Biblioteche e biblioteconomia. Principi e questioni 8843040715, 9788843040711

Il volume affronta le principali questioni che sono oggi al centro del dibattito internazionale in ambito biblioteconomi

437 114 5MB

Italian Pages 485/490 [490] Year 2013

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Biblioteche e biblioteconomia. Principi e questioni
 8843040715, 9788843040711

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La biblioteca come luogo del sapere e la biblioteconomia come scienza si sono dovute misurare con le numerose trasformazioni determinate dall'evoluzione tecnologica che ha investito modi e strumenti di trasmissione della conoscenza. Alle biblioteche non è più semplicemente assegnato il compito di raccogliere libri, catalogarli e gestirne prestito e conservazione, ma anche quello di realizzare una vera e propria attività editoriale, riappropriandosi di un ruolo che era stato degli scriptoria medioevali, attraverso processi di digitalizzazione e di promozione di pubblicazioni e archivi open access, configurandosi, dunque, come istituzioni capaci di costruire ed organizzare il sapere. Il volume, rivolto a studiosi, studenti e bibliotecari, presenta una trattazione organica e aggiornata delle principali questioni che investono il mondo delle biblioteche e delle tendenze in atto a livello internazionale. Affrontando gli argomenti in chiave problematica e non prescrittiva, gli autori dei saggi intendono stimolare riflessioni e discussioni su questioni e realtà attraversate da cambiamenti profondi ma, proprio per questo, affascinanti e complesse. Giovanni Solimine insegna alla Sapienza Università di Roma, dove è anche presidente del Sistema bibliotecario di ateneo. Paul Gabriele Weston insegna all'Università degli studi di Pavia e alla Scuola vaticana di biblioteconomia, dopo aver lavorato alla Biblioteca Apostolica Vaticana.

€ 50,00

BENI

CULTURALI

/

3I

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele II ,

229

00186 Roma, tel o6 42 81 84 17, fax o6 42 74 79 31

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Biblioteconomia: prtnctpt e questtont .

.

.

.

.

A cura di Giovanni Solimine e Paul Gabriele West o n

Carocci editore

Il testo è corredato da materiali consultabili on line sul nostro sito Internet

4" ristampa, gennaio 2013 1 edizione, marzo 2007 ©copyright 2007 by Carocci editore S.p.A., Roma •

ISBN

978-88-430-4071-1

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art.

171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

I.

Presentazione

I5

Assetto istituzionale e normativa delle biblioteche italiane

I9

di Paolo Traniello r.r. I .2 . I.3. I .4. I .5 . r .6. I . 7.

2.

Premessa: biblioteca, diritto privato e diritto pubblico Biblioteca e istituzione Pluralità degli ordinamenti giuridici e sistema delle autonomie L'esercizio della potestà statale in campo bibliotecario Le biblioteche nell'ordinamento regionale L'istituzione bibliotecaria negli ordinamenti locali Conclusione

I9 2I 23 25 33 36 37

Letture complementari

38

La costruzione delle raccolte. Teorie e tecniche per lo svilup­ po e la gestione delle collezioni

39

di Maurizio Vivarelli 2.I. 2.2.

Inquadramento generale I fondamenti teorici Definizioni Progettare le collezioni Le procedure biblioteconomiche 2.5.1. La fisionomia documentaria l 2.5.2. I documenti programmatici e di lavo­ ro l 2.5.3 Le procedure di selezione e acquisizione l 2.5+ La revisione l 2.5.5. Le competenze professionali

2 .6. 2 . 7. 2.8. 2 . 9.

Le collezioni e gli spazi della biblioteca La valutazione dell'uso La lettura tra domanda e offerta Prospettive Letture complementari 7

39 4I 43 44 45

MANL'ALE DI BIBLIOTECON OMIA



3·!. 3 . 2. 3·3· 3 ·4· 3 ·5 · 3 . 6. 3 · 7·

L'identità della biblioteca: obiettivi e servizi

6I

di Chiara Rabitti Introduzione Il servizio di biblioteca Biblioteca, beni culturali, conservazione e fruizione Dall'iter del libro al ciclo dei servizi Progettare il servizio Gestire il servizio Tipologie di servizi al pubblico

6I 62 63 65 68 70 74

3.7.1. Servizi "nuovi" e "vecchi" l 3.7.2. Servizi gratuiti e servizi a pagamento l 3·7·3· Servizi ordinari e servizi speciali l 3·7+ Servizi per fasce d'età l 3·7·5· Servizi in sede e remoti l 3 ·7.6. Servizi generali e aggiuntivi



Letture complementari

79

La cooperazione interbibliotecaria: rapporti di sussidiarietà e di gestione dei sistemi

8I

di Ornella Foglieni 4· ! . 4.2. 4·3·

Introduzione Definizioni Problematiche d'ambito

8I 82 83

4·3·I. Evoluzione nella cooperazione in Italia e all'estero

4·4· 4·5 · 4.6. 4-7 · 4.8. 4·9· 4. I O



5·!. 5.2. 5 ·3 · 5 ·4· 5 ·5 · 5 . 6. 5 ·7·

Le forme di gestione dei sistemi bibliotecari locali e dei sistemi metropolitani Altre esperienze Principali realizzazioni di servizi in cooperazione La cooperazione nel Servizio bibliotecario nazionale (sBN) I soggetti della cooperazione e le istituzioni di riferimento Prospettive e problemi aperti L a biblioteca come fattore produttivo

85 94 95 96 98 IOI I 03

Le culture e le pratiche della qualità in biblioteca

I 05

di Giovanni Di Domenico Premessa Leadership e capitale umano La cooperazione Il benchmarking Il lavoro per processi e per progetti La comunicazione La carta dei servizi 8

I 05 Io8 I 09 I IO III I I4 I I6

INDICE

5 . 8. 5 ·9· 5 . Io .

6.

Gli strumenti della qualità La qualità standardizzata La misurazione e la valutazione della qualità: il modello

I r7 I19

EFQM

I 24

La valutazione dei servizi

I 29

di Anna Galluzzi 6. I .

La valutazione dei servizi come momento del processo di ge­ stione Obiettivi e oggetti Metodi Misure e indicatori La valutazione dei servizi nella letteratura biblioteconomica italiana Appendice: Indicatori e misure per la valutazione Letture complementari



La soddisfazione degli utenti in biblioteca: obiettivi e meto­ dologie di valutazione

I45

di Giovanni Di Domenico 7·!. 7.2. 7·3 · 7·4· 7·5 ·

8.

Premessa Le fasi della qualità di servizio Il SERVQUAL La customer satis/action nelle amministrazioni pubbliche Le indagini sulla customer satis/action in biblioteca Appendice: Esempio di questionario per le indagini in sede

La valorizzazione delle raccolte

di Marielisa Rossi Definizioni Il contesto bibliotecario italiano La letteratura professionale Procedimenti e modi di valorizzazione 8.4.1. Comunicare i contenuti informativi: la catalogazione d'edizione l municare i contenuti informativi: la catalogazione d'esemplare

8.5 . 8.6.

L'analisi stratigrafica La documentazione archivistica

8.4.2.

Co­

I 75 I 77 9

MANL'ALE DI BIBLIOTECON OMIA

8.7. 8.8.



9.2. 9·3· 9·4·

Visibilità delle raccolte Uno sguardo al futuro Appendice: Studio di caso. Il Fondo dei Citati di Delia Ragionieri

Catalogazione

di Mauro Guerrini Introduzione. L'organizzazione bibliografica e il sistema bi­ blioteca I principi di catalogazione Le funzioni del catalogo 9·3·1.

9.3.2.

L'intestazione principale

Descrizione e accesso 9·4·1.

9·5 ·

Il conflitto tra funzioni l

Catalogazione descrittiva l

9.4.2.

I97 Principi di descrizione

La struttura del catalogo. Entità, attributi, relazioni 9.5.1.

Il catalogo come linguaggio l 9.5.2. Entità l nizzazione del catalogo, ovvero le relazioni

9.6.

Attributi l

9·5+

203 L'orga-

Verso nuovi codici di catalogazione 9.6.1.

RDA l

Io.

9·5-3-

L'IME

9.6.3.

ree.

La revisione dei principi l 9.6.2. La revisione dei codici. Le La revisione dei codici. Verso nuove RICA

La gestione elettronica delle biblioteche

2I3

22 I

di Paul Gabriele Weston I O. I . I 0.2 . I0. 3 . Io.4.

I I.

Una ricognizione dello stato dell'arte Dalla catalogazione derivata all'arricchimento bibliografico dei cataloghi Biblioteche e Web, cataloghi e motori di ricerca Verso Library 2 . 0

22 I

Il libro antico in biblioteca

257

227 235 246

di Lorenzo Baldacchini I I. I. I 1.2 . I 1. 3 .

Quei manufatti chiamati libri antichi Libro antico e raccolte storiche Descrizione bibliologica e cataloghi IO

25 7 263 265

INDICE

12.

Dai fondi antichi alle collezioni storiche e speciali

27I

di Angela Nuovo e Giorgio Montecchi I2. I. I 2 .2 . I2.3. I 2 .4.

Alcune definizioni Un nuovo paradigma per le collezioni storiche Politica dell'accesso al pubblico e sicurezza delle collezioni La digitalizzazione in biblioteca: dalle immagini online al network dei beni culturali Appendice: Studio di caso. I libri del convento di San Nicolò nella Biblioteca Comunale di Carpi: conoscenza, conservazione e valorizzazione di Giorgio Montecchi

13·

Il servizio di consultazione

I3.r. I3.2.

Storia, definizioni e obiettivi Tipologia e articolazione del servizio

2 72 275 277 282

286

29 I

di Gianna Del Bono 29I 293

13.2.1. Alcune premesse l I3.2.2. Gli obiettivi del servizio l I3.2.3. Le modalità l I3.2-4- Intensità dell'attività informativa

I 3·3·

Criteri d i formazione e gestione d i u n apparato d i consulta­ zione I3.3.1. Scelta della fisionomia e delle caratteristiche generali dell'apparato l I3.3.2. Scelta del tipo di classificazione l I3·3-3- Scelta del materiale. Criteri di giudizio e di selezione l I3·3-4- Aggiornamento e gestione dell'apparato l I3·3·5·

Strumenti di gestione, conservazione e controllo

I 3 ·4·

Le opere di consultazione I3·4·I. Tipologia delle opere di consultazione l I3.4.2. Tipologia dei supporti

I 3 ·5·

Organizzazione e gestione del servizio

Il reference digitale

di Riccardo Ridi I4. I . I 4. 2 . I4·3· I 4·4·

Definizioni e obiettivi Strumenti e competenze Metodi e problemi Standard ed esperienze Letture complementari II

3I3

MANL'ALE DI BIBLIOTECON OMIA

La biblioteca digitale

di Gian/ranco Crupi 15 . I . 15 . 2 . 15 · 3 · 15 · 4 · 15 ·5 · 15 .6. 15 · 7 · 15 . 8 . 15 ·9· 1 6.

Definizioni e contesti Le architetture L'accesso La digitalizzazione La rappresentazione in formato immagine dei documenti La rappresentazione in formato testo dei documenti I metadati Il progetto La gestione dei diritti

327 33 1 333 335 337 338 342 3 44 3 49

Promozione, didattica della biblioteca e formazione degli utenti

35 1

di Maria Stella Rasetti 16. r . 16.2. 16. 3 . 16. 4 . 16.5 .

Promozione e formazione, due facce della stessa medaglia I modelli della promozione La biblioteca da insegnare Dalla promozione al marketing Le biblioteche tra innovazione e " resistenza"

35 1 352 35 4 359 3 60

I servizi di lettura in biblioteca

di Luca Ferrieri 17 . I . 17 . 2 . 17 · 3 · 17· 4 · 17 ·5 · 17 .6. 17 · 7 · 17 . 8 . 1 8.

Lettura e biblioteca: una vexata quaestio Superamento della dicotomia servizio/attività Le molte faccette della promozione La lettura in sede Asocialità della lettura: il privato nel pubblico Socialità della lettura: la pubblicità del privato Le metamorfosi della lettura e i nomadismi della biblioteca Il bilancio di lettura della biblioteca La conservazione dei materiali librari

di Carlo Federici 18. I . 18. 2 . 18. 3 . 18. 4 . 18.5 .

Libri e beni culturali Conservazione Qualche cenno storico Istituzioni di riferimento e problemi aperti Conservazione e cooperazione 12

379

INDICE 1 9·

I 9. I . I9.2 .

La conservazione delle memorie digitali

395

di Maria Guercio La conservazione e le criticità concettuali e organizzative Che cosa si conserva: integrità e autenticità delle risorse, accessibilità, i metadati per la conservazione digitale

3 95 398

19.2.1. Integrità e autenticità delle risorse l 19.2.2. Accessibilità e metodi per la conservazione l 19.2.3. I metadati per la conservazione digitale

I9· 3 ·

Come si conserva: attività tecniche e requisiti organizzativi

406

19·3·1. Acquisizione e selezione l 19·3.2. Gestione programmata e negoziata dei

diritti di accesso inclusi i diritti di proprietà intellettuale e la tutela dei dati personali l I9.J.3· Creazione e monitoraggio di servizi conservativi l 19.3-4- Requisiti organizzativi per la funzione conservativa

I9-4·

Chi conserva: il deposito legale, i depositi certificati

409

I9·4·I. Il deposito legale l 19·4.2. I depositi digitali certificati

I 9. 5 .

20.

Qualche conclusione: le criticità di una fase di transizione

4I I

Letture complementari

4I2

Progettare e organizzare Io spazio fisico delle biblioteche

4I3

di Antonella Agnoli 20. 1. 20.2. 20. 3 . 20.4. 20. 5 . 20.6.

Premessa Il mutamento di funzioni della biblioteca Caratteristiche urbanistico-architettoniche della moderna biblioteca Caratteristiche funzionali della moderna biblioteca Caratteristiche gestionali della moderna biblioteca Metodologia della progettazione

4 13 4 I4 4I6 417 4I9 42 I

Letture complementari

2!.

Gli strumenti e i contenuti della formazione dei bibliotecari

di Anna Maria Tammaro 2I.I. 2 1.2. 2 I. 3.

Introduzione Competenze e qualificazione del bibliotecario Quale formazione per il bibliotecario ? 2 I. 3. I n Bologna process e la mobilità di studenti e bibliotecari l 2 I. 3.2 Obiettivi formativi e didattica l 21.3-3- Contenuti del curriculum l 21.3.4· Formazione continua

42 5 427 434

MANL'ALE DI BIBLIOTECON OMIA

2 I ·4· 2 I. 5 .

Il problema della teoria vs. la pratica Conclusioni

444 446

Letture complementari

447

Riferimenti bibliografici

449

Gli autori

Presentazione

Questo volume si propone di raccogliere l'eredità dei Lineamenti di biblioteco­ nomia curati da Paola Geretto, un manuale di ottima qualità e che - come testimoniano le numerose ristampe prodotte a partire dal I 99 I, prima col marchio della Nuova Italia Scientifica e poi con quello dell'editore Carocci ha contribuito alla formazione e all'aggiornamento di intere generazioni di bi­ bliotecari e studenti di biblioteconomia. Molti dei saggi presenti in quell'opera mantenevano intatta la loro validità e freschezza, ma all'editore e ai curatori di questo nuovo manuale è parso ne­ cessario offrire ai lettori dopo circa quindici anni uno strumento di lavoro rin­ novato, che ne conservasse sostanzialmente l'impianto ma che proponesse una gamma più ampia di temi, aggiornandone e arricchendone i contenuti, e af­ frontasse le principali questioni che sono oggi al centro del dibattito interna­ zionale in ambito biblioteconomico e che assorbono tanta parte delle preoc­ cupazioni e delle riflessioni quotidiane dei bibliotecari. Anche per la presente pubblicazione si è scelto di non affidare la redazio­ ne a uno o due autori soltanto, ma di coinvolgere un numero piuttosto ampio di specialisti, a ciascuno dei quali è stata richiesta la trattazione di uno specifi­ co tema. Si è rinunciato pertanto, da subito, all'idea di produrre un manuale vero e proprio, nella convinzione che la biblioteconomia presenti oggi pro­ blematiche talmente diversificate ed estese, che la possibilità di garantire un'e­ saustiva ricognizione delle stesse sarebbe apparsa anacronistica, prima ancora che velleitaria. Si fa persino fatica ormai, sebbene l'impresa risulti meno im­ proba, a concepire la trattazione a tutto tondo anche di uno soltanto degli ambiti nei quali la disciplina viene tradizionalmente suddivisa. D'altronde, ha sempre meno senso una descrizione dettagliata di procedure e realizzazioni, che le accelerazioni imposte alla disciplina dall'adozione di infrastrutture tec­ nologiche rischierebbero di condurre verso una prematura, quanto inevitabile obsolescenza. Le tecnologie in questione, dal canto loro, hanno favorito crescenti "conta­ minazioni" della biblioteconomia con settori ritenuti fino ad oggi ad essa pa­ ralleli, ma raramente convergenti, come gli archivi e l'editoria. Il fenomeno è tra quelli che possono senz' altro venire accolti con interesse e favore, nella mi-

I5

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

sura in cui contribuiscono allo sviluppo di nuove prospettive e alla proposizio­ ne di punti di vista originali, frutto di un confronto aperto e senza pregiudizi tra competenze e modalità di lavoro differenti. Assai più pericolosa è la tenden­ za a ritenere che nuove etichette, rese magniloquenti dall'uso della lingua ingle­ se, siano sufficienti a garantire la rigenerazione o, anche più semplicemente, il rinnovamento della disciplina e che mettano al riparo dai fendenti che altri settori, in special modo quelli legati alle applicazioni informatiche, sono pronti ad assestare qualora il bibliotecario rinunci ad operare secondo la propria pro­ fessionalità con rigore e metodo. A tal proposito non si può non rilevare come una certa confusione definitoria sia all'origine di talune discussioni, anche acce­ se, nelle quali si sono manifestate le attuali incertezze della biblioteconomia. Pur consapevoli delle difficoltà che questo scenario comporta, si è cercato di fornire per ciascuna delle questioni affrontate una presentazione dei princi­ pi fondanti, lo stato dell'arte in Italia ed il confronto col dibattito internazio­ nale, la ricostruzione delle linee evolutive, un panorama delle tendenze più avanzate. I diversi capitoli - affidati ad esperti autorevoli e di consolidata esperienza, ma anche a professionisti e studiosi che si sono imposti nella lette­ ratura biblioteconomica italiana degli ultimi anni - prendono in esame tutti gli aspetti, vecchi e nuovi, del servizio bibliotecario: a partire dalla progettazione degli spazi e dall'assetto istituzionale e normativa fino alla costruzione e valo­ rizzazione delle raccolte documentarie, dall'organizzazione dei servizi alla rea­ lizzazione di reti cooperative, dagli strumenti di informazione e consultazione alle politiche di promozione, dai sistemi di gestione della qualità alla valuta­ zione dell'efficacia, dai principi di catalogazione alle applicazioni delle tecno­ logie digitali, dalla gestione dei fondi antichi ai temi della conservazione, sia per quanto riguarda i documenti cartacei sia per i documenti elettronici. Si è anche cercato di contestualizzare le problematiche specifiche del settore bi­ bliotecario con riferimenti, ad esempio, all'evoluzione normativa e istituziona­ le, alle dinamiche della produzione editoriale, al panorama delle tecnologie. Un aspetto particolare è, infine, quello etico, di particolare significato in anni segnati dagli sconvolgimenti causati da eventi bellici di proporzioni non ancora definite e dalle conseguenze di flussi migratorii senza precedenti. All'i­ nizio del nuovo millennio, Michael Gorman ha dedicato all'argomento un in­ tero volume, tradotto in italiano neanche due anni dopo la sua uscita. La scel­ ta di non dedicare uno specifico capitolo all'argomento si spiega però soltanto in minima parte con questa coincidenza. Nasce piuttosto dalla convinzione che, al di là di un'adesione ideale, ovviamente condivisibile, al carattere etico della biblioteca, al bibliotecario sia richiesta nei fatti una rivalutazione della qualità professionale del suo lavoro, che non può che passare per una solida formazione sui "fondamentali" e per un continuo, scrupoloso aggiornamento. Al fondamentalismo tecnologico e alle leggi del mercato i bibliotecari non possono che rispondere con la difesa e magari l'innalzamento della qualità professionale del proprio lavoro, nel quale si riflette il sapere maturato nei secoli grazie a chi, operando presso istituzioni prestigiose, ha contribuito all'a16

PRESE!'\ T AZIO:-JE

vanzamento della ricerca scientifica e alla diffusione della cultura e della ci­ viltà. Con tali presupposti, il volume ha l'ambizione di rivolgersi al tempo stesso a studenti universitari, a partecipanti a concorsi per il reclutamento nelle bi­ blioteche, a giovani bibliotecari che si avviano alla professione, e ad operatori già formati che desiderano però approfondire questioni che hanno subito nel­ l'ultimo decennio forti evoluzioni e trasformazioni e che quindi presentano oggi aspetti nuovi anche agli occhi dei bibliotecari più esperti. Gli scritti pubblicati in questo volume, che a volte presentano approcci e toni differenti come è inevitabile in un'opera cui hanno contribuito oltre venti autori, hanno un taglio non soltanto tecnico e orientato alla prassi, ma presentano riflessioni, anche di ordine teorico, sui nodi fondamentali delle questioni affrontate. In alcuni casi i capitoli sono corredati dalla presentazio­ ne di casi di studio, materiali illustrativi, esemplificazioni a carattere applica­ tivo, letture di approfondimento e altri strumenti di studio ai quali si può accedere attraverso il sito dell'editore. Un'ampia bibliografia finale consente di andare alle fonti utilizzate dagli autori e di cui i lettori si potranno avvale­ re per ampliare il ventaglio delle loro letture sulle diverse questioni affronta­ te. Spetta ai lettori anche il compito di ricondurre a unità tutti i contenuti e i materiali presenti nel volume, e gli spunti che essi offrono, attraversandoli con il loro sguardo, analizzandoli alla luce della propria esperienza di studio e di lavoro, e utilizzandoli nella prospettiva che di volta in volta sembrerà loro più giusta. Per quanto si sia cercato di coniugare un'esposizione problematica con un forte ancoraggio alle applicazioni di teorie, metodologie e principi alla realtà bibliotecaria, è evidente che solo il lavoro quotidiano di chi cercherà di mette­ re in pratica alcune delle linee di indirizzo presenti in queste pagine potrà consentire il raggiungimento degli obiettivi di questo volume, che si propone di sollevare quesiti e insinuare dubbi più che di offrire certezze tranquilliz­ zanti. GIOV AI\'NI SOLIMINE PAUL GABRIELE WESTOI\'

I

Assetto istituzionale e normativa delle biblioteche italiane di Paolo Traniello

I. I

Premessa: biblioteca, diritto privato e diritto pubblico

Tra i vari possibili usi del termine "biblioteca" nella lingua italiana, due in particolare appaiono rilevanti, specialmente se comparati tra loro, ai fini della presente trattazione. Il primo è quello di chi dice: «Questo libro sta nella mia biblioteca», op­ pure quello del padrone di una bancarella di libri che scrive su un cartello: «Si acquistano intere biblioteche». Il secondo è quello di chi comunica a un amico: «Oggi vado in biblioteca». La stessa parola "biblioteca" ha nei due casi un significato completamente differente. Nel primo indica un insieme di oggetti, ma, da un certo punto di vista, precisamente da quello giuridico, non un insieme qualsiasi, come potrebbe es­ sere ad esempio il complesso degli elettrodomestici di uso familiare; la biblio­ teca, infatti, in quanto " raccolta" riconoscibile, appartiene a una categoria di beni che il diritto definisce «universalità di mobili», vale a dire «la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria» (art. 8r6 c.c. ) . Questo concetto, d i origine romanistica, appartiene chiaramente ai fonda­ menti del diritto privato. Il codice civile italiano definisce anche la categoria dei «beni appartenenti allo Stato, agli enti pubblici e agli enti ecclesiastici» e inserisce tra quelli appartenenti al demanio pubblico le raccolte delle bibliote­ che dello Stato (art. 822, comma 2° c.c .), nonché delle province e dei comuni (art. 824 c.c. ) . Si tratta di prescrizioni volte a limitare la disponibilità di tali beni e a sancirne l'inalienabilità, vale a dire principalmente attinenti al regime della proprietà, regolato dal Titolo 1 del Libro m (Della proprietà) del codice civile, pur trattandosi di materia per altro verso afferente al diritto ammini­ strativo. Quando invece qualcuno dice «Vado in biblioteca» non vuole certamente dire che si reca da un amico per consultare la sua raccolta di libri, ma che si reca in un determinato posto, o meglio in un "edificio" , per usufruire di un

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

servizio e per usufruirne in qualità di utente, qualunque sia la natura giuridica dell'ente proprietario di quella biblioteca. Vi sono state in passato situazioni in cui ci si poteva riferire alla biblio­ teca, non solo come "universalità di cose " (come raccolta di libri) , ma anche come spazio fisico debitamente attrezzato, al fine di svolgervi attività e in­ trattenere rapporti principalmente di diritto privato: pensiamo ad esempio ai " gabinetti di lettura" tra Sette e Ottocento, o anche alle biblioteche associa­ tive diffuse nel mondo anglosassone quando già erano in funzione le public libraries. Più in generale, molte biblioteche pubbliche sono nate sulla base di collezioni private e, almeno fino alla Rivoluzione francese, era prassi co­ mune che biblioteche costituite come propri beni da aristocratici, eminenti uomini di Chiesa, ma anche rappresentanti delle professioni liberali, fossero aperte a studiosi che vi potevano chiedere l'accesso. Ma nel mondo di oggi si può dire che il servizio bibliotecario sia un fatto eminentemente " pubbli­ co " 1 anche quando l'edificio della biblioteca e le sue raccolte appartengano ad enti di diritto privato (non si vuole dire gli enti ecclesiastici che non sa­ rebbero comunque da considerare propriamente enti privati, ma ad esempio le fondazioni private) . Se si tratta infatti di servizi aperti al pubblico, sia pure con determinate condizioni di accessibilità, tali servizi assumono comunque una rilevanza pub­ blica e l'ente che li gestisce avrà normalmente stabilito con amministrazioni pubbliche accordi relativi al loro svolgimento (con modalità di accesso che non possono venire stabilite ad personam) , alla reciprocità di prestazioni con le altre biblioteche, all'inserimento in un sistema più vasto di servizi bibliote­ cari dove anche queste biblioteche attingono normalmente a sussidi finanziari pubblici in ragione del servizio che svolgono. Possiamo insomma dire che quando uno di noi dice «Vado in bibliote­ ca», vuole intendere che si sta recando presso un edificio debitamente at ­ trezzato, destinato a un "servizio pubblico " indirizzato alla generalità o a un gruppo particolare di utenti; servizio che non verrà regolato solo in forme privatistiche, contrattuali, ma si svolgerà sulla base di una normativa più o meno formalmente stabilita, ma comunque di carattere cogente, au­ toritativo. Le norme giuridiche che concernono le biblioteche come strutture e servi­ zi appartengono di conseguenza al campo del diritto pubblico, a differenza di quelle che concernono le collezioni librarie di proprietà privata. Si deve però osservare che anche per le raccolte private valgono norme di tipo amministrativo, quindi di diritto pubblico, relativamente ad esempio agli

1 . Interessanti considerazioni sulla dimensione per così dire naturalmente " pu bblica " della biblioteca sono state avanzate in C rocetti ( 1 992 ) .

20

I . ASSETTO ISTITUZIONALE E 1'\0RMATIVO DELLE BIBLIOTECHE ITALIA:O,JE

obblighi di tutela, al diritto di ispezione, alle notifiche di importante interesse storico di qualche documento posseduto. Di converso, anche le più pubbliche tra le biblioteche, ad esempio le due Biblioteche nazionali centrali, saranno ovviamente soggette a norme di diritto privato relative, per fare solo qualche caso, alle condizioni e alle tariffe per le riproduzioni, agli acquisti sul mercato librario, agli accordi editoriali sugli sconti, ma anche a determinate forme di rapporti di lavoro con il personale che in esse opera, soprattutto quando si faccia ricorso, come sempre più spes­ so avviene, a contratti di diritto privato con singoli o con cooperative per lo svolgimento di determinate mansioni. Appartiene pure al settore privatistico la tutela del diritto patrimoniale d'autore in biblioteca, che si è recentemente estesa, in forza di una direttiva europea di carattere cogente, al riconoscimento di compensi per autori ed edi­ tori in ragione dei prestiti effettuati. 1.2

Biblioteca e istituzione

Se consideriamo la biblioteca nella seconda delle accezioni che abbiamo sopra indicate, che è anche quella che maggiormente e quasi esclusivamente ci inte­ ressa, possiamo senz'altro affermare che la biblioteca si presenta come un'enti­ tà facente parte di quel vasto complesso che può venire indicato con l'espres­ sione " istituzioni culturali" . Da questo punto d i vista e in prima approssimazione non può considerarsi errato definire la biblioteca stessa come un'istituzione, anche se questo termi­ ne ha una vasta portata semantica e la sua diretta applicazione alla biblioteca non va esente da possibili equivoci. Il concetto di istituzione è largamente usato sia nelle scienze giuridiche che in quelle sociali ad indicare una gamma notevolmente ampia di fenomeni e di relazioni 2 • Per !imitarci al campo del diritto, con "istituzione" può innanzitutto inten­ dersi un complesso di regole che presuppongono una previa organizzazione di tipo sociale e che disciplinano settori di vasta portata della vita comune: in questo senso sono istituzioni, ad esempio, il matrimonio, la proprietà, la suc­ cessiOne. Quest'accezione del termine, che pure trova riconoscimento nell'uso (an­ che se in questi casi sarebbe forse più appropriata l'espressione "istituti giuri­ dici " ) , limita tuttavia la concezione dell'istituzione a un significato di tipo for2. Per avere un 'id ea anch e solo approssimativa del vastissimo ambito semantico al quale il term ine " ist ituzione " fa riferimento, basterebb e scorrere la Bibliografia di storia delle istituzioni contemporanee, pubblicata nel fascico lo I del 2ooi di " Le C arte e la S toria: rivista di storia delle istituzioni" a cura di C . Abb amon di e L . L anza (pp. 49- 8 I ) .

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

male, sostanzialmente immateriale e che poco si adatta al campo che ci inte­ ressa. Più concretamente, si possono intendere per istituzione, oltre alla regola­ mentazione di rapporti sociali organizzati, anche gli elementi personali e mate­ riali che in essi entrano in gioco. In questo senso possiamo parlare, ad esem­ pio, di istituzione familiare o scolastica o ospedaliera. E in questo senso è cer­ tamente istituzione anche la biblioteca. Tra le varie strutture organizzate che regolano la vita sociale, alcune occu­ pano tuttavia un carattere di preminenza, nel senso che sono in grado di por­ re in essere norme che hanno carattere cogente per tutti o per le diverse cate­ gorie di cittadini o di enti a cui tali norme si riferiscono. La prima di queste istituzioni è evidentemente lo Stato, al quale fa capo il potere sovrano, variamente articolato nelle sue diverse manifestazioni, nonché nell'apparato, pure fatto di istituzioni, mediante il quale la sovranità si eserci­ ta: per esempio il Parlamento, il Governo e le diverse amministrazioni centrali e periferiche mediante le quali esso agisce, nonché gli altri organi costituzio­ nali. Nell'ordinamento costituzionale italiano, che prevede un assetto politico basato sul principio dell"' autonomia" , la " Repubblica" (vale a dire, appunto, lo Stato considerato nella sua articolazione politica territoriale) si riparte in Comuni, Province e Regioni (ora, a seguito della riforma del titolo v della Costituzione, pure in Città metropolitane) . Anche queste entità che agiscono a livello territoriale (si denominano, appunto "Enti locali " ) sono istituzioni dota­ te di funzioni e poteri autoritativi; nel caso delle Regioni, anche propriamente legislativi, ma comunque capaci di dare a se stessi il proprio indirizzo di azio­ ne; esse non vanno perciò confuse con gli apparati periferici dell'amministra­ zione statale, anche se in taluni casi lo Stato centrale può servirsi di elementi strutturali degli Enti locali per lo svolgimento di funzioni statali. Gli Enti lo­ cali rientrano quindi, insieme allo Stato propriamente inteso, tra le istituzioni politiche, quelle a proposito delle quali si è posta ormai da molti anni in Italia la questione largamente dibattuta delle cosiddette " riforme istituzionali" . D a ultimo, v i è una particolare accezione del termine "istituzione" che in­ teressa direttamente le biblioteche e che si riferisce a una delle possibili moda­ lità di gestione dei servizi pubblici da parte degli Enti locali. Si tratta però di un aspetto particolare e di un termine usato in un senso molto specifico, su cui avremo occasione di tornare più oltre. In conclusione, le realtà denominabili "istituzione" che possono avere a che fare con le biblioteche sono, come si è visto, molteplici. Va precisato che quando si parla di "assetto istituzionale" delle biblioteche ci si riferisce al ri­ lievo che le biblioteche, o un determinato gruppo di esse, assumono in un quadro organizzativo posto in essere da quel tipo di enti (Stato, Regioni, Enti locali) che hanno capacità di regolare la struttura e il funzionamento dell'i­ stituzione biblioteca anche sulla base di una determinata normativa.

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Pluralità degli ordinamenti giuridici e sistema delle autonomie

Nel precedente paragrafo, a proposito della nozione generale di istituzione, abbiamo accennato come essa presupponga un aspetto di organizzazione in­ terna, possiamo dire di tipo sociale. Esiste una scuola di pensiero giuridico che tende a riconoscere nel diritto non solo e non tanto un fenomeno di tipo prescrittivo, quanto piuttosto di ordine relazionale e organizzativo; secondo questa impostazione ogni realtà istituzionale darebbe luogo a un ordinamento giuridico, sia pure con norme di diversa portata e natura 3 • La teoria istituzio­ nale del diritto è stata variamente criticata e contestata soprattutto in ragione della difficoltà di far coincidere ogni forma di organizzazione sociale con un fenomeno di tipo normativa; su questo dibattito, che interessa i teorici o addi­ rittura i filosofi del diritto, non è certamente qui il caso di soffermarci 4. Ciò che tuttavia sembra utile sottolineare fin d'ora è il fatto che non ogni fonte normativa, seppure appartenente alla categoria della legislazione formale, può essere riferita esclusivamente all'istituzione statale. Esistono infatti in Ita­ lia, ma anche in altri Paesi, norme giuridiche che non vengono emanate dall'i­ stituzione statale ma da altre istituzioni che, pur essendo rapportabili all' orga­ nizzazione politica generale del territorio, esprimono però, anche sul terreno normativa (nel caso delle Regioni, su quello propriamente legislativo) , la pro­ pria autonomia politica. La considerazione dell'autonomia politica degli Enti locali, che configura l'Italia come una "Repubblica delle autonomie" deve essere tenuta ben pre­ sente, onde evitare errori interpretativi e anche interventi legislativi di caratte­ re improprio nel nostro campo. Per !imitarci al problema regionale, su cui avremo occasione di ritornare, sarebbe ad esempio gravemente distorsivo rispetto al progetto e al dettato co­ stituzionale considerare la potestà legislativa delle Regioni come una sorta di delega operata dallo Stato nelle materie previste dall'art. 117 del testo origina­ rio della Costituzione (tra le quali, le biblioteche di Enti locali) . Si tratta inve­ ce di una autolimitazione che lo Stato ha posto al proprio potere sovrano, nella sua manifestazione legislativa, nei confronti di un altro ente che viene preso in considerazione, prima di tutto in quanto istituzione politica autono­ ma, capace di creare un proprio ordinamento normativa, non già come stru­ mento complementare dell'attività legislativa statale.

3· Il magg iore rappresentante della scuol a istituzionalista nel pensiero giuridico italiano può essere consid erato S anti Romano. Di lui si veda principalmente L'ordinamento giuridico, Sansoni , Firenze 195 1 . Pure di grand e interesse la voce Realtà giuridica, in Frammenti di un dizionario giuridico, Giuffrè , Milano 195 3 . Per un ' impostazione del tema in un quadro più generale cfr. F. MODUGNO, Voce Istituzione, in Enciclopedia del diritto, vol . XXIII, Giuffrè , Milano 1973 . 4· Cfr. in proposito N. BOBBIO, Teoria generale del diritto, Giapp ich elli , Torino 1 993.

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Così è altrettanto improprio, a mio avviso, descrivere l'organizzazione delle biblioteche pubbliche statali che sono, come vedremo, organi ministeriali, con­ siderandole semplicemente distribuite per Regioni, quasi che le Regioni stesse costituiscano ambiti territoriali individuabili per l'azione amministrativa dello Stato in un campo nel quale esse possiedono, tra l'altro, competenza legislati­ va propria (anche se su istituti di natura locale) . Altrettanto inappropriate sono state le iniziative statali di istituzione di nuove biblioteche pubbliche (statali, o addirittura "nazionali ") che non han­ no tenuto conto dell'assetto dei servizi bibliotecari locali, la cui migliore or­ ganizzazione avrebbe se mai dovuto essere incentivata dall'amministrazione centrale. A questo proposito va anzi rovesciata una mentalità che vede nelle autono­ mie locali o istituzionali una sorta di sottrazione di potere all'amministrazione statale. Il fatto che lo Stato si autolimiti nei confronti delle autonomie non significa affatto che esso debba disinteressarsi degli enti autonomi, tanto meno porsi nei loro confronti in atteggiamento conflittuale o concorrenziale; spetta anzi allo Stato, che nella sua accezione più larga coincide con la comunità nazionale, non solo riconoscere, ma promuovere le autonomie locali secondo il dettato dell'art. 5 della Costituzione. Più recentemente, si è andato sempre più affermando, sia nell'ordinamento europeo che in quello costituzionale italiano, il "principio di sussidiarietà" , se­ condo il quale le varie funzioni amministrative devono di norma venire svolte dall'ente più prossimo alla collettività ad esse interessata. Sulla base di tale principio, andrebbe ripensato in profondità tutto l'asset­ to istituzionale del sistema bibliotecario italiano, che non può essere condotto a un livello di efficacia adeguato alle esigenze contemporanee se non mediante interventi concepiti a livelli istituzionali diversi e logicamente successivi, ma convergenti (la cosiddetta "interistituzionalità " ) . Resta in ogni caso che l'assetto normativa delle biblioteche italiane non può essere preso in considerazione se non nel quadro di una "pluralità di or­ dinamenti giuridici " , che a sua volta presuppone l'esistenza, costituzionalmen­ te sancita, di istituzioni dotate di autonomia politica diverse dallo Stato, nel caso degli Enti locali; di altre istituzioni anch'esse autonome, anche se prive di un rilievo propriamente "politico ", nel caso delle università, e di strutture alle quali l'autonomia istituzionale andrebbe invece finalmente riconosciuta nel caso delle cosiddette "biblioteche pubbliche statali" . I vari ordinamenti che reggono le diverse realtà istituzionali non possono tuttavia, senza grave pregiudizio del principio che esclude dal diritto le co­ siddette "antinomie" , contenere norme in conflitto o in contraddizione tra loro. Ciò significa che essi devono armonizzarsi, o venire armonizzati, nel qua­ dro di un sistema giuridico complessivo nel quale l'esercizio della potestà, vale a dire dei poteri autoritativi, propria dello Stato, si armonizzi con la potestà attribuita dallo Stato stesso ad altri enti pubblici. A ciò provvede ad esempio, in Italia, la Corte Costituzionale che giudica, tra l'altro, «sui conflitti di attri-

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buzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni» (art. 1 3 4 Costituzione, comma 2°). Ma anche su un terreno più im­ mediato e pragmatico, occorre che gli interventi dei diversi enti dotati di auto­ nomia normativa siano in qualche modo coordinati al raggiungimento di una finalità comune di organizzazione e sviluppo dei servizi, secondo il «principio di leale collaborazione» affermato dalla Corte Costituzionale e per la cui at­ tuazione è stato stabilito un "sistema di Conferenze " , per il confronto tra le varie amministrazioni: la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Re­ gioni; la Conferenza Stato, città e autonomie locali e, per le materie e i compi­ ti di interesse comune, la Conferenza unificata. I .4

L'esercizio della potestà statale in campo bibliotecario

I poteri legislativi e amministrativi dello Stato in campo bibliotecario si esple­ tano, per quanto riguarda il nostro campo, mediante una serie di prescrizioni che hanno ad oggetto, da una parte l'esercizio di funzioni di conservazione e di tutela sull'universo dei beni librari esistenti in Italia, nonché di controllo sulla produzione libraria italiana, dall'altra la regolamentazione dell'insieme di biblioteche che dipendono dall'amministrazione statale. Per quanto riguarda il primo aspetto, vale a dire le funzioni dirette dello Stato in campo librario, occorre prima di tutto osservare che le raccolte di tut­ te le biblioteche di appartenenza pubblica, oltre al settore più tradizionale dei manoscritti e dei libri antichi, rari e di pregio, vengono fatte rientrare dalla legislazione più recente 5 nell'ambito complessivo dei beni culturali, sui quali lo Stato esercita una funzione di tutela solennemente prevista dall'art. 9 della Costituzione, che recita: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Sul vasto e abbastanza complesso tema della conservazione e tutela dei beni librari rimandiamo al capitolo del presente manuale (cfr. CAP. 1 9) in cui esso verrà espressamente trattato. È invece necessario soffermarci ora sulla funzione esercitata da tutti gli Stati moderni tramite l'istituzione bibliotecaria nel campo della produzione del libro a stampa che può essere denominata "controllo nazionale delle pub­ blicazioni" e che soggiace alla possibilità di espletamento dell'altra importan­ tissima funzione statale del " controllo bibliografico nazionale" . Limitatamente alla prima di queste due funzioni (per la seconda si riman­ da alla trattazione relativa alla Bibliografia nazionale e al Servizio Bibliotecario Nazionale, SBN), possiamo osservare che se essa trova le proprie origini, all'ini-

5· Ci riferiamo al Codice dei beni culturali e del paesaggio (D . Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 ) e alle mo dificazioni ad esso apportate d al D . Lgs. 24 marzo 2oo6, n. 1 5 6.

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zio dell'età moderna, nell'interesse da parte degli Stati nazionali di controllare, anche sul piano politico e in forme censorie, gli sviluppi della nascente produ­ zione tipografica, oggi tale funzione ha assunto un carattere eminentemente culturale ed è rivolta a garantire la conoscenza e la reperibilità dei libri stam­ pati in una determinata nazione, come testimonianza, appunto, della sua cul­ tura. Non a caso per designare tale funzione si è venuta elaborando la nozione di archivio nazionale delle pubblicazioni, intendendosi con tale espressione un'attività volta a garantire mediante appositi istituti (in primo luogo le bi­ blioteche nazionali) la documentazione di un processo insieme produttivo e culturale, quello relativo appunto alla stampa dei libri, i quali in questa pro­ spettiva vengono ad essere considerati soprattutto come documenti per la co­ noscenza e la storia di tale processo. Per la realizzazione di questo servizio gli Stati si avvalgono normalmente di una legislazione sul deposito obbligatorio degli stampati. In Italia per tutto il dopoguerra e fino a tempi recentissimi essa è stata costituita dal D.L.Lgt. 3 r agosto 1 945 , n. 66o (modificativo di una precedente legge del 1 9 3 9) , incardi­ nato sui seguenti punti: a) il soggetto passivo dell'obbligo era lo stampatore (non l'editore) ; b) il deposito riguardava di norma cinque copie dello stampato, delle quali quattro andavano consegnate all'ufficio della Prefettura competente per il ter­ ritorio in cui aveva sede la tipografia, una a quello della Procura della Re­ pubblica; c) beneficiarie del deposito erano le due biblioteche nazionali di Firenze e di Roma per tutto ciò che veniva stampato sul territorio nazionale, la biblioteca pubblica del capoluogo designata dal Ministero per il territorio provinciale, quella del Ministero di Grazia e giustizia per le pubblicazioni di interesse giu­ ridico depositate alle Procure; inoltre, una copia delle pubblicazioni di carat­ tere tecnico-scientifico andava depositata alla Biblioteca centrale del C:"-lR. Quanto all'oggetto del deposito, esso era esteso a qualunque tipo di pub­ blicazione, comprese ad esempio le cartoline illustrate, ad esclusione solo di materiale del tutto particolare, quali i fogli pubblicitari o i biglietti da visita. Questa legge, che ha dato risultati pessimi a causa dell'eccessiva estensione dell'obbligo, dell'inopportuna individuazione dello stampatore come soggetto obbligato e soprattutto del ricorso per l'attuazione del deposito alla mediazio­ ne di uffici pubblici del tutto estranei, quali le Prefetture e le Procure, è stata assai di recente sostituita dalla legge 1 5 aprile 2 004, n. r o6, della quale solo recentemente è stato promulgato il regolamento esecutivo. L'impianto della nuova legge, intitolata Norme relative al deposito legale dei documenti di interesse culturale destinati all'uso pubblico è almeno appa­ rentemente innovativo, in quanto non si riferisce più alla categoria generale degli " stampati" , ma precisa che oggetto del deposito, volto al fine di con ­ servare la memoria della cultura e della vita sociale italiana, sono i docu­ menti destinati all'uso pubblico e fruibili mediante la lettura, l'ascolto e la

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v1s10ne, qualunque sia il supporto (cartaceo, sonoro, fotografico, informati­ co) su cui il documento insiste o l'opera è prodotta o riprodotta. Introduce poi esplicitamente la nozione di archivio della produzione editoriale, articola­ to su base nazionale e regionale e obbliga al deposito in primo luogo l' edi­ tore, a cui subentra il tipografo nel caso di pubblicazioni scritte prive di re­ sponsabilità editoriale, il produttore o il distributore per i documenti non librari e il Ministero per i Beni e le attività culturali, nonché il produttore per le opere filmiche. Viene inoltre eliminato, il che è d'importanza fonda­ mentale, il tramite delle Prefetture e delle Procure per il deposito alle bi­ blioteche. Tuttavia, al di là di questi opportuni miglioramenti, la legge non sembra ancora in grado di produrre risultati veramente efficaci, per almeno tre moti­ vi: innanzitutto, specie a livello locale, non è ancora ben chiaro quali bibliote­ che siano titolari del diritto a ricevere per deposito legale, se si prescinde dal­ le due nazionali centrali, espressamente menzionate al comma 4° dell'art. r , nonché dalle biblioteche del Senato, della Camera, del Ministero della Giu­ stizia e delle Regioni che possono richiedere l'invio di pubblicazioni ufficia­ li 6; in secondo luogo, il concetto di archivio regionale della produzione edito­ riale resta ancora del tutto imprecisato e non si comprende bene a chi spetti determinarne l'attuazione: se, come sarebbe logico, alle Regioni, o congiunta­ mente alle Regioni e allo Stato; ciò che parrebbe certo è che non potrebbe trattarsi di una funzione esclusiva dell'amministrazione statale nell'ambito re­ gionale e in una materia su cui le Regioni possiedono una propria compe­ tenza 7 • Infine, le disposizioni sul deposito non appaiono coordinate con quelle sul diritto d'autore, onde non appare ben chiaro a quali condizioni l'accesso di un utente all'archivio della produzione editoriale permetta anche di riprodurre il documento, il che sembra talvolta indispensabile, per esempio relativamente alla stampa periodica, ai fini della tempestività della ricerca. Questo tipo di problemi si pone poi in maniera particolarmente rilevante, e sostanzialmente ancora irrisolta, per i documenti elettronici (De Robbio, 200 ! ) .

6 . Alle Regioni sono assimilate le Province autonome d i Trento e Bolzano ( non è però chi a­ ro cosa la legge inten da con l ' espressione " bibliotech e delle Regioni" ) ; inoltre, tutti gli enti pu b ­ blici sono tenuti ad inviare, a richiesta, alle bibliotech e del Senato e della Camera, nonché alla Biblioteca centrale d el Ministero d ella Giustiz ia ogni pubblicaz ione edita da l oro o con il loro contrib uto ; il deposito a richiesta d a parte di tutti i soggetti o bbligati è altresì previsto a favore della Biblioteca del CNR per i documenti strettamente inerenti alle aree della scienza e della tec­ nica ( art. 6 ) . 7. È stato posto a questo proposito, anch e con una certa preoccupazione d a parte dei bi­ bliotecari dello S tato, il problema della destinaz ione della cosiddetta " terza cop ia" , vale a dire della copia ch e con l a legge precedente giungeva alle bibliotech e pu bblich e dei capoluoghi di provincia, le quali in diversi casi sono bibliotech e pu bblich e statali . Perché queste bibliotech e possano restare titolari di un diritto ch e inciderebbe evidentemente sull'archivio regionale della produzione editoriale è a mio avviso indispensa bile un accordo con le Regioni interessate.

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Per quanto riguarda la regolamentazione delle biblioteche, occorre anzi­ tutto osservare che le norme statali che interessano questo settore si caratte­ rizzano per la loro disposizione fortemente asimmetrica nel sistema della ge­ rarchia delle fonti. Mentre infatti si possono riscontrare addirittura nella Carta costituzionale norme di principio che certamente interessano il mondo bibliotecario (come quella dell'art. 9 al quale abbiamo fatto riferimento sopra) , nonché norme di attribuzione alle Regioni di poteri attinenti alle biblioteche locali (sulle quali ci soffermeremo più oltre, trattando dell'ordinamento regionale) , manca invece una legge organica dello Stato sulle biblioteche, in luogo della quale sussisto­ no ampi regolamenti, concernenti esclusivamente le biblioteche pubbliche sta­ tali, che si sono succeduti a più riprese lungo tutta la storia dello Stato uni­ tario. Il concetto di beni culturali a cui abbiamo fatto riferimento più sopra ci rinvia alle norme di organizzazione amministrativa delle strutture dell'apparato statale in campo bibliotecario. Ai "beni culturali" , appunto, insieme a quelli ambientali, verrà intitolato il ministero creato nel r975 e denominato poi (a partire dal r998) Ministero per i Beni e le attività culturali. A questo organo dell'amministrazione centrale sono state trasferite le com­ petenze che facevano precedentemente capo al Ministero della Pubblica istru­ zione in materia di biblioteche pubbliche statali, nonché quelle del Ministero dell'Interno in materia di archivi. Alla struttura amministrativa centrale del Ministero per i Beni e le attività culturali fanno capo anche due Istituti centrali di carattere tecnico-operativo dotati di autonomia amministrativa e contabile. L'Istituto centrale per la patologia del libro (ICPL) , le cui origini risalgono al r93 8, si articola in vari laboratori dotati di avanzate strumentazioni tecniche e svolge, a livello centrale, funzioni volte agli studi sulla conservazione e al restauro del patrimonio librario. L'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane e per le informazioni bibliografiche ( Iccu ) , oltre a svolgere le attività generali di infor­ mazione bibliografica e a presiedere alla gestione di importanti progetti nazio­ nali, quali il censimento delle cinquecentine italiane, il progetto "Manus" per la catalogazione dei manoscritti nonché il rilevamento nazionale degli istituti bibliotecari, mediante il Catalogo delle biblioteche d'Italia, è il referente e re­ sponsabile centrale di SB:--.I. Opera inoltre nell'ambito del Ministero, con autonomia amministrativa e con­ tabile, la Discoteca di Stato, che svolge funzioni sia di carattere bibliotecario che archivistiche e museali relativamente alle raccolte di materiale sonoro e audiovisivo delle quali si occupa. Le biblioteche pubbliche statali costituiscono a norma del decreto di orga­ nizzazione del Ministero dei Beni culturali, organi della stessa amministrazione

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centrale ministeriale. Sono quindi prive di qualsiasi carattere di autonomia, salvo il caso della Biblioteca nazionale centrale di Roma Questo gruppo di biblioteche, che non comprende tutte le biblioteche del­ lo Stato, ma solo, per l'appunto, quelle che fanno capo al Ministero per i Beni e le attività culturali, è stato tradizionalmente regolato in Italia, a partire dagli anni immediatamente successivi all'Unità, da ampi regolamenti, vale a dire da norme emanate da organi amministrativi, che fino a quello del I 967 sono stati espressamente denominati " regolamenti organici" e sono stati di fatto indipen­ denti da ogni fondamento formalmente legislativo che, come si è detto, non è mai esistito, almeno fino all'istituzione del Ministero dei Beni culturali. Il regolamento in vigore attualmente, del I 995 , si limita ad elencare le bi­ blioteche pubbliche statali suddividendole per ambiti regionali di ubicazione (sebbene l'ente Regione non abbia nulla a che fare con esse) . È tuttavia possibile, ed anche opportuno, continuare ad operare una di­ stinzione tra questi istituti in ragione della loro denominazione, che ne indica la categoria di appartenenza, storicamente rilevante. Abbiamo quindi: - Due biblioteche nazionali centrali: quella di Firenze, IstltUlta nel I 86 r e quella di Roma, istituita nel I 875 (entrambe poi collocate in una nuova sede, rispettivamente nel I 93 5 e nel I 975 ). Queste biblioteche esercitano il compito importantissimo e proprio delle biblioteche nazionali di raccogliere e conser­ vare, mediante l'applicazione della legge sul deposito obbligatorio, tutto ciò che viene pubblicato sul territorio dello Stato. La Biblioteca nazionale centrale di Firenze è inoltre incaricata di esercitare il controllo bibliografico nazionale mediante la pubblicazione della Bibliografia Nazionale Italiana (BNI) . - Sette altre biblioteche nazionali (la Nazionale Universitaria di Torino, la Braidense di Milano, la Marciana di Venezia, le Nazionali di Napoli, Bari, Co­ senza e Potenza: le prime quattro di antica istituzione, le ultime tre create nel dopoguerra) , le quali non possiedono carattere di centralità e traggono la loro denominazione da fattori di carattere puramente storico e politico. A Macera­ ta è stata realizzata nel I 990 una sezione staccata della Biblioteca nazionale di Napoli. - Dieci biblioteche universitarie, oltre a quella di Torino che ha anche il tito­ lo di Nazionale: si tratta di quelle di Genova, Pavia, Padova, Bologna, Mode­ na, Pisa, Roma (Alessandrina) , Napoli, Cagliari e Sassari, le quali, nonostante la loro denominazione proveniente dal fatto di essere le biblioteche storiche di antichi atenei aperte all'uso pubblico tra xvn e XVIII secolo, continuano a nor­ ma del regolamento vigente ad essere "biblioteche pubbliche statali" dipen­ denti dal Ministero per i Beni e le attività culturali. Recentemente la Bibliote­ ca universitaria di Bologna è passata alle dipendenze dell'Ateneo bolognese, come si vedrà fra poco. - Sei biblioteche storiche con tratti eminentemente conservativi: la Reale di T orino, la Palatina di Parma, la Medicea Laurenziana di Firenze, l'Angelica, la Casanatense e la Vallicelliana di Roma, nonché dieci altre biblioteche pubbliche

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statali, con fisionomia mista, come quelle di Cremona e di Lucca, la Maru­ celliana e la Riccardiana di Firenze, o con funzioni volte prevalentemente alla ricerca, quali la Biblioteca di archeologia e storia dell'arte, quella di storia mo­ derna e contemporanea e la Medica statale (queste tre ultime a Roma) , oppure con i tratti della biblioteca locale (le statali di Trieste e di Gorizia) o addirittu­ ra della biblioteca di quartiere (la Baldini di Roma) . A questi 35 istituti ( 36 se si considera Macerata) il Regolamento delle bi­ blioteche pubbliche statali aggiunge poi, comprendendole sorprendentemente sotto la stessa denominazione, altre undici biblioteche annesse a monumenti nazionali, vale a dire appartenenti ad antiche abbazie (come ad esempio Mon­ tecassino, Farfa, Subiaco) ; dotate quindi di carattere ecclesiastico e funzional­ mente dipendenti dagli enti religiosi di appartenenza, ma ammesse a interventi finanziari e di supporto tecnico da parte dello Stato e chiamate di conseguen­ za a svolgere, entro i limiti determinati dalla loro natura, servizi destinati all'u­ so pubblico. L'accesso alle biblioteche pubbliche statali è, in linea generale, libero e gratuito. Spetta tuttavia al regolamento interno di ciascun istituto stabilire i limiti di età per l'ammissione in biblioteca, nonché le modalità di accesso de­ gli utenti mediante carta d'entrata, permesso o tessera annuale di frequenza. Esistono poi, oltre alle sale di lettura e di consultazione, sale riservate allo studio dei manoscritti e del materiale raro e di pregio, nonché di quello spe­ ciale, alle quali si accede con modalità particolari stabilite dal regolamento in­ terno e nelle quali deve venire applicata una particolare sorveglianza, anche con l'uso di strumentazioni elettroniche, nonché un servizio di assistenza agli utenti. Oltre alle biblioteche pubbliche statali, che abbiamo precedentemente esa­ minato, esistono molti altri istituti bibliotecari statali che fanno capo all'ammi­ nistrazione governativa, non però al Ministero per i Beni e le attività cultu­ rali. Dipendono invece da questo stesso Ministero, pur non facendo parte del gruppo delle "pubbliche" le biblioteche degli archivi di Stato, la cui azione si coniuga con quella più propriamente documentaria degli archivi. Un gruppo di biblioteche di base che potrebbero esercitare una funzione assai importante, soprattutto di carattere propedeutico all'apprendimento della ricerca, è quello delle biblioteche scolastiche. Il riferimento amministrativo va qui fatto, per quelle di appartenenza stata­ le, al Ministero della Pubblica istruzione, anche se a partire dal r998 gli istitu­ ti scolastici godono di forme di autonomia organizzativa, amministrativa e ge­ stionale. Precedentemente, il D.P.R. 3 r maggio r974, n. 4r6, relativo all'istituzione e al riordinamento degli organi scolastici collegiali aveva attribuito ai consigli di circolo e di istituto il potere di disciplinare con proprio regolamento il fun­ zionamento della biblioteca e di decidere sulle relative dotazioni librarie, men-

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tre la successiva L. 4 agosto I 977 , n. 5 I 7, autorizzava l'uso degli edifici e delle attrezzature scolastiche (quindi anche delle biblioteche) al di fuori dell'orario scolastico per attività atte a realizzare la funzione della scuola come centro di promozione culturale. Occorre inoltre ricordare che nell'ambito della legislazione bibliotecaria re­ gionale, di cui parleremo più oltre, alcune leggi, come quella della Provincia autonoma di Trento e quella dell'Emilia Romagna, prevedono espressamente forme di collaborazione tra i sistemi bibliotecari locali e le biblioteche scolasti­ che, che vengono così comprese, pur senza perdere la loro specifica natura giuridica, tra le strutture atte a realizzare il servizio bibliotecario sul territo­ rio. Tuttavia, per quanto riguarda la loro gestione tecnica e conseguentemente la loro effettiva capacità funzionale, queste biblioteche, che pure in taluni casi costituiscono nuclei librari di un certo interesse, non sono messe in grado dal­ lo Stato di svolgere un servizio stabile ed efficace. Manca infatti in Italia qualsiasi norma relativa alla presenza e alla funzione di personale bibliotecario nelle scuole se non quella, che presenta un aspetto addirittura derisorio, che consente di utilizzare per l'organizzazione e la ge­ stione della biblioteca scolastica personale dichiarato inidoneo alla funzione docente per motivi di salute. In tali condizioni, queste biblioteche restano affi­ date nella grande maggioranza dei casi ad interventi del tutto estemporanei di personale non professionalmente preparato degli istituti di appartenenza. Ancora sul terreno della formazione, questa volta superiore, e su quello della ricerca scientifica, rivestono grande importanza le strutture bibliotecarie delle università, che nel loro complesso costituiscono il gruppo di biblioteche più dotate di materiale librario e anche di risorse finanziarie, oltre a servire l'utenza bibliotecaria più vasta e più diffusa (Ruffini, 2oo2a) . Esse non vanno confuse con le undici "biblioteche universitarie" a cui ab­ biamo precedentemente accennato, le quali continuano a far capo in massima parte al Ministero per i Beni e le attività culturali, nonostante un decreto legi­ slativo del I998 preveda che le università possano richiederne il trasferimento (il che non è peraltro avvenuto, se non per l'Universitaria di Bologna e in maniera non completa) . Paradossalmente, queste biblioteche, il cui numero assomma secondo valu­ tazioni ministeriali a più di mille unità amministrative (più di I .6oo secondo ulteriori proiezioni) , talvolta articolate in diversi punti di servizio, non sono regolate da una normativa specifica e non possiedono neppure una configura­ zione omogenea, potendosi qualificare come strutture legate a istituti, a di­ partimenti, a facoltà o in qualche caso limitato, come biblioteche di ateneo. Esse sono state assai a lungo, nella storia delle istituzioni culturali italiane, mere entità di fatto e si è dovuto attendere la realizzazione nel I 989 dell'auto­ nomia universitaria, peraltro già sancita dall'ultimo comma dell'art. 33 della Costituzione, per vedere delinearsi, non sulla base di una precisa prescrizione

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di legge, ma piuttosto su quella dell'esercizio dell'autonomia statutaria, una configurazione plausibile, anche se non sempre soddisfacente, dei servizi bi­ bliotecari delle università. Questo tipo di organizzazione, non identica in tutti gli statuti, si struttura normalmente in un "sistema bibliotecario di ateneo" , vale a dire in un organi­ smo centrale, presieduto dal rettore o da un suo delegato, dotato di un consi­ glio rappresentativo delle diverse aree scientifiche individuate e affidato alla responsabilità tecnica di un "coordinatore generale". Le diverse biblioteche che compongono il sistema, che possono, come si è detto, articolarsi in unità amministrative assai diverse, sono a loro volta chiamate a convergere e a coor­ dinarsi, configurandosi come "biblioteche di area", affidate per lo più a un "coordinatore di biblioteca" . Mentre alcune funzioni, prima tra tutte la catalogazione su base elettronica che si traduce normalmente in un catalogo online di tutto l'ateneo, non posso­ no che basarsi su un forte principio di coordinamento tra le diverse strutture, le politiche degli acquisti, le modalità dei finanziamenti e altri aspetti essenzia­ li del servizio, come i rapporti con l'utenza, vengono risolti, mancando come si è detto ogni normativa generale nel settore, sulla base delle scelte autonome dei singoli sistemi. Ancora nella categoria complessiva delle biblioteche statali e in relazione a funzioni di alta ricerca possiamo comprendere le biblioteche di organismi na­ zionali a ciò deputati, quali ad esempio il CI'\R (Consiglio nazionale delle ricer­ che) , i cui servizi bibliotecari sono articolati in una struttura centrale (che ri­ ceve per diritto di stampa copia delle pubblicazioni tecnico-scientifiche) e in strutture periferiche appartenenti agli istituti e ai laboratori che lo compongo­ no, nonché l'Istituto superiore di sanità, che comprende la biblioteca tra i propri servizi generali. Tra le biblioteche degli organi costituzionali dello Stato una particolare menzione deve essere riservata alla Biblioteca della Camera dei Deputati (aperta dal 1988 all'uso pubblico, oltre che a quello dei parlamentari) e alla Biblioteca del Senato (anch'essa aperta al pubblico degli studiosi nella nuova sede del palazzo della Minerva inaugurata nel 2 003 ). Anche i cosiddetti organi ausiliari, come ad esempio il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro ( CNEL) , possiedono propri servizi bibliotecari. Esiste inoltre un insieme importante di biblioteche dell'amministrazione centrale, vale a dire dei vari ministeri che compongono il Governo, alcune del­ le quali offrono anche agevoli opportunità di accesso agli studiosi esterni. Un a particolare menzione merita la Biblioteca centrale giuridica del Mini­ stero della Giustizia, parzialmente aperta al pubblico dal 1996 e tradizional­ mente destinataria, per quanto riguarda le opere di interesse giuridico, della copia trasmessa al Ministero sulla base della legge sul deposito obbligatorio. Anche gli organi periferici dell'amministrazione della giustizia, come le sedi dei maggiori tribunali, sono generalmente dotati di proprie biblioteche,

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mentre sul piano dei servizi informativi è importante segnalare la base di dati Italgiure gestita dalla Corte di Cassazione. Una notevole importanza sul piano dell'attività di reinserimento sociale va poi attribuita alle biblioteche delle carceri, dipendenti dall'amministrazione penitenziaria, per le quali è da tempo in atto anche in Italia un dibattito fina­ lizzato al loro sviluppo e alla loro valorizzazione nel quadro dell'ordinamento carcerario. 1 .5

Le biblioteche nell'ordinamento regionale

Abbiamo fatto cenno più sopra alla pluralità delle fonti legislative che caratte­ rizza l'ordinamento italiano, anche quando esso venga visto in un unico qua­ dro di riferimento, o che (qualora si accetti la teoria della pluralità degli ordi­ namenti giuridici) lo distingue addirittura in vari ordinamenti, in ogni caso coordinati tra loro in un sistema complessivo. Le biblioteche, nella loro forma specifica locale, sono comunque interessa­ te in Italia dall'esercizio dell'autonomia legislativa regionale che le comprende, per disposto costituzionale, entro la propria sfera di competenza. Non è quindi possibile parlare di biblioteche di Enti locali, in Italia, senza fare riferimento all'ordinamento regionale 8. Le Regioni costituiscono istituzioni dotate di autonomia politica, legislativa e amministrativa entro uno Stato articolato a livello territoriale, mentre rimane sostanzialmente indeterminata la configurazione di tipo federale, che da taluno si vorrebbe ad esso conferire mediante la cosiddetta "devoluzione" alle Regio­ ni di funzioni legislative esclusive. In ogni caso, la fonte primaria dell'autonomia regionale va ricercata nella normativa costituzionale, sia nel suo disposto originario che nelle successive leggi di modifica; poi nelle leggi statali di trasferimento delle funzioni previste nella stessa Costituzione. Sulla base di tale legislazione statale, si esplica successivamente l'esercizio dell'autonomia legislativa regionale che si è concretizzata nel nostro settore in un vasto corpus di leggi di questa specifica natura. L'art. I I 7 della Costituzione italiana del I 948 inserisce tra le "materie" di competenza legislativa regionale le biblioteche di Enti locali. Il successivo art. I I 8 precisa che su tali materie le Regioni possiedono an­ che competenza amministrativa, tranne che per le funzioni di portata pretta­ mente locale, come sarebbero, in campo bibliotecario, quelle relative alla tito­ larità e alla gestione dei singoli istituti che restano, ovviamente, all'ente di 8. Per i tratt i essenz iali dell ' attuazione dell ' ordinamento regionale in campo bibliotecario si può vedere P. TRANIELLO, Biblioteche e Regioni: tracce per una analisi istituzionale, Giunta regio­ nal e toscana - L a Nuova I talia, Firenze 1 983.

33

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

base (per lo più il Comune, in qualche caso, specialmente in Italia centrale, la Provincia) 9 . Il 2 ° comma dello stesso art. I I8 della Costituzione sancisce che «lo Stato può con legge delegare alla Regione l'esercizio di altre funzioni amministrative». Dopo un lungo periodo di mancata attuazione, l'ordinamento regionale fu finalmente attuato nel I 970 con una legge che prevedeva il trasferimento alle Regioni delle funzioni di loro propria competenza costituzionale «per settori organici di materie» e nel I 97 2 furono emanati i relativi decreti di attuazione. Il terzo di tali decreti - che riguardava, oltre ad altre materie, le bibliote­ che di Enti locali - provvedeva, contrariamente alla richiesta più marcatamen­ te regionalista che avrebbe desiderato un semplice richiamo della norma co­ stituzionale, ad enumerare le funzioni trasferite. In questa enumerazione non veniva compresa l'attività di coordinamento territoriale degli istituti, che era stata svolta durante il periodo di mancata at­ tuazione della Costituzione da uffici governativi e che verrà formalmente tra­ sferita solo con un successivo decreto del I 977 , mentre la qualifica di "locale" che la Costituzione applicava alle biblioteche di competenza regionale veniva estesa a comprendere anche le biblioteche di interesse locale, vale a dire quelle che, pur appartenendo a istituzioni diverse (per esempio fondazioni, associa­ zioni, enti ecclesiastici) , svolgessero però, in forma di servizio rivolto al pub­ blico, un'attività che interessava primariamente il proprio territorio. Il decreto comportava anche il trasferimento alle Regioni delle Soprinten­ denze ai beni librari, che erano organi periferici dell'amministrazione statale competenti in materia di tutela del patrimonio librario ed erano anche incari­ cate di gestire gli interventi a favore delle biblioteche locali fino ad allora svol­ ti direttamente dallo Stato. Mentre questa seconda funzione era senz'altro trasferita alle Regioni, veni­ va considerata " residua" allo Stato la funzione di tutela, vale a dire l'attività relativa alla conservazione, riproduzione e restauro di materiale librario antico, raro e di pregio, nonché alla notifica ad enti e privati dell'importante interesse storico e artistico di determinate collezioni o singoli documenti, alla vigilanza sulle alienazioni e le permute, alle proposte di esproprio in caso di deteriora­ mento, all'esercizio della p relazione e dell'autorizzazione all'esportazione. Anche queste funzioni, tuttavia, venivano trasferite alle Regioni, insieme agli uffici che le esercitavano (le Soprintendenze ai beni librari) , in forza della facoltà di delega prevista dal 2 o comma dell'art. I I 8 della Costituzione, con la

9· Esistono al cuni casi assa i limitati di bibliotech e pubblich e di diretta appartenenza regio­ nal e: si tratta della Biblioteca regionale di A osta per la Valle d 'Aosta, nonché delle bibliotech e di Palermo ( ex nazionale ) e di Messina e C atania ( ex universitarie ) , assunte in proprio d alla Reg io­ ne Sicilia. Nella Regione Trentino Alto Adige, ch e si artico la in due province autonome, sono state istituite a B ol zano d ue bibliotech e provinciali (ma equiparabili alle regionali) , una per l 'area di popolazione di lingua tedesca, l 'altra per quell a di lingua italiana.

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I . ASSETTO ISTITUZIONALE E 1'\0RMATIVO DELLE BIBLIOTECHE ITALIA:-J E

specificazione che esse avrebbero dovuto venire svolte «in conformità delle di­ rettive emanate dal competente organo statale» e che in caso di persistente inattività regionale il Governo centrale avrebbe potuto intervenire con propria surroga. La suddivisione delle competenze legislative tra Stato e Regioni è stato poi oggetto di un vasto progetto di revisione costituzionale a partire dai lavori della Commissione bicamerale istituita nel I 994, passando attraverso la cosiddetta "legge Bassanini" del I 997 e al relativo decreto delegato del I998 per arrivare alla riforma complessiva del Titolo v della Costituzione attuata nel marzo 2oo r . Senza volere entrare nel merito di tale processo, e del relativo dibattito sul cosiddetto "federalismo" , possiamo !imitarci ad osservare che l'ottica in cui esso si è mosso, per quanto riguarda i poteri legislativi, è stata quella di elimi­ nare l'enumerazione delle "materie" di competenza normativa regionale (stabi­ lite dalla Costituzione del I 948 «nei limiti di principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato») , per elencare invece una serie di settori in cui viene riservato allo Stato un potere legislativo " esclusivo", lasciando tutti gli altri campi all'esercizio della legislazione " concorrente" di Stato e Regioni. L'esercizio dell'attività legislativa regionale in campo bibliotecario, inco­ minciato con la L.R. 4 novembre I 97 3, n. 4 I della Lombardia e proseguito poi per tutte le Regioni lungo le diverse legislature, è stato notevolmente in­ tenso ed è passato attraverso varie fasi identificabili abbastanza chiaramente nelle loro linee generali, nonostante le naturali differenze di scelte normative tra le singole Regioni. Dopo una spinta propositiva iniziale, caratterizzata da un lato da una forte tendenza a definire le biblioteche in termini di principi democratici e parteci­ pativi che si rifacevano anche agli statuti regionali, dall'altro dalla messa in atto di interventi finanziari distribuiti, come si diceva, "a pioggia" a favore dei servizi bibliotecari locali, si è passati, a partire dalla fine degli anni settanta, a una politica legislativa di carattere più marcatamente programmatorio, dove prevalevano le funzioni degli uffici regionali centrali e si mirava soprattutto all'aggregazione delle strutture a livello territoriale, anche mediante l' attribu­ zione di rilevanti funzioni di coordinamento ad uffici bibliotecari provinciali. In una terza fase, infine, caratterizzata dalla piena affermazione delle tecnolo­ gie informatiche, si è tentato, anche su base legislativa, di procedere con inter­ venti potremmo dire più "leggeri " , volti soprattutto alla proposizione di obiet­ tivi da raggiungere mediante "reti" di servizi fondati principalmente sulla tra­ smissione dell'informazione. I risultati raggiunti dalla legislazione regionale, come pure dagli interventi amministrativi regionali, che spesso hanno saputo esplicare una maggiore effi­ cacia realizzativa, specialmente quando si sono tradotti in programmi di ampio respiro, restano comunque controversi e parziali. Da un punto di vista critico generale, senza entrare in una disamina pun­ tuale delle strade percorse dalle diverse Regioni, si può imputare all'ordina­ mento posto in essere dalla legislazione regionale di non essere stato in grado 35

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

di configurare in termini nuovi ed attuali l'istituto della biblioteca pubblica, compito questo che indubbiamente rientrava non solo nelle competenze, ma nelle precise responsabilità della Regione e avrebbe dovuto essere perseguito con assai maggiore consapevolezza anche culturale. Dal punto di vista degli interventi legislativi, al di là delle intenzioni di sviluppo, talvolta anche ambiziose, è rimasto assolutamente inadeguato il li­ vello degli interventi finanziari che non sono stati quasi mai in grado di pro­ muovere concretamente la nascita di strutture di servizi bibliotecari (non solo informativi) adeguate ai bisogni della società contemporanea. 1 .6 L'istituzione bibliotecaria negli ordinamenti locali

Il sistema delle autonomie che caratterizza, come abbiamo visto, nel suo com­ plesso, l'ordinamento italiano è percorso a partire dall'ultimo quindicennio da interessanti processi che riguardano anche il nostro settore e che permettono di considerare entro un quadro dialettico i fenomeni politici che conducono, da una parte, alle proposte federaliste, dall'altra a una forte riproposizione e valorizzazione delle autonomie locali di base, in primo luogo di quelle comu­ nali. In altri termini, a un confronto, se non a una contrapposizione, tra fede­ ralismo e municipalismo. Un importante punto di avvio in questa direzione è costituito dalla L. 8 giugno I 990, n. 1 42 di riordino delle autonomie locali, la quale senza entrare nel merito dell'assetto regionale che verrà, come abbiamo visto, demandato a successive riforme costituzionali, sancisce tuttavia aspetti di grande rilievo per l'esercizio delle funzioni degli enti amministrativi di base 1 0 , che verranno ri­ presi e precisati in leggi successive fino all'emanazione, nell'agosto 2ooo, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli Enti locali. Tra questi aspetti, o principi conduttori, rivestono particolare importanza per il nostro settore l'attribuzione di un vero e proprio potere statutario a Province e Comuni, la definizione di nuove possibili modalità di gestione dei servizi, il favore accordato per l'impostazione di tali servizi e dei loro pro­ grammi di sviluppo a varie forme di cooperazione tra enti anche di natura giuridica diversa. L'esercizio dell'autonomia statutaria da parte degli Enti locali è atta a con­ figurare la biblioteca pubblica locale in termini innovativi, anche nel quadro di servizi più ampi destinati all'accesso da parte dei cittadini all'informazione, specialmente per quanto concerne i procedimenti amministrativi e in generale la vita della comunità locale, secondo i principi di trasparenza affermati anche

Io. Sull'impatto della legge 1421! 990 in campo bibliotecario si può vedere M. CECCO:-.JI (a cura di) , Biblioteche e autonomie locali: problemi e prospettive dopo la legge 142 , Editrice Biblio­ grafica, Milano 1 99 1 .

I . ASSETTO ISTITUZIONALE E 1'\0RMATIVO DELLE BIBLIOTECHE ITALIA:-J E

dalla L. 7 agosto 1 990, n. 24 r ; possibilità questa della quale gli Enti locali si sono peraltro finora avvalsi in misura insufficiente. Quanto alle modalità di gestione dei servizi bibliotecari, un particolare in­ teresse è stato riservato alla forma dell'istituzione, prevista dalla L. I42lr 990, che dà luogo a un'amministrazione autonoma retta da un apposito consiglio, anche se finanziariamente dipendente dagli stanziamenti dell'amministrazione di appartenenza. Questa forma specifica è stata realizzata in diversi casi per la gestione di singole biblioteche, di sistemi bibliotecari urbani e anche di servizi provinciali, dando luogo a risultati in linea generale apprezzabili anche se non sempre sottratti al rischio di creazione di nuovi e piuttosto asfittici centri di potere locale. Ma il tema più promettente posto dalle recenti riforme delle autonomie locali è certamente quello della valorizzazione delle "forme pattizie" realizza­ bili da amministrazioni diverse per la gestione e anche per la programmazione dei servizi. Oltre alle modalità tradizionali della convenzione e dei consorzi è possibile ricorrere, su proposta regionale, alla gestione associata sovracomunale di fun­ zioni e servizi e, per iniziativa delle Regioni, delle Province o dei Comuni, ad accordi di programma che possono coinvolgere anche amministrazioni statali e altri enti pubblici. Sulla base degli accordi di programma sono state recentemente varate al­ cune importanti iniziative relative a nuovi servizi bibliotecari di maggiore por­ tata come la Biblioteca europea di informazione e cultura (BEIC) in fase di realizzazione a Milano. Naturalmente, la partecipazione finanziaria dello Stato a tali progetti, per potere essere giudicata equa, dovrebbe essere diffusa in modo ampio e omo­ geneo su tutto il territorio nazionale, non certo solo nelle aree economicamen­ te più forti. Tuttavia, una politica per le biblioteche pubbliche condotta in tal senso anche con la partecipazione dello Stato servirebbe certamente a superare gli aspetti più anacronistici della situazione italiana e a permettere una crescita complessiva che, se non è mancata a livello locale ( sia pure solo in ambiti geografici determinati) nell'ultimo quindicennio, ha tuttavia indubbiamente bi­ sogno di consolidarsi mediante esperienze e punti di riferimento trainanti. 1 .7

Conclusione

Per concludere con una riflessione che riporta il nostro discorso al terreno teorico da cui era partito, si può osservare che gli sviluppi recenti della pro­ blematica bibliotecaria valgono, pur nell'ambito abbastanza limitato in cui si pongono, a confermare alcune intuizioni a mio avviso inoppugnabili delle teo­ rie istituzionaliste, o almeno quella circolarità tra diritto e istituzione da cui non sembra facile prescindere. 37

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

Per !imitarci all'unico vasto corpus normativa in vigore nel nostro Paese in campo bibliotecario, vale a dire alla legislazione regionale, appare abbastanza evidente la considerazione che né le molte norme di principio contenute in tale legislazione, né quelle più propriamente prescrittive, che si riferiscono a un "dover fare" da parte delle amministrazioni regionali e locali, sono state di per sé atte a delineare nuovi istituti giuridici percepibili come rilevanti perché effettivamente in grado di determinare la nascita di istituzioni che svolgano funzioni efficaci. Da questo punto di vista e nonostante i molteplici appelli a riferimenti internazionali, la biblioteca pubblica in senso contemporaneo ha avuto in Italia per lo più realizzazioni parziali e l'organizzazione dei servizi è rimasta troppo spesso carente sul piano strutturale. Quando invece, come è certamente awenuto negli ultimi anni, le comunità interessate hanno più concretamente awertito la necessità di una gestione più avanzata degli spazi per la lettura e per l'informazione, si è incominciata a intrawedere la possibilità di soluzioni che vanno oltre gli aspetti normativi in senso formale, per investire invece gli aspetti concretamente organizzativi delle istituzioni. Ciò si è verificato non solo nell'ambito delle comunità locali, ma, ad esempio, di quelle universitarie (dove addirittura non esiste alcuna legislazio­ ne bibliotecaria) ed ha comportato il ricorso a nuovi modelli (i "sistemi bi­ bliotecari di ateneo " , gli accordi di programma) che possono essere validi se e in quanto capaci di realizzare autentiche trasformazioni strutturali e, ap ­ punto, organizzative. In questa prospettiva, non è tanto all'interno di un ordinamento giuridico rigidamente formalizzato e gerarchizzato, ma piuttosto nella convergenza dei diversi ordinamenti atti a riconoscere e potenziare istituzioni efficaci, che si può delineare una prospettiva di sviluppo dei servizi. Il diritto, insomma, si presenta con particolare evidenza, nel nostro caso, come fatto eminentemente sociale, non solo perché nasce e si determina me­ diante l'azione sociale, ma anche perché è chiamato a regolare tale azione ri­ conoscendo le esigenze che ad essa soggiacciono e le istituzioni che da essa derivano. Né può apparire sorprendente che proprio un'istituzione che, come la bi­ blioteca, è intimamente fondata su processi di tipo comunicativo venga a por­ re in primo piano questo tratto peculiare, di ordine sociale, che determina e caratterizza il fenomeno giuridico. Letture complementari AIB ,

Rapporto sulle biblioteche italiane, a cura di V. Ponzani, AIB, Roma (sono state finora pubblicate le edizioni 200 I -o3 , 2004 , 2005 -06 ). R . BIN , G . PITRUZZELLA, Diritto pubblico, Giappichelli, Torino 2004 . ' D. D ALESSANDRO, Il codice delle biblioteche, Editrice Bibliografica, Milano 2003 . P. TRA:'\IELLO, Legislazione delle biblioteche in Italia, Carocci, Roma 2002 .

2

La costruzione delle raccolte. Teorie e tecniche per lo sviluppo e la gestione delle collezioni di Maurizio Vivarelli

2. 1

Inquadramento generale

L'obiettivo di introdurre alle problematiche riguardanti la valutazione, la pro­ grammazione, lo sviluppo e la gestione delle raccolte bibliografiche e docu­ mentarie delle biblioteche, prima ancora delle considerazioni specificamente biblioteconomiche qui proposte, si rivela complesso già a partire da alcune sommarie e generalissime considerazioni preliminari. Proviamo a immaginare, da un lato, il totale dei libri e degli oggetti docu­ mentari pubblicati ogni anno. È difficile effettuare una stima esatta, sia per quanto riguarda la produzione editoriale censita attraverso gli strumenti ordi­ nari di controllo bibliografico, sia per ciò che attiene alle risorse documentarie rese disponibili attraverso il Web. Proviamo a fornire qualche elemento di orientamento generale. In Italia, nel 2003 , sono stati pubblicati in volume cir­ ca 5o.ooo testi, per un totale di circa 225 milioni di copie; le edizioni nel 2002 erano state circa 54.ooo, equivalenti ad un totale di copie stimato orientativa­ mente in 2 5 8 milioni. In Italia la tiratura media, best seller inclusi, è stata di circa 4. 6oo copie; un libro su quattro è tradotto da lingue straniere 1 • Il controllo bibliografico istituzionale - vale a dire il censimento e la de­ scrizione catalografica autorevole di tutto quanto viene pubblicato sul territo­ rio nazionale - è, com'è noto, garantito dalla Bibliografia nazionale italiana, che arriva a descrivere circa 4o.ooo titoli l'anno 2• Per quanto riguarda la dimensione quantitativa del Web un interessante studio (O'Neill, Lavoie, Bennett, 2003) pubblicato sulla rivista elettronica "D-Lib Magazine" fornisce i dati riportati nella TAB. 2 . r . Il totale delle pagine Web conservate con il progetto " Internet Archive" nel periodo 1 996-2005 risulta di 55 bilioni 3 •

1 . Le informazioni qui riportate sono desunte da ISTAT, La produzione llbraria nel 2 003. Dati provvisori, < http:/lculturaincifre.istat.it/sito/Pubblicazioni/produzionelibraria_2oo 3_dati

provvisori.pdf > . 2. Cfr. < http://www .bncf.firenze.sbn.it/pubblicazioni/index.htrnl > . 3 · Cfr. Internet Archive, < http://www .archive.org/ > .

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E Q U ESTIONI

TABELLA 2 . 1

Numero di siti Web pubblici* Anno

Numero (in milioni)

1 99 8 1 999 2000 2001 2002

1 ,5 2 ,2 2 ,9 3·1 3 ,0

* I dati si riferiscono al periodo 1 99 8- 2oo2.

Fonte: O'Neill, Lavoie, Bennett ( 200 3 ).

Sul versante della ricezione, i lettori di libri in Italia sono stimati in circa 2 3 milioni, pari al 4 1 ,4 % della popolazione 4 • I comportamenti di lettura relativi all'editoria digitale, desunti dal Rapporto 2 0 05 deltOsservatorio deltAssociazio­ ne Italiana Editori sull'editoria digitale, curato dall'Istituto per gli studi sulla Pubblica Opinione ' , sono inquadrabili come segue: il 55 o/o del campione usa il computer; l' 8o o/o degli utilizzatori accede ad Internet; gli utilizzatori di Internet costituiscono il 46% della popolazione, equiva­ lente a quasi 24 milioni di italiani. Per quanto riguarda le biblioteche, sul territorio nazionale sono censite 15 .654 biblioteche, delle quali 6.570 gestite da Enti locali e 2 . 2 1 2 dalle Uni­ versità, per limitarsi alle due tipologie più folte 6• Nel 2003 sono stati stimati acquisti di materiali bibliografici per circa 70 milioni di euro, con un aumento del 3 , 7 % rispetto al 2 002 7 • Già a partire da queste schematiche osservazioni preliminari si intuisce la complessità dei principi, delle tecniche, delle procedure utilizzate nei diversi tipi di biblioteche per alimentare la propria disponibilità bibliografica. La bi­ blioteca, infatti, è «un organismo che cresce» (Ranganathan, 1 93 1 ) : nulla di meglio della classica formulazione di Ranganathan per introdurre l'idea, evo­ cata in precedenza, che sia necessario confrontarsi, almeno tendenzialmente, con i circuiti editoriali e comunicativi entro cui le biblioteche nella loro totali­ tà si situano 8• E cresce, la biblioteca, non secondo modalità meramente quan4· Cfr. ISTAT, Cultura, socialità, tempo lzbero. Indagine multiscopo sulle famiglie "Aspetti del­ la vita quotidiana". Anno 2 0 0 3 , < http:/lculturaincifre.istat.it/sito/Pubblicazioni/culturasocialita

tempolib_2003.pdf > . 5 · Cfr. ISPO, Le famiglie italiane e i contenuti digitali: modalità di accesso e consumo. Un'inda­ gine quantitativa, < http://www.aie.it/Allegati/News/Presentazione% 2odefinitiva_ISPO_I 2Aprile 2005 %2orev%2oEC.pdf > . 6. Cfr. Anagrafe bzblioteche italiane, < http://anagrafe.iccu.sbn.it/index.html > . 7· Cfr. G. PERESSON, Rapporto sullo stato dell'editoria in Italia. 2 004 , Ediser, Milano 2004. 8. Per una prima introduzione a questi argomenti cfr. P. BURKE, Storia sociale della conoscenza. Da Gutenberg a Dzderot, il Mulino, Bologna 2 002 ; A. BRIGGS, P. BL'RKE, Storia sociale dei media. Da Gutenberg a Internet, il Mulino, Bologna 2002 ; A. MATTELART, Storia della società del-

2 . LA COSTRU ZIONE DELLE RACCOLTE

titative, ma nella cornice di specifiche particolarità, che connotano da secoli la natura e le funzioni di questo istituto. Provare a indagare le forme assunte da tali modulazioni nelle raccolte delle biblioteche, certamente, è un'attività che va ben al di là dei limiti di questo contributo. In altre parole una storia gene­ rale dello sviluppo delle raccolte non può né qui, né probabilmente altrove essere tracciata 9 . 2.2

I fondamenti teorici

Le raccolte bibliografiche delle biblioteche sono, indubbiamente, costituite dall'insieme degli oggetti documentari che le compongono. Tali oggetti, gene­ ralmente, sono stati acquisiti attraverso periodi più o meno lunghi e organizza­ ti secondo un ordine che è da correlare ai principi e alle modalità gestionali che nell'istituto sono stati applicati I o . Gli oggetti documentari recano tracce di tali criteri e, in base a queste tracce, secondo specifiche metodologie di ri­ cerca, è possibile ricostruire le dinamiche che hanno portato le collezioni ad essere così come sono I I . Oltre a ciò alle stesse collezioni, viste non solo nella loro materiale fisicità ma anche in quanto insiemi di oggetti testuali, inerisco­ no gli usi, anch'essi diacronicamente determinatisi, vale a dire le pratiche di lettura delle quali sono state oggetto. Lettura che, in quanto tale, non può non essere il principio costitutivo fondante di ogni istituto documentario, qua­ lunque sia la sua finalità o la sua vocazione. Con Ross Atkinson ( r 990, p. 7 r ) si può dunque concludere che: «La funzione principale di una biblioteca non è, pertanto, né produrre né provvedere informazione, bensì mettere assieme i mezzi materiali di produzione della informazione stessa, che gli utenti della bi­ blioteca utilizzeranno a loro volta per scopi produttivi». Da ciò consegue un'ulteriore, fondamentale implicazione: «In una società libera, chi sceglie per la biblioteca deve aderire all' oggettivismo astratto; sua l'informazione, Einaudi, Torino 2002. Un'aggiornata presentazione del sistema delle biblioteche italiane è in G. SOLIMINE, La biblioteca. Scenari, culture, pratiche di servizio, Laterza, Roma-Bari 2005 pp. I 64 ss. ' 9· Cfr. in tal senso il tentativo di R. N. BROADL'S, The Hùtory o/ Collectz'on Development, in Collection Management. A New Treatise, edited by C. B. Osburn, R. Atkinson, Jai Press, Green­ wich (cT)-London 1 9 9 I , pp. 3 -27. IO. Su queste tematiche un rimando d'obbligo è all'ormai classico P. INNOCENTI, Stratigrafia dei fondi e dei cataloghi librari: procedure di destratificazione del maggior nucleo italiano di mano­ scritti e libri e libri antichi, in Id. , Il bosco e glt' alberi. Storie di librz; storie di biblioteche, storie di idee, Giunta regionale toscana - La Nuova Italia, Firenze I 984-85 , vol. I, pp. 295-5 2 3 . Di Inno­ centi, in collaborazione con M. Rossi, si veda anche La biblioteca e la sua storia. Osservazioni su metodo e clavis bzbliografici per una storia della biblioteca in Italia, "Biblioteche oggi" , 5 (2) , I 9 8 7 , pp. 2 5 -47· r I. La presentazione più sistematica e aggiornata relativa alle ricerche che si muovono in tale ambito è M. ROSSI, Provenienze, cataloghi, esemplari. Studi sulle raccolte librarie antiche, Vec­ chiarelli, Manziana (Roma), 200 1 .

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

funzione è mettere in comunicazione con l'utente i segni materiali creati da un autore, e poi, per così dire, togliersi di mezzo, in modo che l'utente sia libero di decidere per proprio conto che cosa stiano a rappresentare quei segni ma­ teriali» (ivi, p. 7 2 ) . Un'altra osservazione fondamentale riguarda le modalità attraverso l e quali gli utenti si accostano alle raccolte. Gli utenti, come si è detto in precedenza, interagiscono sul piano interpretativo con gli oggetti che compongono le rac­ colte, durante le complesse fasi con cui avviene il cosiddetto recupero dell'in­ formazione. Che tali attività siano difficilmente indagabili è un dato di fatto certo; altrettanto certa è l'estrema vaghezza del concetto di " raccolte" nelle strutture cognitive degli utenti 1 2 • In linea generale si può dunque affermare che, a partire dalla totalità degli oggetti documentari potenzialmente acquisibili, e preso atto che solo un sot­ toinsieme di tali oggetti viene realmente acquisito, si individua un confine, che separa le due classi di oggetti (Atkinson, 1 996) . Tale confine, in un contesto documentario predigitale, coincide sostanzialmente con i limiti fisici dei luoghi nei quali gli oggetti documentari sono conservati. Gli oggetti dunque transita­ no da quella che è stata definita anti-collection (Atkinson, 1 998) ed entrano a far parte della collezione. Tale concetto di raccolte fisicamente localizzate è stato profondamente modificato dalla progressiva diffusione delle diverse tipologie di oggetti docu­ mentari digitali, distribuiti sia su supporti fisici locali sia nelle macchine inter­ connesse dai protocolli e dagli strati software di Internet e del Web. T ali og­ getti digitali non necessariamente superano il confine fisico che delimita lo spazio della biblioteca; inoltre tali oggetti, come è evidente, possono essere utilizzati solo nel caso che ciò sia richiesto, mantenendo la propria localizza­ zione distribuita. Ciò che conta, dunque, non è il possesso, ma l'accesso ai contenuti informativi di tali oggetti 1 3 . Le condizioni attraverso le quali un og­ getto documentario digitale viene incluso in una raccolta consistono dunque sostanzialmente nella conformità ad un set di criteri formali (ad esempio lin­ gua, argomento trattato, genere ecc . ) . Questi criteri possono permettere la se­ lezione/inclusione degli oggetti nella raccolta, basandosi su metadati associati all'oggetto e sui contenuti testuali dell'oggetto stesso (Lagoze, Fielding, 1 99 8 ) . L o spazio documentario i n tal modo delimitato costituisce dunque quello che Ross Atkinson ( 1 996, pp. 254-5) ha efficacemente definito contro! zone, 12. Cfr. l'interessante contributo di H. -L. LEE, The Concept o/ Collection /rom the User's Perspective, "Library Quarterly" , 75 ( I ) , 2005 , pp. 67-85 . Da segnalare, tra l'altro, la rilevazione

che gli utenti si accostano alle collezioni per esigenze di tipo funzionale, connesse alle proprie necessità informative, e che non hanno alcun interesse per le procedure tecnico-gestionali che alle raccolte sono applicate (p. 8 3 ) . 1 3 . Per u n primo approccio a questi temi cfr. ]. R . RUTSTEIN, A . L . DEMILLER, E. A . FUSELER, Possesso contro accesso: un cambiamento per le bzhlioteche, " Biblioteche oggi" , 13 (7), 1995 , pp. 40-5 1 .

2 . LA COSTRU ZIONE DELLE RACCOLTE

ossia: «a single, virtual, distributed, international digitai library, a library that has (conceptual, virtual) boundaries, that defines its services operationally on the basis of the opposition between what is inside and outside those bounda­ ries, and that bases that service on the traditional social ethic that has motiva­ ted ali library operations in modern times». In tale prospettiva va dunque organizzata la mediazione documentaria che la biblioteca deve continuare a garantire, ed entro la quale la collezione digita­ le si connota dunque come un'infrastruttura di servizio, entro la quale si orga­ nizzano la collezione digitale primaria (i diversi tipi di documenti digitali in­ clusi nella collezione) e la collezione digitale secondaria (le pubblicazioni digi­ tali prodotte dalla biblioteca) . 2.J

Definizioni

Le locuzioni più frequentemente utilizzate nella letteratura professionale per riferirsi alle attività oggetto di questo capitolo sono costruzione delle raccolte e gestione delle raccolte, l'una e l'altra correlate ai corrispettivi angloamericani collection building e collection management 1 4 . In ambito angloamericano queste esplicitazioni linguistiche trovano un si­ gnificativo punto di elaborazione nella cosiddetta "triade di Edelman " . Henrik Edelman distingue dunque tra collection development, con cui ci si riferisce alle attività di programmazione, selection, che denota i processi decisionali, e infine acquisition, con cui viene di fatto acquisito l'oggetto documentario. Nel corso degli anni ottanta si è affermato l'uso della locuzione collection management, in relazione al progressivo diffondersi, in ambito biblioteconomi­ co, di teorie e modelli metodologici provenienti dal campo delle discipline organizzative. A partire dalla seconda metà degli anni novanta si è attestato l'uso di knowledge management, locuzione dal campo semantico più ampio, evidente­ mente correlata all'emergere delle t ematiche legate alla gestione delle informa­ zioni in ambiente digitale. In Italia è da segnalare un'analoga tendenza. Negli anni settanta il focus della discussione tecnico-scientifica è sul momento della "scelta" (Lunati, 1 97 2 ) ; negli anni ottanta la parola chiave è "acquisti" (Carotti, 1 989) . Negli anni novanta si attesta l'uso di "costruzione" (Crasta, 1 99 1 ) e "gestione" (Soli­ mine, 1 999b) delle raccolte. Nella letteratura di lingua francese prevale l'uso di politique documentaire (Calenge, 1 999) .

14· Per un rapido inquadramento della ricezione del dibattito internazionale negli studi e nella letteratura professionale italiana si rimanda a Solimine ( r 999b, pp. 29-37).

43

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

Ciò che è certo, in sintesi schematica, è che con le diverse sottolineature semantiche denotate dalle diverse locuzioni ci si riferisce al complesso di for­ mazione, gestione, valutazione delle raccolte bibliografiche. 2 .4

Progettare le collezioni

Dopo una rapida e schematica enunciazione di alcune questioni preliminari, alcune delle quali di notevole rilievo teorico, si tratta ora di individuare le linee generali delle riflessioni di natura più propriamente biblioteconomica. In primo luogo, dunque, è necessario individuare le caratteristiche generali di quello che Giovanni Solimine ( r 999b, pp. 24-6.) ha definito un «approccio consapevole» alla gestione delle raccolte, con cui viene messa in evidenza la costitutiva complessità sia delle attività inquadrate sia dei profili di compe­ tenze necessari per attuarle. Si tratta, insomma, di individuare quello che sem­ pre Solimine ( r 999a) ha definito un "canone biblioteconomico" per la gestio­ ne delle raccolte, cui è evidentemente sotteso un modello di biblioteca dina­ mico ed efficace, in grado di dialogare, in modo coeso e strutturato, con la propria comunità di riferimento. Da questa prospettiva, dunque, si tratta di evidenziare il "valore biblioteconomico" dei documenti. Concetto nevralgico, questo, su cui è opportuno spendere qualche parola in più. Alcuni oggetti documentari superano il "confine" della biblioteca, per ri­ chiamare le considerazioni di Atkinson in precedenza esposte; altri oggetti do­ cumentari, copie dei precedenti, continuano ad esistere anche al di fuori di essa. Ma, all'oggetto documentario presente nella contro! zone viene aggiunto una sorta di paratesto bibliografico e biblioteconomico, che ne modifica sta­ bilmente lo status. L'oggetto, intanto, è di proprietà pubblica e l'accesso ai contenuti informativi che in esso risiedono è, generalmente, gratuito e persi­ stente nel tempo. Ma - e qui le cose si complicano - l'oggetto dovrebbe inol­ tre situarsi entro una rete di relazioni fisiche e concettuali - la " raccolta" , appunto - attraverso le quali dovrebbe amplificarsi l a capacità dell'oggetto di aumentare il proprio valore testuale. Come sostiene ancora Atkinson: «the creative skills an d knowledge of collection management - the ability t o c han­ ge the relationships of objects to each other, and of users to objects, by ad­ ding value to (or deleting values from) objects already selected» (Atkinson, I 99 8 , p. I 9) . La complessità del modello teorico non deve comunque far perdere d i vi­ sta il contesto, biblioteconomicamente orientato, nel quale l'istituzione biblio­ teca comunque si situa, e dunque gestire consapevolmente le raccolte implica indispensabili riflessioni sulle finalità istituzionali dell'istituto, sulla fisionomia documentaria del patrimonio, sulle esigenze informative degli utenti, sui prin­ cipi, le tecniche, le procedure di programmazione e gestione delle attività. È 44

2 . LA COSTRU ZIONE DELLE RACCOLTE

dunque in relazione a questo complesso blocco di attività che si definiscono le condizioni per far crescere "bene" la biblioteca. 2 .5

Le procedure biblioteconomiche

Nei paragrafi precedenti sono state prese in esame e brevemente discusse le linee generali del problema. Si tratta ora di approfondire l'indagine sulle for­ me e i modi con cui le biblioteche, nel loro specifico esserci, conducono tali attività. La complessità di tale campo di indagine è evidente. Avere come oggetto le " raccolte" della biblioteca vuoi dire confrontarsi con un oggetto mobile e variegato, dal momento che gli oggetti fisici che si aggregano nelle biblioteche sono, nello stesso tempo, oggetti documentari e oggetti testuali, inseriti in una rete ampia di relazioni concettuali, costituite dai contenuti informativi che in tali oggetti, appunto, si individuano. Se ora teniamo presente che tali "informazioni" non hanno consistenza an­ tologica, non sono "cose " , ma si dispiegano durante il processo di interpreta­ zione, ne consegue la modellizzazione di uno spazio logico complesso, entro il quale si possono individuare queste componenti elementari: - gli oggetti documentari nella loro fisicità; - gli oggetti documentari in quanto testi; - gli strumenti di mediazione indicale; - i processi interpretativi posti in essere da chi intende accedere all'uso degli oggetti fisici e ai contenuti intellettuali in essi presenti. E, ciò posto, emerge comunque l'evidente necessità, in una struttura orien­ tata al servizio quale indubbiamente è la biblioteca, di gestire tali attività, assi­ curando qualità, coerenza ed efficacia alle azioni svolte. Si individua, insom­ ma, l'esigenza di quel già richiamato "canone biblioteconomico" per la gestio­ ne delle raccolte documentarie, secondo la prospettiva lucidamente tracciata, in numerosi interventi, da Giovanni Solimine. Le fasi generali in cui si so stanzia tale approccio possono essere distin­ te in: - la definizione della fisionomia bibliografica della biblioteca, con precisazio­ ne delle modalità di presentazione e organizzazione dell'offerta documentaria; - la produzione di documenti programmatici in cui si enunciano i criteri di orientamento generale; - la selezione degli oggetti documentari; il trattamento catalografico di tali oggetti; - l'organizzazione della presentazione dell'offerta; - l'uso degli oggetti documentari; - la valutazione dell'uso; la valutazione ed eventuale riprogettazione delle procedure secondo cui l'offerta viene organizzata e gestita. 45

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

2. 5. I. La fisionomia documentaria Se escludiamo la fattispecie di un impianto assolutamente ex novo di una rac­ colta, la strutturazione delle collezioni, diacronicamente interpretata, è un dato che evidentemente preesiste alle valutazioni di natura sincronica. La prima operazione da fare, allora, è quella di analizzare la struttura bi­ bliografica delle collezioni, cercando di stabilire anzitutto le modalità attraver­ so cui le raccolte si sono costituite, e le forme bibliografiche e documentarie attraverso cui si è andato modulando il rapporto della biblioteca sia con la comunità territoriale di riferimento sia con l'istituzione da cui amministrativa­ mente dipende (Solimine, 2004b, pp. 73 -98) . Altrettanto importante è conoscere il contesto generale entro cui la struttu­ ra documentaria si inserisce, quello che Bertrand Calenge ( 1 999, p. 24) ha ef­ ficacemente chiamato l'anima della collettività. Si colloca qui l'uso delle diverse tecniche e strumenti di analisi di contesto, la cui natura è evidentemente da correlare alle specifiche funzioni dell'istituto documentario. Nel caso delle biblioteche pubbliche di notevole utilità possono risultare le tecniche di analisi di comunità 1 5 , attraverso le quali vengono raccolte e orga­ nizzate le informazioni relative al contesto demografico, economico, sociale e culturale nel quale la biblioteca si inserisce. Nel caso di una biblioteca dell'u­ niversità, invece, andranno prese in esame le caratteristiche dei profili di ri­ cerca accademici, l'organizzazione della didattica, la composizione e le caratte­ ristiche della popolazione studentesca. Nel caso di una struttura documentaria specialistica la ricerca potrà infine prendere in esame i confini delle aree disciplinari di riferimento e gli stru­ menti documentari e informativi maggiormente utili per le esigenze di studio e ricerca dell'utenza. Acquisiti i diversi tipi di informazioni ritenuti maggiormente utili, si tratta sostanzialmente di interpretarli alla luce dei compiti e delle funzioni documen­ tarie che all'istituto si ritiene di attribuire, in relazione alle esigenze informati­ ve espresse e latenti della comunità di utenti di riferimento. Esaurita questa fase, delicata e complessa, ma di natura comunque prope­ deutica, si giunge infine nel cuore di quell'insieme di attività su cui si fonda la politica documentaria dei diversi tipi di biblioteca. La prima attività da intraprendere è analizzare accuratamente la struttu­ ra delle collezioni, prevedendo delle segmentazioni articolate almeno come segue: in base al supporto fisico (libri, periodici, risorse elettroniche locali e re­ mote) ; 1 5 . A tale proposito, si rimanda a PROVINCIA DI MILA:-.JO. SETTORE CL'LTURA, Dal lzhro alle collezioni: proposta operativa per una gestione consapevole delle raccolte, Provincia di Milano, Mi­

lano 2002 .

2 . LA COSTRU ZIONE DELLE RACCOLTE

- in base alla localizzazione (scaffale aperto o magazzino) ; - in base alla lingua di edizione; - in base all'uso, stimando in modo differenziato i diversi usi (prestito, consultazione) dei diversi tipi di oggetti (libri, CD ecc.) . Un'attenzione particolare, in questa fase, andrà dedicata a un'approfondi­ ta analisi dei cosiddetti fondi speciali, vale a dire di quei nuclei bibliografici che, per particolari motivi si individuano nella struttura complessiva delle collezioni. Il livello di copertura tematica delle raccolte costituisce indubbiamente un notevole problema. Bertrand Calenge ( I 999, p. 97) suggerisce di quantificare il numero di documenti da rendere disponibili per ciascuna area di soggetto: egli stima i livelli ottimali in un numero variabile da 20 a 8o in una biblioteca media, e da 40 a 1 2 0 in una biblioteca grande. 2. 5 .2 . I documenti programmatici e di lavoro Anche nelle fasi più propriamente valutative è utile predisporre e utilizzare documenti di lavoro, in grado di dar conto sia della struttura bibliografica e biblioteconomica delle raccolte, sia del contesto generale entro cui la bibliote­ ca opera. Si ritiene utile prevedere in questa fase la redazione di un macrodo­ cumento di sintesi, in cui riportare gli esiti generali delle attività di conoscenza del contesto, della struttura di fondo delle collezioni, e degli obiettivi generali e delle finalità che alla biblioteca sono attribuiti. A questo macrodocumento di sintesi devono essere collegati quattro ulte­ riori tipi di documenti programmatici: - la carta delle collezioni; - il piano di sviluppo delle collezioni; - i protocolli di selezione; - il piano annuale di acquisizione. La carta delle collezioni, in sintesi, dovrebbe contenere un'accurata descri­ zione delle collezioni e delle politiche di sviluppo. Possono essere specificati le diverse tipologie di oggetti documentari che verranno acquisiti o resi accedibi­ li (libri, periodici cartacei ed elettronici, CD, DVD, risorse elettroniche remote) , l'atteggiamento della biblioteca rispetto a questioni, delicate, di natura etica o deontologica (presenza, ad esempio, dei quotidiani di partiti politici, di opzio­ ni riguardo il pluralismo dei diversi punti di vista culturali e/o disciplinari, eventuali forme di censura e/o limitazioni per i minorenni, criteri utilizzati per la valutazione delle segnalazioni degli utenti, atteggiamento relativo alla non banale questione dei doni e degli scambi) . Nella carta delle collezioni dovran­ no inoltre essere fornite informazioni sulle politiche di conservazione, su quel­ le di revisione e su eventuali procedure cooperative di sviluppo coordinato delle collezioni a livello territoriale. Ugualmente andranno definite nel detta47

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

glio le procedure di acquisti e i profili di responsabilità attribuiti. Gli altri documenti programmatici sono invece prevalentemente orientati alla comuni­ cazione interna. I piani di sviluppo delle collezioni, dunque, dovrebbero indi­ viduare gli obiettivi pluriennali suddivisi per area tematica, i protocolli di sele­ zione costituiscono gli strumenti per dar ordine, oggettivato nei limiti del pos­ sibile, ai criteri utilizzati per la scelta del singolo oggetto documentario, men­ tre il piano annuale di acquisizione dovrebbe consistere nella ripartizione ana­ litica delle risorse finanziarie. RIQUADRO 2. I

Collezioni in rete

Le ormai radicate e ineludibili esigenze di gestione cooperativa di sistemi territoriali di biblioteche suscitano interessanti prospettive di riflessione anche in ordine alla pro­ grammazione e allo sviluppo delle collezioni. Va da sé che, sia pur inserita in un con­ testo cooperativo, ogni biblioteca deve identificare e promuovere la propria individua­ lità documentaria. Altrettanto certo è che tale individualità deve confrontarsi e inte­ grarsi con il tessuto documentario territoriale, di cui ogni singolo istituto è espressione e manifestazione. Altrettanto evidente è che la più ampia dimensione, bibliografica e organizzativa, delle questioni in gioco non semplifica la progettazione di procedure di servizio complesse e articolate già se applicate a un singolo istituto documentario; cio­ nonostante, o anzi proprio per questo, non è irrilevante confrontarsi con tali proble­ matiche. In linea generale, dunque, parlare di sviluppo coordinato delle collezioni in un'area territoriale implica la riflessione su temi quali: - la definizione delle identità documentarie dei singoli istituti; - la definizione di procedure concordate e condivise connesse all a programmazione dello sviluppo delle collezioni; - la condivisione almeno del senso e degli obiettivi generali dei protocolli di sele­ zione; - la progettazione, anch'essa condivisa, di adeguati strumenti di comunicazione ri­ volti all'utenza. In tale ambito uno strumento operativo ormai abbastanza ampiamente diffuso è "Conspectus " (ARL, I993). La griglia di valutazione "Conspectus" prevede la codifica, definita a partire dall a classificazione della Library of Congress, di 24 suddivisioni arti­ colate in 7 .ooo soggetti. A partire da questa categorizzazione il metodo prevede la pre­ cisazione dei livelli di copertura documentaria dei singoli argomenti e tematismi. Ciò si effettua attraverso l'uso di codici numerici che qualificano la profondità del livello di copertura. Tali livelli sono: - o che indica la volontà di escludere l'acquisizione di opere relative a un particolare argomento; I che prevede la presenza di una selezione minima di poche opere di riferimento; - 2 che prevede la presenza di opere di orientamento introduttivo a un particolare argomento; - 3 che connota la presenza di opere correlate alla didattica universitaria; - 4 che codifica la presenza di oggetti documentari funzionali alla ricerca;

2 . LA COSTRU ZIONE DELLE RACCOLTE -

5 che contrassegna la copertura tendenzialmente esaustiva di un campo discipli­ nare. "Conspectus" prevede anche una codifica relativa alla copertura de gli argomenti in base alla lingua della trattazione: - E indica la presenza predominante di testi in lingua in gl ese; - F segnala la compresenza di testi in altre lingue; - W prevede la presenza di testi in tutte le lingue; - Y indica la prevalenza di testi in una lingua diversa dall'in gl ese. Recentemente, in Italia, la crescente diffusione di sistemi territoriali di biblioteche ha determinato in talune situazioni una meritoria attenzione a queste problematiche, con esperienze applicative di notevole rilievo. In tale prospettiva si veda ad esempio F. ROSA, Gestione delle raccolte di biblioteche in rete: un )esperienza in crescita, in I I. Seminario Angela Vinay. BibliotECONOMIA. L)economia della cooperazione bibliotecaria < http://www .aib.it/sezioni/veneto/vinayi I!rosaoo.htm > .

2 .5 . 3

Le procedure di selezione e acquisizione

In estrema sintesi, la finalità di tali procedure è quella di riuscire a individua­ re, tra tutti i documenti potenzialmente acquisibili, quelli ritenuti più adeguati agli obiettivi individuati e dichiarati nei documenti programmatici brevemente discussi nel paragrafo precedente. In questo ambito, dunque, vanno anzitutto individuate le fonti bibliografi­ che da utilizzare per la selezione. Tali fonti, molto grossolanamente, possono essere categorizzate come segue: - strumenti bibliografici (repertori bibliografici generali e speciali, fonti bi­ bliografiche indirette, enciclopedie, guide di orientamento bibliografico su particolari argomenti, informazioni recuperabili attraverso Internet) ; - strumenti catalografici (i diversi tipi di OPAC - Online Public Access Cata­ log - Web che potrebbero essere raggruppati in base al grado di affinità con l'identità documentaria dell'istituto) ; - strumenti editoriali (cataloghi degli editori, dei distributori, riviste di infor­ mazione bibliografica, supplementi tematici di quotidiani, recensioni, segnala­ zioni provenienti in genere dai diversi tipi di mezzi di comunicazione) ; - suggerimenti e segna/azioni degli utenti (da acquisire, valutare e interpreta­ re alla luce degli indispensabili strumenti di progettazione dello sviluppo delle raccolte prima richiamati) . Inutile dire che l a capacità di utilizzare con criticità ed efficacia questa ete­ rogenea varietà di risorse informative costituisce uno degli ambiti più delicati e problematici; è in larga misura qui che si misura l'effettiva capacità pro­ fessionale del bibliotecario. Una delle attività più delicate, in questa fase, è la valutazione qualitativa dei documenti, attraverso la quale vengono appunto analizzate le caratteristi­ che bibliologiche e bibliografiche dell'oggetto documentario. Qui si colloca l'uso di strumenti quali la cosiddetta "griglia di Whittaker" , che implica l'esa49

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E Q U ESTIONI

me dell'oggetto documentario nella sua totalità 1 6 . Durante questo esame ven­ gono considerati: a) le persone coinvolte nella realizzazione dell'opera; b) lo schema dell'opera, da cui dovrebbe essere possibile desumere: l'argomento o gli argomenti trattati; le finalità dell'opera; coloro ai quali l'opera è rivolta; le caratteristiche testuali ed espositive; le caratteristiche di altre opere collegate a quelle in esame; c) il contenuto; d) l'organizzazione, vale a dire la presenza di indici, tabelle, bibliografia, tavo­ le ecc.; e) il design, per valutare la leggibilità; /) le tecniche di produzione. Sulla base di questi elementi va predisposta una valutazione di sintesi che verifichi se l'acquisizione dell'opera è opportuna. Ulteriori criteri valutativi, di natura sistematica, sono stati predisposti per le opere di consultazione (Katz, 1 997) , per i libri per bambini e ragazzi 17, per le complesse attività riguardanti i documenti di interesse locale 1 8 • Ragionamenti strutturalmente analoghi a quelli qui brevemente richiamati sono da effettuare per la valutazione selettiva delle pubblicazioni periodiche e delle risorse elettroniche. Per quanto riguarda i periodici, è ovvio affermare preliminarmente che, in base all'organizzazione del sapere contemporaneo, i periodici costituiscono una risorsa informativa cruciale, soprattutto nelle biblioteche accademiche e di ricerca. In questo settore in maniera più significativa che in altri si sta attuando quell'ibridazione della struttura e delle funzioni della biblioteca, alle prese con il non semplice problema di garantire la crescita equilibrata delle collezioni oggettivate in documenti cartacei e in documenti digitali; tema di strettissima attualità, e che in questa sede non può naturalmente che essere richiamato 1 9 • Certo è che la gestione dei periodici costituisce un rilevante problema, an­ che in ordine ai sempre crescenti costi che, secondo alcune stime, per le bi-

16. K. WHITTAKER, Metodi e fonti per la valutazione sistematica dei documenti, edizione ita­ liana a cura di P. Lucchini, R. Morriello, Vecchiarelli, Manziana (Roma) 2002. La prima edizione di questo ormai classico volume è del 1 982 (Systematic evaluation. Methods and Sources /or As­ sessing Books, Clive Bingley, London). 1 7 . G. MALGAROLI (a cura di) , Bzhlioteche per bambini e ragazzi: costruzione, gestione e pro­ mozione delle raccolte, AIB, Roma 2ooo. 1 8 . R. PENSATO, La raccolta locale, Editrice Bibliografica, Milano 2000, in particolare le pp. 1 2 7 ss. Su questi temi si veda anche F. BENEDETTI, R. PENSATO, La raccolta locale in ambiente digitale, < http://didattica.spbo.unibo. it/bibliotime/num-iv-2/pensato.htm > . 1 9 . Per un primo sommario inquadramento generale cfr. A. SALARELLI, A. M. TAMMARO, La bzblioteca digitale, Editrice Bibliografica, Milano 2oo6.

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2 . LA COSTRU ZIONE DELLE RACCOLTE

blioteche accademiche e di ricerca possono arrivare a raggiungere il 90 o/o delle risorse economiche destinate allo sviluppo delle collezioni 20 • Per quanto riguarda, in senso ancora più generale, le risorse elettroniche, la loro individuazione, valutazione, selezione e gestione costituisce uno dei principali problemi posti alle discipline documentarie nel loro complesso. Già si è detto della necessità di pensare alla costituiva integrazione di una collezio­ ne locale e di una collezione remota che, nella loro strutturata integrazione, siano comunque in grado di garantire la persistenza della funzione di media­ zione documentaria che connota l'esserci, anche sotto il profilo storico, della biblioteca. Sempre a proposito dei metodi e delle procedure da adottare per la sele­ zione, va citato il criterio dell'approva! pla n , locuzione che approssimativamen­ te potrebbe essere tradotta con "profilo di pertinenza" 2 1 e con la quale ci si riferisce a una metodologia ormai abbastanza praticata, prevalentemente nelle biblioteche statunitensi. Si tratta, in sintesi, di formalizzare una sorta di griglia di selezione rigidamente strutturata, costituita da elementi di diversa natura. T ali elementi possono essere costituiti da: indici alfanumerici desunti da schemi di classificazione; descrittori derivati da fonti terminologiche autorevoli; criteri di selezione fondati sul livello di trattazione dell'argomento (divul­ gativo, approfondito ecc.) ; tipologia editoriale dell'oggetto bibliografico (ad esempio, volume i n bros­ sura) ; tipologia, caratteristiche, ambiti di specializzazione dell'editore. Sulla base di questi (o altri) criteri semiautomatici di selezione il fornitore predispone e invia, secondo cadenze concordate, gli oggetti bibliografici, parte dei quali possono naturalmente essere restituiti se, a un esame diretto, risulta­ no di fatto non pertinenti. Esiste anche la possibilità di utilizzare procedure automatizzate per gestire la comunicazione tra biblioteca e fornitore, quali ad esempio il cosiddetto EDI (Electronic Data lnterchange) , realizzato nell'ambito di politiche di promozio­ ne del commercio dei libri nell'Europa comunitaria. Ciò ha altresì comportato l'avvio di un processo di standardizzazione della struttura dei messaggi scam­ biati, che ha determinato la realizzazione di uno standard internazionale deno20. Cfr. E. MARTELLINI, Il serials librarian nell'era digitale, "Biblioteche oggi" , 17 (2) , 1999, pp. ro-6. Su questi argomenti cfr. inoltre A. DE ROBBIO, I periodici elettronici in Internet, " Bi­ blioteche oggi" , r 6 (7), 1998, pp. 40-56. Per un inquadramento generale ancora utile può risulta­ re c. CAROTTI, R. CARRARI:-.11, I periodici nelle biblioteche pubbliche, Editrice Bibliografica, Milano !985. 2 r . Cfr. L. GUERRA, E. PELLIZZARI, Approva! Plan in EDI: il futuro delle acquisizioni in bi­ blioteca, "Bollettino AIB " , 41 ( r ) , 2oo r , pp. 2 1 -9. Per una trattazione più ampia cfr. Approva! Plans: Issues and Innovation, edited by J. H. Shandy, The Haworth Press, .:'-Jew York-London, 1 996. Un'agile ed aggiornata rassegna è costituita da R. MORRIELLO, Acquisizioni tramite approva! plan, "Biblioteche oggi" , 24 ( r ) , 2oo6, pp. 22-3 2.

5I

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

minato EDIFACT-EDI for Administration, Commerce and Transport. Un'ulterio­ re tematica di interesse è costituita dall'esigenza tendenziale di integrare tali procedure informatiche con quelle gestite dagli applicativi utilizzati per la ge­ stione della biblioteca. Ciò, in sintesi, implica la necessità di utilizzare specifici convertitori di formati di rappresentazione dei dati, che permettano il dialogo, nel caso specifico, tra formato MARC, vale a dire il formato dei dati catalo­ grafici, e formato EDI. 2 .5 ·4· La revisione La revisione «è una delle fasi di cui si compone la gestione delle collezioni» (Solimine, 2 0o4b, p. 209). Una frase, quella qui riportata, solo in apparenza banale, e che in realtà manifesta ed evidenzia la chiara necessità di intendere tale procedura come stabilmente e costitutivamente inserita in tale ambito. Da quanto abbiamo in precedenza detto circa la struttura della fisionomia delle collezioni si può agevolmente concludere che non è semplice progettare una corretta e sensata attività di revisione. Possono, certo, essere utili criteri di orientamento generale relativi a una generica esigenza di "freschezza" dell'of­ ferta documentaria, valida prioritariamente per le biblioteche pubbliche o co­ munque per tutti quegli istituti orientati al servizio (Vaccani, 2005 ) . In linea generale è comunque possibile affermare che nella progettazione delle attività di revisione è necessario tenere conto: - della fisionomia delle collezioni; - delle finalità che si intendono conseguire con una data modulazione dell' offerta documentaria; - dello stato di conservazione materiale degli oggetti documentari; - della loro capacità comunicativa e informativa. La formulazione del quarto di questi elementi, sia detto per inciso, espri­ me la convinzione che sarebbe saggio abbandonare l'uso del termine "obsole­ scenza" , anzitutto per le connotazioni negative che lo caratterizzano. L'invec­ chiamento di un libro, secondo un'ottica che non accetti un appiattimento rigido sulla contemporaneità, è in sé un semplice fatto, né positivo né nega­ tivo. Effettuate comunque queste valutazioni preliminari, vanno poi accurata­ mente definite le diverse fasi della revisione. Qui gli elementi di cui tener con­ to sono: - l'età del volume ed il grado di persistenza del suo valore informativo; - la valutazione dell'uso, desunta dalle statistiche sul prestito e sulla circolazione; - lo stato di conservazione dell'esemplare. Sulla base di una sintesi, attentamente ponderata, di tutti gli elementi qui esposti potranno dunque essere effettuate le scelte più appropriate in ordine alla localizzazione del singolo oggetto documentario. Oggetto che, ad esempio, 52

2 . LA COSTRU ZIONE DELLE RACCOLTE

potrà passare da una localizzazione nelle aree a scaffale aperto verso quella a magazzino, sostituito con un altro oggetto documentario il cui valore informa­ tivo è ritenuto più adeguato, restaurato, oppure potrà essere "scartato " , vale a dire estratto ed eliminato dalle collezioni. Particolare attenzione andrà dedicata, per quanto attiene allo "scarto ", alle procedure amministrative in senso stretto. Infatti, secondo gli artt. 822 e 824 del Codice civile i materiali posseduti dalle biblioteche sono da considerare beni demaniali, e come tali caratterizzati da un particolare e vincolante regime giuridico. Gli oggetti documentari destinati allo "scarto" vanno dunque "sde­ manializzati" attraverso uno specifico procedimento amministrativo (che ad esempio, negli Enti locali, è una deliberazione della Giunta municipale oppu­ re, più semplicemente, una determinazione del dirigente preposto alla biblio­ teca) , procedimento che deve certificare che quell'oggetto non è più da consi­ derare destinato all'uso pubblico. 2 . 5 . 5 . Le competenze professionali Alla luce delle sia pure sommarie considerazioni in questa sede proposte, ri­ sulta evidente la complessità del profilo di competenze di cui il bibliotecario, o, meglio, il bibliotecario-bibliografo addetto alla gestione delle collezioni do­ vrebbe disporre (Solimine, r 999b, pp. 2 6-9) . Dovrebbe conoscere, dunque, la struttura e le caratteristiche del mercato editoriale, relativo alle pubblicazioni cartacee e a quelle elettroniche, e in par­ ticolare di quei segmenti strategici per la specifica fisionomia documentaria dell'istituto documentario in cui opera. Tali profili di competenza dovrebbero inoltre contestualizzarsi, per non scadere in uno sterile bibliografismo, nella cornice delle finalità, delle opzioni culturali e programmatiche, dei modelli procedurali e di servizio di quel particolare ambiente bibliografico e bibliote­ conomico. Dovrebbe conoscere l'uso degli oggetti documentari che compon­ gono la raccolta, e almeno indagare la ricezione dei contenuti testuali e infor­ mativi che in quegli oggetti sono rappresentati. Una chimera professionale? Può darsi di no. Certamente, io credo, non si può trattare di un "architetto delle raccolte" , nel senso, a mio parere eccessi­ vamente schematico, desumibile da un approccio proposto qualche anno fa (Carotti, r 997, p. 5 6) . L'architettura empiricamente rilevata della struttura del­ le collezioni di una biblioteca sembra di fatto più facilmente riconducibile alle architetture fantastiche progettate e realizzate da un grafico molto sui generis quale il disegnatore olandese Mauritius Cornelius Escher. Forse, più semplice­ mente, il bibliotecario impiegato in questo settore dovrebbe essere persona dotata di una buona, meglio se ottima, cultura di base, di adeguati strumenti critici, di buon senso bibliografico e biblioteconomico, attenta a tutte le fasi delle procedure ad essa affidate, e capace di finalizzare all'uso delle raccolte 53

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

(vale a dire la loro effettuale lettura) il complesso e articolato patrimonio di conoscenze e competenze di cui è portatore. 2 .6

Le collezioni e gli spazi della biblioteca

Le scelte effettuate per ciò che attiene all'ordinamento fisico delle collezioni costituiscono un altro elemento di notevole rilevanza. La gestione accurata dello spazio è condizione indispensabile per un cor­ retto sviluppo fisico delle raccolte. In quest'ambito, dunque, dovranno essere attentamente stimati i ritmi di crescita delle collezioni, collegati sia alle ordina­ rie politiche di acquisizione sia ad acquisizioni straordinarie di fondi o biblio­ teche private. Da un punto di vista pratico, e sotto questo punto di vista, sono dunque da tener presenti le reali capacità di immagazzinamento della struttura. Indica­ tori di orientamento possono essere segnalati in circa r 8o unità bibliografiche per metro quadro di superficie; tale capienza può all'incirca raddoppiare uti­ lizzando scaffalature compatte 2 2 • Considerazioni gestionali analoghe a quelle sopra esposte vanno evidente­ mente effettuate anche in ordine alla conservazione delle risorse digitali. In tale ambito pianificare uno sviluppo equilibrato delle collezioni implica la sti­ ma, almeno approssimativa, degli spazi di memoria fisica di cui disporre. Un altro tema di notevole interesse è costituito dai principi e dalle tecni­ che di presentazione dell'offerta documentaria. Da questa prospettiva le rac­ colte, nel loro esserci fisico, sono l'effettivo punto di contatto comunicativo con gli utenti. È attraverso tale superficie comunicativa che, almeno nelle bi­ blioteche pubbliche, si svolge un numero significativo di rilevanti transazioni informative. È noto che la Classificazione Decimale Dewey costituisce il più diffuso si­ stema di collocazione fisica degli oggetti documentari. Altrettanto nota è la rigidità degli schemi concettuali cui corrispondono gli elementi notazionali della Classificazione. Tenuto conto di ciò, sono quantomeno da segnalare interessanti tentativi di innovazione di tali criteri fondati su quelli che vengono comunemente indi­ cati come principi di declassificazione e di raggruppamento per centri di inte­ resse. Per declassificazione si intende la ridefinizione della sequenza con cui si succedono le classi o-9 della cnn; il raggruppamento degli oggetti documenta­ ri per centri o aree di interesse implica la progettazione di dettaglio di aree di evidenza documentaria variamente tematizzate, e capaci di ospitare oggetti, di

22. Per un'ampia trattazione di queste problematiche si rimanda a M. MUSCOGIL'RI, Archi­ tettura della biblioteca. Linee guida di programmazione e progettazione, Edizioni Sylvestre Bon­

nard, Milano 2004.

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2 . LA COSTRU ZIONE DELLE RACCOLTE

diversa natura fisica, connessi ad argomenti che, in quello specifico istituto, si ritiene opportuno valorizzare o promuovere. A queste tematiche ha dedicato interessanti considerazioni Giovanni Di Domenico (2003 ) : modelli di presentazione dell'offerta documentaria ispirati a tali criteri sono quelli delineati per la BEIC di Milano e per la nuova biblioteca pubblica di Pistoia 2 3 . 2.7

La valutazione dell'uso

Un corretto approccio al tema della valutazione delle collezioni implica l'ado­ zione di almeno tre differenti, e integrate, opzioni metodologiche. In primo luogo vanno dunque considerate le valutazioni di tipo bibliografico, il cui obiettivo è quello di rapportare il valore culturale e informativo degli oggetti documentari inclusi nelle collezioni al valore corrispettivo incluso nella totalità degli oggetti documentari esistenti, ed inerenti quel particolare argomento. In secondo luogo vanno valutate le modalità gestionali attraverso cui il ciclo di vita delle collezioni viene strutturato all'interno della modellizzazione delle procedure di servizio della biblioteca. In terzo luogo si dovranno prendere in considerazione i classici indicatori quantitativi di output, quali ad esempio il numero dei prestiti, quello delle letture in sede, la frequenza d'uso delle opere di consultazione. Specifici indicatori, oramai indispensabili, andranno poi rife­ riti all'uso delle risorse elettroniche locali e remote (Solimine, 1 999b, pp. 1 75 -92 ) . S i tratta, evidentemente, di un insieme di principi, metodologie, tecniche il cui esito non può che essere quello di fornire informazioni "opache" sulla na­ tura complessa delle collezioni e del loro uso. Non risultano dunque del tutto convincenti, a parere di chi scrive, i tentativi di formalizzazione che hanno caratterizzato certi approcci di matrice bibliometrica, quali ad esempio la teo­ ria di Bourne. Secondo questo autore, ad esempio, se una raccolta di 3 .ooo volumi soddisfa il 9oo/o delle richieste, per aumentare del 5 o/o il tasso di sod­ disfazione degli utenti è necessario prevedere la presenza di un numero di vo­ lumi quattro volte superiore, cioè 1 2 .ooo (Bourne, 1 965 ) . Sembra dunque scarsamente praticabile, in questo settore, la via della defi­ nizione rigida di indicatori quantitativi standard. Meglio, forse, riconoscere con onestà critica la variegata tipologia dei fenomeni in atto, fenomeni che, allo stato attuale delle conoscenze, non paiono interpretabili attraverso teorie e modelli deterministico-assiomatici.

2 3 . Per quanto riguarda la BEIC cfr. < http://www . beic.it > . Le linee generali del modello di organizzazione e presentazione dell'offerta documentaria della biblioteca di Pistoia sono accessi­ bili all'uRL < http://www.comune.pistoia.it/forteguerriana/index.htm > .

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

2 .8

La lettura tra domanda e offerta Al termine di questo percorso, lungo ma necessariamente limitato a sommarie

considerazioni introduttive, può essere utile tracciare alcune riflessioni con­ clusive. Le differenti ecologie informative delle istituzioni in cui queste procedure documentarie si collocano rendono problematica l'individuazione di tratti co­ muni; può essere dunque opportuno tentare di formalizzare gli elementi tra­ sversali di tali tratti. Qualunque sia la natura dell'istituto documentario, dun­ que, è indispensabile: analizzare il contesto in cui l'istituto si situa; - valutare i contenuti informativi degli oggetti che compongono le colle­ zioni; - definire una serie di documenti programmatici in cui delineare la fisiono­ mia documentaria attuale e previsionale, e comunicarla in modo chiaro e det­ tagliato agli utenti dell'istituto; - definire piani pluriennali e annuali di acquisizione; stabilire protocolli da utilizzare per le procedure di selezione; - valutare, su base annuale e pluriennale, i risultati conseguiti; - valutare ed eventualmente modificare contenuti elo successione dei processi e delle procedure individuate. Nella particolare ecologia informativa delle biblioteche pubbliche alcuni di questi processi sono particolarmente delicati e complessi, proprio per la gene­ ralità degli obiettivi che tale istituto persegue 2 4 . Diviene dunque indispensabile, alla luce di quanto detto, assegnare un considerevole peso alle valutazioni generali sul senso e sull'orientamento di tali obiettivi, la cui strumentalità non deve mai essere persa di vista. La priori­ tà, dunque, va assegnata alla natura degli obiettivi culturali che l'istituto si pone; obiettivi che, proprio in virtù della specifica natura dell'istituto non pos­ sono che essere riconosciuti come documentari. Le collezioni bibliografiche, dunque, costituiscono l'offerta, consumata nel momento in cui si incontra con la domanda. Ma - e questo è ciò che connota la natura pubblica dell'istituto biblioteca - l'oggetto non viene ceduto, tramite una transazione economica, al consumatore, ma continua a far parte della col­ lezione. L'oggetto dunque è caratterizzato da uno status diverso rispetto agli altri oggetti identici disponibili sul mercato. Ciò rende dunque condivisibile quanto afferma con la consueta lucidità Bertrand Calenge (2oo r , p. 42 ) : «S'il est vrai que l' ensemble de signaux textuels ne change pas, il n'est pas sur que

24. Relativamente agli obiettivi in questione si rimanda al "classico" intervento di Luigi Crocetti ( 1 992 ).

2 . LA COSTRU ZIONE DELLE RACCOLTE

son sens, sa lecture, son image ne soient pas radicalement autres une fois que ce livre a rejont la collection de la bibliothèque». I contenuti testuali dell'oggetto si dispiegano attraverso l'esperienza della lettura. È attraverso la lettura che avviene l'effettiva costruzione del senso del­ l' oggetto testuale utilizzato; oggetto testuale situato in un "contesto di conte­ sti" , in una rete multipla di possibili significati: «context des lecteurs inscrits dans les sociétés et des histories, context des interrelations des savoirs et de la création, context institutionnel et physique de documents rassemblés dont les contenus agissent les uns sur les autres de par leur proximité physique et sym­ bolique» (ivi, p. 4 3 ) . Compito d i una biblioteca pienamente consapevole, dunque, anche della reale complessità delle interazioni in gioco, è quello di limitarsi, sobriamente, a suggerire percorsi e itinerari di senso. Suggerire che, magari, alcuni dei per­ corsi sono da ritenere preferibili ad altri, ma nella continua consapevolezza che l'accesso ai contenuti, e la costruzione dei significati che ne consegue, è fatto che riguarda solo il lettore (cfr. riquadro 2 . 2 ) 2 ' . RIQUADRO 2 . 2

Realizzazioni ed esperienze

Una selezione accurata e aggiornata di risorse digitali su queste tematiche è costituita da Formazione e gestione delle raccolte, sito Web curato da Rossana Morriello, accedi­ bile all ' URL < http://www . aib .it/aibllis/gest.htm > , articolato in: Orientamento genera­ le, Carta delle collezioni, Approvai plan, Doni, Scarto, e che garantisce l'accesso a docu­ menti prodotti da biblioteche di varia tipologia, e a concrete esemplificazioni e de­ scrizioni di esperienze in atto. Per quanto riguarda esempi di carte delle collezioni e di piani annuali e pluriennali di sviluppo si vedano in particolare quelle della Biblioteca Sala Borsa di Bologna, della Biblioteca europea di informazione e cultura di Milano e della Biblioteca Forteguerriana di Pistoia. Da segnalare inoltre Collection Development Training /or Arizona Public Libraries, un interessante sito Web dedicato, con finalità didattico-formative e di prima informa­ zione, a queste tematiche, consultabile all ' URL < http://www.dlapr.lib.az.us/cdt/ index.htm > . Le sezioni in cui si articola lo spazio Web sono: Overview o/ Collection Development; Collection Development Policies; Community Needs Assessment; Selection o/ Library Resources; Acquisitions; Weeding; Intellectual Freedom; Collection Asses­ sment; Preservation; Donations.

2 5 . È in questa prospettiva che va collocata la possibilità suggerita da chi scrive, di colloca­ re stabilmente e strutturalmente le attività cosiddette di "promozione della lettura" lungo le di­ verse fasi di attività di cui consiste la gestione delle collezioni. Sia dunque consentito, in tale prospettiva, il rimando a M. VIVARELLI, Promozione della lettura e valorizzazione delle raccolte bibliografiche. Osseroazioni sulla lettura letteraria in biblioteca, "Culture del testo e del documen­ to" , r 2 , 2003 , pp. 47-70.

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

2 .9

Prospettive

L'approccio fin qui proposto al tema della gestione delle collezioni si è con­ centrato deliberatamente più sui problemi che sulle soluzioni operative di vol­ ta in volta adottate. Non è un caso, naturalmente, ma si tratta di una convin­ zione maturata in chi scrive. Più che una precettistica standardizzata, in que­ sto settore, credo che ci sia bisogno della capacità di tener conto, di controlla­ re e integrare una varietà così rilevante di variabili che mal sopportano una proceduralizzazione rigida, che rischia di non avere le caratteristiche di flessi­ bilità necessarie per aderire ai processi che effettivamente si verificano nei luo­ ghi concreti entro cui le collezioni si collocano. Ciò premesso, con tutte le implicazioni metodologiche che ne derivano, un tema di forte attualità è co­ stituito comunque dalla possibilità di disporre di concreti ausili informatici, quali ad esempio Collection Analysis di Online Computer Library Center (ocLc) 2 6 oppure Integrated Tool /or Selection and Ordering at Cornell Uni­ versity Library) 2 7 • Quest'ultimo, sostanzialmente, consiste in un'aggregazione integrata di procedure software, grazie alle quali, in un'interfaccia Web, ven­ gono visualizzate le registrazioni delle novità bibliografiche. T ali registrazioni vengono utilizzate sia per le gestione delle procedure amministrative (ordine al fornitore) che per quelle catalografiche, convertendo la registrazione in forma­ to MARC. Ciò premesso permane il rischio, che ha connotato buona parte della recente storia della biblioteconomia italiana, di importare prodotti informatici cui soggiacciono modelli e procedure algoritmiche definiti in contesti culturali, organizzativi, bibliografici che per evidenti motivi sono altri rispetto alle con­ crete specificità empiricamente riscontrabili. Bisognerebbe allora essere consapevoli, di nuovo, delle reali problematiche in atto, delle diverse ecologie informative entro le quali i servizi si collocano, degli effettivi contesti d'uso delle collezioni, e partendo da tale analisi avviare la progettazione di ambienti informativi automatizzati e integrati con un con­ creto e vivo tessuto documentario. Letture complementari

Al di là dei temi che, sia pure in modo rapido, in questa sede sono trattati, non è semplice introdurre, sotto il profilo bibliografico, a un dibattito, nazionale e interna­ zionale, rispetto al quale è disponibile un numero assai rilevante di possibili riferimenti bibliografici. Può risultare dunque utile differenziare due linee di orientamento. Per quanto riguarda l'evoluzione della riflessione in Italia, i punti di riferimento, qui ordi­ nati solo cronologicamente, sono da individuare in: R. LUNATI, La scelta del libro per la

26. Cfr. < http://www.oclc.org/collectionanalysis/ > . 27. Tale strumento software è presentato in R. MORRIELLO, Sviluppo delle raccolte: passato, presente, futuro, "Biblioteche oggi" , 23 (8), 2005 , pp. 9 - 1 8.

2 . LA COSTRU ZIONE DELLE RACCOLTE

formazione e lo sviluppo delle biblioteche, Olschki, Firenze 1972; c. CAROITI, Gli acqui­ sti in biblioteca. Formazione e accrescimento del patrimonio documentario, Editrice Bi­ bliografica, Milano 1 989; M. CRASTA, La costruzione delle raccolte, e P. GEREITO, La gestione delle raccolte, in Lineamenti di biblioteconomia, a cura di P. Geretto, La Nuo­ va Italia Scientifica (oggi Carocci) , Roma 1 99 1 , rispettivamente a pp. 43 -78 e 79- 1 1 9 ; P . INNOCENTI, Crescita e sviluppo del patrimonio librario, " Biblioteche oggi " , 12 (7-8), 1 994, pp. 50-7; c . CAROTTI, Costruzione e sviluppo delle raccolte, AIB, Roma 1 997. La sintesi più matura della riflessione italiana è certamente da individuare nei molteplici interventi su questi temi di Giovanni Solimine, che trovano un'ampia trattazione mo­ nografica in Le raccolte delle biblioteche. Progetto e gestione, Editrice Bibliografica, Mi­ lano 1 999. A livello internazionale la letteratura è sterminata. Ci limitiamo qui a indicare, come testi ineludibili, ancora ordinati cronologicamente, w. A. KATZ, Collection Deve­ lopment, Holt-Rinehart & Winston, New York 1980; B. CALENGE, Les politiques d'ac­ quisition. Constituer une collection dans une bibliothèque, Éditions du cercle de la li­ brairie, Paris 1 994; E. FUTAS, Collection Development Policies and Procedures, Oryx Press, Phoenis 1 995 ; Collection Development: Past and Future, The Haworth Press, New York-London, 1 996; G. E. GORMAN, R. H. MILLER (a cura di) , Collection Manage­ ment /or the 2 rst Century. A Handbook /or Librarians, Grenwood Press, Westport (cT)-London 1997; B. CALENGE, Conduire une politique documentaire, Éditions du cer­ cle de la librairie, Paris 1999. Uno degli studiosi più attenti di queste tematiche a li­ vello internazionale è Ross Atk.inson, di cui si prendano in considerazione almeno: The Role o/ Abstraction in Bibliography and Collection Development, " Libri " , 39, 1 989, pp. 201 - 1 6 (pubblicato anche, con il titolo Astratto e concreto in bibliografia e nell'incre­ mento delle raccolte librarie in biblioteca, " Biblioteche oggi nel mondo" , 2 , 1 990, pp. 59-75 con traduzione di P. Innocenti) ; Library Functions, Scholarly Communication, and the Foundation o/ the Digitai Library,· Laying Claim to the Contro! Zone, " Library Quarterly" , 66 (3 ) , 1 996, pp. 239-65 ; Managing Traditional Materials in an Online En­ vironment: Some Definitions and Distinctions /or a Future Collection Management, " Li­ brary Resources & Technical Services" , 42, 1998, pp. 7 -20.

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3

L'identità della biblioteca : obiettivi e servizi di Chiara Rabitti

J. I

Introduzione

Una biblioteca non organizzata è soltanto un corpo inerte. Una biblioteca ben organizzata è un organismo vivente, che si alimenta, elabora ciò che introita e lo rende disponibile in quanto utile in rapporto alle funzioni da svolgere, libe­ randosi di ciò che a queste funzioni risulta estraneo o superfluo; e, come un organismo vivente, essa ricava l'energia vitale dal continuo respiro del con­ fronto e dello scambio con l'esterno. L'organizzazione della biblioteca è il cer­ vello che governa e coordina tutte queste attività, garantendone l'integrazione e l'interazione, e allo stesso tempo è il cuore che le sostiene e le orienta verso lo sviluppo più coerente con una specifica vocazione. Nell'immaginario collettivo a volte si pensa che per il bibliotecario l'ideale sia una biblioteca vuota, dove nessuno mette scompiglio nell'ordine perfetto e quasi magico dei libri sugli scaffali, né pretende di far emergere un volume dalla remota sicurezza dei magazzini, né turba in alcun modo la quiete di chi, avendo creato un universo regolato da leggi oscure e inconoscibili ai più, è il solo a possedere le chiavi per poterne godere. In questa biblioteca sarebbero sviluppate solo le attività interne, il cosid­ detto back o/fice, le procedure che il bibliotecario sviluppa in rapporto al li­ bro, che riguardano la sua acquisizione, la sua catalogazione, la sua gestione fisica, la sua conservazione e il suo eventuale scarto; risulterebbero assenti le attività del cosiddetto front line, che si riferiscono invece a tutte le forme e modalità della fruizione, dall'informazione alla consultazione, dal prestito alla riproduzione. Ma la biblioteca vuota, rappresenta una contraddizione in sé, perché come vedremo, le attività di trattamento del libro hanno un senso solo in funzione e nella prospettiva del lettore; e proprio in rapporto alla sua presenza, sia essa fisica o virtuale, attuale o futura, non solo sono giustificate, ma devono co­ stantemente essere messe in discussione. Eppure, anche per la biblioteca vuota sarebbe in qualche modo ricono­ scibile un lettore, sebbene unico, nel perverso bibliotecario; e vi si potrebbero persino, se pure a fatica, individuare i nuclei di quei servizi al pubblico che la

6r

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

gestione del libro comunque presuppone e consente. Un libro senza lettori non ha senso. Nella biblioteca a cui pensiamo, e per i bibliotecari ai quali queste rifles­ sioni si rivolgono, l'organizzazione è comunque finalizzata al servizio, ed è rappresentata da un insieme ordinato di servizi. 3·2

Il servizio di biblioteca

In poche pagine non è certo possibile esaurire il tema dell'organizzazione e della gestione dei servizi bibliotecari, ma ci si deve limitare semplicemente a fornire alcuni elementi, riflessioni e chiavi di lettura per interpretarne il si­ gnificato, orientarne le scelte e supportarne la pratica. Oggetto di questa trattazione non sono tanto i singoli servizi, più appro­ fonditamente affrontati in altre parti del volume, ma il servizio come insieme di servizi, come modalità, o meglio come condizione della biblioteca, qualun­ que ne sia la tipologia, l'appartenenza amministrativa, la dimensione, la speci­ fica vocazione e identità. Faremo spesso riferimento alle tesi elaborate dall'Associazione italiana bi­ blioteche (AIB) in occasione del congresso tenutosi a Viareggio nel I 987 1 • Dice la terza tesi: «La diversità tipologica delle biblioteche non cancella la na­ tura omogenea della funzione bibliotecaria. Infatti un'omogeneità le accomu­ na, superiore alle singole specificità. Le tre parti in cui vediamo suddivisa una biblioteca moderna sono le stesse per qualsiasi biblioteca: acquisizione, orga­ nizzazione, interpretazione o servizio». Di questo servizio, o insieme di servizi, che costituisce l'interpretazione stessa della biblioteca, il fine ultimo e univoco che giustifica ogni acquisizione e organizzazione, ci si limiterà qui dunque a considerare gli aspetti generali, le relazioni interne e le possibili problematiche, soffermandoci se mai non su ser­ vizi particolari, ma su particolari gruppi o tipologie di servizi, soprattutto in rapporto ai temi più sentiti nella biblioteconomia di questi anni e in riferi­ mento ai nodi più critici della loro quotidiana gestione. La biblioteca è di per se stessa una struttura di servizio e di servizi: sap­ piamo bene che l'esistenza delle collezioni librarie non è sufficiente a definire una biblioteca, in quanto essa è costituita non tanto e non solo da queste, quanto dall'insieme delle attività, degli strumenti, delle procedure che ne ga­ rantiscono la conservazione, ne consentono la fruizione e ne promuovono l'u­ so. La biblioteca peraltro sta in questi anni superando i limiti stessi delle pro­ prie collezioni, così come sta oltrepassando le mura degli edifici che le raccol1. Gli atti del XXXIV Congresso dell'AIB (Viareggio, 28-3 1 ottobre 1 987) non sono stati mai pubblicati. Il documento Scelte di politica bibliotecaria, che fece da base alla discussione, comu­ nemente noto come "Tesi di Viareggio" è disponibile online all'indirizzo < http://www. aib.it/ aib/commiss/cnbp/tesi.htm > .

3 . L ' IDENTITÀ DELLA B IBLIOTECA : OBIETTIVI E S ERVIZI

gono; e sempre più nell'era della virtualità e della circolazione dell'informazio­ ne e della conoscenza in rete, essa trova negli aspetti di servizio la sua identità essenziale (Solimine, 2 004a, pp. 3 -66). È proprio la sua natura di servizio per eccellenza che ci aiuta a superare l'equivoco che ancora oggi tiene la biblioteca pesantemente ancorata al mondo dei beni culturali, imponendole vincoli e oneri che solo in parte le apparten­ gono. Se fossimo finalmente capaci di considerare la biblioteca (o meglio le biblioteche tutte insieme) come un servizio che gestisce da un lato dei beni strumentali da usare e consumare, e dall'altro dei beni patrimoniali da tutelare e conservare, potremmo più facilmente limitare a questi ultimi la definizione di bene culturale, applicando le relative misure nel modo più corretto ed effi­ cace. Naturalmente la divisione tra beni strumentali e beni patrimoniali non potrà essere rigida né univoca: ciò infatti che in una biblioteca di base, fina­ lizzata al consumo e alla pubblica lettura, può e deve essere considerato un bene strumentale, e quindi non necessariamente destinato a durare nel tempo, potrebbe o dovrebbe in una biblioteca nazionale essere considerato un bene patrimoniale, e quindi indiscutibilmente soggetto alla conservazione. Questo consentirebbe a ogni biblioteca di seguire meglio la sua vocazione, e quindi di erogare più agilmente i servizi che a quella vocazione fanno capo: ma questa è un'altra storia, che presuppone la consapevole e intelligente gestione di un si­ stema cooperativo di servizi integrati, a livello nazionale o territoriale. 3·3

Biblioteca, beni culturali, conservazione e fruizione

Precisa la seconda tesi di Viareggio: «Identificare le biblioteche come beni culturali snatura la loro vera funzione di servizi informativi. Il concetto di bene culturale (del resto mai convincentemente definito) investe la biblioteca solo lateralmente. Infatti: la funzione. di conservazione e offerta della cono­ scenza del bene culturale come tale è, nella grande maggioranza delle bibliote­ che, secondaria (o primaria solo per determinatissime categorie di utenti) ; la funzione di conservazione e offerta alla conoscenza di informazioni (anche in­ dipendentemente dal loro supporto) , è, nella grande maggioranza delle biblio­ teche, primaria». L'ambigua e discussa collocazione delle biblioteche nell'ambito dei beni culturali, confermata anche dal Codice dei beni culturali e del paesaggio 2, non aiuta certo a cogliere il significato e l'articolazione dei suoi servizi. Sottoli­ neandone la funzione di conservazione, rischia infatti di trascurarne, se non di

2. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Decreto legislativo 22 gennaio 2 004, n. 42 , commento coordinato da R Tamiozzo, Giuffrè , Milano 2005 . L ' impostaz ione è stata leggermente modifi cata dal D . Lgs. 24 marzo 2oo6 , n. 1 5 6 , contenente Disposizioni correttive e integrative al decreto legislativo 22 gennaio 2 004, n. 42, in relazione ai beni culturali.

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

avvilirne, la vocazione all'uso, e quindi tutti quegli aspetti e quelle attività che si collegano alla fruizione. Conservazione e fruizione sono da sempre i due poli di riferimento tra i quali le biblioteche definiscono il loro lavoro, i due elementi che in proporzio­ ni e rapporti diversi vanno a interagire all'interno delle diverse missions delle tipologie bibliotecarie e delle singole biblioteche. Così la funzione di conservazione caratterizza, anche se non esaurisce, la fisionomia e la vocazione delle biblioteche nazionali, mentre quella di fruizio­ ne caratterizza, anche se non esaurisce il lavoro delle biblioteche di pubblica lettura. Tra questi estremi le due funzioni variamente si compongono nelle al­ tre tipologie definibili "speciali" in senso lato, in quanto prevalentemente e prioritariamente mirate nella loro origine e/o nel loro sviluppo a specifiche categorie di pubblico (scuola, università, comunità religiose o aziendali, ma anche di ricerca, di interesse disciplinare ecc.), dove le esigenze dei destinatari suggeriscono diverse combinazioni, articolazioni e sfumature. A ben guardare peraltro è (o dovrebbe essere) sempre il pubblico di destinazione a determina­ re il delicato equilibrio nel rapporto tra conservazione e fruizione: i diversi pubblici di oggi, in senso sincronico, e diacronicamente i diversi pubblici fu­ turi. In questa prospettiva appare evidente come la conservazione non abbia significato per se stessa, ma in funzione di una fruizione dilatata nel tempo, estesa nello spazio e potenziata nella qualità. È per la fruizione infatti che si conserva: e se non c'è fruizione senza con­ servazione, così pure non c'è conservazione senza fruizione. Spesso considera­ te inevitabilmente conflittuali, conservazione e fruizione, se perseguite in modo corretto e consapevole, non sono in realtà in contrasto ma in armonica continuità, nella coincidenza di comuni obiettivi di servizio. Come in tanti altri casi, sono il per chi e il perché a fare la differenza. «l libri sono fatti per essere usati» ammoniscono le "leggi della biblioteco­ nomia" 3, che poi aggiungono: «Ogni lettore ha il suo libro» e «Ogni libro ha il suo lettore». Sono proprio le infinite combinazioni tra libro e lettore, nell'in­ finita varietà degli universi dei libri e dei lettori, che sostanziano le infinite combinazioni tra conservazione e fruizione che le biblioteche esprimono quo­ tidianamente in scelte operative e di servizio. E «Risparmia il tempo del letto­ re» è la regola d'oro che queste scelte, sempre e a tutti i livelli, deve guidare e ispirare (Ranganathan, I 9 3 I ) . Meglio che come beni culturali, le biblioteche s i definiscono dunque come servizi culturali, che gestiscono un patrimonio informativo e bibliografico il quale a sua volta in parte rientra nell'ambito dei beni culturali propriamente detti, in parte non vi rientra affatto, ma non di meno è capace di produrre 3· L a formul azione originaria delle " cinque leggi " (B ook s are for use; Every reader his boo k ; Every book its reader; Save th e time of th e reader; The library is a growing organism ) è apparsa per la prima volta in s. R. RANGANATHAN, The Five Laws o/ Library Science, Th e M adras Lib rary Association, Edward G oldston Ltd . , M ad ras - London 1 93 1 .

