biologico (art. 10). In virtù di questa legge, anche il nostro ordinamento ora ammette espressamente la brevettabilità, purché abbiano i requisiti di novità, originalità e applicazione industriale: a) di materiale biologico isolato dal suo ambiente naturale o prodotto tramite un pro94   Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights – Accordo relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, ratificato in Italia con legge 29 dicembre 1994 n. 747. 95  G. Guglielmetti, La protezione giuridica, cit., p. 370.

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cedimento tecnico, anche se preesistente allo stato naturale; b) dei procedimenti tecnici attraverso i quali viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico, anche se preesistente allo stato naturale; c) di qualsiasi applicazione nuova di un materiale biologico o di un procedimento tecnico già brevettato; d) di invenzioni relative a parti isolate del corpo umano o diversamente prodotte mediante procedimento tecnico, anche se la sua struttura è identica a quella di un elemento naturale, a condizione che la sua funzione e applicazione industriale siano concretamente indicate, descritte e rivendicate96; e) di invenzioni riguardanti piante o animali o un insieme vegetale, caratterizzate dall’espressione di un determinato gene e non dal suo intero genoma, se la loro applicazione non è limitata dal punto di vista tecnico all’ottenimento di una determinata varietà vegetale o specie animale e non siano impiegati, per il loro ottenimento, soltanto procedimenti essenzialmente biologici, secondo le modalità previste dalla legge. In termini oppositivi non sono brevettabili: a) le varietà vegetali e le razze animali nonché i procedimenti essenzialmente biologici di produzione di animali e vegetali97; b) le nuove varietà vegetali rispetto alle quali l’invenzione consista esclusivamente nella modifica genetica di altra varietà vegetale, anche se detta modifica è frutto di un procedimento di ingegneria genetica; c) i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale e

  Per tutti questi profili C.C. Carpenter, Seeds of Doubt: The European Court of Justice’s Decision in Monsanto v. Cefetra and the Effect on European Biotechnology Patent Law, in The International Lawyer, 2010, pp. 1195 ss. Le «rivendicazioni» sono uno degli elementi essenziali della domanda di brevetto in quanto indicano cosa si vuol proteggere con la privativa, e sono divise in due parti: la prima (c.d. parte generale o stato dell’arte) comprende l’indicazione di tutto ciò che è reso disponibile al pubblico alla data della presentazione della domanda; la seconda (c.d. parte caratterizzante) contiene invece gli elementi innovativi dell’invenzione di cui si richiede il brevetto. Elemento diverso è invece la «descrizione», che rappresenta la parte tecnica della domanda di brevetto e deve essere redatta in modo da permettere la realizzazione dell’invenzione: in specie, si compone del campo tecnico, dello stato della tecnica, del problema tecnico, della sua soluzione e di eventuali esempi applicativi. 97  G. Guglielmetti, La protezione giuridica, cit., p. 391. 96

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i metodi di diagnosi applicati al corpo umano o animale, che il Codice di proprietà industriale già prevede all’art. 45 comma 4; d) le invenzioni «il cui sfruttamento commerciale sia contrario alla dignità umana, all’ordine pubblico e al buon costume, nonché alla tutela della salute, dell’ambiente e della vita delle persone e degli animali, alla preservazione dei vegetali e della biodiversità e alla prevenzione di gravi danni ambientali»98. Scopo del divieto è, quindi, quello di impedire che sorga un turbamento sociale in relazione a soluzioni tecniche il cui sfruttamento commerciale si porrebbe in conflitto con principi fondamentali dell’ordinamento giuridico99. Il divieto di brevettazione viene esteso oltre che al corpo umano nel suo complesso, alla mera scoperta di singoli elementi del corpo umano, ivi compresi i geni e le sequenze parziali di geni; realtà che divengono, invece, brevettabili quando di esse sia indicata un’applicazione industriale100.

  Art. 4 lett. C) Legge 78/2006.  U. Schatz, in IIC 98, 2, 6, in L.C. Ubertazzi (a cura di), Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, cit., p. 1376; L.C. Ubertazzi, Legge 22 febbraio 2006 n. 78 – Attuazione della direttiva CE 98/44 in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, ivi, p. 1387. 100   T. Sampson, Rewriting the Genetic Code: The Impact of Novek Nucleotides on Biotechnology Patents, in European Intellectual Property Review, 2002, p. 409; A.W. Torrance, Gene Concepts, Gene Patents, in Minnesota Journal of Law, Science & Technology, 2010, p. 157; G. Guglielmetti, La protezione giuridica, cit., p. 398. Con riferimento alle sequenze parziali di geni cfr. A. Oser, Patenting (Partial) Gene Sequence Taking Particular Account of the Est Issue, in International Review of Intellectual Property and Competition Law, 1999, pp. 1 ss.; M.J. Howlett – A.F. Christie, An Analysis of the Approach of the European, Japanese and United States Patent Offices to Patenting Partial DNA Sequences (ESTs), in International Review of Industrial Property and Copyright, 2003, 34, pp. 581 ss. Per un confronto tra la disciplina giuridica sull’argomento dell’Unione e quella degli altri ordinamenti cfr. L.G. Restaino – E. Halpern – E.L. Tang, Patenting DNA Related Inventions in the European Union, United States and Japan: A Trilaeral Approach or a Study in Contrast, in UCLA Journal of Law and Technology, 2003 (reperibile online); E. Brian, Gene Protection: How Much is Too Much? Comparing the Scope of Patent Protection for Gene Sequences between the United States and Germany, in Journal of High Technology Law, 2009, p. 5; S. Ratcliffe, The Ethics of Genetic Patenting and the Subsequent Implications on the Future of Health Care, in Touro Law Review, 2011, p. 435. 98 99

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Proprio con riferimento a ciò che è brevettabile, dobbiamo evidenziare il maggior rigore adottato dal legislatore italiano e una delle maggiori novità rispetto alla disciplina dettata dalla Direttiva 98/44/CE. Infatti, mentre l’esclusione della brevettabilità degli embrioni umani nella Direttiva è limitata a fini industriali o commerciali, nella legge italiana la non brevettabilità è assoluta e include ogni utilizzazione di embrione umano comprese le linee cellulari staminali embrionali umane. Questa esclusione si ricollega a quanto previsto all’art. 13 della Legge 19 febbraio n. 40 (Norme sulla procreazione medicalmente assistita) il quale stabilisce che «è vietata qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano» e che «la ricerca clinica e sperimentale di ciascun embrione è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche ad essa collegate volte alla tutela ad allo sviluppo dell’embrione stesso, e qualora non siano disponibili metodologie alternative». Bisogna rilevare tuttavia che l’esclusione non comporta direttamente la negazione di qualsiasi forma di ricerca sulle linee stesse. Infatti, la formula generale è integrata con una elencazione – non tassativa – di ipotesi specifiche (procedimenti di clonazione umana101, procedimenti di modificazione dell’identità genetica germinale dell’essere umano102, utilizzazioni di embrioni umani, incluse

  La clonazione umana, o comunque di un organismo, va intesa come la produzione di uno o più organismi con lo stesso corredo genetico del donatore, attuata con meccanismi partenogenetici e non di riproduzione sessuale: O. Capasso – C. Galli, La riforma del codice della proprietà industriale. Commentario, a cura di C. Galli, in Nuove leggi civ. comm., 2011, sub art. 81 bis, p. 934. Qui parliamo del divieto di brevettazione dei procedimenti di clonazione; ma la clonazione, sia riproduttiva che terapeutica, è vietata anche come intervento ai sensi degli artt. 12, co. 7, e 13, co. 3, lett. c), della legge n. 40/2004 (recante norme in materia di procreazione medicalmente assistita), ove è punita con sanzioni penali. 102   Questi, da intendersi come i procedimenti che intervengono sulle cellule germinali (ovulo e spermatozoo) con modifiche genetiche che darebbero luogo a soggetti umani geneticamente modificati: O. Capasso – C. Galli, La riforma del codice della proprietà industriale, cit., sub art. 81 bis, p. 934, anche per ulteriori precisazioni di carattere tecnico su tali interventi, e per i nessi con il delicato 101

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le linee di cellule staminali embrionali umane, protocolli di screening genetico). 4.1. Ruolo che il consenso informato della persona da cui il campione è attinto è chiamato a svolgere Una ulteriore novità riguarda il procedimento di brevetto delle invenzioni biotecnologiche. L’art. 5 prevede infatti che la «domanda di brevetto relativa a una invenzione che ha per oggetto o utilizza materiale biologico di origine umana deve essere corredata da espresso consenso, libero e informato dell’avente diritto a tale prelievo e utilizzazione, della persona da cui è stato prelevato tale materiale, in base alla normativa vigente»103, consenso non necessario, invece, per i materiali biologici di origine vegetale e animale104. L’obbligo di corredare la domanda brevettale con il consenso informato rende più trasparenti i processi d’uso e di sfruttamento commerciale e permette al paziente di acquisire la consapevolezza che le sue informazioni genetiche possano divenire oggetto di brevetto. La norma non chiarisce però quali siano le conseguenze giuridiche in caso di assenza del consenso o quando il materiale è stato prelevato da cadavere o da banche di organi. La questione potrebbe essere risolta senza far ricorso allo schema proprietario. In queste ipotesi, infatti, emerge un fondamentale interesse “identitario” del soggetto, quello all’autodeterminazione, in funzione del quale potrebbe riconoscersi un diritto al risarcimento del danno non patrimoniale subito dal soggetto, per violazione appunto di diritti fondamentali costituzionalmente tutelati. tema delle terapie geniche. Vedi inoltre le Disposizioni di cui al comma 6 della Legge 78/2006 e di cui ai decreti legislativi 12 aprile 2001 n. 206 e luglio 2003 n. 224. Nel caso in cui la richiesta di brevetto riguardi l’utilizzo o la modifica delle identità genetiche di varietà italiane autoctone e da conservazione si veda il decreto legislativo 24 aprile 2001 n. 212 e il regolamento di cui al Presidente della Repubblica 09 maggio 2001 n. 322. 103   Legge n. 78 del 2006, art. 5 comma 3. 104  F. Leonini, La protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, in Le nuove leggi civ. comm., 2008, 2/3, p. 418.

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Diversa e complessa è, invece, l’ipotesi in cui il materiale biologico sia utilizzato nel campo della ricerca biomedica, dove non si pone più un problema di tutela dell’integrità fisica. Il materiale biologico si evidenzia principalmente nella sua dimensione informazionale ed entra in gioco il profilo dell’alienazione, della circolazione e della sua utilizzazione, il che impone la necessità di risolvere i reali conflitti che possono verificarsi tra il soggetto fonte e la comunità scientifica. A parere di chi scrive, al fine di superare questa bipartizione, è corretto il richiamo alla nozione beni comuni105, che ha scardinato la tradizionale dicotomia pubblico/privato ed ha spostato il baricentro del paradigma proprietario tradizionale dal soggetto possessore alla funzione che le res debbono svolgere nella società106. Si è in tal modo scisso il rapporto tra soggetto ed oggetto del diritto e per questo sembra, in tal senso, potersi perfettamente applicare alla res in questione, posto che – pur riconoscendone la sua intrinseca disomogeneità – gli elementi che essenzialmente la connotano sono qui tutti riscontrabili. Ci si riferisce, anzitutto, all’attitudine propria del bene al soddisfacimento di interessi essenziali per la collettività e all’attuazione di diritti fondamentali, individuabili, nel nostro caso, nel progresso della ricerca scientifica per la tutela del diritto fondamentale alla salute. Ci si riferisce, altresì, al fatto che i commons debbano considerarsi beni di tutti e di nessuno, nel senso di essere risorse accessibili a tutti   L’ampia analisi di G. Resta, La privatizzazione della conoscenza e la promessa dei beni comuni: riflessioni sul caso Myriad Genetics, in Riv. crit. dir. priv., 2011, pp. 281 ss. 106   S. Rodotà, Il valore dei beni comuni, in La Repubblica, 5 gennaio 2012, articolo reperibile on-line al link: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/01/05/il-valore-deibeni comuni.html, ha peraltro sottolineato in generale, con riguardo alla questione dei beni comuni che «non siamo di fronte ad una questione marginale o settoriale, ma ad una diversa idea della politica e delle sue forme, capace non solo di dare voce alle persone, ma di costruire soggettività politiche, di redistribuire poteri. È un tema ‘costituzionale’, almeno per tutti quelli che, volgendo lo sguardo sul mondo, colgono l’insostenibilità crescente degli assetti ciecamente affidati alla legge ‘naturale’ dei mercati». 105

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e su cui nessuno può esercitare lo ius excludendi alios107: nel caso di specie, tale peculiarità può rinvenirsi in senso ampio nella più volte sottolineata necessità di dover contemperare i diritti dei donatori, ovvero la privacy, l’autodeterminazione, il rispetto del consenso informato, la volontà di partecipare ai progetti di ricerca da un lato, con la necessità di assicurare ai ricercatori e alle istituzioni interessate lo scambio e la libera accessibilità a materiali e dati, dall’altro. 4.2. Licenze obbligatorie Altra peculiarità della legge 78/2006 riguarda le procedure per ottenere i brevetti. È stato previsto per esempio l’obbligo di indicare il Paese di origine dell’animale o vegetale dal quale è stato isolato il materiale biologico che è alla base dell’invenzione, pur precisando che tale dichiarazione ha il fine di consentire di «accertare il rispetto della legislazione in materia di importazione e di esportazione […] se un’invenzione ha per oggetto materiale biologico vegetale o animale o lo utilizza»108. Con riferimento alle licenze obbligatorie e conformemente al dettato della Direttiva 98/44/CE la Legge 78/2006 dopo aver individuato l’autorità competente per la relativa concessione109, l’Ufficio   Una definizione di “bene comune”, nel nostro ordinamento, era stata proposta dalla Commissione Rodotà, incaricata nel 2008 dal Governo di redigere uno schema di disegno di legge delega per la riforma delle norme del codice civile sui beni pubblici. Essa distinguendo i beni in pubblici, privati e comuni, definiva questi ultimi: «cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona. I beni comuni devono essere tutelati e salvaguardati dall’ordinamento giuridico, anche a beneficio delle generazioni future. Titolari di beni comuni possono essere persone giuridiche pubbliche o privati. In ogni caso deve essere garantita la loro fruizione collettiva, nei limiti e secondo le modalità fissati dalla legge. Quando i titolari sono persone giuridiche pubbliche i beni comuni sono gestiti da soggetti pubblici e sono collocati fuori commercio». 108   Considerando n. 27 della Direttiva CE 98/44 (155); F. Leonini, La protezione giuridica, cit., p. 415. 109   La licenza obbligatoria, limitando la sfera dei poteri del titolare del brevetto, è considerata come uno strumento di repressione dei possibili abusi del titolare del brevetto. Nell’ordinamento italiano la licenza obbligatoria è prevista 107

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Italiano Brevetti e Marchi (UIBM)110 stabilisce che il rilascio delle licenze obbligatorie è subordinato alla dimostrazione da parte del richiedente di essersi rivolti invano al titolare del diritto anteriore per ottenere la stipula di un contratto di licenza, senza, cioè, essere riusciti a concludere il contratto di licenza volontaria; in secondo luogo sarà necessario che il trovato, per il cui sfruttamento si chiede la licenza, costituisca un progresso tecnico significativo di notevole interesse economico, rispetto al trovato coperto dalla privativa anteriore. Pertanto, la licenza obbligatoria è sempre licenza non esclusiva ed il titolare del brevetto potrà concedere volontariamente anche ad altri terzi l’uso del brevetto medesimo, ma se ciò avviene a condizioni più vantaggiose di quelle di cui gode il titolare della licenza obbligatoria, questi può chiedere a suo favore l’estensione. Verrà rilasciata una licenza obbligatoria a favore del costitutore, per lo sfruttamento non esclusivo dell’invenzione protetta dal brevetto qualora tale licenza sia necessaria allo sfruttamento di un varietà vegetale. Gli stessi diritti verranno riconosciuti, dallo stesso art. 12 della Direttiva 98/44/CE, al titolare di un brevetto di un’invenzione biotecnologica nell’ipotesi in cui questi non possa sfruttarla senza violare una privativa precedente sui ritrovati vegetali. Il comma 2 del medesimo articolo considera l’ipotesi inversa, cioè il caso in cui il titolare del brevetto di un’invenzione biotecno-

in due diverse ipotesi: a) mancata o insufficiente attuazione dell’invenzione (art. 70 c.p.i); b) invenzioni dipendenti. L’art. 71 c.p.i. prevede una seconda ipotesi di licenza obbligatoria che ricorre quando il titolare del brevetto rifiuti di dare in licenza a condizioni eque l’invenzione a chi è titolare di un successivo brevetto dipendente, ossia un brevetto la cui attuazione richiede necessariamente l’utilizzo, in tutto o in parte, della precedente invenzione brevettata. Il diritto ad ottenere una licenza obbligatoria sussiste, però, solo quando la seconda invenzione costituisce, rispetto alla precedente un importante progresso tecnico di considerevole rilevanza economica. Sul punto G. Sena, Esclusiva brevettuale e licenza obbligatoria, in www. ordineavvocatimilano.it; V. Di Cataldo, I brevetti per invenzione e modello, in Comm. Schlesinger, II ed., Giuffrè, Milano, 2000. 110   La procedura amministrativa di rilascio della licenza obbligatoria si svolge presso l’U.I.B.M. e si conclude con un decreto del Ministero dello Sviluppo Economico, che determina le condizioni della licenza.

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logica non possa sfruttarla senza violare una precedente privativa sui ritrovati vegetali. 4.3. Estensione della tutela Prima del varo della Direttiva, infatti, era controverso se la propagazione del materiale biologico dovesse ritenersi un atto di produzione o un atto di utilizzazione del prodotto brevettato, e quindi se essa fosse coperta o meno dall’esaurimento dell’esclusiva. La disciplina europea ha risolto la questione ermeneutica a favore del titolare del brevetto e il legislatore italiano, attuando gli articoli 8 e 9 dell’atto comunitario, all’art. 8 della L. 78/2006 ha regolamentato due diversi aspetti della privativa. In primis, definisce l’ambito di protezione conferito dalle rivendicazioni di prodotto e di processo. In secondo luogo, adatta il principio di esaurimento, previsto dall’art. 5, 1 comma, c.p.i.111, alle peculiarità del materiale biologico e all’insita capacità di quest’ultimo di replicarsi ed autoriprodursi. Scopo della norma è da una parte quello di «vietare l’utilizzazione del materiale autoriproducibile brevettato in circostanze analoghe a quelle in cui l’utilizzazione di prodotti brevettati non autoriproducibili potrebbe essere vietata, ossia la riproduzione del brevetto stesso» (Considerando n. 46 Direttiva 98/44)112 e dall’altra proteggere ogni materiale direttamente ottenuto da tale procedimento e qualsiasi altro materiale derivato dal materiale biologico direttamente ottenuto, purché dotato delle medesime proprietà113. La protezione conferita dalla norma è subordinata a tre requisiti, innanzitutto la privativa deve riguardare materiale biologico,   «Le facoltà esclusive attribuite dal presente codice al titolare di un diritto di proprietà industriale si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello Spazio economico europeo». 112  L.C. Ubertazzi, Legge 22 febbraio 2006 n. 78, cit., p. 1391. 113  T. Faelli, La protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, in Le nuove leggi civ. comm., 2008, pp. 436 ss. 111

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nel senso previsto nel senso previsto dall’art. 2 comma 1° lett. a) l. 78/2006. Il prodotto derivato deve, inoltre, presentare le medesime proprietà di quello brevettato, vale a dire le stesse caratteristiche tecniche che hanno giustificato il rilascio della privativa. Infine, il predetto materiale deve essere stato ottenuto dall’oggetto rivendicato mediante riproduzione o moltiplicazione. I due termini comprendono sia la riproduzione sessuata, la quale implica la combinazione di gameti appartenenti a sessi diversi, sia quella vegetativa, in cui un nuovo individuo è prodotto attraverso la divisione mitotica di una cellula madre114. Nonostante l’estensione verticale della tutela che la norma opera a favore del titolare di un brevetto di prodotto, il suo significato pratico non deve essere enfatizzato. Di regola, infatti, le domande di brevetto contengono una serie di rivendicazioni indipendenti rivolte ai derivati del materiale biologico cui l’invenzione si riferisce (ad es. nel caso di un trovato consistente nella modifica di cellule vegetali, la richiesta comprende di norma anche rivendicazioni rivolte alle piante contenenti la cellula modificata secondo l’insegnamento tecnico brevettato). Il comma successivo disciplina la tutela conferita da una rivendicazione di processo, quando essa abbia per oggetto un metodo per la produzione di sostanze biologiche. La protezione comprende ogni materiale direttamente ottenuto da tale procedimento e qualsiasi altro materiale derivato dal materiale biologico direttamente ottenuto, purché dotato delle medesime proprietà. Come nel caso dell’art. 64, 2 comma, CBE, il titolare del diritto beneficerà della protezione accordata dalla norma anche quando il materiale derivato non sia brevettabile. La tutela conferita dal comma 2 sarà esclusa quando il prodotto risultante dal proce-

114   Ne consegue che se l’esclusiva ha per oggetto una linea cellulare pluripotente, essa si estenderà ad ogni cellula derivata che abbia la stessa potenzialità di differenziazione (mentre non riguarderà cellule già determinate, benché prodotte attraverso la linea cellulare brevettata).