3 . L ' IDENTITÀ DELLA B IBLIOTECA: OBIETTIVI E S ERVIZI

cultura. Ed è proprio sulla capacità di produrre cultura, più che sulla dimen­ sione e sulle caratteristiche delle collezioni, che si misurano i servizi delle bi­ blioteche. La dualità conservazione/fruizione viene spesso collegata al binomio sup­ porto/contenuto, di cui ogni libro è portatore: la conservazione quindi appar­ terrebbe al supporto, da mantenere stabile e inalterato nel tempo, mentre la fruizione andrebbe riferita al contenuto, da far circolare e diffondere il più possibile, anche indipendentemente dalla forma del supporto originario. Que­ sta prospettiva, se può portare utili conseguenze pratiche, rischia tuttavia di essere fuorviante, in quanto riduce la conservazione a un puro presidio fisico trascurando la valenza culturale dei materiali, e la fruizione a un rapporto vir­ tuale senza precisi riferimenti concreti. Conservazione appare d'altra parte spesso come sinonimo di concetti nega­ tivi o passivi come divieto, esclusione, rimozione, limitazione; l'idea di fruizio­ ne è invece associata a quelle attive e positive di circolazione, uso, accesso: così i limiti alla fruizione indiscriminata sono giustificati da esigenze di conser­ vazione, mentre accade di contravvenire ai principi di una corretta conserva­ zione in nome di opportunità o necessità di fruizione. Ma la conservazione della cultura, e della capacità di produrla, si realizza in realtà paradossalmente solo attraverso la fruizione; e nessuna fruizione può esserci senza un'adeguata conservazione dei supporti e una corrispondente cultura dei materiali. Conservazione e fruizione risultano così non più come due tensioni con­ trapposte e inconciliabili, ma come due facce della medesima medaglia, alter­ namente obiettivo e strumento dei servizi della biblioteca. 3 ·4

Dall'iter del libro al ciclo dei servizi

C'era una volta l'iter del libro, potremmo dire. Chi si accostava allo studio o alla pratica della biblioteconomia veniva subito introdotto a questo percorso procedurale, dove il lavoro del bibliotecario trovava giustificazione e senso in relazione alle diverse fasi di trattamento del libro e alle diverse tappe di un viaggio dallo scaffale del libraio a quello della biblioteca. Attraverso l'iter del libro il bibliotecario percepiva il suo ruolo in un'ottica lineare, che accompa­ gnava ogni volume nella sua progressiva trasformazione da semplice prodotto editoriale a elemento costitutivo del patrimonio amministrativo e funzionale, materiale e immateriale, della biblioteca. La sequenza "classica" prevedeva i diversi passaggi dell'acquisizione e trattamento dei volumi, dalla registrazione nel registro d'ingresso, alle operazioni di bollatura e collocazione, all'inventa­ riazione, alla catalogazione, soggettazione e classificazione. Lo spostamento dell'attenzione dal libro al lettore ha necessariamente cambiato anche questa prospettiva, inserendo l'iter del libro in un contesto operativo molto più ampio e complesso, che se da un lato lo comprende e lo

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

supera, dall'altro lo interpreta, lo motiva e lo sostiene nella difficile e a volte pericolosa evoluzione dei modelli e delle modalità di lavoro. L'introduzione delle tecnologie informatiche e telematiche e lo sviluppo dei sistemi cooperati­ vi hanno infatti spesso mutato i percorsi, i mezzi e gli stessi attori di quel metaforico viaggio: ma è proprio la consapevolezza di una prospettiva più am­ pia che può assicurarne i riferimenti precisi e garantirne il corretto orienta­ mento. In nome di questa nuova ottica, per la quale il rapporto con il pubblico (cioè il per chi e il perché) è divenuto centrale e fornisce la potente chiave di interpretazione di tutto il lavoro della biblioteca, preferiamo quindi non parla­ re più di iter del libro ma di ciclo dei servizi. L'andamento lineare si è tra­ sformato, o meglio è stato assorbito, in una figura circolare che trae proprio dalla sua circolarità forza e significato. Questo circolo virtuoso unisce in un rapporto di continuità e di interazio­ ne tutte le attività della biblioteca, dilatando il tradizionale iter del libro ben oltre il semplice percorso da uno scaffale a un altro ed estendendolo nel tem­ po e nello spazio fino a raggiungere ogni lettore vicino e lontano, di oggi e di domani. E tutte le attività della biblioteca assumono così il comune denomina­ tore del servizio: non solo quelle di front line, che si svolgono a diretto contat­ to con il pubblico offrendo risposte alle sue esigenze immediate e contingenti, ma anche quelle di back o/fice, che tale offerta alimentano, organizzano e ga­ rantiscono nel tempo. Conservazione e fruizione trovano quindi anche in questo senso unità e coerenza. La sostanziale unitarietà del ciclo dei servizi fa sì che l'attenzione alla centralità dell'utente non investa soltanto l'attività di reference - vale a dire quel «complesso delle risorse bibliografiche, catalografiche ed umane che la biblioteca può organizzare in un servizio specifico d'informazione» (Ardui­ ni, I 9 84, p. 7 5 ) che combina insieme i concetti di informazione, consultazione e disponibilità (Pensato, I 99 I ) - , che ne rappresenta l'espressione più logica e scontata, ma tutto il lavoro della biblioteca, inteso a favorire oggi come doma­ ni l'incontro di ogni libro con il suo lettore. L'acquisizione diviene così non tanto il primo adempimento di un percor­ so procedurale, quanto il punto di immissione del documento bibliografico in un circuito di servizio, in funzione del quale interagiscono e si equilibrano le istanze della conservazione e della fruizione. Il libro dunque entra in bibliote­ ca per essere usato, secondo la prima legge di Ranganathan, e a questo scopo viene catalogato e conservato; nella stessa logica, qualora il suo uso non sia più possibile oggi (in rapporto alle sue condizioni fisiche) o non sia più ne­ cessario domani (in rapporto alla vocazione della singola biblioteca) , il libro può essere sottoposto allo scarto, e uscire dalla biblioteca. In questo senso anche lo scarto mantiene un preciso collegamento con la conservazione, criti­ camente intesa in una dimensione attiva e dinamica. La continuità e coerenza del ciclo dei servizi, prima che dal pubblico al quale è comunque sempre rivolta e finalizzata, deve essere percepita e vissuta 66

3 . L ' IDENTITÀ DELLA B IBLIOTECA: OBIETTIVI E S ERVIZI

dalla biblioteca stessa attraverso la sua organizzazione. Un'ottica di questo ge­ nere comporta infatti la consapevole partecipazione degli operatori, suggeren­ do soluzioni che riflettono nella circolarità delle competenze la circolarità dei servizi erogati. Se un tale modello appare obbligato nelle biblioteche di picco­ le dimensioni (o addirittura con un unico operatore) , più difficile (ma non impossibile) sarà la sua applicazione in strutture più grandi e complesse, dove comunque non dovrebbe essere mai ammessa una rigida compartimentazione che frammenti le attività in porzioni autonome e completamente indipendenti, come se fosse possibile acquistare i libri senza conoscere i lettori (o comunque senza sapere chi li userà) o organizzare le informazioni senza avere idea di come poi verranno ricercate. Là dove la quantità degli operatori lo consente, o la dimensione della biblioteca lo impone, ciascun bibliotecario potrà dunque avere la sua specializzazione relativa a un singolo segmento di servizio, ma do­ vrà comunque possibilmente sviluppare e accrescere la competenza e l' espe­ rienza operativa dell'intero ciclo dei servizi. Ciò potrà avvenire attraverso una rotazione in turni più o meno estesi, o con la condivisione di attività, o la formazione di gruppi di lavoro, o frequenti riunioni di confronto e verifica, o altre modalità che meglio corrispondano all'organizzazione del lavoro e alle esigenze di servizio della singola biblioteca. L'importante è che sia salvaguar­ data e mantenuta integra la circolarità che definisce il complesso dei servizi come un unico grande processo indivisibile. Solo a questa condizione e sulla base di competenze e informazioni condi­ vise, infatti, i singoli processi e le relative specifiche responsabilità possono svilupparsi ed esplicarsi armonicamente, evitando contraddizioni e conflitti no­ civi sia all'efficienza dell'organizzazione che alla corretta ed efficace erogazione dei servizi. Le diverse attività sono sostanzialmente riconducibili a tre "sottosistemi" , corrispondenti ad altrettante funzioni della biblioteca: i n primo luogo l a sele­ zione, lo sviluppo e la conservazione delle raccolte, definendo così la fisiono­ mia bibliografica e il potenziale informativo della biblioteca; poi le attività prettamente biblioteconomiche di trattamento e mediazione dei documenti; infine, l'erogazione dei servizi attraverso la diffusione dell'informazione e la consultazione dei documenti (Solimine, 2 004a, p. 67) . Come si è detto, tutte queste attività si inquadrano in un ciclo integrato di gestione delle informazio­ ni e dei servizi. La realizzazione di questo modello circolare e coeso, prodotto di una con­ cezione moderna della biblioteca, sembra tuttavia essere messa in discussione da due pratiche organizzative sempre più ampiamente diffuse: l'esternalizza­ zione e la cooperazione. La prima spesso discutibile ma altrettanto spesso ne­ cessaria, la seconda fin troppo auspicata e mai abbastanza perseguita, ambe­ due - sebbene con diverso approccio - tendono a ottimizzare l'uso delle sem­ pre più scarse risorse economiche e umane scorporando alcune attività dal flusso dei servizi interno alla singola biblioteca e affidandole a soggetti diversi. Nel caso dell'esternalizzazione sarà comunque sempre importante che sia

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

mantenuto un forte riferimento interno, che garantisca il controllo non solo sulla qualità del risultato dell'attività esternalizzata, ma anche sulla sua corret­ ta integrazione e piena coerenza con l'insieme dei servizi gestiti internamente alla biblioteca. Ciò vale anche per le attività delegate a un'altra biblioteca o al centro servizi nell'ambito di un sistema cooperativo; in questo caso il ciclo dei servizi può e deve essere considerato come esteso all'intero sistema, la cui col­ laborazione operativa va parallelamente rafforzata e mantenuta sul piano della valutazione e della programmazione. Nelle situazioni di catalogazione centra­ lizzata o partecipata la singola biblioteca non dovrà comunque trascurare l'e­ ventuale necessità di produrre corredi o strumenti di ricerca particolari in fun­ zione delle esigenze del suo pubblico o dei suoi specifici servizi. Se l'acquisizione può essere considerata il più logico punto di partenza del ciclo dei servizi, la circolarità suggerisce che non sia l'unico possibile, ma che nelle diverse situazioni organizzative si possa comunque immaginare di interve­ nire a partire da qualsiasi punto e di seguire il flusso operativo fino al com­ pletamento del ciclo stesso, che attraversa nel back o/fice le fasi della cataloga­ zione (per il recupero delle informazioni) e della prima gestione fisica (per la conservazione e tutela dei supporti) e affiora al front line nelle diverse modalità della fruizione (e quindi dei servizi al pubblico) , dalle quali traggono origine e giustificazione le opportunità di scarto e gli orientamenti per nuove acquisizioni. Essenziale in questo percorso è mantenere comunque sempre vive e costanti la percezione e la valorizzazione dei rapporti che intercorrono tra le diverse attivi­ tà, sfruttandone la potente energia per l'erogazione e la gestione di servizi effi­ cienti e sicuri, evitando onerose dispersioni e pericolosi cortocircuiti. 3 ·5

Progettare il servizio

L'attivazione di ogni servizio, e in particolare di un servizio al pubblico, non può prescindere da un attento percorso di analisi sia esterna che interna alla biblioteca. L'analisi esterna si basa sulla cosiddetta analisi di comunità, e sulla scorta della documentazione e dei dati disponibili da fonti esterne delinea la composizione e il profilo dell'utenza potenziale del servizio, ne individua i bi­ sogni, rileva e valuta le strutture esistenti, bibliotecarie e no, che a quei biso­ gni corrispondono (cfr. riquadro J . I ) . L'analisi interna si concentra sulle risorse della biblioteca, prendendo in considerazione la quantità e la qualità delle sue collezioni, del suo personale, dei suoi spazi, delle sue attrezzature, nonché della sua utenza reale, e si con­ fronta con le istanze della propria mission e i vincoli del proprio bilancio. Queste due analisi, esterna e interna, dovrebbero essere sempre tenute sul­ lo sfondo del lavoro della biblioteca e sostanziarne le scelte; perciò vanno co­ stantemente aggiornate, ed eventualmente approfondite in direzioni specifiche per l'attivazione di un nuovo servizio o la valutazione di uno esistente. Una acquisita consuetudine a queste analisi, e quindi una consolidata attenzione ai 68

3 · L ' IDENTITÀ DELLA B IBLIOTECA : OBIETTIVI E S ERVIZI

RIQUADRO 3 . 1 Analisi d i comunità Dato r.

Profilo geografico-ambientale-urbanistico

2.

Profilo economico-produttivo

J.

Servizi culturali per il tempo libero



Mobilità

Popolazione residente Superficie del comune Densità di popolazione Altitudine Reti di comunicazione Cenni storici Decentramenti Sviluppi piano regolatore Aree industriali agricole residenziali Popolazione attiva Popolazione non attiva Numero aziende per abitante Dimensione aziende Settori produttivi più radicati Servizi presenti sul territorio

Istituti di istruzione Università Studenti universitari Centri di formazione professionale Altre biblioteche Sportelli e servizi informativi Teatri, cinema, librerie cartolibrerie Associazionismo Impianti sportivi Servizi a forte attrazione collocati fuori dal Comune Mobilità per motivi di lavoro Mobilità per motivi di studio 5·

Profilo demografico

Residenti per fasce d'età Residenti per sesso Residenti per titolo di studio Numero famiglie T asso di natalità Saldo migratorio Stranieri residenti per nazionalità Previsioni andamento demografico

Fonte

Ufficio Anagrafe Ufficio Urbanistica Ufficio Urbanistica Ufficio Urbanistica Analisi diretta Fonti di storia locale Ufficio Urbanistica Ufficio Urbanistica Ufficio Urbanistica Censimento Censimento Censimento Camera di Commercio Analisi Diretta Analisi diretta Ufficio Pubblica istruzione Segreterie di Ateneo Segreterie di Ateneo Analisi diretta Analisi diretta Analisi diretta Analisi diretta Analisi diretta e Ufficio Cultura Analisi diretta Analisi diretta Censimento Censimento Ufficio Anagrafe Ufficio Anagrafe Censimento Ufficio Anagrafe Ufficio Anagrafe Ufficio Anagrafe Ufficio Anagrafe Ufficio Urbanistica

bisogni e una gestione consapevole delle risorse, permettono in molti casi di evidenziare potenzialità di servizio altrimenti trascurate, valorizzando patrimo­ ni di informazioni e competenze subito disponibili.

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

In particolare per la progettazione di un servizio se ne dovranno chiara­ mente definire innanzitutto l'oggetto, i destinatari e gli obiettivi; quindi si con­ sidereranno le risorse necessarie (competenza, spazi, attrezzature ecc.) e i costi sia di impianto e avviamento che di gestione, nonché la loro copertura; si stenderanno poi le procedure e il piano di comunicazione. Fondamentale infi­ ne sarà lo studio e l'elaborazione di adeguati strumenti che consentano la mi­ surazione e la valutazione del servizio non solo per quanto riguarda la sua qualità intrinseca, ma anche in relazione al suo impatto sia sul pubblico che sugli altri servizi della biblioteca. È attraverso questi strumenti di controllo e di riferimento, più o meno generali o specifici (dalle carte dei servizi e delle collezioni alle rilevazioni statistiche, alla definizione di indicatori ecc. ) , da pro­ gettare e predisporre all'interno di un quadro complessivo riferito all'intero ciclo dei servizi, che l'organizzazione diventa gestione e la pratica quotidiana si traduce in capacità di programmazione, di scelta e di sviluppo. Nella costruzione di tale sistema di gestione fondamentale è la dimensione diacronica, capace non solo di consentire la conoscenza dei dati assoluti in rapporto a una determinata situazione di servizio, ma anche di garantirne il confronto con analoghi dati omogenei e coerenti nel tempo. È infatti nella lettura dinamica dell'evoluzione che si interpreta e si tempera la rigida staticità degli standard quali-quantitativi, destinati altrimenti a rimanere modelli di ri­ ferimento astratti e prescrittivi, spesso ridotti ad essere più fonte di frustrazio­ ne che incentivo alla crescita consapevole. J .6

Gestire il servizio

Ci ricorda ancora Ranganathan ( r 93 r ) : «La biblioteca è un organismo che cre­ sce». Crescere non significa necessariamente aumentare di dimensione, ma si­ gnifica evolversi, trasformarsi, adeguarsi. Ciò vale per le collezioni e vale an­ che per i servizi, che vanno gestiti con cura, attenzione ed equilibrio. Chi ge­ stisce i servizi di una biblioteca deve saper corrispondere alle esigenze del suo pubblico, ma deve anche saper offrire stimoli capaci di suscitare in quel pub­ blico nuove e diverse esigenze, ed eventualmente di attrarre nuovi e diversi pubblici. Un'efficace gestione dei servizi sa avvalersi di tecniche proprie del marketing, che mantenendo un costante rapporto con il pubblico attraverso regolari rilevazioni delle richieste attuali non solo previene l'andamento delle richieste future, ma riesce a condizionarlo, a orientarlo, mettendo sul mercato il prodotto giusto al momento più opportuno. In fondo anche il pubblico del­ la biblioteca è una comunità di consumatori: la biblioteca ne soddisfa i biso­ gni informativi e culturali, fornendo servizi che mentre da un lato rispondono alle domande di oggi, dall'altro dovrebbero suggerire le domande di domani, senza prevaricare, ma offrendo stimoli e contribuendo a suscitare negli utenti nuovi interessi. I servizi della biblioteca devono quindi evolversi, crescere, trasformarsi con 70

3 . L ' IDENTITÀ DELLA B IBLIOTECA : OBIETTIVI E S ERVIZI

la biblioteca stessa, con il suo pubblico, con il suo contesto culturale, sociale ed economico. L'obiettivo di ogni biblioteca sta nella sua mission, e i servizi rappresenta­ no gli strumenti per conseguirlo. E se nel tempo persino la mission di una biblioteca può mutare, tanto più potranno o dovranno cambiare nel tempo i mezzi per conseguire uno stesso obiettivo. La coerenza e l'identità di una bi­ blioteca sta quindi nei suoi obiettivi, non certo nei servizi che in ordine al raggiungimento di quegli obiettivi dovranno necessariamente evolversi con il trascorrere del tempo. La stessa qualità di un servizio potrà esprimersi così in forme diverse in tempi diversi, mentre una forma di servizio rigidamente im­ mutata non può mantenere a lungo un buon livello di qualità. Se fin qui si è cercato di fornire degli spunti di riflessione attraverso prin­ cipi, indirizzi e modelli teorici, sembra opportuno a questo punto meglio so­ stanziare la quotidiana concretezza della loro applicazione. A questo scopo, si ricorrerà ad una serie di esempi ricavati dall'esperienza di una biblioteca di medie dimensioni, la Biblioteca della Fondazione Querini Stampalia di Ve­ nezia 4• Gli esempi proposti non intendono peraltro essere esaustivi né limitanti, ma vogliono semplicemente illustrare, sulla base di condizioni e situazioni rea­ li, alcuni aspetti di una pratica gestionale sperimentata e sedimentata negli anni, radicata in una forte tradizione e allo stesso tempo attenta e sensibile ai segni dei tempi. I principi che si evincono dal testamento 5 con il quale il conte Giovanni Querini Stampalia lasciava «all'uso pubblico» l'ingente patrimonio culturale raccolto nel suo Palazzo a S. Zaccaria sono essenzialmente due, e hanno ispi­ rato lo sviluppo e la gestione dell'omonima Fondazione, e in particolare della sua Biblioteca, dal I 869 a oggi: la sussidiarietà rispetto all'offerta degli altri istituti culturali della città; la qualità degli spazi e degli ambienti. Il primo ha portato la Biblioteca non solo a praticare degli orari di apertu­ ra piuttosto inconsueti, seguendo alla lettera la volontà del fondatore che la pretese aperta «nei giorni, ed ore, in cui le Biblioteche pubbliche sono chiu­ se», ma anche a interrogarsi regolarmente sulle criticità e le prospettive del servizio nell'area veneziana e a riposizionarsi di conseguenza. Il secondo, che muove dalla prescrizione di accogliere i lettori in una sala «bella, comoda, con stufe e tappeti» e dall'esplicita attenzione al «comodo de­ gli studiosi», ha suggerito nel tempo scelte importanti per quanto riguarda

4· Questo contributo non sarebbe stato possibile senza l'aiuto e la partecipazione dei colle­ ghi bibliotecari della Fondazione Querini Stampalia, i quali non solo ne hanno condiviso con l'autrice la sostanza attraverso l'analisi critica e la gestione dei problemi nell'esperienza quotidia­ na, ma hanno anche direttamente collaborato alla stesura attraverso la rilettura del testo e la predisposizione del corredo bibliografico. 5· FONDAZIONE QUERINI STAMPALIA, Statuto, Fondazione Querini Stampalia, Venezia 1999.

7I

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

non solo l'arredamento, l'impiantistica e l'architettura, ma anche tutto ciò che direttamente o indirettamente influisce sul modo di vivere la Biblioteca e di percepirne la qualità. Ambedue i principi hanno trovato negli anni forme e applicazioni diverse, in nome dell'immutato scopo di perseguire «il culto dei buoni studj e delle utili discipline»: a questo scopo, oltre ai libri sono necessari oggi computer e collegamenti di rete, così come per garantire il «comodo degli studiosi» stufe e tappeti non bastano più, ma ci vuole almeno l'aria condizionata, e magari la caffetteria. Non cambia l'obiettivo, non cambiano i principi, ma cambiano i servizi; anzi i servizi devono necessariamente cambiare, se al mutare del contesto si intende conseguire il medesimo obiettivo e tenere fede ai medesimi principi. Uno stesso servizio può assumere nel tempo valore e significato diverso: e questo accade non solo per quei servizi che comportano l'uso di tecnologie in continua evoluzione, e quindi richiedono un costante aggiornamento per man­ tenere la loro connotazione innovativa: l'obsolescenza o la diversa valenza di un servizio possono dipendere anche da cambiamenti sociali, culturali, giuridi­ ci ecc. Nella Biblioteca Querini Stampalia fino a circa la metà degli anni settanta dello scorso secolo esisteva (esiste ancora, ma con altro nome) una sala di let­ tura che i colleghi più anziani chiamano ancora la "Sala delle signorine" , per­ ché l'ingresso era rigorosamente riservato al pubblico femminile. Negli anni che seguirono il Sessantotto una simile discriminazione suscitava legittimo scandalo, e la norma fu opportunamente abolita e la sala fu presto più prosai­ camente ribattezzata " Sala dei dizionari" , in riferimento ai materiali che vi era­ no collocati. Eppure per molti anni proprio quella sala aveva costituito un ser­ vizio volto a favorire l'emancipazione femminile, rappresentando una garanzia per quelle famiglie che mai avrebbero consentito alle figliole di studiare fuori casa in pericolosa promiscuità; una volta passato quel tempo, quello stesso servizio è diventato non solo inutile, ma pateticamente ridicolo. In alcuni casi al mutare del contesto (culturale, sociale, economico, giuridi­ co ecc.) di un servizio deve corrispondere un'evoluzione nella sua gestione, che potrà dare all'offerta un diverso significato orientando le modalità di fruizione. Il servizio di fotocopiatura è stato per lungo tempo considerato nella Bi­ blioteca Querini Stampalia uno strumento di conservazione, e in quanto tale facilitato e promosso, ritenendosi (e probabilmente a ragione) che la facilità di ottenere una fotocopia disincentivasse la pratica del furto e della mutilazione. All'utente veniva quindi caricata una quota relativamente bassa dei costi di riproduzione, e il personale cui era affidato il servizio era tenuto a dare all' ese­ cuzione delle fotocopie la precedenza rispetto al prelievo dei volumi dai ma­ gazzini per la distribuzione. La quantità delle copie richieste tendeva peraltro a diventare sempre più alta, con crescente insoddisfazione sia del pubblico che non si sentiva adegua-

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3 . L ' IDENTITÀ DELLA B IBLIOTECA: OBIETTIVI E S ERVIZI

tamente e tempestivamente servito, sia del personale che lamentava l'eccessivo carico di lavoro e la continua esposizione alle lamentele degli utenti. In questa situazione l'esecuzione a volte frettolosa delle fotocopie produceva inoltre una grande quantità di scarti, che andavano necessariamente a gravare sui costi della Biblioteca. La recente normativa sulla protezione del diritto d'autore (pur di contro­ versa interpretazione) , introducendo la necessità di limitare le riproduzioni per prevenirne l'abuso e trasformando l'alto numero di fotocopie - per anni con­ siderato un dato positivo nelle statistiche - in un elemento comunque sospetto e da tenere sotto controllo, ha dato l'occasione per intervenire sul servizio a diversi livelli. Si sono dunque trovate altre soluzioni per la tutela attraverso sistemi di antitaccheggio, è stata leggermente aumentata la tariffazione avvicinandola ai costi reali e si è affidata l'esecuzione delle copie (in un'area comunque sorve­ gliata) direttamente agli utenti; in questo modo il numero delle fotocopie si è ridotto e contenuto, gli sprechi sono stati azzerati e si è recuperata preziosa risorsa di personale. Si è accennato alla diversa valenza attribuita nelle statistiche della bibliote­ ca al dato relativo alle fotocopie; in effetti non è raro il caso in cui al variare di certe condizioni, esterne o interne, sia non solo o non tanto il servizio a dover cambiare, ma le modalità della sua misurazione a dover essere trasfor­ mate o reinterpretate. Da sempre nella Biblioteca Querini Stampalia il dato numerico degli in­ gressi dei lettori, determinato dalla numerazione progressiva delle carte d'en­ trata distribuite al momento dell'accesso, è stato ritenuto di importanza fonda­ mentale ed esibito in tutte le sedi e occasioni in cui fosse utile dimostrare la vitalità dei suoi servizi. Da alcuni anni peraltro si è avviata una politica volta a offrire al pubblico della Fondazione, di cui la Biblioteca è parte integrante, una serie di opportunità culturali, di servizi aggiuntivi e di spazi intesi a pro­ lungarne e favorirne la permanenza in sede, riducendo le uscite e conseguen­ temente il numero dei rientri: in un primo momento (quando ancora non era generalizzato l'uso dei telefoni cellulari) la disponibilità di un telefono pub­ blico, ma anche (in giornate e fasce orarie stabilite) il libero accesso al Museo e alle mostre temporanee, e la proposta quasi quotidiana di attività culturali diverse; quindi l'allestimento di una ricca emeroteca, ma anche la possibilità di ristorarsi nella caffetteria, di fare acquisti nel bookshop, di incontrarsi a chiacchierare nella hall o anche - per chi proprio non sa farne a meno - di fumare una sigaretta nella corte. Tutti questi interventi di per sé migliorativi influiscono tuttavia in modo negativo sul dato numerico degli ingressi, con il risultato che tanto più ci si avvicina al conseguimento dell'obiettivo (far sì che l'utente non abbia bisogno di uscire per rifocillarsi, distrarsi, comunicare ecc . ) , tanto più s i avverte l a flessione d i quello che era correntemente considerato fino a ieri il principale indicatore dell'attività della biblioteca, divenuto oggi poco significativo ai fini della misurazione e valutazione del servizio. Solo l'in73

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

tegrazione e l'eventuale incrocio con informazioni nuove e diverse, come la rilevazione oraria della percentuale di affollamento, potranno infatti consentire un'analisi reale della frequentazione della biblioteca, efficace peraltro non solo ai fini del semplice riscontro numerico ma anche a quelli del controllo della sicurezza, della gestione del personale e dell'organizzazione dei servizi. 3·7

Tipologie di servizi al pubblico

Si analizzano qui brevemente alcune tipologie di servizi al pubblico non tanto nei loro specifici contenuti, ma in quanto categorie più o meno astratte alle quali i diversi servizi possono essere ricondotti: "nuovi" e "vecchi " , gratuiti e a pagamento, ordinari e speciali, per fasce di età, in sede e remoti, generali e aggiuntivi. Anche in questo caso non si intende fornire né una trattazione completa né un'univoca classificazione dei servizi, ma offrire una scelta ne­ cessariamente limitata di spunti riferiti ad alcuni degli aspetti più salienti del­ l'attuale contesto operativo delle biblioteche. 3 ·7· I . Servizi " nuovi" e "vecchi" Questa distinzione è stata spesso all'origine di un approccio che ha contrap­ posto l'immagine tecnologica e brillante della biblioteca moderna a quella pol­ verosa e un po' opprimente della cosiddetta biblioteca tradizionale: la con­ trapposizione si è diffusa e applicata tra biblioteca e biblioteca, e tra i servizi di una stessa biblioteca, sulla base dell'avvenuta o non avvenuta introduzione di attrezzature e metodologie informatiche. In realtà non esistono servizi "nuovi" e servizi "vecchi" , o per lo meno essi non sono tali solo in rapporto all'uso della tecnologia, che è solo uno dei tanti strumenti per erogare servizi buoni o cattivi. Un cattivo servizio non diventerà mai buono soltanto perché erogato con mezzi avveniristici, né un buon servi­ zio sarà sminuito solo perché svolto con procedure manuali e affidato al lavo­ ro umano. Ma soprattutto esiste il ciclo di servizio della biblioteca, che attraverso il mutare dei tempi e dei contesti non solo tecnologici trova sempre diverse for­ me per esprimersi mantenendo la propria identità. In questo ciclo i servizi che chiamiamo nuovi o innovativi trovano giustifi­ cazione e vanno comunque sempre contestualizzati, sia che la loro novità ri­ chieda l'uso di attrezzature sofisticate, sia che essa consista nell'attenzione a un pubblico (ad esempio, straniero) prima estraneo alla biblioteca. In un caso come nell'altro l'entusiasmo per lo schiudersi di nuovi orizzonti non farà mai dimenticare la vocazione delle biblioteche, che tale deve rimanere, evitando di trasformarsi in un "Internet café" o in un centro di accoglienza, così come 74

3 . L ' IDENTITÀ DELLA B IBLIOTECA : OBIETTIVI E S ERVIZI

saldo deve essere il riferimento alla professione propria del bibliotecario, che non potrà diventare né un informatico né un assistente sociale, ma dovrà se mai sapersi opportunamente avvalere delle competenze che altri detengono nei diversi ambiti. D'altra parte, gli stessi servizi tradizionali non potranno cri­ stallizzarsi in forme immutabili, ma andranno costantemente reinterpretati nei nuovi contesti, traendone rinnovata vitalità ed efficacia. 3. 7 . 2 . Servizi gratuiti e servizi a pagamento Sulla tariffazione dei servizi delle biblioteche molto si è dibattuto in questi anni, anche in rapporto alla progressiva riduzione delle risorse economiche di­ sponibili, proprio mentre la tecnologia andava invece ampliando le possibilità di un'offerta sempre più sofisticata e inevitabilmente onerosa. Il fatto di mettere in discussione la consolidata e generalizzata gratuità dei servizi bibliotecari nel nostro Paese ha evidenziato la necessità da un lato di difendere una tradizione istituzionalmente democratica a garanzia del fonda­ mentale diritto all'informazione, dall'altro di evitare uno squalificante appiatti­ mento verso il basso a scapito della qualità complessiva del servizio. La tendenza prevalente e più immediata è stata quella di mantenere gratui­ ti i servizi che si basano su costi fissi (ad esempio, il personale) , introducendo una tariffazione per quelli che invece comportano spese vive, cioè costi ag­ giuntivi variabili (ad esempio, l'accesso a Internet) . Si è così riproposta a que­ sto livello una divisione analoga e pressoché sovrapponibile a quella tra "nuo­ vi " e "vecchi" servizi, dove l'uso delle nuove tecnologie diviene discriminante rivelando - proprio in quanto considerato portatore di valore aggiunto e quin­ di di un costo esigibile - la sua ancora imperfetta integrazione nella struttura e nella cultura bibliotecaria, come se i servizi tradizionali dovessero essere gra­ tuiti per definizione, mentre si potessero far pagare quelli a più alto contenuto innovativo. D'altra parte, il quadro stesso dei costi fissi e dei costi variabili si è andato di recente sensibilmente scostando dai suoi termini tradizionali: riprendendo gli esempi sopra ricordati, se l'affermarsi di nuove forme contrattuali (legate al blocco del turnover, ma anche a diverse modalità di lavoro, articolazione delle competenze ecc.) ha trasformato in variabili una parte crescente dei costi del personale, mentre sono invece divenuti potenzialmente fissi i costi di collega­ mento a Internet, indipendentemente dalla durata e dal traffico di dati. La distinzione operata in un primo tempo sulla base di condizioni ormai superate non regge quindi più, e va oggi più correttamente ricondotta alla mission propria della singola biblioteca, dalla quale peraltro dovrebbero di­ scendere non solo la determinazione dei servizi considerati di base e come tali gratuiti, ma anche la specifica, più opportuna e non necessariamente univoca ripartizione tra costi fissi e spese vive. 75

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

3 ·7 · 3 · Servizi ordinari e servizi speciali Un servizio potrebbe essere considerato speciale quando comporti l'uso di tecnologie particolarmente sofisticate, o sia altamente specializzato a livello di­ sciplinare, o estremamente raro. Anche la definizione di servizi ordinari e di servizi speciali assume signifi­ cato, tuttavia, solo in stretta connessione con la mission della biblioteca, e va gestita e valutata all'interno di un sistema. In una biblioteca pubblica, per esempio, anche i servizi rivolti alle cosid­ dette "utenze speciali" nel senso di utenze svantaggiate (anziani, stranieri, am­ malati, carcerati ecc.) dovrebbero essere ritenuti di per se stessi ordinari, ed eventualmente speciali solo per specificità tecnologiche, specializzazione o rari­ tà. Ciò significa che saranno il più possibile integrati nella biblioteca e aperti all'utenza generale, evitando di circoscrivere l'utenza speciale in aree fisica­ mente o virtualmente riservate. Ma ciò che è speciale in una biblioteca, può essere ordinario in un'altra: una collezione ricca e aggiornata di libri sull'astronomia, per esempio, potrà costituire la base di un servizio speciale in una biblioteca di pubblica lettura, ma è ovvio che sarà assolutamente ordinaria nella biblioteca della Facoltà di Scienze. In questo senso potremmo dire che in un sistema ideale non dovreb­ bero esistere servizi speciali, ma solo servizi ordinari svolti da biblioteche con vocazioni diverse e tra loro coordinate e complementari; o, più verosimilmen­ te, che l'insieme delle biblioteche di un sistema dovrebbe svolgere ordinaria­ mente l'insieme dei servizi, distinguendo fra servizi generalizzati e di base, of­ ferti ad ampio raggio, e servizi mirati a soddisfare esigenze specifiche e più limitate. 3 ·7·4· Servizi per fasce d'età Un aspetto particolare della differenziazione dei servizi per pubblici diversi è quello legato alle fasce d'età. Ci sono biblioteche che per loro vocazione non ammettono un pubblico minore o infantile, ma nelle biblioteche di pubblica lettura una sezione per ragazzi solitamente esiste o dovrebbe esserci sempre. Anche in questo caso vale la pena di riflettere se si debba trattare di una se­ zione fisicamente separata o di un servizio integrato al massimo nel resto della biblioteca; e se opportunità legate alle modalità di fruizione e alla vivacità dei comportamenti possono legittimamente suggerire, quando non addirittura im­ porre, una precisa distinzione degli spazi riservati ai bambini, una più attenta analisi meritano i servizi per i ragazzi e gli adolescenti, o i cosiddetti "giovani adulti". Sappiamo infatti come la divisione della biblioteca in due sezioni (ra­ gazzi e adulti) , nettamente separate e diverse nell'arredo, nelle procedure, nel­ la disposizione dei volumi ecc. abbia in molti casi accentuato la fisiologica dia­ spora dei piccoli lettori, una volta cresciuti. Nel momento in cui essi non si identificano più con l'ambiente infantile della sezione ragazzi, il passaggio alla

3 . L ' IDENTITÀ DELLA B IBLIOTECA : OBIETTIVI E S ERVIZI

sezione adulti non è certo automatico né indolore, se i due servizi non sono saldamente collegati e integrati senza traumatiche soluzioni di continuità. Come infatti per il ragazzo il processo della crescita (intellettuale forse ancor più che fisica) è lento, individuale e soprattutto non scandito da precise sca­ denze anagrafiche, così la biblioteca dovrebbe accompagnarlo senza imporgli né fastidiose briglie, né brusche accelerazioni, e tanto meno stacchi improvvi­ si. Non è questa la sede per approfondire ulteriormente tale problema, che meriterebbe una trattazione specifica; qui basterà ricordare che vale sempre il principio della massima integrazione dei servizi, il quale potrà in questo caso essere applicato con modalità diverse (omogeneità di procedure, continuità/ contiguità degli spazi, suggerimenti e percorsi di lettura, rimandi tra le colle­ zioni, e così via) secondo le situazioni particolari, ma dovrà sempre essere te­ nuto ben presente. Il servizio sarà buono se sapremo fornire ai ragazzi gli strumenti per crescere, senza imporli ma facendo in modo che li possano tro­ vare e usare nel momento e nel modo migliore. Considerazioni analoghe si potranno fare per quanto riguarda i servizi ri­ volti agli anziani, per i quali peraltro diversi sono gli elementi di differenzia­ zione, legati a problemi prevalentemente fisici, visivi e motori, che possono rendere difficoltosa la normale fruizione della biblioteca. Non si tratta certo di confinare il lettore più anziano in un ambiente separato, bensì di offrirgli con evidenza ma anche con discrezione gli strumenti più adeguati per usare al me­ glio le collezioni e i servizi che la biblioteca mette a disposizione di tutti. An­ che in questo caso, come in molti altri, l'analisi necessaria per conformare il servizio ad un pubblico specifico si rivelerà utile e preziosa per l'intera utenza, che ricaverà un vantaggio certo dalle soluzioni e dagli accorgimenti intesi a migliorare l'accessibilità dei locali e la leggibilità di segnaletica, comunicati ecc. Il fatto di far derivare un beneficio per tutti dall'impegno nei confronti di un particolare gruppo costituirà inoltre un importante elemento per l'integra­ zione di pubblici diversi, favorendo la cultura delle differenze come fattore positivo nella vita e nello sviluppo della biblioteca. 3. 7. 5 . Servizi in sede e remoti Da sempre le biblioteche offrono servizi anche a un pubblico remoto, che for­ mula le sue richieste e riceve risposte attraverso i mezzi di comunicazione di­ sponibili; erogati un tempo solo per via postale, questi servizi si sono svilup­ pati con l'uso del telefono e sono esplosi con l'avvento della telematica, che ha consentito di estenderli dalla semplice informazione bibliografica (cui si ag­ giungeva nelle realtà più attive il prestito interbibliotecario) a transazioni di­ verse con un livello differenziato di interazione. Anche i servizi agli utenti che si recano in sede si avvalgono sempre più frequentemente di servizi " remoti", erogati altrove da altre biblioteche o agen­ zie informative. Le mura della biblioteca si assottigliano dunque progressiva­ mente, divengono sempre più trasparenti, mentre, pur tra difficoltà di diversa

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

natura, la rete informativa e di servizio si va tessendo a livello nazionale e internazionale, e il pubblico reale e potenziale della biblioteca si va a poco a poco allargando, sfuggendo tendenzialmente a ogni definizione e distinzione per profili. In questo quadro, sempre più importante diviene per ogni biblio­ teca la piena consapevolezza della propria identità e della propria mission, che non può più essere esclusivamente e quasi passivamente recepita nel rapporto privilegiato con l'area geografica di appartenenza; e sarà la corretta e chiara comunicazione di questa identità a orientare il pubblico remoto disegnando nuove comunità virtuali di riferimento. La delocalizzazione informativa attra­ verso la rete non ha d'altra parte vuotato le biblioteche, che rischiano tuttavia di essere sottoutilizzate e ridotte a puri contenitori indifferenziati, non tanto e non più di libri, ma di meri posti di lettura. Questa tendenza suggerisce l' op­ portunità di un adeguato ripensamento e di un rinnovato sviluppo dei servizi in sede che valorizzi la specifica concretezza dei materiali, la qualità fisica de­ gli spazi, la valenza sociale della struttura e del lavoro della biblioteca. Servizi agli utenti remoti possono inoltre essere considerate tutte quelle at­ tività che portano la biblioteca "fuori di sé" , incontro a pubblici fisicamente impossibilitati o comunque non abituati a frequentarla, andandoli a cercare nelle carceri e negli ospedali, ma anche al supermercato, dal parrucchiere, in piscina o nelle frazioni più lontane (Rasetti, 1 996). Erogati a utenti esterni alla sede bibliotecaria, questi servizi si ricollegano tuttavia idealmente in qualche modo ai servizi in sede, in quanto comunque intesi a sviluppare o a mantene­ re vincoli di appartenenza e di fidelizzazione alla biblioteca, se non come luo­ go, almeno come fattore di integrazione e promozione sociale e culturale. 3·7·6. Servizi generali e aggiuntivi Al di là del back o/fice e del front line, idealmente uniti nel ciclo dei servizi, non vanno poi trascurati tutti quei servizi generali, gestiti di solito direttamen­ te dall'ente di appartenenza, che in diverse forme introducono, consentono, facilitano, accompagnano la fruizione della biblioteca. La qualità del più eccellente servizio di reference potrà infatti essere grave­ mente compromessa da un centralinista sgarbato o da un'attrezzatura fuori uso, e ancor più da una toilette indecorosa. Come non è tenuto a conoscere l'articolazione tipologica e funzionale delle biblioteche, né l'applicazione di un particolare sistema di catalogazione o di collocazione dei volumi sugli scaffali, così l'utente non è tenuto a distinguere la responsabilità dei servizi cosiddetti "propri" della biblioteca da quella dei servizi generali, nella maggior parte dei casi esterna ed estranea alla biblioteca stessa ma non di meno determinante ai fini della sua percezione immediata e complessiva. Il buon funzionamento dei servizi generali, dalla portineria al guardaroba, dalle manutenzioni alle pulizie, non è dunque irrilevante ai fini dell'efficienza e dell'efficacia dei servizi della biblioteca.

3 . L ' IDENTITÀ DELLA B IBLIOTECA : OBIETTIVI E S ERVIZI

Nella misura in cui il bibliotecario è consapevole di questa visione sistemi­ ca, avrà cura di intervenire a tutti i livelli di competenza e con tutti i mezzi disponibili perché il suo impegno professionale non sia vanificato da sciatterie o comportamenti squalificanti, ove possibile anche coinvolgendo i diversi ope­ ratori e responsabili di riferimento nella programmazione del lavoro e nella valutazione dei risultati della biblioteca. Un cenno va riservato infine ai cosiddetti "servizi aggiuntivi ", cioè ad alcu­ ni servizi di natura commerciale, come il bookshop o la caffetteria, che posso­ no essere rivolti e proposti al pubblico per soddisfarne esigenze, necessità e interessi più o meno direttamente collegati alla permanenza nella sede biblio­ tecaria. Come i servizi generali, questi servizi nulla hanno a che fare con la biblioteconomia, ma a differenza di quelli sono generalmente gestiti da terzi totalmente estranei sia alla biblioteca che all'ente di appartenenza. Se poi i servizi generali costituiscono l'infrastruttura che consente il buon funziona­ mento dei servizi bibliotecari, i servizi aggiuntivi rappresentano invece una vera e propria sovrastruttura che potrà certo contribuire a valorizzare una buona biblioteca, ma che rischierà di non riuscire a sostenere nemmeno se stessa qualora sia inserita in una biblioteca scadente. All'allestimento di questi servizi è quindi opportuno pensare solo quando è sicuramente acquisito e consolidato un buon livello nei servizi bibliotecari: con questa premessa, e a condizione che la loro gestione, pur esterna, mantenga un costante rapporto e un accordo operativo con la struttura bibliotecaria (e naturalmente ne condivi­ da la qualità) , essi potranno utilmente rafforzare la percezione della biblioteca come "luogo" , divenendo preziosi strumenti di fidelizzazione del pubblico. Letture complementari N. AGOSTINI, La gestione della biblioteca di ente locale: normativa, amministrazione, ser­

vizi, personale, nuova ed. aggiornata e ampliata, Editrice Bibliografica, Milano 2 004.

AIB, Linee guida per la redazione delle carte dei servizi delle biblioteche pubbliche, a

cura della Commissione nazionale Biblioteche pubbliche,

AIB,

Roma

2 000.

AIB, Linee guida sui requisiti di qualificazione dei gestori in esterno di attività dei servizi bibliotecari, a cura dell'Osservatorio lavoro, AIB, Roma 2004. o. FOGLIENI (a cura di) , La biblioteca amichevole: nuove tecnologie per un servizio

orientato all'utente, Editrice Bibliografica, Milano

2ooo.

EAD. (a cura di) , Comunicare la biblioteca: nuove strategie di marketing e modelli di

interazione, Editrice Bibliografica, Milano

2002.

A. GALLUZZI, Biblioteche e cooperazione: modelli, strumentz: esperienze in Italia, Editrice

Bibliografica, Milano

2 004.

2 r secolo, Forum, Udine 2002 . Gratuità e tariffe nella biblioteca pubblica: atti del Convegno Nazionale: Viareggio, 5-6 novembre 1999 , AIB Sezione Toscana, Firenze 2 ooo. IFLA, Il servizio bibliotecario pubblico: linee guida IFLA!Unesco per lo sviluppo, ed. italia-

M. GORMAN, I nostri valori: la biblioteconomia nel

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

na a cura della Commissione nazionale Biblioteche pubbliche dell'AIB, AIB, Roma 2002 . IFLA-AIB, Linee guida per i servizi multiculturali nelle biblioteche pubbliche, a cura della Commissione nazionale Biblioteche pubbliche. Testi di L. Bassanese, D. Ciccarel­ lo, P. Messina, C. Rabitti; trad. it. di IFLA, Multicultural Communities: Guidelines /or Library Services, a cura di A. Delle Piane, A. Pietrangeli, AIB, Roma 2003 . Linee di politica bibliotecaria per le autonomie, "Bollettino AIB " , 43 (4), 2003, pp. 4 1 3 -6, < http://www. aib.it/aib/bollhoo3/o3044 1 3 .htm > . M. MELOT, La saggezza del bibliotecario, Edizioni Sylvestre Bonnard, Milano 2005 . Palla al centro: incontro nazionale dei centri servizi per le biblioteche pubbliche, Conve­ gno a cura dell' AIB Commissione nazionale Biblioteche pubbliche, in Bibliocom 2 o o o , Atti del 47 · Congresso nazionale dell'Associazione italiana biblioteche, Roma, 25 -27 ottobre 2ooo, AIB, Roma 2002 , pp. 2 3 -46. G. SOLIMINE (a cura di) , Gestire il cambiamento: nuove metodologie per il management della biblioteca, Editrice Bibliografica, Milano 2003 .

Bo

4

La cooperazione interbibliotecaria : rapporti di sussidiarietà e di gestione dei sistemi di Ornella Foglieni

4· 1

Introduzione

La cooperazione rappresenta, per le biblioteche, un modus operandi assai dif­ fuso, quasi una necessità. Il fenomeno si manifesta in forme diverse a seconda dell'appartenenza delle biblioteche a istituzioni territoriali e dipende dalle tra­ dizioni organizzative degli enti proprietari e dal contesto socio-culturale in cui esso matura. Nessuna biblioteca, nella società dell'informazione ancor meno che in passato, può ragionevolmente pensare di risolvere tutte le esigenze in­ formative dei propri utenti soltanto grazie al proprio posseduto e, d'altro can­ to, la riduzione di disponibilità finanziarie per la gestione dei servizi impone il ricorso sempre più frequente alla condivisione delle risorse e alla ricerca di economie di scala. Nel contempo, si assiste alla crescita e allo sviluppo di rac­ cordi su più livelli fra le istituzioni di riferimento delle biblioteche, concerta­ zioni richieste anche dalle recenti riforme della pubblica amministrazione dalla cosiddetta Bassanini alla riforma del Titolo v della Costituzione - che possono assumere valenze differenti, a seconda dei criteri di gestione e di svi­ luppo delle reti informatizzate, e che sono da intendersi come infrastrutture fondamentali per tutti i beni e i servizi culturali. La ragione per la quale le biblioteche, più di altri soggetti culturali, fanno propria l'idea della coopera­ zione è da ricercare nella storia e nella mission di questa istituzione. Essa, in­ fatti, non diviene servizio di per sé, in assenza di una sede di riferimento e di un contesto all'interno del quale agire, di un patrimonio librario e di persona­ le qualificato e senza un'organizzazione che tenga conto delle esigenze dei suoi lettori/utenti reali e potenziali. Cooperare tra biblioteche rappresenta oggi ben più che la condivisione di finalità e di obiettivi e il conseguimento di risultati di qualità certificabile nei servizi che vengono erogati al pubblico. Cooperare significa, in primo luogo, perseguire una partecipazione e uno scambio biunivoci, un'interrelazione si­ stematica e durevole tra soggetti bibliotecari e non, inseriti o meno in una rete a dimensione locale o estesa, o in più reti di natura diversa contemporanea­ mente, a seconda dei servizi. Anche il fattore umano gioca un ruolo determi­ nante nello sviluppo della cooperazione, qualunque sia la forma in cui que-

8r

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

st'ultima si attui. La cooperazione riduce l'indeterminatezza e la casualità nelle scelte e, al tempo stesso, presuppone l'accordo nella programmazione e nel­ l' organizzazione, anche tra filiere di istituzioni similari, sia pur tipologicamente differenziate per discipline, come è il caso dei sistemi bibliotecari e archivi­ stici, di quelli museali e dei sistemi culturali integrati, divenuti casi particolari di sperimentazione della gestione innovativa dei servizi culturali (Rosa, 1995 , p. 69) . L'obiettivo della cooperazione è stato ed è tuttora fondamentale anche per le biblioteche delle università e per le biblioteche statali, nonché per quelle di istituzioni pubbliche e private, che in un futuro ormai prossimo, per offrire un livello accettabile di servizio in linea con i tempi, dovranno contare sulla con­ divisione fisica di risorse bibliografiche, documentarie e informative, ma anche professionali, finanziarie e organizzative. "Partenariato" e "sussidiarietà" sono termini che riconducono alla cooperazione, ricorrono nella normativa vigente e rappresentano le condizioni atte a rendere sostenibili i rapporti e gli accordi tra le diverse istituzioni in funzione della valorizzazione dei beni culturali (Bagdadli, 2oo r ) . 4· 2

Definizioni

Il termine "cooperazione" in letteratura viene applicato principalmente all'am­ bito politico, sociale ed economico per indicare forme di relazione tra entità eterogenee, orientate alla condivisione degli obiettivi e alla risoluzione di que­ stioni contingenti, per ottenere risultati di qualità e il soddisfacimento dei bi­ sogni degli utenti. L'interdipendenza, che è una caratteristica fondamentale della cooperazione, di solito non genera una soggezione e una riduzione della dignità giuridica e dell'autonomia dell'istituzione coinvolta. Dall'evoluzione del significato insito nel concetto di spirito di comunità nei rapporti tra le persone si arriva al concetto di rete, quindi a quello di sistema, nelle principali due fattispecie di centrale o decentrato, con poli di dimensioni tali da essere costituiti da una singola unità oppure dal raggruppamento di più unità. La cooperazione in campo sociale assume nel tempo, in particolar modo negli anni settanta, le fattezze del mutuo soccorso e dell'organizzazione di atti­ vità di società cooperative, e genera quindi un bacino di risorse lavorative cui attingere ogni qualvolta le esigenze di standardizzazione dei servizi socio-cul­ turali affini, incalzate dalla necessità di applicare le nuove tecnologie, impon­ gono maggiori contatti e scambi e il confronto tra costi e benefici di attività gestite internamente alle biblioteche rispetto a quelle affidate all'esterno. L' ap­ plicazione delle attività di cooperative all'ambito culturale raccoglie consensi e genera esperienze diffuse che incidono notevolmente sullo sviluppo dei servizi bibliotecari moderni, specie nella gestione di singoli sistemi o di loro aggre­ gazioni. La cooperazione tra le biblioteche assume un'evidenza macroscopica nel82

4· LA COOPERAZIO:-.JE INTERBI BLIOTECARIA

l'organizzazione sistemica che, con notevole impatto, pervade gli ultimi qua­ rant'anni del Novecento, manifestandosi in variegate modalità di erogazione dei servizi, a cui viene riservata un'enfasi progressivamente crescente. Ogni in­ tento cooperativo non può prescindere da forme di coordinamento che si atti­ vano fra i soggetti coinvolti, in rapporto alle diverse responsabilità di governo centrale e locale del territorio. Le reti bibliotecarie territoriali di livello regionale mirano al raggiungimen­ to di un equilibrio ottimale tra ciò che compete ai sistemi bibliotecari locali e ciò che, invece, può essere demandato ad una gestione centralizzata, con l'o­ biettivo di conseguire economie di scala, soprattutto nell'ambito delle funzioni più ripetitive e più impegnative quanto a risorse finanziarie e umane. In que­ sto senso, i servizi da razionalizzare ulteriormente, al fine di ottenere il massi­ mo livello di integrazione, conseguente a un adeguamento tecnologico e orga­ nizzativo, in quest'ultimo caso ricorrendo ad accordi di collaborazione tra le province e con altri soggetti, si confermano essere la catalogazione, il prestito interbibliotecario, le acquisizioni, la formazione e il reference, tutte procedure che vengono sempre più supportate dalle reti telematiche. In parallelo, si pro­ spettano altri ambiti di cooperazione, quali la prevenzione e la conservazione dei beni librari e documentari, incluso il digitale, e la loro valorizzazione attra­ verso attività culturali, nonché la ricerca di nuove risorse e la creazione e pro­ duzione di nuovi indotti (Foglieni, 2 004). 4·3

Problematiche d'ambito

Tra le questioni che appaiono più dibattute in campo bibliotecario spicca la cooperazione nei servizi catalografici, alla quale si affianca la crescita del pre­ stito interbibliotecario. La catalogazione rappresenta, infatti, l'attività che, per tradizione, i non addetti identificano con l'allestimento di una biblioteca. Il catalogo rappresenta tuttora lo strumento principale attraverso il quale i letto­ ri vengono informati di ciò che la biblioteca può offrire in termini di pro­ dotto/oggetto informativo. Se in passato, realizzato sotto forma di libro a stampa o mediante schede, esso aveva un rapporto diretto e univoco con la biblioteca di cui era rappresentazione, oggi l'applicazione delle tecnologie di rete ne sta progressivamente modificando l'identità. È sempre un elenco pun­ tuale, articolato e organizzato dei materiali bibliografici che la biblioteca met­ te a disposizione dei propri utenti, ma la possibilità di cumulare le informa­ zioni sul proprio posseduto con quelle di altri istituti amplia a dismisura la capacità del lettore di conoscere e quindi di accedere ai documenti. Nell'am­ bito dei cataloghi collettivi a schede, il Novecento ha visto l'avvio di alcune imprese particolarmente significative, penalizzate, tuttavia, dall'uso di stru­ menti inidonei, che hanno dato loro scarse possibilità di essere condotte a compimento. Quegli stessi cataloghi sono oggi dati per scontati. Non si po­ trebbe immaginare una biblioteca sprovvista di OPAC più di quanto si sia di-

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

sposti a rinunciare alla possibilità di interrogare dal medesimo terminale il ca­ talogo di tutte le biblioteche collegate in rete, siano esse quelle presenti sullo stesso territorio o quelle che abbiano in comune un interesse disciplinare o una caratterizzazione tipologica. 4· 3. r .

Evoluzione della cooperazione in Italia e all'estero

Tra i programmi internazionali di cooperazione interbibliotecaria avviati negli anni settanta e ottanta da istituzioni quali l'uNESCO e l'IFLA emergono per im­ portanza il "Controllo bibliografico universale" (Universal Bibliographic Con­ tro!, UBC) e quello della "Disponibilità universale dei documenti" (Universal Availability of Publications, UAP) . Ad essi si sono ispirati, per la componente organizzativa e nella messa a punto dei criteri di descrizione delle risorse bi­ bliografiche, i progetti di bibliografia nazionale. Gli standard internazionali, nati per lo più in area angloamericana e successivamente adottati dagli altri Paesi, comprendono i criteri ISBD (lnternational Standard Bibliographic De­ scription) e il formato MARe (Machine-Readable Cataloguing) . Conformarsi ad essi è stato inteso dalla comunità bibliotecaria come il requisito fondamentale per scambiare le informazioni catalografiche e trasmettere in rete i dati, ad onta delle barriere geografiche e linguistiche. In seguito, l'avvento di Internet ha aperto nuove e inusitate possibilità di cooperazione su scala universale; i servizi bibliotecari travalicano ormai le appartenenze amministrative e geogra­ fiche grazie alla copertura mondiale assicurata dalle reti. Non è per caso che l'alveo nel cui ambito sono maturati i grandi progetti di catalogo cooperativo, tra i quali annoveriamo SB:-.r, è quello dei network americani automatizzati ne­ gli anni settanta, di cui ocLc è l'esempio più conosciuto e ricorrente nella let­ teratura. La costituzione del catalogo collettivo delle monografie è stata prece­ duta da quello dei periodici e in un momento successivo i due cataloghi sono confluiti in un unico archivio elettronico. Tra i servizi che si basano sulla cooperazione figurano anche le acquisizio­ ni. Una delle più note metodologie per l'acquisizione condivisa è il sistema "Conspectus " , che dopo un avvio lento e qualche incertezza, ha trovato una grande diffusione, soprattutto nelle biblioteche accademiche di area americana e anglosassone. Ad esso si ispirano le numerose iniziative di razionalizzazione delle politiche di acquisto messe in atto dai sistemi bibliotecari italiani che prevedono l'impiego di griglie classificatorie condivise. Ulteriori iniziative in via di diffusione riguardano lo sviluppo dei progetti di biblioteca digitale e il suo indotto, che funge da moltiplicatore delle possi­ bilità di cooperare in tutte le direzioni con soggetti sempre più diversificati. In Italia la strada si apre nel 2oor con il progetto nazionale noto con l'appellati­ vo di Biblioteca digitale italiana ( BDI) , per il quale si pone adesso il problema del coordinamento con analoghe realizzazioni condotte da altri Paesi europei, attraverso un confronto metodologico continuo e una stretta collaborazione tecnica, organizzativa e finanziaria.

4· LA COOPERAZIO:-JE INTERBI BLIOTECARIA

4·4

Le forme di gestione dei sistemi bibliotecari locali e dei sistemi metropolitani

Il decentramento amministrativo e la nascita delle Regioni, già negli anni set­ tanta, favorisce la cooperazione tra biblioteche attraverso le aggregazioni si­ stemiche a livello territoriale. Nel convegno Lo sviluppo dei sistemi bibliotecari svoltosi a Monza nell'ottobre del I 979 si discute dell'organizzazione e delle attività dei sistemi affinché si arrivi «a far decollare decisamente i sistemi bi­ bliotecari» ma anche a dar corpo all'integrazione sistemica «non solo delle bi­ blioteche di Ente locale, ma con [. .. ] biblioteche specialistiche, universitarie, scolastiche e centri di ricerca e di documentazione, fondazioni, istituti storici e scientifici, archivi sindacali, biblioteche aziendali disseminate sul territorio che possiedono [ . . . ] dotazioni complessivamente di molto superiori a quelle delle biblioteche di Enti locali. Data la situazione di incomunicabilità fra queste realtà, bisognerà cominciare a pensare a servizi integrati, alla circolazione delle informazioni» (Sansoni, I 98o, p. I 9) . Il sistema diviene, dunque, sempre più strumento e fattore di razionalizzazione e non si può prescindere da questa prospettiva vuoi quando si considera la nascita di nuovi soggetti bibliotecari di dimensioni sovracomunali, come la Biblioteca europea di informazione e cultura (BEic) a Milano, vuoi quando si predispongono nuovi ambiti di inter­ vento, come nel caso delle biblioteche scolastiche, l'applicazione della norma­ tiva sul deposito legale (L. Io6/2oo4) e la creazione di archivi del libro sia nazionali che regionali (D.P.R. 25 2/2oo6) 1 • La prima forma giuridica assunta dai sistemi bibliotecari è stata l'associa­ zione volontaria di comuni, seguita dal consorzio di comuni, fino all'avvento della L. 8 giugno I 990, n. I42 , che obbliga alla revisione o meglio all'abban­ dono di questa seconda forma, ritenuta troppo complessa e onerosa. Lo scio­ glimento della quasi totalità dei consorzi che si erano costituiti numerosi in funzione della loro gestione, ha comportato per i sistemi bibliotecari momenti di grossa difficoltà, che si è cercato di superare ricorrendo allo strumento del­ le convenzioni tra Comuni. T ali difficoltà si sono protratte nell'attesa delle modifiche legislative previste dal P.d.l. 40I4, il cui percorso è stato definitiva­ mente interrotto in considerazione dell'approvazione prima del D.Lgs. I 8 ago­ sto 2ooo, n. 2 67 (Testo Unico sugli Enti Locali, TVEL) e poi dell'art. 35 della legge 448/2oo i (legge Finanziaria del 2002 ) 2 che ha introdotto nel Testo Uni­ co citato l'art. I I 3 bis.

1. Legge 1 5 aprile 2004, n. 106: Norme relative al deposito legale dei documenti di interesse culturale destinati all'uso pubblù:o; D.P.R. 3 maggio 2006, n. 2 5 2 : Regolamento recante norme in materia di deposito legale dei documenti di interesse culturale destinati all'uso pubblù:o. 2. Legge 28 dicembre 2001 n. 448: Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2 002 ), " Supplemento ordinario n. 285 alla Gazzetta Uffi­

ciale n. 301 del 29 dicembre 200 1 " .

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

L'introduzione dell'art. I I 3 bis aveva come prima conseguenza che i servizi resi dagli Enti locali non venivano più distinti in base alla presenza o meno di "rilevanza industriale" , ma di "rilevanza economica" . Quella che può apparire una tediosa questione nominalistica ha introdotto un confine tra tipologie di servizi e modalità di loro erogazione fondato su un criterio, la rilevanza eco­ nomica, molto più suscettibile di interpretazioni applicative rispetto a quello della rilevanza industriale, che permane anche dopo la dichiarazione di ille­ gittimità costituzionale proprio dell'art. I I 3 bis 3 e che lascia importanti spazi legislativi e normativi in capo alle Regioni e agli Enti locali. L'abrogato art. I I 3 bis, pur aprendo prospettive interessanti per il migliora­ mento dell'efficacia e dell'efficienza gestionale dei servizi culturali e, in partico­ lare, di quelli bibliotecari gestiti con modalità di cooperazione territoriale 4, li­ mitava fortemente l'autonomia di scelta degli Enti locali. La gestione in econo­ mia era consentita come un'opzione secondaria o residuale da adottare quan­ do, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non fosse opportuno procedere ad affidamento diretto; per la gestione mediante affida­ mento diretto (la prima scelta, secondo il legislatore) si indicava un ventaglio ben delimitato di opzioni istituzionali, ulteriormente ristretto dopo le modifi­ che apportate dall'art. I4 del D.L. 269/2003 : istituzioni; aziende speciali, anche consortili; società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più impor­ tante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano; as­ sociazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate. Infine, l'art. I I 3 bis, dopo le modifiche apportate dall'art. I4 del D.L. 269/2oo3 , non prevedeva più la possibilità, ove fossero sussistite ragioni tecniche, economiche o di utilità so­ ciale, di affidare i servizi di cui trattasi a terzi, in base a procedure ad evidenza pubblica, secondo le modalità stabilite dalle normative di settore. Il venir meno dell'art. I I 3 bis non ha determinato un vuoto normativa nel­ la disciplina delle forme di gestione dei servizi privi di rilevanza economica, potendo le autonomie territoriali utilizzare strumenti di diritto pubblico e pri­ vato (quali istituzioni, aziende, consorzi, società, associazioni, fondazioni) nor­ mati da altre disposizioni del TUEL o dal Codice civile. Inoltre, se prima dell'entrata in vigore del Codice dei beni culturali e del paesaggio 5 , comunemente denominato Codice Urbani, si aveva il problema di 3· L a C orte Costituzionale, con sentenza 27 luglio 2004, n. 2 7 2 , h a dichiarato illegittimi l ' art. I4, comma I 0 , lett. E) e comma 2 ° , del D . L . 30 settemb re 2003 , n. 269, convertito nella L . 24 novembre 2003 , n. 326, nonché , per illegittimità consequenziale ( ex art. 27 della L . I I marzo I 9 5 3 , n. 8 7 ) l ' art. 1 1 3 , comma 7 ° , secondo e terzo periodo e l 'art. 1 1 3 bis del TUEL come innova­ ' to d all art. 35 , commi I 0 e I 5 ° della L . 28 dicemb re 200 I , n. 448 , tutti in tema di servizi pub ­ blici locali . 4· Si veda il principio secondo il quale i rapporti tra gli Enti locali e i soggetti erogatori di tali servizi d evono essere regolati da contratti di servizio. Cfr. anch e Rosa ( 2003 ) . 5 · D . Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 : Codice dei beni culturali e del paesaggio.

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4· LA COOPERAZIO:-JE INTERBI BLIOTECARIA

collocare la gestione dei beni culturali tra i servizi a rilevanza economica (art. I I 3 del TUEL) o privi di rilevanza economica (l'art. I I 3 bis di cui sopra) , con la scomparsa dell'art. 1 1 3bis e l'avvento del Codice Urbani il problema sembra non sussistere più, dal momento che il legislatore detta ora una disciplina di settore che si applica a tutte le attività di valorizzazione dei beni culturali ad iniziativa pubblica e non solo (cfr. art. I I 3 del Codice Urbani) . Con l'entrata in vigore del Codice Urbani e la sentenza della Corte Co­ stituzionale 2 72/2 004 che ha, di fatto, abrogato l'art. 1 1 3bis del TUEL il venta­ glio dei modelli giuridico-istituzionali per la gestione in forma indiretta trami­ te affidamento diretto dei servizi di valorizzazione culturale (compreso quello bibliotecario) si è così delineato: quelli espressamente previsti dall 'art. 1 15 del Codice Urbani (istituzioni, fondazioni, associazioni, consorzi, società di capita­ li o altri soggetti, costituiti o partecipati, in misura prevalente, dall'ammini­ strazione pubblica cui i beni pervengono) ; quelli previsti da altre norme in essere: la società cooperativa, l'azienda speciale di cui all'art. I I 4 del TUEL e, come previsto dall'art. 1 1 6 del TUEL, anche in deroga ai vincoli derivanti da disposizioni di legge specifiche (come potrebbe considerarsi il Codice dei beni culturali e del paesaggio) , apposite società per azioni a maggioranza privata per l'esercizio dei soli servizi privi di rilevanza economica, i cui soci privati siano scelti con procedura di evidenza pubblica. Vale la pena sottolineare come l'originaria formulazione dell'art. I I 5 del Codice Urbani avesse confermato e ampliato alcuni contenuti di rilievo dell'a­ brogato art. I I 3 bis del TUEL: uno, relativo al contratto di servizio tra soggetto concedente e soggetto concessionario (nel quale sono definiti, tra l'altro, i con­ tenuti del progetto di gestione delle attività di valorizzazione e i relativi tempi di attuazione, i livelli qualitativi delle attività da assicurare e dei servizi da ero­ gare nonché la professionalità degli addetti) che troverà conferma anche nella successiva versione del medesimo articolo così come determinata dal D.Lgs. 24 marzo 2oo6, n. 1 5 6; l'altro, concernente la dettagliata determinazione delle modalità, implicitamente contaminato dai medesimi vizi di incostituzionalità sanciti dalla sentenza della Corte Costituzionale 272/2004 e di conseguenza profondamente corretto dal successivo D.Lgs. appena citato. Il D.Lgs. I 5 6/2oo6 ha modificato sostanzialmente la filosofia attraverso la quale costruire "le politiche" e la gestione della valorizzazione. Le nuove di­ sposizioni degli artt. I 12 e I I 5, come ha recentemente sostenuto Sciullo (2oo6) , darebbero evidenza ai tre momenti che scandiscono idealmente il passaggio dall'indi­ rizzo politico alla gestione operativa nel campo della valorizzazione dei beni culturali, e in particolare dei luoghi e istituti della cultura di cui all'art. 1 0 1 del Codice: la defi­ nizione delle strategie e degli obiettivi comuni della valorizzazione, riservata agli enti territoriali titolari dei beni da valorizzare; l'elaborazione e lo sviluppo della program­ mazione degli interventi da parte degli stessi enti, con l'eventuale concorso di soggetti privati non profit; la gestione, infine, dei servizi culturali ad opera degli enti pubblici proprietari ovvero di un terzo concessionario dei servizi, scelto mediante gara. Come

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dato significativo ulteriore si aggiunge che la gestione diretta riguarderebbe le ipotesi in cui i servizi culturali non presenterebbero una prevalente rilevanza economica, men­ tre quella indiretta supporrebbe l'opposta configurazione. RIQUADRO 4· I

Normativa sulla valorizzazione dei beni culturali L'articolo di Sciullo, tanto più interessante in quanto è la prima riflessione complessiva sulla valorizzazione dei beni culturali dopo il D.Lgs. I56hoo6, si concentra sugli aspetti qui di seguito elencati. I . Sulla reale portata delle novità introdotte dalle nuove formulazioni degli artt. I I 2 e I I 5 del Codice; in particolare: - l'estensione agli Enti locali della possibilità di concessione a terzi dei servizi di va­ lorizzazione; - la restrizione ai soli proprietari dei beni o a soggetti non profit della possibilità di costituirsi partner privati di soggetti pubblici ai fini della valorizzazione; - il divieto per gli organi preposti alla tutela a partecipare agli organi di gestione costituiti per la valorizzazione; - l'impossibilità di affidamento diretto di attività di valorizzazione a soggetti pub­ blico/privati costituiti ad hoc per le quali occorre invece indire una gara. 2. Sulle conseguenze pratiche che questi articoli, applicati in modo coordinato con il Testo Unico degli Enti locali, con le norme comunitarie e con gli orientamenti, non sempre uniformi, della giurisprudenza nazionale ed europea, possono avere sulle scelte gestionali degli Enti statali, di quelli regionali e degli Enti locali. In particolare Sciullo rileva come un'interpretazione letterale dell'art. I I5 sia spesso più rigorosa di quella prevista dal TUEL (art. u 3 ) , mentre al contrario risulta meno restrittiva quella dell'art. I I2 a proposito, ad esempio, della non esplicitazione della necessità di ricorrere a pro­ cedure di evidenza pubblica per scegliere il partner privato degli organismi costituiti per l'elaborazione e lo sviluppo dei piani strategici di valorizzazione. 3 . Sulla distinzione dei contenuti degli artt. I I2 e I I 5 che costituiscono reali principi di valorizzazione vincolanti per la successiva normativa regionale, i quali sono da con­ siderarsi vincolanti solo per i beni di proprietà statale e quindi derogabili e modificabi­ li da parte delle leggi regionali. 4· Sulle modalità operative che gli Enti locali possono adottare nelle more dell'ema­ nazione di norme regionali sulla valorizzazione. 5. Su alcune criticità della politica legislativa relative alla valorizzazione che emergono da questi articoli del Codice: - il rinvio alla decretazione ministeriale per la definizione di modalità e criteri della partecipazione del MBAC a soggetti giuridici rischia di "frenare" interessanti processi di collaborazione istituzionale; - la limitazione della collaborazione pubblico/privato a diverse tipologie di privato (non profit o profit) nelle diverse fasi della filiera della valorizzazione scoraggia la possi­ bilità di integrare la politica di valorizzazione culturale con altre politiche territoriali (ad esempio per la creazione dei distretti) che non può prescindere dal coinvolgimento anche di attori economici dalla strategia alla gestione; - la non previsione (almeno non esplicita) che i soggetti costituiti ex art. u 2 , comma 88

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5° possano gestire direttamente il bene rappresenta, per difficoltà interpretative reali, fattore di ostacolo. Ma il limite maggiore delle innovazioni apportate dal D.Lgs I56hoo6 al Codice Urba­ ni è individuato da Sciullo (2oo6) nel «fatto che nel processo di valorizzazione il passaggio fra il momento iniziale, della formulazione degli indirizzi, e quello finale, della traduzione in fatti gestionali - si potrebbe dire il passaggio dall"'area" dell'art. I I2 a quella dell'art. I I5 - è considerato riflettere momenti distinti non solo sul piano logico, ma anche su quel­ lo operativo. In realtà - dati di diffusa esperienza lo confermano - tali momenti costitui­ scono sovente una "filiera" senza soluzione di continuità, nel senso che la formulazione degli indirizzi, le indicazioni programmatiche e le scelte della forma gestionale del servizio culturale (ma perfino dei servizi aggiunti, e soprattutto le scelte di integrazione delle politi­ che) sono negoziate e concordate, almeno per l'essenziale, in un unico "tavolo" , i cui parte­ cipanti esauriscono la platea dei soggetti che verranno coinvolti negli aspetti principali del processo. In altre parole, spesso il "progetto" per la valorizzazione e gestione di un bene culturale rappresenta un'entità unitaria in cui le scelte gestionali, lungi dal porsi come mo­ mento temporalmente staccato e terminale, orientano la stessa definizione degli indirizzi generali, secondo un processo di tipo circolare». Sciullo avanza l'ipotesi che la sottovalutazione di tali profili in sede ministeriale possa «forse spiegarsi considerando che la creazione di organismi gestionali misti di beni cul­ turali dello Stato è risultata in questi anni episodica. Molto più ricca è stata, invece, la prassi delle autonomie territoriali, che in particolare ha visto il fiorire di fondazioni mi­ ste, specie di partecipazione. In questa ottica si potrebbe perfino sostenere che il nuovo art. I I 5 rischia di porre un freno a queste esperienze di valorizzazione».

Dall'esame degli aspetti positivi e, soprattutto, dei limiti colti da Sciullo anche nella recente revisione migliorativa del Codice Urbani in materia di valorizzazio­ ne dei beni (e dei servizi, naturalmente, in quanto resi dagli istituti culturali, musei e biblioteche comprese) appare necessario individuare soluzioni che per­ mettano di sviluppare la valorizzazione culturale nell'ambito dei più ampi pro­ cessi di valorizzazione e sviluppo integrato delle realtà territoriali caratterizzate da specificità storiche, sociali ed economiche omogenee. Secondo i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, la sede istituzionale per l'adozione di specifici atti legislativi e normativi non può che essere quella individuata dalla Corte Costituzionale nella sentenza 272/2004: le Regioni e le autonomie locali. RIQUADRO 4.2

Forme di gestione dei servizi culturali Risultano ancora attuali alcuni passaggi, che riportiamo di seguito, di un parere espres­ so il 2 dicembre 2004 dal Comitato tecnico scientifico per i Beni culturali della Regio­ ne Lombardia 6 proprio sulle conseguenze della sentenza 272hoo4 della Corte Co­ stituzionale: 6. I membri del Comitato tecnico scientifico sono Antongiulio Bua, Guido Guerzoni, Da­ niele Lupo Jallà, Marco Parini e Girolamo Sciullo. Cfr. Sciullo (2oo6).

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«la pronuncia 272 fa emergere problemi di applicazione degli artt. I I 5 e I I 7 del Co­ dice dei beni culturali, all'interno dell'ordinamento complessivo dei servizi pubblici, ove si considerino tre elementi di riflessione generale: 1 . I servizi culturali e quelli aggiuntivi non sono "per natura" qualificabili come servi­ zi "con rilevanza economica" o come servizi "privi di detta rilevanza", ma sono su­ scettibili di essere ascritti all'uno o all'altro tipo in ragione della scelta organizzativa operata dal loro titolare, anche se il dato dell'esperienza in genere spinge a qualificare come "privi di rilevanza economica" quelli culturali e "con rilevanza economica" quel­ li aggiuntivi. 2. La disciplina specifica dettata dagli artt. I I5 e I I 7 del Codice non è da conside­ rarsi in sé compiuta, ma in quanto di carattere speciale richiede di essere integrata con quella generale disposta dal TUEL, e soprattutto inserita nell'ordinamento dei servizi pubblici quale determinato dal diritto, anche di origine giurisprudenziale, sia nazionale sia comunitario. 3. I disposti degli artt. I I 5 e I I 7 vincolano nella loro totalità la gestione dei servizi curati dallo Stato, ma si impongono nei confronti delle autonomie territoriali solo per i "principi fondamentali" che essi esprimono (cfr. art. 7 Codice Urbani), ancorché esplicitamente non li individuino. Proprio in ragione delle circostanze richiamate, le disposizioni degli artt. I I 5 e I I7, a seconda dei casi, lasciano, autorizzano o consigliano una disciplina di specifica­ zione, attuazione e completamento, disciplina questa, che il riparto delle competenze legislative previsto dalla Costituzione, e ribadito con assoluta chiarezza dalla stessa sentenza della Corte, affida alla responsabilità delle Regioni. Di seguito si elencano quegli aspetti in ordine ai quali un intervento legislativo regionale consentirebbe di sciogliere talune incertezze e comunque di non affidare le relative soluzioni a scelte di prevalente impronta giurisprudenziale. 1 . Servizi aggiuntivi (art. I 1 7 ) - possibilità per gli Enti locali dell'affidamento tramite concessione a terzi, previa gara; - requisiti (modellati sull'in-house providing comunitario) per l'affidamento diretto a società, associazioni, fondazioni partecipate dall'ente titolare; - scelta del partner privato, previa gara. 2. Servizi culturali (art. I I 5) a) in genere: precisazione dei requisiti dell'autonomia (scientifica, organizzativa, ge­ stionale ecc.) fissata come requisito per la gestione "in forma diretta" del servizio (comma I0); b) organizzati come servizi "con rilevanza economica" - possibilità per gli Enti locali del ricorso all'affidamento tramite concessione a terzi, previa gara; - requisiti (modellati sull'in-house providing comunitario) per l'affidamento diretto a società, associazioni, fondazioni partecipate dall'ente titolare; - scelta del partner privato, previa gara. c) organizzati come servizi "senza rilevanza economica" - attuazione del "principio di non discriminazione" di ongme comunitaria (valido anche per i servizi di interesse generale di natura non economica, cfr. Commissione, Libro verde, eGeE, Teleaustria ecc. ) ; - attuazione del "principio d i concorsualità" fissato dal giudice amministrativo nazio­ nale (nella scelta di soggetti privati chiamato a svolgere attività per conto della P.A.)

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Come indicato si tratta di temi per i quali la legge regionale, come del resto è già awenuto per i servizi "con rilevanza economica" , avrebbe significativi spazi di inter­ vento, che potrebbero guadagnare di ulteriore interesse qualora si allargasse la disci­ plina alle forme di gestione dei servizi culturali o aggiuntivi da organizzarsi in reti o distretti». Si tratta di suggerimenti preziosi dei quali si auspica che le Regioni, in primo luogo la Regione Lombardia, alla quale erano specificamente rivolti, tengano conto.

Terminata questa disamina, necessaria per inquadrare i confini e le opzioni giuridiche nell'ambito dei quali allo stato attuale deve muoversi chiunque in­ tenda migliorare l'efficacia e l'efficienza delle modalità di erogazione dei servi­ zi bibliotecari, pare importante ricordare che i bibliotecari e gli amministrato­ ri, pur tra i rischi derivanti dalla mutevolezza legislativa che ha caratterizzato la materia della gestione dei servizi culturali, non hanno cessato di cercare strade nuove. Ad esempio, dopo il consolidamento e l'ampliamento del Con­ sorzio Sistema Bibliotecario Nord-Ovest di Milano, unico sistema lombardo per il quale, per la particolare tipologia dei servizi offerti, è stato possibile giustificare il mantenimento della soluzione del consorzio, il caso innovativo in assoluto che si ritiene interessante segnalare è quello del Sistema Bibliotecario Sud-Ovest di Milano. Come noto, una delle soluzioni istituzionali che in questi anni molti enti pubblici hanno adottato in Italia per la gestione dei beni e dei servizi culturali è la cosiddetta "fondazione di partecipazione " , ideata dal notaio Enrico Bel­ lezza. La fondazione di partecipazione assomma alle prerogative della fonda­ zione classica (dove domina l'elemento patrimoniale) quelle dell'associazione (caratterizzata dall'elemento personale) . Essa risponde così all'esigenza di esse­ re un soggetto attrattivo di persone unite dalla volontà di dare attuazione a idee e iniziative comuni, caratteristica propria dell'associazionismo, pur garan­ tendo una certa stabilità dell'organizzazione nel tempo. Si ricordano altre ben note caratteristiche della fondazione di partecipa­ ZIOne: - è costituita da patrimonio di destinazione a struttura aperta; - l'atto costitutivo è un contratto plurilaterale con comunione di scopo che può ricevere l'adesione di altre parti oltre quelle originarie (art. 13 32 c.c.); - la sua struttura aperta consente la variazione del numero dei contraenti senza rendere necessaria la modifica del contratto; possono farne parte Stato, Regioni, enti pubblici e privati, con il diritto di nominare i propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione; - l'ingresso di nuove parti è garantito dalla clausola di adesione, o apertura, che può implicare il controllo di particolari condizioni di ammissibilità; - alla sua attività possono aderire altri soggetti che, in qualità di partecipan-

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

ti, contribuiscono alla sopravvivenza dell'ente con somme di denaro, prestazio­ ni di lavoro volontario o donazioni di beni materiali e immateriali; attraverso una composizione definita di organi, viene garantita la propor­ zionalità tra tipologia di contributo e partecipazione all'attività. Rispetto al modello di fondazione tradizionale, dunque, gli elementi appe­ na ricordati determinano: - un maggior numero di attori che, direttamente o indirettamente, partecipa­ no all'attività delle fondazioni e una maggiore eterogeneità delle ricompense che questi attori dovrebbero ottenere dalla loro partecipazione; - una diversa composizione delle fonti di finanziamento da cui la fondazione trae le proprie risorse e, quindi, una diversa tipologia di contributi che i sin­ goli soggetti dovrebbero apportare. Proprio le potenzialità sopra ricordate della fondazione di partecipazione hanno indotto anche i promotori di grandi progetti bibliotecari, come la BEIC di Milano, a scegliere nel 2004 questo istituto giuridico di gestione. Tuttavia, l'esperienza delle fondazioni di partecipazione maturata in questi anni ha dimostrato come esse risultino meno attraenti nei confronti dei privati di quanto sperato. Infatti la maggior parte delle fondazioni di partecipazione sono state co­ struite con il fine di coinvolgere principalmente, se non esclusivamente, i gran­ di soggetti privati e i "privati-istituzionali " , quali le fondazioni bancarie, e di "corresponsabilizzarli" a pari titolo (o quasi) dei soggetti pubblici nella fun­ zione di indirizzo e, soprattutto, di gestione, senza tenere conto che gli inte­ ressi e le peculiarità di molti di tali soggetti privati sono assai differenti da quelli espressi da soggetti pubblici. Diversamente, i grandi soggetti privati dimostrano una certa diffidenza a entrare stabilmente in tali istituzioni, sia per la necessità, correlata a tale ade­ sione, di doversi privare in via definitiva di beni e risorse destinati a "scompa­ rire", senza alcun ritorno di immagine, nei fondi patrimoniali di dotazione e in quelli finalizzati alle spese di gestione, sia per la loro ritrosia, condivisa del resto anche da alcuni soggetti pubblici di governo, a partecipare direttamente alla gestione del nuovo istituto, anche per quegli aspetti di natura più "buro­ cratica" e meno imprenditoriale. Questa considerazione ha indotto Alessandro Hinna, per conto di Federcultu­ re, a proporre ai cinque sistemi bibliotecari (Sistemi dell' Abbiatese, del Castanese, di Corsico, del Magentino e di Rozzano) interessati a costituire il Sistema Bibliote­ cario Sud-Ovest di Milano una tipologia innovativa di fondazione «capace di ibri­ dare il modello citato "di partecipazione" con quello "di comunità"» 7 • 7 · L ' autore ha fornito numerosi contrib uti su lle forme d i partecipazione nei sistemi biblio­ tecari , anch e in occasione della " Conferenza di organizzazione d elle Bibliotech e Lomb ard e 2005 " . Cfr. anch e Hinna ( 2005 ) . Il 2 3 magg io 2oo6 è stata cost itu ita la Fond azione " Per Leggere - Bibliotech e S ud - Ovest Milano " , ch e raccoglie 5 1 Comuni già aderenti ai sistemi bibliotecari sopra citati .

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4· LA COOPERAZIO:-.JE INTERBI BLIOTECARIA

Questo modello ibrido appare caratterizzato da due aspetti che lo diffe­ renziano sia dal primo che dal secondo tipo di fondazione richiamati in pre­ cedenza: a) come nel modello della fondazione di partecipazione e, a differenza di quanto generalmente accade nel caso delle fondazioni di comunità, riconosce agli enti e alle istituzioni pubbliche coinvolte un certo potere di indirizzo e di controllo sulle politiche e le decisioni da porre in essere; b) come nelle fondazioni di comunità, e a differenza di quanto oggi accade con le fondazioni di partecipazione, può alimentare un rapporto continuo di dialettica e scambio con la comunità locale, attraverso: - una pluralità di canali di partecipazione finanziaria e operativa all'istituzio­ ne (la presenza di uno o più fondi di gestione generali o discrezionali, vincola­ ti o liberi, temporanei o duraturi, ciascuno dotato di un sistema di accountabi­ lity specifico, aventi lo scopo di affiancare nell'assetto economico della fonda­ zione il fondo patrimoniale in senso stretto, tali da poter raccogliere e soddi­ sfare la domanda di partecipazione di varie tipologie e fasce economiche di donatori locali; - la messa a fuoco di politiche di intervento e strategie di comunicazione finalizzate a creazione/sviluppo/consolidamento del capitale sociale di cui il singolo attore e la comunità possono potenzialmente disporre. Con una struttura economica di base di questo tipo e un sistema di go­ verno molto simile a quello della fondazione di partecipazione, ma adattato all'auspicata maggior diversificazione dei soggetti donatori, Hinna ritiene che gli Enti locali fondatori avranno la possibilità di contribuire a mobilitare "dal basso" le risorse e le competenze necessarie per una maggiore competitività del territorio. La ricetta appare senz' altro interessante soprattutto se, accanto a questa sorta di "azionariato di comunità " , creato stimolando il senso di ap­ partenenza di un'intera collettività e non solo di alcuni grandi mecenati, si svilupperanno iniziative capaci di coinvolgere anche i soggetti privati interessa­ ti a utilizzare una o più delle seguenti possibilità: finanziare iniziative che ga­ rantiscano un ritorno di immagine; usufruire dei crescenti (se pur ancora in­ sufficienti) vantaggi fiscali previsti dal legislatore; gestire con stile imprendito­ riale, cioè a fare il proprio mestiere, linee di attività delle fondazioni con mag­ gior rilevanza economica, suscettibili di contribuire a sostenere l'equilibrio economico dell'istituzione. Sarà interessante seguire gli sviluppi di questa esperienza. Al momento è opportuno sottolineare la necessità che un nuovo soggetto organizzativo che si propone non solo di offrire a tutti i suoi utenti servizi bibliotecari più sofisticati a costi più contenuti, ma anche di giocare un ruolo centrale nella circolazione dell'informazione e della cultura, estenda la propria collaborazione a ogni forma di valorizzazione, in primo luogo alle realtà museali, intercettando il processo di sviluppo dei sistemi museali sul ter­ ritorio lombardo, e contribuisca così a fare della cultura nel suo insieme un decisivo fattore di sviluppo attraverso la costante integrazione con le politiche sociali, urbanistiche ed economiche del suo territorio. 93

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

4·5

Altre esperienze

Non si possono non ricordare le diverse forme che la cooperazione ha as­ sunto nel mondo bibliotecario, come quelle che prevedono un' organizzazio­ ne territoriale preordinata, con una suddivisione in ambiti precisi e con ba­ cini di utenza individuati. Sono stati definiti, al riguardo, degli standard di riferimento che hanno segnato tappe importanti, quelli dell'IFLA in modo particolare, dal momento che sono stati interpretati e fatti propri nel tempo dalle istituzioni regionali responsabili per i servizi bibliotecari. Tra le Regio­ ni che si sono maggiormente distinte in questo campo, quelle dell'Italia set ­ tentrionale, nonché l'Emilia Romagna. La Lombardia, in ragione della pro­ pria estensione e dell'elevato numero di comuni, consente di osservare for­ me di organizzazione sistemica diversificate. Nell'Italia meridionale, invece, pur essendo annunciata in termini simili, la cooperazione non viene tuttora praticata su vasta scala. D'altro canto, anche in ambito europeo la cooperazione tra le biblioteche presenta caratteristiche similari di aggregazione sistemica. Le sfumature si gio­ cano laddove sono più radicati i servizi di rete, ma è meno percepita la coope­ razione nell'attività quotidiana di scambio, di relazione diretta tra tipologie di­ verse di biblioteche per specializzazione o per utenza. Uno dei problemi che non si possono ancora considerare del tutto risolti è quello relativo alla responsabilità di gestione dei servizi cooperativi. Se la formula della "biblioteca centro-sistema" consente di individuare una speci ­ fica responsabilità in ordine alla realizzazione dei servizi, la stessa non ha eliminato le questioni amministrative. Diverse soluzioni sono state prefigura­ te e messe in campo per risolvere gli aspetti giuridici della vicenda. Laddove le convenzioni come forme di contratto hanno avuto quale risvolto quello di una cooperazione "leggera" tra le biblioteche nel sistema, nel senso di man­ tenimento dei rispettivi obblighi e della possibilità di recesso dagli stessi, il rischio per la governance del sistema e per la sua stessa operatività e soprav­ vivenza diventa molto serio non appena intervengono improvvisi cambia­ menti di strategia, connessi a scadenze politiche o a scelte gestionali. D'altra parte, la costituzione di entità giuridiche diverse come le " istituzioni" risolve solo parzialmente il problema. È il caso dell' " istituzione" del Comune di Roma applicata a un contesto di servizi bibliotecari e non solo, di ambito cittadino. La legislazione specifica in materia di forme di gestione per que­ sto tipo di servizi a oggi non ha favorito la cooperazione. Bisognerà lavorare con fantasia e coraggio sui nuovi strumenti normativi già posti in essere dal­ lo Stato prima ricordati, nonché su quelli più specifici che le Regioni sa­ pranno predisporre con l'aiuto degli Enti locali e dei tecnici responsabili del settore. 94

4· LA COOPERAZIO:-JE INTERBI BLIOTECARIA

4· 6

Principali realizzazioni di servizi in cooperazione

Si è teorizzato che la catalogazione debba ormai essere gestita al livello orga­ nizzativo più alto, quello provinciale, se non addirittura interprovinciale, e che, in una prospettiva di medio-lungo termine, il livello più adeguato potreb­ be diventare quello regionale. In tutti i casi si otterrebbe lo scopo di favorire la massima efficienza del servizio, garantendo insieme una maggiore efficacia delle prestazioni e l'impiego e la diffusione di standard comuni. Non è, infat­ ti, più sostenibile, né finanziariamente, né organizzativamente, la presenza di centri di catalogazione di piccole dimensioni, che continuino a duplicare il la­ voro svolto nei territori vicini. Lo sviluppo degli strumenti informatici e delle reti di telecomunicazione rende oggi possibile impostare in modo radicalmen­ te diverso questa procedura, che assume sempre più caratteristiche di profes­ sionalità specifica e di qualità dei prodotti misurabile e certificabile. Le strut­ ture deputate a svolgere il lavoro catalografico e a beneficiare di interventi fi­ nanziari a livello regionale sono quindi le istituzioni appartenenti alla rete SBN, in particolare le biblioteche di capoluogo di provincia e le biblioteche speciali di dimensioni significative e rilevanza regionale, ma includono anche strutture di servizio esterne alle biblioteche (uffici catalografici) . Non più mar­ ginale è la presenza di cooperative e di piccole imprese che realizzano attività catalografiche e inventariali per il mondo librario-documentario sotto forma di outsourcing. I livelli "alti" dei servizi sono i soli in grado di sviluppare appieno l'attività di catalogazione nelle forme organizzative ottimali, cioè quella centralizzata e quella partecipata, che consentono di contenere sia i costi sia l'impe&no orga­ nizzativo e offrono un prodotto catalografico di qualità certificabile. E pertan­ to da incentivare ogni forma di interazione tra i centri catalografici presenti sul territorio. In altre parole, i centri di catalogazione provinciali e intersiste­ ma sono sollecitati a elaborare progetti di collaborazione che prevedano un ampio ricorso al recupero dei dati e delle informazioni da altre fonti catalo­ grafiche disponibili mediante downloading dalla rete. La collaborazione nelle procedure di catalogazione e di inventariazione dei documenti non rappresen­ ta una scelta strategica soltanto nell'ambito delle biblioteche. Sempre più nu­ merosi sono, infatti, i progetti che comportano l'integrazione di sistemi infor­ mativi e di dati anche in ambito archivistico e storico-artistico; mentre il confi­ ne tra le tipologie di oggetti culturali da considerare si fa sempre più indefini­ to, gli strumenti tecnologici e le metodologie di gestione dei dati divengono più simili e convergenti 8• La condivisione, qualunque sia il campo di applicazione, richiede l'applica-

8. Cfr. PLAIN , L omb ardia S torica e SIRBEC sul sito

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.

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

zione di standard di servizio e l'impiego di tecnologie. Essa, dunque, implica di fatto il ricorso a personale qualificato, costoso da sostenere per le singole realtà. Da qui l'esigenza di condividere innanzitutto le risorse umane, un con­ cetto che le espressioni anglosassoni resource sharing e networking riassumono felicemente (Regione Lombardia, 2 002 , pp. 8-9) . 4· 7

La cooperazione nel Servizio bibliotecario nazionale (ssN)

Per quanto riguarda le politiche di diffusione della rete SBN sul territorio, non si può che constatare che le linee consolidatesi negli anni novanta hanno avu­ to un esito generalmente positivo. Partner primari della cooperazione sono principalmente le biblioteche di capoluogo di provincia (alle quali spettano compiti di conservazione) , ivi incluse le decentrate appartenenti ai loro sistemi urbani, che trattano il servizio di pubblica lettura; altre componenti di rilievo sono le biblioteche speciali dei comuni capoluogo di provincia e le biblioteche comunali di centri di rilevanti dimensioni, che conservino patrimonio docu­ mentario di particolare pregio e quantità. In questi casi la partecipazione a SBN dovrebbe essere coordinata stabilmente e sistematicamente con le politi­ che di servizio bibliotecario del territorio di appartenenza (province, aree sub­ provinciali di cooperazione, sistemi bibliotecari) , ma anche con le biblioteche di interesse locale di titolarità non pubblica, il cui patrimonio, per motivi di rilevanza e pregio, sia in grado di arricchire significativamente la cooperazione nazionale, purché rispondano ai requisiti minimi per l'appartenenza al sistema bibliotecario regionale e possano garantire forme organizzative stabili e ade­ guate alle necessità della rete nazionale, quanto a rispetto delle normative ca­ talografiche e all'applicazione delle raccomandazioni riguardanti il prestito in­ terbibliotecario e la fornitura dei documenti. La cooperazione svolge un ruolo portante in questo progetto, ma altret ­ tanto importante è la partecipazione delle istituzioni proprietarie di beni li­ brari e documentari alle azioni di tutela e di valorizzazione, che si sostanzia in una serie diversificata di qualificati interventi, svolta in collaborazione con le Regioni e lo Stato. Il ricorso all'uso delle tecnologie è, d'altro canto, ormai imprescindibile, sia per la conversione dei cataloghi, che per la ripro­ duzione dei documenti su supporto digitale. Su questi temi la letteratura è oggi ricchissima di spunti e di soluzioni tecniche, di standard e di buone pratiche derivanti da un confronto continuo a livello anche internazionale, frutto di programmi di cooperazione miranti alla realizzazione di servizi transnazionali 9 •

9· Cfr. le esperienze di Argealp di sponibili su < http: //www.argealp.org/it/ > e di AlpeA­ d ria < h ttp: //www. alpeadria.org/home3 . h tm > .

4· LA COOPERAZIO:-JE INTERBI BLIOTECARIA

RIQUADRO 4· 3

Collaborazione in ambito metropolitano Rispetto alle biblioteche di area metropolitana e comunque di capoluogo, l'esperienza di ripartire le specificità all'interno di servizi cooperativi integrati è ancora agli inizi. In tale direzione si sta muovendo, ad esempio, il capoluogo lombardo, nel quale è pre­ sente una realtà variegata di biblioteche: la Comunale Sormani, l'ecclesiastica Ambro­ siana, la Nazionale Braidense, le biblioteche speciali, senza contare le numerosissime biblioteche universitarie. L'obiettivo è quello di mettere in atto la più ampia collabora­ zione per le funzioni e i servizi, secondo modalità che andranno discusse con le altre strutture culturali esistenti, sia pubbliche che private. Un paio di esempi possono esse­ re utili a fornire un quadro, seppur sintetico, delle problematiche: la conservazione dei periodici e la conservazione del materiale digitale e multimediale rappresentano due criticità molto sentite dalle biblioteche, nel primo caso per ragioni di spazio e per il costo degli abbonamenti, nel secondo per le implicazioni di natura tecnologica. En­ trambe le questioni richiederanno una forte interazione e il coordinamento di funzioni tra le biblioteche cittadine, in seguito alle quali alcune strutture potranno agire anche in nome e per conto delle altre. Per quanto riguarda il digitale e la multimedialità, appare evidente che spetti alla Mediateca di Santa Teresa di occuparsene. È, tuttavia, possibile che talune funzioni possano essere svolte in collaborazione con l'istituenda Biblioteca europea di informazione e cultura (BEIC), viste le dimensioni del problema, e che quest'ultima possa supportare anche la politica di acquisizione e di conservazio­ ne fisica del materiale periodico. Si ritiene che SBN debba confermare e ampliare la propria funzione di catalo­ go unico "distribuito" di riferimento per tutto il territorio nazionale. Tale fun­ zione adempie primariamente alla necessità di documentazione dei beni librari di maggior pregio, anche ai fini di una loro conoscenza e, di conseguenza, tutela e valorizzazione. Cruciale sarà il raccordo con i progetti di biblioteca digitale, il più consistente dei quali è senza dubbio quello nazionale della Bi­ blioteca digitale italiana. È necessario potenziare, per contro, le possibilità di recupero dalle basi dati SB!'I: del maggior numero di dati catalografici da uti­ lizzare per l'implementazione dei cataloghi provinciali, ancorché principalmen­ te si tratti di cataloghi per la pubblica lettura, attuando modalità standardizza­ te di interscambio. In considerazione dei grandi cambiamenti tecnologici e or­ ganizzativi che il sistema bibliotecario sta affrontando un po' ovunque, occor­ re un ripensamento complessivo dei criteri di gestione dei poli e di manu­ tenzione degli apparati tecnologici. Occorre anche considerare la necessità di cooperare nella conservazione fisica dei documenti, sia cartacei che digitali. La L. r o6/2oo4 sul copyright vede di nuovo messa in gioco la capacità di collaborazione tra le biblioteche sul territo­ rio, in primis in ambito nazionale, ma anche regionale. Occorre stabilire chi con­ serverà l'originale per la posterità e chi invece, pur avendo un ruolo di gestione di servizi di pubblica lettura, si troverà a conservare comunque una copia di un'opera e ancora chi conserverà la copia digitale intesa come master. 97

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

4· 8

I soggetti della cooperazione e le istituzioni di riferimento

Sul finire degli anni settanta, in seguito alla nascita delle Regioni, sono state avviate le prime forme di cooperazione bibliotecaria tra Enti locali associati in sistemi intercomunali, finalizzati a realizzare progetti di catalogazione, ove questa si materializzava ancora su scheda cartacea, che hanno condotto alla realizzazione di numerosi cataloghi collettivi di sistema, come il Catalogo col­ lettivo delle biblioteche milanesi e lombarde fiorito negli anni ottanta. Anche le biblioteche statali interagivano fra loro, per lo più utilizzando schede carta­ cee o già avvalendosi dei primi nastri magnetici. La catalogazione non poteva dirsi partecipata, in quanto la condivisione era apparente, dal momento che si realizzava soltanto attraverso l'utilizzo delle schede prodotte dalla Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Il vero salto di qualità, che produce un cambiamento nell'approccio orga­ nizzativo, si realizza in coincidenza con la diffusione dell'automazione biblio­ tecaria. La biblioteca diventa realmente un soggetto proattivo della coopera­ zione e la sua catalogazione - in forma partecipata in linea o in differita oppu­ re attraverso il recupero dei dati da fonti esterne - diviene un prodotto a tutti gli effetti collettivo, per di più condivisibile in rete. Nel campo dei servizi bibliotecari, oltre che alla catalogazione, la coopera­ zione si estende ad altri ambiti, quali, ad esempio, la circolazione, il prestito interbibliotecario e, in anni più recenti, anche alla trasmissione a distanza di riproduzioni e file elettronici (il cosiddetto document delivery) . Oggi la colla­ borazione si sta progressivamente estendendo anche alle restanti procedure bi­ blioteconomiche: la gestione delle collezioni, la politica degli acquisti, la con­ servazione della "letteratura morta" , il reference, la gestione delle risorse pe­ riodiche e in continuazione. Le parole chiave di queste nuove pratiche di cooperazione sono sussidiarietà e partenariato. Il termine "sussidiarietà" indica un principio giuridico fissato dall'art. 4, comma 3 °, lett. a della L. 15 marzo 1997 , n. 59, fatto proprio dall'or­ dinamento nazionale e regionale successivo, secondo il quale la generalità dei compiti e delle funzioni amministrative deve essere attribuita ai comuni, alle province e alle comunità montane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità. Il principio giuridico è temperato dal­ l' applicazione di altri principi, tra i quali, in particolare: - il principio di completezza, con l'attribuzione alla Regione dei compiti e delle funzioni amministrative non assegnati ai sensi della lett. a, e delle funzio­ ni di programmazione; - i princìpi di responsabilità e unicità dell'amministrazione, con la conse­ guente attribuzione a un unico soggetto delle funzioni e dei compiti connessi,

4· LA COOPERAZIO:-JE INTERBI BLIOTECARIA

strumentali e complementari, e quello di identificabilità in capo a un unico soggetto anche associativo della responsabilità di ciascun servizio o attività amministrativa; - il principio di omogeneità, tenendo conto in particolare delle funzioni già esercitate con l'attribuzione di funzioni e compiti omogenei allo stesso livello di governo; - il principio di adeguatezza, in relazione all'idoneità organizzativa dell'am­ ministrazione ricevente a garantire, anche in forma associata con altri enti, l'e­ sercizio delle funzioni. Quest'ultimo principio, ribadito anche all'art. I I 8 del nuovo testo costitu­ zionale, non sempre trova puntuale applicazione in tutti i dettati normativi e su tutte le materie; si pensi, a titolo di esempio, ai risultati parziali e a volte contraddittori raggiunti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, in parti­ colare sulle funzioni principali della tutela e della valorizzazione e tra quelle " secondarie" che le interconnettono (gestione, conservazione ecc.) . Migliori risultati si sono raggiunti, per fortuna, nella prassi della program­ mazione negoziata attraverso la quale sono stati condivisi interventi specifici tra istituzioni diverse, ponendo a fattore comune le risorse finanziarie e professio­ nali (anche private, attraverso la mediazione delle Regioni) per coprire le esi­ genze di sviluppo dei singoli territori, il recupero e la valorizzazione dei singoli beni culturali e la realizzazione di infrastrutture informative. Si tratta di un mo­ dus operandi in base al quale ogni istituzione mette in gioco il proprio ruolo per la realizzazione di un intervento a carattere progettuale o di servizi. Esso com­ porta la messa in campo di sinergie e una costante e sensibile collaborazione fra le istituzioni proprietarie dei beni. La scarsità di risorse finanziarie e professio­ nali adeguate per far fronte a lavori quantitativamente onerosi e ingenti su cen­ tinaia di migliaia di documenti fa sì che divenga condizione imprescindibile. La programmazione negoziata è diventata in questo modo lo strumento più efficace della sussidiarietà, sfociando in accordi che possono assumere va­ lenze diverse, dagli "accordi di programma quadro" a quelli specifici, di mi­ nor dimensione economica e organizzativa, fra istituzioni, sia private che pubbliche. Le Regioni sono da considerare sempre più il soggetto promotore della governance territoriale, cioè del raccordo fra bisogni, competenze e risorse presenti sul territorio, indirizzato verso obiettivi condivisi di sviluppo. Si assi­ ste in questi ultimi anni a un trend in crescita nell'utilizzo della programma­ zione negoziata per realizzare le infrastrutture culturali, cioè ad accordi di programma che assumono il valore di veri e propri contratti. Le Regioni pre­ dispongono e danno attuazione alle proprie attività programmatiche attraverso "tavoli territoriali" di ascolto, dai quali emergono gli obiettivi di ampio re­ spiro da perseguire dando impulso ad azioni di sviluppo e di valorizzazione dei beni culturali: mediante l'adeguamento a standard di qualità; garantendo un sostegno, anche in termini di formazione di accompagnamento, a " partner" 99

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

accreditati; puntando all'integrazione delle risorse e dei servizi, secondo mo­ delli di gestione associata e differenziata. C'è da chiedersi se la sussidiarietà in ambito bibliotecario sia oggi propo­ nibile su entrambi i versanti, cioè sia in senso "verticale" che "orizzontale" e se consenta di andare oltre la cooperazione finora attuata tra biblioteche, se possa cioè dare maggior peso e valore aggiunto a beni e servizi. Di solito ci si esprime in questi termini riferendosi ai rapporti interistituzionali di dimensio­ ne territoriale diversa e magari in genere per interventi consistenti, esclusiva­ mente di natura finanziaria, necessari per mandare a buon fine un progetto condiviso. Entrano in gioco in tal caso partner pubblici e privati e il tutto si regola attraverso ampie forme di accordo, che cambiano denominazione a se­ conda del tipo di relazioni che si determinano. Oggi esistono quindi "accordi di programma quadro" in cui lo Stato è, come la Regione, uno dei due soggetti contraenti. Essi affiancano gli "accor­ di quadro di sviluppo territoriale" all'interno dei quali alla Regione e, ma non necessariamente, alle amministrazioni periferiche dello Stato si affianca­ no, assumendo dirette responsabilità, gli Enti locali e gli altri soggetti che danno connotazione peculiare al territorio: le organizzazioni produttive e so­ ciali, gli operatori economici, il terzo settore ecc. Talvolta questi strumenti vengono applicati al di là delle delimitazioni amministrative, come nel caso dei " distretti culturali" o delle "aree vaste" . Le forme più nuove di coopera­ zione sono quelle che prevedono la condivisione reale dei beni e la produ­ zione di valore economico. Per beni sono da ritenersi in primis gli spazi, qualora la biblioteca, ad esempio, conviva nello stesso edificio con altre isti­ tuzioni culturali, che siano o no di pertinenza o appartengano allo stesso ente o che siano indipendenti, ma fisicamente localizzate in spazi contigui. Si può pensare quindi a una gestione condivisa di servizi centralizzati, come il riscaldamento, gli impianti elettrici e di sicurezza, le pulizie, la guardiania, ma anche dei costi di investimento e di manutenzione per gli impianti infor­ matici e i cablaggi in genere, per gli abbonamenti alla rete Internet, per lo scarto ecc. Questo insieme di servizi esteso a più strutture bibliotecarie o culturali affini può essere gestito in modo cooperativo anche attraverso for­ me di gestione dei servizi come ad esempio le fondazioni di partecipazione ricordate in precedenza. Agli "accordi di programma quadro" , nei quali lo Stato è uno dei soggetti attori, e agli "accordi quadro di sviluppo territoriale" nei quali predomina in­ vece la componente degli Enti locali del territorio si sovrappongono le delimi­ tazioni d'ambito, come nel caso dei "distretti culturali" , delle "aree vaste" o di altre delimitazioni territoriali di significato amministrativo e politico 1 0 •

1 0 . Cfr. V al entino ( 2003 ) ; Sacco, Pedrin i ( 2003 ) ; Alberti , B ernardi , M oro , Wizerman, Sina­ tra ( 2oo5 ) ; Santagata ( 2oo4 ) ; Della Torre ( 2oo5 ) .

I OO

4· LA COOPERAZIO:-JE INTERBI BLIOTECARIA

RIQUADRO 4·4

Distretto culturale «ll distretto culturale è un sistema, territorialmente delimitato, di relazioni che integra il processo di valorizzazione delle dotazioni culturali, sia materiali che immateriali, con le infrastrutture e con gli altri settori produttivi che a quel processo sono connesse» (Valentino, 2003 ) . I "distretti culturali " possono essere definiti anche come «forme or­ ganizzative reticolari densamente popolate da imprese o organizzazioni specializzate in uno specifico ambito culturale o in ambiti culturali strettamente correlati, organizzate in logica di filiera, dotate di forte identità geografica e storica e supportate da un con­ testo istituzionale dedicato» (Alberti, Bernardi, Moro, Wizerman, Sinatra, 2005 ) . L e due definizioni fanno riferimento, i n modo più o meno esplicito, all'esistenza di logiche di filiera la cui possibile esistenza è però messa in dubbio da coloro che fanno notare come riproporre per una filiera culturale un modello di sviluppo fondato su una trasposizione "letterale" dello schema distrettuale si scontri con alcuni elementi sostanziali di differenziazione, che non possono essere trascurati, tra cui il non favorire reali fenome­ ni di identificazione collettiva con il sistema produttivo e con la sua visione progettuale. Santagata pone, invece, al centro della propria concezione l'esistenza di economie di aggregazione e l'idiosincrasia dei beni che danno identità al distretto. E con questo riporta attenzione sul capitale marshalliano. Egli ha proposto quattro forme tipiche di distretto culturale: industriale, istituzionale, museale, metropolitano. Con tutta l'utilità che tale analisi ha avuto per chiarire l'apporto delle diverse componenti alla forma distrettuale, si concorda con Sacco e Pedrini (2003) nell'affermare che «una forma ef­ ficace e sostenibile di organizzazione distrettuale culture-based ha bisogno di una pro­ fonda integrazione delle quattro forme individuate da Santagata». «Per Sacco e Pedrini una forma efficace e sostenibile di organizzazione distrettuale ha bisogno di una auto-organizzazione di base che nasce da una capacità imprendito­ riale, di una forma evoluta di tutela e di promozione congiunta delle produzioni del sistema locale e della loro valenza esperienziale, di un recupero conservativo e della valorizzazione del patrimonio culturale preesistente e della capacità di produrre e far circolare idee culturali innovative, inserendo il sistema locale all'interno dei network dell'eccellenza produttiva in uno o più ambiti culturali specifici» (Della Torre, 2005 ).

4·9

Prospettive e problemi aperti

I tempi sono maturi per l'integrazione dei due modelli di servizio bibliotecario e il raccordo fra gli strumenti esistenti è certamente proponibile, anche se ap­ pare non meno complesso di quanto non fosse anni fa, quando situazioni con­ nesse a finalità diverse hanno condotto alla realizzazione di strade parallele, che oggi invece tendono inevitabilmente alla convergenza. Se la validità delle scelte originarie dell'assetto di SBN è stata ampiamente confermata, oggi la riduzione delle disponibilità economiche degli enti e, per contro, le aumentate opportunità tecniche offerte dagli strumenti informatici e dalle tecnologie in genere favoriscono, invece, più che mai l'integrazione e il IOI

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

raccordo anche tra sistemi nativi diversi. Si può arrivare alla realizzazione di un vero grande sistema dei servizi bibliotecari su più livelli, come prefigurato timidamente a suo tempo in area lombarda, ma non sufficientemente sostenu­ to da approfondimenti teorici. Si consideri inoltre la maggior sensibilità alla valorizzazione della documentazione locale del territorio, che ogni realtà bi­ bliotecaria è tenuta a organizzare e conservare e che potrebbe trovare una buona risposta nella cooperazione dei sistemi in ambito SBN. Occorre considerare, poi, la sovrapposizione ai tradizionali servizi di net­ work bibliotecari di quelli commerciali concernenti la fornitura di documenti e libri, l'editoria elettronica e i servizi informativi di reference, i grandi pro­ getti su scala mondiale di Google e di altri soggetti privati. Due ambiziosi progetti di collaborazione attualmente in fase di realizzazio­ ne sono la BDI e "Michael" 1 1 , quest'ultimo prodotto dallo sforzo congiunto e coordinato di numerose istituzioni europee. La BDI è destinata a diventare un punto di riferimento importante per la rete delle biblioteche che, unitamente ad archivi e musei, potrà costruire uno strumento importante per la conoscen­ za, la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio culturale in forma digita­ le. Sembra ormai acclarato che il Web rappresenti la carta vincente della bi­ blioteca, più ancora del catalogo tradizionale, che tuttavia occupa una posizio­ ne ancora preponderante tra gli strumenti di mediazione bibliografica. La cre­ scita del numero e delle funzionalità dei siti e ora anche dei portali di servizi sta lì a dimostrarlo. Dal canto suo l'oPAC è divenuto multibiblioteca, allargan­ do il proprio orizzonte ben oltre lo spazio fisico di riferimento. Poiché la ge­ stione di servizi multimediali richiede capacità tecniche e manageriali comples­ se, occorrerà attrezzare centri catalografici che siano in grado di occuparsi non più solo del trattamento descrittivo di documenti librari, ma anche delle altre tipologie di beni culturali, secondo una logica tendente all'integrazione sia dei sistemi informativi, che dei servizi per il pubblico, entrambi gestiti sempre più in rete. Lo strumento della cooperazione, che è stato fondamentale per le bibliote­ che, dovrà essere fatto proprio dagli Enti locali che in un futuro ormai prossi­ mo dovranno contare sulla condivisione di risorse, non solo documentarie e catalografiche, ma anche professionali, finanziarie e organizzative, per la ge­ stione dei servizi culturali nella loro generalità e complessità. Questo metodo ha favorito la crescita del servizio bibliotecario in termini di qualità complessi­ va del servizio erogato e di varietà delle tipologie dei servizi offerti ai cittadini. In particolare, la catalogazione centralizzata, funzionale ad avere un catalogo unico del sistema, il prestito interbibliotecario e il coordinamento degli acqui­ sti, furono posti come obiettivi principali nelle leggi regionali e nei programmi regionali pluriennali che si sono succeduti in questi anni e sono stati in gran I I . Cfr. Minerva < http://www .minervaeurope.org/home.htm > ; Michael < http://www . michael-culture.org/index.html > ; BDI < http://www . iccu.sbn.it/genera.jsp?s I 8 > ; Internet cul­ turale < http://www .internetculturale.sbn.it/ > . =

1 02

4· LA COOPERAZIO:-JE INTERBI BLIOTECARIA

parte realizzati dando sostegno alle biblioteche di interesse locale (quelle di titolarità diversa comunque con requisiti minimi per la partecipazione all' orga­ nizzazione bibliotecaria regionale) , inclusa la valorizzazione degli archivi stori­ ci di Enti locali o ad essi affidati, il Servizio bibliotecario nazionale, la forma­ zione degli operatori di biblioteca e archivio le attività di tutela delegate con particolare riferimento alla vigilanza e alla conservazione e riproduzione, non­ ché alla circolazione e alienazione del patrimonio librario e documentario anti­ co, raro e di pregio (Codice dei beni culturali e del paesaggio, D.Lgs. 22 gen­ naio 2004, n. 42 art. 5 , comma 2 °) e tecnologiche. Anche le amministrazioni provinciali, le comunità montane e i sistemi bi­ bliotecari sono chiamati a partecipare attivamente alla realizzazione dei pro­ getti d'intervento regionali soprattutto in materia di piena valorizzazione del patrimonio documentario delle biblioteche di interesse locale e degli archivi storici: i singoli progetti sono pertanto ideati e realizzati in concorso con gli Enti locali e con i soggetti privati eventualmente interessati. 4· 1 0

L a biblioteca come fattore produttivo

Insieme al recepimento delle citate leggi Bassanini r2 nelle politiche regionali si registrano delle novità nell'organizzazione interna e nei rapporti con il mon­ do delle autonomie locali e funzionali come conseguenza della maggiore at­ trattività che la cultura ha assunto in campo economico. Se fino a ieri i servizi erano considerati di norma solo servizi alla persona e come tali esposti esclusi­ vamente come voci di costo nei bilanci e per la collettività, ora si tende a porre l'accento sulla natura patrimoniale della cultura, e la partecipazione di Regioni, Enti locali e Stato alla gestione coordinata della tutela e della valo­ rizzazione dei beni sta alla base della più recente legislazione. Per quanto l'ampiezza del meccanismo e la complessità dell'organizzazione richiedano ul­ teriori approfondimenti e decisioni ben ponderate, in ogni documento pro­ grammatico e nelle normative è ormai ricorrente la tendenza a trattare di si­ stemi culturali integrati di beni e servizi, nonché del coinvolgimento in primis degli istituti assimilabili alle biblioteche, ma di titolarità amministrativa diversa e di soggetti del settore privato. Gestire questa situazione sempre più articolata oggi a livello territoriale pone problemi organizzativi ed economici notevoli, anche per la necessità di rispettare i vincoli posti dalla normativa, in particolare dalle leggi finanziarie dello Stato, che talvolta rischiano di soffocare le iniziative locali. L'attuazione di servizi in cooperazione impone la necessità di confrontarsi sul grado di spe12. L .R. 5 gennaio, 2000 n. 1 : Riordino del sistema delle autonomie in Lombardia. Attuazio­ ne del D . Lgs. 3 I marzo I 99 8 , n. 1 1 2 ( conferimento di funzioni e compiti ammin istrativi dallo S tato alle Regioni e agli Enti locali , in attuazione del capo 1 della L . I5 marzo I 9 7 , n. 5 9 ) . L ' art. 4, d al comma I 30° al comma 148 ° , tratta tutte le materie della cul tura.

1 03

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E Q U ESTIONI

cifìcità dei servizi da sviluppare e da attivare all'esterno delle istituzioni, ren­ dendo inevitabile la maturazione sul territorio di una maggior capacità "patti­ zia" di stipulare accordi. In questa prospettiva, la Regione Lombardia, ad esempio, sta rivedendo le proprie leggi tematiche in vista di un riassetto che tenga conto del più marcato ruolo di governo e sta investendo notevoli risorse per la formazione del personale degli Enti locali operante nei servizi culturali, proprio nella consapevolezza che occorra far crescere la cultura del servizio, insieme alla capacità di negoziazione, di programmazione comune e di gestio­ ne associata e condivisa dei servizi e dei beni e, non ultima, la padronanza delle strategie di /und raising.

1 04

5

Le culture e le pratiche della qualità in biblioteca di Giovanni Di Domenico

5·1

Premessa

Le culture e le pratiche della qualità sono entrate nell'orizzonte delle bibliote­ che italiane a partire dagli anni novanta del Novecento (Petrucciani, Foggiali, 1 992) e in modo più costante nell'ultimo lustro (Foglieni, 200 1 ; Sardelli, 2 00 1 ; Di Domenico, 2002 ) . Punto di riferimento privilegiato sono state le problema­ tiche del Total Quality Management (TQM) , un modello nato in ambito azien­ dale con l'obiettivo di garantire alle imprese il miglioramento continuativo e graduale dei propri processi organizzativi in un mercato sempre più interna­ zionalizzato e competitivo (Ishikawa, 2 004). La metodologia TQM poggia su quattro pilastri: - la centralità del cliente, intesa come ascolto dei suoi bisogni, analisi delle sue aspettative, ricerca della sua soddisfazione. L'attenzione al cliente si esten­ de anche ai rapporti interni, alle esigenze del personale, alla sua motivazione e gratificazione; - il miglioramento continuativo, da ottenere mediante la pianificazione degli obiettivi, l'efficacia delle strategie organizzative, la misurazione dei risultati raggiunti, la valutazione ciclica dei propri prodotti e servizi, l' individuazione dei propri punti di forza e di debolezza, l'attivazione di mirati interventi cor­ rettivi; - l'approccio globale ai problemi della qualità, da perseguire in termini di valore e in termini applicativi. Non ci sono aspetti o funzioni da trascurare; la ricerca della qualità deve governare ogni attività e ogni rapporto; le sue ricadute devono portare benefici per tutti: clienti, personale, organizzazione,

stakeholders; - la gestione per processi, per passare da modelli organizzativi burocratici e gerarchizzati, di tipo verticale (per funzioni e compiti, per settori tendenzial­ mente autointeressati) , a forme trasversali d'individuazione e gestione dei flus­ si di attività, che favoriscano la reciproca assunzione di responsabilità dei set­ tori funzionali (catena cliente/fornitore) e una loro comune "cultura di risul­ tato " . Negli anni novanta l a competizione comincia, del resto, a spostarsi proprio 1 05

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

sul versante dei servizi (assistenza ai clienti da parte dei produttori, sviluppo delle imprese di soli servizi, nuovi orientamenti nella pubblica amministrazio­ ne) e la qualità tende ad assumere il carattere di standard operativo e di nor­ mativa tecnica. L'lnternational Organization for Standardization (Iso) emana una serie di norme di riferimento per la standardizzazione e la certificazione della qualità. Nella definizione della qualità stessa fornita dalla norma ISO 8402 del I 994 («insieme delle caratteristiche di un prodotto o di un servizio che ne determinano la capacità di soddisfare bisogni manifesti o impliciti») quest'ampliamento di contenuti è ben chiaro. Da notare anche il riferimento ai bisogni impliciti, che presuppone una sempre più raffinata capacità di anali­ si del contesto, del mercato e dei destinatari di prodotti e servizi. Con il pro­ gramma decennale Vision 2ooo (cfr. PAR. 5 .9) la normativa ISO sulla qualità verrà revisionata e snellita, sino alla pubblicazione, alla fine del 2ooo, di un nuovo pacchetto di norme. Sempre negli anni novanta emergono altri approcci alla qualità, letta so­ prattutto come customer satis/action. Studi e indagini vengono indirizzati all'a­ nalisi dei fattori di soddisfazione, delle componenti che influenzano i giudizi dei clienti e degli scostamenti fra la percezione che essi hanno della qualità e le loro aspettative. Senza trascurare altri apporti e metodologie, il settore delle biblioteche si è confrontato soprattutto con questi tre indirizzi della qualità, calandone egre­ giamente le applicazioni nelle proprie realtà organizzative e di servizio: quasi tutte queste acquisizioni culturali sono diventate, fra i bibliotecari più attenti e consapevoli, bagaglio professionale, senso comune, metodo condiviso di lavo­ ro, pratica quotidiana. In un contributo della federazione delle associazioni delle biblioteche ( IFLA, 1 999, pp. 1 8-9) di alcuni anni fa il riferimento al TQM è netto: La -

gestione della qualità prevede tre livelli: la pianificazione della qualità; il controllo della qualità; il miglioramento della qualità.

Per dirla in maniera più semplice: - cosa vogliamo fare; - cosa stiamo già facendo; - come possiamo migliorare ciò che stiamo già facendo. Per una biblioteca, gestire la qualità dei servizi deve avere più o meno questo significato: - definire il compito e l'utenza istituzionale della biblioteca; indagare i bisogni manifesti e impliciti degli utenti; stabilire obiettivi a lungo e a breve termine; progettare dei servizi adeguati; fornire questi servizi al più alto livello possibile; misurare le prestazioni e confrontare prestazioni e obiettivi; 1 06

5 . LE CU LTURE E LE PRATICHE DELLA QL'ALITA Il'\ BIBLIOTECA

-

creare una struttura di continuo miglioramento delle prestazioni; costruire una cultura dell'orientamento all'utenza e della qualità del servizio. In questo processo sono particolarmente importanti due passaggi: definire degli obiettivi e controllare che vengano raggiunti.

Il debito nei confronti dell'approccio TQM è evidente (miglioramento conti­ nuo, orientamento all'utenza) . La definizione rso 8402 della qualità è poi esplicitamente richiamata nel testo: Questa definizione, in cui si parla anche di "bisogni impliciti" , si applica particolar­ mente bene alle biblioteche, dato che oltre alle richieste del momento esse devono tenere presenti le esigenze future, per esempio nella costruzione coordinata delle rac­ colte (ivi, p. r 8). Infine, la user satis/action è considerata come elemento importante di valuta­ zione della qualità, attraverso l' individuazione di due indicatori: soddisfazione dell'utente e soddisfazione dell'utente remoto (ivi, pp. 1 2 3 - 3 3 ) . Negli ultimi anni s i sta guardando ad altri, possibili sviluppi, soprattutto in materia di valutazione e autovalutazione della qualità organizzativa. Tra i mo­ delli valutativi ispirati al TQM, uno dei più flessibili è quello proposto dall'Eu­ ropean Foundation for Quality Management (EFQM, 1 999) . Il modello EFQM non si configura, infatti, come uno standard, non ha carattere prescrittivo, anzi riconosce l'esistenza di una pluralità di approcci al perseguimento della qualità e dell'eccellenza (quest'ultima vista come eccezionale e durevole capa­ cità di gestione organizzativa e di conseguimento dei risultati nella ricerca del­ la soddisfazione dei clienti interni ed esterni e nell'impatto sociale) . Il suo sco­ po principale è di aiutare le organizzazioni a misurare in modo sistematico e globale i progressi realizzati verso il raggiungimento dell'eccellenza, a com­ prendere i propri ritardi, a trovare soluzioni migliorative: è dunque uno stru­ mento diagnostico e di orientamento generale, da supportare, quando e dove è necessario, con modalità squisitamente biblioteconomiche di analisi dei pro­ blemi e formulazione dei piani di miglioramento. Esso ha anche il merito di guardare oltre l'orizzonte della certificazione, ma può essere facilmente raccor­ dato con l'adozione degli standard ISO 9000. In campo europeo, tra i primi tentativi di costruire per le biblioteche si­ stemi di autovalutazione esplicitamente ispirati all'elaborazione EFQM, vanno senz'altro menzionati quelli britannici (Kinnell, Usherwood, Jones, 1 999) e quelli spagnoli (Duarte Barrionuevo, 2002 ) . Nel nostro Paese si conoscono po­ chissime sperimentazioni significative di settore 1 , anche se riferimenti al mo1. I n am bito CE è stato intro d otto, con l ' ai uto de lla EFQM ( ol tre ch e d ella S peyer S ch ool ted esca e d ell ' E uropean I nstitut far P ublic Admin istrati on di M aastrich t ) , uno stru ­ mento di autovalutaz ione d elle amm inistraz ion i pubblich e, d enom inato C ommon A ssessment F ramework ( cAF) , di semp li ce app licaz ione. In I talia , il CAF è stato promosso e diffuso d al F ormez in coll ab orazione con il Dipart imento de ll a Funzi one pu bblica. Cfr. all ' in di rizzo

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

dello EFQM si trovano nella documentazione preliminare di un paio di progetti importanti (Di Domenico, 2 004) 2 • La cultura e l'orizzonte della qualità, segnatamente nelle strutture pubbli­ che e di servizio, possono essere ancora ampliati, e sotto più di un aspetto: maggiore coinvolgimento degli stakeholders nelle attività di valutazione e mi­ glioramento del servizio, maggiore orientamento alla mappatura e alla ripro­ gettazione dei processi organizzativi, maggiore attenzione ai percorsi specifici della qualità nei contesti in cui sono centrali i processi di gestione e condivi­ sione della conoscenza. Il tutto da collocare, auspicabilmente, dentro una pra­ tica della qualità che risulti per un verso agevole, per l'altro capace d'integrare in un'unica strategia diverse metodologie applicative. Nei paragrafi seguenti prenderemo in esame alcuni fattori e strumenti indi­ spensabili a qualsiasi strategia di perseguimento della qualità in biblioteca. 5 ·2

Leadership e capitale umano

La qualità organizzativa di una biblioteca dipende in gran parte dalla compe­ tenza e dall'impegno delle persone (oltre che, naturalmente, dalle altre risorse disponibili e dall'efficacia dei processi di erogazione del servizio) . Il discorso riguarda in eguale misura i vertici organizzativi e il personale: la ricerca della qualità ha bisogno di forme diffuse di leadership, con quote di responsabilità distribuite fra più soggetti. Ai vertici organizzativi (coordinatori, direttori ecc.) spetta l'onere di promuovere la cultura della qualità in biblioteca, di indicare con chiarezza strategie, politiche e obiettivi, di indirizzare verso l'ascolto e la qualità l' intero funzionamento della struttura e il suo sistema di erogazione dei servizi, ma è importante che tutti si sentano impegnati a realizzare un pro­ dotto/servizio con requisiti di qualità che corrispondano pienamente alle esi­ genze e alle aspettative dei destinatari. Risorse per una leadership bibliotecaria consapevole, autorevole e sorretta dal consenso dei collaboratori sono sicuramente: - un alto profilo etico e un notevole senso di responsabilità; - una chiara visione d'insieme della funzione e delle finalità della biblioteca; - una conoscenza approfondita della realtà bibliotecaria e dei suoi problemi; - una cultura organizzativa orientata alla qualità, alla progettualità, alla cooperazione;

< h ttp: //www.cantieripa. i t/insid e.asp ?id =885 > . Una sperimentaz ione d el CAF è stata effet­ tuata d all a Biblioteca sc ient ifica d el C entro di riferi mento onco l og ico di Avi ano . Cfr. l 'in di ­ rizzo < h ttp ://www .cro. sanita. fvg. it/crowe b/menu.asp ? num= 3 8 6 > . 2 . Ci riferiamo alla BDI e alla BEIC. Per la BDI cfr. il rapporto di sintesi dello studio di fattibilità del 30 novemb re 2ooo, disponibile all 'in dirizzo < h ttp://www. iccu.sbn. it/BDI-SDF- Sintesi .pdf. > ; per la BEIC cfr. il documento del progetto gestionale e organizzativo all 'in dirizzo < h ttp: //www. beic. it/associazione/art r 3 . h tml > .

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5 . LE CU LTURE E LE PRATICHE DELLA QL'ALITA Il'\ BIBLIOTECA

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una buona capacità di analisi e decisione; un'ottima intesa con i collaboratori.

Sul piano dei comportamenti organizzativi, la leadership è funzionale alla qua­ lità quando: - considera gli utenti una risorsa della biblioteca; - favorisce un'adeguata circolazione delle informazioni e delle conoscenze all'esterno e all'interno della biblioteca; - incoraggia le persone a fornire il proprio contributo d'idee per il migliora­ mento dei servizi; - crea condizioni "climatiche" interne ed esterne ad alto tasso di empatia; - pratica strategie di empowerment, investendo sulla fiducia, sulla motivazione e valorizzazione dei collaboratori e sulla delega delle responsabilità; - gestisce saggiamente i conflitti organizzativi; - promuove e facilita processi di apprendimento individuale, di gruppo, organizzativo; - si confronta con le opportunità, i rischi, i modelli di comunicazione, organizza­ dvi e di servizio indotti dalla diffusione delle tecnologie telematiche e digitali. Il cambiamento verso la qualità è fatto però di processi ancora più complessi, che reclamano nuovi livelli di professionalità e di autonomia, dunque una cre­ scita delle competenze di tutti i bibliotecari, da considerare come una combi­ nazione di: - identità professionali (valori, stili di comportamento, deontologia) ; - conoscenze scientifiche e tecniche allargate (dunque, non solo strettamente biblioteconomiche, ma anche organizzative) ; - abilità (bibliotecniche, relazionali, linguistiche, d'uso delle tecnologie) ; - potenzialità (culturali, intellettuali, tecniche ecc . ) . Leadership consapevole, arricchimento delle competenze dei bibliotecari e condivisione della prospettiva della qualità sono le tre condizioni che possono aprire la strada a politiche innovative, alla collaborazione costante con altri soggetti e strutture, al miglioramento qualitativo dei servizi, alla soddisfazione degli utenti, a un più forte legame con loro. 5 ·3

La cooperazione

Con le attività di tipo cooperativo la biblioteca tende a uscire dalla propria autoreferenzialità (Galluzzi, 20o4b) . E se inizialmente la cooperazione ha rap­ presentato soprattutto una risposta alla penuria di finanziamenti, nell'ultimo decennio - grazie anche all'utilizzo a tutto campo delle tecnologie digitali e di rete e agli investimenti sull'interoperabilità delle piattaforme - essa ha assunto una valenza più ampia e meno "difensiva" , assicurando alle biblioteche l'op1 09

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

portunità di offrire ai propri utenti maggiori possibilità di accesso alle risorse documentarie (cataloghi collettivi, metaOPAC, risorse digitali) e a modalità di servizio a valore aggiunto (si pensi soprattutto al reference online condiviso) . Nell'ambito delle applicazioni digitali s i moltiplicano i tentativi di individuare le forme possibili di cooperazione e integrazione fra istituti culturali che han­ no diverse competenze e finalità (biblioteche, archivi, musei) , con l'intento di superare le separatezze derivanti dalle tipologie istituzionali e dalla diversa na­ tura degli oggetti e dei supporti, per generare nella rete modelli integrati di ricerca e aggregazione dei contenuti di sapere. Non meno incisivo è attual­ mente l'apporto della cooperazione alla vita organizzativa delle biblioteche (at­ tività a progetto, formazione, scambi di conoscenza professionale) . In tal modo, essa sta evolvendo a fattore primario della qualità di servizio come del­ la qualità di processo, a leva strategica d'innovazione, cambiamento, crescita professionale dei bibliotecari. La cooperazione spinge le biblioteche a riposi­ zionarsi rispetto alla domanda e alle aspettative di servizio (si allarga il bacino di utenza) , a ripensare le modalità di analisi e segmentazione dei bisogni, a riprogettare i processi operativi (da forme prevalentemente interne di gestione a un insieme di relazioni di servizio più vasto) , a operare costantemente in rete, a darsi uno stile di lavoro molto improntato alla partnership, allo scam­ bio con l'esterno e all'orientamento al risultato. 5 ·4

Il benchmarking

Il benchmarking è una delle più efficaci risorse della qualità organizzativa (Lu­ cianelli, Tanese, 2002 ) . Esso si basa su processi di monitoraggio delle espe­ rienze altrui, alla ricerca d'idee, modelli, soluzioni con cui confrontarsi e a cui eventualmente ispirarsi. Parliamo di processi continui, non occasionali, carat­ terizzati da una rigorosa metodologia valutativa e autovalutativa:

n benchmarking è un processo continuo, sistematico per valutare i prodotti, i servizi e i processi operativi delle organizzazioni che sono riconosciute quali rappresentanti le prassi migliori, allo scopo di conseguire miglioramenti organizzativi (Spendolini, 1996, p. !2). I l benchmarking non s i applica solo a prodotti e a servizi (per esempio: "Qua­ li sono le applicazioni Web più efficaci? " ) , ma anche a strategie e a processi (per esempio: "Quali sono le applicazioni TQM più riuscite? " ) . Ci si confronta, insomma, sulla cultura organizzativa e sulle metodologie, oltre che sugli ogget­ ti e sui risultati. Ovviamente è necessario condurre indagini preliminari per individuare organizzazioni, anche lontane dal proprio settore operativo, che hanno adottato metodi e soluzioni interessanti. Non si tratta di rubare o co­ piare: il benchmarking è basato sulla reciprocità e su ipotesi correttive pienaI lO

5 . LE CU LTURE E LE PRATICHE DELLA QL'ALITA Il'\ BIBLIOTECA

mente integrate in una specifica realtà organizzativa. In letteratura si usa clas­ sificarlo in tre categorie (Naumann, Giel, I 995 , pp. 297-3 2 2 ) : - benchmarking interno; - benchmarking competitivo; - benchmarking "best in class" . Il benchmarking interno è una metodologia d i confronto con se stessi (tra il proprio livello corrente di prestazione e quelli precedenti) . Con il bench­ marking competitivo l'attenzione si sposta all'esterno: ci si confronta con altre biblioteche o con standard bibliotecari nazionali e internazionali. Il benchmar­ king "best in class" presuppone un monitoraggio ancora più vasto, alla ricerca delle migliori pratiche organizzative, gestionali, di servizio, ovunque si trovino, anche lontano dalle biblioteche. Il ciclo del benchmarking passa attraverso cinque fasi principali. I. Pianificazione. S'identifica che cosa mettere a confronto, con chi confron­ tarsi, quali fonti usare per il monitoraggio, quali dati e informazioni racco­ gliere, con quale sistema ecc. 2. Analisi. Si determina il gap e si progetta il futuro livello di prestazione. 3 · Integrazione. Si comunicano a tutti e si discutono i risultati del confronto; si stabiliscono gli obiettivi da raggiungere. 4· Azione. Si sviluppano e si valutano le azioni correttive. 5 . Maturità. Le nuove pratiche sono pienamente integrate nei processi; si sposta in avanti il livello del confronto. Possiamo considerare il benchmarking sia come un aspetto della cultura e delle pratiche di valutazione della qualità sia come una particolare forma di partnership. In ogni caso, esso risulta particolarmente utile alla creazione di un buon ambiente informativo per tutte le attività innovative. 5 ·5

Il lavoro per processi e per progetti

La gestione per processi è un elemento distintivo della qualità organizzativa. Comporta una lettura trasversale dei flussi organizzativi, basata sulla loro in­ terdipendenza, e un superamento dei tradizionali assetti di tipo settoriale/fun­ zionale, con l'obiettivo di migliorare la qualità delle prestazioni e dei risultati e di creare valore per il cliente (Sardelli, 2oo i , pp. I 7 I -88; Candiotto, 2 003 ; San toro, 2 004) . Secondo la norma U;\ll E;\l ISO 9ooo:2ooo, «un processo è un insieme di attività correlate o interagenti che trasformano elementi in entrata in elementi in uscita», dunque una sequenza di attività che riceve un input (materiali, istruzioni, informazioni) , lo trasforma mediante l'utilizzo di risorse e mezzi (ma nel rispetto di vincoli normativi e organizzativi) , lo consegna al cliente interno o finale sotto forma di prodotto/servizio e di risultati volontari o involontari. Il prodotto/servizio è l'obiettivo comune di tutte le attività che costituiscono il processo, perciò esso dev'essere costantemente misurato e va-

III

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

lutato sotto il profilo della qualità, dell'efficienza, dell'efficacia, della flessibili­ tà. Ora, l'attuazione di un processo organizzativo non coincide necessariamen­ te con l'attività di un solo settore (acquisti, oppure catalogazione, o reference ecc.) , ma può richiedere l'intervento di più unità funzionali. Occorre pertanto riuscire preliminarmente a identificare i processi, rappresentarne le intercon­ nessioni, scomporli in attività, pianificarne il funzionamento, intervenire sulle loro criticità per migliorarli gradualmente o radicalmente. In un manuale di applicazione della normativa ISO alle biblioteche si di­ spongono in sequenza (dall'alto verso il basso) i processi chiave di un servizio bibliotecario (riquadro 5. I ) . RIQUADRO 5 . I M appa dei processi bibliotecari Processi di realizzazione dei servizi di una biblioteca

Fasi principali

Definizione dei requisiti del servizio

Analisi delle richieste/esigenze dell'utente e della comunità in genere Valutazione dei requisiti di legge applicabi­ li. Recepimento dei riferimenti legislativi na­ zionali e/o regionali Definizione del Regolamento interno, di al­ tri documenti interni (carta dei servizi, gui­ da ai servizi ecc.) Definizione dei programmi e delle politiche di acquisizione, conservazione, accesso Pianificazione elementi in ingresso e in usci­ ta, riesame, verifica e validazione tenuta sot­ to controllo delle modifiche Acquisizione dei materiali documentari Acquisto di strumenti e attrezzature Acquisto di servizi bibliografici e bibliotecari Trattamento catalografico - descrizione - classificazione - soggettazione Trattamento fisico/gestionale - etichettatura - movimentazione - collocazione - conservazione ... Informazione/orientamento Consulenza/ reference Consultazione Lettura Prestito Altri servizi (convegni, mostre, prodotti e­ ditoriali)

Progettazione dei servizi (eventuale) Approwigionamento Trattamento

Erogazione/fruizione

Fonte: adattamento da Gruppo di lavoro " Linee guida" (2 002 , p. 1 9).

I I2

5 . LE CU LTURE E LE PRATICHE DELLA QL'ALITA Il'\ BIBLIOTECA

Il modello fa riferimento soprattutto a biblioteche tradizionali, tuttavia - se arricchito e adattato ai singoli contesti - esso può rappresentare un'utile guida gestionale. Per ciascun processo bisognerà individuare gli elementi in ingresso e quelli in uscita: Per esempio, nel processo di catalogazione [ ] gli elementi in ingresso sono: docu­ menti da catalogare e relativi dati per la loro descrizione; gli elementi in uscita sono gli stessi documenti con l'aggiunta degli elementi per la loro rintracciabilità e le relati­ ve descrizioni e indicizzazioni catalografiche (Gruppo di lavoro "Linee guida " , 2002 , p. r 8 ) . ...

Ciascun processo dovrà essere poi sottoposto a un'operazione d i scrupolosa mappatura: per ciascun'attività s'individueranno - come detto - le aree criti­ che su cui intervenire con azioni di miglioramento o riprogettazione. La gestione per processi pone rimedio ad alcuni dei limiti strutturali del­ l' organizzazione per settori funzionali: fa perno su competenze diffuse e non "verticali " ; riduce il tasso di formalismo burocratico; sostituisce la cultura del controllo con la cultura del risultato; favorisce flussi di comunicazione "oriz­ zontali ". Ne beneficiano grandemente gli obiettivi e le pratiche della qualità. Un altro eccellente veicolo della qualità in biblioteca è rappresentato dallo sviluppo di un'adeguata cultura di progetto e di un'assidua pratica di pro­ gettazione organizzativa e di servizio. Ideare e gestire al meglio progetti si­ gnifica affiancare al monitoraggio e al miglioramento dei processi correnti l'in­ troduzione di nuovi servizi, prodotti, modelli organizzativi: la nascita di una biblioteca, la creazione di un metaOPAC, la digitalizzazione di una parte delle raccolte, l'avvio di programmi di cooperazione ecc. I progetti si prestano so­ prattutto a favorire forme d'innovazione e cambiamento non progressive ma veloci, all'altezza delle accelerazioni che caratterizzano i grandi mutamenti tec­ nologici, sociali ed economici in atto. La gestione per progetti aggiunge però valore e qualità al funzionamento della biblioteca solo quando è forte la consapevolezza della sua peculiare na­ tura organizzativoigestionale. Possiamo definire un progetto come «uno sforzo originale e complesso, di durata temporanea, nel quale interagiscono idee, ri­ sorse, processi e soluzioni organizzative e gestionali. Un progetto è concepito, organizzato e coordinato al fine di realizzare, attraverso diverse fasi, uno spe­ cifico risultato, prodotto o servizio entro un termine stabilito e nel rispetto di vincoli di costo e standard della qualità» (Di Domenico, 2006, p. 34) . Sono caratteristiche non governabili attraverso le abituali procedure standardizzate e la tradizionale organizzazione del lavoro: è necessario integrare al meglio com­ petenze di diversa provenienza professionale e organizzativa, aggregare le ri­ sorse in modo originale e mirato, assegnare specifiche responsabilità, raggiun­ gere gli obiettivi senza "sforare" nei tempi o nella spesa, fronteggiare rischi di vario genere ecc. Si tratta, a tal fine, di impadronirsi di quell'insieme di meto1 13

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

TABELLA 5 . I

Organizzazione a matrice Settore

Processo Processo Progetto Progetto

I 2 I 2

I

Settore 2

x x x x

x x x

Settore 3

x x x

Settore 4

x x x

di, tecniche e soluzioni che va sotto il nome di project management (PM) . L'al­ leanza di biblioteconomia gestionale, PM e politiche della qualità ha già pro­ dotto ottimi risultati, soprattutto in area anglosassone. Nel nostro Paese non sono mancate occasioni formative e alcune applicazioni. Una più estesa e con­ vinta sperimentazione di questa metodologia potrà senz' altro assicurare ai pro­ getti bibliotecari un'efficacia strategica e una qualità di risultato ancora mag­ giori. Innestare il lavoro per processi e per progetti in una biblioteca organizzata per settori funzionali può tuttavia determinare scompensi e conflitti di vario genere. È opportuno, contestualmente, predisporre dispositivi di contenimen­ to di questi rischi. Il modello detto "a matrice" riesce, per esempio, a far egregiamente coesistere funzionamento ordinario e innovazione di processo e di progetto. La matrice è una griglia in cui i processi e i progetti, che tendono a svi­ lupparsi orizzontalmente, incrociano i settori funzionali, che tendono invece a organizzarsi in modo verticale (cfr. TAB. 5 . r ) . L'organizzazione a matrice prevede che siano assegnate responsabilità rela­ tive ai processi (un process owner per ogni processo) e ai progetti innovativi (un project manager per ogni progetto) accanto a quelle settoriali. 5· 6

La comunicazione

La comunicazione è indispensabile alla qualità organizzativa e alla qualità di servizio: se risulta efficace, non mancano i presupposti per i miglioramenti qualitativi, diversamente la qualità non "passa" . Essa è dunque premessa e veicolo della qualità stessa. Il rispetto di alcuni principi fondamentali costitui­ sce la solida base sulla quale una biblioteca orientata alla qualità può costruire le sue strategie di comunicazione (Di Domenico, Roseo, 1 998; Amietta, 2oo r ; Foglieni, 2002 ; Filippi, 2005 ) : a ) Comunicare è mettere i n comune. S i tratta di condividere (all'interno della struttura, con gli utenti e con tutti i soggetti interessati alla sua vita e al suo funzionamento) alcuni valori essenziali: l'identità e la cultura della biblioteca, la sua missione, i suoi sforzi per il miglioramento dei servizi. Si tratta, paralle1 14

5 . LE CU LTURE E LE PRATICHE DELLA QL'ALITA Il'\ BIBLIOTECA

lamente, di coinvolgere gli interlocutori nella formazione dei processi decisio­ nali e nella definizione degli obiettivi di servizio. b) Occorre creare il "giusto" clima organizzativo e di servizio. La buona co­ municazione è un obiettivo che riguarda tutti gli operatori della biblioteca: non comunicano solo i responsabili, né solo il personale di contatto. c) La comunicazione efficace non è mai unidirezionale, ma a due vie: è basa­ ta soprattutto sull'ascolto di bisogni, aspettative, richieste, suggerimenti, re­ clami. d) Comunicare non significa soltanto trasferire informazioni. Queste ultime devono essere chiare, costanti, tempestive, ma spesso sono gli aspetti metaco­ municativi (relazionali, comportamentali, affettivi) quelli che determinano la qualità della comunicazione. Ciò vale sia per la comunicazione interpersonale sia per la comunicazione organizzativa. Negli scambi di reference, per esem­ pio, e negli altri servizi personalizzati emergono, accanto a processi cognitivi, altre componenti umane (fiducia, stima, gratitudine) di grande portata comu­ nicativa e percettiva. La biblioteca in quanto organizzazione comunica poi in modo esplicito e consapevole (messaggi, avvisi, guide ecc.), ma anche implici­ tamente e involontariamente, producendo effetti comunicativi attraverso evi­ denze fisiche e comportamentali (spazi, arredi, ambiente Web, comportamenti del personale ecc. ) . La divaricazione di comunicazione esplicita e comunica­ zione implicita impatta negativamente sulla percezione della qualità. e) lnterlocutori nella comunicazione della biblioteca sono il pubblico esterno (gli utenti reali e potenziali) , il pubblico interno (il personale) e tutti gli altri soggetti interni/esterni in qualche modo interessati alla vita e al funzionamen­ to della biblioteca stessa (gli stakeholders: ente di appartenenza, altri finanzia­ tori, biblioteche partner, fornitori ecc.) . Tutti gli interlocutori devono potersi trovare nella condizione di riconoscersi nella biblioteca, partecipare alle sue attività, condividerne le scelte e i cambiamenti, far agire la propria idea di qualità. /J La comunicazione, intesa come messa in comune di valori, informazioni e conoscenza genera apprendimento individuale e organizzativo, con enormi ri­ cadute sulle applicazioni della qualità. g) Per comunicare efficacemente è necessario integrare diversi canali e moda­ lità di relazione. In particolare, il Weh offre alle biblioteche straordinarie pos­ sibilità di contatto e di comunicazione a basso costo con i propri stakeholders reali e potenziali, indipendentemente dalla distanza. È necessario, tuttavia, co­ niugare al meglio, in assoluta trasparenza e nel rispetto degli utenti, elementi di servizio ed elementi di comunicazione. Il Web bibliotecario non deve pro­ porsi come "vetrina" , ma come strumento interattivo di impiego e di assisten­ za nell'uso della biblioteca; dev'essere a sua volta centrato sull'utente e sulla ricerca della qualità. I suoi contenuti (di accesso alle risorse, di informazione e orientamento, promozionali, di confronto ecc.) devono risultare utili, interes­ santi, coerenti con il mezzo (grazie alla reale presenza di servizi a distanza: OPAC "arricchito " , virtual reference desk, accesso a periodici elettronici e ad

1 15

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

altre risorse digitali, prenotazioni online, reference digitale ecc . ) . Sotto il profi­ lo comunicativo, la progettazione Web della biblioteca dev'essere guidata da criteri di trasparenza, accessibilità, condivisione, partecipazione attiva degli utenti, coerenza dei registri usati. La comunicazione è funzionale alla qualità della biblioteca se diventa per un verso stile coerente di servizio e per un altro parte costitutiva e non "ag­ giuntiva" del suo agire organizzativo. Ciò comporta la capacità di governare veri e propri cicli gestionali, articolati in fasi: definizione degli obiettivi, ge­ stione della spesa, analisi di contesto, scelta degli strumenti e dei canali, realiz­ zazione di flussi comunicativi mirati, verifica dei risultati, ridefinizione degli obiettivi ecc. 5·7

La carta dei servizi

La carta dei servizi è uno degli obiettivi - e insieme uno degli strumenti orga­ nizzativi - attorno a cui la biblioteca può annodare i diversi fili delle sue poli­ tiche della qualità e della comunicazione. Possiamo definirla come «lo stru­ mento fondamentale [ . . . ] che regola i rapporti fra Servizio e utenti, stabilendo una sorta di patto, in cui il Servizio dichiara le prestazioni che s'impegna ad assicurare, il loro livello di qualità e le modalità della loro fruizione, nonché le forme di controllo messe a disposizione degli utenti» (AIB, 2oooa, p. 1 2 ) . Mediante l'adozione di una carta dei servizi molte biblioteche (anche con­ sorzi, sistemi territoriali o di ateneo) hanno potuto superare i vecchi assetti regolamentari, incoraggiare la partecipazione degli utenti, trasferire nella quo­ tidianità il rispetto degli standard qualitativi. La carta è uno strumento davve­ ro efficace di cambiamento organizzativo orientato alla qualità, perché: si basa su solidi principi democratici: eguaglianza, accessibilità, imparziali­ tà, partecipazione, trasparenza, diritto di scelta; assume la continuità del servizio come un obiettivo di primaria importanza; - contribuisce a creare uno stile e un ambiente di comunicazione e informa­ zione vantaggiosi per gli utenti; - costringe la biblioteca a interrogarsi complessivamente sulle proprie finalità e sul proprio posizionamento, sulle modalità di organizzazione ed erogazione dei servizi, sugli obiettivi che intende raggiungere; - consente di allineare la scelta degli standard della qualità alle esigenze dei propri utenti; - obbliga alla semplificazione delle procedure di accesso ai servizi; - presuppone un sistema trasparente di controllo e valutazione costanti del proprio operato; - prevede strumenti di tutela degli utenti e procedure per i reclami e i rim­ borsi. Il "segreto" per arrivare all'applicazione di una buona carta dei servizi I I6

5 . LE CU LTURE E LE PRATICHE DELLA QL'ALITA Il'\ BIBLIOTECA

(snella, realistica, condivisa) sta da un lato nella realizzazione di un progetto ben articolato in fasi e oculatamente gestito, dall'altro in una paziente negozia­ zione dei contenuti, che sin dall'inizio coinvolga in varie forme gli stakeholders esterni, interni e istituzionali della biblioteca: al centro del confronto avremo sicuramente i valori, le strategie, gli obiettivi della qualità. La carta deve essere tuttavia facilmente aggiornabile, pronta ad accogliere innovazioni, ampliamen­ ti, miglioramenti nei servizi: il limite maggiore di molte esperienze, non solo nel settore delle biblioteche, è nella mancata riprogettazione della carta a di­ stanza di due/tre anni dalla sua introduzione, il che determina un ripiegamen­ to burocratico e il progressivo venir meno della sua utilità 3 • 5· 8

Gli strumenti della qualità

Per praticare in modo sistematico la qualità all'interno di un'organizzazione, ci si serve di un apparato metodologico e tecnico/strumentale ampiamente de­ scritto in letteratura (per esempio, Sardelli, 2oo r , pp. r o r -47). Qui ci limitia­ mo a segnalare molto succintamente gli strumenti fondamentali. La metodologia più diffusa è il cosiddetto "ciclo POCA" , noto anche come "ciclo di Deming" . Il POCA (Plan-Do-Check-Act) si applica a singoli processi o alla rete dei processi nel suo complesso. Grazie ad esso, si possono concettua­ lizzare e disporre in sequenza le diverse fasi di gestione del miglioramento continuativo: pianificazione (individuazione degli obiettivi e analisi dei problemi); - attuazione dei processi sotto forma di test; misurazione e valutazione dei processi testati in rapporto agli obiettivi in­ dividuati; - attuazione di interventi migliorativi (standardizzazione delle soluzioni posi­ tive) o, in caso di persistenza dei problemi, attivazione di un nuovo ciclo POCA. La logica sequenziale del POCA contribuisce a rendere efficaci le attività di problem solving della qualità. Il problem solving è, a sua volta, una metodolo­ gia usata per analizzare in tutti i suoi aspetti un problema (individuazione, definizione, cause) , mettere a punto un'ipotesi di soluzione, attuare la soluzio­ ne studiata, verificarne e validarne l'efficacia.

3· Alcuni esempi di carte d ei servizi nel settore delle bibliotech e si trovano ai seguenti indi­ rizzi : Biblioteca del Comune di Formigine, < h ttp: //www .comune. formigine.mo. it!biblioteca/ carta_servizi . h tm > ; Biblioteca del Consiglio regionale della Liguria, < h ttp: //www .regione. liguria. it/consh 6_biblio/bibliooJ .p df > ; Biblioteca di ateneo dell 'Università di Milano Bicocca, < h ttp: //www. biblio.unimib . it/ > ; Biblioteca nazionale centrale di Firenze, < h ttp://www . bncf. firenze.sbn. it/informazioniltestildefinitiva. pdf > .

I I7

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

I teorici del TQM hanno poi individuato sette strumenti statistici, che pos­ sono supportare l'uso del POCA nel problem solving: il foglio di raccolta dati, l'istogramma, il diagramma causa-effetto, il diagramma di Pareto, l'analisi per stratificazione, l'analisi di correlazione, la carta di controllo (Galgano, 2004 ) : - In un foglio d i raccolta dati s i riportano i dati riguardanti u n processo, un'attività, un servizio, le difettosità di un'attrezzatura ecc. I dati raccolti ven­ gono poi classificati (per frequenze, errori ecc.), al fine di verificare la rispon­ denza della situazione rilevata agli obiettivi prefissati. - L'istogramma è una raffigurazione a colonne verticali di una distribuzione di variabili. Contribuisce a identificare le cause dei problemi che si presentano in un processo. - Il diagramma causa-effetto è una rappresentazione grafica "a lisca di pe­ sce" dei rapporti esistenti fra più voci o fattori. Riscontrato un effetto, il dia­ gramma contribuisce a identificarne le cause. - Il diagramma di Pareto è un istogramma ordinato per frequenza di accadi­ mento, che mostra i risultati generati da ciascuna causa identificata. Evidenzia le priorità da rispettare negli interventi migliorativi. - L'analisi per stratificazione è una procedura che prevede la suddivisione/ aggregazione dei dati per categorie omogenee. Permette di inquadrare un pro­ blema o un fenomeno in maniera più analitica. - L'analisi di correlazione è una procedura che permette di cogliere i legami esistenti tra due variabili (per esempio, un rapporto di causa-effetto). - La carta di controllo rappresenta graficamente i cambiamenti subiti nel tempo da un determinato processo o fenomeno (la sua variabilità) . Ancor prima di utilizzare la metodologia POCA, è indispensabile, tuttavia, attraversare almeno tre fasi preliminari di analisi, da dedicare rispettivamente ai fattori di macroscenario, alle caratteristiche e ai bisogni della comunità ser­ vita, ai punti di forza e di debolezza organizzativi della biblioteca. I fattori di macroscenario si possono, per esempio, indagare mediante l'uso del metodo TEMPLES (Tecnologia, Economia, Mercati, Politiche, Legge, Etica, Società) . Con TEMPLES si creano liste di temi e domande da esaminare area per area (Matthews, 2005 , pp. 69-70; Di Domenico, 2006, pp. 1 5 -20) . La comunità servita si può esaminare con il modello CARI ( Community Analysis Research Institute) , opportunamente adattato ai diversi contesti e tipologie bibliotecarie. Per le biblioteche pubbliche, il modello CARI presen ­ ta una griglia analitica basata su quattro voci: dati demografici, forme aggre­ gative, strutture economiche e servizi culturali, stili di vita (Galluzzi, 2oo r a) . A una prima disamina della situazione organizzativa della biblioteca si presta, infine, l'analisi swoT (Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats) , una tecnica di raccolta delle informazioni, che evidenzia i punti di forza e di debo­ lezza interni a un'organizzazione o a un progetto, nonché le opportunità e i rischi provenienti dall'ambiente esterno. II8

5 . LE CULTURE E LE PRATICHE DELLA QL'ALITÀ IN BIBLIOTECA

5·9

La qualità standardizzata

Il pacchetto di norme ISO 9000, approvato dal Comitato europeo di normazio­ ne ( CEr\' ) e recepito dall'Ente italiano di unificazione ( UNI ) , prende il nome UNI EN ISO 9000. Con il programma Visi o n 2ooo si è giunti all'approvazione di tre norme tecniche che, in luogo di circa una ventina di norme precedenti, costituiscono da sole il quadro di riferimento della qualità secondo ISO: Ur\'I E� Iso 9ooo:2ooo (Sistemi di gestione per la qualità. Fondamenti e ter­

minologia); Ur\'I EN ISO 9oo r :2ooo (Sistemi di gestione per la qualità. Requisiti) ; Ur\'I E� ISO 9004:2ooo (Sistemi di gestione per la qualità. Linee guida per il

miglioramento delle prestazioni) . UNI Er\' ISO 9ooo:2ooo descrive i principi generali della qualità e ne puntua­ lizza il lessico. UNI E� ISO 9oo r :2ooo segnala i requisiti minimi necessari all'attivazione e all'aggiornamento di un sistema di gestione per la qualità 4 . UNI Er\' ISO 9004:2ooo si propone come una vera e propria guida per la messa a punto, l'attuazione e il miglioramento continuativo di un sistema di gestione per la qualità ed è valida per qualsiasi tipo di organizzazione che vo­ glia conseguire risultati di eccellenza. La norma UNI EN ISO 9oor :2ooo forma una "coppia coerente" con la nor­ ma Ur\'I EN ISO 9004:2ooo. Volutamente simili nella strutturazione, le due nor­ me si differenziano sotto il profilo dell'utilizzo: la prima può essere impiegata all'interno dell'organizzazione e nei rapporti contrattuali e di certificazione; la seconda va oltre i requisiti fissati dall'altra e fornisce una più ampia illustrazio­ ne degli obiettivi di sistema e delle possibili soluzioni per il miglioramento delle prestazioni organizzative. UNI EN ISO 9004:2ooo non è finalizzata alle esi­ genze contrattuali e di certificazione. Nella nuova definizione della qualità («la qualità è la capacità di un insie­ me di caratteristiche inerenti ad un prodotto, sistema o processo di ottempe-

4· Nel 2002 è stato pubblicato un manuale per l 'applicazione d ella norma nelle bibliotech e (G ruppo di lavoro " Linee guid a " , 2002 ) . Il volumetto contiene un complesso di chiare e sem­ plici note d 'ambito e di indirizzo , ch e r ispettano per intero struttura e contenuti della norma, illustrandola punto per punto con il corredo di una buona ( anch e se talvolta un po ' convenzio­ nal e ) esemplificazione d ei processi e delle attività ch e si svolgono, di regola, in tutte le bibliote­ ch e e nei servizi documentari . Nei limiti infine d el lecito e del possibile, il manuale interpreta in modo estensivo e aperto la norma, così da prefigurare e suggerire u lteriori sviluppi e applicazioni della qualità ( quelli previsti da UNI EN ISO 9004:2ooo, ma non sol o ) , specie nei contesti bibliote­ cari avanzati .

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

rare a requisiti di clienti e di altre parti interessate») troviamo modifiche so­ stanziali rispetto a quella offerta da ISO 8402 : - l'introduzione della qualità organizzativa (di sistema o processo) accanto alla qualità di prodotto; - la scomparsa del termine "servizio" ; - la sostituzione del concetto di bisogno con il concetto di requisito; - l'esplicito riferimento ai clienti e agli altri stakeholders. La prima modifica è fondamentale: sintetizza il passaggio a una visione della qualità più ampia, globale, sistemica. La seconda lascia perplessi: il con­ cetto di servizio viene assorbito dal concetto di prodotto; infatti, il servizio è, per la norma, un prodotto intangibile, «risultato di almeno una attività ne­ cessariamente effettuata all'interfaccia tra il fornitore e il cliente». La terza modifica introduce il nuovo concetto di " requisito" ( "esigenza o aspettativa che può essere espressa o usualmente implicita o obbligatoria" ) . Attorno ai requisiti (in altre parole alla capacità di un'organizzazione d'incorporare le aspettative dei clienti e di trasformarle in specifiche di prodotto/servizio) gira l'intero sistema di gestione per la qualità. La quarta modifica ha infine un for­ te valore simbolico: in particolare, il cliente (che in sintonia con il TQM può essere interno o esterno) diventa elemento trainante della qualità: UNI EN ISO 9ooo:2ooo individua otto principi gestionali ai quali ispirarsi per il raggiungimento di obiettivi per la qualità: r. Organizzazione orientata al cliente. Le organizzazioni devono analizzare le esigenze dei clienti, rispettarne i requisiti ed essere capaci di superare le loro stesse aspettative. 2 . Leadership. La leadership deve fissare indirizzi e obiettivi, favorire una vi­ sion condivisa, creare un clima collaborativo. 3 · Coinvolgimento del personale. Il personale deve essere sensibilizzato e im­ pegnato nell'attuazione del sistema di gestione per la qualità. 4· Approccio basato sui processi. Per raggiungere obiettivi di efficienza, le atti­ vità e le risorse devono essere gestite sotto forma di processi. 5. Approccio sistemico alla gestione. La gestione dei processi deve assumere ca­ rattere sistemico: occorre identificare e gestire sistemi di processi interconnessi. 6. Miglioramento continuativo. L'obiettivo di migliorarsi deve essere mante­ nuto nel tempo. 7. Decisioni basate su dati di fatto. Le decisioni, perché siano efficaci, devono basarsi sull'analisi di dati e informazioni reali. 8. Rapporti di mutuo beneficio con i fornitori. I rapporti con i fornitori devo­ no produrre valore aggiunto per tutti i partner. ISO 9000 deriva quasi tutti i propri principi dal Total Quality Manage­ ment. Altri suoi elementi rimandano ad acquisizioni note del marketing e de­ gli studi sulla customer satisfaction. La sua importanza non risiede tanto nella novità dei contenuti, quanto nella scelta di formalizzarli in un'ottica di stan­ dardizzazione della qualità. !20

5 . LE CU LTURE E LE PRATICHE DELLA QL'ALITA Il'\ BIBLIOTECA

UNI EN ISO 9oo r :2ooo illustra i requisiti minimi di un sistema di gestione per la qualità in otto capitoli.

Scopo e campo d'applicazione. I requisiti specificati dalla norma sono applicabi­ li a qualsiasi organizzazione, indipendentemente dal tipo, dalle sue dimensioni e dalla tipologia dei suoi prodotti. Dunque, le biblioteche che si pongono l'o­ biettivo della certificazione di qualità trovano in UNI E!'\ ISO 9oo r :2ooo la nor­ ma fondamentale di riferimento.

Rz/erimenti normativi. Gli elementi richiamati nella norma, in particolare da UNI EN ISO 9ooo:2ooo, sono parte integrante della norma stessa.

Termini e definizioni. UNI EN ISO 9oo r :2ooo utilizza la terminologia e le defini­ zioni di U!'\I EN ISO 9000:2000. Sistema di gestione per la qualità. li quarto capitolo espone le linee generali di ciò che deve fare un'organizzazione per attivare un sistema di gestione per la qualità e tenerlo aggiornato, in termini di identificazione, sequenza e interazioni dei pro­ cessi; di definizione della metodologia operativa e di controllo; di creazione di un ambiente informativo di supporto; di misurazione dei processi e di attuazione dei miglioramenti. Nel quarto capitolo si stabiliscono anche i requisiti generali della documentazione del sistema, che prevede molteplici registrazioni, tra le quali un manuale della qualità e le procedure documentate previste dalla norma. Secondo le linee guida già citate (Gruppo di lavoro "Linee guida", 2 002 , p. 24), il manuale della qualità dovrebbe, tra l'altro, indicare: - la politica per la qualità; - l'organigramma della biblioteca; - i riferimenti delle procedure documentate (per esempio, "procedure per il prestito" ) ; - l'illustrazione delle interazioni fra i processi (per esempio, fra i processi di acquisizione e i processi di trattamento delle informazioni e/o dei docu­ menti) . Il manuale della qualità è uno strumento di comunicazione interna ed esterna: In pratica il manuale della qualità dovrebbe essere uno strumento attraverso cui la bi­ blioteca dichiara "cosa" fa per assicurare la soddisfazione dei clienti, e in cui si rimanda alle procedure e alle istruzioni operative interne per la descrizione del "come" (ibid. ) . V a detto che una certa sovrabbondanza d i documentazione è d a più parti evi­ denziata come uno dei limiti della normativa ISO.

Responsabilità della direzione. I vertici organizzativi si prodigano perché tutta l'organizzazione sia orientata al cliente; determinano la politica e gli obiettivi della qualità, avendo cura che essi siano conformi agli scopi organizzativi e al I2I

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

rispetto dei requisiti e della prospettiva del miglioramento continuativo; sotto­ pongono il sistema a procedure continue di verifica e riesame; garantiscono la disponibilità delle risorse; si assicurano che siano attivati adeguati processi di comunicazione interna. La qualità deve essere pianificata e controllata; la pia­ nificazione deve includere le risorse necessarie. Le funzioni gestionali devono essere definite ed esplicite: in particolare, la direzione deve designare un pro­ prio rappresentante, il quale seguirà i processi, riferirà in merito al vertice e diffonderà la conoscenza dei requisiti del cliente in seno all'organizzazione. Relativamente alla politica per la qualità, le linee guida (ivi, p. 30) richia­ mano giustamente la necessità di ispirarsi ai principi e ai contenuti di docu­ menti attuativi dello Stato, degli Enti locali, delle università, nonché alle rac­ comandazioni e agli standard delle organizzazioni internazionali e nazionali di riferimento per le biblioteche (rFLA, UNESCO, AIB ecc . ) . Le linee guida elencano (ivi, pp. 3 I -2 ) utilmente anche alcuni possibili obiettivi per la qualità: riduzione del numero dei reclami; miglioramento del livello di soddisfazione del cliente (interno ed esterno) ; riduzione degli sprechi di tempo e di materiali; miglioramento del rapporto costi/benefici; - accesso e disponibilità di risorse elettroniche; riduzione del costo della catalogazione bibliografica; riduzione dei tempi di produzione dei prodotti editoriali; aumento del numero dei clienti che utilizzano il servizio via Internet; miglioramento del rapporto opere depositate e acquisite/opere disponibili; riduzione dei tempi di risposta (ad esempio: risposta sulla disponibilità) ; aumento delle voci presenti nei cataloghi automatizzati; riduzione dei tempi intercorrenti fra l'acquisizione del documento e la sua messa a disposizione per il pubblico; miglioramento dell'informazione al cliente. A commento del quinto capitolo osserviamo che la norma tradisce un cer­ to limite formalista e dirigista. Inoltre, si prevedono modalità decisamente for­ malizzate e gerarchizzate di comunicazione interna. I temi e i contenuti ge­ stionali prevalgono sugli aspetti valoriali, di clima e di attivazione creativa de­ gli ambienti della qualità.

Gestione delle risorse. Il sesto capitolo mette a fuoco le risorse indispensabili alla gestione dei processi e al perseguimento della soddisfazione dei clienti: risorse umane, infrastrutture, ambiente di lavoro. In particolare, gli incarichi di responsabilità riguardanti il sistema di gestione per la qualità dovranno es­ sere affidati a personale competente, cioè istruito, addestrato, abile ed esperto; l'addestramento mirerà a far crescere nel personale la consapevolezza di quan­ to sia importante il contributo di ciascuno per centrare obiettivi di qualità. L'insistenza sul semplice addestramento e sui soli contenuti tecnico-pratici delle competenze organizzative, appena corretta dal richiamo abbastanza vago alla consapevolezza della qualità, rivela tuttavia un'inadeguata propensione 122

5 . LE CU LTURE E LE PRATICHE DELLA QL'ALITA Il'\ BIBLIOTECA

della norma alla valorizzazione del fattore umano: temi decisivi come l' empo­ werment, l'apprendimento organizzativo, l'organizzazione a rete, lo sviluppo delle competenze relazionali, il team management, peraltro largamente acquisi­ ti in letteratura e in molte esperienze organizzative, sono ignorati o appena adombrati. La formazione (e l'autoformazione) come leva strategica della qua­ lità è poi la grande assente di U:-.JI El'\ ISO 9oor :2ooo.

Realizzazione del prodotto. Con il settimo capitolo si formalizzano i principali processi di realizzazione dei prodotti: la loro pianificazione, i processi riguar­ danti il cliente, la progettazione e/o lo sviluppo del prodotto, la gestione del­ l' approvvigionamento, le attività di produzione e di erogazione dei servizi, la gestione dei dispositivi di misurazione e di monitoraggio. I processi relativi al cliente costituiscono uno dei punti chiave della norma. L'organizzazione dovrà innanzitutto individuare per i propri prodotti: a) i requisiti stabiliti dal cliente; b) i requisiti addizionali, vale a dire quelli non precisati dal cliente, ma da ritenere comunque necessari; c) i requisiti cogenti relativi ai prodotti; d) altri requisiti aggiuntivi stabiliti dall'organizzazione stessa. I requisiti saran­ no in ogni caso riesaminati prima che i prodotti vengano forniti. Le linee guida elencano (ivi, p. 44) le fonti cui fare riferimento per definire i requisiti concernenti i servizi bibliotecari: norme istitutive delle amministrazioni di riferimento; - documenti che stabiliscono impegni e orientamenti relativi alla fornitura di prodotti o servizi provenienti da organismi nazionali, quali ministeri, e inter­ nazionali, quali IFLA e UNESCO, o da associazioni professionali; - documenti di programmazione annuale e pluriennale della biblioteca o dell'ente di appartenenza; regolamento interno della biblioteca; - carta dei servizi, ove predisposta; - esigenze o aspettative dei clienti, raccolte attraverso indagini, focus groups, interviste dirette ecc.; altre leggi o regolamenti, per esempio normativa sulla sicurezza. Dovrà essere curata la comunicazione con il cliente, con riguardo ai pro­ dotti, alla gestione delle transazioni e infine all'acquisizione delle informazioni di ritorno, reclami compresi. Le modalità di comunicazione appaiono, per la verità, poco sviluppate e come bloccate sulla sola informazione di prodotto.

Misurazionz� analisi e miglioramento. L'ottavo e ultimo capitolo tocca i diversi aspetti e ambiti dell'attività di misurazione: la pianificazione, la soddisfazione del cliente, le ispezioni interne, le misurazioni e i monitoraggi di processi e prodotti, la gestione della non conformità dei prodotti ai requisiti, l'analisi dei dati, la gestione dei processi di miglioramento. Le azioni - correttive e pre!23

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

ventive - per il miglioramento continuativo sono individuate in modo analitico e riflettono soprattutto la problematica della non conformità. Le linee guida si rifanno ai principali strumenti di valutazione delle biblioteche (linee guida IFLA, AIB ecc.) , allegando anche in Appendice tre set specifici di indicatori. Per valutare la soddisfazione del cliente, le linee guida rimandano invece alla me­ todologia SERVQUAL (ivi, p. 70) , che mette a confronto aspettative e percezione della qualità. Nelle biblioteche italiane la normativa ISO 9000 ha suscitato un certo inte­ resse per problematiche quali la standardizzazione, l'implementazione di siste­ mi gestionali per la qualità, la certificazione. Meritano di essere ricordati qui i risultati della Biblioteca nazionale centrale di Firenze e della Berio di Genova, che hanno ottenuto la certificazione ISO 9oo r , rispettivamente nel 2oo r e nel 2004. Indubbiamente, l'applicazione dello standard UNI Ef'.: ISO 90or :2ooo e l'e­ ventuale impegno nel percorso di certificazione (la quale assicura comunque una certa visibilità) possono fornire un solido appiglio alle biblioteche deside­ rose di dare avvio, oppure continuità e concretezza, ai propri sistemi di ge­ stione per la qualità. In più, le biblioteche potranno integrare al meglio la me­ todologia ISO sia con valori, strategie e acquisizioni tecniche squisitamente di settore sia con altri approcci conosciuti alla qualità e all'eccellenza, come EFQM. j . IO

La misurazione e la valutazione della qualità: il modello EFQM

La valutazione è indispensabile alla qualità, perché obbliga a interrogarsi sulla direzione di marcia della biblioteca, sul cammino già fatto, sulla strada ancora da percorrere; crea un linguaggio comune, una propensione alla diagnosi orga­ nizzativa e un solido terreno di scambio delle conoscenze; responsabilizza le persone e le fa crescere professionalmente; si nutre di discussione, consenso, buona comunicazione; stimola il confronto con le altre organizzazioni e strut­ ture; aiuta a individuare priorità, a prendere decisioni, a orientare gli inve­ stimenti organizzativi e di servizio verso il cambiamento e il miglioramento. Tutte buone ragioni (ma se ne potrebbero aggiungere molte altre) per acqui­ sirla stabilmente nel ciclo gestionale di ogni biblioteca. Il modello di valutazione EFQM presenta caratteristiche che ben si coniuga­ no con la ricerca del cambiamento e del miglioramento delle biblioteche. Esso segnala otto concetti fondamentali, a rispettare i quali è tenuta ogni organizza­ zione che voglia darsi obiettivi di eccellenza ( EFQM, 1 999, p. 7 ) : r . orientamento ai risultati: i risultati s i ottengono grazie alla capacità di tene­ re in equilibrio e soddisfare i bisogni dei diversi stakeholders; 2 . focus sul cliente: occorre focalizzare l'attenzione sui bisogni dei clienti at­ tuali e di quelli potenziali; 3· leadership e coerenza negli obiettivi: la leadership deve esprimere compor124

5 . LE CU LTURE E LE PRATICHE DELLA QL'ALITA Il'\ BIBLIOTECA

tamenti chiari e dettati da unità di propositi; il leader deve creare un ambiente organizzativo favorevole all'eccellenza; 4· gestione per processi e /atti: l'organizzazione opera efficacemente quando si analizzano e si gestiscono in modo sistematico tutte le attività interrelate; deci­ sioni e miglioramenti devono fondarsi su informazioni fattuali che riflettano anche le percezioni degli stakeholders; 5 · coinvolgimento e sviluppo delle persone: l'eccellenza è legata al pieno coin­ volgimento, alla valorizzazione e alla crescita degli individui; 6. apprendimento) innovazione e miglioramento continui: il miglioramento continuo si ottiene in un contesto nel quale ci si preoccupi di gestire e condi­ videre la conoscenza e di sostenere processi diffusi di apprendimento; 7. sviluppo della partnership: cooperare significa soprattutto condividere co­ noscenza e ottenere reciproci benefici dall'integrazione dei processi; 8. responsabilità pubblica: l'eccellenza non può prescindere da un approccio anche etico alla definizione delle finalità organizzative e dalla ricerca della le­ gittimazione sociale. Gli otto concetti rappresentano forse la sintesi più fedele e completa di quanto di meglio la cultura della qualità ha sin qui espresso, superando anche alcuni degli impacci e delle rigidità tradizionali del TQM (una qualche autore­ ferenzialità, soprattutto) . Il modello EFQM poggia sulla logica RADAR (EFQM, 1999, pp. ro- r ) : - Results (risultati} ; - Approach (approccio) ; - Deployment (diffusione) ; - Assessment (valutazione) ; - Review (riesame) . La logica RADAR è una metodologia di valutazione. Serve a: - definire i risultati che l'organizzazione intende raggiungere; - pianificare un insieme integrato di approcci (ciò che s'intende fare) , coerenti con i propri obiettivi; - diffondere sistematicamente gli approcci in tutta l'organizzazione; - valutare gli approcci attraverso l'analisi dei risultati; - riesaminare approcci, risultati e apprendimento in atto, mediante misurazioni regolari e valutazioni affidate a un ricco set di tecniche. Sulla scorta dei riscontri RADAR si identifica ciò che si deve migliorare, secon­ do una scala di priorità, e si pianificano le azioni di miglioramento. La valutazione EFQM segue nove criteri (cfr. TAB. 5 . 2 ) : cinque sono classifi­ cati come fattori (ciò che si fa) e quattro come risultati (ciò che si ottiene) . Un'apposita nota esplicativa accompagna ciascun criterio e ne definisce i contenuti. In sintesi: - per la leadership: in che modo i leader definiscono e promuovono missione 125

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

TABELLA 5 . 2

Fattori e risultati EFQM

Fattori

Risultati, relativi a

Leadership Politiche e strategie Gestione del personale Partnership e risorse Processi

Clienti Personale Società Performance

Fonte:

EFQM ( 1 999, pp. 1 2 - 2 9).

e visione organizzative, elaborano e attuano i valori di riferimento, s'impegna­ no personalmente nella realizzazione del sistema gestionale; - per le politiche e le strategie: in che modo si realizzano missione e visione organizzative, centrandole strategicamente sulle esigenze degli stakeholders e sostenendole adeguatamente, attraverso politiche, piani, obiettivi e processi mirati; - per la gestione del personale: in che modo si gestiscono, si sviluppano e si valorizzano le competenze del personale (individuali, di gruppo e organizzati­ ve) ; in che modo si collegano tali attività con le politiche e le strategie orga­ nizzative; in che modo le stesse attività sostengono l'efficacia e l' operatività dei processi; - per la partnership e le risorse: in che modo si pianificano e si gestiscono le attività di cooperazione e le risorse interne, finalizzandole alle proprie politi­ che, strategie e operatività dei processi; - per i processi: in che modo si progettano, si gestiscono e si migliorano i processi organizzativi, al fine di sostenere le proprie politiche e strategie, sod­ disfare clienti e stakehoders, creare valore; - per i risultati relativi ai clienti: ciò che si consegue in relazione ai clienti esterni; - per i risultati relativi al personale: ciò che si consegue in relazione al per­ sonale; - per i risultati relativi alla società: ciò che si consegue in relazione alla co­ munità di riferimento (locale, nazionale e/o internazionale) ; - per i risultati chiave di performance: ciò che si consegue in relazione agli obiettivi di performance. Il modello ha natura dinamica: - con l'innovazione e l'apprendimento si rafforzano i fattori; - i fattori portano a un miglioramento dei risultati; - la misurazione dei risultati suggerisce soluzioni che incidono positivamente sui fattori. Ciascun criterio è suddiviso in sottocriteri (per un totale di trentadue) ; eia126

5 . LE CULTURE E LE PRATICHE DELLA QL'ALITÀ IN BIBLIOTECA TABELLA 5 · 3

Scala dei punteggi EFQM

Leadership Politiche e strategie Gestione del personale Partnership e risorse Processi Risultati relativi ai clienti Risultati relativi al personale Risultati relativi alla società Risultati chiave di performance Fonte:

EFQM ( 1 999, p.

1 00 8o 90 90 140 200 90 6o 150

10% 8% 9% 9% 14% 20% 9% 6% 15%

J 4).

scun sottocriterio propone, a titolo esemplificativo, diverse aree da conside­ rare. Il protocollo valutativo (matrice RADAR dei punteggi) si serve di una scala che va da zero a r . ooo punti e che attribuisce pari peso (500 punti) a fattori e risultati, con l'individuazione di un massimo per ciascuno dei nove criteri (cfr. TAB. 5 . 3 ) . Come si vede, l'enfasi cade sulla misurazione dell'efficacia e della customer satisfaction, sul raggiungimento degli obiettivi di performance e sulla gestione dei processi. EFQM permette di allargare il quadro concettuale della valutazione, apren­ dola all'analisi degli aspetti più strettamente organizzativi (e soprattutto a una visione d'insieme) - fattori e risultati - del funzionamento delle biblioteche. Queste ultime sono alle prese con scenari ambientali inediti, con la competi­ zione globale, con le problematiche del digitale e sono investite, almeno nelle realtà medie e grandi, da una significativa crescita della complessità interna: c'è bisogno di adeguare le pratiche di valutazione a queste forme, molto estese e diversificate, del cambiamento. Necessariamente adattato al nostro contesto, il modello EFQM si presterebbe in modo egregio ad accompagnare un simile, importante cambio di passo teorico e applicativo.

1 27

6

La valutazione dei serv1z1 di Anna Galluzzi

6. 1 La valutazione dei servizi come momento del processo di gestione

La valutazione 1 è un'attività che riveste un fondamentale significato all'inter­ no di un approccio manageriale alla biblioteca e alla sua gestione: infatti, la gestione manageriale necessita di un momento di verifica che consenta di sta­ bilire se le scelte operate hanno prodotto i risultati sperati. Le attività di misurazione e valutazione costituiscono il cuore della fase di verifica, che nella letteratura di settore è anche identificata con il termine

feedback. Il feedback si configura come il momento in cui il decisore utilizza le infor­ mazioni di ritorno che il sistema organizzativo restituisce per ricavarne indica­ zioni operative relative al funzionamento dello stesso. Il feedback è finalizzato, dunque, a verificare se le risorse sono state utilizzate correttamente e hanno prodotto i risultati attesi (outcome) , oppure se e a quale livello bisogna appor­ tare correttivi nel processo di trasformazione delle risorse (input) in servizi (output) (cfr. FIG. 6.r). A fronte della complessità dei meccanismi di funzionamento del sistema, dal punto di vista dell'utente la biblioteca è una scatola chiusa. Quello che accade nella scatola, le operazioni che vi si conducono, i metodi utilizzati per eseguirle, non lo interessano. Egli è preoccupato unicamente dei risultati, dei prodotti e dei servizi documentari che la biblioteca gli offre (Cassette, r9 8o) . Ecco perché oggetto primario di valutazione sono gli output, mentre gli input sono analizzati solo in virtù dei rapporti di causalità esistenti tra le politiche e le operazioni dei servizi tecnici e i risultati ottenuti. Per questi motivi, può essere considerato corretto parlare di valutazione tout court riferendosi in real­ tà alla "valutazione dei servizi bibliotecari". In ogni caso, non si deve mai dimenticare che la misurazione delle perfor-

I . P er un appro fon di mento su l tema d e ll a va lutaz i one d e i serv i z i bibli otecar i c fr. A. GALLUZZI, Modelli e strumenti per la valutazione dell'efficacia , i n S olim i ne ( 2003 , pp. 2 8 9 - 3 8J ) .

!29

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E Q U ESTIONI

FIGURA 6 . 1 System Mode! of Performance Assessment Cost-effectiveness

Feedback

Effectiveness Fonte: tratto da 1 99 5 . p. 3 ·

s. !\-IORGAN,

Performance Assessment in Academic Libraries, Mansell Publishing, London-New York

mance è solo una delle componenti di una struttura informativa a gestione complessa, quale è la biblioteca, e che l'attività di valutazione deve essere fun­ zionale alla fase decisionale; finché la valutazione resterà un esercizio di stile, un'incombenza amministrativa, un diversivo accademico, una moda, difficil­ mente ci si potrà sottrarre alle critiche dei detrattori che non vedono nel pro­ cesso valutativo uno strumento di reale miglioramento. Altri pregiudizi scaturiscono da una parziale conoscenza del processo ge­ stionale nel suo insieme e dalla diffusa convinzione dell'identità dei concetti di misurazione e valutazione. La misurazione è una descrizione quantitativa di ciò che è e necessita di un contesto intenzionale così come di un quadro di riferimento ricavato dalle prestazioni passate o da situazioni simili. La valutazione è un processo sistematico che consente di verificare l' effi­ cienza e l'efficacia di certe attività e di dare un giudizio sul loro valore sulla base di alcuni criteri, come gli scopi e gli obiettivi. Per sintetizzare, si potrebbe dire che la misurazione è una parte o, più esattamente, una fase del processo di valutazione. In definitiva, alla valutazione si arriva attraverso una serie di passaggi ne­ cessari che nel loro insieme compongono l'attività di misurazione; tali momen­ ti sono: la scelta, la raccolta, la validazione e l'elaborazione dei dati e la co-

6 . LA VALUTAZIONE DEI SERVIZI

struzione di rapporti significativi - gli indicatori - utilizzati poi come strumen­ ti interpretativi. Queste attività, una volta concluse, mettono nelle mani del bibliotecario­ valutatore un insieme di elementi e informazioni quantitative relativo a vari fenomeni e a diversi momenti della vita di una biblioteca. Resta, a questo punto, il problema di dare un senso a queste informazioni quantitative, di es­ sere in grado di interpretarle e di trarne delle indicazioni utili allo scopo di comprendere i problemi e di prendere le decisioni. Con il termine "valutazione" ci si riferisce quindi al processo d'insieme che comprende la misurazione e l'interpretazione dei dati. 6. 2

Obiettivi e oggetti

Le dimensioni di un'attività di valutazione possono essere molteplici, come molteplici possono essere gli obiettivi che tale attività può avere. Tra tutte le possibili dimensioni due sono le principali: l'efficacia e l'efficienza o produtti­ vità. La produttività quantifica gli output e gli input di un'organizzazione e ne individua il rapporto, in termini di output su input; l'efficacia, invece, mette in evidenza la relazione tra gli output di un'organizzazione e ciò a cui l'organizza­ zione è finalizzata, ossia i suoi obiettivi 2 • L'efficacia delle prestazioni dunque si identifica con «il livello raggiunto dalla biblioteca nel conseguimento dei suoi obbiettivi, soprattutto in relazione ai bisogni degli utenti» 3 . L a valutazione dei risultati raggiunti, mediante un'analisi rigorosa dei pro­ dotti e dei servizi documentari offerti agli utenti, è il principale strumento di verifica dell'efficacia. Ciò non significa che il monitoraggio degli output trascura il problema del­ le risorse e quello delle operazioni effettuate nell'ambito dei servizi tecnici (in­ put) . Infatti, in un'ottica sistemica, non esiste soluzione di continuità tra le fasi di funzionamento della biblioteca; così come la catena documentaria è formata da una successione logica di attività, anche le operazioni proprie dei servizi tecnici (input) hanno degli effetti sulla qualità dei prodotti e dei servizi docu­ mentari (output) realizzati. Vaiutare i servizi non può quindi prescindere dall'acquisizione chiara di

2. Cfr. Rutgers University, The State University of New Jersey, Campus at I\'ewark, Citizen­ Driven Government Performance, The National Center for Public Productivity, A Brie/ Guide /or Performance Measurement in Local Government, 2004, < http://www.andromeda.rutgers.edu/ - ncpp/cdgp/teaching/brief-manual.html > . 3 · IFLA, Linee guzda per la valutazione delle bzhlioteche universitarie: edizione italiana di Measuring quality, a cura della Commissione nazionale Università ricerca dell'AIB, AIB, Roma 1 999. pp. 23-4·

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

un quadro delle risorse disponibili, che a sua volta si presenta articolato in numerose componenti. La principale risorsa, quella finanziaria, è utilizzata per acquisire le risorse secondarie, in particolare le risorse informative (materiale bibliografico su vari supporti) , il personale per gestire tali risorse e le attrezza­ ture e gli spazi fisici per conservare i materiali, per offrire servizi ecc. (Lanca­ ster, 1 993, p. r ) . Anche il concetto di output di una biblioteca è un concetto ampio e arti­ colato, i cui contenuti possono essere classificati in vari modi. lnnanzitutto, è utile sottolineare che le misure di output possono essere diversificate non solo sul piano dei contenuti, ma anche in base al punto di vista dal quale lo stesso servizio si vuole analizzare; un'utile classificazione in questo senso può essere la seguente: a) quantità di servizi erogati: numero effettivo di transazioni fornite da un servizio o da una funzione operativa; b) qualità dei servizi erogati, ad esempio: - accuratezza delle risposte alle richieste di reference; rilevanza delle raccolte; rilevanza dei risultati della ricerca online; c) tempestività nell'erogazione del servizio: indica la differenza tra il momen­ to in cui l'utente fa una richiesta e il momento in cui tale richiesta viene soddisfatta; d) disponibilità del servizio; e) accessibilità del servizio: - distanza tra il servizio e l'utente, intesa sia in senso spaziale che temporale; - accessibilità del patrimonio intesa come proporzione della raccolta che è direttamente accessibile agli utenti; - barriere architettoniche; - barriere psicologiche. In questo panorama articolato, poiché le misure possibili possono facil­ mente moltiplicarsi fino a risultare ingestibili, partendo invece dal presupposto che la qualità di un'attività di valutazione non dipende dal numero di misura­ zioni effettuate ma da un'adeguata selezione delle misure e delle elaborazioni utili in ciascuna circostanza, è necessario innanzitutto avere chiari i settori e le attività da valutare. Ambiti di indagine che non possono essere esclusi da un'attività di valutazione dei servizi di una biblioteca potrebbero essere i se­ guenti: a) spazi, attrezzature e orari di apertura; b) servizi di reference; c) uso dei cataloghi; d) uso delle raccolte: consultazione, prestito, prestito interbibliotecario, forni­ tura di documenti (document delivery) ; e) costi e spese; /) servizi remoti.

6 . LA VALUTAZIONE DEI SERVIZI

Per quanto riguarda quest'ultimo ambito di indagine, la complessità di sta­ tus dei servizi della biblioteca ibrida - in cui convivono documenti cartacei e documenti elettronici, servizi tradizionali e servizi di rete - rende estremamen­ te difficoltoso proporre delle misure e dei dati da raccogliere sui servizi remoti che siano ampiamente condivisibili; in questo ambito non esistono neppure standard nazionali o internazionali ai quali fare riferimento ma solo proposte ancora da discutere 4. Per di più, molte delle misure che sono state proposte nel corso del tempo sono state poi scartate per vari motivi: il numero di ore di connessione online presenta molte difficoltà sul piano della raccolta per gli utenti locali e remoti, il numero dei file utilizzati è stato scartato perché avreb­ be compreso l'uso di molti file irrilevanti come le pagine dei menu e non avrebbe dato alcuna indicazione sul valore dell'informazione per l'utente, il numero degli accessi è inficiato dai limiti delle statistiche relative alle pagine Weh, il numero delle transazioni informative effettuate utilizzando risorse elet­ troniche è stato ritenuto troppo oneroso da raccogliere, il numero delle perso­ ne che utilizzano le risorse elettroniche è stato scartato perché il server non distingue le persone, ma solo le ricerche. Di qui la difficoltà a definire un in­ sieme minimo di dati significativi da utilizzare, ma la necessità di cominciare a riflettere su questo nuovo fronte di servizi bibliotecari, aggiornando e/o inte­ grando le metodologie esistenti. I limiti attuali del monitoraggio delle prestazioni sono principalmente due. Da un lato, i dati si riferiscono quasi sempre all'uso, mentre non si hanno in genere informazioni sul non-uso; ad esempio, si registrano i dati sui prestiti, sulle consultazioni in sede, sugli utenti, sull'orario di apertura, ma raramente si conosce il numero di quanti non fruiscono di alcun servizio della biblioteca, della parte della raccolta non utilizzata, dei volumi scomparsi dagli scaffali. Dall'altro lato, le statistiche si orientano prevalentemente su dati semplici da raccogliere e che diano maggiori garanzie di esattezza; a volte, però, per una conoscenza approfondita e adeguata del servizio sono necessari dati che richiedono rilevazioni più dispendiose in termini di tempo e di risorse e che comunque offrono minori garanzie di accuratezza e di affidabilità. Ad esem­ pio, tutti gli interrogativi sull'adeguatezza del personale addetto al servizio di

4· Si vedano, a titolo esemplificativo: P. BROPHY, P. M. WYNNE, Management In/ormation Sy­ stems and Performance Measurement /or the Electronic Library: eLzb Supporting Study (MIEL2) Fi­ na! Report, University of Centrai Lancashire, Centre for Research in Library and lnformation Management, 1 997 , < http://www.ukoln.ac.uk/services/elib/papers/other/summative-phase-3/ elib-eval-main.pdf > ; Developing National Lzbrary Network Statistics & Performance Measures, < http://www.albany.edu/- imlsstat/ > ; c. MCCLURE, Challenges and Strategies /or Evaluating Net­ worked In/ormation Services: Introduction, "Library Quarterly", 74 (4) , 2004, pp. 399-402, < http:// www.journals.uchicago.edu/LQ/journal/issues/v74n4/74040II74040I .Web.pdf > . Si vedano an­ che le pagine dedicate al progetto DigiQUAL, gestito dallo Statistics and Measurements Depar­ tment dell'Association of Research Libraries (ARL): < http://www. arl.org/stats/newmeas/emetrics/ nsdl.html > .

133

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

reference, sulla pertinenza delle risposte, sulla qualità delle raccolte nella gran parte dei casi sono destinati a rimanere senza risposta o comunque a ottenere risposte solo parziali e imprecise. In conclusione, si propongono alcune riflessioni di metodo valide in qua­ lunque contesto valutativo. Innanzitutto, se è vero che il presupposto necessa­ rio per l'attività di raccolta dei dati è la consapevolezza degli ambiti di analisi e della varietà e ampiezza delle misure da raccogliere, è d'altra parte consi­ gliabile contenere il numero dei dati da raccogliere, così come quello degli indicatori. Se infatti l'attività di rilevazione deve diventare tanto dispendiosa in termini di risorse finanziarie e umane da essere sproporzionata rispetto alle sue stesse finalità, viene meno il principio stesso su cui si fonda l'attività di valutazione. È del resto opportuno non appiattirsi sui dati facili da raccoglie­ re. La scelta delle misurazioni da effettuare è, infatti, implicitamente una di­ chiarazione di ciò che si ritiene più importante tra le attività e le funzioni del­ la biblioteca; inoltre, le misure più facili da realizzare non sempre sono quelle più utili dal punto di vista della programmazione e del processo decisionale in biblioteca. La selezione delle misure deve quindi sempre discendere da un'analisi di contesto e da una chiara definizione degli obiettivi da realizzare, tenendo sem­ pre presente la possibilità di un progressivo e graduale approfondimento. Infine, indipendentemente dal fatto che si selezioni un numero più o meno elevato di dati da raccogliere, è essenziale che la raccolta dei dati avvenga in maniera omogenea e conforme rispetto alle indicazioni fornite dagli standard internazionali oppure da organismi autorevoli a livello nazionale o internazio­ nale. Raccogliere dati utilizzando criteri comuni e ampiamente condivisi è la sfida che ha più impegnato gli enti di ambito bibliotecario negli ultimi anni, perché costituisce la condizione necessaria per qualunque attività di bench­ marking, ossia di comparazione dei dati e degli indicatori tra biblioteche. 6. J

Metodi

Gli approcci metodologici all'attività di misurazione e valutazione possono es­ sere molteplici, a seconda del punto di vista prescelto e degli strumenti di analisi utilizzati. La scelta di uno o dell'altro degli approcci metodologici esi­ stenti dipende non solo dagli obiettivi che ci si propone, ma anche dall'impo­ stazione biblioteconomica e dall'orientamento ideologico complessivo. I contributi sull'argomento prodotti fino agli anni settanta e per buona parte degli anni ottanta erano infatti fondati su contrapposizioni metodologi­ che molto marcate; i termini della contrapposizione erano di volta in volta rappresentati dall'analisi quantitativa o qualitativa, dall'uso di metodi di valu­ tazione oggettivi o soggettivi, dalla scelta del punto di vista del bibliotecario o dell'utente, dalla valutazione operata dall'interno della struttura o dall'esterno. 1 34

6 . LA VALL'TAZIONE DEI S ERVIZI

Le riflessioni biblioteconomiche degli anni novanta hanno progressivamente accorciato le distanze tra metodi contrapposti, puntando all'integrazione e alla condivisione degli strumenti e dei punti di vista. In questo senso i binomi metodologici proposti devono essere intesi non come soluzioni alternative ma come possibilità complementari, di cui è neces­ sario conoscere potenzialità e punti deboli per paterne fare il miglior uso possibile. Le differenze esistenti tra analisi quantitativa e qualitativa coincidono, al­ meno parzialmente, con quelle esistenti tra valutazione oggettiva e soggettiva. Alcune fonti biblioteconomiche utilizzano in maniera quasi sinonimica i termini "quantitativo " e "oggettivo" e identificano negli strumenti statistico­ matematici la garanzia di efficacia di un sistema di monitoraggio: La misurazione dei risultati di una biblioteca implica l'utilizzazione di metodi quantita­ tivi. Le tecniche statistiche assicurano una analisi oggettiva della qualità dei servizi of­ ferti da una biblioteca. Senza garanzia statistica uno studio di valutazione si riduce a un discorso di opinione e perde ogni valore scientifico. [. . .] Per effettuare una analisi di questo tipo, occorre sottoporre ad una quantificazione adeguata le principali varia­ bili del sotto-sistema o del sistema esaminato (Cassette, r 98o, pp. 45 -7) . Anche Lancaster esprime l e medesime perplessità sull'utilizzo di metodi sog­ gettivi, sebbene la sua posizione sia più problematica e meno radicale. Egli afferma, infatti, che la valutazione di un servizio può essere soggettiva oppure oggettiva; a suo parere, gli studi soggettivi, proprio perché basati sulle opinio­ ni, non sono senza valore in quanto aiutano a conoscere le percezioni degli utenti, d'altra parte una valutazione è di maggior valore se è analitica e dia­ gnostica e consente di scoprire come può essere migliorato un servizio (Lanca­ ster, r99 3 , p. 9) . Dunque, se da un lato l'opinione soggettiva ha un valore poiché non tutti gli aspetti di un servizio possono essere misurati oggettiva­ mente, dall'altro lato i giudizi soggettivi, a causa della loro natura potrebbero essere condizionati e quindi andrebbero verificati mediante il confronto con misure oggettive (Baker, Lancaster, r 977, p. ro) . Non sono evidentemente mancati coloro che, aderendo a un'impostazione più propriamente sociologica che biblioteconomica della valutazione dei servi­ zi, hanno sostenuto la superiorità dei metodi incentrati sulla raccolta, median­ te questionari, delle opinioni degli utenti, ritenendo tale metodologia come l'unica orientata alla valutazione qualitativa e in grado di definire i livelli di soddisfazione dell'utenza (Cassette, r 9 8o, p. 5 2 ) . Nonostante i dubbi e i limiti riconosciuti delle valutazioni soggettive, negli anni novanta l'approccio soggettivo è stato ampiamente sostenuto non solo nel contesto bibliotecario e ha contribuito a sensibilizzare la comunità biblioteca­ ria sul punto di vista dell'utente. Dopo aver constatato che sta diventando sempre più importante misurare direttamente la soddisfazione dell'utente e la I 35

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

qualità dei servizi bibliotecari, resta ancora senza una risposta certa la doman­ da: come possiamo misurare se una certa cosa è buona? Tutte le opzioni me­ todologiche finora sperimentate non solo sono molto costose in termini di ri­ sorse umane e temporali, ma non sono in grado per lo più di fornire un qua­ dro di insieme della qualità di un servizio bibliotecario. Realisticamente, si può affermare che la qualità rappresenta il punto di vi­ sta che trasversalmente attraversa sia i metodi di valutazione oggettivi che quelli soggettivi e che la soddisfazione dell'utenza in quanto obiettivo princi­ pale di qualsiasi biblioteca dovrebbe costituire la principale misura della sua efficacia. Le due facce della valutazione sono quindi del tutto complementari, il che non esclude che all'interno di ciascuna di esse sia opportuno operare delle scelte e chiarire i punti di partenza. 6.4

Misure e indicatori

Il passaggio dalla fase della misurazione e della raccolta dei dati a quello della valutazione si realizza attraverso la costruzione di rapporti significativi tra i dati e l'elaborazione di indicatori. «Un a valutazione corretta sia delle risorse che dei risultati deve tener conto [ .. ] non solo dei valori quantitativi assoluti e della loro evoluzione nel tempo ma anche della loro adeguatezza rispetto alla realtà specifica in cui la biblioteca opera e in particolare rispetto alla comunità locale alla quale la biblioteca ha l'obbligo di fornire servizi di informazione e lettura» (AIB, 2ooob, p. 67) . Se la misura è il dato semplice, ossia non elaborato, proveniente in manie­ ra diretta e immediata dalla rilevazione, l'indicatore è un particolare rapporto statistico costruito sulla base del risultato di un'operazione matematica tra due dati disomogenei, oppure di un'elaborazione su un dato di partenza, in modo tale da ottenere un dato diverso e capace di fornire un'informazione ulteriore, che non a caso ha spesso una propria denominazione. Ad esempio, l'indice di circolazione è il risultato del rapporto tra due misure: il numero dei prestiti effettuati nell'anno e il numero di volumi posseduti dalla biblioteca. L'utilizzo degli indicatori come momento di sintesi delle operazioni di rac­ colta e di elaborazione dei dati per poi procedere all'interpretazione dei feno­ meni è ormai internazionalmente condiviso, al punto che di fronte al molti­ plicarsi del numero di indicatori utilizzati dalle biblioteche delle diverse tipo­ logie, alcuni organismi internazionali si sono mobilitati per definire un set mi­ nimo di indicatori da utilizzare e per garantire un processo di standardizzazio­ ne nell'uso e nel calcolo degli stessi. La letteratura biblioteconomica internazionale nel settore della misurazione e valutazione è ormai molto ampia ed anche in Italia ha raggiunto proporzioni significative. L'elaborazione dei dati e la costruzione degli indicatori, in parti.

6 . LA VALUTAZIONE DEI S ERVIZI

colare, sono state al centro di numerosi interventi e proposte metodologiche, cosicché al momento attuale il numero di indicatori suggeriti da enti ed esper­ ti del settore appare rilevante ' . L'esperienza dimostra che u n numero relativamente limitato d i indicatori è sufficiente a produrre una visione d'insieme veritiera e a individuare i fenome­ ni meritevoli di maggiore approfondimento. L'operazione più complessa è dunque proprio quella di individuare gli indicatori più significativi all'interno delle fonti disponibili. Una volta individuato il set minimo di indicatori, per dare vita a un qualsiasi metodo di autovalutazione o di valutazione comparativa è necessa­ rio disporre di valori di riferimento e standard quantitativi con i quali con­ frontarsi. Certo, la validità degli standard quantitativi, assunti come valori di riferi­ mento per il confronto valutativo, tra i quali i più importanti restano gli stan­ dard IFLA, può essere messa in discussione se ne viene proposta un' applicazio­ ne rigida e decontestualizzata 6• Nel corso del tempo si deve perciò constatare un processo evolutivo che ha portato al superamento degli standard quantitativi individuati a priori da organismi sovraordinati rispetto alla biblioteca per accostarsi al concetto di standard dinamici - che si possono configurare di volta in volta come requisiti minimi o standard-obiettivo - costruiti dal basso tenendo conto delle caratte­ ristiche e delle potenzialità delle singole biblioteche. Queste considerazioni valgono tanto più nel caso delle biblioteche ita­ liane, il cui livello di prestazione non è, per molti versi, paragonabile a quello di altri Paesi o rapportabile agli standard internazionali; per esse può rivelarsi certamente più utile un confronto dinamico con la propria situazione di partenza ovvero con il sistema bibliotecario locale, regionale o nazionale. Anche in vista della costruzione degli standard di riferimento, la definizio­ ne dei criteri di selezione degli indicatori deve essere preceduta da un'attenta

5· Tra le principali fonti internazionali si ricordino almeno: ISO u 62o; Information and docu­ menta/ton. Library performance indicators, rso, Genève 1 998; L'l'l:! EN rso 2789. Informazione e do­ cumentazzone - Statistiche internazzonali per le bzblioteche, UNI, Milano 1 996; s. WARD, J. suMsroN, D. FUEGI, r. BLOOR, Library Performance Indicators & Lzbrary Management Tools, Office for Official

Publications of th e European Communities, Luxembourg 1 995 ; in italiano si vedano le linee gu ida IFLA ( 1 999 ) per le bibliotech e universitarie e AIB ( 2ooob) per le biblioteche pubbliche di base. 6. Gli stan dard IFLA 1 9 7 3 / r 9 7 7 sono r iportat i in appen di ce a: IFLA. SECTIO!'I: OF PUBLIC LIBRARIES, Raccomandazioni per le biblioteche pubbliche, AIB, Roma 1 98 8 . L a stessa IFLA h a però parz ialmente abb and onato la logica d egli stan dard rigidi di funzionamento, come dimo­ strano le recenti linee gu id a: IFLA, Il servizio biblzotecario pubblico: linee guida IFLAIUNESCO per lo sviluppo, ed . italiana a cura della C omm issione nazional e Bibliotech e pu bbliche d ell 'AIB, AIB, Roma 2002 .

137

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

analisi delle potenzialità e dei limiti dello strumento e da un'approfondita co­ noscenza della sua varietà tipologica. La caratteristica maggiormente apprezzata degli indicatori è quella di for­ nire una misura sintetica ed evidente dell'attività e dei servizi della biblioteca e di suggerire delle chiavi interpretative dei fenomeni che si svolgono in bi­ blioteca. Questo è però anche l'aspetto più delicato nell'uso degli indicatori e quello per il quale la letteratura biblioteconomica suggerisce la maggiore cau­ tela. Infatti, per quanto attentamente ci si arrivi, un indicatore non può essere visto come una misura assoluta della performance, ma come un fattore di in­ terpretazione che deve poi essere considerato in relazione alle condizioni locali e agli altri indicatori. Le misure e gli indicatori non devono dunque essere considerati isolata­ mente, ma devono consentire, attraverso la comparazione, di farsi un quadro complessivo di quello che sta avvenendo in biblioteca e della sua collocazione rispetto ad altre biblioteche tipologicamente e funzionalmente simili (Moore, 1 989, pp. 7 3 -4 ) . Ciò significa che nessun dato o indicatore preso singolarmente può essere considerato in sé significativo, ma solo la lettura combinata degli indicatori può suggerire delle chiavi interpretative dei fenomeni, ancora di più quando si hanno a disposizione serie storiche oppure valori di riferimento degli stessi indicatori provenienti da contesti comparabili. Se, dunque, gli indicatori sono lo strumento per attuare i contenuti del benchmarking, nello stesso tempo essi acquistano tanto più significato quanto più numerosi sono i valori di con­ fronto. Le caratteristiche degli indicatori fin qui delineate - la sinteticità, la con­ frontabilità, la relativizzazione - consentono di affermare che un corretto uso degli indicatori, fondato su un'opportuna selezione e un'attenta interpretazio­ ne, è in grado di suggerire chiavi interpretative e conoscitive dei fenomeni in atto all'interno della biblioteca e quindi di stimolare le politiche bibliotecarie nella giusta direzione. D'altra parte, nell'utilizzo degli indicatori bisogna essere sempre consape­ voli dei limiti dello strumento. Ad esempio, sul piano della confrontabilità, non si deve dimenticare che l'ammissibilità dei confronti, pur utilizzando gli indicatori, non è infinita, perché non è accettabile per esempio il confronto tra biblioteche di diversa tipologia, così come all'interno della medesima tipologia non sempre è corretto confrontare biblioteche con caratteristiche e funzionali­ tà diverse: ad esempio, biblioteche pubbliche e di conservazione dei capoluo­ ghi di provincia con biblioteche pubbliche di base dei piccoli comuni di pro­ vincia. Non tutti gli indicatori, inoltre, sono uguali, nel senso che non tutti ga­ rantiscono i medesimi livelli di accuratezza e danno le medesime garanzie di qualità nella valutazione; ciò conferma l'assoluta necessità, da un lato, di non moltiplicare il numero di indicatori elaborati, dall'altro di selezionare gli indi-

6 . LA VALUTAZIONE DEI S ERVIZI

catari che meglio rispondono alle esigenze specifiche dell'attività di valutazio­ ne che si intende condurre. 6. j

La valutazione dei servizi nella letteratura biblioteconomica italiana

L'attenzione ai temi della misurazione e valutazione della qualità dei servizi in biblioteca è strettamente collegata alla concezione stessa della biblioteca (cfr. FIG. 6.2) e ai relativi metodi di gestione che la teoria e la pratica bibliotecono­ mica di un Paese producono e alimentano. La consapevolezza dell'importanza degli strumenti valutativi nasce, infatti, soltanto in un contesto bibliotecario fondato sulla centralità dell'utente, su un'ottica di servizio, su una prospettiva di sistema aperto.

FIGURA 6 . 2 Albero delle relazioni tra i temi

Biblioteca come sistema

finalità

indicatori

Oggetto: attività e servizi della biblioteca

Qualitativo-soggettivo

139

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

Per i motivi ora esposti, mentre nella riflessione e nella pratica biblioteco­ nomica anglo-americana i temi della valutazione hanno cominciato ad affac­ ciarsi fin dagli anni sessanta, in Italia bisogna aspettare gli anni ottanta per sentire cominciare a parlare di raccolta dei dati a fini di valutazione e pro­ grammazione. Nella seconda metà degli anni novanta, oltre a intensificarsi il numero de­ gli scritti sull'argomento, sono stati prodotti i primi contributi teorici finalizza­ ti a sistematizzare il bagaglio di conoscenze e di esperienze accumulate sui temi della valutazione, rispetto sia alle biblioteche universitarie che alle pub­ bliche (cfr. IFLA, I 999; AIB, 20oob) . La sperimentazione e l'applicazione dei metodi e degli strumenti di misu­ razione e valutazione sono andati di pari passo con l'approfondimento teorico dei p rincipi della valutazione. E indubbio che l'attività di raccolta e di elaborazione dei dati abbia vissu­ to negli ultimi anni una fase di crescita quantitativa; è però altrettanto evi­ dente che manca ancora una piena chiarezza delle motivazioni e delle finalità del processo valutativo, che resta ancora fenomeno avulso dal processo ge­ stionale nel suo insieme e per niente " routinario" come invece per sua stessa natura dovrebbe essere. A oggi, sono disponibili solo alcuni dati di stima relativi alle biblioteche pubbliche e universitarie italiane; quelli delle pubbliche sono stati ricavati uti­ lizzando specifici strumenti metodologici, come proiezioni e scarti, a partire dai dati contenuti in alcune indagini nazionali e regionali 7; i secondi sono il risultato dell'indagine condotta dal Gruppo Interuniversitario per il Monitoraggio (GL\1) , consulente del Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema universitario (cNVsu) del MIUR per la valutazione delle biblioteche delle università 8• Anche il processo di acquisizione dei metodi e degli strumenti appare len­ to, anche se graduale, e per questo le rilevazioni condotte tradiscono ancora una limitata consapevolezza metodologica e spesso utilizzano strumenti e me­ todi inadeguati o sproporzionati rispetto alle finalità. Le principali esigenze dell'attività di misurazione e valutazione dei servizi in Italia per il prossimo futuro sono, dunque, la chiarezza d'intenti e l'adozio­ ne di metodologie affidabili.

7. Cfr. A. GALLUZZI, G. SOLIMI:-JE, Le biblioteche pubbliche italiane negli anni Novanta: dalle misure agli indicatori e dagli indicatori ai dati, " Bollettino AIB " , 3 9 (4), 1 999, pp. 45 5 -67. 8 . Per un approfondimento si ved a il sito del GIM: < h ttp: //g im .cab . unip d . it/ > , da cui è ' possibile scari care la relazione finale pro dotta al term ine dell in dagine nazionale: < h ttp: //g im. l df l d b fi /R % % GIM i i i ca .un p . t e az one 2o na e 2o .p > e una sua si ntesi : < h ttp : //www.cnvsu. i t/ publidoc/com itato/default.asp ?id_documento_padre = I I r 37 > . Il lavoro del GIM si è inserito su lla sci a del G ruppo di lavoro su " Misurazione e val utazi one delle bibliotech e universitari e " i stituito d all ' Osservatorio per la val utazione del sistema universitari o , presso l ' allora Mini stero d ell 'Universit à e della ri cerca scient ifica e tecno log ica ( MURST) , ora Ministero dell 'Università e della ricerca ( McR) . I ri sultati dell 'in dagine cond otta da questo primo gruppo di lavoro sono disponibili su: < h ttp: //www.murst. it/osservatorio/ri cbibl . h tm > .

6 . LA VALUTAZIONE DEI S ERVIZI

RIQUADRO 6 . 1 Parole chiave e glossario

E/ficaàa

Grado di raggiungimento degli obiettivi e livello di soddisfazione degli utenti.

Efficienza

Controllo dei costi e migliore utilizzo delle risorse.

Indicatore

Risultato di un'operazione matematica tra due dati disomogenei oppure di un'elaborazione su un dato di partenza, in modo tale da ottenere un dato diverso e capace di fornire un'informazione ulte­ riore, che spesso ha una propria denominazione.

Input

Risorsa di qualunque tipo (finanziaria, umana, documentaria) a di­ sposizione della biblioteca.

Management

Operare con risorse (umane, finanziarie e fisiche) per raggiungere gli obiettivi dell'organizzazione svolgendo le funzioni di pianifica­ zione, organizzazione, guida e controllo.

Misura

Dato semplice, ossia non elaborato, proveniente in maniera diretta e immediata dalla rilevazione.

Misurazione

Fase di raccolta delle informazioni e di elaborazione delle stesse sull a base dei parametri prescelti.

Outcome

Risultato atteso della programmazione di lungo periodo, valutabile solo indirettamente attraverso gli output.

Output

Prodotto o servizio realizzato dalla biblioteca a partire dalle risorse a disposizione.

Utenza potenziale Si tratta del bacino utenziale di riferimento della biblioteca, ossia dell'utenza servita e da servire in base alla funzione e alla mission istituzionale della biblioteca. Valutazione

Processo che comprende la raccolta dei dati semplici sul funziona­ mento della biblioteca (misurazione) e la fase di interpretazione delle informazioni raccolte, per acquisire elementi di programma­ zione e di decisione. Appendice Indicatori e misure per la valutazione

Funzione valutativa

Indicatori di base Indice di superficie: (Mq superficie al pubblico della bibliotecaluten­ za potenziale)

x

ro

3

Indice di apertura: Media delle ore di apertura settimanale Indice della dotazione di personale: (Numero del personale in

4

Indice della spesa pro capite: Spese di funzionamento per la bibliote­

2

utenza potenziale)

x

ca/utenza potenziale

2 .ooo

FTEI

Accessibilità Accessibilità Efficienza Efficienza

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E Q U ESTIONI

5

Indice della spesa per acquisto di materiale bibliografico: Spesa per

6

Indice della dotazione documentaria: Patrimonio documentario/uten­

7

Indice della dotazione di periodici: (Titoli di periodici in abbona­

acquisto di materiale bibliografico pro capite za potenziale mento/utenza potenziale)

x

I .ooo

x

r .ooo

8

Indice di incremento del patrimonio: (Acquisti della biblioteca nel­

9

Indice di impatto: (Utenti annuali attivi del prestito/utenza poten­

IO II I2

Indice di circolazione: Prestiti/Patrimonio documentario Indice di prestito: Prestiti/utenza potenziale Indice di fidelizzazione: Prestiti/utenti annuali attivi del prestito

l'anno/utenza potenziale) ziale) X I OO

Vitalità Vitalità Vitalità Vitalità Efficacia Efficacia Efficacia Efficacia

Indicatori di approfondimento I3 I4 I5 I6 I7 I8 I9 20 2I 22

Indice di spesa per in/ormation technology e risorse elettroniche: (Spe­

sa per information technology e risorse elettroniche)/spesa complessiva per la biblioteca x I oo Indice di circolazione complessivo: (Prestiti + prestiti interbibliotecari + document delivery + consultazioni)/ patrimonio documentario Indice quantitativo del servizio di re/erence: Transazioni informative in presenza e a distanzalutenza potenziale Indice del grado di risposta: Transazioni informative completate/totale transazioni informative Indice di aggiornamento: Numero di documenti nella collezione pubblicati dopo una certa data Indice della disponibilità delle attrezzature multimediali: (Attrezzatu­ re multimediali - postazioni multimediali, televisori e videoregistratori ecc./utenza potenziale) x I .ooo Indice di rapidità del processo di trattamento dei documenti: Giorni che intercorrono tra la data di arrivo del documento e la data della sua disponibilità a scaffale Indice di rapidità del servizio di prestito interbibliotecario: Giorni che intercorrono tra la data della richiesta dell'utente e la data della ricezione del documento Indice dell'attività di formazione: (Numero di attività di formazione e istruzione/utenti potenziali) x I .ooo Indice degli usi remoti della biblioteca: Accessi remoti al sito della biblioteca e alle risorse elettroniche/utenza potenziale

Misure di base I 2

3 4 5 6 7 8 9 IO II

Acquisti (volumi + audiovisivi + CD-ROM) Dotazione documentaria Ore complessive di apertura settimanale Periodici correnti Personale di ruolo e incaricato in FTE Prestiti Spesa complessiva ordinaria per la biblioteca Spesa per acquisto di materiale bibliografico Superficie complessiva (di cui " al pubblico") Utenti attivi del prestito Utenza potenziale

Vitalità Efficacia Efficacia Efficacia Vitalità Accessibilità Efficienza Efficienza Vitalità Efficacia

6 . LA VALUTAZIONE DEI S ERVIZI

Misure di approfondimento I2 I3 I4 I5 I6 17 I8 I9

Accessi remoti Attività di formazione e istruzione per gli utenti Attrezzature multimediali (postazioni multimediali, televisori e videoregistratori ecc.) Consultazioni Document delivery Prestiti interbibliotecari Spesa per infonnation technology e risorse elettroniche Transazioni informative totali (di cui "completate")

Letture complementari AIB, Linee guida per la valutazione delle biblioteche pubbliche italiane. Misure, indicato­ rz� valori di rz/erimento, a cura del Gruppo di lavoro Gestione e valutazione, AIB,

Roma 2000. P. BELLINI, 1. RIZZI, ISO r r62o. Stima della Target population. Indicatore B.I.I.I - User

satisfaction, " Biblioteche oggi" , I9 ( I ) , 2oo i , pp. 52-68.

J. c . BERTOT, Valutare la rete, " Biblioteche oggi" , I 8 (7), 2ooo, pp. 62-70. A. GALLUZZI, La valutazione delle biblioteche pubbliche. Dati e metodologie delle indagi­

ni in Italia, Olschki, Firenze I 999· EAD . , Modelli e strumenti per la valutazione dell'efficacia, in Solimine (2003 ), pp.

289-3 85 . A. GALLUZZI, G . SOLIMINE, Le biblioteche pubbliche italiane negli anni Novanta: dalle mi­ sure agli indicatori e dagli indicatori ai dati, "Bollettino AIB " , 39 (4), I999, pp.

455-67.

IFLA, Il servizio bibliotecario pubblico: linee guida IFLAIUnesco per lo sviluppo, ed. italia­

na a cura della Commissione nazionale Biblioteche pubbliche,

AIB,

Roma 2002 .

ISO I I 62o, Information and Documentation - Library Performance Indicators, lnterna­

tional Organization for Standardization, Genève I998. Quanto valgono le biblioteche pubbliche? Analisi della struttura e dei servizi delle bi­ blioteche di base in Italia. Rapporto finale della ricerca Efficienza e qualità dei servizi nelle biblioteche di base condotta dalla Commissione nazionale AIB ((Biblioteche pub­ bliche" e dal Gruppo di lavoro ((Gestione e valutazione", coordinamento del gruppo e direzione della ricerca G. Solimine, AIB, Roma I 994· G . SOLIMINE, Problemi di misurazione e valutazione dell'attività bibliotecaria. Dall'analisi di sistema agli indicatori di qualità, in M. Guerrini (a cura di) , Il linguaggio della biblioteca. Scritti in onore di Diego Maltese, Editrice Bibliografica, Milano I996, pp. I 1 8-5 1 . UNI EN ISO 2789, Informazione e documentazione - Statistiche internazionali per le bi­ blioteche, UNI, Milano I 996. R. VENTURA, La biblioteca al servizio dell'utente. Customer satisfaction e strategie di ma­ nagement, Editrice Bibliografica, Milano 2004. s. WARD, J. SUMSION, D. FUEGI, 1. BLOOR, Library Performance Indicators & Library Mana­ gement Tools, published by the European Commission, Directorate Generai XIII, Office for Official Publications of the European Communities, Luxembourg I995 · D. ZWEIZIG, E. J. RODGER, La misurazione dei servizi delle biblioteche pubbliche. Manua­ le di procedure standardizzate, ed. italiana a cura di D. Danesi, AIB, Roma I987. 143

7

La soddisfazione degli utenti in biblioteca : obiettivi e metodologie di valutazione di Giovanni Di Domenico

7· 1

Premessa

La soddisfazione del cliente, dell'utente, del cittadino (customer, user, citzzen satis/action) rappresenta il cuore di tutte le culture organizzative orientate alla qualità. Un intero filone di studi e applicazioni sta ormai da tempo prendendo in esame i servizi nei loro aspetti tangibili (accessibilità, segnaletica, moduli­ stica, agibilità e pulizia degli ambienti ecc.) e intangibili (partecipazione del cliente/utente, tempestività delle prestazioni ecc.) , gli stili di contatto adottati dallo staff (negativi: burocratico, !assista; positivi: di assistenza, cura ecc . ) , le competenze relazionali del personale (affidabilità, disponibilità, capacità di ras­ sicurare, capacità di comunicare, capacità di recupero ecc.), i fattori soggettivi di soddisfazione (rapporto fra sacrifici di costo e di tempo sostenuti e benefi­ cio percepito; diversa accettazione, fra i clienti/utenti, del medesimo standard di servizio) , l'impatto delle singole transazioni di servizio sui giudizi globali dei clienti/utenti, gli scostamenti tra la percezione che essi hanno della qualità erogata e le loro aspettative (Franceschini, 2oo r ) . La customer satisfaction di­ pende da queste variabili e può essere definita come un giudizio, implicito o manifesto, che investe sia l'esperienza di un servizio sia, per estensione, la struttura che eroga il servizio stesso, in ragione delle aspettative maturate, dei sacrifici sostenuti e del livello di qualità percepito. 7·2

Le fasi della qualità di servizio

Una strategia di servizio che voglia essere efficace non può trascurare la ne­ cessità di articolare in fasi la gestione della qualità, distinguendo almeno cin­ que livelli di analisi e di intervento, le cosiddette "5 p" (Sardelli, 2oo r , pp. 62 -4; Fontana, Rossi, 2005 , pp. 29-4 1 ) : - qualità prevista; - qualità progettata; - qualità prestata;

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

-

qualità percepita; qualità paragonata. La qualità prevista (attesa) dai clienti/utenti nasce dalla combinazione di bi­ sogni, interessi, elementi acquisiti di conoscenza intorno alla struttura che eroga il servizio. Essa è frutto di un processo di trasformazione di aspettative generi­ che (per esempio, ciò che ci si aspetta, in una data situazione ambientale, da una qualsiasi biblioteca pubblica) in aspettative specifiche (ciò che ci si aspetta da quella particolare biblioteca pubblica) . Nel riquadro 7 . r figurano alcuni ele­ menti del servizio bibliotecario nei confronti dei quali possono maturare aspet­ tative di qualità generalizzate. Le attese non hanno tutte lo stesso peso: alcune rivestono, agli occhi di ciascun cliente/utente, un'importanza maggiore di altre, il che - come si vedrà più avanti - presenta risvolti metodologici significativi in sede di strutturazione delle indagini sulla customer satis/action. La qualità progettata si configura come l'insieme degli obiettivi di servizio (portafoglio, nuovi pacchetti di servizi, standard, processi, tariffe ecc. ) accura­ tamente definiti e formalizzati sulla base della missione della biblioteca, delle risorse disponibili, dell'analisi di scenario, dell'analisi di comunità, delle attivi­ tà di misurazione e valutazione effettuate, delle indagini sull'utenza (comporta­ menti, percezioni, giudizi) eseguite. La qualità prestata discende dalla capacità di tradurre gli obiettivi in reali politiche e pratiche di servizio, misurare gli scostamenti dagli standard fissati, intervenire rapidamente con azioni migliorative sugli scostamenti riscontrati. La qualità percepita è ciò che il cliente/utente "sente" di aver ricevuto dal­ l' esperienza del servizio circa il soddisfacimento delle sue esigenze (materiali e immateriali; latenti ed espresse) e delle sue priorità. Qui giocano molti fattori di carattere psicologico, legati a sensazioni di rischio (paura della soglia, timo­ re di perdere tempo, di sostenere costi eccessivi, di non trovare ciò che si cerca ecc.) . La qualità paragonata è frutto del confronto fra qualità percepita e qualità attesa e può essere espressa ed esaminata in termini di giudizio di soddisfazio­ ne, nel modo seguente: - qualità percepita qualità attesa: soddisfazione, giudizio favorevole; - qualità percepita > qualità attesa: grande soddisfazione, giudizio nettamente favorevole; - qualità percepita < qualità attesa: insoddisfazione, giudizio sfavorevole; - qualità percepita < < qualità attesa: grande insoddisfazione, giudizio nettamente sfavorevole. Sulle cinque fasi descritte (le 5 P) si può costruire il modello generale della customer satis/action in biblioteca, che punterà soprattutto a: - rilevare periodicamente i livelli di soddisfazione dei clienti/utenti; - rivedere di conseguenza gli standard qualitativi e migliorare l'offerta di servizio; - progettare e realizzare nuovi servizi e modalità di erogazione; - personalizzare quote significative del servizio. =

7 . LA S ODDISFAZIONE DEGLI L'TENTI IN BIBLIOTECA

Il modello ha, inevitabilmente, carattere ciclico, poiché nel tempo cambia­ no le situazioni ambientali, la composizione del bacino di utenza, le persone che frequentano la biblioteca, le loro aspettative, lo staff della struttura e le sue performance ecc. In particolare, per ottenere risultati apprezzabili, è indi­ spensabile procedere al confronto periodico di dati omogenei. RIQUADRO 7. I

Qualità attesa dai clienti/utenti di un servizio bibliotecario pubblico

Qualità istituzionale

La biblioteca deve fornire garanzie di serietà e di stabilità dei suoi servizi nel tempo e deve sviluppare efficaci inizia­ tive di comunicazione e di informazione.

Qualità della sede

Gli spazi destinati ai servizi devono essere accoglienti, fun­ zionali, accessibili, vivibili.

Qualità di contatto

n personale deve essere competente, affidabile, disponibile.

Qualità delle attrezzature

Le attrezzature tecnologiche devono essere di facile uso e in buono stato.

Qualità del processo di erogazione

n processo di erogazione deve essere trasparente, equo, tempestivo, conforme agli standard; i reclami, i suggeri­ menti, altre forme di partecipazione dei clienti/utenti de­ vono essere attentamente considerati; i clienti/utenti devo­ no essere coinvolti nelle scelte che li riguardano.

Qualità delle raccolte

Le raccolte devono essere complete, aggiornate, disponibi­ li su diversi supporti, accessibili anche da postazione re­ mota. I documenti devono essere aggregati per contenuti e non per tipologie o supporti.

Qualità dei cataloghi

I cataloghi devono essere aggiornati, completi, amichevoli; devono fornire diverse opzioni e combinazioni di ricerca; devono essere accessibili anche da postazione remota; la descrizione catalografica dev'essere corretta e leggibile.

Qualità del portafoglio e deltoutput di servizio

n portafoglio servizi dev'essere completo e disponibile per un numero adeguato di ore settimanali; l' output di servizio dev'essere utile e usabile; alcuni servizi devono essere ac­ cessibili anche a distanza.

Qualità del sito

n sito della biblioteca dev'essere accessibile, usabile, navi­ gabile; deve proporsi come strumento interattivo di uso e di assistenza nell'uso della biblioteca. I suoi contenuti (di accesso alle risorse, di informazione e orientamento, pro­ mozionali, di confronto ecc. ) devono risultare utili, inte­ ressanti, coerenti con il mezzo (reale presenza di servizi a distanza: OPAC, virtual re/erence desk, accesso a periodici elettronici e ad altre risorse digitali, prenotazioni online ecc.).

147

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

fl

7 ·3 SERVQUAL

Per la descrizione e la valutazione della qualità dei servizi sono stati elaborati diversi modelli concettuali. Un modello di valutazione della customer satis/ac­ tion molto diffuso, ma anche molto discusso, è stato il SERVQUAL (Zeithaml, Parasuraman, Berry, 2ooo) , basato proprio sul confronto fra aspettative e per­ cezioni: la qualità dei servizi dipende dall'ampiezza dello scarto tra ciò che ci si aspetta dal servizio e ciò che si percepisce delle prestazioni ricevute. Gli autori del SERVQUAL hanno individuato anche dieci fattori determinanti nella qualità dei servizi, riconducibili a cinque dimensioni o caratteristiche: aspetti tangibili; affidabilità; - capacità di risposta; - capacità di rassicurazione (competenza, cortesia, credibilità, sicurezza) ; - empatia (facilità di accesso, comunicazione, capire il cliente) . Il questionario SERVQUAL prevede una sezione per la misurazione delle aspettative, una per la misurazione delle percezioni e una per la misurazione dell'importanza che il rispondente è disposto a riconoscere a ciascuna delle cinque dimensioni. Sia per le aspettative sia per le percezioni, il questionario prevede 2 2 enunciati 1 su ciascuno dei quali il rispondente può esprimersi assegnando un punteggio da I («non sono assolutamente d'accordo») a 7 («sono perfetta­ mente d'accordo») . Per esprimere il proprio giudizio sull'importanza delle cin­ que dimensioni, il rispondente dispone invece di una scala a somma definita ( I oo punti da ripartire tra le cinque caratteristiche) . Efficace nel richiamare l'attenzione sulle componenti immateriali e relazio­ nali del servizio, sperimentato in molti contesti, ispiratore di altri modelli, il SERVQUAL è stato però spesso sottoposto a rilievi critici, riguardanti la pentadi­ mensionalità, il sistema di rilevazione, le modalità di calcolo e altri aspetti, tra cui la coincidenza fra i tempi di misurazione delle attese e i tempi di misura­ zione delle percezioni (entrambe le rilevazioni vengono effettuate ex post, ad avvenuta erogazione del servizio) 2 • Uno degli insegnamenti ancora validi che ereditiamo da SERVQUAL e da metodologie consimili ci suggerisce peraltro che la cultura della qualità si co­ niuga sempre con la cultura della valutazione: perché risultino certi e apprez­ zabili, i risultati dei processi, dei servizi, delle azioni di miglioramento devono

1. Gli enunciati da I a 4 riguardano gli aspetti tangibili, da 5 a 9 l'affidabilità, da IO a I3 la capacità di risposta, da I4 a 17 la capacità di rassicurazione, da 1 8 a 22 l'empatia. 2. In Italia è stato sperimentato un metodo, detto "Qualitometro" , che propone l'uso di un questionario da compilare in due diversi momenti: prima e dopo aver ricevuto il servizio. Cfr. Franceschini (2001 , pp. 229-40, 3 02-54).

7 . LA S ODDISFAZIO:-JE DEGLI L'TENTI I:-1 BIBLIOTECA

essere obbligatoriamente monitorati, misurati e valutati (Di Domenico, I 996; Di Domenico, Roseo, I 998, pp. I I 8-22; Ventura, 2 004, pp. I 65 -76). Nel settore delle biblioteche è stato sperimentato, dall'Associati o n of Re­ search Libraries, il modello LibQUAL + TM , largamente ispirato alla metodologia SERVQUAL 3· Un'indagine condotta nella primavera del 2 004 (negli Stati Uniti, in Canada e in Europa) ha coinvolto un campione, segmentato per gruppi, di 9 I 5 utenti di oltre 500 biblioteche, tipologicamente differenziate (ARL, Texas A&M University, 2004). Agli utenti è stato somministrato un questionario con 22 enunciati, articolati in tre sezioni (componenti umane del servizio, control­ lo dell'informazione e ambiente fisico della biblioteca) . Obiettivo principale dell'indagine era quello di misurare - per ciascuna di queste dimensioni aspettative minime di servizio, desideri e percezioni degli utenti. Tre altri enunciati riguardavano la soddisfazione complessiva e cinque i risultati delle attività di in/ormation literacy (cfr. riquadro 7 . 2 ) . Per esprimere le loro valuta­ zioni su ciascun enunciato, i rispondenti avevano a disposizione una scala di punteggio, che andava da un minimo di I a un massimo di 9· LibQUAL + TM ha ereditato alcuni dei limiti strutturali di SERVQUAL, e ciò in ordine almeno al sistema di rilevazione (con evidentissimi rischi di risposte " in batteria" ) , all'ec­ cessiva genericità degli enunciati, alla contiguità delle domande sulle attese e delle domande sulle percezioni (contiguità che di solito veicola rischi di ap­ piattimento di una dimensione sull'altra) . Bisogna riconoscere, però, che Lib­ QUAL + TM ha mutuato anche il meglio di SERVQUAL, il quale si è mostrato sem­ pre efficace proprio nel richiamare l'attenzione sugli aspetti immateriali e rela­ zionali del servizio. RIQUADRO 7.2 Enunciati LibQUAL + TM

Affect o/ Service AS- r Employees who instill confidence i n users Giving users individuai attention AS-2 Employees who are consistently courteous AS-3 AS-4 Readiness to respond to users' questions AS-5 Employees who have the knowledge to answer user questions AS-6 Employees who deal whit users in a caring fashion AS-7 Employees who understand the needs of their users

3· Lib QL'AL + TM è un complesso di servizi offerto alla comunità professionale dei biblioteca­ ri, che intende, ambiziosamente, incoraggiare la cultura dell'eccellenza, aiutare le biblioteche a comprendere meglio le percezioni degli utenti relative alla qualità dei servizi bibliotecari, racco­ gliere e interpretare in modo sistematico e continuo i segnali di ritorno che provengono dagli utenti stessi, fornire alle biblioteche occasioni di benchmarking, identificare le pratiche migliori, accrescere le abilità analitiche di interpretazione e utilizzo di dati. Cfr. all'indirizzo .

I49

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

AS-8 AS-9

Willingness to help users Dependability in handling users' service problems

In/ormation Contro! Making electronic resources accessible from my home or office IC-r IC-2 A library Web site enabling me to locate information on my own The printed library materiais I need for my work IC-3 IC-4 The electronic information resources I need IC-5 Modern equipment that lets me easily access needed information IC-6 Easy-to-use access tools that allow me to find things on my own Making information easily accessible for independent use IC-7 Print and/or electronic journal collections I require for my work IC-8 Library as Piace Library space that inspires study and learning LP- r LP-2 Quiet space for individuai activities A comfortable and inviting location LP-3 A getaway for study, learning or research LP-4 Community space for group learning and group study LP-5 Satis/action Questions In generai, I am satisfied with the way in which I am treated at the library. In generai, I am satisfied with library support for my learning, research, and/or tea­ ching needs. How would you rate the overail quaiity of the service provided by the library? In/ormation Literacy Outcomes Questions The library helps me stay abreast of developments in my field(s) of interest. The library aids my advancement in my academic discipline. The library enables me to be more efficient in my academic pursuits. The library helps me distinguish between trustworthy and untrustworthy information. The library provides me with the information skills I need in my work or study. Fonte:

ARL, Texas

A&M

La

University (2004 ).

customer satisfoction

7 ·4

nelle amministrazioni pubbliche

Il 24 marzo 2004 è stata emanata una direttiva del Dipartimento della Funzio­ ne pubblica sulla Rilevazione della qualità percepita dai cittadini 4 . La direttiva va salutata positivamente, perché favorisce un tardivo ma indispensabile ade­ guamento della cultura organizzativa e delle politiche gestionali della nostra pubblica amministrazione all'esigenza di «conoscere e comprendere sempre

4· Il testo si può leggere all'indirizzo .

7 . LA S ODDISFAZIO:-JE DEGLI L'TENTI I:-J BIBLIOTECA

meglio i bisogni dei destinatari ultimi delle proprie attività e riprogettare, di conseguenza, sia le politiche pubbliche che il sistema di erogazione dei servi­ zi». La direttiva insiste molto sul nesso rilevazioni/interventi di miglioramento, sottolinea la necessità di svolgere periodicamente le indagini e di diffonderne i risultati, coglie il valore della customer satis/action nell'individuazione degli scarti fra: - bisogni del cittadino e punti di vista dell'amministrazione; attese del cittadino e livelli di servizio definiti; - livelli di servizio definiti e promessi e prestazioni effettivamente fornite; - prestazioni effettivamente erogate e percezione del cittadino. A corredo della direttiva, e nell'ambito del programma "Cantieri ", il Di­ partimento della Funzione pubblica ha pubblicato anche un manuale operati­ vo (Tanese, Negro, Gramigna, 2 003 ) , molto puntuale e preciso riguardo alla definizione della customer satis/action nelle amministrazioni pubbliche, alle in­ dicazioni gestionali e metodologiche, all'illustrazione dei vantaggi (scelta delle priorità, verifiche di efficacia) derivanti dalle indagini in questo campo, che possono: rappresentare ed evidenziare i bisogni e le attese dei cittadini/imprese; - favorire la comprensione dei bisogni latenti; aiutare a cogliere idee, spunti, suggerimenti; - facilitare il superamento dei vincoli interni; supportare la verifica e la comprensione dell'efficacia delle politiche; aiutare a definire in modo strategico nuovi pacchetti di servizi o interventi di miglioramento su pacchetti già esistenti; aiutare a definire il livello di coinvolgimento e partecipazione al servizio da parte dell'utente-cliente; aiutare a dimensionare le caratteristiche tecniche del servizio rendendolo a misura di utente-cliente (ivi, pp. 20- I ) . Peccato che gli indicatori di soddisfazione concernenti le biblioteche siano stati scelti in maniera piuttosto generica e approssimativa. A ogni modo, oltre un centinaio di enti (amministrazione centrale, amministrazioni locali, aziende sanitarie ecc.) ha potuto avviare attività "controllate" di rilevazione della qua­ lità percepita. Più di recente è uscito un secondo volume, che documenta que­ ste esperienze e ne ricava interessanti elementi di riflessione (Gramigna, 2005 ) . Il 2 7 luglio 2005 il Dipartimento per l'innovazione e le tecnologie, di con­ certo con la Funzione pubblica, ha emanato un'altra direttiva, stavolta su Qua­ lità dei servizi online e misurazione della soddisfazione degli utenti 5 • Per quan­ to riguarda le metodologie di misurazione da adottare, questa seconda diretti-

5· Il testo si legge all'indirizzo .

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

va si limita a segnalare l'opportunità d'integrare, per le rilevazioni, tre diverse modalità di monitoraggio: - una modalità diretta, attuata attraverso un questionario su Web o via te­ lefonica; - una modalità indiretta, fondata su informazioni acquisite tramite posta elettronica e altre forme di contatto; - una modalità "tecnica" , basata sull'analisi dei comportamenti di naviga­ zione.

Le indagini sulla

7 ·5

customer satisfaction

in biblioteca

La biblioteca può ricavare informazioni sulla soddisfazione dei clienti/utenti da diverse fonti, dirette o indirette, formali o informali, orali o scritte, in pre­ senza o a distanza ecc. Alcune hanno owiamente solo una funzione di primo orientamento, propedeutica a rilevazioni più approfondite; queste ultime tro­ vano nella somministrazione di questionari lo strumento maggiormente diffu­ so. Nel riquadro 7 . 3 sono riportate, e brevemente descritte, le principali mo­ dalità di strutturazione del sistema informativo necessario alla conoscenza e alla gestione della customer satisfaction (Di Domenico, Roseo, 1 998, p. r r 3 ) . Si tratta di: - awicinarsi maggiormente ai clienti/utenti, quindi capire quali sono i loro bisogni, i desideri, le preferenze, le priorità; - verggicare se gli sforzi prodotti per migliorare il livello qualitativo dei ser­ vizi siano in qualche modo percepiti e apprezzati dai destinatari; sollecitare suggerimenti, in buona sostanza, valorizzare il cliente/utente come risorsa per il cambiamento; misurare i punti di forza e i punti di debolezza del servizio; - confrontare il livello di autopercezione della biblioteca con il livello reale di soddisfazione espresso dai clienti/utenti; - evitare deprecabili errori gestionali, come quello di pensare che la custo­ mer satis/action sia una variabile secondaria del servizio, oppure quello di af­ fidarsi all'intuito o a semplici supposizioni circa il livello di gradimento ri­ scosso. Una strategia di customer satis/action va però proiettata anche su tempi medio/lunghi. In una realtà per molti aspetti competitiva come si presenta quella in cui operano oggi le biblioteche, occorre saper trasformare la soddi­ sfazione momentanea dei clienti/utenti in fedeltà duratura, attraverso attività di "Customer Relationship Management " 6 e in particolare attraverso la co­ struzione di un sistema integrato di ascolto dei clienti/utenti, che sfrutti in 6. Il " Customer Relationship Management" (cRM) è una strategia coerente, realizzata attra­ verso l'integrazione di più strumenti gestionali e più fonti di conoscenza, per capire a fondo i clienti e soddisfare le loro esigenze, costruire e alimentare relazioni durevoli e reciprocamente

7 . LA S ODDISFAZIO:-JE DEGLI L'TENTI I:-J BIBLIOTECA

modo intelligente e diversificato più modalità e canali di contatto, sia attivi sia passivi. Si tratta di progettare e far vivere una vera e propria architettura delle informazioni sull'utente, riguardante la storia delle sue transazioni con la bi­ blioteca, i suoi bisogni (di lettura, di studio, di ricerca) il livello individuale di soddisfazione, le sue opzioni, il comportamento d'uso dei servizi, i suoi sugge­ rimenti, i suoi reclami, le motivazioni di un eventuale abbandono. È indispen­ sabile, a tal fine, utilizzare le indagini di customer satis/action anche per acqui­ sire giudizi di valore sulla funzione della biblioteca, dati che segnalino la pro­ pensione alla fedeltà (volontà di servirsi nuovamente della biblioteca, passapa­ rola favorevole nei confronti del servizio) 7, elementi informativi sul grado di condivisione che gli obiettivi e i progetti della biblioteca riscuotono fra i clien­ ti/utenti. In tal modo si potrà integrare l'analisi "puntuale" della soddisfazione (quella relativa ai servizi così come sono) con la progettazione della customer satis/action futura (Di Domenico, 2002 , pp. 87-97). Le indagini sulla customer satis/action si articolano a loro volta in fasi, come suggerisce il citato manuale della Funzione pubblica, che ne elenca quattro (Tanese, Negro, Gramigna, 2 003 , p. 3 r ) : r . preparazione della rilevazione; 2. raccolta dei dati; 3. elaborazione e interpretazione dei dati; 4- presentazione e utilizzo dei risultati. Nella prima fase si definiscono l'ambito dell'indagine, gli obiettivi, le ri­ sorse da impiegare e si realizza una preindagine esplorativa. Nella seconda fase si acquisiscono tutte le informazioni preliminari utili a individuare i fattori della soddisfazione; si preparano gli strumenti e le modali­ tà di rilevazione; si effettua il lavoro di campionatura; si somministrano i que­ stionari predisposti, con modalità incoraggianti, chiare e obiettive. Nella terza fase si elaborano e interpretano i dati, enucleando livelli di soddisfazione, graduatorie per importanza, aree di particolare insoddisfazione, punti forti e criticità del servizio ecc. Nella quarta fase si presentano e utilizzano i risultati, con lo scopo di defi­ nire gli interventi migliorativi, allocare le responsabilità di miglioramento, svi­ luppare l'orientamento al cliente/utente in tutta l'organizzazione, soddisfare le aspettative di servizio. Trascorso il tempo necessario a stabilizzare gli interventi di riequilibrio, si provvederà, con nuove verifiche sul campo, a revisionare e a controllare i ri­ sultati conseguiti.

profittevoli con ciascun cliente, valutare e migliorare la performance organizzativa in un ambien­ te competitivo. 7. Si passa poi all'effettuazione di periodiche indagini quantitative, che servono a misurare l'indice d'incidenza nel tempo di quelle stesse determinanti.

153

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E Q U ESTIONI

L'attuazione dell'indagine dovrà essere supportata da forme efficaci di co­ municazione interna ed esterna, in grado di generare conoscenza e condivisio­ ne dell'iniziativa. RIQUADRO 7. 3 Le fonti della customer satis/action Fonti

Descrizione

Informazioni raccolte dal personale

Annotazioni di particolari situazioni ed esperienze di contatto (agli sportelli, negli uffici, negli scambi di posta elettronica) ; " in­ cidenti critici" ; osservazione dei comportamenti dei clienti/utenti (uso delle risorse e degli spazi; modo di comunicare con il perso­ nale ecc.).

Reclami, suggerimenti

Osservazioni dei clienti/utenti registrate in modo formale (me­ diante la compilazione di apposita modulistica, disponibile anche online) o informalmente acquisite (nel corso di colloqui, di tran­ sazioni di servizio, di scambi e-mail) .

Interviste in profondità

Colloqui diretti con dirigenti, unità di personale, singoli clienti/ utenti, condotti da un intervistatore esperto. Precedono una rac­ colta strutturata di dati e sono finalizzati alla corretta individua­ zione delle aree, delle problematiche, dei fattori di soddisfazione da sottoporre a indagine.

Gruppi di discussione

Confronto con un gruppo di utenti o di operatori (6-8 persone) su singoli temi, su di una serie omogenea di problemi o sul servi­ zio nel suo complesso. Dalla discussione e dalle dinamiche di gruppo possono emergere criticità del servizio e ipotesi di mi­ glioramento dell'offerta e delle modalità di erogazione, da verifi­ care ulteriormente con un'indagine strutturata.

Forum

Spazio Web a disposizione dei clienti/utenti della biblioteca, per­ ché possano discutere di argomenti di comune interesse. "Topic" e " post" segnaleranno criticità, meriti, evoluzione del servizio.

Documenti prodotti da associazioni o gruppi di clienti/utenti

Contributi critici provenienti da particolari categorie di stake­

sholders.

Fonti esterne

Riferimenti alla biblioteca in articoli, studi di settore, liste di di­ scussione, blog ecc.

Interviste personali

Tecnica di rilevazione basata su colloqui diretti con un campione di clienti/utenti. L'intervistatore si serve di un questionario strut­ turato, ma lascia spazio ad approfondimenti di temi verso i quali l'intervistato si mostri particolarmente sensibile. Vantaggi princi­ pali: basso rischio di fraintendimenti, clima collaborativo. Svan­ taggi principali: rischio di influenzare le risposte, costi tenden­ zialmente elevati, tempi lunghi.

Interviste telefoniche

Tecnica di rilevazione basata su contatti telefonici con un cam­ pione di clienti/utenti. L'intervistatore si serve di un questionario strutturato. Vantaggi principali: tempi brevi, costi tendenzialmen­ te contenuti. Svantaggi principali: rischi di rifiuto o di risposte

154

7 . LA S ODDISFAZIONE DEGLI L'TENTI IN BIBLIOTECA

" sbrigative", vincoli nella predisposizione e formulazione delle domande, che devono essere poche e veloci. Interviste postali

Invio di un questionario a un campione di clienti/utenti, al quale si chiede di compilarlo e di restituirlo utilizzando una busta pre­ affrancata. Vantaggi principali: autocompilazione, risposte " me­ ditate", costi tendenzialmente contenuti. Svantaggi principali: ri­ schio di fraintendimenti e di un tasso di ritorno basso, incertez­ za circa l'identità e la rappresentatività dei rispondenti, tempi lunghi.

Interviste via Web

Pubblicazione di un questionario nel sito della biblioteca. Van­ taggi principali: autocompilazione, costi bassi, tempi brevi, rispo­ ste "meditate". Svantaggi principali: nessuna campionatura, ri­ schio di fraintendimenti e di un tasso di ritorno basso, incertezza circa l'identità e la rappresentatività dei rispondenti.

Indagini in sede

Distribuzione di un questionario ai clienti/utenti presenti in bi­ blioteca durante una settimana campione. Vantaggi principali: au­ tocompilazione, costi tendenzialmente bassi, tempi brevi. Svantag­ gi principali: rischio di risposte "sbrigative" e di fraintendimenti.

Appendice Esempio di questionario per le indagini in sede

In questo paragrafo ci si propone di fornire ai lettori un modello, fra i tanti possibili, per la strutturazione di un questionario di valutazione del grado di soddisfazione dei clienti/utenti. Si tratta, inevitabilmente, di suggerimenti di carattere generale, da adeguare in sede applicativa alle caratteristiche delle sin­ gole biblioteche 8•

Criteri delle tecniche di raccolta dei giudizi. Le tecniche di raccolta dei giudizi dovrebbero rispondere ad alcuni requisiti: attendibilità: le tecniche dovrebbero proporre, a parità di estensione del­ l'indagine, risultati confrontabili e coerenti; validità: dovrebbero misurare effettivamente ciò che la biblioteca vorrebbe misurare; - precisione: dovrebbero essere realmente in grado di segnalare eventuali no­ vità nei giudizi dei clienti/utenti; semplicità: dovrebbero tendenzialmente richiedere "normali" capacità di ri­ levamento, di calcolo e di interpretazione dei dati; costo: dovrebbero avere costi sostenibili.

8. Il modello, in seguito sottoposto a perfezionamenti, è stato testato, con la preziosa colla­ borazione di bibliotecari e studenti, nel corso di due indagini di user, customer satis/action, orga­ nizzate rispettivamente dal Servizio provinciale biblioteche di Belluno nel 2004 e dalla Sezione Marche dell'AIB nel 2005 .

155

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

Campionatura. L'ampiezza del campione varia in rapporto alla numerosità del­ la popolazione investigata, alla sua eterogeneità, al margine accettabile di erro­ re di campionamento, al livello di certezza (Tanese, Negro, Gramigna, 2003 , pp. 6 I -6) . Per quanto riguarda il rapporto tra dimensione della popolazione ( univer­ so = N) e dimensione del campione (n), è evidente che anche la seconda deve aumentare se aumenta la prima. Tuttavia, aumento o diminuzione del campio­ ne sono meno che proporzionali rispetto all'aumento o diminuzione dell'uni­ verso. Un alto grado di eterogeneità dell'universo di riferimento (per esempio, le diverse fasce d'età considerate) impone poi di utilizzare un campione piutto­ sto ampio. Si usa come indicatore la cosiddetta "varianza" , che considera la dispersione dei valori rispetto alla media. La varianza è pari al quadrato di una particolare misura, denominata in statistica "deviazione standard" (s) . La deviazione standard si calcola sottraendo dapprima il valore minimo dal valore massimo della scala utilizzata per l'indagine: usando una scala di soddisfazione che va da I (insoddisfacente) a 4 (molto soddisfacente) , si avrà 4 - I = 3 · Si divide poi per 2 il risultato: 3/2 = I ,5. Di conseguenza, la varianza è pari a 2,25 ( I ,5 al quadrato) . Relativamente al margine di errore (e) è intuibile che il risultato di un'indagine svolta su di un campione non corrisponderà perfettamente al valore dell'universo; il problema è, allora, concedersi un margine di errore accettabile. Ci si può posizionare su di un margine di ± o, I 5 punti (della scala di soddisfazione I -4 ) . Per esempio, se la media della soddisfazione ri­ guardante una voce del questionario sarà 2 , 3 , potremo affermare che nell'u­ niverso di riferimento la soddisfazione per quella stessa voce è compresa tra 2 , I 5 e 2 ,45 . Infine, il livello di certezza (k) riflette le probabilità che il risultato della rilevazione sia corretto. Nel caso delle indagini di customer satis/action si usa­ no per il calcolo del campione valori corrispondenti a livelli di certezza del 95 o/o (k = I ,96) . Ciò significa che vi sono 95 probabilità su Ioo che le stime siano corrette. Procedimento: n

N x k2 x s2 (N - I ) x e2

+

k2 x s2

Le domande. Il questionario si struttura prevalentemente per domande "chiu­ se" (secondo necessità, a risposta singola o multipla) con l'intento di sfruttare due vantaggi: la velocità di compilazione e la facilità di elaborazione dei dati. In alcuni casi, è tuttavia opportuno inserire variabili "semichiuse" (in partico­ lare, la presenza della risposta libera "altro" ) e aperte. Le modalità semichiuse permettono di ovviare alla difficoltà di prevedere l'intero ventaglio possibile di

7 . LA S ODDISFAZIO:-JE DEGLI L'TENTI I:-J BIBLIOTECA

risposte concernenti particolari argomenti; le modalità aperte permettono di garantire agli utenti una certa sensibilità e attenzione per il loro libero con­ tributo all'indagine (ivi, pp. 5 6-7) .

La nota introduttiva e lo stile redazionale. La nota introduttiva illustra le fi­ nalità dell'indagine e incoraggia la partecipazione degli utent i. Lo stile e i contenuti della comunicazione hanno grande importanza. Il testo deve risul­ tare: - breve ( al fine di rispettare il tempo dei clienti/utenti e di assicurarsi una certa rapidità d'impatto) ; - chiaro (in modo che non sorgano equivoci sugli obiettivi dell'indagine) ; rassicurante («il tempo necessario per la compilazione è limitato», «rispet­ tiamo la privacy» ecc.: occorre tenere bassa la soglia d'incertezza) ; incoraggiante (si tratta di suscitare l'interesse del cliente/utente, di coinvol­ gerlo e di evidenziare i vantaggi dell'iniziativa "per lui"); - cortese (l'impronta da dare è quella, diciamo così, dell'amichevolezza "ri­ spettosa" , evitando sia l'uso del «tu», tipico della comunicazione pubblicitaria e televisiva, sia uno stile esageratamente freddo e distaccato); - coerente (l'indagine è, in qualche modo, a sua volta "servizio" . Lo stile di comunicazione, per esempio attraverso l'uso del «noi», deve riuscire a veicola­ re anche questa componente "identitaria" dell'indagine); - obiettivo (riguardo alle possibilità di risposta alle domande del questiona­ rio: il testo non deve in alcun modo influenzare l'orientamento dei rispon­ denti) ; - ben strutturato (le diverse aree del questionario devono risultare visibili; le domande devono essere numerate) . Questi stessi criteri caratterizzeranno l'intera redazione del questionario: le domande non devono prestarsi a fraintendimenti e devono essere poste in ter­ mini assolutamente neutri rispetto ai contenuti. Le domande più semplici saranno collocate in testa al questionario per fa­ vorire un avvio " sciolto" della compilazione. Un'esigenza analoga consiglia di alleggerire il lavoro dei rispondenti nella parte finale del questionario stesso. I. Domande di classificazione. Nell'area r figureranno domande d'inte­ resse statistico, indispensabili per aggregare i risultati (percentuali) in ragione di diversi punti di vista e/o necessità di segmentazione per tipologie di utenti. La biblioteca potrà scegliere, a parte l'elaborazione generale dei dati, anche di aggregare e valutare i risultati in funzione di peculiari esigenze di analisi delle variabili (i giovani, le donne, gli anziani ecc., oppure gli studenti del primo anno, i laureandi, i ricercatori, i professori ecc. ) . Eventuali criteri: sesso; - età; - titolo di studio;

L}area

I 57

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

-

professione o qualifica; provenienza; nazionalità.

2. Frequenza d'uso, motivo e orario. Le domande dell'area 2 punteran­ no ad acquisire informazioni di tre tipi: - continuità di rapporto degli utenti con la biblioteca: propensione al ritor­ no, intensità della domanda, ricambio, frequenza ecc.; motivo prevalente di utilizzo; - orario d'uso dei servizi: quando preferiscono venire in biblioteca, se ne ap­ prezzano l'orario, quale soluzione auspicano per l'ampliamento dell'orario stesso. Nel suo complesso l'area 2 rifletterà, attraverso il calcolo delle percentuali, un interesse di ricerca per i comportamenti e le abitudini degli utenti. Ciò, in vista dell'attivazione di strategie volte a orientare meglio la domanda di servi­ zio o a potenziare alcune linee di attività ( valorizzazione di servizi trascurati, migliore distribuzione dell'orario di apertura durante la settimana, ampliamen­ to "mirato" dell'orario, consolidamento del rapporto con gli utenti ecc. ) . Nel riquadro 7 ·4 figura un esempio di domanda.

L'area

RIQUADRO 7 ·4

Esempio di domanda riguardante l'orario di servizio

Come giudica l'orario attuale della nostra biblioteca? (Segnare, per favore, con una crocetta) lnsoddisfacente

[ ]

Poco soddisfacente

[ ]

Soddisfacente

[ ]

Molto soddisfacente

[ ]

Non so

[ ]

3· Importanza dei singoli elementi di un servizio bibliotecario. L'area 3 riguarderà gli aspetti di presentazione, organizzazione e comunicazione del servizio (volutamente mescolati a elementi di contenuto: per esempio, ricchez­ za delle raccolte, disponibilità di postazioni Internet) . Il rispondente sarà chia­ mato a riflettere sulle proprie priorità (indipendentemente - attenzione ! - dal funzionamento della biblioteca oggetto dell'indagine) . Il risultato (una gradua­ toria) dirà cosa è più importante per gli utenti in un servizio bibliotecario. Nel riquadro 7·5 si riporta un esempio di presentazione di quest'area con otto, ipotetiche voci.

L'area

7 . LA S ODDISFAZIONE DEGLI L'TENTI IN BIBLIOTECA

RIQUADRO 7 ·5

Importanza dei singoli elementi di un servizio bibliotecario Vorremmo sapere quali tra i seguenti otto elementi dei servizi delle biblioteche (pub­ bliche) reputa più importanti, indipendentemente dal modo in cui essi sono gestiti nella nostra biblioteca 9 • La preghiamo di disporre gli otto elementi in graduatoria, assegnando 1 alla voce che ritiene più importante, 2 alla seconda, 3 alla terza e così via, fino a 8 . Non c i sono risposte giuste o sbagliate: ci interessa solo appurare ciò che ritiene importante in un servizio di biblioteca. Ambienti, spazi e arredi Personale Ricchezza delle raccolte Comunicazione Organizzazione del servizio Varietà dei servizi Disponibilità di postazioni Internet Accessibilità delle raccolte

Sommati per ciascuna voce i valori attribuiti dai rispondenti, si collocherà al primo posto della graduatoria la voce che avrà ottenuto il punteggio più basso e a seguire le altre. I risultati (voce per voce) saranno incrociati con gli esiti delle domande dell'area 6.

L}area 4· Uso e valutazione di alcuni servizi. Nell'area 4 saranno sul tappeto servizi, raccolte e attività/eventi culturali e promozionali della biblioteca. Ap­ pureremo se i rispondenti li usano, li frequentano e in che misura li apprezza­ no. Sui punti deboli si potranno poi condurre indagini più mirate. Avremo provveduto, in via preliminare, a individuare i servizi erogati dalla biblioteca e a denominarli in modo da renderne agevole l'identificazione per gli utenti. Useremo "domande filtro " : selezioneremo cioè i rispondenti in base al criterio dell'uso dei servizi, prima di arrivare a formulare quesiti che tendono ad ac-

9· Sarà opportuno redigere una nota d'ambito per ciascuna voce, al fine di aiutare i rispondenti a "pesare" al meglio le diverse componenti del servizio. Per esempio, nel caso della voce "Comunicazio­ ne" potrebbero essere evidenziati i seguenti aspetti: chiarezza e tempestività delle informazioni, coin­ volgimento degli utenti nelle scelte e nelle iniziative, segnaletica, gestione corretta dei reclami.

I59

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

certare, con il calcolo delle percentuali, come cambiano nel tempo i livelli di soddisfazione (cfr. esempio nel riquadro 7.6). RIQUADRO 7.6

Uso e valutazione di alcuni servizi della biblioteca Riportiamo di seguito un elenco di alcuni nostri servizi. Le chiediamo di segnalarci, con una crocetta, se li ha usati almeno tre volte nell'ultimo semestre. Solo se ha rispo­ sto affermativamente a questa prima domanda, le chiediamo anche di segnalarci le sue impressioni circa il miglioramento o il peggioramento nel tempo dei servizi stessi. Non ci sono risposte giuste o sbagliate: ci interessa solo un giudizio che esprima al meglio le sue impressioni. Servizi

Usato almeno 3 volte nell'ultimo semestre

Peggiorato

Invariato

Migliorato

Non so

Sala di lettura

[sì] [no]

[]

[ ]

[]

[]

Prestito

[sì] [no ]

[]

[ ]

[]

[]

Ricerche bibliografiche

[sì] [no]

[]

[]

[]

[]

Catalogo elettronico

[sì] [no]

[]

[ ]

[]

[]

Sito Web

[sì] [no]

[ ]

[ ]

[ ]

[]

Banche dati

[sì] [no]

[]

[ ]

[]

[]

Seguiranno due domande a risposta libera (cfr. riquadro 7 . 7 ) , con le quali si potranno da un lato circoscrivere le maggiori criticità e dall'altro portare alla luce i risultati migliori. In entrambi i casi, occorrerà classificare le risposte se­ condo uno schema prestabilito, rispettando un criterio sistematico d'individua­ zione delle loro caratteristiche comuni (cfr. riquadro 7 . 8 ) . RIQUADRO 7 · 7

Uso e valutazione d i alcuni servizi della biblioteca (domande a risposta libera)

Se trova uno dei suddetti servizi molto peggiorato, può spiegarci brevemente perché?

r 6o

7 . LA S ODDISFAZIO:-JE DEGLI L'TENTI I:-1 BIBLIOTECA

Se trova uno dei suddetti servizi molto migliorato, può spiegarci brevemente perché?

RIQUADRO 7 . 8

Uso e valutazione di alcuni servizi della biblioteca (classificazione risposte libere) A

utilità del servizio

B

organizzazione del servizio (rapidità, fruibilità ecc.)

C

competenza/capacità del personale

D

altro

Una specifica domanda (cfr. esempio nel riquadro 7 . 9 ) mirerà a riscon­ trare la propensione degli utenti al passaparola favorevole nei confronti della biblioteca nel suo insieme: la presenza di tale propensione da una parte indica un buon grado di fedeltà alla struttura (un rapporto in qual­ che modo consolidato) , dall'altra permette di verificare se l'immagine della biblioteca (l'impressione complessiva che essa suscita) riflette una buona reputazione. RIQUADRO 7 ·9

Esempio di domanda sulla propensione al passaparola

Le è capitato di suggerire ad altre persone (familiari, amici, colleghi ecc.) [sì]

[no]

5· Valutazione degli aspetti re/azionali del servizio. Gli aspetti relazio­ nali e immateriali del servizio fanno emergere soprattutto caratteristiche di forte intersoggettività, con un loro riconoscibile portato comunicativo, emo­ tivo, affettivo, etico. Nel riquadro 7. ro sono elencate le voci che possono aiutarci a valutare questa fondamentale componente della soddisfazione de­ gli utenti.

L'area

r6r

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

RIQUADRO 7 . 1 0

Valutazione degli aspetti relazionali del servizio Vorremmo sapere qual è il suo attuale livello di soddisfazione a proposito dei seguenti sette elementi, riguardanti lo stile di servizio del nostro staff. La preghiamo di valutare ciascuna voce con una crocetta. Non ci sono risposte giuste o sbagliate: ci interessa solo un giudizio che esprima al meglio la sua soddisfazione. lnsoddisfacente

Poco soddisfacente

Soddisfacente

Molto soddisfacente

Non so

Competenza professionale

[ ]

[]

[ ]

[]

[ ]

Cortesia

[ ]

[]

[ ]

[]

[ ]

Affidabilità

[ ]

[]

[ ]

[]

[ ]

Tempestività nel fornire il servizio

[ ]

[]

[ ]

[]

[]

Capacità di fornire informazioni chiare

[ ]

[]

[ ]

[]

[ ]

Disponibilità a prestare attenzione a ogni singolo utente

[ ]

[]

[ ]

[]

[ ]

Capacità di ascolto dei suggerimenti e dei reclami

[ ]

[]

[ ]

[]

[ ]

In sede di elaborazione dei dati, si assegnano i seguenti punteggi alle risposte: I insoddisfacente; poco soddisfacente; 2 soddisfacente; 3 molto soddisfacente; 4 non so. o Si calcolano poi i valori medi voce per voce (somma dei punteggi/rispon­ denti) e su questa base si crea una graduatoria, collocando al primo posto la voce con il valore medio più alto e a seguire le altre.

L'area 6. Valutazione dei singoli elementi di servizio della biblioteca sottoposta a indagine. Le domande dell'area 6 servono a misurare il grado di soddisfazio­ ne dei rispondenti relativamente alla visibilità e alla qualità degli elementi già presenti nell'area 3· Stavolta è in gioco l'attività della biblioteca oggetto d'in­ dagine (cfr. ad esempio il riquadro 7. n ) .

1 62

7 . LA S ODDISFAZIONE DEGLI L'TENTI IN BIBLIOTECA

RIQUADRO 7 . I I

Valutazione dei singoli elementi di servizio della biblioteca Vorremmo sapere qual è il suo attuale livello di soddisfazione riguardo alla visibilità e alla qualità dei seguenti otto elementi del nostro servizio La preghiamo di valutare ciascuna voce con una crocetta. Non ci sono risposte giuste o sbagliate: ci interessa solo un giudizio che esprima al meglio la sua soddisfazione. 10•

lnsoddisfacente

Organizzazione del servizio Ricchezza delle raccolte Ambienti, spazi e arredi Accessibilità delle raccolte Disponibilità di postazioni Internet Comunicazione Personale Varietà dei servizi

[ [ [ [ [

] ] ] ] ]

[ ] [ ] [ ]

Poco soddisfacente

[ [ [ [ [

Soddisfacente

] ] ] ] ]

[ [ [ [ [

] ] ] ] ]

[ ] [ ] [ ]

[] [] []

Molto soddisfacente

[ [ [ [ [

Non so

] ] ] ] ]

[ [ [ [ [

[ ] [] [ ]

] ] ] ] ]

[ ] [] [ ]

Per l'elaborazione dei dati, si usa lo stesso criterio già descritto per l'area 5 . Si procede, successivamente, al confronto tra graduatoria d'importanza (area 3) e graduatoria della soddisfazione (area 6), come nel virtuale esempio del riquadro 7. I 2 . RIQUADRO 7 . I 2

Confronto graduatorie aree 3 e 6

Ambienti, spazi e arredi Personale Ricchezza delle raccolte Comunicazione Organizzazione del servizio Varietà dei servizi Disponibilità di postazioni Internet Accessibilità delle raccolte

Importanza

Soddisfazione

5

3

2

7 6 3 8 4

7 6 4 2

8 5

La maggiore o minore estensione della forbice tra "importanza" e "soddisfa­ zione" segnalerà i punti critici del servizio. I giudizi d'importanza/soddisfazio­ ne danno infatti luogo ad almeno quattro combinazioni principali: Io. Anche qui, come nel caso dell'area 3, sarà opportuno corredare ciascuna voce di una nota d'ambito.

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

importanza bassa/soddisfazione bassa: sono voci di servizio che richiedono interventi migliorativi. Tuttavia, nella relativa scala di priorità esse non occu­ peranno i primissimi posti; importanza bassa/soddisfazione alta: per questi elementi di servizio non sembrano necessari nell'immediato significativi cambiamenti. Il basso giudizio d'importanza segnala però che non sono questi i fattori su cui puntare per ottenere elevati livelli di soddisfazione complessiva; - importanza alta/soddisfazione bassa: la combinazione evidenzia le autenti­ che aree di crisi del servizio, per le quali è necessario pianificare i primi inter­ venti di riequilibrio; - importanza alta/soddisfazione alta: la combinazione segnala i veri punti di forza del servizio, per i quali ci si preoccuperà di conservare e consolidare i livelli di erogazione raggiunti. Per esempio, se una voce, in virtù del punteggio globale ottenuto, compa­ rirà al primo posto nella graduatoria d'importanza e al settimo posto nella graduatoria della soddisfazione (è il caso della voce " ricchezza delle raccolte" nell'esempio del riquadro 7. I 2 ) , ci troveremo di fronte a una combinazione del tipo importanza alta/soddisfazione bassa. Criteri differenti di attribuzione del punteggio, una qualche distanza "fisi­ ca" tra le due aree (collocate in zone non contigue del questionario) e un di­ verso ordinamento della sequenza delle voci sono altrettanti, piccoli accorgi­ menti tesi a contenere il rischio che il rispondente faccia confusione tra i due aspetti (giudizio di importanza e giudizio di soddisfazione) o che egli appiatti­ sca le valutazioni espresse nell'area 6 sulle scelte effettuate per l'area 3 . Il questionario proporrà anche una domanda "secca" riguardante la soddi­ sfazione complessiva (cfr. riquadro 7 . I 3 ) , di cui si potrà quindi ottenere il va­ lore medio. È possibile anche calcolare l'indice di correlazione tra soddisfazio­ ne espressa per le singole voci e soddisfazione complessiva: Owiamente, il voto generale di soddisfazione, espresso alla fine, non è rappresentativo dell'universo degli utilizzatori, in quanto viene raccolto dopo una riflessione stimolata dettagliatamente sui singoli parametri della qualità. Risulta però utile per correlare il punteggio di ogni dimensione della qualità con quella della soddisfazione complessiva. L'entità della correlazione fra ciascun parametro e la soddisfazione generale degli utenti riflette l'importanza e il contributo di ciascuna dimensione della qualità nel rag­ giungere un buon livello di soddisfazione complessiva. Tanto più elevato è l'indice di correlazione, tanto più quel determinato parametro è importante per soddisfare i clienti (Tanese, Negro, Gramigna, 2003 , p. 4 2 ) . L a relazione è attendibile quando l'indice d i correlazione s i avvtcma a + I (correlazione positiva: se un valore cresce, cresce regolarmente anche l'altro) oppure a I (correlazione negativa: se un valore cresce, l'altro regolarmente decresce) . Un valore prossimo allo zero indica la mancanza di collegamento tra le due variabili. È possibile calcolare l'indice di correlazione usando un'ap­ posita funzione di Excel. -

7 . LA S ODDISFAZIONE DEGLI L'TENTI IN BIBLIOTECA

RIQUADRO 7. I 3 Valutazione complessiva del servizio

In definitiva, qual è il suo attuale livello complessivo di soddisfazione per il nostro ser­ vizio? (Segnare, per favore, con una crocetta) lnsoddisfacente

[ ]

Poco soddisfacente

[ ]

Soddisfacente

[ ]

Molto soddisfacente

[ ]

Non so

[ ]

7. Condivisione degli obiettivi di miglioramento. Con l'area 7 si tratterà di valutare la sensibilità degli utenti per l'innovazione organizzativa e di servi­ zio (ampliamento dell'orario, carta dei servizi ecc.) e tecnologica (Web, mul­ timedia) . Elencheremo ipotetici progetti per l'immediato futuro. Sarà interessante capire com'è orientata la domanda di servizio e quali iniziative prendere per la promozione dei progetti innovativi. Nel riquadro 7 .14 figura un esempio con cinque progetti. Il sistema di calcolo è il medesimo previsto per l'area 3

L'area

I l.

RIQUADRO 7 · I 4

Condivisione degli obiettivi di miglioramento Le segnaliamo cinque nostri progetti. La preghiamo di disporli in graduatoria, assegnan­ do I al progetto che ritiene più urgente, 2 al secondo, 3 al terzo e così via, fino a 5 · Strumento d i tutela dei diritti degli utenti (carta dei servizi) Ampliamento dell'orario Consulenza bibliografica via Internet Digitalizzazione dei fondi storici Allestimento di una sezione multimediale

I I. Al fine di meglio evidenziare le distanze in graduatoria, si può anche adottare una scala di punteggio come questa: Priorità I = Io punti; Priorità 2 = 8 punti; Priorità 3 = 5 punti; Priorità 4 = 2 punti; Priorità 5 = o punti.

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI 8 . Suggerimenti. L'area 8 lascerà ai rispondenti la possibilità di espri­ mersi liberamente con suggerimenti e osservazioni (cfr. riquadro 7. 1 5 ) . Anche per quest'area si propone uno schema per la classificazione delle risposte (cfr. riquadro 7. r 6) .

L}area

RIQUADRO 7 . 1 5

Suggerimenti

Desidera esprimere altri suggerimentz: oppure osservazionz: per il miglioramento del no­ stro servizio?

RIQUADRO 7 . I 6

Suggerimenti (esempio di classificazione delle risposte) A B C D E F

G H I

attivazione di nuovi servizi arricchimento/ampliamento di servizi già attivi cambiamento delle modalità di erogazione di servizi già attivi cambiamenti riguardanti lo stile e la qualità della comunicazione interventi riguardanti le attrezzature e l'uso delle tecnologie interventi riguardanti la sede e gli arredi interventi riguardanti il catalogo interventi riguardanti le raccolte altro

r66

8

La valorizzazione delle raccolte di Marielisa Rossi

8. 1

Definizioni

Al tema delle raccolte sono stati dedicati in questi ultimi anni alcuni contribu­ ti significativi della nostra letteratura professionale (Carotti, 1 997; Crasta, 1 9 9 1 ; Geretto, 1 99 1 ; Solimine, 1 999b) e non meno interessante e fecondo è stato il tentativo tassonomico compiuto per specificare e distinguere termini quali collezioni, fondo antico, raccolte storiche, il cui significato non è sinoni­ mico, in quanto dietro a queste diverse etichette lessicali non si cela un ogget­ to omogeneo (Rossi, 2 00 1 , cap. 1; Rossi, 2003 ; Calabri, Ricciardi, 2003 ; Del Bono, 2005 ) . Da questo breve preambolo appare chiaro che, sebbene «La de­ finizione di raccolta bibliotecaria si è [ . ] molto dilatata negli ultimi cento­ venticinque anni fino a comprendere almeno quattro livelli: documenti fisici posseduti localmente, documenti fisici posseduti da altre biblioteche ma di­ sponibili attraverso il prestito interbibliotecario; documenti elettronici che sono stati acquistati o per i quali è stato sottoscritto l'abbonamento; e docu­ menti elettronici gratuiti» (Gorman, 2003 , p. 4 1 ) , oggetto di questo contributo saranno le raccolte di documenti fisici posseduti localmente e in specie «quei nuclei che non rientrano nelle collezioni correnti che la biblioteca acquisisce, alimenta e gestisce per realizzare compiutamente la sua funzione di lettura, di studio, di supporto alla ricerca scientifica, a seconda della sua collocazione e delle sue caratteristiche» (Del Bono, 2005 , p. 76). In questo paragrafo introduttivo dall'intento definitorio è meno agevole peraltro dar conto del termine "valorizzazione" , poiché si desidera che la spie­ gazione non rispecchi solo il punto di vista meramente lessicale 1, ma, pur . .

1 . A questo proposito si riportano le definizioni contenute nel Dizionario enciclopedico ita­ xn, s.v.: «Valorizzare: mettere in valore conferire o accrescere valore a qualche cosa;

liano, vol.

valorizzare una merce, attribuirle un valore superiore al precedente»; e, ivi, s.v.: «Valorizzazione: messa in valore, conferimento di valore a qualche cosa. Nella pratica commerciale, attribuzione a una merce di un valore maggiore del precedente, in conseguenza della variazione del prezzo del mercato o per disposizioni legislative, o per esigenze amministrative».

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

molto sinteticamente, colga nel merito la questione al di là dell' epidermicità del dato linguistico. Letteralmente, "valorizzare" significa "conferire un valore aggiunto " , tutta­ via, è forse d'uopo precisare che, poiché il contesto di riferimento non è la sfera mercantile, ma il mondo delle istituzioni culturali, tale valore aggiunto non può essere estraneo alla vocazione e all'identità della biblioteca e deve essere coerente se non con la destinazione di uso originaria (collezionismo, professione, studio) 2, almeno con quella corretta del materiale, che, avendo assunto la fisionomia di "personalità museale" 3 , si trova a svolgere una fun­ zione di documentazione storico-culturale nella biblioteca che lo custodisce e della quale costituisce il patrimonio. 8.2

Il contesto bibliotecario italiano

Per molti anni nella riflessione e nella pratica sulle raccolte, in specie quelle antiche e/o le speciali, l'aspetto della fruizione (e conseguentemente quello della valorizzazione) è rimasto compresso, per lasciare spazio ai temi della loro tutela e conservazione a tal punto che non si è potuto fare a meno di condan­ nare, più a parole che coi fatti, !' "emarginazione museale" entro cui le colle­ zioni non correnti parevano essere state confinate (Serrai, I 994b, p. 2 I ) . Per calarci nello scenario italiano, le ragioni di ciò, a mio avviso, con si­ stono in difficoltà di natura storico-strutturale e di natura politica. Dobbiamo, infatti, ricordare che la nostra ossatura bibliotecaria si caratterizza per disomo­ geneità di composizione e di sviluppo e per una mancata distinta articolazione tipologica e funzionale; fattori, questi, che hanno fatto sì che le biblioteche, quasi tutte indistintamente, svolgano compiti e funzioni che soddisfano le esi­ genze di lettura, di prestito, di aggiornamento culturale, di conservazione, di conoscenza del patrimonio storico e, non ultimo, di accesso concreto al suo uso (cfr. Traniello, 2002 ) . I n una tale confusione di " ruolo" , per u n verso sono state «inevitabili le

2. I primi a chiarire la diversa dimensione bibliologica e culturale fra la biblioteca d'uso e la biblioteca antica, distinzione che poggia sul libro inteso come strumento immediato di comu­ nicazione, informazione, acculturazione e il libro inteso come documento, come fonte elementare sono stati Emanuele Casamassima e Luigi Crocetti (Casamassima, Crocetti, 1 98 1 ). Si veda inoltre Del Bono (2005 , p. 76): «Ancora più precisamente potremmo stabilire che un nucleo librario può essere definito speciale quando abbia mutato la propria originale funzione, generalmente assumendo una forte connotazione di documentazione storico-culturale e quando, proprio per sviluppare al massimo questa nuova funzione, abbia necessità di un trattamento diverso da quel­ lo consuetamente applicato alle collezioni correnti, o quando infine si profili come oggetto di studio di particolari categorie di utenti». 3· Per la definizione di "personalità museale" in riferimento alle testimonianze artistiche, culturali e della vita materiale del passato al di fuori del contesto e della destinazione d'uso originari cfr. Minissi ( 1992, p. 16).

I 68

8 . LA VALORIZZAZIONE DELLE RACCOLTE

disparità e le sperequazioni fra i paesaggi e gli itinerari mentali degli utenti ed i coacervi librari delle biblioteche» (ivi, p. 2 7), per un altro, gli stessi respon­ sabili delle raccolte, i bibliotecari, hanno dovuto affrontare una rete complessa e variegata di scelte, connesse anche con la conservazione e la trasmissione nel futuro del patrimonio culturale; sono stati chiamati a comprendere la vocazio­ ne della biblioteca, a progettare le proprie raccolte e ad allestire un sistema organizzativo per la loro gestione e nel contempo si sono trovati a riflettere sulla loro ambigua posizione professionale e ad attrezzarsi con una formazione parimenti adeguata a trattare sia gli aspetti materiali del documento, sia gli sviluppi tecnologici e l'introduzione delle nuove tecnologie in biblioteca. Non c'è dunque da meravigliarsi se solo da pochi anni concetti e temi come gestione delle raccolte, carta delle collezioni, stratificazione delle raccolte siano diventati oggetto degli studi biblioteconomici pubblicati nel nostro terri­ torio e dati per acquisiti dalla mentalità bibliotecaria italiana che ha messo a punto «procedure più attente e consapevoli per la realizzazione di una crescita qualitativa e di una gestione dinamica [delle raccolte] , ma anche inserendo tale attività all'interno di una prospettiva diacronica, in cui il presente non può prescindere da ciò che si è stratificato e sedimentato» (Del Bono, 2005 , p. 74, nota 3 ) . 8. J

La letteratura professionale

Sfogliando la scarsa letteratura italiana sull'argomento "valorizzazione" si nota che, vuoi negli studi, vuoi nelle varie occasioni convegnistiche, il termine figu­ ra sovente e congiuntamente al sostantivo "conservazione", in specie nel caso di trattamento di raccolte di documenti antichi (a stampa e manoscritti) 4 . Ma, si sa, i titoli talvolta possono essere ingannevoli e deludere le aspettative di contenuto. Infatti, per fare un esempio concreto, nel nostro territorio, sebbene si siano dedicati contributi specifici a singoli aspetti del trattamento delle rac­ colte, non si è prodotto niente che possa essere paragonato a due pubblicazio­ ni francesi, diverse per natura e obiettivo, che abbiamo scelto e segnaliamo all'attenzione del lettore, per l'indiscutibile pregio della chiarezza degli intenti e perché esemplificative di due visioni che si integrano. La prima è Le patrimoine: histoire, pratique et perspectives ( Oddos, r 997 ) , nella quale il termine "valorizzazione" non è espressamente menzionato; pur tuttavia l'opera, attraverso le quattro grandi aree tematiche in cui è suddivisa (I. Réception du patrimoine écrit, des temps modernes à nous jours; II. La con­ stitution du patrimoine des bibliothèques; III. La pratique du patrimoine; IV. La

4· Cfr. Rosei ( 1 986); Italia. Direzione generale per i beni librari e gli istituti culturali (2003 ) ; Crasta (2003 ) ; Bragagna, Hausbergher (2oo3 ) .

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

diversité du patrimoine des bibliothèques) , riesce a contemplare aspetti storici, teorici e tecnici connessi con il trattamento e la rivalutazione delle raccolte ' . Di taglio decisamente tecnico è la seconda, una pubblicazione ministeriale, uscita nel I 998, alla quale è stata data ampia pubblicità (infatti, è consultabile anche su Web) e il cui titolo recita Protection et mise en valeur du patrimoine des bibliothèques; per sgomberare il campo da ogni possibile equivoco e per meglio palesare l'ottica con cui il tema è trattato, è stato aggiunto: recomman­ dations techniques 6, un titolo, dunque, che promette quel che può mantenere, e l'indice dei capitoli, riportato qui in nota, ne è la testimonianza inconfuta­ bile. La scelta e il riferimento ai due contributi francesi sono voluti e apposita­ mente pensati, poiché essi rientrano nella tradizione europea degli studi e trat­ tano di condizioni storiche di formazione delle raccolte più simili alla situazio­ ne italiana; mentre è meno rispondente e perciò non così acriticamente adotta­ bile la metodologia di valorizzazione delle raccolte teorizzata e praticata in America (Nuovo, 2oooa, 2ooob). Le raccolte statunitensi, come sappiamo, ri­ specchiano le forme in cui si è espresso il collezionismo librario fra il Sette­ cento e la prima metà del Novecento, ammassando ingenti raccolte librarie e

5 · L'opera ha potuto contare sui dati contenuti in Desgraves, Gautier ( I 982 ) ; Jolly ( I 995 ) ; u n decennio prima era stato pubblicato i n Francia. Direction d u livre e t d e l a lecture ( I983). 6. Francia. Ministère de la culture et de la communication. Direction du livre et de la lectu­ re (I 998) , consultabile anche all'indirizzo: < http://www . culture.gouv.fr: Bo!culture/conservation/ fr/preventi/guide_dll.htm > . Indice dell'opera: Pré/ace. Jean-Sébastien Dupuit, directeur du livre et de la lecture; Introductz'on. Jean-Marie Arnoult; I. Environnement et conservatz'on des collec­ tt'ons des biblz'othèques. Astrid-Christiane Brandt, Jean-François Foucaud; 2 . Dépoussiérage et en­ tretien des /onds anciens, rares et précieux. Madeleine Blouin, Fabienne Le Bars; 3· Le condi­ tionnement des documents de biblz'othèques. Marie-Lise Tsagouria; 4· Estampillage, marquage et protection antivol des documents patrimoniaux. Jocelyne Deschaux, Jean-Loup Fossard; 5 · La communication des documents patrimoniaux. Fabienne Le Bars, Gilles Munck; 6. La reliure des livres usagés, principes et méthodes. Claude Adam, Jean-Marie Arnoult; 7· La restauration des documents graphiques. Simone Breton-Gravereau, René Hardy; 8. La préservatz'on des J'ournaux. Else Delaunay; 9· La préservation des documents iconographiques. Corinne Le Bitouzé, Roger­ Vincent Séveno; IO. Conservation des documents sonores et audiovisuels. Jean-Marc Fontaine; I 1 . La reproductz'on des documents patrimoniaux: problématique générale. Jacques Deville; I 2 . Repro­

duction photographique de périodiques, livres imprimés, partitions musica/es conservés dans !es bi­ blz'othèques: recommandations pour la fabricatz'on de microfilms et de microfiches. Else Delaunay, Bernard Fages; I 3 . La numérisation des documents patrimoniaux. Gaelle Béquet; I4. Les condi­ tz'ons d'expositz'on des documents graphiques. Jean-Jacques Ezrati, René Hardy, Marie-Pierre Laf­ fitte, Xavier Lavagne, Brigitte Ledere, Sylvie Le Ray; I 5 . Préventz'on, interventz'ons d'urgence, trai­ tements curati/s: 1 . La prévention. Jean-Marie Arnoult; 2 . Les interventz'ons d'urgence. Philippe Vallas; 3· In/estatz'on, in/ectt'on, désin/ection, désinsectisation. Jean-Marie Arnoult, Katia Baslé, Philippe Vallas. Annexes: I. Procédures de restauration du Conseil national scientifique du pa­ trimoine des biblz'othèques publiques (cNSPBP); 2. Textes o/ficiels; 3· Les acquisitions patrimoniales; 4· Environnement et conservatz'on des documents de biblz'othèques: tableau récapitulati/ des recom­ mandations; 5 · Dossier de restauratz'on; 6. Biblz'ographie; 7· Adresses utiles d'organismes pro/essz'on­ nels; 8. Adresses utiles d'organismes publics; 9· Liste des auteurs. 1 70

8 . LA VALORIZZAZIONE DELLE RACCOLTE

documentarie, sia provenienti dall'Europa, sia frutto della produzione locale (Americana) . Cosicché, verso gli anni trenta del Novecento, molte biblioteche negli Stati Uniti erano già in possesso di notevoli collezioni di libri rari e ma­ noscritti per l'invecchiamento progressivo delle proprie collezioni e per la fre­ quenza con la quale i collezionisti privati stabilirono contatti con le bibliote­ che pubbliche, donando i libri acquistati, anche al fine di sfruttare le esenzioni fiscali 7• Al presente, tramite periodiche revisioni di tutte le collezioni e con lo spo­ stamento dei libri imposto dall'adozione di un nuovo spartiacque cronologico, si continuano a formare le "Special collections" o le varie "Rare book re­ serve" , dove possono essere collocati volumi (anche impressi fra il r 8or e il r 85o) che prima si trovavano a scaffale aperto. Non possiamo tacere che contro questa pratica che minaccia l'unità delle raccolte si è alzata a più riprese un'autorevole voce di dissenso, quella del bi­ bliografo G. Thomas Tanselle, il quale, consapevole dell'insidia rappresentata dall'idea di "disneyficazione" 8, pervasiva nella cultura americana odierna, si è fatto spesso critico acuto di molte disposizioni attuate all'interno delle biblio­ teche d' oltreoceano. Fermamente convinto che lo studio del passato è inseparabile dagli oggetti fisici che di esso forniscono le testimonianze tangibili, T anselle, pur con talune affermazioni che potrebbero sembrare provocatorie o in contraddizione con quanto fin qui esposto (quali: «solo accostandosi ai libri come a oggetti mu­ seali possiamo leggerli nel senso pieno della parola e trarne frutto», T anselle, 20o4b, p. 5 ) , continua a richiamare l'attenzione dei bibliotecari e del pubblico sugli aspetti materiali del manufatto libro, spesso sacrificati a favore di quelli intellettuali, e sull'unicità delle raccolte come chiave di lettura fra passato e presente. 8.4

Procedimenti e modi di valorizzazione

La biblioteca dunque nella sua configurazione di raccolta -deposito della me­ moria, può a ragione essere indagata con metodologie concettualmente piutto­ sto vicine all'indagine stratigrafica attuata nello scavo archeologico; ma non solo: a mio parere, infatti, le raccolte si devono trattare anche come sistemi

7. Tra le biblioteche dalle più consistenti raccolte librarie " rinascimentali" citiamo la Folger Shakespeare Library di Washington, la Harvard University Library, la Huntington Library di San Marino in California, la Newberry Library di Chicago e la ;"'Jew York Public Library (cfr. Harris, 2004, pp. xxvii-xxvm; xxxviii-XLII ) . 8. Disneyfìcazione ossia l'«idea di poter chiudere nel cerchio gli elementi ritenuti belli ed escludendo quelli ritenuti brutti; in riferimento alla biblioteca la creazione di hortus conclusus di "esemplari perfetti" e settori di libri esclusi» (Harris, 2004, pp. xxxviii-XXXIX ) .

Ili

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

per produrre informazione, ovviamente avendo la consapevolezza che creare contenuti informativi da un contesto implica un processo attivo, che non è neutrale e può originare risultati differenti a seconda di chi lo svolge e in con­ seguenza dei modi impiegati e degli obiettivi assunti. Cercheremo, nella trattazione che segue, di considerare l'uno e l'altro aspetto, ma è bene anticipare che, per evitare una sovrapposizione con altri saggi di questo manuale, non si parlerà di alcune procedure a carattere più strettamente gestionale, sebbene esse possano essere di grande efficacia sul piano della valorizzazione, come, per fare un esempio, nel caso dell'adozione di un originario sistema di collocazione e di ordinamento delle collezioni spe­ ciali (Del Bono, 2005 , p. 7 8 ) . Ci limiteremo dunque, adottando l'affermazione che «la rivalutazione delle biblioteche si ottiene soprattutto elaborando ed of­ frendo gli arnesi per lo sfruttamento delle raccolte» (Serrai, I994c, p. 377) ad elencare gli strumenti e gli accorgimenti di base minimi per una valorizzazione delle raccolte: strumenti cognitivi primari essenziali (cataloghi) e di approfondimento (ca­ taloghi speciali, studi e ricerche specifiche) ; strumenti e/o mezzi che consentano una fruizione non in loco degli stessi originali e/o della documentazione ad essi relativa (riproduzioni) . 8 .4. I . Comunicare i contenuti informativi: la catalogazione d'edizione La catalogazione è il presupposto della valorizzazione, è la premessa inevitabi­ le, ma ovviamente non la esaurisce; tuttavia, nell'ottica della valorizzazione dobbiamo fare in modo che «la ricchezza d'informazioni registrata in un cata­ logo sia maggiore della somma delle sue parti» (Davies, I 990, p. I I 2 ) . Spie­ ghiamo. Il lavoro di catalogazione in biblioteca consiste, come sappiamo, nel docu­ mentare le raccolte (comprensive di documenti italiani e stranieri, antichi e moderni) . Ogni documento appartiene idealmente e concretamente a due in­ siemi: da un lato a quello dell'edizione e della manifattura 9, dall'altro a quello della raccolta; pertanto, l'obiettivo del lavoro di catalogazione è documentare e testimoniare l'appartenenza a entrambi gli insiemi, così che si rappresenti la raccolta nella sua fisionomia bibliografica (non importa se le caratteristiche editoriali e di manifattura siano elencate con una modalità analitica o con una sintetica) e in quella storica. Sotto il profilo puramente bibliografico, negli ultimi vent'anni, in Italia, si è fatto molto; infatti, il rilancio della tutela del patrimonio culturale regi­ strato si alcuni decenni fa, ha dato un sensibile impulso ai programmi di cen-

9· In tal caso definiamo un libro come testimone di un'edizione, ossia come exemplum del­ l'insieme delle copie che provengono da un'unica operazione editoriale.

I 72

8 . LA VALORIZZAZIONE DELLE RACCOLTE I

simento nel settore dei beni librari Allo stato attuale, non sono poche le istituzioni che, avendo completato il censimento delle edizioni del XVI seco­ lo, si sono attivate per completare la catalogazione, in linea o attraverso ca­ taloghi a stampa o su CD-ROM, di tutto il posseduto. Questo enorme sforzo documentativa, fornendo fra l'altro anche tutta una serie di chiavi di ricerca, ha avuto il merito di accrescere la nostra conoscenza della produzione libra­ ria italiana sotto il profilo della variegata fenomenistica editoriale e il pregio di suggerire anche nuovi temi di studio, ora non solo proponibili, ma anche realizzabili Tuttavia, per non offrire un'immagine ingannevolmente troppo positiva dell'enorme scavo bibliografico che è stato compiuto sulle raccolte del no­ stro territorio, vorrei accennare ad alcune questioni, che è bene siano pre­ senti alla riflessione: il metodo di lavoro catalografico prevalente oggi è la cooperazione, che ha portato con sé indubbi benefici e vantaggi 1 2 , ma an­ che non lievi inconvenienti; sul piano squisitamente bibliografico, intendo ri­ ferirmi alla difficile conciliazione fra pratiche locali e condivisione di re­ cord 3 , e, sul piano catalografico, all'infausta possibilità che, a causa della distinzione operata fra archivi di libri antichi e archivi di libri moderni, po­ trebbe essere spezzato il vincolo storico esistente fra i volumi (antichi e mo­ derni) di una collezione; tutto ciò, evidentemente, in palese contraddizione I I

o.

.

I

I O. In questa sede sarebbe molto lungo e poco agevole dar conto di tutte le iniziative di catalogazione. Chi volesse farsi un'idea personale sulla ricchezza del nostro patrimonio librario antico, sulla varietà e sulla qualità delle iniziative catalografiche svolte in Italia dal I 984 al I 997 , limitatamente al patrimonio delle edizioni del xvi secolo, potrebbe scorrere Zappella ( I 999) , che esamina ben 226 cataloghi a stampa di edizioni cinquecentine, in buona parte prodotti da bi­ blioteche pubbliche locali. Si possono consultare anche l'Indagine sui progetti di catalogazio­ ne retrospettiva in SBN (aggiornata solo al 15 febbraio 2oo6, < http://www. iccu.sbn. it/genera. jsp?id = I 65 > ) e LAIT1 Libri antichi in Toscana IJO I- r885 < http://www . cultura.toscana.it/ biblioteche/tutelalprogetti/lait/index.shtml > , che raccoglie I5o.ooo record relativi ad esemplari conservati in 64 biblioteche, frutto di un'attività di cumulazione e revisione che ha riguardato principalmente la forma delle intestazioni principali e secondarie e la normalizzazione delle note di provenienza. I 1 . Troppi sarebbero gli esempi da citare, mi limito a menzionare uno dei progetti realizza­ ti recentemente che ha caratteristiche di natura bibliografica. La Biblioteca Labronica di Livor­ no, con lo scopo di disegnare un quadro esauriente della storia della tipografia locale e dei suoi intrecci con la storia delle istituzioni, della cultura e delle idee, ha realizzato - e presentato nella tarda primavera del 2005 - un censimento sistematico delle edizioni livornesi dalle origini sino al I 83o. Il database è stato costruito sfruttando sia i cataloghi delle collezioni cittadine, sia ope­ rando un lavoro di browsing a tappeto e di analisi dei cataloghi esistenti presso le principali biblioteche. A tale procedimento si è affiancato lo spoglio diretto operato presso qualificate sedi bibliotecarie le cui risorse e i cui fondi antichi non risultavano accessibili per via indiretta. Il censimento dell'editoria livornese antica è consultabile all'indirizzo: < http://opacprov.comune. livorno.it/easyweb/cedl!ricerche.html > . I 2 . Si vedano le pagine sui "servizi nella dimensione di rete" in Solimine (2oo4a, pp. 9 I -4). IJ. Ad esemplificazione dell'acceso dibattito internazionale sulla questione segnaliamo: Attig (2003 ) ; Guerrini (2004) ; Jonsson (2002) .

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

con il processo di valorizzazione dei contenuti bibliografici e storici di una raccolta. 8.4.2 . Comunicare i contenuti informativi: la catalogazione d'esemplare In relazione alla conoscenza storica delle raccolte per contro c'è ancora molto da fare sul piano della catalogazione 1 4 , sotto questo aspetto, infatti, con giudi­ zio retrospettivo, si può affermare che in passato si è operato con un'ottica che avvicinava sensibilmente la catalografia alla bibliografia e si è sacrificata la specificità del lavoro catalografico, il quale, invece, per dirla con una frase fat­ ta, dovrebbe dar conto dell'insieme di documenti conservati in un polo fisico, ossia descrivere particolarità d'esemplare che esprimono i legami che si stabili­ scono fra i diversi documenti di una raccolta, attestando proprio quel valore aggiunto che è dato dal vivere comune dei libri 1 5 • Tuttavia, d a non molto tempo, l a riflessione catalografica sta modificando l'approccio verso il libro, vedendolo «nel suo aggregarsi come oggetto in bi­ blioteche, nel suo essere spesso supporto di scritture giustapposte che [. .. ] fanno dell'oggetto libro una "strategia interpretativa" di molti mondi possibi­ li» (Pezzolo, 2003 , pp. 45 -6). In questa fase di teorizzazione e prassi catalografica ancora piuttosto fluida quanto alla messa a punto di codici, standard e formati, si è rivelato stru­ mento prezioso u:--riMARC, nato come formato di interscambio e ora anche strumento di lavoro per la progettazione dei cataloghi. Infatti, pur con tutte le insufficienze che sono state denunciate in varie occasioni, u:--riMARC ha fornito i sussidi a questa indiscutibile necessità di non appiattire lo strumento catalo­ grafico sull'aspetto del libro come testimone di un'edizione, ma di rappresen­ tarlo anche nella complessità delle sue relazioni diacroniche e rendere esporta­ bili e completamente fruibili tali informazioni (Pezzolo, 2 003 , p. 46; Danesi, 2004, pp. 5 75 -97) 1 6 • E veniamo dunque a spiegare le ragioni che inducono al rilevamento dei 14· Si sono compiuti sforzi per una migliore conoscenza dei patrimoni librari giacenti nelle biblioteche e sono state promosse iniziative di vario genere e con intendimenti diversi (Di Majo, 1990; Fioravanti, 1993 ; Sgrò, 1998), tutte le quali, privilegiando ovviamente l'ottica locale, si sono affiancate all 'indagine sulle biblioteche italiane (Iccu, 1993 -200 1 ) . Non si può omettere di citare la banca dati della Regione Toscana "Rilevazione dei fondi librari finalizzata al censimento delle antiche librerie e delle collezioni significative per formazione e provenienza" (consultabile all'indirizzo: < http://web.rete.toscana.itlculturalfondi_librari?command = searchFondi > ) , sulla quale cfr. Calabri, Ricciardi (2003, pp. 47-5 1 ) . 1 5 . La migliore esemplificazione dell ' evoluzione i n questo campo è data dall'attività svolta dalla Provincia autonoma di Trento (Barbieri, 2003 , pp. 1 3 1 -48; Chistè, 2003 , pp. 1 5 -3 7 ; Gonzo, 2003 , pp. 1 1 1 -29). 1 6. Cfr. anche M. Rossi, Considerazioni a margine del tracciato Unimarc per il libro antico, "Culture del testo e del documento" , 20, 2006, pp. 7 - 1 8 e ivi anche le pp. 19-9 1 contenenti gli atti del " Seminario Unimarc per il libro antico" tenutosi a Firenze, Accademia della Crusca, 3 dicembre 2004.

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8 . LA VALORIZZAZIONE DELLE RACCOLTE

dati d'esemplare, in particolare delle tracce depositate sui libri, per le quali da tempo si è accolto il termine "provenance" (provenienza) ; per esemplificare, rientrano nella categoria delle provenienze indicazioni quali timbri, stemmi, ex libris, etichette, superlibros (stemmi alle armi impressi a secco, applicati alle legature) , legature personalizzate e indicazioni di uso, quali postille, prove di penna ecc. e tutte le forme di attestazione di possesso (ACRI./ ALA Rare Book and Manuscript Section. Bibliographic Standards Committee, 1 998, p. 1 ) . 8. j

L'analisi stratigrafica

Quale valore assume il rilevamento di questi indizi, spesso minuti e frammen­ tari, tratti dall'esame materiale dei libri? E quale impiego se ne può fare? 1 7 In una prospettiva di storia della biblioteca (che assuma come obiettivo l'approfondimento dei filoni t ematici originari, il grado di affezione e di disaf­ fezione nei confronti dei libri) l'analisi delle provenienze consente di avvalora­ re o di formulare ipotesi di esistenza di nuclei librari, minori quanto a consi­ stenza, che si annidano e si stratificano all'interno delle collezioni. Tralascian­ do di parlare delle tracce più evidenti - quelle in cui, attraverso l'ex libris, la nota di possesso manoscritta o lo stemma, il proprietario si qualifica, si pre­ senta e puntualizza il suo possesso - vorrei richiamare l'attenzione sul fatto che spesso ciò che consente di attribuire un documento a un proprietario e quindi di ricostruire la serie che gli appartiene è un particolare poco evidente e più sottile da interpretare (per esempio, un'ornamentazione, una caratteri­ stica della legatura o i ferri impiegati nella legatura, un sistema di collocazio­ ne, una notazione filologica ecc . ) . Mai come nel caso del rilevamento dei dati d'esemplare infatti si misura la complessità del lavoro ed anche l'esigenza di professionalità e di competenze specifiche. In una prospettiva di studio più ampio, vorrei ancora sottolineare come questo lavoro sia basilare, per esempio, per la storia della circolazione delle idee tramite i libri, per la storia della filologia (Nuovo, 2005 ) . Per calarci in un caso concreto che, forse, meglio di altre parole può dimostrare quanto ho ap­ pena affermato, si pensi appunto alla concreta possibilità di misurare attra­ verso l'esame del contenuto delle postille e delle note manoscritte stilate dagli umanisti sui libri nel xv-XVI secolo la reattività al testo che stavano esami­ nando e si valuti anche la felice opportunità che ne consegue: ricostruire la "biblioteca" delle loro letture, ossia scoprire le opere e gli autori sui quali si sono formati e si è costruito il loro pensiero.

q. Lo spazio ristretto ci permette di presentare solo alcune brevi riflessioni esemplificative, ma si rinvia il lettore ad alcuni saggi che sono stati pubblicati in Italia nel corso degli ultimi dieci anni (Barbieri, 2ooo; Rossi, 200 1 , cap. 1; Rossi, 2 003 , pp. 103-9; Gonzo, 2003 , pp. 1 1 1 -2 9 ; Ruffini, 2oo2b).

1 75

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

Indubbiamente è un percorso a ritroso quello che si compie analizzando tutti i particolari dei libri e lo si compie con la fiduciosa aspirazione di poter stabilire una cronologia, un prima e un dopo, in cui collocare i vari indizi rivelatori di un uso e/o di un possesso. Credo sia intuitivo l'enorme vantaggio che ne trarrebbe il mondo dei "ge­ stori delle collezioni" e il pubblico degli studiosi se, una volta che siano stati individuati, interpretati e datati con un grado di precisione assoluto o relativo, si potesse disporre di riproduzioni di timbri, ex libris, note di possesso ecc. e si potesse indicizzarli 1 8 • A questo proposito, diversamente che in altre situazioni in cui è mancato "il fare" , nella pratica della registrazione delle provenienze, cui le biblioteche si stanno dedicando, se difetto c'è stato è che si è provveduto ad operare sen­ za il conforto di un'adeguata riflessione teorica e di un'attenta pianificazione. I risultati sono disomogenei e la diversità nella modalità di rilevamento dei dati è dipesa, in parte, dagli strumenti informatici disponibili per la catalogazione, sino a qualche tempo fa non adeguati, per insufficienza di estensione dei cam­ pi, ad accogliere tutte le informazioni relative agli esemplari e sprovvisti di specifici archivi ove potessero essere ricercabili dall'utente le informazioni re­ gistrate in campi a testo libero; dunque i programmi, e non certo dei principi teorici, hanno imposto delle scelte discrezionali delle informazioni da assume­ re, determinando un' asistematicità della raccolta dei dati. Di conseguenza, può valere per tutte le imprese di tale sorta che si sono compiute nel nostro territorio ciò che Anna Gonzo ascrive come insufficienza al Catalogo bibliografico trentina: «l'effettiva disponibilità dei dati relativi agli esemplari censiti [ . . . ] è condizionata anche dagli oggettivi limiti del software di catalogazione e risente della stratificazione delle procedure di rilevamento adottate per quanto riguarda i diversi livelli di analiticità descrittiva» (Gonzo, 2003 , p. I 1 4 ) . L'esperienza fi n qui prodotta h a dunque evidenziato l a mancanza d i fon­ damenti teorici 19 e l'assoluta necessità di linee guida per il rilevamento delle provenienze; ha lavorato su questo fronte un Gruppo di lavoro congiunto del­ la Regione Toscana e della Provincia autonoma di Trento producendo un do-

1 8. Cfr. il sito Provenance in/ormation all'indirizzo < http://www .cerl.org/Provenance/ provenance.htm > che contiene banche di dati di provenienze di diverse biblioteche. 19. Disponiamo attualmente dei seguenti contributi: T-PR O: Thesaurus der Provenienzbegrt//e sviluppato dalla Klassic Stiftung Weimar, termini formulati in tedesco, inglese e francese, sulla base del thesaurus (ACRL/ALA Rare Book and Manuscript Section. Bibliographic Standards Com­ mittee, 1 998) e del database della Bibliothèque municipale di Lione; (Jonsson, Willer, 2005 ) ; il portale "Provenienzportal" della biblioteca della duchessa Anna Amelia che include un Web­ thesaurus e ha l'intento di coordinare risorse diverse (database librari, database di immagini e di testi, dizionari elettronici) < http://www.klassik-stiftung.de/einrichtungenlherzogin-anna-amalia­ bibliothek/projekte/provenienzportal.html > .