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dimento rivendicato non costituisca materiale biologico nel senso richiesto dall’art. 2 comma 1° lett. a) l. 78/2006. Di conseguenza la tutela attribuita da una rivendicazione rivolta alla modifica di una pianta di soia mediante l’inserzione di una sequenza esogena suscettibile di conferire alla medesima resistenza contro un erbicida potrà comprendere, come prodotto direttamente ottenuto, il vegetale geneticamente modificato. Essa non potrà invece mai estendersi alla farina o ad un altro prodotto alimentare ricavato dalla soia geneticamente modificata. La legge detta infine una regola specifica per le rivendicazioni riguardanti sequenze geniche; in tal caso la protezione sarà estesa ad ogni materiale biologico in cui l’acido nucleico protetto dal brevetto sia incorporato e svolga la sua funzione. L’ultimo comma detta, infine, una regola specifica per le rivendicazioni riguardanti sequenze geniche; in tal caso la protezione sarà estesa ad ogni materiale biologico in cui l’acido nucleico protetto dal brevetto sia incorporato e svolga la sua funzione. 4.4. Un non senso giuridico Ulteriori disposizioni riguardano la nullità degli atti giuridici e le operazioni negoziali compiute in violazione dei divieti previsti dalla legge n. 78 del 2006 (art.7)115. L’articolo, statuendo che «gli atti giu-

  Questa norma è stata critica dalla dottrina italiana per la sua ambiguità: secondo alcuni questa norma disponeva che la violazione di qualsiasi disposizione della legge in commento avrebbe comportato la nullità del brevetto: G. Floridia, Il riassetto della proprietà industriale, Giuffrè, Milano, 2006, p. 120; G. Ghidini – F. De Benedetti, Codice della proprietà industriale. Commento alla normativa sui diritti derivanti da brevettazione e registrazione, Il Sole 24 Ore, Milano, 2006; secondo altri la nullità si sarebbe verificata solo a seguito della violazione di quelle disposizioni che si occupavano delle esclusioni dalla brevettazione e che comunque disponevano di quei divieti di brevettazione: F. Leonini, La protezione giuridica, cit., p. 353. Il legislatore ha deciso di eliminare questa disposizione non riproducendola negli articoli del Codice della Proprietà industriale dedicato ai brevetti biotecnologici: O. Capasso – C. Galli, La riforma del codice della proprietà industriale, cit., sub art. 81 bis, p. 934; L. Albertini, L’invenzione biotecnologica: requisiti di brevettabilità ed estensione della protezione, in Contr. e impr., 2007, pp. 1113 ss. 115

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ridici e le operazioni negoziali compiuti in violazione dei divieti previsti dalla presente legge sono nulli», sembrerebbe sanzionare con la nullità i brevetti rilasciati in violazione della norma qui considerata. Tuttavia, l’Ufficio Italiano Brevetti non potrà rigettare la domanda nel caso in cui il richiedente dichiari di ignorare l’origine del materiale, o di averlo derivato da banche biologiche in cui sia stato conservato in forma anonima116. La legge si conclude con l’art. 10, attuativo degli articoli 13 e 14 della direttiva comunitaria, relativo al deposito e all’accesso al materiale biologico. Il deposito è necessario solo quando l’esperto del ramo non sia in grado, sulla base della descrizione contenuta nella richiesta di brevetto integrata dalle sue conoscenze generali, di attuare il trovato senza dispiego di autonoma attività inventiva. La valutazione sulla necessità della consegna del materiale è, poi, rimessa al titolare del diritto, sul quale gravano le conseguenze di eventuali errori; se, infatti, egli ritiene che la descrizione sia chiara e completa «perché ogni persona esperta del ramo possa attuarla»117, ma il giudizio è errato, non sarà più possibile rimediare al vizio della domanda mediante un successivo deposito, il quale potrà, casomai, integrare una richiesta posteriore, e non quella precedentemente formulata. Viceversa, una volta effettuato il deposito, non sarà più possibile impedire che terzi, in caso di rilascio del titolo, ricevano campioni delle colture consegnate, e ciò anche quando si dimostri che la rappresentazione scritta consente l’attuazione del trovato118. Più controverso è, invece, l’istituto dell’accesso, da parte di terzi, alle colture depositate dal richiedente, e ciò in relazione al fatto che il materiale biologico è capace di replicarsi in modo autonomo

  Su quest’ultimo punto vedasi il parere del Comitato Nazionale di Bioetica, http://www.governo.it/bioetica/testi/Biobanche.pdf, dove si suggerisce che le «biobanche potrebbero farsi strumento di una nuova forma di solidarietà tra gruppi e tra generazioni, per una risorsa comune che deve essere disponibile in base a regole di partecipazione democratica». 117   Art. 51 comma 2 c.p.i. 118  L.C. Ubertazzi, Legge 22 febbraio 2006 n. 78, cit., p. 1387. 116

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e duraturo, con la conseguenza che il rilascio del campione implica il trasferimento degli strumenti necessari per la produzione delle sostanze protette. La normativa in esame suddivide, poi, il periodo successivo al deposito della domanda di brevetto in tre fasi. Nella prima fase, anteriore alla pubblicazione della domanda di brevetto, l’accesso al materiale biologico è consentito solo alle persone autorizzate ai sensi del diritto nazionale dei brevetti, con esclusione della possibilità per i terzi di consultare la domanda stessa. Nella seconda fase, che va dalla pubblicazione della domanda alla concessione del brevetto, l’accesso al materiale biologico è consentito a chiunque ne faccia richiesta, a meno che il depositante abbia richiesto che l’accesso sia limitato ad un esperto indipendente. Nell’ultima fase, relativa al rilascio del brevetto, ogni persona interessata potrà ricevere le sostanze depositate qualora si impegni a non rendere accessibile a terzi il campione e i suoi derivati oppure a utilizzare il medesimo a fini sperimentali. Ne deriva che la finalità della norma non è soltanto quella di rendere più agevole al depositante l’onere di descrivere l’invenzione (onere che, a sua volta, ha la finalità di consentire l’acquisizione dell’invenzione al patrimonio collettivo così che la persona esperta del ramo sia in grado di attuarla) ma anche di favorire, in conseguenza della possibilità di accesso al materiale biologico a fini sperimentali già durante la vita del brevetto, l’ulteriore ricerca da parte di terzi nel solco tracciato dall’invenzione119. Facendo un bilancio di quanto evidenziato sopra, possiamo affermare che i profili e i problemi etici non sono stati per nulla risolti e in parte non sono neppure risolvibili.

 F. Leonini, La protezione giuridica, cit., p. 417.

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Sommario: 1. La questione dell’utilizzo di materiale biologico derivato da parti del corpo. – 2. Questioni complesse: la brevettabilità dei test genetici. – 3. Infine, la Sentenza della Corte Suprema. – 4. L’opposizione europea. – 5. La questione delle cellule staminali embrionali: quando inizia la vita umana? – 6. Il precedente Brüstle. – 7. Ulteriore tassello, utile alla complessiva ricostruzione del puzzle eurounitario dell’embrione. – 8. Il diritto alla salute. – 9. Notazioni provvisoriamente conclusive. – 10. L’equivoco di far iniziare la persona dalla fecondazione. – 11. Le nuove frontiere.

Indispensabile per dare un senso effettivo alle riflessioni concrete di argomentazioni teoriche è descrivere lo sviluppo che il settore delle biotecnologie sta vivendo nel XXI secolo con particolare riguardo alla genomica considerata dallo stesso Consiglio d’Europa di Stoccolma1 «una tecnologia di frontiera della società moderna» perché apre nuove prospettive ad altre scienze. Per poter comprendere ciò che è nuovo e originale, ciò che è lecito, ciò che è suscettibile di applicazione industriale e i principi fondamentali di un sistema giuridico dobbiamo prima comprendere di che cosa stiamo parlando, quali strumenti la scienza mette a disposizione e quali rischi derivano dall’utilizzo di questi strumenti e come condizionano i diritti individuali e sociali della persona. Queste conoscenze permettono di capire anche le implicazioni etiche in relazione ai principi di ordine pubblico e buon costume.

  Vedi le Conclusioni della Presidenza del Consiglio Europeo di Stoccolma del 23/24 marzo 2001 in http://ue.eu.int/en/Info/eurocouncil/index.htm. 1

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Allo stato attuale della scienza è possibile manipolare isolare e purificare geni, modificare microrganismi, cellule, sequenze di DNA umano, produrre piante e animali transgenici, produrre in vitro l’embrione umano utilizzando le nuove tecniche delle biotecnologie avanzate.

1. La questione dell’utilizzo di materiale biologico derivato da parti del corpo Come si è visto l’evoluzione normativa del diritto dei brevetti ha riconosciuto la liceità della brevettabilità dei beni o processi, derivanti da materiale genetico. Il processo evolutivo si è sviluppato in un lungo arco temporale, e ha avuto dei momenti e dei punti di svolta che ne hanno segnato la direzione e influenzato significativamente le soluzioni oggi prospettate. La prima volta in cui viene affrontato il problema, a seguito di formale domanda di brevetto, della brevettabilità di un intervento umano su una linea cellulare umana si ha nel caso John Moore2 che costituisce un vero e proprio leading case mondiale. A seguito della diagnosi di una rara forma di leucemia John Moore fu sottoposto ad un intervento per l’asportazione della milza. Tra il 1976 e il 1983 il signor Moore dovette sottoporsi a numerose visite di controllo, e, spesso, a dolorose analisi che richiedevano il prelievo di sangue, midollo osseo, pelle e sperma. Nel 1984 venne per caso a conoscenza del fatto che il Centro Universitario di California a Davis e due medici avevano ottenuto un   Moore v. Regents of University of California, Cal. App. 2 Dist. (1988), e 51 Cal. 3d (1990), relativa agli aspetti personali e patrimoniali degli atti dispositivi del corpo. B.A. Brody, Intellectual Property and Biotechnology: The U.S. Internal Experience. Part I, in Kennedy Institute of Ethics Journal, 2006, 16/1, p. 15; S. Zullo, From the Patentability of Living Matter to the Ethics of Biotechnological Innovation: The Person Body Relationships, in R. Bin – S. Lorenzon – N. Lucchi (a cura di), Biotech Innovation and Fundamental Rights, Springer, Milano-London-New York, 2012, p. 87; R. Romano, La brevettabilità delle cellule staminali embrionali umane, in Nuova giur. civ. comm., 2012, pp. 237 ss. 2

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brevetto per una sequenza di cellule (linfociti T) denominata cellule Mo idonea a riprodurre la linfocina, una proteina di grande valore terapeutico per la regolazione del sistema immunitario, concedendo licenza per lo sfruttamento a due case farmaceutiche. Scoprì, così, che la sequenza di cellule brevettata scaturiva proprio dalla sua milza, il cui tessuto a seguito della rara forma tumorale che lo aveva colpito aveva assunto rarissime e straordinarie proprietà, e scoprì anche che il brevetto aveva coronato anni di ricerche, sperimentazioni e manipolazioni genetiche condotte dai suoi medici curanti, con importanti risvolti economici. Mr. Moore esercitò, dunque, l’azione di conversion (interferenza nell’esercizio del diritto di proprietà) la quale è volta ad ottenere la restituzione della cosa oggetto di impossessamento da parte di un terzo, privo di titolo. La domanda di Moore, accolta integralmente nel giudizio di primo grado con una sentenza definita da molti rivoluzionaria, è stata poi respinta, in sede di appello, dalla Corte Suprema di California. Secondo la Corte, una persona alla quale sia asportato un organo o una parte del corpo non può accampare su di essi alcun diritto di proprietà, in quanto né il corpo umano, né le sue componenti sono una cosa e non possono, quindi, essere trattati come una merce. La decisione non fu presa all’unanimità: tre giudici su nove espressero il loro dissenso da questa conclusione, sia ritenendo che sia ingiusto che la proprietà di tessuti umani o organi sia esclusa per colui dal quale provengono gli organi, ma venga poi riconosciuta a coloro che ne acquisiscono il possesso, lecitamente o meno: chi ruba un cuore o altri organi dal luogo in cui vengono conservati è infatti indiscutibilmente responsabile di un furto, cioè dell’appropriazione di una cosa: tessuti e organi, una volta separati dal corpo, non possono essere cose, e quindi oggetto di diritti, per tutti, salvo che per l’essere umano dal cui corpo sono stati separati. I giudici californiani riconobbero parzialmente il diritto di proprietà del Sig. Moore ma lo tutelarono solo con liability rules assegnandoli un risarcimento del danno, ma non una compartecipazione agli utili brevettali.

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La motivazione con cui arrivano a siffatta conclusione non risolve, però, il problema della proprietà dei tessuti: da un lato si dice che Moore non ha la proprietà dei materiali perché essi sono oggetto solo di atti non patrimoniali di autonomia3, dall’altro si precisa che nemmeno i titolari del brevetto hanno la proprietà dei tessuti, ma solo i diritti relativi alla loro opera di ingegno, il diritto di disposizione per sfruttare economicamente materiali e informazioni4. Se abbandoniamo per un momento la storia del signor Moore, e facciamo un salto sul Vecchio Continente, scopriamo un’altra singolare vicenda giudiziaria riferita da Jean-Pierre Baud5, che si è conclusa in un modo che i giudici dissenzienti della Corte Suprema della California avrebbero certamente condiviso. Il 27 giugno del 1985 Janel Daoud, ritenendosi incarcerato ingiustamente, si tagliò la falangetta dell’anulare destro e la immerge in una bottiglia di liquido conservante, con l’intenzione di inviarla

  Anche la Directive 98/44/EC, Preamble (26): «Whereas if an invention is based on biological material of human origin or if it uses such material, where a patent application is filed, the person from whose body the material is taken must have had an opportunity of expressing free and informed consent thereto, in accordance with national law»; OTA, New Developments in Biotechnology: Ownership of Human Tissues and Cells, p. 82: «Res Nullius – Another defense that a researcher might assert is res nullius, which means things that are not owned. The res nullius category included islands newly risen from the sea and wild animals. Under common law, for instance, a distinction was drawn between domestic and wild animals. Domestic animals could be acquired and held as property just like inanimate articles, but wild animals could only be the subject of a qualified property right. It could be argued the patient and his tissues stand in a relationship similar to that between a landowner and wild animals on his land. […] Not having exercised dominion or control over the tissues, the patient’s rights therein would be like those of a landowner who had made no attempt to capture wild animals passing over his land. The argument seems strongest in the case of tumors because these are not normal, healthy parts of the body. A defendant/researcher could contend that it was he, not the patient, who isolated and cultured the abnormal bodily constituents and thereby reduced them to ‘possessio’». 4   Moore v. Regents of University of California, 51 Cal. 3d (1990), pp. 492-493: «This is because the patented cell line is both factually and legally distinct from the cells taken from Moore’s body». 5  J.P. Baud, Il caso della mano rubata, tr. it. di L. Colombo, Giuffrè, Milano, 2003, p. 50. 3

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al Ministro della Giustizia. Ma il direttore del carcere gli confiscò dito e bottiglia, riponendoli tra gli effetti personali del carcerato, da restituire nel momento in cui fosse cessato lo stato di detenzione. Daoud ricorse al giudice, chiedendo la restituzione del suo dito argomentando che le dita di un corpo umano, ancorché separate dal corpo, non possono essere trattate come una qualsiasi cosa e quindi non possono essere confiscate. Il Tribunale di Avignone respinse il ricorso di Daoud, ritenendo il dito separato dal corpo una cosa, come ogni altra cosa sottoponibile a confisca. Il Tribunale francese, quindi, a differenza della Corte californiana, ha deciso che le parti del corpo umano sono cose ma non ha dato una risposta precisa alla domanda: Daoud era proprietario del suo dito? A chi spetta la proprietà di parti del corpo umano se queste sono state da esso separate per qualsiasi ragione? Se si dovesse rispondere che Moore e Daoud erano proprietari rispettivamente della milza e del dito, non per questo si può automaticamente dare ragione alla pretesa di Moore perché quest’ultimo chiedeva soltanto una partecipazione agli utili derivanti da un prodotto ottenuto utilizzando, come materia prima le cellule della sua milza. Accettare tale richiesta avrebbe messo in crisi la ricerca scientifica perché cellule e tessuti umani oggi costituiscono la “materia prima” per quasi tutte le ricerche di ingegneria genetica applicata. Ciò che viene brevettato non è la cellula o il tessuto originario ma il ritrovato che viene ottenuto rielaborando, trasformando e manipolando il materiale originario attraverso una attività di ricerca molto costosa. Per questo la maggioranza dei giudici californiani hanno ritenuto che la richiesta dovesse essere respinta. Mr. Moore e l’ingegneria genetica hanno riportato inaspettatamente d’attualità, a oltre duemila anni di distanza un dibattito sulla proprietà della sostanza che travagliò gli antichi giuristi romani, dando addirittura luogo alla nascita di due opposte scuole di pensiero: i Sabiniani e i Proculiani. La nave, il vino, il vaso sono di chi li ha fatti, oppure del proprietario dei materiali. Per i primi, il prodotto finito deve appartenere al proprietario degli elementi con i quali è stato costituito, per i

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secondi, a coloro che con la loro opera li hanno trasformati. Nella sentenza della Corte Suprema californiana, prevale la tesi dei Proculiani che premia l’attività di ricerca e di impresa e il lavoro rispetto alla proprietà6. Poiché le ricerche scientifiche sempre più avanzate stanno fornendo materiale genetico di notevole utilità, da allora ha preso avvio la corsa alla brevettazione non solo di geni, DNA ma anche dei nuovi metodi per la diagnosi e il trattamento delle malattie genetiche o ereditarie, trasmesse dai genitori ai figli. Attraverso la terapia genica, infatti, è possibile correggere e trasferire geni modificando le “istruzioni” di funzionamento delle cellule. Una volta che il gene è rimosso le generazioni successive non riceveranno il gene “difettoso” e la malattia non verrà trasmessa.

2. Questioni complesse: la brevettabilità dei test genetici In linea di massima, ciò che è naturale non può venire brevettato. La giustificazione di questa esclusione – al di là dell’eventuale mancanza dei requisiti di novità, attività inventiva e utilità – riguarda le conseguenze negative che un monopolio così vasto e generico avrebbe sulla ricerca e in generale sulla società. Tuttavia avrebbe conseguenze altrettanto negative l’esclusione di qualsiasi brevetto che riguardasse prodotti o processi esistenti in natura. Portata agli estremi, una simile posizione renderebbe infatti impossibile brevettare praticamente qualsiasi cosa, dal momento che ogni invenzione sfrutta o imita, in una qualche maniera, qualche fenomeno presente in natura. Negli Stati Uniti, invece, il discrimine risiede nell’intervento umano. Il discorso riguarda l’identificazione e l’isolamento di sostanze esistenti in natura ma delle quali o non si conosceva l’esatta

  E. Betti, Sul valore dogmatico della categoria «contrahere» in giuristi proculiani e sabiniani. Con contributi alla teoria classica del negozio dell’«actio praescriptis verbis» e della «condictio incerti», in BIDR, 1915, 28, p. 44, nota 1. 6

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struttura e composizione oppure non si era mai ottenuto un campione puro. In concreto, si tratta di sostanze come il segmento di DNA che contiene l’informazione genetica per la sintesi dell’insulina, segmento presente in abbondanza in natura – ogni essere umano ne possiede qualche miliardo di copie, due per ogni cellula – ma in una forma decisamente poco accessibile, sia per l’identificazione della sequenza corretta, sia per il suo isolamento dal resto del materiale genetico. In questo caso si tratta, in un certo senso, di sostanza naturale e artificiale allo stesso tempo: naturale in quanto esistente in natura; artificiale in quanto senza l’intervento umano non sarebbe accessibile, vuoi perché indisponibili in forma pura, vuoi perché non se ne conoscerebbe la composizione. L’intervento umano è, o meglio era, ritenuto capace di garantire la brevettabilità: una sostanza isolata e purificata e sufficientemente artificiale per essere considerata una invenzione e non una semplice scoperta. Come si applica questa complessa regolamentazione dei brevetti ai prodotti naturali? Il caso più celebre a livello mondiale è legato alla controversia relativa alle mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, con i brevetti detenuti da una compagnia privata, la Myriad Genetics Inc., spin-off del Centre of Genetic Epidemiology. Nel 1990 la società scopri il gene BRCA1, un gene oncosoppressore7 la cui mutazione determina nel soggetto una forte suscettibilità al cancro della mammella di tipo 1. Nel 1991 fu scoperto, sempre dalla Myriad Genetics, un secondo gene, il BRCA2 collegato all’aumentato rischio di sviluppare il cancro alla mammella e all’ovaio, ma di cui sono portatori anche gli individui maschi.