8 . LA VALORIZZAZIONE DELLE RACCOLTE

cumento, attualmente in corso di stampa, dal titolo Provenienze. Metodologia di rilevamento, descrizione, indicizzazione per il materiale bibliografico 2 0 • Quanto alla programmazione è palese che la predisposizone degli strumen­ ti necessari alla raccolta e alla codifica dei dati che richiede l'impiego di note­ voli risorse e non solo in termini di tempo e professionalità può trarre indubbi vantaggi da una cooperazione delle biblioteche e dal coinvolgimento di vari soggetti, di raccordo con diversi enti e strutture. 8 .6

La documentazione archivistica

Nelle biblioteche si è sempre svolta un'intensa attività documentaria di vario genere, amministrativo-gestionale e di carattere inventariale e/o catalografico. L'insieme di tale documentazione, spesso rivolta anche a illustrare aspetti meno conosciuti della vita della biblioteca e/o del suo patrimonio, è un'impre­ scindibile fonte primaria, come ormai gli è stato riconosciuto, per la storia della biblioteca in genere e in particolare per lo studio delle stratificazioni del­ le raccolte {Italia. Direzione generale per i beni librari e gli istituti culturali, 2002 ) . U n passo d i u n recente saggio d i Marianna D i Geronimo illustra con estrema sintesi lo sviluppo e la composizione della maggior parte delle biblio­ teche: «Il posseduto di una biblioteca, ovviamente, non è mai solo il frutto di ciò che interessa il contesto in cui [la biblioteca] è inserita, ma è il risultato sia di acquisizioni sia di donazioni e lasciti; su tutto il posseduto poi, la bi­ blioteca esercita una funzione aggregante, provocando spesso la perdita delle peculiarità di ogni singolo componente» (Di Geronimo, 2 004, pp. 47 -8). La ripresa di un interesse non solo teorico 2 1 , ma anche operativo (si pensi alla Biblioteca digitale italiana) 2 2 rivolto al catalogo così detto fuori uso (stori­ co, antico o vecchio) , al di là dell'obiettivo meramente strumentale (per la fun­ zione repertoriale, che esso svolge, talvolta, ancora in una posizione esclusiva) , trova una giustificazione superiore in un'ottica di studio che vede i cataloghi storici, come documenti dall'enorme potenziale informativo, provvidenziali a individuare i vari filoni che hanno alimentato la biblioteca, fonti per la storia dell'evoluzione della prassi catalografica e bibliografica e per la disamina della storia dell'editoria. 20. Il gruppo è costituito da: Laura Bragagna, Maria Cecilia Calabri, Katia Cestelli, Livio Cristofolini, Daniele Danesi, Teresa Dolfi, Anna Gonzo, Cristina Moro, Gabriella Pomaro, Paola Ricciardi, Marielisa Rossi. 2 1 . Per un quadro aggiornato delle imprese di censimento e dei lavori che in ambito italia­ no si sono finora interessati di cataloghi fuori uso, cfr. Innocenti, Cavallaro (2001 ). 22. Essa attualmente riunisce 194 cataloghi storici, a volume e a schede, di 32 biblioteche italiane appartenenti al Ministero per i Beni e le attività culturali, a Enti locali e a Istituti di cultura, per un totale di 6.106.488 immagini. I documenti sono consultabili all 'indirizzo: < http: //www. iccu.sbn.it/genera.jsp?s = 18 > .

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

Un bell'esempio è fornito dalla stessa Di Geronimo che, avendo applicato la metodologia di analisi a tre cataloghi antichi della Biblioteca Chelliana di Grosseto (Di Geronimo, 2004), ha potuto eseguire operazioni di tipo quanti­ tativo (misurazioni, statistiche) e qualitativo (analisi delle tecniche catalografi­ che e della produzione editoriale documentata ecc.) e ha affiancato a tali dati scorporati un commento, che riconduce i risultati nell'alveo delle condizioni storiche, geografiche, culturali in cui quei cataloghi sono stati prodotti. Non sfugga dunque che il lavoro di edizione di un catalogo 2 3 comporta un eserci­ zio critico-interpretativo e non si pensi di poter sostituire tale lavoro di edizio­ ne con un semplice processo di riproduzione; infatti il cambiamento tecnolo­ gico 24, l'introduzione del digitale, non risolve il dilemma sostanziale che in passato si era configurato nella forma di contrapposizione fra riproduzione analogica del testo (copie facsimilari, fotografiche ecc.) e presentazione critica dei testi; le argomentazioni a favore e quelle contrarie rimangono le medesi­ me: nell'un caso si offre sostanzialmente materiale di studio per la storia della cultura in generale, nell'altro materiale su cui esercitare la critica. 8. 7

Visibilità delle raccolte

Nella prospettiva della valorizzazione ha il suo peso anche la scelta della for­ ma di pubblicazione del catalogo (a stampa o in formato elettronico) dell'in­ tera raccolta e/o di singoli nuclei librari, scelta per la quale si possono invo­ care ragioni di opportunità o connesse all'accrescimento del potenziale in­ formativo. Infatti, il catalogo di un insieme librario non è solo uno strumento di ge­ stione, ma è anche strumento di analisi e di conoscenza, soprattutto se il pa­ trimonio bibliografico rappresentato ha la struttura e le caratteristiche di una biblioteca altamente specializzata, concentrando al suo interno la produzione più significativa e rappresentativa dell'editoria su un dato argomento e con­ tenendo materiale documentario eterogeneo (quali appunti, note, manoscrit­ ti, estratti) : dallo studio integrato di una documentazione di questo tipo può derivare, come è stato più volte affermato, sia una ricollocazione storiografi­ ca del proprietario del nucleo, sia un ripensamento sull'identità e vocazione della biblioteca, che, a partire da quell'analisi, potrebbe svilupparsi anche in altre direzioni. Si offrono dunque soluzioni diverse e con obiettivi differenti. Non credo sia il caso di soffermarsi sugli evidenti vantaggi offerti dall'o­ PAC, che consistono nell'ampliamento straordinario della ricerca bibliografica (ricerche per parole chiave, ricerche specifiche per anno, lingua, argomento e

2 3 . Cfr. Rossi (2oo d ; Di Geronimo (2004) , nonché Barbieri (2005 ) . 2 4 . Giudizi contrastanti i n Tinti (2oo i ) ; !\:uovo (2003 , pp. 90-7).

8 . LA VALORIZZAZIONE DELLE RACCOLTE

disciplina ecc.) e nel fatto che, ove le dimensioni di una collezione siano in­ genti, esso permette una consultazione agevole, altrimenti impensabile sul sup­ porto cartaceo, se non al prezzo, certamente alto, di una moltiplicazione e proliferazione di indici. D'altra parte, il catalogo a stampa o su co di un de­ terminato nucleo librario si rende apprezzabile e preferibile per alcune sue autonome peculiarità, in quanto strumento grazie al quale si mantiene intatta l'unità culturale e si documenta per sempre l'identità originaria di un nucleo librario; per tali motivi, in determinate circostanze, è legittima, a mio avviso, la sua compresenza con il catalogo automatizzato. Certamente, oggi è possibile (e anche auspicabile) adottare soluzioni più sofisticate, di modo che una raccolta possa essere esplorata secondo percorsi di ricerca diversi e diversamente costruiti attraverso un sistema d'informazione multimediale che mette a disposizione del pubblico uno strumento di cono­ scenza attiva della biblioteca, a partire dalla sua storia, dal suo edificio, dai suoi magazzini per passare alle sue raccolte di libri esplorati, descritti e ri­ prodotti non solo come supporti per la trasmissione di testi, ma anche, per citare un caso specifico, come strumenti di lavoro di una "biblioteca tecnica" , che tale era nel passato e tale è al presente. Mi sto riferendo al catalogo online del Fondo dei Citati dell'Accademia della Crusca (Ragionieri, 2 005 ) , che pos­ siamo considerare un singolare esempio dimostrativo di come la mission di una raccolta libraria, rimasta intatta nel tempo, venga esaltata e potenziata dal­ l'utilizzo delle nuove tecnologie. L'attività di catalogazione dunque non è in concorrenza con l'allestimento di cantieri bibliografici (ad esempio, il censimento dell'editoria livornese) , scien­ tifici (ad esempio, il Fondo dei Citati e l'Opera del Vocabolario italiano) o spe­ ciali; l'elenco per quest'ultima voce sarebbe lunghissimo, indico fra i molti scusando mi per la selettività e parzialità della citazione - l'allestimento di un database delle provenienze presso la Bibliothèque municipale di Lione ( < http:/l sgedh.si.bm-lyon.fr/dipweb2/apos/possesseurs.htm > ) , la Staatsbibliothek di Monaco di Baviera ( < http://www.bsb-muenchen.de/Inkunabeln. r 8 r .o.html > ), la Bibliothèque royale de Belgique ( < http://www. kbr.be/informations/projets/ incunables/incunablesr_fr.html > ) 2 ' e il censimento delle miniature realizzato dalla Bibliothèque nationale de France ( < http://liberfloridu.cines.fr > ) . Qual è l'idea ispiratrice di imprese di questo tipo? La maggiore consapevolezza della dimensione storica delle raccolte docu­ mentarie impedisce oggi di operare smantellamenti quali quelli praticati, fino ai primi del Novecento, nelle biblioteche europee, comprese le nostre, in osse­ quio a teorie biblioteconomiche contemporanee, considerate più rispettose dello stato di " rarità " e dei bisogni di tutela del materiale o maggiormente consone a soddisfare le curiosità di natura bibliofilica. All'epoca, la selezione dei documenti avveniva sulla base di un particolare

2 5 . Ulteriori informazioni al già citato sito

Provenance in/ormatzon.

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

aspetto della manifattura o della circolazione del libro; era questa ragione suf­ ficiente per condurre a una condizione privilegiata dal punto di vista della conservazione, della tutela e della catalogazione (libri illustrati, libri con mi­ niature, postillati, esemplari su pergamena ecc. ) . Nel presente, grazie alle nuove tecnologie, è possibile soddisfare specifici interessi di studio e di ricerca che nascono dal considerare un particolare del­ l' oggetto libro, evitando di sottrarre i volumi dal loro contesto e di sconvolge­ re l'ordinamento di una raccolta. L'aspetto più interessante di tali iniziative, le quali generalmente si attuano con la costituzione di database consultabili su Web, non consiste solo nella possibilità di conoscere virtualmente ciò che in passato veniva realizzato attra­ verso pratiche che incidevano sull'unità inscindibile di un nucleo librario (an­ che se questo sarebbe motivo sufficiente di soddisfazione) , ma soprattutto nel­ la rilevante significatività dei dati, dovuta all'ampiezza della "campionatura" , dilatata in qualche caso oltre gli stretti confini locali, come nel database tede­ sco delle legature ( < http:/ldb.hist -einband.de/ > ) . L' Einbanddatenbank è nato nel 2 00 1 per opera di tre biblioteche: la Wurttembergische Landesbibliothek di Stoccarda, la Herzog August Bibliothek di Wolfenbiittel e la Staatsbibliot­ hek di Berlino; a queste si aggiunse nel 2003 la Bayerische Staatsbibliothek di Monaco. Sotto la direzione tecnica della biblioteca di Berlino, le quattro biblioteche si sono proposte il compito di digitalizzare le loro raccolte di le­ gature con impressioni e renderle disponibili via Web. Inizialmente, i ferri delle legature sono stati riprodotti in forma cartacea mediante /rottz:r, poi scan­ nerizzati e quindi classificati. Il database consente di formulare ricerche sia per gli aspetti formali (forma, dimensioni) sia per gli aspetti inerenti al conte­ nuto (categorie di motivi) ; da non trascurare, inoltre, un particolare di grande valore per gli studi: la ricca serie di testimonianze documentate e riprodotte ha consentito di formulare ipotesi di attribuzione dei vari ferri (officine, lega­ tori) . Costruire un'architettura delle informazioni efficace e conforme a specifi­ che esigenze documentative è dunque un apporto al consolidamento del po­ tenziale conoscitivo e informativo delle raccolte, all'incremento del quale con­ tribuirà anche - con buoni risultati perfino sotto il profilo dell'impatto sociale e non solo sul piano scientifico - l'assunzione di una logica di condivisione delle proprie risorse con quelle di altri istituti. Le banche dati, infatti, si confi­ gurano come veri e propri centri di documentazione online o su co-ROM, in cui si creano "ponti" tra settori diversi e raccolte tipologicamente diverse, con l'intento precipuo di realizzare ricerche interdisciplinari intorno a un determi­ nato soggetto, per documentare il quale, grazie all'interoperabilità fra gli ar­ chivi digitali, si può attingere a fonti di informazione di molteplice provenien­ za e supporto fisico. È il caso - per fare un esempio indicativo - della banca dati Archivi del Novecento ( < http://www.baicr. it/archivi9oo.htm > ) , ideata e realizzata dal Consorzio biblioteche e archivi degli istituti culturali di Roma (Consorzio BAICR Sistema cultura) , in cui libri, manoscritti, immagini e suoni 1 80

8 . LA VALORIZZAZIONE DELLE RACCOLTE

vengono individuati e aggregati secondo un progetto multimediale, finalizzato anche a far emergere fonti meno note, ma significative del Novecento, le quali pertanto contribuiscono a un ampliamento delle conoscenze e a una migliore percezione dei processi sociali, politici e culturali del secolo scorso. 8.8

Uno sguardo al futuro

Non siamo in grado di prevedere quali saranno le forme e i modi di valorizza­ zione delle raccolte in futuro, ma è legittimo porsi la domanda se le raccolte rimarranno integre 2 6 • Storici della cultura, studiosi della tempra di Donald Mckenzie, Roger Chartier, bibliografi (quale G. Thomas Tanselle) affiancati da bibliotecari (fra i quali M. Gorman) hanno lanciato un grido d'allarme e richiamato l'attenzione sul fatto che «potenzialmente il nostro patrimonio culturale è messo a rischio dalla digitalizzazione», poiché «la visione di eccezionalità che ha colpito alcuni bibliotecari li ha portati a disfarsi di certi materiali senza preoccuparsi dei bi­ sogni delle generazioni future» (Gorman, 2 003 , p. 46). La visione allarmistica e d'opposizione radicale alle pratiche di riproduzio­ ne - alla quale abbiamo avuto modo di accennare in precedenza - in Tan selle si spiega una volta di più con le consuetudini praticate nelle biblioteche ame­ ricane, dove sono stati condotti programmi di microfilmature in cui dopo l'o­ perazione ciò che resta dell'originale viene distrutto. Diversamente, nelle realtà bibliotecarie italiane, e potremmo dire europee, il senso della tutela e della conservazione e preservazione della memoria storica è molto forte, persino in istituti bibliotecari il cui ruolo e funzione precipui sono legati al consumo e all'attualità dell'offerta documentaria. Tuttavia, ciò che si sta verificando in Italia (campagne di microfilmatura e di digitalizzazione, una fruizione accordata di preferenza alla riproduzione piuttosto che all'originale) è fenomeno comune ad altre realtà europee ed è anche frutto di precise indicazioni internazionali, nate da un fraintendimento (che il contenuto si possa conservare indipendentemente dai manufatti) e da un malinteso senso di democratizzazione delle risorse (Gorman, 2003 , pp. 46-7, 1 4 1 -2 , 1 6 1 -3 ) . Come è intuitivo, non può essere liquidato in poche parole un argomento per il quale ci sono ragioni a favore e ragioni contrarie, tutte ugualmente vali­ de; ecco perché è improponibile una soluzione che possa valere per ogni bi­ blioteca, ma ognuna andrà commisurata al singolo contesto. Per riproduzione si intende «il prodotto di qualsiasi processo chimico o elettrostatico che miri a rappresentare esattamente (magari in scala ingrandita

26. Su questo tema si vedano gli atti del Convegno Futuro delle memorie digitali e patrimo­ 2003 , 1ccu , Roma 2004.

nio culturale, Firenze 16- 1 7 ottobre

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

o ridotta) non solo il testo di un dato documento, ma anche i particolari della sua presentazione, per quanto possano essere duplicati su una superficie di­ versa» (Tanselle, 20o4d, p. 7 I ) . Concordo dunque con T anselle quando affer­ ma che «ogni mezzo di riproduzione ha caratteristiche sue proprie, svantaggi e vantaggi suoi propri; ma qualsiasi mezzo oscura certi particolari e aggiunge di suo caratteristiche nuove» (Tanselle, 2004c, pp. I I 5 -47) e non si può ignorare il fatto che «tutti gli scostamenti volontari o involontari dall'originale costitui­ scono una categoria dei problemi posti dalle riproduzioni». Non può essere un mero caso e non far riflettere il fatto che studiosi di­ versi partendo da interessi e approcci differenti (per Tanselle un libro è un oggetto fisico; per Chartier un documento della mentalità, per Mckenzie un oggetto "produttore" di senso) approdino tutti ugualmente a una difesa della materialità dell'oggetto libro e facciano crescere nel pubblico e nei bibliotecari l'idea generale che il patrimonio culturale trasmesso dai libri non può soprav­ vivere indipendentemente dagli oggetti fisici, suggerendo anche forme di co­ noscenza e di valorizzazione delle raccolte conformi alla realtà e alla tradizione bibliotecaria in cui vivono o che meglio conoscono. Così, a parere di Tanselle, persino le mostre (sul valore e la necessità delle quali la letteratura professionale italiana ha, invece, più volte polemizzato) 27 possono rappresentare un momento non disprezzabile nella vita delle raccolte, se l'esposizione dei libri riesce a suscitare un atteggiamento di rispetto, fa cre­ scere il senso della storia e contribuisce a creare la mentalità di considerare le raccolte come musei dove si pratica lavoro scientifico 2 8 • Appendice Studio di caso. D Fondo dei Citati

di Delia Ragionieri

ll Fondo dei Citati conservato nella Biblioteca dell'Accademia della Crusca riveste un particolare significato, sia per la storia dell'Accademia che per la storia della lingua italiana. In esso si trovano raccolte le edizioni a stampa citate nel celebre Vocabolario 27. Le mostre sono viste come strumenti dell'odierno bisogno di spettacolarizzazione della cultura, ma alcuni (Manfron, 1 994, p. 296) non sottovalutano il contributo che ne può derivare ai bilanci degli istituti organizzatori e più ampiamente alla vitalità economica della comunità, sfruttando le possibilità del merchandising legato ai beni culturali; a questo proposito l'invito è a considerare le prospettive e le potenzialità della legge Ronchey (L. 14 gennaio 1993, n. 4 di conversione del decreto recante Misure urgenti per il funzionamento dei musei statali, cui in sede di conversione si sono aggiunte Disposizioni in materia di biblz"oteche statalz" e di archivi di Stato e successivo regolamento applicativo D.M. 3 1 gennaio 1 994, n. 1 7 ! ) . Per il testo della legge prece­ duto da un breve commento, cfr. Mandillo ( 1 993). Sull'organizzazione di mostre di libri, cfr. AIB ( 1 994) , il cui testo ha tenuto conto di Condizioni di prestito per le esposizioni redatte dalla Sezio­ ne manoscritti e rari della Biblioteca nazionale centrale di Firenze. 28. Sulle questioni di natura tecnica, cfr. Toni ( 1 990) ; sui requisiti che devono caratterizza­ re i supporti per i volumi nell'ambito di una mostra, cfr. IFLA ( 1 998b); Clarkson ( 1 999); Russo (2005 ).

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8 . LA VALORIZZAZIONE DELLE RACCOLTE

degli accademici della Crusca, pubblicato in cinque edizioni nell'arco di oltre tre secoli, dal 1 6 1 2 al 1 923 ; vi si trovano dunque raccolti quei testi che gli accademici della Cru­ sca selezionarono per fondare sul loro contenuto linguistico il tesoro lessicale di quella che, di volta in volta, identificarono e certificarono come "lingua italiana". La consapevolezza che la storia del fondo costituisca un tassello fondamentale al­ l'interno della storia dell'Accademia ha spinto la stessa Accademia a dedicare parti­ colari cure ai volumi che lo compongono, tramite un progetto di valorizzazione e tu­ tela sfociato nella realizzazione di una banca dati consultabile in linea (http://www . citatinellacrusca.it), nella quale sono confluiti i materiali derivati da interventi di di­ versa natura, che hanno caratterizzato un progetto finanziato dall'Ufficio centrale per i beni librari del Ministero per i Beni e le attività culturali, dal titolo "Valorizza­ zione e conservazione del Fondo dei Citati " realizzato negli anni 200 1 -2 oo4 (per una descrizione maggiormente dettagliata si rimanda a Ragionieri, 2 005 ) . L'attuazione del progetto si è articolata in cinque fasi, che si sono in parte so­ vrapposte, in quanto a tempi: a) analisi preliminare e censimento dei volumi appartenenti al fondo; b) operazioni di tutela e restauro; c) catalogazione informatica; d) campagna di digitalizzazione; e) realizzazione del sito (banca dati digitale). La fase a ha portato a un censimento propedeutico per le fasi successive: è stato verificato lo stato di conservazione dei volumi, utile per la pianificazione delle operazio­ ni di restauro (fase b); sono stati individuati i volumi da descrivere (fase c) e, infine, i volumi contenenti note manoscritte e postille da sottoporre a digitalizzazione (fase d) . Nella fase b , una specifica, ulteriore ricognizione h a verificato il buono stato di conservazione dei volumi e ha appurato l'assenza di danni recenti di natura biologica; sono state individuate 52 unità con danni fisici e chimici: 25 da sottoporre a "grande restauro" (per le quali è stata redatta una scheda-progetto) e 27 da sottoporre a "pic­ colo restauro" . Le operazioni di restauro, visto come ultimo atto possibile di un pro­ getto di conservazione e tutela, pur pianificate fin dall'inizio del progetto, sono state eseguite al termine della campagna di catalogazione e digitalizzazione. Gli interventi di restauro sono stati registrati sia in una scheda posta sulla controguardia posteriore del volume, sia in un'apposita nota (corredata di documentazione fotografica) all'interno del record bibliografico. Quanto a tutela, invece, dato che il fondo è conservato nella sala di consultazione della biblioteca, è stata appurata la buona idoneità degli scaffali, dei locali e dell'edifi­ cio (per materiali e per condizioni climatiche) e si è provveduto ad acquisire nuovi strumenti idonei al monitoraggio continuo degli ambienti: ci si è dotati di un data logger (sensore miniaturizzato) per la registrazione della temperatura e dell'umidità re­ lativa, la cui programmazione, scarico e analisi dei dati avviene tramite un software (GLM in ambiente Windows) che consente la visualizzazione dei dati e l'esportazione su fogli elettronici per rendere i dati in forma tabellare o grafica. Si sono, infine, ese­ guiti interventi necessari a salvaguardare la sicurezza del fondo: le scaffalature sono state protette da ante scorrevoli munite di grate, e i volumi sono stati protetti tramite l'installazione di un sistema antitaccheggio con bandelle magnetiche. Nella fase c è stata definita la linea politica catalografica, tenendo conto da un lato dell'unicità del fondo, in se stesso e in quanto somma di esemplari unici (volumi che gli stessi accademici hanno utilizzato nelle operazioni di spoglio per il Vocabolario) e,

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

dall'altro, della sua particolare natura (edizioni per la maggior parte italiane, apparte­ nenti a un arco cronologico che si estende dal I5 I2 al I 93 6) . Si è quindi proceduto alla stesura di un tracciato per il libro antico in UNIMARC, da applicare nell'ambito del programma di automazione in uso nella biblioteca (ALEPH 500). Proprio la consapevo­ lezza dell'unicità del fondo ha avuto come conseguenza che nella catalogazione, ese­ guita secondo gli standard ISBD ( A ) e ISBD ( M ) , oltre alla descrizione dei dati di edizione, si sia dato ampio spazio all'area delle note, in particolare alle note di esemplare e di provenienza. La fase d è stata dedicata alla digitalizzazione di oltre I 2 .ooo immagini: frontespizi, pagine postillate, pagine contenenti note manoscritte, ritratti. L'acquisizione delle im­ magini (svolta nel rispetto del livello B della normativa sull'acquisizione digitale dell'I­ stituto centrale per il catalogo e la documentazione del Ministero per i Beni e le attivi­ tà culturali) è stata eseguita tramite una fotocamera digitale (acquisizione a I . 6oo per 1 . 200 pixel). Dal formato di partenza si è proceduto ad una ricampionatura in 4 di­ versi formati: I . un formato "francobollo" (thumbnail) per piccole anteprime (larghezza 3 I pixel); 2 . un formato piccolo per l'anteprima nella scheda singola (larghezza I 30 pixel); 3· un formato medio per una visualizzazione leggibile (larghezza 500 pixel); 4· un formato di maggiore qualità per la stampa cartacea (altezza I 300 pixel). Per prevenire un uso illecito, tutte le immagini sono state protette con una marca­ tura digitale. L'ultima fase è stata dedicata all a costruzione del sito, contenente la banca dati digitale. È stato così realizzato uno strumento Web, finalizzato alla consultazione e fruizione dei materiali prodotti: record bibliografici e immagini digitalizzate. n sito è stato impostato in modo che l'utente possa consultarlo servendosi di tre livelli di attività: I . ad accesso libero: possibilità di sfogliare le pagine introduttive, ricercare e visua­ lizzare tutti i record bibliografici e la galleria di ritratti; 2. ad accesso riservato: accesso a tutte le immagini contenute nella banca dati, protette da marcatura (in seguito all'invio dei dati personali); possibilità di visualizzare le im­ magini libere da marcatura (in seguito a specifica autorizzazione); 3· "port/olio" : area funzionale per salvare e organizzare in forma d'archivio i risultati delle ricerche effettuate, pagine di appunti e altri dati che si ritiene opportuno me­ morizzare. In fase di progettazione è stata, inoltre, dedicata particolare attenzione alla que­ stione dell'accessibilità: il sito è stato impostato in modo tale che sia accessibile e frui­ bile sia per i portatori di deficit sensoriali che per gli utenti svantaggiati da barriere tecnologiche. Sono state così seguite le linee guida del w3c (World Wide Web Con­ sortium) ed è stato raggiunto il livello AA del WAI (Web Accessibility Initiative). La banca dati così realizzata ha costituito uno dei primi passi verso la creazione di un più ampio sistema aperto, che raccoglierà al suo interno archivi digitali di diversa natura dell'Accademia della Crusca: da quelli già realizzati, come La Fabbrica deltita­ liano e La lessicografia in rete, a quelli di prossima pubblicazione, come Fonti descritti­ ve e normative dell'Italiano: corpus digitale di testi dal XVI al XIX secolo, fino a quelli che saranno prodotti in futuro.

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Catalogazione di Mauro Guerrini

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9· 1

Introduzione. L'organizzazione bibliografica e il sistema biblioteca

L'accesso ai documenti (e il loro uso) consiste essenzialmente in un problema di comunicazione tra autore e destinatario del messaggio. La comunicazione avviene in un contesto caratterizzante e necessario per chiarire l'ambito disci­ plinare della bibliografia: da un lato esiste una non distanza spazio-temporale tra l'autore e il destinatario, dall'altro è il destinatario (l'utente) ad attivare la ricerca delle conoscenze registrate di proprio interesse, mentre l'autore ha già provveduto, in un altro spazio e in un altro tempo, a emettere e registrare il proprio messaggio. L'impossibilità di consultare direttamente l'enorme quanti­ tà dei documenti disponibili costringe il lettore ad avvalersi di surrogati, ovve­ ro di loro rappresentazioni vicarie, quali sono le registrazioni bibliografiche. Le registrazioni dovranno essere compilate e ordinate secondo criteri logici, coerenti, prevedibili e funzionali alla ricerca, affinché possano rispondere in modo proficuo ai numerosi possibili approcci richiesti e concretamente adotta­ ti dai lettori. Alfredo Serrai afferma che la ricezione del messaggio di un documento, che si trovi in un ammasso di documenti, non può aver luogo se il documento non viene reperito; ma quel reperimento - e di conseguenza l'accesso alla eventuale registrazione desiderata - non ha modo di attuarsi se non per il tramite di speciali procedure segnaletiche, ordinative, e consultative. La Bibliografia si occupa, appunto, disciplinarmente, delle funzioni interpretate da, e con­ nesse con, tali procedure; essa è, pertanto, la scienza di quelle comunicazioni che si verificano fra un insieme di registrazioni e gli utenti che intendano accedervi. Anche se la nostra epoca è improntata, quasi emblematicamente, dalla idea di comunicazione, occorre riconoscere che, finora, non è stato percepito e riconosciuto, in modo adegua-

* Ringrazio Carlo Bianchini, con cui ho discusso le tematiche trattate e il cui aiuto è stato fondamentale nella redazione del saggio.

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

to, tale genere di fenomeni, che è proprio quello che attiene ed è relativo alle strutture informazionali e comunicazionali della mediazione bibliografica (Serrai, 1997b, p. 17). La mediazione tra l'universo bibliografico e l'utente è pertanto un problema di comunicazione. Gli indici catalografici costituiscono un passaggio interme­ dio nel quale possono riconoscersi più fasi: la prima, la descrizione, riguarda il rapporto tra i documenti e la loro rappresentazione indicale; la seconda, l'or­ dinamento, concerne il rapporto tra il catalogatore e le rappresentazioni indi­ cali, e, in particolare, la capacità del primo di assegnare alle seconde una si­ stemazione ordinata; la terza, la ricerca, riguarda l'interazione tra l'utente e le rappresentazioni dei documenti organizzate secondo i criteri (standard e non arbitrari) seguiti dall' indicizzatore. Sotto il profilo della comunicazione, è evidente l'alto grado di indetermi­ natezza che caratterizza ciascuna fase singolarmente e il sistema nel suo com­ plesso. Si deve inoltre considerare che, per facilitare l'allestimento e l'uso degli indici, ci si avvale di un linguaggio specializzato, documentario, artificiale. Il ricorso al metalinguaggio, tuttavia, aumenta e complica la situazione comuni­ cazionale in almeno due aspetti: a) un indice è necessariamente una riduzione del messaggio originario (e la perdita di informazione comporta inevitabilmente il rischio che la parte di messaggio eliminata sia proprio quella di interesse dell'utente) ; b) poiché il rapporto di indice è triadico, si introducono inevitabilmente ele­ menti di incertezza riguardo alla comprensione del messaggio da parte del de­ stinatario, che è indeterminabile sia nella fase della sua emissione, sia, almeno parzialmente, nella fase della sua indicizzazione (ivi, pp. 1 7 -8). Il problema dell'organizzazione bibliografica si ripresenta con altrettanta insistenza e complessità nell'ambito della biblioteca come istituzione, o quan­ do le dimensioni della biblioteca superino le capacità mnemoniche dell'utente o, più facilmente, quando l'utente non conosca le modalità di allestimento del­ le raccolte, o queste siano prive di un ordinamento, fisico o virtuale, che le renda fattivamente accessibili. Secondo Shiyali Ramamrita Ranganathan, sep­ pure «l'idea anacronistica che una biblioteca sia un'istituzione che ha il com­ pito di conservare una raccolta di libri sembra prevalere; per il pubblico, in­ fatti, una biblioteca è semplicemente una raccolta di libri», ciò che realmente qualifica l'essenza della biblioteca è la mediazione: «una raccolta di libri di­ venta una biblioteca se, e solo se, esiste del personale che aiuti i lettori a tro­ vare e usare i libri» (Ranganathan, 1 96 3 , par. 1 6o) 1• L'interazione tra le entità che costituiscono il concetto di biblioteca {lettori, libri, personale) è resa con la suggestiva metafora dell'elettromagnete: un elettromagnete non è costituito

1 . Tutte le traduzioni relative a pubblicazioni per le quali non si disponga di un'edizione italiana sono opera dell'autore.

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dal ferro, dalle spire o dalla corrente elettrica considerati singolarmente; esiste soltanto nel momento in cui l'elettricità passa tramite le spire del nucleo e crea il campo magnetico. Allo stesso modo una biblioteca «inizia a esistere solo se lettori, libri e personale funzionano insieme. Lettori, libri e personale formano una triade in biblioteca» (ivi, par. I 6o) . Le interazioni che sussistono tra le tre componenti del sistema biblioteca devono essere sempre considerate in modo dinamico, al punto che qualsiasi modifica (quantitativa o qualitativa) di ciascuna componente comporta neces­ sariamente una variante in ciascuna delle altre due componenti. La mediazio­ ne tra la componente lettori e la componente libri awiene dunque per mezzo del personale, da intendersi in senso lato come l'insieme complessivo delle ri­ sorse umane e strumentali a disposizione per la mediazione. Se la mediazione awiene direttamente per mezzo del bibliotecario si ha il servizio di reference, che infatti Ranganathan definisce «il vero lavoro del bibliotecario» (Ranganat­ han, 1 96 1 , par. A24). Se la mediazione awiene indirettamente, l'utente si av­ vale dei cataloghi, owero, degli indici appositamente allestiti dal personale per favorire l'accesso alle raccolte. 9· 2

I principi di catalogazione

Il catalogo è, dunque, uno strumento di mediazione, di comunicazione tra i lettori e le raccolte, allestito da bibliotecari. Esso è anche un linguaggio, che mette in relazione la biblioteca con l'utente: una raccolta di documenti, sia pure selezionati con criteri determinati, non costituisce una biblioteca in as­ senza di un linguaggio che la metta in relazione con i lettori. Questo linguag­ gio è il catalogo, il cui scopo è, appunto, comunicare le informazioni che con­ sentono di individuare i documenti posseduti dalla biblioteca (Guerrini, 1 999, p. 6) . Il catalogo, come rappresentazione organizzata, è pertanto un linguaggio artificiale, dotato di vocabolario, semantica e sintassi propri, e costruito se­ condo criteri necessariamente condivisi tra costruttori e utenti. È evidente, quindi, che esiste un quadro generale di principi ai quali attenersi nella co­ struzione di questo linguaggio. Il termine "principi" è stato usato in diverse accezioni, ma principalmente per indicare gli obiettivi del catalogo - come nel caso dell'International Con­ ference on Cataloguing Principles (ICCP) di Parigi del 1 9 6 1 2 - o per indicare «le direttive che guidano la costruzione di un linguaggio bibliografico» (Sve-

2. Seyrnour Lubetzky in un importante contributo, che costituisce la base anche della re­ cente Dichiarazione di principi di Francoforte ( IME Ice ) , usa il termine "principi" per indicare gli obiettivi del catalogo (Lubetzky, 1969). Cfr. IFLA Meeting of Experts on an International Catalo­ guing Code (2oo6) .

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

nonius, 2ooo, p. 67) 3 • In questo specifico contesto per principi s'intendono «brevi asserzioni descrittive o prescrittive di modi di relazione e azione» ovve­ ro «generalizzazioni, o asserzioni generalizzate, di relazioni essenziali costanti in azioni ricorrenti definite o congruità nei processi e nei metodi» (Bliss, 1 93 9 , p. 2 1 ). Ranganathan, nell'esame dei principi normativi della catalogazione, di­ stingue tra i principi generali, che regolano qualsiasi disciplina (leggi genera/z) , principi normativi, che regolano la biblioteconomia (cinque leggi della bibliote­ conomia) , e principi normativi per la catalogazione (canoni) (Ranganathan, 1 95 5 , par. 30) . Elaine Svenonius (Svenonius, 2ooo, p. 68) fa risalire a Leibniz le due leggi generali di particolare rilevanza per la progettazione di un li n­ guaggio bibliografico: L il principio di ragione sufficiente (o principio di imparzialità) , che richiede che ciascuna scelta tra più alternative sia compiuta sulla base di ragioni so­ stenibili e non arbitrarie; 2 . il principio di parsimonia, che richiede che quando esistano più alternative per raggiungere un determinato risultato si scelga quella che risulta più econo­ mica (in termini di risorse umane, materiale, denaro e tempo, considerati nel complesso) . Sul gradino inferiore s i collocano le leggi della biblioteconomia espresse da Ranganathan. A un gradino ancora inferiore si trovano, infine, i canoni della catalogazione o "i principi per la progettazione di un linguaggio bibliografi­ co" . Secondo Svenonius (ibid. ) , nell'ambito della letteratura professionale sono ormai riconosciuti i seguenti principi: a) Principio dell'interesse dell'utente del catalogo: le decisioni adottate nel creare le descrizioni vanno prese tenendo presente l'utente del catalogo. Un sottoprincipio è: Principio dell'uso comune: il lessico normalizzato usato nelle descrizioni deve essere in accordo con quello della maggioranza degli utenti; b) Principio di presentazione: le descrizioni devono essere basate sul modo in cui ciascuna entità descrive se stessa. Un sottoprincipio è: Principio di accuratezza: le descrizioni devono rappresentare fedelmente le entità descritte; c) Principio di sufficienza e necessità: le descrizioni devono essere sufficienti a raggiungere gli obiettivi fissati e non devono includere elementi non necessari a questo scopo. Un sottoprincipio è: 3· Al termine "principio" si è fatto ricorso per indicare anche gli obiettivi di un sistema bibliografico o le regole generali di un codice di catalogazione. Tuttavia «i principi bibliografici sono diversi dalle funzioni bibliografiche e dalle regole catalografiche. Le funzioni codificano ciò che un utente si può aspettare da un sistema bibliografico - trovare un documento, trovare tutte le manifestazioni di un'opera visualizzate di seguito ecc. I principi, d'altra parte, sono direttive per la progettazione del linguaggio bibliografico usato per creare quel sistema. Questo linguaggio di norma assume la forma di un codice di regole. Comunque i principi non sono regole quanto piuttosto le linee guida per la progettazione di un insieme di regole» (Svenonius, 2ooo, pp. 67-8).

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Principio di significatività: le descrizioni devono includere solo gli elementi che sono bibliograficamente significativi; d) Principio di standardizzazione: le descrizioni devono essere normalizzate, fin dove possibile, in estensione e livello; e) Principio di integrazione: le descrizioni per tutti i tipi di materiali devono basarsi, fin dove è possibile, su regole comuni.

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9·3

Le funzioni del catalogo

Le funzioni attualmente riconosciute al catalogo sono fondamentalmente quel­ le stabilite nel I 876 da Charles Ammi Cutter nelle Rules /or a Printed Dictio­ nary Catalogue (Cutter, I 8 76). Secondo Cutter il catalogo ha il compito di: I . mettere in grado una persona di trovare un libro di cui si conosca:

a) l'autore; b) il titolo; c) il soggetto; 2. mostrare che cosa la biblioteca possiede: d) di un determinato autore; e) su un determinato soggetto; /) in un particolare genere letterario; 3.

facilitare la scelta di un libro:

g) attraverso la sua edizione (in senso bibliografico) ; h) attraverso la sua caratterizzazione (in senso letterario o topico) . Questa visione dei compiti del catalogo proposta d a Cutter e ripresa in molti lavori teorici successivi, può essere fatta risalire ad Antonio Panizzi, autore delle 9 I regole di catalogazione, sulla base delle quali venne realizzato il Cata­ logue o/ Printed Books in the British Museum edito a partire dal I 84 I (Panizzi, I 84 I ) 4• Ranganathan, in Classified Catalogue Code del I 934, inserisce i pre­ detti obiettivi del catalogo in un quadro teorico più ampio, che, partendo dai principi logici generali e passando per le famose cinque leggi della biblioteco­ nomia e per i canoni di catalogazione, giunge infine a definire in tal modo il compito del catalogo: a) mostrare a ogni lettore il documento di suo interesse; b) assicurare a ogni documento il proprio lettore; c) far risparmiare tempo al lettore e al personale. A un livello più specifico, per soddisfare queste richieste, il catalogo adem­ pie alle funzioni enunciate da Cutter, che Ranganathan riprende quasi alla let4· Cfr. anche Panizzi ( 1 85o).

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

tera (Ranganathan, I 98 8 , p. 77 ). Gli obiettivi di Cutter, mediati dalla riflessio­ ne di Lubetzky 5, diventano parte integrante e fondante dei Principi di Parigi del I 96 I , relativamente al catalogo per autore e titolo. Il testo finale dell'Inter­ national Conference on Cataloguing Principles sancisce che le funzioni del ca­ talogo per autore e titolo sono:

ll catalogo deve essere uno strumento efficace per accertare 2. 1. se la biblioteca contiene un libro particolare identificato a) per mezzo del suo autore e titolo, oppure b) se l'autore non è nominato nel libro, per mezzo del titolo soltanto, oppure c) se autore e titolo sono inadatti o insufficienti all'identificazione, un conve­ niente sostituto del titolo; 2 . 2 . a) quali opere di un particolare autore e b) quali edizioni di una particolare opera esistono nella biblioteca (IFLA, 1966, par. 2 ) 6 . Alla fine degli anni settanta del x x secolo, S. Michael Malinconico (Malinconi­ co, Fasana, I 979) rielabora e aggiorna gli obiettivi di Cutter, stabilendo che il catalogo ha l'obiettivo di: I . consentire la localizzazione fisica di un particolare, ben determinato og­ getto; 2. collegare le singole manifestazioni di un'opera particolare (le sue traduzio­ ni ed edizioni, comprese quelle in formati diversi) ; 3 · collegare tutte le opere che sono il prodotto di un singolo agente respon­ sabile della loro creazione, ovvero le opere che hanno un'origine comune 7; 4- collegare tutte le opere che trattano di un soggetto comune, ovvero le ope­ re che hanno un'intenzione comune. Come risulta chiaro dalla formulazione proposta da Malinconico, rispetto agli obiettivi definiti, le modalità operative del catalogo devono essere necessa­ riamente almeno due: una modalità nella quale il catalogo individua certi do­ cumenti (cfr. punto I) e una modalità nella quale il catalogo raggruppa, o col­ lega, gli oggetti in base a caratteristiche prestabilite (cfr. punti 2-4). Le due modalità operative, indicate nella letteratura anglosassone rispettivamente con i due verbi to locate e to collocate, sono alla base di molte delle questioni tut­ tora aperte nell'ambito degli studi teorici sulla catalogazione. 9· 3 . I . Il conflitto tra funzioni La duplicità intrinseca nella natura del documento, che è la materializzazione fisica di un contenuto intellettuale, è alla base della radicale duplicità della natu­ ra del catalogo, che deve saper descrivere e al tempo stesso organizzare per 5· Cfr. Lubetzky ( r 96o) e Domanovszky (1 975 ). 6. Traduzione italiana in appendice a Maltese ( 1 965 ) . 7· I l concetto d i "origine comune" è presente anche in Domanovszky.

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rendere accessibili gli oggetti fisici e gli oggetti intellettuali che corrispondono ai documenti. È proprio alla duplice natura del documento che sono attribuite le ragioni di almeno due problemi fondamentali nella logica del catalogo: qual è l'oggetto della descrizione (la pubblicazione o l'opera) e a quale delle due funzio­ ni (la localizzazione o il raggruppamento) debba essere assegnata la priorità. Eva Verona ( 1 95 9 , pp. 79- 1 04) ritiene che, «dal momento che le prime due funzioni sono in molti casi in conflitto reciproco, non è possibile per nes­ sun catalogo tenerne conto nella stessa misura. Un a sola funzione, considerata primaria, può essere soddisfatta dalle registrazioni principali, mentre l'altra deve essere relegata alle registrazioni aggiuntive». Anche Akos Domanovszky è convinto che il conflitto si genera quando si deve stabilire a quale delle due funzioni debba essere assegnata la scheda con l'intestazione principale: ciò equivale a dire, nel catalogo cartaceo, la scheda che raccoglie le informazioni più complete su un determinato oggetto catalografico (Domanovszky, 1 975 , p. 1 62 ) . Seymour Lubetzky ( 1 95 3 , p. 37) sostiene che «le funzioni sono intrinse­ camente in conflitto, e il conflitto si riflette nelle vicissitudini delle nostre re­ gole». La soluzione non è facile: Dobbiamo affrontare, in partenza, il problema di se e come le due funzioni in con­ flitto possano essere conciliate. La risposta sembra da ricercare nella circostanza che, mentre la seconda funzione richiede che le opere di un autore siano registrate tutte sotto una sola forma del nome dell'autore, senza richiedere alcuna forma particolare, la prima funzione richiede allo stesso tempo che i libri siano registrati sotto quella forma del nome dell'autore con la quale si ritiene che esso sia citato e ricercato più frequentemente dagli utenti del catalogo. Tale forma è quella che appare nell'opera dell'autore, a meno che non sia conosciuto meglio sotto un'altra forma del nome. Ma ciascuno di questi requisiti presenta problemi (ivi, p. 38). Lubetzky cerca di superare il conflitto esistente proponendo un nuovo codice di catalogazione che ponga al centro dell'attenzione le opere e le edizioni di un'opera, e mediante il ricorso all'uso di intestazioni uniformi per i nomi di persona e per i titoli delle opere. In effetti, se si riconosce che la funzione principale delle biblioteche è quella di mediare tra utenti e contenuti orga­ nizzati, è necessario riconoscere che i contenuti vengono prodotti e conservati in percentuali sempre più rilevanti "al di fuori" della raccolta della biblioteca. Lo spostamento dell'accento dal possesso dei documenti al loro accesso, che caratterizza la biblioteca dei nostri giorni, ibrida e cooperativa, aperta a utenti locali e remoti tramite il collegamento a Internet, non può non comportare trasformazioni anche sugli strumenti della mediazione bibliotecaria, e in parti­ colare sul catalogo. Il catalogo, infatti, da decenni si trova in uno stato di transizione, come rilevato acutamente da Rossella Dini ( 1 99 1 , p. 1 2 3 ) : «Lo stato di transizione in cui si trova il catalogo dei nostri giorni è d'intensità inusitata. Perché inusitata è la complessiva situazione dell'accesso all'informa­ zione in generale, quale si sta verificando con lo sviluppo dell'informatica e

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

della telematica». È infatti possibile leggere diacronicamente le funzioni del catalogo, che da strumento inventariale passa progressivamente ad essere stru­ mento di reperimento e poi, sempre più, strumento di orientamento biblio­ grafico verso tutti i contenuti, sia quelli conservati accidentalmente nella bi­ blioteca, che quelli conservati al di fuori della biblioteca, ma accessibili anche o solo tramite i suoi servizi. La prospettiva rovesciata spinge verso la cataloga­ zione delle opere prima ancora che dei libri, che di quelle opere sono gli acci­ denti, le mam/estazioni (nel linguaggio di FRBR, di cui parleremo più avanti) : cioè a dare priorità allo svolgimento della seconda funzione rispetto alla pri­ ma. Nel catalogo tradizionale, la priorità assegnata alla funzione di individua­ zione di tutte le opere di un autore o di tutte le edizioni di un'opera si tradu­ ce operativamente nel privilegiare la scelta di assegnare l'intestazione principa­ le in base al contenuto della pubblicazione. Il problema del conflitto interno tra le funzioni sembra quindi ruotare in­ torno al problema dell'intestazione principale. 9 . 3 . 2 . L'intestazione principale L'intestazione principale è l'elemento più importante impiegato per localizzare la registrazione di una risorsa (di un documento) , per stabilire la posizione della registrazione di quella specifica risorsa all'interno dell'organizzazione del catalogo e per collegare tra loro tutte le registrazioni di manifestazioni di ope­ re che abbiano una caratteristica in comune (l'opera o l'autore, tipicamente) . Poiché al tempo stesso serve per l'individuazione della manifestazione, per il raggruppamento e per la struttura sindetica del catalogo, è evidente che la soluzione di questioni relative alla scelta e alla forma dell'intestazione princi­ pale abbia interessato una parte consistente degli studi di teoria della cataloga­ zione. Secondo S. Michael Malinconico ( I 977, p. 3 I 9 ) , «l'intestazione princi­ pale è il nome impiegato per identificare un'opera, e la sua definizione richie­ de di norma l'intersezione del nome di una persona (o di un ente) col nome dell'unità bibliografica creata da quella persona o ente [ . . . ] . L'idea di base [ . . . ] è che l'intestazione principale costituisce un centro esclusivo, un nucleo, al quale le singole manifestazioni di un'opera possano essere collegate». Sempre più di frequente il concetto di intestazione principale si sovrappo­ ne impropriamente con il concetto, più riduttivo, di punto di accesso. Carlo Revelli evidenzia che con la distinzione netta intervenuta poi tra descrizione e intestazione, considerandosi la prima come raccolta autosufficiente di informazioni atte a identificare un documen­ to evidenziandone ad un tempo le peculiarità più importanti, e la seconda come mez­ zo per inserire la descrizione in un catalogo e per ricuperarla, si è posta in rilievo la funzione di punto di accesso propria dell'intestazione, intesa come elemento mobile della registrazione catalografica. Non si trattava certo di novità, poiché l'intestazione funge ovviamente da punto di accesso, ma il nuovo termine evidenziava piuttosto la funzione dell'elemento mobile anziché la sua posizione, quasi ad anticipare la disarti-

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colazione verificatasi nel catalogo automatizzato, dove il punto di accesso serve sempre a reperire la descrizione, ma non sta più in testa ad essa (Revelli, 1 996, p. 676). L'esistenza nel catalogo elettronico di una molteplicità di punti di accesso mette in crisi il concetto di intestazione principale, ove questo venga fatto coincidere, semplicisticamente, con quello di punto di accesso 8•

La scelta dell'intestazione principale La scelta dell'intestazione è questione connessa all'adempimento delle funzioni del catalogo ed è valutabile direttamente in relazione al canone dell'accertabi­ lità. Per Diego Maltese il criterio fondamentale per la catalogazione, perché possano essere soddisfatte le due funzioni del catalogo, è dunque da cercare in un metodo che assicuri che una medesi­ ma opera, qualunque possa essere l'aspetto particolare, fenomenico, l'edizione in cui essa si presenta, sia registrata in un punto del catalogo, determinabile da chiunque in base ad un elemento univoco. Codesto elemento, come si è accennato, nel sistema cor­ rente di fonti di informazioni bibliografiche è più convenientemente e consistentemen­ te rappresentato dal nome dell'autore o, nel caso che esso manchi o sia insufficiente, dal titolo. In questi termini si articola, essenzialmente, il problema della scelta dell'e­ sponente o intestazione delle schede del catalogo (catalogo per autori e titoli) (Malte­ se, 1 965 , p. 6). Maltese ribadisce anche il canone della purezza: «Elementi che non siano l' au­ tore o il titolo di un'opera, se assunti in esponente in un catalogo per autori o titoli, ne turbano la chiarezza d'impianto, ne rendono precario e approssimati­ vo l'uso, nuocciono quindi alla sua funzionalità e in definitiva tornano a svan­ taggio di coloro che avrebbero dovuto trarne profitto» (ivi, p. 7). La scelta dell'intestazione principale si è imperniata, sotto il profilo teori­ co, sulla questione della responsabilità principale: ovvero, al responsabile prin­ cipale della pubblicazione doveva essere affidato il compito cruciale di costi­ tuire l'elemento di reperimento della pubblicazione nel contesto catalografico. Maltese spiega il principio di principale responsabilità in questi termini: La convenienza che sia indicato come autore, in termini catalografici, chi, tra coloro che hanno contribuito alla creazione di un'opera dell'intelletto, ha maggiori probabili­ tà di essere, nell'uso, più stabilmente associato all'opera ci ha aiutato a stabilire un primo criterio o norma di catalogazione, che si può così enunciare: un'opera va sche­ data sotto chi è principalmente responsabile del suo contenuto intellettuale, con sche­ de secondarie per tutti coloro che hanno sostanzialmente contribuito alla forma parti­ colare che l'opera assume in una determinata edizione (ivi, p. 2 3 ) .

8. Per approfondire questa ed altre tematiche relative all'introduzione del catalogo elettro­ nico in biblioteca, cfr. Weston (2oo2a).

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

Il riferimento al responsabile principale del contenuto intellettuale rimane va­ lido, seppure Lubetzky (200 1 , p. 2 9 3 ) la ritenga un'espressione «indubbia­ mente responsabile di gran parte dell'incertezza e confusione delle precedenti regole»; l'intestazione principale è certamente costituita dall'elemento che me­ glio rappresenta, per l'utente, l'entità cercata. Nel catalogo elettronico, l'inte­ stazione all'autore è uno dei possibili accessi all'opera, che sarà reperibile tra­ mite il titolo proprio e da un qualsiasi collegamento con tutte le altre entità coinvolte nella sua produzione. Rimane valido quindi il principio del canone dell'intestazione cercata, mentre quest'ultima non coincide necessariamente più con la " responsabilità principale del contenuto intellettuale" .

Il catalogo elettronico L'avvento dei cataloghi elettronici e i n linea h a con­ tribuito enormemente a diffondere l'idea, del tutto infondata, che l'intestazio­ ne principale non abbia più alcun valore. Molta confusione è dovuta all'identi­ ficazione dell'intestazione principale con il punto d'accesso al documento: nel catalogo a stampa, più ancora che nel catalogo cartaceo, l'intestazione princi­ pale costituiva il punto di accesso, unico o privilegiato, alla descrizione di un documento. Le possibilità di accesso moltiplicate dall'uso dell'informatica qualsiasi dato collegato alla descrizione può costituire un valido e utile punto di accesso - hanno fatto ritenere che potesse essere messa in discussione la stessa ragion d'essere dell'intestazione principale. I sostenitori dell'abolizione dell'intestazione principale dimenticano che il catalogo non è soltanto uno strumento di reperimento, ma anche di ordinamento. Per essere efficacemente consultabile, il catalogo deve essere ordinato in base a un determinato criterio (per esempio, l'autore, il soggetto) : l'inclusione di una registrazione all'interno della sequenza ordinata, e la relativa posizione, può essere stabilita esclusiva­ mente in base a un dispositivo identico, o funzionalmente equivalente, all'inte­ stazione principale. Secondo Rossella Dini ( 1 99 1 , pp. 1 43 -4 ) , quando si consideri l'obiettivo di individuare le opere di un autore e le edizioni di quelle opere, non si tratta soltanto di stabilire dei punti di accesso, dei termini di indicizzazione insomma, ai documenti, o meglio alle loro rappresentazioni, ma anche di collegare a queste rappresentazioni le opere di cui i documenti costituiscono la manifestazione. Si tratta in sintesi di imporre un'organizzazione alle notizie bibliografiche che riveli i reci­ proci rapporti sotto il profilo del loro contenuto intellettuale e della loro genesi. È per il riconoscimento di questa esigenza di organizzazione (distinta dai metodi di accesso) che in realtà non possiamo liberarci della nozione di intestazione principale, anche se il concetto va riveduto e chiarito nella sua reale funzione. Fin tanto che si considera la singola descrizione non si riesce a chiarire la reale funzione dell'intestazione principale, che diventa, invece, evidente se in­ quadrata nel contesto di un insieme di registrazioni, di dimensioni sufficiente­ mente ampie da richiedere un ordinamento per la sua rapida consultazione: in 1 94

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base a che cosa sarà possibile ordinare le descrizioni, se non in base a un'inte­ stazione principale? L'avvento dei cataloghi elettronici, di dimensioni crescen­ ti, avrebbe dovuto indurre, più che ad abolire, a rivalutare l'intestazione prin­ cipale, proprio per consentire l'organizzazione sistematica di insiemi di dati sempre maggiori. Il conflitto tra la prima e la seconda funzione innescato dall'assegnazione all'intestazione principale di un ruolo di localizzazione o di raggruppamento può essere interpretato come conflitto di punto di vista, ovvero conflitto nella scelta del criterio prevalente o prescelto, per l'ordinamento delle de­ scrizioni contenute nel catalogo: assegnare all'intestazione principale la fun­ zione di localizzazione significa sostanzialmente produrre uno strumento che organizza in base a elementi formali le descrizioni relative alle pubblicazioni; viceversa, assegnare all'intestazione principale la funzione di raggruppamen­ to significa produrre uno strumento che organizza le descrizioni delle pub­ blicazioni secondo identità di contenuto o di produzione. Poiché «l'essenza del catalogo della biblioteca consiste nell'ordinamento delle registrazioni» (Ranganathan, 1 95 5 , par. 3 3 2 1 ) , l'aggettivo "principale" assume il valore di " relativo al principale criterio di ordinamento " . Il catalogo elettronico ha aperto enormi possibilità non solo dal punto di vista della funzione di repe­ rimento, ma anche da quello dell'ordinamento. Dal catalogo elettronico è possibile estrarre molti cataloghi ciascuno dei quali può essere organizzato secondo una particolare modalità di ordinamento: il catalogo (ovvero l' ordi­ namento) per autore, per titolo, per soggetto, come pure il catalogo topo­ grafico, classificato, per editore ecc. In ciascuno di questi possibili cataloghi (ordinamenti) esiste necessariamente un dispositivo che facilita l'individua­ zione di ciascuna registrazione e ne stabilisce la posizione all'interno dell'or­ dinamento complessivo previsto. In questo contesto si può definire intesta­ zione principale la forma normalizzata dell'entità prescelta per rappresentare l'accesso alla descrizione di un documento in una data organizzazione delle registrazioni catalografiche. Se si vuole adempiere alle funzioni del catalogo delineate da Cutter è ne­ cessario che sia stabilita un'intestazione principale per ciascuna delle entità che devono o possono costituire oggetto di individuazione, raggruppamento o ordinamento. Quanto espresso da Rossella Dini ( 1 99 1 , p. 1 45 ) relativamente alle intestazioni alternative è condivisibile su un piano più ampio: Per una pubblicazione nella quale siano presentate due opere senza che vi sia un titolo d'insieme (Candido ovvero L'ottimismo di Voltaire e Candido ovvero Un sogno /atto in Sicilia di Leonardo Sciascia) non sarà legittimo prevedere, anziché un'intestazione principale (a chi, al primo autore, il cui nome si trova sul frontespizio di destra, o al secondo, il cui nome di trova sul frontespizio di sinistra?) e una secondaria, due inte­ stazioni alternative? Analogamente, quando si tratti di segnalare la stessa opera a parti­ re da elementi diversi ma paritari (La donna della domenica di Carlo Fruttero e Franco Lucentini) perché attribuire al primo un'intestazione principale e al secondo una se1 95

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condaria? e non invece due intestazioni alternative? [Segnalare solo una delle due for­ me come principale invece] significa tradire l'intento primario del catalogo che è la segnalazione dell'opera, appiattendo l'organizzazione catalografica sull'attribuzione del­ la paternità intellettuale, il cui fondamento risiede in realtà nell'individuazione prelimi­ nare dell'opera alla quale è subordinata la ricerca della paternità (il "vizio" è del resto mostrato dalla dizione stessa di catalogo per autori). L'estensione nell'analisi del rapporto tra la pubblicazione e le opere in essa contenute, o dell'opera contenuta e le relative responsabilità autoriali, è logica­ mente fondata sull'inclusione, come oggetti della ricerca da parte dell'utente, sia della pubblicazione, che dell'opera, che delle sue specifiche edizioni, pro­ prio secondo quanto previsto dalle funzioni del catalogo definite da Cutter. Se è vero che nei casi illustrati l'inserimento di una seconda intestazione non è strettamente necessaria alla funzione di individuazione della pubblicazione, è almeno altrettanto indiscutibile che una seconda intestazione sia indispensabile per rispondere all'esigenza di individuazione di tutte le edizioni o per rico­ struire l' oeuvre d'autore: in questo senso soltanto è da ritenersi superato il concetto di intestazione principale intesa come accesso unico o privilegiato alla descrizione.

La /orma deltintestazione Anche il problema della forma dell'intestazione è direttamente connesso alle funzioni del catalogo: secondo M alt ese ( I 96 5 , p. I 2 ) , affinché «un elemento di identificazione possa associarsi stabilmente ad un'opera o ad un gruppo di opere, occorre che presenti esso stesso intrinseche qualità di stabilità e consistenza e nello stesso tempo occorre che queste qualità aderiscano il più possibile al particolare carattere " sociale" dello strumento di informazione rappresentato dal catalogo». A livello di principio, la forma si adegua al ca­ none dell'intestazione cercata (canon o/ sought heading) , ovvero deve «sce­ gliere quella variante che, a un dato momento, restituisca nella maniera più economica e approssimata quella condizione ideale in cui volontà dell'autore (o di chi per lui) e currency del suo nome come autore si incontrano e si coprono» (ivi, p. I 3 ) . S e sul principio al quale ricorrere è facile trovare l'accordo di tutti, in fase di applicazione i problemi si presentano numerosi e spesso irrisolvibili. Infatti il catalogo è uno strumento bibliografico di mediazione, con limiti noti, nel quale la comunicazione avviene in una situazione di indetermina­ tezza, in relazione alla capacità del catalogo di rappresentare adeguatamente i documenti o di organizzarne coerentemente gli indici, e soprattutto in rela­ zione alla variabilità degli utenti del catalogo, cioè dei destinatari del mes­ saggio, sui quali vige un'imbarazzante incertezza. Nell'adottare la forma del­ l'intestazione, quale sia la variante che più o meglio risponde al canone è un'indicazione di principio che deve trovare riscontro nel codice delle rego-

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le o, meglio ancora, nella realizzazione di ciascun singolo catalogo in relazio­ ne all'utenza attesa. In questo senso, si sottoscrive la considerazione di Mal­ tese che non sarebbero infatti principi, nel senso concreto, pragmatico, che si è indicato, se non fossero generalmente condivisi. L'errore e la confusione nascono quando essi vengo­ no abbandonati in ossequio ad una malintesa convenienza del pubblico, per un'inte­ stazione più "naturale" . Ma le intestazioni "naturali " sono proprio quelle che ri­ spondono a principi largamente condivisi, che danno credito, cioè, e interpretano quello che il pubblico legittimamente e correttamente può chiedere al catalogo per autori della biblioteca (ivi, p. 1 6) . 9·4

Descrizione e accesso

9·4· I . Catalogazione descrittiva L'organizzazione della conoscenza registrata è subordinata ad un passaggio preliminare, di importanza critica: «Per essere organizzata, l'informazione deve essere descritta» (Svenonius, 2 ooo, p. 5 3 ). La duplicità antologica inestricabile e affascinante del documento, oggetto materiale e intellettuale, è alla base an­ che del problema dell'oggetto della descrizione, ovvero che cosa esattamente il catalogo descrive. La questione è tutt'altro che semplice e risolta. Rossella Di­ ni ( I 99 I, p. I 3 5) scrive: «Qual è l'oggetto di una descrizione bibliografica? Ossia, che cosa una distinta registrazione bibliografica deve descrivere? Nes­ sun codice o manuale di catalogazione lo ha mai stabilito». L'oggetto della descrizione è stato, almeno fino ad oggi, la pubblicazione, ovvero l'oggetto fi­ sico. Dini ribadisce che alla base di qualsiasi sistema di archiviazione delle in­ formazioni relative ai documenti c'è la singola registrazione bibliografica, cioè «un insieme di informazioni che consente l'identificazione del documento, in­ teso come oggetto fisico» (ivi, pp. I 2 6-7) dal quale poi scaturiscono i dati bi­ bliografici che sono «contrassegni formali fisicamente presenti sull'oggetto». Il rapporto Functional Requirements /or Bibliographic Records (FRBR) , lo stu­ dio sui requisiti funzionali delle registrazioni bibliografiche, condotto alcuni anni fa dall'IFLA e pubblicato nel I 998, nello sviluppare l'analisi della registra­ zione bibliografica si è proposto di delineare «uno schema che identificasse e definisse chiaramente le entità di interesse per gli utenti di record bibliografici, gli attributi di ciascuna entità e i tipi di relazione che operano tra entità» (IFLA, I 998. I brani riportati sono tratti dalla traduzione italiana) . Lo studio aveva tra i suoi obiettivi principali l'individuazione di uno schema ben definito e struttu­ rato per correlare i dati che vengono registrati nei record bibliografici ai bisogni degli utenti; non ha pertanto affrontato direttamente il problema di quale sia l'oggetto della descrizione, quanto piuttosto ha ricavato, dal formato bibliografi­ co esistente, quali siano gli oggetti di maggiore o minore interesse dell'utente. I 97

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La conclusione è che le entità, che rappresentano gli oggetti di interesse dell'u­ tente, sono state divise in tre gruppi:

n primo gruppo comprende i prodotti di un'attività artistica o intellettuale nominati o descritti nei record bibliografici: opera, espressione, manz/estazione e documento. n se­ condo gruppo comprende quelle entità responsabili del contenuto artistico o intellet­ tuale, della produzione fisica e della diffusione o della tutela di tali prodotti: persona ed ente 9• n terzo gruppo comprende un ulteriore insieme di entità che servono come soggetti dell'attività artistica o intellettuale: concetto, oggetto, evento e luogo (IFLA, 1 998, par. 3 . r ). In particolare, poiché opera ed espressione sono definite come entità astratte, mentre manifestazione e item sono definite come entità fisiche (ma dal 2005 anche la manifestazione è considerata entità astratta) , il Rapporto profila la possibilità che oggetto della descrizione sia la manifestazione intesa come «l'insieme completo di item che originano da un singolo atto di materializza­ zione fisica o produzione» (ivi, par. 3 . 2 . 3 ) . La cautela relativa alla fisicità dell'oggetto della descrizione è d'obbligo, anche alla luce di un'importante analisi compiuta da Tom Delsey sulle AACR (Delsey, 1 998 -99) . Secondo lo studioso canadese, la struttura delle AACR ri­ flette con grande enfasi la doppia natura dell'oggetto "libro" , suddividendo le regole in due parti distinte: la parte prima, sulla descrizione bibliografica, è dedicata all'oggetto fisico; la parte seconda, relativa agli accessi, è dedicata al­ l'opera, al messaggio intellettuale. Malgrado questa enfasi, però, il codice an­ gloamericano non risolve molti problemi collegati alla duplice natura del libro e alla molteplice funzione del catalogo; concetti chiave come item, work, edi­ tion, manz/estation e copy non hanno definizioni sufficientemente chiare e sod­ disfacenti, tanto che è legittimo chiedersi se, non essendo definiti i concetti chiave, non rimanga altrettanto indefinito, imprecisato, incompleto il modello logico che implicitamente regge il codice stesso. Delsey esprime le proprie perplessità sulla fisicità del documento, soprattutto in relazione alla sua validi­ tà per le risorse elettroniche. Pur consapevole che la «separazione del concet­ to di base dell'entità documento dalla nozione di fisicità non è una questione semplice», che implica problemi di descrizione, di definizione degli attributi, di definizione di «parte di documento», di individuazione della fonte principa­ le dell'informazione ecc., l'abbandono del concetto di fisicità «richiederebbe un ripensamento globale della natura degli oggetti della descrizione» (Delsey, 1 998-99, I, p. 29). La descrizione non può prescindere da un oggetto fisico per una ragione di ordine logico, in quanto il dominio della catalogazione, che è un sottodominio della bibliografia, esclude a priori gli oggetti della comuni9· In occasione dell'elaborazione di Functional Requirements /or Authority Records, ricolle­ gandosi implicitamente alla tradizione archivistica, le entità del secondo gruppo comprendono l'entità famiglia. Cfr. IFLA UBCIM Working Group on Functional Requirements and Numbering of Authority Records ( FRANAR) (2005 , pp. 14-5 ) e ICA (2004) .

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cazione che non siano messaggi registrati e che comportino l'esistenza di un supporto, il quale costituisce la base della descrizione, anche nel caso delle risorse elettroniche remote 1 0 • I problemi connessi al concetto di documento negli ultimi tempi si sono, se possibile, addirittura accresciuti, evidenziati molto di più con l'avvento del­ le risorse elettroniche: ad esempio, i documenti, o risorse dell'universo biblio­ grafico, si possono suddividere in risorse finite e risorse in continuazione. Le prime possono essere finite in una sola parte (libri, testi elettronici) o in più parti (complete e incomplete) ; le seconde possono essere pubblicate in succes­ sione (seriali, serie) o a integrazione (volumi a fogli mobili, basi dati, siti Web) (Gambari, Guerrini, 2 002 , p. 46) . Per catalogazione descrittiva s'intende «quella parte del processo di catalo­ gazione che si occupa della registrazione bibliografica (la descrizione dei docu­ menti stricto sensu) e dell' indicizzazione autore-titolo» (Dini, I 99 I , p. I 24 ) 1 1 • La prima delle due avvertenze che Dini aggiunge a questa definizione della catalogazione descrittiva evidenzia il rapporto, tradizionalmente consolidato ma non teoricamente inscindibile, tra l'attività di descrizione dei documenti e l'attività di indicizzazione: La registrazione bibliografica, in quanto rappresentazione di un documento e quindi unità di base di archivi organizzabili secondo una molteplicità di approcci, non ha un rapporto intrinseco e inscindibile con l'indicizzazione autore-titolo. n trattamento con­ giunto di questi due aspetti del processo di catalogazione descrittiva risponde tuttavia, in parte a un criterio di opportunità, il rispetto di una tradizione, in parte a dei criteri obiettivi: il riconoscimento, da un lato, di una certa affinità tra i concetti impliciti nelle due attività - di descrizione bibliografica e di creazione degli accessi autore-titolo - in quanto gli oggetti in esse trattati condividono le medesime caratteristiche di natura "formale" ; dall'altro, di una sostanziale "corrispondenza" tra la descrizione e le funzio­ ni generali del catalogo autore-titolo come organizzazione finalizzata al reperimento delle opere, delle edizioni, del corpus di un autore (ibid.) . L a seconda avvertenza sottolinea che le considerazioni relative alla componente indicale possono essere riferite al catalogo per autore e titolo in senso stretto, e alla componente autore-titolo di un eventuale catalogo dizionario nonché, naturalmen­ te, all'aspetto organizzativo autore-titolo del catalogo elettronico. Particolarmente per quest'ultimo è infatti artificioso e fuorviante conservare espressioni del tipo " catalogo per autore" , " catalogo per soggetti " e simili. n catalogo è uno e indivisibile. Sono gli approcci di ricerca, le strutture di reperimento che variano, secondo gli attributi pre­ scelti come elementi di accesso alle registrazioni e come caratteristiche di organizzazio­ ne dell'archivio (ibid.) .

Io. Per un approfondimento dei problemi relativi al supporto delle risorse elettroniche re­ mote, cfr. Bianchini (2005 , pp. I4I-2). I 1 . Cfr. anche Maltese ( I 988, pp. I0-2).

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Riguardo alla separazione logica tra le registrazioni bibliografiche e l'indicizza­ zione autore-titolo, le più recenti tendenze nell'ambito degli studi teorici sono orientate alla distinzione, sempre più netta sotto il profilo logico e pratico, tra l'attività propriamente descrittiva e l'attività indicizzatoria, owero tra la crea­ zione delle rappresentazioni dei documenti e l'allestimento delle voci d'indice, vale a dire degli strumenti per garantire un accesso rapido e organizzato alle registrazioni. Senza alcun dubbio inoltre, la collocazione logica degli indici in una visione complessiva e unitaria del catalogo sembra ormai del tutto acquisi­ ta, soprattutto nel contesto del catalogo elettronico. Il catalogo elettronico è dawero cutteriano, "uno e in divisibile" ; è proprio per questo che sembra non solo maturo, ma addirittura urgente distinguere definitivamente tra ciò che ap­ partiene alla descrizione e ciò che appartiene all'accesso, e quindi scindere con maggiore chiarezza tra accessi, anche per autore e titolo, e descrizione del documento. Se i codici di catalogazione non sono ancora pronti alla visione d'insieme per quanto attiene all'accesso - che ancora viene distintamente re­ golamentato in accesso per autore e titolo e accesso per soggetto - la tendenza a distinguere tra descrizioni e accessi è così consolidata che probabilmente il prossimo codice di regole angloamericano prenderà il nome di RDA, Resources Description and Access 1 2 • Di fatto ormai, anche in Italia si ricorre a uno stan­ dard adottato a livello internazionale per la descrizione dei documenti, rap­ presentato dalla famiglia delle ISBD. Le ISBD non si basano su una riflessione teorica approfondita, ma sono piuttosto il risultato di una prassi consolidata (ed esplicitamente formalizzata nella struttura delle ISBD ) , che si è poi diffusa enormemente anche grazie all'azione di importanti istituzioni a livello interna­ zionale (per esempio la Library of Congress) e del formato UNIMARC. La diffu­ sione e il consolidamento della prassi descrittiva fondata sulle ISBD, adottate dalla maggior parte delle biblioteche italiane, sono giunti al punto che la ri­ flessione teorica sui principi della descrizione viene trascurata probabilmente per la quasi impossibilità di intervento sulle modalità della descrizione. 9.4. 2 . Principi di descrizione La riflessione sui principi di descrizione è un settore di studio relativamente recente e, come abbiamo visto, certamente trascurato della teoria della catalo­ gazione (Maltese, Guerrini, 198 8 , p. 2 8 ) ; in particolare, desta perplessità la posizione teorica delle ISBD, owero dello standard di descrizione più diffuso a livello mondiale. Secondo Michael Gorman ( r 988, pp. r 6 r -2 ) , infatti, il programma ISBD, violando ogni canone di logica e di classificazione bibliotecaria, è passato dallo specifico al generale. [ . . . ] n risultato di tale esordio è stato che una strut­ tura generale ISBD(G) è stata creata dopo la conferma della prima ISBD: quella per mo­ nografie, l'ISBD(M) [ . . . ] il difetto che sta al centro del programma ISBD è che i principi 1 2 . Cfr. Guerrini (2oo5 a).

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non sono stati chiariti e di conseguenza c'è un'incertezza fra i ruoli delle varie ISBD, se, cioè, esse costituiscono gli standard, le regole, (oppure, a volte, manuali per l'applica­ zione). li programma ISBD non è sostenuto da nessun principio, perché era fondato SU un'analisi pragmatica della pratica corrente, piuttosto che creato da una ricerca basata su principi scientifici o filosofici. Forse quest'ultimi non esistono. È chiaro, però, che nessuno di coloro che ha avuto a che fare col programma ISBD li ha cercati. Proba­ bilmente è vero che, a causa di fattori di carattere politico, strategico e pratico, un modo pragmatico di affrontare le situazioni era necessario. Se la prima riflessione accurata sui principi per la descrizione nasce con il Rapporto Henkle - redatto da Lubetzky - (Library of Congress. Processing Dept. , I946) 1 3 , essa viene ancora quasi ignorata nella recente bozza prowiso­ ria della Dichiarazione di principi internazionali di catalogazione dell'IME ICC 1 4 • Le funzioni allora riconosciute alla descrizione catalografica sono la funzione di identificazione, la funzione di caratterizzazione e la funzione di presentazio­

ne/formalizzazione. La funzione di identificazione implica che la descrizione contenga le ca­ ratteristiche del libro necessarie a distinguerlo da altri libri e da altre edizioni. La funzione di caratterizzazione invece richiede che la descrizione presenti il libro in relazione alle altre pubblicazioni, ricostruendo il contesto del libro stesso. La funzione di presentazione, infine, garantisce che i dati siano pre­ sentati in modo tale da essere confrontabili con le schede degli altri libri e delle altre edizioni del libro nel catalogo e per rispondere al meglio all'inte­ resse della maggioranza dell'utenza (Lubetzky, I 988, pp. I I 8-9) . Nei suoi Principles o/ Descriptive Cataloging, Lubetzky parla sempre di book, owero di libro, proprio perché l'oggetto della descrizione è sempre la pubblicazione, cioè il supporto. Le funzioni della descrizione sono riprese ne­ gli stessi termini e ulteriormente chiarite da Dini ( I 99 I , p. I 3 3 ) : una descrizione bibliografica consiste dell'insieme dei dati relativi a un documento che ne consentano la caratterizzazione e l'identificazione, implicando che questa e quella si riferiscano al documento consapevolmente assunto quale rappresentante dell'edizione. Nella moderna catalografia si è sviluppato e consolidato il concetto di registrazione bibliografica come insieme "strutturato" d'informazioni, secondo un formato. In ordi­ ne alle funzioni riconosciute alla descrizione da catalogo (caratterizzazione bibliografica dei documenti e distinzione dei documenti e delle edizioni tra loro) sono infatti stabili­ ti i principi della selezione delle informazioni e della loro presentazione in un ordine fisso: il rispetto di questi principi garantisce dell' unz/ormità delle registrazioni che è finalizzata alla realizzazione di quelle funzioni. Per Maltese ( I 988, pp. 2 I -2 ) la descrizione «per il catalogo di una biblioteca ha lo scopo di distinguere una pubblicazione da altre pubblicazioni e di ca-

1 3 . Per approfondire il tema della descrizione bibliografica, cfr. Dini ( 1 985). 14· Cfr. Bianchini, Buizza, Guerrini (2004) .

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ratterizzarne il contenuto, l'oggetto e le relazioni di natura bibliografica. [. . . ] Gli obiettivi della descrizione, naturalmente, non sono separati, ma stretta­ mente intrecciati. L'individuazione si raggiunge anche attraverso la caratteriz­ zazione bibliografica e questa non è pensabile senza l' individuazione del suo supporto». Se le funzioni della descrizione catalografica sono dunque l'identificazione, la caratterizzazione e la presentazione, è necessario chiedersi anche come, cioè con quali modalità, il catalogo possa adeguatamente rappresentare i libri. Il problema si presenta articolato in quanto l'oggetto da rappresentare è com­ plesso. La rappresentazione di oggetti della comunicazione implica il ricorso a un vero e proprio linguaggio specifico, artificiale. Non solo; poiché i libri con­ tengono contrassegni formali finalizzati all'autoidentificazione, all' autocaratte­ rizzazione e all'auto presentazione, è necessario chiarire quali debbano essere i rapporti tra l' autoreferenzialità del documento e la sua corrispondente rappre­ sentazione catalografica. Serrai ( I 994a, p. I 5 7 ) ricorda che «i libri portano su di sé l'immagine bibliografica di se stessi; quella formula autoreferenziale con funzione di indice, viene preparata dall'autore o dall'editore, e si trova enun­ ciata sul frontespizio». La prima importante descrizione evidenziata da Serrai è tra la DB, ovvero la descrizione bibliografica come presentazione, a fini cata­ lografici, citazionali, referenziali, segnaletici, rappresentazionali, informazionali, di un libro (ove per libro, o documento s'intende sia il veicolo di un testo linguistico che è registrato nel documento, sia l'opera che trova una delle sue manifestazioni in quel testo) e la DB(L) , cioè la descrizione bibliografica auto­ referenziale del libro, che riguarda l'opera e il testo e informa sulle condizioni della stampa, della pubblicazione e della vendita (ivi, p. I 7 3 ) . Le «DB appar­ tengono ad uno dei seguenti tre generi, o ad un loro miscuglio: ( I ) Iconico, ( 2 ) Linguistico, ( 3 ) In/ormazionale. I tre generi di DB vanno intesi come atteggia­ menti normativi, come impostazioni prevalenti, come modelli operativi "idea­ li " , piuttosto che come prescrizioni rigidamente ed inflessibilmente vincolan­ ti" . La DB iconica "aspira a presentare le DB(L) nella forma più completa e fedele possibile; viene anche detta DB diplomatica o facsimilare o quasi facsi­ milare» (ivi, p. I 7 4); la DB linguistica riferisce «i dati presenti nelle DB(L) : ma quei dati non vengono presentati mantenendo fedeltà alla struttura ortografi­ ca, bensì rispettando il valore linguistico, e quindi grammaticale e semantico, del testo delle DB(L) . Ciò significa che la DB linguistica si manifesterà in for­ mule linguistiche ed ortografiche tali da corrispondere, in valore e funzione, ai simboli registrati nelle DB(L)». La DB informazionale infine rinuncia, in linea di principio, alla fedeltà nei confronti delle DB(L) - sia alla fedeltà ortografica che alla fedeltà linguistica - e si propone di segnalare, secondo i casi, i caratteri citazionali del documento, del testo o dell'opera, in modo distinto o mescola­ to. Le notizie relative all'opera, al testo o al documento [ . . . ] vengono presentate den­ tro a categorie che corrispondono alle piste tradizionali, o necessarie, della ricerca [ .. .] e lì vengono distribuite secondo gli ordinamenti più adatti, caso per caso, all a indivi-

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duazione e al reperimento. [ .. .] Le DB ad impiego catalografico o referenziale - anche se è quasi impossibile trovarne una esplicita ammissione - sono sempre DB informazio­ nali; questa condizione, una volta riconosciuta, potrebbe esonerare i loro compilatori dai crucci che essi soffrono in quanto sono convinti di dover sostenere l'arduo compi­ to di soddisfare, almeno in parte, anche alle esigenze degli altri due generi di DB, quel­ lo iconico e quello linguistico. Nella pratica descrittiva e citazionale - dai cataloghi agli elenchi bibliografici - il genere più frequente è quello informazionale [ . . . per il quale] vengono attinti criteri o vengono osservati scrupoli descrittivi che appartengono agli altri due generi. Un esempio clamoroso di questa mescolanza compromissoria, di scarsa utilità descrittiva, ma fertile di equivoci, è quello offerto dagli schemi ISBD (ivi, pp. 174-5 ) . L a complessità della D B linguistica, che richiede conoscenze sicure delle forme ortografiche, delle regole di maiuscolizzazione e di accentazione e della p un­ teggiatura delle varie aree linguistiche, suggerisce di «preferire una DB iconica, che dia evidenza opportuna degli elementi che vanno indicizzati ed ordinati, o una DB informazionale» (ivi, p. 1 7 6) . Se è chiaro che, a seconda del livello dello strumento che si desidera alle­ stire, vada compiuta una scelta per l'una o per l'altra opzione, è necessario che nelle previsioni dei codici di catalogazione si tenga sempre ben presente il principio di sufficienza e necessità: ogni modalità di descrizione che non sia adeguata al livello del catalogo rischia di essere inutilmente ridondante o, peggio ancora, insufficientemente discriminante. Suona di monito il giudizio formulato da Alberto Petrucciani ( 1 98 8 , pp. 47-8) sul nesso tra l'autoreferen­ zialità del libro e la sua rappresentazione catalografica: «Ritengo che il nesso tra frontespizio e corpo della scheda, e quindi l'uso delle parentesi quadre come indicatore di tutto ciò che, in questo ambito, veniva ottenuto da altra fonte, fosse una convenzione "forte" , e quindi un solido punto di riferimento [. . . ] . La descrizione di oggi non ha ancora [ . . . ] trovato un punto di riferi­ mento altrettanto solido e chiaro, e si trova evidentemente in una fase di transizione». 9·5

La struttura del catalogo. Entità, attributi, relazioni

Per analizzare più organicamente la questione della struttura del catalogo non è possibile dimenticare quanto Ranganathan afferma su questo strumento di mediazione al servizio dell'utente:

n catalogo della biblioteca è un intrico di convenzioni. È addirittura sleale, perché sembra scritto in un linguaggio familiare, naturale, mentre invece la lingua del catalogo è artificiale. La slealtà è data dal ricorso a parole ordinarie: le parole non sono morfo­ logicamente o radicalmente artificiali, ma la sintassi sì. Anche la semantica è artificiale. L'uso dei segni di punteggiatura non è del tutto ortodosso. Gli elementi del nome di una persona sono invertiti. Tutto questo disorienta il principiante (Ranganathan, 196 1 , par. C25 ) . 203

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

Ancora più esplicitamente, in Heading and Canons, Ranganathan spiega: «Il linguaggio di un catalogo è un gergo. È un linguaggio artificiale, diverso dal linguaggio naturale. Spesso non ci si rende conto di ciò per l'illusione creata dall'uso dei termini del linguaggio naturale nelle intestazioni del catalogo. Questa illusione dovrebbe essere costantemente rimossa nella creazione di un codice di catalogazione» (Ranganathan, 1955, par. 33 2 6 ) . Esaminare l a struttura del catalogo significa innanzitutto riconoscerlo come strumento di comunicazione estremamente complesso, al punto da co­ stituire un vero e proprio linguaggio artificiale, con proprie regole lessicali, semantiche, sintattiche e grammaticali. Per rendere più chiara la complessità della mediazione realizzata dal catalogo, si dovrebbe dire che ciascun catalogo è un gergo, ovvero che condivide una base comune di convenzioni della "lin­ gua di riferimento" ma adotta, o dovrebbe adottare, anche convenzioni gerga­ li specifiche, mirate alla propria utenza reale. «Per essere efficace, il catalogo si modella sulle necessità concrete di ogni istituto, è funzionale al pubblico a cui si rivolge, rifugge da ogni astrattezza o chiusura in se stesso» ( Guerrini, 1 999, p. 6 ) . 9.5 . r . Il catalogo come linguaggio Se si accetta che il catalogo sia un linguaggio 1 5 , dovrebbe essere possibile continuare nell'analogia e individuare le componenti di questo linguaggio: les­ sico, semantica, sintassi e grammatica. Il lessico, o vocabolario, rappresenta l'insieme dei vocaboli propri di una lingua; la semantica è lo studio del significato delle parole, ovvero quella parte della semiotica che, trascurando le implicazioni psicologiche e sociologiche, analizza il rapporto tra segno e referente; la sintassi si occupa dei procedi­ menti per i quali le parole di una frase e le frasi di un periodo sono collegate le une alle altre in maniera da esprimere i rapporti concettuali; la grammatica infine provvede all'insieme delle norme che regolano la combinazione di un insieme di unità di base in modo da realizzare i segni previsti da un codice. Secondo Svenonius è corretto istituire corrispondenze tra le lingue e il lin­ guaggio bibliografico:

ll vocabolario di un linguaggio bibliografico consiste delle espressioni semplici e com­ plesse usate per definire i valori di tre variabili: entità, attributi e relazioni. La sua semantica consiste delle relazioni tra questi nomi, come la relazione di equivalenza che esiste tra i nomi d'autore Mark Twain e Samuel Clemens, e termini di soggetto come 1 5 . Più precisamente per Serrai si deve parlare di metalinguaggio, poiché la bibliografia è un tipo di comunicazione che si svolge su «messaggi, registrati, assume il carattere di un meta­ linguaggio, in quanto si riferisce, denotandoli, ad oggetti linguistici esterni che non fanno parte del discorso che li denota. Il livello metalinguistico delle formule linguistiche che li identificano, individuano, caratterizzano, qualificano, connotano, e definiscono i messaggi registrati è, pertan­ to, quello che spetta alle comunicazioni di natura bibliografica» (Serrai, 1994a, p. 15 5 ) .

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9 · CATALOGAZIO:-JE CUPOLE A BULBO e CUPOLE A CIPOLLA. La sua sintassi consiste nell'ordinare le relazioni tra gli elementi componenti di espressioni complesse del linguaggio. La sua grammati­ ca consiste nelle indicazioni e nelle condizioni per l'applicazione del linguaggio, come una indicazione che stabilisce la misura della descrizione da fornire o le condizioni in base alle quali un certo termine descrittivo si può applicare a un'opera (Svenonius, 2 000, p. 5 5 ) .

L'analogia tra l a lingua e i l linguaggio bibliografico h a senz' altro il pregio di mostrare la complessità delle operazioni di rappresentazione e ordinamento che costituiscono la base dei processi bibliografici. In particolare, serve per chiarire la portata dell'affermazione di Ranganathan sulla "slealtà " del catalo­ go e sull'apparente semplicità con la quale inganna anche il più scaltro tra i suoi utenti. La sintesi più forte delle funzionalità del linguaggio bibliografico avviene nel formato bibliografico: «Un formato bibliografico è una struttura grammati­ cale, o più esattamente sintattica, che governa il linguaggio della bibliografia». La complessità del formato è data dal suo fissare contemporaneamente tre ele­ menti fondamentali della registrazione bibliografica: contenuto, ordine e pun­ teggiatura, ovvero rispettivamente semantica, sintassi e grammatica 1 6 . 9 . 5 . 2 . Entità La necessità di produrre descrizioni che siano nel contempo adeguate alle fun­ zioni del catalogo e rispettose dei principi logici e catalografici sopra eviden­ ziati - in particolare del principio di parsimonia e dei principi di sufficienza e necessità, di accuratezza e di significatività - ha spinto l'IFLA, dall'ultimo quin­ dicennio in particolare, a studiare i requisiti funzionali delle registrazioni bi­ bliografiche, ovvero ad avviare uno studio che portasse a un'accurata revisione dei rapporti che intercorrono tra singoli elementi di dati contenuti nella regi­ strazione e le specifiche esigenze dell'utente 1 7 • Lo studio dei requisiti funzio­ nali - FRBR - ha avuto notevoli conseguenze e un rilevante impatto su molti aspetti della catalogazione: ha sostenuto una ripresa, forse già in atto ma anco­ ra poco sensibile, degli studi teorici e ha spinto in modo considerevole al rie­ same dei principi e dei codici nazionali di catalogazione. Il rapporto FRBR si proponeva di «delineare, con l'uso di termini chiaramente definiti, le funzioni svolte da un record bibliografico rispetto ai vari mezzi di comunicazione, le varie applicazioni ed i vari bisogni dell'utente. Lo studio deve tenere conto dell'intero spettro di funzioni di un record bibliografico nella sua accezione più ampia - ossia, un record che comprenda non solo elementi descrittivi, ma punti di accesso (nome, titolo, soggetto ecc.) , altri elementi organizzativi (clas­ sificazione ecc.) e le note» (IFLA, r 998, par. r. r ) . 1 6. Cfr. Dini ( 1 99 1 , pp. 1 34- 5 ) .

q . Cfr. IFLA ( 1 998,

p ar. I . I).

205

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

La registrazione bibliografica ha messo in evidenza la criticità della defini­ zione di oggetto della descrizione proposta nelle ISBD ( G ) ( IFLA, 1992, par. 0.2) 1 8 • La difficoltà di definire chiaramente l'oggetto della descrizione richiede probabilmente una riflessione più articolata e approfondita sulle entità coin­ volte, direttamente e indirettamente, nel processo di rappresentazione dei do­ cumenti. Il modello logico scelto nell'analisi dei requisiti funzionali si basa sull'indi­ viduazione delle entità (oggetti di interesse primario per gli utenti delle infor­ mazioni in un dominio specifico) , degli attributi (o caratteristiche delle entità) e delle relazioni (ovvero associazioni tra entità) che intercorrono tra le entità individuate. Nella costruzione del modello ER, entità- relazioni, il primo passo è consistito nell'isolare gli oggetti di interesse primario per gli utenti delle in­ formazioni nel contesto del catalogo e nella loro definizione più generale pos­ sibile. Le entità 1 9 individuate nel modello FRBR sono suddivise in tre gruppi: il primo comprende i prodotti di un'attività artistica o intellettuale nominati o descritti in registrazioni bibliografiche (opera, espressione, manz/estazione e item); il secondo gruppo comprende quelle entità che sono responsabili del contenuto intellettuale o artistico, della produzione fisica e della diffusione o della tutela di tali prodotti (persona o ente); il terzo gruppo comprende le en­ tità che fungono da soggetti dell'attività artistica o intellettuale (concetto, og­ getto, evento e luogo) . Il Gruppo r contiene le entità dell'universo bibliografi­ co che vengono ricercate dagli utenti: opera, «una creazione intellettuale o ar­ tistica ben distinta» ( IFLA, 1 998, par. 3 . 2 . r ) ; espressione, «la realizzazione arti­ stica o intellettuale di un'opera in forma alfanumerica, musicale o di notazione coreografica, sonora, di immagine, di oggetto, in movimento etc. o in combi­ nazioni di tali forme» (ivi, par. 3 .2 . 2 ) ; manifestazione «la materializzazione fisi­ ca dell'espressione di un'opera» (ivi, par. 3 . 2 . 3 ) e item (o documento) , «un sin­ golo esemplare di una manz/estazione» (ivi, par. 3 . 2 .4) . I dati che dovrebbero costituire la registrazione sono considerati in funzione dell'entità che aiutano a descrivere, in modo che ciascuna entità «serve come punto focale per un in­ sieme di dati» (ivi, par. 2 . 3 ) . Nel diagramma a livello generale vengono defini­ te anche le relazioni 2 0 normalmente esistenti tra le entità individuate; successi­ vamente, vengono identificate anche le relative caratteristiche di ciascuna en­ tità. Sotto il profilo metodologico è necessario sottolineare che l'analisi di FRBR non muove da posizioni aprioristiche sulla registrazione, né da uno schema concettuale astratto; piuttosto determina l' individuazione di entità, attributi e

1 8. Nelle ISBD(G) per item «S'intende con esso un documento (document), gruppo di docu­ menti o parte di un documento, in qualsiasi forma fisica, considerato come un'entità e costi­ tuente la base di una distinta descrizione bibliografica». 19. Un'entità è «qualcosa che ha interesse in un dato contesto e che può avere proprietà che interessano nel medesimo contesto» (Ghilli, Guerrini, 2 00 1 , p. 34) . 2 0 . Una relazione è un'associazione tra entità.

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9 · CATALOGAZIO:-JE

relazioni dall'osservazione delle registrazioni esistenti e prodotte in base a nor­ me catalografiche già vigenti. Pertanto si presenta come «un primo passo, uno specchio, una lente di ingrandimento sulla prassi catalografica contempora­ nea» (Ghilli, Guerrini, Novelli, 2003 , p. 1 47 ) , da utilizzare per rilevare even­ tuali difetti presenti non tanto nel modello proposto, ma nelle norme dalle quali quel modello è derivato. 9·5 · 3 · Attributi Nel paragrafo dedicato ai principi di descrizione, si è messo in evidenza come la descrizione debba soddisfare i due obiettivi fondamentali dell'individuazio­ ne e della caratterizzazione. L'individuazione di ciascuna entità del catalogo avviene mediante l'analisi comparativa degli attributi, ovvero delle caratteristi­ che dell'entità. Prima di procedere all'esame degli attributi nel modello ER proposto da FRBR, è necessario sottolineare che non esiste un numero prestabi­ lito di attributi per soddisfare alle funzioni della descrizione; il numero degli attributi che individuano e caratterizzano le entità prescelte varia invece in funzione del contesto operativo del catalogo, ovvero in funzione delle raccolte e dell'utenza. Questa evidenza costituisce un elemento di grande incertezza nell'allestimento dei cataloghi e richiede che i modelli generali siano resi adatti alle condizioni speciali dettate dal contesto specifico della biblioteca ( utenza, raccolte, personale) . Le entità individuate nel modello sono definite mediante le rispettive ca­ ratteristiche o attributi. Gli attributi costituiscono da un lato i criteri di indivi­ duazione delle entità (cioè gli elementi in base ai quali è possibile definire ciascuna specifica entità) e dall'altro «gli strumenti per mezzo dei quali gli utenti formulano interrogazioni e interpretano risposte quando cercano infor­ mazioni su una particolare entità» (IFLA, 1 99 8 , par. 4. 1 ) . Secondo il modello FRBR esistono due categorie di attributi: nella prima rientrano gli attributi inerenti all'entità, che includono «non solo caratteristi­ che fisiche (per esempio il supporto fisico e le dimensioni di un oggetto) ma anche aspetti che possono essere definiti come informazioni descrittive (per esempio indicazioni che appaiono sul frontespizio, sulla copertina o sul conte­ nitore)»; nella seconda categoria rientrano gli attributi assegnati esternamente, ovvero «identificatori assegnati ad una entità (per esempio il numero di un catalogo tematico per una composizione musicale) e informazioni contestuali (ad esempio il contesto politico in cui un'opera è stata concepita)» (ibid. ) . La distinzione tra attributi interni e attributi esterni ha un particolare valo­ re se considerata nel quadro dei principi di catalogazione: poiché «gli attributi inerenti ad un'entità possono di norma essere determinati con l'esame dell'en­ tità stessa; quelli che vengono assegnati richiedono spesso riferimenti a fonti esterne» (ibid. ) , i primi offrono garanzie molto maggiori rispetto al principio di presentazione (o ascertainability) , che costituisce un cardine della descrizio­ ne bibliografica. 207

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

La distinzione inoltre tra attributi di entità e relazioni tra entità rispetto al medesimo oggetto-entità, è di rilevante interesse rispetto alle distinzioni tra possibili modalità di descrizione bibliografica presentate nei paragrafi prece­ denti. Laddove il rapporto FRBR specifica che «può sembrare che, nel modello, alcuni degli attributi definiti costituiscano duplicazioni degli oggetti di inte­ resse, definiti separatamente come entità e collegati all'entità in questione at­ traverso delle relazioni». Per esempio l'attributo della manifestazione "formu­ lazione di responsabilità " può «sembrare duplicare le entità persona ed ente e le relazioni di "responsabilità " che collegano quelle entità con l'opera elo con l'espressione materializzata nella manifestazione» (ibid. ), la distinzione logica tra il dato in forma di attributo e il dato in forma di relazione si deve spiegare considerando che nel primo caso l'attributo deriva direttamente dalle informa­ zioni descrittive che appaiono nella manifestazione; mentre nel secondo caso deriva dalla relazione tra l'opera contenuta nella manifestazione e la persona o ente in relazione con essa. Nel primo caso si tratta di fornire una rappresenta­ zione iconica del dato (l'attributo nella forma in cui si presenta nell' autode­ scrizione del documento) ; nel secondo caso si ha una descrizione informazio­ nale, nel senso che si descrive l'esistenza di una relazione tra due entità, delle quali viene fornito il nome in forma "normalizzata". La scelta di FRBR di non procedere sempre alla "duplicazione" degli attri­ buti/relazioni conferma la distinzione, che si verifica «soltanto nei casi in cui sembrava necessario garantire l'esigenza di fornire un accesso controllato o normalizzato all'informazione data nell'attributo» (ibid. ) . In questo passaggio di FRBR emerge la commistione di due piani descrittivi, o meglio di due mo­ delli (iconico e informazionale) , che è intrinseca alla descrizione bibliografica, secondo gli standard ISBD (sui quali FRBR fonda il proprio lavoro di analisi) . Quando la funzione perseguita è informazionale e non iconica, il trattamento del dato relativo dovrebbe esulare dall'interesse di FRBR e ricadere più corret­ tamente nell'ambito di studio di FRAI\'AR. Un a descrizione catalografica, redatta secondo gli attuali standard, è co­ stituita pertanto dal complesso degli attributi, interni o esterni, iconici o infor­ mazionali, ritenuti rilevanti ai fini dell'individuazione di una determinata entità in un dato contesto catalografico. 9·5·4· L'organizzazione del catalogo, ovvero le relazioni Lo scopo della descrizione catalografica, si è detto, è duplice: individuare una pubblicazione tra altre pubblicazioni, caratterizzarne il contenuto, l'oggetto e le relazioni di natura bibliografica e presentarne i dati. Se alla prima funzione risponde bene l'elencazione e l' evidenziazione degli attributi, nel secondo caso il compito si presenta più complesso. Si tratta di caratterizzare un'entità sotto diversi aspetti (contenuto, oggetto, forma ecc.) e di metterne in evidenza le relazioni con altre entità. Si tratta di garantire alle singole descrizioni (che ri­ sultano dalla presentazione degli attributi interni ed esterni ritenuti rilevanti 208

9 · CATALOGAZIONE

nello specifico contesto) un ordinamento tale da rendere possibile la scansione delle descrizioni in modo chiaro ed efficace. Mentre nella bibliografia l'ordinamento si risolve con l'adozione di uno tra i molti possibili aspetti dell'entità, nel catalogo, a causa dell'impossibilità di prevedere l'approccio utenziale, è necessario che si instauri un congruo nu­ mero di relazioni tra le entità coinvolte e rappresentate dalle descrizioni, se­ condo criteri molteplici e complessi. Come sottolinea Serrai, la struttura del catalogo non si riduce, però, soltanto all 'ordinamento delle singole descrizioni - come avviene di solito, ad esempio, in una lista bibliografica enumerativa - ma è formata da una architettura che [. ] non è [ .. .] trascurabile per quanto riguarda i cataloghi nominali (i cataloghi che segnalano i nomi degli autori e i titoli delle opere), essendo costituita dalle configurazioni biografiche, letterarie e storiche in tutta la estesa varietà delle mor­ fologie onomastiche, stilistiche, linguistiche ed editoriali. Indipendentemente dal livello delle descrizioni, mentre un elenco bibliografico nasce come un insieme di opere o di edizioni che hanno qualcosa in comune o si riferiscono a qualcosa di comune, e quin­ di il suo ordinamento è funzionale alla segnalazione degli aspetti - cronologici, meto­ dici, linguistici ecc. - di questa entità comune, un catalogo, essendo uno strumento che si adopera per reperire un'opera (o un'edizione) o per trovare un'opera (o un'edi­ zione) che contenga qualcosa che ci interessa, in mancanza di una casistica esauriente sia delle situazioni documentarie (del resto irrealizzabili in un indice) che delle condi­ zioni di ricerca (inattuabile per la varietà e la imprevedibilità dell'utenza) deve fornire non solo occasioni sporadiche di incontro fra offerte e richieste bibliografiche, ma una mappa integrata di tutti gli usuali e praticabili canali della ricerca documentaria (Ser­ rai, 1 984, pp. 185 -6). ..

La riflessione sulle relazioni all'interno del catalogo è relativamente recente: Barbara Tillett è autrice di uno studio delle relazioni bibliografiche Biblio­ -

graphic Relationships: Toward a Conceptual Structure o/ Bibliographic In/orma­ tion Used in Cataloging del 1 987 che ha dato notevole impulso a uno speci­ -

fico filone di ricerca (Tillett, 1 987 ). Secondo Tillett le relazioni si possono classificare in sette categorie: relazioni di equivalenza, derivative, descrittive, tutto-parte, accompagnatorie, sequenziali e a caratteristiche condivise 2 1 • A giudizio di Patrick Le Boeuf (200 1 , p . 1 5 3 ) , l a classificazione proposta 2 r. Rossella Dini, nel precedente contributo sulla catalogazione, classificava le relazioni bi­ bliografiche secondo le tre classi adottate anche nel formato UNIMARC: relazione verticale (parte/ tutto) , relazione cronologica, che «esprime il rapporto diacronico tra le unità bibliografiche, per esempio i predecessori e i successori di un seriale», e relazione orizzontale, che «esprime il rap­ porto tra manifestazioni di un'opera, per esempio in lingue o su supporti diversi e quello tra unità bibliografiche "imparentate" (ad es. un supplemento, un allegato, un indice)». I dispositivi di visualizzazione delle relazioni esistenti inoltre sono di due tipi: . 2 IO

9 · CATALOGAZIO:-JE

struttura. Sappiamo che nomi e titoli [ .. .] sono suscettibili [ .. .] di variazioni [. . . ] . L'a­ dempimento della seconda e della terza funzione del catalogo [ . ] richiede perciò il ricorso a un riferimento standard. A questo scopo è stato elaborato il principio dell'in­ testazione uniforme: l'elezione, cioè, di una delle forme di un nome e di un titolo a forma preferita (o accettata, o standard) alla quale siano ricondotte le forme varianti (Dini, 199 1 , pp. q6-7). .

.

Per garantire al lettore la possibilità, prevista come obbligo dalle funzioni del catalogo, di reperire tutte le opere di un autore sotto la medesima intestazio­ ne, o tutte le edizioni di un'opera sotto il medesimo titolo, è necessario ri­ correre alle intestazioni unz/ormi, cioè ricorrere alla scelta di una forma di un nome e di un titolo a forma standard (o preferita o accettata) , alla quale siano ricondotte le forme varianti. Le attuali regole prevedono che se un utente, ignaro del linguaggio tecnico del catalogo, cerca le opere sotto l'intestazione "Dante" venga rinviato alla voce "Alighieri, Dante" ; l'alternativa, nel catalogo cartaceo è non solo la ripe­ tizione della descrizione di un documento (quello in cui compare la forma specifica) sotto l'intestazione "Dante" , ma, per garantire la seconda funzione (di raggruppamento) anche di tutte le descrizioni di documenti nei quali il poeta appare sotto le altre forme ( "Dante Alighieri " , "Il poeta divino" ecc. ) ; e questo per ogni forma variante. Si tratta di un'alternativa estremamente co­ stosa, contraria al principio di economia, che suggerisce appunto di lasciare alla fatica del lettore l'onere di spostarsi dalla forma variante alla forma uni­ forme. Nel catalogo elettronico il rinvio è più necessario: owero, poiché è possi­ bile istituire, con un dispendio di energie relativamente minimo, un legame tra le descrizioni dei documenti da un lato e la forma uniforme e tutte le forme varianti dall'altro, è possibile fornire la risposta desiderata dall'utente anche quando questo acceda a una qualsiasi forma variante. Ciò awiene mediante l'allestimento di intestazioni a grappolo, cioè di intestazioni che prevedano un'intestazione uniforme alla quale siano collegate tutte le forme varianti. Il cambio di prospettiva è alla base dello sviluppo dell' authority work, owero della trasformazione di un archivio di autorità, da strumento sostanzialmente referenziale e di consultazione, esterno al catalogo, quale può essere nei sistemi manuali, [ . . . in] un elemento strut­ turale nel catalogo elettronico: la componente cioè del catalogo nella quale vengo­ no registrate, separatamente rispetto alle descrizioni bibliografiche, tutte le intesta­ zioni (nomi, titoli uniformi, titoli di serie) con la loro costellazione di varianti, che interagisce con l'archivio delle registrazioni bibliografiche per formare il catalogo (ivi, p. 149). Il processo che dovrebbe assicurare omogeneità formale a ciascuna voce - au­ tore, titolo, ente, descrittore - scelta come accesso è chiamato controllo di au-

2II

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

tonta (authority contro!) . Il controllo della forma ha come scopo principale l'evitare i conflitti con altre voci presenti o che presumibilmente saranno pre­ senti nel catalogo (funzione predittiva) . Il processo del controllo di autorità include le operazioni del lavoro di autorità (authority work) , ossia di creazione delle registrazioni di autorità (authority record) , la cui totalità costituisce l' ar­ chivio di autorità (authority file) . L'authority contro! è necessario affinché a ciascuna entità, di cui si stabili­ sce la presenza nel catalogo, corrisponda una sola forma autorevole; suo scopo è che tutte le forme varianti di un'entità siano fra loro correlate, in modo da poter soddi­ sfare esaustivamente una richiesta da parte degli utenti che riguardi l'entità, indipen­ dentemente dalla forma utilizzata. n controllo dei punti d'accesso assicura che sia stata espressa una risposta completa alla domanda dell'utente riguardo alla presenza: a) delle opere di un autore; b) di determinate edizioni di un'opera; c) delle opere su un soggetto. Assicura inoltre la corretta identificazione delle entità utilizzate come punto d' ac­ cesso. Qualora i punti d'accesso non fossero controllati, il lettore non avrebbe certezza di aver reperito tutte le opere relative alla richiesta formulata; se il sistema non preve­ desse un authority contro! non potrebbe assicurare l'esaustività delle risposte (Guerri­ ni, Sardo, 2003 , p. 2 1 ). L' authority work comporta la necessità di ricorrere a intestazioni univoche e unz/ormi: univoche per poter riunire le opere della o sulla medesima entità; uniformi per evitare che la stessa entità sia rappresentata da più intestazioni, impedendo così la localizzazione in un solo punto del catalogo delle opere a essa relative. Le tendenze registrate negli ultimi anni all'interno di molti gruppi di lavo­ ro dell'rFLA mostrano un nuovo modo di pensare all'authority work, più atten­ to alle esigenze dell'utente. Viene posto in primo piano l'utente, e si riconosce che gli utenti in Cina potrebbero preferire non vedere l'intestazione "Confu­ cio" in caratteri latini, ma nei propri caratteri. Analogamente, gli utenti in Giappone o in Corea potrebbero preferire la visualizzazione di quell'intestazione nei loro caratteri e lingua. Le agenzie bibliografiche nazionali continuano ad avere bisogno di propri authority record per il proprio controllo bibliografico, ma possono essere collegate a livello internazionale per creare un authority file virtuale internazionale, che consentirà la condivisione dell'informazione d'autorità e la futura visualizzazione della forma pre­ ferita dall'utente (Tillett, 2003 ). Nel progetto di un authority file virtuale internazionale (Virtual lnternational Authority File, VIAF) c'è spazio per il mantenimento di intestazioni che preve­ dano una forma autorizzata, scelta dall'agenzia bibliografica nazionale, e molte forme varianti, adatte all'uso da parte di utenze diversificate. 2 12

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9· 6

Verso nuovi codici di catalogazione

Alla base del diffuso movimento di rinnovamento negli studi teorici e nelle applicazioni della catalogazione in ambito internazionale ci sono diverse ragio­ ni, tra le quali vanno ricordate almeno l'enorme diffusione di nuovi supporti dell'informazione (con la conseguente evoluzione delle raccolte, lo spostamen­ to dell'accento dal possesso all'accesso) , la trasformazione del supporto dei ca­ taloghi (che sono passati da cartacei a elettronici) , l'aumento delle dimensioni dei cataloghi, anche per la diffusione della catalogazione partecipata e deriva­ ta, e allo scopo di contenere i crescenti costi della catalogazione, l'evoluzione della biblioteca tradizionale in biblioteca ibrida e infine la trasformazione del­ l'utenza in utenza locale e remota. Il processo di trasformazione in atto ha proporzioni enormi e conseguenze importanti perché interessa contemporaneamente e profondamente tutte e tre le componenti del sistema biblioteca: raccolte, mediazione e utenza. Sono que­ ste trasformazioni che premono sui professionisti dell'informazione e li co­ stringono a ripensare globalmente il lavoro del bibliotecario e del catalogatore ed è questo il quadro di lettura delle radicali revisioni in corso, in ambito internazionale e nazionale, dei principi e dei codici di catalogazione, compreso quello italiano. 9.6. I . L'IME ree. La revisione dei principi Allo scopo di perseguire il Controllo bibliografico universale, l'rFLA ha awiato numerosi processi di revisione che hanno interessato ogni aspetto della catalo­ gazione. Dopo la pubblicazione di Mandatory Data Elements /or Internatio­ nally Shared Resource Authority Records (rFLA UBerM Working Group on Mini­ mal Level Authority Records and ISAD:'\r, I 998) e del successivo Guidelines /or Authority Records and Re/erences (GARR) (rFLA, 2 00 I ) si giunge a stabilire la necessità di abbandonare l'individuazione dell'intestazione uniforme sulla base della forma assunta dal nome nel Paese d'origine e di orientarsi verso la scelta di intestazioni a grappolo, owero la coesistenza di una pluralità di intestazioni autorizzate. Può essere dichiarata conclusa la fase nella quale la cooperazione sembrava fondarsi soltanto sulla scelta di un'intestazione uniforme internazio­ nale, viene riconosciuta l'importanza della lingua del catalogo e si restituisce la centralità all'utente e a un catalogo più user /riendly. Nell'ambito di questo percorso di rinnovamento, lo studio sui requisiti funzionali delle registrazioni bibliografiche (FRBR) ha rimesso in discussione alcuni punti cruciali per il futu­ ro catalogo elettronico. Per esempio: come valorizzare la struttura relazionale ben evidenziata dallo studio? In che modo registrare le entità del Gruppo I (opera, espressione, manifestazione e item) e le relazioni che sussistono tra esse e le entità persona ed ente? Come definire e gestire gli authority record? A che livello normativa definire modalità di ricerca e di presentazione delle regi2I3

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

strazioni? In particolare, c'è attesa per ulteriori studi che estendono l'applica­ zione del modello di analisi sperimentato in FRBR anche alle registrazioni di autorità (FRAR) e all'accesso per soggetto 24• La revisione del processo catalografico ha interessato altri due aspetti fon­ damentali: la descrizione e il formato. Per il primo aspetto, si ricorda l'intensa attività di aggiornamento delle International Standard Bibliographic Descri­ ptions: nel 2002 ISBD(M) e ISBD(CR) in sostituzione di ISBD(s) ; nel 2004 ISBD(G) e in corso di revisione ISBD(ER) , ISBD(CM) e ISBD(A) 2 5 • Anche le modalità di presentazione e di visualizzazione delle informazioni all'interno del catalogo elettronico e della sua interfaccia utente (l'oPAc), sono state oggetto dell'appo­ sito studio Guidelines /or Online Public Access Catalogue (OPAC) Displays (IFLA, 2005a) , con l'obiettivo di definire la funzionalità delle ricerche, favorire una presentazione amichevole e flessibile dei risultati e garantire la necessaria omogeneità fra sistemi diversi. Le rilevanti proporzioni della revisione teorica e la sua profondità, hanno spinto a indagare ulteriormente sulla validità delle prassi attualmente in uso e sui principi che precedono e fondano le scelte pragmatiche. Come avvertiva Maltese ( I 96 5 , p. I 7 ) , «la discussione sui principi di base ha dimostrato ormai la necessità che qualsiasi codice di norme catalografiche si rifaccia esplicita­ mente e costantemente ad un sistema coerente di principi. Le varie norme debbono essere considerate nel loro aspetto di applicazioni particolari di prin­ cipi validi per tutti i problemi analoghi». L'attenzione si è spostata finalmente sui principi della catalogazione e ciò spiega l'avvio del processo di revisione iniziato con l'IFLA Meeting of Experts on a lnternational Cataloguing Code (IME Ice) , a Francoforte nel 2 003. Lo scopo principale del processo è l'esame comparativo dei codici di tutto il mondo per verificarne il grado di aderenza ai Principi di Parigi. Il corso dei lavori ha convinto i partecipanti a elaborare un testo che fosse non solo integrativo, ma più ampio e sostitutivo dei princi­ pi promulgati a Parigi nel I 96 I . Secondo il testo, in corso di elaborazione e che verrà concluso presumi­ bilmente nel 2 007, in concomitanza con la nuova edizione delle AACR, la stesu­ ra di nuovi principi si giustifica sulla base che «è diventato ancora più au­ spicabile condividere un insieme comune di principi internazionali di cataloga­ zione, considerato che catalogatori e utenti utilizzano OPAC (Online Public Ac­ cess Catalog) di tutto il mondo» (IFLA Meeting of Experts on an lnternational Cataloguing Code, 2oo6) . L'adeguamento dei principi di catalogazione alle trasformazioni derivanti dalle nuove tecnologie e alla realizzazione dei cataloghi elettronici risponde ad alcune esigenze fondamentali, condivise da tutti i partecipanti: 24. Cfr. Delsey (2005 ). 2 5 . Il costante aggiornamento di questa attività di revisione è ampiamente documentato alla pagina ISBD Review Group presso il sito dell'IFLA. Cfr. < http://www.ifla.orgNII/sr 3/isbd-rg. htm > . 2 I4



CATALOGAZIO:-JE

I. la validità dei princ1p1 per tutti i tipi di materiale documentario, e non solo per le "opere testuali" ; 2 . l a validità dei principi per i cataloghi elettronici; 3 · l'estensione del dominio d'interesse a tutti gli aspetti delle registrazioni ca­ talografiche e d'autorità e non solo alla scelta e alla forma dell'intestazione (del catalogo per autore e titolo) ; 4· il desiderio di fondare i nuovi principi «sulle grandi tradizioni catalografi­ che del mondo ma anche sui modelli concettuali dei documenti dell'rFLA Functional Requirements /or Bibliographic Records (FRBR) e Functional Require­ ments o/ Authority Records (FRAR) , che estendono i Principi di Parigi al campo della catalogazione per soggetti» (ibid. ) . La bozza, che consta di 7 punti principali ( I . Ambito di applicazione; 2 . Entità, attributi e relazioni; 3 · Funzioni del catalogo; 4 · Descrizione biblio­ grafica; 5. Punti di accesso; 6. Registrazioni di autorità; 7 . Elementi di base per le funzionalità di ricerca) , non è priva di incongruenze, né l'impostazione dei lavori è scevra di aspetti che rendono critico e accidentato il percorso 2 6 • Si deve ricordare un aspetto particolarmente critico: se si confronta il testo dei principi individuati da Svenonius e il testo dei principi recepiti nell'Appendice Obiettivi per la costruzione di codici di catalogazione della Dichiarazione di principi internazionali di catalogazione, si nota: a) la confusione terminologica tra principi e obiettivi, destinata certamente a creare altrettanta confusione nella letteratura professionale; b) l'inserimento dei due principi logici di Leib­ niz tra i principi di catalogazione (e allo stesso livello) ; c) la confusione nel testo di Francoforte tra il piano della descrizione, intesa come indicizzazione, ovvero rappresentazione surrogata dei documenti, e il piano della registrazione catalografica (quello che veniva chiamato il corpo della scheda) : per questo motivo si assiste nel testo a una " integrazione " , con modifiche del tutto spu­ rie, dei principi correttamente enunciati da Svenonius, con continui riferimen­ ti ai punti di accesso e alle relative forme (Svenonius, 2ooo, p. 68) 2 7 • 9.6.2. La revisione dei codici. Le RDA

28

Il segno più evidente delle trasformazioni in atto nel settore della catalogazio­ ne, tanto per gli aspetti teorici che pratici, è la redazione del codice di catalo­ gazione angloamericano con un nome completamente nuovo: non AACR3 , come avrebbe richiesto la continuità, bensì RDA, Resource Description and Ac-

26. A tale proposito cfr. Bianchini, Buizza, Guerrini (2004). 27. Cfr. anche Maltese ( r 988, pp. ro-2). 28. Per la redazione di questo paragrafo si è fatto largo ricorso alla relazione di Sally Strutt, presidente della Joint Steering Committee for Revision of AACR, pubblicata sul sito ufficiale della Commissione a fine luglio 2005 . I\'el frattempo sono state pubblicate due revisioni (7 dicembre 2005 e 19 giugno 2oo6). Per quest'ultima cfr. Joint Steering Committee for Revision of AACR (2oo6). 2 15

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

cess. RDA è progettato per fornire un quadro flessibile e modulare per la de­ scrizione, sia tecnica che del contenuto, delle risorse prodotte con tecnologie digitali (che sempre più vengono incluse negli archivi bibliografici delle bi­ blioteche) , come delle risorse tradizionali. Poiché il contesto sta cambiando molto velocemente anche per quanto riguarda le tecnologie delle banche dati, RDA dovrebbe rispondere alle esigenze delle tecnologie emergenti e avvantag­ giarsi delle loro funzionalità e flessibilità, in particolare riguardo alla cattura, all'archiviazione, al reperimento e alla visualizzazione dei dati. La redazione di un nuovo codice, progettato per l'ambiente digitale 29, si impernia su due aspetti: un primo elemento chiave nella progettazione di RDA è il suo allineamento con i mo­ delli concettuali per i dati bibliografici e di autorità sviluppati dall'rFLA. I modelli FRBR e FRAR garantiscono a RDA un quadro di fondo che ha le dimensioni necessarie per garantire una copertura estensiva di tutti i tipi di contenuto e di supporto (media), la flessibilità e la modularità necessarie per fare fronte alle caratteristiche delle nuove ri­ sorse emergenti, e l'adattabilità necessaria affinché i dati prodotti possano servire in un ampio raggio di contesti tecnologici. Un secondo elemento chiave nella progettazione di RDA è che stabilisce una netta linea di separazione tra registrazione e presentazione dei dati. li focus principale di RDA sarà fornire linee guida e istruzioni sulla registrazio­ ne dei dati per riflettere attributi e relazioni associate con le entità definite nei modelli FRBR e FRAR. L'obiettivo è fornire un insieme di istruzioni per la registrazione dei dati che possa essere applicata indipendentemente da qualsiasi struttura o sintassi partico­ lare per l'archiviazione o la visualizzazione dei dati. Le linee guida e le istruzioni sulla formattazione dei dati a scopo di presentazione in base a specifiche stabilite in stan­ dard come le ISBD(G ) e le GARR saranno previste in appendici distinte Goint Steering Committee for Revision of AACR, 2oo6, pp. 2-3). Gli aspetti fondamentali del progetto per il nuovo codice, che segnano un cambiamento di approccio, sono: la semplificazione, il desiderio di garantire maggiore coerenza e migliorare la funzione di raggruppamento dei cataloghi, soprattutto il richiamo ai principi, ovvero la volontà di «modificare l' approc­ cio alla catalogazione e tornare a regole maggiormente fondate sui principi che sostengano il giudizio del catalogatore e siano semplici da usare [ . .. ] Le regole saranno basate su solidi principi di progettazione dei codici e su princi­ pi di catalogazione, che rispondono agli obiettivi della scoperta delle risorse: trovare, identificare, selezionare e ottenere risorse rilevanti» U oin t Steering Committee for Revision of AACR, 2005 , diap. 3 ) . Il ritorno a regole fondate su principi di costruzione dei codici e di catalogazione condivisi a livello interna­ zionale evidenzia un approccio più problematico e meno pragmatico, e si pre29. Progettato per l'ambiente digitale significa che il codice dovrà essere: a) uno strumento basato sul Web; b) uno strumento che affronta la catalogazione delle risorse digitali e di qua­ lunque altro tipo; c) uno strumento che consente di produrre registrazioni utilizzabili in ambien­ te digitale (ad esempio per Internet, Web-oPAC ecc.). Cfr. Joint Steering Committee far Revision of AACR (2005 , diap. q). 2 16



CATALOGAZIONE

senta come un'apertura alla collaborazione internazionale per la costruzione di un codice che ambisce a diventare, e probabilmente diventerà, un codice in­ ternazionale. 9.6. 3 . La revisione dei codici. Verso nuove RICA A partire dal 1 869, con la Commissione Cibrario 3 0, i principi di catalogazione che hanno ispirato i codici italiani sono perfettamente coerenti alle più valide posizioni presenti nel panorama internazionale. Anche il primo codice di nor­ me completo in Italia, elaborato da Giuseppe Fumagalli sulla base dell'espe­ rienza e del codice interno alla Biblioteca nazionale di Firenze, e pubblicato nel volume Cataloghi di biblioteca e indici bibliografici (Fumagalli, 1 887), mo­ stra che Fumagalli ha assimilato la lezione di Charles A. Cutter, tanto da for­ mulare i principi fondamentali del catalogo alfabetico per autore e titolo in termini simili a quelli usati oltre settanta anni più tardi nei Principi di Pari­ gi 3 1 • Le prime regole italiane di catalogazione per autore a valenza nazionale, le Regole per la compilazione del catalogo alfabetico (Italia. Ministero della Pubblica istruzione, 1 9 2 2 ) , sono il risultato del lavoro di una Commissione speciale, istituita allo scopo di esaminare le norme in uso nelle varie bibliote­ che d'Italia e di redigere un codice sul modello dell'analogo codice americano da applicare in tutte le biblioteche governative italiane. Questi punti critici suggeriscono, fin dal I 940, di prowedere alla revisione, se non addirittura al rifacimento, delle regole del 1 92 2 . Nel gennaio 1 95 1 , anche sulla spinta del progetto del Catalogo unico per le biblioteche italiane awiato proprio allora, una nuova Commissione 32 riprende i lavori di revisione ponendosi i due 30. La Commissione Cibrario, ufficialmente nota come "Commissione sopra il riordinamen­ to scientifico e disciplinare delle biblioteche del Regno", fu istituita dal Ministero della Pubblica istruzione con decreto del 20 luglio r 869 con l'incarico di effettuare una indagine sullo stato del servizio bibliotecario italiano e produsse una relazione il cui esito fu il R.D. 25 novembre 1 869 che, tra l'altro, riordinava i servizi bibliotecari, stabiliva un nuovo organico, classificava le bi­ blioteche e determinava il modo di ammissione dei bibliotecari nei centri formativi, nonché le materie d'esame. Suggeriva, tra l'altro che «per mantenere [ ... ] l'uniformità nella redazione di questo catalogo ogni bibliotecario stabilirà le norme speciali che dovranno essere costantemente seguite dagli impiegati addetti alla compilazione e trascrizione di esso. Per fissare queste norme si raccomanda ai bibliotecari di consultare le regole proposte dal Panizzi al catalogo stampato per il British Museum, le letture di bibliologia del comm. Tommaso Gar, i manuali di bibliote­ conomia di Petzholdt, Seizinger ed Edwards e i più importanti cataloghi stampati come quello di Brunet, di Graesse ecc.» (Galli, 1989, p. 49). Cfr. anche Caproni ( 1 999). 3 r. Commenta Galli l'opera dell'illustre bibliotecario italiano: «Cataloghi di biblioteca è molto più di un codice per la compilazione dei cataloghi. Se si conviene che questa operazione sia il cuore della biblioteconomia, allora si potrà dire che l'opera del Fumagalli, non tanto per il contenuto prescrittivo quanto per l'inquadramento dei problemi e la visione d'insieme dell'og­ getto, rappresenta un po' l'avvio della moderna biblioteconomia italiana» (Galli, 1989, p. 75). 3 2 . La Commissione è composta da: Ettore Apollonj, presidente; Nella Santovito Vichi, re­ latore; Fernanda Ascarelli, Francesco Barberi, Marcella Bozza Mariani, Maria Marchetti, Eme­ renziana V accaro Sofia.

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

obiettivi di adeguare le regole italiane agli standard internazionali e di elimina­ re dal codice difformità e contraddizioni. Nello svolgimento dei lavori, la Commissione tiene presenti le regole dell'ALA (American Library Association) del 1 949, le regole in uso nelle biblioteche del Belgio, della Germania e quelle della Biblioteca Vaticana del 1 93 9 , constatando «talvolta con vivo compiaci­ mento che la formazione di qualcuna di queste regole adottate in Paesi stra­ nieri era stata ispirata alla regola corrispondente del codice italiano» {Italia. Direzione generale delle accademie e biblioteche, 1 95 6, xr) 3 3 • Il nuovo codice di catalogazione, pur modificando profondamente in molti punti le norme del 1 92 2 , ne rispetta la struttura; infatti non accresce né diminuisce il numero de­ gli articoli 34 • L'elemento di novità costituito dalla Conferenza di Parigi del r 96 r è sicuramente il motivo principale della revisione che porterà alla pub­ blicazione delle RICA nel r 979 3 ' . La Commissione per la pubblicazione delle RICA conclude il proprio lavoro dopo un dibattito lungo e articolato, caratterizzato da una particolare atte n­ zio ne allo sviluppo e alle nuove soluzioni dei problemi catalografici nel mondo. Le norme angloamericane prima e, successivamente, quelle tedesche furono seguite con cura, ma la Commissione fu forse più sensibile ai documenti elaborati dal Comitato per la cata­ logazione della FIAB [i.e. IFLA] , uno dei quali in particolare, l'ISBD(M) , International Standard Bibliographic Description /or Monographic Publications, costituisce la base per le norme di descrizione catalografica, senza far dimenticare tuttavia quella che è la tradizione italiana (Iccu, 1 979, p. vm). Nel testo del 1979 ci sono alcune importanti novità, quale il concetto di auto­ re presentato come principale (cioè quell'autore che, in caso di opere in colla­ borazione, è presentato sul frontespizio con rilievo particolare nei confronti degli altri autori) . L'analisi del concetto di opera e del suo uso coerente e consistente all'in­ terno delle RICA condotta da Alberto Petrucciani (2oo2) evidenzia che i termi­ ni opera, pubblicazione ed edizione sono utilizzati in modo impreciso e come quasi sinonimi, quando invece non lo sono affatto. Circa la scelta dell'intestazione, i paragrafi più interessanti sono quelli rela­ tivi alle opere di enti collettivi: nella Relazione introduttiva alle RICA il tratta­ mento degli enti viene indicato come «il momento più delicato di tutta la pro­ blematica della catalogazione per autori» (rccu, 1 979, p. xr) . La tradizione ita-

3 3 · Le regole vengono firmate dai membri della Commissione: Ettore Apollonj, presidente; Nella Santovito Vichi, relatore; Fernanda Ascarelli, Francesco Barberi, Marcella Bozza Mariani, Maria Marchetti, Emerenziana Vaccaro Sofia. 34· All'indice delle Regole del 1922 sono aggiunte alcune appendici: Appendice II. Stampe geografiche; Appendice III. Stampe. Incisioni; Appendice IV. Musica; Appendice v. Traslitterazioni; Appendice VI. Abbreviazioni; Appendice VII. Ordinamento delle schede; Indice analitico. 35· Per maggiori dettagli sulla storia dei codici italiani, cfr. Guerrini (2oo5b).

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eATALOGAZIO:-JE

liana si distingue per il ricorso al concetto di "ente autore" , presente fin dalle norme adottate internamente nel 1 8 8 1 dalla Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Con il mantenimento del concetto di ente autore, le RICA si distanzia­ no dal dettato dei Principi di Parigi. «La posizione delle RICA si pone, pertan­ to, fuori dalla concezione dei Principi di Parigi circa il modo di trattare gli enti, anche se le prescrizioni risultano conformi, e corrobora la tradizione re­ gistrata da una normativa interna della Nazionale di Firenze del 1 8 8 1 e dalla regola 49 di Cataloghi di biblioteche e indici bibliografici di Giuseppe Fuma­ galli» (Guerrini, 2003 , p. 40) . Circa la forma dell'intestazione, l'esigenza di ga­ rantire che un autore sia indicato uniformemente e qualificato quando stretta­ mente necessario a differenziarlo da altro autore suggerisce come norma gene­ rale di far corrispondere la forma dell'intestazione «a quella che l'autore stesso ha scelto per le proprie pubblicazioni, o a quella con cui l'autore è più cono­ sciuto» (ICCU , 1 979, p. XIII) . A quarantacinque anni dai Principi di Parigi si può rilevare che si è certa­ mente raggiunto un risultato positivo per la parte relativa alla scelta dell'inte­ stazione, ma non per quella relativa alla forma, per la quale ciascun codice ha seguito una strada particolare proseguendo quasi sempre la tradizione locale (Guerrini, 2 002a) . Ritornando alle RICA, in chiusura dei lavori, la Commissione esprime l' au­ gurio che «altri li riprendano con la formulazione di norme per il materiale speciale e che si dia l'avvio a un commento alle norme stesse, che possa co­ stituire un valido manuale di sussidio» ( Iccu, 1979, p. XVIII) . La costituzione della Commissione per la revisione e l'aggiornamento delle RICA ha dovuto at­ tendere fino a quando, con il D.M. 17 ottobre 1 996, è stata formalmente isti­ tuita la "Commissione per l'aggiornamento e le eventuali semplificazioni delle regole per la compilazione del catalogo alfabetico per autori nelle biblioteche italiane " , titolo che incredibilmente riprende la formulazione delle regole del 1 95 6, anziché del 1979. Da quel momento il lavoro di revisione delle RICA ha assunto un ritmo più serrato 3 6 • Nel 2 005 Alberto Petrucciani ha presentato una sintesi del lavoro svolto dalla Commissione per la revisione delle regole italiane, mettendo in evidenza i passaggi cruciali e le scelte adottate. Prima di tutto, la Commissione RICA è arrivata alla conclusione che «era necessario in­ traprendere la redazione di un testo fondamentalmente nuovo [ . . . ] entro il qua­ le però possono essere recuperate molte delle indicazioni presenti nelle RICA» (Petrucciani, 2005, p. 1 49). Le novità riguardano sia il testo (soprattutto le sue modalità di stesura) , sia i principi. Lo scenario delineato mette in luce diversi fattori di novità; innanzitutto «il cambiamento nelle forme di produzione del catalogo», poi la circostanza che «il catalogo (isolato) della singola biblioteca, che era il tradizionale punto di riferimento delle regole, è oggi molto spesso

36. Cfr. la documentazione continuamente aggiornata presente nell'apposita pagina "Com­ rueA " del sito dell'Ieee all'indirizzo < http://www . iccu.sbn.it/genera.jsp?id=94 > .

missione

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

soltanto il sottoinsieme di un catalogo collettivo». Il contesto di produzione del catalogo è così cambiato, rispetto al periodo storico dell'elaborazione delle attuali norme, che ormai «dobbiamo figurarci il catalogatore come una perso­ na che lavora spesso in una posizione isolata, in una delle tante sedi fisiche delle strutture che appartengono a un sistema bibliotecario, ma su una po­ stazione connessa alla rete, e quindi con accesso alle fonti d'informazione che la rete offre» (ivi, p. I 5 o) . La futura redazione del testo normativa italiano dovrà presentare elementi di novità anche relativamente alla struttura generale del testo, al linguaggio usato, per essere più leggibile e chiaro sia nell'impianto generale che nelle sin­ gole prescrizioni. L'atteggiamento generale della Commissione è ispirato da cautela, sia nei confronti della conservazione di norme non più rispondenti alle mutate esi­ genze, sia nell'accoglienza acritica, o pedissequa, di nuove terminologie non ancora del tutto assestate. A tal proposito, nell'opinione di Petrucciani, «la bozza della Dichiarazione di principi internazionali di catalogazione difetta, al­ meno attualmente, nei requisiti di autorevolezza sia formali sia sostanziali, che erano stati pazientemente e impeccabilmente costruiti per la Conferenza inter­ nazionale di Parigi» (iv i, p. I 5 3 ) . L a struttura complessiva del nuovo codice dovrebbe rispettare la triparti­ zione tra descrizione, forma e scelta dell'intestazione. La Commissione si è po­ sta l'obiettivo di individuare principi generali e alti per rispondere concreta­ mente ai problemi, sempre aperti, relativi alla scelta e alla forma dell'intesta­ zione. Riguardo alla forma, la stessa ha rilevato che «l'evoluzione recente degli strumenti d'informazione rende opportuno enfatizzare il ruolo generale del criterio della pubblicazione e circoscrivere il più possibile quello dei reperto­ ri» (ivi, p. 1 62 ) . La strada non è certo priva di difficoltà. Tuttavia, non s i può non condivi­ dere la speranza che «il dibattito sul rifacimento del codice italiano di catalo­ gazione costituisca un'occasione per ripensare criticamente le nostre abitudini nel quadro delle funzioni dei cataloghi, così come si configurano oggi, guar­ dando alle norme che vogliamo, alla loro coerenza e alla loro funzionalità, per il futuro» (ivi, p. I 84) .

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La gestione elettronica delle biblioteche di Pau! Gabriele Weston

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Una ricognizione dello stato dell'arte

Integrated Library System, o più brevemente ILS, è il termine con il quale si indica un applicativo sviluppato per gestire in forma elettronica l'insieme delle procedure che si svolgono in biblioteca (Saffady, 2ooo) . In particolare, l'ac­ cento è posto sul fatto che i diversi moduli finalizzati all'automazione delle singole procedure (acquisti, catalogazione, gestione dei prestiti interni ed esterni, gestione dei periodici, catalogo pubblico) , sono correlati in modo tale da condividere gli archivi utilizzati da più di un modulo, come, ad esempio, l'archivio bibliografico, e da creare un ambiente di lavoro omogeneo, sia per gli operatori, che potranno passare da un modulo all'altro a seconda delle ne­ cessità, senza inutili iterazioni di comandi, sia per i lettori, ai quali viene data la possibilità di accedere da un'unica interfaccia a funzioni di ricerca (l'oPAC) e gestionali (prestiti, richieste di informazioni bibliografiche e riproduzioni, desiderata ecc . ) . L'avvento dei sistemi integrati, che risale alla seconda metà degli anni set­ tanta negli Stati Uniti, mentre in Europa occorre attendere il decennio succes­ sivo, ha significativamente modificato l'organizzazione del lavoro in biblioteca, favorendo la collaborazione tra uffici che, nella tradizione precedente, opera­ vano ciascuno per conto proprio. L'attenzione rivolta quasi esclusivamente alle questioni amministrative e gestionali conduceva, infatti, chi si occupava di ac­ quisti a trascurare, in genere, la descrizione bibliografica, limitandosi a riporta­ re un numero esiguo di dati e a trascurare qualsiasi tentativo di conferire a tali dati una struttura standardizzata. Al tempo stesso, non si registrava alcun ten­ tativo di estrapolare dall'utilizzazione dell'oPAC quelle informazioni che avreb­ bero potuto servire a indirizzare la politica degli acquisti. L'accresciuta inte­ grazione tra la componente bibliografica e quella amministrativo-gestionale ha spinto gli editori e i distributori librari a produrre notizie catalografiche di buon livello da mettere a disposizione delle biblioteche, unitamente alla forni* Ringrazio Agnese Galeffi e Salvatore Vassallo, con i quali ho discusso le tematiche tratta­ te, per i suggerimenti ricevuti nel corso della redazione del saggio.

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

tura del documento. Con l' awento di Internet, le principali librerie commis­ sionarie hanno aperto i propri archivi bibliografici, per consentire alle biblio­ teche di catturare la notizia al momento della creazione dell'ordine (Kempf, 2005 ) . Si determina in questo modo un flusso operativo all'interno del quale, senza soluzione di continuità, il nucleo iniziale dei dati bibliografici viene pro­ gressivamente arricchito e reso conforme agli standard descrittivi in uso presso la biblioteca. La collaborazione e l'interazione tra soggetti operanti a diverso titolo nell'ambito dell'universo bibliografico condurrà, con il consolidarsi del­ l' editoria elettronica, ad altre importanti realizzazioni, delle quali ci occupere­ mo in seguito. Rispetto ad un gestionale, nel quale ogni modulo agisce separatamente da­ gli altri, in un sistema integrato l'assenza di ridondanze contribuisce al conte­ nimento dei costi per la creazione e la manutenzione di notizie conservate in archivi differenti. Al tempo stesso, la qualità complessiva dei cataloghi tende a migliorare, mentre operatori e lettori possono usufruire di un maggior numero di servizi e conoscere informazioni sulla localizzazione e sulla disponibilità dei documenti in tempo reale. Le biblioteche, di solito, acquisiscono un sistema integrato da un unico fornitore (acquisto "chiavi in mano " ) , adattandone opportunamente le funzio­ nalità attraverso sistemi più o meno sofisticati di gestione del prodotto. Nei sistemi più evoluti, al bibliotecario viene lasciato un ampio margine di discre­ zionalità su come impostare gli aspetti grafici, la struttura degli indici e i crite­ ri di funzionamento del sistema. Nei gestionali che prevedono un comporta­ mento amichevole non soltanto sul fronte dei lettori, ma anche su quello degli operatori, le procedure di parametrazione awengono mediante la compilazio­ ne di un insieme di tabelle. Qualora le biblioteche decidano di acquisire sin­ goli moduli funzionali da fornitori diversi o di implementare le funzioni previ­ ste, ad esempio, in un software amministrativo già posseduto dall'istituzione, occorre che le soluzioni, assolutamente legittime e talvolta persino convenienti dal punto di vista dell'impiego delle risorse disponibili, siano valutate con at­ tenzione e tengano conto del funzionamento complessivo del sistema. La con­ formità agli standard tecnologici e biblioteconomici è, in tali circostanze, un fattore assolutamente determinante. Il panorama italiano dei gestionali per biblioteche presenta caratteristiche sostanzialmente differenti da quello degli altri Paesi, dal momento che il mo­ dello del sistema integrato è stato adottato per lo più dalle istituzioni universi­ tarie, mentre le altre tipologie di biblioteca hanno spesso optato per l' attivazio­ ne dei soli moduli di catalogazione e di prestito, talvolta gestiti mediante appli­ cativi diversi. Nell'accertarne le motivazioni, si dovrà tener conto del fatto che l'esistenza di un nucleo storico nella maggior parte delle biblioteche, anche di quelle territoriali, dovuta alla grande dispersione del patrimonio, ha condotto nel tempo le stesse a dedicare più attenzione alle tematiche della tutela e della conservazione - quindi alla pratica della catalogazione - che a quelle del servi­ zio. In aggiunta, le dimensioni ridotte dei loro patrimoni, unite ad una genera222

I O . LA G ESTIONE ELETTRO:-J ICA DELLE B IBLIOTECHE

le desuetudine alla collaborazione, hanno spesso impedito il raggiungimento di quella massa critica di documenti necessaria a rendere conveniente il tratta­ mento elettronico di procedure complesse, quali le acquisizioni e la gestione dei periodici. Il Servizio bibliotecario nazionale, d'altro canto, ha puntato dap­ prima sulla catalogazione e successivamente sul prestito interbibliotecario, ma non ha prodotto risultati sul versante degli acquisti, della gestione dei periodi­ ci e del servizio di reference (Leombroni, 1 997, 2002 , 2003 ) . Per quanto riguarda l'evoluzione dei sistemi integrati, Borgman ( 1997) e Lynch (2ooo) concordano nel distinguere tre fasi: r. un periodo iniziale nel quale funzionalità e servizi sono finalizzati a miglio­ rare l'efficienza delle procedure interne alla biblioteca - il cosiddetto back affi­ ce - attraverso l' ottimizzazione del flusso operativo e la condivisione dei dati; 2. un periodo successivo dedicato alla valorizzazione delle risorse della biblio­ teca mediante strumenti di consultazione e di accesso da parte del pubblico (l'oPAC, la conversione retrospettiva dei cataloghi, il prestito interbibliotecario e il document delivery, la condivisione in rete delle risorse elettroniche locali) ; 3 · un'ulteriore fase, successiva all'avvento di Internet e tuttora non conclusa, nella quale ci si preoccupa di creare dispositivi che consentano di integrare le risorse interne con quelle esterne e di potenziare l'accesso al patrimonio docu­ mentario attraverso campagne di digitalizzazioni. A quest'ultima fase di sviluppo sono riconducibili l'attenzione per l'intero­ perabilità tra sistemi eterogenei, la promozione di iniziative nel settore dei me­ tadati e l'applicazione agli OPAC di tecniche di gestione della conoscenza, svi­ luppate in settori fino a oggi estranei alla tradizione bibliotecaria (Benvenuti, 2005 ; Boyd, 2004 ) . Non tutti concordano sul fatto che i sistemi integrati siano in grado di rispondere adeguatamente alle sollecitazioni che, con crescente in­ tensità, provengono dal mondo dell'editoria digitale. Da più parti, anzi, si so­ stiene che quella ragguardevole attività di sviluppo, che ha condotto all'alle­ stimento di strumenti di ricerca sofisticati e in grado di trattare quantità consi­ stenti di dati e di traffico con risorse comparativamente minori rispetto ad ap­ plicativi destinati ad altri mercati, abbia avuto termine all'inizio degli anni no­ vanta (Healy, 1 998; Evans, 2ooo) . Da allora le società produttrici, ritenendo i sistemi integrati un prodotto ormai maturo, hanno ridotto gli investimenti, preferendo limitati interventi di cosmesi a ben più onerose ristrutturazioni, e hanno dedicato le loro migliori risorse allo sviluppo di prodotti a beneficio del Weh e del digitale r . Per sostenere la propria posizione sul mercato delle bi­ blioteche, i soggetti più agguerriti hanno via via acquisito i concorrenti più piccoli o si sono ritagliati una nicchia che garantisse loro una rendita di posi­ zione. Le biblioteche, dal canto loro, hanno dovuto fare i conti con graduali riduzioni dei finanziamenti a fronte dei crescenti investimenti finalizzati all'a-

1. «During [the last few years] new systems bave tended not to provide hugely significant levels of innovation, except perhaps in terms of pure technology» (Akeroyd, 1998).

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

deguamento delle infrastrutture di rete e delle dotazioni tecnologiche. Le mi­ grazioni di dati tra generazioni successive di gestionali, i passaggi da una ver­ sione all'altra del sistema operativo, l'implementazione dell'architettura client­ server, la riorganizzazione delle procedure operative conseguente alla diffusio­ ne del Web hanno, infatti, assorbito molte risorse e spesso anche molto tempo (Rhyno, 2oo r ) . Le difficoltà incontrate nell'adeguare gli applicativi esistenti ai nuovi standard e nell'implementarvi nuove funzionalità e nuovi servizi, hanno spinto fornitori e istituzioni ad aggregare prodotti diversi, dedicati allo svolgi­ mento di specifiche procedure, tanto che, più che di sistemi gestionali, sareb­ be corretto oggi parlare di infrastrutture bibliografiche (Tennant, 2004) . In linea generale, per quanto i gestionali presentino caratteristiche diffe­ renti a seconda della grandezza e della tipologia della biblioteca per la quale sono stati realizzati, vi sono alcune caratteristiche che, nel tempo, sono state adottate da quasi tutti i sistemi più diffusi: - l'architettura client-server e il protocollo di rete TCP-IP; - l'adozione di un database relazionale commerciale (Relational Database Management System, RDBMS) ; - un'architettura object-oriented; - l'oPAC consultabile in Web (in sostituzione della precedente modalità TELNET) ; - l'interfaccia grafica per tutti i moduli funzionali ( al posto della modalità a carattere) ; - la conformità allo standard Z39.50 (sia sul lato client che su quello server); - l'adozione del protocollo ILL (Iso I o I 6o/6 I ) ; - la compatibilità con lo standard EDI (Electronic Data lnterchange) . RIQUADRO 1 0 . 1

L'architettura client-server

Esistono due tipologie di architettura client-server. Two-tier: è il modello tradizionale, costituito da un programma client (primo li­ vello) che interagisce direttamente con l'archivio dei dati ospitato sul server (secondo livello). Sul client è presente sia il software con cui accedere all 'archivio, sia il software di gestione dell'interfaccia utente. Ciò rappresenta il maggior inconveniente, sia per la necessità di installare o scaricare via rete le librerie per accedere ai DBMS sia per le limitazioni degli applet (un particolare tipo di applicazione che può essere avviata al­ l'interno del browser dell'utente, eseguendo codice scaricato da un server Web remo­ to) in ambiente Web. Three-tier: è un'evoluzione dell'architettura client-server che contempla l'esistenza di un modulo intermedio (detto middleware) per la gestione del trasferimento dei dati dal livello del client al livello dell'archivio di dati. Sono perciò coinvolti tre livelli: 1 . il livello della presentazione, che rappresenta l'interfaccia utente dell'applicazione, finalizzata all'acquisizione dei dati e all a visualizzazione dei risultati; 2. il livello intermedio (middleware) , che si occupa di inoltrare le richieste dell'utente al livello dell'archivio di dati e di trasmettere i relativi risultati; 224

IO.

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3 · il livello dell'archivio di dati, che rappresenta l'insieme dei servizi offerti da appli­ cazioni indipendenti dal livello intermedio ed è costituito dal DBMS. L'esistenza del livello intermedio rende indipendente il livello del client dalle pro­ blematiche di accesso al livello dell'archivio di dati. La comunicazione fra il client e il middleware avviene tramite uno tra i tanti protocolli standard (HTTP, &.\.11, Corba, soc­ ket ecc.) , ma di solito viene utilizzato il protocollo HTTP in quanto consente l'accesso al livello di archivio dati tramite il solo browser, cioè il programma utilizzato per "sfo­ gliare " i contenuti della rete. L'utilizzo della tecnologia Web consente di risolvere molti dei problemi tipici delle architetture client-server relativi al processo di installa­ zione, aggiornamento e manutenzione del software client, e al supporto multipiatta­ forma. Dal momento che sarà il browser a farsi carico dell'interfacciamento verso gli applicativi, non sarà, infatti, necessario sviluppare un software specifico per ogni tipo diverso di client. Agli utenti è richiesta soltanto la disponibilità di un browser, con l'ovvio vantaggio di una maggiore facilità di apprendimento e di utilizzo dello stru­ mento di ricerca, dal momento che l'ambiente usato per accedere agli applicativi è sempre lo stesso e ha la medesima interfaccia. Per di più, non avendo il protocollo HTTP uno stato, esso non necessita di una connessione persistente tra il client e il ser­ ver. Si evitano, quindi, i problemi tipici delle applicazioni client-server tradizionali, nelle quali il numero degli utenti simultanei poteva essere soggetto a limitazioni. TI software dell'applicazione risiede sul server. Le operazioni di aggiornamento e di ma­ nutenzione del software (applicazione, librerie, driver) interessano esclusivamente que­ st'ultimo e non comportano interventi diretti sulle postazioni client. n software del­ l' applicazione che riguarda il lato client viene scaricato via rete dal server al momento opportuno.

In aggiunta, i sistemi più evoluti stanno progressivamente implementando lo standard u:--rrcODE per ampliare l'estensione del numero di caratteri codificati e, di conseguenza, la varietà degli alfabeti utilizzati nel corso della catalogazio­ ne. Essi, inoltre, tendono ad adottare un'architettura modulare, basata su componenti software e insiemi di procedure note come Application Program­ ming Inter/aces (API), di solito raggruppate a formare un set di strumenti spe­ cifici per un determinato compito. Queste ultime consentono un'evoluzione più rapida del software e sono perciò di particolare interesse per lo sviluppo dei programmi open source (Sturman, 2004). Si registrano, poi, una serie di innovazioni finalizzate all'erogazione di ser­ vizi ai lettori, come la possibilità di accedere all'oPAC per effettuarvi prestiti e prenotazioni e di gestire richieste di reference tramite palmari e telefoni cellu­ lari, la segnalazione di novità librarie e di bibliografie per mezzo di /eed (una tecnica che ricalca quella utilizzata per i "lanci " delle agenzie di stampa. Cfr. Roncaglia, 2 003; De Robbio, 2 007 ) , l'uso di dispositivi a radiofrequenza per l'identificazione di documenti ( RFID ) ai fini della gestione della circolazione in­ terna ed esterna alla biblioteca e del controllo inventariale, l'integrazione con ambienti di apprendimento a distanza, l'organizzazione delle liste di discussio­ ne e dei percorsi di lettura partecipata. Alcuni degli sviluppi più interessanti sono il risultato della collaborazione tra i fornitori di sistemi gestionali e altri 225

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

soggetti, tra i quali in primo luogo le biblioteche di grandi istituzioni accade­ miche e gli editori. È stata, in particolare, la diffusione dell'editoria elettronica a rendere inevitabile tale collaborazione, connessa soprattutto alla necessità di integrare nel catalogo tradizionale le informazioni relative ai periodici elettro­ nici e alle altre risorse digitali e di semplificare le procedure occorrenti per la loro gestione amministrativa. Nei primi anni, al formato elettronico per le no­ tizie catalografiche - il MARe - era stato aggiunto un campo specifico ( 85 6) destinato ad ospitare l'indirizzo della risorsa e qualche altro dato utile alla sua utilizzazione. Si veniva in questo modo a determinare un collegamento tra una descrizione e la risorsa descritta, che, sebbene utile a facilitare l'accesso, scon­ tava il limite di essere statico e di riflettere modalità di trattamento riservate alle risorse di tipo analogico. SFX, un dispositivo largamente diffuso in Italia, creato per gestire i collegamenti citazionali in modalità aperta e sensibile al contesto e risolvere almeno in parte l'inconveniente appena ricordato, è stato realizzato nell'ambito di un progetto di ricerca presso l'Università di Ghent (Van de Sompel, Beit-Arie, 2oo r ) . Lo strumento, per il quale è stata coniata l'espressione OpenuRL-based link resolver, è uno di quelli che le biblioteche, specialmente quelle universitarie e di ricerca, hanno in questi ultimi anni ag­ giunto al proprio sistema di gestione per svolgere procedure, la cui integrazio­ ne nel sistema stesso avrebbe altrimenti richiesto una radicale - e quindi trop­ po complessa - ristrutturazione. Altri strumenti sono il gestore di metasear­ ching, un dispositivo sviluppato per consentire al lettore di interrogare con­ temporaneamente, attraverso un'unica interfaccia, una pluralità di risorse elet­ troniche e di ottenere risultati che possano essere organizzati secondo criteri adeguati alle finalità della ricerca, e il cosiddetto Electronic Resource Manage­ ment (ERM) , un applicativo pensato per coadiuvare il bibliotecario nella ge­ stione delle risorse digitali, come gli e-book, caratterizzati da un dinamismo e da modalità di aggiornamento sconosciuti all'editoria tradizionale. Dal quadro emerge la considerazione che non esiste, allo stato attuale, un sistema integrato che sia in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze di tutte le biblioteche, le quali sono perciò costrette ad acquisire e far convi­ vere sistemi che assolvono ciascuno una funzione specifica, il che se da un lato comporta il beneficio di prodotti efficienti e mirati, maggiore flessibilità e pos­ sibilità di adattamento, dall'altro lato richiede notevoli sforzi per la progetta­ zione, il coordinamento e la manutenzione dell'insieme dei sistemi, in aggiunta a risorse economiche consistenti. Due tra i possibili inconvenienti di quella che viene comunemente definita la "dis-integrazione degli applicativi gestiona­ li " (Pace, 2004; Breeding, 2005 ; Antelman, 2005 ) sono, sul versante degli ope­ ratori, la duplicazione degli oneri di manutenzione dei dati, dal momento che tutte le componenti dovrebbero agire su un insieme comune di informazioni bibliografiche, e, su quello degli utenti, la difficoltà di passare in modo fluido da un ambiente di lavoro all'altro, beneficiando ad esempio di comandi stan­ dard, nonché di indici e di vocabolari terminologici unificati. Breeding (2 005 ) , interrogandosi sulle ragioni che hanno sin qui favorito la mancata integrazione 226

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degli applicativi, formula due ipotesi convergenti: criteri di scelta dei nuovi sistemi ispirati a principi fortemente conservativi e logiche di mercato applica­ te dai fornitori. Per quanto riguarda le procedure di acquisizione di un appli­ cativo, le biblioteche tendono a riproporre i requisiti funzionali indicati nei capitolati approntati in occasione di precedenti gare di appalto da parte di istituzioni ritenute simili per natura, dimensioni e finalità, eventualmente ap­ portando gli adattamenti minimi necessari perché il nuovo sistema possa ca­ larsi nella struttura esistente. I fornitori, dal canto loro, tendono a sottostimare i costi della versione base del gestionale, per facilitare l'acquisizione anche da parte delle realtà più piccole (tanto più che trattandosi di un prodotto matu­ ro, gli investimenti iniziali dovrebbero essere stati ampiamente recuperati) , e a caricare l'eventuale differenza sui moduli aggiuntivi, solitamente richiesti dalle istituzioni più grandi e adeguatamente dotati delle risorse tecnologiche, pro­ fessionali ed economiche occorrenti. Quali che siano le motivazioni, resta il fatto che, per continuare a svolgere il proprio compito di mediazione, la biblioteca ha bisogno di strumenti ade­ guati alla natura ibrida delle proprie collezioni e predisposti alla massima ami­ chevolezza e colloquialità nei confronti dell'utenza, strumenti che aggiungano valore alla notizia catalografica mettendola in relazione con risorse digitali cor­ relate (testi e informazioni primarie, notizie biografiche e bibliografiche tratte da repertori e altri strumenti di corredo, recensioni ufficiali e commenti infor­ mali dei lettori ecc.) e che, rispetto agli altri strumenti della ricerca in rete, come motori e portali, offrano un significativo numero di servizi personalizzati e criteri di organizzazione della conoscenza meno problematici e più efficaci. Le tematiche dell'interoperabilità e del governo semantico della rete, nonché quelle concernenti la personalizzazione dei servizi sono alla base di quella pro­ spettiva di sviluppo di Internet che, su suggerimento di Dougherty e O'Reilly, viene definita "Web 2 .o" . Per analogia, a definire l'infrastruttura destinata a mettere in correlazione e a far interagire in modo organico le diverse compo­ nenti dei sistemi informativi e gestionali delle biblioteche, rendendo al tempo stesso possibile la colloquialità delle interfacce e la personalizzazione dei servi­ zi è stato coniato da Casey nel 2 005 il termine "Library 2 .o" (Miller, 2005 ) . Di seguito vengono esaminate, ad u n livello d i maggior dettaglio, alcune delle questioni più interessanti. 10.2

Dalla catalogazione derivata all'arricchimento bibliografico dei cataloghi

Una delle conseguenze della diffusione dei sistemi elettronici per il trattamento dei dati bibliografici è stata la maggiore propensione delle biblioteche a ripen­ sare l'organizzazione delle strutture catalografiche e a ridefinirne le procedure operative (Weston, 20o2b) , in funzione della possibilità di condividere la cata­ logazione, mediante l'attuazione di procedure quali la catalogazione partecipata 227

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

e quella derivata. Nell'ambito delle biblioteche italiane, tale cambiamento ha rappresentato un fenomeno di grande significato, non soltanto per il risparmio in termini di tempo e di risorse che la collaborazione permette di realizzare, ma soprattutto perché è una tra le manifestazioni più appariscenti dell' avvenu­ ta maturazione del panorama bibliotecario nazionale. Appena una quindicina di anni fa, quando, sulla scorta delle prime esperienze di conversione in forma­ to elettronico dei cataloghi cartacei e del costituirsi della comunità di bibliote­ che utenti di SB:-..1 , si prospettò l'idea che i bibliotecari italiani avrebbero potuto un giorno catalogare in forma originale soltanto un libro su dieci, come i loro colleghi americani, ciò appariva un sogno di remota attuazione (Weston, 1 99 3 ) . L a diffusione della derivazione si deve in primo luogo all'esistenza delle reti e alla costituzione di cataloghi elettronici di rilevante estensione, che hanno reso molto più conveniente la procedura, specialmente per il trattamento delle pub­ blicazioni italiane. Recenti statistiche sull'uso delle registrazioni di SB:-..1 mostra­ no che già oggi per oltre il 70% dei casi il catalogatore si avvale di notizie presenti nell'Indice 2 • Non è però da sottovalutare la maggiore sensibilità verso gli standard che SBN, con la sua stessa esistenza, ha alimentato, anche nei ri­ guardi delle istituzioni che non ne hanno fatto parte fin dall'inizio. SBI'\, nono­ stante l'architettura proprietaria che ha a fino ad oggi impedito in buona so­ stanza lo scambio dei dati catalografici da e verso l'esterno (con talune inte­ ressanti eccezioni) , ha comunque fornito un decisivo contributo perché fra le biblioteche si sia diffusa l'attenzione nei confronti della condivisione delle ri­ sorse bibliografiche. L'accresciuta disponibilità di registrazioni relative a pub­ blicazioni italiane, redatte secondo gli standard nazionali e con l'uso dell'italia­ no per le aree della descrizione nelle quali è prevista la lingua della biblioteca (le note, la descrizione fisica ecc. ), ha sensibilmente contribuito ad alleviare quella diffusa, benché comprensibile, diffidenza nei confronti delle registrazio­ ni prodotte da agenzie internazionali secondo normative differenti, in particola­ re angloamericane, che ha ostacolato l'applicazione della procedura della deri­ vazione, anche nell'ambito dei progetti di recupero del pregresso. L'inversione di tendenza ha determinato una serie di conseguenze su più livelli: i gestionali sviluppati in Italia, che, a differenza di analoghi sistemi di pro­ venienza internazionale, non prevedevano l'esistenza di un apposito modulo di importazione e di esportazione dei dati bibliografici, sono stati adeguatamente attrezzati, tanto che oggi esso viene considerato uno degli elementi strutturali più importanti del modulo di catalogazione; - il formato elettronico internazionale per le registrazioni bibliografiche ( u:-..�r ­ MARC e MARe 2 r ) , che veniva prima considerato una struttura troppo com2. Informazioni sulle attività di catalogazione nell'ambito di SBN e sui servizi di statistica disponibili sono reperibili alla pagina Catalogazione e manutenzione del catalogo SBN a cura di Cristina Magliano e Maria Lucia Di Geso sul sito dell'Iccu < http://www. iccu.sbn.it/genera. jsp?s = I I r > . Per la bibliografia su SB:-..1 , cfr. Gigli (2005 ).

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plessa per costituire la base del sistema di catalogazione, è diventato lo stan­ dard per il colloquio tra applicativi diversi a fini catalografici; SBN ha sviluppato una serie di dispositivi che consentono alle biblioteche, qualunque sia l'applicativo utilizzato, purché debitamente certificato, di collo­ quiare con una nuova versione dell'Indice ed usufruire del ricco patrimonio di dati determinato dall'attività di catalogazione corrente e dai numerosi progetti di retroconversione che le sue più importanti biblioteche hanno messo in atto ed eventualmente incrementarlo; le istituzioni italiane sono finalmente presenti in quei comitati e gruppi di lavoro internazionali, nell'ambito dei quali si concertano le politiche catalo­ grafiche e vengono sviluppati gli strumenti della cooperazione. RIQUADRO 1 0 . 2 L'evoluzione di SBN

J

n principio dell'apertura della rete al dialogo e alla collaborazione con le biblioteche e i sistemi bibliotecari gestiti con applicativi diversi da quelli sviluppati nell'ambito della comunità sa:-.: risale alla seconda metà degli anni novanta, momento in cui vi è la con­ sapevolezza che la lunga fase di gestazione e crescita della rete sa:--.: sia esaurita e che sia quindi necessario dar vita a uno sviluppo più ampio della cooperazione biblioteca­ ria nazionale, passando da politiche orientate a favorire la nascita e il consolidamento dei primi poli territoriali a iniziative volte a dare nuovo stimolo alla cooperazione, con l'obiettivo di far avanzare il sistema bibliotecario italiano verso più alti livelli orga­ nizzativi e di servizio. n progetto, noto come " Evoluzione dell'Indice SBN " , ha richie­ sto una serie di interventi, taluni di natura tecnologica, altri organizzativa: - rinnovamento tecnologico dell'hardware e del software, sia di base che applicativo, con passaggio su piattaforma u:-.:1x; utilizzo del protocollo di trasmissione TCPIIP e di middleware standard di mercato; programmazione a oggetti; utilizzo di XML; adozione dello standard UNICODE; - razionalizzazione, integrazione e ristrutturazione delle basi dati esistenti (Libro mo­ derno, Libro antico e Musica) per evitare le duplicazioni di informazioni dovute all a coesistenza di archivi separati; aggiunta di nuovi campi per il trattamento di più tipo­ logie di materiali (grafico, audiovisivo, dati elettronici) ; offerta di nuovi servizi alle bi­ blioteche previa integrazione nella base dati di altri archivi quali gli authority files; - apertura dell'Indice SBN a sistemi di gestione non SBN nativi, mediante la realizza­ zione di un'interfaccia standard che consenta a tali applicativi di colloquiare con l'In­ dice e di ampliare la distribuzione dei servizi offerti dal sistema centrale e la relativa utenza; - gestione di livelli di cooperazione diversificati, per consentire a ciascun polo di sce­ gliere il proprio livello di partecipazione ad SBN (cattura dei dati, localizzazione del proprio posseduto, inserimento di nuove catalogazioni, correzione); - sviluppo di nuove funzionalità, quali la catalogazione derivata e quella a blocchi 3· Nel testo si fa riferimento ai contenuti delle pagine Il catalogo del Seroizio Bibliotecario Nazionale e Evoluzione dell'Indice SBN sul sito dell'Iccu, nonché a Contardi (2oo2) e Scala (2002 ,

2004).

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

(riversamento in Indice di archivi bibliografici precedentemente costituiti, previo con­ fronto dei dati); - sviluppo di funzioni di governo e monitoraggio delle prestazioni del sistema e del­ l'incremento delle basi dati, disponibili direttamente agli utenti; elaborazione di stru­ menti mirati all'intercettazione e all'eliminazione dei duplicati. Un tassello essenziale di questa strategia è la messa a punto del protocollo SBN MARe, nel quale vengono dichiarate le regole di interazione tra applicativi software dif­ ferenti e che costituisce un insieme ben definito di messaggi. Ogni messaggio ha un significato specifico al livello semantico (attributi) e al livello di azione (servizio richie­ sto al sistema centrale) . n suo nome fa riferimento alla compatibilità semantica tra lo standard SBN e gli standard MARe più diffusi nel mondo bibliotecario, necessaria ai fini dello scambio di dati a livello internazionale. Vi è, infatti, una sostanziale differenza tra i due standard: la catalogazione di una pubblicazione, che nel MARe corrisponde a una sola registrazione, in SB:'\ si articola in una molteplicità di notizie correlate. n re­ cord relativo alla pubblicazione (monografia o periodico) è posto in relazione, "lega­ to" , con altri record: quello relativo alla collezione di cui fa parte; quello relativo al­ l' autore; quello relativo al titolo originale e così via. Ciascuno di essi può, a sua volta, essere collegato ad altri record: una sottocollezione alla collezione principale; l'autore alla forma di rinvio; il titolo originale all'autore. La notizia bibliografica relativa a una pubblicazione è costituita, pertanto, dall'insieme di n record legati tra loro da codici di relazione ( "reticolo" ) . Poiché il record deve essere registrato una sola volta, il collo­ quio polo/Indice è progettato per garantire l'unicità del record bibliografico: mediante la ricerca preventiva (in SBN la ricerca è necessariamente la prima operazione effettuata dall'utente, cui può seguire la cattura del record in caso di esito positivo della ricerca o la creazione di un nuovo record) e con la presentazione di record già presenti nella base dati e "simili" a quello che si sta registrando in fase di inserimento (cioè di crea­ zione di un record) o di modifica (correzione). Un altro aspetto importante è quello dell'uniformità catalografica. Nell'attuale ver­ sione di SB:'\ le modifiche apportate ai record da un qualsiasi partner vengono diffuse alle biblioteche presso le quali il documento risulta localizzato e l'"allineamento" , cioè l'accoglimento delle correzioni intervenute, è obbligatorio. Nella nuova versione, l'uni­ formità catalografica non è un principio vincolante e ciascuno potrà scegliere se alli­ neare i propri dati o meno al catalogo collettivo. La maggiore duttilità del nuovo Indi­ ce richiede una notevole granularità nella scansione delle funzioni in singole attività e una più ampia griglia di combinazioni tra servizi/dati/controlli. Mentre oggi i partner di SBN sono, infatti, abilitati a tutte le funzioni, tranne quella di modificare i record elaborati dalle biblioteche nazionali centrali (che in tal modo dispongono di un livello di autorità superiore), nel nuovo SBN i partecipanti definiscono il proprio profilo di utenza, indicandolo nella convenzione di adesione, il che equivale a richiedere un sot­ toinsieme coerente dei servizi offerti dall'Indice, che sono: - ricerca: la funzione di interrogazione che include anche la possibilità di trasferire il record sulla propria base dati locale; - localizzazione: la funzione con la quale il polo comunica all'Indice di possedere il documento. A differenza di quanto avviene nell'attuale Indice, che utilizza il dato sia come indicazione di possesso della pubblicazione da parte della biblioteca, sia per in­ viare i messaggi di allineamento relativi ai record modificati alle biblioteche interessate, il nuovo sistema gestisce due distinte informazioni: la localizzazione come segnalazione di possesso del documento e la localizzazione come indicazione che il record è pre-

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sente sull 'archivio locale e che, in caso di modifica, la biblioteca è interessata a riceve­ re la correzione; - creazione: la funzione che consente la catalogazione in Indice; - modifica, cancellazione, fusione: le funzioni di correzione sui dati bibliografici, consentite soltanto a chi possiede il record; - richiesta allineamento: la funzione con la quale la biblioteca chiede all'Indice l'ag­ giornamento dei record, localizzati presso la biblioteca stessa, che abbiano subito mo­ difiche da parte di altri partner della rete. La richiesta di allineamento è prevista in due diverse modalità (a scelta dell'utenza): la prima, del tutto simile a quella attuale, per la quale l'Indice invia le modifiche di tutti i record localizzati presso il polo/bi­ blioteca richiedente che siano stati corretti da parte di un altro polo; l'altra relativa, invece, all'intervallo temporale all'interno del quale sono intervenute le modifiche e al tipo di dati su cui si richiede l'allineamento (autori, titoli) secondo le specifiche indica­ zioni del polo/biblioteca; - comunicazione allineamento: la funzione con la quale il polo/biblioteca, che abbia scelto la prima modalità di allineamento, comunica all'Indice di aver recepito le modi­ fiche segnalategli. Quanto all'oPAC, per rispondere alle diverse esigenze degli utenti e incrementare la fruibilità del catalogo, sono state realizzate tre diverse interfacce Web, che, pur inter­ rogando la stessa base dati, sono caratterizzate da finalità e funzionalità diverse: - OPAC SBN: permette sia la ricerca nell'intero catalogo, sia l'interrogazione specifica sui sottoinsiemi delle notizie bibliografiche relative a Libro moderno, Libro antico e Musica; - SBN online: permette, oltre alla ricerca nel catalogo SBN e in altri cataloghi italiani e stranieri che utilizzano il protocollo Z39·5o, l'accesso diretto al servizio di prestito in­ terbibliotecario e fornitura di documenti ( ILL SBN ) ; - Internet culturale: permette sia la ricerca nel catalogo SBN, sia l'accesso a ulteriori servizi. In ogni registrazione catalografica sono, infatti, presenti, oltre alle localizzazioni del documento, alcuni bottoni grazie ai quali l'utente può accedere alla scheda ana­ grafica delle biblioteche che ne possiedono un esemplare; accedere ai cataloghi locali per informazioni aggiuntive sulla sua disponibilità; conoscere la disponibilità della co­ pia digitale; accedere al servizio di prestito o di riproduzione, qualora la biblioteca partecipi al servizio ILL SBN. È inoltre possibile consultare simultaneamente altri cata­ loghi italiani e stranieri che utilizzano lo standard ISO 23950 (Z39·5o). La ricerca può essere effettuata a partire dall'elenco predefinito dal sistema, oppure su altri cataloghi conformi allo standard scelti dall'utente.

È, forse, arrivato il momento di arricchire di nuovi significati il concetto di catalogazione derivata, che fino a oggi è stata intesa soltanto come l'immissio­ ne nell'archivio elettronico di una biblioteca di registrazioni prodotte da agen­ zie esterne e preventivamente catturate, e di tener conto che, nell'ottica del Web e dell'editoria elettronica, la procedura della catalogazione dovrebbe comportare l'allestimento di un reticolo di collegamenti tra notizie e risorse. Le entità bibliografiche vivono, infatti, in relazione le une con le altre e danno luogo a un universo complesso all'interno del quale il sistema di ricerca ideale dovrebbe consentire la navigazione (Svenonius, 2ooo, p. 2o; Tillett, 2oo r ) . In

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

conseguenza dei propri limiti strutturali, il catalogo cartaceo ha proweduto a valorizzare alcune relazioni, riservando loro delle zone apposite, specificando­ ne la sintassi e sottoponendole a indicizzazione, ma facendo confluire al tem­ po stesso molte altre informazioni nelle note, proprio quell'area per la quale meno ci si è preoccupati di definire dei criteri di standardizzazione. È vero che all'interno del formato MARC sono state attribuite etichette diverse a tipo­ logie specifiche di note, ma la tendenza generale è stata finora quella di uti­ lizzare i dati in esse contenuti a fini informativi, più che per la realizzazione di link ipertestuali. Poiché ai tempi dei primi cataloghi automatizzati non si ave­ vano sufficienti informazioni circa le conseguenze dell'applicazione dei sistemi relazionali all'allestimento degli archivi bibliografici, non ci si è preoccupati abbastanza, nel trasferimento delle schede sul supporto elettronico, di arric­ chire la notizia con quei dati che avrebbero successivamente consentito di atti­ vare le relazioni. In seguito alla pubblicazione del rapporto FRBR, si sta ora cercando di porre rimedio a tale inespressività e ci si sta adoperando nel m et­ tere a punto gli algoritmi che dovrebbero consentire di conferire retrospettiva­ mente una struttura più articolata ai cataloghi esistenti. Hegna e Murtomaa (2oo2) , che prendono in esame le bibliografie nazionali norvegese e finlandese, e Hickey, O'Neill e Toves (2 002 ) , che invece si servono di notizie ricavate dall'archivio WorldCat di OCLC, dimostrano che, sebbene il formato compren­ da gli elementi informativi necessari per distinguere tra opera, espressione e manifestazione, la struttura dei dati e la loro sintassi sono troppo semplici per consentire un trattamento totalmente automatizzato 4• Si renderebbe, pertanto, necessario l'intervento diretto del catalogatore in un qualche momento del procedimento 5, mentre appare certo che un'operazione su vasta scala e tanto vincolante per la buona riuscita del progetto non possa che essere il frutto di una condivisione di sforzi (]o int Steering Committee for the Revision of AACR. Format variation working group, 2002 ) . I n seguito alla crescita del numero e dell'estensione dei cataloghi collettivi, la ricerca finalizzata esclusivamente alla localizzazione di un esemplare viene gradualmente affiancata, se non addirittura sostituita, da una consultazione di

4· A ulteriore supporto giungono i risultati di una mappatura effettuata da Delsey tra gli elementi del formato MARC 2 1 e i loro corrispettivi nel modello FRBR (ALCTSILITAIRUSA Commit­ tee on Machine-Readable Bibliographic Information MARBI, 2002 ) . Dal confronto risulta una sostanziale corrispondenza tra le due strutture logiche, il che non deve sorprendere dal momento che il modello FRBR è stato sviluppato anche tenendo conto dello standard MARe. �el dettaglio, dei 2.300 elementi che costituiscono il formato MARC, soltanto r .2oo trovano una corrispondenza in FRBR. Per questi elementi, tuttavia, 120 corrispondenze sono imperfette, più di 2 00 richiede­ rebbero l'esistenza di ulteriori attributi per dar luogo a una corrispondenza esatta, mentre per 1 5 0 il grado di imprecisione è tale da non permettere una corretta valutazione dell'esattezza del­ la corrispondenza. 5· Non è ancora chiaro se per favorire la fattibilità di tali interventi, sia preferibile operare al livello delle notizie bibliografiche, oppure potenziare la struttura del sistema di authority con­ -

tro!.

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tipo repertoriale. È una forte motivazione perché particolare cura venga dedi­ cata alla messa a punto di tutti quei dispositivi che favoriscono la navigazione e al tempo stesso prowedono all'organizzazione razionale delle informazioni, tenendo conto però che la navigazione favorisce lo straniamento dei dati dal contesto originale. A un ampliamento delle funzioni svolte dal catalogo do­ vrebbe, perciò, corrispondere un parallelo potenziamento del corredo infor­ mativo riguardante l'entità bibliografica descritta. Ciò potrebbe comportare un'estensione delle zone delle notizie e una loro diversa e più complessa arti­ colazione, che renderebbe nei fatti l'attività di catalogazione ben più ardua e dispendiosa dal punto di vista economico e temporale. Ben più realistica e in linea con le potenzialità del Web è, invece, la scelta di re perire le informazioni necessarie altrove, cioè in altri sistemi informativi, bibliografici e non, e di sti­ pulare gli opportuni collegamenti. Avendo individuato all'interno di altre ri­ sorse (bibliografie, spogli, enciclopedie e dizionari, cataloghi di vendita e altri repertori più o meno specializzati) gli elementi che occorrerebbe integrare nel­ la notizia bibliografica, si punta ad essi per mezzo di identificatori, senza esse­ re obbligati a trascrivere tali dati all'interno della registrazione catalografica. Perché questo scenario possa prendere corpo, occorre il coinvolgimento degli altri attori - editori, centri di ricerca specializzati, agenzie bibliografiche, erogatori di servizi informativi - del circuito dell'informazione bibliografica, che può venire a ragione considerato un buon esempio di sistema complesso, le cui componenti, nell'ambito della propria attività, producono, scambiano, elaborano e ricercano dati, ai quali la notizia bibliografica può conferire una struttura organica. L'esistenza di standard descrittivi e di dispositivi di identi­ ficazione dei documenti e di rappresentazione del loro contenuto - i metadati - permette di creare dinamicamente una registrazione composta assemblando segmenti (per esempio, abstract, indici, TOC, bibliografie, recensioni) ricavati da altre registrazioni prodotte nel corso dell'attività delle agenzie coinvolte. Perché il record catalografico possa diventare il punto di intersezione tra do­ cumenti differenti, uno snodo del reticolo bibliografico, occorre che gli venga conferita una struttura più agile, o "leggera" , secondo la definizione fornita da Petrucciani (2003) , ospitale per identificatori di ogni tipo (Tennant, 2004) . RIQUADRO I O . 3

Dispositivi per l'arricchimento bibliografico

Tra il mondo delle biblioteche e l'industria editoriale, da qualche tempo, sono in atto forme di collaborazione. La mappatura tra ONIX, oor e MARe rappresenta il primo pas­ so in direzione di un'integrazione tra i sistemi informativi prodotti dalle due comunità che giova ad entrambe: le biblioteche dispongono di informazioni utili per la selezione dei documenti da acquistare e per l'emissione dei relativi ordini; gli editori si giovano dei sofisticati sistemi di controllo bibliografico e intellettuale messi a punto dal mondo delle biblioteche per incrementare la diffusione dei propri prodotti. Ideato per la ge­ stione delle transazioni commerciali, il oor prevede un uso trasversale alle differenti 233

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

tipologie documentarie, dal settore della stampa tradizionale a quello dei libri elet­ tronici, che mira a favorire la ricerca e il recupero dell'informazione. Una sua preroga­ tiva è quella di presentare una stabilità nel tempo che altri identificatori come gli URL non hanno. Inoltre, il DOI viene indicizzato dai motori di ricerca anche quando la ri­ sorsa corrispondente non lo è, per la presenza di sbarramenti (firewal[), di restrizioni d'uso e di sistemi di indicizzazione proprietari. Di particolare interesse è la funzione denominata MultiLinking, la quale consente di collegare a un unico DOI il riferimento automatico a una serie di servizi che l'editore o il distributore di una risorsa possono decidere di attivare a beneficio degli utilizzatori. Queste opzioni si rendono attivabili ogni volta che il DOI appare sullo schermo, qualunque sia stato il percorso seguito. fl MultiLinking consente, quindi, nel corso di un'unica sessione di ricerca di accedere al catalogo dell'editore, di consultare le recensioni, di ottenere informazioni bibliografi­ che, di acquistare il libro (Weston, 2003 ). Nel mondo bibliotecario americano troviamo alcuni interessanti sviluppi che van­ no nella direzione di un arricchimento delle registrazioni bibliografiche mediante la loro integrazione con informazioni provenienti da sistemi informativi eterogenei (By­ rum, 2005 ) . Un numero crescente di biblioteche ha incominciato a mantenere due livelli diversi di catalogazione, distinguendo la notizia creata per gli usi gestionali, costituita da un numero minimale di elementi bibliografici, dalla registrazione com­ pleta e autorevole prodotta dalla Library of Congress, il cui catalogo viene in questo caso ad assumere un ruolo equivalente a quello di una bibliografia nazionale corren­ te. Un altro progetto, che vede il coinvolgimento di alcuni tra i più importanti edi­ tori di pubblicazioni tradizionali ed elettroniche, affronta le problematiche relative all'integrazione tra i metadati O:'\IX e il formato MARe 2 1 , con l'obiettivo di incorpo­ rare nella notizia catalografica le informazioni relative al contenuto delle unità bi­ bliografiche, espresso per mezzo dei TOC, degli indici e degli abstract 6 . Poiché link ipertestuali collegano biunivocamente la notizia del contenuto e la registrazione cata­ lografica, l'utente può navigare dall'una all'altra risorsa. Al contempo la descrizione semantica del record catalografico viene trascritta come parola chiave (keyword) nei metatag del codice HTML della notizia di contenuto. Qualora del documento catalo­ gato esista, in formato elettronico, una parte del testo (l'introduzione, un capitolo, alcune immagini) come saggio di lettura, la presenza dell'uRL permette all'utente il suo raggiungimento.

L'arricchimento bibliografico appare la soluzione più adeguata per garantire visibilità al contenuto di quei materiali, nei confronti dei quali la descrizione tradizionale si risolve in un'informazione assai povera e spesso anche inutile ai fini della ricerca affidata alle parole chiave del titolo proprio. È il caso dei cataloghi di mostre, degli atti di convegni, delle antologie e delle altre opere a carattere poligrafico, il cui contenuto è reperibile, ma non sempre, nelle bi­ bliografie specializzate e quasi mai nel catalogo. Per applicare la procedura alle pubblicazioni apparse anteriormente alla diffusione dell'editoria elettroni­ ca, si fa ricorso in genere alla scansione digitale degli indici. 6. Cfr. Library of Congress, Bzbliographic Enrichment Advisory Team (home page), < http: l/www.loc.gov/catdir/beat/ > .

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I O . LA G ESTIONE ELETTRO:-J ICA DELLE B IBLIOTECHE

RIQUADRO 1 0.4

fl progetto ArSB:'\1

La Biblioteca nazionale centrale di Firenze, in seguito al finanziamento ottenuto dal Ministero per i Beni e le attività culturali (L. 23 dicembre 1996, n. 662), ha awiato il progetto "Arricchimento dei servizi della Bibliografia nazionale italiana" (ArsBNI), con il quale si propone di aumentare la fruibilità del record bibliografico grazie ai link, alle immagini digitalizzate e alla consultazione in rete. Gli obiettivi includono la possibilità di sfogliare in rete indici, frontespizi e pagine preliminari di circa 7o.ooo volumi pubblicati in Italia dopo il 1 994, dei quali è prevista la riproduzione digitale e il riconoscimento ottico finalizzato alla ricerca full text. Saranno, inoltre, prodotte copie digitali (circa 1 .25o.ooo pagine) dei volumi mancanti dalle collezioni della biblioteca in seguito all'allu­ vione del 1 966. ArsBNI si inserisce nel contesto della Biblioteca digitale italiana, nel quale l'attività di riproduzione elettronica ha come scopo non secondario il miglioramento dell'accesso alle collezioni analogiche delle biblioteche mediante l'offerta in rete di una massa critica di documenti digitali all'interno di un servizio regolato e organizzato.

Collegando, infine, le registrazioni catalografiche alle citazioni presenti nei re­ pertori bibliografici allestiti da centri di ricerca specialistici si amplia conside­ revolmente il numero dei percorsi a disposizione del lettore, secondo criteri di organizzazione delle informazioni propri dei due differenti strumenti. Combi­ nando la ricerca per soggetti o descrittori con le indicazioni provenienti dalla guida bibliografica e mettendo in relazione risorse elettroniche, dati prove­ nienti da scansione digitale e informazione referenziale, il catalogo finisce per diventare un vero e proprio sistema bibliografico complesso e nel dispiegarsi dell'intreccio di riferimenti incrociati tra descrizioni e bibliografie, documenti testuali e audiovisivi, rimandi interni ai documenti e tra documenti diversi, prende corpo il catalogo ipertestuale (Weston, Galeffi, 2004) 7• IO.J

Biblioteche e Web, cataloghi e motori di ricerca

Il merito di aver contribuito a ricollocare il catalogo al centro del dibattito bi­ blioteconomico, dopo almeno tre decenni nel corso dei quali l'interesse verso lo strumento era andato progressivamente affievolendosi, va in buona parte ascritto alla fortuna di alcuni motori di ricerca, alla diffusione dell'utilizzo delle librerie elettroniche e alla progressiva estensione dei servizi offerti in rete. Il 7. Introducendo il concetto di "rizoma" , San toro (2oo2 ) esplora nuove modalità di rappre­ sentazione della conoscenza, che le biblioteche potrebbero applicare all'organizzazione delle ri­ sorse elettroniche per integrare i sistemi classificatori, necessariamente inesatti e superficiali, adottati dai motori di ricerca. Tra le soluzioni appare di particolare interesse quella di favorire le intersezioni fra repertori tradizionali di consultazione, come le enciclopedie, sia pure in formato elettronico, e risorse elettroniche, singolarmente descritte o raggruppate secondo criteri di conve­ nienza, come nel caso di un virtual re/erence desk.

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E Q U ESTIONI

ruolo di Google e di Amazon nella circolazione dell'informazione bibliografica, il loro modo di rendersi consultabili anche da parte dell'utenza meno esperta, il crescente patrimonio di dati e di documenti da essi reso accessibile in tempo reale e facilmente acquisibile sono stati messi a confronto con la struttura del­ l'oPAC tradizionale, con i servizi che esso mette a disposizione del lettore e con il modo in cui si lascia interrogare. La nuova generazione di strumenti di ri­ cerca ha suscitato opinioni assai contrastanti: grande entusiasmo in alcuni (Block, 2oo r ; Fialkoff, 2 003 ); prudenza, quando non anche diffidenza, in altri (Vaidhyanathan, 2005) 8• Comune è la consapevolezza che l'oPAC nella sua configurazione attuale presenta, rispetto alla concorrenza, caratteristiche alme­ no apparentemente assai meno attraenti, risultato di una stagnazione nell' evolu­ zione protrattasi troppo a lungo e verificabile nel mancato recepimento di quei dispositivi che fanno di Google di gran lunga il più popolare tra gli strumenti di ricerca utilizzati dal navigatore medio del Web. E se perentorio arriva l'invi­ to di Burke " Burn the catalog" 9 , non meno provocatorio risuona il titolo del­ l' editoriale di Tennant MARC Must Die (Tennant, 2002a) , una forte sollecitazio­ ne affinché i produttori di gestionali di biblioteca approntino strumenti di cata­ logazione ospitali nei confronti degli schemi di metadati di più ampia applica­ zione negli ambiti affini a quello delle biblioteche (Dublin Core, ONIX, MODS) e i bibliotecari ripensino radicalmente il concetto stesso di catalogazione derivata, intesa finora soltanto come semplice procedura di cattura da un altro catalogo, sia esso quello dell'agenzia bibliografica nazionale o di una rete 1 0 • 8. Per una ricognizione più ampia sulle questioni, cfr. (Dempsey, 2oo6). Si veda anche: To Google or not to google? Biblioteche digitali e ricerca bzbliografica al tempo di internet. v incontro nazionale sull'editoria digitale, 23 gennaio 2006. Coordinato da R. Minuti, A. Zorzi e G. Ronca­ glia, < http://www .storia.unifi.itl_storinforma/Ws/ws-editoriao6.htm > . 9· «l'm to the point where I think we'd be better off to just utterly erase our existing aca­ demic catalogs and forget about backwards-compatibility, lock all the vendors and librarians and scholars together in a room, and make them hammer out electronic research tools that are Ama­ zon-plus, Amazon without the intent to sell books but with the intent of guiding users of ali kinds to the books and articles and materials that they ought to find, a catalog that is a partner rather than an obstacle in the making and tracking of knowledge» (Burke, 2004). 10. Questi concetti vengono ripresi e ulteriormente sviluppati in numerosi interventi succes­ sivi (Tennant, 2002b; 2004). Le caratteristiche che un sistema bibliografico di nuova concezione dovrebbe possedere sono le seguenti: versatilità e ospitalità (trattamento di schemi differenti di metadati) ; estensibilità (possibilità di crescita); apertura e trasparenza (conformità a standard, protocolli ecc.; soluzioni offerte come open source); condivisione della gestione (gestione di re­ quisiti semplici e complessi; cooperazione tra istituzioni eterogenee per tradizione, modalità di gestione, documentazione, archiviazione ecc. ) ; modularità; gestione delle informazioni gerarchi­ che (indici ecc.) ; granularità; colloquialità. Non è, ovviamente, possibile dar conto di tutti coloro che si sono espressi sull'argomento; sembra tuttavia opportuno ricordare Flecker (2005 ) , Man­ sfield (2005 ) , Antelman (2005 ) , Byrum (2005 ) , i quali concordano sul fatto che occorra mettere al centro della scena il lettore, interrogandosi sulle sue esigenze informazionali, sulle capacità di interagire con il sistema di ricerca, sulle strategie messe in atto per accedere ai dati e ai docu­ menti. In Italia il dibattito è stato alimentato, tra l'altro, dalle riflessioni di Byrum, dalla disponi­ bilità in via sperimentale della nuova versione del catalogo della Biblioteca nazionale centrale di Firenze e dalla riorganizzazione dei servizi di SBN (Scala, 2004).

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Eppure, se il catalogo appare in declino e talvolta sostenibili con difficoltà le sue procedure e gli strumenti che lo supportano, libri e periodici non sono morti, né si prospetta nel medio periodo la loro completa conversione al digi­ tale. A dispetto dei massicci investimenti nella realizzazione delle biblioteche digitali e della frequenza con la quale le pubblicazioni cartacee vengono so­ stituite dalla versione elettronica, la notizia di catalogo appare tuttora la rap­ presentazione più efficace dell'universo bibliografico al quale attinge il nostro sapere. Bisogna, dunque, pensare a un ampliamento delle funzionalità e dei servizi dell'oPAC e a una maggiore integrazione con gli altri dispositivi della ricerca, nel quadro di una riorganizzazione che sia sostenibile e di cambia­ menti che non ne snaturino i principi fondanti e le finalità. Tra le indagini avviate negli ultimi anni da alcune prestigiose istituzioni internazionali, si se­ gnala il rapporto sulla percezione che gli utenti hanno della biblioteca e, in particolare, delle risorse informative da essa rese disponibili, pubblicato da OCLC (2005 ) come prosecuzione di un'inchiesta condotta e pubblicata due anni prima (ocLc, 2003 ) , con l'obiettivo di fornire alla dirigenza della rete i dati conoscitivi necessari a orientare le scelte strategiche e ai bibliotecari uno strumento utile per valutare l'efficacia della loro azione. Dallo studio è con­ fermata «la crescente difficoltà di caratterizzare e descrivere le motivazioni alla base dell'uso delle biblioteche [ . . . ] . Le relazioni tra i professionisti dell'in­ formazione, gli utenti e il contenuto sono mutate e continuano a cambiare» (ocLc, 2 00 3 , p. IX) . Viene evidenziata una crescita tendenziale della discor­ danza tra il contesto e il patrimonio documentale offerti dalle biblioteche e il contesto e il patrimonio documentale ritenuti necessari dai consumatori di in­ formazioni al fine di garantire il massimo di efficacia alla propria ricerca. Le criticità sembrano riguardare facilità d'uso, convenienza e disponibilità, rite­ nute requisiti fondamentali tanto quanto la qualità e l'affidabilità dell'informa­ zione, due caratteristiche da sempre associate ai servizi bibliografici erogati dalla biblioteca. Un a seconda iniziativa va ascritta, invece, a merito della U niversity of Cali­ farnia, il cui sistema bibliotecario, composto da più di cento biblioteche spar­ se tra le dieci sedi dell'ateneo, gestisce un patrimonio di 32 milioni di esem­ plari, senza contare una serie di importanti collezioni digitali, che ne fanno la biblioteca più ricca degli Stati Uniti, seconda per importanza e per consisten­ za soltanto alla Library of Congress. L'ateneo si è trovato ad affrontare i pro­ blemi derivanti dalla gestione di un gran numero di applicativi sviluppati nel corso del tempo per supportare i servizi bibliografici nelle diverse aree opera­ tive e a dover individuare le scelte strategiche e tecnologiche da operare per consentire a prodotti, dotati di caratteristiche appropriate allo scopo per cui erano stati realizzati, di garantire un livello di interoperabilità adeguato alle esigenze della biblioteca digitale in corso di realizzazione. Il gruppo di lavoro appositamente incaricato ha pubblicato alla fine del 2005 un rapporto, nel quale viene formulata una serie di raccomandazioni riguardanti tre macroaree: il potenziamento della ricerca e dell'accesso; la ristrutturazione dell'oPAC; l'a237

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E Q U ESTIONI

dozione di nuove pratiche catalografiche (U niversity of California Libraries. Bibliographic Services Task Force, 2 005 ) I I . L'assunto di partenza coincide con alcune delle conclusioni a cui aveva condotto l'indagine promossa da OCLC: i sistemi bibliografici, nel complesso, non hanno tenuto il passo con i tempi e non sono stati capaci di beneficiare che in piccola parte dei cambia­ menti in atto negli strumenti di organizzazione e diffusione delle risorse digi­ tali. Amazon, Google, iTunes realizzano un modello di semplicità d'uso che i sistemi bibliotecari sono ben lungi dal conseguire e l'utente ha iniziato a di­ saffezionarsi ai servizi informativi delle biblioteche, preferendo rivolgersi ad altre fonti e finendo per considerare il catalogo alla stregua di un dispositivo per la localizzazione degli esemplari e per la gestione del prestito, uno stru­ mento al quale ricorrere una volta in possesso di dati precisi ricavati consul­ tando altri strumenti. Troppe risorse sono state dedicate a mantenere in vita l'esistente, rinunciando a interventi radicali sulla struttura dei dati e sulle fun­ zionalità dei sistemi, nella convinzione che anche le modifiche di più modesta entità avrebbero richiesto costi esorbitanti, vista l'estensione degli archivi esi­ stenti. La perpetuazione del formato MARC, con le rigidità dovute alla sua fu n­ zio ne originaria e all'architettura dei sistemi elettronici degli anni sessanta e settanta, rappresenta un buon esempio di tale comportamento. Aver rinnovato l'oPAC principalmente dal punto di vista della grafica, senza implementarvi le funzioni che avrebbero garantito maggiore colloquialità allo strumento, è stata un'altra scelta a parere di molti piuttosto miope 1 2 • I I . In sintesi, le raccomandazioni conclusive, raggruppate per macroarea, sono le seguenti: 1 . potenziamento della ricerca e dell'accesso:

2. -

fornire agli utenti un accesso diretto al documento; suggerire la lettura di documenti con caratteristiche e contenuti simili a quelli ricercati; favorire la personalizzazione; suggerire l'adozione di strategie di ricerca e procedure alternative; migliorare la navigazione nel caso di risultati molto numerosi; erogare i servizi bibliografici dove si trovano gli utenti; introdurre criteri di ranking nella restituzione dei risultati; agevolare la ricerca in ambienti multialfabeto. ristrutturazione dell'oPAC: creare un'unica interfaccia per tutti i cataloghi; unificare la ricerca per tutte le risorse informative. 3· adozione di nuove pratiche catalografiche: - ripensare il flusso operativo; - scegliere lo schema di metadati più adeguato a ciascuna tipologia documentaria; - arricchire manualmente i metadati relativamente a specifici elementi (nomi, titoli, serie ecc.) o a particolari ambiti (musica, letteratura ecc.); - automatizzare la creazione di metadati. I 2 . Sul ruolo che il formato MARC ha avuto nel frenare le iniziative di rinnovamento dei cataloghi, oltre a Tennant (2oo2a, 2002b), cfr. il soggetto Murdering MARC nel forum NGC4LIB (New Generation Catalog for Libraries). Numerosi studi sono stati avviati sulla rispondenza del formato MARC alle esigenze dei sistemi informativi di nuova generazione e sull'applicazione della struttura logica di FRBR (per questi ultimi, cfr. IFLA Cataloguing Section FRBR Review Group, 2oo6). Occorre poi tener conto delle riflessioni maturate in seno ad OCLC (Godby, Young, Chil-

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La pubblicazione di numerosi articoli, nei quali l'inadeguatezza delle nor­ mative catalografiche, le ingenti risorse richieste per il popolamento degli ar­ chivi bibliografici, anche in termini di professionalità, e il crescente disinteres­ se da parte dei lettori venivano enfatizzati, ha spinto Deanna Marcum, Asso­ ciate Librarian for Library Services presso la Library of Congress, nonché au­ trice di alcuni interventi sul futuro della catalogazione (ad esempio, cfr. Mar­ cum, 2004) , a porre ai partecipanti a un seminario dell' American Library As­ sociation la seguente domanda: «}ust how much do we need to continue to spend on carefully constructed catalogs?» A questo interrogativo ha fatto se­ guito la pubblicazione di un rapporto, redatto per conto della Library of Con­ gress da Karen Calhoun, della Cornell University Library, e significativamente intitolato The Changing Nature o/ the Catalog and Its Integration with Other Discovery Tools (Calhoun, 2oo6) . Il documento ha sollevato molte autorevoli critiche, non soltanto negli Stati Uniti 1 3 , ma anche in Italia (Petrucciani,

dress, 2004), nonché degli studi preliminari alla realizzazione di progetti quali FictionFinder, Cu­ riouser e XISBN < http://www. oclc.org/research/projects/frbr/default.htm > e di data mining < http://www .oclc.org/researchlprojects/mining/default.htm > e presso la Library of Congress < http://www. loc.gov/catdir/cpso/ > . Sulle percentuali di utilizzazione effettiva dei campi, dei sottocampi e degli altri elementi di marcatura previsti dal formato MARC 2 1 nell'ambito della catalogazione corrente, cfr. Moen, Miksa (2004) . 1 3 . I l rapporto, che esprime tra l'altro l a raccomandazione che l a pratica della soggettazione venga dimessa a beneficio della massima speditezza nel trattamento catalografico, è stato oggetto di una recensione estremamente critica di Thomas Mann (2oo6) ; sulla questione della catalogazio­ ne semantica in relazione alle possibilità offerte dai motori di ricerca, cfr. anche Mann, 2005 ) , il quale sostiene che una scelta così scellerata «produrrebbe conseguenze negative e gravi sulle capa­ cità delle biblioteche di ricerca di promuovere la ricerca scientifica» (ibtd. ). La posizione di Mann è sostenuta anche da Michael Gorman, presidente dell'American Library Association, che non esita a definire " una catastrofe" i cambiamenti in atto nella politica catalografica della Library of Congress, e da Sandy Berman, che conia, al riguardo, il neologismo "bibliobarbarismo" ( N. ODER, The End o/ LC Subject Headings?, "Library Journal", May 1 5 , 2006). A causa della gravità di tali affermazioni, Deanna Marcum ha ritenuto opportuno precisare: «non riesco ad immaginare uno scenario nel quale lo standard LCSH venga totalmente dismesso. Penso che ci sforzeremo di capire quale parte del nostro lavoro aggiunga valore e sia significativa per i nostri utenti» (Marcum, 2oo6). Sebbene la questione dei costi non sia il criterio di valutazione principale, «riscontriamo che il modo in cui gli utenti cercano le informazioni è drasticamente cambiato. I giovani si rivolgo­ no a Google e non visitano i nostri cataloghi. Abbiamo dedicato molta cura nell'identificare i materiali di più alta qualità e nel descriverli, ma l'interesse primario degli utenti è innanzi tutto rivolto alla disponibilità immediata e alla velocità» (ibtd. ). La questione relativa al trattamento semantico del materiale bibliografico si innesta, infatti, in una riflessione più generale riguardante «le procedure che non hanno natura digitale, non producono risorse consultabili a distanza, impli­ cano valutazioni e competenze umane, richiedono l'applicazione di categorie e di standard piutto­ sto che l'ordinamento per rilevanza di parole chiave» (tbtd. ), tutte cose che, secondo Mann, non rientrano nella strategia prefigurata dalla Calhoun per consentire alle biblioteche americane di riguadagnare la "leadership" , strategia che la Marcum sembra condividere quando afferma che «è essenziale che la comunità bibliotecaria sia creatrice di risorse, piuttosto che fornitrice di servizi. Le biblioteche dovrebbero impegnarsi massicciamente nei progetti di digitalizzazione delle proprie risorse documentarie per renderle universalmente consultabili» (tbtd. ).

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2oo6) , in quanto il contesto di riferimento è quello del modello imprenditoria­ le, al quale Calhoun si richiama affermando, ad esempio, che «le domande rivolte [agli intervistati] miravano a fare emergere il tipo di informazione di cui un investitore vorrebbe potere disporre riguardo a qualunque prodotto o servizio (in questo caso, il catalogo) la cui posizione di mercato venga erosa. Sono molti i segni che awalorano la declinante posizione di mercato del cata­ logo di biblioteca» (Calhoun, 2006, p. 8 ) . Altrove la crisi del catalogo viene imputata a una rottura dell'equilibrio tra domanda e offerta, dal momento che se «nelle imprese in salute la domanda di un prodotto e la capacità di pro­ durlo sono in equilibrio [. .. ] l'investimento delle biblioteche di ricerca nei ca­ taloghi - e nelle collezioni che essi rappresentano - non riflette il cambiamen­ to in atto nella domanda dell'utenza» (ivi, p. I 5 ) . Privilegiare un modello che sottende la logica del profitto, se da un lato rende probabilmente più com­ prensibili le argomentazioni ai committenti, dall'altro lato le riferisce a un contesto al quale le biblioteche sono state, almeno fino a oggi, estranee. Lo dimostra il fatto che, allo scopo di consentire loro di adempiere alla loro voca­ zione, esse vengono in genere finanziate mediante contributi pubblici e dona­ zioni private e, solo per una parte minoritaria, dai profitti generati dalle attivi­ tà che svolgono. Lo studio presenta, tuttavia, anche una serie di osservazioni meritevoli di approfondimento, come quella che i bibliotecari non hanno in generale saputo interpretare con rapidità ed efficacia i sintomi dei cambiamen­ ti in atto, ritenendo insostituibile il ruolo della biblioteca non soltanto come luogo di raccolta delle pubblicazioni (ciò che è senz'altro vero per l'editoria tradizionale) , ma anche come strumento eccellente di mediazione bibliografica. Dando per scontato che i lettori, di fronte alla difficoltà di utilizzare i motori di ricerca per l'effettuazione di ricerche mirate, avrebbero continuato a fruire dei servizi delle biblioteche, i catalogatori si sono adoperati per fare dell'oPAC uno strumento sempre più perfezionato, moltiplicando i percorsi di accesso alle notizie, l'uso dei filtri di ricerca, la presentazione grafica dei risultati, l' ap­ plicazione di vocabolari controllati e di dispositivi per la gestione di questi ultimi. Consapevolmente o meno, i bibliotecari hanno ritenuto che una strate­ gia basata sull'offerta di un prodotto di elevata qualità, finalizzata all' erogazio­ ne di uno specifico servizio e popolata di dati di qualità omogenea, nonché su un rapporto secolare di fiducia con il lettore, sarebbe stata sufficiente a ga­ rantire la fidelizzazione dell'utente e a vincere il confronto con Google. Inve­ ce, sebbene gli intervistati abbiano concordemente affermato di ritenere il ca­ talogo lo strumento di ricerca migliore e più affidabile, tuttavia hanno dichia­ rato di preferire Google o Amazon, almeno fino al momento in cui si sono trovati nella necessità di individuare una copia nelle vicinanze. Questi lettori hanno precisamente individuato uno dei principali nodi del problema: il cata­ logo nella sua attuale configurazione nasce come uno strumento per localizza­ re esemplari e per gestirne le procedure di acquisto, di prestito e di conserva­ zione. Molto sofisticate sono le procedure seguite per rappresentarne le ca-

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ratteristiche formali; assai meno quelle dedicate al trattamento del contenuto ai fini della ricerca. La cumulazione dei cataloghi ha prodotto archivi di gran­ dissima estensione, ma non ha sostanzialmente modificato nulla dell'esistente struttura per adattarli a nuove finalità. L'attivazione di iniziative come Google Book Search 14, Open WorldCat 1' e RedLightGreen 16 ha dimostrato, invece, l'importanza di disporre di strumenti con caratteristiche differenziate, tali da rispondere adeguatamente alla successione di procedure in cui si articola la ricerca bibliografica. Se in una prima fase, appare, infatti, vantaggioso per il lettore disporre di un insieme il più possibile ampio e variegato di risorse sul quale effettuare la ricerca, utilizzando per di più il linguaggio naturale, nel ruolo di "ultimo miglio " , termine con il quale si intende la tratta di cavo che connette le centrali telefoniche agli utenti finali, il catalogo è tuttora uno stru­ mento insostituibile. D'altro canto, proprio quella granularità che garantisce efficienza al catalogo risulta penalizzante ogni qualvolta, al momento della ri­ cerca, ci si trovi di fronte a una lista infinita di occorrenze, generata dall'insie­ me delle versioni in lingue, edizioni e supporti diversi di una stessa opera. Nell'implementare il proprio catalogo collettivo WorldCat mediante la struttu­ ra logica di FRBR, prima di renderlo pubblicamente accessibile tramite i motori di ricerca Google, Yahoo ! e Firefox (lo sviluppo è noto come progetto " Cu­ riouser" 17) , OCLC ha fornito la propria risposta al problema. Per ciascuna

I4. < http://books.google.com/ > . Il servizio mette a disposizione, scaricabili in formato PDF, alcuni testi non più coperti da diritto d'autore. Esso fa parte di un più ampio progetto che il motore di ricerca porta avanti con alcune università (Harvard, Stanford, California, Michigan, Oxford) e con la New York Public Library per la digitalizzazione delle loro immense bibliote­ che. Google ha scelto di rendere integralmente disponibili i testi di pubblico dominio, per non avere problemi legali di copyright con gli editori, mentre nel caso dei libri sotto copyright gli utenti avranno libero accesso solo a brevi estratti e a citazioni bibliografiche. I 5 . < http://www.oclc.org/worldcat/open/ > . I partner del progetto, comprendenti agenti librari e antiquari come Amazon.com, Abebooks, Alibris e l'Antiquarian Booksellers' Association of America, nonché gestori di motori di ricerca come Ask.com, Google, Google Scholar e Goo­ gle Books, Windows Live Academic Search (beta) e Yahoo ! Search, sono reperibili sul sito < http://www.oclc.org/worldcat/open/partnersites/default.htm > . Per un inquadramento degli obiettivi del progetto e delle sue caratteristiche funzionali, cfr. O'Neill (2004); Hane (2oo6). I6. < http://redlightgreen.com/ucwprod/web/workspace.jsp > . In seguito alla fusione socie­ taria tra le reti OCLC e RLG il servizio, attivato nel 2 00 3 , è terminato il I0 novembre 2006. Ora le notizie sono accessibili tramite WorldCat.org (cfr. < http://www.rlg.org/en/page.php?Page_ ID = 20983 > ). Per un inquadramento degli obiettivi del progetto e delle sue caratteristiche fun­ zionali, cfr. Proffitt (2005 ). I7. Il progetto, coordinato da Thom Hickey e Diane Vizine-Goetz, si pone l'obiettivo di valorizzare, in misura maggiore di quanto non sia avvenuto finora, le informazioni strutturate contenute nelle notizie bibliografiche, in quelle di autorità e nelle registrazioni di esemplare, in­ crociandole con quelle ricavabili da altre fonti, quali bibliografie, sitografie e servizi Web pro­ dotti e gestiti da agenzie non bibliotecarie. All'analisi dei dati si accompagna lo sviluppo di un'interfaccia di nuova generazione, che integri dispositivi di navigazione utili a organizzare in modo più economico le informazioni bibliografiche e a collegare le due funzioni di repertorio bibliografico e di catalogo, entrambe assolte dai cataloghi collettivi di maggiore estensione, in

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

opera viene generata una sola occorrenza, a cui corrisponde la descrizione di una tra le versioni collegate. Il lettore dispone a quel punto di una serie di comandi, uno dei quali produce la visualizzazione delle descrizioni di tutte le altre versioni presenti nel catalogo collettivo. L'accorgimento, che si traduce in una più agevole consultazione di un archivio di oltre 68 milioni di registrazio­ ni bibliografiche, rappresenta un beneficio anche per i motori di ricerca, all'in­ terno dei quali, lungi dal contribuire alla crescita del rumore causata dalla ri­ dondanza dei dati, le notizie del catalogo costituiscono un nucleo ben orga­ nizzato e strutturato, al quale aggregare dati e informazioni di altra natura. Altri comandi consentono, ad esempio, di arricchire la notizia bibliografica per mezzo di indici, saggi di lettura, riproduzioni della coperta e recensioni. In tutto ciò, WorldCat non dimentica la funzione originaria del catalogo, cioè consentire al lettore la localizzazione di un esemplare, e il servizio di "georefe­ renziazione" è particolarmente efficace nell'ambito di una rete che collega fra loro 5 3 mila biblioteche in 96 Paesi del mondo 1 8 • Per quei lettori, invece, che fossero interessati ad acquisire in via definitiva una copia della pubblicazione, esiste un apposito comando che consente di avviare una transazione commer­ ciale con un fornitore, il quale a sua volta riconoscerà una percentuale alla rete OCLC o alla biblioteca segnalata dall'acquirente. Le caratteristiche di Red­ LightGreen, il servizio di ricerca basato sul catalogo collettivo della Research Libraries Group, sono sostanzialmente le medesime, pur essendo il risultato di un processo di sviluppo differente 1 9 • In seguito alla fusione tra le due istitu­ zioni, quella accessibile sul Web è prossima ad essere una vera e propria bi­ bliografia universale corrente.

modo tuttora non ottimale. Su tale dicotomia, cfr. Serrai (200 1 ) ; Grimaldi (2ooo); Weston (2oo2b ) ; Biagetti (2oo2) . 1 8 . Tra i progetti di ricerca i n corso d i sviluppo s i segnala WorldMap, che h a l'obiettivo di consentire la visualizzazione della distribuzione geografica di specifici insiemi di dati riguardanti le biblioteche. Nel prototipo attualmente consultabile in rete è possibile accedere ai dati relativi a opere ed esemplari, ripartiti per luogo di pubblicazione (se presente in WorldCat) , nonché a statistiche riguardanti le biblioteche, il personale, gli utenti, l'estensione del patrimonio biblio­ grafico e la dotazione annuale (da altre fonti): < http://www.oclc.org/research/researchworks/ worldmap/prototype.htm > . 19. Un sintetico confronto tra i due sistemi consente di evidenziare analogie e differenze tra le seguenti caratteristiche funzionali: 1. Raggruppamento delle notizie secondo la struttura logica di FRBR: viene adottato da entrambi i sistemi; in RedLightGreen, tuttavia, i titoli in lingue diffe­ renti corrispondono a opere diverse; 2. Indice di rilevanza: mentre in RedLightGreen l'ordina­ mento tiene conto del numero di esemplari di un'opera posseduti dalle biblioteche della rete, in WorldCat il numero di esemplari si combina con la frequenza delle occorrenze del termine ri­ cercato in determinate aree della notizia; 3· Filtri di ricerca: RedLightGreen prevede soggetto, autore e lingua; WorldCat include autore, ambito disciplinare, formato, lingua e anno di pub­ blicazione; 4· Citazioni bibliografiche: RedLightGreen offre una varietà di stili e di formati di citazione che verrà resa disponibile da WorldCat a partire dal 2 007. Funzionalità specifiche di WorldCat, non disponibili in RedLightGreen, comprendono: criteri di ordinamento differenti, tra i quali quello cronologico; collegamenti alle risorse /ull-text; accesso a documenti in più for­ mati (in RedLightGreen, soltanto ai libri).

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RIQUADRO 10.5 FRBR e catalogo

Tutte queste opportunità non debbono tuttavia condurci a facili illusioni sulla possibi­ lità di incrementare la qualità complessiva di qualunque catalogo, grazie alla semplice adozione del nuovo modello e al prezzo di qualche procedura automatizzata. In primo luogo occorre ricordare l'indagine statistica condotta da ocLc che ha permesso di sti­ mare attorno al 20 per cento del totale delle notizie presenti in quel catalogo collettivo quelle relative a più manifestazioni della medesima opera. Al tempo stesso è necessario tener conto di alcune aporie segnalate dalla commissione che per conto della comunità bibliotecaria italiana si è preoccupata di effettuare una valutazione del modello, non­ ché di quelle, niente affatto trascurabili, ricordate da Serrai (2002 ). Vi è, infine, da valutare la sensatezza di sviluppare un modello nuovo sotto l'impulso delle inadegua­ tezze del precedente modello e di sostanziarlo poi proprio con quelle notizie conformi al modello che si intendeva rimpiazzare. Se la ragione dei numeri contribuisce a spie­ gare una simile scelta, il rischio è tuttavia quello di far passare per radicalmente nuovo ciò che invece non è che una riorganizzazione dell'esistente. In ogni caso, l'applicazione della nuova struttura al catalogo elettronico tradiziona­ le è tutt'altro che semplice. Da un lato, infatti, le notizie catalografiche esistenti non comprendono tutte le informazioni richieste. Dall'altro lato, alcuni dati vengono ri­ portati in modo tale da presentare un tasso di ambiguità troppo elevato rispetto a quanto richiesto per l'articolazione dell'informazione bibliografica nei livelli gerarchici previsti dalla nuova struttura, come dimostrano la comparazione originariamente effet­ tuata da Tom Delsey e la successiva versione pubblicata dalla Library of Congress (Functional Analysis o/ the MARe 2 r Bibliographic an d Holdings Formats, updated and revised by the Network Development and MARe Standards Office Library of Congress, September 2 3 , 2003 ) . L'impossibilità di ricorrere a verifiche puntuali sui documenti, dovuta all'estensione raggiunta dai cataloghi delle biblioteche più importanti e dai ca­ taloghi collettivi delle reti, ha limitato le prime sperimentazioni al raggruppamento delle opere, cioè al primo dei livelli gerarchici definiti in FRBR per le entità del Gruppo r . Sono stati, perciò, messi a punto degli algoritmi che, operando all'interno delle componenti tradizionali del catalogo elettronico - l'archivio delle notizie bibliografiche e l'authority file - hanno individuato un certo numero di relazioni bibliografiche esi­ stenti tra i documenti rappresentati nel catalogo, organizzando la presentazione dei risultati delle ricerche sulla base di tali relazioni. Non tutte le suddette sperimentazioni hanno perseguito le medesime finalità. La Library of Congress, ad esempio, ha messo a punto un dispositivo software in grado di effettuare, al momento della singola ricerca e su richiesta dell'utente, il raggruppa­ mento delle notizie per espressioni e per formato. È senz'altro la soluzione meno inva­ siva, in quanto si limita alla realizzazione di una componente, esterna al catalogo, che agisce dinamicamente in fase di restituzione delle notizie bibliografiche, senza richiede­ re modifiche al loro contenuto o alla struttura complessiva dell'archivio (FRBR Display Tool, < http://www. loc.gov/marc/marc-functional-analysis/tool.html > ) . Nel Gateway for Australian Literature il modello FRBR è stato, invece, implementa­ to in una struttura, assimilabile per certi versi a un sistema di authority contro!, che si sovrappone al catalogo collettivo nazionale australiano Kinetika. Tale struttura è fina­ lizzata al potenziamento delle funzioni di interrogazione mediante la valorizzazione 243

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

delle relazioni esistenti tra autori e opere (opere di, a cura di, tradotte da, con prefa­ zione di, recensite da, aventi per soggetto ecc.) e tra autore e autore. Si tratta, quindi, a differenza del progetto della Library of Congress, di una componente effettiva e non virtuale, realizzata cioè mediante l'immissione di informazioni generalmente non pre­ senti nelle notizie bibliografiche. Anche in questo caso, tuttavia, la struttura e il conte­ nuto dell'archivio catalografico sottostante rimangono immutati, in quanto il raggrup­ pamento delle notizie per espressioni e per formato awiene trattando dinamicamente, secondo opportuni algoritmi, in fase di restituzione, i risultati della ricerca lanciata sull'archivio bibliografico principale (AustLit - Australian Literature Gateway, < http: llwww. ausclit.edu.au/ > ) . È più radicale, infine, l a scelta operata nel prodotto commerciale VTLS i n quanto essa prevede lo scorporo della notizia bibliografica tradizionale in una serie di notizie relative ciascuna a un livello gerarchico del modello FRBR. il catalogatore, operando retrospettivamente su blocchi di notizie esistenti o trattando la singola notizia, può produrre registrazioni dotate di una struttura particolare nella quale vengono inserite le informazioni bibliografiche relative allo specifico livello gerarchico ( < http: llwww.vùs.comlindex.shtml > ).

La strategia adottata da OCLC è stata dunque, quella di integrare il catalogo nel più diffuso sistema di ricerca, per garantire la massima visibilità e accessi­ bilità alle notizie, senza, tuttavia, snaturarlo, distogliendolo dal suo ruolo per così dire istituzionale. Non è l'unica strategia possibile. Il rapporto della Li­ brary of Congress prima ricordato ne elenca quattro: promuovere un uso più frequente da parte degli utenti abituali; sviluppare nuovi servizi per gli utenti abituali; trovare nuovi utenti del prodotto esistente; trovare nuovi servizi e nuovi utenti. La FIG. IO. I 2 0 illustra in modo efficace come le quattro strategie possano incrociarsi e fornisce uno o più esempi per ciascuna opzione. Il quadrante in basso a sinistra combina utenti abituali e servizi esistenti e si esplica nell' ap­ portare modesti cambiamenti al catalogo, concentrati in particolare sulle mo­ dalità di ricerca e di visualizzazione dei risultati. Si tratta della strategia meno costosa e impegnativa, almeno nell'immediato, nonché quella che favorisce l'atteggiamento più conservativo da parte di quei bibliotecari che non si sento­ no pronti o disponibili a intraprendere cambiamenti radicali nelle procedure operative o nel modo di confezionare i servizi erogati. È tuttavia la strategia che presenta più incognite nel lungo periodo, in quanto è potenzialmente esposta al pericolo di un ulteriore, sensibile indebolimento del catalogo a van­ taggio di altri strumenti di ricerca. Il quadrante in basso a destra combina utenti abituali e nuovi servizi, quali ad esempio la descrizione delle risorse elettroniche, la produzione di servizi a valore aggiunto (nuove accessioni, refe­ rence, percorsi tematici), l'esportazione delle citazioni bibliografiche in un 20. La FIG. 10. 1 è una rielaborazione del grafico presente in Calhoun (2oo6, p. u).

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FIGURA I O . I

Strategie per l'erogazione di servizi bibliografici nuovi

Nuovi utenti Servizi esterni • • •

Nuovi utenti Nuovi servizi

marketing diretto a nuove fasce utenza ricerche bibliografiche o brevettuali DD e ILL a richiesta

• • • • •

Utenti abituali Servizi esistenti • •

modalità di ricerca visualizzazione risultati

valorizzazione cultura locale portali disciplinari conservazione siti Web progetti di digitalizzazione contenuti pacchetti formativi Utenti abituali Nuovi servizi

• • •

esistenti

descrizione risorse elettroniche servizi a valore aggiunto export bibliografie multiformato

nuovi servizi

gran numero di formati. Anche questa strategia, che è quella a cui mirano molti degli applicativi oggi in commercio nel nostro Paese, ha un impatto mo­ desto, costi sostenibili e benefici per l'utenza nel breve o medio periodo e quindi rappresenta una scelta prudente, anche se non necessariamente lungi­ mirante. I due quadranti superiori raggruppano le soluzioni più innovative, tendenzialmente più costose e a più forte impatto sull'organizzazione delle istituzioni e che, proprio per queste ragioni, sono più rischiose e richiedono da subito specifiche competenze professionali. Il quadrante di sinistra è ca­ ratterizzato da strategie di marketing volte a catturare l'interesse di nuove fa­ sce di utenza, ad esempio attraverso la presentazione delle iniziative della bi­ blioteca sul portale dell'università o degli Enti locali, la fornitura di ricerche bibliografiche o brevettuali alle imprese, l'allestimento di un servizio di docu­ ment delivery o di prestito interbibliotecario in consorzio con altre realtà del territorio, del quale l'utente possa awalersi richiedendo direttamente la forni­ tura della pubblicazione. Il quadrante di destra, infine, raggruppa le iniziative più innovative e bisognose di risorse di ogni tipo, ma anche quelle che alla lunga potrebbero consentire alla biblioteca di conservare o addirittura di in­ crementare il proprio ruolo nella società dell'informazione, attraverso un'e­ stensione dei servizi, specialmente in quei settori che consentono di mettere a frutto le competenze specifiche acquisite nel tempo. Le iniziative di OCLC e di RLC ricordate prima rientrano senz' altro in questa categoria. Altre iniziative 245

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

potrebbero riguardare la valorizzazione della cultura locale in collaborazione con le altre istituzioni e a beneficio del cosiddetto turismo culturale, la realiz­ zazione di portali disciplinari con servizi di reference elettronico di alto profi­ lo, l'attuazione di politiche di conservazione dei siti Web delle istituzioni loca­ li, la partecipazione a progetti regionali, nazionali o internazionali di digita­ lizzazione, la predisposizione di contenuti per la preparazione di percorsi di­ dattici e manuali scolastici digitali. Occorre rilevare che, se da un lato è sem­ pre possibile mettere in atto strategie miste, con iniziative distribuite su un arco di tempo più esteso, dall'altro lato le strategie corrispondenti ai quadran­ ti superiori hanno senso soltanto nei casi in cui la biblioteca non agisca indivi­ dualmente, ma nell'ambito di politiche concertate a livello almeno regionale. Nella parte più controversa dello studio della Library of Congress ci si spinge ad ipotizzare altre strategie alternative, cui ricorrere nel caso in cui le bibliote­ che si trovino, nonostante gli sforzi intrapresi, a contrastare una crescente dis­ affezione da parte degli utenti e una sensibile diminuzione delle risorse di­ sponibili. La prima strategia consiste nella ricerca della leadership, puntare cioè ad accentrare tutti i servizi nella struttura più forte, che verrebbe suppor­ tata in questo suo ruolo dalle migliori fra le risorse liberate dalle strutture soppresse. Una seconda possibilità consiste nell'individuare una nicchia, cioè un settore disciplinare o una fascia di utenti, per esempio di ambito umani­ stico, che sia ritenuta stabile o comunque non sufficientemente servita dagli altri attori del mercato. La terza opzione consiste nell'affidarsi all' harvesting, cioè alla raccolta periodica di dati e risorse elettroniche da fonti esterne, limi­ tando al massimo le procedure occorrenti per la manutenzione del catalogo. Il rischio in questo caso è che, in breve tempo, venuto meno il rapporto di fidu­ cia con i lettori e il bisogno di professionalità degli operatori, la biblioteca veda il proprio ruolo di mediatore bibliografico scadere a quello più generico di raccoglitore e distributore di dati e di informazioni prodotte altrove. L'ulti­ ma opzione, la più drastica, è che la biblioteca rinunci a mantenere un catalo­ go locale, affidando la sua realizzazione ad altre istituzioni bibliotecarie o indi­ viduando altre forme e dispositivi non convenzionali di mediazione bibliogra­ fica. 1 0 .4

Verso Library 2 .o

Da quanto detto, emerge un quadro di sostanziale incertezza, nel quale uno dei pochi fatti piuttosto evidenti è che l'universo dell'informazione bibliografi­ ca è sottoposto a cambiamenti troppo rapidi perché vi sia tempo sufficiente per il consolidarsi di una nuova tradizione catalografica e di procedure opera­ tive adeguate per bibliotecari e lettori. Nel tempo dell'evoluzione permanente e dell'immaterialità, le biblioteche, con una tradizione secolare alle spalle e abituate a gestire patrimoni documentali di grande, talvolta immensa, consi­ stenza fisica reagiscono con ritardo e faticano a tenere il passo, strette come

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sono tra mercati che sfornano nuovi prodotti determinando nuovi gusti e nuo­ ve mode e utenti, apparentemente più esigenti, in realtà spesso soltanto più confusi. Dalla constatazione che all'abbondanza delle informazioni corrispon­ de un'attenzione generalmente più scarsa da parte degli utenti deriva il fatto che di fronte alla scelta fra più risorse ciascuna munita di un proprio disposi­ tivo di ricerca, sia sul Web, sia all'interno della singola biblioteca, l'utente " che non ha tempo da perdere" si rivolge non alla singola risorsa, ma alla rete nel suo complesso, considerandola alla stregua di una risorsa unitaria e fa­ cendo uso di strumenti, come i motori, che tendono a conferire omogeneità a risposte provenienti da fonti estremamente eterogenee per struttura, finalità, origine, stato di aggiornamento ecc. Il concetto di "universo documentario di­ sponibile" , in tale prospettiva, raccoglie un insieme di documenti molto più ampio di quello rappresentato da qualunque catalogo collettivo su supporto elettronico 2 1 • Occorre, a questo punto, richiamare la distinzione effettuata in precedenza tra " reperimento" (cioè identificazione delle risorse di proprio in­ teresse) e "localizzazione" (cioè individuazione del luogo/sito dove ciascuna risorsa di interesse è disponibile) e aggiungere alle precedenti, sulla scorta di un suggerimento di Dempsey (2005 ) , altre due funzioni: la " richiesta" e la " consegna" della risorsa prescelta. Nel Web le quattro funzioni "appaiono" integrate, per la presenza di una sofisticata infrastruttura (motore di ricerca, DNS resolver, gestione amministrativa per l'autorizzazione, l'autenticazione, il pagamento ecc.) a supporto. Nell'oPAC tradizionale, invece, l'utente ha la net­ ta percezione del fatto che le quattro funzioni corrispondano a procedure se­ parate, che vanno attivate in successione e che possono essere schematicamen­ te rappresentate come quattro tessere di un mosaico disposte lungo una linea orizzontale. Per quanto le interfacce mirino a minimizzare le conseguenze di una soluzione di continuità, nel caso di richieste riguardanti risorse di tipo cartaceo lo stacco tra la terza e la quarta funzione non può che essere netto. L'ibridazione delle raccolte e il diffondersi di pratiche di cooperazione interbi­ bliotecaria hanno complicato lo schema, in quanto vi hanno introdotto se­ quenze di tipo verticale, come quella rappresentata dalla ricerca sui metaOPAC o dall'avvio di richieste di prestito esterno. I produttori di sistemi integrati si sono posti, allora, la sfida di creare dispositivi che facciano colloquiare sistemi strutturalmente diversi e stipulino le corrette relazioni semantiche tra schemi di metadati e vocabolari (l'obiettivo dell'interoperabilità) e al tempo stesso di

2 I . In realtà è sempre stato così, anche nella biblioteca cartacea, tanto che negli anni non si è mai smesso di produrre bibliografie e altri repertori necessari a gettare luce in settori non adeguatamente esplorabili per mezzo del catalogo. La differenza è che il Web, grazie a caratteri­ stiche quali la struttura ipertestuale dei documenti trattati, l'interazione in tempo reale e la possi­ bilità di utilizzare un solo canale di accesso rappresentato dal terminale, favorisce la "pigrizia" dell'utente, che qui va intesa non come mancanza di stimoli o di curiosità, ma come una minore disponibilità a combinare ricerche su più canali e a stipulare relazioni che non siano quelle già previste all'interno delle risorse.

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

realizzare interfacce che simulino, a beneficio dell'utente, un livello di omoge­ neità e di integrazione paragonabile a quello conseguito per l'oPAC (Zhou, 2ooo; Breeding, 2005 ) 22• Questa tendenza ha prodotto quel fenomeno che, in letteratura, viene definito la "dis-integrated library system" (Dietz, Grant, 2005 ) , in ovvia contrapposizione a "integrated library system ", una scelta evi­ dentemente provvisoria, in vista della realizzazione di una piattaforma che possa provvedere a una maggiore integrazione tra le diverse componenti e alla realizzazione, sul lato dell'utente, di un ambiente omogeneo e di strumenti unitari di ricerca. Il concetto di piattaforma richiama un nuovo modo di intendere il Web, il cosiddetto Web 2 .0, con il quale non si definisce né uno standard, né una tecnologia o un prodotto, ma che rappresenta una combinazione di fattori che stanno cambiando radicalmente il modo in cui il Web viene considerato e utilizzato da un crescente numero di utenti. Il passaggio dal Web r .o al Web 2 . 0 si realizza, idealmente, quando Napster prende il posto di mp3 . com, oppure quando l'autorevole Britannica online viene ad essere affiancata da Wikipedia, o ancora quando il controllo semantico passa dalle tassonomie e dai vocabolari controllati alla classificazione volontaria e generalmente incon­ trollata delle folksonomie (O'Reilly, 2 005 ) , tanto che è stato definito «un comportamento e non una tecnologia» da Davis (2005 ) , il quale chiosa: «it's about enabling and encouraging participation through open applications and services. By open I mean technically open with appropriate APIS but also, more importantly, socially open, with rights granted to use the content in new and exciting contexts». Ciò che, infatti, distingue le due fasi del Web non è soltanto la semplice partecipazione, ma la connotazione sociale che essa assu­ me, in contrasto ideologico con chi ha fatto della rete un veicolo commerciale e ha eretto barriere protezionistiche. Quella che O'Reilly (2003) chiama sug­ gestivamente "architettura della partecipazione" mira al conseguimento di una serie di obiettivi: esposizione, ricerca e trattamento dei dati secondo modalità differenti da quelle previste nella risorsa nella quale erano originariamente ospitati; realizzazione di ambienti virtuali, realizzati traendo dati e funzionalità da fonti diverse secondo specifiche esigenze; - coinvolgimento degli utenti nell'organizzazione del contenuto della rete e nell'allestimento di percorsi atti alla ricerca e alla valutazione delle risorse. Dal punto di vista tecnologico, ciò comporta lo sviluppo di applicativi mo­ dulari, che traggano il massimo beneficio dagli standard esistenti e dai disposi­ tivi di interoperabilità, e presuppone, da parte degli sviluppatori, un atteggia­ mento di condivisione per quanto attiene alle idee, ai codici e al contenuto (Miller, 2 005 ; Barker, 2 005 ) . 2 2 . A d esemplificazione di progetti miranti a conseguire l'integrazione fra più servizi, cfr. The European Library vers. 1 . 3 , < http://www . theeuropeanlibrary.org/portal!index.html > e Copac: Academic & .1'-:ational Library Catalogue V 3 , < http://www . copac.ac.uk/ > .

TEL

-

I O . LA G ESTIONE ELETTRON ICA DELLE B IBLIOTECHE

RIQUADRO 10.6

Modelli funzionali per il catalogo :Z J Le biblioteche richiedono soluzioni ragionevoli sia dal punto di vista dei costi, sia da quello dell'efficacia dell'intervento, che aggiungano valore alla componente euristica del catalogo, mediante l'applicazione degli strumenti più adeguati tra quelli che la lo­ gica, la linguistica, la grafica, l'informatica e l'elettronica sono in grado al momento attuale di offrire. La California Digitai Library (2oo6), in seguito a un cospicuo fi­ nanziamento della Andrew W. Mellon Foundation, ha condotto una ricerca della du­ rata di un anno intorno a cinque tematiche: - sistemi di ricerca testuali, con capacità di ranking per rilevanza; - correzione di errate digitazioni basata sugli indici; - miglioramento delle strategie di navigazione mediante l'applicazione di faccette e il raggruppamento dei risultati secondo la logica di FRBR; - potenziamento della funzione di ranking per rilevanza attraverso l'analisi dinamica del comportamento dell'utente; - raffinamento delle strategie per generare raccomandazioni attraverso il data mining e l'analisi delle scelte di cluster di utenti. La riflessione teorica e la ricognizione bibliografica sono state affiancate da una serie di sperimentazioni, condotte su campioni di dati tratti dai cataloghi e dagli altri archivi dell'istituzione, dalle quali è stato realizzato un prototipo, l'interfaccia Relvyl :z4, che implementa la maggior parte delle caratteristiche individuate nel corso dello stu­ dio. In particolare, il gruppo di lavoro ha inteso valutare quale tra le alternative possi­ bili, alla luce dello stato dell'arte dei software e dell'ampiezza raggiunta dai cataloghi collettivi e dagli archivi dei progetti digitali, costituisca la strategia più adeguata e assi­ curi il miglior rendimento. Dall'insieme delle riflessioni e delle sperimentazioni sin qui esposte emergono soluzioni riconducibili, sostanzialmente, ai modelli funzionali per il nuovo OPAC che vengono di seguito proposti.

che si adatta. Uno dei requisiti, come già visto, è che l'oPAC perda le rigidità di visualizzazione e di uso che spesso lo caratterizzano. Occorre che il catalogo si adatti all'utente, differenziandosi di volta in volta dal punto di vista del linguaggio, degli ele­ menti visualizzati, della tipologia delle ricerche permesse e dall'arricchimento biblio­ grafico e semantico proposto. Lo possiamo definire un OPAC fluido, che si modelli sul comportamento dell'utente che lo sta consultando, o per meglio dire, poiché raramen­ te risulta efficace una personalizzazione plasmata sul comportamento del singolo, che li raggruppi per "classi " (clusters), definendo profili, più o meno omogenei, di utenti con caratteristiche simili. La prima problematica da affrontare è dunque collegata all a possibilità e alle difficoltà nella definizione dei cluster. Si tratta in sostanza di operare nel campo del data mining (una particolare fase del processo di estrazione della cono­ scenza che si basa sull'applicazione di algoritmi che consentono l'esplorazione di dati con l'obiettivo di individuare le informazioni più importanti) applicato all'analisi del­ l'utenza (Adriaans, Zantinge, 1996; Bhavani, 1998; Berry, Linoff, 2004). La prima re­ gola del data mining è "garbage in, garbage aut" : la correttezza dei dati inseriti è essenL'oPAC

2 3 . Per approfondimenti e realizzazioni, cfr. Weston, Vassallo (2007 ). 24. < http://rec-proto.cdlib.org/xtflsearch?style=melrec&brand= melrec > .

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E Q U ESTIONI

ziale per ottenere risultati organici e profittevoli. Nel caso degli OPAC, i dati possono venire estratti sia da un semplice modulo elettronico (/orm) messo a disposizione del­ l'utenza proprio con lo scopo dichiarato di definire il profilo della stessa, sia (in ma­ niera certamente più complicata, ma maggiormente dettagliata) dall'analisi dei com­ portamenti dell'utilizzatore. Nel secondo caso, ovviamente, bisognerà approntare algo­ ritmi per l'estrazione dei dati (quarta fase del processo di Knowledge Discovery in Da­ tabases, KDD) e per l'eliminazione degli outlier (prima e seconda fase del processo di KDD: i dati sono selezionati e vengono eliminati quelli che, per diversi motivi, non sono riconducibili a nessun cluster), sicuramente presenti in misura maggiore rispetto al primo caso (KDD, 1 997; Edelstein, 1 999). I dati scelti (ad esempio età, titolo di stu­ dio, professione, lingua, interessi) e raffinati verranno poi analizzati con un algoritmo di clusterizzazione con lo scopo di raggruppare il campione in un numero (definito in precedenza o libero) di cluster. Analizzando i cluster così ottenuti, è possibile estrarre un albero decisionale, ovvero uno schema di analisi che, a partire da un nuovo utente ipotetico, tenti di ricondurlo all'interno di uno dei profili precedentemente definiti. Una volta definiti profili diversi, tecnologie come quelle delle mappe topiche potreb­ bero rivelarsi uno strumento estremamente utile e duttile per la resa di informazioni a differenti livelli. In particolare l'uso del costrutto scope (nota di scopo) permette di caratterizzare ogni tipo di informazione, rendendo possibili descrizioni e definizioni compilate in riferimento a diversi punti di vista (De Graauw, 2oo2a; 2oo2b; Gmnmo, Pepper, 2002 ) . Così facendo, è possibile associare a un singolo elemento (topic) una molteplicità di descrizioni rispondenti a codici linguistici differenti o riferiti a specifici profili e il medesimo approccio può essere esteso naturalmente alle relazioni (assoàa­ tions) e ai nomi (basenames). In fase di restituzione dei risultati della ricerca il sistema è, dunque, in grado di reagire dinamicamente proponendo le descrizioni, le associazio­ ni e i nomi più adeguati al profilo dell'utente, alla sua lingua, all'ambito disciplinare di appartenenza.

che suggerisce. Oltre ad adattarsi alle tipologie del proprio utente, il catalogo dovrebbe essere in grado di orientarlo in quei casi in cui la ricerca sembri approdata a un punto morto, vuoi in seguito a una conoscenza approssimativa di ciò che si sta cercando e del modo di cercarlo, vuoi per l'assenza di record che corrispondano esat­ tamente alla caratteristica richiesta. In queste circostanze può essere sufficiente appli­ care la logica /uzzy per correggere eventuali errate digitazioni della stringa di ricerca, oppure potrebbe risultare preferibile suggerire chiavi alternative e nuovi pattern, allo scopo di rendere più fruttuosa la ricerca, anche attraverso la valorizzazione della se­ rendipità. n sistema dovrebbe generare dinamicamente una lista o, piuttosto, una rete di termini affini, in senso semantico o anche soltanto lessicale, alla stringa iniziale, tra i quali il lettore possa operare una serie di scelte o navigare e ottenere risultati diversi rispetto a quelli ricercati in prima battuta. La rete in oggetto può prevedere livelli crescenti di complessità: gli elementi minimi possono essere estratti dai soggetti, dai nomi e dalla classificazione; il livello intermedio può essere rappresentato dalla tradu­ zione (semantica e non solo letterale) degli elementi enucleati; il livello maggiore, infi­ ne, può prevedere l'implementazione della distanza semantica (Le Grand, Soto, 2oo r ; Andres, Naito, 2oo6) fra i nodi della rete e , soprattutto, l'adattamento della navigazio­ ne e dei topic proposti allo specifico cluster di utenza, in modo che la navigazione sia influenzata dai comportamenti dell'utenza stessa. Un modello estremamente funzionale è quello del Recommendation System (Adomavicius, Tuzhilin, 2005 ) , che trova diffusa L'oPAC

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applicazione nell'ambito del commercio elettronico e di cui Amazon rappresenta pro­ babilmente l'esempio più conosciuto. Sono programmi che hanno lo scopo di predire oggetti che potrebbero interessare l'utente sulla base del suo comportamento all'inter­ no del sistema. Per semplificare il sistema, è possibile sostituire all'individuo una classe (cluster) di profili simili e aggregare i dati (collaborative system) (Herlocker, 2004). La rete di connessioni tra termini può essere rappresentata per mezzo di dispositivi gra­ fici.

che apprende. Come si è visto, l'oPAC da un lato deve potersi adattare alle esi­ genze e alle caratteristiche dell'utilizzatore, dall'altro lato dovrebbe assumere una fun­ zione attiva, propositiva, nei confronti della ricerca. Tuttavia, il rapporto non è ne­ cessariamente univoco: già nel caso del collaborative filtering, si è accennato a come il sistema legga il comportamento dei diversi utenti per estenderlo a profili simili. L' as­ sunto di base è che utenti simili possano avere gusti simili. Ciò è ampiamente applica­ to nel campo del commercio elettronico, ma è certamente esportabile ad altri contesti. Al livello di OPAC il collaborative filtering può essere utilizzato per suggerire letture alternative o per utilizzare percorsi di altri utenti come suggerimenti di navigazione. Ancora una volta diventa cruciale la fase di estrazione di conoscenza a partire da dati strutturati. Le difficoltà maggiori risiedono infatti nella definizione del comportamento degli utenti e nella loro corretta profilazione. In questo caso l'apporto fornito dall'u­ tenza al sistema è indiretto. Viene fatta la schedatura di numerosi casi d'uso, i quali vengono selezionati e applicati, ogni qualvolta si rawisi una determinata somiglianza. Recentemente sono andate affermandosi anche forme di collaborazione diretta, i co­ siddetti social bookmark, un esempio dei quali sono Del.icio.us, Connotea e Furl. Dal punto di vista del servizio all'utenza i social bookmark possono essere utilizzati per favorire il reference digitale e la creazione di virtual re/erence desk. n problema mag­ giore di un simile approccio è rappresentato dal rumore, un fenomeno inevitabile in assenza di una soggettazione univoca e di un vocabolario controllato. TI problema può essere in parte arginato tramite l'applicazione di algoritmi di controllo che eliminino le indicizzazioni difformi, anche utilizzando l'oPAC come ontologia di riferimento. Il van­ taggio, alla lunga prevalente sugli inconvenienti, si concretizza in un servizio tarato sull'utenza (sempre passando per il raggruppamento in cluster), owero nell'allestimen­ to di virtual re/erence desk non più costituiti da semplici directory e link classificati, ma componenti di un vero e proprio servizio modellato sull'utenza e diverso a se­ conda delle caratteristiche di chi lo consulti (Vassallo, 2oo6) . L'oPAC

che integra. I n risposta alle accresciute esigenze dell'utenza, l'oPAC non può più limitarsi ad essere un semplice, seppur affidabile, catalogo elettronico, ma deve diventare il punto di snodo di molte delle attività esercitate dalla biblioteca e dovreb­ be anche essere potenziato in modo tale da instradare l'utente verso servizi diversi. Del servizio di arricchimento bibliografico, che consiste nel collegare alla notizia di catalogo altre notizie e documenti che possano fornire informazioni supplementari utili al lettore per conoscere il contenuto di una pubblicazione, si è trattato diffusamente in precedenza. La collaborazione tra biblioteche, editori e distributori può rivelarsi con­ veniente per tutti. La biblioteca può awalersi dei dati presenti sul sito dell'editore per potenziare il proprio catalogo e promuovere percorsi di lettura a beneficio dei lettori, nonché disporre di uno strumento prezioso per orientare la propria politica degli ac­ quisti. La presenza delle notizie sul catalogo contribuisce, d'altra parte a favorirne la L'oPAC

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

conoscenza presso il pubblico e, di conseguenza, il catalogo svolge per conto dell'edi­ tore una funzione di tipo promozionale. Al tempo stesso l'editore può avvalersi, per il controllo semantico delle pubblicazioni in commercio, di quei dispositivi di controllo assai sofisticati (soggettario, classificazione ecc.) che sarebbero troppo onerosi per lui da gestire e che fanno parte invece del mestiere del catalogatore. Editori e bibliotecari stanno incominciando a valutare l'opportunità di una maggiore convergenza nel modo di rappresentare le pubblicazioni e sono sempre più numerosi i sistemi di catalogazio­ ne che sono in grado di catturare e trattare i metadati provenienti dagli archivi degli editori, allo stesso modo in cui sono trattate le notizie catturate dai cataloghi delle reti e delle agenzie bibliografiche nazionali. Ciò sta conducendo da un lato editori e di­ stributori a valorizzare le descrizioni, chiedendo addirittura la collaborazione degli utenti più esperti per migliorare la qualità complessiva dei dati e dall'altro lato le bi­ blioteche a dedicare più attenzione al trattamento semantico rispetto a quello descritti­ vo, come è invece stata la consuetudine in passato. n rapporto tra editori e biblioteche può prevedere che l'utente, una volta individuata una pubblicazione all'interno del ca­ talogo, invece di richiederne il prestito possa decidere di acquistarla attivando una procedura di commercio elettronico. Nel momento in cui l'attenzione del sistema si sposta dalle usuali funzioni find e obtain a quella di discover, il catalogo incomincia a configurarsi come fulcro attorno al quale sviluppare veri e propri portali che permetta­ no l'accesso a risorse di ogni tipo, anche non necessariamente bibliografiche. In una diversa prospettiva, l'oPAC può essere immaginato come il punto di raccordo fra si­ stemi culturali diversi imperniato sul controllo di autorità, o meglio, invertendo i ter­ mini della questione, l'authority contro! diventa occasione per ampliare i collegamenti e garantire l'interoperabilità incentrandola sull' OPAC.

che aggrega. Occorre a questo punto affrontare la difficoltà di gestire insiemi di risultati resi particolarmente corposi per le dimensioni raggiunte dai cataloghi collettivi e che si presentano più eterogenei rispetto al passato per la crescente varietà di forma­ ti editoriali. n ranking, cioè la restituzione dei risultati di una ricerca secondo criteri di priorità regolati mediante algoritmi prestabiliti, non è sempre la soluzione più oppor­ tuna, specialmente nel caso delle opere letterarie, per le quali possono esistere decine di edizioni curate da editori diversi, in lingue e su supporti differenti. Più convincente in questo caso appare il ricorso ad aggregazioni virtuali e dinamiche, che applichino la logica espressa in FRBR per produrre dei sottoinsiemi per le singole opere, per le edi­ zioni costituite da versioni sostanzialmente simili del medesimo testo, per le traduzioni, per i diversi formati di pubblicazione. Un caso ugualmente spinoso per i lettori è quel­ lo delle pubblicazioni periodiche, che nel corso degli anni abbiano cambiato molte volte titolo, istituzione responsabile, ambito settoriale; ripercorrere la storia della rivi­ sta attraverso i collegamenti "continua come" ed "è continuazione di " può rivelarsi impresa assai ardua. L'ampia bibliografia prodotta e costantemente aggiornata dallo FRBR Review Group dell'IFLA nella sezione " Implementations and research projects" dà conto delle numerose e autorevoli iniziative avviate da istituzioni internazionali e forni­ tori di sistemi e di servizi bibliografici per analizzare sostenibilità, fattibilità e conve­ nienza di una riorganizzazione dei cataloghi in direzione del recepimento, almeno par­ ziale, dell'impianto logico di FRBR. Nel 200 1 il Network Development and MARC Stan­ dards Office (NDMso) della Library of Congress aveva commissionato a Tom Delsey uno studio che, esaminando il modello di FRBR e la struttura logica delle AACR2 , por­ tasse a individuare un insieme di funzioni supportate da MARC 2 I . n risultato di tale L'oPAC

I O . LA G ESTIONE ELETTRO:-J ICA DELLE B IBLIOTECHE

studio è una mappatura tra gli elementi del formato e FRBR, che viene costantemente aggiornata con le revisioni del MARe e che è disponibile in forma tabellare e come database sul sito della Library of Congress ( < http://www.loc. gov/marc/marc-functio­ nal-analysis/functional-analysis.html > ). La disponibilità dell'analisi funzionale del MARe 2 r , unitamente alla notevole uniformità dei cataloghi e alla disponibilità di un complesso sistema di authority contro!, ha senza dubbio favorito le biblioteche norda­ mericane nella ricerca di soluzioni vantaggiose a costi contenuti, che non richiedessero la rielaborazione dei prodotti catalografici esistenti. Le due grandi reti bibliotecarie ocLc e RLG (Research Library Group) , la seconda delle quali si è recentemente fusa con la prima, hanno implementato i criteri di FRBR per aggregare le edizioni delle ope­ re in fase di restituzione dei risultati delle ricerche sui cataloghi collettivi WorldCat e RedLightGreen. Tali prodotti rappresentano un modello di riferimento imprescindibi­ le nello sviluppo dei nuovi OPAC, per la ricchezza di servizi che mettono a disposizio­ ne. Un criterio di ripartizione complementare a quello basato sulla logica di FRBR è rappresentato dall'applicazione di una classificazione a "faccette" ai risultati della ri­ cerca. I dati vengono analizzati e categorizzati per data, lingua, formato, soggetto, inte­ stazione, disponibilità per la consultazione. L'applicazione di una o più faccette per la determinazione dei sottoinsiemi può essere determinata dinamicamente in funzione del numero di occorrenze individuate per un certo aspetto (qualora, ad esempio, il rag­ gruppamento per secoli abbia determinato per il range 1 900-99 più di cento occorren­ ze, il sistema prowede automaticamente ad applicare la ripartizione per decennio) . Due prodotti che s i segnalano per innovazione e che applicano questo tipo d i servizio sono Endeca e Grokker. Di quest'ultimo risulta particolarmente caratteristica la visua­ lizzazione grafica delle occorrenze, che affianca quella più tradizionale per liste. L'oPAC che organizza il Web. L'ultimo modello funzionale riguarda i rapporti che l ' oPAC può instaurare con i contenuti della rete e il contributo che l'insieme dei cata­ loghi e degli altri repertori bibliografici può fornire all'organizzazione del Web seman­ tico. La questione è di particolare attualità per svariate ragioni, tra le quali l'irrobu­ stimento e la diffusione dei sistemi di federated search, quei dispositivi che facendo uso dei protocolli più comuni ( soAP, Z39·5o, OAI-PMH e altri ancora) sono in grado di accedere a un gran numero di risorse, di cumulare le risposte in liste organizzate se­ condo criteri coerenti, di mettere a disposizione degli utilizzatori strumenti di consul­ tazione agili e un adeguato numero di filtri di raffinamento della ricerca e di favorire quindi l'accesso all e risorse primarie. Per quanto le loro caratteristiche siano state tal­ volta enfatizzate (ad esempio, le procedure di deduplicazione, per quanto supportate da algoritmi estremamente sofisticati, non possono interamente supplire alle difformità dei titoli e dei nomi, all a diversa granularità delle descrizioni, alle differenze linguisti­ che o culturali), tuttavia si tratta di strumenti che possono consentire alle biblioteche di innalzare la qualità dei servizi informativi resi ai lettori, di ampliare la quota del digitale nel patrimonio documentale della biblioteca ibrida e di contribuire al governo semantico del Web. Facendosi carico di interrogare il catalogo della biblioteca come una delle molteplici fonti di informazione esistenti essi vengono incontro a una delle richieste formulate dagli utenti: che la ricerca sia ciò che in inglese si definisce one-stop shopping, che non si debba cioè iterare la ricerca su più archivi, adattando la strategia alle specificità di ciascuno e differenziandola per tipologia documentaria. Nell'epoca dell'ipertesto e dei motori di ricerca queste barriere appaiono spesso artificiose e irri­ tanti. Uno dei problemi principali che i sistemi di /ederated search debbono affrontare

253

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

è il modo di conservare il contesto all'interno del quale ciascun oggetto è originaria­ mente collocato, perché se è vero che in fase di ricerca la scansione unitaria dell'uni­ verso digitale è un'opportunità, è altrettanto vero che la fruizione e l'elaborazione dei dati e delle informazioni non può prescindere dal riconoscimento del contesto. La fortuna di questi sistemi è destinata a dipendere solo in parte dalle loro capaci­ tà tecniche. Non potranno infatti prescindere dall'esistenza di metadati di buona quali­ tà. La progressiva trasformazione degli OPAC in portali 2 5 e la pubblicazione sul Web delle notizie archiviate all'interno dei grandi cataloghi collettivi possono essere due ele­ menti convergenti nell'ambito di una medesima strategia. Nel primo caso si determina un meccanismo per il quale l'utente dispone di percorsi strutturati, di citazioni e rin­ vii, della struttura sindetica dei vocabolari controllati che lo accompagnano nell'esplo­ razione di un universo altrimenti caotico, all 'interno del quale convivono documenti di formati e tipologie estremamente eterogenei. n secondo, l'emergere di ciò che fino a oggi è stato definito il Web sommerso e che pur rappresentando, in termini quantitati­ vi, una parte ancora minoritaria di quanto i motori di ricerca dichiarano di indicizzare, è in realtà la componente di gran lunga meglio strutturata e più facile da trattare, può determinare il costituirsi di una massa critica che inneschi il circuito virtuoso dell' ar­ ricchimento semantico degli oggetti digitali. È sufficiente constatare la ricaduta in ter­ mini di qualità della ricerca che servizi come l'Open WorldCat (Find in a Library) o Google Scholar possono determinare anche sulla componente non catalogata del Web, per rendersi conto di quanto questa opportunità possa essere strategica.

Un'altra definizione di Davis consente a questo punto di collocare all'interno della rinnovata prospettiva del Web il catalogo della biblioteca, fissando per esso un obiettivo: " Web r . o took people to in/ormation, Web 2 . 0 will take in­ /ormation to the people", che è ambizioso in quanto presuppone, nel rispetto degli standard, una flessibilità tale da consentire di ampliare lo spettro dei ser­ vizi erogati e di adeguarli alla specifica esigenza di ciascun utente. Ciò pre­ suppone un flusso bidirezionale delle informazioni, in particolare che il siste­ ma di ricerca conosca a sufficienza le caratteristiche, le preferenze, le finalità dell'utente, in modo da poter adattare il proprio comportamento, attivare i percorsi più adeguati, accedere alle risorse più opportune, rispondere cioè in modo dinamico alle sollecitazioni, ovviamente nel pieno rispetto della privacy (Chad, Miller, 2005 ) . Per indicare questo modello organizzativo Casey nel 2005 ha coniato il termine Library 2.0, al quale peraltro in letteratura non 2 5 . «By including access to web resources in the catalog, libraries would be extending to some Internet materials the same leve! of contro! that they have traditionally provided far analog formats. They would convey, through their integration in the online catalog, the credibility con­ ferred through an affirmative selection by an intelligent being. The presence of a citation in a catalog has come to signify far the user that the source discovered is readily obtainable, that it has been chosen far its relevance to past and present foci of the community of which the sear­ cher is a member; that the materia! possesses authenticity, in that the rigar of the selection pro­ cess vouches in some way far its scholarly value; and that the document consulted today will be persistently available far future examination. The wrapper of the catalog conveys respectability on its contents» (Thomas, 2ooo).

254

I O . LA G ESTIONE ELETTRON ICA DELLE B IBLIOTECHE

FIGURA 1 0 . 2 Library 2.0: caratteristiche e funzioni LI B R A R Y 2. 0 M E M E M A P

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corrisponde una definizione univoca 26, tanto che Crawford elenca e discute «sessantadue prospettive e sette definizioni» ( Crawford, 2oo6) in una recensio­ ne alquanto critica nella quale sostiene che accanto a idee e soluzioni eccellen­ ti, che non sono peraltro estranee alla tradizione bibliotecaria, ve ne sono altre impropriamente collegate alla biblioteca e alle comunità utenziali che essa ser-

26. In Wikipedia al lemma Library 2.0 corrisponde la seguente definizione, dalla quale emerge chiaramente il ruolo fondamentale dell'utente nell'organizzazione e nella strutturazione dei servizi: «Library 2.0 is a loosely defined mode! far a modernized form of library service that reflects a transition within the library world in the way that services are delivered to users. The concept of Library 2.0 borrows from that of Web 2.0 and follows some of the same underlying philosophies. This includes online services such as the use of OPAC systems and an increased flow of information from the user back to the library. With Library 2.0 library services are con­ stantly updated and reevaluated to best serve library users. Library 2.0 also attempts to harness the library user in the design and implementation of library services by encouraging feedback and participation. Proponents of this concept expect that ultimately the Library 2.0 mode! far service will replace traditional, one-directional service offerings that have characterized libraries far centuries», < http:/len. wikipedia.org/wiki!Library_2 .o > .

255

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

ve. Di particolare efficacia è lo schema riassuntivo elaborato da Biancu ripro­ dotto nella FIG. ro.2 2 7. L'edizione 2006 del Convegno delle Stelline intitolata "La biblioteca su misura: verso la personalizzazione del servizio" , che ha inteso riprendere ideal­ mente una riflessione awiata sul tema della "biblioteca amichevole" per inda­ gare le prospettive offerte dalla personalizzazione dei servizi, ha rappresentato per l'Italia una delle prime occasioni nelle quali molte delle tematiche di Li­ brary 2.0 sono state se non espressamente, almeno implicitamente affrontate, esaminando l'insieme dei servizi che la biblioteca allestisce ed eroga. Partendo dall'attuale situazione di un servizio uguale per tutti, i partecipanti hanno con­ diviso il modo in cui in diversi contesti sono state applicate le più sofisticate tecniche di individuazione dei bisogni degli utenti, sforzandosi di mettere a punto nuove strategie capaci di aderire con maggiore efficacia alle specifiche esigenze del singolo utente. Considerando in generale il mondo dei biblioteca­ ri italiani occorre tuttavia riconoscere che, sebbene tali questioni siano di grande attualità e, per certi aspetti, persino decisive per il futuro delle biblio­ teche, il dibattito non ha ancora registrato quella larga partecipazione che ci si sarebbe potuti attendere. L'auspicio è che, quando i tempi saranno maturi e intorno alle tematiche qui ricordate si aprirà il confronto, questo veda impe­ gnati non soltanto i bibliotecari, ma anche amministratori, fornitori di applica­ tivi gestionali e di tecnologie digitali, agenzie di servizio e cittadini.

27. < http://flickr.com/photo_zoom.gne?id = I I 3222 147&size = o > . Cfr. The Geek Libra­ rian, < http://bonariabiancu.wordpress.com/ > .

II

Il libro antico 1n biblioteca di Lorenzo Baldacchini

I I.I

Quei manufatti chiamati libri antichi

Si giustifica in un manuale di biblioteconomia una sezione particolare riser­ vata ai libri d'interesse antiquario, quelli che da tempo sono definiti nella vulgata libri antichi? Questa stessa domanda me la sono posta alcuni anni fa, nello scrivere un capitolo di un lavoro analogo, redatto anch'esso a più mani (Baldacchini, r 99 I ) . La risposta fu allora affermativa, e lo è ancora oggi. Anzi si può dire che lo sia più che mai, se teniamo presente che il destinatario del manuale è in massima parte un aspirante bibliotecario che si troverà a operare in Italia, in un Paese cioè nel quale la disseminazione del patrimonio bibliografico antico somiglia piuttosto a una dispersione, de­ terminando una realtà bibliotecaria nella quale i libri dei secoli passati pos­ sono trovarsi in istituzioni pressoché di ogni tipo. Per rendersene conto ba­ sterà solo pensare a quello che ha rappresentato per molte biblioteche stata­ li e di Ente locale la devoluzione delle raccolte di enti ecclesiastici con le cosiddette prime soppressioni in epoca napoleonica e le seconde dopo l'uni­ ficazione nazionale, processo che è stato giustamente definito «una crescita equivoca» (Traniello, I 997, p. I r o) . Da qui nasce l' esigenza che la "bibliote­ conomia del libro antico " entri in qualche misura a far parte del bagaglio professionale di tutti i bibliotecari, anche di quelli che lavoreranno in bi­ blioteche o in servizi apparentemente lontani dalle problematiche della rare

book librarianship. La definizione più semplice dell'espressione "libro antico" è quella che si ri­ duce alla mera traduzione dell'espressione angloamericana hand-printed book e cioè: "libro stampato a mano" . Quindi individua una categoria di oggetti che si qualifica essenzialmente mediante una tecnica, quella messa a punto (dopo vari precedenti nel continente asiatico) in Europa alla metà del xv secolo. Si tratta di manufatti prodotti con caratteri mobili di metallo (piccoli parallelepi­ pedi di una lega di piombo, stagno, antimonio e tracce di rame, con incisa all'estremità l'immagine rovesciata in rilievo di una lettera o altro segno grafi257

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

co) , prodotto della fusione in una matrice di rame a sua volta precedente­ mente ottenuta battendoci sopra un punzone d'acciaio. Mediante la composi­ zione manuale, cioè l'allineamento al contrario, i caratteri venivano a formare parole, righe, pagine di testo: una forma pronta per la stampa. Questa aweni­ va, dopo l'inchiostrazione per mezzo di una vernice grassa, l'inchiostro tipo­ grafico, in un torchio azionato da una leva manuale che faceva scendere una pressa metallica (la p/atina) su un foglio di carta, comprimendola sulla forma. L'operazione poteva essere ripetuta un numero n di volte, con la sostituzione dei fogli e successive inchiostrazioni dei caratteri, consentendo la riproduzione in serie di carte stampate. È questa - più o meno - la tecnica utilizzata dall'o­ refice magontino Johann Gutenberg negli anni cinquanta del Quattrocento per scrivere artificialmente libri in più copie. È noto come tecniche analoghe fossero utilizzate in Cina nell'xi secolo (con caratteri di ceramica) e in Corea (con caratteri di metallo) all'inizio del xv secolo 2 • Non è chiaro se il procedi­ mento di Gutenberg sia frutto di ricomparsa, imitazione o riscoperta (Braudel, 1 979) . È noto anche che una delle premesse indispensabili per il successo di questa tecnica sia stata la diffusione della carta, questa sì sicuramente importa­ ta dalla Cina, attraverso la mediazione degli arabi nel corso del Medioevo. Nel momento in cui comparvero i primi incunaboli, per convenzione i libri pro­ dotti nel Quattrocento, quando la stampa era " nella culla" , la carta veniva confezionata da stracci di tela, tritati e fermentati all'interno di un mulino ad acqua e ridotti in una sorta di pasta. Questa veniva estratta in strati di spesso­ re sottilissimo mediante un telaio, consistente in un reticolo di fili di rame orizzontali, sottili e fitti Oe vergelle) e verticali più grossi e radi (i filoni) , de­ stinati entrambi a lasciare la loro impronta visibile nel futuro foglio di carta. Lo stesso aweniva all'impronta della fil(grana, oggetto metallico situato in una metà del telaio, che riproduceva la firma o il marchio della cartiera, ma forse - in certi periodi - indicava la qualità del prodotto (Ornato, Busonero, Muna­ fò, Storace, 2 00 1 ) . Tuttavia, col passare del tempo la categoria libro antico si è allargata sem­ pre di più, fino a comprendere manufatti librari prodotti con altre modalità, che sono comparse più tardi. Si può presumere quindi che si arriverà presto a identificare come libri antichi tutti quelli realizzati con procedimenti tipografi­ ci, precedenti quindi le tecnologie della /otoriproduzione. In realtà possiamo dire che quello che fa di un libro un libro antico, o di qualunque altro ogget­ to un documento storico, è il nostro modo di porci di fronte ad esso: il consi­ derare quell'insieme di segni impressi sulla carta (o altro supporto) non sem­ plicemente un oggetto di consumo, un utensile - per usare un'espressione di Carlo Federici (2003 , pp. 1 8-9) - ma un oggetto storico, un documento, un X,

1. matrici 2. ( 1 995 ) .

Recentemente è stata avanzata l'ipotesi che nel procedimento originario di Gutenberg le non fossero di metallo, ma di qualche materiale malleabile. Cfr. Agiiera y Arcas (2003 ) . Sul tema delle origini cinesi della stampa, cfr. Twitchett ( 1 9 83 ) ; Palmieri ( 1 991 ) ; Chou Sull'invenzione coreana dei caratteri mobili di metallo, cfr. Sohn ( 1998); Park ( 1 998).

I I . IL LIBRO ANTICO I:-J BIBLIOTECA

bene complessivo nel quale le tracce d'inchiostro (il testo) non vengono certo dimenticate, ma integrate in un'equazione dalle molteplici incognite. Quando un oggetto che riproduce un testo cessa di essere visto solo come un trasmet­ titore di quel testo (e non può quindi essere salvaguardato solo con strategie di preservazione, come ad esempio le fotocopie, i microfilm o le riproduzioni digitali) , allora si trasforma in un documento che trasmette un'insostituibile immagine del passato, la sua «scandalosa forza rivoluzionaria» 3, la quale re­ clama strategie di conservazione integrale del manufatto. Il difficile compito delle biblioteche e dei bibliotecari è quello di awertire in anticipo, rispetto alla società civile, al mondo degli studi e - perché no - al mercato antiquario, il momento nel quale le tecniche e i materiali con i quali sono realizzati i ma­ nufatti stanno per uscire dall'universo della quotidianità e di conseguenza pas­ sare dalla preservazione alla conservazione. In che misura poi questo passaggio sia spesso reso difficile o difficilissimo da un sistema di rapporti di forza eco­ nomici, politici e culturali, può (e deve) certo essere oggetto di discussione. Non c'è dubbio però che tali rapporti condizionino le scelte di che cosa con­ servare e come 4. In realtà, quando si parla di libri antichi si tende invece spesso (magari solo per abitudine) ancora a operare delle cesure cronologiche di comodo, che non hanno però più molta ragione d'essere. Se infatti i manoscritti, per il loro carattere di unicità, sono naturalmente annoverati tra i documenti storici, a prescindere dal loro grado di antichità, non altrettanto capita agli stampati. Per i quali di volta in volta si sono proposte delimitazioni diverse. Quella at­ tualmente più comune è rappresentata dallo spartiacque del r 83o che - pren­ dendo le mosse dall'ISBD(A) (IFLA, r 9 8o) e quindi dall'ambiente IFLA - fa rife­ rimento alla sostituzione della stampa meccanica a quella manuale, evento che però occupò vari decenni e non awenne certo contemporaneamente e definiti­ vamente in tutti i Paesi. Questa partizione ha avuto un certo successo: la uti­ lizzano infatti sia la base dati HPB europea ( Consortium of European Research Libraries, Han d Press Book data base: < http://www .cerl.org/HPB/hpb.htm > ) e - in Italia - l'archivio "antico " di SBN. Un altro spartiacque da qualche parte proposto è quello rappresentato dalla nascita delle bibliografie nazionali (per l'Italia dunque il r 886), mentre altri suggeriscono l'apparire della fotocompo­ sizione o l' awento del computer e delle tecnologie ad esso collegate. Cesure che presentano ciascuna delle buone ragioni, nessuna delle quali però riesce a convincere appieno. Se ci limitiamo all'Italia, basterà pensare a quanto emerge dalle varie edizioni di " Conservare il Novecento" 5 e alla ricchezza dei temi di

3· Dall'appello all'ur-.:Esco letto da Pier Paolo Pasolini, ora in Betti, Gulinucci ( I 99 I , p. 265 ) . 4· Anche s e non s i parla esplicitamente d i beni librari, s i può rinviare a d alcune considera­ zioni in Settis (2oo2 ). 5· Si tratta di un convegno che si tiene regolarmente dal 200 1 nell'ambito del Salone del restauro di Ferrara. !\'el 2004 il tema ha riguardato la conservazione delle copertine e sopraco­ perte editoriali (Zagra, 2005 ) .

259

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

volta in volta proposti, per capire quanto il confine cronologico sia mobile e non possa quindi risultare un adeguato elemento di delimitazione. Altrettanto si può dire circa la tipologia dei materiali, che non sono più soltanto i libri, ma documenti di varie tipologie (Messina, Zagra, 2003 ; Zagra, 2004) . Mi è capitato di osservare alcuni anni fa, quando ancora non erano diffuse come oggi le tecnologie digitali, che non si rifletteva abbastanza sul fatto che forse tutti i libri di carta sarebbero presto diventati " antichi" (Baldacchini, 1 992, pp. 1 2 8-9). Non è quindi la cronologia (ma neppure il materiale di supporto) l'unico parametro adeguato da tenere presente, quanto piuttosto il modo in cui una società guarda a determinate categorie di documenti. Non risulta di particolare aiuto quanto definito dal nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio, che mantiene ancora la vecchia definizione di "carattere di rarità e di pregio" 6• Inoltre lo stesso approccio ai documenti prodotti in serie - come i libri a stampa - non deve indurci nell'equivoco di considerare questi ultimi sotto un profilo completamente diverso dai manoscritti. In quanto manufatto, ogni esemplare è un unico. Questo ci insegnano più di cento anni di studi di bi­ bliografia analitica, che hanno abbondantemente dimostrato come le copie di un'edizione tipografica non siano quasi mai assolutamente identiche, dividen­ dosi in impressioni, emissioni e stati (Fahy, 1 98 8a) . RIQUADRO

I I.I

Impressione, emissione, stato, edizione

Un'impressione è costituita dalle copie di un'edizione stampate in una volta. Secondo questa definizione ogni edizione ha necessariamente almeno un'impressione. Nel perio­ do della stampa manuale era regola, come sappiamo, ridistribuire e riusare i caratteri adoperati per la stampa delle copie di un foglio da una forma, perciò l'edizione e l'impressione in questo periodo generalmente coincidono. Possono esserci comunque delle eccezioni, nei casi di piccole edizioni popolari o di edizioni di successo, per le quali i caratteri di un'impressione erano conservati nelle forme per essere ristampati successivamente. Un'emissione è rappresentata dalle copie di quella parte di un'edizione che è iden­ tificabile in un insieme pensato coscientemente come distinto dalla forma base della copia ideale, della quale si parlerà più avanti. Quindi l'emissione è costituita dall'insie­ me degli esemplari di un'edizione o di un'impressione offerti al pubblico in una volta per la vendita. In genere è caratterizzata da diversi frontespizi recanti differenti note tipografiche per due gruppi di copie divise per la vendita tra l'editore e/o il tipografo e/o il libraio. Può awenire poi che uno o più errori sul frontespizio (riscontrati a stampa già ultimata) provochino la sostituzione di uno o più fogli con altrettanti re-

6. Il testo di legge è il D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 4 1 , Codice dei beni culturali e del pae­ saggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio 2 002, n. 1 3 7 . pubblicato sul Supplemento ordina­ rio della G. U. , n. 45 del 24 febbraio 2 004, Serie generale, in particolare art. ro, comma 4°, let­ tera d. L'espressione era già criticata trent'anni fa da Barberi ( 1 974).

260

I I . IL LIBRO ANTICO IN BIBLIOTECA

canti la versione corretta: gli esemplari corretti saranno considerati un'emissione (tra­ duciamo così il termine inglese issue come consiglia Conor Fahy, 1988b). Un'emissione dunque non comporta grandi cambiamenti nella composizione. Essa può essere perfino caratterizzata dal supporto (carta speciale, pergamena ecc.) sul qua­ le un certo numero di copie dell'edizione fu stampato, o da una sorta di annulli sul frontespizio, simili a quelli usati per i francobolli. Un'edizione e un'impressione dun­ que possono risultare composte da un certo numero di emissioni. n termine stato è usato per indicare tutte le differenziazioni della forma base della copia ideale. Si riscontrano: a) alterazioni non riguardanti l'impaginazione, apportate intenzionalmente o non du­ rante la stampa, quali le correzioni ultime, si direbbe in gergo giornalistico, cioè effet­ tuate durante il procedimento di stampa (a volte, come abbiamo visto, per intervento dello stesso autore); ricomposizioni di una o più linee a causa di incidenti interni al procedimento di stampa 7 , ricomposizioni awenute in seguito alla decisione, presa sempre durante la stampa, di aumentare la tiratura; b) aggiunta, sottrazione o sostituzione di materiale, riguardante l'impaginazione, ma effettuata durante la stampa; c) alterazioni (non riguardanti un nuovo frontespizio) messe in atto dopo la vendita di un certo numero di esemplari, quali l'inserzione o l'eliminazione di pagine prelimi­ nari o del testo, l'aggiunta di errata corrige, awertenze ecc. ; d) errori di imposizione, cioè di impostazione delle pagine all'interno della forma. Tali varianti riguardano comunque soltanto i fogli stampati separatamente e non il modo in cui furono riuniti per formare il volume. Dunque uno stato può essere defini­ to "una forma tipografica con una determinata composizione tipografica, e anche, più normalmente, come tutti i fogli stampati da una forma tipografica in uno stato de­ terminato" . Dalle differenti combinazioni di due o più stati può risultare, come ben sanno i critici testuali, una serie di gruppi di esemplari differenti fra loro. Ne consegue che un'edizione è l'insieme delle copie che derivano sostanzialmente dalla medesima composizione tipografica e che comprendono tutte le varie impres­ sioni, emissioni, e stati. Teoricamente, tutte le copie di un'edizione dovrebbero essere identiche. In realtà vediamo che spesso non lo sono. Per questo si è detto che deri­ vano sostanzialmente dall a medesima composizione tipografica e si è messo in risalto l' awerbio. È difficile stabilire una regola. Si può comunque affermare che siamo si­ curamente in presenza di un nuova edizione quando la metà almeno dei caratteri delle forme è stata ricomposta, anche se questa è una condizione sufficiente, ma non strettamente necessaria. In ogni caso, se meno del cinquanta per cento dei caratteri è stato ricomposto, è probabile che ci troviamo di fronte a un'altra emissione, o a di­ versi stati delle forme della stessa edizione. Per tutto il periodo della stampa manuale edizioni che appaiono pressoché identiche, risultano quasi sempre distinguibili a un'attenta osservazione. Infatti, anche nel caso in cui il compositore abbia seguito l'ortografia e le abbreviazioni di un'edizione precedente, riproducendo parola per pa­ rola e linea per linea, la sua ricomposizione risulta sempre identificabile a un'attenta analisi delle differenti spaziature tra le parole e degli accidenti fortuiti occorsi ai ca­ ratteri. In pratica due edizioni molto simili possono essere identificate come separate

7 . Sono quelle che la letteratura angloamericana definisce stop-press variants e che compaio­ no già nella famosa Bibbia delle 42 linee di Gutenberg (Agata, 2003 ) .

261

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

nel confronto tra due copie, anche facendo ricorso a delle riproduzioni. Qualora non fosse possibile disporre di riproduzioni, la prova di un'eventuale ricomposizione si avrà confrontando le posizioni dei titoli correnti rispetto alla prima riga del testo o quelle delle lettere usate per segnare i fascicoli rispetto a quelle della riga immediata­ mente superiore, e cioè l'ultima riga della pagina. In sostanza quella che gli inglesi chiamano skeleton /orme e che in italiano viene definita gabbia della /orma o ossatura (Harris, 1999, p . 1 39).

Un altro concetto fondamentale che si è introdotto è la copia ideale. Di cosa si tratta? Già da tempo uno studioso americano, Thomas Tanselle ha avvertito la necessità di sostituire l'aggettivo "ideale" , poco idoneo a indicare una rico­ struzione storica e fonte - come nota giustamente Conor Fahy - di confusione e fraintendimenti, con " standard" 8 • «L'esemplare standard o ideale, che è l'og­ getto di una descrizione bibliografica, è una ricostruzione storica della forma o delle forme degli esemplari di un'impressione o emissione come venivano of­ ferte al pubblico dai loro produttori. Una tale ricostruzione abbraccia tutti gli stati di un'impressione o di un'emissione, tanto quelli ottenuti di proposito quanto quelli dovuti al caso; ma esclude quelle modifiche introdotte nei singo­ li esemplari una volta che sono usciti dalle mani del tipografo o dell'editore» (Tanselle, 1 980, p. 46; Fahy, 1 9 85 , p. 5 5 ) . Esclude quindi anche la legatura, almeno fino a quando i libri furono venduti a fascicoli sciolti. La include inve­ ce dal momento in cui furono l'editore e/o il tipografo ad approntarla prima del rilascio sul mercato delle copie dell'edizione. Possiamo pertanto definire la copia ideale il più perfetto stato di una pubblicazione come fu intesa origina­ riamente da chi la stampò o pubblicò, comprese tutte le modifiche intenziona­ li avvenute durante la lavorazione. È logico che, nei casi in cui non siano so­ pravvissute che poche copie, la copia ideale può essere ipotizzata piuttosto che ricostruita. Questa fenomenologia, esaminata dapprima in sede di bibliografia testuale (Fahy, 1 999; Harris, 2004), è divenuta poi patrimonio comune alla bibliografia analitica (e in particolare alla bibliografia descrittiva), cioè a quella disciplina che in Italia si chiama bibliologia e che studia i libri (e in genere i documenti tipografici) dal punto di vista del loro aspetto materiale e come testimonianze della storia del processo produttivo del libro a stampa. L'unicità degli esemplari ci viene poi confermata dagli studi di storia dell'e­ ditoria, della circolazione libraria, della lettura, della legatura, che sempre più spesso vanno a caccia delle differenze tra una copia e l'altra di un'edizione, determinate da legature, ex libris, note di possesso, antiche collocazioni, postille (Barbieri, 2002 ) e quant'altro caratterizzi l'esemplare. È quel filone di studi che viene identificato complessivamente con l'espressione provenance, che negli ul-

8. Cfr. Tanselle ( 1 98o) , che risponde alle critiche formulate da Pouncey ( 1 978). :'>Je ha dato un resoconto chiaro al pubblico italiano Fahy ( 1 985 ).

I I . IL LIBRO ANTICO I:-J BIBLIOTECA

timi anni si è arricchito di notevoli contributi in campo internazionale (Shaw, 2005 , < http://www . cerl.org/Provenance/Provenance_Information.htm > ) . 1 1 .2

Libro antico e raccolte storiche

Un problema ancora non del tutto risolto è poi quello riguardante la defini­ zione di una collezione storica. Che non coincide sempre esattamente con quelli che una volta erano chiamati "fondi antichi" 9• C'è da registrare su que­ sto terreno qualche problema terminologico. Seguendo una certa tradizione di matrice anglosassone infatti, oggi si tende sempre più spesso ad assimilare le collezioni storiche (appunto i fondi antichi, secondo l'accezione più diffusa nel linguaggio delle biblioteche italiane) alle collezioni speciali. A mio awiso, un'importazione troppo meccanica di usi linguistici esterni può ingenerare qualche equivoco. Alla base di questa non coincidenza tra "collezione specia­ le" e " collezione storica" ci può essere, anzi probabilmente c'è, un processo di formazione delle raccolte librarie, che da noi è stato profondamente diverso da quello dei Paesi anglosassoni, soprattutto nordamericani, in quanto frutto di più antichi e differenti fenomeni di stratificazione. Sicuramente si tratta di raccolte di oggetti che una determinata società decide - a partire da un certo momento - di non scartare, di conservare, di separare spesso anche fisicamen­ te dalla collezioni correnti o "ordinarie" , di sottoporre a determinati meccani­ smi di tutela, in poche parole di trattare come beni culturali. Ma questo pro­ cesso giunge talvolta al termine di un percorso piuttosto accidentato, quando non palesemente contraddittorio. Molte volte la scelta di conservare awiene quando la collezione ha subito " scremature" più o meno brutali. Talaltra la collezione si viene formando, anziché in seguito a un progetto organico, per accumulazione più o meno disordinata, con la logica, in qualche caso non del tutto ingiustificata, di collocare determinati libri gli uni accanto agli altri solo perché sono antichi (o più semplicemente "vecchi") o solo perché sono libri. Si tratta però di manufatti del passato, le cui modalità di fruizione continuano ad essere del tutto simili a quelle messe in pratica dai destinatari originari. Sono cioè oggetti perfettamente utilizzabili per il medesimo scopo per il quale furono prodotti, il che comporta una manipolazione, a differenza degli altri beni culturali che hanno perso la loro destinazione d'uso originaria. E questo complica non poco la definizione del loro status 1 0 • Anche per questa ragione il momento nel quale questa mutazione awiene cambia pressoché in continua­ zione, venendo a somigliare un po' alle dune del deserto. Al mattino non sono più quelle della sera, mettendo alla prova le capacità di percezione e la sensi-

9· Qualche volta si usa anche l'espressione "fondi storici" , cfr. De Pasquale (2oo 1 ) . Io. Ricordo l a distinzione tra libro "utensile" e libro "bene culturale" , proposta in Federici (200J , pp. 18-9).

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

bilità dei bibliotecari. La stessa definizione di biblioteca " storica" o di " con­ servazione" risulta così non scontata come potrebbe sembrare. Il che vuol dire poi che funzioni di conservazione spetterebbero - in una misura radicalmente diversa, è ovvio - un po' a tutte le biblioteche e non solo a quelle che a que­ sto scopo sono destinate per statuto. Il vero problema è che, invece, preva­ lentemente a causa dell'attuale assetto legislativo, questa consapevolezza non è diffusa come sarebbe auspicabile e troppo spesso non si attivano in tempo le opportune strategie di tutela e conservazione. In pratica il problema comincia a porsi quando determinati oggetti diventano " rari " , quando cioè sono meno desiderati per il loro contenuto testuale e più per la loro natura di testimoni, sia dal mondo della ricerca sia da quello dell'antiquariato. Il fatto poi che da noi risulti meno naturale definire " speciali" certe colle­ zioni storiche che spesso sono quelle "fondanti" (in certi casi perfino " eponi­ me") della biblioteca, deve indurci a qualche riflessione. Occorrerà infatti dire che definire speciali i fondi conventuali di molte biblioteche statali o civiche può risultare una forzatura. Essi sono certo speciali nell'accezione che si dà nella letteratura biblioteconomica all'aggettivo, nel senso di «non essere mate­ riali di uso corrente» (Nuovo, 2003, p. 8 3 ) . Tuttavia - a differenza di quello che magari è avvenuto in altri Paesi - non sono nati come tali. Che dire infatti di un fondo Magliabechiano e di un Palatino per la Nazionale di Firenze o del Gesuitico per quella romana? È giusto definirli collezioni speciali? E in una dimensione diversa, ma analoga, non si incontrano le stesse difficoltà nel concepire come speciale il fondo dei monaci camaldolesi di una Classense? Bisogna in qualche modo tenere conto di questa tradizione della nostra libra­ rianship, magari semplicemente distinguendo le collezioni speciali da quelle " storiche speciali" I I . Non sarà poi inutile che si distinguano le raccolte tra quelle ereditate, ponendoci il problema di quali di queste dobbiamo e possia­ mo conservare, e quelle costituite che invece comportano la decisione spesso non facile di quali dobbiamo formare elo incrementare e con quali criteri (Oddos, 1 997, pp. 9 - 14, 8 r ) . Per entrambe le categorie risulterà comunque di fondamentale importan­ za la conoscenza delle raccolte, in sostanza quello che è stato felicemente de­ finito il D:-..IA della biblioteca (Solimine, 1 999b, pp. 1 9- 2 2 ) . Conoscenza della storia della biblioteca, sia in quanto insieme di raccolte, sia in quanto istitu­ zione inserita in un contesto sociale, con i propri finanziatori, sia come insie­ me di specialisti che hanno fatto riferimento a teorie bibliografiche e biblio­ teconomiche.

I I . Cfr. Soresina ( 1 995, p. rx). Vi si distinguono: a) le collezioni costituite da individui, famiglie o enti; b) quelle nate all'interno della biblioteca su di un tema determinato; c) le sezioni speciali di materiali particolari organizzate ex post; d) i fondi di carattere unitario quanto alla provenienza; e) gli archivi personali, familiari o di enti.

I I . IL LIBRO ANTICO I:-J BIBLIOTECA

I I .2 Criteri di valutazione di una collezione

RIQUADRO

In particolare per quelle collezioni che sono frutto di un incremento (mediante acqui­ sto o dono), sarà necessario tenere conto di alcuni parametri, quali: a) la valutazione della pertinenza della raccolta con la natura della biblioteca; b) il grado di ricettività della biblioteca; c) le possibilità concrete di gestione (un fondo storico non è solo un bene patri­ moniale da tutelare, ma deve diventare oggetto di un servizio al pari delle altre rac­ colte) ; d) una valutazione attenta dei costi, non solo quelli iniziali d i u n eventuale acquisto, del trasloco ecc., ma anche e soprattutto quelli relativi alla conservazione, alla catalo­ gazione, alla gestione degli spazi e del personale destinati a renderne possibile la frui­ zione da parte del pubblico.

Se è vero però che l'attenzione si deve concentrare sulle raccolte, in virtù della loro dimensione collettiva di documento storico, nonché della loro dimensione bibliografica di tassello della conoscenza, non bisogna per questo ignorare il singolo documento isolato, che non risulti appartenere a nessuna delle colle­ zioni della biblioteca. Questo ipotetico documento isolato è spesso il risultato di quella che è stata definita dispersione stellare, quella nella quale - a seguito della cessazione di una raccolta - questa sia stata smembrata e i singoli docu­ menti siano più o meno casualmente tornati in circolazione, magari attraverso la mediazione del mercato antiquario (Innocenti, De Cristofaro, 1 993 -94) 1 2 • Ebbene, pur prendendo atto dell'irreversibilità di una tale dispersione, anche il documento singolo, apparentemente isolato, sarà da considerarsi un bene alla stessa stregua degli altri. 1 1 .3

Descrizione bibliologica e cataloghi

La descrizione dei libri antichi ha alle spalle una lunga eredità che comprende i lavori più rigorosamente pertinenti alla bibliologia, nel cui ambito la descri­ zione ha come obiettivo la ricostruzione storica dell'edizione. Fondamentali la­ vori storici sono quelli di Maittaire ( 1 7 1 9- 4 1 ) e Panzer ( 1 793 - 1 803) sugli stam­ pati delle origini, né mancano opere importanti anche nella tradizione annali­ stica italiana, come quella settecentesca di Pellegrino Orlandi ( 1 72 2 ) o quella ottocentesca di Salvatore Bongi ( 1 890-97) sull'azienda Giolitina. Infine si giun­ ge - da un lato - agli esiti della scuola incunabolistica di matrice germanica, con notevoli applicazioni anche in altri ambiti culturali, basti pensare al cata-

I 2 . Alla dispersione stellare si contrappone quella lineare, nella quale lo smembramento dà luogo a insiemi più o meno organici che continuano a vivere autonomamente.

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

lago delle edizioni del xv secolo del British Museum ( 1 908-49) e - dall'altro ­ all 'analitica! bibliography (o bibliographie matérielle) in ambito anglosassone, i cui monumenti primari si collocano nella scia degli studi sulle prime edizioni shakespeariane con la manualistica di McKerrow ( 1 994 ) , Bowers ( 1 994) e Ga­ skell ( 1 972). Il secondo di questi due filoni ha cominciato a produrre studi - e quindi una sua tradizione - anche in altri ambiti linguistici (si segnala lo spa­ gnolo, ma anche l'italiano) 1 3 • Gli scopi di questa produzione - essenzialmente di natura filologica - rientrano in quella disciplina che viene chiamata textual bibliography e che si è venuta formando essenzialmente fuori delle biblioteche, anche se alcuni dei suoi protagonisti erano bibliotecari. Nelle biblioteche tut­ tavia ha trovato un fertile terreno di incontro. Nel senso che il xx secolo ha visto manifestarsi nelle biblioteche l'esigenza di livelli catalografici differenziati per i libri antichi. Dapprima questa esigenza è sembrata focalizzarsi essenzial­ mente sugli incunaboli e sui libri del Cinquecento (le cinquecentine) 14, poi si è allargata progressivamente a tutti i prodotti della stampa manuale. Alcuni codici catalografici nazionali si sono posti il problema se fosse necessario ela­ borare particolari norme per la catalogazione di simili prodotti. Per quanto riguarda la realtà italiana, le Regole ministeriali del 1 9 5 6 (Italia, Ministero del­ la Pubblica istruzione, 1956) prescrivevano alcune soluzioni per gli incunaboli, evidenziando l'importanza di citazioni di bibliografie autorevoli (dalla serie di Hain-Copinger-Reuchling al Catalogo del British Museum, al Gesamtkatalog der Wiegendrucke ecc.) 15 a fronte della difficoltà di realizzare nuove descrizio­ ni per gli stampati del Quattrocento. Sulla stessa linea si collocavano le regole angloamericane nella loro prima edizione del 1967 ( AACR1 ) ( ALA, 1 967 ). Tutta­ via prima degli anni settanta le pratiche catalografiche (che - si ricordi - ri­ guardavano la produzione di schede cartacee e, in qualche rarissimo caso, di cataloghi stampati) avevano inevitabilmente una dimensione locale. Negli anni settanta, l'emergere dell'esigenza di descrizioni catalografiche standardizzate che si accompagnò alla comparsa dell'elaboratore nelle biblioteche (dapprima nordamericane, poi europee) e che si concretizzò nelle prime edizioni dell'In­ ternational Standard Bibliographic Description, provocò nell'Associazione inter­ nazionale dei bibliotecari ( rFLA ) , un dibattito circa l'opportunità di elaborare standard particolari per i libri antichi. Il risultato concreto di questo dibattito fu la prima edizione degli standard specificamente dedicati al libro antico (o di interesse antiquario) , che videro la luce nel 1980 ( rSBD ( A )) . In Italia, dove le nuove Regole di catalogazione per autori del 1 979 ( rucA ) non avevano previ­ sto alcuna particolare differenza per la catalogazione delle edizioni antiche ri­ spetto a quelle moderne, fu nell'ambito del progetto dell'rccv di Censimento delle edizioni italiane del xvr secolo che si elaborò uno schema di particolare 1 3 . Per l'area spagnola si ricorderà il recentissimo Botta (2005 ). Per l'Italia, oltre ai testi già citati, sarà opportuno menzionare Stoppelli ( 1 987). 14· Per quanto riguarda l'ambiguità di questo termine, cfr. Baldacchini (2oo3b, pp. 5 - 1 8) . 1 5 . Cfr. Hain ( 1 826-27); G W ( 1 925-).

266

I I . IL LIBRO ANTICO I:-J BIBLIOTECA

descrizione per le edizioni del Cinquecento (Iccu, I 9 8 I ) , che teneva conto solo in minima parte della filosofia ISBD, limitandosi ad accettarne le aree, ma non la punteggiatura convenzionale, considerata poco utile e di difficile appli­ cazione per i libri del XVI secolo. Nel frattempo, la seconda edizione delle Regole angloamericane (AACR2 ) (ALA, I 978), sulla scia del dibattito che aveva preceduto la pubblicazione dell'ISBD(A) , stava maturando l'appendice Biblio­ graphic Description o/ Rare Books (Library of Congress, I 98 I ) . Successivi ag­ giornamenti sono stati rispettivamente la seconda edizione dell'ISBD(A) (IFLA, I 99 I ) e l'appendice Descriptive Cataloging o/ Rare Books che aggiorna la revi­ sione delle AACR2 (Library of Congress, I 99 I; ALA, I 99 3 ) . Entrambe hanno visto la luce nel I 99 I . In Italia, dove già nel I984 era stata tradotta la prima edizione dello standard ISBD(A) , in occasione dell'awio della catalogazione dei libri antichi nell'ambito del Servizio Bibliotecario Nazionale è stata pubblicata un'apposita Guida alla catalogazione delle monografie antiche in SBf'.: (Iccu, I 995 ; Venier, De Pasquale, 2002 ) . Tutti questi testi sono imperniati esclusiva­ mente, come l'ISBD(A) , o prevalentemente sulla descrizione. Ma, come avevo avuto modo di segnalare già nel mio contributo ai Lineamenti di bibliotecono­ mia, le nuove tecnologie stavano ponendo in primo piano il tema degli accessi alle registrazioni di edizioni antiche. Nel corso degli anni ciò si è venuto sem­ pre di più manifestando, se è vero che oggi è possibile legare la catalogazione di un libro all'immagine digitale del frontespizio o di altre sue parti. Che poi questo awenga meno di quanto si potrebbe auspicare, è una pura questione di costi. Resta comunque valida la considerazione che già facevo in quella sede e che venne espressa poco dopo con molta chiarezza da due bibliotecarie americane (Stalker, Dooley, I 992) 1 6 , circa i due scopi di regole specifiche per la catalogazione di antiche edizioni a stampa: I . rendere possibile la precisa identificazione di libri sulla base di caratteri­ stiche che non si riferiscono semplicemente alle opere o ai testi che conten­ gono; 2. giustificare e spiegare accessi che agevolino l'utente a identificare libri che possiedono determinate caratteristiche intellettuali e fisiche. Per quanto riguarda il primo scopo, sono evidenti le influenze che la bi­ bliologia ha esercitato sulle teorie e le pratiche catalografiche. Infatti gli stru­ menti che rendono possibile l'identificazione consistono essenzialmente: a) in una particolare trascrizione di elementi del frontespizio; b) nel rilevamento del formato bibliografico (secondo la piegatura del foglio) e la determinazione della formula della collazione; c) in un ricco corredo di note, relative all'opera e alla sua espressione, ma anche e soprattutto alla manifestazione e alla copia 1 7 . I 6. Ripreso recentemente da Russel (2003 , p. 493 ) . I 7 . S i fa qui riferimento alla terminologia usata i n IFLA ( I 998), consultabile anche a l sito < http://www.ifla.org.VIVs1 3/frbr/frbr.htm > . Per un approfondimento si veda il numero monogra­ fico di "Cataloging and Classification Quarterly", 39 (3/4), 2005 . In particolare, cfr. Jonsson (2005) .

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

Per quanto riguarda il secondo scopo, le principali opportunità offerte dal­ la creazione di database bibliografici di libri antichi riguardano il recupero delle notizie tramite i titoli uniformi, le indicazioni di responsabilità dell'edi­ zione, le provenienze, i possessori, le legature, vari altri aspetti di carattere materiale, i generi ecc. Va detto che finora queste particolari opportunità non sono sfruttate a dovere nei cataloghi, essenzialmente per mancanza di un con­ trollo bibliografico specifico, relativo a queste vie d'accesso. In sostanza, se si vuole sfruttare al meglio le informazioni relative ai titoli, occorrerebbe su que­ sti ultimi un lavoro di authority contro!, non dissimile da quello che viene ope­ rato per autori personali ed enti, ma questo viene fatto solo in parte, in gene­ rale per le opere più note, mentre il tasso di variabilità con cui si presentano i titoli soprattutto delle edizione dei primi due secoli della stampa - come è noto - supera nettamente quello dei periodi successivi. Lo stesso dicasi per i responsabili della pubblicazione, distribuzione e stampa e per le registrazioni dei luoghi e delle date ad essi correlati. Per quanto riguarda le caratteristiche materiali, sia dell'edizione che della copia specifica, sarebbero necessari the­ sauri articolati e condivisi, cioè utilizzati sistematicamente in modo codificato nei database bibliografici, che consentano di recuperare le informazioni del catalogo, di costruire serie omogenee ecc. Negli Stati Uniti qualche operazione del genere è stata realizzata sin dagli anni ottanta, quando si cercò di trovare nel formato MARC degli specifici punti di accesso per il materiale antico e raro, ma i risultati sono stati parziali (Russel, 2003 , pp. 5 r4-6) 1 8 • In Italia, dopo alcuni promettenti inizi, la situazione appare alquanto arenata 1 9 • Poco o nulla sembra si possa dire a proposito di recuperi in quanto al genere della pub­ blicazione, se si escludono i codici di genere dell'archivio SB1\', che risultano però raramente usati e comunque parziali. Le elaborazioni al momento più interessanti sembrano quelle in atto nell' Hand Press Book Data Base (HPB) 2 0 • Si tratta di una raccolta di cataloghi di numerose istituzioni bibliotecarie euro­ pee riunite in un unico archivio, che danno vita ad una base dati della stampa europea d'antico regime ( r 4 5o- r 83o) , che viene periodicamente implementata e aggiornata. La consultazione del database è gratuita in pratica solo per le istituzioni partecipanti. Una sezione del progetto è dedicata proprio al Thesau­ rus file. Un'esigenza che, anche se non strettamente correlata alle possibilità offerte dai cataloghi online di libri antichi, si è manifestata negli ultimi anni ed è destinata ad assumere un'importanza sempre maggiore è quella rappre­ sentata da un livello di catalogazione della raccolta, un livello di descrizione

1 8 . Si vedano a questo proposito le critiche puntuali a suo tempo formulate in Petrucciani ( 1 99 ! ) . 1 9 . Per l'authority contro! d i editori, tipografi e librai, cfr. Baldacchini (2003a). U n lavoro puntuale e corretto è stato realizzato nella base dati Edit 16 del censimento delle cinquecentine italiane, che ha arricchito e perfezionato il già ottimo Borsa ( 1 980). 20. Cfr. Consortium of European Research Libraries, Hand Press Book data base, < http://www. cerl.org/HPB/hpb.htm > ; Cerl Thesaurus, < http://dbi -www. sub.uni-goettingen.de/ctl> .

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I I . IL LIBRO ANTICO I:-1 BIBLIOTECA

(e, owiamente, di indicizzazione) che consenta di creare notizie relative a una raccolta omogenea, senza che questo significhi dover necessariamente procede­ re alla catalogazione di tutti i singoli documenti, i "pezzi", come si diceva una volta, componenti la raccolta stessa. Anche questa necessità è finora partico­ larmente awertita in sede di Appendici alle AACR2 , nei cui ambiti si sono avu­ te numerose proposte, periodicamente aggiornate (AcRI./ALA. Rare Book and Manuscript Section. Bibliographic Standards Committee, 2007) 2 1 • Un tale li­ vello di descrizione risulta particolarmente importante per collezioni di docu­ menti antichi, accomunati dalle stesse caratteristiche tipologiche (ad esempio, raccolte di bandi, di awisi, di pronostici e almanacchi, di fogli volanti ecc.), sia come momento preliminare di conoscenza di un fondo (da acquisire, da riordinare ecc.) sia come momento di transizione che consenta una gestione della collezione in attesa di una catalogazione completa, magari in mancanza delle risorse necessarie per realizzarla.

2 I.

Per gli aggiornamenti, cfr. < http://www.folger.edu/bsc/derh/dcrmtext.html> .

12

Dai fondi antichi alle collezioni storiche e speciali di Angela Nuovo

e

Giorgio Montecchi ,-r

I mutamenti che hanno investito le biblioteche negli ultimi anni non hanno mancato di coinvolgere anche le collezioni storiche, dando luogo a un vivace confronto. Si avverte il bisogno di una ridefinizione e di un riposizionamento dei settori più antichi rispetto al generale contesto bibliotecario, sempre più legato alle tecnologie digitali. Identità perpetuate in un mero contesto di t radi­ zione e procedure tramandate senza approfondite revisioni critiche entrano in crisi anche alla luce del nuovo contesto che, drammatizzato dalla differenza dei supporti, amplifica le diversità dell'approccio, svelando contraddizioni e aporie in un orizzonte generale profondamente mutato. Il confronto scaturisce anche dal fatto che, in Italia come largamente in Europa, molte biblioteche conservano e consentono l'utilizzo di raccolte sia moderne che antiche: è dun­ que un confronto del tutto reale e quotidiano. Anche nel settore delle collezioni storiche, infatti, fino a oggi normalmente definito in termini di tradizione nazionale quando non locale, le reti telemati­ che e i più recenti approcci catalografici, sempre più tesi al dialogo e allo scambio, hanno consentito un raffronto internazionale favorevole allo sviluppo critico delle iniziative. Le reti infatti, modificando le condizioni di base del lavoro bibliotecario con l'enfasi crescente sui formati digitali, hanno iniziato a dimostrare la necessità, già percorsa dai colleghi di altri Paesi, che i bibliote­ cari delle collezioni storiche (di base, naturalmente, libri manoscritti e a stam­ pa nel periodo convenzionalmente concluso intorno al r 83o: ma è chiaro che questo termine va esteso ad almeno tutto il secolo xrx) amplino le loro com­ petenze dai loro tradizionali settori a quelle che in molti Paesi vengono chia­ mate " collezioni speciali" (Byrd, 2oo r ) Con "collezioni speciali" si intendo­ no quegli insiemi di oggetti definiti non solo dall'accentuata o relativa anti1 •

* I due autori, pur avendo scritto parti separate del contributo, condividono l'impostazio­ ne del lavoro e ne hanno discusso approfonditamente i vari aspetti. 1 . La formula è soprattutto diffusa negli Stati Uniti, ma ultimamente se ne è proposto l'affiancamento con altre formule quali: cultura! heritage collections, distinctive collections, bi­ storica! collections, primary sources. Si registra in alcune biblioteche anche il passaggio da " Spe­ cial Collections Departments" a "Special Collections Research Center" (cfr. ad esempio < http: l/libwww . syr.edu/information/spcollections/ > ) .

27!

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

chità o dal supporto materiale (carta, pergamena) , ma più latamente dal non essere materiali di uso corrente, dal richiedere particolari cautele di gestione, dall'essere valutati non soltanto veicoli testuali o informazionali, ma oggetti fi­ sici da preservare il più possibile nella loro forma originale. Ad essi si possono annettere tipologie di materiali più o meno comuni nelle biblioteche: stampe artistiche e musicali, fotografie, mappe e carte geografiche, pubblicazioni effi­ mere e fuori commercio via via fino ai libri d'artista, e perfino ai supporti elettronici non più riproducibili con i dispositivi attualmente in uso (Lowood, 2oo r ) . La varietà di manufatti che, tendenzialmente, potrebbe federarsi al nu­ cleo librario, storico, delle biblioteche, è dunque assai ampia: ciò che li unirà sarà l'essere affidati alle cure di un bibliotecario che professionalmente abbia il dovere di porre in difficile equilibrio l'esigenza della consultazione e della lettura con l'imperativo di conservare tali oggetti per le future generazioni, nelle condizioni materiali più vicine a quelle originali. I2.I

Alcune definizioni

Un a revisione dei termini con cui si definiscono i materiali che fanno parte di questo settore della biblioteca facilita dunque un ripensamento del loro ruolo e della loro identità profonda. In Italia, le definizioni terminologiche tradizio­ nali sono legate alla tecnologia e antichità di produzione (manoscritti e libri antichi) , ma anche al concetto, arduo da definire, di rarità (libri rari, anche nell'endiadi manoscritti e rari) che, come è noto, non è affatto legato in esclu­ siva all'antichità della stampa (ne sarebbe solo il risultato, per così dire, mec­ canico) , ma anche ad altri fattori occasionali, quali esiguità della tiratura, pro­ venienza o possessore, marginalità o pericolosità del testo, o all'opposto fortu­ na estrema e popolarità tale da causare la perdita degli esemplari per estinzio­ ne fisica da uso 2 • L'accento sull'antichità e rarità, concetto relativo, è presente in molte tradizioni bibliotecarie: Livres anciens, Libro antigua, e, con lieve slit­ tamento, Alte Drucke, Early Printed Collections ma anche Livres rares, Rara Abtei/un� Oude en Kostbare Werken e infine Rare books. Si tratta di defini­ zioni che attestano il radicarsi della tradizione bibliotecaria nella cultura bi­ bliofila e collezionistica delle grandi collezioni private europee, segnata da un amore specifico per gli oggetti bibliografici particolari, antichi e naturalmente rari, indisponibili al vasto mercato contemporaneo. Tale tradizione viene rece­ pita anche nell'ambito normativa, laddove si decretano oggetto di tutela i libri «aventi carattere di rarità e pregio» 3 • Diversa è la tradizione francese: la for­ mazione delle collezioni storiche è segnata dalla rottura della Rivoluzione, quando le biblioteche religiose vennero dichiarate "beni nazionali" , e si affer-

2. Per la varietà casistica di sopravvivenza degli incunaboli, cfr. Needham (2004). 3 · Testo unico D.Lgs. 29 ottobre 1 999, n. 490, art. 2.

272

I2

. DAI FONDI A:-JTICHI ALLE COLLEZIONI STORICHE E S PECIALI

mò il termine Patrimoine, atto a sottolineare, con la sua valenza politica di proprietà collettiva, l'avvenuto processo di de-privatizzazione. Termine fortu­ natissimo anche nella specifica accezione di Patrimoine livresque, esso è però parso recentemente, per la sua associazione immediata con le collezioni "ere­ ditate" e " ricevute" , «peu mobilisateur», e messo in secondo piano dal più focalizzato «fonds anciens, rares ou précieux» (Oddos, 1 9 97, p. r 63) 4 • L'idea stessa di biblioteca è inscindibile dall'idea di storia, e quindi di or­ dinamento cronologico dei documenti conservati. Anche prima della bibliofilia patrizia, all'epoca delle grandi collezioni umanistiche legate esclusivamente a un ideale bibliografico universale di carattere filologico e filosofico, e non a una ricerca dell'oggetto pregiato, l'affermazione della stampa produce la prima creazione di una sezione speciale e separata: quella dei manoscritti; le collezio­ ni di una certa consistenza accolgono, quindi, precocemente un'idea di diffe­ renziazione tra gli oggetti che le vanno a costituire, a cominciare dai libri defi­ nibili a partire dai rispettivi sistemi di produzione. L'ordine dei libri in bi­ blioteca necessita di stratificazioni e distinzioni, che sono anche separazioni e segregazioni. Accanto a questa origine, un'indubbia vicinanza al mondo archivistico (cui, in molti contesti storici e funzionali, la biblioteca è profondamente e an­ che fisicamente legata) ha dato luogo alla fortunata formulazione di "fondo antico" che pare tipica dei Paesi neolatini (ove si riscontrano, infatti, Fond ancien e Fondo antiguo, quest'ultimo tuttora il più usato in area iberica) . " Fondo antico" è locuzione che sta a significare un insieme di libri, definito sulla base della sua datazione, pervenuto in biblioteca (o costitutivo di essa fin dalle origini) , ma certamente chiuso e non soggetto ad alcun incremento. Con sottolineatura di questo aspetto di chiusura, il termine "fondo" è stato poi esteso anche a insiemi di singola provenienza (individuale o istituzionale) , spe­ cificati formalmente dalla biblioteca che ne diveniva man mano depositaria 5 • Entrambe le definizioni, quella attiva a livello del singolo oggetto (libro antico) o a livello di insieme (fondi antichi) , presuppongono una relazione con il corrispettivo corrente (libro moderno) e numericamente maggioritario (fondi moderni) nella quasi totalità delle biblioteche. È quindi naturale che, avendo cessato la biblioteca di definire il suo posse­ duto in termini di "libri moderni" o "fondi moderni" (e, a dire il vero, anche di "posseduto" ) , i termini che simmetricamente ritagliavano lo spazio del pa­ trimonio bibliografico storico abbiano iniziato a perdere rappresentatività ed

4· Ma più recentemente è stato puntualizzato: «De la notion de fonds reçus qu'il faudra transmettre après les avoir maintenus au mieux, il faut passer à celle de collection qui doit etre organisée, actualisée et évaluée en permanence en fonction d'un projet clairement défini» (Mar­ cetteau-Paul, 2004). 5· Il termine "fondi" prevale su "collezioni" (pur attestato) anche nel Regolamento recante norme sulle biblioteche pubbliche statali (D.P.R 5 luglio 1995 , n. 4 1 7 ) , ove però viene anche usato nel significato propriamente finanziario (art. 20).