  Questi geni sono capaci di regolare la proliferazione cellulare e di riparare gli eventuali danni nella replicazione del DNA. La presenza di una variante patogenetica, cioè in grado di alterare in maniera provata la funzionalità delle proteine BRCA1 o BRCA2, in uno di questi geni aumenta il rischio di sviluppare sia uno o più tumori della mammella sia un tumore degli annessi nel corso della vita. K.B. Kuchenbaecker et al., Risks of Breast, Ovarian, and Contralateral Breast Cancer for BRCA1 and BRCA2 Mutation Carriers, in JAMA, 2017, 317/23, pp. 24022416, doi: 10.1001/jama.2017.7112. 7

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Sia il BRCA1 sia il BRCA2 erano coperti da brevetti statunitensi ed europei, detenuti dalla Myriad Corporation, che monopolizzò l’uso dei geni BRCA1 e BRCA2, le loro mutazioni e i kit diagnostici8, necessari per valutare le possibili mutazioni genetiche. In totale 9 brevetti di rilievo non solo scientifico ma diagnostico e terapeutico erano nella titolarità della Myriad Genetics. Senza espressa autorizzazione della società titolare nessun laboratorio, pubblico o privato, poteva effettuare test sulle due mutazioni. I laboratori, che avevano sviluppato autonomamente test per verificare la presenza di quelle particolari mutazioni non potevano eseguire i test e i pazienti non potevano fare test di controllo per validare o modificare i risultati dei test9. La politica aggressiva della Myriad che aveva portato tanti ricavi negli USA fu estesa anche nei Paesi Europei, in Australia, in Giappone e in Canada. Le modalità di profitto erano molto semplici: i licenziatari esclusivi individuati per ogni paese erano sempre tenuti a mandare i test direttamente al laboratorio della Myriad la quale era l’unico responsabile dei risultati dei test e dei brevetti10. Questa politica ostile nei confronti soprattutto dei centri di ricerca e degli enti no-profit, portò nel maggio 2009 il Public Patent Foundation (PubPat) e l’American Civil Liberties Union (ACLU) a promuovere un’azione di fronte alla United States District Court for the Southern District di New York nei confronti dello U.S. Patent and Trademark Office (USPTO), della Myriad Genetics e dell’University of Utah Research Foundation.

8   R.S. Crespi, Patents on Genes: Can the Issue Be Clarified?, in Bio-Science Law Review, February 21, 2001, http://pharmalicensing.com/features; V.J. Murray, Owning Genes: Disputes Involving DNA Sequence Patents, in Chicago Kent L. Rev., 1995, 75, p. 231. 9   La Myriad minacciava con cease-and-desist letters, simili alle nostre «diffide» e «intimidazioni», nel caso in cui le violazioni si fossero protratte. 10   In Europa la strategia era negoziare con i singoli Stati: la Myriad si alleò con Rosgen LTD per Regno Unito e Irlanda e con Bioscientia per Svizzera, Germania e Austria. In Francia, poiché è illegale, «esportare» campioni di sangue fuori dal Paese, le negoziazioni non portarono alla sottoscrizione di alcun accordo commerciale.

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La ragione del ricorso risiedeva nella asserita illegittimità della concessione a Myriad Genetics e alla University of Utah Research Foundation di brevetti sui geni umani e specificatamente brevetti su sequenze geniche isolate e metodi diagnostici per l’identificazione di mutazioni in tali sequenze, connessi allo sviluppo del tumore al seno e alle ovaie. Ciò che appariva discutibile nella richiesta di brevetto, in altre parole, era il fatto che il brevetto copriva anche le sequenze genetiche normali (wild type), nel loro stato naturale, non alterate e prive di mutazioni11. La Corte Distrettuale di New York, consapevole del dibattito sottostante, si pronunciò il 29 marzo 2010 e dichiarò invalidi i brevetti detenuti da Myriad richiamando la c.d. dottrina del product of nature, in base alla quale la brevettabilità dipende dal fatto che l’invenzione, oltre a presentare profili di significativa utilità, sia dotata di markedly different characteristics, in termini di forma, qualità o proprietà da qualsiasi entità esistente in natura12. Non potevano

  Per il testo della sentenza e approfondimenti: Caso Myriad – Association for Molecular Pathology v. Myriad Genetics 2009/2011, decided 16 Agosto 2012, http://www.biodiritto.org/index.php/item/114-myriad-genetics. 12   In risposta al caso Myriad, il governo canadese ha reso noto che nessun diritto sarà pagato alla compagnia di Salt Lake City e che gli ospedali canadesi continueranno ad effettuare test diagnostici utilizzando le sequenze brevettate. Anche il Nuffield Council ha preso posizione in proposito (rivolta apertamente agli uffici brevetti europeo, statunitense e giapponese), osservando che il criterio di inventività esige migliore definizione e criteri di applicazione più ristretti, e che i brevetti su strumenti di diagnosi e di ricerca devono diventare l’eccezione piuttosto che la regola; in tale senso The Honourable Tony Clement , Minister of Health and Long-Term Care, Speech Transcript: Myriad Gene Patent Issue, September 19, 2001, http://www.gov.on.ca/MOH/english/news/speech/sp_091901_tc.html: «[…] We are therefore forced to ask ourselves the much larger question: Is the entire fruit of human genome project research and the mapping of the human gene going to come down to a series of monopolies setting exclusive prices for tests which most of Canada – indeed most of the world, especially the poorer countries – cannot afford? That is why I have written to Dr. G. Critchfield, Myriad’s president, stating our policy concerning genetic testing at the seven Ontario Centres. It is our government’s position that predictive breast and ovarian cancer testing should be available to women who require them. I explained to Dr. Critchfield that it’s also our government’s position that payment to hospitals for the provision of these services does not constitute infringement of any valid 11

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CAPITOLO III

essere concessi brevetti sul DNA isolato e purificato sui processi mentali astratti che non portavano ad alcun transformative step13. Myriad e l’Università dello Utah presentarono appello avverso e la sentenza della District Court e la Corte d’Appello del Circuito Federale il 29 luglio 2011 riformò in parte l’esito della decisione di primo grado. Confermò l’esclusione della brevettabilità dei metodi di confronto delle sequenze ma confermo la brevettabilità del contenuto informazionale derivante della struttura chimica ottenuta da elementi isolati e purificati14. Il 16 Agosto 2012 la Corte d’appello del Federal Circuit ha emesso un secondo verdetto sul caso Myriad. La Corte ha dato nuovamente ragione alla società biotech, ribadendo il diritto di brevettare i geni, confermando la brevettabilità dei geni del DNA umano15.

claim of Myriad’s patent». Cfr. anche Nuffield Council on Bioethics, The ethics of patenting DNA. A discussion paper, London, July 2002, http://www.nuffieldbioethics.org/filelibrary/pdf/theethicsofpatentingdna.pdf: «Diagnostic tests – We recommend that the criteria already in place within existing patent systems for the granting of patents, particularly the criterion of inventiveness, be stringently applied to applications for product patents which assert, inter alia, rights over DNA sequences for use in diagnosis. We recommend that the European Patent Office (EPO), the United States Patent and Trademark Office (USPTO) and the Japan Patent Office (JPO) together examine ways in which this may be achieved. If this recommendation is implemented, we expect that the granting of product patents which assert rights over DNA sequences for use in diagnosis will become the rare exception, rather than the norm». 13   Un precedente di riferimento si rinviene nel caso In Re Bilski at al v. Kappos under Secretary of Commerce for Intellectual Property and Director, Patent an Trademark office; 28 giugno 2010, 545, F.3d 943, 88 U.S.P.Q.2d 1385 (Fed.Circ. 2008) che aveva stabilito la non brevettabilità dei business methods. 14   Association for Molecular Pathology v. United States Patent and Trademark Office, 653 F.3d 1329 (Fed. Cir. 2011): «[…] We, however, affirm the court’s decision that Myriad’s method claims directed to “ comparing” or “analyzing” DNA sequences are patent elegible; such claims include no trasformative step and cover only patent-ineligible abstract, mental steps». 15   Il 26 marzo 2012, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha ordinato, mediante la concessione di un atto di certiorari, che il giudizio della Corte d’Appello del Circuito Federale sul caso Myriad dovrà essere delegittimato e rimandato alla Corte d’Appello per ulteriori considerazioni alla luce del caso Mayo Collaborative Services v. Prometheus Laboratories («The petition for a writ of certiorari is granted. The judgment is vacated, and the case is remanded to the United States Court of

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I giudici hanno così deciso di accogliere le motivazioni dei legali della Myriad Genetics, secondo cui «the isolated DNA molecules before us are not found in nature. They are obtained the laboratory and are man-made, the products of human ingenuity»16 e possono essere oggetto di brevetto ai sensi del Titolo 35, Sezione 101 del Codice degli Stati Uniti (35 U.S.C. & 101). Secondo questa impostazione, l’isolamento chimico di una sostanza già esistente in natura, la scoperta delle sue proprietà terapeutiche o la messa a punto di un protocollo di cura basato su tali elementi preesistenti alla terapia non sarebbero sufficienti alla concessione di un brevetto. Al contrario sarebbero legittimamente brevettabili i geni modificati o le terapie biomediche derivanti dalle scoperte sul DNA, in ogni caso, da un prodotto derivato e differente, ottenuto da una trasformazione dell’elemento di partenza già esistente in natura. La Corte ha tuttavia rigettato la seconda istanza della Myriad Genetics che chiedeva di poter brevettare anche i metodi di comparazione ed analisi delle sequenze di DNA. Il 24 settembre 2012 i ricorrenti hanno presentato una petizione per un atto di Certiorari presso la Corte Suprema chiedendo una revisione della sentenza17. La Corte decise di prendere in esame tre questioni: a) i geni umani sono brevettabili? b) le rivendicazioni sul metodo sono valide? c) la Myriad è legittimata ad agire? Il 30 novembre 2012 la Corte Suprema ha concesso un altro certiorari sul

Appeals for the Federal Circuit for further consideration in light of Mayo Collaborative Services v. Prometheus Laboratories, Inc., U.S. Supreme Court o 101150», in 31 Biotecnology Law report 211, Number 2, 2012. In quest’ultimo caso (deciso una settimana prima della concessione di certiorari) la Corte Suprema ha dichiarato non brevettabili processi impiegati per identificare correlazioni fra il livello di metabolite e il funzionamento del farmaco tiopurina. Secondo la Corte si tratterebbe di osservazioni di fenomeni naturali, di per sé non brevettabili. Cfr. www. genomicslawreport.com. 16   Caso Myriad – Association for Molecular Pathology v. Myriad Genetics 2009/2011, decided 16 Agosto 2012, composition Claims: Isolated DNA molecules, p. 39. 17   On Petition or a write of certiorari to the United States Court of Appeals for the Federal Circuit, September 24, 2012, consultabile su http://www.unipvlawtech.eu/files/petition-for-certiorari.pdf.

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caso Myriad limitandolo soltanto alla prima questione. Le altre due sono state rifiutate e la decisone finale rimane quella stabilita con sentenza d’Appello del 16 agosto 2012.

3. Infine, la Sentenza della Corte Suprema La saga del caso Myriad è finita il 13 giugno 2013: il lungo braccio di ferro sulla possibilità di brevettare il DNA umano arriva alla fine, suscitando reazioni controverse in ogni parte del pianeta18. La Corte all’unanimità ha stabilito che i brevetti sui geni, anche quando isolati, non sono ammissibili in quanto i geni rientrano nella dottrina del prodotto di natura. Sostiene la Corte che «l’atto di Myriad di isolare i geni BRCA1 e BRCA2 non può essere qualificato come un’invenzione ma come una scoperta» e «la contribuzione principale della Myriad è stata di scoprire la posizione esatta e la sequenza genetica dei geni BRCA1 e BRCA2». A rilevare, infatti, sono le informazioni genetiche (le quali, peraltro, non sono state oggetto di modifica o manipolazione alcuna) contenute in una frazione di DNA, non altro: l’avvenuta sua alterazione chimica non presenta interesse alcuno, neppure ai fini della protezione brevettuale che Myriad invoca, la quale concerne unicamente i dati racchiusi in una determinata sequenza, non la specifica composizione di una particolare molecola. La Corte ha aggiunto che separando i geni dal loro ambiente circostante non è un atto di invenzione e che la scoperta rivoluzionaria, innovativa, o addirittura geniale di per sé non soddisfa le richieste del par. 101 del Patent Act ed in particolare con la regola (di formazione giurisprudenziale) di non brevettabilità dei prodotti di natura e delle idee astratte19.   Supreme Court of the United States, Association for Molecular Pathology et al. v. Myriad Genetics, Inc., et al., 569 U.S. 12-398 June 13, 2013, Certiorari nei confronti della sentenza della Court of Appeals for the Federal Circuit, 689 F. 3d 1303, in parte confermata e in parte riformata. 19   Per un’attenta analisi cfr. J.D. Jackson, Something Like the Sun: Why Even “Isolated and Purified” Genes Are Still Products of Nature, in Texas L. Rev., 2011, 89, pp. 1453 ss. 18

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L’inserimento delle parole «di per sé» implica che i prodotti della natura potrebbero ancora essere brevettati, purché siano alterati, o purché un significativo intervento umano sia dimostrato. Inoltre, la Corte ha sottolineato che il divieto dei brevetti sulle cose presenti in natura non è illimitata e che «tutte le invenzioni ad un certo punto incarnano, utilizzano, riflettono, sono basate su o applicano le leggi della natura, o idee astratte», e che «un’interpretazione molto ampia di questo principio di esclusione vanificherebbe il concetto stesso di diritto dei brevetti». Tutt’altra posizione ha assunto la corte sul Dna sintetico: sono ammessi i brevetti su cDNA, affermando che nonostante il fatto che cDNA contenga esoni di DNA naturali, il tecnico di laboratorio crea sicuramente qualcosa di nuovo quando produce cDNA. «Anything under the sun that is made by man»20 è passibile, dunque, di brevettazione, laddove la differenza che interessa non è fra esseri viventi e cose inanimate, bensì proprio quella fra products of nature e creazioni dell’uomo. Unica eccezione, al riguardo, è rappresentata da segmenti di DNA molto corti, nei quali non siano rinvenibili introni da rimuovere, poiché non sarebbe possibile distinguere il cDNA dal suo alter ego naturale, né configurare un diritto di brevetto. Il no della Corte Suprema21, per niente scontato, mette fine ad anni di dibattiti e di pressioni da parte delle aziende biotech per le quali il materiale genetico era ed è una fonte importante di profitto e accoglie le istanze di coloro che si opponevano alla privatizzazione degli elementi del vivente, invalidando di fatto i brevetti detenuti dalla società sui geni BRCA1 e BRCA2 e rompendo il diritto di monopolio che la Myrad era riuscita ad ottenere su ogni gene che avesse quei specifici nucleotidi di quella determinata sequenza.

  La celebre frase è contenuta nei Committee Reports del Patent Act del 1952: V. S. Rep. No. 1979, 82d Cong., 2d 2Sess., 5-1952; H. R. Rep. No. 1923, 82d Cong., 2d Sess., 6; D.L. Burk, Edifying Thoughts of a Patent Watcher: The Nature of DNA, in Ucla L. Rev. Disc., 2013, 60/92. 21   Supreme Court of the United States, Association for Molecular Pathology et al. v. Myriad Genetics, Inc., et al., 569 U.S. 12-298-2013. 20

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In sostanza la sentenza in questione risolse in maniera definitiva l’enigmaticità se un segmento di DNA, solo perché è stato isolato, estratto dal suo ambiente naturale e separato dalle altre sostanze, deve essere considerato ontologicamente differente da quello naturale o se un article of nature come tale non è brevettabile. È assolutamente indiscusso che la Myriad non abbia né creato né alterato alcuna informazione genetica: quella determinata sequenza nucleotide in quel determinato locus genico esisteva prima dell’intervento umano e sarebbe esistita indipendentemente da esso22. Pertanto, la Myriad non poteva utilizzare lo strumento giuridico del brevetto per promuovere l’innovazione ed il progresso impedendo e ostacolando di fatto il sapere scientifico potenzialmente circolante. La tutela brevettuale deve distinguersi, superare e sormontare gli elementi o le leggi naturali. Solo questo permette di integrare l’inventive step. Diversamente deve sostenersi per il DNA sintetico, invece, brevettabile il, cDNA, in quanto non disponibile in natura. Infatti, il cDNA è una molecola composta solo di esoni ma l’assenza degli introni rende il cDNA elemento distinto da quello naturale: questo è sufficiente ad integrare l’inventive step. D’ora in poi sarà vietato brevettare i geni estratti semplicemente dal corpo umano, ma sarà lecito chiedere la protezione di geni sintetici, in cui è stato operato un qualunque intervento di laboratorio23. Nell’immediato, la vittoria per la libertà di ricerca e per la tutela della salute dei pazienti ha comportato un cambiamento nella prassi seguita dall’United States Patent and Trademark Office sulla brevettabilità dei geni. Lo stesso giorno in cui la sentenza è stata resa pubblica l’USPTO ha pubblicato nuove linee guida con le quali ha disposto che gli esaminatori respingano richieste su prodotti che fanno riferimento a frammenti naturali, isolati o no, e ad

  Ibidem.   La Corte Suprema non vuole dare nessuna indicazione vincolante in merito agli altri requisiti di brevettabilità: Association for Molecular Pathology v. USPTO, U.S. Supreme Court, p. 17, nota 9: «We express no opinion […] whether CDNA satisfies the other statutory requirements of patentability». 22 23

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acidi nucleici24, motivando la decisione con la sentenza emessa sul caso Myriad25. Il sistema Myriad ha per la prima volta evidenziato le criticità del sistema statunitense, in particolare la mancanza di qualsiasi forma di bilanciamento tra le istanze etiche e le ragioni che incentivano l’innovazione tecnologica, come invece avvenuto in Europa seppur in modo problematico.

4. L’opposizione europea Al contrario di quanto stabilito nella sentenza che ha definito negli USA il caso Moore,in Europa una sequenza genica è brevettabile qualora si dimostri di possedere i mezzi di controllo tecnologico per trasformare il semplice contenuto informazionale della molecola in un prodotto capace di essere riprodotto industrialmente26. Pertanto mentre il sistema brevettuale statunitense, a seguito della sentenza sul caso Myriad, sbarra la strada ai brevetti sulle sequenze geniche umane per questioni di legittimità, ritenendo i geni umani isolati identici ai geni naturali aventi la stessa sequenza, il sistema brevettuale europeo richiede che, ai fini ai fini delle brevettabilità di una sequenza genica, si debba descrivere sufficientemente la funzionalità della stessa allo scopo di rispondere ai requisiti di applicazione industriale e sufficienza di descrizione. Questo sicuramente per tre ragioni sostanziali. La prima è che la libertà e la promozione della ricerca scientifica sono beni di pregio costituzionale27, sicché una sentenza costruita intorno alla salva  Vedi le Utility Examination Guidelines del Pto del 2001; J.L. Maxey, A Myriad of Misunderstanding Standing: Decoding Judicial Review for Gene Patents, in W. Va. L. Rev., 2011, 1033/113. 25   Le c.d. Myriad Guidelines, memorandum del 13 giugno 2013, rinvenibile su http://www.lawtech.eu/files/PTO_Myriad_Giudelines-1.pdf. 26   Nel sistema brevettuale europeo, in conformità con l’art. 27 comma 1 dell’accordo TRIPS, vige la norma che risultano brevettabili le invenzioni dotate dei requisiti di novità, attività inventiva e applicazione industriale e sufficiente descrizione. 27   Non solo in Italia, ma anche negli Stati Uniti, dove la Costituzione, come si 24

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guardia di questi beni non può non essere apprezzata nel suo nucleo di senso costituzionale. La seconda è che, mentre gli altri diritti e interessi costituzionali che possono rilevare nel caso di specie possono trovare altrove le loro fonti di protezione (come ha correttamente fatto notare la Corte di Lussemburgo circa il problema del consenso all’utilizzo del materiale biologico), l’interesse pubblico alla promozione della ricerca scientifica (e, per alcuni profili, anche la libertà della ricerca) vedono nella disciplina del brevetto il loro principale ambito di protezione. In altri termini, percorrere le argomentazioni muovendo da altre considerazioni avrebbe condotto inevitabilmente a dimenticare la questione, invero centrale, della promozione della ricerca scientifica. Infine, e tanto non può non rilevare anche dal punto di vista metodologico, il problema della protezione brevettuale trasporta nella realtà dei conflitti sociali ed economici i precetti scritti nelle Carte costituzionali, mettendo il diritto costituzionale alla prova del mercato, sicché è proprio all’interno della logica del brevetto (come istituto giuridico) che si può utilmente verificare la tenuta dei principi costituzionali. «Myriad did not create anything»; certo, un importante ed utilissimo gene è stato scoperto, ma la semplice separazione di quest’ul­timo dal circostante materiale genetico non può in alcun modo considerarsi un atto d’invenzione. L’irrilevanza della diversa composizione chimica e l’importanza, per contro, dell’identità funzionale-informazionale sono argomenti meramente strumentali, comunque suscettibili di impieghi ed interpretazioni opposti e contrari (e le inversioni giurisprudenziali dei tre gradi di giudizio di Myriad ne sono, con le rispettive motivazioni, la più diretta dimostrazione) – a seconda dell’obiettivo politico che s’intenda perseguire. Tuttavia, lo stesso caso, che si misura con gli ordinamenti di tutto il mondo ha ottenuto decisioni più favorevoli di quella in commento.

è già visto, all’art. 1, par. 6, attribuisce al Congresso federale il potere «to Promote the Progress of Science and useful Arts, by securing for limited Times to Authors and Inventors the exclusive Right to their respective Writings and Discoveries».