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

efficacia. L'uso del termine " fondo antico " , quasi esclusivo in Italia fino agli anni novanta e tuttora vastamente diffuso, pone l'accento sull'origine storica dei materiali, senza però comunicare nulla sull'uso che nel presente la biblio­ teca ne propone e facilita. Anche per questo motivo, e per il contatto ormai stabile con il dibattito scientifico internazionale, molte biblioteche italiane stanno abbandonando i termini tradizionali in favore della formula "collezio­ ni" 6• Se collections è, infatti, il termine genericamente usato nel mondo an­ gloamericano per la rappresentazione unitaria di tutti gli insiemi bibliografici messi a disposizione in biblioteca, special collections è il termine che designa i materiali sottratti al diretto contatto con il pubblico nella collocazione a scaf­ fali aperti, e che possono essere consultabili solo con determinate cautele. Il termine è usato molto comunemente anche in area tedesca, come Sonder­ sammlungen, nel significato onnicomprensivo di tutte le collezioni storiche e speciali 7• In una realtà come la nostra, ove la lettura è usualmente mediata dalla richiesta e distribuzione, potrebbe rivestire efficacia l'uso della formula collezioni speciali, da riferirsi più da vicino a materiali diversi da quelli biblio­ grafici: stampe, fotografie, carte geografiche, oggetti museali. Ma non ineffica­ ce pare anche la definizione di " collezioni storiche", più atta a sottolineare l'antichità dei materiali e l'idea della provenienza, come valore aggiunto al li­ bro, così caratterizzante la nostra cultura bibliografica 8 • Il termine " collezioni" suona oggi più accogliente e più dinamico del ter­ mine " fondi", tanto che se ne segnala una diffusione ampia nel mondo bi­ bliotecario linguisticamente più vicino al nostro, quello francese 9• Esso infatti evita la staticità che investe integralmente il termine "fondi "; stabilisce uno stimolante parallelo con le collezioni museali, sottolineando la comune origine per l'appunto collezionistica in una pratica sociale, che ha costruito il tessuto dei beni culturali prima dello sviluppo delle istituzioni pubbliche nel settore; e soprattutto include un'idea di servizio e di promozione che, preservando la

6. Tra queste segnalo la più importante, la Biblioteca nazionale centrale di Roma. 7. Merita una menzione il fatto che la Herzog August Bibliothek di Wolfenbiittel ha scelto di pubblicare una versione in latino del suo sito Web, ove è adoperata la definizione di Collectio­ nes et corpora peculiaria. Nei Paesi Bassi si registra ultimamente Speciale collecties. 8. Il termine negli Stati Uniti pare riservarsi a collezioni di particolare interesse storico come quelle della Library of Congress o della :"Jew York Public Library (esiste ad esempio un Historical Collections Department presso Harvard). In area tedesca si registra il termine Histori­

sche Bibliotheksbestande. 9· La BNF descrive il suo patrimonio sotto il titolo Collections et départements, intestazione particolarmente accogliente vista la sua ricchezza e complessità. :'-Jelle sue suddivisioni l'eco della tradizione si fa più evidente: si portano ad esempio le definizioni Collections patrimoniales, Ré­ serve des livres rares, Fonds anciens (xv1e-xvme siècles), Cotes et /onds particuliers à la Réserve e naturalmente il celebre En/er («gioire de la Réserve») . A tanta varietà si aggiungono le collections della Bibliothèque numérique Gallica. La Bibliothèque Municipale di Lione presenta le sue Col­ lections, o Collections remarquables che comprendono ad esempio Livres imprimés anciens, Rares

et précieux, Fonds de la guerre I9 14 - 19 I8, A/fiches, Livres d'artistes, Archives littéraires contempo­ raines. Per più approfondite informazioni, si consultino i siti Web delle biblioteche citate. 274

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DAI FONDI A:-.JTICHI ALLE COLLEZIONI STORICHE E S PECIALI

natura dell'insieme coerente dei manufatti, ne garantisce un'identità linguistica unitaria dalle origini fino allo sviluppo attuale di "collezioni digitali ". Assai raramente le collezioni speciali e storiche costituiscono l'unico o il prevalente contenuto delle biblioteche; esse al contrario si collocano d'abitudi­ ne in contesti bibliotecari misti, comprendenti le raccolte moderne, su tutti i supporti, in istituti definibili solitamente come biblioteche statali, pubbliche (comunali) o universitarie. L'isolamento delle collezioni storiche, in termini di spazi, servizi e regole utenziali, benché imposto dalle necessità gestionali, po­ trebbe creare una pericolosa marginalizzazione. È quindi necessario cercare di rimettere tali collezioni al centro degli interessi (bibliotecari e della società) con la messa a punto di paradigmi più forti e più coerenti. 12.2

Un nuovo paradigma per le collezioni storiche

Alcuni recenti interventi permettono di cogliere il senso delle questioni attual­ mente sotto scrutinio, che investono nel nostro Paese un gran numero di bi­ blioteche. È infatti connotato tipico del sistema bibliotecario italiano l'estrema dispersione delle collezioni storiche su tutto il territorio, anche in città assai piccole; condizione che tra l'altro rende indispensabili a tutti i bibliotecari for­ mazione e competenze adeguate alla gestione delle collezioni storiche. Ultima­ mente è stato riproposto con forza il modello tradizionale della biblioteca lo­ cale, nella sua accezione di deposito della memoria esclusiva del luogo ove sorge, mettendolo a fuoco nel caso di una piccola biblioteca comunale. Si è suggerito che tale biblioteca, molto spesso in crisi per carenza di risorse, mate­ riali e lettori, irriducibile agli usi di un'utenza le cui esigenze informazionali devono essere soddisfatte dalla biblioteca pubblica contemporanea, debba piuttosto definirsi in termini archiviali, come deposito della storia della comu­ nità. La sua funzione - essere la memoria del passato - si giustifica in se stes­ sa, o meglio in rapporto con l'antichità e la continuità della storia italiana. È la biblioteca " di ieri", un vero e proprio museo del libro, dove ogni comunità cittadina deposita nel tempo i documenti della sua storia: «la città è il libro e la biblioteca è l'indice del libro». Il patrimonio di memoria così formatosi do­ vrebbe essere portato dal passato nel futuro senza fornire alla sua dimensione presente alcuna funzione specifica, se non quella del tramite («una fune tesa fra due abissi») , senza un particolare ripensamento delle sue relazioni con la società di oggi, di un modo di comunicare la sua funzione che si vorrebbe squisitamente archiviale, di memoria comunitaria (Harris, 2005 ) . S i tratta d i una visione che pare funzionare meglio come punto di partenza che di arrivo. Innanzitutto, è più corretto affermare che il dovere, o meglio, la funzione della conservazione e della memoria è costitutiva di tutte le bibliote­ che, quale ne sia il loro rapporto con una comunità territoriale, e quale che sia la storia della comunità stessa. La conservazione dei manufatti come docu275

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

menti primari, sulla quale Tanselle ha instancabilmente attirato l'attenzione 1 0 , mirata a preservare i testi (verbali e non) nella loro forma originale in quanto portatrice a sua volta di significati e contenuti non rimpiazzabili, è compito primario delle biblioteche, fatte salve le loro diverse vocazioni. Il parallelo, proposto da Tanselle, tra biblioteca e museo in quanto istituti che conservano oggetti, manufatti, il più possibile nelle condizioni originali, non è però in re­ lazione con la memoria locale, ma al contrario investe l'istituzione responsabi­ le della funzione della conservazione, a prescindere da ogni altra considerazio­ ne sulla sua natura e i suoi compiti. Ma le esigenze della ricerca scientifica e accademica di ambito storico e umanistico, alla base di questi appelli, potreb­ bero risuonare molto più flebili in piccole istituzioni che vengono a contatto con esse assai di rado. D'altronde, anche il concetto di memoria della comunità, apparentemente forte, deve essere temperato da vari assunti (anche in relazione ai mutamenti che le varie comunità vanno affrontando, ad esempio a causa dell'immigrazio­ ne) e, pena la perdita dei suoi significati, non può che evolvere in concetto di deposito dislocato di memoria (storica) globale. Vari avvenimenti traumatici hanno dimostrato che danni e distruzioni subiti dal patrimonio culturale e na­ turale in qualunque luogo sono percepiti come vulnus dalla comunità globale, perché danneggiano valori che sono di tutti 1 1 • Assai differente l'impostazione di Alfredo Serrai, che richiama invece a un concetto alto, filosofico ed etico, delle biblioteche come indispensabili memo­ rie della civiltà, ispirato da vicino all'esempio dei grandi fondatori delle bi­ blioteche europee in età moderna. Respingendo radicalmente i modelli fin qui citati di «archivi di oggetti bibliografici» (Serrai, 1 994b, p. r8) , (che finiscono per tradursi in «gravame per la collettività» e «deposito di reliquie») , come dell'«emarginazione museale» scaturita da un «estetizzare di provincia e uno storicismo di facciata», lo studioso richiama energicamente alla rivitalizzazione di queste biblioteche come «testimoni di esperienze che, per lontane che sia­ no, devono entrare a far parte della nostra interiorità in quanto servono al I O . Il riferimento va a una silloge di articoli recentemente tradotta e pubblicata in Italia (Tanselle, 2004a). Naturalmente, la strenua lotta di Tanselle per la conservazione dei manufatti va intesa all'interno della politica bibliotecaria statunitense che ha avviato più volte in passato grandi campagne di riformattazione dei contenuti (microfìlmatura dei giornali, ad esempio) im­ plicanti la distruzione massiccia degli originali. Non si annoverano comportamenti analoghi nella storia bibliotecaria del nostro Paese. Cfr. McKitterick (2oo2) . I 1 . S i faccia riferimento i n partenza alla Convenzione internazionale per l a protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, conclusa presso l'uNESCO all'Aia il 14 maggio 1954 ( < http://www.unesco.org/culture/lawslhaguelhtml_eng/page i .shtml > ) , mai ratificata però dagli Stati Uniti. Secondo tale Convenzione, «the cultura! heritage reflects identity: its preservation helps to rebuild broken communities, re-establish their identities, and link their past with their present and future» ed è perciò fondamentale per ricostruire la vita delle comunità nel dopo­ guerra. Si veda anche l'attività di Blue Shield ( < http://www.i.fla.org/blueshield.htm > ) e i suoi attenti resoconti dalle aree sottoposte a rischio, umano o naturale, di distruzione dei beni cultu­ rali.

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DAI FONDI A:-.JTICHI ALLE COLLEZIONI STORICHE E S PECIALI

nostro sviluppo» (ivi, p. 2 r ) . Al di là del concetto di collezione di documenti primari, irrimpiazzabili e insostituibili, Serrai richiama l'ideale tipicamente eu­ ropeo di biblioteca come «insieme bibliografico strutturato sulla base di un sistema intellettuale i cui vari elementi, documentari e intellettuali, si integrano e si necessitano a vicenda», respingendo con forza l'attribuzione di funzioni esclusivamente archiviali e concludendo che «a nessuna biblioteca è consenti­ to, vantando una singolare dignità storica, di ritenersi legittimata alla auto-im­ balsamazione» (ivi, p. 2 6 ) . Le biblioteche in generale, e le biblioteche storiche con lo spessore delle loro testimonianze, finiscono per incarnare uno dei pochi correttivi alla frantumazione e alla manipolazione dell'esperienza culturale del­ l'uomo di oggi. La battaglia è quella di riproporre «la funzione, non solo cul­ turale ma intellettiva e spirituale» delle collezioni storiche che risultano oggi «sempre più inaccessibili perché mancano le condizioni necessarie per sentirne il bisogno, prima che per servirsene» (Serrai, 2004) . Dagli interventi fi n qui citati, tappe d i u n dibattito aperto, s i ricava co­ munque un elemento unificante: la necessità di considerare le collezioni stori­ che e i loro addetti su un metro che non corrisponde solo a quello del lavoro e del servizio quotidiano. I bibliotecari delle collezioni storiche sono investiti della responsabilità, in origine quasi sacerdotale, della conservazione della cul­ tura e della memoria, della quale nessun'altra istituzione, e nessun altro addet­ to che il bibliotecario, sono incaricati. Nel lavoro quotidiano, la molteplicità dei valori e dei significati delle collezioni suggerirà un adeguamento a tale identità complessa, con interventi che rispondano a esigenze differenti e a li­ velli differenti di lettura. Le collezioni storiche non devono costituire solo l'e­ redità del passato, ma il loro valore e significato deve essere ricercato in un processo di interpretazione permanente. Il presente è, per le collezioni stori­ che, già il futuro del loro passato. 1 2 .J

Politica dell'accesso al pubblico e sicurezza delle collezioni

Uno dei punti nodali per la reinterpretazione delle collezioni storiche è co­ stituito dai servizi prestati all'utenza e in primis dall'accesso assicurato ai letto­ ri: date le assunzioni di partenza, è infatti necessario che l'accesso sia regolato in modo più ampio possibile, abbandonando definitivamente l'idea di un'u­ tenza " riservata" o privilegiata, costituita da studiosi e da altri professionisti. A livello preliminare, la biblioteca deve assicurare l'accesso intellettuale alle sue raccolte tramite la catalogazione e il libero scambio d'informazioni sulle colle­ zioni (Nuovo, 2003 , pp. 83 - r o r ) . A livello della gestione ordinaria, la bibliote­ ca deve garantire un accesso ragionevole su basi non discriminatorie, e deve agevolare (compatibilmente con le politiche generali di accesso della biblioteca e con gli eventuali vincoli accettati dai donatori) gli obiettivi di ricerca della comunità scientifica. Ciò non significa però indirizzare i propri servizi a questa 277

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

sola utenza: la biblioteca non deve negare o limitare l'accesso al singolo lettore sulla base della sua qualificazione professionale o del giudizio che essa è in grado di formarsi riguardo al valore o serietà del suo interesse di ricerca 1 2 • Non è più accettabile un'esclusione sulla base di un'inchiesta che legittimi il bibliotecario a giudicare " non scientifiche" le motivazioni di ricerca del letto­ re. Tale selezione, sulla base degli utenti, è discriminatoria, illegittima e non ha mai dimostrato la sua efficacia nella prevenzione dei furti e dei danneggia­ menti. Solo surrettiziamente, «i compiti di garantire la custodia e controllare il materiale librario sono stati tradotti in un controllo su quali cittadini auto­ rizzare a consultare un libro» (Simone, 2002 ) . L'identificazione e la registra­ zione delle generalità costituiscono la somma dei controlli che il cittadino, in quanto lettore, è chiamato ad adempiere per accedere a questi materiali 1 3 . Qualora gli spazi non consentano l'accesso a tutti i richiedenti, potrà essere organizzata un'equa politica di prenotazione e rotazione delle postazioni di lettura. L'importante è che il lettore non sia, né si possa sentire, discriminato su base sociale o culturale; sull'etica dell'accesso insistono infatti tutti i codici deontologici della professione bibliotecaria, ma di essa non deve essere inve­ stito il singolo bibliotecario, bensì l'istituzione in quanto tale. Limite ineludibi­ le alla consultazione degli originali è però il loro stato di conservazione, che può arrivare a impedire o comunque a sconsigliare vivamente qualunque for­ ma di circolazione. In linea di principio quindi, e senza che ciò implichi alcun giudizio sulla serietà della ricerca, la biblioteca cercherà di dare in lettura sur­ rogati e riproduzioni dei materiali più fragili o in condizioni critiche. Una gestione neutrale e obiettiva delle collezioni storiche e speciali, condi­ visa con i lettori, basata sul superamento della tradizionale impostazione se­ lettiva per l'accesso, implica il passaggio logico dal controllo sul lettore (sem­ pre sgradito) alla protezione organizzata dei materiali e delle collezioni in ter­ mini di sicurezza. In questo settore, le biblioteche hanno molto da imparare dai musei che negli ultimi decenni hanno dovuto armonizzare lo sviluppo del­ le loro attività, la crescita costante dei visitatori, la gestione di edifici museali sempre più complessi e articolati, con la sicurezza di oggetti di assoluta unici­ tà. Il termine " sicurezza" permette di precisare meglio alcuni aspetti del con­ cetto, più vasto ma anche più indeterminato, di "tutela", che include ogni atti­ vità diretta a riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali. 1 2 . In questo senso si pronunciano vari documenti internazionali, tra cui il più importante è l'ACRL Code o/ Ethics /or Special Collections Librarians, approvato dalla statunitense Rare Book and Manuscript Section nell 'ottobre 2003 ; esso fa riferimento a un documento-quadro, il ]oint Statement on Access to Origina/ Research Materials approvato dall'ALA nel 1 994. Cfr. anche !':uo­ vo (2ooob). 1 3. E in verità non ad altro adempimento obbliga l'art. 3 7 del D.P.R 5 luglio 1 995 , n. 4 1 7· Le «sale riservate allo studio del materiale manoscritto, raro o di pregio, speciale» (di cui all'art. 3 3 ) sono predisposte dal Regolamento con riferimento ai servizi da organizzare da parte dell 'i­ stituto in relazione al tipo di collezioni, non al tipo di utenza.

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. DAI FONDI A:-JTICHI ALLE COLLEZIONI STORICHE E S PECIALI

La sicurezza è questione generale in biblioteca, indirizzata alla protezione delle collezioni, del personale e dei lettori. Non deve essere intesa tanto come strumento per far fronte a eventi improvvisi e catastrofici, quanto come un insieme di azioni di conservazione preventiva dei beni e delle strutture. Una serie di misure di sicurezza, già di routine nella maggior parte delle bibliote­ che, deve essere combinata a creare un sistema di sicurezza. Ogni biblioteca deve possedere, come altri edifici pubblici, un piano di prevenzione e di ri­ sposta ai disastri naturali (alluvioni, terremoti, eventi atmosferici di eccezionale entità) o prodotti dall'uomo (perdite d'acqua, incendi, atti di terrorismo, esplosioni) ; questa materia è disciplinata in Italia in maniera ancora insuffi­ ciente 14• Regole di sicurezza da applicarsi quotidianamente, nella gestione or­ dinaria della biblioteca, devono essere predisposte al fine di stabilire un am­ biente sicuro per lettori e bibliotecari; e tali regole devono essere comunicate apertamente ai lettori e deve essere chiarito che ad esse viene sottoposto an­ che il personale, nel superiore interesse della salvaguardia delle collezioni. Tuttavia i libri, a differenza delle opere d'arte, per raggiungere il fruitore devono essere maneggiati dai lettori e dai bibliotecari. Ciò li rende assai più esposti a ogni genere di pericolo. È quindi necessario che tutti coloro che entra­ no in contatto con il libro rispettino una serie di procedure 1 5 • Il lettore deve essere reso consapevole che tali procedure, e il loro pesante impaccio buro­ cratico, sono finalizzate alla sicurezza. Le misure essenziali riguardano l' identifi­ cazione del lettore e della sua residenza (con presentazione di documento) ; il controllo del lettore al momento dell'entrata e dell'uscita dalla sala di lettura; la restrizione di ciò che può essere portato nella sala di lettura (né borse, né cap­ potti o impermeabili) ; la registrazione di tutti i libri dati in lettura, con firma di carico e scarico; la predisposizione di tavoli dedicati all'uso di materiali partico­ larmente a rischio (manoscritti, carte geografiche) , la cui sorveglianza sia più agevole; la vigilanza automatica (TV a circuito chiuso) e umana; l'apposizione di timbri di possesso della biblioteca (visibili e invisibili) su ogni singolo oggetto; la rilevazione del suo peso al momento della consegna e della restituzione. È certo che non tutte le biblioteche potranno realizzare queste misure, ma, allorché esse siano state ottemperate, l'accesso dei lettori maggiorenni (giuridicamente re­ sponsabili e quindi in grado di rispondere del proprio comportamento) alle col­ lezioni storiche e speciali non necessita di ulteriori limitazioni. 14· Ma si ricordino almeno il D.Lgs. 19 settembre 1 994, n. 626 e il D.P.R. 30 giugno 1 995 , n. 4 1 8 , Regolamento concernente norme di sicurezza antincendio per gli edifici di interesse storico­ artistico destinati a biblioteche ed archivi, al cui proposito cfr. Salerno ( 1 997). Cfr. anche IFLA (2oo5b); Bertini (2005 ) . 1 5 . Massima attenzione andrà prestata negli spostamenti del libro, nel deposito sul tavolo, da effettuarsi preferibilmente su leggii in gommapiuma, suggerendo al lettore l'uso di dispositivi morbidi (pesi leggeri di forma tubolare, chiamati in inglese snakes) per tenere aperto il volume alla pagina desiderata. L'uso esclusivo della matita da parte dei lettori è obbligatorio nella mag­ gior parte delle biblioteche per evitare danneggiamenti involontari. La lettura sarà sempre sotto­ posta a supervisione da parte di personale addetto.

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

Occorre invece prestare la più scrupolosa attenzione alla prevenzione dei furti, un fenomeno in crescita in tutto il mondo, che affligge beninteso tutti i generi di oggetti che formano il patrimonio culturale, del cui valore monetario la società si mostra sempre più consapevole. È probabile che l'attivo impegno di apertura a un pubblico sempre più vasto, la catalogazione e promozione delle collezioni (ad esempio, nel settore da sempre molto esposto dei materiali geografici) abbiano facilitato l'assunzione di informazioni da parte di mali n­ tenzionati. Furti di ampia portata, che coinvolgono varie nazioni, sono stati realizzati da veri e propri esperti, provenienti sia dalla ricerca accademica che dal commercio antiquario 1 6• La possibilità di vendere tramite Internet, a un mercato globale, rende il recupero della refurtiva estremamente problematico; determinante si rivelerà la descrizione dettagliata del singolo oggetto sottratto, con le sue caratteristiche di esemplare, che la biblioteca dovrebbe predisporre il più possibile per le sue collezioni storiche e speciali (i segni di proprietà della biblioteca sono infatti comunemente fatti sparire) . Particolarmente complesso si presenta il problema della mutilazione degli oggetti bibliografici, con sottrazione di una parte (illustrazione, carta geografi­ ca e simili) , assai più facilmente mimetizzabile e vendibile; l'oggetto mutilato rimasto in biblioteca soffre infatti di una rilevantissima perdita di significato e di valore. Nella lotta ai furti, i bibliotecari sono affiancati dai librai antiquari, altrettanto interessati alla conoscenza della provenienza dei materiali sul mer­ cato, e infatti ad essi si deve in Italia la migliore informazione relativa ai furti subiti dalle biblioteche 1 7 • Sfortunatamente, è molto difficile proteggere l e collezioni contro i furti compiuti dallo stesso personale della biblioteca, che ne è responsabile in una percentuale che è stata calcolata intorno al 3oo/o , anche se valutazioni numeri­ che attendibili in questo campo sono impedite dall'estrema reticenza con cui le biblioteche affrontano il problema. Al contrario, la condivisione più veloce possibile con altre istituzioni delle notizie riguardanti furti appena scoperti può prevenire altri crimini, perché spesso i furti sono organizzati, mirati, e operano su materiali affini ospitati in differenti istituti 1 8 • Il controllo sul per1 6. Si veda il caso (agosto 2005 ) di un noto mercante di mappe antiche, Forbes Smiley, autore di furti massicci nelle biblioteche degli Stati Uniti e presso la British Library, arrestato presso Beinecke Rare Books and Manuscripts Library di Yale. 17. In particolare, all'Associazione librai antiquari d'Italia, si veda l'elenco all'indirizzo: < http://www.alai.it/legale/furtilframe/furtifrm.htm > . L'elenco, fornito dalla stessa associazione, delle biblioteche pubbliche che hanno subito furti è sconsolante e attesta come il fenomeno sia diffuso uniformemente dal Nord al Sud della penisola. 1 8 . Nel 2 002 , l'Associazione europea delle biblioteche di ricerca, LIBER, comprendente mol­ te biblioteche storiche, emise i cosiddetti Copenhagen Principles, il cui scopo è di allestire una rete organizzativa di cooperazione internazionale per i problemi della sicurezza, con ampio scam­ bio di informazioni ( < http://www.kb.dk/liber/news/copenhagenprinciples.htm > ). Dopo aver sofferto di numerosi e dolorosi furti, la Biblioteca reale di Copenhagen ha deciso di allestire un database dei libri e manoscritti che le sono stati rubati, con un alto livello di informazioni per copia ( < http://www.kb.dk/kb/missingbooks/index-en.htm > ) .

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1 2 . DAI FONDI ANTICHI ALLE COLLEZIONI STORICHE E S PECIALI

sonale interno deve essere reso automatico, con l'uso regolare di dispositivi di chiusura e relegazione dei materiali (sale chiuse a chiave, casseforti e armadi blindati) , la concessione delle chiavi al numero più limitato possibile di bi­ bliotecari e addetti. Infatti, maggiori le responsabilità rivestite all'interno della biblioteca dal bibliotecario disonesto, più devastanti e duraturi saranno gli ef­ fetti dei suoi furti l 9 . Eventi estremamente pericolosi per la sicurezza delle collezioni sono i tra­ sferimenti a distanze rilevanti. Perdite ingenti si sono verificate in caso di mo­ stre fuori sede. Nel giugno 2005 , la Bibliothèque nationale de France ha di­ chiarato di aver perso, durante il trasporto delle collezioni alla nuova sede, 3o.ooo libri, per lo più dei secoli XIX e xx, quindi lo 0,3 o/o del posseduto 2 0 • RIQUADRO I 2 . I

Approfondimento bibliografico sui disastri Riguardo alla sicurezza delle collezioni, si leggano alcune pubblicazioni di base: B. A. SHUMAN, Library Security and Sa/ety Handbook: Prevention, Policies, and Pro­ cedures, American Library Association, Chicago I999; - G. MATTHEWS, J. FEATHER (a cura di), Disaster Management /or Libraries and Archi­ ves, Ashgate, Aldershot 2003; - M. B. BERTINI, La conservazione dei beni archivistici e librari. Prevenzione e piani di emergenza, Carocci, Roma 2005 . Risorse elettroniche importanti sono: Conservation onLine (CoOL), Disaster Preparedness and Response ( < http://palim­ psest.stanford.edu/bytopic/disasters/ > ) , e le risorse messe a disposizione dall'uNESCO nella sezione dedicata a Memory o/ the World Programme, tra cui Lost Memory - Li­ braries and Archives destroyed in the Twentieth Century ( < http://www . unesco.org/ webworld/mdm/administ/en/detruit.html > ) . Diverse biblioteche sono state vittime di disastri negli ultimi anni. La guerra e l' oc­ cupazione militare hanno causato la distruzione di numerose biblioteche in Croazia e Bosnia ed Erzegovina (v. BLAZINA, Mémoricide ou la puri/ication culturelle: la guerre con tre les bibliothèques de Croatie et de Bosnie-Herzégovine, < http://www.kakarigi.net/ manu/blazina.htm > ) e più recentemente della Biblioteca nazionale in Iraq; nel giugno I 999 un ingente incendio distrusse più della metà delle collezioni della Biblioteca del­ l'Università di Lione 2 ( < http://osiris.ens-lsh.fr/reconstitution/incendie.htm > ); l'at­ tacco dell'I I settembre 20oi alle Twin Towers di New York annientò un patrimonio -

1 9. Un caso recente davvero traumatizzante ha interessato il responsabile dei manoscritti, attivo pure a livello internazionale nel dibattito scientifico-professionale, della Biblioteca reale di Stoccolma. Approfittando della sua posizione e con l'aiuto di un complice, il bibliotecario ha depredato per anni numerose biblioteche svedesi; la refurtiva era poi venduta tramite una casa d'aste tedesca e non è recuperata oggi che in piccola parte. In precedenza, lo stesso biblioteca­ rio, in occasione di un grosso furto presso la Biblioteca reale, era stato addirittura investito del­ l'autorità della supervisione sulla sicurezza (Lidman, 2002 ) . Arrestato e poi rilasciato in attesa di processo, il bibliotecario si è tolto la vita nel dicembre 2004. 20. Notizia pubblicata su "Le Figaro" del 27 giugno 2005 .

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

ingente di archivi di enti pubblici e privati e di opere d'arte (esisteva anche un mu­ seo), tra cui almeno ventuno biblioteche di carattere economico-giuridico ( < http:/l www . heritagepreservation.org/PDFS/Cataclysm.pdf > ) ; alcune biblioteche della Repub­ blica Ceca hanno subito danni ingenti durante le alluvioni dell'estate del 2002 ; la Bi­ blioteca Herzogin Anna Amalia di Weimar (Germania) è stata semidistrutta da un in­ cendio durato tre giorni, nel settembre 2004 ( < http://www. anna-amalia-library.com/ > ) ; e nel 2005 l'uragano Katrina ha devastato le biblioteche di New Orleans ( < http:/l www. ala.org/ala/crolkatrinalkatrina.htm > ). Per quanto riguarda l'Italia, si ricordino le perdite causate dall'ultimo conflitto mondiale, al cui proposito si legga: A. PAOLI, «Salviamo la creatura». Protezione e dz/esa delle biblioteche italiane nella seconda guerra mondiale, AIB, Roma 2003. Vasta biblio­ grafia è reperibile sui più grandi disastri bibliotecari awenuti in Italia nel secolo xx: l'incendio della Biblioteca reale di Torino ( r9o4) e l'alluvione alla Biblioteca nazionale di Firenze ( r 966).

1 2 .4

La digitalizzazione in biblioteca: dalle immagini online al network dei beni culturali

Anche per le biblioteche storiche l'avvento di Internet ha segnato una svol­ ta 2 1 • La digitalizzazione si integra chiaramente nell'evoluzione naturale delle collezioni storiche, che hanno nel tempo adottato altre " nuove" tecnologie (si pensi alla microfilmatura) , man mano che si rendevano disponibili e utili a scopi determinati. Sono vari i livelli e le iniziative che vedono oggi protagoni­ ste le biblioteche storiche, dopo un iniziale e comprensibile momento di per­ plessità. I vantaggi della rete hanno però finito per imporsi all'attenzione di tutti. Il maggior vantaggio è nel servizio all'utente: la presenza sul Web della biblioteca dura 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana. È illimitatamente e immediatamente migliorabile, correggibile, ampliabile, aggiornabile. Consente di servire simultaneamente una pluralità di pubblici, è insieme catalogo, servi­ zio di reference specializzato (via posta elettronica), sala di lettura e mostra bibliografica. Anche se le iniziative realizzate finora non hanno ancora rag­ giunto quella massa critica che consente un'effettiva valutazione, vantaggi spe­ cifici sono attesi in questi settori: - incremento dell'uso delle collezioni, grazie sia ai cataloghi online, che alle collezioni digitali; nuovi approcci di ricerca, originati dalla vasta disponibilità di immagini online e dallo sviluppo delle tecnologie di trattamento dei dati; raggiungimento di un nuovo pubblico di utenti, non più limitato ai tradi­ zionali ricercatori e studiosi. 2 r . Per una più ampia informazione, il sito Il libro antico offre all'utente una guida ragiona­ ta alle risorse elettroniche in questo settore ( < http://web.uniud.it/libroantico/ > ) .

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DAI FONDI A:-JTICHI ALLE COLLEZIONI STORICHE E S PECIALI

Il Web è un canale di comunicazione nuovo per le collezioni speciali, le meno note nel patrimonio delle biblioteche, in grado di dare ad esse una visibi­ lità inedita; le collezioni storiche, da parte loro, offrono contenuti di valore cul­ turale straordinario alla rete. La digitalizzazione è diventata, nelle biblioteche più avanzate del mondo, parte essenziale della politica dell'accesso alle collezio­ ni speciali 2 2 • Il motivo più forte per rendere le collezioni disponibili in formato digitale è costituito dal fatto che questo è il formato sempre più diffuso per l'informazione e la comunicazione globale, nel presente e nel prossimo futuro. Istituti culturali come le biblioteche rischiano di perdere gran parte della loro efficacia, e quindi del loro significato, se saranno assenti dal contesto digitale. I tempi stretti della mutazione tecnologica hanno forse impedito una più compiuta riflessione sul nuovo significato che le collezioni storiche e speciali si trovano a rivestire nel contesto. Sappiamo che diverse società hanno storica­ mente dato origine a diverse soluzioni nell'organizzazione della conservazione del passato e della memoria documentaria, e che proprio i momenti più inno­ vativi hanno dato origine a ripensamenti organici e reinterpretazioni del pa­ trimonio culturale. Dal punto di vista sociale, le collezioni storiche non esi­ stono come realtà di fatto, non sono in grado di parlare a nessun pubblico, se ad esse si cessa di dare un significato; le collezioni stesse sono il risultato di un lavoro collettivo di conservazione e di trasmissione attraverso l'interpreta­ zione e la re-interpretazione, e tale processo si può tenere vivo solo grazie a un'incessante opera di pubblicazione e diffusione dei loro contenuti e della loro natura (Barbier, 2004) . La catalogazione è solo il "grado zero " , natural­ mente indispensabile, di un'attività di comunicazione che oggi passa soprattut­ to dalla riproduzione nei formati digitali. Ormai superata è la posizione di co­ loro che giudicavano la digitalizzazione un dispendio di risorse da investirsi più saggiamente altrimenti. La digitalizzazione delle collezioni rappresenta la sintesi tra una tecnologia avanzata, e ancora non conosciuta a fondo dai bi­ bliotecari, e le loro tradizionali competenze nel campo della selezione, orga­ nizzazione, descrizione e conservazione delle risorse; è un'attività molto com­ plessa che non ha nulla a che vedere con i primi esperimenti di inserimento di alcune immagini " scelte" nei siti Web delle biblioteche storiche. Solo ampie collezioni di documenti digitali, infatti, provviste di adeguati strumenti per la loro contestualizzazione e consultazione, possono essere significative per la ri­ cerca. In prospettiva, la biblioteca digitale consisterà in una massa critica di documenti archiviati elettronicamente disponibili su richiesta dell'utente in qualunque luogo e in qualunque tempo, all'interno di un servizio regolato e organizzato: per quanto riguarda le collezioni storiche e speciali esse combine­ ranno il materiale digitalizzato con informazioni e strumenti di interrogazione prodotti direttamente in formato digitale.

22. Ma per alcune tipologie di materiali, come l'audiovisivo, la digitalizzazione è l'unico trattamento che ne garantisce non solo l'accesso, ma anche la conservazione.

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

È facile prevedere che nei prossimi anni la comunicazione digitale, veicola­ ta da supporti sempre più portatili, dominerà il mercato. L'Europa sta infatti concentrando le sue risorse sulla diffusione digitale del patrimonio culturale, sia nel tentativo di realizzare una costruzione collettiva di memoria comune nel rispetto delle diversità culturali e linguistiche, che nella promozione gene­ rale del colloquio tra amministrazioni pubbliche e cittadini, in vista della crea­ zione di uno spazio culturale e civile condiviso da tutti 2 3 • In una strategia di ampia portata, ci si attende che la creatività e la cultura, che costituiscono la forza della tradizione europea, possano aiutare a fronteggiare la competizione con aree economico-culturali attualmente assai più vitali. Ecco quindi l'attività di progetti come "Minerva" , la rete dei Ministri europei della cultura, volta alla creazione di una piattaforma comune per la digitalizzazione del patrimo­ nio culturale, tramite l'allestimento di manuali e linee guida e la creazione di uno spazio di coordinamento e confronto 24. È infatti necessario che ogni scelta nel settore della digitalizzazione delle collezioni storiche, e della loro promozione in rete, sia guidata dall'attento esame delle risorse già create e disponibili; nel campo sono infatti assoluta­ mente da evitare le duplicazioni, dati i costi di ogni iniziativa. Ciò impone la soluzione di notevoli difficoltà organizzative, perché implica il coordinamento a livello nazionale ed europeo. Nel contesto digitale appare in tutta la sua evi­ denza il ruolo della singola collezione storica quale componente di una cultura distribuita, tessera di un vasto mosaico di memorie. Se la progettazione deve dunque tenere conto di un orizzonte molto vasto, perché è quello il contesto reale in cui una biblioteca digitale, quale ne sia l'origine, va a inserirsi, un' ac­ corta valutazione delle risorse economiche necessarie deve essere anteposta a qualunque realizzazione. Un'eccessiva esposizione in questo settore potrebbe mettere a rischio i tradizionali servizi che la biblioteca è chiamata comunque a offrire, dato che la digitalizzazione non potrà mai alleggerire gli impegni più pressanti, legati alla conservazione e allo studio degli originali. La cooperazio­ ne non solo tra biblioteche, ma tra istituti bibliotecari, archivi, musei, universi­ tà e centri di ricerca, benché irta di difficoltà organizzative, va attivamente perseguita perché è chiaro che il digitale consente, e tale deve essere lo scopo, l'accesso integrato a tutto il patrimonio culturale 2 5 • 2 3 . A proposito del nostro contesto, il documento-guida da tenere presente è I contenuti europei sulle rete globali. Meccanismi di coordinamento dei programmi di digitalizzazione: i prindpi stabiliti a Lund (4 aprile 2oor) (ftp://ftp.cordis.lu/pub/istldocs/digicultllund_principles-it.pdf). 24. Cfr. < http://www.minervaeurope.org/ > . Cfr. Caffo (2002 ). :'-Jumerosi sono stati negli ultimi anni i programmi finanziati dall'Europa in quest 'ambito. È attesa per giugno 2oo6 la pub­ blicazione di un documento finale dal titolo Recommendation on Digitisation and Digita! Pre­

servation. 25. E in verità possono già osservarsi in Italia le prime significative realizzazioni sul territo­ rio, come il sistema documentario Metaeasy, gestito dalla Biblioteca Labronica di Livorno, che consente l'interrogazione integrata di alcune importanti basi di dati bibliografici, archivistici e artistici ( < http://opacprov.comune.livorno.itlmetaeasy/ > ).

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Data la rilevanza delle risorse finanziarie e umane necessarie a costruire collezioni digitali significative, è indispensabile che venga espressa e sostenuta una politica nazionale nel settore. Taie processo si è messo in moto in Italia piuttosto tardi, nel 2 00 1 , quando, nell'ambito della III Conferenza nazionale delle biblioteche, è stato ufficialmente dato il via al progetto denominato Bi­ blioteca digitale italiana (BDI ) 26• Nello stesso anno è stato istituito un Comita­ to guida per definire le linee guida per le prime realizzazioni. Il primo pro­ getto avviato e realizzato è stato la scansione in formato immagine dei cosid­ detti cataloghi storici, ovvero i cataloghi antichi delle biblioteche pubbliche italiane 27• Assai più significativi appaiono i progetti riguardanti i documenti musicali manoscritti e a stampa (Archivio digitale musica) , conservati presso biblioteche pubbliche statali e conservatori di musica, e le pubblicazioni pe­ riodiche di particolare valore storico e culturale; progetti in corso di realizza­ zione secondo un modello distribuito. Non si prevede quindi «la realizzazione di un " magazzino centrale" degli oggetti digitali, ma la realizzazione di una struttura orientata al coordinamento, al supporto e alla gestione del digitale» (Leombroni, 2 004, p. 1 2 I ) . Si pensa però di costituire alcuni centri di eccel­ lenza, come la Biblioteca nazionale Braidense di Milano per i periodici e la biblioteca nazionale Marciana di Venezia per i materiali geografici, in conside­ razione delle competenze già acquisite. L'attenzione pressoché esclusiva della BDI sui materiali non nati digitali (soprattutto manoscritti, con il progetto "Ri­ nascimento virtuale", e collezioni storiche) , digitalizzati in formato immagine, potrebbe a prima vista sembrare poco innovativa. In realtà, in un quadro eu­ ropeo, il nostro Paese può portare un contributo significativo prima di tutto in questo settore, vista la difficoltà dei produttori italiani di documenti digita! born, come le Università, di conquistare un ruolo di rilievo internazionale. Il mercato della rete sembra poi orientarsi sempre più verso la digitalizzazione dei libri ( Google book search e iniziative concorrenti, pubbliche e private) , previ accordi con le grandi biblioteche, quale settore determinante per l'ulte­ riore sviluppo di Internet. Benché per il momento molti problemi siano irri­ solti (il rispetto del copyright innanzitutto) , e i modelli commerciali rimangano oscuri (ad esempio, che cosa le grandi biblioteche si propongono di guada­ gnare da queste collaborazioni con i produttori commerciali) , è plausibile ipo­ tizzare che nel futuro molti più libri cartacei saranno accessibili via Internet. La riproduzione digitale della memoria disponibile nei libri a stampa si rivela dunque strategica affinché il mondo digitale acquisisca quella dimensione che ancora fatica a conquistarsi: non solo commercio e informazione, ma cono­ scenza e, in ultima analisi, cultura. Le prime attività della BDI sono state in seguito inscritte nel Network turi­ stico culturale, il cui portale, da poco inaugurato, è stato denominato Internet 26. < http://www . iccu.sbn.it/bdi.html > . Per un'analisi critica di alcuni aspetti del progetto, cfr. Leombroni (2004) . 27. Altre critiche i n Leombroni (2004, p. 1 26).

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culturale: si tratta sostanzialmente di un servizio di accesso alle risorse, sia di­ gitali che tradizionali, focalizzato alla ridefinizione dei vari accessi attualmente esistenti 2 8 • Nei prossimi tempi, Internet culturale dovrebbe diventare il luogo privilegiato per l'accesso alle risorse digitali italiane del settore culturale e bi­ bliografico, anche come supporto alle attività turistiche, mentre parallelamente si svolge un lavoro di gestione della conoscenza che include la definizione di standard e metodologie, nonché i problemi legati alla conservazione del digita­ le (rccu, 2 004) . A differenza di altre esperienze di ampia portata realizzate all'estero e fortemente centralizzate, come Gallica (Bibliothèque nationale de France) o American Memory (Library of Congress, Washington), l'Italia ha dunque evitato un modello che si basasse principalmente sulle collezioni di una sola biblioteca, ma ha preferito un modello distribuito e coordinato, in linea con il policentrismo culturale che storicamente la distingue, e con le scelte di altri Paesi europei, come la Germania 29 o la Gran Bretagna 3°. Appendice Studio di caso I libri del convento di San Nicolò nella Biblioteca comunale di Carpi: conoscenza, conservazione e valorizzazione

di Giorgio Montecchi Tutto ebbe inizio una tiepida mattina d'ottobre del 1996. I frati del convento di San Nicolò avevano preso contatto con le autorità comunali per valutare l'entità dei danni causati dal terremoto alla loro chiesa, fatta erigere a Baldassarre Peruzzi tra Quattro e Cinquecento dal principe Alberto m Pio, senza ascoltare le rimostranze del capitolo generale dei Frati Minori Osservanti, riunito a Rimini nel 149 3 , contro tanta eccessiva magnificenza. Oltre all a chiesa, anche il convento presentava lesioni strutturali con no­ tevoli danni ai mobili e agli arredi. Per concordare gli interventi da compiere sulla raccolta libraria, quella mattina la bibliotecaria del Comune vi si era recata in compa­ gnia di un esperto. Grande fu lo stupore quando si presentarono alla loro vista incu­ naboli e altri libri antichi, stipati entro un armadio tutto barcollante che se ne stava, a fatica, di traverso e gemeva sotto il peso dei libri e sotto le ingiurie del tempo e del terremoto. In accordo coi frati, fu deciso di portare i libri in deposito presso la Biblioteca

28. < http://www .internetculturale.it/ > . Il portale è realizzato dalla Direzione generale per i Beni librari e gli istituti culturali e dal Ministero per i Beni e le attività culturali (MBAc). Il coordinamento è affidato all'Iccu. Il sito «propone un sistema di accesso integrato alle risorse digitali e tradizionali di biblioteche, archivi ed altre istituzioni culturali italiane, promuovendo e valorizzando la conoscenza e la fruibilità del patrimonio turistico-culturale sia a livello nazionale che internazionale». 29. Si veda l'attività del Gottinger Digitalisierungs Zentrum (Goz), < http://gdz.sub. uni-goettingen.de/en/vdf-e/ > . 30. Cfr. il sito Enrich UK, < http://www . enrichuk.net/ > , ove però i fondi librari sono in minoranza, focalizzandosi il sito piuttosto su una grande varietà di collezioni (fotografiche, arti­ stiche, sonore ecc. ) e anche su documenti digitali dall'origine.

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comunale dove centotrenta anni prima erano stati preceduti dai libri del convento in­ camerati in seguito alle cosiddette leggi eversive che, nel 1 866 e negli anni seguenti, avevano fatto confluire sotto la giurisdizione del pubblico demanio centinaia di mi­ gliaia di volumi, tutti quelli dei conventi e delle congregazioni religiose soppresse o ridimensionate nei loro averi e nelle loro attività. L' occasionale ricongiunzione tra que­ sti due spezzoni dell'antica libreria dei frati, fece portare l'attenzione delle autorità an­ che sui libri di San Nicolò che giacevano tranquilli sugli scaffali della biblioteca comu­ nale, frequentati solamente da pochissimi affezionati e completamente ignorati dalla quasi totalità dei cittadini di Carpi, come ovunque interessati forse più alle fortune economiche e sociali della città che all'eredità culturale tramandata nei libri. Nacque così la proposta di un recupero storico e bibliografico dell'antica biblioteca del con­ vento di San Nicolò. TI convento dei Frati Minori Osservanti fu sempre strettamente legato alle vicende storiche di Carpi fin dalla sua apertura, awenuta per iniziativa dei Pio, signori della città, alla metà del secolo xv. Questo rapporto privilegiato tra il convento, la corte e la comunità non interessò solamente la spiritualità e la religione, ma coinvolse tutti gli aspetti della vita culturale, sociale ed economica della città per il lungo periodo che dall'età dell'Umanesimo conduce al XVIII secolo e alle soppressioni dell'età napoleoni­ ca e del secondo Ottocento. La biblioteca di San Nicolò, pur avendo perso molti libri nel trambusto di quegli anni tumultuosi, nel passare sotto la giurisdizione del demanio pubblico, fu tuttavia arricchita dai libri provenienti dagli altri conventi carpigiani sop­ pressi, quelli dei Frati Minori Conventuali e degli Oratoriani di San Filippo Neri. Oggi la quasi totalità dei libri di San Nicolò, di cui si abbia notizia, è conservata pres­ so la Biblioteca comunale di Carpi, che nel 1 997 ha accolto anche i libri nascosti e rimasti in convento dopo le requisizioni del 1 866. In verità il fondo antico di San Nicolò è ora costituito solamente da circa un migliaio di volumi, la parte ritenuta più pregiata e utile dell'intera raccolta dagli amministratori del tempo, che si sbarazzarono dei libri ritenuti non adatti ad una biblioteca moderna, vendendone circa quindici quintali a meno di quaranta centesimi il chilogrammo, per un totale stimato in poco meno di tremila volumi. Con il ricavato acquistarono libri utili, dai classici latini e italiani a opere di Mommsen, Leopardi, Settembrini e Giusti. Presso la Biblioteca Estense di Modena, inoltre, sono conservati corali miniati, incunaboli, cinquecentine e altri libri di pregio ( r 3 8 volumi) giunti subito dopo la soppressione in cambio dei qua­ li furono inviati a Carpi testi di più ampia circolazione, considerati più idonei a una biblioteca civica. In verità, sono numerosi i libri antichi e rari che non presero la stra­ da di Modena ma rimasero a Carpi, poiché i frati e le stesse autorità comunali fecero, allora, del loro meglio per trattenerne presso di sé il maggior numero possibile, e ci riuscirono. Nel riparare i danni causati dal terremoto del 1996, si è così fatta strada, anche presso gli amministratori locali, la convinzione che la conoscenza del cospicuo patri­ monio librario dell'antica biblioteca dei Frati Osservanti avrebbe portato un notevole contributo al recupero della memoria storica del proprio passato da parte della comu­ nità di Carpi, dal momento che la vita culturale del convento si è sempre sviluppata in strettissima osmosi con quella della città. Su queste basi fu proposto il recupero stori­ co, artistico e bibliografico della Biblioteca di San Nicolò, con tre diverse iniziative: una ricerca storica sul convento e sulle sue molteplici relazioni religiose, culturali e sociali con la corte dei Pio e con la città di Carpi; la catalogazione secondo criteri omogenei degli antichi libri del convento dovunque fossero conservati, ristabilendo

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così l'unità, almeno virtuale, dell'antico fondo librario; e infine una mostra storico­ bibliografica che, nel suo percorso, esponesse al pubblico gli esiti più significativi della ricerca storica e del recupero bibliografico dell'antico fondo librario del convento. Le ricerche hanno subito messo in luce il profondo legame del convento di San Nicolò con l'intera comunità cittadina, sia nelle sue manifestazioni religiose, sia, so­ prattutto, nelle sue espressioni civili e culturali: la biblioteca conventuale, come spesso avveniva nei secoli passati, non costituiva solo il luogo di conservazione delle memorie di spiritualità e di fede dei frati, ma anche lo spazio privilegiato entro cui si andavano a depositare le più alte testimonianze dell'intera vita culturale cittadina, per gli stretti legami, familiari e sociali, tra i religiosi del convento e gli abitanti di Carpi, tanto da poterne dedurre, senza ombra di smentita, che l'attuale biblioteca comunale è, in un certo senso, l'erede più diretta dell'antica biblioteca conventuale, avendone ripreso, nella società di oggi, l'antica funzione di lettura e di studio al servizio dell'intera co­ munità cittadina, ma soprattutto per essersi riproposta quale sua fedele continuatrice nell'opera di trasmettere alle future generazioni il ricco patrimonio librario ricevuto dal passato. Si sono dapprima impostate indagini e ricerche in archivi e biblioteche, special­ mente dell'intera area regionale entro cui si muoveva la vita religiosa e culturale carpi­ giana, per recuperare notizie storiche edite e inedite, ma soprattutto per rintracciare liste di libri, inventari e cataloghi utili a una ricostruzione delle raccolte librarie nel loro stratificarsi sui plutei e sugli scaffali della Biblioteca di San Nicolò dalle origini all'età napoleonica, quando aveva inglobato anche i libri dei Cappuccini e dei Filippini di Carpi, e fino al definitivo incameramento del 1 866. Si è poi avviata una nuova cata­ logazione, limitata in un primo momento ai corali miniati, ai manoscritti, agli incuna­ boli e alle cinquecentine e finalizzata a una pubblicazione a stampa, privilegiando nella descrizione gli aspetti materiali e le caratteristiche peculiari dei singoli esemplari (note marginali, ex libris, timbri, legature e altro) per farne emergere con più concretezza il legame col convento e con la città di Carpi. È stato così possibile conoscere in modo meno approssimativo le diverse stratifica­ zioni in cui si erano distribuiti nel tempo i libri di San Nicolò: le prime donazioni di Camilla Pio, di Mario Correggio e di Bernardino Meloni; i libri della bibliotheca com­ munitatis frutto in gran parte della magnificenza di Alberto m Pio, rimasti incatenati ai plutei fino al XVII secolo; i libri acquisiti ad uso dei singoli monaci e conservati nelle loro celle, tutti catalogati come quelli della bibliotheca communitatis nell'anno 1 6oo da padre Giovanni Francesco Malazappi per rispondere all'inchiesta della Congregazione dell'Indice di Roma sullo stato delle biblioteche dei conventi; la formazione di una grande biblioteca nel xvm secolo grazie alle donazioni del medico Angelo Domenico Papotti e di frate Luigi Foresti e grazie alle numerose acquisizioni, testimoniate dal Repertorio ad uso della Libreria di San Niccolò di Carpi compilato da padre Luca Tor­ nini tra il 1769 e il 177 1 , ora custodito presso l'Archivio di Stato di Modena; il passag­ gio sotto le autorità comunali con l'aggiunta di libri di altri conventi e l'apertura al pubblico in età napoleonica; il ritorno sotto la giurisdizione dei Frati nel 1 82 1 fino alla definitiva soppressione del 1 866; la conservazione dei libri sopravvissuti alle dispersio­ ni ottocentesche in tre fondi separati, uno presso la Biblioteca Estense di Modena, uno presso la biblioteca del Comune di Carpi, e il terzo, quello rimasto, nonostante le soppressioni, presso il convento dei Frati Minori fino al deposito spontaneo del 1 997 presso la Biblioteca civica. I documenti d'archivio rinvenuti, le liste, gli inventari e i cataloghi coevi giunti fino 288

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a noi, e gli stessi volumi, con miniature, postille, ex libris, legature e tracce d'uso, han­ no enormemente allargato le nostre conoscenze sull'antica Biblioteca di San Nicolò nella sua lunga esistenza, dalla seconda metà del Quattrocento fino a oggi. È stato anche possibile seguire singoli libri nel loro cammino, dalla loro acquisizione fino a noi. Valga, per tutti, un solo esempio. Nell'inventario dei 46 libri lasciati dal sacerdote Bernardino Meloni l' I I luglio 1505 troviamo «Quattuor volumina Nicolai de Lira su­ per testamento novo et veteri». n libro è ancora presente sui plutei della bibliotheca communitatis nel r 6oo, quando Giovanni Francesco Malazappi inviò il suo inventario alla Congregazione dell'Indice: «Nicolaus Liranus in totam sacram Bibliam veteris sci­ licet ac novi testamenti. Venetiis impressam per Octavianum Scotum anno 1488. Torni 4». La sua presenza nella biblioteca viene poi registrata dal Repertorio di Luca Tornini del 1 769. L'incunabolo dopo la soppressione del r 866, passò alla Biblioteca comunale di Carpi, dove si trova ancora oggi. L'edizione (IGI r 688) è una delle più eleganti tra quelle stampate da Boneto Locatelli per Ottaviano Scoto impreziosita da numerose silografie. L'esemplare di Carpi (ARCH. 2. m. r r - q) presenta, nei frontespizi dei quat­ tro volumi in cui è divisa, miniature vicine a quelle della bottega di Antonio Maria da Villafora, mentre gli spazi per le iniziali sono rimasti bianchi nei primi due volumi e arricchiti, nel terzo e nel quarto, con lettere a penna, rosse e blu. Sono presenti molte tracce d'uso con manipule e note marginali. L'appartenenza al convento di San Nicolò è testimoniata dalla nota di possesso: «Est Bibliothecae S. Nicolai Carpi». La nota sul frontespizio, cancellata in un secondo momento, «S. Margarita Mutinae» si riferisce probabilmente a una permanenza del libro presso il convento dei Frati Osservanti di Modena. n libro, in ogni modo, era giunto a Carpi nel 1505 grazie alla donazione del sacerdote Bernardino Meloni: «lstum librum dominus Bernardinus Mellonii reliquit fratribus Sancti Nicolai intra Carpum commorantibus». Oltre a consentire di ripercorrere il cammino di singoli volumi, queste analisi in­ crociate hanno permesso di delineare con più precisione la consistenza della biblioteca nei diversi momenti della sua evoluzione: ad esempio, sappiamo dall'inventario di Gio­ vanni Francesco Malazappi che gli incunaboli e le cinquecentine che si trovavano sui suoi plutei nel corso del Cinquecento erano circa un centinaio, cui vanno aggiunte alcune centinaia di libri che si trovavano nelle celle dei frati; erano circa 2.700 le opere che, nella seconda metà del Settecento, Luca Tornini ritenne utile catalogare ad uso degli studiosi nel suo repertorio. È inoltre stato possibile registrare, per così dire, il traffico in entrata e in uscita dei libri all'interno del fondo di San Nicolò, con la pre­ senza di tutte le tipologie: viaggi verso altre biblioteche, rientri dopo una permanenza in altri conventi o, addirittura, nei circuiti commerciali dei bibliofili, restituzioni fatico­ se dopo prestiti alquanto lunghi a privati, arrivi da altri conventi e da raccolte pubbli­ che o private, lasciti generosi o limitati a pochi volumi, per chiudere con le solite per­ dite che non lasciano nessuna traccia, se non quella di uno spazio vuoto sullo scaffale, ben presto occupato da altri volumi. Dopo la ricongiunzione, nel 1997, del fondo conventuale con quello della Bibliote­ ca comunale, tutti i libri di San Nicolò furono, finalmente, catalogati e messi a di­ sposizione del pubblico: fu questa semplice catalogazione istituzionale il primo passo verso la loro valorizzazione. Solo in seguito sono state programmate iniziative per far meglio conoscere la raccolta, sia presso la ristretta cerchia degli studiosi sia, soprattut­ to, presso il pubblico più ampio dei cittadini. Nacque così l'idea di procedere a una ulteriore catalogazione più analitica dei manoscritti, degli incunaboli e dei libri del Cinquecento appartenuti alla libreria di San Nicolò e confluiti nella Biblioteca Estense

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di Modena e in quella comunale di Carpi, con un ampio apparato di note all'edizione ma soprattutto all'esemplare, per documentare, grazie alle note di possesso, agli ex libris, ai timbri e agli altri segni d'uso, la loro presenza nell'antica biblioteca di San Nicolò e i loro eventuali itinerari al di fuori di essa. Non potevano infine mancare la trascrizione e l'identificazione di ogni voce dei due repertori giunti completi fino a noi, quello dell'anno I 6oo di Giovanni Francesco Malazappi e quello del I 769 di Luca Tornini, fonte insostituibile per ogni analisi bibliografica dell'antica biblioteca. Alcune iniziative hanno fatto corona agli interventi di recupero, di catalogazione e di tutela dei due tronconi, quello modenese e carpigiano, del fondo librario di San Nicolò: una mostra storica e bibliografica, aperta nelle sale rinascimentali del Castello dei Pio dal I 5 aprile all' I I giugno 2ooo; la ricostruzione virtuale della biblioteca sette­ centesca con percorsi interattivi su CD-ROM a partire dal repertorio di Luca Tornini; visite guidate, e laboratori di calligrafia e di miniatura in una sezione didattica della mostra; concerto nella chiesa di San Nicolò restaurata dopo il terremoto e lettura pub­ blica con accompagnamento musicale di brani ispirati alla religiosità francescana. Infi­ ne, un ciclo di conferenze tenute da studiosi ed esperti su aspetti e problemi della civiltà rinascimentale sulla scorta dei libri, riscoperti e rivisitati, di San Nicolò. Per non lasciare che questi eventi passassero come un vento leggero senza memo­ ria sulla vita culturale della città, la mostra è stata accompagnata dalla pubblicazione di un volume che, invece di illustrare con dovizia di particolari i materiali esposti alla curiosità del pubblico, riproponesse nei saggi della prima parte quanto di più significa­ tivo e duraturo era stato riportato in luce nel corso delle ricerche. Nacquero così i Tesori di una biblioteca francescana. Libri e manoscritti del Convento di San Nicolò in Carpi. Sec. xv-XIX, a cura di Anna Prandi, fatti stampare dal Comune di Carpi in 276 pagine presso il Poligrafico Mucchi di Modena. Nella seconda parte sono stati pub­ blicati, ad uso degli studiosi e con un ricchissimo apparato di note e indici che ne consentissero letture trasversali e ricerche incrociate, tre cataloghi: il catalogo dei Co­ rali miniati, conservati presso la Biblioteca Estense di Modena e il Museo civico di Carpi; il catalogo dei venticinque manoscritti di San Nicolò custoditi presso la Biblio­ teca Estense e la Biblioteca comunale di Carpi; il catalogo degli incunaboli e delle cinquecentine (quasi un migliaio) , non limitato alle edizioni sopravissute, ma compren­ dente anche quelle registrate nel catalogo che ne aveva allestito Luca Tornini nella seconda metà del Settecento, offrendo così un'ulteriore possibilità di analisi e di con­ fronto delle antiche edizioni di San Nicolò, di quelle scomparse o migrate altrove, di quelle che erano state acquisite nel frattempo, e di quelle giunte, fortunosamente, fino a noi. Gli studi e le ricerche non hanno avuto termine con la mostra. Un secondo volume è in attesa di stampa con nuove indagini, tra le quali giova ricordare almeno il saggio di Cesare Vasoli su Le biblioteche degli Ordini Mendicanti neltetà umanistica e la "li­ braria" francescana di San Nicolò di Carpi, e nuovi contributi che illustrano i materiali pubblicati, anche qui, nella seconda parte del volume, cioè l'inventario dell'archivio di San Nicolò e la trascrizione dell'indice di libri compilato da Giovanni Francesco Mala­ zappi nel I 6oo. Questo secondo volume vedrà la luce nel 2007 , quando i libri di San Nicolò, con gli altri fondi antichi della Biblioteca comunale di Carpi, saranno colloca­ ti, non più in Castello, ma al piano nobile della nuova sede, un'antica manifattura di cappelli completamente ristrutturata, e adattata alle nuove esigenze di studio e di let­ tura dei cittadini carpigiani e di quanti vorranno profittarne.

Il servtzto di consultazione di Gianna Del Bono

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Storia, definizioni e obiettivi

La biblioteca si colloca da sempre all'interno del circuito della conoscenza, in primo luogo attraverso la selezione, l'acquisizione, il trattamento e la ge­ stione dei documenti, ma anche con precise attività che puntano a incre­ mentare la disseminazione dell'informazione. All'interno della biblioteca possiamo distinguere due livelli del processo di informazione: quello prima­ rio o diretto, costituito dal sistema dei cataloghi che consente l'accesso ai documenti disponibili all'interno della biblioteca, e quello secondario o in ­ diretto che consente di dilatare la ricerca al di là del limite fisico costituito da una singola raccolta libraria. È a questo livello che si inserisce il servizio di consultazione. La sua storia è strettamente legata alle funzioni specifiche della biblioteca, concepita come struttura comunicativa, ma i suoi antece­ denti, o se vogliamo la sua preistoria, rivelano un rapporto profondo con l'espansione della produzione editoriale e con la conseguente specializzazio­ ne dell'organizzazione bibliografica. La biblioteca antica, intendendo per essa la biblioteca fino al XVIII seco­ lo, non conosce la distinzione per noi comune fra magazzino e sala di lettu­ ra. Essa è concepita come un apparato unitario di lavoro: è organizzata e gestita secondo principi e criteri che, pur cambiando nel tempo, coincidono con la concezione del sapere e della conoscenza e con i problemi della sua organizzazione e sistematizzazione, che sono terreni di lavoro della biblio­ grafia. Anche per questa strada troviamo dunque collegamenti forti fra l'ambito biblioteconomico e quello bibliografico: la Bibliotheca universalis del Gesner costituisce la prima risposta alla necessità non solo del reperimento di libri e di informazioni sul loro contenuto, ma anche a quella di poterli scegliere criti­ camente; alle stesse esigenze tendono a dare risposte i giornali letterari del Seicento, la compilazione di dizionari, di raccolte di sentenze e di citazioni, di enciclopedie, tutte tipologie di strumenti che cominciano ad essere pubblicati

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

a cavallo tra il Seicento e il Settecento, strumenti di mediazione e di ricerca, che travalicano la pura e semplice inventariazione di scritti 1 • Ma è la biblioteca moderna, figlia del XIX secolo, a imporre l o studio e la realizzazione di sistemi di mediazione sempre più sofisticati, che affianchino la compilazione dei cataloghi per autori e per materia. Tale sviluppo è più rapi­ do e consapevole là dove alla biblioteca si comincia presto ad assegnare non solo compiti di raccolta e organizzazione dei documenti, ma anche un ruolo attivo nella diffusione dell'informazione. Nel I 883 è attestata l'organizzazione di un servizio di consulenza nella bi­ blioteca pubblica di Boston; nel I 89 I appare per la prima volta il termine re/erence work sul Library Journal, organo dell' American Library Association (Leonardi, I 995 ; Aghemo, I 997). In Italia sembra che si verifichi un precoce recepimento del problema: a questo servizio e alla terminologia connessa fa riferimento più di una volta, nei suoi appunti manoscritti, ma anche in interventi editi, Desiderio Chilovi, direttore della BNCF, che per esempio sostiene con convinzione la necessità che le sale di lettura siano dotate di apparati di consultazione. In realtà si tratta di un recepimento del tutto personale, una specie di fuga in avanti asso­ lutamente non condivisa e compresa dai contemporanei. Un altro grande bi­ bliotecario dell'epoca, Giuseppe Fumagalli, contesta, ad esempio, assai dura­ mente, l'ipotesi di dotare le sale di lettura di apparati di consultazione. Biso­ gna aver presente questo contesto per capire come mai nella tradizione italia­ na, per moltissimi decenni, anche quando si giunse ad accettare l'ipotesi di dotare i luoghi di studio di apparati bibliografici, liberamente accessibili ai let­ tori, questo non si tradusse con l'organizzazione di servizi di informazione. Il problema cioè di realizzare quello che abbiamo definito il livello indiretto o secondario del processo di informazione si salda in modo anomalo al proble­ ma di fondo del sistema bibliotecario italiano, un sistema squilibrato, in cui non erano delineati funzioni e ruolo delle varie tipologie di biblioteche. In questo contesto le sale di consultazione, sale di studio dotate di apparati bi­ bliografici e distinte dalle sale di lettura, diventano invece lo strumento di un compromesso fra un uso indifferenziato delle biblioteche e la necessità di sal­ vaguardare la fisionomia di alcune, quelle di conservazione e di ricerca. Alle sale di consultazione viene cioè associato il concetto, decisamente antidemo­ cratico, di riserva, ovvero diventano sale riservate a particolari tipologie di utenti. Questa situazione, rimasta statica per decenni, è stata fortemente messa in discussione nell'ultimo trentennio, durante il quale si è sviluppato un vivace dibattito (Del Bono, I 992), Oggi parlare di sala di consultazione non avrebbe alcuna rilevanza pro­ fessionale se limitassimo il discorso ad uno spazio fisico della biblioteca e non

1. Per la storia della bibliografia e per il suo rapporto con i problemi dell'informazione e della comunicazione, cfr. Balsamo ( 1 995).

1 3 . IL SERVIZIO DI CO:-J S U LTAZIONE

lo inserissimo in un contesto di riferimento più ampio, all'interno del quale siano impliciti i concetti di servizio e di informazione. Ma se dal luogo fisico passiamo ad un approccio che metta in risalto la funzione informativa degli apparati solitamente allestiti in una sala di consultazione, se cioè si ragiona in termini di servizio, risolvendo l'ambiguo rapporto fra sala di consultazione e utente privilegiato, allora diventa possibile riflettere e analizzare le procedure di formazione e gestione di un apparato di consultazione, legandolo appunto a un'attività specifica, a un servizio. In questo modo una sala di consultazione, il suo apparato, il lavoro necessario ad approntarlo, ma anche a gestirlo, sia in senso fisico, che informativo, risultano segmenti fondamentali di un servizio più complesso che la biblioteca riterrà opportuno allestire per i suoi lettori, per realizzare una delle fondamentali attività della biblioteca, l'accesso al ma­ teriale documentario. Lo scopo del servizio è quello di predisporre la strumentazione idonea, in alcune situazioni anche forme di consulenza diretta e personale, in grado di sostenere l'utente in cerca di informazioni, da quelle più semplici relative alla biblioteca e al suo funzionamento, a quelle più complesse. Nell'impostazione tradizionale, tipica della realtà italiana, ma anche dell'Europa continentale, questo servizio si fonda sulla collezione di documenti e repertori allestita ap­ positamente, sull'organizzazione dell'attività informativa e sulla professionalità specifica del bibliotecario. Da sempre la biblioteca si è occupata di favorire la mediazione tra lettori e testi, ma se prima questo obiettivo veniva ampiamente soddisfatto dall'acquisi­ zione e dall'ordinamento di un certo numero di documenti, fisicamente pre­ senti in un certo luogo, oggi la biblioteca deve garantire l'accesso al più alto numero di documenti possibile. Questo obiettivo non si raggiunge contrapponendo in modo troppo rigido l'antica funzione di raccolta fisica di documenti con l'odierno approccio vir­ tuale all'informazione, ma integrando in modo coerente i vari piani d'inter­ vento: - la raccolta e l'organizzazione dei documenti; - l'informazione relativa alle proprie raccolte, ma anche a quelle dislocate altrove; - l'accesso e la messa a disposizione del materiale documentario su qualsiasi supporto e dovunque sia conservato. I J .2

Tipologia e articolazione del servizio 1 3 .2. 1 .

Alcune premesse

Nel momento in cui una biblioteca si appresta ad organizzare il servizio di consultazione occorre tenere ben presenti alcune premesse fondamentali. La prima si concretizza nella garanzia che il servizio sia fornito a tutti gli

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

utenti e in qualunque momento, condizione che postula un servizio di costan­ te buona qualità e impegna la biblioteca ad assicurarne la presenza e la conti­ nuità, ma anche a definirne preliminarmente l'articolazione, gli obiettivi e le caratteristiche. La seconda si fonda sulla consapevolezza che un servizio del genere non può essere delineato in astratto, ma deve necessariamente discendere da una serie di altri elementi che contribuiranno alla sua fisionomia, quali la vocazio­ ne della biblioteca e il contesto istituzionale in cui si colloca, le caratteristiche delle sue raccolte, l'ambito geografico e culturale su cui insiste, l'appartenenza o meno ad un sistema, l'esistenza di servizi analoghi eventualmente esistenti, le caratteristiche infine dell'utenza a cui si rivolge o a cui intende rivolgersi. L'ovvia conseguenza di queste premesse è l'imprescindibile necessità che la progettazione e l'organizzazione del servizio di consultazione siano precedute da una fase di riflessione e di conoscenza che investa complessivamente la bi­ blioteca, in tutte le sue componenti, e il relativo contesto. Su questa base dovranno essere precisati gli obiettivi del servizio, l'artico­ lazione delle modalità con cui sarà concretamente svolto, nonché il grado del­ l'attività informativa che si presume di poter offrire, senza dimenticare un'al­ tra variabile che gioca un ruolo importante in ogni situazione. Se è vero, cioè, che la specifica fisionomia di una biblioteca condiziona le caratteristiche di fondo del servizio di consultazione, è anche vero che il servizio, una volta im­ postato correttamente, può a sua volta avere ricadute significative sulla biblio­ teca, inducendo ad attivare per esempio nuovi settori di intervento e prospet­ tando nuove possibilità di sviluppo. r3 .2.2.

Gli obiettivi del servizio

Per quanto riguarda l'obiettivo del servizio sono possibili opzioni diverse che si collocano comunque all'interno di una scala che prevede ai due estremi mo­ delli concettualmente diversi. Si può ipotizzare ad esempio la costruzione di un servizio che intenda conseguire il massimo sviluppo della mediazione fra domande di lettori e risposte di libri/documenti. Un modello del genere si colloca in un ambito molto preciso, caratterizzato dall'attività di lettura e di studio e non può che essere fortemente condizionato dalla vocazione della bi­ blioteca, dalla fisionomia e dalla stratificazione storica delle sue collezioni. In un modello del genere la progettazione del servizio deve superare una dimen­ sione ristretta che punti semplicemente a realizzare la mediazione interna ad una biblioteca, per porsi invece come collegamento fra esigenze informative e risorse documentarie disponibili, ovunque siano fisicamente conservate, assicu­ rando un percorso di ricerca completo, anche se articolato per tappe succes­ sive. Diverso è il caso in cui si voglia costruire un tipo di servizio che ponga l'accento su una vocazione ampiamente informativa della biblioteca, che non tenga conto della discriminante del fattore lettura, ma si proponga un ruolo 294

1 3 . IL SERVIZIO DI CO:-J S U LTAZIONE

attivo nei confronti del pubblico, cercando di interpretarne i bisogni. In un modello del genere lo spessore dell'informazione si dilata e tende a coprire non solo l'ambito caratterizzato dal rapporto fra domande di lettori e risposta di documenti, ma anche quello più ampio e meno specialistico dei bisogni soggettivi di informazione generale. L'obiettivo diventa dunque soddisfare non solo esigenze strettamente e formalmente culturali, ma anche esigenze infor­ mative collegate alla vita sociale e familiare dell'individuo. Pur constatando una maggior aderenza del primo modello alle caratteristi­ che funzionali delle biblioteche generali di conservazione e di ricerca e di quelle specializzate disciplinarmente, e intravedendo nel secondo un possibile terreno di impegno delle biblioteche pubbliche di base, è opportuno ricordare che sono possibili articolazioni intermedie. La conoscenza delle proprie risor­ se, documentarie, finanziarie ed umane dovrebbe guidare il bibliotecario nella scelta dell'ambito di copertura da assegnare al servizio, evitando la tentazione di obiettivi eccessivamente ambiziosi e di un sovradimensionamento organiz­ zativo. 1 3 .2 . 3 . Le modalità Qualunque sia la scelta degli obiettivi e la relativa configurazione del servizio, l'articolazione delle modalità con cui viene concretamente svolto possono esse­ re molteplici. Dal modulo più semplice, in cui un solo bibliotecario gestisce tutte le fasi del servizio, a moduli più complessi, in cui il servizio, di per sé unitario, può segmentarsi all'interno della biblioteca in punti diversi, ciascuno responsabile di momenti specifici. I 3 .2 ·4· Intensità dell'attività informativa Un'ulteriore articolazione del servizio è data dal grado di intensità dell'attività informativa che si intende offrire. È indispensabile per la sua stessa efficacia che sia ben chiaro il grado di assistenza che una biblioteca può nell'economia generale garantire. In altri ter­ mini, una biblioteca deve scegliere quali domande soddisfare e fino a che pun­ to, a quale categoria di utenti riservare eventualmente un'attenzione particola­ re. Questo dipende strettamente dalle funzioni della biblioteca e dagli scopi e dagli obiettivi che intende raggiungere. Si può decidere di offrire un servizio di livello minimo, e generalmente esteso a tutti gli utenti della biblioteca. In questo caso, il bibliotecario si limita a fornire informazioni sull'uso degli strumenti biblioteconomici e bibliografici, stabilisce di soddisfare le domande che prevedono risposte immediate o ricer­ che brevi, ma evita di impegnarsi in ricerche più complesse, fornendo esclusi­ vamente suggerimenti sui primi strumenti generali da consultare. Non si occu­ pa, quindi, di scegliere materiale per l'utente e non assume responsabilità sulla pertinenza delle fonti reperite dal lettore. Può concorrere a questo approccio 295

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

al servizio anche la concezione della valenza pedagogica della biblioteca e del servizio stesso, per cui si opta per un'organizzazione che tendenzialmente svi­ luppi l'autonomia dell'utente e la sua capacità di orientarsi fra gli strumenti di mediazione predisposti. All'opposto, si può optare per il livello massimo, decidere cioè di fornire all'utente materiali già selezionati ed elaborati. In questo caso il servizio di consulenza sconfina nell'organizzazione di un vero e proprio servizio di docu­ mentazione, con la probabile conseguenza che si renda indispensabile una ri­ gida selezione dell'utenza. Naturalmente è possibile individuare gradi intermedi, compatibili e pro­ porzionati alle possibilità documentarie delle singole biblioteche e alle relative risorse economiche e professionali (Aghemo, 1 997; Leonardi, 1 995 ) . U n elemento irrinunciabile è l a visibilità del servizio, l a sua trasparenza: in altri termini è indispensabile che una serie di scelte siano precisate in via prio­ ritaria e rese pubbliche. Gli utenti della biblioteca devono, cioè, sapere se il servizio di consultazione sia destinato in modo indifferenziato a tutti, qualun­ que sia la natura del loro rapporto con la biblioteca, entro quali tempi e con quali modalità; o se invece venga assicurato un livello minimo del servizio uguale per tutti, garantendo al tempo stesso un trattamento diverso a specifici segmenti di utenza. Al contempo, occorre che siano informati se la biblioteca è in grado di assicurare un determinato livello di informazione in tutte le aree tematiche o se è invece possibile una differenziazione 2 • 1 3·3

Criteri di formazione e gestione di un apparato di consultazione

Qualunque sia la tipologia della biblioteca, la sua struttura organizzativa, le modalità e i livelli di servizio prescelti, non c'è alcun dubbio che l'informazio­ ne bibliografica, reperibile con le opportune tecniche - l'informazione cioè che è possibile ottenere dalle fonti scritte - costituisca ancora il fulcro, la par­ te privilegiata di tutto il processo informativo. Di conseguenza un momento centrale è sicuramente costituito dall'allesti­ mento della collezione di consultazione, cioè di quell'insieme di strumenti che consente al bibliotecario di esplicare compiutamente il servizio e all'utente alla ricerca di informazioni di fruire di un'ulteriore mediazione, oltre a quella tra­ dizionalmente costituita dai cataloghi. Occorre però che la collezione, allestita nello spazio fisico tradizionalmente coincidente con la sala di consultazione, sia effettivamente pensata e costruita in vista di questo servizio. Non di rado, infatti, le biblioteche pubbliche collo­ cano in questo spazio materiale improprio, che non contribuisce ad incremen-

2. Si veda online ( < http://www. carocci.it > ) un esempio di dichiarazione in tal senso.

1 3 . IL SERVIZIO DI CO:-J S U LTAZIONE

tare o a caratterizzare le potenzialità informative dell'apparato stesso, adottan­ do il criterio di collocare nella sala di consultazione le pubblicazioni che non siano disponibili per il prestito. I criteri ispiratori dovrebbero essere ben altri. L'indisponibilità al prestito non è connessa a caratteristiche intrinseche di questo materiale, essendo, invece, una conseguenza della funzione che esso svolge all'interno del servizio: deve essere sempre disponibile e presente in bi­ blioteca perché concorre a realizzare l'attività informativa della biblioteca stessa. Anche se una biblioteca è organizzata a scaffale aperto - mette cioè a di­ sposizione diretta del pubblico tutto il proprio patrimonio bibliografico -, la collezione di consultazione dovrebbe essere immediatamente visibile, e qualo­ ra non sia possibile separarla fisicamente dalle altre collezioni, nondimeno do­ vrà essere facilmente individuabile e fruibile. La formazione ex novo di un apparato di consultazione, ma anche la ge­ stione e l'aggiornamento dell'esistente, devono discendere da una serie di ri­ flessioni, che coinvolgono in primo luogo le motivazioni che stanno alla base della collezione, lo scopo cioè per cui deve essere formata, oppure è stata co­ stituita, ha mantenuto o modificato le proprie caratteristiche nel corso del tempo. In questa fase preliminare dovranno essere chiariti e formalizzati anche altri punti: sul fronte esterno della biblioteca, la tipologia di utenti a cui si presume sia destinata, nonché le modalità di accesso e di fruizione; su quello interno, le risorse umane che la biblioteca è disposta a coinvolgere nell'eroga­ zione del servizio. Per le ragioni appena ricordate, mentre le indicazioni che si possono forni­ re riguardo alla metodologia corretta a cui la costruzione di un apparato di consultazione dovrebbe ispirarsi, hanno validità dal punto di vista teorico, nel­ la pratica, qualunque scelta deve essere in stretta sintonia con il servizio che è stato delineato e progettato. In nessun caso quindi un'apparato di consultazio­ ne può essere modellato troppo precisamente su quello, anche ipoteticamente perfetto, realizzato da un'altra biblioteca. Entrando in merito all'organizzazione e alla gestione del servizio di consul­ tazione si possono individuare due ordini di problemi: quelli relativi alla for­ mazione e alla gestione della collezione e quelli riguardanti invece la vera e propria attività informativa. Per quanto riguarda il primo aspetto possiamo individuare una serie di momenti irrinunciabili, che possono essere riassunti nelle seguenti attività: - scelta della fisionomia e delle caratteristiche generali dell'apparato; - scelta del tipo di classificazione; - scelta del materiale (criteri di giudizio e di selezione dei repertori) ; - aggiornamento dell'apparato; - strumenti di gestione, conservazione e controllo. Il ragionamento esposto nelle pagine che seguono prescinde dalla natura del supporto degli strumenti che andranno a costituire la collezione di consul297

BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

tazione: dal punto di vista metodologico, infatti, i criteri ai quali conformarsi non cambiano. r 3. 3 . r . Scelta della fisionomia e delle caratteristiche generali dell'apparato La fisionomia complessiva dell'apparato non può ovviamente prescindere dalle caratteristiche e dall'articolazione del servizio che si intende offrire. Di conse­ guenza saranno subordinate alla valutazione di quelle variabili che sono già state evidenziate in precedenza (vocazione della biblioteca, tipologia delle sue raccolte, contesto istituzionale e ambito territoriale, appartenenza o meno a un sistema, utenza) , ma anche ad altri elementi come lo spazio disponibile, le ri­ sorse finanziarie che si possono destinare alla formazione e all'incremento del­ la collezione, la possibilità di accedere a risorse condivise, le pratiche di effet­ tiva cooperazione. Ne risulteranno apparati di consultazione molto diversi, non solo dal pun­ to di vista quantitativo, ma anche tipologico, per la maggiore o minore pre­ senza di alcune particolari tipologie di opere di consultazione, per un rappor­ to diverso tra fonti di informazione diretta e repertori bibliografici tradiziona­ li; diversi, nonché dal punto di vista della copertura disciplinare o, più gene­ ralmente, tematica. Non sarà inutile insistere su un concetto che è già stato espresso, ma che risulta particolarmente importante. Un servizio di consultazione efficace, e di conseguenza l'apparato di consultazione che ne costituisce lo strumento cen­ trale, non può porsi l'obiettivo di rispondere sempre e comunque a qualsiasi richiesta, bensì quello di essere in grado, in mancanza delle risorse necessarie, di individuare i luoghi e le strutture idonee a farlo. I criteri generali che dovrebbero ispirare la sua organizzazione sono: - la concezione dell'apparato di consultazione non tanto come raccolta fisica di documenti, quanto piuttosto come collezione di dati; - la visione integrata delle varie sezioni dell'apparato, al di là della necessaria dislocazione fisica degli strumenti; - l'attenzione a non compromettere eventuali, talvolta imprevedibili, futuri sviluppi adottando un'architettura eccessivamente rigida. Oggi la possibilità di accedere a fonti di informazione disponibili gratuita­ mente in rete, soprattutto di natura catalografica, ma anche di carattere docu­ mentario, consente alle piccole biblioteche di ampliare lo spessore informativo dei propri apparati di consultazione, senza oneri eccessivi, e di conseguenza modifica in parte i termini del problema. Resta comunque il fatto che una piccola biblioteca non può porsi l'obiettivo di sostenere con il proprio appara­ to di consultazione esigenze di informazione specialistica, non solo perché sa­ rebbe insostenibile dal punto di vista dello spazio e delle risorse economiche, ma anche perché inutile e dispersivo. In una visione di cooperazione e di scambio interbibliotecario corretta, le biblioteche pubbliche periferiche, di di­ mensioni più piccole, possono rinviare una buona parte delle richieste di in-

1 3 . IL SERVIZIO DI CO:-J S U LTAZIONE

formazione più sofisticate ad altri istituti più attrezzati e preoccuparsi soltanto di avere gli strumenti di consultazione indispensabili ad allestire un servizio commisurato alle esigenze della propria utenza, puntando all'organizzazione di un apparato calibrato per sostenere un'informazione di base, non necessaria­ mente, o comunque non solo, legata ad esigenze culturali. Allo stesso modo, una biblioteca specializzata dovrà preoccuparsi essen­ zialmente di dotare il proprio apparato delle opere indispensabili all'approccio e alla ricerca nelle discipline in cui è specializzata e in quelle strettamente affi­ ni e contigue, mentre per quanto riguarda l'apparato bibliografico generale, le scelte dovranno essere subordinate e compatibili con il proprio bilancio e in­ serite in una logica di cooperazione con altri istituti bibliotecari. La costruzione di un apparato di consultazione equilibrato e funzionale ri­ sulta forse meno problematica per le grandi biblioteche di carattere generale e con una forte vocazione alla conservazione e alla ricerca: una fisionomia preci­ sa che emerge dalla stratificazione delle raccolte, la presenza di un servizio di consultazione ormai consolidato, pur fra incertezze e storture, un uso e una frequentazione fortemente condizionati dai precedenti elementi rendono relati­ vamente più semplice il lavoro del bibliotecario. I problemi sono di altra natu­ ra e investono l'aspetto gestionale di collezioni solitamente ampie. Non meno determinanti le questioni di natura istituzionale, che spesso condizionano ne­ gativamente, ostacolandola, una concezione del servizio più dinamica (Pensa­ to, I99 I ) . r 3 . 3 . 2 . Scelta del tipo di classificazione Il problema dell'organizzazione fisica dei documenti all'interno della biblioteca è spesso stato trascurato dalla riflessione professionale italiana, che ne ha sot­ tovalutato il nesso con le pratiche di servizio e con la valenza informativa della struttura 3• Questo rapporto è ancora più forte nel caso di un apparato di consultazione, non tanto perché lo scaffale aperto esige una collocazione si­ stematica, quanto per la funzione che una collezione del genere è chiamata a svolgere: una collezione di consultazione costituisce il perno di un servizio di informazione e di consulenza complesso, su cui anche le scelte relative alla collocazione fisica possono avere una rilevanza non trascurabile. La riflessione sul tipo di classificazione più idoneo si impone ovviamente quando l'apparato di consultazione debba essere costruito ex nova, ma do­ vrebbe costituire un momento importante anche nei casi in cui una collezione

3· Su questi temi si veda la rapida, ma incisiva rassegna della scarna letteratura professiona­ le in Di Domenico ( 1 994) che affronta anche il problema concreto del riordinamento delle rac­ colte di una biblioteca universitaria. Ulteriori spunti e riflessioni vengono offerti da Di Domeni­ co (2003 , p. 5 1 ) ; Traniello ( 1 989).

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BIBLIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

del genere esista già, inducendo ad una verifica delle scelte e all'introduzione di eventuali correttivi, compatibili con le risorse logistiche ed umane a dispo­ sizione. Le collezioni di consultazione esistenti nelle biblioteche italiane sono ge­ neralmente organizzate sulla base di due sistemi di classificazione: quello che potremmo definire una classificazione tradizionale per materie, per lo più at­ testato in biblioteche medio-grandi, di non recente formazione, a carattere generale, con una copertura disciplinare sbilanciata verso l'area umanistica, e il sistema decimale, che le biblioteche di formazione più recente, organizzate per lo più a scaffale aperto, hanno applicato anche alla collezione di consul­ tazione. Nessuno dei due modelli appare oggi del tutto soddisfacente, in quanto non risponde pienamente all'esigenza di esaltare le potenzialità informative di una collezione di consultazione e di sottolineare una serie di aspetti irrinuncia­ bili, come ad esempio l'approccio interdisciplinare all'informazione o la possi­ bilità per l'utente di scorrere la strumentazione senza eccessive segmentazioni, senza considerare altri tipi di problemi che si scontrano con le rigidità delle gabbie proposte da qualunque sistema classificatorio, come la compresenza di risorse informative su supporti diversi da quelli tradizionali o le variegate pos­ sibili forme in cui si manifesta la domanda di informazione e di cultura. La classificazione decimale mostra limiti concettuali proprio nell'allesti­ mento di una collezione di consultazione. Una sua rigida applicazione porte­ rebbe per esempio alla separazione fisica di strumenti che nella logica della ricerca si presuppongono contigui (bibliografie e cataloghi specializzati fisica­ mente separati dalla manualistica) , oppure all'impossibilità di creare sezioni particolari, per contenuto o per caratteristiche formali, che si presumono fun­ zionali al servizio. Il sistema tradizionale di classificazione per materia può sembrare più ela­ stico, oltre che più immediatamente comprensibile. In realtà la sua gestione risulta più complessa, rispetto, ad esempio, alla classificazione decimale. Non è, infatti, sufficiente delineare una scansione del sapere più o meno coerente, ma occorre all'interno di ciascuna classe individuare ulteriori suddivisioni che coincidano con i settori, i campi e le ripartizioni della disciplina, nonché pre­ determinare una progressione analitico-formale-geografica, sulla base della quale possano essere inseriti gli strumenti. Dal punto di vista gestionale è op­ portuna l'adozione di un simbolo (solitamente una sequenza alfanumerica) che espliciti in modo chiaro e trasparente i singoli segmenti dello schema, per evi­ tarne successivi inquinamenti. Non è facile offrire indicazioni precise, avulse da contesti specifici e con­ creti, ma nella progettazione di un apparato di consultazione sembrerebbe consigliabile assumere, rispetto al problema della sua organizzazione fisica, un atteggiamento più duttile, studiando soluzioni intermedie, semiclassificate, che consentano la creazione di sezioni autonome là dove se ne avverta la necessità

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13 . IL SERVIZIO DI CO:-J S U LTAZIONE

o di superare, anche in un contesto di servizio tradizionalmente orientato ver­ so l'informazione di natura prevalentemente bibliografica, l'eccessiva frammen­ tazione dell'apparato, ricorrendo in prima istanza alla creazione di aree inter­ disciplinari e solo ad un livello successivo al concetto di disciplina 4• I 3. 3. 3.

Scelta del materiale. Criteri di giudizio e di selezione

La scelta del materiale da collocare in un apparato che possa funzionare da base e da supporto per un servizio di consultazione presuppone tre momenti. Il primo si concretizza nella valutazione formale di una pubblicazione, che può essere o non essere uno strumento di consultazione; in un secondo mo­ mento occorrerà valutare se lo strumento in questione si accordi con le ca­ ratteristiche del servizio, se sia funzionale o non rischi piuttosto di appesantire l'apparato; la terza fase, infine, implica invece giudizi di valore che dovranno portare a decidere se un determinato strumento sia scientificamente valido, anche in considerazione della data di pubblicazione, oppure a scegliere, fra più pubblicazioni, ugualmente valide, quella più rispondente allo scopo. La tipologia di opere idonee, da un punto di vista formale, ad entrare a far parte di un apparato di consultazione è molto ampia e variegata, ma la loro pre­ senza, soprattutto per quanto attiene alla prevalenza di una tipologia rispetto ad un' altra, è fortemente condizionata dalla fisionomia del servizio e dal con­ testo. È ipotizzabile, ad esempio, che nelle biblioteche medio-grandi, a carat­ tere generale, l'apparato di consultazione sia prevalentemente costituito da ri­ sorse bibliografiche e catalografiche, con caratteristiche di copertura retrospet­ tiva e internazionale, mentre abbia meno rilevanza la copertura di esigenze di informazione fattuale da soddisfare con risorse informative primarie e dirette. Solitamente opposta è, invece, la situazione che si presenta nelle biblioteche di base, medio-piccole, e ancor più nelle biblioteche specializzate, fortemente condizionate dall'ambito di riferimento. Il rischio più frequente è quello del­ l' eccessiva proliferazione del materiale, che si concretizza nella tendenza a ri­ produrre la biblioteca nel suo apparato di consultazione: oltre a non esssere in alcun modo funzionale al servizio, tale scelta può, alla lunga, determinare serie complicazioni nella gestione. La scelta tra più pubblicazioni rappresenta senz' altro la procedura più de­ licata, in quanto richiede, accanto alla valutazione degli elementi formali o esterni, una decisione in merito alla rispondenza o meno a criteri di funziona­ lità e di validità scientifica. Per le opere di consultazione è opportuno awa­ lersi del supporto di griglie di valutazione, attingendo a strumenti messi a punto e appositamente calibrati per questa tipologia di documenti: dalle gri-

4· Si vedano online ( < http://www. carocci.it >) alcuni esempi di ordinamento per la colle­ zione di consultazione.

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BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

glie di Whittaker e Katz, alle norme dell'ALA, strumenti peraltro ampiamente divulgati nell'ambito della letteratura professionale italiana 5• I 3. 3 ·4·

Aggiornamento e gestione dell'apparato

In Italia ci si trova di frequente in presenza di apparati di consultazione di alto livello da un punto di vista qualitativo e quantitativo, ma assolutamente sproporzionati e sovradimensionati rispetto al profilo dei rispettivi servizi e al­ l' effettiva consistenza del patrimonio librario delle biblioteche che li ospitano. Se un numero troppo esiguo di repertori condiziona in negativo l'uso della collezione generale e l'attività informativa, una presenza pletorica di strumenti rischia da un lato di fungere da elemento catalizzatore e di innescare una cre­ scita fine a se stessa, e dall'altro lato di non garantire funzionalità e capacità informative maggiori. Occorre, quindi, attivare un processo organizzato ed equilibrato di aggiornamento, che non significhi solo incremento, ma che con­ sti di due procedure fondamentali: la selezione delle nuove risorse; lo scarto dei materiali che siano stati giudicati ormai superati o che, per altri motivi, risultino inutili per l'armonia della collezione. Nella fase dello scarto possono essere d'aiuto le griglie di valutazione ri­ cordate prima, ma anche alcuni criteri generali, sulla base dei quali la sostitu­ zione di un vecchio documento con uno nuovo sarà ampiamente giustificata quando quest'ultimo sia realmente innovativo e superi per qualità intellettuale ed editoriale il materiale da sostituire; quando l'opera da scartare non sia più allineata con le richieste del pubblico o quando la sua assenza non pregiudi­ chi, comunque, la documentazione di base su di un argomento; quando, infi­ ne, sia tutelata l'imparzialità e la documentazione dei diversi punti di vista. È un'attività che richiede competenze specifiche, quali una conoscenza bi­ bliografica solida, la capacità di individuare e usare le fonti necessarie all'in­ formazione, la conoscenza profonda della biblioteca, di quello che è stata, che è e potrà essere, ma che non può prescindere da precisi momenti di monito­ raggio dell'uso della collezione e di valutazione complessiva dell'efficacia del servizio, che offriranno elementi conoscitivi importanti per impostare la strate­ gia di gestione dell'apparato e decidere con maggior sicurezza le direttrici di incremento e l'introduzione di eventuali correttivi 6• 5· Le proposte in questo senso sono molteplici, ma sostanzialmente prendono in considera­ zione gli stessi elementi di valutazione. Si veda online ( < http://www . carocci.it > ) un esempio di griglia di valutazione costruita tenendo conto delle varie proposte e idonea ad essere applicata a qualunque tipologia di opera di consultazione. Griglie specifiche per particolari tipologie di ope­ ra di consultazione, ma sostanzialmente riconducibili a quella generale sono offerte da Katz ( ! 997). 6. Sul complesso problema della valutazione dei servizi si veda, in questo manuale, il CAP. 7· I\'ello specifico per gli aspetti peculiari dei servizi di consultazione si possono vedere Pensato ( 1 99 1 ); Leonardi ( 1 995 ).

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13 . IL SERVIZIO DI CO:-.JS ULTAZIONE

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Strumenti di gestione, conservazione e controllo

Oltre che disegnare una precisa fisionomia del servizio, riempirla di contenuti, allestendo cioè l'apparato necessario a fornire il supporto del servizio stesso, fissare in modo chiaro le procedure adottate (a quali utenti si rivolge, che tipo di richieste intende soddisfare e a che livello) , occorre poi preoccuparsi di or­ ganizzare e predisporre tutta una serie di strumenti, necessari e opportuni a una maggiore efficacia e funzionalità del servizio stesso. È una fase che ri­ guarda sia l'aspetto per così dire interno del servizio, relativo, cioè al controllo fisico dell'apparato, sia quello esterno rivolto agli utenti. Sotto il primo profilo sarà per esempio opportuno documentare in modo chiaro e preciso non solo le procedure seguite nella costruzione e nell'allestimento dell'apparato, ma an­ che i successivi interventi. La gestione di un apparato di consultazione avrà bisogno poi di essere af­ fiancata da strumenti ausiliari, del resto noti alla prassi bibliotecaria, tanto più complessi quanto più ampio risulterà l'apparato stesso. Se nella maggior parte dei casi sarà sufficiente un inventario non solo per controllare le nuove immis­ sioni, la permanenza di alcune opere, le sostituzioni e le dismissioni del mate­ riale invecchiato e superato, ma anche per gestire da un punto di vista infor­ mativo l'apparato stesso, in altri sarà indispensabile allestire cataloghi speciali, sia per autori che sistematici. Un apparato come quello della Biblioteca nazio­ nale centrale di Firenze, ricco di oltre quarantacinquemila volumi, non po­ trebbe assolutamente essere controllato e vedrebbe ridotta la sua potenzialità informativa senza la presenza del catalogo che consente un approccio più ve­ loce e più mirato. Può anche essere opportuno predisporre alcuni strumenti che possano soddisfare le presumibili domande di carattere più generale, relative alle ca­ ratteristiche e al funzionamento del servizio, offrendo agli utenti una serie di prodotti preconfezionati, per esempio schemi illustrativi delle singole sezioni o classi disciplinari, guide al tipo di classificazione usato nella costruzione dell'apparato, brevi informazioni sulle caratteristiche dei principali repertori posseduti, liste di nuove acquisizioni, notizie circa l'esistenza sul territorio di biblioteche che documentino aree disciplinari non sufficientemente rappre­ sentate dalla biblioteca stessa, corredate possibilmente da indicazioni generali sul loro funzionamento (orari di apertura, modalità di accesso, principali ser­ vizi ecc . ) . La gestione d i un apparato d i consultazione deve oggi affrontare e risolve­ re un altro problema, dato che alla sua formazione contribuiscono strumenti su supporto diverso. L'impossibilità di avere una sequenza unitaria, che una volta era assicurata dalla presenza fisica sugli scaffali di tutti gli strumenti, sen­ za soluzione di continuità, adesso deve essere sostituita da un'unitarietà a po­ steriori, garantita e gestita continuamente dal bibliotecario, con materiali pre­ confezionati. Questo significa che per la strumentazione non presente diretta­ mente sugli scaffali, il bibliotecario dovrà individuare sistemi di raccordo, ad

BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

esempio preparare liste, organizzate sistematicamente, per argomenti, per di­ scipline, per temi, con schede illustrative di ciò che è possibile reperire. 1 3 ·4 Le opere di consultazione

La riflessione biblioteconomica italiana si è cimentata nel recente passato sul concetto di opera di consultazione, rilevando come nessuna delle definizioni attestate nelle enciclopedie, nei lessici o nei dizionari più diffusi risultasse ido­ nea a definirlo in modo chiaro ed esaustivo. Neppure gli elementi di struttura­ zione interna di una pubblicazione, l'essere per esempio a testo continuo o discontinuo, possono essere presi come fattori discriminanti dell'appartenenza o meno alla categoria delle opere di consultazione. È quindi inevitabile rinvia­ re a quelle riflessioni che invitano a prendere in considerazione piuttosto la funzionalità intrinseca di un'opera, la sua capacità di fornire risposte multiple, differenziate e simultanee, grazie al modo in cui è stata strutturata. Si giunge, così, a concludere che opera di consultazione è da ritenersi «ogni documento, su qualunque supporto, strutturato come un insieme, alle cui parti si possa accedere prescindendo dall'esame del tutto» (Aghemo, 1 989) . Un chiarimento ulteriore viene naturalmente dall'elenco tipologico di pubblicazioni ascrivibili alla categoria. Una prima distinzione, stabilita sulla base della capacità di un'opera di consultazione di offrire o meno una risposta immediata, porta a individuare due macrocategorie: - fonti primarie, che forniscono informazioni dirette o immediate, un indi­ rizzo, una definizione, una notizia biografica o storica o geografica; - fonti secondarie, che non forniscono direttamente la risposta alla domanda di informazione, ma forniscono il mezzo per accedere alla risposta, rinviando in forma di brevi citazioni alla fonte primaria e/o al documento (Pensato, I 99 I ) . Rientrano nel primo gruppo i dizionari, le enciclopedie, i repertori bio­ grafici, gli annuari, le cronologie, nel secondo i cataloghi, gli indici, le biblio­ grafie. In realtà la tipologia delle opere di consultazione si presenta molto più articolata, tanto che un'analisi del contenuto porta a individuare altre possibili classificazioni: - opere di tipo bibliografico, in cui l'informazione è mediata, presentandosi sotto forma di citazioni, per mezzo delle quali possiamo risalire al documento che ci interessa; - opere a testo discontinuo, in cui l'informazione è diretta, ma segmentata in voci indipendenti; - opere a testo continuo, in cui l'informazione segue uno sviluppo logico, se­ quenziale, ma a cui si può accedere anche puntualmente per mezzo degli in­ dici;

1 3 . IL SERVIZIO DI CO:-J S U LTAZIONE

opere di tipo iconico, in cui l'informazione è costituita da immagini, an­ ch' esse accessibili tramite indici; opere di tipo tabellare e numerico, che offrono informazioni grezze (Aghe­ mo, 1 997) . r 3.4· r .

Tipologia delle opere di consultazione

Le opere di consultazione di tipo bibliografico. Le opere di tipo bibliografico costituiscono sicuramente il nucleo forte di un apparato di consultazione, an­ che se la loro presenza può essere più o meno consistente a seconda della tipologia di biblioteca e delle relative caratteristiche del servizio. Rientrano in questo gruppo le bibliografie, i cataloghi di biblioteche, i cataloghi commer­ ciali, gli indici. RIQUADRO 13 . I Le opere di tipo bibliografico

Le bibliografie. La produzione bibliografica, a partire dall'opera del Naudé, che per la prima volta impiega il termine Bibliographia, è talmente vasta da far apparire presso­ ché impossibile non solo il suo controllo complessivo, ma anche la quantificazione ap ­ prossimativa di bibliografie ancora oggi utilizzabili con profitto, dato che non sempre una bibliografia più recente supera o rende superflua quella precedente. Per potersi muovere più agevolmente in questo universo, è necessario operare delle distinzioni, chiarire la diversa funzionalità delle bibliografie sulla base di caratteristiche precise, stabilire infine un linguaggio idoneo a individuare e definire in modo univoco tali ca­ ratteristiche, in altre parole tentare di disegnare una griglia di classificazione. La prima e fondamentale distinzione è quella che separa le bibliografie in due gruppi, le bibliografie generali e le bibliografie speciali o disciplinari. Le bibliografie generali tengono conto esclusivamente della forma delle pubblicazioni, ovvero nel pro­ cesso di scelta in vista dell'inclusione di una pubblicazione all'interno di un repertorio esse utilizzano criteri basati su elementi e caratteristiche esterne della pubblicazione. Non hanno, cioè, alcun tipo di preoccupazione di carattere contenutistico. Anche se è ormai tramontata l'idea della rappresentatività e dell'esaustività, l'obiettivo delle biblio­ grafie generali rimane comunque la registrazione sistematica della produzione libraria. Di conseguenza qualunque principio di selettività, nell'ambito delle bibliografie gene­ rali, deve esclusivamente basarsi su criteri formali delle pubblicazioni, quali la lingua oppure la data di pubblicazione. Le bibliografie speciali o disciplinari registrano le pubblicazioni tenendo, invece, conto del loro contenuto e coincidono tendenzialmente con il tracciato della ricerca scientifica nei vari ambiti disciplinari. Esse devono necessariamente applicare il princi­ pio della selettività fondandolo anche su giudizi di valore: il loro obiettivo è quello di fornire un'informazione scientifica, che quindi non può prescindere da elementi di valutazione. Le bibliografie, oltre ad essere strumenti per la registrazione di pubblicazioni, sono esse stesse pubblicazioni: una prima classificazione può quindi essere fatta, analizzando le loro caratteristiche esterne e le modalità con cui vengono edite. Sotto il primo

BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

aspetto una bibliografia può essere pubblicata in volume, oppure in fascicoli, o ancora a fogli mobili, ed oggi sempre più spesso su CD-ROM o in linea. Le modalità invece con cui vengono edite possono dare luogo a bibliografie in forma autonoma oppure a bi­ bliografie interne, dette anche criptobibliografie. Le prime hanno caratteristiche di pubblicazione autonoma e indipendente, mentre le seconde sono contenute o in qual­ che modo subordinate ad altre pubblicazioni (ad esempio le bibliografie che correda­ no una voce enciclopedica). I criteri redazionali, ovvero i criteri sulla base dei quali è stata elaborata la biblio­ grafia, introducono altre categorie tipologiche. Siamo in presenza di una bibliografia primaria (ma anche di prima mano), quando i dati che formano la registrazione biblio­ grafica sono stati desunti direttamente dalle pubblicazioni. Quando invece una biblio­ grafia viene compilata desumendo i dati bibliografici da altri repertori, viene definita secondaria (ma anche di seconda mano). Un'altra distinzione può essere introdotta esaminando invece il modo in cui vengo­ no presentate le registrazioni bibliografiche. Alcune bibliografie si limitano a elencare le notizie, ovvero a offrire solo gli elementi necessari alla descrizione e all'identificazio­ ne della pubblicazione: in tal caso si parla di bibliografie segnaletiche. Se invece le notizie bibliografiche sono seguite da note descrittive relative al contenuto, o anche da un commento di valutazione, siamo in presenza di bibliografie ragionate. Le bibliografie, segnalando un certo numero di documenti/pubblicazioni, offrono informazioni in determinati ambiti, che possono avere alcuni limiti, per esempio di carattere cronologico o linguistico, assicurando di conseguenza la copertura di una de­ terminata porzione dell'universo bibliografico, di carattere generale o disciplinare a se­ conda dei casi, ad esempio le pubblicazioni italiane oppure le pubblicazioni di storia edite in un determinato arco cronologico. Derivano da questo concetto di ambito/co­ pertura alcune suddivisioni tipologiche, che sostanzialmente poi si basano sul contenu­ to delle bibliografie stesse. Una bibliografia che registri pubblicazioni edite in più Paesi e in più lingue viene definita internazionale, mentre si definisce nazionale la bibliografia che registra pub ­ blicazioni edite in un solo Paese e/o in una sola lingua. Rientrano in questa categoria sia quei repertori che registrano le pubblicazioni stampate su un determinato territo­ rio, che quelli che indicizzano ciò che viene edito in una determinata lingua. Al concetto di copertura si riferiscono anche altri criteri di classificazione delle bi­ bliografie. Esse possono, infatti, dividersi in complete e selettive. Le bibliografie com­ plete tendono all'esaustività, mirano cioè a registrare tutto quello che viene pubblicato all'interno di criteri prefissati. Per alcune tipologie di bibliografie l'elemento della completezza è una caratteristica irrinunciabile, come nel caso delle bibliografie nazio­ nali. In realtà, molte di queste ultime operano esclusioni, basate però sempre su ele­ menti formali. Le bibliografie speciali, all'opposto, applicano il principio della selettivi­ tà, fondandolo anche su giudizi di merito o di rilevanza. Le bibliografie possono infine suddividersi a seconda della copertura cronologica assicurata. Quando oggetto delle registrazioni sono pubblicazioni edite in un determi­ nato arco di tempo esse si definiscono retrospettive ed hanno forma di pubblicazioni concluse, il cui aggiornamento viene eventualmente assicurato da supplementi o nuove edizioni. Si chiamano, invece, correnti le bibliografie che registrano le publicazioni co­ eve. A differenza delle bibliografie retrospettive, escono a intervalli regolari, più o meno frequenti e possono prevedere cumulazioni semestrali, annuali o pluriannuali che le trasformano di fatto in bibliografie retrospettive.

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1 3 . IL S ERVIZIO DI CON S U LTAZIONE

Infine le bibliografie possono essere classificate secondo la loro destinazione, in vir­ tù del loro carattere scientifico, bibliofilico, commerciale, scolastico ecc., e differire conseguentemente per quantità e qualità di informazioni offerte (Del Bono, 2ooo) . Per conoscere e dominare la produzione bibliografica, e avere quindi la possibilità di effettuare una scelta consapevole, il bibliotecario dispone di strumenti specifici, quali le bibliografie di bibliografie e le guide alle opere di consultazione. Le prime sono repertori che registrano bibliografie generali e disciplinari; alcune comprendono anche cataloghi di biblioteche. A volte la classificazione e la descrizione della produ­ zione bibliografica sono precedute da un'introduzione di carattere storico, teorico e metodologico. Le guide alle opere di consultazione differiscono dagli strumenti de­ scritti prima, perché non si limitano a registrare opere strettamente bibliografiche o catalografiche, ma segnalano anche altri strumenti utili all a ricerca (enciclopedie, dizio­ nari biografici, linguistici, annuari, manuali ecc. ). Hanno di norma un impianto inter­ nazionale e un ordinamento sistematico; sono necessariamente retrospettive, selettive e nella maggior parte dei casi ragionate. Bibliografie di bibliografie e guide alle opere di consultazione sono strumenti indi­ spensabili per la gestione del servizio di consultazione. Possono essere utili al bibliote­ cario esperto, in situazioni di emergenza, ma sono fondamentali per i principianti, per­ ché consentono un primo contatto e uno studio preliminare degli strumenti che poi si dovranno usare 7. Le bibliografie nelle loro varie forme e articolazioni saranno sempre presenti negli apparati di consultazione, anche se in proporzione diversa. Le biblioteche specializzate non potranno rinunciare alla presenza di tutti quei repertori che assicurino la copertu­ ra corrente e retrospettiva delle aree disciplinari di loro competenza, mentre le bi­ blioteche medio-grandi a carattere generale dovranno preoccuparsi di garantire la co­ pertura bibliografica corrente e retrospettiva nell'area linguistica di competenza e una documentazione adeguata anche in altre aree linguistiche 8• Diverso è il discorso relati ­ vo alle biblioteche pubbliche di base, soprattutto se di piccole dimensioni: nelle loro collezioni di consultazione la presenza di bibliografie, soprattutto retrospettive, sarà minore, non solo per l'alto costo degli strumenti bibliografici e le difficoltà connesse alla loro gestione, ma anche come conseguenza del fatto che il servizio offerto da que­ sti istituti è prevalentemente orientato a un'informazione di tipo immediato e fattuale. Altri generi bibliografici, che rispondono a esigenze di informazione più speciali­ stica, come le bibliografie di traduzioni, i repertori delle opere anonime o pubblicate con pseudonimi, i repertori della letteratura sgradita o proibita, o ancora le biblio­ grafie di pubblicazioni accademiche, troveranno accoglienza solo negli apparati di con­ sultazione delle biblioteche di ricerca, generali o disciplinari.

I cataloghi di biblioteche. I cataloghi assolvono una funzione profondamente diversa dalle bibliografie. Le prime, registrando in modo generalizzato la produzione editoria­ le, ci permettono di individuare i documenti pertinenti ai nostri bisogni informativi, 7. Sotto questo profilo il panorama della produzione in lingua italiana si presenta decisa­ mente povero. Un certo interesse verso la progettazione di strumenti del genere si è affermato a cavallo degli anni settanta e ottanta, ma non si è trasformato in progetti a lungo termine ed ampio respiro. 8. Online ( < http://www . carocci.it > ) si possono consultare le griglie che sintetizzano la co­ pertura minima della produzione editoriale corrente e retrospettiva per alcune aree linguistiche.

BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

assicurandoci della loro esistenza, i secondi consentono di localizzare i documenti che cerchiamo, nei limiti owiamente del patrimonio sedimentato nelle biblioteche. I cataloghi hanno, comunque, un alto potenziale informativo e contribuiscono spesso alla ricostruzione del panorama bibliografico retrospettivo di alcune aree, quan­ do non esistano o non siano state completate le specifiche bibliografie. Anche per quanto riguarda i cataloghi esiste una notevole varietà tipologica e fun­ zionale. Ottime fonti di informazione sono i cataloghi delle grandi biblioteche a ca­ rattere generale, per l'alto livello quantitativo delle loro collezioni, ma anche i catalo­ ghi delle biblioteche specializzate, perché consentono di scorrere la produzione che all'interno di una specifica area disciplinare o tematica è stata giudicata significativa e degna di essere selezionata e conservata. I cataloghi di singoli fondi e quelli di partico­ lari tipologie di pubblicazioni rivestono solitamente un alto interesse per la ricerca re­ trospettiva, mentre la funzione primaria dei cataloghi di periodici risiede nell'agevolare l'accesso e la disponibilità dell'informazione prodotta sotto forma di articoli. I cataloghi collettivi, che registrano il posseduto di più biblioteche, debbono la propria importanza sia alla maggiore estensione del patrimonio bibliografico censito, sia al fatto di consentire l'attivazione di processi cooperativi a beneficio della consulta­ zione e di altri servizi della biblioteca. Fino a non moltissimi anni fa l'utilizzo dei cataloghi come opere di consultazione era subordinato alla loro pubblicazione e all a possibilità per le biblioteche di impe­ gnare risorse non indifferenti per il loro acquisto. Oggi, il riversamento di un grandis­ simo numero di cataloghi, anche di biblioteche italiane, in formato elettronico rende, di fatto, disponibile, per lo più a titolo gratuito, una massa di dati consistente, che consente anche alle biblioteche più piccole di accedere a risorse prima inimmaginabili, con il risultato di incrementare il potenziale informativo dei loro servizi di consultazio­ ne e di supplire, anche se parzialmente, all'indisponibilità di repertori bibliografici re­ trospettivi . Il passaggio dal catalogo cartaceo a schede all'archivio elettronico può comportare, per il lettore, una serie di problemi, il primo dei quali consiste nella difficoltà, se non nell'impossibilità di capire se il riversamento sia stato attuato in modo completo o par­ ziale e secondo quali criteri. Un altro problema, riconducibile alla dispersione delle informazioni fra più cataloghi, è stato in parte risolto con l'allestimento dei metaOPAC, che, potendo interrogare simultaneamente i cataloghi di più biblioteche, si propongo­ no come veri e propri cataloghi collettivi virtuali (Metitieri, Ridi, 2005 ).

I cataloghi editoriali e commerciali. Rientrano in questo gruppo sia i cataloghi prodotti dal commercio librario, che offrono un ottimo sussidio al controllo bibliografico della produzione editoriale corrente di un Paese, sia quelli prodotti da singoli editori e li­ brai. Particolarmente importanti, per la cura descrittiva e per la completezza dell'infor­ mazione, sono i cataloghi prodotti in particolari occasioni, per esempio i centenari del­ le case editrici. Non è neppure da sottovalutare quel materiale, pubblicato anche in forma povera e con periodicità varia dai singoli editori, soprattutto come fonte di in­ formazione per l'aggiornamento dell'apparato.

Indici. Solitamente si indicano con questo termine gli indici annuali o pluriennali dei periodici. Essi consentono non soltanto la localizzazione di un articolo di cui si abbia­ no alcuni dati, ma anche una ricerca di notizie bibliografiche su un particolare tema. In genere, infatti, gli indici dei periodici, almeno quelli pluriennali, registrano non solo

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1 3 . IL SERVIZIO DI CO:-J S U LTAZIONE

in ordine alfabetico tutti gli articoli pubblicati su una rivista, ma organizzano queste informazioni anche per soggetto. Possono rientrare nella categoria anche gli indici di opere monumentali, per esempio raccolte di fonti, che per mancanza di spazio o per altri motivi, non si ritenga opportuno collocare direttamente nell'apparato.

Le opere di consultazione a testo discontinuo. Insieme a bibliografie e cataloghi, le opere a testo discontinuo costituiscono il nucleo forte di ogni apparato di consultazione. Per il modo con cui sono progettate e strutturate, esse sono la fonte di informazione primaria per eccellenza. La loro presenza è indispensa­ bile in qualunque situazione di servizio, ma costituiscono un elemento essen­ ziale per gli apparati di consultazione delle biblioteche di base, che dovrebbe­ ro essere organizzati proprio a partire da questa tipologia. RIQUADRO 1 3 . 2 Le opere a testo discontinuo

Annuarz: indirizzari. È una tipologia di pubblicazioni molto ampia. Vi rientrano le

pubblicazioni, edite annualmente da enti e istituti diversi, che segnalano dati pratici (indirizzi, organigrammi, attività), ma anche pubblicazioni edite con cadenze diverse che comunque forniscono, in modo più o meno sintetico, informazioni sulla localizza­ zione, composizione e attività di istituzioni e organizzazioni di ogni tipo.

Concordanze. Sono le opere che registrano i termini o i motivi ricorrenti di un'opera o di un autore e che specificano i passi, in cui tali termini o tali motivi possono essere attestati. Indispensabili in un apparato di consultazione di biblioteche orientate alla ricerca in ambito umanistico, possono risultare utili anche quando la vocazione della biblioteca sia diretta verso il supporto degli studi medi e universitari.

Cronologie. Utilissime per rispondere in modo rapido a quesiti relativi alla collocazione cronologica di un particolare fatto o awenimento, possono avere carattere universale o riferirsi invece ad ambiti geografici più ristretti, abbracciare un arco temporale molto vasto o invece soffermarsi su particolari periodi. Dizionari e vocabolari. La tipologia dei dizionari è estremamente articolata: vi rientrano i dizionari linguistici, a loro volta distinguibili in vari tipi (mono o plurilingui, etimolo­ gici, dei sinonimi, storici, dialettali), ma anche dizionari disciplinari e tecnici, che pon­ gono particolare attenzione al significato e all'uso dei termini in particolari ambiti. Enciclopedie. Sono fonti fondamentali di informazione diretta e immediata. Possono essere generali e avere un impianto alfabetico o sistematico, ma anche specialistiche, relative cioè a una disciplina o a un gruppo di discipline affini. Un'altra importante distinzione è quella operata fra le enciclopedie vere e proprie e i cosiddetti dizionari enciclopedici. Solitamente i secondi si differenziano dalle prime per un fine maggior­ mente divulgativo, per la brevità degli articoli che seguono i lemmi prescelti, che ri­ sultano quasi sempre anonimi, per la pressoché totale assenza di note bibliografiche.

BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E Q U ESTIONI

Da questo punto di vista possiamo distinguere le enciclopedie caratterizzate da un les­ sico ampio e quelle invece con lessico ridotto. Un impianto a lessico ampio prevede un consistente numero di lemmi, ma gli articoli relativi saranno in genere brevi e non firmati. Un repertorio del genere consente una ricerca più mirata e diretta, ma anche più superficiale: in questa categoria potrebbe essere inclusa la maggior parte dei dizio­ nari enciclopedici. Un impianto a lessico ristretto presenta un numero di lemmi più contenuto, a cui si accompagnano però articoli ampi, generalmente firmati e corredati da note bibliografiche. In questo tipo di enciclopedie è solitamente presente un consi­ stente apparato di indici, che consente di moltiplicare gli accessi, di effettuare collega­ menti tra le voci, di rintracciare termini non utilizzati come lemmi e di verificare il contesto in cui sono stati impiegati (Beaudiquez, 1989). Se è vero che l'aggiornamento è uno dei requisiti fondamentali per una moderna enciclopedia, è anche vero che alcune enciclopedie, per così dire storiche, possono risultare indispensabili per la ricerca retrospettiva: possono infatti contenere voci bio­ grafiche, tralasciate in seguito da altri strumenti, per far posto a personaggi ritenuti più importanti, ma anche lemmi relativi ad altri ambiti, letterari, artistici, tecnici ugual­ mente ignorati da altre enciclopedie più aggiornate.

Repertori biografici. Quasi tutti i grandi Paesi hanno iniziato (e talvolta completato) un repertorio biografico nazionale, naturalmente retrospettivo. Le personalità viventi sono registrate in strumenti più agili, pubblicati periodicamente (Chi è?, Who's who?). I repertori biografici possono avere anche una copertura geografica più ristretta, limitata cioè a una Regione o a una città, oppure contenere biografie di persone attive in ambi­ ti specifici. Esistono anche repertori biografici internazionali, ma in genere la maggior parte di questo tipo di pubblicazioni risale al secolo scorso. Una particolare categoria è costituita dai repertori, generalmente a impianto inter­ nazionale, che spogliano un certo numero di opere biografiche generali e speciali, or­ ganizzando i risultati in un'unica serie alfabetica. Di norma, per ogni persona biografa­ ta vengono forniti pochi elementi identificativi (nascita, morte e talvolta indicazioni sommarie sulla professione) a cui seguono i riferimenti ai repertori spogliati. Una tipologia ancora diversa è quella rappresentata dagli archivi biografici prodotti in anni recenti dall a Saur: si basano sul criterio dello spoglio di opere biografiche, ma aggiungono anche la riproduzione dei lemmi. Utilissime per il controllo della vasta produzione di raccolte biografiche sono, infi­ ne, le bibliografie di biografie 9•

Le opere di consultazione a testo continuo. Le opere di consultazione a testo continuo, pur avendo titolo a entrare in un apparato di consultazione, devono essere attentamente analizzate in funzione delle caratteristiche e della tipologia del servizio, per evitare i rischi, a cui si è accennato prima, di un sovradi­ mensionamento inutile della collezione.

9· Per una descrizione più dettagliata di bibliografie, cataloghi, enciclopedie e dizionari bio­ grafici, cfr. Del Bono (2ooo).

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1 3 . IL S ERVIZIO DI CON S U LTAZIONE

RIQUADRO 1 3 . 3 L e opere a testo continuo

Collezioni di testi. È una tipologia di materiale molto particolare, trattandosi in genere di collane editoriali molto prestigiose che raccolgono le edizioni delle opere fonda­ mentali in particolari ambiti o discipline. Sono assimilabili a questa categoria anche le edizioni delle opere complete dei grandi della letteratura o di altre discipline. La pre­ senza di queste collane in un apparato di consultazione è strettamente dipendente dal­ la funzione della biblioteca e dalle caratteristiche del suo patrimonio. Per esempio la presenza nell'apparato di consultazione della Biblioteca nazionale centrale di Firenze delle più importanti collane di classici latini e greci, o dell'edizione nazionale delle opere del Foscolo è pienamente giustificata dalla presenza nelle raccolte manoscritte degli autografi del Foscolo e da una ricca collezione di testimoni della tradizione classica. Fonti. Sono opere monumentali che raccolgono i documenti di carattere storico, giuri­ dico, religioso (raccolte di iscrizioni, di cronache, raccolte legislative di antiche istitu­ zioni) . La loro presenza o meno in un apparato deve essere attentamente valutata in rapporto alla funzione della biblioteca e alle caratteristiche delle sue raccolte.

Manuali. Con questa definizione si possono indicare sia le trattazioni di carattere stori­ co o scientifico di una disciplina, ma anche strumenti di carattere più pratico e di­ vulgativo, come i manuali del fai da te.

Trattati. Si intende per trattato l'esposizione sistematizzata di una disciplina o di una sua parte. Sono cioè quelle opere di base in cui sono condensate le conoscenze acqui­ site su un particolare argomento, in un dato momento. Guide. È una categoria molto composita, in cui almeno nominalmente si possono fare rientrare pubblicazioni assimilabili anche ad altre categorie, come ad esempio la Guida Monaci, che è in realtà un annuario, o le guide bibliografiche, sia generali che speciali, che rientrano forse più specificamente nella categoria delle bibliografie. Particolarmente importanti sono le guide geografiche e turistiche, che spesso, oltre a comprendere semplici indicazioni di itinerari e descrizioni di monumenti, contengo­ no anche altri tipi di informazione, proponendosi così come fonti per la storia, la geo­ grafia, l'economia, l'arte ecc. di una città, di una regione o di una nazione.

Le opere di tipo iconico. Sono repertori in cui l'informazione è costituita essen­ zialmente dall'elemento figurativo, mentre la parte testuale rappresenta solo un supporto secondario. Rientrano in questa categoria i repertori di araldica (stemmi, blasoni) , i cataloghi di musei, i repertori iconografici sia religiosi che profani, gli atlanti e le carte geografiche.

Le pubblicazioni in forma tabellare. Comprendono le pubblicazioni di carattere statistico o raccolte di dati numerici di carattere vario, ma anche tavole mate­ matiche, logaritmiche ecc.

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BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

1 3 . 4 . 2 . Tipologia dei supporti L'allestimento di un apparato di consultazione, oltre ai problemi analizzati fino a questo punto, deve anche confrontarsi con la pluralità di supporti su cui sono disponibili le opere di consultazione. Al momento non è possibile prefigurare soluzioni che non siano integrate, ovvero che registrino la com­ presenza di strumenti su supporti tradizionali e su supporto elettronico. La scelta fra un supporto e l'altro, spesso possibile, è condizionata da fat­ tori di carattere economico, ma anche gestionale e di servizio. Non sempre l'abbonamento a una banca dati, o l'acquisto di un repertorio disponibile su CD-ROM, sono compatibili con le risorse di una biblioteca medio­ piccola. Inoltre, la gestione di una rete locale di CD-ROM e lo stesso utilizzo degli strumenti da parte degli utenti possono risultare più complessi del previsto. Vi­ ceversa, lo sbilanciamento verso una massiccia presenza di strumenti su suppor­ to digitale, può provocare un sovraffollamento alle postazioni in linea, costrin­ gendo ad attese per risposte che potrebbero essere facilmente reperite consul­ tando un dizionario o un annuario o anche un enciclopedia cartacea. In linea generale, si può affermare che il supporto elettronico sia preferibile per gli strumenti di carattere bibliografico (bibliografie e cataloghi) , anche se in alcuni contesti, sicuramente di carattere specialistico, un'affermazione del gene­ re potrebbe risultare non del tutto condivisibile. Ad esempio, l'architettura, for­ temente strutturata in senso bibliografico, di uno strumento classico, come il catalogo a stampa della British Library pre- 1 9 75 , si frantuma nella versione elet­ tronica su CD-ROM e in linea, rendendo preferibile per alcune ricerche particola­ ri la versione a stampa, o comunque l'utilizzo sincronico delle due versioni Lo strumento automatizzato è sicuramente più flessibile, in quanto consen­ te una molteplicità di accessi all'informazione che il tradizionale strumento cartaceo non poteva assicurare. Non è altrettanto vero che assicuri sempre una maggiore quantità di informazioni, ovvero che abbia una copertura più ampia. Ad esempio, le bibliografie speciali correnti a impianto internazionale, di am­ bito umanistico, oggi generalmente disponibili anche su supporto elettronico, nelle due versioni su CD-ROM e in linea a pagamento, difficilmente assicurano una copertura accettabile della produzione in lingua italiana. Di conseguenza, dovranno venire integrate da quelle prodotte in ambito italiano, che sono tut­ tora per la maggior parte edite su supporto cartaceo, oppure sono transitate al supporto digitale solo di recente 10•

11•

I o. Consultando infatti BLC pre- 1 975 , per esempio alla voce Dante o Shakespeare, possiamo avere come risultato immediato una bibliografia soggettiva (edizioni di opere dell'autore) e og­ gettiva (studi sull'autore e sulla sua opera) , ovviamente nei limiti di copertura del catalogo e delle risorse documentarie della British Library. Per avere un prodotto del genere utilizzando la versione elettronica, dovremo ricorrere a interrogazioni multiple. I I . Si vedano online ( < http://www. carocci.it >) alcuni esempi di analisi comparata di re­ pertori della stessa area disciplinare.

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13 . IL SERVIZIO DI CO:-J S U LTAZIONE

La disponibilità di risorse liberamente accessibili in rete è sicuramente un vantaggio, anche se essa non esonera comunque il bibliotecario dall'operare una selezione, in particolare ogni volta che si presenti la scelta tra più di un supporto. In linea di massima, l'acquisizione di una medesima pubblicazione in più formati può essere giustificata soltanto qualora le edizioni offrano infor­ mazioni differenziate, quando i prodotti abbiano periodicità significativamente discordanti, oppure, infine, quando se ne preveda, o sia possibile, un uso di­ versificato. Si tratta, in definitiva, di valutare la convenienza e la funzionalità dell'uno o dell'altro supporto, tenendo conto delle caratteristiche del servizio, della bi­ blioteca, della tipologia dell'utenza, nonché di altri fattori come le risorse eco­ nomiche, i problemi gestionali, la situazione logistica, la possibilità infine di attivare forme di condivisione cooperativa. I problemi relativi alla scelta delle risorse su supporto elettronico (cD-ROM e online) sono identici a quelli, già analizzati, per i repertori su supporto tra­ dizionale. L'applicazione dei criteri di giudizio e di selezione del materiale consentirà al bibliotecario di scegliere le fonti più adeguate alla tipologia e alle caratteristiche del servizio e di proporle agli utenti in modo organizzato. Muo­ vendosi in questa direzione, molte biblioteche hanno predisposto sul proprio sito elenchi di risorse ordinate sistematicamente. Sul versante delle risorse di­ sponibili gratuitamente in rete è preferibile riferirsi a iniziative già consolidate, che si configurano come vere e proprie guide agli strumenti di consultazione presenti in Internet 12• 1 3 ·5 Organizzazione e gestione del servizio

Una volta delineata la fisionomia del servizio, individuati e dichiarati esplicita­ mente gli obiettivi e il livello di copertura e di intensità dell'attività informati­ va, e allestito l'apparato di consultazione, occorre organizzare concretamente il servizio. Dovranno essere stabilite, in primo luogo, le risorse da destinare alla sua gestione, che saranno di natura economica e umana e dovranno fondarsi sulla premessa ricordata in precedenza: il servizio dovrà essere garantito in ogni momento e mantenuto al medesimo livello, per tutti i lettori. Il momento chiave del servizio è rappresentato dall'incontro tra un biso­ gno di informazione e la capacità di interpretarlo e di soddisfarlo adeguata­ mente. Il bibliotecario cui è affidato il servizio deve quindi avere competenze complesse: deve conoscere la propria biblioteca, il contesto in cui opera e le 1 2 . Mi riferisco alle esperienze di virtual re/erence desk, generali o specializzate, come ad esempio SegnaW eb (risorse online di ogni argomento selezionate da biblioteche prevalentemente pubbliche, < http:/ /www.segnaweb.it/ > ) , DFP (risorse online di ambito giuridico selezionate da biblioteche prevalentemente specializzate, < http://www. aib.it/dfp/ > ) o ancora al sito curato dalla Regione Toscana ( < http://www.cultura.toscana.it/biblioteche/servizi_web/vrd!index.shtml > ) .

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risorse disponibili sul territorio; avere dimestichezza con le fonti di informa­ zioni più disparate, saperle individuare, valutare e usare; ma deve anche saper gestire il rapporto con gli utenti in modo corretto, senza lasciarsi influenzare da diversità di natura culturale, condizione sociale, provenienza e condizione fisica. Al tempo stesso, deve essere in grado di variare opportunamente i pro­ pri registri comportamentali e linguistici, perché qualunque richiesta, da chiunque venga avanzata, possa avere una risposta soddisfacente. I bisogni informativi possono prendere la forma di domande assai diverse, andando dalle richieste di chiarimento su orari o servizi della biblioteca a que­ siti più complessi, tesi a ottenere informazioni precise ed esaurienti sugli argo­ menti più disparati. Il loro soddisfacimento presuppone l'adozione, da parte del bibliotecario, di strategie differenti. Il bisogno informativo deve essere in­ terpretato correttamente, in modo tale che sia possibile estrarre i dati necessa­ ri a impostare la strategia di ricerca finalizzata all' ottenimento della risposta desiderata I3. Ci si può limitare a fornire risposte immediate a domande di localizzazione, indicare gli strumenti idonei a fornire risposte che presuppon­ gano brevi ricerche, impostare la strategia per una ricerca più complessa, sug­ gerendo le fonti da consultare. In altri contesti si potrà arrivare a un interven­ to di assistenza diretta, qualora venga accertata la difficoltà nell'uso dei re­ pertori da parte del lettore, o anche svolgere la ricerca al posto dell'utente, se la biblioteca è orientata verso il modello di servizio massimo. È abbastanza improbabile che le biblioteche pubbliche di base italiane possano garantire quest'ultimo servizio a tutti i propri utenti. Solitamente esse si attestano su livelli intermedi, assicurando l'assistenza necessaria a impostare la strategia della ricerca e a usare i repertori e le fonti via via consultate. Se una bibliote­ ca decide di attivare anche interventi di tipo sostitutivo, assumendosi la re­ sponsabilità di effettuare la ricerca al posto dell'utente, sarà necessario stabili­ re precisamente i tempi e le modalità di risposta. Altrettanto importanti sono poi alcune decisioni relative alla gestione del servizio stesso, che vanno comunque precisate e formalizzate, in funzione di una maggiore efficacia. Sarà opportuno, ad esempio, nei limiti del possibile, tendere a un comportamento standardizzato nel momento dell'intervista (il colloquio preliminare attraverso il quale si cerca di interpretare correttamente il bisogno informativo) ; utilizzare stili citazionali uniformi nell'indicazione dei documenti utilizzati o suggeriti per l'approfondimento di una t ematica; mette­ re a punto strategie di ricerca che rispondano alle esigenze informative più frequenti; predisporre materiale informativo sugli strumenti che si presume of­ frano maggiori difficoltà di consultazione, sia in merito allo specifico contenu­ to, che al loro funzionamento.

1 3 · Ampio spazio ai problemi del processo di comunicazione fra bibliotecario e utente vie­ ne dato da Ferro (2ooo); Aghemo ( 1997 ) ; Leonardi (2ooo).

Il reference digitale di Riccardo Ridi ,-r

1 4. 1 Definizioni e obiettivi

Dopo l'automazione dei cataloghi e insieme alla digitalizzazione delle collezio­ ni, la terza grande sfida per le biblioteche di oggi e di domani è costituita dalla virtualizzazione del servizio di reference. Servizi di assistenza agli utenti svolti a distanza e quindi, da un certo pun­ to di vista, "virtuali" , sono sempre esistiti, ma il salto fra le tecnologie analogi­ che come il telefono, il fax e la corrispondenza cartacea e quelle digitali oggi disponibili è tale da giustificare in molti contesti - incluso questo stesso ma­ nuale - la creazione di un "capitolo" a parte dedicato al re/erence service "di­ gitale" o "virtuale ", nel quale comunque restano tutto sommato prevalenti gli aspetti di continuità rispetto ai tradizionali servizi di assistenza, istruzione e informazione degli utenti. Come si può intuire anche dai titoli citati in bibliografia, i termini "digita­ le" e "virtuale" sono, in questo contesto, sostanzialmente equivalenti e inter­ cambiabili, pur non risultando né l'uno né l'altro completamente soddisfacen­ ti. "Virtuale" , infatti è un termine eccessivamente vago e ambiguo, mentre l'at­ tributo " digitale" parrebbe più appropriato per una collezione o comunque per qualcosa di inanimato, piuttosto che per un servizio basato sul dialogo fra esseri umani. La dizione " reference online" sarebbe probabilmente più appro­ priata, ma ha avuto finora minore fortuna. Ulteriori termini utilizzati più rara­ mente sono " reference remoto ", " reference elettronico " , " e-reference", "chiedi in biblioteca" e "chiedi al bibliotecario " , nelle varie lingue e varianti (Bene­ detti, 2 00 3 ; Galluzzi, 2004 a) . Una certa attenzione va rivolta anche all'espressione "virtual re/erence desk" e al suo popolare acronimo VRD, che vengono talvolta utilizzati per indi­ care un vero e proprio servizio di reference digitale (ovvero un virtual re/e­ ren ce service o VRS) , laddove sarebbe invece più esatto ridurne l'ambito di ap-

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L'autore ringrazia Juliana Mazzocchi per i suggerimenti e la revisione.

BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

plicazione a quei repertori di risorse online disponibili sui siti di molte bi­ blioteche che costituiscono un'utile premessa a un servizio di assistenza, ma che certo non lo esauriscono. In ogni caso, comunque la si voglia chiamare, l'attività in questione consi­ ste sostanzialmente nell'assistere, istruire e informare utenti fisicamente lontani dalle sedi delle biblioteche e dai relativi operatori utilizzando risorse telemati­ che e in particolare Internet. Quattro sono i livelli, di crescente impegno per le biblioteche che vi si cimentano, su cui può assestarsi l'offerta di questo tipo di servizio. - VRD- I . Limitarsi a predisporre un OPAC, un VRD e altri repertori di fonti informative, liberamente utilizzabili dagli utenti remoti sul sito della bibliote­ ca. Non si tratta ancora, a rigore, di un vero e proprio servizio di reference, perché è l'utente stesso che si " auto-aiuta" , in modalità self-service, tuttavia creare e mantenere tali strumenti presuppone comunque, da parte della bi­ blioteca, il lavoro di uno o più re/eren ce libraria n. - VRD-2. Utilizzare, per la creazione di tali repertori online di risorse infor­ mative, appositi software che ne permettano la personalizzazione e un uso in­ terattivo da parte degli utenti registrati. - VRS- I . Affiancare ai VRD (statici o personalizzabili) un vero e proprio VRS, ovvero la possibilità, per l'utente remoto, di interagire coi bibliotecari per ri­ cevere assistenza personalizzata, sebbene attraverso strumenti che consentono solo un dialogo "in differita " , come la posta elettronica. Si tratta del primo livello di vero e proprio reference digitale, definito talvolta "asincrono " . - VRS-2 . A questo livello, variamente articolabile i n base alle modalità ge­ stionali e alle tecnologie impiegate, l'assistenza online dell'utente avviene addi­ rittura in tempo reale, sebbene quasi sempre solo all'interno di orari definiti, grazie a software come webcam e chat (Coffman, 200 3 ; Kimmel, Heise, 200 3 ) . S i può parlare, i n tal caso, d i reference digitale " sincrono" oppure utilizzare i fuorvianti termini "live reference" e "real-time reference", che potrebbero far pensare piuttosto al reference tradizionale se non adeguatamente contestua­ lizzati. Nell'ambito dei livelli VRS - I e VRS-2, il reference digitale si interseca con un altro concetto collegato ma distinto, ovvero quello dell'e-learning. Così come fa parte delle varie attività inquadrabili all'interno del reference tradizio­ nale anche l'istruzione dell'utenza (Rasetti, 2004 ) , allo stesso modo forme di insegnamento/apprendimento digitali, virtuali o online che dir si voglia posso­ no far parte del reference digitale sia sincrono che asincrono. Ovviamente ciò non significa che l'e-learning della matematica o della geografia siano forme di re/erence service, ma solo che questo strumento sempre più diffuso può essere applicato anche alle discipline bibliografiche e biblioteconomiche, utilizzando­ lo per l'alfabetizzazione informativa degli utenti oltre che per la formazione e l'aggiornamento professionale dei bibliotecari (Allen, 2 002; Ballestra, 2 00 3 ; Fiorentini, 200 3 ; Ridi, 2004a; Tammaro, 2004 ) . Un ulteriore collegamento fra 3 I6

1 4 . IL REFERENCE D I G ITALE

e-learning e reference digitale è costituito dal fatto che gli utenti del primo tipo di servizio tendono a diventare facilmente anche utenti del secondo (Ma­ honey, 2 002; Johnson, Reid, Newton, 2004 ) . Così come il reference a distanza non è a rigore necessariamente digitale, allo stesso modo la formazione a distanza si può fare anche via radio, televi­ sione o inviando dispense cartacee o videocassette per posta, anche se ormai tale espressione (e il relativo acronimo FAD) viene sempre più spesso utilizzata come sinonimo di e-learning online, con l'esclusione quindi persino dell'au­ toapprendimento mediante CD- ROM, DVD o altri strumenti digitali offline 1 • All'interno della FAD, intesa quindi d'ora in poi esclusivamente come digi­ tale e online, si possono distinguere tre diversi livelli. FAD-o. Spesso viene già considerata attività formativa quella che, in una classificazione più rigorosa, potrebbe benissimo restare nell'ambito prettamen­ te editoriale, sebbene magari multimediale e ipertestuale, ovvero la predisposi­ zione e diffusione online di contenuti didattici digitali in vari formati. A que­ sto livello l'interazione fra docenti e discenti (e fra i discenti stessi) manca, oppure avviene esclusivamente durante le lezioni tradizionali che vengono spesso intercalate al lavoro online 2 • FAD- I . Solo a questo livello inizia il vero e proprio e-learning, che implica una stretta interazione fra docenti e discenti (e possibilmente anche fra i di­ scenti stessi, per non parlare di quella, ancora più rara, fra i docenti) , permet­ tendo richieste di chiarimento e approfondimento, momenti di discussione e meccanismi di valutazione e autovalutazione, tutti svolti online in modalità asincrona. I materiali didattici digitali adottati dovrebbero essere strutturati in modo tale da integrarsi pienamente in tale flusso, potendosi così legittimamen­ te fregiare del titolo di learning object, talvolta impropriamente attribuito an­ che ai materiali " statici" tipici di FAD-o. FAD-2 . Come il livello precedente, ma con in più la possibilità di interazio­ ni in tempo reale, ad esempio tramite videoconferenze, audioconferenze, chat o "browsing condiviso", che avviene quando il docente "prende il comando" del browser o comunque dell'interfaccia utente dei discenti.

r. Paradossalmente, nel linguaggio corrente, un CD-ROM che introducesse gli utenti di una biblioteca ai suoi servizi o che illustrasse i rudimenti della ricerca bibliografica, pur essendo in­ dubbiamente uno strumento digitale e pur costituendo una forma di apprendimento/insegna­ mento tipica del re/erence service, rischierebbe di fuoriuscire dagli ambiti sia del reference digita­ le che dell'e-learning, per come tali termini vengono comunemente intesi. 2. «Si parla di "formazione mista" nel caso in cui i due metodi [online e offline] vengano impiegati all'interno dello stesso corso. La tendenza attuale è quella di erogare corsi di formazio­ ne mista, in cui i momenti di formazione in aula rappresentano circa il 30 per cento della durata dell'intero corso. La formazione mista prevede generalmente un intervento in presenza, una fase di apprendimento individuale, un momento di attività in rete centrato su discussioni, esercitazio­ ni e produzione collaborativi» (Fiorentini, 2003 , p. 8). L'approccio "misto", quindi, può perma­ nere anche ai livelli FAD-r e FAD-2.

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1 4 .2 Strumenti e competenze

Per fare reference digitale ci sono tre tipi di risorse imprescindibili, delle quali non si può fare a meno per mettere in piedi un servizio accettabile: del perso­ nale competente e con sufficiente tempo a disposizione, delle fonti informative a cui tale personale possa attingere per offrire aiuto agli utenti e le risorse tecnologiche (hardware, software, infrastrutture di rete, assistenza tecnica) ne­ cessarie per organizzare il servizio e far arrivare tale aiuto fino agli utenti re­ moti. Per quanto riguarda le fonti informative, esse sono indispensabili, tanto nel reference tradizionale quanto in quello digitale, sia per recuperare le infor­ mazioni richieste dagli utenti che per istruire gli utenti stessi a consultarle au­ tonomamente. In entrambi i casi, contrariamente a quello che potrebbe su­ perficialmente sembrare, è indispensabile conoscerne le principali tipologie e averne a portata di mano una discreta selezione sia in ambito digitale che in quello analogico. Impensabile fare in questa sede degli elenchi commentati di tipologie e tanto meno di singole opere, per i quali si rimanda piuttosto a Del Bono (2ooo) in ambito analogico e a Metitieri-Ridi (2005 ) e Ridi (2005 ) per il ver­ sante digitale. Sul fronte tecnologico, mentre per la costruzione e la manutenzione di VRD statici sono sufficienti dei normali editor testuali (da Word a NotePad) e HTML (da Homesite a Dreamweaver), per quanto riguarda quelli personalizzabili da­ gli utenti si stanno diffondendo, soprattutto nelle biblioteche universitarie, software molto costosi che consentono di creare e gestire "portali" unificati per l'accesso a una pluralità di fonti informative digitali locali e remote. Non si è ancora giunti a un accordo completo, né in letteratura né nella pratica professionale, sul termine da utilizzare per identificare questa tipologia di pro­ dotti, che viene spesso individuata coi nomi di alcune delle sue più diffuse applicazioni commerciali: MetaLib, ENCompass, MuseSearch ecc. (Dorner, Curtis, 200 3 ), spesso proposte dai rispettivi produttori in abbinamento con software (collegati ma distinti) per il cosiddetto " reference linking" (sFx, Link­ Seeker) LinkFinderPlus ecc . ) . Essi possono generalmente essere estesi fino a includere il tradizionale OPAC della biblioteca, consentendo una metainterroga­ zione globale che può condurre, di volta in volta, ai metadati di una risorsa posseduta in /ull-text solo in formato cartaceo oppure al /ull-text stesso di una gamma più o meno ampia di risorse digitali locali o remote, acquisite o sele­ zionate, gratuite o tariffate (Ridi, 2 0o4b) . Sempre a livello di VRD-2 , fra i vari software che consentono all 'utente di plasmare su misura dei propri bisogni informativi i repertori messi a disposi­ zione dalle biblioteche, annotando, valutando, selezionando e ordinando le ri­ sorse ivi contenute (Cavaleri, 2oo r ; Longa, 2oorb) , può valere la pena di citare anche i meno versatili MyLibrary (utilizzato, fra gli altri, dal progetto di VRD 3 I8

1 4 . IL REFERENCE D I G ITALE

cooperativo fra biblioteche pubbliche " SegnaWeb " , < http://www. segnaweb. it > ) e Scout Porta l Toolkit (utilizzato, fra gli altri, dal progetto di VRD coope­ rativo specializzato DFP, < http://www. aib. it/dfp > ), che hanno però il vantag­ gio di essere open source e quindi gratuiti. Lo strumento principe del reference digitale asincrono è sempre stato e resta tuttora la posta elettronica, meglio se gestita da software per la gestione di mailing list (dal sofisticato ma costoso Listserv al prodotto open source Mailman fino ai "Gruppi " , < http://it.groups.yahoo.com > , sponsorizzati da Yahoo/) . Infatti un buon servizio di base a livello VRS - r può essere fornito semplicemente mettendo a disposizione su Web dei moduli (/orms) strutturati per l'effettuazione delle richieste da parte degli utenti e utilizzando una mai­ ling list che conduca tali richieste all'intero staff dei reference librarians coin­ volti, ben formati e dotati di precise regole per stabilire chi, quando, come, in che misura e a quale livello dovrà rispondere a ciascuna richiesta. Ma è a li­ vello di VRS - 2 , ovvero di reference digitale " in tempo reale" o " sincrono " che ci si può veramente sbizzarrire con le soluzioni tecnologiche più disparate, tutte finalizzate a mettere in contatto due o più persone distanti fisicamente ma collegate via Internet attraverso canali testuali, audio, video o loro varie combinazioni, come descritto in vari manuali di e-learning (Banzato, 2 002; Bruschi, Perissinotto, 200 3 ; Eletti, 2002 ) o, più in generale, di comunicazione digitale (Metitieri, 2 00 3 ) . Sia in ambito VRS- r che VRS-2, i vari strumenti utilizzati possono anche ve­ nire integrati all'interno di un unico virtual reference software (Longa, 2oo r a) come vRLplus, L.SSI Virtual Reference o Virtual Reference Toolkit (Boss, 2005 ) che li inserisca in una cornice comune, evitando le duplicazioni e rendendo più fluidi i passaggi sia per le attività di front o/fice (scelta dell'interfaccia, dia­ logo in contemporanea con più utenti o colleghi, navigazione parallela fra utente e addetto ecc.) che per quelle di back o/fice (filtraggio e smistamento delle richieste di aiuto, aggiornamento degli strumenti repertoriali, training dello staff, archiviazione di domande e risposte riutilizzabili ecc.) . Anche per quanto riguarda l'e-learning, tutti i livelli da FAD-o a FAD-2 pos­ sono essere gestiti sia, più artigianalmente, con una serie di software indipen­ denti fra loro (e-mail, mailing list o altri " forum di discussione " , newsgroup o altre "bacheche", chat, audioconferenze, videoconferenze, browsing condiviso, editor per produrre documenti digitali in vari formati, strumenti per "carica­ re" - uploading - e " scaricare" - downloading - tali documenti da uno spazio online condiviso ecc.) sia, in modo più fluido e sofisticato, con pacchetti inte­ grati (o "piattaforme" ) chiamati LMS (Learning Management System) , fra i quali si può citare Moodle, utilizzato, fra gli altri, da CILEA e Formez. Il personale coinvolto nel servizio dovrebbe avere già una buona conoscen­ za sia teorica che pratica dei metodi e dei problemi "classici" del reference e della formazione degli utenti (illustrati nei CAPP. r 3 e r 6 di questo manuale, curati rispettivamente da Gianna Del Bono e Maria Stella Rasetti) , possibil­ mente maturata attraverso l'esperienza di gestione di un servizio di assistenza

BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

agli utenti "tradizionale" . E, prima di inaugurare un VRS-2, sarebbe meglio che la biblioteca e il suo personale fossero passati attraverso una fase di VRS- r . Inoltre lo staff dovrebbe essere in grado di padroneggiare l a posta elet­ tronica e gli altri strumenti di comunicazione digitale impiegati, non solo dal punto di vista strettamente tecnologico ma anche da quello dello stile (Meti­ tieri, 2 00 3 ) , per non incorrere in problemi tipici dei neofiti (Ronan, Reakes, Cornwell, 200 3 ) come le «scarse abilità di comunicazione interpersonale, de­ boli capacità di autoprogrammazione e gestione del tempo, difficoltà a definire delle priorità e a controllare le proprie opinioni» (Longa, 2004 , p. 75 ) . Occorre infine essere ben consapevoli che intraprendere l a strada del refe­ rence digitale, a fronte di una positiva estensione quantitativa e di un miglio­ ramento qualitativo 3 del servizio di reference complessivo fornito dalla biblio­ teca, comporta un aumento del carico di lavoro dello staff, almeno finché l'u­ tenza prevalente continuerà ad essere quella "in carne ed ossa" . «La gestione non può dipendere dall'iniziativa estemporanea o dall'interesse personale di singoli addetti il cui allontanamento potrebbe diventare addirittura causa della chiusura del servizio. Si può awiare una sperimentazione solo se si hanno condizioni di operatività che garantiscano la disponibilità di tempo-lavoro li­ bero da diverse e spesso concorrenti mansioni. Non è realistico confidare nella possibilità di rispondere alle domande che arrivano per posta elettronica tra una intervista e l'altra: le diverse articolazioni del servizio richiedono tempi e disponibilità diversi e non possono entrare in concorrenza» (Benedetti, 2 00 3 , pp. r 6- 7 ) . 1 4•3 Metodi e problemi

C'è chi ripone maggiore (Katz, 200 3 ) o minore (Longa, 2004 ) fiducia nel refe­ rence digitale sincrono (VRS-2) rispetto a quello asincrono (vRS - r ) , così come c'è chi attribuisce maggiore (Comba, 2ooo) o minore (Ridi, 2oo r ) importanza agli aspetti tradizionalmente considerati più "caldi" nella comunicazione che si svolge fra utenti e bibliotecari durante il servizio di reference. Ma, al di là delle specifiche tecnologie e soluzioni organizzative, molte delle quali in stalla fra la distribuzione di banali dispense o repertori online e approcci altamente interattivi ma anche enormemente esigenti in termini di risorse umane, refe­ rence digitale ed e-learning costituiscono sicuramente la sfida del futuro nel settore della formazione e dell'assistenza degli utenti delle biblioteche, in quanto rappresentano, in prospettiva, l'unica possibilità economicamente so­ stenibile per fornire un numero crescente di competenze in ambiti dove l' ap­ proccio tradizionale è sempre meno in grado di garantirle. 3· «Riuscire a convogliare in media elettronici una quota importante delle transazioni infor­ mative porterà benefici in termini di precisione, standardizzazione, economia di risorse, monito­ raggio, misurazione, valutazione, equità» (Ridi, 200 1 , pp. 48-9).

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1 4 . IL REFERENCE D I G ITALE

Non si tratta, quindi, di disquisire, un po' snobisticamente, se il reference digitale sia più o meno efficace e "caldo" rispetto a quello in presenza, ma di accettare, realisticamente o forse cinicamente, che si tratta dell'unica forma di assistenza davvero accessibile per un numero crescente di utenti, che non met­ teranno mai - o quasi - piede nella nostra biblioteca "reale" , ma che invece potrebbero diventare assidui frequentatori del suo sito Web se lo scoprissero efficace nella soddisfazione dei loro bisogni informativi. Un approccio analogo può anche guidare la scelta fra VRS - I e VRS-2 . Al di là dei rischi insiti nel modello "call center" stesso, se applicato pedissequa­ mente in un ambito dove è quasi sempre meglio ricevere una risposta seria ed esauriente domani piuttosto che essere liquidati con una battuta generica (o addirittura imprecisa) oggi, il reference sincrono 2 4/7 (cioè 2 4 ore al giorno, 7 giorni alla settimana) ha dei costi insostenibili per qualsiasi biblioteca italiana (probabilmente anche se riunite in consorzi) , ed è quindi sicuramente più rea­ listico nel nostro Paese, almeno allo stato attuale e per diversi altri anni, con­ centrarsi sul livello VRS- I , sperimentandolo, estendendolo e consolidandolo. Eventuali limitate sperimentazioni di VRS-2 potranno semmai più sensatamente presentarsi non come servizi autonomi, ma come sessioni speciali per determi­ nate categorie di utenti o di problemi (ad esempio gli utenti interni che hanno difficoltà nell'usare dal loro ufficio il nostro nuovo OPAc) attivate, se e quando servono e possiamo permettercele, all'interno di un VRS- I . I n ogni caso, sia per VRS- I che per VRS-2 e come ogni volta che si voglia offrire sistematicamente un servizio di qualsiasi tipo, occorre stabilirne i limiti, anche in un ambiente digitale dove uno sguardo superficiale potrebbe consi­ derarli inesistenti o irrilevanti. Prima di tutto occorrerà stabilire il tipo di domande ammissibili (esclu­ dendo ad esempio quelle di ambito giuridico e medico che vadano al di là dell'individuazione di una fonte, oppure tutte quelle fattuali per limitarsi a quelle bibliografiche) , la filosofia delle relative risposte ( "educativa" nell'inse­ gnare all'utente come trovare e valutare egli stesso le fonti oppure " sostituti­ va" nel recuperare e fornire comunque l'informazione finale desiderata) e la quantità di tempo dedicabile a ogni richiesta 4, ma senza inventarsi niente, ri­ facendosi semplicemente alle regole del reference tradizionale adottate dalla biblioteca. Se tali regole non fossero mai state formalizzate, oppure se la coo­ perazione con altre biblioteche ne imponesse l'armonizzazione, l'inaugurazione del reference digitale potrebbe essere l'occasione per farlo. Lo stesso vale per tutto ciò che riguardi la privacy degli utenti e il tratta­ mento dei loro dati personali (Johnston, 200 3 ) . Anche per quanto riguarda il copyright i problemi sono in linea di principio identici a quelli del reference tradizionale, sebbene essi vengano acuiti dalla probabile prevalenza di docu4· «Definire quanto tempo è possibile dedicare a una domanda, per aree tematiche e/o per livelli di servizio, e quindi stabilire se si è in grado di assicurare solo il quick ready-re/erence, oppure se si può giungere fino alla consulenza e all'invio documenti» (Boretti, 2oora).

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BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

mentazione in formato digitale fra quella citata nelle risposte, che si potrebbe avere la tentazione di inviare sempre e in grandi quantità a qualsiasi utente, senza aver prima verificato i suoi diritti di accesso e i nostri diritti di diffusio­ ne (Butler, 2ooo) . Oltre ai diritti d'autore economici occorrerà anche fare mol­ ta attenzione a quelli morali, spesso disinvoltamente (ma non per questo meno colpevolmente) violati in rete, ad esempio girando a una mailing list un mes­ saggio privato senza la necessaria autorizzazione del mittente. Il livello minimo del servizio, consistente nel rispondere brevemente e ra­ pidamente (ovvero entro una o al massimo due giornate lavorative 5) a do­ mande sulla biblioteca e i suoi servizi e anche solo «Ci spiace, non siamo in grado di rispondere a questo tipo di domande» a quelle non ammesse, do­ vrebbe essere svolto sempre, anche in assenza di un VRS strutturato, a partire dal momento stesso in cui si pubblicizza un indirizzo e-mail della biblioteca 6 • Esattamente come chiunque risponda a una telefonata proveniente dall'esterno dovrebbe essere sempre in grado di dire con certezza se domani la biblioteca sarà aperta e se a una determinata ora sarà possibile prendere in prestito un libro. Un tipo di limitazione che, diversamente da quelle finora citate e da tutti gli altri aspetti del servizio affrontabili in uno spirito di massima continuità fra reference tradizionale e digitale 7 , assume nel mondo online un rilievo del tut­ to inedito, fino a porsi come uno dei problemi centrali, è quello della defini­ zione del bacino di utenza. Infatti, mentre nel mondo reale sono la stessa di­ stanza geografica o altre caratteristiche della sede fisica a "proteggere" i re/e­ rence librarian dall 'assalto di utenti "impropri" o comunque troppo numerosi (nessuno arriva fino al reference desk della biblioteca della Camera dei Depu­ tati per chiedere dove prendere la metropolitana, e chi ha i compiti per casa da fare si sparpaglia fra migliaia di biblioteche scolastiche e pubbliche) , in rete invece tutte le domande potrebbero teoricamente convergere sul sito più at­ traente, più visibile, più accessibile, più efficiente o semplicemente più " for­ tunato" .