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In Australia, infatti, il 15 febbraio 2013 la Federal Court28 ha deciso Myriad in maniera diametralmente opposta: il brevetto è consentito. Entrambe le sentenze29 hanno affermato che il DNA isolato da una cellula umana (che è cosa diversa rispetto al DNA sintetizzato in laboratorio) esiste effettivamente in natura. Purtuttavia, per il solo fatto che le rivendicazioni brevettuali avevano ad oggetto il DNA estratto dalle cellule e depurato da altro materiale biologico, vi era la possibilità di procedere alla brevettazione. I passaggi fondamentali della pronuncia della Full Court sono i seguenti: la Corte di Sidney pone l’accento sul fatto che la rivendicazione brevettuale non ha ad oggetto il codice genetico, «what is claimed is an isolated nucleic acid, a chemical molecule characterised in a certain way which is chemically, structurally and functionally different to what occurs in nature». Così sintetizzati i dati di fatto e la loro qualificazione giuridica, la Corte definisce il senso della sua pronuncia, assumendo l’esatta contraria prospettiva della Corte Suprema. In particolare, il Collegio australiano osserva che il caso da scrutinare non concerne «the wisdom of the patent system»: mentre la Corte Suprema U.S.A. aveva ricordato gli interessi di pregio costituzionale attuati dalla legislazione sul brevetto, la Corte australiana si limita ad affermare la necessità di dare applicazione al diritto nazionale, così come scritto nella legge e interpretato nei precedenti. Più in particolare, la Corte riconosce che gli interessi in esame concernono gli effetti di stimolo o di depressione della ricerca, ma constata che questi effetti debbono essere considerati (e sono stati già esaminati) dal Parlamento30.

  Organo giudiziario federale avente giurisdizione sulla maggior parte delle controversie relative all’applicazione della legge federale, con l’eccezione del diritto di famiglia e, in ambito penale, su alcuni reati minori. 29   Trattasi della sentenza di prima istanza Cancer Voices Australia v. Myriad Genetics Inc. 2013 Fca 65 e della sentenza d’appello alla Full Court D’Arcy v Myriad Genetics Inc 2014 FCAFC 115. Sulla vicenda cfr. C. Sciomer, È brevettabile ciò che esiste in natura? Una controversia irrisolta nella giurisprudenza recente statunitense e australiana, in Dir. comp., 2015, disponibile online. 30   Con le parole della sentenza: «it is not about whether, for policy or moral or social reasons, patents for gene sequences should be excluded from patent28

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Ciò detto l’applicazione della legge conduce ad affermare che «the whole process of isolation of the nucleic acid might be viewed as equivalent to the creation (by well-known means) of a metaphorical microscope enabling one to see into the BRCA1 gene in order to view the exon sequence in the subject person». È, dunque, possibile concedere un brevetto a Myriad dato che nel procedimento di estrazione del frammento isolato di DNA avviene una creazione (manufacture, ai sensi dello Statute of Monopolies australiano) di un bene suscettibile di utilizzo commerciale. È proprio questo capo della sentenza, però, che non appare condivisibile. Se si tiene in conto che l’oggetto della domanda di brevetto non era il procedimento di isolamento ed estrazione del frammento di DNA contenente BRCA1, dato che «the processes used by Myriad to isolate DNA were well understood by geneticists at the time of Myriad’s patents, [they] ‘were well understood, widely used, and fairlyuniform insofar as any scientist engaged in the search for a gene would likely have utilized a similar approach»31, appare evidente che l’elemento di novità che è stato premiato con il brevetto australiano è stato solamente quello dell’individuazione della sequenza genica interessata. Se così è, allora, risulta calzante la metafora del magico microscopio usata dalle difese delle parti per spiegare l’illegittimità del brevetto: dato che Myriad non aveva inventato il metodo di isolamento del gene BRCA. La Corte australiana aveva riconosciuto un brevetto per la sola azione di «guardare attraverso un microscopio immaginario», che può mostrare la singola sequenza dei nucleotidi che compongono il gene BRCA. In altri termini, in questo caso la Corte australiana ha riconosciuto la legittimità del brevetto, erroneamente sovrapponenability. That has been considered by […] Parliament and has not occurred. It is not a matter for the court, but for Parliament to decide. Parliament has considered the question of the patentability of gene sequences and has chosen not to exclude them but to make amendments to the Act to address, in part, the balance between the benefits of the patent system and the incentive thereby created, and the restriction on, for example, subsequent research». 31   Così la sentenza della Corte Suprema USA.

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do il concetto di manner of manufacture con la mera descrizione della sequenza genica. Solo a causa dell’errore così commesso e della evidente sottovalutazione del criterio della “novità” della rivendicazione brevettuale si sono verificati i pronostici negativi di mercificazione del corpo umano e di appropriazione viziata del sapere32. Una condizione che non solo scoraggia gli ulteriori sviluppi della ricerca scientifica, ma sortisce effetti ancora più gravi, in termini di concreta violazione della libertà della ricerca scientifica. Certamente i criteri variabili utilizzati dalle istituzioni e dalla giurisprudenza statunitense ed europea sul tema, raccomandano l’opportunità di un maggiore coordinamento internazionale allo scopo di fornire una completa certezza legale che possa stimolare gli investimenti e l’innovazione tecnologica. Ciò potrebbe avvenire, ad esempio, attraverso una revisione dell’Accordo TRIPs33, al fine di garantire una maggiore certezza del diritto negli ordinamenti privi di previsioni specifiche al riguardo, sia soluzioni condivise sui profili di particolare complessità, com’è il caso della biologia di sintesi.

5. La questione delle cellule staminali embrionali: quando inizia la vita umana? Prima di vedere come USA ed Europa hanno risposto a questa inevitabile domanda del nostro tempo è necessario avere chiaro anzitutto cosa si intende per “cellule staminali” umane.

 P. Monteleone, Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche e tutela della persona, in Dir. ind., 2006, pp. 405 ss., il quale osserva che «il corpo umano e le sue parti non sono “beni parificabili a tutti gli altri” e che “la caratteristica del corpo umano e delle sue parti, al contrario di quanto è facile constatare per altri attributi della personalità (riservatezza, identità, immagine, dati personali)” dovrebbe essere quella “della c.d. market-inalienability” se non “dell’inalienability” in senso stretto, conformandosi al principio di gratuità», mentre nulla osserva sugli effetti in termini di libera circolazione del sapere. 33  G. Aglialoro, Il diritto delle biotecnologie, cit., p. 75. 32

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«Le cellule staminali sono cellule primitive non ancora dotate di specializzazione, ma capaci di trasformarsi in diversi tipi di cellule del corpo, con funzioni speciali»34. Esse sono cellule madri, di cui non è ancora definita la funzione all’interno dell’organismo e rimangono immature, finché non interviene uno stimolo che le induce a differenziarsi in cellule specializzate per adempiere ad una specifica funzione (diventare organi o tessuti). Le cellule staminali, in altre parole, sono cellule che hanno il potenziale di svilupparsi in molti dei tipi cellulari del corpo sia durante i primi mesi di vita dell’individuo sia durante la crescita. In aggiunta, durante tutta la vita dell’essere umano o animale, all’interno di molti tessuti fungono da sistema riparatore interno, con la capacità di replicarsi illimitatamente per rimpiazzare altre cellule danneggiate o morte. Quando una cellula staminale si divide, ciascuna nuova cellula originata da essa ha il potenziale sia di rimanere una cellula staminale progenitrice, sia di specializzarsi in qualsiasi altro tipo di cellula con una funzione specifica, come ad esempio una cellula muscolare, del sangue o del sistema nervoso. Le staminali sono cellule speciali capaci di riprodurre se stesse, rimanendo identiche (autoriproduzione) o generando cellule diverse.

  O. Lindvall – Z. Kokaia, Stem cells in human neurodegenerative disorders. Time for clinical translation?, in The Journal of clinical investigation, 2010, 120/1, pp. 29-40. 34

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Nel 1978 fu scoperta la presenza di cellule staminali nel cordone ombelicale e nel 1981, per la prima volta, le staminali furono isolate in un embrione animale. Nel 1998, ancora, venne scoperta la prima linea di cellule staminali embrionali umane: si trattava di cellule indifferenziate capaci di dare origine a 210 tipi di cellule diverse. Queste ricerche, indicate come uno dei filoni di maggior interesse scientifico in ambito medico, hanno inevitabilmente creato gravi preoccupazioni etiche e sollevato delicati problemi di natura morale. Uno dei problemi principali riguarda le tecniche utilizzate tutt’oggi per la sperimentazione che comporta la distruzione dell’embrione stesso. Allora ci si ricollega alla domanda originaria: quando inizia la vita? Quando l’individuo può essere considerato essere umano e non semplice mezzo per fini altrui? Secondo una prospettiva ampiamente ma non unanimemente condivisa35 la distruzione dell’embrione è il disfacimento dell’essere umano in fieri e pertanto è a quest’ultimo assimilato giuridicamente36. Occorre però evidenziare che, sebbene l’ordinamento giuridico interno e comunitario assumano la tutela dell’essere umano e del suo corpo nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo37, questa centralità non può scontrarsi con gli altri interessi e diritti di pari rango costituzionale quali quello alla tutela della salute e alla promozione scientifica. È necessario armonizzare i vari diritti anche in considerazione della diversità di contesti in cui in cui la ricerca delle cellule staminali può esplicarsi. Basti pensare, ad esempio, alle implicazioni etiche collegate tra la produzione di embrioni creati ad hoc per fini speri  Per un approfondimento del dibattito sul tema dell’essere in quanto essere dell’embrione, si consiglia M. Aramini, Introduzione alla bioetica, Giuffrè, Milano, 2009, pp. 225 ss. 36   In tal senso il parere espresso dal Comitato Nazionale di Bioetica il 22 giugno 1996 avente ad oggetto «Identità e statuto dell’embrione umano» dove il Comitato «riconosce il dovere morale di trattare l’embrione umano, si dal sua fecondazione, secondo i criteri di tutela e di rispetto che si devono adottare nei confronti degli individui umani». 37   Art. 5, n. 1 Dir. 98/44/CE – art. 81 quinquies comma 1 D.Lgs n. 30/2005. 35

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mentali-terapeutici ed embrioni conservati in crioconservazione o morti, ottenuti da aborti38. Fino agli anni ’90 del secolo scorso, nei principali sistemi brevettuali la carenza del requisito di liceità delle invenzioni era invocabile in ipotesi limite, per escludere la brevettabilità di invenzioni aberranti, indecenti. Tuttavia, la necessità di assicurare una legittimità sociale al sistema brevettuale, attraverso l’esclusione dalla brevettabilità di invenzioni contrarie ad interessi pubblici fondamentali, è divenuta pressante in concomitanza con lo sviluppo delle scienze biotecnologiche. Ciò ha stimolato l’emergere di nuovi orientamenti sul piano normativo e giurisprudenziale, indirizzati verso un’espansione del limite dell’ordine pubblico e del buon costume. Siffatta espansione ha posto, peraltro, difficili problemi di bilanciamento fra gli interessi connessi, da un lato, alla promozione del progresso scientifico attraverso una remunerazione degli investimenti in ricerca e sviluppo, e, dall’altro, alla tutela di valori e istanze di natura non commerciale (etica, ambientale, sanitaria, ecc.). Il bilanciamento risulta particolarmente complesso quando deve essere operato nell’ambito di un ordinamento sovranazionale e nel contesto di un’organizzazione internazionale dotata di competenze prettamente tecniche, come l’Ufficio europeo dei brevetti. La normativa contenuta nella direttiva 98/44 è applicata anche da parte del suddetto Ufficio europeo, essendo stata recepita nell’attuale capitolo VI del suo Regolamento di esecuzione39. Proprio l’Ufficio europeo dei brevetti, in sede di interpretazione della regola interna corrispondente all’art. 6 della direttiva, aveva affermato la tesi della contrarietà all’ordine pubblico delle invenzioni la cui realizzazione presupponga la distruzione di embrioni umani40.   In tal senso il già citato parere espresso dal Comitato Nazionale di Bioetica il 22 giugno 1996 ove considera lecite le pratiche di utilizzo per la sperimentazione scientifica e terapeutica su embrioni morti ottenuti da aborti o in crioconservazione. 39   Decisione del Consiglio di amministrazione del 16 giugno 1999, in Official Journal EPO, 1999, 7, p. 437 ss. 40   Decision Enlarged Board of Appeals nel caso G 2/06 del 25 novembre 2008, Official Journal EPO, 2009, p. 306. 38

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Il panorama normativo della ricerca sulle cellule staminali in Europa rimane d’altro canto assai composito, spaziando da Stati in cui non esiste ancora una disciplina ad hoc della materia a quelli in cui l’utilizzo di linee cellulari embrionali è consentito solo su embrioni risultati soprannumerari dalle tecniche di PMA (così, rispettivamente, Portogallo e Danimarca, ad esempio)41. Le soluzioni accolte dai legislatori nazionali in materia di utilizzo di cellule staminali embrionali umane a fini di ricerca differiscono sensibilmente, in funzione delle concezioni politiche e culturali prevalenti nelle differenti compagini sociali42. Un bilanciamento diverso è operato fra i benefici che può apportare l’impiego delle cellule staminali per la cura di gravi patologie umane e la tutela riservata all’embrione. Ai Paesi che prevedono un divieto di utilizzo di linee cellulari embrionali si affiancano quelli che lo consentono, in particolare quando si tratti di embrioni in sovrannumero, creati per la fecondazione assistita e destinati a non essere impiantati in utero43. Per altro verso, gli Stati membri possono discrezionalmente riempire di contenuti i limiti generali al rilascio del brevetto rappresentati dalla salute pubblica, dalla sicurezza, dalla garanzia del rispetto di certi standard etici, con l’obbligo appunto di mantenere, quale soglia minima, i divieti di brevettazione espressamente enucleati dall’art. 644. Ciò ha consolidato in Europa il superamento del c.d. principio della neutralità del sistema brevettuale, secondo cui, tenuto conto 41  I. Rivera, La brevettabilità dell’embrione umano e il valore della dignità umana. La Sentenza della Corte di giustizia UE International Stem Cell Corporation c. Comptroller General of Patents, 14 maggio 2015, www.forumcostituzionale.it. 42   Emblematico, per tutti, proprio il caso italiano dove il bilanciamento della tutela tra gestante ed embrione ha com’è noto subito un profondo mutamento nel volgere di appena un lustro intercorso tra ll. nn. 1948/1978, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, e 40/2004, Norme in materia di procreazione medicalmente assistita. 43   A. Viviani, Cellule staminali da embrione umano e fondi pubblici per la ricerca scientifica, Nota a sentenza Usa, District Court for the Distric of Columbia, in Riv. dir. umani e dir. int., 2010, 4/3, pp. 653 ss. 44  A. Pizzoferrato, La tutela brevettale, cit., pp. 1238 ss.

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che la concessione di un brevetto non conferisce che il diritto di realizzare e sfruttare commercialmente l’invenzione, considerazioni di ordine etico e morale dovrebbero restare estranee ai procedimenti volti a esaminare i requisiti per l’accesso alla tutela45. In merito ai limiti dell’ordine pubblico e del buon costume posti alla brevettabilità, viene in considerazione la decisione della Camera Allargata dei Ricorsi dell’Ufficio Europeo, The Enlarged Board of Appeal, del 27 novembre 2008 relativa al caso WARF. Nel caso in esame l’EBoA si era preoccupato di chiarire la questione della brevettabilità della cosiddetta «WARF application», ossia di un metodo per ottenere cellule staminali da embrioni umani46. In particolare, l’organo in questione ha deciso di negare la concessione del brevetto a quelle invenzioni che necessariamente comportino l’uso e la distruzione di embrioni umani47. L’E.P.O., infatti, considerando che l’art. 28 C) del Regolamento di Esecuzione della Convenzione sul Brevetto Europeo (il cui tenore testuale è identico a quello dell’art. 6, comma 2, lett. c), della dir. n. 98/44/CE), «does not mention claims, but refers to “invention” in the context of its exploitation», affermò che «what needs to be looked at is not just the explicit wording of the claims but the technical teaching of the application as a whole as to how the invention is to be performed. Before human embryonic stem cell cultures can be used, they have to be made». Questo ha ostacolato la valorizzazione della ricerca scientifica sui procedimenti sulle colture delle cellule staminali: «a claimed new and inventive product must first be made before it can be used […]. Making the claimed product remains commercial or industrial ex  E. Bonadio, Sistema brevettale ‘TRIPS’ e risorse genetiche. Esigenze commerciali e interessi pubblici, Jovene, Napoli, 2008, pp. 208 ss. 46   European Patent Office, Enlarged Body of Appeal, Decision 25 November 2008, G-2/06 – W.A.R.F., in Riv. dir. ind., 2008, 6, pp. 544 ss. Per una completa illustrazione della vicenda si rimanda a C. Germinario, Brevettabilità delle cellule staminali umane: divieto o legittimazione?, in Dir. ind., 2009, pp. 105 ss., e a M. Scuffi, Il fine terapeutico non salva il brevetto, in Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2008. 47   Decisione reperibile all’indirizzo internet: www.epo.org/topics/news/2008/ 20080617.html. 45

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ploitation even where there is an intention to use that product for further research». Unica eccezione possibile al divieto di brevettabilità fu vista, anche in quell’occasione, nel caso in cui l’invenzione ha una finalità terapeutica o diagnostica che si risolve a vantaggio dell’embrione stesso48 riprendendo il contenuto del considerando 42 dove si evidenzia che «l’esclusione dell’impiego di embrioni umani ai fini industriali o commerciali non riguarda le invenzioni a finalità terapeutica o diagnostica che si applicano e sono utili all’embrione umano, ma l’esclusione della brevettabilità di metodi diagnostici, terapeutici e chirurgici per la cura dell’uomo o dell’animale».

6. Il precedente Brüstle Quanto si è affermato trova conferma nella decisione della Corte di Giustizia con sentenza del 18 ottobre 2011 c.d. caso Brüstle. La questione è stata sollevata tramite rinvio al giudice comunitario da parte del Bundesgerichtshof, Corte federale di giustizia tedesca, chiamato a decidere nel procedimento C-34/2010 sulla domanda proposta dalla Organizzazione Greenpeace, per l’annullamento del brevetto tedesco già detenuto dal Sig. Oliver Brüstle. Tale brevetto ha ad oggetto la produzione di cellule progenitrici neurali, estratte da cellule staminali embrionali, impiegate per il trattamento di difetti neurologici49. 48   Insistono su questo aspetto della decisione 25 novembre 2008 R. Romano, Ownership and Provenance of Genetic Material in the Rules on Biotechnological Patents, in R. Bin – S. Lorenzon – N. Lucchi (a cura di), Biotech Innovation, cit., p. 74, e M. Scuffi, Il caso WARF e la tutela dell’embrione umano, in Riv. dir. ind., 2008, 6, p. 563. 49   L’affermazione che gli embrioni, e contestualmente con essi le generazioni future, hanno «diritto» all’integrità genetica è contenuta per la prima volta nella Raccomandazione del Consiglio d’Europa n. 934 del 1982, la quale, rinviando esplicitamente agli artt. 2 e 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, prevede per essi «il diritto di ereditare caratteri genetici che non abbiano subito alcuna manipolazione». Analoga dichiarazione è contenuta nella successiva Raccomandazione n. 1046 del 1986 dove si parla di un «diritto al patrimonio genetico

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L’ipotesi medica sottesa al brevetto è che l’impianto di cellule progenitrici neurali può rimediare alle anomalie neurali, come il morbo di Parkinson, malattia per la quale sussisterebbero già le prime applicazioni cliniche derivanti della tecnica brevettata. Le cellule progenitrici neurali, però, esistono soltanto nella fase di sviluppo del cervello umano, cosa che imporrebbe l’utilizzo di tessuti celebrali di embrioni umani50. Si tratta di una circostanza estremamente problematica sia per i problemi di natura etica, giacché la tecnica richieda la distruzione degli embrioni donatori delle cellule, sia per il fatto che tale metodo «non consente di far fronte al fabbisogno di cellule progenitrici necessarie per rendere accessibile al pubblico la cura mediante terapia cellulare» (così il par. 17 della sentenza). Il brevetto interviene proprio a risolvere questo problema, permettendo la produzione «in quantità praticamente illimitata di cellule progenitrici isolate e depurate, aventi proprietà neuronali, ricavate da cellule staminali embrionali» (così il par. 18 della sentenza). La legittimità del brevetto, però, è stata revocata in dubbio da Greenpeace. La tesi attorea sosteneva la nullità del brevetto per

non manipolato» e nella Raccomandazione Consiglio d’Europa n. 1100 del 1989, dall’eloquente titolo «Uso degli embrioni umani e dei feti nella ricerca scientifica». Nel caso della sperimentazione sugli embrioni, il conflitto tra il diritto al libero sviluppo della ricerca scientifica, il quale come già ricordato, si pone come un momento primario di evoluzione della collettività e dall’altro la tutela della sicurezza e della stessa sanità pubblica impedisce di abbandonare la ricerca all’attività incontrollata di operatori insufficientemente impreparati a comprendere le conseguenze, a breve e a lungo termine, delle proprie sperimentazioni. Non è semplice privilegiare l’aspetto della ricerca e dell’evoluzione, rispetto ad una tutela dell’identità biogenetica o della sicurezza. Quest’ultima dovrà essere garantita richiamando la comunità scientifica al principio di responsabilità affinché nel suo progredire non attui pratiche dal carattere eugenetico ma lasci impregiudicata la libertà di scelta delle generazioni future, senza rinunciare con ciò all’obiettivo di minimizzare i danni. Vedi in tal senso P. Singer, Ripensare la vita. La vecchia morale non serve più, Il Saggiatore, Milano, 1996, p. 20; R. Dorkin, Il dominio della vita, aborto, eutanasia e libertà individuale, Einaudi, Torino, 1996, p. 128. 50  P. De Coppi, Brevettabilità cellule staminali, in Nature Biotechnology, 2007, 25, pp. 100 ss.

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violazione degli artt. 2, 21 e 22 della legge tedesca sulla protezione della proprietà intellettuale (Patentgesetz, nell’abbreviazione d’uso comune: PatG). In particolare, l’art. 2 del PatG dispone che «non possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni il cui sfruttamento commerciale sarebbe contrario all’ordine pubblico o al buon costume» (comma 1) e in particolare che «non sono concessi brevetti per […] le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali» (comma 2). Osservava, il remittente, che la decisione sulla domanda di annullamento dipende dalla questione se l’insegnamento tecnico di cui al brevetto controverso non sia brevettabile in ragione del cit. art. 2 del PatG, e che la risposta a tale questione dipende a sua volta dall’interpretazione che occorre fare, in particolare dell’art. 6, n. 2, lett. c), della direttiva n. 98/44/CE. La citata disposizione comunitaria prevede che «sono considerati non brevettabili in particolare: […] c) le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali». Ciò premesso, il Bundesgerichtshof rivolgeva alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali relative alla corretta interpretazione del divieto di brevettare «le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali» e precisamente, quale interpretazione dovesse darsi alla nozione di «embrioni umani» di cui all’art. 6, comma 2, lett. c), della dir. n. 98/44/CE; come dovesse intendersi la nozione di «utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali» e se in particolare essa comprendesse anche un utilizzo finalizzato alla ricerca scientifica; se fosse da ritenersi esclusa la brevettabilità di un determinato insegnamento inventivo qualora lo stesso presupponesse l’utilizzo ovvero la distruzione di embrioni umani51. Che si trattasse di una decisione di

  Per una più completa ricostruzione della vicenda si veda V. Altamore, La tutela dell’embrione tra interpretazione giudiziale e sviluppi della ricerca scientifica, in una recente sentenza della Corte di Giustizia europea (C-34/10 Olivier Brüstle c. Greenpeace), in Forum di Quaderni costituzionali, 2 dicembre 2011; R. Conti – R. Foglia, Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche e nozione di embrione umano. Nota a Corte di Giustizia delle Comunità Europee, Grande Sez., 18 ottobre 2011, n. 34, C-34/10, Brüstle v. Greenpeace, in Corriere giur., 2011, 12, pp. 1733 ss. 51

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particolare rilievo si ricava dallo stesso esordio delle conclusioni presentate il 10 marzo 2011 dall’avvocato generale Yves Bot: «Nella presente causa la Corte è chiamata a pronunciarsi, per la prima volta, sulla nozione di “utilizzazione di embrioni umani a fini industriali e commerciali” di cui all’art. 6, n. 2, lett. c)»52. Lo stesso magistrato, peraltro, sottolinea la centralità delle questioni toccate dalla domanda del tribunale tedesco, in quanto quest’ultimo «interrogando […] la Corte sul senso e la portata di questa esclusione […], solleva, in realtà, una questione fondamentale, ossia quella della definizione dell’embrione umano» e, pur avvertendo che «detta definizione dovrà valere soltanto ai sensi della direttiva 98/44, ovvero per le necessità della protezione delle invenzioni biotecnologiche»53, e che non è sua intenzione scegliere fra le «diverse filosofie e religioni»54 che si confrontano sulla questione della definizione dell’embrione, tuttavia non può esimersi dal prendere atto che «la questione presentata alla Corte è certamente una questione difficile. […] La difficoltà intrinseca della questione sollevata si accompagna ad un richiamo, sempre presente in diritto, ma che riveste qui un’incidenza particolare, a nozioni di ordine pubblico, di morale o di etica»55. D’altronde, rileva Bot, lo stesso legislatore comunitario ha ritenuto di dover inserire tali disposizioni in una cornice etica, dal momento che nel sedicesimo Considerando della direttiva viene statuito che «il diritto dei brevetti dev’essere esercitato nel rispetto dei principi fondamentali che garantiscono la dignità e l’integrità dell’uomo»56. «Siffatti riferimenti», conclude, sul punto, Bot, «esprimono adeguatamente che l’Unione non è solo un mercato da regolare, ma che essa ha anche valori da esprimere»57.   Causa C 34/10, Oliver Brüstle contro Greenpeace. Conclusioni dell’Avvocato Generale Bot del 10-3-2011, par. 1, consultabile su http://eurlexeuropa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62010CC0034:EN:NOT. 53   Causa C 34/10, cit., par. 4. 54   Ivi, par. 39. 55   Ivi, par. 45. 56   Ivi, par. 76. 57   Ivi, par. 46. 52

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Si tratta, dunque, di una questione di principio e come tale va affrontata. E ciò, a prescindere sia dalle legittime aspettative delle persone che sperano nei progressi della scienza per alleviare i loro mali58, sia dalle sfide economiche e finanziarie connesse59 alla biotecnologia, perseguendo un’ottica di armonizzazione che includa considerazioni etiche atte ad evitare che il funzionamento economico del mercato dia adito a una concorrenza il cui prezzo sia il sacrificio dei valori sui quali si fonda l’Unione60. Poste tali premesse, l’Avvocato Generale passa ad affrontare il nodo della questione: come arrivare a una definizione di embrione umano che possa ritenersi vincolante per tutti gli Stati dell’Unione? Che sia necessaria una definizione condivisa è evidente: «se si affidasse agli Stati membri il compito di definire la nozione di embrione umano, tenuto conto delle disparità esistenti al riguardo, ne deriverebbe, ad esempio, che un’invenzione come quella del sig. Brüstle potrebbe ottenere un brevetto in alcuni Stati membri, mentre la sua brevettabilità sarebbe esclusa in altri»61. L’avvocato generale invitava a ragionare e la Corte di Giustizia, pur di fronte al pressing mediatico-scientifico62, ha pronunciato il 18 ottobre 2011, relatore il giudice polacco Marek Safjan, una sen-

  Ivi, par. 43.   Ivi, par. 41. Peraltro, l’avvocato generale, intervenendo sul punto, chiarisce anche come esistano altri procedimenti biotecnologici che non pongono alcun problema etico, non comportando la manipolazione o la distruzione di embrioni «sono parimenti ben consapevole dell’importanza delle sfide economiche e finanziarie connesse alle questioni presentate alla Corte. Del resto, vi si è fatto riferimento all’udienza, quando la parte ricorrente ha fatto valere che l’eventuale diniego di brevettabilità rischiava di compromettere la ricerca e la permanenza dei ricercatori in Europa, per evitare che si trasferiscano negli Stati Uniti o in Giappone. Il riferimento al Giappone non mi è del resto sembrato insignificante, in quanto, in questo Stato, i risultati dell’attività del prof. Yamanaka, relativi all’ottenimento di cellule staminali pluripotenti estratte da cellule umane mature prelevate su un adulto, procedimento che non sembra porre alcun problema etico, sono stati oggetto di un brevetto». 60   Ivi, par. 44. 61   Ivi, par. 56. 62   A. Smith, «No» to ban on stem-cell patents, in Nature, International weekly journal of science, 2011, 472/7344, p. 418. 58

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tenza dal dispositivo chiaro, all’esito di un percorso argomentativo dagli effetti potenzialmente deflagranti per molti ordinamenti giuridici degli Stati membri dell’Unione Europea63. Il giudice comunitario avvia, dunque, la sua ricostruzione ermeneutica, partendo dalle finalità perseguite dalla direttiva in esame, incentrate sull’esigenza di favorire le invenzioni biotecnologiche, accordando alle stesse un’adeguata tutela, che, tuttavia, deve tenere in debito conto il limite rappresentato dalla dignità umana. A tale riguardo, dal preambolo della direttiva emerge che, se è vero che quest’ultima mira a incoraggiare gli investimenti nel settore della biotecnologia, lo sfruttamento del materiale biologico di origine umana deve avvenire, pur sempre, nel rispetto dei diritti fondamentali e, in particolare, della dignità umana64. A tal fine, come la Corte ha già osservato, l’art. 5, n. 1, della direttiva 98/44 CE vieta che il corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo, possa costituire un’invenzione brevettabile. Un’ulteriore protezione è fornita dall’art. 6 della direttiva, il quale indica come contrari all’ordine pubblico o al buon costume, e per tale ragione esclusi dalla brevettabilità, i procedimenti di clonazione

63   Secondo il Comitato Nazionale di Bioetica il divieto di brevetto sugli embrioni e sulle cellule staminali embrionali in Europa e quindi non potranno attrarre gli investimenti delle industrie in tale settore. La pronuncia in esame è stata criticata dal genetista Carlo Redi di Pavia secondo cui è «il frutto di un pregiudizio sbagliato e di un’etica falsa», rilevando che «queste ricerche continueranno in Paesi come Usa, Brasile o India». Al riguardo, la parte ricorrente aveva prospettato i rischi, legati all’eventuale diniego di brevettabilità, quali la compromissione della ricerca in Europa ed il trasferimento dei ricercatori negli Stati Uniti o in Giappone, ove sono stati brevettati i risultati relativi all’ottenimento di cellule staminali pluripotenti estratte da cellule umane mature prelevate su un adulto. Si segnala un articolo di A. Morresi, La realtà s’impone: gli embrioni non servono alla scienza, in Avvenire del 19 febbraio 2012, p. 8, che rileva i profili critici legati alla ricerca che distrugge gli embrioni negli Stati Uniti, quali «conflitti di interessi, problemi di governance, e gestione poco trasparente». Tali criticità hanno portato “The Cure Foundation”, istituzione internazionale di lotta contro il seno, a non impegnare fondi per le ricerche che richiedono l’utilizzazione di cellule staminali embrionali. 64   Causa C 34/10, cit., parr. 34-35.

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di esseri umani, i procedimenti di modificazione dell’identità genetica germinale dell’essere umano e le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali. Inoltre, il trentottesimo ‘considerando’ della direttiva precisa che questo elenco non è esauriente e che anche tutti i procedimenti la cui applicazione reca pregiudizio alla dignità umana devono essere esclusi dalla brevettabilità65. Nel richiamare il riferimento al «corpo umano, nei vari stadi della sua costituzione e del suo sviluppo», la Corte si mostra implicitamente sensibile alle argomentazioni dell’avvocato generale, nella parte in cui quest’ultimo invita a prendere atto del dato oggettivo acquisito dalla scienza, e cioè che lo stadio iniziale dell’uomo, di un «corpo umano», non può che individuarsi proprio nell’embrione. Sicché, fra una nozione di embrione, connessa a un determinato stadio di sviluppo, e una nozione rappresentata dalla fecondazione, la Corte opta per quest’ultima, dal momento che solo una nozione ampia, scientificamente fondata, consente di rispettare il limite invalicabile dell’integrità e dignità dell’uomo66. Le questioni pregiudiziali sono state risolte attraverso una interpretazione estensiva del concetto di embrione umano, che comprende anche l’«ovulo umano fin dalla fecondazione», oltre che l’«ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura» e addirittura «qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi». In sintesi, ogniqualvolta vi sia un’unità, anche unicellulare, dalla quale possa prendere avvio il processo di formazione di un essere umano, allora si è davanti ad un embrione umano ai sensi e per gli effetti della direttiva n. 98/44/CE. Determinato l’ambito di applicazione del divieto di brevettabilità, la Corte ne ha precisato l’estensione quanto alla finalità, affermando che il divieto opera anche nel caso in cui l’invenzione di   Ivi, par. 33.  R. Conti – R. Foglia, Protezione giuridica, cit., p. 1733, dove insistono sul fatto che il principio della dignità umana è la chiave di volta per l’interpretazione estensiva dell’art. 6 della Direttiva. 65 66

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cui si richiede la protezione, abbia una «utilizzazione a fini di ricerca scientifica, mentre solo l’utilizzazione per finalità terapeutiche o diagnostiche che si applichi all’embrione umano e sia utile a quest’ultimo, può essere oggetto di un brevetto», cosi come specificamente previsto dal quarantaduesimo Considerando della direttiva n. 98/44/CE. A questo proposito la Corte, pur riconoscendo che lo scopo della ricerca scientifica debba essere distinto, quanto alla sua liceità, dai fini industriali e commerciali, ha ritenuto che esso non possa essere efficacemente separato dalla domanda di brevetto; dunque, non può consentire all’inventore di accedere alla protezione della sua opera. Infine, il Giudice comunitario si è dedicato al procedimento tecnico oggetto del brevetto contestato, statuendo che il divieto della Direttiva n. 98/44/CE esclude la brevettabilità di un’invenzione «qualora l’insegnamento tecnico oggetto della domanda di brevetto richieda la previa distruzione di embrioni umani o la loro utilizzazione come materiale di partenza, indipendentemente dallo stadio in cui esse hanno luogo e anche qualora la descrizione dell’insegnamento tecnico oggetto di rivendicazione non menzioni l’utilizzazione di embrioni umani». La Corte arriva a questa soluzione osservando che il brevetto contestato aveva ad oggetto il trattamento di cellule staminali embrionali, il cui prelievo su un embrione umano nello stadio di blastocisti comporta la distruzione dell’embrione. Anche in questo caso, infatti, vi sarebbe una utilizzazione di embrioni umani, vietata dall’art. 6, comma 2, lett. c), della dir. n. 98/44/ CE, indipendentemente dal momento della distruzione, avvenuto, come era nel caso oggetto della controversia principale, “in una fase ben precedente rispetto all’attuazione dell’invenzione”. Nel caso Brüstle, come si vede, è stato dato ampio spazio ai valori di dignità e di rispetto dell’essere umano e si è insistito molto sul legame tra etica dell’innovazione e etica del brevetto. La Corte, in particolare, ha escluso la brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche, la cui attuazione presupponga il compimento di attività configgenti con il precetto di tutela della dignità umana.

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In tal modo la Corte ha definitivamente smentito la tesi della diversità di piani tra giudizio di liceità dell’innovazione e giudizio di validità del brevetto67, con ciò ponendo le premesse per una più stretta comunicazione tra diritti di proprietà intellettuale e principi costituzionali. L’impiego dei diritti fondamentali in funzione conformativa dei diritti di proprietà intellettuale costituisce probabilmente il passaggio più rilevante della riflessione teorico-pratica dell’ultimo decennio e dischiude prospettive importanti proprio per la tematica dei beni comuni68. Mentre la lettura tradizionale tendeva a risolvere il rapporto tra le due categorie secondo un ideale armonico di mutuo rafforzamento, soprattutto nel senso che la garanzia della proprietà intellettuale rappresenterebbe l’espressione di un diritto umano, l’esperienza applicativa sta oggi dimostrando che l’ipotesi più realistica è quella del contrasto69. Quanto più i regimi d’esclusiva tendono ad espandersi a beni e servizi rilevanti per lo sviluppo umano, tanto più sui diritti fondamentali viene a gravare un indispensabile compito di bilanciamento e neutralizzazione degli effetti distorsivi dei dispositivi dominicali70.

 P. Spada, Liceità dell’invenzione brevettabile, cit., pp. 5 ss.; R. Romano, Brevettabilità del vivente e “artificializzazione”, in S. Rodotà – P. Zatti (a cura di), Trattato di biodiritto, I, cit., p. 589. 68   Cfr. L.R. Helfer – G.W. Austin, Human Rights and Intellectual Property. Mapping the Global Interface, Cambridge University Press, Cambridge, 2011, pp. 92 ss. 69   Cfr. L.R. Helfer, Human Rights and Intellectual Property: Conflict or Coexistence?, in Minn. Int. Prop. Rev., 2003, 5/1, https://scholarship.law.umn.edu/ mjlst/vol5/iss1/2/; G. Resta, Proprietà intellettuale e diritti fondamentali: una relazione ambigua, in Persona, derecho y libertad. Nuevas perspectivas. Escritos en homenaje al profesor Carlos Fernández Sessarego, Motivensa, Lima, 2009, pp. 787 ss. 70   I saggi raccolti nel volume curato da T. Wong – G. Dutfield, Intellectual Property and Human Development. Current Trends and Future Scenarios, Cambridge University Press, Cambridge, 2011; C. Geiger, Constitutionalising Intellectual Property Law? The Influence of Fundamental Rights on Intellectual Property in the European Union, in II C, 2006, p. 371. 67

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L’attenzione delle corti e dell’opinione pubblica si è concentrata su una peculiare tipologia di conflitto: quella tra il regime di sfruttamento delle privative e il precetto di protezione dei diritti umani. I diritti fondamentali vengono invocati in funzione di limiti esterni dei diritti di proprietà intellettuale, al fine di ricondurre l’esercizio dell’esclusiva all’interno dei binari della legalità costituzionale (generalmente attraverso un’interpretazione flessibile degli strumenti interni allo stesso diritto industriale, come la licenza obbligatoria del diritto dei brevetti o le cause di libera utilizzazione del diritto d’autore)71. L’utilità e la potenzialità dell’impiego medico delle cellule staminali embrionali72 impone di verificare se sia possibile un diverso bilanciamento tra la protezione dell’embrione umano e il diritto di ricerca scientifica e di tutela della salute e se tracce di esso siano rinvenibili nelle diverse esperienze giuridiche73.

71   In tema si veda il saggio di G. Van Overwalle, Human rights’ limitations in patent law, in W. Grosheide (a cura di), Intellectual Property and Human Rights. A Paradox, Oxford, Elgar, Oxford, 2007, pp. 236 ss.; al Congresso giuridicoforense, del 17 marzo 2012, S. Rodotà, alla presentazione del libro L’elogio del moralismo (Laterza, Roma-Bari, 2011) sul dibattito relativo alla dicotomia tra tutela dei diritti e crescita economica, ha affermato: «Una ricerca dell’Agenzia dei diritti fondamentali della Ue ha provato che nella crisi economica i diritti soffrono. Vi è una tentazione diffusa dei Governi a comprimerli; in Italia il Parlamento è distratto sul tema fondamentale dei diritti della persona: dunque è essenziale il lavoro congiunto di avvocati e magistrati per colmare il deficit di democrazia». 72   Potenzialità e utilità – a quanto consta – per ora rimaste ineguagliate rispetto all’utilizzo delle cellule staminali c.d. «adulte», nonostante che gli studi di Shinya Yamanaka (dei quali, non a caso, tratta anche l’Avv. Generale Bot nelle sue Conclusioni, par. 41) sulla possibilità di riprogrammare cellule adulte in cellule simil-embrionali staminali potrebbero portare in un breve futuro a non dover più utilizzare le cellule staminali embrionali. Peraltro è stato segnalato in dottrina che alcuni ricercatori hanno affermato «di aver ottenuto singole cellule staminali embrionali derivanti da blastomeri senza danni all’embrione» e «di aver isolato singole cellule staminali embrionali dai fluidi amniotici» scoperte che renderebbero anacronistico il dibattito sulla tutela dell’embrione per l’ottenimento delle cellule staminali; C. Germinario, Brevettabilità delle cellule staminali umane, cit., p. 105 ss. 73   J. Whitehill, Patenting Human Embryonic Stem Cells: What Is so Immoral?, in Brook. J. Int’l L., 2008-2009, 34, p. 1048.

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Una di queste possibilità è quella di considerare che la comunità scientifica dispone di linee di cellule staminali embrionali attive e replicabili, utilizzabili per finalità medico-terapeutiche e di ricerca scientifica. Ciò significa che, pur essendo vero che il brevetto Brüstle necessita della distruzione di un embrione per la sua implementazione, è altrettanto vero che quella distruzione si è ormai verificata e ha reso disponibili allo scienziato (e all’inventore o futuro utilizzatore) linee cellulari attive create in maniera legittima e che ben potrebbero essere portate all’attenzione di un ufficio brevetti come provenienza del materiale biologico utilizzato. Questa sembra essere anche la strada intrapresa dalla legislazione tedesca che pur inserendosi in un ordinamento severamente restrittivo quanto all’uso e alla produzione di embrioni umani, la legge 28 maggio 2002 sulla garanzia della protezione degli embrioni nel contesto dell’importazione e dell’utilizzazione di cellule staminali embrionali umane (Gesetz zur Sicherstellung des Embryonenschutzes im Zusammenhang mit Einfuhr und Verwendung menschlicher embryonaler Stammzellen, BGB1, 2002, I, 2277) consente l’importazione e l’utilizzazione di cellule staminali embrionali per finalità di ricerca, purché le cellule staminali embrionali siano state ottenute prima del 1° maggio 200774 conformemente alla normativa nazionale in vigore nel paese di origine e siano conservate in coltura o stoccate successivamente con tecniche di conservazione criogeniche. La Germania federale in tal modo ha inteso salvaguardare fino dove possibile l’interesse alla ricerca scientifica e alla salute, permettendo la ricerca scientifica sul materiale proveniente dalle linee di cellule staminali già attive75.