5 · Tempi massimi d i reazione che potrebbero essere considerati ragionevoli anche in caso di risposte già esaurienti oppure interlocutorie, del tipo «per poterle rispondere dovrei prima porle a mia volta alcune richieste di precisazione» oppure «la sua domanda è piuttosto impe­ gnativa, prevediamo di poterle fornire una risposta entro .:--J giorni». 6. «Gli operatori devono [ . . . ] rispondere al 1 00% delle domande che vengono rivolte, an­ che se solo con "Sono spiacente, non lo so, ma può provare. .. "» (IFLA, 2 004). 7 . Altri esempi possono essere il multilinguismo (l'ideale sarebbe che il dialogo con gli utenti venisse svolto, sia nel mondo digitale che in quello reale, nella lingua preferita dall'utente, compatibilmente con le risorse umane e finanziarie della biblioteca), l'accessibilità (che dovrebbe essere garantita non solo per le pagine Web del servizio di reference digitale e per il relativo modulo di richiesta, ma anche per l'intero sito della biblioteca, così come l'accuratezza, la chia­ rezza e l'aggiornamento delle informazioni ivi contenute) e l'integrazione fra il re/erence service inteso in senso stretto e le attività di educazione dell'utenza (essenziale tanto in ambiente analo­ gico quanto in quello digitale).

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1 4 . IL REFERENCE D I G ITALE

Nonostante i tentativi di esplicitare con la massima chiarezza sul sito della biblioteca quale sia l'utenza di riferimento e quali le tipologie di domande previste, e nonostante gli sforzi di identificare l'utenza (inevitabilmente me­ diante autocertificazione, per non appesantire eccessivamente le procedure) , l'unica soluzione realistica a questo problema sembra piuttosto essere la coo­ perazione in servizi che offrano all'utente un'unica interfaccia per le domande, ma che smistino poi l'onere delle risposte fra più biblioteche, anche in base alle competenze disciplinari o alla localizzazione geografica. D'altronde, come si è già detto nel precedente paragrafo, gestire un servizio di reference digitale a livello di singola biblioteca è assai impegnativo, e addi­ rittura pressoché impossibile se si sceglie l'approccio "sincrono" (Ward, Mer­ var, Loving, Kronen, 200 3 ) . Inoltre «il modello consortile di organizzazione del lavoro e lo sviluppo di risorse condivise si adattano perfettamente all'ambiente della rete» (IFLA, 2004 ), quindi, se la cooperazione fra biblioteche va incoraggia­ ta comunque, nel settore del reference digitale essa diventa indispensabile (Gal­ luzzi, 20o4b, pp. 2 44 - 5 7 ), sia a livello di predisposizione di VRD, per evitare inutili doppioni e sprechi di risorse e per fornire prodotti di maggiore qualità, che di gestione di VRS, per ottimizzare le risorse umane disponibili, per garanti­ re un orario di servizio maggiore e un tempo di attesa minore e per spartirsi più equamente un'utenza non più legata strettamente al territorio. Se quindi, come è auspicabile, gli addetti al servizio sono più d'uno, oc­ corre stabilire e oliare un meccanismo (non necessariamente a livello di soft­ ware) che distribuisca nel modo migliore fra essi l'onere della risposta, per­ mettendo peraltro a tutti di accedere all'archivio delle domande e delle rispo­ ste retrospettive, sia per verificare la presenza di eventuali quesiti inevasi, sia perché l'intera squadra sia in grado di aggiornarsi per subentrare nella transa­ zione se necessario 8• Particolare attenzione va posta nell'evitare il frequente caso in cui nessuno risponde perché tutti sono convinti che ci penserà qual­ cun altro. Un elenco pubblico di FAQ (/requently asked questions, ovvero domande frequenti, con le relative risposte) può essere utile, sebbene oneroso da mante­ nere, non tanto nella speranza che la sua lettura da parte degli utenti eviti qualche domanda, quanto piuttosto perché le risposte potranno spesso limi­ tarsi a indicarne quella di volta in volta più appropriata. Ovviamente occorre­ rà prima depurarle da qualsiasi riferimento personale, in osservanza alle nor­ me sulla privacy, che dovranno comunque essere tenute presenti anche nel caso che l'accesso resti riservato allo staff, il quale potrà attingervi per rispon­ dere a quesiti ripetitivi con formule standard. Più in generale sarebbe bene 8. Al livello più semplice può bastare una mailing list a cui vengano indirizzate le domande e alla quale siano iscritti tutti gli addetti. Anche le risposte saranno inviate, per conoscenza, alla stessa mailing list, garantendo l'aggiornamento di tutti gli addetti ed evitando doppie risposte. Se l'elaborazione della risposta si rivelasse impegnativa, la stessa mailing list può servire per avvisare i colleghi di non intervenire, perché c'è già qualcuno che si è preso in carico la transazione.

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

standardizzare il più possibile le parti più strutturate delle risposte, come soggetti, le formule introduttive e di saluto, le firme e le citazioni. Incoraggiare la formalizzazione delle richieste di aiuto tramite un modulo strutturato (/orm) posto sul sito della biblioteca o del consorzio serve sicura­ mente a risparmiare il tempo del bibliotecario, e paradossalmente spesso an­ che quello dell'utente. Quest'ultimo infatti non rischierà così di dover rispon­ dere a una risposta interlocutoria del bibliotecario, spesso necessaria per pre­ cisare meglio l'oggetto e il contesto della ricerca attraverso i canonici filtri pre­ visti dalla tradizionale "intervista di reference" . No n bisogna però esagerare, costringendo a riempire decine di campi obbligatori per ottenere in risposta un semplice «SÌ», una collocazione o l'orario di un servizio. Meglio, quindi, permettere anche l'invio di un semplice e-mail e prevedere, sebbene in subor­ dine, «la possibilità di formulare domande o di ricevere risposte anche con modalità alternative come il telefono, il fax e l'appuntamento in biblioteca, compatibili con altre abilità e sensibilità» (Benedetti, 2003 , p. 1 8) . Un altro principio del reference tradizionale che assume online un rilievo particolare è quello della par condicio fra utenti, ovvero l'evitare ogni discrimi­ nazione nella quantità di tempo e nell'accuratezza delle ricerche dedicate a ciascuno di essi, indipendentemente, ad esempio, dall'età, dal sesso, dallo sta­ tus sociale e dal mezzo di comunicazione utilizzato per entrare in contatto con la biblioteca. Occorrerà quindi che le risorse a disposizione dell'ufficio refe­ rence vengano ripartite proporzionalmente nel modo più equo (e periodica­ mente aggiornato) fra servizi per gli utenti locali, servizi a distanza tradizionali (telefono, fax, lettere) e servizi digitali. Il reference è sempre stato uno dei servizi bibliotecari più difficili da mo­ nitorare e valutare, a causa della volatilità e dell'estrema personalizzazione de­ gli interventi. In ambiente digitale il problema risulta notevolmente attenuato, grazie alla persistenza degli scambi con gli utenti e alla maggiore standardizza­ zione indotta dall'uso di /orms nelle domande e di formule ricorrenti nelle risposte, che permettono di raccogliere dati quantitativi con maggiore com­ pletezza e coerenza. Resta invece anche online la difficoltà di ottenere un feed­ back dall'utente, che tende a "scomparire" dopo aver ottenuto una risposta, senza far capire al bibliotecario se essa è stata considerata efficace o meno, rendendo estremamente ardue le misurazioni della user satis/action e della qualità del servizio offerto (Galluzzi, 20o1b; Massari, 2005 ; Tufano, 2 005 ; McClure, Lankes, Gross, Choltco-Devlin, 2002 ) . 1 4•4 Standard ed esperienze

Fino al 1 998, nonostante esistessero già da almeno cinque anni esperienze si­ gnificative di reference digitale, soprattutto nelle biblioteche anglosassoni e scandinave (Sloane, 1998) , non si erano ancora diffusi standard e linee guida relativi a tali attività ancora sperimentali (Sloane, 200 1 ) . Più o meno da tale

1 4 . IL REFERENCE D I G ITALE

data si è sviluppata invece una fase, culminata con le linee guida pubblicate dalla sezione Reference Work dell'IFLA nel novembre 2 00 3 e successivamente perfezionate nel 2004 e nel 2005 (IFLA, 2004 ), in cui si è cercato di dare ordi­ ne e prospettiva alle iniziative pionieristiche e spesso informali degli anni pre­ cedenti. Non c'è d'altronde da meravigliarsi di tale fioritura, poiché «la ne­ cessità di linee guida e di standard diventa ancora più importante nel mo­ mento in cui i servizi di reference digitale gestiti ormai in modo consortile continuano ad svilupparsi» (ibid. ). L e IFLA digita! re/erence guidelines, poiché s i possono considerare una specie d i quin­ tessenza delle numerose linee guida nate dalla pratica biblioteconomica di diverse real­ tà internazionali, si caratterizzano per un livello di generalità molto elevato e dunque non forniscono vere e proprie soluzioni organizzative, bensì mettono in evidenza cosa non può mancare nel documento organizzativo posto a fondamento del servizio e, più in generale, quali sono le tappe principali della riflessione nella progettazione di un servizio di reference digitale. Le Linee guida IFLA si articolano in due parti, la prima dedicata all'organizzazione del servizio, la seconda alla pratica dello stesso. Così, nella prima parte il focus è relativo alla politica, alla pianificazione, all 'assegnazione delle risorse umane e finanziarie, alla formazione, alla definizione dell'interfaccia, agli aspetti giuridici, all a promozione e alla valutazione, nella seconda ci si sofferma invece sui contenuti del servizio e sulle specificità di quella particolare modalità di reference rea­ lizzata mediante sessioni chat (ancora assente nel panorama bibliotecario italiano) (Galluzzi, 2004a, p. 1 90).

Per linee guida più concrete e dettagliate rispetto a IFLA (2004 ) e a Sloane (2oo r ) , occorre rivolgersi piuttosto a quelle, spesso periodicamente aggiorna­ te, dei principali progetti di VRS cooperativo a livello internazionale, fra i qua­ li si possono citare Question Point ( < http://www .questionpoint.org > ), svi­ luppato da OCLC e dalla Library of Congress, l'inglese Enquire ( < http://www . peoplesnetwork.gov.uk > ) e quelli che si raccolgono attorno a The Virtual Re­ /erence Desk 9 ( < http://www .vrd.org > ) , sebbene non tutti di ambito stretta­ mente bibliotecario (Boretti, 2oorb) . Molto utile può essere anche consultare le linee guida preparate dall'Università di Aberdeen per l'uNESCO (Johnson, Reid, Newton, 200 4 ) , dotate anche di una ricca bibliografia, e quelle sviluppa­ te dalla Reference and User Services Association (RUSA, 2 004 ) . Degne di nota anche le linee guida per il reference digitale rivolto agli utenti più giovani, proposte da The Virtual Re/erence Desk (Kasowitz, 1 998) e quelle su misura­ zione e valutazione delle università di Syracuse e della Florida (McClure, Lan­ kes, Gross, Choltco-Devlin, 2 002 ) . Numerose esemplificazioni, schemi, scher­ mate e consigli pratici sono contenuti nei due manuali editi da Neal-Schuman (Meola, Stormont, 2002 ; Lipow, 2 00 3 ) . 9· The Virtual Re/erence Desk gestisce anche una mailing list internazionale dedicata al refe­ rence digitale, DIG_REF < http://www. vrd.org/Dig_Refldig_ref.shtml > , e dal 1 999 organizza dei convegni annuali, i cui atti sono disponibili a < http://www .vrd.org/conf-train.shtml > .

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BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

In Italia ancora le esperienze sono poche, sia a livello cooperativo che di singola biblioteca, e soprattutto con ancora troppo pochi utenti per attenerne un test significativo. Parrebbe quasi che l'utente italiano, abituato a siti di ogni genere che non rispondono neppure ai quesiti più banali, stentasse a credere che ne esistono alcuni che addirittura chiedono di essere interrogati sulle que­ stioni più svariate. A livello di VRD cooperativi si possono citare come esempi tre progetti con differente spettro ma identica filosofia che ruotano attorno ad AIB-Web ( < http://www . aib.it > ) , i già citati "SegnaWeb " (risorse online di ogni argo­ mento selezionate da biblioteche prevalentemente pubbliche) e DFP (risorse online di ambito giuridico, statistico ed economico selezionate da biblioteche prevalentemente specializzate) e anche il MAI ( < http://www. aib.it/aib/lis/ opac i .htm > ; un repertorio estremamente specializzato di OPAC italiani, curato da bibliotecari provenienti dalle istituzioni più disparate) . A livello di VRS le realtà più attive in Italia sono quelle universitarie, awan­ taggiate sia da un'utenza e da un orizzonte di possibili domande più ristrette che da una maggiore disponibilità di risorse tecnologiche, ma vanno ricordate anche esperienze cooperative come "Chiedi in biblioteca" ( < http://www. cultura. toscana.it/biblioteche/servizi_web/chiedi_biblioteca > ) della Regione Tosca­ na, attivo da giugno 200 3 , che attualmente coinvolge una dozzina di bibliote­ che pubbliche (Regione Toscana, 200 3 ) o di singole biblioteche come "Chie­ dilo al bibliotecario" ( < http://www .bibliotecasalaborsa. it/content/reference/ online-reference.php > ) di Sala Borsa a Bologna, attivo da settembre 2002 (Benedetti, 200 3 ; Gentilini, Menarbin, 2 00 3 ) . Ulteriori esperienze possono es­ sere individuate tramite il repertorio curato da Gargiulo (2005 ) . Letture complementari

Oltre alle pubblicazioni citate nel testo, per una rassegna più completa si vedano: AIB . SEZIONE EMILIA-ROMAGNA, Il servizio di re/erence neltera digitale, Atti del Conve­ gno di studio, 30 novembre- 1° dicembre 2ooo, < http://didattica.spbo.unibo.it/aiber/ refdig.htm > . P. GARGIULO, Risorse di re/erence digitale. Bibliografia selettiva, in AIDA Lavorincorso, < http://www.aidaweb .it/reference/bibrefdig.htnù > . 1. M. JOH:\'SON, P. H. REID, R. NEWTON, Guidelines /or E-re/erence Library Services /or Distance Learners and Other Remote Users, Aberdeen, The Robert Gordon Universi­ ty, Department of Information Management, Aberdeen Business School, 2004, < http://portal. unesco.org/ci/en/ev.php -URL_ID = 1 7486&URL_DO = DO_TOPIC& URL_SECTION = 2 0 1 . html > . G. TUFANO, Valutazione del servizio di re/erence digitale, tesina bibliografica elaborata durante il corso di bibliografia tenuto dal prof. M. Ceresa, Scuola Vaticana di bibliote­ conomia, anno accademico 2004hoo5 , in AIDA Lavorincorso da giugno 2005 , < http:// www.aidaweb.itllavorincorso/tufano.htnù > .

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La biblioteca digitale di Gian/ranco Crupi

Ij.I

Definizioni e contesti

La biblioteca, in quanto modello documentario per sua natura ipertestuale «struttura non centralizzata di relazioni complesse» (McGann, 2 002 , p. 8o) -, ha rappresentato nelle formulazioni dei primi teorici delle tecnologie informa­ tiche lo spazio elettivo per sperimentare e applicare la convergenza al digitale dei processi di elaborazione, memorizzazione, recupero e distribuzione della conoscenza. Un modello sperimentale, che ha conosciuto la sua prima, prototipale ap­ plicazione nel dispositivo ideato da Vannevar Bush, il Memex (Bush, 1 945 ) , e poi, intorno agli anni sessanta, nelle elaborazioni concettuali di Theodor Holm Nelson e di Joseph Cari Robnet Licklider: Nelson conia il termine "docuver­ so" (a indicare l'universo dei dati leggibili dalla macchina) e, successivamente, "ipertesto ", sul cui principio logico elabora un visionario progetto denominato Xanadu 1; Licklider formula l'idea di una rete globale di computer (Interga­ lactic Computer Network) , con un'intuizione che anticipa genialmente le suc­ cessive elaborazioni teoriche che daranno vita a Internet e al World Wide Web 2 • Queste intuizioni sono anche il frutto di una visione culturale che affonda

1. Xanadu rappresentava nella visione di Nelson l'evoluzione su grande scala del concetto di ipertesto, una sorta di "ipertesto planetario " , che per mezzo di associazioni logiche, link e una rete capillare di computer in cui i documenti esistenti venivano archiviati, avrebbe permesso di reperire qualsiasi tipo di documento testuale e multimediale (:"�elson, 1 992). 2 . «lt seems reasonable to envision, for a time IO or 1 5 years hence, a "thinking center" that will incorporate the functions of present-day libraries together with anticipateci advances in information storage and retrieval [. .. ] . The picture readily enlarges itself into a network of such centers, connected to one another by wide-band communication lines and to individuai users by leased-wire services. In such a system, the speed of the computers would be balanced, and the cost of the gigantic memories and the sophisticated programs would be divided by the number of users» (Licklider, 1 960, p. 7). Nel 1 965 Licklider darà alle stampe il libro Libraries o/ the Future, in cui pone le basi concettuali per il futuro sviluppo del computer e per quella che trent'anni più tardi sarebbe stata chiamata "biblioteca digitale" (Licklider, 1 965 ) .

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BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

le sue più lontane radici nell'idea della biblioteca universale; più che un'idea, un mito, non solo letterario, che è alla base di antiche e monumentali imprese bibliografiche, da Gesner a Otlet e La Fontaine, per non spingerei oltre. Un mito, di cui la biblioteca digitale rappresenta il suo più naturale esito con­ temporaneo. Il termine "biblioteca digitale" si attesta tra il 1 992 e il 1 99 3 , in forte e non casuale contiguità con la nascita del Web, sancendo così «la convergenza teorica e tecnica tra biblioteche digitali e sistemi ipertestuali distribuiti» (Ciot­ ti, 200 3 , p. 1 08) 3• Con lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, esso è entrato a far parte del lessico biblioteconomico in un contesto semantico che lo vedrà ambiguamente affiancato - per sinonimia, di­ stinzione o opposizione - ai termini biblioteca "elettronica" , "virtuale" , " mul­ timediale" , "ibrida" . Le differenti connotazioni semantiche testimoniano della profonda ridefinizione del concetto stesso di biblioteca a partire dai radicali cambiamenti introdotti dai processi di automazione, tant'è che l'autorevole e ormai storica definizione fornita dalla Digitai Library Federation 4, se volessi­ mo accoglierla nella sua generalità, riesce solo in parte a sciogliere le ambigui­ tà semantiche e a rappresentare con sufficiente flessibilità modelli organizzativi non convenzionali. L'affollamento aggettivale delle differenti denominazioni denuncia infatti la radicale trasformazione dello statuto antologico della biblioteca nel contesto degli scenari digitali, il suo posizionamento non più esclusivo nell'universo della mediazione informativa, sempre meno dipendente dalle biblioteche e dove si candidano nuovi soggetti concorrenti (sia pubblici che privati, o frutto di ibridazioni istituzionali o di partnership tra pubblico e privato) , che compe­ tono autorevolmente a ridisegnare la geografia dei saperi e i luoghi dell' acces­ so alla conoscenza. Il sapere dunque come «capitale intellettuale», bene intangibile eppure fat­ tore produttivo trainante dell'economia (Stewart, 2002 ) . Basti pensare alla sfi­ da lanciata dalla net economy con le monumentali imprese annunciate e già in parte awiate da Google, Microsoft e Y ahoo ! 5, che coinvolgono importanti istituzioni bibliotecarie e che mettono a confronto due universi informativi as­ sai diversi per storia e per finalità (quello dell'impresa privata da una parte e quello delle istituzioni della memoria e dei beni culturali dall'altra) , con l'in­ tento comune, sia pure da punti vista e da "ideologie" diverse, «di integrare 3· Una sintetica storia della nascita di WWW fino ai più recenti sviluppi del Web semanti­ co è narrata in Berners-Lee (2oo ! ) . 4· «Digitai libraries are organizations that provide the resources, including the specialized staff, to select, structure, offer intellectual access to, interpret, distribute, preserve the integrity of, and ensure the persistence over time of collections of digitai works so that they are readily and economically available for use by a defined community or set of communities» (DLF, 1998). Per un'articolata discussione delle diverse accezioni di "biblioteca digitale" cfr. Borgman (2oo3a). Cfr. inoltre l'ampia rassegna in Tammaro (2oo5c). 5· Il fenomeno è stato puntualmente ricostruito da Roncaglia (2oo6). Cfr. Salarelli (2005 ) .

I 5 . LA BIBLIOTECA DIGITALE

l'informazione disponibile in rete e l'informazione disponibile fuori dalla rete» 6: una massa critica documentaria, che mentre genera nuovo capitale cul­ turale, causa - come è immaginabile - vistosi fenomeni di entropia dell'infor­ maziOne. Non sono cambiate e non stanno cambiando le funzioni fondamentali del­ la biblioteca, quanto la loro portata e soprattutto lo scenario, il contesto in cui esse si esprimono, a partire dall'universo documentario, che rappresenta, nella singolare varietà delle tipologie concettuali, i nuovi paradigmi della società dell'informazione e della conoscenza, fondati sulla contaminazione e ibridazio­ ne delle culture e dei linguaggi e sul principio della interoperabilità tra sistemi e contesti eterogenei (Santoro, 2oo6) . La «convergenza al digitale» ridefinisce di fatto competenze e professioni, e obbliga a metodologie di lavoro fondate sulla trasversalità delle pratiche e delle conoscenze. Del pari, sono aumentate le aspettative degli utenti, sempre più smaliziati sia nell'interazione con la struttura ipertestuale del Web, sia con l'uso degli strumenti di ricerca: dai " motori" , tanto più minimalisti nelle loro interfacce, quanto più efficaci nelle funzionalità di reperimento, recupero e visualizzazione delle informazioni; ai sistemi di più raffinata logica strutturale e organizzativa, come le basi di dati, che possono implicare, nella formulazione dell'espressione di ricerca, più com­ plesse formalizzazioni logiche del linguaggio naturale e più articolate procedu­ re di in/ormation retrieval. Si assiste dunque a una rimodulazione delle funzioni tradizionali della bi­ blioteca e all'assunzione di nuove responsabilità che ineriscono ai processi edi­ toriali di creazione, produzione e diffusione della conoscenza (soprattutto in ambito accademico) , ai servizi di mediazione informativa (il reference innanzi­ tutto) e alla formazione, sotto forma di alfabetizzazione all'uso degli strumenti bibliografici e di ricerca 7• Il "sovraccarico di informazioni" disponibili in rete (in/ormation overload) rischia infatti di appiattire la differenza tra " necessario" e " superfluo" in un incessante rumore di fondo, e di rendere inversamente proporzionale il rapporto tra quantità di informazione erogata e qualità di co­ noscenza fruita (Salarelli, 2002 , 2 004 ; Vitali, 2 004 ) . La formazione e trasmissio­ ne di abilità e competenze per la ricerca e la selezione di fonti informative e di risorse di qualità, di cui la biblioteca si fa carico, rappresentano, tra gli altri, un efficace strumento di contrasto al digita! divide (Sartori, 2oo6) e un fattore fondamentale nella creazione di un ecosistema informativo che cerchi di assicu­ rare governabilità all'incremento esponenziale delle risorse documentarie. Ecco perché sotto la denominazione di biblioteca digitale ritroviamo una assai diversificata varietà di risorse e di schemi organizzativi riconducibili al 6. La citazione è di Gino Roncaglia, in Baldacchini, Roncaglia (2005 ) . 7. L a competenza nell'uso delle fonti informative è alla base dei processi di educazione e di apprendimento permanente (lifelong learning) , che nella "società dell'informazione" , costituisco­ no, secondo l ' IFLA, «i fari che illuminano le vie per lo sviluppo, la prosperità e la libertà» (Natio­ nal Forum on lnformation Literacy, 2oo6) .

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BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

modello di una global digita! library 8 , collaborativa, distribuita, non centra­ lizzata, orientata all'accesso più che al possesso, al servizio più che al patrimo­ nio (Solimine, 2004 a, p. r 6) . Tuttavia, volendo schematizzare, l'espressione "biblioteca digitale" indivi­ dua da una parte il modello logico e astratto, costituito da collezioni di docu­ menti (non solo testuali) e dai metadati ad essi relativi; dall'altra, la struttura di servizio organizzata, in cui le collezioni sono al centro di un coerente sistema di relazioni antologiche 9, che sopportano l'intero ciclo di vita dei documenti digitali e i servizi creati per l'accesso e per il recupero delle informazioni. Tra il modello logico e la struttura di servizio organizzata si collocano alcuni archi­ vi, depositi documentari e basi di dati, frutto di progetti non istituzionali a carattere volontario 10, di iniziative editoriali I I o di centri accademici extrabi­ bliotecari, in cui risultano prevalenti le finalità didattiche e di ricerca 12• Ma la denominazione declina anche altre accezioni (Gambari, 2 00 7 ) , come i servizi di accesso, secondo procedure di autenticazione da parte dell'utente, a banche di dati e raccolte di periodici elettronici (e-journals) , sottoscritti per 8. «l propose "global digitai library" as a construct to encompass digitai libraries that are connected to, and accessible through, a global information infrastructure» (Borgman, 2003a, p. p). 9· Con "ontologia" si intende qui non la disciplina filosofica bensì un settore oggettivo (una teoria e una prassi) di ingegneria della conoscenza nell'ambito dell'intelligenza artificiale. Le " on­ tologie" sono modi di organizzare o classificare informazioni; esse, infatti, consentono l'elabora­ zione di un modello di organizzazione dei dati in grado di suddividere un dominio della cono­ scenza in tutte le classi di oggetti che hanno un ruolo nei suoi processi, divenendo così un for­ midabile strumento di applicazione nei processi di knowledge management. lnsostituibile punto di riferimento della ricerca interdisciplinare sulla creazione di modelli concettuali e applicazioni di ontologie in differenti campi della conoscenza è il Laboratory for Applied Ontology (LOA) presso il CNR ( < http://www. loa-cnr.itlindex.html > ), tra le cui pubblicazioni si segnalano quelle di Nicola Guarino, il massimo studioso italiano sull'argomento. I o. Si ricordano, tra le più note iniziative internazionali, "Project Gutenberg" ( < http:/l www .gutenberg.net/ > ), fondato nel lontano I 97 I da Michael Hart, che a oggi conta oltre dieci­ mila testi, risultato dell'attività di alcune centinaia di volontari, e per l'Italia, il "Progetto Manu­ zio " ( < http://www .liberliber.itlbibliotecalindex.htm > ), anch'esso a carattere volontario, gestito dall'associazione culturale Liber Liber. I I . La più significativa esperienza italiana è senz'altro Stoppelli, Picchi ( I 99 3 ) , che nella sua ultima versione, pubblicata nel 20o i , raccoglie 1 .000 testi della letteratura italiana interrogabili con motore di analisi computazionale DBT. I 2 . Ci riferiamo in particolare a quelle iniziative come l'Ox/ord Text Archive ( < OTA), http:// ota.ahds.ac.uk > , realizzato dalla Oxford University Computing Services, o l'Electronic Text Cen­ ter (ETC) , < http:/l etext.lib. virginia.edu > , che ha sede presso l'Università della Virginia - ma se ne potrebbero aggiungere tante altre -, nate in contesti accademici e universitari, e nelle quali la creazione di sistematiche e coerenti collezioni di documenti della tradizione letteraria si affianca con altrettanta perspicuità all'elaborazione di strumenti di linguistica computazionale e di analisi testuale, rivolti elettivamente a una specifica comunità di utenti. Per l'Italia si segnala Biblioteca Italiana (Biblt), < htpp://www .bibliotecaitaliana.it > , una biblioteca digitale di testi rappresenta­ tivi della tradizione culturale e letteraria italiana promossa dal Centro interuniversitario Bibliote­ ca italiana telematica (CiBit) e dal Dipartimento di italianistica e spettacolo dell'Università di Roma "La Sapienza" ; cfr. Crupi (2005).

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I 5 . LA BIBLIOTECA DIGITALE

abbonamento da sistemi o consorzi soprattutto universitari; gli scaffali digitali delle librerie virtuali, sul modello di Amazon.com 1 3 ; le innumerevoli iniziative volte alla valorizzazione di collezioni documentarie; i tanti archivi della memo­ ria di singoli, di piccole comunità o minoranze che grazie a Internet cercano di ricostruire e di testimoniare la propria identità storica e culturale. Tuttavia il modello di infrastruttura fisica e organizzativa più praticato è quello della biblioteca ibrida (Foglieni, 200 3 ) , in cui le collezioni digitali sono parte di una complessa architettura di funzioni e di servizi e dove le politiche di conservazione del patrimonio documentario si affiancano a quelle dell' ac­ cesso all'informazione secondo modelli commisurati alla tipologia della biblio­ teca e al suo bacino di utenza reale, potenziale e virtuale 14• 1 5 .2 Le architetture

«Parlando di dati, o di basi di dati, si rischia di credere che il dato sia neutro, mentre non lo è affatto, e il modo in cui crea (o non crea) conoscenza di­ pende da come è strutturato e da come è presentato» (Settis, 2002 , p. 7 0). Le forme del contenuto rappresentano dunque l'ideologia della biblioteca digita­ le, il suo sistema comunicativo che ne determina le politiche dell'accesso, i livelli di interoperabilità, la natura e i profili dei servizi. La sua architettura logica è il luogo in cui la qualità del pensiero diviene conoscenza. Le biblioteche hanno sempre investito in quella che oggi si definisce archi­ tettura dell'informazione, nella sensibilità - vale a dire - e nella capacità di gestire le informazioni, catalogando il sapere, creando nuove connessioni se­ mantiche tra i documenti, fornendo dunque loro valore aggiunto attraverso la struttura sindetica dei cataloghi, gli strumenti indicali, i linguaggi di indicizza­ zione semantica e di classificazione (Burke, 2 002 ) . Una sensibilità, che oggi si traduce nella progettazione dei nuovi contesti digitali e degli spazi logici di interazione tra gli utenti e l'universo documentario e dei servizi, per consenti­ re un accesso intuitivo ai contenuti e un loro facile recupero 1 5 ; e che si deve confrontare anche con i nuovi modelli di creazione della conoscenza fondati

1 3 · Amazon.com ( < http://www.amazon.com/ > ) , con il servizio Search inszde consente, per accordo con gli editori, di sfogliare le riproduzioni, in formato immagine, dei preliminari dei testi (frontespizio, indice, quarta di copertina ecc.), e di cercare singoli lemmi al loro interno; con Amaz.on Pages permetterà invece - secondo la modalità pay per use - di acquistare in forma­ to digitale singole pagine, sezioni o capitoli dei libri che sono presenti nei suoi cataloghi; Ama­ z.on upgrade, dovrebbe permettere all'acquirente del libro su carta di acquistare, con un sovrap­ prezzo, anche l'accesso permanente alla versione digitale dello stesso testo. 14· Per le specifiche problematiche metodologiche, qui appena accennate, si veda l'articola­ ta sintesi offerta da (Salarelli, Tammaro, 2oo6). 15. Sull'architettura dell'informazione cfr. Rosenfeld, Morville (2002 ) e il sito The In/orma­ tion Architecture Institute, < http://iainstitute.org/ > , anche nella sua versione italiana, < http:/l iainstitute.org/it/ > . Cfr. anche Gnoli, Marino, Rosati (2oo6).

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BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

sulla partecipazione collettiva, secondo il fortunato esempio delle network

communities. La qualità di una biblioteca digitale, infatti, non si misura tanto dalla quantità di documenti digitalizzati, quanto dalla capacità di strutturare e di modellizzare i dati, di renderli accessibili, conservando al contempo la stratifi­ cazione dei contesti, la relazione tra quello nuovo che si crea e - nel caso di documenti digitali derivati - quello di origine, oltre che con tutti gli altri do­ cumenti con cui esso stringe relazioni semantiche tacite o palesi. Ma la qualità si misura anche dall'adozione o meno di infrastrutture tecnologiche che siano quanto più flessibili, modulari, incrementali, i cui codici sorgente siano libera­ mente accessibili e modificabili (open source) ; con l'avvertenza tuttavia che la loro scelta non avvenga a priori ma sia condizionata dalle finalità d'uso, e dun­ que dalla determinazione - questa sì a priori - del dimensionamento comples­ sivo del progetto. La flessibilità di un sistema significa la sua capacità di adat­ tarsi al cambiamento; la modularità indica che il numero e la disposizione del­ le sue parti costitutive possono essere modificati e ricombinati; il modello in­ crementate ne qualifica le potenzialità di sviluppo e di espansione nel tempo. Le architetture e le infrastrutture delle biblioteche digitali devono innanzi­ tutto essere modelli di conoscenza dinamici, distribuiti, non centralizzati, il cui dimensionamento va commisurato all'identità istituzionale dei progetti, alla loro tipologia, alla quantità e qualità dei servizi che si intendono erogare (AIB, 2005 ) . Ne sono parte essenziale quell'insieme di tecnologie e di protocolli che vanno sotto il nome di middleware e che svolgono un'importante funzione di intermediazione tra applicazioni diverse; rappresentano dunque uno snodo fondamentale per assicurare l'interoperabilità 1 6 • Diversi sono i modelli funzio­ nali di riferimento che possono essere anche combinati tra loro per favorire la massima integrazione possibile tra protocolli, applicazioni e servizi diversi 1 7 , quali quelli di archiviazione e gestione, di ricerca e distribuzione remota dei metadati e dei documenti. Ne è un esempio il modello OAI, che fornisce la cornice logica e tecnologica dei cosiddetti open archives, ovvero archivi di testi costituiti dalle comunità accademiche, al fine di favorire la libera circolazione dei contenuti, frutto delle attività di ricerca degli atenei: «pre-print (destinati a una successiva pubblicazione sottoposta a peer-review) , post-print (versioni ag­ giornate di testi già apparsi su periodici o atti di convegni) ed e-print (termine più ampio, che include sia le versioni elettroniche dei due precedenti, sia, ge­ nericamente, ogni sorta di contributo anche multimediale finalizzato alla di-

16. Per "interoperabilità" si intende la capacità di scambio e condivisione di dati tra sistemi informativi diversi, senza che venga pregiudicata l'integrità dei contenuti e la loro funzionalità; «l'interoperabilità è il cuore della biblioteca digitale intesa come sistema cooperativo e comples­ so, nel quale confluiscono contenuti e servizi» (Galluzzi, 2004b, p. 3 98). Cfr. Chan, Zeng (2oo6). 17. Per un'ampia e documentata disamina di differenti modelli logici e applicazioni, cfr. Pasqui (2003 ) .

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I 5 . LA BIBLIOTECA DIG ITALE

stribuzione esclusivamente attraverso open archives o similari strumenti digitali privi di peer-review)» (Ridi, 20o4b, p. 2 85 ) . Basati sul paradigma dell'accesso libero e aperto (open access) a i contenuti della conoscenza, il cui controllo di qualità è affidato a principi di autoregola­ mentazione, gli open archives hanno trovato una calda accoglienza da parte delle comunità accademiche tant'è che nel 2 00 3 è stato sottoscritto da molte università e istituti di ricerca europei un documento, meglio noto come Di­ chiarazione di Berlino 1 8 , che afferma la circolazione libera e gratuita del sape­ re scientifico, a cui ha aderito anche la comunità accademica italiana 1 9. Que­ sta modalità di autoarchiviazione della letteratura grigia in formato digitale è sopportata da una serie di iniziative e di standard per l'interoperabilità pro­ mossi dalla Open Archives Initiative ( OAI ) 2 0, che ha elaborato uno specifico protocollo per la raccolta dei metadati descrittivi e per la loro ricerca ( OAI­ PMH, The Open Archives Initiative Protocol for Metadata Harvesting) 2 1 • Al d i l à della sua specifica applicazione, preme rilevare che il modello OAI si basa sulla distinzione logica tra le funzioni di data provider (il gestore degli archivi digitali) e quelle di service provider (il fornitore di servizi per l'indi­ cizzazione dei metadati e per la ricerca e il recupero dei documenti) . È un modello, il metadata harvesting, che consente l'interoperabilità e l'integrazione di metadati e protocolli diversi ma standard, e che pone al centro l'utente come destinatario di strumenti e servizi a valore aggiunto. • 5 ·3 L'accesso

Le politiche di accesso ai contenuti sono parte integrante dell'architettura lo­ gica della biblioteca digitale. E la tecnologia dei portali sembrerebbe quella che meglio si presta a declinare la pluralità di funzioni che un utente può svolgere a partire da un unico punto di ingresso. Il portale infatti, in quanto struttura di accesso e distribuzione di risorse e servizi, rappresenta lo spazio di interazione tra l'utente, la biblioteca e le fun­ zioni che essa rende possibili (Marchionini, Plaisant, Komlodi, 2 00 3 ) ; tra i ser-

I 8. Berlin Declaration on Open Access to Knowledge in the Sdences and Humanities, < http://www. zim.mpg.delopenaccess-berlin/berlindeclaration.html > ; trad. it. Accesso aperto alla letteratura scien­ ttfica (Dichiarazione di Berlino), < http://www.zim.mpg.de/openaccess-berlin!BerlinDeclaration_it. pdf > . I 9 . È la cosiddetta Dichiarazione di Messina. Gli atenei italiani per l'Open Access: verso l'ac­ cesso aperto alla letteratura di ricerca (Messina, 4 novembre 2004), < http://www.aepic.it/conf/ viewpaper.php?id = 49&cf = I > . 20. Open Archives lnitiative, < http://www.openarchives.org/ > . 2 r . The Open Archives Initiative Protocol for Metadata Harvesting, < http://www.openar­ chives.org/OAI/openarchivesprotocol.html > . Al riguardo, si segnala il servizio offerto dall'Uni­ versità del Michigan (oAister, < http://oaister.umdl.umich.edu/o/oaister/ > ), che dà accesso a milioni di documenti ospitati da istituzioni che adottano gli standard OAI.

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BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

vizi tradizionali (prestito, document delivery ecc.) e i servizi innovativi, quali ad esempio: alert: informazione e aggiornamento sulle nuove risorse inserite nella base dati (repository) ; - personalizzazione (anche sotto forma di collaborative filtering 22 ) : scelta dei canali di ricerca e dei criteri di ordinamento dei risultati secondo il profilo che l'utente stesso ha fornito; data mining: procedimenti semiautomatici di raffinamento delle ricerche, basati sull'analisi del contenuto dei documenti (content based) ; re/erence linking: navigazione trasversale tra OPAC, basi di dati e full text ecc. Ma esso è anche potenzialmente il luogo in cui l'utente può sperimentare nuove applicazioni di semantic Weh finalizzate all'aggregazione dinamica dei contenuti e degli oggetti digitali - antologie, mappe topiche ecc. (Meschini, 2005 ) . Il " modello portale" - al di là della sua effettiva realizzazione - sugge­ risce insomma l'idea di uno spazio di lavoro integrale in cui l'utente possa accedere al suo riservato " studiolo" , luogo della mente e della memoria, che per esser tale deve apparire al tempo stesso riservato e gradevole, accessibile 2 3 e usabile 24• L'idea di spazio a cui è da sempre associato il termine biblioteca va dun­ que recuperato nel contesto digitale e risemantizzato nell'architettura del vir­ tuale. In particolare, l'interfaccia è il luogo impalpabile nel quale prende cor­ po la comunicazione tra la biblioteca e l'utente, in cui gli oggetti dell'informa­ zione e della conoscenza sono esibiti e rappresentati; e proprio per questo la sua progettazione e realizzazione merita una cura particolare. Tant'è vero che alcuni motori di ricerca di ultima generazione e software di OPAC suggeriscono nuove modalità di browsing e di rappresentazione dei risultati di ricerca attra­ verso tecniche di clustering, basate sul raggruppamento e quindi sulla riorga­ nizzazione classificata delle informazioni, anche con effetti grafici o sotto for­ ma di mappe visuali: si tratta di tecnologie amichevoli (user /riendly) , orientate all'utente e che cercano di sfruttare a suo vantaggio meccanismi euristici per l'analisi dei risultati. La costruzione di una collezione crea sempre nuove relazioni testuali che la biblioteca digitale deve saper esibire con i contesti multipli a cui esse fanno 22. Strumenti che forniscono informazioni agli utenti sulla base delle preferenze accordate loro da altri utenti con interessi apparentemente simili, associando ai documenti la storia del loro utilizzo. 2 3 . Il requisito di accessibilità indica la presenza o meno di barriere tecnologiche che limi­ tano o pregiudicano la fruizione dei servizi di rete. Cfr. Web Accessibility lnitiative (wAI) , < http://www. w3.org/WAl/ > . 24. Secondo la definizione data dalla norma ISO 9241 - I I : 1 998 Ergonomic Requirements /or 0/fice Work with Visual Display Terminals (vvn), l'usabilità è il «grado in cui un prodotto può essere usato da particolari utenti per raggiungere certi obiettivi con efficacia, efficienza e soddi­ sfazione in uno specifico contesto d'uso». Cfr. inoltre Borgman (2oo3b).

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riferimento. Essa cioè deve saper ricostruire le relazioni logiche e genetiche tra i documenti, rendendoli tuttavia disponibili a nuove ricomposizioni semanti­ che lasciate dinamicamente a totale giudizio e scelta dell'utente. Metadati, lin­ guaggi di codifica, protocolli sono gli strumenti che essa può piegare a nuove forme della fruizione della conoscenza, senza che i processi di ipertestualità, che ne predicano la natura reticolare, si trasformino in una forma di zapping informatico. 1 5 ·4 La digitalizzazione

I documenti digitali possono essere " primari" o " nativi" (born digita{) , vale a dire documenti che all'origine non hanno un equivalente analogico, e "secon­ dari" o "digitalizzati" (digitized o digitalized), la cui pubblicazione è il risultato della conversione in digitale da un originale analogico. Per digitalizzazione si intende dunque il processo di creazione e produzione di un surrogato o deri­ vato digitale del documento analogico, che costituisce pertanto la fonte (sour­ ce) del processo di conversione. La procedura di acquisizione più in uso è senz' altro quella meccanica che prevede l'utilizzo di specifici dispositivi a seconda della tipologia di documenti (ad esempio scanner, fotocamere ecc. ) . Nel caso di documenti testuali, il pro­ cesso di digitalizzazione può dar vita a due diversi esiti: la riproduzione facsi­ milare dell'originale, e quindi la creazione di un file di immagini, oppure la conversione della fonte cartacea in una sequenza di caratteri codificati 2 5 , che darà vita a un file di testo. Nell'un caso la pagina è trattata come un'immagine formata dal disegno dei caratteri di stampa e sarà trascritta in una griglia co­ stituita da p ixel 2 6, nell'altro essa è considerata come un testo, vale a dire una combinazione di segni alfabetici portatori di senso, che saranno codificati per mezzo di una tabella di codifica dei caratteri. «La prima scelta, più economica, privilegia la resa visuale e l'aderenza all'originale cartaceo, ma produce file di 2 5 . Il grado zero della codifica testuale è costituito dalla rappresentazione dei caratteri; vale a dire, dalla corrispondenza biunivoca fra caratteri da un lato e numeri binari dall'altro. Un sistema di codifica binaria è quello che utilizza due sole cifre, "o" e " I " , ordinatamente combi­ nate tra loro e ciascuna delle quali costituisce un bit (bi[nary digz]t = numero binario) , cioè la quantità di informazione data dalla scelta fra due alternative diverse, considerate come egual­ mente probabili. L'uso di specifiche tabelle di codifica ( ASCII American Standard Code /or In/or­ matzon Interchange, Iso Latin I , Unicode) consente, secondo la sequenza logicamente combinata di 7, 8 o I6 bit, la rappresentazione in numeri binari dei caratteri alfabetici, dei numeri decimali, dei segni di interpunzione, della distinzione tra maiuscole e minuscole ecc. La sequenza logica­ mente combinata di 7, 8 o I6 bit, necessaria, secondo la tabella di codifica adottata, alla rap­ presentazione di ciascun carattere si chiama byte; dunque, ogni byte rappresenta un carattere o, detto altrimenti, un byte è la quantità di memoria necessaria per memorizzare un carattere. Cfr. Ciotti, Roncaglia (2ooo, pp. 8- I4). 26. Il pixel (contrazione di picture elements) è l'unità elementare di cui è costituita un'im­ magine digitale.

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BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

grandi dimensioni che non consentono di effettuare ricerche ed estrazioni te­ stuali. La seconda, più impegnativa sia in termini temporali che finanziari, produce file manipolabili con qualsiasi editor di testi, più piccoli e più facili da conservare e interrogare, rinunciando però alla perfetta equivalenza con l'impaginazione e il layout dell'originale» (Ridi, 2oo4b, p. 2 7 6) . Infatti, per ot­ tenere un file di tipo testuale sarà necessario applicare al file di tipo grafico uno specifico software, denominato ocR (Optical Character Recognition, "ri­ conoscimento ottico dei caratteri " ) , che produce un documento editabile con un qualsiasi programma di videoscrittura, come se fosse stato digitato sulla tastiera; il testo così ottenuto dovrà quindi essere sottoposto a un processo di revisione e correzione degli errori, come in una bozza di stampa. Ovviamente, la scelta dipenderà non solo dal tipo di originale a disposizio­ ne e dal tipo di trattamento a cui si intende sottoporre la fonte una volta rea­ lizzata le versione elettronica, ma anche soprattutto dalle finalità del progetto e dal suo dimensionamento (Hughes, 2004 ) . L'esito del processo di digitalizzazione (sia esso primario o secondario e ri­ guardi documenti testuali, iconici, sonori o audio-video) sarà dunque un file i cui dati sono disposti secondo una struttura che ne rappresenta il formato. Un file può essere salvato in diversi formati, ciascuno dei quali risponde a funzioni diverse (archiviazione, rappresentazione, visualizzazione) , e la cui persistenza nel tempo e portabilità (cioè, la facilità con cui può essere trasferito da un ambiente software a un altro) sono subordinate al livello di standardizzazione a cui essi rispondono. La rapida obsolescenza delle tecnologie informatiche impone infatti l'impiego di sistemi e di linguaggi di rappresentazione, archiviazione e visua­ lizzazione dell'informazione svincolati e indipendenti da supporti e dispositivi hardware e da sistemi di codifica e applicazioni software che siano chiusi o proprietari o, ancora, poco sensibili alle qualità semantiche dei documenti; pur tuttavia, accanto a formati standard de iure si affermano spesso standard de facto (anche se proprietari) , ampiamente condivisi dalla comunità degli utenti. Tra i formati più diffusi 2 7 si ricordano: ASCII (American Standard Code for Informati o n Interchange) , è il sistema di codifica dei caratteri più comunemente utilizzato nei calcolatori (standard ISO 6 4 6) , e il formato testuale più affidabile. Su di esso si basa la più estesa versione Unicode ( ISO ro64 6) che «assegna un numero (ed un nome) ad ogni carattere in maniera indipendente dal programma, piattaforma e dalla lingua (e relativo alfabeto) [ . . . ] codificando i caratteri usati in quasi tutte le lingue vive e in alcune lingue morte, nonché simboli matematici e chimici, cartografi­ ci, l'alfabeto Braille, ideogrammi etc.» 2 8 ; RTF (Rich Text Format) , sviluppato da Microsoft, si è imposto de facto come standard per l'importazione e l'esportazione di testi a prescindere dal 27. Una lista aggiornata di formati si legge alla pagina Every File Forma! in the World di Whatis.com, < http://whatis.techtarget.com/fi.leFormatA/o,289933 ,sid9,oo.html > . 28. Unicode, in Wzkipedia, < http://it.wikipedia.org/wiki/Unicode > .

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. LA BIBLIOTECA DIG ITALE

programma di scrittura (word processar) utilizzato; è dunque preferibile al for­ mato DOC (Document), anch'esso proprietario di Microsoft ma non compren­ sibile da altri programmi di elaborazione testi; - la famiglia dei linguaggi di marcatura (markup language) , su cui avremo modo di soffermarci; - i formati degli e-book (OEB, Open EBook, elaborato da una consociazione di produttori di software e hardware, denominata Open e-book forum, e LIT, formato proprietario di Microsoft) , tra cui si può annoverare PDF (Portable Document Format), che è un formato proprietario per la rappresentazione e distribuzione in rete di documenti, dei quali sono conservate tutte le proprietà originarie, indipendentemente dall'applicazione e dalla piattaforma usate per la loro creazione. Un documento PDF, sia esso costituito da testo o da immagi­ ni, può essere visualizzato su qualsiasi dispositivo con il software Adobe Acro­ bat distribuito gratuitamente; - i formati per la memorizzazione e compressione di immagini bitmap 29, TIFF (Tagged Image File Format), JPEG (Joint Photographic Experts Group) e GIF (Graphics Interchange Format) : il primo genera file molto pesanti sebbene di ottima qualità ed è perciò utilizzato solo per l'archiviazione; JPEG e GIF sono particolarmente adatti alla visualizzazione delle immagini perché ne con­ sentono un'elevata compressione, sebbene comportino, sia pure a livello varia­ bile, un degrado della qualità dell'immagine originaria; - WAV o WAVE, contrazione di WAVEform audio format, e AIFF (Audio Inter­ change File Format ) , sono formati audio proprietari, rispettivamente di Mi­ crosoft e IBM e di Appie Macintosh. Il formato MP3 (ovvero MPEG - ! 12 Audio Layer 3 ) è formato audio molto compresso, di ottima resa qualitativa, e perciò particolarmente adatto per lo scambio di file musicali in Internet, ma sconsi­ gliabile per l'archiviazione; - QuickTime, standard video sviluppato da Appie Macintosh oggi utilizzabi­ le anche con Windows; - VRML (Virtual Reality Modeling Language) , formato standard per la descri­ zione di scene tridimensionali. 1 5 ·5 La rappresentazione in formato immagine dei documenti

L'esperienza maturata negli ultimi anni ha consentito di definire i corretti me­ todi e procedimenti di acquisizione e archiviazione digitale soprattutto dei li­ bri moderni (Cornell University Library. Digitai Preservation Policy Working Group, 2oo r ; DLF, 2004 ) , secondo i quali si raccomanda l'impiego di dispositi­ vi (idonei banchi di acquisizione e sistemi di illuminazione) che garantiscano l'integrità dei documenti originali sottoposti a scansione ottica e, al contempo,

29. Immagini rappresentate come insieme di

pixel.

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BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

la qualità uniforme delle immagini, in analoghe condizioni di illuminazione e inquadratura. Come risulta parimenti consolidata la prassi della rifilatura, per eliminare l'inutile acquisizione di zone estranee allo specchio della pagina, e dell'acquisizione autonoma di ogni singola pagina (comprese quelle bianche) e della sua archiviazione in una copia principale (master) , in modo tale da far corrispondere ad ogni pagina un file immagine denominato con un identifica­ tivo univoco. Ogni immagine acquisita andrebbe poi memorizzata in una versione deri­ vata a media qualità (contestualmente all'acquisizione del master o in una se­ conda fase) e sottoposta a processo ocR automatico senza correzione manuale dell' output, in modo da produrre un file in formato testo relativo a ciascuna pagina, da utilizzare per ricerche full text; operazione, quest'ultima, consiglia­ bile per il libro moderno a stampa e solo se il supporto di origine lo consente. Le immagini prodotte dalla digitalizzazione dovranno essere salvate in formato TIFF con compressione LZW (Lempel-Ziv-Welch) 3°, e con una risoluzione spa­ ziale (in DPI o PPI 3 1 ) variabile a seconda del progetto. Più in particolare, tutti i file XML relativi ai metadati, oltre ad essere contenuti nelle rispettive cartelle delle immagini, dovrebbero essere salvati e archiviati anche su un supporto magnetico-ottico ( nvn-R) , e individuati dalla stessa nomenclatura utilizzata per i file delle immagini. Tali parametri di riferimento, del tutto indicativi e non obbligatori, riguar­ dano nello specifico la digitalizzazione del libro moderno; altre tipologie di materiali (manoscritto, libro antico, libro d'arte ecc.) richiederanno invece ac­ corgimenti e soluzioni tecniche ancor più complesse, oltre che impegnative dal punto di vista organizzativo e gestionale. 1 5 .6 La rappresentazione in formato testo dei documenti

Molto più articolate e complesse, quanto onerose, risultano invece le procedu­ re di acquisizione, di elaborazione e di rappresentazione dei documenti in for­ mato testo, implicando esse il pieno coinvolgimento di competenze specialisti­ che relative ai settori disciplinari a cui sono ascrivibili i documenti oggetto dei processi di digitalizzazione. La rappresentazione dell'informazione testuale su supporto digitale viene 30. Algoritmo utilizzato per comprimere i file grafici. 3 r. PPI, Pixel Per lnch, "pixel per pollice" , indica l'unità di misura di "risoluzione" di

un'immagine; per " risoluzione" si intende la capacità di un dispositivo o di un supporto (pellico­ le, carta) di riprodurre un'immagine, in base al numero dei suoi elementi costitutivi per unità di misura, DPI. Il termine DPI, Dots Per lnch, che significa "punti per pollice" , è l'unità di misura comunemente impiegata per misurare il numero di pixel presenti nell'immagine digitale: maggio­ re è il numero di pixel presenti in ogni pollice, maggiore sarà la risoluzione dell'immagine digita­ le, vale a dire la sua fedeltà all'oggetto originale. La risoluzione di un'immagine è quindi de­ terminata dal numero di DPI.

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comunemente definita codifica informatica dei testi ed essa, come ogni proces­ so di elaborazione che si serve del computer, è una rappresentazione mediata da appositi linguaggi formali, definiti markup languages ( "linguaggi di marca­ tura " ) , costituiti da un insieme di istruzioni, sotto forma di etichette (tags) rac­ chiuse fra parentesi uncinate, che vengono inserite accanto ai segmenti di te­ sto a cui esse si riferiscono; una specifica sintassi regola l'uso, la forma e i rapporti tra le varie etichette. Dal punto di vista delle logiche di funziona­ mento dell'elaboratore, l'introduzione di " marcatori" all'interno di un testo ha lo scopo di indicare ai programmi incaricati di decodificarli il modo in cui la parte di testo marcata deve essere interpretata ed eventualmente trattata. In base a un'ormai classica distinzione tassonomica, i linguaggi di marcatu­ ra si dividono in due tipologie: - linguaggi procedurali; - linguaggi dichiarativi. I linguaggi procedurali sono costituiti da istruzioni che specificano le proce­ dure computazionali che un programma deve compiere sul testo per ottenere un determinato output (generalmente su carta) : ad esempio "qui stampa in grassetto ". I linguaggi dichiarativi dichiarano appunto l'appartenenza di un dato segmento testuale a una determinata classe di strutture, forme e caratteri­ stiche testuali: ad esempio " questo è un capitolo" , "questa è una metafora" (come sarà illustrato più avanti) . Un sistema di codifica dichiarativo è in grado di rappresentare le caratteristiche di un testo, in modo indipendente dalle par­ ticolari finalità di trattamento e da contingenti forme di presentazione grafica, su un qualsivoglia supporto fisico (stampa, video, sintetizzatore vocale e così via) . Inoltre, la possibilità di rappresentare strutture astratte non pone limiti alla natura e alla tipologia delle caratteristiche testuali che si possono codifica­ re (struttura editoriale del testo, struttura grammaticale, struttura retorica ecc . ) . A i requisiti propri dei linguaggi d i codifica dichiarativi risponde l a tecno­ logia rappresentata dai linguaggi SGML/XtvtL 32, che consentono di descrivere, grazie alla loro sintassi, la struttura dei documenti e le antologie ad essa as­ sociate. Più propriamente, XtvtL, preferito ormai a SGML per la sua maggiore flessi­ bilità, è un metalinguaggio, che detta le regole sintattiche per mezzo delle quali è possibile definire il linguaggio di marcatura da applicare a singole tipo­ logie di testi o documenti. Esso è, insomma, la lingua franca per l'interscam-

32. SGML (Standard Generalized Markup Language) è standard ISO 8879/r 986, sviluppato per rappresentare dati testuali su supporto digitale in modo indipendente da sistemi hardware e software e per facilitare il trasferimento dei documenti testuali (e non solo) attraverso reti tele­ matiche. Da esso deriva, come suo sottoinsieme semplificato, XML Extensible Markup Language, caratterizzato dall'elevata scalabilità e portabilità.

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BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E Q U ESTIONI

bio di dati tra applicazioni diverse: la sua universalità ed estensibilità risiedono nell'assoluta indipendenza dalle piatta/orme 33 utilizzate, nella netta separazio­ ne dei dati dalla loro presentazione e nella sua struttura incrementale, che per­ mette l'espressione di nuovi attributi semantici senza bisogno di ridefinire una nuova versione dei linguaggi stessi. Sulla base dello SGMLIXML sono stati sviluppati numerosi schemi di codifi­ ca, tra cui TEI (Text Encoding Initiative) specificamente rivolto al dominio della ricerca umanistica. RIQUADRO I 5 . I fl funzionamento dello schema TEI

L'obiettivo del progetto, perseguito oggi da TEI Consortium ( < http://www. tei-c. org > ) è quello di definire uno standard per la rappresentazione di testi su supporto digitale. Le Guidelines /or Electronic Text Encoding and Interchange, meglio note, nel­ l'ultima versione, come TEI P4, definiscono un linguaggio per descrivere la struttura di un testo e propongono una nomenclatura per individuare i suoi componenti. Tale lin­ guaggio è espresso nella sintassi XML e si basa su una grammatica formale, detta DTD (Document Type Definition) , che specifica la struttura di un documento e gli elementi che lo costituiscono. Un testo codificato in linguaggio XML conformemente alle specifiche della TEI è composto di due parti 34: - la TEI header (rappresentata dall'elemento < tezHeader > ); - l a trascrizione vera e propria del testo (codificata con l'elemento < text > ). L a TEI header fornisce informazioni analoghe a quelle contenute nel frontespizio di un testo a stampa ed è composta da quattro parti principali: < fileDesc > contiene la descrizione bibliografica del testo digitale; < encodingDesc > contiene la descrizione delle modalità di codifica; < profileDesc > contiene la descrizione degli aspetti non bibliografici del testo (ti­ pologia documentaria, lingue usate, descrizione semantica ecc.); < revisionDesc > riassume la storia delle revisioni che ha subìto il documento. La sezione text è a sua volta costituita dall'"avantesto" (front), dal corpo del testo vero e proprio (body) e da eventuali appendici (back). < TEI.2 > [elemento radice] < teiHeader > [contiene le informazioni della TEI Header] < /teiHeader > < tex t > [testo] < front > [gli elementi preliminari che precedono il testo vero e pro­ prio: prefazioni, dediche . . ] < /front >

3 3 · Per "piattaforma informatica" si intende la parte di un programma utilizzata come base sulla quale costruire altri programmi o applicazioni. 34· Cfr. Ciotti (2005 ) .

34 0

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< body > [il corpo del testo, con l'esclusione di ogni elemento preli­ minare o di appendice] < /body > < back > [gli elementi che seguono il testo vero e proprio: appendi­ ci, postfazioni ecc.] < /back > < /text > < ITEI.2 >

Le caratteristiche testuali che vengono di norma codificate sono quelle:

- strutturali (individuazione delle partizioni principali e secondarie del testo e della loro relazione gerarchica: capitoli, sezioni, paragrafi per un testo in prosa; canti, stanze, versi per un componimento poetico; atti e scene per un testo teatrale ecc.) ; - formali (aspetto fisico del documento: uso d i /onts e stili di carattere; di­ slocazione di note, annotazioni, glosse ecc.) ; - contenutistiche (riferimenti in lingua diversa d a quella corrente, figure reto­ riche, forme grammaticali, riferimenti temporali, spaziali, indicazione dei nomi dei personaggi ecc.). Tali elementi vanno contestualizzati nel sistema delle gerarchie strutturali e delle relazioni (logiche e astratte) che essi intrattengono dinamicamente al­ l'interno del testo, di cui va salvaguardata l'identità e l'integrità informazio­ nale. La loro individuazione e rappresentazione è perciò un «atto interpreta­ tivo» (Fiormonte, 200 3 , p. 1 6 4 ) , che assume il «punto di vista» del codifica­ tore quale discrimine metodologico e teorico nel processo di formalizzazione del testo: «l'universo della testualità è un universo plurale, e la codifica digi­ tale del testo non può fare a meno di misurarsi con questa pluralità» ( Ciotti, 2 005 , p. 1 7 ) . Il livello e l a granularità della codifica sono condizionati da una serie di fattori, quali ad esempio: la tipologia delle risorse testuali prese in esame (omogeneità o disomogeneità di genere, forma linguistica, copertura crono­ logica o spaziale della raccolta ecc. ) ; le finalità del progetto (didattiche, di ricerca ecc . ) ; il destinatario di riferimento (comunità accademica, utenza sco­ lastica, utenza generica ecc . ) ; le risorse finanziarie a disposizione (quanto più è avanzata e granulare la codifica, tanto più costa anche in termini tempora­ li) ; le competenze specialistiche su cui si può contare all'interno dell'orga­ nizzazione che promuove il progetto di digitalizzazione; la disponibilità di specifici software di indicizzazione (full text engine) particolarmente idonei nella gestione dell'analisi computazionale finalizzata alla creazione di concor­ danze, indici, liste di frequenza, processi di lemmatizzazione e di text retrie­ val. Va infatti tenuto presente che la «vera anima di una base di dati testua­ le» è il motore che la interroga, la cui efficienza ed efficacia computazionale si misura dalla quantità e dalla qualità delle informazioni che «è in grado di recuperare in relazione al livello di codifica introdotto» (Stoppelli, 2oo6, p. ! 8 4 ; 2 00 5 ) .

BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

• 5 ·7 I metadati

I metadati sono il linguaggio della biblioteca digitale, il suo tessuto connettivo. Anche se un uso estensivo del termine li appiattisce sulla funzione delle tradi­ zionali schede catalografiche, appare in tutta evidenza la loro inedita specifici­ tà già a declinarne le tipologie funzionali (descrittivi, strutturali, amministrati­ vo-gestionali, questi ultimi finalizzati in particolar modo alla gestione dei di­ ritti e alla conservazione) . Secondo la definizione I\'ISO: «Metadata is structu­ red information that describes, explains, locates, or otherwise makes it easier to retrieve, use, or manage an information resource. Metadata is often called data about data or information about information» (NISO, 2004 , p. I ; cfr. Gambari, Guerrini, 2002 ; Bassi, 2 002 ) , I n u n contesto i n cui l'universo documentario non è riconducibile a tasso­ nomie predeterminate e l'informazione digitale risulta fragile, facilmente cor­ ruttibile o alterabile, sia nei supporti che nei contenuti informativi, i metadati assolvono diverse funzioni; a condizione naturalmente che siano correttamente applicati dal punto di vista della completezza, della correttezza sintattica e se­ mantica (I\'ISO, 2004 ) , essi consentono l'identificazione univoca 3 ' , l'individua­ zione e la localizzazione di una risorsa, l'aggregazione e l'organizzazione di ri­ sorse con caratteristiche comuni, supportano e descrivono i processi di archi­ viazione e conservazione. Esistono diversi schemi di metadati (Caplan, 200 3 ; Canali, 2oo6) 36 e di­ versi profili di applicazione, a seconda delle specifiche tipologie di risorse do­ cumentarie, delle comunità che li adottano, delle finalità dei progetti di digita­ lizzazione, della granularità descrittiva, tra cui si segnalano i seguenti: - The Metadata Encoding and Transmission Standard (METS), < http: l/www. loc.gov/standards/mets/ > , è un contenitore logico che fornisce l'inte­ laiatura per codificare metadati (secondo schemi di codifica non predetermina­ ti) all'interno di una biblioteca digitale; analoga funzione (prevalentemente ge­ stionale e finalizzata alla conservazione) svolge lo schema Metadati ammini­ strativi e gestionali (MAG) , elaborato in seno all'Iccu, < http://www. iccu.sbn. it/genera.jsp ?id = I O I > . - Dublin Core (ne) , < http://dublincore.org > , nato per la descrizione di ri­ sorse Web anche da parte di non specialisti (si basa su un set di 1 5 elementi

3 5 · L'instabilità degli indirizzi delle risorse in rete rende consigliabile l'adozione di identifi­ catori univoci e permanenti come PURL (Persistent Uniform Resource Locator), Handle System (sviluppato da The Corporation for ;"'Jational Research Initiatives, C::\!RI) , o DOI (Digita! Object Identifi.er, < http://www.doi.org/ > , un sistema usato soprattutto in ambito editoriale per l'iden­ tificazione dei documenti pubblicati elettronicamente). 36. Si veda inoltre IFLA, Digitai Libraries: Metadata Resources, < http://www.ifla.org/II/ metadata.htm > .

34 2

I5

. LA BIBLIOTECA DIG ITALE

tutti opzionali e ripetibili) , è divenuto lo schema di riferimento di molti pro­ getti di digitalizzazione bibliotecaria anche per la sua integrazione con altri schemi o con formati bibliografici, di cui sono definite le equivalenze tra eti­ chette denotate in modo diverso ma semanticamente affini. - The Metadata Object Description Schema (Mons) , < http://www. loc.gov/ standards/ mods/ > , è uno schema di metadati descrittivi derivato da MARC 2 r , e indicato per la sua flessibilità a descrivere oggetti digitali nativi, con un li­ vello di granularità più compatibile (rispetto ad altri schemi) con gli standard dei formati bibliografici. - The Encoded Archival Description (EAD) , < http://www. loc.gov/eadl > , è specificamente rivolto alla codifica dei dati contenuti negli strumenti di sussi­ dio alla ricerca archivistica, ma è anche diffuso in altri contesti che trattano collezioni speciali. - Visual Resources Association (vRA) Core Categories, < http://www .vraweb. org/vracore 3 . htm > , è uno schema usato nel contesto delle arti visive per i cui oggetti o le loro rappresentazioni fornisce un set di metadati descrittivi; sem­ pre per le arti visive, è stata elaborata, con funzioni simili a quelle di METS, una struttura concettuale altamente formalizzata, Categories for the Descri­ ptions of Works of Art (cDWA) , < http://www. getty.edu/research/conducting_ research/standards/cdwal > . - MPEG-7 , Multimedia Content Description Interface, < http://www . chiari­ glione.org/mpeg/ > , è uno standard per la descrizione codificata di oggetti di­ gitali audio e video, per i quali lo stesso gruppo promotore ha creato il mo­ dello strutturale di gestione, MPEG-2 r , Multimedia Framework. - Onyx (e in particolare Onyx for Books) , < http://www .editeur.org/ onix.html > , è uno standard nato per la rappresentazione e lo scambio di in­ formazioni bibliografiche a livello editoriale (anche a tutela della proprietà in­ tellettuale) , ma per la peculiarità delle informazioni trasmesse potrebbe essere utilizzato dalle biblioteche come forma di precatalogazione. - Learning Object Metadata ( LOM ) , < http://ltsc.ieee.org/wg r 2/ > , sono me­ tadati orientati alla descrizione di materiali didattici che utilizzano piattaforme tecnologiche. I fattori che connotano la specificità dei metadati riguardano il loro inscin­ dibile legame con i documenti, di cui essi veicolano le informazioni, nonché l'essere espressi in linguaggi formali che consentono la loro «indicizzazione da parte di strumenti di ricerca appositamente predisposti per interpretarli» (We­ ston, 2oo2a, p. 1 4 7 ) . Questi sono anche i fattori che regolano l'interoperabilità logica e semantica tra risorse digitali pure antologicamente diverse, in grado perciò di creare dinamicamente nuove relazioni, che amplificano di fatto la struttura reticolare dell'informazione in rete. Tuttavia, la varietà dei formati descrittivi e degli schemi di codifica richiede - come requisito per garantire l'interoperabilità - una loro costante " mappatura" (mapping) , sotto forma di tabelle che definiscono le equivalenze semantiche e sintattiche tra gli elementi 343

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

appartenenti a due o più formati di metadati anche eterogenei (crosswalks) 37; ma pure l'adozione di formalismi come quello espresso dal linguaggio RD F (Resource Description Framework) 38, che è un modello di rappresentazione in cui le relazioni fra metadati e risorse vengono esplicitati secondo regole che ne permettono la condivisione coerente e simultanea fra diverse applicazioni (per esempio, di differenti comunità scientifiche) . Ecco perché sono importanti i metadati: essi sono infatti al contempo il mastice che tiene insieme le informazioni sugli oggetti digitali, garantendone la qualità e l'accesso, e la struttura logica che consente flussi di informazioni e nuove relazioni. Il processo di memorizzazione dei metadati prevede due soluzioni distinte (ma non necessariamente alternative) : la loro integrazione all'interno della ri­ sorsa digitale o la loro archiviazione in una base di dati separata ma collegata logicamente a quella documentale; in linea di massima, nell'un caso si garanti­ sce un contestuale e simultaneo aggiornamento sia dei dati che dei metadati, nell'altro si rendono più agili e flessibili le operazioni di ricerca e di recupero delle informazioni. Lo schema di FIG. I 5 . I illustra, a titolo esemplificativo, un modello orga­ nizzativo che fonde la sequenza diacronica e gerarchica delle attività di digita­ lizzazione con quella sincronica e contestuale. I j .8 Il progetto

La ragion d'essere di una biblioteca digitale è racchiusa nei suoi obiettivi e nelle sue finalità. La decisione di operare un processo di digitalizzazione qualunque sia la sua portata - ha importanti effetti di ripercussione sull' orga­ nizzazione che lo promuove da una pluralità di punti vista, i quali investono aspetti gestionali, finanziari, tecnici, che incidono sui criteri di selezione e di conservazione del materiale, e che dunque non possono e non devono essere lasciati al caso e all'improvvisazione 39• Il processo decisionale richiede dunque l'attenta valutazione delle ragioni e degli obiettivi, che può anche essere sostenuta da modelli cognitivi, come il decision making, che supportano la decisione attraverso la disamina di più

37. Cfr. OCLC, Alt about Crosswalks, < http://www.oclc.org/research/projects/mswitchl I_crosswalks.htm > . 3 8 . Resource Description Framework (RDF), < http://www.w3 .org/RDF/ > , è stato realizza­ to da The World Wide Web Consortium (W3C), < http://www.w3 .org/ > . 39· Su questi temi si vedano le riflessioni di R. TENNAI\:T, Managing the Digitai Library, Reed Press, New York 2004 e di T. B. HAHN, Impacts o/ Mass Digitation Projects on Lzbraries and In/ormation Policy, "Bulletin" [of ASisbT] , Oct.-Nov. 2006, < http://www.asis.org/Bulletin/Oct_o6/ hahn.html > .

344

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15.1









L

individuazione dell'oggetto formato dell'oggetto nomendatura directory c file

Definizione dei criteri

PUBBLICAZIONE

E GESTIONALI

DESCRJlTJVT

ME fADATl ' TECNICI

META DATI

Definizione criteri editoriali

Model lo organ i zzat ivo d i un p rogetto d i d i gi tal izzazione

FIGURA

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Solo formato testo

BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

alternative possibili; ne è uno specifico esempio il diagramma proposto (cfr. FIG . 1 5 . 2 ) 4°. Finalità, strategie, soluzioni tecnologiche sono fortemente interrelate e ri­ chiedono pertanto una documentata e coerente elaborazione e pianificazione, in grado anche di analizzare e valutare i rischi di insuccesso (incostante eroga­ zione dei fondi, carenza di personale, deficienze nella cooperazione ecc.) 4 I . Richiedono, a seconda delle finalità sostenibili del progetto, il disegno dell' ar­ chitettura logica della biblioteca e del sistema di relazioni che dovrà mettere in comunicazione le sue singole parti costitutive. Una preventiva analisi dell'utenza, la definizione di un target di riferimen­ to, modulerà il linguaggio della biblioteca, aiuterà a definire i modelli di digi­ talizzazione e la scelta degli standard più idonei, nonché i criteri di selezione delle risorse documentarie da acquisire in formato digitale. Una decisione cri­ tica quest'ultima, che dovrà tenere presenti alcuni indicatori di riferimento, quali: - la valorizzazione di un patrimonio culturale; - la frequenza d'uso di documenti rari, soggetti al deterioramento; - lo stato di conservazione; - l'utilità a fini didattici o di ricerca; - il miglioramento del controllo intellettuale; - la sostenibilità dei costi dell'acquisizione e della gestione; - la capacità di manutenzione e conservazione sul lungo periodo. La stesura del progetto di digitalizzazione si può identificare con la stesura della carta delle collezioni digitali, lo strumento principe di programmazione di una biblioteca, che ne definisce l'identità culturale e quella delle sue raccolte; nonché il bacino d'utenza potenziale e virtuale, gli strumenti di valutazione e selezione del materiale, i criteri di acquisizione, di revisione ma anche di scar­ to che, in ambiente digitale, non investe problemi legati soltanto agli spazi della conservazione quanto semmai all'accessibilità e usabilità delle raccolte. È il documento che infine darà conto e indicherà i protocolli di digitalizzazione seguiti e gli standard prescelti, a partire dai metadati. La biblioteca digitale richiede un'organizzazione che abbia specifiche com­ petenze e capacità gestionali, quand'anche i processi di digitalizzazione siano delegati a terzi. La complessità delle operazioni di acquisizione e pubblicazio­ ne digitale dei documenti, di creazione dei metadati, di archiviazione e conser­ vazione richiede infatti la chiara individuazione di competenze e flussi di lavo­ ro. Il modello organizzativo più praticato è quello che prevede un nucleo in­ terno composto da personale altamente specializzato, in grado di gestire, dele­ gare e sovrintendere a tutte le attività, la cui specifica realizzazione (scansione

40. Selection /or Digitizing: A Decision Making-Matrix, < http://www. clir.org/pubs/reports/ hazenlmatrix.html > , in Hazen, Horrell, Merrill-Oldham ( 1 998). 41. Un ottimo modello di riferimento è il documento National Library of Australia (2oo6) .

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1.s'5 3 i sfl � ;i .!! J h fl :· � �� 1il1 it 1 ili ] l fs l ) , esse rappresentano le pacifiche ma combattive armate pronte a difendere gli spazi della biblioteca dagli attacchi nemici, moltiplicandone la rappresentatività entro le reti di rela­ zione abitate dai singoli aderenti e accrescendone la presenza complessiva al­ l'interno della comunità. Una biblioteca dotata di una robusta rete di alleanze ha più opportunità di essere riconosciuta dai soggetti esterni come partner autorevole con cui condi­ videre progetti di attività che mettono in campo risorse aggiuntive. In un con­ testo generale in cui le risorse pubbliche sono destinate sul medio termine a rimanere stabili, se non addirittura a diminuire, la messa a punto di strategie mature di accesso a nuove fonti di finanziamento diventa un asset strategico in grado di fare la differenza. Promuovere la biblioteca come istituto capace di far fruttare al meglio l'investimento di sponsorizzazioni e finanziamenti esterni, garantendo un ritorno d'immagine più produttivo di quello offerto da altri competitors, è destinato a diventare un obiettivo di importanza vitale, sul quale misurare la professionalità del bibliotecario responsabile. Costruire e mantenere una buona reputazione nella comunità di riferimen­ to è dunque l'orizzonte strategico entro il quale si ricompongono, come in un puzzle dalle innumerevoli tessere, i significati delle singole iniziative promozio­ nali e delle diverse azioni volte ad accrescere la riconoscibilità e la visibilità del servizio erogato. 1 6 .5 Le biblioteche tra innovazione e "resistenza"

Il quadro evolutivo delle biblioteche italiane presenta situazioni così differen­ ziate da non restituire un disegno leggibile: accanto a situazioni di forte inno­ vazione, segnate dall'apertura di nuove sedi, si assiste a una generale tenuta delle posizioni da parte delle biblioteche non miracolate da investimenti straordinari, in un contesto di lenta ma inesorabile erosione delle risorse mes­ se a disposizione dagli enti di appartenenza. Da un lato, dunque, risorse in

r 6 . PROMOZION E , DIDATTICA DELLA BIBLIOTECA E FORMAZIONE DEGLI UTENTI

crescita che danno l' aìre a investimenti sul fronte della promozione e della comunicazione con il pubblico; dall'altro un'agenda giornaliera inchiavardata sul puro mantenimento, con margini di manovra sempre più risicati nei con­ fronti degli interventi ritenuti "di contorno" rispetto alla semplice sopravvi­ venza e "aggiuntivi " in termini di incidenza sul budget complessivo. Da qui la curiosa contraddizione che emerge dalla lettura comparata della realtà italiana, tra biblioteche " nuove ricche" , che approfittano della fortuna di cospicui investimenti strutturali per premere l'acceleratore anche su promo­ zione e comunicazione, e biblioteche "impoverite" , che non sono saltate su treni in corsa e perciò sono vittime della tensione tra crescita dei costi vivi di gestione, stagnazione delle risorse e potenzialità di risposta alle crescenti istan­ ze del pubblico. La contraddizione emerge in tutta la sua evidenza, nel momento in cui si guardi al tipico ruolo di rottura che ogni azione di promozione esercita sugli equilibri esistenti: mentre le biblioteche che hanno aperto nuove sedi e molti­ plicato esponenzialmente i servizi erogati possono permettersi di contenere gli interventi di promozione, giocando sul carattere "rivoluzionario" del servizio in sé, sono proprio le biblioteche non investite da processi di innovazione strutturale che hanno maggior bisogno di investire in promozione e formazio­ ne degli utenti, per riequilibrare a proprio favore il crescente gap tra aspettati­ ve di crescita e reali capacità operative. Non potendo contare su interventi di extreme make over in grado di azze­ rare la storia e farla ripartire da capo, queste ultime sono chiamate a focalizza­ re l'attenzione sulle azioni in grado di incidere non su ciò che a parità di bud­ get non può essere significativamente migliorato (il servizio, la struttura) , ma su ciò che risulta avere conservato le sue caratteristiche di "terra di conqui­ sta " : il giudizio del pubblico. Come nell'ambito del mercato gli investimenti pubblicitari diventano essenziali quando un prodotto sta perdendo posizioni rispetto alla concorrenza, anche per le biblioteche le azioni di promozione, comunicazione e formazione degli utenti assumono un ruolo strategico pro­ prio nei momenti di difficoltà, quando le risorse e l'interesse dei decisori poli­ tici risultano in stalla. È proprio in situazioni come queste che le azioni di " resistenza" delle biblioteche non debbono limitarsi a tenere le posizioni, in attesa di tempi migliori, ma debbono trasformarsi in un set integrato di mano­ vre strategiche in grado di favorire l'inversione di marcia. Una sfida tutt' altro che semplice.

I serv1z1 di lettura 1n biblioteca di Luca Ferrieri

1 7.1 Lettura e biblioteca: una vexata quaestio

Con il tempo quello che era andato definendosi (almeno all'interno dell'uni­ verso della public library) come un rapporto naturale, quasi spontaneo e perfi­ no scontato, si è trasformato in una relazione pericolosa, o quantomeno in un nodo problematico che con l'evoluzione tecnologica e i diversi scenari aperti dalla biblioteca virtuale, digitale, telematica, si è via via ulteriormente aggrovi­ gliato. Da un lato sta infatti la sua ineludibilità: con la lettura, comunque la si voglia intendere, la biblioteca ha e avrà sempre a che fare (tale ineludibilità non è evidentemente negata dall'esistenza e dagli specifici vincoli delle biblio­ teche di conservazione: per che cosa infatti si conserva, anche ponendo limiti alla fruizione, se non per consentire oggi e soprattutto domani la possibilità di leggere e di utilizzare ancora i documenti ?). Dall'altro stanno le diverse de­ clinazioni dei due termini, che in alcuni casi si allontanano fino a porre in un punto asintotico il luogo della loro intersezione (con il corollario delle diver­ genti modalità con cui si intende l'intersezione stessa) . In mezzo sta infine il mare magnum delle mille difficoltà e dei compromessi pratici, per cui molto spesso una lettura in biblioteca affermata in teoria è resa quasi impossibile nella pratica dai burocratismi, dai corporativismi, dai conservatorismi. Scopo di questo capitolo sarà quello di provare a dipanare questa matassa (sia pure nello spazio inevitabilmente ristretto a mia disposizione) , esaminando quelli che in senso molto lato possiamo chiamare i servizi di lettura di una biblioteca. Lo si farà lasciando aperto, ove possibile, un ventaglio di soluzioni che possono collocarsi a diversi gradi di latitudine e longitudine nel campo cartesiano definito dal rapporto tra biblioteca e lettura, ma assumendo come ipotesi di partenza il carattere fondato e fondante del rapporto con la lettura per l'istituzione biblioteca. A questo proposito, pur non potendosi qui affrontare le questioni teori­ che, anche complesse, sottese alla tematica, occorre precisare almeno due pun­ ti, come dichiarazione di principio e affermazione di parte: a) il termine "lettura" è un termine semanticamente carico, che coinvolge la

BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

leggibilità del mondo 1 e che impedisce una visione neutra, asettica, della bi­ blioteca come agenzia puramente distributiva; b) il termine "lettura" è un termine estremamente ampio, versatile e impuro, come intuì Roland Barthes nei suoi interventi di molti anni fa (primo tra tutti la compilazione della voce Lettura per l'Enciclopedia Einaudi 2 ) che restano ancora oggi dei punti di riferimento imprescindibili per l'inquadramento della tematica. Lo intenderemo quindi sempre in senso molto lato, tale da com­ prendere anche la fruizione di un video o di un documento multimediale. Queste due precisazioni, in certo senso complementari ma divergenti, dan­ no ragione della complessità della problematica e la collocano entro questi due estremi: da un lato la lettura è un attività di scoperta e appropriazione del senso che presuppone una sorta di finalismo della biblioteca (più senso e più leggibilità questa riesce a mettere a disposizione, più è vicina alla sua mission), dall'altro essa si fonda anche sull'indecidibilità e sulla indeterminazione che esteticamente pertengono alla sfera della lettura e al vasto mondo delle sue metamorfosi. Come dire che a rendere irrisolto e a volte insolubile il rapporto tra biblioteca e lettura ci si mette anche la relazione non sempre lineare e pacifica tra estetica ed etica: il che ci induce a riconsiderare quello che abbia­ mo chiamato rapporto piuttosto come un "campo di tensioni" , e la vitalità della biblioteca in questo campo come una polarità da tenere sempre accesa, piuttosto che come una contraddizione da risolvere o chiudere. Col che, però, terminiamo i riferimenti teorici ed entriamo nel vivo della questione bibliote­ conomica. 1 ] .2 Superamento della dicotomia servizio/attività

In questo capitolo parleremo dei servizi di lettura di una biblioteca intenden­ do anche superare una sorta di dicotomia che si è stabilita nella pratica bi­ bliotecaria tra quelli che sono considerati i " servizi" e quelle che sono le "ini­ ziative" (culturali, di promozione, di animazione ecc.) . La promozione della lettura, che cercheremo sinteticamente di descrivere (più che di definire) nei prossimi paragrafi, si pone infatti al di là di questa divisione, che a tratti, nella vita delle biblioteche, ha assunto lo spessore di una cortina di ferro e l' opacità di una cortina fumogena. Se, infatti, intendiamo la biblioteca non solo come luogo destinato alla conservazione, alla classificazione e alla diffusione dei do­ cumenti, ma anche come agenzia culturale a tutto tondo, tale divisione non ha più senso se non come articolazione organizzativa interna all'istituzione. Di fatto sono considerabili servizi di lettura sia l'offerta di uno spazio adeguato per l'esercizio dell'atto, sia l'organizzazione di incontri, di gruppi, di attività 1. Il concetto, tratto da H. BLt.:MENBERG (La leggibilità del mondo, il Mulino, Bologna 1 9 84), allude alla possibilità di "sillabare la realtà" come se fosse scritta in un libro. 2. R. BARTHES, A. COMPAGNON, Lettura in Enciclopedia, Einaudi, Torino 1 979, vol. vm.

I 7 . I SERVIZI DI LETTL'RA I:-.J BIBLIOTECA

aventi lo scopo di diffondere, approfondire o sovvertire la pratica di lettura. Lo stesso servizio di prestito può essere a buon diritto considerato un servizio di lettura, anche se la lettura non è per esso un risultato scontato. Ma più di tutto conta la percezione dell'unità funzionale, logica e assiologica della mac­ china bibliotecaria, che ruota intorno alla lettura (anche quando questa non è fisicamente presente) : man mano che questa macchina acquista complessità, il richiamo all'unitarietà diviene ancora più importante, anche per la stessa effi­ cacia della macchina. Naturalmente l'unità tra i diversi servizi, e tra questi e le attività che la biblioteca organizza, deve essere non solo presupposta aprioristicamente ma costruita nel lavoro quotidiano, evitando che la discrasia si riproponga come frutto di azioni scollegate tra loro. Ad esempio nessuna iniziativa di promo­ zione della lettura può essere seriamente progettata senza valutare attentamen­ te le caratteristiche delle collezioni, la ricaduta possibile e auspicabile sul ser­ vizio di prestito, le interferenze con la vita routinaria della biblioteca, la tipo­ logia dell'utenza e molti altri fattori. La vita di molte biblioteche è di fatto segnata da una sorta di incomunicabilità tra la sfera dei servizi e la sfera delle iniziative, ma questo appare sempre di più come un limite delle scelte e della progettazione (o al più come una tendenza che va corretta) che come una divaricazione ineluttabile. Un fenomeno che si verifica molto spesso è proprio quello della separazione tra utenza dei servizi e utenza delle iniziative (le per­ sone, ad esempio, che partecipano a un incontro con l'autore organizzato dal­ la biblioteca sono in minima parte composte da iscritti o utenti assidui della biblioteca) . Questo fenomeno caratterizza molti altri comparti della vita della biblioteca (ad esempio l'utenza dei servizi multimediali è assi differente da quella del servizio di prestito librario) , e questo processo tende ad aumentare (almeno inizialmente) quando cresce la complessità e l'articolazione della bi­ blioteca. Entro limiti fisiologici e se sottoposto ad attento monitoraggio e ad adeguate contromisure, il fenomeno non è in sé negativo perché testimonia la capacità della biblioteca di attrarre e di soddisfare pubblici anche molto di­ versi tra loro. Tuttavia deve essere sempre curata la percezione dell'unitarietà della biblioteca, e deve essere adeguatamente stimolato (ad esempio attraverso iniziative di promozione mirate: ecco un altro caso di attività che si collocano a ridosso del servizio e in stretto connubio con esso) lo scambio e il travaso di utenza. Una biblioteca non può essere pienamente soddisfatta del suo opera­ to, ad esempio, se vede tarme di giovani utenti che si dirigono verso la sala computer attraversando, quasi senza vederli, gli scaffali e le vetrine colmi di libri (e viceversa, naturalmente) . Ma ogni nuovo servizio che la biblioteca (come "organismo in crescita") istituirà, se ben funzionante, otterrà inizial­ mente il risultato di attrarre un'utenza specifica, e di fornire ad essa esatta­ mente ciò che vuole e che è diverso dal servizio limitrofo (è questo anche un principio basilare del marketing e della diversificazione dei pubblici) . A que­ sto punto (e solo a questo punto) il ruolo della biblioteca diviene anche quel­ lo di proporre nuove piste, sentieri divergenti, possibilità alternative: l'unita-

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

rietà della biblioteca si fonda proprio sul presupposto che le risposte sono molteplici e che non esiste una sola risposta a una domanda. Ancora meglio: che oltre alle risposte contano le domande, e che la biblioteca non è solo l'a­ genzia che cerca (e aiuta a cercare) le risposte, ma quella che pone e aiuta a porre le domande. 1 7 ·3 Le molte faccette della promozione

Il termine "promozione" , si è detto molte volte, appare fortemente inadeguato a esprimere il complesso di iniziative che biblioteche e istituzioni hanno messo in campo intorno al libro e alla lettura da almeno un paio di decenni a questa parte, ossia da quando la crisi della "modellistica bibliotecaria" e poi della biblioteca " polivalente" degli anni settanta ha portato alla ricerca di nuove strade e azioni culturali per radicare e sviluppare la mission delle biblioteche pubbliche di base 3• Il termine, infatti, per le sue implicazioni linguistiche e per il suo uso corrente, suggerisce una visione prevalentemente quantitativa dell'agire culturale, e rischia di alimentare una serie di equivoci da cui proprio la pratica della lettura in biblioteca vorrebbe sgombrare il campo (l'idea che ci sia un più e un meno, uno scarto di livelli; che ci si debba appropriare di una serie di beni spendibili su un qualche mercato del lavoro o della cultura; che si debba convertire o riportare all'ovile una serie di lettori smarriti ecc.) . D'al­ tra parte il vocabolo continua ad essere usato, per mancanza di altri migliori e per la sotterranea consapevolezza che la sua inadeguatezza è comunque anche il prodotto di una pratica ancora incerta; e che dunque, forse, è meglio mi­ gliorare e modificare la cosa stessa piuttosto che almanaccare sulla sua defini­ zione. Comunque, anche in Paesi che hanno battezzato in forme molto più creative questo genere di attività (come nei Paesi ispanoamericani dove si par­ la di fomento della lettura o nei Paesi francofoni ove si parla di /ureur du lire) , si continua comunque a usare anche il termine "promozione" . I n realtà le promozioni che interessano l a biblioteca sono almeno tre: quel­ la della biblioteca stessa, quella della lettura e quella del libro (sono qui messe in ordine di generalità decrescente, ma è chiaro che cambiando l'angolo visua­ le può cambiare anche il rapporto di inclusione) . O addirittura quattro se ad esse aggiungiamo, come ha proposto Maria Stella Rasetti (2002 ) , anche la pro­ mozione "del bibliotecario " . Qui ci occuperemo solo della seconda, ma occor­ re un rapido richiamo alla relazione tra esse per poter cogliere, anche in que­ sto caso, il valore connettivo rappresentato dalla biblioteca. L'operazione con­ cettuale che essa compie, infatti, è prima un'operazione di delimitazione (che

3· Per un accenno al retroterra storico della promozione si può far riferimento a Ferrieri

(2ooo) .

I 7 . I S ERVIZI DI LETTL'RA I:-J BIBLIOTECA

quindi per esempio separa l'aspetto merceologico o bibliologico del libro dal suo valore d'uso, mettendo al centro la fruizione del libro rispetto ad altri aspetti come la bibliofilia, il collezionismo, la valorizzazione del bene culturale ecc. ) , e subito dopo però è anche un'operazione di riconnessione e ibridazio­ ne. Le diverse "faccette" delle varie promozioni hanno infatti tutte, a ben ve­ dere, una zona di sovrapposizione, che è quella rappresentata dal contenuto informativo, di piacere estetico e di scambio culturale e interculturale incorpo­ rato dall'oggetto libro (o, naturalmente, dal CD, dal DVD o da altro) . Questa zona di sovrapposizione è proprio quella che sta a cuore alla promozione della biblioteca e che la differenzia, ad esempio, dalla promozione del libro fatta a fini editoriali o educativi. Anche in termini di marketing avrebbe poco senso, infatti, una promozione della biblioteca che prescindesse completamente dalla promozione della lettura, perché sarebbe a tal punto sganciata dal core busi­ ness della biblioteca stessa da risultare poco efficace. Le modalità con cui la biblioteca realizza un'azione di promozione della lettura sono talmente tante che anche un pur sommario tentativo di classifica­ zione incontrerebbe seri ostacoli. Qui ci concentreremo su alcuni filoni, per poi esaminare in modo particolare qualche problematica trasversale. Il filone che esamineremo per primo, anche se sempre sinteticamente, è quello della promozione "invisibile" , ossia di tutte quelle iniziative che pur non presentan­ dosi come azioni autonome rispondono all'obiettivo di ridare centralità alla lettura nei servizi e nella fruizione della biblioteca. Si tratta spesso di misure che non vengono percepite (né dai bibliotecari né dagli utenti) come vere e proprie forme di promozione e che vanno dall'ospitalità che alla lettura viene riservata nei vari comparti del servizio, alle regole di convivenza, alla segnaleti­ ca, all'accoglienza, all'allestimento (secondo certe modalità) della vetrina, alla produzione di percorsi, di schede e di guide bibliografiche, alla fornitura di consigli di lettura (anche in modo non formalizzato, all'interno della normale interrelazione bibliotecario/utente) . Ma tutte queste e altre attività pongono una questione in qualche modo preliminare che è quella dell'abitabilità della biblioteca per la lettura e che riguarda quindi, prima di tutto, la disponibilità e la configurazione degli spazi per leggere. 1 7 ·4 La lettura in sede

Vi è un'obiezione assai sensata e più che legittima che spesso è stata rivolta a questa impostazione 4. La biblioteca, si è detto, non ha tra i suoi scopi princi­ pali quello di facilitare la lettura all'interno delle sue mura. Esistono molti altri

4· Ad esempio da Riccardo Ridi in diversi suoi interventi e significativamente nel più re­ cente: La biblioteca come portale delle letture, "Biblioteche oggi" , 23 (6), 2005 , pp. 3 3 -43.

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

luoghi, più comodi, più adatti e soprattutto più adattabili, in cui la lettura può essere consumata. Ciò è senz' altro vero, sia come affermazione deontologica (la biblioteca non deve certamente costringere o spingere a consumare la let­ tura in loco) sia come constatazione fattuale (in gran parte però legata, in un circolo vizioso, all'insufficiente attenzione che le biblioteche hanno dedicato alla loro ospitalità nei confronti della lettura) . Leggere in una sala di lettura di una biblioteca può essere un'esperienza assai demoralizzante: «una sala di let­ tura mi fa star male» diceva Nietzsche 5; «leggere in presenza di altri è sempre stato sgradevole per me», aggiunge Salamov 6; «posso leggere seriamente solo in casa mia» conclude Fortini 7, per non citare che tre autorevoli, anche se probabilmente datate, testimonianze di scrittori e filosofi. Queste argomenta­ zioni e queste constatazioni non implicano, però, che in biblioteca non si pos­ sa (per principio) leggere e che non si debba fare di tutto perché questa attivi­ tà avvenga nel migliore dei modi possibili. Inoltre, basta un'occhiata in giro per le nostre case, famiglie e città per rendersi conto che non è affatto facile trovare un luogo ospitale per leggere e che la disponibilità di un tale spazio rientra ancora in una condizione di privilegio o di fortuna. Se l'obiettivo di consentire una lettura agiata (o meno disagiata) anche in biblioteca sia o no compatibile con i suoi compiti prioritari, è questione che occorrerebbe valuta­ re caso per caso; personalmente, comunque, sono contrario a una "biblioteco­ nomia a stadi" che si concede un obiettivo solo quando ha esaurito e com­ pletamente risolto quello che considera precedente nella sua scala gerarchica. A partire dalla sua concezione architettonica, la biblioteca pubblica mostra di non aver elaborato con sufficiente profondità, e traendone le necessarie conseguenze pratiche, la tematica dello " spazio per leggere" e dei suoi requisi­ ti (Muscogiuri, 2004 ) . Le varie "tavole di prossimità" (e di incompatibilità) e i diagrammi delle funzioni dei servizi 8 hanno ad esempio sempre dedicato scar­ sa attenzione alla duplice esigenza di uno spazio di lettura: quello di favorire insieme la concentrazione e la distrazione, in modo da permettere sia l'indi­ sturbato precipitare del lettore dentro la bolla pneumatica della lettura, sia l'atto di "alzare la testa" 9 e di interrompere, per sovraccarico emotivo o per una naturale deriva dell'attenzione, il flusso di lettura. Eppure già gli antichi avevano posto un binomio indissolubile tra sale di lettura e porticati, com­ prendendo e stimolando il bisogno fisico di deambulazione (chiacchierando o meditando) che viene dopo un'immersione in un testo. La banale esigenza di tener lontane le sale di lettura dal ticchettio delle macchine per scrivere degli

5· F. 1\:IETZSCHE, Ecce homo, in Id. , Opere, Adelphi, Milano 1 970, vol. VI , torno m, p. 293. 6. v. SALAMOV, I lzbri della mia vita, Ibis, Como-Pavia, 1 994, p. 23. 7 · F. FORTINI, P. IACHIA, Fortini leggere e scrivere, Marco r\'ardi, Firenze 1993, p. 1 0. 8. Ad esempio quelle riportate da P. VIDULLI, Progettare la biblioteca, in M. ACCARISI, M. BELOTTI (a cura di) , Abitare la bzblioteca, Edizioni Oberon, Roma 1 984, pp. 36-7. 9 · R. BARTHES, Il brusio della lingua, Einaudi, Torino 1 988, p. 23.

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uffici, oggi tra l'altro scomparse, non esaurisce la serie di legami di attrazione e di repulsione che esse intrattengono con altri locali e servizi delle bibliote­ che. In realtà tutta l'organizzazione spaziale di una sala di lettura dovrebbe rispondere a una sapiente dialettica tra vicinanza e lontananza: dalla colloca­ zione delle sedute di lettura, ubicate nella sfera prossemica che sta tra quella personale e quella sociale (Hall , r 988), alla distribuzione della luce che do­ vrebbe contemperare l'illuminazione d'ambiente e quella "puntale" mediante lampade ai tavoli. Un a biblioteca che voglia dedicare un adeguato spazio (in tutti i sensi) ai servizi di lettura non potrà quindi accontentarsi di una " stanza di consultazio­ ne" , come spesso viene chiamata (e già il termine tradisce la considerazione provvisoria, intermedia, succedanea della funzione) arredata sommariamente (che è diverso da spartanamente) e più simile a un'aula scolastica che a un luogo accogliente dove trascorrere degli utili e piacevoli momenti di lettura. Dovrà cercare di dar vita a degli ambienti di lettura, come sono in alcune bi­ blioteche straniere i carrels per la lettura individuale, ma anche a delle nicchie per una lettura informale, comoda e libera. In un certo senso si tratta quindi di indicare una strada (ancora tutta da inventare, perché di realizzazioni ve ne sono pochine) che sia "terza" rispetto a: a) il modello della sala di consultazione, rivolto soprattutto a studenti o a persone che hanno bisogno di consultare rapidamente testi enciclopedici o in­ formativi (praticando dunque soprattutto la lettura come scanning e scrol­

ling) ; b) il modello del carre! di lettura, rivolto soprattutto a studiosi, certo più vici­ no all'idea di un ambiente di lettura, ma ancora segnato dall'aura di una lettu­ ra sacrale, spiritualizzata e privilegiata. Questa terza possibilità dovrebbe consentire di leggere anche in posizioni diverse da quella della seduta al tavolo (ad esempio su chaise longue o triclini) con forti ma non claustrofobiche chiusure degli spazi in modo da descrivere bolle in cui il lettore possa essere sollevato dalla presenza fisica e visiva di altri lettori, possa godere invece della presenza di un orizzonte (ad esempio una finestra) o di una prospettiva (ad esempio una veduta di scorcio sulla città, sui passanti, sulla biblioteca) . Questo è il luogo infatti ove la lettura può esercita­ re la tipica dialettica figura/sfondo di cui essa si nutre, per la sua efficacia e per il suo piacere. L'obiezione naturale che viene alla mente è quella per cui stiamo abboz­ zando e auspicando uno spazio privato (la lettura nel boudoir) in uno spazio pubblico. Questa obiezione, volta in positivo, configura però l'aspirazione di tutti i servizi di lettura forniti dalla biblioteca: riuscire a realizzare il clima /riendly, intimo, sciolto e insieme profondo e dedicato, che caratterizza i luo­ ghi e le relazioni di lettura che avvengono nel privato (il tam tam, il consiglio, la lettura duale, la lettura solitaria, la lettura conviviale, la lettura della buona notte ecc.) .

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

1 7 ·5 Asocialità della lettura: il privato nel pubblico

Il mondo delle pubbliche amministrazioni è stato negli ultimi anni attraversato - in coerenza con un'ideologia fortemente sostenuta da alcuni settori della so­ cietà e dell'industria - da un'enfasi sulla privatizzazione che si è spesso con­ centrata sulla scimmiottatura di tecniche aziendali e sulla pratica dell'esterna­ lizzazione dei servizi. Ma nessuno, o pochi, hanno pensato che ci sono ambiti del servizio pubblico, soprattutto nel culturale, nel sociale e naturalmente nel sanitario, che già si avvicinano, e per motivi non economici, alle logiche e alle procedure del privato, perché entrano spesso profondamente nella vita e nelle abitudini private delle persone (e talvolta in quelle del "privato asociale" , ossia in quella sfera che abbisogna della provvisoria sospensione dell'esistenza degli altri per esistere voluttuosamente) . Cercare di farlo nel modo più rispettoso, non solo della privacy ma della totalità della persona, di farlo quindi proprio nel modo opposto a quello praticato da taluni servizi sanitari, che pubblicizza­ no il privato, che trasformano la persona in un organo, che dimenticano e rimuovono la sofferenza così come i servizi educativi e culturali fanno con l'opposta sfera del piacere, è dunque la sfida che i servizi pubblici dovrebbero raccogliere. Tra questi, naturalmente, quello della pubblica lettura che nel fra­ goroso ossimoro mostra la delicatezza e la complessità del suo compito. Bene, quali sono i servizi della moderna biblioteca che esplicitamente m an­ tengono viva questa dialettica? Sicuramente quelli di accoglienza, di orienta­ mento e consiglio. I primi sono quelli che spesso si collocano sotto la soglia di visibilità (essendo troppo visibili, come mostrato da Poe nella Lettera rubata) e spesso anche di consapevolezza: il clima, il vero e proprio microclima, che ac­ coglie il lettore al suo ingresso in biblioteca è spesso decisivo per fargli imme­ diatamente percepire se è entrato in un luogo di detenzione, in una catena commerciale, in uno smistamento postale o piuttosto e per fortuna nella sede di un'agenzia che difende e diffonde la lettura. Naturalmente, come è già stato accennato, in biblioteca non ci vengono solo i lettori, ed è bene che sia così e sarà sempre di più così; ma questo non esime affatto la biblioteca dal pratica­ re, coerentemente con la sua mission, forme di azioni positive nei riguardi del lettore. L'accoglienza, al di là dei dati architettonici e strutturali cui si è già accennato (ci sarebbe molto di più da dire ma in questo spazio non è possibi­ le) , deve fondarsi sulla riduzione al minimo della componente burocratica, sul rispetto della riservatezza, della libertà di scelta e di movimento del lettore: quindi non solo scaffale aperto, ma amichevolezza dello scaffale, semplificazio­ ne delle procedure (anche di certi cripticismi biblioteconomici, di risposte for­ nite a colpi di monosillabi di classificazione decimale) , disponibilità del mate­ riale (quindi buon approvvigionamento, equilibrato indice di circolazione delle collezioni, perché un indice troppo basso significa che la collezione è sottouti­ lizzata, ma un indice troppo alto significa che la collezione è sotto stress e i documenti sono sempre fuori in prestito, e infine anche comoda disposizione 3 70

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dei libri sugli scaffali perché palchetti stracolmi o troppo alti o troppo bassi significano togliere dall'orizzonte del lettore buona parte dell'offerta della bi­ blioteca) . Owietà, naturalmente: owietà molto difficili a farsi e a mantenersi nelle condizioni di vita e di lavoro della maggioranza delle biblioteche italiane. L'altra grande owietà dei servizi di lettura della biblioteca, un'owietà che si colloca esattamente all'ingresso, in tutti i sensi, è la vetrina: che sarebbe il caso di riempire invece di cose meno owie possibili, e quindi di concepire non come un purgatorio collocato tra l'inferno del magazzino e il paradiso della lettura, ma come un anello, niente affatto secondario, del circolo virtuoso del servizio. La vetrina fa promozione: è il primo, a volte l'unico, spesso il fonda­ mentale, servizio di promozione offerto dalle biblioteche italiane e questa vol­ ta direi quasi da tutte. Ragione di più per non abbandonarlo al caso, alla transumanza brada di libri, alle sirene del mercato. La vetrina della biblioteca non è la vetrina della libreria. Può quindi trascurare di esporre il best seller, ma non può trascurare di far colpo sul lettore (o almeno di provarci) , di ti­ rado per la giacca quando passa. Deve avere un ritmo veloce di riempimento/ svuotamento ma può anche permettersi la petulanza di insistere, per qualche settimana, su un titolo, su un autore (coerentemente con una politica di pro­ mozione, con un programma di attività) ; può e deve avere una sezione in cui si salta di palo in frasca e si colpisce a largo raggio, ma anche una sezione monografica; può e deve essere autosufficiente (per sfamare un lettore in crisi di astinenza) ma anche ricca di rimandi e di pungoli di approfondimento. Stesso discorso per quella vetrina multiforme e prolungata rappresentata dalle sezioni tematiche collocate nell'area di ingresso della biblioteca t ripartita (Ric­ china, 1 99 7 ) . A questo proposito, e sempre en passant, occorre osservare che l'adesione a una moda (come quella, tra l'altro abbastanza fugace, del modello della biblioteca tripartita) a volte va di pari passo con l'incomprensione delle motivazioni della proposta biblioteconomica, e dei requisiti necessari per re n­ derla efficace. Avere delle sezioni tematiche all'ingresso della biblioteca che non vengono adeguatamente seguite, alimentate e sfoltite, significa non aver compreso che il punto forte della proposta non è solo quello dell'offerta varie­ gata e tematizzata di titoli (che poteva essere assicurata anche con altri stru­ menti) ma quello della migrazione e del nomadismo delle collezioni (attraver­ so i "livelli" della biblioteca tripartita) che va continuamente monitorato e che richiede molto più lavoro catalografico e statistico. I successivi servizi (che mantengono una loro collocazione liminare anche se consentono e richiedono adeguate incursioni in profondità) sono quelli di orientamento e di consiglio. I primi sono servizi tradizionalmente legati al re­ ference (servizio che altrettanto tradizionalmente è poco praticato nelle biblio­ teche italiane) : esula da questa trattazione, pur avendo importanti legami con i servizi di lettura e pur essendo un servizio che genera e richiede lettura (Di­ levko, Gottlieb, 200 3 ) . Quello che è importante qui rilevare è che questi servi­ zi debbono mantenere un carattere leggero, non invasivo, e che quindi devono prevedere, sia nella sistemazione logistica che nella procedura, un doppio li37 !

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vello di articolazione: quello dell'aiuto sintetico, anche sommario, della rispo­ sta incoraggiante, magari fornita in transito, in piedi, al bancone, facendo al­ tro, inframmezzando una battuta, e poi quello della consulenza prolungata, programmata, realizzata in tempi più lunghi, che richiede un colloquio, un'a­ genda di appuntamenti, una procedura di registrazione, di verbalizzazione del­ le interazioni avvenute. Quando un'agenzia pubblica entra in una sfera privata e personale come è quella dei bisogni informativi e di lettura deve muoversi con i piedi di piombo: non c'è niente di peggio che entrare in un luogo di vendita, di prestito o consultazione ed essere subito inseguito, come avviene in molti esercizi commerciali, da un assistente che vuole a tutti i costi aiutare, orientare, suggerire. Questa esperienza, dal punto di vista delle relazioni, può essere anche peggiore di quella, altrettanto rovinosa, di cercare un aiuto e di non trovarlo (il che non è la stessa cosa di cercare una risposta e non trovarla: perché a domande senza risposta, o con troppe risposte, nel moderno mondo dell'informazione e della documentazione, occorre fare l'abitudine: ciò che non deve mancare mai è la condivisione "in solido" dell'esperienza di ricerca e del suo eventuale fallimento) . Questa regola vale ancor di più per il consiglio di lettura: anche qui la riservatezza circa i dettagli della richiesta e dell'interesse del lettore deve re­ gnare sovrana, pur nella consapevolezza che senza indicazioni personali e a volte intime su abitudini e gusti di lettura il consiglio sarà sempre approssima­ tivo (come del resto è limite e rischio di ogni consiglio in questo campo: come si accennerà, questa attività si configura spesso come un'arte dell'impossibile) . In ogni caso, di fronte a contraddizioni e difficoltà, occorre privilegiare il ri­ spetto della riservatezza anche a scapito dell'accuratezza del consiglio, perché una scelta diversa pregiudicherebbe il rapporto con il lettore e con la sfera che si riconosce essenziale - della privatezza e della "asocialità" della pratica di lettura. Il consiglio di lettura, nelle biblioteche italiane, è lontano dall'aver conqui­ stato un suo diritto di cittadinanza (a differenza di ciò che accade nelle li­ brerie, in cui pare a tutti naturale chiedere e offrire consigli, il che tradisce forse un sospetto, nel senso comune, sulla natura disinteressata degli stessi: consigli sì ma sempre per gli acquisti) e men che meno la dignità di un vero e proprio servizio, come è in alcune biblioteche straniere in cui esso avviene parallelamente (ma distintamente) al servizio di reference. La pratica del con­ siglio in biblioteca prevede soprattutto due modalità: quella individuale (e al­ lora il consiglio è ad personam e viene fornito nel corso di più o meno formali colloqui o scambi informativi tra bibliotecario e lettori) e quella collettiva o istituzionale (e allora il consiglio è erga omnes e viene diffuso attraverso sche­ de, bollettini, newsletter, rubriche ecc. ). In linea con la desacralizzazione e semplificazione dell'istituzione, il consiglio può anche essere " somministrato" al banco prestito durante le ordinarie operazioni e gli scambi comunicativi con l'utenza, purché questo non significhi approssimazione e superficialità. Gli strumenti più utili per una buona gestione di un " servizio di consigli di lettu3 72

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ra" sono rappresentati da una banca dati contenente (compatibilmente con la normativa sulla privacy) l'archivio delle richieste, delle risposte fornite e del feedback, e da una selezione dei testi più opportuni da segnalare suddivisi se­ condo diversi criteri. Mancano in Italia strumenti molto utili (esistenti nei Paesi anglosassoni) quali i repertori tematici, gli elenchi di libri (di narrativa) suddivisi per genere e argomento e corredati di abstract, i soggettari di fiction ecc. Una delle caratteristiche più interessanti del consiglio è la reciprocità. Ciò vale in una dimensione amicale o duale, ma anche quando il consiglio è forni­ to da un'istituzione. È molto importante, quindi, che la biblioteca abbia la disponibilità non solo a dare, ma anche a ricevere consigli. Da questo punto di vista una forma embrionale e spuria di reciprocità è rappresentata dai desi­ derata, ossia dalle procedure attraverso cui i lettori possono richiedere l'acqui­ sto di libri non presenti nel catalogo. I desiderata fanno certamente parte dei servizi di lettura, in quanto sono motivati da un bisogno che genererà un pre­ stito che con ogni probabilità genererà una lettura (il che non è sempre scon­ tato nel caso di un prestito ordinario) . Inoltre trattasi di un servizio proprio della biblioteca come "istituto della democrazia" , per dirla con un classico della biblioteconomia italiana (Carini Dainotti, 1964) . Tuttavia va sempre te­ nuto in conto il possibile elemento deformante contenuto in questa pratica qualora divenga predominante nelle scelte di acquisto (Solimine, 1 999b, p. 5 8 ) : il rischio è quello di perdere il controllo delle collezioni, spingendo sul pedale della disintermediazione e scivolando verso un modello di biblioteca­ market appiattita sugli automatismi del sistema domanda-offerta. 1 7 .6 Socialità della lettura: la pubblicità del privato

Quella "asociale" non è l'unica "faccetta" della lettura. Altrettanto importante, specie nella dimensione dei servizi, è il suo aspetto sociale, quello che enfa­ tizza gli elementi di condivisione, di riconoscimento reciproco, di emancipa­ zione intellettuale che fanno parte della pratica di lettura. Stiamo parlando di asocialità e socialità in modo volutamente schematico e necessariamente meta­ forico, perché nella realtà non esiste una dicotomia così netta, né i termini sono da intendere nella loro letteralità: la " asocialità" della lettura è in grado di produrre un fortissimo impatto sociale (non si tratta, quindi, di solipsismo autoreferenziale) e la sua " socialità" è fortemente tributaria di tendenze e mo­ venze tipicamente individuali se non individualistiche. Ma la bipartizione è utile per collocare i diversi " servizi di lettura" lungo gli assi cartesiani del rap­ porto pubblico/privato. Nel quadrante " sociale" vanno quindi a collocarsi quei servizi, come i gruppi di lettura, gli incontri con l'autore, i laboratori, le feste e le fiere del libro e della lettura ecc. , che si propongono di raggiungere, aggregare e far confrontare diversi lettori e diverse tipologie di lettura. I gruppi di lettura sono una delle esperienze più recenti e più ricche nel373

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l'ambito della promozione della lettura. Nati e cresciuti esponenzialmente ne­ gli USA e in Gran Bretagna intorno alla seconda metà degli anni novanta, han­ no conosciuto all'inizio del 2ooo un buono sviluppo in Spagna e ora mostrano di voler attecchire anche in Italia 10• Si tratta di un'attività di condivisione e di confronto sulla lettura condotta in piccoli gruppi e con la modalità di condu­ zione dei piccoli gruppi. Le caratteristiche operative variano in modo sensibile da un'esperienza all'altra, ma costante è la volontà di comunicare il vissuto e l'emozione della lettura, distinguendosi quindi da ogni attività seminariale o di studio cui pure superficialmente può assomigliare. I gruppi di lettura affianca­ no ad una componente di analisi critica del testo (talvolta spinta fino al pa­ rossismo dei gruppi joyciani di Londra che hanno letto due capitoli dell' Ulùse in tredici anni) una di convivialità e ospitalità (che nei manuali americani spin­ ge addirittura a predisporre, tra i materiali utili per i book group, il testo di una convenzione tipo con ristoranti e ristoratori) . Sempre in bilico tra espe­ rienze amicali, sedute di autoaiuto, pratiche di vivisezione del testo, i gruppi di lettura rappresentano anche una strada di autoconsapevolezza del lettore, che matura così, nei confronti dei servizi della biblioteca, una più attenta par­ tecipazione. In questa accezione il gruppo di lettura diviene la forma di user education che si riferisce specificamente ai servizi di lettura, e che serve anche a costruire intorno ai servizi bibliotecari quella cintura di solidarietà e di inte­ resse che consente di difenderli in caso di bisogno. Gli incontri con l'autore, anch'essi sempre più presenti tra le attività delle biblioteche, rappresentano una diversa modalità di espressione della socialità della lettura e anche del suo impatto sul mercato e sulla produzione editoriale. Tuttavia, perché essi si trasformino effettivamente in " servizi di lettura" sono necessarie alcune attenzioni, che qui si possono solo accennare, e che sono dirette a trasformare l'incontro con l'autore da passerella e presentazione di un " prodotto " , a effettivo scambio con i lettori, capace di sedimentare le let­ ture fatte, di alzarne il tasso di criticità, di generare altre letture. Ad esempio, sono decisivi in questo senso il ruolo che la biblioteca e il bibliotecario hanno nel contrattare e gestire l'incontro; la rappresentanza della voce dei lettori e degli aspetti legati alla lettura (anche attraverso la messa in campo di un "di­ fensore dei diritti dei lettori" o di un " avvocato del pubblico" o l'interpolazio­ ne di momenti di lettura ad alta voce); la presenza di documentazione e infor­ mazione di servizio sul libro e sull'autore precedentemente preparata e raccol­ ta; la realizzazione di cicli tematici e letterari e non solo di estemporanei in­ contri con l'autore in quel momento disponibile o di passaggio. Il ricco armamentario dei servizi bibliografici (che rappresenta un po' la 10. Sui gruppi di lettura la bibliografia (straniera) è ormai fitta. Segnalo almeno: J. HARTLEY, Reading Groups, Oxford University Press, New York, 200 1 ; D. LASKIN, H. HUGHES, The Reading Group Book, Penguin Books Usa, .:'-Jew York 1 995 ; E. SLEZAK, The Book Group Book, Chicago University Press, Chicago 1995 ; B. CALVO, Receta para un club de lectura, < http://travesia. mcu.es/receta.asp > , 2002 .

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faccetta socializzante del consiglio di lettura esaminato nel paragrafo prece­ dente) costituisce un altro importante filone dei servizi di lettura. Questi servi­ zi (che spaziano dalla semplice e semiautomatica produzione di liste di libri on demand alla confezione di veri e propri percorsi bibliografici ragionati) do­ vrebbero cercare di concepirsi sempre di più come uno strumento di promo­ zione oltre che di documentazione, e quindi deporre le vesti dell'esercizio compilatorio (sempre prigioniero del demone di un'impossibile esaustività) per indossare quelle più attraenti della selettività e della narratività. Guide di lettura curiose, invoglianti, stimolanti, arricchite di racconti di lettura e di te­ stimonianze di lettori possono fare molto di più, per avvicinare e costruire il pubblico dei servizi, rispetto a fogli di tabulati (o " elenchi di nuove acquisi­ zioni") gettati nella mischia del bancone. Naturalmente anche questi sono uti­ li, come strumenti di lavoro, come spunta del posseduto, o delle novità, ma si dovrebbero mettere gli utenti in grado di autoprodurli attraverso adeguate funzionalità del software e dell'oPAC di consultazione del catalogo. 1 7 ·7 Le metamorfosi della lettura e i nomadismi della biblioteca

I servizi di lettura subiscono naturalmente la mutazione indotta dalle nuove tecnologie di comunicazione e dalle metamorfosi sociali e culturali della lettu­ ra. Da un lato l'evoluzione virtuale e digitale dei servizi bibliotecari favorisce la delocalizzazione territoriale di alcuni servizi di lettura, che possono ora es­ sere organizzati anche attraverso siti, mailing list, blog e newsgroup. Dall'altro la trasformazione della lettura in attività mobile, interstiziale, " opportunistica" (nel senso clinico del termine: ossia che si manifesta come effetto collaterale e secondario di attività come l'attesa, lo spostamento, il viaggio) , fa sì che la biblioteca tenda a inseguire la lettura nel suo percorso metamorfico e si tra­ sformi sempre di più da "edificio che contiene i libri" in agenzia itinerante di diffusione e promozione della lettura. Anche in questo caso non possiamo toc­ care tutti gli aspetti di questo doppio fenomeno, ma solo accennare alle impli­ cazioni più rilevanti. Vi sono servizi di lettura che possono trarre grande giovamento dalla struttura reticolare di Internet, aprendo sportelli virtuali o facendo ricorso alle grandi possibilità aperte da una cooperazione in cui anche gli utenti possono avere un ruolo attivo. Per esempio i consigli di lettura e gli advisory services I I , il reference digitale, la disseminazione dell'informazione bibliografica, i gruppi di lettura, le chat con gli autori, la biblioterapia 1 2 ecc., sono tra questi. Con I 1. Si veda ad esempio: J. G. SARICKS, Reader's Advisory Service in the Public Lzbrary, ALA, Chiacago 2005 . I 2 . Cfr. M.-A. OUAKJ\'IN, Bibliothérapie. Lire, c'est guerir, Éditions du Seuil, Paris I 994; J. STANLEY, Reading to Heal, Element Books, Boston I999·

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due precisazioni: a) il servizio digitale, specie se trattasi di un servizio di lettu­ ra, non richiede meno ma più "intermediazione" , ossia necessita di un'attenta cabina di regia e di una continua supervisione bibliotecaria 1 3 ; b) esso non eli­ mina ma eventualmente integra e completa la necessità di un servizio "in car­ ne e ossa " , proprio per il bisogno di relazione personale e interpersonale che la lettura comporta, e per la difficoltà di fornire adeguate risposte o consigli se non dopo un colloquio e una consuetudine abbastanza approfondita. Il " mo­ dello Amazon " continua a rappresentare un punto di riferimento per ora insu­ perato (e peraltro inimitato) per i servizi bibliotecari: esso infatti consente un efficace equilibrio tra personalizzazione e invasività, riuscendo a fornire agli utenti, attraverso un sistema di raccomandazioni e di avvisi basati su parole chiave, un efficace servizio di informazione bibliografica sulle novità di pro­ prio interesse. L'utilizzo di una tecnologia predittiva di questo genere (basata sulle scelte di lettura effettuate dai lettori affini) per una disseminazione (via posta elettronica, via Web o via sMs) delle informazioni sui libri presenti in biblioteca, sarebbe di grande utilità. Il secondo corno dello sviluppo dei servizi di lettura (in chiave nomadica) ci pone invece di fronte allo sviluppo di quella concezione della biblioteca che aveva dato luogo al movimento e alle iniziative della biblioteca "fuori di sé" 14. Troppo spesso confusa con una sorta di decentramento bibliotecario, la biblioteca fuori di sé esporta la lettura nei luoghi di transito, nei centri com­ merciali, nelle prigioni, negli ospedali, nelle affollate spiagge estive, nel metrò: è "oltre le mura" non solo perché " senza mura" ma perché contro le mura, contro gli steccati e i confini (Tabet, 1 996) . L'obiettivo è quello di inseguire la lettura sul terreno stesso della sua mutazione e quindi nei luoghi-non luoghi della lettura interstiziale, nomade e anonima. Di farne il veicolo interculturale per una biblioteca realmente " sconfinata" . Questa qualità nuova della propo­ sta la colloca molto al di là del " principio Maometto" (se il lettore non va alla biblioteca la biblioteca andrà dal lettore) e consente di indicarla come una delle possibili future frontiere di una promozione affrancata dall ' emancipazio­ ne. L'espressione stessa "fuori di sé" richiama un furore di leggere che non ha molto da spartire con le tradizioni gradualiste, fabiane, del nostro fabiettismo

1 3 · In questo senso è esemplare la vicenda di alcuni servizi di advisory fondati sull 'automa­ tismo informatico, come il " Lettore gemello " organizzato dalla Biblioteca di Cologno Monzese ( < http://www . biblioteca.colognomonzese.mi.it/index2 .php?consez lettoregemello > ) o il simila­ re servizio di Amazon BookMatcher ( < www. amazon.com > ) : entrambi, dopo un primo momen­ to di crescita, ovviamente più impetuosa per l 'operazione americana (che cronologicamente è però successiva) , hanno conosciuto una fase di stallo, e Amazon ha poi integrato la tecnologia di BookMatcher all ' interno dei propri servizi di raccomandazioni librarie o di " alert " ai clienti, eli­ minandolo come " servizio autonomo " linkato in home page. 14· Come atto di nascita di questo filone di intervento si può indicare il convegno di Ca­ stelfiorentino del I 995 La biblioteca fuori di sé: storie di librz: lettorz: balocchi e profumi. Cfr. Un sistema stellare per esportare bzhlioteca, " Biblioteche oggi " , I4 (8), I 996, pp. I 2 -4; M. s. RASETTI, Esportare la lettura, " Biblioteche oggi " , I 5 (9) , I 997, pp. 5 8-66. =

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bibliotecario. A un'osservazione più attenta la declinazione spaziale delle bi­ blioteche "fuori di sé" si rivela infatti strettamente connessa con la temporalità della lettura: ad essere arredate di scaffali sono ora quelle lande temporali, quelle periferie della quotidianità in cui la lettura può accendere improwise illuminazioni. Si tratta spesso di letture povere, che scontano il disagio di una condizione sempre prowisoria, di un pendolarismo dell'anima prima ancora dei corpi. Verso queste letture la biblioteca in passato ha espresso una colpe­ vole disattenzione cui ora cerca di rimediare. 1 7 .8 Il bilancio di lettura della biblioteca

Dovendo concludere, pur senza aver minimamente esaurito l'argomento, oc­ corre accennare al possibile terreno di verifica dei "servizi di lettura" . Mentre per quanto riguarda il complesso dei servizi della biblioteca è ormai cresciuta, accanto a una fitta letteratura professionale, la consapevolezza dell'importanza della misurazione dell'efficienza e dell'efficacia, anche con la produzione di utilissime batterie di indicatori (AIB, 2ooob) , lo stesso non può ancora dirsi per gli specifici servizi cui abbiamo fatto riferimento in questo capitolo. La mancanza nasce da una difficoltà oggettiva: quella di " misurare l' immisurabi­ le" , ossia di produrre dei criteri di valutazione per obiettivi come lo sviluppo della lettura e la crescita del lettore che probabilmente si realizzano proprio in quanto evidenziano in materia i limiti di ogni metrica e docimologia. I servizi di lettura fanno quindi emergere un limite proprio, forse, all'intera metodolo­ gia di misurazione dei servizi, che spesso appare eccessivamente tributaria di meccanismi esclusivamente quantitativi. Ma non per questo tali servizi !evitano nel limbo dell'ineffabile e dell'approssimativo. Come è stato fatto ad esempio in numerose esperienze bibliotecarie straniere �_5 è possibile mettere a punto degli strumenti di verifica che combinino elementi di valutazione quantitativa e qualitativa. Ciò che consente la verifica dell'efficacia delle azioni di promo­ zione della lettura non è infatti il valore quanto il valore aggiunto: si tratterà allora di andare a misurare, anche attraverso strumenti qualitativi come le in­ chieste, i focus groups, le relazioni dei responsabili, il lavoro degli auditors, quanto e come è mutato l'utilizzo dei servizi bibliotecari e l'atteggiamento de­ gli utenti verso la biblioteca e la lettura. Occorrerà analizzare il "tasso di cam­ biamento" che le letture possono introdurre nella vita delle persone. Si potrà cercare di compilare una "tavola delle relazioni" e dei link che certe iniziative possono originare, illuminando i possibili rimandi e contatti con sfere del sa1 5 . Cfr. B. TRAIN, J. ELKIN, "Measuring the Immeasurable}): Reader Development and Its Im­ pact on Performance Measurement in the Public Library Sector, "Library Review" , 50 (6) , 2001 , pp. 295 -304; H. GREE:-JWOOD, J. E. DAVIES, Designing Tools to Fil! the Void: A Case Study in Developing Evaluation /or Reading Promotion Projects, "Performance Measurement and Metrics" , 5 ( 3 ) , 2004, pp. 1 06- I I .

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pere o con aspetti della vita sociale e culturale a cui i partecipanti in prece­ denza non avevano mai pensato. Occorrerà inoltre dare adeguata rappresenta­ tività agli obiettivi di educazione permanente o lzfelong learning che sono im­ pliciti in servizi e iniziative di promozione della lettura; ai raggiungimenti in ordine alla lotta contro l'esclusione culturale; all'abbattimento del digita! divi­ de; e poi verificare quanto di questi obiettivi o raggiungimenti ha avuto ri­ percussioni sul servizio di front line fornito dalla biblioteca. Ciò che a questo punto potrebbe prendere forma è una sorta di "bilancio di lettura" o del " prodotto interno di lettura" (un altro PIL . . ) che le iniziative e le azioni di servizio possono generare come ricaduta sulla biblioteca. Il nu­ mero dei prestiti effettuati, pur essendo un fondamentale indicatore della vita­ lità della biblioteca e delle sue collezioni, non esaurisce (specie se non viene disaggregato seguendo i legami con le iniziative messe in campo) il "bilancio di lettura" di una biblioteca. Questo sia per il banalissimo motivo che un pre­ stito non equivale e non genera automaticamente una lettura (vi sono prestiti che ne generano molte più di una, attraverso il passaparola e il passalibro, e prestiti che non ne producono nessuna) , sia perché la possibilità di seminare letture propria della biblioteca non si esprime solo attraverso quell'atto "con­ trattuale" ma con una molto più ricca gamma di azioni e comportamenti. Se in passato "i servizi di lettura" hanno esercitato una critica implicita e costruttiva al catalogocentrismo della tradizione bibliotecaria, oggi sembrano dirigere un'analoga e sottintesa critica alla possibile trasformazione delle bi­ blioteche in "prestitifici" e in "bookbuster" 16• .

16. Due neologismi che prendo a " prestito " dalla campagna contro il prestito a pagamento in biblioteca ( < www.nopago.org > ) e da un 'omonima iniziativa organizzata dalla Biblioteca di Cavenago ( < http://www. sbv.mi.it/IT/bibo9/ > ).

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La conservazione dei materiali librari di Carlo Federici

1 8. 1 Libri e beni culturali

Prima di entrare nel cuore dell'argomento, è opportuno sottolineare la disti n­ zione di compiti e finalità che caratterizza le diverse tipologie di biblioteche, poiché tale distinzione rappresenta lo snodo cruciale del problema "conserva­ zione in biblioteca" . Potrà apparire banale ribadire, segnatamente i n questo contesto, che la funzione fondamentale della biblioteca pubblica resta quella di assicurare agli utenti la massima fruibilità dei propri documenti, materiali e no (o, se si pre­ ferisce, analogici e digitali) , e che su di essa non gravano, almeno in linea di principio, incombenze conservative. In concreto però, nel nostro Paese in particolare, è piuttosto frequente il caso in cui nelle biblioteche civiche o in quelle universitarie siano conservati fondi storici di rilevante significato per i quali devono essere adottate tutte le provvidenze capaci di garantire il massimo livello di tutela. Si tratta nondime­ no di collezioni che, in genere, possono essere definite come "chiuse" , testi­ moni cioè di una contingenza storica circoscritta e limitata, che non modifica la " missione" della biblioteca r .

I . Così : «Se volessimo definire oggi la mission cui la biblioteca deve rispondere non po­ tremmo certo identificarla unicamente nella sua funzione di raccolta e immagazzinamento, di tipo archiviale, ma dovremmo porre l 'accento su quella di servizio (non perché la prima non sia importante, ma perché è la seconda che giustifica la conservazione, anche quando essa sembra prevalere sull ' uso)» (Solimine, 2004a, pp. 36-7). D'altra parte un personaggio quale Melvil De­ wey - che nel panorama storico bibliotecario non può essere certamente definito di secondo piano - nell 'ormai lontano 1 876 ( "The American Library Journal " ) si scagliava veementemente contro la biblioteca di conservazione: «È passato il tempo in cui la biblioteca era quasi come un museo, e il bibliotecario una specie di topo tra i libri ammuffiti [a chi, se non a un bibliotecario e "scienziato della biblioteconomia " , poteva doversi l ' espressione " topo di biblioteca " per deni­ grare il lavoro di altri colleghi e per affermare il primato del proprio ? E, se i libri «ammuffiva­ no», ciò si doveva evidentemente all'infima cura con cui quell'ipotetico bibliotecario vegliava sui suoi tesori. N.d.A. ] , e i visitatori guardavano curiosi i manoscritti e i vecchi tomi. È giunto inve­ ce un tempo in cui la biblioteca è una scuola, e il bibliotecario un educatore, e il frequentatore

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La conservazione di tali fondi comporta comunque la messa in atto di mi­ sure particolari che fanno venir meno - anzi sovente contraddicono radical­ mente - la prassi operativa di quegli istituti. La complessità del tema merita che ad esso si dedichi una specifica riflessione che verrà sviluppata, in chiave propositiva, in chiusura di queste note. Il collegamento tra massima fruizione e biblioteca pubblica potrebbe in­ durre in un doppio equivoco: innanzitutto che alla biblioteca di conservazione si confaccia poco l'attributo di "pubblica"; in secondo luogo che coloro che in essa operano si prefiggano la " minima" fruizione. Il primo equivoco si ri­ solve ricordando che con l'espressione "biblioteca pubblica" vengono ormai indicate quelle biblioteche che mettono a disposizione dei cittadini le proprie strutture al fine di garantire la lettura, lo studio, la diffusione delle informazio­ ni. C'è bisogno di ricordare che, nel Manifesto u�Esco sulle biblioteche pub­ bliche approvato nel 1 9 94, tra i «Compiti della biblioteca pubblica» non si trova alcun cenno alla conservazione? Non si intende dunque suggerire alcuna antitesi pubblico/privato, ma prendere atto di un'opzione semantica ormai accettata, con qualche distinguo, dalla gran parte degli studiosi 2 • Il discorso cambia quando si entra nel merito della fruizione, in pratica senza limiti nella biblioteca pubblica, con qualche vincolo - non quantitativo ma di metodo: la consultazione di un manoscritto medievale non può avvenire con le stesse modalità che si adottano per un ma­ nuale scolastico - in quella di conservazione 3 • A questa premessa non può che conseguire una breve riflessione sul libro (nel senso più ampio del termine e quindi sul "materiale librario" ) inteso come bene culturale ovvero come oggetto d'uso: in quest'ultima accezione esso è piuttosto un utensile, ovviamente culturale, ma per il quale si deve escludere a priori lo statuto di "bene culturale" . La distinzione non è solo termino logica poiché, parafrasando un celebre assioma di Cesare Brandi 4, si

un lettore in mezzo ai suoi libri esattamente come un operaio si trova in mezzo agli utensili del suo lavoro» (Bottasso, 1 9 7 3 , p. 12). 2. Vale comunque la pena di notare che se Paolo Traniello ( 1 997 , p. 3 3 5 ) raggruppa sotto la definizione di «biblioteche pubbliche» praticamente tutte le biblioteche (nazionali, universita­ rie, di conservazione ecc. ) , Gabriele Mazzitelli (2005 , p. 2 8) definisce le biblioteche pubbliche come «quelle cioè che dipendono dagli Enti locali». Per contro Giorgio Montecchi e Fabio Ve­ nuda (2005 , pp. 62-5 ) non prendono posizione sulla questione terminologica utilizzando indiffe­ rentemente sia «biblioteca di pubblica lettura» che «biblioteca pubblica». 3· «Via via che un documento diventa antico, cambiano i modi di adoperarlo e perfino gli strumenti per studiarlo e analizzarlo; lo inghiotte un ' altra realtà, questa sì storica. Un incunabolo non si legge come si legge la Recherche (anche se pu ò essere vero il contrario) ; forse addirittura non si legge, si studia. O, per meglio dire, nell' incunabolo non si legge l'opera, si legge l'incuna­ bolo stesso» (Crocetti, 1 99 2 , pp. 1 5 -2 1 ). 4· Cesare Brandi (Siena 1 906-88) fondò insieme a Giulio Carlo Argan l'Istituto centrale del restauro di cui fu direttore dal 1939 al 1959. Fu quindi professore di Storia dell'Arte presso le Università di Palermo e di Roma. Oltre alla Teoria del restauro, alcuni dei suoi principali scritti sul restauro, di cui fu uno dei massimi studiosi, sono stati raccolti in Brandi ( 1 994) .

I 8 . LA CONSERVAZIO:-JE DEI MATERIALI LIBRARI

può forse affermare che "la conservazione è il momento metodologico di rico­ noscimento del bene culturale" ', da cui consegue che, di fatto, si conservano - o dovrebbero conservarsi, almeno istituzionalmente - solo i beni culturali. Diviene perciò importante distinguere il libro-utensile dal libro-bene culturale poiché soltanto a quest'ultimo competono le provvidenze della tutela. Ma se per i libri antichi non sussistono, almeno sulla carta 6, dubbi di sorta, qualche problema potrebbe sorgere per il materiale contemporaneo: quando e perché la copia di un quotidiano - in tutto simile a quella in vendita in ogni edicola diviene bene culturale a pieno titolo? E come si deve comportare nei con­ fronti di essa il bibliotecario? Alla prima domanda non è difficile rispondere, segnatamente alla luce del­ le norme contenute nella recente legge 7 che istituisce il deposito legale dei documenti: ai libri che pervengono alle biblioteche grazie alla nuova normati­ va certamente compete lo statuto di bene culturale. Assai più complesso è sta­ bilire quale comportamento tenere nei confronti di questi materiali; la legge infatti, accanto al fine conservativo, chiaramente affermato, dispone, già nel titolo, che essi siano «destinati all'uso pubblico». Non c'è bisogno di rammen­ tare che la stragrande maggioranza dei libri realizzati in questi anni si caratte­ rizza per l'elevata deperibilità: se la manifattura del codice medievale traguar­ dava orizzonti millenari, i prodotti editoriali contemporanei restano meri og­ getti di consumo. La pretesa di far durare secoli un oggetto confezionato per vivere qualche anno (o, come nel caso dei quotidiani, un solo giorno) appare, di primo acchito, come una contraddizione insanabile. Da essa si esce solo abbandonando l'analogia bene culturale/organismo vivente e restituendo al primo la sua natura di «testimonianza materiale avente valore di civiltà» 8• Torniamo ora al deposito legale e al regolamento di attuazione della L. I o6/ 2004 9; in esso si prevede che quattro esemplari degli stampati prodotti vengano consegnati alle biblioteche, due alle biblioteche nazionali centrali (statali) e due alle istituzioni territoriali della regione in cui ha sede l'editore. 5· Si rinvia, su questo tema, a Federici (2005 , p. 2 I ) 6 . Il Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 22 gennaio 2004, n . 42) precisa (art. IO, comma 4° ) , che sono compresi tra i beni culturali, «i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe e le incisioni, con relative matrici, aventi carattere di rarità e di pregio». Non c 'è bisogno di sottolineare che rarità e pregio non rientrano nella categoria delle grandezze oggettive e che non è quindi né semplice, n é univoco includere (ma lo stesso vale per l ' esclusione) un libro antico, moderno o contemporaneo nel novero dei beni culturali. 7· L. I5 aprile 2 004, n. 1 06 , Norme relative al deposito legale dei documenti di interesse culturale destz"nati all'uso pubblico. Essa inizia con la frase «Al fine di conservare la memoria della cultura e della vita sociale italiana sono oggetto di deposito obbligatorio . . . » (art. I , com­ ma I0) . 8. Si tratta della Dichiarazione I emanata dalla Commissione F ranceschini, in Commissione d 'indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio ( I 967, I, p. 22) 9· D.P.R. 3 maggio 2oo6, n. 2 5 2 , Regolamento recante norme in materia di deposito legale dei documenti di interesse culturale destinati all'uso pubblico.

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

Questa modalità dovrebbe consentire di contemperare l'esigenza conservativa e quella dell'uso pubblico; per tale scopo è prevista peraltro la possibilità di ricorrere a riproduzioni che, oltre a favorire la consultabilità, possono ridurre i rischi per la conservazione di questi " ambigui" beni culturali. L'ambiguità è determinata dal fatto che in essi convivono tutte le connotazioni dell'oggetto d'uso (come s'è detto, la copia del quotidiano depositata in nulla differisce da quella distribuita in centinaia di migliaia di esemplari nelle edicole) insieme con lo statuto indiscutibile di «testimonianza materiale avente valore di civil­ tà» che vincola il bibliotecario alla sua trasmissione al futuro nello stato fisico in cui essa perviene e, quindi, alla messa in atto di tutte le misure capaci di garantirne la migliore conservazione. Da quanto appena enunciato dovrebbe conseguire che sulle biblioteche pubbliche non gravano (meglio: non graveranno) più oneri conservativi - al­ meno relativamente al materiale contemporaneo - poiché questo compito è affidato a ben quattro istituti (due centrali, due a livello territoriale) in grado di garantire la salvaguardia «dei documenti di interesse culturale». Da ciò di­ scende che le biblioteche pubbliche saranno finalmente libere di procedere al weeding o désherbage, ovvero, nella nostra lingua, alla «revisione delle raccol­ te» Io senza remare di sorta. Del resto la funzione di conservazione sarà infine affidata a istituzioni a ciò specificamente deputate, dotate di tutti gli strumenti conoscitivi e tecnici indispensabili per svolgere al meglio il loro compito: tra­ mandare ai posteri un immenso patrimonio documentario che la collettività affida loro dopo averne, in concreto, espropriato gli editori, che si assoggetta­ no al pagamento di un ulteriore balzello - ancorché "in manufatti" - proprio allo scopo di assicurarne la trasmissione al futuro. 1 8.2 Conservazione

Fin qut st e più volte ripetuta la parola "conservazione" lasciando che essa venisse liberamente interpretata, senza cioè spiegarne il significato e quindi senza circoscrivere i limiti che l'azione del conservare inevitabilmente compor­ ta. Tuttavia l'aver accennato, appena sopra, alla " migliore conservazione", pre­ suppone l'esistenza di una "cattiva conservazione" e comporta l'esposizione dei contenuti che si attribuiscono a questo termine. Il primo riferimento è quello istituzionale, vale a dire il già ricordato Codi­ ce dei beni culturali e del paesaggio che alla conservazione dedica un lungo articolo I I . Al comma r o si precisa che «La conservazione del patrimonio cul­ turale è assicurata mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro». Mentre nei commi successiIo. Si vedano sull 'argomento V accani (2005 ) , nonché i numerosi articoli pubblicati nella rivista "Biblioteche oggi " , in particolare nel numero di dicembre 2005 . I 1 . Art. 2 9 , D.Lgs. 42 h oo4, e successive modifìcazioni.

I 8 . LA CONSERVAZIO:-JE DEI MATERIALI LIBRARI

vi vengono definiti prevenzione, manutenzione e restauro, manca una puntuale spiegazione del significato di conservazione, capace di riassumerne e giustifi­ carne le articolazioni. Non resta che provare a colmare la lacuna proponendo una definizione applicabile sia al materiale di biblioteca sia, in generale, ai beni culturali, tenu­ to conto che i principi sui quali si basa la salvaguardia di un monumento, di un dipinto o di un reperto archeologico in nulla differiscono da quelli che garantiscono la tutela fisica di un libro o di un documento d'archivio. La con­ servazione potrebbe dunque essere definita come " il complesso delle azioni dirette e indirette volte a rallentare gli effetti della degradazione causata dal tempo e dall'uso sulle componenti materiali dei beni culturali" . Poiché si tratta di una formula piuttosto sintetica, è opportuno metterne in luce gli aspetti topici. Il primo è la necessità di adottare un "complesso" di azioni, giacché l'intervento isolato non offre alcuna garanzia; così come il solo restauro si risolve, nella gran parte dei casi, in un'impresa fine a se stessa, il medesimo discorso vale per la prevenzione senza restauro, o per l'applicazione della prima e del secondo senza uno studio puntuale e rigoroso del bene cul­ turale e del contesto nel quale esso si colloca. Ma la conservazione si esercita direttamente e indirettamente; anzi è la seconda modalità che offre le maggiori opportunità, in specie quando la conservazione si esplica come prevenzione. Due capisaldi, infine: il primo - trascurato purtroppo anche dal già citato Codice dei beni culturali - è che la degradazione si può solo rallentare e non arrestare; il secondo, che la conservazione agisce solo sulle componenti materi­ che 12 dei beni culturali poiché l'immagine, il "testo" può essere salvaguardato assai più facilmente mediante la sua riproduzione non solo digitale, non solo fotografica, ma anche trascrivendolo (non si deve forse agli scribi medievali la trasmissione fino a noi della cultura classica? E il "testo figurativo" , l'immagi­ ne del Cenacolo leonardesco non è debitrice più alle copie immediatamente successive alla sua realizzazione di quanto possa esserlo agli interventi di re­ stauro?) o persino mandandolo a memoria (e qui basta solo ricordare Fahren­ heit 4 5 1 di Ray Bradbury o, se si preferisce, il film che dal libro ricavò Fran­ çois Truffaut) . Sicché l a conservazione s i identifica con l a salvaguardia dei materiali co­ stituenti il bene culturale i quali supportano il testo e conferiscono ad esso quella forma che ne consente la percezione. In ogni caso ciò vige solo per gli originali - o al massimo per le riproduzioni " analogiche" - poiché la riprodu­ zione digitale, essendo priva di materialità, sfugge alle leggi della conservazio­ ne, tant'è che la sua trasmissione al futuro si basa sostanzialmente su procedu­ re di copia. L'articolazione che nel Codice si dà alla conservazione («studio, prevenzio1 2 . Sempre a Cesare Brandi ( 1 977, p. 7) si deve l'assioma «si restaura solo la materia dell 'o­ pera d 'arte», che oggi si potrebbe probabilmente parafrasare in " si conserva solo la materia del bene culturale " .

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

ne, manutenzione e restauro») è applicabile a gran parte del patrimonio cultu­ rale ma, in particolare, a quello architettonico. Per i beni archivistici e librari - ciò nondimeno il discorso potrebbe valere anche per i reperti archeologici e forse per gran parte dei beni culturali mobili - non è facile stabilire cosa si intenda per manutenzione, e i modi in cui si esplichi. A meno che essa non coincida con la prevenzione diretta, vale a dire con l'adozione di procedure che comportano il contatto con le opere senza alterarne la composizione, come invece avviene, di regola, nel corso del restauro. A titolo di esempio, tra gli interventi di prevenzione diretta ci sono la realizzazione di custodie e con­ tenitori, la spolveratura, la disinfestazione con l'impiego di atmosfere modifi­ cate a basso tenore di ossigeno. L'attributo "diretta" presuppone l'esistenza di una prevenzione indiretta basata sulla messa in atto di procedure conservative che escludono il contatto - diretto, appunto - con l'opera. Ciò avviene, tra l'altro, con il controllo e la regolazione dei parametri ambientali, con la forma­ zione degli addetti, con l'educazione degli utenti 13. Non resta a questo punto che definire il restauro (nel Codice: «intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all'integrità materiale e al recupero del bene medesimo, alla protezione e alla trasmissione dei suoi valori culturali» 14 ) come "intervento diretto fisico e/o chimico sui materiali e sulle strutture del bene culturale" . Poiché il restauro rappresenta una delle articolazioni della conservazione appare pleonastico ribadirne le fi­ nalità. Meno superfluo invece, stabilirne i limiti: quello, innanzitutto, di ga­ rantire la salvaguardia delle informazioni storiche di cui l'opera è veicolo e testimone; in subordine ripristinarne la funzionalità rispettandone le valenze estetiche. Si è sufficientemente insistito sul rapporto conservazione/materialità del bene culturale ed è evidente che l'azione del conservatore si indirizza es­ senzialmente verso le componenti materiali. Per questo le informazioni stori­ che che verranno salvaguardate riguardano i materiali e le tecniche di mani­ fattura dell'oggetto da conservare e, sia i primi sia le seconde, essendo deperi­ bili e riproducibili solo parzialmente (quindi di fatto non riproducibili) sono irripetibili e dunque unici. In questa luce diviene evidente l'imperativo di sub­ ordinare la restituzione della funzionalità (ad essa fa probabilmente riferimen­ to il termine «recupero» del Codice) alla salvaguardia delle informazioni stori­ che: se la restituzione della funzionalità deve andare a danno di queste ultime, è opportuno meditare attentamente prima di procedere. Non è questa la sede per approfondire il tema 1 5, ma un paio di esempi potranno favorire una riflessione sul concetto di funzionalità applicata ai beni culturali. Alla fine del Medioevo, un antifonario del secolo xrv era usato per il 1 3 . Una prima enunciazione della prevenzione diretta e indiretta viene formulata in Federi­ ci (200 1 , pp. 2-6). I concetti principali sono comunque ripresi e sviluppati nel già citato Federici (2005 , pp. 29-6 1 ) . 14· D.Lgs. 42h oo4, art. 29, comma 4° . 1 5 . In Federici (2005 , pp. 63-84) l ' argomento è affrontato e discusso in modo ampio.

I 8 . LA CONSERVAZIO:-JE DEI MATERIALI LIBRARI

canto corale durante le cerimonie liturgiche; di conseguenza la sua struttura, testuale e materiale, era progettata a questo scopo. Oggi esso testimonia essen­ zialmente tale struttura dalla quale si inferiscono modi e destinazioni d'uso, ma nessuno - si confida - pensa di utilizzarlo per la medesima funzione e di certo non mette conto restaurarlo con l'obiettivo di restituirgli quella, ormai vana, efficienza originaria. Allo stesso modo, che senso avrebbe restituire un'i­ potetica funzionalità al quotidiano consegnato per deposito legale alle biblio­ teche? Si tratterebbe della funzionalità che aveva nel giorno in cui venne stampato e che, per gli esemplari ad esso identici, si tradusse in una lettura rapida e senza alcuna precauzione, dato che il giorno successivo sarebbe finito nel contenitore della carta straccia. 1 8. 3 Qualche cenno storico

Non poche difficoltà ostacolano il lavoro dello storico della conservazione nel­ le biblioteche, poiché esso deve misurarsi con una situazione che, dal punto di vista documentario, è largamente deficitaria. Questo deficit non riguarda sol­ tanto la documentazione delle procedure conservative ma, e non poteva essere diversamente, è legato alla qualità e all'attenzione che a queste ultime sono state tributate nel passato perfino recentissimo. Nel ripercorrere i primi passi della conservazione - anche se in questo frangente si tratta della sua ultima fase, il restauro (solo di esso resta qualche debole e lacunosissima traccia) , il fine ultimo è sempre quello di conservare è difficile non awertire la " circolarità" che sembra emergere dal raffronto tra le modalità del passato e quelle che si adottano ai giorni nostri. Infatti, così come oggi la prassi della conservazione delle memorie digitali è quella basata sulla riproduzione, parimenti nel Medioevo, allorché un libro si alterava in modo da renderne difficoltosa o impossibile la consultazione, la regola non era quella di restaurare (anche se sarebbe più corretto parlare di "riparazione" poiché quel libro era considerato uno strumento, un utensile, e l'azione del­ l' instaurator era finalizzata alla restituzione di quella, appunto strumentale, funzionalità) , bensì quella di copiare e gettare via, owero utilizzare per altri scopi, l'originale. Del resto i primi instauratores di cui resta memoria scritta siamo nella Biblioteca Pontificia di Avignone nei primi decenni del secolo XIV - erano illuminatores o scriptores. Nel secolo XVI Giovanni Onorio da Maglie, il cui principale incarico è quello di scriptor librorum graecorum, restaura nu­ merosi manoscritti greci della Biblioteca Vaticana e il suo lavoro consiste, ol­ tre che nel risarcimento delle lacune dei fogli e nel rifacimento di legature, nella riscrittura di brani del testo caduti (Agati, Canart, Federici, 1 996) . Dun­ que il restauro si configura essenzialmente come conservazione (o, se si prefe­ risce, trasmissione al futuro) del testo. Più o meno ciò che accade ai nostri giorni con il materiale digitale. Da Sisto v al secolo XVIII le rare testimonianze pervenuteci - sempre, per

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

larga parte, dagli archivi della Biblioteca apostolica Vaticana - non ci consen­ tono di registrare innovazioni di sorta: quando i libri si «guastavano», «l'Illu­ strissimo Bibliothecario [. .. ] ordinava alli Scrittori che li copiassino» (Furia, I 992 , p. I 7 ) . È necessario giungere alla fine del secolo XIX, con la prefettura del gesuita Franz Ehrle, affinché le tematiche della conservazione e del restau­ ro librario assumano una qualche importanza; ma il cambiamento, ancora una volta, è legato alla riproduzione dei testi la quale, anche grazie alla nascita e allo sviluppo della fotografia, vive una nuova e feconda stagione. A padre Ehrle si deve l'organizzazione (in Svizzera nel I 898) della Conferenza di San Gallo che, nelle conclusioni, «fa voti che venga compilata una lista dei codici più antichi ed importanti, i quali sembrano destinati a certa rovina», nonché «che i codici, compresi nella suddetta lista, vengano fotografati, affinché il loro stato presente rimanga fissato e conservato» (Ehrle, I 909, p. I 0 7 ) . L'incontro di San Gallo sembra annunciare il secolo xx durante il quale si verificheranno, almeno in Italia, eventi che possono essere oggettivamente de­ finiti rivoluzionari per i principi teorici a fondamento della conservazione nelle biblioteche. Le tappe di questa evoluzione sono purtroppo segnate da grandi disastri e prendono il via da quello della Biblioteca nazionale universitaria di T orino colpita, nel dicembre I 904, da un gravissimo incendio. Ai danni del fuoco si aggiunsero quelli causati dall'acqua utilizzata per lo spegnimento, sic­ ché i codici risparmiati dalle fiamme marcirono per l'eccessiva umidità. Al ca­ pezzale della biblioteca torinese accorsero, oltre a padre Ehrle, molti scienziati della contigua Università, il contributo dei quali, pur assai volonteroso, non riuscì a venire a capo di problemi troppo complessi per l'epoca. L'incendio di Torino ebbe però il merito di avviare un rapporto organico con le scienze della natura da cui origina, con tutta probabilità, la creazione, poco più di trent'anni dopo, del Regio istituto di patologia del libro. Alfonso Gallo, che ne fu il fondatore, utilizzò la metafora medica (peraltro di largo uso nella conservazione) anche nella denominazione dell'ente cui ave­ va dato vita. Oggi sappiamo che tale metafora non è impeccabile poiché, dif­ ferentemente dagli organismi animali e vegetali, i beni culturali sono privi di vita e, di conseguenza, non si ammalano e non possono morire. Viceversa essi sono soggetti a degradazione, più o meno lenta, a seconda della qualità delle materie prime utilizzate nella loro manifattura e dell'ambiente in cui vengono custoditi, nonché dell'uso al quale vengono sottoposti. Della struttura e dell'organizzazione dell'Istituto - divenuto, in seguito alla creazione del Ministero per i Beni culturali e ambientali, «centrale per la pato­ logia del libro» - si tratterà più avanti premettendo che essa non si è modifi­ cata granché rispetto a quella concepita dall'ambiente culturale che circondava il ministro Giuseppe Bottai alla fine degli anni trenta e che nel I 93 9 diede vita all'Istituto centrale del restauro, nonché alla legge di tutela I o89 restata in vi­ gore fino a qualche anno fa. L'altra fondamentale tappa evolutiva coincide con l'alluvione del I 966 che colpì la Biblioteca nazionale centrale di Firenze. Quasi un milione tra giornali,

I 8 . LA CONSERVAZIO:-JE DEI MATERIALI LIBRARI

tesi di dottorato straniere, riviste, opere moderne, ma soprattutto circa cento­ mila volumi appartenenti alle raccolte storiche della Biblioteca, vale a dire gran parte del fondo Magliabechiano, i grandi formati Palatini e il prezioso fondo delle Miscellanee, furono gravemente danneggiati dalle acque dell'Arno in piena. L'appello internazionale di Emanuele Casamassima, allora alla testa di quella istituzione, fece accorrere restauratori da tutto il mondo. Anche in questo caso non avvennero miracoli, ma il confronto tra le diverse scuole de­ terminò una rapida crescita della consapevolezza in ordine al ritardo nel quale versava il restauro librario italiano. Un a decina di anni dopo cominciarono a maturare le condizioni che avrebbero portato a elaborare nuove teorie grazie alle quali, oggi, il libro non viene più considerato soltanto un mero utensile da lettura, poiché se n'è rico­ nosciuta la valenza di bene culturale. Non c'è bisogno di sottolineare però che nel frattempo larga parte del patrimonio librario, in particolare di quello più antico, era stata gravemente mutilata. La percezione del libro come manufatto, e non solo quale veicolo di un testo, è alla base del rinnovato approccio alle problematiche della conservazio­ ne. Essa deve molto ai lavori che, in ambito franco-belga, favorirono lo svi­ luppo delle discipline codicologiche e dell'archeologia del libro da cui origina­ rono le idee che conferirono pari dignità a tutte le componenti del libro-bene culturale, presupposto indispensabile per garantirne l'integrale salvaguardia (Federici, 1 98 1 , pp. 1 3 -20) . Se la teoria - che pure in passato non ebbe vita facile 16 - oggi non ha avversari, la sua concreta applicazione è ancora ben lungi dall'essere divenuta prassi corrente. Ciò è dipeso, come si sottolineerà più avanti, dalle gravi carenze nella formazione e dalle resistenze offerte sia dai vecchi restauratori, sia dai bibliotecari, restii ad abbandonare una pratica conosciuta e tutto sommato semplice in favore di procedure complesse che richiedono un rilevante bagaglio culturale armoniosamente articolato tra scien­ ze umane e scienze della natura, lavoro intellettuale e lavoro manuale. D'altra parte anche a livello internazionale il quadro non è granché diver­ so. L'obiettivo della restituzione di una pretesa funzionalità alle opere oggetto di restauro è piuttosto diffuso e pregiudica l'azione della maggior parte delle istituzioni che operano nel settore. Per contro nei confronti delle pratiche pre­ ventive - che è assai meno difficoltoso mettere in atto - si registra un generale incremento dell'attenzione e questa novità deve essere valutata positivamente nella speranza che non finisca per risolversi in indifferenza per il restauro, la cui progettazione ed esecuzione richiedono competenze molto più vaste. Da poco tempo, infine, è disponibile la traduzione italiana di IFLA Princi­ ples /or the Care and Handling o/ Library Materia!, che rappresenta, almeno 16. Si veda, a questo proposito, Giorgetti V ichi (1 978), che rappresenta un ' interessante te­ stimonianza dell ' ultimo "colpo di coda " della massima (e più intelligente) esponente dell 'ancien régime.