  Originariamente la data limite era il 1° gennaio 2002, termine poi prorogato dal Bundestag con una specifica novella alla legge. 75   Il Gruppo europeo sull’etica nelle scienze e nelle nuove tecnologie, in merito all’eticità di invenzioni implicanti l’utilizzo di cellule staminali, ha ritenuto ammissibile, a certe condizioni, il prelievo di cellule staminali di origine fetale o embrionale, oltre che di origine adulta (vd. parere n. 16 del 17 maggio 2002, in www.ec.europa.eu/bepa/european-groupethics/docs/avis16_en.pdf). 74

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Questa possibilità è stata ritenuta praticabile anche nell’ordinamento italiano da chi, condivisibilmente, ha affermato che l’attività di ricerca scientifica sulle cellule staminali legittimamente importate dall’estero non integri il divieto di cui all’art. 13 della l. n. 40 del 200476. È ammesso pertanto l’utilizzo, per l’estrazione di cellule staminali, di embrioni soprannumerari prodotti per le procedure di procreazione medicalmente assistita che non potranno più essere impiegati per quello specifico fine e che vengano liberamente e scientemente donati alla ricerca scientifica dalla coppia che ha fornito i gameti77 per la creazione dell’embrione medesimo. Si tratta di una soluzione che è stata già adottata in numerosi Stati membri dell’Unione Europea78 e che muove dalla presa d’atto che gli embrioni creati in sovrannumero per la fecondazione assistita sono inevitabilmente destinati alla crioconservazione e al lento decadimento. Data questa premessa, l’utilizzo degli embrioni in sovrannumero per finalità di ricerca scientifica legate allo sviluppo di possibilità di trattamento di patologie gravi e incurabili appare senz’altro meritevole e giustifica, specialmente a fronte di una distruzione dell’embrione che è comunque inevitabile, il suo “sacrificio” anticipato. In altri termini, l’impiego per elevate finalità di ricerca biomedica rappresenta «the lesser of two evils and the approach that respects life more genuinely than thawing and destroyng [an embryon]»79. Questa soluzione mostra senz’altro il dovuto rispetto per l’embrione, che, pur non potendo essere accomunato, quale soggetto di dirit-

76   A. Santosuosso, Lettera ai ricercatori, Milano, settembre 2009, in http:// www.unipvlawtech.eu/lettera-ai-ricercatori.html; però R. Bin, La Corte e la scienza, in A. D’Aloia (a cura di), Biotecnologie e valori costituzionali, Giappichelli, Torino, 2005, p. 17, sottolinea che «il divieto [di cui all’art. 13 della l. n. 40 del 2004] colpisce non soltanto la ricerca sugli embrioni prodotti nell’ambito dei tentativi di procreazione assistita, ma anche quella sugli embrioni già esistenti, soprannumerari o importati da altri paesi». 77  M.G. Salaris, Corpo umano e diritto civile, Giuffrè, Milano, 2007, p. 215. 78   J. Whitehill, Patenting Human Embryonic Stem Cells, cit., p. 1072. 79   J.J. McCartney, Embryonic Stem Cell Research and Respect for Human Life: Philosophical and Legal Reflections, in Alb. L. Rev., 2001-2002, 65, p. 615.

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to, alla persona umana vivente, deve essere regolato in una maniera coerente con il fatto che da esso può svilupparsi una vita umana80. In particolare, non vi è, in questo caso, la diretta produzione di embrioni per finalità di ricerca scientifica, circostanza vietata anche dall’art. 18, comma 2, della Convenzione di Oviedo81, in quanto gli embrioni utilizzati sarebbero solamente quelli creati per le procedure di fecondazione assistita e non più utili a tale scopo. In secondo luogo, la previsione di un conferimento volontario, consapevole (dunque nel rispetto del precetto del consenso informato) e gratuito dell’embrione esclude la possibilità di una strumentalizzazione del corpo umano a fini di lucro che è esplicitamente vietata dall’art. 3, comma 2, punto 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Comunque, benché la sentenza della Corte sembrerebbe scoraggiare la ricerca sulle cellule staminali embrionali nell’Unione Europea, teoricamente ha lasciato aperto ad ulteriori valutazioni, in considerazione degli sviluppi della scienza82, il problema di definire un confine netto fra cellule staminali totipotenti83, che sono   J. Grossman, Human Embryos, Patents, and the Thirteenth Amendment, in U. Kan. L. Rev., 2007, 55, p. 741: «The law affords human embryos “respect because of their potential for human life”». Doveroso, per l’ordinamento italiano il riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 27 del 1975, in cui è stata affermata sia la «tutela costituzionale del concepito», sia l’insuperabile diversità tra «il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare». 81   L’art. 18 della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina, fatta a Oviedo il 4 aprile 1997, dispone che «1. Lorsque la recherche sur les embryons in vitro est admise par la loi, celle-ci assure une protection adéquate de l’embryon. 2. La constitution d’embryons humains aux fins de recherche est interdite». La Convenzione ammette la ricerca sugli embrioni soprannumerari: A. Bonfanti, La brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche, cit., p. 217. 82  F. Machina Grifeo, Staminali, no al brevetto quando c’è la distruzione dell’embrione, in Guida al Diritto, Il Sole 24 Ore, 18 ottobre 2011. 83   Nelle Conclusioni presentate il 10 marzo 2011 (Causa C-34/10, cit., par. 41 ss.) l’Avvocato Generale Y. Bot ricorda il brevetto giapponese Yamanaka, «relativo all’ottenimento di cellule staminali pluripotenti estratte da cellule umane prelevate su un adulto, procedimento che non sembra porre alcun problema etico». 80

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innegabilmente escluse dalla brevettabilità, e altri tipi di cellule staminali embrionali, che potrebbero non rientrare necessariamente nell’esclusione. Non possiamo dimenticare che la sentenza della Corte si è basata su un presupposto giustificato dalle conoscenze scientifiche disponibili in quel preciso momento storico e che per la Corte l’estrazione di una cellula staminale da un embrione umano allo stadio di blastocisti comporta necessariamente la distruzione di quell’embrione. Non viene quindi esclusa, indirettamente, la possibilità che una invenzione diretta alle cellule staminali embrionali (tranne le totipotenti) possa diventare brevettabile in futuro se il progresso della scienza dovesse portare a metodi che evitino la distruzione dell’embrione. In tale contesto, la Corte di Giustizia effettua una ulteriore precisazione secondo cui «spetta al giudice nazionale stabilire, in considerazione degli sviluppi della scienza, se una cellula staminale ricavata da un embrione umano nello stadio di blastocisti costituisca embrione umano ai sensi dell’art. 6 n. 2 lett. c) della direttiva n. 98/44. Infatti, considerate individualmente, le cellule staminali embrionali non rientrano in questa nozione, non avendo la capacità da sole di svilupparsi in un essere umano»84. Come era inevitabile attendersi il caso Brüstle ha dato origine a una progressiva sovrapposizione di interventi giurisprudenziali, finalizzati a delimitarne il concreto ambito concettuale, scientifico, e quindi normativo85.

84   La Corte di Giustizia precisa che il Sig. Brüstle, al punto 20 delle osservazioni, qualifica tali cellule col termine «totipotenti» secondo una accezione restrittiva, in modo diverso dalla normativa tedesca che le qualifica «pluripotenti». Al fine di evitare confusione la Corte di Giustizia nelle conclusioni ha utilizzato il termine «pluripotenti» per quel tipo di cellule e come tale non le considera embrioni. In particolare, si riferisce all’art. 1 n. 1 L. del 1990 sulla fertilizzazione e l’embriologia umana del Regno Unito secondo cui «le cellule staminali ottenute a partire da un embrione umano allo stadio dei blastocisti non rientrano nella nozione di embrione umano, sempre a motivo della loro incapacità di svilupparsi». 85  S. Penasa, Opening the Pandora box: la Corte di giustizia nuovamente di fronte alla definizione di “embrione umano”, in QC, 2013, 3, pp. 653 ss.

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7. Ulteriore tassello, utile alla complessiva ricostruzione del puzzle eurounitario dell’embrione L’approccio interpretativo volontariamente prudente avviato nel 2011 con la sentenza Brüstle è stato sostanzialmente confermato il 18 dicembre 2014, nell’ambito di un nuovo procedimento pregiudiziale ex art. 267 TUE, tra la International Stem Cell Corporation e la Comptroller General of Patents, Designs and Trade Marks86. Il caso, sottoposto all’attenzione della Corte di Giustizia, deriva dalla richiesta brevettuale presentata dalla International Stem Cell Corporation (ISCC) 87 di fronte all’organo competente per il Regno Unito, l’Intellectual Property Office (IPO), relativa a invenzioni aventi ad oggetto metodi di produzione di linee di cellule staminali umane pluripotenti derivanti da ovociti attivati mediante partenogenesi. Tale tecnica non comporta la fecondazione dell’ovulo da parte di gamete maschile, ma produce un ovocita umano attivato che si sviluppa in modo analogo ad un embrione umano fecondato, dal quale è possibile ricavare una struttura biologica analoga a quella tipica di un embrione allo stadio di blastocisti, dal quale sono derivabili cellule staminali (punto 22 della sentenza inglese). Investita del caso, la High Court of Justice (England & Wales), Chancery Division (Patents Court), al fine di accertare se quanto affermato nel caso Brüstle risulti adeguato ai progressi della scienza, ha ritenuto necessario accertare, mediante una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia, se i prodotti della partenogenesi possano essere ricondotti nel concetto di embrione umano. In particolare, l’elemento decisivo al fine di risolvere la questione è rappresentato dal significato da attribuire, alla luce dello stato dell’arte e del progresso scientifico, all’inciso «capable of commencing the process of

86   Come noto nel caso Brüstle ha proposto un’interpretazione «ampia» del concetto di embrione umano, all’interno del quale deve essere sussunto anche «[…] qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia stato indotto a dividersi e a svilupparsi» (Causa C-34/10, cit., par. 36). 87   International Stem Cell Corporation (ISCC) v. Comptroller General of Patents, 2013 EWHC 807 (Ch), High Court of Justice, 17 aprile C364/13.

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development of a human being» (punto 36 della sentenza Brüstle), il quale costituisce il nucleo della questione rinviata alla Corte. La corte anglosassone chiedeva in pratica se i derivati embrionali umani ottenuti senza fecondazione dalle cellule uovo, che non possono diventare individui umani completi, andassero trattati come gli embrioni umani ottenuti per fecondazione, che si sviluppano come individui completi. Secondo il giudice inglese infatti, «on the current state of knowledge in the art», il prodotto della partenogenesi e l’ovulo fecondato si distinguono in ogni stadio di sviluppo biologico, a partire dal fatto che dal primo non è mai possibile ricavare cellule staminali totipotenti, a differenza di quanto accade rispetto all’embrione prodotto mediante fecondazione. Alla Corte di Giustizia si chiede pregiudizialmente se «gli ovuli umani non fecondati, stimolati a dividersi e svilupparsi attraverso la partenogenesi, e che, a differenza degli ovuli fecondati, contengono solo cellule pluripotenti e non sono in grado di svilupparsi in esseri umani, siano compresi nell’espressione “embrioni umani”, di cui all’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 98/44». È possibile fondare scientificamente una analogia tra prodotto della fecondazione e prodotto della partenogenesi, fin dalle prime fasi di sviluppo biologico, alla quale ricondurre effetti giuridici analoghi? Se tale presupposto venisse a cadere, risulterebbe irragionevole l’estensione concettuale della definizione di embrione umano anche al caso della partenogenesi. La decisione della Corte è inequivocabile. Soltanto un embrione umano che ha un’intrinseca capacità di svilupparsi in un essere umano ricade sotto i divieti della sentenza Brüstle. E il mero fatto che una cellula uovo umana sia stata attivata partenogeneticamente (senza fertilizzazione) a svilupparsi ovvero a dividersi dando luogo a staminali embrionali, non ne fa un embrione umano. La Corte conferma quindi la natura non essenziale del criterio della fecondazione dell’ovulo, ai fini della qualificazione di una entità biologica come embrione umano. Adotta però l’interpretazione riduttiva proposta dall’avvocato generale secondo cui la «capable of

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commencing the process of development of a human being» deve essere intesa nel senso di «inherent capacity of developing into a human being»88. Come risulta dai dati dedotti nel corso del giudizio, il prodotto della partenogenesi, pur integrando la prima condizione commencing, non soddisfa la seconda developing into, in assenza di un successivo intervento di manipolazione genetica89. Pertanto, un partenote non può essere sussunto alla categoria di embrione umano, fintantoché non esprima «in itself la inherent capacity» di svilupparsi in un essere umano; ma ciò può avvenire esclusivamente a seguito di una ulteriore manipolazione genetica. Secondo la Corte, spetta al giudice del rinvio verificare se, alla luce delle conoscenze sufficientemente comprovate e convalidate dalla scienza medica internazionale90 partenoti umani, come quelli oggetto delle domande di registrazione nel procedimento principale, abbiano o meno la capacità intrinseca di svilupparsi in essere umano. Qualora il giudice del rinvio accertasse che tali partenoti   Questa interpretazione garantirebbe la ragionevolezza del bilanciamento introdotto dalla direttiva, C. Hayes, Stem cell patents: limiting the application of Brüstle?, in Journal of Intellectual Property Law & Practice, 2014, 9/12, p. 952; R. Ferrara, Il diritto alla salute: i principi costituzionali, in S. Rodotà – P. Zatti (a cura di), Trattato di biodiritto, I, cit., p. 61, secondo cui «Ad ogni buon conto, ciò che viene sicuramente ad evidenza è la stretta interconnessione fra il mondo dell’etica (dell’ethos) e quello del diritto (del nomos) e, conseguentemente, fra la scienza e il diritto medesimo […]». Secondo l’Autore, il caso della procreazione medicalmente assistita e le vicende relative alla vita sono espressione della «straordinaria criticità di quelle situazioni complesse nelle quali il bilanciamento e la comparazione degli interessi non sono sempre capaci di fornire risultati pieni e definitivi». Tuttavia, sostiene l’autore i «principi costituzionali che pongono al centro del nostro sistema di valori la tutela dell’uomo, e cioè della persona nella sua dimensione attiva di soggetto artefice e responsabile della propria vita […] sono la bussola e la stella polari capaci di guidare il navigante nel mare procelloso dei concetti e delle idee, ossia nel nostro contemporaneo mondo liquido nel quale il nomos e l’ethos sono certamente destinati non solo a convivere ma a modellarsi reciprocamente». 89   International Stem Cell Corporation (ISCC) v. Comptroller General of Patents, cit., par. 35. 90   Per analogia, Sentenza Smits e Peerbooms C-157/99, 18 maggio 2000, EU:C 2001:404 punto 94. 88

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sono privi di questa capacità, dovrebbe concludere che essi non costituiscono embrioni umani, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), della direttiva 98/44. La soluzione proposta sembra inevitabilmente motivata dalla esigenza di trovare un compromesso tra i diversi orientamenti in materia dei diversi Stati membri sul piano giuridico e ancor di più sul piano etico. Alla luce degli scenari scientifici, che per quanto futuri sono altamente probabili91, è plausibile che la Corte, in mancanza della certezza del diritto da parte del legislatore, dovrà pronunciarsi altre volte sul tema della brevettabilità delle cellule staminali embrionali umane, anche in considerazione del ruolo predominante della giurisprudenza rispetto alla funzione normativa in questa specifica materia. La giurisprudenza sembra essere in grado quindi di tutelare l’apertura della disciplina normativa alle costanti mutazioni della scienza, pur con i prevedibili rischi in termini di uniformità di giudizi e sembra rafforzare un processo che si fonda sul riconoscimento di una funzione normativa dello stato delle acquisizioni tecnico-scientifiche quale elemento connotativo fondamentale della disciplina del fenomeno scientifico92.

8. Il diritto alla salute La sperimentazione incontra sicuri limiti in un interesse costituzionale ben saldo quale la tutela della salute, nelle sue varie e diverse accezioni. È indubbio che l’integrità fisica del singolo debba essere

  Conclusioni dell’Avvocato Generale Bolt presentate il 10 marzo 2011 nella Causa C 34/10, cit., par. 113. Contra FAEH, Judical Activism, the Biotech Directive and Its Instutional Implications:Is the Court Acting as a Legislator or a Court when Defining the “Human Embryo”?, in L. Rev., 2015, pp. 613 ss. 92  S. Penasa, La Corte di Giustizia e la ridefinizione del contenuto normativo di Embrione umano: L’ultima (?) Fase della saga Brüstle, in Quaderni Costituzionali, 2015. 91

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garantita, «con assoluta priorità, […] nei confronti di qualsiasi altra attività umana, compresa quella scientifica»93. Ne consegue che eventuali atti di disposizione del proprio corpo a scopo di ricerca o sperimentazione, non potranno mai comportare una diminuzione permanente ed irreparabile dell’integrità fisica o psichica del soggetto che li dispone94. Con riferimento alle attività sperimentali, saranno perciò ammesse solo quelle che siano funzionali al miglioramento del benessere complessivo del soggetto consenziente, il cui beneficio sia proporzionalmente superiore al potenziale danno collegato all’attività medesima. Il sacrificio dell’integrità fisica del soggetto incontrerà sempre il limite rappresentato dall’indispensabile rispetto della dignità umana e da irreparabili pregiudizi della salute del disponente, che non potrebbe essere danneggiata neanche per tutelare la salute di altre persone, anche qualora queste ultime fossero in grave pericolo. Da ciò consegue che i trattamenti che fossero imposti per fini sperimentali per conseguire, anche se solo come obiettivo intermedio, un avanzamento delle conoscenze scientifiche, devono ritenersi vietati. Da un altro punto di vista, però, è innegabile che il diritto alla salute si atteggi, più che come limite, come volano della libertà di ricerca scientifica. Ed infatti, essa è, spesso, l’unica possibilità per tante persone la cui salute, e la cui vita, sono messe in pericolo da patologie di cui ancora non si conoscono origini e cure appropriate; tali persone, ma anche la collettività in generale, hanno dunque il diritto, anche sulla base del diritto alla salute previsto dall’art. 32 Cost., a che la ricerca scientifica sia ulteriormente sviluppata95.

  L. Chieffi, Ricerca scientifica e tutela della persona. Bioetica e garanzie costituzionali, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1993, p. 142. 94   Secondo una parte della dottrina la garanzia prevista dall’art. 5 c.c., in correlazione con l’art. 32 Cost., si estende, oltre che all’integrità fisica dell’individuo, anche alla tutela della salute psichica; cfr. P. Perlingeri, La tutela giuridica della integrità psichica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1972, p. 768. 95   A. Orsi Battaglini, Libertà scientifica, libertà accademica e valori costituzionali, in Nuove dimensioni dei diritti di libertà. Scritti in onore di Paolo Barile, Cedam, Padova, 1990, p. 98, afferma che in capo ai singoli e alla collettività si configurerebbe un «diritto a che si faccia scienza». 93

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9. Notazioni provvisoriamente conclusive La questione definitoria è ancora lontana dal ritenersi conclusa: Non si tratta soltanto di vedere quelli che sono i limiti che afferiscono a concetti assiologici spesso anche etico morali ma capire l’origine dell’esistenza e fermare il momento in cui si passa dal nulla all’esistente e dal momento in cui si è privi di tutela ad essere degni della tutela. Certo è che il caso Brüstle può essere visto come un positivo tentativo di svincolare la Direttiva 98/44/CE dalla mera funzione di uniformare il mercato e la natura neutrale dei diritti di proprietà intellettuale per aprirsi ai human rights protection e tutelare cosi l’integrità dell’essere umano fin dall’inizio. Esasperare il concetto di neutralità del brevetto cosi come evidenziato nella sentenza Myriad non appare difendibile proprio partendo dalla considerazione che la concessione di un brevetto non è mai (o quasi mai) una questione meramente tecnica96. Per tanto tempo il rapporto tra diritti umani e IPRs è stato inesistente. La dimensione dei diritti umani si presentava complessa, costantemente in fieri, non classificabile per la sua carente tutela giurisdizionale diretta97 e per il loro elevato tasso di incertezza98. Oggi invece sono settori intimamente interdipendenti e il compito dei diritti umani è quello di ponderare gli IPR neutralizzandone gli effetti distorsivi e impedendone l’attuale sbando. In che modo? Implementando i vincoli richiesti per la brevettabilità99 o agendo da limite esterno al diritto di proprietà intellettuale. Come nel caso

  E.R. Gold – R. Carbone, Myriad Genetics: In the Eyes of the policy storm, in NCBI-NIH, 2010, p. 67; C. Chiola, La brevettabilità dei medicamenti: dagli speziali alle multinazionali, in Giur. cost., 1978, p. 682, la tutela brevettuale è uno strumento di promozione della ricerca scientifica, ma non è conditio sine qua non per il suo svolgimento. 97   G. Van Overwalle, Human rights’ limitations in patent law, cit., pp. 236 ss. 98   Si pensi all’utilizzo del meccanismo delle clausole generali ed aperte di «buon costume» e «ordine pubblico» nel settore delle biotecnologie. 99   In particolare il consenso informato, talora interpretato come diritto autonomo o talora diritto accessorio al diritto rispetto alla vita privata (art. 7). 96

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Myriad nel quale si evidenzia il problema della compatibilità con il diritto alla salute. «In questa prospettiva i diritti umani, intesi come limiti esterni, sono necessari alla coerenza del sistema nel suo complesso ma anche per la stessa coerenza interna al sottosistema degli IPR che mantiene le sue premesse e serve meglio agli scopi per cui è stato originariamente pensato»100. Non si può fermare il progresso ma è auspicabile che esso venga incanalato secondo i valori guida condivisi a livello comunitario e di ciascun Paese membro, in modo che alla scienza e all’industria possa fare da contraltare anche il senso etico e morale nella sperimentazione e produzione biotecnologica101. Per dare giusta rilevanza a questa prospettiva bisogna partire dall’assioma della inviolabilità e centralità del diritto alla dignità umana già assunto a livello costituzionale comunitario. Questa centralità suggerisce un monitoraggio costante dell’eticità delle modalità e dei risultati scientifici in modo da rendere la ricerca scientifica applicata coerente con la nuova antropologia fondata sull’Homo Dignus e sulla sua continua lotta per rimanere tale o divenire tale102. Il DNA non è vita, non è la biografia di una persona ma è certo che è la sostanza chimica che fornisce informazioni genetiche che compongono la nostra essenza103. Per ottenere una tutela forte ed essere proprietario dei risultati della ricerca è necessario porre al centro dello spazio giuridico l’individuo, il cittadino ossia la persona nel «suo essere nel mondo» e non nella «sua nuda vita»104.

100  N.A. Vecchio, La brevettabilità del DNA umano, Primiceri, Padova, 2016, p. 194; C. Chiola, La brevettabilità dei medicamenti, cit., p. 682. 101  J. Rifkin, Il secondo biotech: il commercio genetico e l’inizio di una nuova era, Baldini e Castoldi, Milano, 2000. 102  S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, Feltrinelli, Milano, 2012, pp. 179 ss. 103   «Che cosa poi sia la “vita” e in quale momento abbia inizio la “persona” è peraltro una discussione che non avrà mai fine; si tratta infatti di un tema in relazione al quale il pluralismo delle tesi sarà (verosimilmente anche in futuro) irriducibile a unità», P. Veronesi, Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei “casi” e astrattezza della forma, Giuffrè, Milano, 2007, p. 105. 104  S. Rodotà, Il diritto di avere diritti, cit., p. 180.

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Nella costante e in progress ricerca di un compromesso ammissibile tra le ragioni della morale, della politica e del profitto non va dimenticato che una delle più grandi conquiste di civiltà giuridica negli ordinamenti contemporanei consiste proprio nel rispettare la vita, anche dai primi stadi, e della dignità dell’uomo quali valori fondanti dell’intero sistema giuridico105. Nel contempo è importante rendersi conto che le conquiste civili hanno un iter di gestazione lungo e faticoso sicché, su un terreno così scivoloso quale quello delle biotecnologie, è necessario monitorare costantemente le regole giuridiche che riescano a rispondere con maggiore celerità alle esigenze di contemperamento tra i progressi rapidi della scienza e lo stato delle convinzioni morali ed etiche106. A parere di chi scrive la ricostruzione preferibile appare poter essere individuata secondo una lettura costituzionalmente orientata, interpretando e applicando la stessa alla luce dei diritti fondamentali previsti a livello costituzionale nel modello di riferimento. Questo, nell’ottica del perseguimento di due finalità essenziali e strettamente correlate, ossia: a) il contemperamento degli interessi in gioco con i diritti fondamentali, onde evitare che dal conferimento o dall’esercizio delle privative brevettuali possano derivare lesioni dei medesimi; b) l’utilizzo dei diritti fondamentali quali strumenti di limitazione

  In tal senso si pone la questione del «c.d. diritto a non nascere se non sano» in quanto correlato ai profili del diritto alla vita del nascituro in quanto “persona in fieri”». La madre è onerata dalla prova controfattuale della volontà abortiva, ma può assolvere l’onere mediante presunzioni semplici, sulla base non solo di correlazioni statisticamente ricorrenti, secondo l’id quod plerumque accidit, ma anche di circostanze contingenti, eventualmente anche atipiche. Il nato con disabilità non è legittimato ad agire per il danno da «vita ingiusta», poiché l’ordinamento ignora il «diritto a non nascere se non sano». Ammetterlo significherebbe riconoscere il danno nella vita stessa del bambino e l’assenza di danno nella morte, dal momento che il secondo termine di paragone tra le due situazioni alternative, prima e dopo l’illecito, è la non vita, da interruzione della gravidanza, e la non vita non può essere un bene della vita; per la contraddizione che non consente sentenza, Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 25767 del 22 dicembre 2015; Cass. 02.10.2012 n. 16754; Corte Cost. 10.02.1997 n. 35. 106  R. Bodei, Cambiare la vita: bioetica e tecnologie, in Il Mulino, 2001, 394/2, pp. 195 ss. 105

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degli ambiti di “appropriabilità” delle sfere di esclusiva, al fine di riequilibrare un sistema brevettuale che risulta sempre più sbilanciato a favore dei titolari dei diritti. La via d’uscita non può che essere quella di rinvenirsi nel riscoprire una diversa prospettiva fondativa dell’esperienza giuridica contemporanea sollevando il velo di Maya del tecnicismo giuridico per riscoprirne le sue potenzialità: in questa prospettiva quando si voglia definire chi o che cosa sia l’embrione umano (il suo statuto ontologico), è necessario porsi le seguenti domande: –  quando inizia la vita di un essere umano? –  l’embrione è dotato di una identità individuale che lo distingua da qualunque altro ente? –   e se l’embrione è un individuo umano, è anche persona? Rispondere a queste domande è importante, perché le affermazioni di carattere etico (quali sono i doveri nei confronti dell’embrione e quanta tutela gli è dovuta?) e giuridico (l’embrione ha gli stessi diritti di tutti gli altri esseri umani?) presuppongono una verità di carattere ontologico. Per la cultura odierna, che tende a privilegiare il sapere sperimentale delle scienze rispetto al sapere metafisico, la questione dello statuto ontologico dell’embrione umano è semplicemente una questione extra scientifica. Ma a questa tesi si può obiettare che l’uomo non è riducibile a ciò che è scientificamente verificabile e che non sussistono contraddizioni tra statuto ontologico e statuto biologico, perché anche lo statuto ontologico non può prescindere dai dati sperimentali della biologia e della medicina. Proviamo a chiederci che cosa è persona e proviamo a vedere se l’embrione abbia le caratteristiche richieste per essere definito tale. Nella tradizione occidentale, la definizione di persona fa sempre riferimento all’esistenza di speciali tutele e diritti, che essa possiede in virtù della sua natura speciale: la persona è il composto di corpo (umano) e anima (razionale)107. L’uomo è persona perché possiede

  È stato il filosofo latino Severino Boezio ad affermare che la persona è una sostanza individuale di natura razionale, una definizione ripresa poi da Tommaso 107

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una serie di capacità, come la capacità di compiere ragionamenti, di agire liberamente, di comportarsi in modo responsabile. Queste caratteristiche rappresentano la sua essenza. Nel pensiero moderno, l’essere umano non possiede determinate caratteristiche costitutive che fanno di lui una persona, ma, al contrario, deve dimostrare di possederle per essere elevato al rango di persona108. Viene enfatizzato l’aspetto psicologico, scorporando di fatto l’essere umano, soggetto appartenente alla specie Homo Sapiens, substantia materiale dalla persona, substantia spirituale109, individuo in grado di esercitare funzioni fondamentali, superiori. Questo non significa che sia lecito fare degli embrioni ciò che vogliamo, ma che la tutela che abbiamo nei loro confronti deve essere soppesata con gli altri beni che sono in gioco attraverso il possesso della razionalità e la sua capacità di esercizio110. Non è semplice giungere ad una definizione di persona che metta tutti d’accordo, anzi, forse non è proprio possibile. La causa della difficoltà sta nel fatto che la nozione di persona non appartiene al linguaggio scientifico, ma è una nozione filosofica: è proprio quando si oltrepassa il livello dell’analisi sperimentale che le cose si complicano, poiché c’è spazio per le interpretazioni. Pertanto, chi si appella all’argomento scientifico per dimostrare che l’embrione è persona dal concepimento, cade in errore. L’argomento scientifico è la tesi secondo cui le conoscenze scientifiche d’Aquino il quale sottolinea il carattere relazionale del concetto di persona, affermando che «il nome di persona significa direttamente la relazione e solo indirettamente l’essenza», ma, aggiunge, «non però la relazione in quanto relazione ma in quanto significata come ipostasi», Tommaso d’Aquino, Somma teologica. Prima parte, q. 29 (ed. online a cura di T.S. Centi, A.Z. Belloni, 2009). 108  J. Locke, Saggio sull’intelletto umano, Utet, Milano, 1971, p. 394, asserisce che «il termine persona sta per un essere intelligente e pensante, che possiede ragione e riflessione e può considerare se stesso, cioè la stessa cosa pensante che egli è, in diversi tempi e luoghi». 109   Per l’elaborazione del concetto di sostanza in Aristotele, cfr. Metaphysica, Z, 7, 1032b 1-6. 110  M. Mori, Aborto e morale. Capire un nuovo diritto, Einaudi, Torino, 2008, pp. 55-56.

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fornite dalla biologia sono sufficienti a risolvere la questione della natura dell’embrione, nel senso che portano alla conclusione che esso è persona al momento del concepimento, quando si forma il corredo cromosomico. Tale argomento può essere ritenuto insostenibile sia perché non si può ridurre la persona, al suo DNA; sia perché la scienza non può pretendere di risolvere, da sola, un problema che per sua natura è filosofico. Comunque, l’argomento scientifico gode al giorno d’oggi di poco seguito, tant’è che i sostenitori della tutela dell’embrione lo rifiutano esplicitamente: «non spetta alle scienze biologiche dare un giudizio decisivo su questioni propriamente filosofiche e morali, come quella del momento in cui si costituisce la persona umana»111. La persona si colloca in un gradino superiore rispetto all’essere umano, ed è per questo che gode di una speciale tutela, morale e giuridica. Eppure, recentemente papa Francesco, ha ridato vigore all’argomento scientifico, mostrando come una sopravvivenza culturale, talvolta, sia molto dura a morire112. Il discorso del papa coglie un punto saliente del dibattito sulla questione dell’embrione, che sta nella parola uccidere. Dobbiamo domandarci se al momento del concepimento siamo già in presenza di un essere umano che, nei tempi e nei modi giusti, diverrà tale: in questo caso, l’uccisione dell’embrione andrà condannato quale vero e proprio omicidio, facendo appello al diritto alla vita dell’embrione, incondizionatamente, a prescindere dal fatto che possa essere dettato da una giu111  G.M. Carbone, L’embrione umano. Qualcosa o qualcuno?, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2014. 112   Quando tante volte nella mia vita di sacerdote ho sentito obiezioni. «Ma, dimmi, perché la Chiesa si oppone all’aborto, per esempio? È un problema religioso? – No, no. Non è un problema religioso – È un problema filosofico? – No, non è un problema filosofico. È un problema scientifico, perché lì c’è una vita umana e non è lecito fare fuori una vita umana per risolvere un problema. Ma no, il pensiero moderno… – Ma, senti, nel pensiero antico e nel pensiero moderno, la parola uccidere significa lo stesso!», Papa Francesco, Udienza all’Associazione Medici Cattolici Italiani, in Bollettino sala stampa della Santa Sede, 15 novembre 2014, consultabile al sito: http://press.vatican.va/content/salastampa/it/ bollettino/pubblico/2014/11/15/0853/01821.html.

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sta causa, come quella della sperimentazione sulle cellule staminali al fine di diminuire le sofferenze delle persone presenti e future113. L’argomento dell’omicidio parte dall’assunto che l’embrione è persona dalla fecondazione, e può essere sostenuto non solo sulla base dell’argomento scientifico, ma anche utilizzando la nozione di potenzialità, di derivazione aristotelica: la capacità esiste anche prima di essere esplicata o messa in pratica, così che l’embrione, anche se al momento del concepimento non è ancora una persona in atto, è pur sempre una persona in potenza. Ma ancora non è questo qualcos’altro, anche se probabilmente lo diventerà, ma potrebbe anche non diventarlo! Come è facile intuire, alla base del ragionamento, vi è un errore logico, consistente nel fondare diritti attuali su proprietà future. Questo conferma l’idea che al momento della fecondazione non c’è nessuna persona: allo stesso modo, «quando si dice che una ghianda è potenzialmente una quercia, ma non è la quercia»114. Riguardo, poi, al dovere morale di far cominciare ad esistere le persone potenziali, tale obbligo non sussiste. «Dal momento che conduco una vita piacevole e piena di soddisfazioni, ritengo che, per me, iniziare ad esistere sia stato un bene. Ma, iniziare a esistere e non iniziare (mai) a esistere […] sono due tipi di evento molto diversi. Iniziare a esistere accade soltanto alle persone reali, ed è per questo che può certamente essere un bene o un male per le persone a cui accade. Non iniziare (mai) a esistere, invece, accade soltanto alle persone potenziali che non saranno mai reali: è per questo che non può essere in nessun caso un bene o un male, quando accade»115. Ma se si ammette che l’embrione abbia la potenzialità intrinseca di svilupparsi fino a possedere in atto le caratteristiche tipiche delle persone, perché tale diritto non dovrebbe essere riconosciuto anche ai gameti? In condizioni adeguate, queste cellule, che naturalmente

113   M. Mori, La fecondazione artificiale. Una nuova forma di riproduzione umana, Laterza, Roma-Bari, 1995, pp. 56-57. 114  G. Cambiano, Storia della filosofia antica, Laterza, Roma-Bari, 2015, p. 35. 115  K. Hochedlinger et al., Induced pluripotent stem cells generated without viral integration, in Science, 2008, 322, pp. 945-949.

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possiedono il DNA umano, hanno anche il potenziale di svilupparsi in una persona. In altre parole, «l’uso della categoria di potenzialità non consente di arrestarci ad un punto del processo graduale che culmina con la nascita di un essere umano»116, contraddicendo all’argomento logico che cerca di sfuggire al regresso all’infinito. Tutti noi, prima di essere persone, siamo stati embrioni ma siamo stati anche gameti e, prima ancora, cellule staminali, e poi molecole, atomi, e concludere affermando che le cellule staminali debbono essere trattate come persone sembra, almeno a chi scrive, alquanto insensato117.

10. L’equivoco di far iniziare la persona dalla fecondazione Al fine di dimostrare l’inadeguatezza dal punto di vista biologico che l’embrione sia persona dal concepimento anche se continua a rappresentare una prospettiva tipica del senso comune, è necessario riprendere l’analisi secondo cui l’individuo è una entità indivisibile e come tale, se viene diviso, muore118. Pertanto, esiste una stretta subalternità delle parti al tutto, attraverso la quale e per la quale un ente è un individuo se in esso è presente una stretta subordinazione delle parti al tutto. Altrimenti, saremmo costretti ad includere nella classe degli individui una cellula, un individuo, così un organo e diventerebbe impossibile distinguere le parti dell’individuo dall’individuo intero. «Nessuno scienziato, neppure il più convinto assertore dell’importanza dei geni per la vita in generale e per quella umana in particolare, ha mai sostenuto che i geni siano tutto»119. Del resto, il fatto che le persone non siano riducibili al loro DNA è evidente nel caso dei gemelli omozigoti, che possono avere identità molto diverse pur condivi-

 E. Lecaldano, Bioetica. Le scelte morali, Laterza, Roma-Bari, 1999, p. 234.   C. Flamigni, La questione dell’embrione. Le discussioni, le polemiche, i litigi sull’inizio della vita personale, Baldini-Castoldi-Dalai, Milano, 2010, p. 242. 118  M. Mori, Aborto e morale, cit., pp. 55-56. 119  E. Boncinelli, L’etica della vita. Siamo uomini o embrioni?, Rizzoli, Milano, 2008, p. 142. 116

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dendo lo stesso genoma. Inoltre, l’individualità somatica richiede una relazione di subordinazione delle parti al tutto che non è presente nell’embrione precoce, il quale ha dell’individualità solo la caratteristica di essere un ente delimitato da confini netti. Oltre alle ragioni strettamente biologiche, la teoria che fa iniziare la persona dalla fecondazione va incontro a conseguenze paradossali, come il dovere morale di evitare lo spreco naturale di embrioni. La maggior parte degli embrioni che vengono naturalmente concepiti non giunge a completare il percorso dell’annidamento, a diventare feto e poi neonato. Ora, se si dovesse ammettere che alla fecondazione siamo già in presenza di una nuova persona, dovremmo concludere che in natura si realizza una continua violazione del diritto alla vita, «disgrazia naturale» e compito della comunità scientifica sarebbe quello di studiare tutti i modi possibili per favorire l’attecchimento in utero. Per tutte queste ragioni, si potrebbe considerare “persona” solo l’embrione che ha completato il processo di annidamento nell’utero, quando si inizia a stabilire un legame vero e proprio tra l’embrione e la donna120. Comunque, il principio razionale che sta alla base di questa riflessione resta quello «dell’embrione: prima del sesto giorno, se l’identità genetica delle cellule è già determinata, non si può dire lo stesso dell’identità individuale»121. «Senza individualità non c’è persona, e ciò rende lecito il prelievo delle staminali dall’embrione (prima del sesto giorno) per scopi di ricerca. Questo non implica, tuttavia, che esso non abbia alcun valore e che lo si possa trattare come semplice materiale da laboratorio: la liceità della distruzione dei pre-embrioni dipende da ragioni utilitaristiche e dall’accettazione di alcuni principi etici che, nelle civiltà occidentali, sono ormai largamente diffusi e in contrasto con quello di sacralità e totale indisponibilità della vita umana»122.  C. Flamigni, La questione dell’embrione, cit., pp. 19 ss.  M. Mori, Aborto e morale, cit., pp. 61-63. 122   E. Agazzi, L’essere umano come persona, in Per la filosofia, 1992, 25, pp. 28 ss. 120 121

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Nonostante il ragionamento razionale possa andare in altra direzione, dobbiamo convenire con parte della dottrina che dalla prospettiva dell’inizio della persona al concepimento siamo in qualche modo attirati, se non altro perché «nel nostro comune modo di pensare la realtà è rappresentata da cose, cioè da enti dotati di continuità spazio-temporale, delimitate da contorni netti e precisi. Le cose si formano dall’unione o dalla divisione di cose già esistenti»123. Perché si formi la persona non basta che i gameti siano posti nel luogo adatto: questa è una condizione necessaria, ma non sufficiente, poiché il processo teleologico è ancora molto indeterminato e lontano dallo scopo, per cui può darsi che non avvenga nessuna fecondazione, mentre moltissimi pre-embrioni si perdono. Se questi eventi vanno a buon fine e l’embrione riesce a completare l’annidamento in utero, il processo si fa più definito, caratteristica che diventa sempre più evidente con il trascorrere del tempo gestazionale. Riflettere su questo ci è utile per avere consapevolezza del fatto che il nostro intuito può essere ingannevole, portandoci a mal interpretare un processo biologico. Ma non solo, poiché rappresenta anche una conferma della debolezza dell’argomento di potenzialità. Affermare che la blastocisti ha il potenziale per diventare una persona, e che per questo merita il suo stesso valore morale, implica l’attribuzione di un significato molto ampio al termine potenziale, maggiore di quello realmente compreso nella sua definizione124. Dopo cinque-sei giorni dalla fecondazione, la blastocisti non ha nessuna somiglianza fisica con una persona, non è un individuo,

 S. Agosta, Tra regole tecnico-scientifiche e trattamenti medici: quel che resta per le fonti del diritto al tempo delle biotecnologie, in P. Bonetti et al. (a cura di), Spazio del potere e spazio della tecnica nella tutela dei diritti sociali, Aracne, Roma, 2014, pp. 31 ss. 124   A. Massarenti, Staminalia, le cellule “etiche” e i nemici della ricerca, Guanda, Parma, 2008, pp. 63-64: una blastocisti ha un potenziale piuttosto scarso di diventare una persona, equiparabile a quello di una ghianda di diventare una quercia. Ma una quercia e una ghianda non sono la stessa cosa, nemmeno dal punto di vista morale: pestare con il piede una ghianda è un qualcosa di molto diverso dall’abbattere una quercia secolare! 123

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non ha il possesso della razionalità: l’unico motivo di somiglianza con una persona è il possesso del DNA umano. Ma questo basta per renderla moralmente equiparabile ad un bambino? Certamente no. Affinché si possa attribuire lo stesso valore morale a due entità, partendo dal presupposto che la prima ha il potenziale di diventare la seconda, è necessario che il grado di probabilità che ciò si verifichi sia sufficientemente elevato. Ma una blastocisti ha ben poche possibilità di completare l’annidamento in utero, e molta strada da fare prima di trasformarsi in una persona: il processo che conduce dalla blastocisti all’uomo in atto non è garantito, non ha un carattere deterministico, non è tale da escludere incidenti di percorso o esiti alternativi. Ma se non è al concepimento, in quale momento del suo sviluppo l’embrione può iniziare a dirsi una persona? Stabilirlo non è affatto semplice, anche perché lo sviluppo dell’embrione è un processo graduale, privo di nette linee di confine tra un momento e l’altro. E poi, come puntualizza Boncinelli, «se le cellule presenti nella blastocisti fossero già un embrione o fossero irreversibilmente avviate ad esserlo, non servirebbero nemmeno come cellule staminali. Sono invece utili proprio perché non sono un embrione»125. Una riflessione forse banale, ma spesso sottovalutata. Ecco allora che con questi presupposti si ravvedono segnali di una timida ed embrionale metamorfosi dell’originario interesse individuale alla ricerca scientifica verso la sua speculare dimensione, per così dire, collettiva. Da una prospettiva precipuamente giuridica avvallata da una interpretazione giurisprudenziale progressivamente sviluppatasi nel corso degli anni, «in diverse circostanze la tutela della libertà ‘negativa’ del cittadino privato si è progressivamente estesa sino alla protezione degli interessi della collettività che dell’esercizio di quel diritto avrebbe potuto beneficiare, e che gli interessi della collettività ben possono concretarsi alla fine nel diritto di ogni suo membro»126.  E. Boncinelli, L’etica della vita, cit., pp. 158-159.   E. Cheli, Libertà di informazione e pluralismo informativo negli indirizzi della giurisprudenza costituzionale, in A. Pisaneschi – L. Violini (a cura di), Pote125

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Una vigorosa accelerazione a quel lento, seppure probabilmente fisiologico, processo di progressiva collettivizzazione dell’interesse alla ricerca scientifica l’ha probabilmente impressa la rivoluzione biologica. Si è iniziato ad assistere alla prima timida, apertura verso una dimensione anche collettivistica della richiamata pretesa alla ricerca, intesa anche come «diritto a che si faccia scienza»127.

11. Le nuove frontiere La notizia della creazione del primo embrione completamente artificiale è divenuta alla fine realtà128. Non è umano, è di topo, è artificiale perché ottenuto da cellule staminali e non dall’unione di un ovocita e di uno spermatozoo. L’embrione artificiale, che i ricercatori hanno chiamato “blastoide”, è una sferetta costituita da un involucro esterno chiamato trofoblasto e da una struttura interna da cui nascerà il futuro organismo. I ricercatori l’hanno rappresentata in 3D usando i lego: verdi per l’involucro e rosse per la struttura interna da cui nascerà l’organismo. Per promuovere l’auto-organizzazione delle cellule staminali, i ricercatori hanno sviluppato cellule staminali embrionali e trofoblastiche dai topi, in modo indipendente, in laboratorio. Le cellule staminali embrionali possono formare l’intero embrione e le cellule staminali del trofoblasto possono formare l’intera placenta. Combinandoli in un rapporto specifico e stimolandoli con un cocktail di molecole, hanno iniziato a comunicare e auto-organiz-

ri garanzie e diritti a sessanta anni dalla Costituzione. Scritti per Giovanni Grottanelli de’ Santi, Giuffrè, Milano, 2007, I, pp. 1405 ss.; J. Le Fanu, Ascesa e declino della medicina moderna, Vita e Pensiero, Milano, 2005, p. 14; L. Tundo Ferente, La bioetica fra agire etico e agire tecnico, in Id. (a cura di), Etica della vita: le nuove frontiere, Dedalo, Bari, 2006, p. 9. 127   Così A. Orsi Battaglini, Libertà scientifica, cit., p. 11. 128   La ricerca, condotta in Olanda, nell’Istituto di Medicina rigenerativa del­ l’Università di Maastricht, dal gruppo guidato da N.C. Rivron è stata pubblicata sulla rivista Nature: N.C. Rivron et al., Blastocyst-like structures generated solely from stem cells, in Nature, 2018, 557, pp. 106 ss.

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zarsi. Questo ha permesso la creazione di una struttura simile ad un embrione che ricorda da vicino un embrione naturale. Al momento, possono impiantarsi nell’utero, moltiplicarsi e differenziarsi per produrre tipi di cellule che sono note. Ad esempio, le cellule del trofoblasto attirano i vasi sanguigni della madre, si fondono con loro e stabiliscono la prima connessione che irriga l’embrione con il sangue della madre. Tuttavia, non sono stati ancora trovati tutti gli anelli della catena e si stanno cercando le strade di ricerca per capire questi primi processi e stimolare ulteriormente lo sviluppo. È indiscutibile che i blastoidi renderanno possibile eseguire screening genetici o farmacologici e generare materiale sufficiente per analisi genetiche profonde. Stabilire un percorso perfetto per lo sviluppo dell’embrione ha conseguenze molto importanti e a lungo termine ed è un’enorme leva per prevenire problemi di salute globale. Per la prima volta, sarà possibile studiare questi fenomeni nella loro specificità e gestire gli screening dei farmaci per trovare medicinali che potrebbero prevenire l’infertilità, trovare contraccettivi migliori o limitare l’aspetto dei segni epigenetici che appaiono nei blastocisti e che possono portare a malattie durante la vita adulta. Nonostante questi successi i blastoidi non sono l’equivalente completo degli embrioni. Sì, sono molto simili nella forma e nell’espressione genica, ma non sono identici; in realtà sono leggermente meno organizzati rispetto alla realtà e non diventerebbero mai realmente un feto praticabile. Le applicazioni sono di là da venire, ma si può immaginare, in un futuro lontano, un bambino nato da un insieme totalmente artificiale. Non è comunque questo l’obiettivo della scoperta: l’esperimento è fondamentale per «comprendere i meccanismi dell’infertilità che nasce da un difetto nell’impianto dell’embrione» e per «andare a capire i geni che regolano lo sviluppo» e permettere di avere «una visione di quali relazioni, componenti e sinfonie di geni devono entrare in gioco nello sviluppo embrionale»129. Allo stato attuale, si sa

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  Y. Shao et al., A pluripotent stem cell-based model for post-implantation

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molto poco sullo sviluppo delle cellule staminali durante il primo periodo di gravidanza. I primi embrioni non sono solo minuscoli – il diametro di un capello – ma sono anche virtualmente inaccessibili nel grembo materno. Questi embrioni artificiali possono essere formati in gran numero e studiati nel dettaglio, consentendo ai ricercatori di comprendere a fondo il processo di sviluppo embrionale precoce. Questa scoperta raccoglie l’eredità della nascita del primo bambino in provetta e della clonazione della pecora Dolly e costituisce un ulteriore passo in avanti verso la comprensione del linguaggio che rende possibile la vita, fatto di geni e proteine. Così l’embrione artificiale si aggiunge a embrioi­di, embrioni sintetici, entità simili agli embrioni130. Tanti nomi ma le questioni centrali rimangono le stesse. Dovremmo coltivare repliche di embrioni in un vetrino di laboratorio? E se sì, quanto sarà esatto l’esatto? Secondo alcuni «arrivano embrioni umani artificiali e nessuno sa come gestirli»131. Nel 2016 il Comitato per la ricerca sulle cellule staminali embrionali di Harvard ha convocato un simposio di bioeticisti, analisti politici e scienziati nazionali ed internazionali per esaminare la regola dei 14 giorni, una linea guida etica applicabile allo sviluppo human amniotic sac development, in Nature Communications, 2017, 8/208, www. nature.com/articles/s41467-017-00236-w. 130   Yue Shao dell’Università del Michigan e un team di ricercatori hanno riportato l’auto-organizzazione di cellule staminali pluripotenti umane in un sacco embriodico amniotico che sembrava imitare un embrione umano. In una dichiarazione di etica che accompagna l’articolo, i ricercatori hanno chiarito che il modello embrioide non aveva «forma o potenziale di organismo umano», in quanto mancavano elementi chiave di un embrione naturale (ibidem). M. Zernicka-Goetz, biologa dello sviluppo dell’Università di Cambridge, ha guidato il lavoro che ha portato alla creazione di un embrione di topo artificiale, un risultato che sperano di replicare con le cellule umane: S.E. Harrison et al., Assembly of embryonic and extraembryonic stem cells to mimic embryogenesis in vitro, in Science, 2017, 356/6334, doi/10.1126/science.aal1810. 131   A. Regalado, Artificial Human Embryos are Coming and No One Knows How to Handle Them, in MIT Technology Review, September 19, 2017, www. technologyreview.com/s/608173/artificial-human-embryos-are-coming-and-noone-knows-how-to-handle-them.

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di embrioni artificiali, nel contesto delle tecnologie emergenti come la creazione di embrioni sintetici132. Ora come dovremmo riflettere su questa materia che si sviluppa al di fuori del processo naturale dell’embriogenesi? In generale, quando i comitati di controllo etico stanno riesaminando le nuove scoperte o nuove ricerche che sollevano preoccupazioni etiche, iniziano con «per quale ragione» e «in che modo». La domanda del perché è divisa in due parti: perché questa indagine scientifica è necessaria e perché è necessario questo approccio. Alla domanda del perché la riproduzione di un embrione umano in una piastrina di laboratorio gli scienziati rispondono che i risultati della ricerca permetteranno per la prima volta di studiare da vicino e in modo immediato un organo straordinariamente importante della riproduzione, ossia la placenta e di comprendere le primissime fasi di formazione di un essere umano inaccessibili all’osservazione e quindi avvolte nel mistero133. Ciò che può essere appreso da tale studio potrebbe rivelarsi utile e preziosissimo, al fine di comprendere la gravidanza e le sue complicanze, lo sviluppo umano e forse anche le origini primitive delle malattie. Per quanto riguarda la seconda parte del motivo, la creazione di modelli di embrioni da utilizzare nella ricerca potrebbe essere preferibile allo studio di embrioni reali. Raffigurare le funzioni del genere umano è da tempo parte fondamentale delle indagini scientifiche. I modelli sono sempre stati utilizzati da ricercatori e clinici come strumento per testare le teorie e perfezionare le metodologie prima di procedere alla loro applicazione sui pazienti.

  The Ethics of Early Embryo Research & the Future of the 14-Day Rule: a symposium on November 7th and 8th of 2016 – The Harvard ESCRO, along with the Petrie-Flom Center for Health Law Policy, Biotechnology, and Bioethics, the Edmond J. Safra Center for Ethics, the Center for Bioethics at Harvard Medical School, the International Society for Stem Cell Research, the Harvard Stem Cell Institute, and the Harvard University Office of the Vice Provost for Research, convened to explore issues related to the responsible conduct of research with synthetic human embryos. 133   A. Regalado, A New Way to Reproduce, in MIT Technology Review, August 7, 2017, www.technologyreview.com/s/608452/a-new-way-to-reproduce. 132

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I modelli di embrioni sviluppati attraverso l’applicazione di tecniche ingegneristiche e l’uso di cellule staminali pluripotenti umane possono essere visti come una prossima reiterazione di tali modelli per meglio approssimare la forma e la funzione umana134. Oltre il perché, sorge la necessità di affrontare il problema del come. In che modo la ricerca che coinvolge i modelli embrionali può andare avanti in modo eticamente corretto? Utilizziamo l’ordine etico degli embrioni presenti in natura su queste nuove entità? I laboratori di ricerca sembrano applicare la regola dei 14 giorni a questi modelli di embrioni135. Ciò presuppone che lo stesso modello etico applicabile agli embrioni possa applicarsi a questi modelli. Tuttavia, gli embrioni creati artificialmente debbono essere impregnati dello stesso status morale degli embrioni presenti in natura136? Una valida soluzione potrebbe essere quella di applicare lo stesso trattamento etico di tali modelli a ciò che è noto o conoscibile in merito alla capacità di svilupparsi e di assumere caratteristiche umane che possono conferire uno status morale137. Ma un modello embrionale strutturalmente e funzionalmente completo dovrebbe essere trattato diversamente da un modello strutturalmente e funzionalmente incompleto o dovremo attribuire lo stesso valore etico? Come asserzione generale, più è esatta la replica più è utile per lo studio e la comprensione. Alcuni ricercatori affermano che il loro obiettivo è quello di modellare, in vitro, lo sviluppo umano, e quindi dovrebbe essere il più preciso possibile e il più completo possibile138.

134   M. Condic, Alternative sources of pluripotent stem cells: altered nuclear transfer, in Cell Proliferation, 2001, 41, pp. 7 ss. 135   H. Devlin, Cambridge scientists create first self-developing embryo from stem cells, in The Guardian, March 2, 2017. 136   P. Monahan, Why This Lab-Grown Human Embryo Has Reignited an Old Ethical Debate, in Science, May 4, 2016, www.sciencemag.org/news/2016/05/whylab-grown-human-embryo-has-reignited-old-ethical-debate. 137   I. Hyun, Engineering Ethics and Self-Organizing Models of Human Development: Opportunities and Challenges, in Cell Stem Cell, 2007, 21/6, pp. 718 ss. 138   A. Brivanlou, My goal is to maximize the modeling, in vitro, of human development. Therefore, we would like to be as accurate as possible and as complete as possible, in MIT Technology Review, September 19, 2017.

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Altri sostengono che tale esattezza porti alla confusione morale e quindi dovrebbe essere evitata. Ritengono che i modelli embrionali «volutamente incompleti» non sollevino le preoccupazioni etiche di modelli di embrioni umani più biologicamente completi e l’uso di tali modelli incompleti può eliminare la necessità di creare e utilizzare modelli esatti139. Si potrebbe però creare l’embrione sintetico e non impiantarlo in un utero per ulteriori sviluppi, e allora potremmo concludere che è eticamente irrilevante che il modello embrionale sia considerato strutturalmente e funzionalmente completo. Le analisi future potranno aiutarci meglio in questa comprensione scientifica dello sviluppo embrionale precoce che sta procedendo a un ritmo molto rapido e le ulteriori analisi potrebbero stabilire una etica collettiva condivisa e superare le divergenze su ciò che dovrebbe, invece, essere considerato ethically correct way. In una società multietica, il diritto, soprattutto in materie delicate come la bioetica, non può lasciarsi invischiare in rigide e sterili procedure formali fini a se stesse, refrattarie, cioè, ai plurali e mutevoli contenuti assiologici effettivamente vigenti. Al contrario, l’ordine giuridico deve rispettare i diversi sentire, agevolando al suo interno nuovi strumenti di dialogo inclusivi e non livellarsi su una maggioranza che rappresenti un insoddisfacente minimo etico140. Pertanto, occorre respingere un modello di

  J. Aach et al., Addressing the ethical issues raised by synthetic human entities with embryo-like features, in eLife, 2017, doi.org/10.7554/eLife.20674. 140   In questa direzione T. Rapisarda, La diagnosi preimpianto tra autodeterminazione ed etica precauzionale, in Diritto e religioni, 2008, 2, pp. 662 ss., con riferimento alla legge n. 40, suggerisce: «Orientamenti anche assai distanti possono sicuramente confrontarsi, senza giungere a quel conflitto ideologico basato sulla presunzione del possesso della verità. D’altronde i dilemmi morali sono terribili proprio perché bisogna scegliere fra oggetti di eguale valore, fra doveri egualmente giusti […]. Allora, la scelta etica non può che essere dialogica perché nel ragionamento etico e nel processo di ponderazione entra il punto di vista dell’altro, che viene preso in considerazione come possibile interlocutore con il quale l’agente morale interagisce nella situazione concreta. Certamente il contesto culturale dovrebbe essere il più ampio possibile, al fine di favorire un riconoscimento della normativa e un’interpretazione più equilibrata e largamen139

MANIPOLAZIONE DEL VIVENTE, PROFILI BIOETICI

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mero appiattimento tra etica (preponderante) e diritto e fare ricorso invece a un attento schema di interrelazione tra i diversi principi morali e la legge civile, che però mantenga sempre chiara la loro distinzione finalistica. In altri termini, il diritto non può «definitivamente consegnarsi a nessun[a] etica specifica […] (principio di non identificazione o di distinzione), ma deve adoperarsi per sviluppare ed irrobustire sempre più un proficuo sistema di raccordi con e tra le molteplici visioni del mondo e della vita presenti nel medesimo campo di vigenza materiale (principio di complementarità), anche per il tramite di una estesa e robusta rete di procedure partecipative, ben calibrate e viabili»141. La saggia reiterazione di questo equilibrato rapporto di complementarità/differenziazione tra un forte pluralismo etico e un più giusto diritto liberal-democratico non può, quindi, che essere retto dal principio supremo di laicità dello Stato. Oggi, quindi, «quanto si specifica nel dettato di una legge […] va soggetto a continue (anche esogene e ‘palingenetiche’) ridefinizioni. Esse sono imposte dalle brecce aperte nei confini nazionali dagli inarrestabili flussi della mondializzazione e dalle incalzanti interferenze, sui contenuti, i ritmi e le configurazioni proprie dei rapporti sociali, indotte dal vertiginoso (a volte virale!) progredire delle tecnologie. Tutto ciò comporta un ripensamento dello stesso modo di porsi del diritto in seno alla società divenuta sempre più complessa ed instabile»142. Per far ciò il diritto dello Stato laico dovrebbe formulare risposte normative alle nuove istanze sollevate in ambito bioetico declinando il maggior numero di etiche particolari presenti nella società in una prospettiva accettabile da tutti, credenti, non credenti e diversamente credenti, alla luce dei criteri-guida presenti nella Carta costituzionale.

te condivisa, privilegiando un percorso di approfondimento, di confronto e di graduale inclusioni». 141  S. Berlingò, Ordine etico e legge civile: complementarità e distinzione, in Iustitia, 1996, p. 226. 142   S. Berlingò, Mediazione, diritto e religioni: la laicità in una società complessa, in Quad. dir. pol. eccl., 2020, n. spec. Daimon, p. 13.

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CAPITOLO III

Tali principi giuridici fondamentali, ricavabili anche dalla Costituzione materiale, non sono, infatti, eticamente circoscritti a una «famiglia» culturale specifica ma sono oggettivamente civili e, quindi, comuni a tutti i concive143.

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p. 25.

  Cfr. F. Freni, in Rivista telematica (https://www.statoechiese.it), 2022, 8,

Quaderni dell’Archivio Giuridico Sassarese Collana di studi giuridici diretta da Giovanni Maria Uda

1. Stefania Fusco, Specialiter autem iniuria dicitur contumelia. 2. Iole Fargnoli (a cura di), «Heimat di tutti i giuristi». Il contributo di Philipp Lotmar al diritto romano. 3. Rosanna Ortu, Il ruolo giuridico delle Vestali tra immunità e processo. 4.  Maria Teresa Nurra, La legittima difesa nel sistema del diritto privato. 5. Rosanna Ortu, Dal diritto romano al diritto brasiliano. Fondamenti romanistici della disciplina sui vizi occulti nel contratto di compravendita. 6. Tania Bortolu, Le comunità familiari “formalizzate”: evoluzione e disciplina. Un’indagine comparatistica. 7. Francesco Meglio, Sul contenuto c.d. «negativo» del testamento tra formula descrittiva e categoria precettiva. 8. Antonio Riviezzo e Roberto Borrello (a cura di), Il governo dell’economia e la comunicazione pubblica ai tempi del Covid-19. La prospettiva giuridica. Seminari seno-turritani. Atti del Convegno del 28 maggio 2021. 9. Claudio Colombo e Luigi Nonne (a cura di), La parte generale del contratto nella giurisprudenza della Cassazione civile. 10. Antonella Nurra, Brevettabilità del vivente. Principi deboli e interessi forti. I comportamenti umani sul patrimonio genetico tra questioni giuridiche ed etiche.

Quaderni dell’Archivio Giuridico Sassarese | 10 Collana diretta da Giovanni Maria Uda

La scoperta dei principi genetici che regolano lo sviluppo della persona umana, hanno aperto nuovi orizzonti all’intervento dell’uomo nella predeterminazione delle caratteristiche morfologiche e chimico-fisiche della vita in ogni sua forma. Da una parte non si conoscono le cause delle mutazioni spontanee in natura, dall’altro si è trovato il modo di provocarle. Ciò ha fatto nascere l’esigenza di ricercare i confini dell’agire umano al fine di evitare disordini del regolare corso delle leggi della natura. Un punto da chiarire è statuire che la bioetica non può valutare la liceità o non liceità delle biotecnologie e di conseguenza della tutela brevettuale, essendo le biotecnologie e il sistema brevettuale, concettualmente neutri. Tutt’al più, è da stabilire chi, come e quando, si dovrà occupare dell’applicazione tecnica fissando i principi attraverso i quali stabilire la liceità o meno della singola invenzione in riferimento al suo uso. Tra le argomentazioni contro l’Ingegneria Genetica vi è il rifiuto di modificazione dell’ordine precostituito. Questa analisi appare non consapevole del passato agire dell’umanità, con il risultato di porre un rifiuto pregiudiziale a tutto ciò che apre nuove incognite per il futuro dell’uomo. Allora, se un criterio si vuole trovare per la determinazione del brevettabile, potrebbe essere quello del rispetto della dignità umana?

Antonella Nurra, funzionario amministrativo presso I.N.A.I.L, è cultrice di diritto privato comparato nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Sassari, dove ha conseguito il titolo di Dottore di ricerca in Diritto ed Economia dei Sistemi Produttivi. È autrice di contributi su libri e riviste giuridiche.

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ISBN ebook 9788855293730