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per quanto riguarda la prevenzione, un buon sussidio per la pratica quotidia­ na in biblioteca (IFLA, 20o5 b) . 1 8.4 Istituzioni di riferimento e problemi aperti

Il primo e principale riferimento del settore è l'Istituto centrale per la patolo­ gia del libro, organismo del Ministero per i Beni e le attività culturali; fondato nel 1 9 3 8, svolge funzioni di ricerca, indirizzo e coordinamento tecnico nel set­ tore della conservazione e restauro dei materiali librari, come è possibile an­ che leggere sul sito 17 dell'Istituto. Esso è organizzato in laboratori e servizi e comprende, oltre alla direzione, i laboratori di chimica, fisica e fotografia, bio­ logia, restauro, tecnologia e per l'ambiente. Ci sono inoltre il servizio ammini­ strativo, il servizio per la didattica e l'informazione scientifica, quello di pre­ venzione e protezione, la biblioteca e l'attività di documentazione, l'ufficio tecnico. L'omologo, in campo archivistico, è il Centro di fotoriproduzione, legata­ ria e restauro degli Archivi di Stato, nato esattamente 2 5 anni dopo l'Istituto centrale per la patologia del libro. Dal sito 18 si apprende che esso venne crea­ to con compiti di studiare e sperimentare le attrezzature e i procedimenti da usare nel servizio di fotoriproduzione, legataria e restauro; curare la prepara­ zione del personale in questi settori attraverso corsi di addestramento, aggior­ namento e specializzazione; esercitare la vigilanza su attrezzature e procedi­ menti tecnici sulle 40 sezioni di fotoriproduzione presso gli archivi e sui 20 laboratori di legataria e restauro annessi. Attualmente è strutturato in una se­ rie di laboratori (chimico, biologico, fotografico, digitale) e nel servizio per la conservazione e il restauro. In seguito all'alluvione del 1 966 venne organizzato presso la Biblioteca na­ zionale centrale di Firenze un laboratorio di restauro che, a metà degli anni settanta, contava più di cento addetti. Dopo quella fiorentina, altre biblioteche vennero dotate di strutture consimili: innanzitutto la Biblioteca nazionale cen­ trale di Roma che, a partire dal 1 97 5 , ebbe un laboratorio nel quale operano attualmente una decina di restauratori coordinati da un bibliotecario. Piccoli organismi funzionano presso le Biblioteche nazionali di Napoli, Marciana di Venezia, Universitaria di Torino e presso la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. In verità, fatta eccezione per il primo e per quello veneziano, l'i­ stituzione dei laboratori presso le biblioteche non incise granché, né qualitati­ vamente, né dal punto di vista della produttività, nel panorama del restauro librario in Italia.

1 7 . Cfr. < http://www.patologialibro.beniculturali.it > . 1 8 . Cfr. < http://www.cflr.beniculturali.it > .

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Non bisogna però tacere che nel 1 9 7 2 lo Stato aveva trasferito alle Regioni le Soprintendenze ai beni librari 19 alle quali compete la tutela sul materiale conservato presso le biblioteche di Enti locali o di interesse locale. Fatte salve rarissime eccezioni, tali funzioni vennero, negli anni, largamente disattese ov­ vero, nella migliore delle ipotesi, esercitate solo a livello amministrativo-san­ zionatorio. Si è determinato così un crollo delle competenze tecniche che ha comportato la rinuncia all'esercizio di una conservazione al passo con i tempi da parte della maggioranza delle biblioteche collegate, direttamente o indiret­ tamente, agli enti territoriali. Si è già accennato alla formazione degli addetti alla conservazione e alle numerose carenze che essa evidenzia legate alle difficoltà che incontra l' affer­ mazione del libro come bene culturale a parte intera. Se il " mestiere" di bi­ bliotecario conservatore si imparava dai colleghi più anziani - quando ce n'e­ rano ed erano disponibili a trasmettere le conoscenze apprese, a loro volta, dai loro predecessori - quello di restauratore si acquisiva in "bottega" visto che, fino a pochi anni fa, esso è stato compreso tra le professioni artigiane. Del resto al restauratore si richiedeva di riparare l'oggetto-libro/documento per restituirgli quell'efficienza che ne avrebbe consentito l'uso (cioè la lettura) da parte degli studiosi. Un canale alternativo di formazione era la scuola per restauratori attiva, fin dalla sua fondazione, presso l'Istituto di patologia del libro; essa ebbe durata variabile (da pochi mesi a due anni) e sospese la sua attività nel 1 98 7 per il mancato riconoscimento del titolo rilasciato alla fine dei corsi, come invece avveniva già negli anni cinquanta per la scuola dell'Istituto centrale del re­ stauro. Con tutti i limiti legati alla vecchia concezione del restauro librario, la scuola dell'Istituto di patologia del libro forniva una formazione di base rite­ nuta sufficiente a intraprendere la professione del restauratore di beni librari, visto che egli doveva essere, in fin dei conti, nulla più di un " riparatore" di libri. La graduale diffusione delle nuove idee sulla conservazione fece maturare, all'inizio degli anni novanta, un progetto redatto dall'Istituto centrale per la patologia del libro in collaborazione con la Regione U mbria. Da esso scaturì, nel r 992 a Spoleto, la Scuola europea di conservazione e restauro del libro che rappresentò, in quegli anni, il massimo livello cui giunse in Italia la forma­ zione degli addetti al restauro librario. Iniziative parallele sorsero sia in ambi­ to pubblico (in Lombardia, a Cremona e a Botticino) , sia in quello privato (Firenze, Palazzo Spinelli) . L'attuale transizione, difficile e complessa, determinata dall'applicazione per ora affatto incompleta - del già citato art. 29 del Codice nel quale si stabi­ liscono le linee guida per la formazione del restauratore di beni culturali, non consente di valutarne gli esiti. Le intenzioni, come nella gran parte dei casi,

1 9 . D.P.R. 14 gennaio 1 972 , n. 3, art. 8.

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sono buone e il lavoro "tecnico" fin qui compiuto di ottimo livello; ma tra­ durre in atti concreti la volontà del legislatore di organizzare rigorosamente la preparazione della professionalità fondamentale nel campo della tutela, non è cosa da poco. Taie disegno non può infatti fare a meno di utilizzare ogni for­ ma di sinergia, in primis per l'onere economico che esso comporta: cinque anni di impegno a tempo pieno (complessivamente più di 6.ooo ore) per istruire un numero limitatissimo di allievi ( r 5 , massimo 20 elementi) che dedi­ cheranno almeno la metà del tempo al restauro pratico organizzati in piccoli gruppi, ciascuno dei quali guidato da un restauratore esperto. Una stretta e fattiva cooperazione tra gli istituti che tradizionalmente si sono fatti carico di questa incombenza (Istituto centrale del restauro, Opificio delle pietre dure, Istituto di patologia del libro), università e organismi di ricerca, nonché - ulti­ mi ma non certo i minori - gli enti che agiscono sul territorio (Regioni, Pro­ vince e Comuni) rappresenta l'unica via, irta quanto obbligata, per dare vita oggi a un vero esperto della conservazione e del restauro. Il fascino di questa attività, che ogni anno attira centinaia di giovani - la maggioranza dei quali vedrà inevitabilmente frustrate le proprie aspirazioni scaturisce da numerosi fattori; il principale è però probabilmente quello dell'i­ nusitata ampiezza delle problematiche con cui i restauratori sono chiamati a confrontarsi. La loro soluzione richiede, come del resto per la medicina, la padronanza e la connessione di numerose discipline sia dell'ambito delle scienze umane che di quelle della natura. Un altro e non meno importante connotato è quello dell'estrema articolazione della casistica che conduce alla concreta impossibilità di riscontrare due interventi perfettamente coincidenti. Di conseguenza suscita non poche perplessità la recente redazione di un Capitolato speciale tecnico relativo al restauro librario e documentario in ap­ plicazione della celebre legge Merloni 2 0 (e dei suoi successivi, molteplici ag­ giornamenti) sui lavori pubblici. L'assimilazione del restauro di beni culturali a un «lavoro pubblico» e il suo assoggettamento alle norme che regolano la costruzione di una rete fognaria, di una scuola o di un ospedale avrebbe forse qualche ragion d'essere - ma, anche qui, gli aspetti negativi appaiono di gran lunga superiori a quelli positivi - per grandi opere legate a rilevanti interventi di restauro architettonico. Non ha molto significato la sua applicazione al re­ stauro di beni culturali mobili e quindi a quello di libri e documenti. Essa ha sì reso possibile la definizione della metodologia generale d'intervento, ma con la conseguenza di rendere vano il tentativo di puntualizzare, momento per momento, le procedure tecniche da adottare in un restauro «tipo», il quale assai difficilmente sarà applicabile in modo puntuale alle infinite peculiarità del caso concreto. Il criterio che probabilmente ispira queste scelte è quello di offrire un quadro di riferimento amministrativamente cristallino, tale da con­ sentire agli apparati burocratici di ridurre l'infinita casistica del restauro in po-

20. L. I I febbraio 1 994,

n.

1 09.

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che caselle prefabbricate. Dal punto di vista meramente gestionale, l'intento potrebbe essere lodevole; restano le perplessità relativamente a una materia che, per la sua complessità, mal si presta a soluzioni riduzioniste. 1 8.5 Conservazione e cooperazione

Non si è fatto cenno in questa sede alla formazione del bibliotecario conserva­ tore sulle cui spalle grava storicamente l'onere della tutela del materiale libra­ rio. Purtroppo il bilancio in questo ambito non è esaltante, ma la responsabili­ tà non può essere attribuita solo ai bibliotecari, dati i molteplici fattori che hanno concorso a determinare tale stato di fatto. La principale causa è senza dubbio il deficit formativo che ha comunque riguardato la figura professionale nel suo complesso: solo recentemente si stanno muovendo passi concreti verso la definizione di un percorso curricola­ re di alto livello che consenta, al termine degli studi, di acquisire la piena pa­ dronanza degli strumenti del lavoro in biblioteca. Ma anche se si giungerà a laureare il bibliotecario, esso sarà essenzialmente «un intermediario attivo tra gli utenti e le risorse», come recita il Manifesto UNESCO in cui, come si ri­ corderà, non si fa cenno alla conservazione delle raccolte. Tutti gli sforzi sono stati dunque indirizzati verso l'operatore della biblio­ teca pubblica, per il quale esiste del resto una concreta domanda occupazio­ nale. Lo stesso discorso non vale per il bibliotecario conservatore, professiona­ lità di " nicchia" che registra una richiesta assai circoscritta. È appena il caso di rammentare che anche nei migliori corsi di laurea specialistica o magistrale in Archivistica e Biblioteconomia, i quali ritengo rappresentino oggi il massi­ mo livello formativo del bibliotecario, gli insegnamenti di conservazione non occupano più di 30-40 ore, durante le quali è impensabile andare oltre una trattazione poco più che superficiale delle problematiche della conservazione e del restauro. Ci troviamo dunque dinanzi a una impasse dalla quale non è semplice uscire. Da un verso sembra ormai fuori discussione che la conservazione " fai da te" sia un'aporia poiché un serio esercizio della tutela dei beni culturali richiede una preparazione impegnativa e articolata di cui si è ormai preso atto a livello normativa (le scuole di alta formazione per restauratori cui si è accen­ nato sopra) ove, di regola, si ratificano situazioni maturate nella prassi quoti­ diana. Dall'altro verso bisogna sottolineare che se la tradizionale filiera da cui emergono i bibliotecari, di radice storico-umanistica, resta la piattaforma cul­ turale irrinunciabile per qualsiasi conservatore, su di essa deve necessariamen­ te innestarsi la conoscenza non superficiale delle scienze della natura. Si può oggi pensare di riuscire, ancorché nel medio termine, a intraprendere un pro­ cesso didattico di questo tipo ? Allo stato dei fatti, la risposta è purtroppo ne­ gativa e, giacché è opportuno misurarsi con la realtà e non con i sogni, divie-

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ne indispensabile cominciare a riflettere su possibili alternative che provo a introdurre con una telegrafica nota personale. Dopo un trentennio trascorso a occuparmi di conservazione del libro, mi sono trovato ad operare nel mondo delle biblioteche pubbliche che, come si sottolineava in apertura, non hanno tra le proprie finalità quella della conser­ vazione. Questa "digressione" professionale è stata per me assai utile: oltre ad arricchirmi dal punto di vista umano, grazie al contatto con colleghi di grande competenza, mi ha consentito di scoprire un mondo che ha accresciuto in modo esponenziale la propria efficienza e la gamma dei servizi offerti ai pro­ pri utenti con un rapporto costi/benefici molto favorevole. Questo risultato è stato raggiunto grazie alla cooperazione, nella quale si trovano le fondamenta del grande edificio delle biblioteche pubbliche italiane. L'attuale situazione è molto simile a quella che portò, negli anni settanta, alla nascita delle strutture cooperative. Quando la complessità generale dei problemi da fronteggiare ogni giorno diviene molto elevata e quando le risorse disponibili - non solo economiche ma soprattutto conoscitive - non sono suf­ ficienti da consentire alle singole istituzioni di rispondere in modo adeguato e tempestivo alle domande del " mercato" , è giocoforza ricorrere alla coopera­ zione. Come è stato acutamente messo in luce in un lavoro specifico su questo tema (Galluzzi, 20o4b) , la costituzione di strutture cooperative favorisce, tra l'altro, la riduzione dei costi fissi, la razionalizzazione delle spese e la realizza­ zione di economie di scala, il potenziamento tecnologico, l'espansione del mercato e la condivisione dei risultati. Owiamente non mancarono, a suo tempo, le obiezioni: i risparmi e le economie di scala non hanno una significa­ tiva incidenza; la cooperazione riguarda attività marginali; potrebbe verificarsi una carenza di leadership così come una perdita dell'autonomia decisionale e, su questo sostrato, potrebbero determinarsi situazioni conflittuali ecc. Tutto ciò, è bene ricordarlo, riguarda la cooperazione nelle biblioteche pubbliche, la quale è comunque uscita vincitrice da queste battaglie ed è oggi il cardine sul quale poggiano i servizi offerti agli utenti. L'impasse in cui si trova, nell'attuale fase storica, la conservazione potrà essere superata solo imboccando al più presto questa strada che, mediante la ripartizione degli oneri e la messa in comune di risorse, strutture e personale, rende accettabile il rapporto tra gli elevati costi che comporta e gli indubbi benefici che da essa possono derivare. L'opzione che viene proposta è, almeno in Italia 2 1 , affatto originale giac2 r. A metà degli anni novanta sono state promosse alcune iniziative di cooperazione per la prevenzione nelle biblioteche di alcuni Paesi dell 'America Latina. L 'impresa, indubbiamente di grande significato, venne finalizzata soprattutto alla sensibilizzazione dei bibliotecari nei confron­ ti della conservazione mettendo in evidenza gli aspetti che, in questa sede, sono stati classificati come interventi di prevenzione diretta e indiretta. Non è un caso che, anche in questa occasione, si sia preferito " dimenticare " il restauro, o peggio, rinviarlo " a data da destinarsi " . V ale la pena di sottolineare, ancora una volta, che la formazione di un tecnico della prevenzione richiede tem­ pi e impegno di gran lunga inferiori rispetto a quelli indispensabili per istruire un restauratore.

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ché non si ha notizia di soluzione di problemi conservativi - nel senso inte­ grale del termine, senza cioè !imitarne il significato alla sola prevenzione, come talvolta è accaduto e sembra che più frequentemente accadrà in futuro - me­ diante il ricorso a strutture di cooperazione tra biblioteche. In altre parole, si ritiene non più rinviabile la creazione di una sorta di " sistema bibliotecario della conservazione", unica via di uscita per problemi annosi per i quali non si intravede al momento alcuna soluzione. La dimensione ideale di tale " sistema" dovrebbe essere quella regionale, ma nulla vieta che esso abbia un'ampiezza inferiore owero scaturisca da un processo di aggregazione interregionale. Entrando nel merito dei problemi provo a esemplificare l'applicazione cooperativa della conservazione a due casi: il primo è quello delle biblioteche le quali, pur classificate come biblioteche pubbliche, debbono farsi carico di conservare fondi librari di particolare rilievo; il secondo esempio riguarda l'applicazione della nuova legge, e del relativo regolamento, sul deposito le­ gale. Come è noto, le biblioteche " miste" sono piuttosto frequenti nel nostro Paese e ciò non favorisce né la gestione del libro-utensile - per il quale non è raro assistere all'adozione di procedure di tutela irrazionali: basti qui ram me n­ tare le voluminose raccolte di quotidiani, più o meno approssimativamente ri­ legati, che troppo spesso intasano i magazzini delle biblioteche di pubblica lettura - né la conservazione che, applicata talvolta in modo quasi maniacale per il materiale antico, viene sovente trascurata per quello contemporaneo. Sembra evidente che le carenze sono legate soprattutto al "che fare? " per il quale si sconta in primis quel deficit formativo di cui s'è detto; da esso con­ seguono le difficoltà di gestione e di programmazione degli interventi conser­ vativi da parte dei bibliotecari. In queste circostanze il "sistema bibliotecario per la conservazione" potrebbe giocare un ruolo chiave: le biblioteche che ne­ cessitano di ausilio in questo campo si associano, concorrendo per una quota proporzionale all'impegno richiesto in presenza (giorni/mese) del conservatore presso la biblioteca. Tale presenza sarà finalizzata essenzialmente alla soluzio­ ne dei problemi gestionali della conservazione (dalla prevenzione alla pro­ grammazione/progettazione del restauro) , mentre l'onere economico degli in­ terventi di restauro, realizzati comunque sotto il controllo del " sistema" , non rientrerà nel budget della cooperazione. L'intervento del restauratore-conservatore sarà sempre coordinato con quello dei bibliotecari responsabili delle raccolte oggetto di tutela, poiché l'opzione di metodo non potrà che essere quella del lavoro in équipe. Una volta appresa dal bibliotecario la storia della raccolta e valutati congiuntamen­ te gli eventuali problemi, l'addetto alla conservazione proporrà alla biblioteca le diverse soluzioni facendosi carico, sempre in stretto rapporto con essa, degli impegni che esse necessariamente implicano. Il regolamento della legge sul deposito legale prevede che le due copie consegnate alle istituzioni che operano nella Regione in cui ha sede l'editore vadano a costituire l'archivio regionale del libro contemperando, come si dice3 93

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va, la duplice esigenza della conservazione e dell'uso pubblico. Qui, se si vor­ rà offrire un servizio coordinato ed efficiente, non sarà possibile fare a meno di una cooperazione che, per giunta, dovrà essere estremamente allargata coin­ volgendo Stato, Regioni ed Enti territoriali con la massima organicità. Da un verso infatti la tradizione e la storia hanno fatto sì che tutte le biblioteche statali siano depositarie delle pubblicazioni stampate sul territorio di loro competenza. Sicché accade che le biblioteche statali di Milano, Pavia e Cre­ mona raccolgano da tempi quasi immemorabili i libri e periodici impressi in quelle province, mentre quelli veronesi (non dimentichiamo che a Verona stampa Mondadori) finivano nella Biblioteca civica di quella città. Senza entra­ re nel merito dello iato che si verificherà nelle raccolte scaligere - la consegna da parte dell'editore sposta il deposito nella provincia di Milano, ove ha sede la Mondadori - d'ora in avanti la responsabilità delle due copie destinate agli Enti territoriali viene trasferita alle Regioni ed è indispensabile avviare quel rapporto organico di cooperazione fino ad oggi assai carente. L'analisi della fase attuale della conservazione del materiale librario in Ita­ lia prefigura scenari che paiono delineare sbocchi inevitabilmente legati allo sviluppo di strutture cooperative in grado di andare ben oltre i confini che hanno caratterizzato fino ad oggi le biblioteche pubbliche in Italia. Ben consa­ pevole che il terreno e le modalità sono del tutto diverse, porto ad esempio l'impegno che, negli anni novanta, ha contraddistinto lo sviluppo del Servizio bibliotecario nazionale. Se è fuori discussione l'impossibilità di replicare ai giorni nostri uno sforzo finanziario di quel tipo, è parimenti chiaro che la con­ servazione non richiede tali oneri economici. Dalla riflessione sul ruolo che una tutela intelligente e partecipata dei beni librari giocherà nel futuro non può che discendere un'opzione netta in questo senso, restituendo al nostro Paese quel ruolo di guida internazionale che le scelte degli ultimi anni hanno messo in seria discussione.

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La conservazione delle memorie digitali di Maria Guercio

1 9. 1 La conservazione e le criticità concettuali e organizzative

L'analisi qui sviluppata in materia di conservazione digitale è finalizzata da un lato a esaminare i principali nodi teorici e pratici che oggi rendono la funzio­ ne conservativa un problema cruciale e di difficile soluzione, dall'altro a iden­ tificare gli strumenti e le attività più significativi in tale ambito. Non è naturalmente possibile, in questa sede, considerare tutti i molteplici aspetti connessi alla conservazione digitale, tra cui ad esempio i formati dei file, i servizi di registrazione dei formati medesimi, i modelli organizzativi per la gestione di depositi digitali, né presentare criticamente la ricchissima, anche se frammentaria, letteratura esistente. Per altre questioni anche rilevanti ci si è dovuti limitare a una breve sintesi. Si è invece ritenuto opportuno affrontare l'analisi delle trasformazioni che i nuovi ambienti tecnologici determinano sul­ la natura delle memorie digitali, sulle attività tecniche e sui requisiti organizza­ tivi che costituiscono le principali misure conservative adottate nelle più rile­ vanti esperienze di livello internazionale (standard per l'uso di metadati de­ scrittivi e gestionali, sviluppo di depositi digitali affidabili, metodi e strategie per la conservazione) . La necessità e l'opportunità di optare per la conservazione preventiva o indiretta (intesa come il mantenimento degli oggetti nelle loro originarie condi­ zioni) , rispetto al ricorso a interventi di recupero successivo o diretto, sono ormai acquisite nei processi conservativi praticati per le memorie tradizionali, perché la pianificazione delle attività garantisce sia il controllo dei costi sia la qualità dei risultati. In ambiente digitale questa scelta è una condizione irri­ nunciabile in qualunque contesto e per la quasi totalità dei documenti per una serie di ragioni che derivano dalla particolare natura dell'ambiente informatico e delle sue risorse. Il cambiamento non è tuttavia solo una questione di tempi, ma implica la radicale e significativa trasformazione di tutte le componenti e di tutti i requisiti che hanno assicurato, almeno nell'ultimo secolo, la salvaguardia del patrimonio documentario storico, scientifico e culturale dell'umanità. Qualunque riflessione in questo settore deve in primo luogo riconoscere 3 95

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che, mentre i documenti prodotti in ambiente tradizionale sono considerati oggetti fisici durevoli, il cui naturale processo di degradazione è comunque compatibile con la possibilità della loro conservazione in forma originale, so­ stanzialmente inalterata, per un arco temporale di lungo periodo, le risorse digitali sono al contrario soggette - per motivi di obsolescenza, oltre che per la fragilità dei supporti - a un continuo (più o meno frequente, ma comunque inevitabile) processo di trasformazione che ne consente l'accesso nel tempo, ma implica rischi gravi di perdite e manipolazioni. Solo la gestione preventiva dei requisiti di conservazione nel tempo sin dalla fase di formazione dei docu­ menti assicura condizioni di trattamento coerenti con la presunzione di au­ tenticità della fonte e la sua accessibilità a costi ragionevoli. La digitalizzazione delle fonti documentarie prodotte e mantenute esclusi­ vamente in forma elettronica (il supporto esiste, ma non influisce necessaria­ mente sul processo conservativo e di fruizione, né sulle peculiarità essenziali del documento) costituisce allo stesso tempo il vantaggio e il limite delle nuo­ ve memorie. È senza dubbio di grande importanza disporre di documenti fa­ cilmente e rapidamente migrabili su altri supporti analoghi o migliori, in altri ambienti, su altre piattaforme; ma è inevitabile e rilevante il limite intrinseco di materiali che comunque richiedono una molteplicità di mediazioni, stru­ menti e risorse per poter essere utilizzati (letti e compresi) e ulteriori e non sempre disponibili informazioni per ricostruirne la provenienza e valutarne l'integrità. La possibilità stessa della funzione conservativa - peraltro già rico­ nosciuta come "un complesso di azioni" molteplici (Federici, 2005, p. 1 7 ) richiede un cambiamento significativo rispetto alle attività tradizionali: la con­ servazione in ambiente digitale è una funzione attiva e continua nel tempo, co­ stituita di molteplici attività affidate ad altrettanto numerose responsabilità di­ stinte, per il cui adeguato esercizio non ci sono ancora esperienza e consape­ volezza sufficienti, né soprattutto un'analisi concettuale altrettanto solida e coerente di quella sviluppata per le attività tradizionali. Inoltre, i tempi degli interventi, sia preventivi che successivi, si sono accorciati enormemente, met­ tendo a rischio grave di sopravvivenza tutte le risorse non concepite con ga­ ranzie di permanenza e per le quali non si sia predisposta la precoce custodia in depositi finalizzati o su cui non si sia intervenuti con misure conservative a breve distanza dalla loro produzione; la fragilità dei supporti e la facilità nella manipolazione richiedono peraltro investimenti molto significativi, sia per la creazione che per la gestione, e il monitoraggio dei depositi medesimi; la di­ versificazione dei sistemi di produzione delle risorse e dei prodotti stessi rende impegnativa la definizione di soluzioni condivisibili anche a medio termine. In sostanza, la conservazione digitale non è compatibile con la trascura­ tezza che ha caratterizzato finora il sistema conservativo tradizionale e soprat­ tutto non è efficace se è considerata e gestita come un processo isolato, la­ sciato per di più alla responsabilità delle sole istituzioni di custodia: si realizza con successo se è invece riconosciuta come una componente essenziale del più

1 9 . LA CO:-JSERVAZIONE DELLE MEMORIE DIG ITALI

generale complesso integrato di servizi, politiche, responsabilità cui è ricondu­ cibile ogni sistema documentario digitale. Le ragioni per cui, a distanza di decenni dai primi riconoscimenti della difficoltà della sfida 1 e della sua rilevanza, siamo ancora lontani da soluzioni soddisfacenti dipendono da numerosi fattori tra cui il fatto che: a) l'obsolescenza - intesa soprattutto come continua evoluzione delle applica­ zioni software - sia un fenomeno tuttora irreversibile e ambivalente: per af­ frontarla non si sono ancora individuati metodi condivisi, univoci, regolamen­ tati e capaci nel lungo periodo di trasmettere fedelmente i documenti, assicu­ rare gestione e accesso, garantire allo stesso tempo la tutela dei diritti, la sicu­ rezza dei sistemi e la distribuzione delle risorse; b) gli standard internazionali, le norme nazionali e le raccomandazioni siano ancora insufficienti a sostenere l'obiettivo della stabilizzazione dei documenti informatici, o per la genericità dei loro contenuti, o per la limitatezza della loro diffusione applicativa; c) i modelli organizzativi e la catena delle responsabilità (autore, editore, isti­ tuto di conservazione) siano solo in parte sperimentati e, comunque, solo per le istituzioni di maggior rilievo, per lo più nazionale; d) manchino soprattutto procedure e strumenti che promuovano con succes­ so il raggiungimento di due obiettivi sostanzialmente contrastanti: l'autenticità (che consiste principalmente nelle attività di identificazione univoca e garanzia dell'integrità dei singoli oggetti digitali documentari) ; l'accessibilità generalizzata e di lungo periodo dei sistemi documentari digi­ tali (dei singoli documenti e delle relazioni di contesto garantite dalla corretta produzione e tenuta delle informazioni identificative e di amministrazione, i metadati) resa possibile dal ricorso a soluzioni tecnologiche e organizzative che consentono il superamento o almeno la gestione ragionevole dei problemi di obsolescenza, ma che, tuttavia, implicano quasi inevitabilmente la modifica del flusso di bit ed eventualmente anche la perdita di elementi strutturali del­ l' oggetto destinato alla conservazione. Al fine di definire le linee di intervento necessarie per gestire adeguata­ mente un universo alquanto complesso e diversificato, quale quello ora de­ scritto, è innanzitutto indispensabile circoscriverne i confini e limitare l' oriz­ zonte di analisi al nucleo centrale di attività, strumenti e requisiti organizzativi in grado di assicurare che i documenti informatici siano mantenuti accessibili, utilizzabili (leggibili e intelligibili) e autentici nel medio e nel lungo periodo, in un ambiente tecnologico certamente diverso da quello originario. Il paradosso principale riguarda la duplicità contraddittoria delle esigenze di qualunque tipologia di utente: il mantenimento della forma originaria, delr. F u un famoso ed efficace articolo di Jeff Rothenberg ( 1995 ) a sollevare con chiarezza i primi inquietanti interrogativi sulla possibilità di conservare il futuro digitale cui ancora oggi studiosi di diverse discipline, Rothenberg incluso, cercano di rispondere con soluzioni solo par­ zialmente efficaci e comunque costose e impegnative dal punto di vista organizzativo.

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l'integrità e dell'affidabilità da un lato, ma anche, dall'altro, la garanzia di un accesso dinamico e interattivo che inevitabilmente introduce cambiamenti nei documenti, nella loro struttura e nelle relative informazioni descrittive con la conseguenza che si richiedono nuovi paradigmi di intervento, con specifico ri­ ferimento alla necessità di anticipare le attività finalizzate alla conservazione al momento in cui le risorse digitali si formano. Oltre che sulle modalità successive di conservazione e accesso, è infatti ne­ cessario (per contenere i costi e garantire i risultati) intervenire precocemente e quanto più possibile sui modi stessi in cui le risorse vengono prodotte origi­ nariamente e sulla documentazione dei sistemi e delle applicazioni: gran parte delle informazioni e dei metadati che garantiscono l'accesso al patrimonio do­ cumentario digitale e la verifica della sua inalterabilità sono disponibili solo nella fase attiva della produzione (ad esempio dati sulle responsabilità di for­ mazione e gestione, i sistemi di indicizzazione e recupero, le informazioni sul contesto tecnologico, tra cui schemi logici dei DB, documentazione delle ap­ plicazioni) . A differenza di quanto avviene negli ambienti tradizionali, la definizione dei requisiti non può essere affidata a regole tecniche dettagliate, ma al rico­ noscimento di principi e procedure generali che dovranno comunque richie­ dere specifici interventi di analisi e interpretazione all'interno di ciascuna isti­ tuzione ai fini della concreta applicazione. Ancora una volta, gli interrogativi che devono trovare risposta nei diversi domini conservativi e nelle concrete realtà operative sono quelli essenziali di tutti i sistemi documentari: che cosa e come si conserva e chi ha la responsabilità della custodia. 1 9 .2 Che cosa si conserva: integrità e autenticità delle risorse, accessibilità, i metadati per la conservazione digitale 1 9 . 2.1 .

Integrità e autenticità delle risorse

Come si è già sottolineato in precedenza, il requisito fondamentale per lo svol­ gimento della funzione conservativa è senza dubbio il mantenimento dell' au­ tenticità della produzione documentaria digitale. Le risorse devono essere, in­ fatti, recuperabili con certezza e interezza dalla memoria di archiviazione, per poter essere trattate da un computer e visualizzate e comprese dall'utente. Poiché, come si è ricordato, i documenti digitali sono conservati e conser­ vabili nella misura in cui sono sottoposti a continui interventi che ne modifica­ no alcune caratteristiche e alcuni elementi, ma che assicurano al contempo la leggibilità rispetto ai rischi dell'obsolescenza, il primo nodo da sciogliere è quello di stabilire il grado di trasformazione che i documenti possono subire senza compromettere la possibilità della loro validazione futura. Questa con­ traddizione deve trovare una composizione, un punto di equilibrio, che può essere raggiunto solo attraverso un'impegnativa ricerca interdisciplinare che,

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riconoscendo l'inevitabilità di un processo di deterioramento della memoria documentaria e un minor grado di certezza e stabilità, definisca, per tipologie di risorse documentali e di funzioni, limiti di trattamento e condizioni di tenu­ ta coerenti con processi conservativi di qualità. In questo contesto di ricerca e di riflessioni, i risultati del progetto interna­ zionale InterPARES ( < http://www . interpares.org > ) sui requisiti di autenticità delle risorse digitali meritano un approfondimento per alcune importanti con­ clusioni concettuali e di metodo, cui il gruppo di lavoro internazionale - l'uni­ co che si è misurato con questo tema impegnativo con strumenti interdisci­ plinari e metodi scientifici è pervenuto 2 • Una delle conclusioni che meritano di essere sottolineate riguarda il fatto che, in ambiente elettronico, a causa proprio dell'obsolescenza tecnologica e della necessità di continua migrazione dei documenti, la conservazione a lungo termine può assicurare esclusivamente la produzione di copie autentiche di do­ cumenti digitali autentici, o meglio la capacità di riprodurre i documenti mede­ simi nella forma di copie autentiche, dato che mantenere l'accesso alle risorse implica - come si è già ricordato - modifiche anche significative nel flusso di bit originario che costituisce la singola risorsa e le sue relazioni. Per questo tipo di fonti le politiche per la conservazione permanente che ciascun istituto segue (modalità di assunzione di responsabilità, strumenti e procedure a supporto dell'azione di verifica dell'autenticità ecc.) hanno valore cruciale e non possono più limitarsi a prassi più o meno consolidate, sia per quanto riguarda l'acquisizione dei documenti, che in relazione alle successive attività di gestione. Nell'attività di versamento/acquisizione di una fonte, ad esempio, l'istituzione destinataria dovrà identificare procedure e contenuti nuovi per assicurare la qualità della ricerca futura, mentre per i materiali tra­ dizionali può essere talvolta sufficiente garantire la continuità dell'azione con­ servativa e l'accessibilità a strumenti efficienti di consultazione. In sostanza, la dipendenza dei documenti digitali dai ripetuti interventi di migrazione e l'assenza di elementi e attributi originari in grado di consentire la verifica a distanza di tempo dell'autenticità delle entità documentarie, ren­ dono tale autenticità solo una presunzione, che può continuare a sussistere, purché sia sempre documentato e verificabile il rispetto dei requisiti di au­ tenticità, sia di quelli originari, che di quelli che si definiscono in tutti i pas­ saggi successivi di custodia. L'istituto di conservazione svolge quindi un ruolo strategico - molto più che nel passato - di mediatore insostituibile di cono­ scenze, nel momento in cui acquisisce il materiale e ne documenta la prove-

2. I requisiti di autenticità dei documenti digitali hanno costituito un ' area di indagine fon­ damentale e prioritaria del progetto che ha identificato già nella prima fase di attività, conclusa nel 1 999, un quadro generale coerente degli elementi costitutivi, attributi e procedure idonei a consentire la verifica dell 'autenticità nel tempo delle risorse digitali, principalmente ma non esclusivamente limitate a quelle di natura archivistica. Si vedano in proposito i materiali prodotti dalla task force che si è occupata di autenticità all ' interno del progetto (Grossi, 2002 ).

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nienza e le condizioni di tenuta, ma anche nel corso degli interventi conserva­ tivi che assicurano la soprawivenza della fonte medesima, prestando particola­ re cura alla fase in cui il patrimonio è messo a disposizione degli utenti ester­ ni. La conservazione in ambiente digitale richiede, insomma, che sia adeguata­ mente gestita e resa manifesta non solo la "catena ininterrotta" della custodia, ma anche ogni sequenza delle misure conservative precedenti e successive al­ l' acquisizione delle risorse che ne hanno permesso nel tempo il mantenimento dell'accessibilità e la salvaguardia. La presunzione dell'autenticità in ambiente digitale richiederà, comunque, che i documenti siano identificati con certezza, quindi univocamente, e che anche le informazioni identificative siano mante­ nute integre; in sostanza implicherà l'obbligo di acquisire e gestire con criteri scientifici e una metodologia coerente un insieme complesso (e impegnativo) di metadati che, nella forma di documentazione di supporto, consentano di: riconoscere lo schema generale degli elementi costitutivi e degli attributi descrittivi del documento e del suo contesto di produzione; risalire alle procedure e alle responsabilità che hanno garantito l'integrità della fonte in tutte le fasi della sua gestione: sarà ad esempio indispensabile documentare le modalità di controllo degli accessi, le politiche per la sicu­ rezza, i processi di migrazione e acquisterà una rilevanza crescente l'esistenza di policy per la gestione del deposito e delle risorse conservate. Un elemento vincolante ai fini delle complesse procedure di conservazione ora descritte è, naturalmente, quello del contenimento dei costi e della scalabi­ lità delle soluzioni, tenuto conto dell'esiguità delle risorse finanziarie a disposi­ zione delle istituzioni cui è affidato il compito della conservazione permanente delle memorie documentarie. È tuttavia evidente che le possibilità di riuso sono legate a uno sviluppo significativo di standard e di metodi sperimentati, che dovrebbero determinare un'effettiva diminuzione delle risorse impiegate (in particolare nella produzione e gestione dei metadati necessari) e dei rischi di perdite, con particolare riferimento alla conversione/migrazione delle appli­ cazioni e alla duplicazione delle entità trattate. 1 9. 2 . 2 .

Accessibilità e metodi per la conservazione

Il problema dell'accessibilità è quindi strettamente legato ai metodi per la con­ servazione e alla scelta dei formati, nonché alla gestione precoce e condivisa di tutte quelle informazioni descrittive e gestionali di cui si è detto in precede n­ za, di metadati 3 nati insieme alle risorse e di quelli successivamente aggiunti a fini di recupero e gestione conservativa.

3· Sul tema dei metadati esiste una letteratura ricchissima che, solo in parte e in forme non sempre coerenti, riguarda gli aspetti conservativi. Si veda la recente pubblicazione degli atti di un seminario organizzato nell ' ambito del progetto ERPANET sul tema dei metadati per la conser­ vazione digitale ( ERPA:-.JET, 2004).

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Per quanto riguarda, in particolare, la scelta di metodi sperimentati per gestire la funzione conservativa, l'incertezza è ancora notevole. Le soluzioni suggerite dagli esperti non hanno ancora sufficiente solidità e mancano ancora delle necessarie verifiche sul campo. Si orientano sempre meno verso la con­ servazione delle tecnologie hardware e software (ormai considerata da alcuni anni una soluzione addirittura tampone per superare un'emergenza) ; più fre­ quentemente sostengono l'opportunità di sviluppare programmi di emulazione delle piattaforme tecnologiche originali, sebbene si riconosca che tali interven­ ti richiedano, nella gran parte dei casi, risorse elevate, non eliminino le ri­ schiose e impegnative attività di migrazione, né riducano le difficoltà dell'u­ tenza, costretta a misurarsi con strumenti assai diversificati e spesso obsoleti, anche dal punto di vista della presentazione e delle modalità di ricerca. La maggioranza degli esperti considera perciò tali ipotesi insufficienti e ri­ badisce l'urgenza di elaborare alternative fattibili ed efficaci basate soprattutto sul mantenimento delle funzionalità e dei dati relativi al contesto di produzio­ ne mediante interventi di migrazione, cioè mediante attività che trasferiscano i dati da una piattaforma di elaborazione ad un'altra, assicurando che gli utenti possano utilizzare gli oggetti digitali migrati anche nei nuovi ambienti tecno­ logici. La migrazione può mantenere integre tutte le funzionalità del sistema e dei documenti originari, ma può implicare perdite o prevedere costi anche note­ voli, soprattutto se l'intervento riguarda sistemi legacy (proprietari) privi di funzionalità di esportazione, che perciò richiedono anche la scrittura di codice o l'elaborazione di programmi specifici. Gli studi di settore individuano alme­ no quattro diverse strategie di migrazione, ciascuna delle quali più o meno adeguata alle diverse tipologie e ai formati dei documenti oggetto di inter­ vento: - la migrazione dei supporti secondo il principio di base per cui è opportuno trasferire le fonti digitali dai supporti meno stabili (ad esempio i nastri o i dischi magnetici) ai supporti più stabili (supporti ottici, microfilm, carta) : uno svantaggio grave può consistere nella perdita di funzionalità informatiche oltre che di importanti informazioni; - la migrazione su piattaforme o con prodotti che garantiscano la compatibi­ lità retroattiva (backward compatibility) : non assicura la finalità conservativa di lungo periodo, anche perché i prodotti commerciali hanno caratteristiche e funzionalità che sono fuori dal controllo del soggetto produttore o dell'istituto di conservazione, inclusi i problemi legati alla disponibilità del prodotto sul mercato; - la migrazione su piattaforme o con strumenti che sostengano l' interoperabi­ lità e quindi l'accessibilità nel tempo, mediante l'utilizzo di prodotti di mercato orientati a sostenere funzionalità più generali di interscambio: anche in questo caso il rischio di perdite di dati non è escluso ed è tanto maggiore quanto più complesso è il materiale destinato alla migrazione;

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- la migrazione in formati standard, particolarmente adatta per grandi e complessi archivi digitali: costituisce una versione avanzata della soluzione precedente ed è tra le proposte che hanno finora ottenuto i consensi maggiori e promettono sviluppi interessanti e utilizzabili in contesti operativi diversifica­ ti anche di piccole dimensioni. La conservazione in formati indipendenti dalle tecnologie - basati ad esempio (ma non esclusivamente) sull'uso di linguaggi di marcatura (sGML/XML) della rappresentazione originaria dei documenti e quantomeno dei metadati di contesto e di relazione sembra destinata, nel me­ dio e lungo periodo, a una implementazione diffusa. Questo metodo presenta, in generale, il vantaggio (rilevante per le istituzioni preposte alla custodia) di ridurre enormemente il numero dei formati da gestire e di contenere gli inter­ venti di migrazione. È risolutivo e vantaggioso soprattutto in ambienti con­ trollati, che possono implicare la predefinizione di soluzioni tecniche nel dise­ gno stesso del sistema documentario (come nel caso di sistemi documentari pubblici) . -

19.2.3.

I metadati per la conservazione digitale

Per quanto riguarda la questione, lungamente dibattuta nella comunità inter­ nazionale, dei metadati per la conservazione digitale, la sfida più impegnativa e allo stesso tempo non eludibile riguarda soprattutto la specifica identificazio­ ne delle strutture e degli schemi logici di elementi informativi corrispondenti agli oggetti informativi che si intendono salvaguardare e alle attività e funzioni di sistema di cui è necessario tenere traccia storica nel lungo periodo (infor­ mazioni descrittive della risorsa e del contesto di provenienza, metadati di na­ tura gestionale sui veri e propri processi conservativi) . Il tema della categorizzazione dei metadati per la conservazione ha su­ scitato e suscita ancora notevoli discussioni e numerosi tentativi, non sempre coerenti e rigorosi dal punto di vista dell'analisi concettuale. Da un lato l'in­ sieme dei metadati sviluppati come standard dalle diverse comunità profes­ sionali è considerato sempre insufficiente e bisognoso di approfondimenti settoriali, dall'altro la loro concreta e quotidiana applicazione si rivela al­ quanto impegnativa anche nel caso in cui l'uso sia semplificato. Accanto ai numerosi tentativi di produrre set standard di metadati finalizzati alla con­ servazione digitale, sono quindi cresciuti gli sforzi - peraltro non ancora co­ ronati da successi incontrovertibili - finalizzati a sviluppare metodi e stru­ menti per l'acquisizione automatica dei metadati medesimi, o almeno di una loro parte significativa. Una prima conclusione, comune a quasi tutti i progetti di ricerca sviluppa­ ti nell'ultimo decennio, ritiene comunque indispensabile, oltre a definire con­ cretamente gli elementi specifici, disporre di un adeguato modello architettu­ rale, coerente con quello proposto proprio a fini conservativi dallo standard

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ISO 1 4 7 2 1 OAIS (Open Archival Information System) 4. In particolare, il mo­ dello OAIS stabilisce che le informazioni di riferimento ai documenti debbano essere organizzate per componenti funzionali, distinguendo e individuando al­ meno quattro categorie di metadati finalizzate ad assicurare l'integrità delle unità documentarie singole e delle collezioni, delle relazioni di contesto e delle informazioni per l'accesso, ma anche il mantenimento nel lungo periodo in forme stabili delle modalità originarie di reperimento dei documenti e della loro accessibilità, cioè della capacità di comprensione e di elaborazione degli oggetti informatici da parte delle macchine e degli esseri umani: r . re/erence in/ormation: informazioni identificative del contenuto (ad esem­ pio URN, ISBN, segnatura archivistica) ; 2 . context in/ormation: informazioni di contesto che documentano le relazioni tra il contenuto e l'ambiente di produzione; 3 · provenance in/ormation: informazioni di provenienza che documentano la storia del contenuto e le trasformazioni subite (ad esempio la formazione, la catena della custodia, le attività di conservazione e le loro conseguenze) ; 4 · fixity in/ormation: informazioni di validazione che documentano i meccani­ smi che garantiscono l'integrità delle informazioni (firma digitale, checksum) . Sul modello ora descritto si sono basate (anche se spesso semplificando notevolmente la struttura originaria delle componenti informative e le funzio­ nalità) le applicazioni finora sviluppate nella costruzione di depositi per la conservazione digitale e soprattutto su tale base hanno lavorato i principali progetti di ricerca internazionali con l'obiettivo di definire schemi e procedure condivise, tra cui l'Online Computer Library Center/Research Libraries Group (ocLc/RLG) Metadata Framework ( 2 002 ) 5• Approfondimenti ulteriori sono stati successivamente affrontati a partire dal 2 00 3 , sempre per iniziativa " di OCLC e RLG nell'ambito del progetto internazionale PREMIS. Preservatio n Metadata lmplementation Strategies" ( PREMIS Working Group, 2004 ) , con l'o­ biettivo di sviluppare un set di elementi cruciali e facilmente implementabili per la conservazione degli oggetti digitali e, più in generale, di sistemi docu­ mentari digitali. I risultati principali hanno portato (dopo due anni di lavoro) alla definizione di: - un insieme essenziale di metadati coerente con altri rilevanti set di metada­ ti descrittivi basati su domini specifici (archivistici, biblioteconomici ecc., quali Dublin Core, METS, EAD ) predisposto nella forma di uno schema XML; - un data dictionary finalizzato a facilitare l'uso dello schema elaborato. Le componenti principali del prodotto finale (schema e data dictionary) sono state completate e approvate nel maggio 2005 ( PREMIS Working Group,

4· La bozza finale dello standard si legge all'indirizzo < http://public.ccsds.org/publications/ archive/65 oxob r (F) .pdf > . Cfr. inoltre: OCLCIRLG Working Group on Preservation Metadata (2oo2 ) ; Bergamin, (2004, sez. 8: Il modello OAIS) . 5 . Si vedano i materiali sul sito < http://www.oclc.org/research/projects/pmwg/ > .

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2005 ) 6 e riguardano (anche in questo caso coerentemente con i requisiti pre­ visti dallo standard rso 1 47 2 r OAIS ) i metadati di conservazione in quanto in­

formazioni che un deposito digitale utilizza per assicurare il processo di conserva­ zione digitale, ovvero le informazioni necessarie a garantire la possibilità della tenuta, l'accessibilità, l'intelligibilità, l'autenticità delle risorse digitali. Partico­ lare attenzione è stata dedicata alla documentazione relativa alla provenienza (la storia dell'oggetto) e alle relazioni fra oggetti diversi (soprattutto interne al deposito digitale) . PREMIS si concentra quasi esclusivamente sulla descrizione e sul trattamen­ to di oggetti ed eventi, considerando che un deposito digitale abbia a che fare con oggetti da conservare e con eventi che interagiscono con gli oggetti nei processi conservativi e che la definizione e descrizione delle entità intellettuali e degli agenti debbano essere approfondite dagli esperti di ciascun dominio in relazione ai propri standard di settore (archivistici, biblioteconomici ecc. ) . Poiché l a conservazione digitale implica - al fine d i fronteggiare l 'obsole­ scenza tecnologica - la necessità di creare nuove copie e versioni degli oggetti memorizzati, PREMIS ha stabilito un principio generale che deve essere comun­ que rispettato: ogni descrizione illustra una sola risorsa; ogni oggetto custodito all'interno del deposito, qualunque sia il tipo (file, bitstream, rappresentazio­ ne) è identificato come un insieme statico di bit che non può essere modificato. Se è necessaria una migrazione o una modifica dell'oggetto, sarà necessario creare un nuovo oggetto e identificare una relazione di derivazione tra i due oggetti. Quindi un oggetto ha una sola data di formazione (dateCreatedByAp­ plication) e non ha date di modifica. Nella direzione ora indicata - sia pure precedente alle più recenti conclu­ sioni di PREMIS ma non in contraddizione con esse - si colloca anche il pro­ getto italiano MAG (Magliano, 2004 , pp. r 8 3 -2oo) , condotto dal Gruppo di stu­ dio sugli standard e sulle applicazioni di metadati nei beni culturali costituito dall'reco nel 2ooo ( < http://www.iccu.sbn.it/genera.jsp ?id = r o r #MAG > ), con l'obiettivo di produrre nella forma di uno schema Xl\1L un set di metadati ge­ stionali, amministrativi e strutturali estensibile a qualunque tipo di risorsa digi­ tale, anche se - per le attività descrittive che peraltro costituiscono un aspetto cruciale della funzione conservativa - il contesto di riferimento è quello relati­ vo alla documentazione di natura biblioteconomica, in particolare gli standard Dublin Core e NISO Technical Metadata for Digitai Stili Images. Il punto di partenza del progetto è l'assunto in base al quale i metadati possono essere distinti in due raggruppamenti generali: - i metadati descrittivi che "servono per l'identificazione e il recupero degli oggetti digitali" , "costituiti da descrizioni normalizzate dei documenti fonte (o dei documenti nati in formato digitale) " ; - i metadati amministrativi e gestionali che "evidenziano le modalità di ar-

6. Cfr. il sito < http://www .loc.gov/standards/premis/ > .

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chiviazione e manutenzione degli oggetti digitali nel sistema di gestione del­ l' archivio digitale, e sono necessari per una corretta esecuzione delle relative attività" . Sulla base di questa prima considerazione, il gruppo MAG - concordando con quanto previsto nel ricordato gruppo di coordinamento internazionale di­ retto dall'OCLC!RLG - ha sottolineato che proprio i metadati amministrativi e gestionali " assumono un'importanza preponderante ai fini della conservazione permanente degli oggetti digitali" in quanto documentano le procedure tecni­ che correlate alle attività necessarie per la conservazione permanente, forni­ scono informazioni sulle condizioni e i diritti di accesso, certificano l'autentici­ tà e l'integrità del contenuto, documentano la catena di custodia degli oggetti, identificandoli in maniera univoca (Standard MAG, versione 2 .o. r ; 20 marzo 2oo6, < http://www. iccu.sbn.it/genera.jsp?id = 2 6 7 > ) . Gli oggetti trattati nell'ambito di MAG riguardano diverse categorie di og­ getti: immagini statiche, testi prodotti con tecnologie ocR, suoni, immagini in movimento e oggetti multimediali e documenti nati digitali. Lo standard - principalmente orientato alla gestione a lungo termine di risorse digitalizzate (più che horn digita[) - prevede che il set di metadati sia del tutto indipendente dalle applicazioni hardware e software e sia coerente con il modello funzionale OAIS citato, del resto già alla base della struttura di metadati elaborata dal gruppo di lavoro OCLCIRLG. Coerentemente con OAIS i diversi oggetti digitali sono stati organizzati in una struttura gerarchica a livelli (Schema MAG, < http ://www . iccu.sbn.it/ uploadldocumenti/mag2-2oo6.html > ; ICCU. Comitato MAG, 2oo6). In partico­ lare sono state identificate le seguenti partizioni: - collezione digitale (set); aggregato (aggregate) : un insieme di oggetti digitali omogenei per tipologia del contenuto; - oggetto primario (primary object) : un oggetto digitale definibile come un intero in genere corrispondente a un'unità fisica; - oggetto intermedio (intermediate object) : una particolare vista o formato dell'oggetto primario; - entità digitale (termina! object) : il singolo file che reca un'unità elementare di contenuto digitale (Magliano, 2004, p. 193 ) . Considerata l'impegnativa analisi che lo h a accompagnato, attenta sia alle principali realizzazioni internazionali, sia alle iniziative di diverse comunità disci­ plinari nazionali (storico-artistiche, museali, archivistiche, documentazione ufficia­ le) 7 i cui rappresentanti hanno partecipato alla stesura dello standard, MAG co­ stituisce il progetto più significativo condotto in questo ambito nel nostro Paese.

7· Di particolare interesse in appendice a Magliano (2002 , pp. 3 3 3 -9) il confronto tra i pro­ fili di metadati o di elementi descrittivi specifici dei diversi settori disciplinari qui ricordati.

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1 9 ·3 Come si conserva: attività tecniche e requisiti organizzativi 8

La complessità della conservazione digitale, di cui si sono già ricordate alcune ragioni fondamentali, merita una riflessione specifica con riferimento alle prin­ cipali attività tecniche che la costituiscono (acquisizione, selezione, gestione dell'accesso e dei diritti, creazione, monitoraggio e certificazione dei servizi conservativi) e ai requisiti organizzativi che ne determinano i più significativi vincoli gestionali. 19.3· 1 .

Acquisizione e selezione

È un'attività che, non diversamente da quanto avviene nell'ambiente tradizio­ nale, richiede l'analisi dettagliata del materiale, al fine di valutarne la specifici­ tà in termini di natura originaria della fonte (ad esempio, in relazione ai for­ mati o al livello di stabilità dei contenuti e della loro articolazione logica) e di funzione svolta. Include un'accurata e impegnativa identificazione e trattamen­ to di diverse tipologie di metadati che sempre più frequentemente sono tratta­ ti mediante l'utilizzo di linguaggi di marcatura e organizzati secondo modelli architetturali coerenti con lo standard ISO OAIS. La necessità di sostenere la quantità crescente delle risorse digitali prodot­ te e garantire la qualità degli interventi conservativi rende l'attività di selezione tanto cruciale quanto complessa, anche perché non si tratta solo di valutare problemi di proliferazione e ridondanza, ma di considerare nella scelta altri elementi quali il grado di conformità all'originale e l'impegno richiesto per rendere o mantenere la risorsa utilizzabile mediante l'integrazione manuale o automatica di metadati descrittivi. 1 9 · 3. 2 . Gestione programmata e negoziata dei diritti di accesso inclusi i diritti di proprietà intellettuale e la tutela dei dati personali

Le azioni in materia di diritti sono una componente emergente sia nella pro­ duzione di risorse digitali che nelle procedure conservative e hanno una stret­ ta relazione con la definizione di una gerarchia delle responsabilità e con i ruoli necessari alle pratiche di conservazione. Distinguere tra il fornitore di contenuti e le istituzioni deputate alla loro tenuta nel medio e lungo periodo è funzionale all'esigenza di promuovere so­ luzioni "negoziate" in grado di sostenere precoci e adeguati interventi conser­ vativi in depositi specializzati, oltre che la tutela dei diritti di accesso alle fon­ ti. La necessità di migrare le risorse digitali per la loro sopravvivenza in termi-

8. Cfr. Lavoie, Dempsey (2004) .

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ni di fruizione intelligibile alternandone almeno in parte e in forme controllate - a fini di persistenza - la configurazione originaria implica una impegnativa definizione di accordi specifici tra le parti 9, oltre naturalmente alla messa in opera di una coerente normativa di settore che preveda regole per il deposito legale 10 e per la certificazione delle istituzioni dedicate alla conservazione di­ gitale (cfr. PAR. 1 9 . 4 ). 1 9 · 3 · 3 · Creazione e monitoraggio di servizi conservativi Le componenti di un sistema di conservazione digitale, secondo la letteratura più recente, possono ricondursi a livelli strutturali di diversa natura: strato di base tecnologico che include le attrezzature hardware e software e le infrastrutture di rete ed è finalizzato a sostenere la memorizzazione fisica e la distribuzione dei contenuti digitali; servizi specializzati nella gestione dei contenuti digitali che includono an­ che la creazione e la gestione dei metadati e la verifica e la validazione delle risorse a fini di autenticità; servizi di monitoraggio del deposito con l'obiettivo di garantire l'accessibi­ lità continuata e la fruibilità dei materiali conservati mediante attività di emu­ lazione, migrazione ecc. ; servizi destinati a sostenere la ricerca e l'uso del materiale, inclusivi del controllo sull'accesso e di sistemi di consultazione avanzati e coerenti con le esigenze conservative. Tali attività richiedono - oltre allo sviluppo di modelli organizzativi speci­ fici - un approfondimento continuo delle conoscenze specifiche di dominio e interdisciplinari, la produzione e l'adozione di standard e raccomandazioni di livello nazionale e internazionale, oltre alla definizione di procedure e di mec­ canismi di certificazione. Un deposito digitale affidabile potrebbe, ad esempio, includere garanzie in termini di conformità a standard architetturali, quali OAIS (come del resto prevede il documento recentemente elaborato dalla task force promossa da RLG e National Archives and Records Administration ( NA­ RA) , Audit Checklist /or the Certification o/ Digitai Repositories, < http:/ /www. rlg. org/en/page.php?Page_ID = 2 07 69 > ), solidità finanziaria, capacità organizzativa e tecnologica, responsabilità amministrative e competenze tecni­ che adeguate, trasparenza d'azione mediante l'adozione di documenti di pro-

9· Si veda in particolare quanto previsto in Gran Bretagna nel campo specifico delle risorse digitali pubblicate in ambito accademico e di ricerca in materia di Mode! License, < http: //www .neslh .ac.uk > . ro. Le diverse normative nazionali hanno stabilito regole più o meno stringenti in materia di deposito legale sia per quanto riguarda le istituzioni deputate alla loro acquisizione sia per le modalità e i vincoli di deposito.

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grammazione e linee d'azione, procedure definite e documentate, soluzioni tecniche, misure di controllo della qualità I I . I9· 3·4·

Requisiti organizzativi per la funzione conservativa

È ormai largamente condivisa la convinzione della rilevanza dei requisiti orga­ nizzativi in materia di conservazione digitale. Un elenco di condizioni in grado di garantirne la fattibilità e la qualità dovrebbe includere: investimenti caratterizzati da un sufficiente grado di continuità e congruen­ ti con un'analisi costi/benefici, oltre che sup portati da una pianificazione delle attività; attività di cooperazione sia nella ricerca di soluzioni tecniche, sia per ra­ gioni amministrative di riduzione dei costi della duplicazione, grazie alla facili­ tà con cui si condividono le risorse digitali medesime I 2 ; decentramento delle responsabilità conservative con particolare attenzione all'adozione e allo sviluppo di misure preventive per tutto il ciclo di gestione delle risorse, ma soprattutto per la fase di produzione: è indispensabile che soprattutto le istituzioni deputate tradizionalmente alla conservazione siano consapevoli del mutamento di ruoli e di condizioni per l'esercizio della loro funzione principale; specializzazione del sistema conservativo per tipologia di attività all'interno di un processo a sua volta riconducibile a fasi distinte. Quest'ultimo aspetto merita un approfondimento, dato che i diversi livelli funzionali del processo conservativo, proprio per la complessità che implicano in termini di conoscenza tecnica, di infrastrutture e strumenti, devono essere assicurati mediante una "di­ visione del lavoro" ben più impegnativa della semplice distinzione delle respon­ sabilità tra gli attori del sistema documentario (produttori, intermediari, custo­ di) , anche perché la dimensione tecnica del problema e l'assenza di soluzioni stabili implicano, almeno in questa fase, l'individuazione di strumenti e metodi dinamici e innovativi che solo una seria cooperazione è in grado di assicurare; integrazione tra azione conservativa e modalità di fruizione: la contraddizio­ ne, peraltro mai risolta, tra istituzioni dedicate alla conservazione e strutture finalizzate all'accesso è ancora più complessa nel mondo digitale poiché gli in­ terventi conservativi devono poter produrre effetti adeguati ai modi di utilizzo della risorsa e tener conto delle conseguenze dirette che producono sulla frui­ zione. La specializzazione dei servizi all'interno della stessa struttura o la crea­ zione di un sistema federato di istituzioni sembrano quindi le soluzioni più ido-

I I . Elenchi di elementi per la certificazione dei depositi sono pubblicati in (RLG-1\:ARA Task Force on Digitai Repository Certi.fìcation, 2005 ; Dobratz, Schoger, 2005 ) . 1 2 . In Europa esistono ormai numerose iniziative di cooperazione nazionale: in particolare la Digitai Preservation Coalition in Gran Bretagna a partire dal 2002 ( < http://www.dpconline. org > ) e, più recentemente, la rete NESTOR, I\'etwork of Expertise in Long-Term STOrage of Digitai Resource, per le istituzioni tedesche ( < http://www.langzeitarchivierung.de/ > ) .

1 9 . LA CO:-JSERVAZIONE DELLE MEMORIE DIG ITALI

nee a garantire qualità e coerenza, rispetto alle ipotesi di esternalizzazione delle attività a privati, in particolare a partner informatici, senza dubbio esperti sul piano tecnologico, ma non altrettanto awertiti dell'alto livello di qualità e atten­ zione che la conservazione richiede in quanto "missione culturale" ; sviluppo d i misure per il controllo e l a validazione delle attività di conser­ vazione: la condivisione minima per un sistema di audit richiede un rapporto fiduciario tra i diversi attori del processo conservativo. 1 9 ·4 Chi conserva: il deposito legale, i depositi certificati

1 9 ·4· I . Il deposito legale Le normative nazionali individuano, sia dal punto di vista delle istituzioni competenti che in materia di obblighi e regole per l'acquisizione e l'accesso, due tipologie di documenti digitali, quelli diffusi su supporti informatici e quelli diffusi tramite la rete informatica. Per i primi si prevede la consegna a istituti di conservazione specifici (ad esempio in Italia, in base al regolamento in corso di approvazione ai sensi del­ la L. 1 5 aprile 2004, n. 1 06 che approva norme relative al deposito legale dei documenti di interesse culturale destinati all'uso pubblico, le Biblioteche na­ zionali centrali di Roma e Firenze e istituti speciali per alcune categorie di beni, quali la Discoteca di Stato - Museo dell'audiovisivo, l'Istituto nazionale della grafica e la Cineteca di Stato) . Si stabiliscono limiti di accesso mediante l'obbligo della registrazione degli utenti e la fruizione limitata alle postazioni interne agli istituti di conservazione medesima al fine di garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale vigenti. Sono inoltre previsti elementi iden­ tificativi obbligatori che per ciascuna risorsa il soggetto depositante è chiamato a garantire (dati identificativi del soggetto medesimo, anno di pubblicazione/ produzione o diffusione, codice identificativo in base alle norme nazionali o internazionali (rsB:r-.:, rss:r-.: , DOI) 13, specifiche annotazioni. Nel secondo caso, gli obblighi del deposito o dell'acquisizione sono stabili­ ti soprattutto per la produzione di natura accademica, scientifica e culturale e per i documenti elaborati e messi in rete da soggetti pubblici. Si prevede in genere la possibilità di stipulare accordi specifici con soggetti diversi e si pro­ muove la sperimentazione di modalità di deposito/ acquisizione mediante for­ me di raccolta automatica gestite da un software dedicato (crawler) , che per l'Italia sono affidate alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze. 1 3 . Il DOI (Digitai Object Identifier) è un servizio per l'identificazione univoca di materiale digitale protetto dal diritto d'autore. È stato realizzato e sostenuto originariamente dall'Associa­ tion of American Publishers e oggi fatto proprio dall'lnternational DOI Foundation che ha avvia­ to la creazione di un modello commerciale di agenzie pur assicurando la gratuità dell ' uso dell'i­ dentificatore ( < http://www . doi.org/ > ). Cfr. Tajoli (2005 ) .

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

Le criticità in questo ambito - oggetto di un importante progetto interna­ zionale finalizzato a promuovere sistemi avanzati di cooperazione r4 riguar­ dano: il rispetto del diritto d'autore e la tutela dei dati personali; il corretto dimensionamento dell'impegno di chi deposita; la necessità di sottoporre a periodica revisione le misure adottate inclusi i criteri di selezione in grado di assicurare continuità e completezza delle rac­ colte in considerazione della necessità di «differenziare tempi e modalità del trattamento (frequenza dell'aggiornamento dei dati, ricchezza e profondità della catalogazione ecc.) in base alle varie tipologie dei documenti e dei relati­ vi produttori» (Ridi, 20o4b) , l'individuazione di sistemi capaci di garantire data certa di acquisizione/deposito e autenticità delle risorse documentarie; le modalità e i livelli di accesso; la necessità di stabilire accordi per siti non accessibili; criteri certi per affrontare adeguatamente e ragionevolmente procedure ge­ neralizzate di acquisizione automatica, controllando i rischi determinati dalla natura dinamica degli oggetti e dei sistemi applicativi di interrogazione e pre­ sentazione delle risorse. -

I 9. 4. 2 .

I depositi digitali certificati

1'

Un ambito su cui si è lavorato in questi anni e su cui si concentreranno gli sforzi del prossimo decennio in questo settore, è quello della creazione di po­ litiche e linee guida per la predisposizione di depositi certificati, non a torto considerata una delle condizioni primarie di esistenza delle memorie digitali non solo archivistiche. Lo standard OAIS (Iso 1472 1 ), già ricordato in prece­ denza, ha costituito un punto di riferimento anche in questo contesto insieme agli standard sulla qualità (rso 9ooo) , sulla sicurezza dell'informazione (Iso 1 7799 : 2 00 5 ) e sulla gestione dei documenti (Iso 1 5489 :2oo 1 ) utilizzati dalla Task Force on Digitai Repository Certification di RLG e NARA per la predi­ sposizione di un primo documento di sintesi dei requisiti essenziali di un de­ posito digitale fidato, il già ricordato Audit Checklist /or the Certification o/

14· Si tratta dell'International Internet Preservation Consortium, nato nel 2003 e guidato dalla Bibliothèque nationale de France. Comprende le Biblioteche nazionali di Australia, Cana­ da, Danimarca, Finlandia, Islanda, Italia, �orvegia, Svezia, CK, la Library of Congress e Internet Archive. Ha l'obiettivo di sviluppare un 'attività di cooperazione, all'interno delle strutture nor­ mative di ciascun Paese, al fine di facilitare l 'implementazione di soluzioni per la selezione, ac­ quisizione, conservazione e accesso ai contenuti della rete Internet; favorire la cooperazione in­ ternazionale nell'ambito delle normative nazionali e delle linee d'azione di ciascuna istituzione; promuovere iniziative che incoraggino le istituzioni ad acquisire, conservare e rendere accessibili i contenuti della rete. Cfr. i materiali sul sito del progetto: < http://netpreserve.org > . 1 5 . Il documento di maggior rilievo nella definizione dei requisiti di un deposito per la conservazione digitale è RLG/ocLc Working Group on Digitai Archive Attributes (2oo2 ) . Si veda inoltre Ross, McHugh (2005) .

4 10

1 9 . LA CO:-.JSERVAZIONE DELLE MEMORIE DIG ITALI

Digita! Repositories, pubblicato ancora in forma di bozza nell'agosto 2005 (RLG-NARA Task Force on Digitai Repository Certification, 2 005 ) . I criteri identificati sono riconducibili ad almeno quattro raggruppamenti: organizza­ zione interna (presenza di policy per la conservazione, documentazione delle finalità, delle responsabilità, delle procedure e delle risorse, continuità, gestio­ ne della qualità, pianificazione delle risorse) , cooperazione con i produttori e gli utenti finali (definizione della comunità di riferimento, criteri di selezione, linee guida per l'acquisizione, accordi e cooperazione con i produttori, poli ti­ che per l'accesso, servizi di consultazione) , gestione tecnica del sistema (ge­ stione della qualità, conformità agli standard, documentazione dei processi tecnici, garanzie di autenticità e integrità del sistema, ambiente hardware e software adeguato, fattibilità della migrazione, flessibilità del sistema) , gestione tecnica degli oggetti digitali (gestione della qualità, metadati descrittivi, di conservazione e di accesso, vocabolari controllati, codici di identificazione per­ sistenti, autenticità e integrità degli oggetti, formati di archiviazione controlla­ ti, disponibilità a lungo termine degli oggetti) . Molti interrogativi rimangono ancora aperti, ad esempio sulle responsabili­ tà per la certificazione, sull'opportunità di definire gradi diversi di controllo della qualità dei depositi, sull'esigenza di individuarne distinte tipologie. Si tratta in ogni caso di un processo rilevante che richiederà la creazione di in­ frastrutture adeguate a livello nazionale, sia di monitoraggio dei depositi esi­ stenti che di cooperazione, anche di natura "federativa", di cui le normative interne ai singoli Paesi dovranno tener conto. 1 9 ·5 Qualche conclusione: le criticità di una fase di transizione

Sul tema dell'accessibilità nel tempo delle memorie digitali alcune conclusioni sono possibili, sebbene risultino evidenti l'insufficienza delle esperienze finora maturate e la necessità di sostenere ulteriori e approfondite attività di ricerca. Sebbene qualunque metodo finora utilizzato implichi modifiche anche rile­ vanti delle risorse elo dei relativi contesti di produzione, diversi approcci sono ormai in fase di sperimentazione, alcuni dei quali reciprocamente complemen­ tari nelle diverse fasi di tenuta di una risorsa digitale: emulazione, incapsula­ mento, virtual machine software, migrazione evolutiva o in formati standard persistenti (ad esempio XML) . In ogni caso è ormai indiscussa l'opportunità di basarsi su formati standard orientati alla codifica strutturata di metadati. L'efficacia delle misure conservative è comunque di gran lunga maggiore se si adottano in modalità preventiva (ad esempio ricorrendo a formati coe­ renti con le esigenze conservative sin dalla fase di produzione della fonte) . È rilevante che le tecniche impiegate non solo non ostacolino l'accesso e la fruizione, ma forniscano elementi utili all'utente futuro per valutarne l'impat­ to, ad esempio il grado di perdita di informazione e la sua accettabilità.

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

Emerge inoltre con crescente chiarezza la rilevanza delle implicazioni orga­ nizzative per la funzione conservativa, innanzitutto con riferimento all'esigenza di individuare ed esercitare precocemente responsabilità e competenze interdi­ sciplinari che tengano in debito conto, più che gli aspetti tecnologici, le que­ stioni di analisi e descrizione delle memorie documentarie. È soprattutto indispensabile definire presto linee d'azione commisurate alle dimensioni e ai mezzi delle diverse istituzioni di conservazione e alla specifici­ tà della produzione documentaria, considerando tuttavia che il problema della sostenibilità della funzione conservativa è spesso trattato in forme inadeguate alla sua complessità e difficoltà, lasciando sulle spalle fragili dei responsabili della conservazione il peso non solo della ricerca di soluzioni tecniche, ma anche quello di sensibilizzare l'opinione pubblica qualificata, reperire fondi e valutare con metodo rigoroso la fattibilità della conservazione medesima. Si è dimenticato troppo a lungo in questo ultimo decennio che, come e ancor più che nel caso del patrimonio culturale tradizionale, le esigenze conservative del­ le memorie digitali possono tradursi in buone pratiche e risultati convincenti a patto di non rimanere un'opzione lasciata alla buona volontà dei singoli ope­ ratori, bensì essere vissute nella coscienza civile di un Paese come un debito morale che la generazione attuale ha contratto con il futuro. Letture complementari Per una prospettiva concettuale del progetto lnterPARES, cfr. Duranti (2oo6) . Con rife­ rimento alle relazioni conclusive del progetto lnterPARES I , cfr. Duranti (2005 ). Le tra­ duzioni italiane delle relazioni principali sono state pubblicate sulla rivista "Archivi & Computer" (L'Authenticity task force report del Progetto InterPARES, sintesi e traduzio­ ne a cura di M. Grossi, "Archivi & Computer", 2002 , I 2 , 2, pp. 8-3 2 ; InterPARES, Rapporto dell'Appraisal task force, traduzione a cura di M. Guercio, "Archivi & Com­ puter'' , 2003 , I -2 , pp. I I -43; InterPARES, Rapporto della Preservation task force, tradu­ zione a cura di M. Guercio, "Archivi & Computer" , 2003 , I -2 , pp . 44-63 ) . Per un'analisi generale dei problemi determinati dalla produzione e tenuta dei do­ cumenti informatici anche alla luce della normativa italiana, cfr. Guercio (2002 ). È in particolare di notevole utilità il ricchissimo materiale disponibile (incluso l'e­ lenco dei principali progetti in corso e un'analisi critica della letteratura di settore più significativa) sul sito costantemente aggiornato del progetto europeo ERPANET ( < http: l/www.erpanet.org/ > ) . Merita un richiamo specifico Ruggiero, Tola (2005 ) , in quanto partner del progetto europeo ERPANET sulla conservazione delle memorie digitali. Tra le riviste internazionali è utile consultare la newsletter online " RLG DigiNews " disponibile all'indirizzo < http ://www . rlg.org > e " DigiCULT.info " , < http://www . digicult.info > . Si legga infine il documento UNESCO (2003 ), che prevede una serie di principi e regole generali a protezione delle memorie digitali.

41 2

20

Progettare e organizzare lo spazio fisico delle biblioteche di Antonella Agnoli

20.1

Premessa

Come premessa, possiamo citare Miche! Melot (2005 , p. 5 2 ) , il grande saggio della biblioteconomia francese: A dire il vero, non esiste una forma architettonica propria della biblioteca. Si può dire che per le biblioteche non esiste un'architettura prestabilita come per le stazioni o per gli stadi. Io, ad esempio, non posso guardare l'aeroporto di Roissy o l'arco della Dé­ fense senza pensare che quelle costruzioni architettoniche sarebbero delle meravigliose biblioteche. In fondo, la questione dell'architettura delle biblioteche si è posta quando ci si è preoccupati dei lettori, e la biblioteca è diventata un luogo pubblico, inteso come luogo civico. Questo incontro, non privo di contraddizioni, tra libro e lettore fa in modo che l'architettura delle biblioteche sia un genere a sé stante e che la bibliote­ ca non sia più un semplice deposito di libri.

Il lettore sarà quindi indulgente se, nelle pagine che seguono troverà soltanto principi generali, che architetti e bibliotecari dovranno poi applicare nelle sempre difficili - situazioni concrete. Progettare e organizzare lo spazio fisico delle biblioteche è tema talmente vasto che un'ulteriore precisazione è opportuna; per ragioni di spazio ci occu­ peremo qui soltanto di una tipologia di biblioteche: quelle di pubblica lettura. Ci sentiamo giustificati a questa delimitazione perché la biblioteca pubblica, forse a causa della sua natura di servizio di base e per tutti, costituisce la tipo­ logia di biblioteca più rappresentativa sul piano simbolico. Progettare bibliote­ che, infatti, è un compito strettamente legato alla loro funzione, al loro ruolo nella città, alla tipologia degli utenti. Non esistono criteri di progettazione va­ lidi per qualsiasi edificio e per qualsiasi tipo di biblioteca, anche se ovviamen­ te molte delle cose che diremo potrebbero essere applicate, per esempio, alle biblioteche universitarie.

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

20.2 n mutamento di funzioni della biblioteca

C'è un crescente interesse attorno al tema dell'architettura delle biblioteche pubbliche, in parte legato a un fenomeno per certi versi sorprendente: nel mondo si costruiscono nuove biblioteche, in gran numero, e si tratta di bi­ blioteche sempre più grandi. La ragione principale è che, in questi anni, sono profondamente cambiate le richieste della comunità nei confronti della bi­ blioteca. L'aumento del livello di scolarizzazione ha generato una forte richiesta di prodotti culturali e creato nuovi bisogni di luoghi e di risorse informative. È una pressione che ha creato una domanda contraddittoria perché si chiede alla biblioteca di essere multimediale, di intrattenimento, ma anche di svolgere la sua tradizionale funzione di luogo per lo studio; alla biblioteca multimediale si chiede di proporre libri, CD, DVD, videocassette, CD-ROM, accesso a Internet, il tutto in un luogo seducente e conviviale, mentre alla stessa biblioteca di studio si richiedono posti di studio, collezioni sempre più vaste, luoghi silen­ ziosi e orari di apertura più estesi. Ecco perché gli edifici esistenti non sono più in grado di conciliare esi­ genze così differenti: l'aumento dei documenti per numero e tipologia, l' au­ mento delle fasce di utenza, la presenza di nuove tecnologie, il bisogno di ac­ cogliere nuove attività, la necessità di adeguare gli edifici alle normative tecni­ che e di sicurezza, la necessità di distribuire i servizi con criteri differenti ri­ chiedono superfici sempre più ampie e spazi flessibili. Non solo: la biblioteca è diventata parte di più vasti progetti di politica culturale, urbanistica, sociale. A Vienna 1 , a Londra 2 , ad Anversa sono stati realizzati importanti progetti finalizzati al recupero di alcune zone della città, da Seattle a Nfmes la biblioteca è stata l'occasione per far lavorare architetti famosi (rispettivamente Koolhas e Foster) e migliorare l'immagine della città nel mondo. E l'elencazione potrebbe continuare ancora per molto. In sintesi, la biblioteca non è più soltanto una collezione organizzata di documenti, aperta ai soli studiosi o alla generalità del pubblico, bensì tende a diventare un servizio pubblico che riafferma la sua specificità nella mediazione tra l'accesso all'informazione e gli utenti. Non solo: in quanto insieme forte­ mente strutturato di risorse e di servizi essa diventa un luogo di socialità e un tassello indispensabile nella buona organizzazione del territorio. Le biblioteche sono diventate servizi a forte valenza sociale: in un quartie­ re a rischio, la biblioteca può sostenere la cultura generale, aiutare i giovani e gli immigrati ad integrarsi nella società e migliorare la propria condizione; può facilitare l'accesso di disoccupati e sottoccupati al mercato del lavoro, può ri1. A. AGNOLI, Hauptbucherei Wien, "Biblioteche oggi" , 22 (8) , 2004, pp. 83-7. 2 . Ci riferiamo alla Peckham Library e Media Centre di Will Alsop e Jan Storner: cfr.

< http:/lalsoparchitects.com > .

2 0 . PROGETTARE E ORGANIZZARE LO SPAZIO FISICO DELLE BIBLIOTECHE

durre il senso di impotenza, di marginalità, di frustrazione provato dai cittadi­ ni per le condizioni abitative cui sono costretti; può, infine, diventare luogo di aggregazione per le fasce più deboli della popolazione, in particolare gli an­ z1am. Biblioteca che diventa quindi "motore di conoscenza" in un mondo in cui "l'economia della conoscenza" è l'unica che conti. La biblioteca diventa una porta di accesso dove il cittadino può trovare materiali per migliorare la pro­ pria cultura e la propria formazione professionale. Nelle zone degradate la bi­ blioteca può lottare contro l'abbandono scolastico creando l'abitudine alla let­ tura nei bambini e svolgendo una funzione di supplenza nei confronti delle famiglie e della scuola. Può offrire ai giovani che tenderebbero ad aggregarsi attorno a luoghi socialmente a rischio un'alternativa gradevole e sicura. Questa brevissima introduzione era necessaria per capire che i principi di progettazione e di organizzazione dello spazio fisico che verranno esposti qui di seguito valgono per delle biblioteche che si pongono questi compiti e non altri. Le biblioteche hanno bisogno di trasparenza, flessibilità, convivialità e autonomia dell'utente perché intendono rispondere ai bisogni ora descritti. Se i bisogni sono altri (supponiamo, la ricerca specialistica da parte di ri­ cercatori qualificati) anche i criteri andranno rivisti, o interpretati diversa­ mente. Per essere più precisi, progettare una biblioteca che diventi il "motore di conoscenza" della comunità di riferimento significa porsi un compito che rias­ sume in sé tutti gli altri: attirare nuovi pubblici e mantenerli interessati all'esi­ stenza della biblioteca. Il pubblico potenziale della biblioteca è vastissimo: coincide con la totalità della popolazione. Sappiamo, tuttavia, che solo una piccola frazione della cit­ tadinanza è iscritta alla biblioteca pubblica (in Italia poco più del ro%; in Francia, dove si è molto investito, circa il 2o % ; solo nei Paesi scandinavi si supera il 5oo/o ) e che solo una parte degli iscritti è attiva nel frequentarne la sede o nel richiedere documenti in prestito. Da Copenhagen a San Francisco, da Sidney a Tampere, architetti e bibliotecari si sono convinti che accorrano edifici diversi da quelli tradizionali, edifici che trasmettano - con la loro strut­ tura - un'idea di biblioteca attraente anche per la maggioranza della popola­ zione, che finora non ne usufruisce. Questo, per quanto ambizioso, è realmente possibile: le biblioteche nuove hanno dimostrato la capacità di attirare un pubblico regolare e numeroso, un pubblico in precedenza poco interessato a utilizzarne i servizi. Si tratta di un pubblico che ha scoperto la biblioteca quando questa ha cominciato a facilita­ re l'accesso a cittadini che volevano riunirsi anche per altri scopi, come co­ stituire un gruppo musicale, un'associazione di donne o di consumatori. Là dove si sono aperti nuovi edifici, con spazi confortevoli, luminosi, ben riscaldati, aperti la sera, si sono create occasioni di incontro fra i cittadini che hanno la stessa età, che nutrono interessi comuni, che vogliono creare delle iniziative o semplicemente sfuggire alla solitudine metropolitana.

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

La struttura della città europea favoriva originariamente la dimensione co­ munitaria: la piazza del mercato, la chiesa, il municipio e altri spazi urbani andavano in questa direzione. Oggi l'automobile, i centri commerciali, l'insicu­ rezza urbana hanno rinchiuso molti di noi nel privato delle mura domestiche, con la televisione come unica finestra sul mondo. La biblioteca deve contra­ stare questa tendenza, offrendo un luogo pubblico dove è di nuovo possibile condividere esperienze, parlare a qualcuno che non si conosce, vale a dire un luogo di nuova socialità. Tutto ciò è possibile a condizione di realizzare strutture che abbiano certe caratteristiche, che suddivideremo in caratteristiche urbanistico-architettoniche, caratteristiche funzionali e caratteristiche di gestione. 20.J Caratteristiche urbanistico-architettoniche della moderna biblioteca

Vogliamo qui riflettere su strategie di progettazione che permettano alla bi­ blioteca di diventare uno spazio di libertà urbana. Come sottolinea Franco La Cecla ( 1 995 , p. 3 2 ) , «vi sono soglie invisibili ma solide quanto porte o mura». Se l'edificio biblioteca si presenta con un portone chiuso, un guardiano all'ingresso, spazi poco illuminati, libri disponi­ bili solo su richiesta e orari di funzionamento ridotti non c'è bisogno d'altro per tenere lontana la gente, tranne i docenti o gli studenti obbligati a frequen­ tare quel luogo per pressanti esigenze legate alla loro attività di studio. Come ha spiegato un'antropologa, le soglie, anche quelle fisicamente aperte, simbo­ leggiano uno status, quindi si sentirà autorizzato a varcare la porta della bi­ blioteca soltanto chi "si sente all'altezza" dell'istituzione che ha davanti (Dou­ glas, 1 99 3 , p. r 85 ) . Le caratteristiche architettoniche dell'edificio che desideriamo sono quindi quelle che, riducendo o eliminando soglie e barriere non necessarie, favori­ scono il rapporto con il pubblico reale o potenziale: - trasparenza; - centralità; - visibilità; - accessibilità; - qualità estetica. Trasparenza: un elemento estetico che deve necessariamente far parte delle caratteristiche architettoniche della biblioteca è la possibilità per gli utenti di guardare fuori e la possibilità per i passanti di vedere l'interno della biblioteca funzionante. Questo corrisponde a una sensazione di benessere per chi sta al­ l'interno e a un invito ad entrare per chi si trova all'esterno. La trasparenza ha poi vantaggi funzionali su cui torneremo, in particolare la " sensazione di li­ bertà" che offre all'utente. Per centralità si intende una posizione centrale e baricentrica rispetto alla

2 0 . PROG ETTARE E ORGANIZZARE LO SPAZIO FISICO DELLE BIBLIOTECHE

popolazione da servire, quindi non necessariamente la piazza del municipio. Spesso, la vicinanza a centri commerciali, a servizi scolastici o sportivi, ad altri edifici culturali costituisce un vantaggio dal punto di vista della collocazione. Nel valutare la collocazione, occorre anche riflettere sulla capacità di attrazione della biblioteca, che può benissimo creare una " nuova centralità" della zona dove viene installata, se si tratta di un edificio importante come il Centre Pom­ pidou a Parigi, la biblioteca di Koolhas a Seattle o il San Giovanni a Pesaro. Visibilità: se la biblioteca punta a raggiungere utenti diversi da quelli abitua­ li, occorre che l'edificio sia visibile e riconoscibile, che lasci un'impronta sul tessuto urbano. Questo, tanto più se l'ambizione della biblioteca è quella di svolgere funzioni diverse, di proporsi come luogo di socialità o di eventi cultu­ rali. In ogni caso, è bene che un servizio pubblico importante sia facilmente identificabile come tale e la biblioteca, non avendo una tipologia fissa (come la chiesa o l'ospedale) , richiede uno sforzo supplementare in questo senso. Per accessibilità intendiamo le caratteristiche di un edificio che sia facil­ mente raggiungibile da un gran numero di persone, privo di barriere archi­ tettoniche, dotato di parcheggi, fermate autobus, piste ciclabili. Si tratta di un requisito particolarmente importante se si mira a conquistare nuovi utenti: la mancanza di parcheggi, o di servizi pubblici, scoraggerà per primi gli utenti a mobilità ridotta (anziani, bambini) e gli utenti potenziali, già incerti perché non abituati a frequentare la struttura. La qualità estetica: è palese che un edificio bello, esteticamente gradevole, con spazi ampi e ben concepiti sia più adatto di altri ad accogliere il pubblico, soprattutto se questo deve restarvi alcune ore. Vaie la pena di insistere sulla qualità dei materiali, sulla presenza di opere d'arte, sulla ricerca di soluzioni non banali, sulla manutenzione che previene il degrado. Non sempre gli edifici esteticamente gradevoli possiedono altre caratteristi­ che necessarie alla biblioteca, in particolare quando si tratta di edifici storici, che mancano dei requisiti funzionali necessari, e questo è in Italia il caso più frequente. Riadattare un edificio storico a biblioteca può sembrare una buona scelta dal punto di vista estetico, nella realtà raramente edifici vincolati da re­ stauri di tipo conservativo risultano soddisfacenti per il funzionamento dei servizi. Esaminate queste cinque caratteristiche di base della biblioteca, a cui biso­ gna tendere, occorre valutare altri fattori legati non al rapporto tra l'edificio e la generalità del pubblico, bensì al rapporto fra l'edificio e i servizi previsti. 20.4 Caratteristiche funzionali della moderna biblioteca

Le -

principali caratteristiche funzionali sono le seguenti: flessibilità; espansibilità; taglia adeguata alla popolazione e ai servizi che si intende offrire;

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

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comfort per utenti e personale; facilità di circolazione interna. Flessibilità: l'edificio deve avere due caratteristiche intrinseche: offrire la possibilità di articolare gli spazi in zone differenziate per servizi e per modali­ tà di fruizione e, soprattutto, offrire la possibilità di spostare facilmente le col­ lezioni e i servizi per realizzare una disposizione più consona alle esigenze del pubblico di domani. Si tratta di un'esigenza sine qua non per le biblioteche moderne, che va gerarchicamente collocata al primo posto di tutti i requisiti richiesti, come giustamente faceva Harry Faulkner-Brown già molti anni fa 3 , L'esigenza di flessibilità è stata moltiplicata da un panorama tecnologico che cambia vertiginosamente. Nel I9 75 , un computer della potenza di quello con cui è stato scritto questo contributo costava I oo milioni di dollari e solo il Dipartimento alla difesa degli Stati Uniti poteva comprarlo. Nel I 985 , un computer rivoluzionario come il Macintosh aveva 8oo Kb di memoria, cioè quella che adesso è occupata dai videogiochi che si comprano per Io euro in cartoleria. Difficile, quindi, fare investimenti nelle nuove tecnologie senza il timore di legarsi le mani con attrezzature incapaci di durare almeno qualche anno: spazi e servizi devono essere concepiti per potersi adeguare rapidamente a tecnologie oggi neppure immaginate o immaginabili. Legata alla flessibilità, ma distinta, è l'esigenza di poter espandere la bi­ blioteca. A sua volta, questa caratteristica ha due aspetti: l'espansione del pub­ blico (per ragioni demografiche, o per lo stesso successo della biblioteca) e l'espansione delle collezioni. Troppo spesso la biblioteca viene concepita senza tener conto dell'incremento fisiologico dei documenti, che devono poter au­ mentare di numero senza ricorrere a soluzioni improwisate, che riempiono ec­ cessivamente lo spazio disponibile, rendendolo meno accogliente e utilizzabile dai cittadini. Taglia adeguata: il nostro Paese non ha mai avuto degli standard nazionali per le biblioteche (ad esempio, tot metri quadri per tot abitanti) e questo de­ termina la consuetudine ad investire un po' casualmente in qualsiasi luogo, spazio o dimensione dell'edificio disponibile. Ad accettare questa logica sono un po' tutti: amministratori, ben lontani dal sapere che per la loro città serve un servizio con particolari caratteristiche, architetti che vengono semplicemen­ te chiamati a restaurare e a mettere a norma l'edificio, bibliotecari che troppo spesso vengono consultati solo alla fine, invece di essere i promotori e i cu­ stodi della razionalità del progetto. Occorre investire su edifici di taglia ade­ guata alla comunità di riferimento in base agli standard europei. Il comfort: un progetto di biblioteca oggi deve obbligatoriamente includere uno studio approfondito di almeno tre aspetti, quali luce naturale, insonoriz­ zazione e climatizzazione. La luce naturale è necessaria perché tutti gli studi

3· Cfr. H. FAULKJ\'ER-BR0\' ) , in cui sono state individuate cinque competenze base in conoscenza delle lingue e delle tecnologie, cultura tecnologica ed imprenditoriale, capacità comunicative, l 'Unione Europea ha prodotto il Memorandum on lifelong learning in cui sono indicate le azioni principali che i governi dovrebbero seguire per facilitare la forma-

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

derazione della formazione come processo lungo tutto l'arco della vita, e il cardine è costituito dalle competenze e dal loro riconoscimento, per la ne­ cessaria trasparenza in un ambito europeo. L'internazionalizzazione della for­ mazione dei bibliotecari si muove quindi a livello europeo verso l'integrazione dei profili professionali e la comparabilità delle strutture e dei contenuti della formazione. Questa spinta rappresenta un importante supporto politico che ora viene dato ad una tendenza che c'è sempre stata nelle scuole di bibliote­ conomia anche in Italia; tuttavia gli sforzi fatti in passato per l'internaziona­ lizzazione, ad esempio con il programma Erasmus, hanno avuto modesti van­ taggi, limitati alle singole persone che partecipavano agli scambi. Molto di­ versa la situazione che si è venuta a creare con l'accordo che i ministri europei dell'Educazione hanno firmato nel 1 999 a Bologna. Questo accordo e il cam­ biamento ancora in corso, che viene chiamato processo di Bologna, hanno de­ terminato il contesto di riferimento della riforma universitaria dei corsi per i bibliotecari in Italia, con importanti novità. I ministri europei hanno inoltre siglato un successivo accordo a Copenhagen che ha avviato una seconda linea di attività per la formazione continua, strettamente integrata al processo di Bologna, e che ha avuto come maggiore risultato il disegno di uno strumento di riferimento per le qualifiche professionali: l'EQF o European Qualifications Framework. Tuttavia il quadro di riferimento europeo è ancora lontano dalla sua realizzazione ed è necessario l'avvio di un cambiamento e soprattutto di una migliore comunicazione tra tutti gli interessati al processo formativo, come le associazioni professionali, i docenti, i datori di lavoro e soprattutto i singoli professionisti nei diversi settori. I risultati finora ottenuti in Europa e in Italia verso l' internazionalizzazione della formazione professionale dei bibliotecari sono il contesto di riferimento di questo capitolo. In particolare la fonte informativa a cui si fa soprattutto riferimento è il progetto europeo dal titolo " European Curriculum Reflections o n Library an d Information Science Educati o n" 2 , che per la prima volta ha discusso i temi e le problematiche che sono legati all'internazionalizzazione dei curricula e alla necessaria mobilità di studenti di biblioteconomia e dei biblio­ tecari in Europa. Nella prima parte del capitolo si cerca di definire le compe­ tenze del bibliotecario e gli ambiti lavorativi che si prospettano ai professioni-

zione lungo tutta la vita. Accessibile all'indirizzo < http://www . bologna-berlimoo3 .de/pdf/ MemorandumEng.pdf > . 2 . Il progetto europeo "European Curriculum Reflections on Library and Information Science Education " , coordinato dalla Royal School of Library and lnformation Science di Co­ penhagen, ha pubblicato nel dicembre 2 005 un rapporto di sintesi delle discussioni di docenti di biblioteconomia e scienza dell'informazione europei sul curriculum dopo la Dichiarazione di Bo­ logna (accessibile su: < http://biblis.db.dkluhtbin!hyperion.exe/db.leikajo5 > ) . Questa discussio­ ne era stata iniziata nella conferenza EUCLID di Thessaloniki nel 2002 . EUCLID (European Asso­ ciation for Library & Information Education and Research) è un 'organizzazione europea indi­ pendente che ha lo scopo di promuovere la cooperazione per la didattica e la ricerca nel campo della biblioteconomia e della scienza dell'informazione.

2 I . GLI STRUMENTI E I CONTE:-JUTI DELLA FORMAZIO!'\E DEI BIBLIOTECARI

sti del settore, e nella seconda parte, dedicata all'offerta formativa, si espongo­ no le tendenze e le problematiche della formazione per i bibliotecari a livello internazionale. 2 1 .2 Competenze e qualificazione del bibliotecario

Il lavoro del bibliotecario è quello di identificare, organizzare e rendere fruibi­ le l'informazione e i documenti che la contengono a un'utenza con determina­ ti bisogni informativi 3 • Questo ruolo, chiamato di mediazione, è stato tradi­ zionalmente svolto nell'ambito del flusso della comunicazione scritta tra l' au­ tore e il lettore, filtrata attraverso le pubblicazioni a stampa, e in particolare il libro e l'editoria sono stati, rispettivamente, il contenuto specifico e il contesto di riferimento della professione. In modo sintetico, possiamo dire che l'attività del bibliotecario è legata a una collezione di documenti e le funzioni essenziali della professione sono state identificate come: selezionare, raccogliere e conservare i documenti; realizzare l'accesso ai documenti e al loro contenuto per mezzo delle tecni­ che di catalogazione; stimolare e facilitare l'utilizzazione dei documenti (Serrai, 199 7 a, p. 3 3 ) . Poiché il bibliotecario inoltre si troverà sempre a lavorare i n un'istituzione o organizzazione, sia pubblica che privata, a queste funzioni deve essere ag­ giunta l'attività di amministrazione delle risorse finanziarie e umane che sono necessarie per la realizzazione delle diverse attività previste dal ruolo di me­ diazione. Tra le funzioni indicate, la catalogazione è stata ritenuta quella che caratterizza la professione (o il core) . Nel tempo è stato realizzato un appro­ fondimento teorico dei principi alla base dell'attività di catalogazione, soprat­ tutto attraverso la standardizzazione internazionale per lo scambio di record catalografici. I sistemi automatici di recupero dell'informazione sono stati fin dal loro nascere un valido strumento per migliorare l'accesso alle collezioni, e sono stati applicati prontamente e con successo per la realizzazione del catalo­ go in linea, spesso in modo cooperativo, e per l'accesso alle banche dati bi­ bliografiche. In modo schematico, potremmo identificare le categorie essenziali (cfr. FIG. 2 r . r ) che fanno parte del bagaglio professionale tradizionale di un bi­ bliotecario in: - procedure: acquisizione, catalogazione, conservazione dei documenti;

3· Sui compiti del bibliotecario in una prospettiva internazionale, si rimanda alla lettura de­ gli articoli che Carlo Revelli ha dedicato a più riprese all'argomento: Compiti e caratteristiche del bzbliotecario, "Biblioteche oggi" , 1 3 (2 ) , 1 995 , pp. 46-5 r ; Un mestiere in evoluzione, "Biblioteche oggi", r6 (5 ) , 1 998, pp. 4o-6; I compiti della bzblioteca e i doveri del bibliotecario. r, "Biblioteche oggi" , r 8 (9) , 2ooo, pp. 42-5 r ; Quali siano i compiti del bibliotecario, "Biblioteche oggi" , 2 1 (5) , 2003 , pp. 5 8-63.

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI FIGURA 2 ! . 1

Metacategorie incluse nel lavoro del bibliotecario



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Amministrazione

collezioni: selezione e gestione dei documenti; accesso: predisposizione di cataloghi e di banche dati; stimolo all'uso dei documenti attraverso i servizi di prestito e document delivery; amministrazione: gestione delle risorse finanziarie e umane, conoscenza della legislazione. Il focus sulla collezione e sull'organizzazione delle pubblicazioni ha con­ tribuito ad alimentare in certi casi uno stereotipo di bibliotecario erudito e concentrato su tecniche come la catalogazione, sostanzialmente isolato dalla società e rivolto soprattutto alla storia passata; in questi casi si è privilegiata un'interpretazione del ruolo professionale come conservazione e valorizzazione della produzione intellettuale di un Paese, nell'ambito del settore della conser­ vazione dei beni culturali. Questo ruolo tradizionale è molto importante e ri­ ceve attualmente una nuova vitalità dalla spinta alla digitalizzazione del pa­ trimonio storico. Alcuni cambiamenti spingono a estendere il ruolo tradizionale del bibliote­ cario. I fattori principali che possono essere indicati come agenti di cambia­ mento sono state le nuove tecnologie e la nascita della società dell'apprendi­ mento 4: entrambi questi fattori vanno considerati come un unico insieme, perché le tecnologie considerate isolatamente dal cambiamento della società 4· Già nel 1 974 Torsten Husen affermava la sua convinzione che se la società non diventa una società che apprende e smette di vedere l 'educazione come un processo normalmente limita­ to a chi abbia tra i sei e i sedici anni e quindi concluso per sempre, le singole persone non potranno mai tenere il passo con il futuro sempre più tecnologicamente complesso che ci aspet­ ta, in cui ciascuno dovrà imparare nuovi lavori molte volte nello spazio di una vita; solo chi non smetterà mai di imparare potrà affrontare la nuova realtà che ci si prospetta. La realtà tecnologi­ ca è diventata oggi molto complessa e il gap in Europa tra le capacità effettivamente disponibili nelle persone e le capacità effettivamente richieste dall 'economia globale è sempre più profondo. Cfr. T. HVSEN, The Learning Society, Methuen, London 1 974.

2 I . GLI STRUMENTI E I CONTE:-JUTI DELLA FORMAZIO!'\E DEI BIBLIOTECARI

potrebbero portare a mero tecnicismo e la nascita della nuova società senza il sostegno degli strumenti tecnologici potrebbe sembrare una visione utopistica difficilmente realizzabile. L'attività del bibliotecario è oggi strettamente collegata alla società dell'ap­ prendimento, le cui radici risiedono in una spinta economica e in particolare nella risposta dei governi delle varie nazioni, all'inizio degli anni novanta, alla nuova economia globale. La generale constatazione del mondo politico, di fronte alle sfide della globalizzazione, è che la sola alternativa possibile per le economie sviluppate è quella di competere sulla base di conoscenze più evolu­ te e maggiore produttività (Maguire, Felstead, Maguire, 1 99 3 ). La considera­ zione della necessità di costruire la società dell'apprendimento non si basa solo su necessità economiche ma viene anche evidenziato il necessario riferimento all'apprendimento per una crescita individuale e collettiva delle persone, che sono parte attiva della società " inclusiva" , cioè la società in cui tutti sono par­ tecipi e collaborano al miglioramento collettivo. Quale impatto può avere la società dell'apprendimento sul ruolo del bibliotecario? L'impatto della società dell'apprendimento sul lavoro del bibliotecario è di grande rilevanza perché il mondo del commercio, i politici, le istituzioni educative, il pubblico in genere, concordano nel ritenere che l'accesso all'informazione è la chiave del successo (e in certi casi della sopravvivenza) : l'apprendimento si basa infatti sull'infor­ mazione. Occorre tuttavia che le istituzioni, le comunità e i singoli individui sappiano apprendere, cioè sappiano usare l'informazione come una risorsa. In­ ternet e il Web hanno reso disponibile un'infrastruttura che è alla base del nuovo paradigma, di cui ancora non si comprende bene la portata. C'è quindi l'esigenza di una nuova alfabetizzazione di tutti, per assicurare che ciascuno sia equipaggiato con le conoscenze e le capacità critiche che sono necessarie per ottenere i benefici dell'età dell'informazione. La domanda precedente, che si chiedeva quale impatto ha la società del­ l'apprendimento sul bibliotecario, può essere rovesciata, chiedendosi: Quale impatto il bibliotecario può avere nella società dell'apprendimento? Quale è il ruolo sociale della professione e come questo ruolo sta cambiando per i cam­ biamenti attuali della società? Il bibliotecario, lungi dall'essere la figura dotta e distaccata dai problemi reali, spesso associata allo stereotipo della professio­ ne, ha oggi un ruolo attivo e importante, come quello di garantire a tutti l' ac­ cesso libero all'informazione, educare alle capacità di ricerca e uso dell'infor­ mazione, favorire la crescita di una cittadinanza attiva nelle comunità in cui sono inseriti e, in genere, dare un contributo essenziale al miglioramento del­ l'apprendimento delle persone e allo sviluppo continuo della società dell'ap­ prendimento 5 • Al ruolo tradizionale di mediazione tra autore e lettore nel pro5. I valori della professione vengono attualmente riscoperti proprio evidenziando il valore sociale dei bibliotecari. Gli autori che se ne sono soprattutto occupati sono: M. GORMAN, I nostri valori. La biblioteconomia nel XXI secolo, Forum, Udine 2002 ; R. w. VAAGAN, us Education -

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

cesso di comunicazione delle pubblicazioni, si aggiunge un nuovo ruolo di fa­ cilitatore dell'apprendimento lungo tutta la vita 6, che si realizza in primo luo­ go identificando il bibliotecario come principale attore nell'alfabetizzazione degli utenti a saper cercare e usare l'informazione (Information Literacy) . In alcuni contesti nazionali, questo ruolo viene visto anche come ruolo sociale di assicurare a tutti il libero accesso all'informazione, a supporto di un approccio multiculturale alla società globale, che, in particolare in Europa, favorisca l'in­ tegrazione a tutti i livelli sociali. Come viene organizzata quindi la biblioteca per facilitare l'apprendimento del singolo individuo e il miglioramento generale del contesto sociale della bi­ blioteca stessa? In modo sintetico, potremmo dire che il lavoro del biblioteca­ rio nella società deltapprendimento è quello di realizzare opportuni servizi in­ formativi, identificati come servizio di reference. Usando al meglio le nuove tecnologie, il focus è su una specifica comunità di utenti, per cui vengono sele­ zionate collezioni di informazioni e di documenti (che possono essere sia fisi­ che che virtuali) , per un servizio attivo e personalizzato di informazione, insie­ me a un'attività di educazione all'uso critico delle risorse informative. Queste attività estese del bibliotecario, da non confondere con il servizio acritico for­ nito dai motori di ricerca, richiedono l'amministrazione di una complessità di risorse umane, tecnologiche e finanziarie. Schematicamente, potremmo indica­ re le categorie (cfr. FIG. 2 r . 2 ) che fanno parte del bagaglio culturale del nuovo bibliotecario come segue: utenti: studi dei bisogni e dei comportamenti di uso dell'informazione di comunità e singole persone che usano il servizio; cooperazione e reti; - contesto: analisi dei fattori culturali e problematiche del contesto istituzio­ nale e sociale che hanno un impatto nel comportamento di accesso all'infor­ mazione degli utenti; - procedure: attività e processi connessi alla gestione del ciclo di vita dell'in­ formazione e della conoscenza: creazione, digitalizzazione, memorizzazione, ri­ cerca, recupero, catalogazione, preservazione; - collezioni: aspetti di selezione e gestione delle risorse informative; - accesso: aspetti tecnologici, sistemi informativi integrati, interazione con l'utente tramite il computer; - amministrazione: gestione e razionalizzazione delle risorse finanziarie, uma­ ne e tecnologiche; conoscenza della legislazione nazionale e internazionale (come il copyright) . Il focus dalle collezioni s i è spostato sugli utenti e i contesti culturali e

Repackaging In/opreneurs or Promoting Value-Based Skills?, " New Library World " , 104 ( I I 87/I I88) , 2003 , pp. 1 5 3-6. 6. L'importante ruolo sociale delle biblioteche a sostegno dell ' apprendimento lungo tutta la vita è stato evidenziato dall'v:-.JEsco e dall'rFLA. In particolare la Sezione biblioteche pubbliche dell'IFLA ha realizzato un progetto The role o/ libraries in lifelong learning, accessibile all ' indi­ rizzo < http://www.ifla.orgNII/s8/proj/rolepublib.htm > .

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2 I . GLI STRUMENTI E I CONTE:-JUTI DELLA FORMAZIONE DEI BIBLIOTECARI FIGURA 2 ! . 2

Metacategorie incluse nel lavoro del bibliotecario nella società dell'apprendimento

Contesto sociale

Amministrazione

istituzionali in cui il bibliotecario opera. La creazione di una collezione rimane una caratteristica della professione ma passa da un processo statico di acquisi­ zione di risorse (anche detto "possesso") a una posizione più fluida, che ri­ guarda la fornitura dell'accesso alla collezione. L'enfasi passa dall'organizza­ zione della collezione a quello di dare all'utente l'accesso all'informazione di cui ha bisogno al momento giusto, indipendentemente dal possesso della col­ lezione e della fonte (Cronin, Stiffler, Day, 1 99 3 ; Widén -Wulff, 2 005 ) . I servi­ zi di accesso si basano sempre di più sulle tecnologie, ma non è la tecnologia l'oggetto di cui si occupa il bibliotecario: è l'utente ad essere al centro dell'at­ tenzione, anche con servizi personalizzati. Tra le funzioni di facilitazione dell'apprendimento, l'attività che viene rite­ nuta caratteristica dei bibliotecari e fondamentale (il core) è la gestione dell'in­ formazione, intesa come controllo dell'intero ciclo di vita dell'informazione e della conoscenza, a iniziare dalla sua creazione (e non solo dopo la pubblica­ zione) e strettamente associata all'applicazione delle tecnologie. In modo cre­ scente, la comunità professionale internazionale collega la gestione dell'infor­ mazione all'importanza della formazione dell'utente per diventare autonomo nel cercare ed usare l'informazione. L'interesse per la gestione della conoscen­ za (knowledge management) contribuisce inoltre a focalizzare l'attenzione su competenze del bibliotecario come la comunicazione e le capacità didattiche. Questo ruolo del bibliotecario punta sul potenziale supporto allo sviluppo del contesto sociale che la biblioteca può assumere e l'attenzione è su competenze come la comunicazione e le capacità didattiche. Esistono quindi diversi profili del ruolo professionale del bibliotecario che sono corrispondenti a diverse ne­ cessità informative ed i bibliotecari devono essere capaci di capire ed analizza43 1

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

re le funzionalità della professione in modo che siano adeguate al contesto sociale più ampio della biblioteca o dell'istituzione culturale in cui si andrà a lavorare o già si opera. Il contesto culturale di riferimento del bibliotecario, grazie alla mobilità in un mercato del lavoro europeo, potrà non essere limita­ to alla realtà italiana o, in Italia, ad un solo specifico tipo di biblioteca con la corrispondente utenza di riferimento. Pur nella diversità delle diverse impostazioni epistemologiche, il sistema formativo in Europa si concentra attualmente sulle competenze professionali. In particolare, c'è un sostanziale accordo sulle competenze di base che il bi­ bliotecario deve dimostrare, indicate come 7: organizzazione e recupero dell'informazione (e della conoscenza) che inclu­ de i principi e le teorie, i metodi e i processi tecnologici alla base della pro­ fessione; conoscenza dei contenuti che devono essere acquisiti, organizzati e resi frui­ bili, cioè il bibliotecario deve avere una conoscenza delle discipline della co­ municazione e dei processi dell'industria editoriale e, in una prospettiva este­ sa, una conoscenza non solo delle diverse tipologie di pubblicazioni ma anche dei contenuti dei diversi documenti, per essere un buon intermediario nel ser­ vizio di reference soprattutto in biblioteche specializzate; saper capire e analizzare il contesto sociale di riferimento, il ruolo sociale della professione e come questo ruolo è condizionato dal cambiamento della società, saper amministrare le risorse a disposizione, secondo le regole giuridi­ che ed economiche vigenti, per realizzare le funzionalità previste. Il bibliotecario è considerato un particolare lavoratore della conoscenza, chiamato anche professionista dell'informazione, una categoria professionale in cui sempre più spesso vengono compresi documentalisti, archivisti, curatori di museo e, con qualche incertezza, Web master, editori. Le aree principali di attività per i bibliotecari sono non solo nelle biblioteche. Oltre che nelle istitu­ zioni culturali, come biblioteche, archivi e musei, i bibliotecari possono trova­ re occupazione nell'industria editoriale e multimediale, presso i fornitori di prodotti e servizi informativi, nei centri di servizio, nelle aziende di sviluppo software. Altre nuove professioni della conoscenza sono state create o trasfor­ mate dalla rivoluzione delle nuove tecnologie, come ad esempio il Web master culturale, anche se non c'è ancora un riconoscimento e un accordo sulle loro funzioni 8• C'è anche da dire che a livello internazionale i professionisti del­ l'informazione si trovano oggi a operare in un contesto competitivo e, in parti7· Per un approfondimento della discussione su questo tema cfr. A. M. TAMMARO et al. , Li­ brary and In/ormation Science Curriculum in a European Perspective, in L. KAJBERG , L. LORRING (a cura di) , European Curriculum Re/lections on Library and ln/ormation Science Education, Royal School of Library and lnformation Science, Copenhagen 2005 , pp. 1 5 -28. 8. Il Progetto CREMISI è stato il primo a portare la discussione in Italia sulla necessità di nuove figure professionali, sulla base di uno studio europeo. Cfr. Progetto CREMISI, Le nuove professioni in biblioteca, Ministero per i Beni e le attività culturali; AIB; Amitié; Union Comunica­ zione, Roma 2ooo.

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2 I . GLI STRUMENTI E I CONTE:-JUTI DELLA FORMAZIO!'\E DEI BIBLIOTECARI

colare, è evidente la vulnerabilità della professione rispetto ad altri professio­ nisti più forti dal punto di vista del riconoscimento sociale come gli informati­ ci, i manager di servizi informativi ecc. Una prima conseguenza dell'ampio raggio di possibili occupazioni del bi­ bliotecario, è che una formazione universitaria di base, in cui si possa ottenere un primo orientamento disciplinare insieme a una cultura generica, deve esse­ re seguita da una necessaria specializzazione. L'esigenza della specializzazione riguarda sia i bisogni formativi relativi a diversi ambiti lavorativi in cui ci si può trovare a lavorare, sia le esigenze formative adeguate a livelli diversi di responsabilità al progredire della carriera. Bisogna infatti evidenziare che i bi­ bliotecari rivestono nella biblioteca diversi profili e diverse qualifiche profes­ sionali, che corrispondono a differenti qualificazioni negli inquadramenti con­ trattuali, in genere classificabili come: dirigenti e quadri, bibliotecari, collabo­ ratori bibliotecari. In Italia, dove solitamente si accede alla professione con una laurea generica (cioè non è richiesta una laurea in biblioteconomia) , i da­ tori di lavoro tendono a non comprendere la necessità di una formazione pro­ fessionale specifica, con avanzamenti di carriera che quindi sono basati di soli­ to sull'anzianità di servizio, spesso senza aver mai frequentato un corso specia­ listico. A questo si è aggiunta la generale tendenza delle istituzioni pubbliche ad appaltare i servizi all'esterno, che oltre a significare precarietà delle occupa­ zioni da parte dei bibliotecari, significa spesso anche un'interscambiabilità di ruoli e competenze che vengono richieste ai singoli addetti e una conseguente genericità della professionalità richiesta. Questa tendenza è decisamente in contrasto con il quadro europeo, dove il focus sulle competenze è usato per rendere comparabili le diverse qualifiche professionali, oltre che per stimolare la formazione lungo tutto l'arco della vita 9• La novità del sistema basato sulle competenze, non intese come sem­ plici abilità pratiche ma comprendenti conoscenze disciplinari e capacità per­ sonali, è che devono venir costruiti degli strumenti di riferimento per i diversi settori, con lo scopo di avviare o migliorare il dialogo da parte di tutti gli

9· Per una maggiore trasparenza e comparabilità delle qualifiche professionali in Europa, è stato realizzato l 'European Qualifications Framework (EQF) L 'EQF è stato approvato a Bruxelles nel 2 005 e la sua applicazione è volontaria, tuttavia ha una base legislativa nella direttiva sul riconoscimento delle qualifiche professionali del giugno 2 005 . Si basa su tre elementi: - una struttura di riferimento e di comparazione, basata su otto livelli corrispondenti a precisi obiettivi formativi (/earning outcomes) e che sono correlati a titoli di studio (di cui i titoli uni­ versitari corrispondono agli ultimi tre livelli) o alla validazione di competenze comunque appre­ se. Le qualificazioni che interessano i bibliotecari possono essere individuate negli ultimi tre li­ velli: 5 (collaboratore) , 6 (bibliotecario) , 7 e 8 (dirigenti e quadri); - un insieme di strumenti come il portfolio e l'Europass, per la registrazione delle compe­ tenze; - principi e procedure comuni tra i diversi interessati (stakeholders) , come docenti, professioni­ sti e datori di lavoro, per la garanzia di qualità della formazione, la certificazione delle compe­ tenze e un orientamento per chi voglia intraprendere una precisa carriera. .

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BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

attori sociali coinvolti nella formazione oltre ai bibliotecari, come docenti, da­ tori di lavoro e associazioni professionali, per identificare e costruire un si­ stema condiviso di valori professionali di base. Per attuare il sistema della cer­ tificazione delle competenze, occorre arrivare quindi a una collaborazione am­ pia per accordarsi sulle competenze richieste. Nel contesto di questa evoluzio­ ne europea, per il settore delle biblioteche ha avuto successo un progetto del­ l'ECIA per la certificazione delle competenze che sono richieste ai professionisti dell'informazione Io. La certificazione delle competenze implica il passaggio da un criterio formale (il possesso di un titolo con valore legale o il consegui­ mento di un titolo presso un corso accreditato) a un criterio sostanziale, cioè l'evidenza che devono dimostrare i professionisti di possedere precise compe­ tenze di base e specialistiche. Questo approccio ha due capisaldi: un rinnovato ruolo delle associazioni professionali per la certificazione professionale e, so­ prattutto, la responsabilità del singolo bibliotecario per il suo apprendimento costante. Il sistema delle competenze ha migliorato anche la trasparenza nel­ l' offerta formativa delle scuole di biblioteconomia che, nell'ambito del cambia­ mento avviato in Europa, è ora basata sugli obiettivi formativi, correlati a spe­ cifiche competenze che lo studente deve avere a completamento del corso. 2 1 .3 Quale formazione per il bibliotecario?

La complessità delle competenze che sono richieste al bibliotecario comporta una professionalità che può essere acquisita attraverso una prima formazione universitaria di base, una specializzazione successiva e un aggiornamento co­ stante, mediante la formazione continua. Considerando la necessaria diversificazione della professione nelle molte­ plici prospettive lavorative in istituzioni culturali diverse e successivamente nelle specializzazioni adeguate alle prospettive di carriera professionale, le scuole di biblioteconomia stanno cercando di ridefinire il loro ruolo e i loro curricula I I. Per discutere sulla formazione universitaria dei bibliotecari, si

Io. L'European Council for Information and Documentation (ECIA) nel I 997 ha realizzato

il progetto "Developer les Eurocompetences pour l'Information et la Documentation " (DECI­ ooc). La prima fase del progetto ha realizzato la pubblicazione Competencies Guzde, tradotta in

italiano ed edita dall'AIDA nel 2ooo. I 1. Per un'approfondita analisi del dibattito in corso in Italia si rimanda ad A. PETRUCCIANI, La laurea in bzblioteconomia: Finalità e prospettive dei nuovi ordinamenti universitari, "Bollettino AIB " , 4I (2) , 200I , pp. I45-5 5 ; Id. , Professione bibliotecario: Formazione, occupazione, prospettive, "Economia della cultura " , 3, 2003 , pp. 40I-6; Id. , Formazione, occupazione e professione, in Rap­ porto sulle biblioteche italiane 2 00 1-2 00) , AIB, Roma 2004, pp. 1 10-9; A. PETRUCCIANI, S. TURBA:-.l­ TI, I corsi universitari dopo la riforma: Per un'analisi dei contenuti delle offerte dzdattiche, "Bollet­ tino AIB " , 4I (4) , 2oo i , pp. 493-500.

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2 I . GLI STRUMENTI E I CONTE:-JUTI DELLA FORMAZIO!'\E DEI BIBLIOTECARI

deve necessariamente iniziare ponendo in evidenza i problemi che questa for­ mazione sta vivendo attualmente. Negli ultimi vent'anni, lo stato della forma­ zione universitaria per i bibliotecari a livello internazionale ha subito un gros­ so cambiamento, che ha investito in particolare i seguenti aspetti: la necessità delle specializzazioni, il rapporto difficile con la scienza dell'informazione, l'impatto delle nuove tecnologie, la convergenza della biblioteconomia con al­ tre discipline nel campo della conoscenza, la crescente attenzione alle compe­ tenze e infine l'internazionalizzazione delle università. Molte università, specie quelle negli Stati Uniti, che hanno un finanzia­ mento privato, hanno chiuso le scuole di biblioteconomia ed è in corso un animato dibattito sul futuro orientamento delle scuole stesse 1 2 • Il dibattito, iniziato intorno agli anni novanta, negli Stati Uniti ha visto prevalere due pun­ ti di vista sostanzialmente in opposizione: da una parte si è cercato di tendere verso la diversificazione dei profili con l'offerta formativa di diverse specia­ lizzazioni ed invece dall'altra è stata scelta una sostanziale integrazione con la scienza dell'informazione. La prima strategia di un'offerta formativa delle scuole di biblioteconomia distribuita per diversi profili e strutturata per diversi livelli di specializzazio­ ne ha dimostrato tuttavia delle problematiche: è costosa, in quanto limitata ad un ristretto numero di iscritti; può essere di bassa qualità, in quanto spesso troppo orientata alle tecniche, più che rispondente ai criteri accade­ mici di qualità. L'altra strategia che è stata proposta e sperimentata negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, è stata quella di espandere (e quindi di nuovo specializzare) i programmi alla scienza dell'informazione, cambiando anche il nome delle scuole in Library and Information Science (us) . La formazione tradizionale è stata comparata a un animale in estinzione, come il panda o " Panda syndro­ me" , animale amorevole e delicato, ma destinato a scomparire (Van House, Sutton, 1 996). Gli autori affermano che la professione dei bibliotecari sta su­ bendo la forte competizione di altre discipline, come l'informatica e l'econo­ mia aziendale, e suggeriscono una strategia di nicchia, in attesa di un cambia­ mento definitivo. Questa è stata anche chiamata una strategia di sopravvivenza ed ha rappresentato un cambiamento di focus da quello tradizionale, centrato sulle biblioteche, a un altro centrato sulla gestione dell'informazione. Questa posizione ha molti sostenitori e molte scuole sono arrivate a cambiare ulte­ riormente il loro nome in Information School (Is) . Negli stessi Stati Uniti esi­ stono anche voci critiche autorevoli (Gorman, 200 4 ; Cronin, 2005 ) , che so-

r2. Nel 1 994 alla conferenza di ALISE, dieci presidi di scuole di biblioteconomia discussero il tema dei rapporti tra scienza dell'informazione e biblioteconomia. Il tema è stato ripreso dalla conferenza di ALISE del 2oo6, arrivando allo stesso risultato di ritornare ad una formazione limi­ tata alla biblioteconomia.

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BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

stengono che bisogna tornare indietro, ascoltando maggiormente le voci dei professionisti delle biblioteche e i bisogni di formazione che essi esprimono. Cronin, analizzando lo stato degli studi us parla della tensione intollerabile tra il punto di vista imposto dall' In/ormation Science con quello tradizionale della Library Science. L'autore suggerisce di sostituire Library Scien ce con il termine Librarianship, perché la convivenza dei due termini con due diverse concezioni è ambigua. Le scuole di biblioteconomia in Europa, dove prevale il finanziamento pubblico, hanno invece vissuto un fenomeno diverso dalle scuole americane, che è chiamato "fenomeno della convergenza " . Con questo termine si defini­ sce l'interscambio disciplinare della biblioteconomia con altre professioni affi­ ni, come l'archivistica, la documentazione e anche la museologia, per cui è stata coniata una nuova sigla ALM (Archives, Libraries, Museums) . Un'altra tendenza della convergenza, abbastanza diffusa in Italia, è quella in cui i curri­ cula di biblioteconomia sono stati incorporati in altri curricula, perché le scuo­ le sono confluite in altri dipartimenti o facoltà universitarie, con specializzazio­ ni disciplinari più generali, come ad esempio italianistica, storia, scienze della comunicazione, scienza della formazione. La convergenza non è solo ammini­ strativa, ma deve essere attentamente valutata nella scelta di un corso, perché condiziona, attraverso il reclutamento dei docenti, l'approccio epistemologico che orienta la formazione delle singole scuole. Una caratteristica del sistema formativo in Europa è che, di fronte alla cre­ scente importanza delle nuove tecnologie e ad alcuni ritardi delle scuole di biblioteconomia nell'adeguare l'offerta formativa, molti corsi di ingegneria hanno introdotto dei curricula specifici per i bibliotecari, con un'impostazione prettamente tecnologica. La situazione prevalente in Europa è quindi esatta­ mente opposta alla "Panda syndrome" , con l'isolamento dell'insegnamento (e della ricerca) delle nuove tecnologie dalla biblioteconomia, ad eccezione della sola Gran Bretagna dove viene adottato il modello americano 1 3 • Il problema su cui si è discusso in Europa è stato quindi quello dell'introduzione dell' inse­ gnamento delle nuove tecnologie nelle scuole di biblioteconomia 14. Per risol­ vere il problema dell'introduzione dell'insegnamento delle tecnologie in un contesto in rapida evoluzione, la prima soluzione è sembrata quella di avviare

1 3 . L 'European Commission Directorate Generai XIIIB all'inizio degli anni novanta ha com­ missionato uno studio all ' IFLA sul modo in cui le scuole di biblioteconomia avevano incluso l'in­ segnamento dell 'automazione nei cumcula. Lo studio ha rivelato che le nazioni europee presen­ tavano grandi differenze, ad esempio la Gran Bretagna era in uno stadio avanzato e l'Italia all'ul­ timo posto. Cfr. J. H. E. VAN DER STARRE, Lzbrary Schools and Information Technology: A Euro­ pean Overview , "lnformation Processing and Management", 29 (2 ) , 1993, pp. 241-8. 14. In Italia, un esauriente articolo sul problema della formazione per le nuove tecnologie è: F. BERGER, Europa ante portas: Riflessioni sull'offerta formativa delle università italiane con l'av­ vio del sistema 3 + 2 , " Bollettino AIB " , 41 (4) , 200 1 , pp. 481 -92.

2 I . GLI STRUMENTI E I CONTE:-JUTI DELLA FORMAZIO!'\E DEI BIBLIOTECARI

un curriculum unico 1 5 • La tendenza attuale delle scuole di biblioteconomia in Europa è che la concezione di un modello rigidamente applicabile per tutti è un approccio obsoleto poiché, con la sua connotazione di pianificazione e controllo centralizzato, può non rispondere ai bisogni del mercato del lavoro, che abbiamo detto così diverso nei contesti sociali dei professionisti dell'infor­ mazione. Il quadro di evoluzione dell'impatto delle tecnologie dell'informazio­ ne nella formazione dei bibliotecari, come è stato evidenziato nel progetto eu­ ropeo " European Curriculum Reflections on Library and Information Science Education " , è attualmente diventato abbastanza simile nelle scuole di bibliote­ conomia dell'Europa e degli Stati Uniti: prevale infatti l'opinione che le tecno­ logie devono essere integrate con l'approccio basato sull'utente. In questa evo­ luzione dell'importanza delle tecnologie, il cambiamento sembra essere dive­ nuto un fattore permanente, una necessità con la quale i bibliotecari - tradi­ zionalmente abituati a un ruolo e a un curriculum professionali stabili e immu­ tati nei secoli - devono abituarsi a convivere, reagendo in modo attivo e pro­ positivo (e con urgenza ! ) . Tutti i corsi di formazione per i bibliotecari devono quindi sottolineare nei singoli moduli l'importanza dell'infrastruttura tecnolo­ gica per l'intero assetto che include non solo l'accesso e la gestione di processi come la catalogazione, ma anche i problemi di gestione dei contenuti digitali. In sintesi, i curricula universitari in Europa devono avere oggi la caratteri­ stica principale di una grande flessibilità, così da poter essere di supporto a molte carriere diverse, di cui le biblioteche sono solo una delle possibili, e devono prevedere un percorso di progressiva specializzazione (Audunson, Nordlie, Spangen, 2 00 3 ) . La complessa situazione attuale, per l'impatto delle tecnologie e della nascita della società dell'apprendimento, spinge a un rinnova­ mento del curriculum e l'internazionalizzazione sembra la migliore opportunità per attenerlo, non con un curriculum unico per tutti, ma creando sinergia e integrazione tra le migliori esperienze attraverso il Bologna process. 2 1 . 3 . 1 . Il Bologna process e la mobilità di studenti e bibliotecari In Europa il Bologna process guida le scuole di biblioteconomia a una vera integrazione, in cui le differenze che abbiamo evidenziato tra le diverse scuole vengono viste come una ricchezza, invece che come una limitazione. Il Bolo­ gna process ha comportato uno stimolo a una maggiore trasparenza, al miglio­ ramento dell'accreditamento di qualità e all'armonizzazione dei contenuti oltre I 5 . La riflessione, partita durante il convegno dell 'v:-JESCO "lnternational Symposium on the Harmonisation of Education and Training Programmes in Information Science, Librarianship and Archival Studies " , tenuto nel I 984, ha dato come risultato: M. COOK, Guzdelines in Curricu­ lum Development in In/ormation Technology /or Librarians, Documentalists, Archivists, V:-JESCO, Paris I 9 86. Una riflessione dopo tre anni è in Id., Training in Technology and Its Management, in Harmonisation o/ Education and Training Programmes /or Library In/ormation and Archival Personnel: Proceedings o/ an International Colloquium, London August 9-I5 I 987, ed. l. A. John­ son et al. , Saur, Munchen I989, pp. I93·2 I O.

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BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

che allo sviluppo di corsi congiunti. Le diverse politiche nazionali per l'inter­ nazionalizzazione inoltre incoraggiano l'aumento degli studenti stranieri am­ messi ai corsi di biblioteconomia, con facilità del riconoscimento dei titoli ac­ cademici acquisiti. Questo significa che il curriculum universitario di un bi­ bliotecario oggi dovrebbe includere, oltre alla conoscenza delle lingue stranie­ re e allo sviluppo di scambi istituzionali con le altre nazioni europee, un con­ tenuto dei corsi a orientamento internazionale, adeguato sia al mercato del la­ voro europeo che al mercato del lavoro nazionale. In un prossimo futuro, so­ prattutto con lo sviluppo di corsi a distanza, la realizzazione del processo di Bologna darà la possibilità ad esempio agli studenti italiani di iscriversi a corsi di altre nazioni in Europa, potendo poi continuare gli studi in università italia­ ne e ottenendo al completamento dei corsi, il riconoscimento del titolo per essere ammessi a concorrere a posti di lavoro presso istituzioni italiane o stra­ niere. Tuttavia, questa possibilità è ancora non completamente realizzata mal­ grado siano già stati raggiunti significativi risultati 1 6 . Di solito le scuole di biblioteconomia europee pianificano un profilo pro­ fessionale articolato, con un livello iniziale, che dà un orientamento sulle co­ noscenze disciplinari insieme ad alcuni contenuti generali, ed un livello suc­ cessivo, che specializza in un settore specifico della disciplina, per arrivare a formare un bibliotecario professionale dopo cinque anni di studio. Tuttavia molti corsi di specializzazione (dopo la prima laurea) prevedono anche che si possa accedere al corso con una laurea generica. Questa diversa struttura dei corsi di biblioteconomia è essenzialmente legata al livello richiesto per l' acces­ so alla professione e il successivo avanzamento nelle qualifiche nei diversi con­ testi nazionali: alcuni Paesi richiedono per l'accesso una laurea generica (come in Italia) e la specializzazione per passare di livello, altri una laurea specifica in biblioteconomia, altri ancora richiedono una specializzazione post-laurea (o master) . Ogni scuola ha dovuto adottare il sistema European Credit Transfer Sy­ stem (ECTS) per la quantificazione del carico didattico. Il Diploma Supple­ ment, che registra esattamente le caratteristiche del corso che si è completato con successo, inclusi gli obiettivi formativi e il loro conseguimento, è ancora in corso di sviluppo. L'istituzione dei due livelli e dei corsi post-laurea di ma­ ster (Tammaro, 200 5 a) insieme ad altri corsi professionalizzanti (come l'Alta formazione) , oltre a contribuire a una migliore comparabilità dei corsi italiani, propone il coinvolgimento universitario nella formazione continua, con impor-

1 6. Il risultato maggiore ottenuto riguarda la struttura dei livelli dei corsi, corrispondente alle qualifiche professionali previste per quel livello. Il Bologna process ha stabilito tre livelli suc­ cessivi per la formazione universitaria, corrispondenti agli ultimi tre livelli dell'EQF: tre anni per la prima laurea, cinque anni per la specializzazione e otto anni a livello di dottore di ricerca. Un punto importante della riforma italiana per la comparazione internazionale, è che il titolo di lau­ rea magistrale (corrispondente ai master europei) richiede 300 crediti in totale, e pu ò essere con­ seguito solo dopo il completamento di 1 8o crediti della laurea.

2 I . GLI STRUMENTI E I CONTE:-JUTI DELLA FORMAZIONE DEI BIBLIOTECARI

tanti opportunità per la necessaria specializzazione dei bibliotecari. Un ulterio­ re passo avanti nella formazione per i bibliotecari è stato lo sviluppo di pro­ grammi basati sulla cooperazione internazionale delle scuole di bibliotecono­ mia. L'internazionalizzazione di curricula in corsi congiunti può essere vista come qualcosa di più comprensivo che sviluppare curricula con un contenuto internazionale 17• Il sistema dei crediti 1 8 , pur con i limiti di un'applicazione meccanica e acritica come spesso è avvenuto, è un sistema di comunicazione sociale ed è necessariamente legato alle qualifiche professionali. Un accordo per il riconoscimento reciproco (Tammaro, 2 0o5b) di una laurea o un master in biblioteconomia è un elemento chiave per continuare gli studi o praticare la professione in ogni nazione europea. 2 r . 3 . 2. Obiettivi formativi e didattica Quale dovrebbe essere quindi il risultato di una formazione professionale? Dovrebbe essere un professionista che ha delle conoscenze specifiche, che è capace di mettere in pratica queste conoscenze e competenze e inoltre ha fat­ to propri i principi e i criteri della professione, così da potersi adattare con flessibilità alle esigenze del suo contesto. È importante sottolineare che la pro­ spettiva del processo di Bologna implica una concezione della formazione come un processo attivo, in cui lo studente si prende la responsabilità indivi­ duale del suo apprendimento, consapevole delle competenze che deve acquisi­ re per i suoi obiettivi. Inoltre, per rendere trasparenti gli obiettivi formativi corrispondenti a diversi livelli dei corsi universitari, uno strumento di riferi­ mento proposto dal processo di Bologna è costituto dai descrittori di Dubli­ no 19, che chiariscono il concetto di competenze. Deve essere chiaro che la formazione universitaria differisce dall'addestra­ mento e dall'aggiornamento, in quanto non deve limitarsi a dare dei contenuti e delle tecniche ma deve essere capace di formare dei professionisti, che sap17. Oltre a curricula con qualche contenuto internazionale e a curricula speciali disegnati per gli studenti stranieri, sono stati avviati in Italia corsi congiunti, che si rivolgono allo sviluppo di particolari capacità multiculturali e che portano a professioni riconosciute a livello internazio­ nale. L 'armonizzazione internazionale di curricula in corsi gemelli (twining courses) è una tenden­ za ugualmente importante intrapresa anch 'essa in Italia. r 8 . Il dispositivo normalmente utilizzato è il portfolio: cioè un registro di crediti conseguiti dalla formazione di base alla formazione continua, in cui i crediti accademici ottenuti all'uni­ versità si sommano ad altri crediti conseguiti sia per attività di lavoro che di formazione continua e l 'EL'ROPASS per il riconoscimento a livello europeo delle stesse competenze. 1 9 . Le competenze, intese nei descrittori di Dublino in modo esteso, vengono classificate come: Conoscenze e comprensione, Saper applicare le conoscenze, Saper fare giudizi, Saper co­ municare, Saper apprendere. I descrittori differenziano le competenze previste a completamento dei tre livelli dei corsi universitari. Cfr. EL'ROPEAN COMMISSI0:-1 AND EL'ROPEA:-1 L'NION COL':-JCIL, ]oint Interim Report on the Implementation o/ the Detailed Work Programme on the Follow Up o/ the Objectives o/ Educatz'on and Training Systems in Europe, European Commission, Brussels 2 003 .

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BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QU ESTIONI

piano comportarsi professionalmente anche in situazioni completamente diver­ se da quelle che sono state esemplificate durante il corso. La formazione nelle università ha il compito quindi di trasmettere prima di tutto una metodologia professionale e dei principi essenziali, che caratterizzano la disciplina. Criteri, principi e metodi sono strettamente legati all'approccio epistemologico e, in Europa, il progetto europeo " European Curriculum Reflections on Library and Information Science Education " ha evidenziato la multidisciplinarità della biblioteconomia, con diversi approcci metodologici, come: la metodologia lin­ guistica e filologica, il metodo storiografico, la ricerca sociale, la scienza del­ l' informazione, la statistica e la bibliometria. Il curriculum delle scuole di biblioteconomia si sta trasformando, secondo gli attuali cambiamenti nella società deltapprendimento e i suoi bisogni di in­ formazione e i docenti universitari ricevono numerose pressioni per rendere trasparenti gli obiettivi formativi dei corsi. Prima di tutto, seguendo i criteri di qualità che ogni università stabilisce o riceve dal governo, devono offrire un curriculum costruito secondo gli standard accademici. In secondo luogo, anche per effetto della necessità della spendibilità del titolo nel mondo del lavoro, devono tener conto delle aspettative dei datori di lavoro, che desidera­ no impiegare bibliotecari che lasciano l'università equipaggiati con le compe­ tenze necessarie per essere immediatamente operativi. La maggiore complessi­ tà del ruolo del bibliotecario deve essere supportata da principi e criteri me­ todologici che rendono chi completa con successo un percorso universitario, di base e specialistico, un vero professionista. L'approccio didattico delle uni­ versità è quindi orientato alla soluzione di problemi, alla capacità di saper pensare criticamente e a rendere in grado di diventare adulti motivati a stu­ diare tutta la vita per formare bibliotecari capaci di affrontare con successo il cambiamento. 2 r. 3. 3.

Contenuti del curriculum

Un bibliotecario ha quindi bisogno di una formazione multidisciplinare, prova della sua abilità a gestire diverse situazioni in contesti nazionali e internaziona­ li con cui dovrà confrontarsi nel corso della sua carriera professionale. I ri­ sultati del progetto europeo "European Curriculum Reflections on Library an d Information Science Education" hanno dato un buon orientamento sui fattori principali che devono essere considerati per la struttura e per i conte­ nuti dei corsi per bibliotecari. È oggi chiaro che il concetto di armonizzazione dei contenuti dei corsi è in Europa solo uno degli elementi da considerare, insieme ad altri elementi necessari per stabilire l'equivalenza dei curricula, come l'accreditamento dei corsi, il riconoscimento dei titoli, la struttura dei corsi con la sequenza di singole materie prevista per le diverse specializzazioni post-laurea, la trasparenza dei diversi approcci epistemologici alla disciplina (e i valori sottesi) . Pur se non è desiderabile standardizzare il contenuto dei pro­ grammi per tutte le scuole di biblioteconomia in Europa, possiamo evidenzia-

2 I . GLI STRUMENTI E I CONTE:-JUTI DELLA FORMAZIO!'\E DEI BIBLIOTECARI

re alcuni elementi comuni, come sono stati indicati dai risultati del progetto europeo. Le scuole di biblioteconomia in Europa, coerentemente con le ca­ ratteristiche di base della professione, hanno tradizionalmente coperto tre componenti di base per lo studio: r . lo studio dei documenti, 2. l'organizza­ zione della conoscenza, 3. l'amministrazione delle biblioteche.

Lo studio dei documenti. I documenti vengono considerati come una combina­ zione di testo e supporto fisico (o come si preferisce dire attualmente me­ dium) . Nelle scuole di biblioteconomia europee sono considerati tutti i diversi media, dai più antichi, come i papiri, ai più recenti, come il documento digita­ le. Lo studio dei documenti include tutte le problematiche delle diverse e principali tipologie di documenti, la loro struttura, le loro caratteristiche edi­ toriali, come i generi narrativi o non narrativi. È importante che lo studio dei documenti non venga focalizzato per sé, ma sia accompagnato con uno speci­ fico orientamento a determinate categorie e comunità di utenti, come ad esempio i bambini, le persone con handicap visivo, le persone anziane, l'u­ tenza scientifica, i musicisti ecc.

Organizzazione della conoscenza e recupero dell'informazione. Questo compo­ nente di base della formazione dei bibliotecari ha già raggiunto un discreto livello di standardizzazione internazionale e consiste dei seguenti elementi: analisi descrittiva e semantica dei documenti; rappresentazione formale (bibliografica) e di contenuto (con o senza lin­ guaggi di indicizzazione) ; memorizzazione (catalogazione, collocazione, immissione in banche dati) ; ricerca e recupero dell'informazione (incluso il comportamento di ricerca degli utenti) ; - valutazione dei risultati. Organizzazione e amministrazione. Politica delle biblioteche e legislazione. Questo aspetto essenziale dei corsi di biblioteconomia comprende fondamen­ talmente la gestione delle biblioteche, ma può anche essere esteso a problema­ tiche legate al flusso dell'informazione nelle organizzazioni. Gli elementi cen­ trali riguardanti l'amministrazione delle biblioteche riguardano la selezione e acquisizione della collezione, gli studi dell'utenza a cui il servizio è diretto e l'organizzazione dei vari servizi di accesso. Un approccio diacronico abbastan­ za ovvio può riguardare in questo caso la storia delle biblioteche o il futuro scenario dell'informazione digitale. Alcuni argomenti di carattere generale, cioè non specifici della biblioteconomia, includono temi come la pianificazio­ ne, la gestione del budget, la gestione delle risorse umane, l'edilizia biblioteca­ ria, solo per elencare i più importanti. Questi che possono essere considerati i componenti di base dei corsi universi­ tari, normalmente sono insegnati in modo sincrono, ma, secondo le diverse tradizioni culturali, questi stessi componenti di base possono anche essere

BIB LIOTECONOMIA: PRINCIPI E QUESTIONI

TABELLA 2 I . I

Contenuti dei curricula delle scuole di biblioteconomia in Europa Contenuti dei curricula

%

Information retrieval Library management and promotion Knowledge organization Knowledge management Information literacy Information society. Barriers to the free access to information Library and society in a historical perspective Cultura! heritage and digitalisation Library in a multicultural information society Mediation of culture in a European context

r oo% 96% 86% 82% 76% 64% 66% 62% 42% 26%

aperti ad approcci diacronici (ad esempio attraverso un approccio storico alla storia del libro o guardando alle prospettive future della catalogazione) . Gli studi sull'utenza sono ritenuti sempre fondamentali e strettamente legati a cia­ scuno dei tre componenti di base del curriculum. I criteri alla base di questa suddivisione disciplinare sono: la distinzione tra tipologie di oggetti nella collezione (libro, documenti) e procedure sia a livello micro (ad esempio catalogazione) che macro (ad esem­ pio l'iter del libro) ; la distinzione tra gli approcci sincroni (la situazione presente) e diacronici (prevalenza di una metodologia storiografica) ; l'orientamento all'utente e al suo contesto, come criterio guida di base del­ la professione. A questi elementi di base, abbastanza simili in tutte le scuole di bibliotecono­ mia, vanno aggiunti altri elementi che sono più legati alle diverse specializza­ zioni del bibliotecario in differenti ambiti operativi, come il focus sull' evolu­ zione delle nuove tecnologie digitali e sul ciclo della conoscenza 2 0• In partico­ lare la TAB. 2 I. I indica i risultati del questionario che è stato inviato alle scuo­ le di biblioteconomia in Europa, in risposta alla richiesta di indicare i moduli di insegnamento previsti nel corso, i cui contenuti sono elencati in ordine di presenza (Larsen Borup, 2005 ) . 2 0 . Può essere indicato a questo fine i l modello proposto d a Wilson, centrato sulla gestione dell'informazione, che illustra l'interazione di quattro elementi nei corsi per bibliotecari che sono: - il contenuto dell 'informazione: le funzioni tradizionali dei servizi bibliotecari e informativi; - i sistemi informativi: il ciclo dell 'informazione nel contesto istituzionale; - le persone: gli utenti ma anche i fornitori di informazione; - le organizzazioni: i produttori di informazione, le biblioteche, i centri di informazione ecc. Cfr. T. D. WILSOI', In/ormation Management, 2nd ed. , in International Encyclopedia o/ In/or­ mation and Library Science, Routledge, London 2002.

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2 I . GLI STRUMENTI E I CONTENUTI D ELLA FORMAZIONE DEI BIBLI OTECARI

2 r . 3 ·4·

Formazione continua

La necessità di una formazione continua dei bibliotecari è stata awertita da molti anni, ma nel contesto europeo dovrebbe diventare obbligatoria, o alme­ no considerata essenziale da chi si ritenga un vero professionista. Il complesso sistema della formazione lungo tutta la vita, richiede una necessaria triangola­ zione tra la percezione del gap formativo da parte dei professionisti, le ne­ cessità dei datori di lavoro, le agenzie formative che predispongono l'offerta formativa di corsi. La comunicazione dei diversi interessati alle tre estremità del triangolo è da considerarsi indispensabile, ma la realtà dimostra che è mol­ to difficile (Pors, 1 990) . Di solito, le associazioni professionali assumono un ruolo chiave per facili­ tare e stimolare il continuo aggiornamento dei bibliotecari. La maggioranza dei bibliotecari awerte che per assolvere con competenza il proprio ruolo deve avere padronanza di una metodologia professionale insieme a nuove tec­ niche per rinnovare e gestire le procedure e i servizi 2 1 • In particolare l'impat­ to delle nuove tecnologie digitali ha reso evidente la necessità dell'aggiorna­ mento 22 • In Italia l'offerta formativa di corsi per l'aggiornamento e la riqualificazio­ ne, pur se difficilmente identificabile con esaustività, si è particolarmente ar­ ricchita, restando però frammentaria ed episodica. La rinnovata offerta forma­ tiva universitaria post-laurea si è aggiunta ai corsi di addestramento che le isti­ tuzioni organizzano al proprio interno 23 e all'offerta formativa varia di diverse agenzie formative attive a livello nazionale e locale. Malgrado l'offerta formati­ va sia quindi ricca di opportunità, non si può essere soddisfatti dell'attuale sistema della formazione continua per un insieme di problematiche. La prima è che, non essendoci alcun collegamento al sistema delle qualifiche professio­ nali e delle competenze, la qualità dei corsi offerti è varia e non trasparente,

2 r . Un 'indagine sulla percezione dei bisogni formativi avvertiti dai bibliotecari, effettuata in Italia nel 2oo r , ha evidenziato come la percezione del gap formativo si scontra soprattutto con la mancanza di supporto all'aggiornamento da parte dei datori di lavoro. Cfr. R. INGRosso, Forma­ zione di base e formazione continua in Italia: percezione dei bisogni formativi dei bibliotecari del­ l'università, in Preparare i professionisti dell'informazione, Università di Parma, Parma 2003 . 2 2 . Nel 1 996, l'European Commission Libraries Programme ha finanziato uno studio sui bisogni di formazione continua dei bibliotecari per l'impatto delle nuove tecnologie. Gli obiettivi dello studio erano di fornire i dati per pianificare una formazione continua in previsione di un uso crescente delle nuove tecnologie nelle biblioteche; i risultati hanno rivelato che l 'offerta for­ mativa sembrava insufficiente rispetto alle necessità. Cfr. N. PORS, T. SCHREIBER, Librarian Trai­ ning in In/ormation and Communication Technologies: A Study o/ Needs and Deliverables, Dan­ marks Biblioteksskole, Copenhagen 1 996. 23. Alcune istituzioni investono nella formazione continua del proprio personale in modo considerevole. Ad esempio possiamo fare riferimento per le biblioteche universitarie a CRUI, La formazione del personale nel sistema universitario, CRUI, Roma 2005 . Molte iniziative formative sono legate all'implementazione di nuove tecnologie, ad esempio nell 'ambito del progetto Bi­ blioteca digitale italiana è stato organizzato un corso e-learning.

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BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

lasciando spesso disorientati i bibliotecari che devono scegliere tra le diverse offerte. Un'ulteriore problematica nasce dalla considerazione che molti dei bi­ bliotecari che operano attualmente nelle biblioteche non hanno mai seguito un corso universitario di base, e quindi costruiscono la loro formazione sul­ l'aggiornamento reso possibile da questi corsi, con scarsi risultati. L'altra diffi­ coltà, la più grave, è che, anche nel caso in cui le istituzioni organizzano dei corsi al loro interno, non c'è ancora un sistema di certificazione delle compe­ tenze acquisite, ad esempio facendo riferimento a strumenti come l'EQF, e quindi manca il riconoscimento che è un'importante motivazione per impe­ gnarsi alla formazione continua. Un problema particolare in Italia è che i da­ tori di lavoro non riconoscono di solito le competenze acquisite e, soprattutto, non stimolano la partecipazione dei bibliotecari ai corsi di specializzazione e aggiornamento. Si può quindi affermare che la situazione attuale della forma­ zione continua in Italia spinge a uno studio critico, analizzando come la spinta europea alla formazione lungo tutto l'arco della vita possa essere realizzata per i bibliotecari, prospettando possibili soluzioni per gli ostacoli evidenziati. Sep­ pure con le difficoltà già sottolineate, non mancano opportunità che oggi il bibliotecario ha a disposizione, come l'offerta di risorse a stampa ed in linea per l'apprendimento, la possibilità di partecipare a progetti e convegni nazio­ nali ed internazionali, la possibilità di usare Internet per comunicare coi colle­ ghi e con gli esperti delle singole tematiche. Possiamo quindi dire che la for­ mazione continua informale può diventare più importante di prima per la for­ mazione del bibliotecario. Per realizzare ciò, il bibliotecario deve avere un at­ teggiamento critico, identificato da importanti studiosi come il bibliotecario che riflette 2 4 . La professionalità e il miglioramento continuo della professiona­ lità si basano sulla capacità di riflessione critica, essenziale per l'apprendimen­ to continuo. 2 1 .4

n problema della teoria

vs.

la pratica

Il problema del giusto equilibrio tra teoria e pratica è quello che ha sempre reso difficile, se non impossibile, il dialogo tra docenti e professionisti nel campo della biblioteconomia. Bisogna quindi rimuovere questo ostacolo, se vogliamo progredire con successo nella strada indicata dal processo di Bolo­ gna di trovare un equilibrio tra i principi teorici e le capacità anche di saper applicare in pratica quei principi. Una prima possibilità per risolvere questo problema è quella di integrare alcuni professionisti di successo nella didattica dei corsi. Questa pratica è lar24. Il filosofo Dewey è considerato il primo ad aver evidenziato l'importanza della prassi riflessiva nel 1933. Successivamente, nel 1983, Schon ha esemplificato la prassi riflessiva per i professionisti dell ' informazione. Si rimanda ad una lettura dell ' articolo: P. DIXON, Il bthliotecario che riflette, "Biblioteche oggi " , 1 8 (w), 2ooo, pp. 16-20.

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2 I . GLI STRUMENTI E I CONTE:-JUTI D ELLA FORMAZIONE DEI BIBLI OTECARI

gamente diffusa in Europa, con un duplice scopo: quello di aggiornare i con­ tenuti disciplinari alle reali problematiche del mondo del lavoro e, soprattutto, quello di motivare i professionisti, incaricati di insegnare in un corso, a un' at­ tività di studio e di ricerca, che è necessaria per la preparazione delle lezioni ma ha una sicura ricaduta nell'ambito del servizio. La scelta di dare o no un incarico di insegnamento a un professionista è fatta dalle singole università, che hanno autonomia nell'adottare o no questa soluzione 2 5 • Non mancano critiche a questa pratica diffusa, che è strettamente correlata all'offerta di spe­ cializzazioni nei corsi: si è fatto notare che i professionisti possono non avere capacità didattiche adeguate. Una seconda possibilità è quella dello stage. Uno degli autori dell'articolo sul "Panda syndrome" ha allargato successivamente il suo studio, prendendo in esame l'addestramento pratico realizzato attraverso gli stage come un modo di combinare teoria e pratica, con un'esperienza di lavoro prima della tesi (Sutton, 2oo r ) . Lo stage, previsto dalla riforma universitaria in Italia, offre un'eccellente opportunità agli studenti di apprendere per sviluppare meglio le proprie competenze pratiche e relazionali, avvicinando le scuole di biblioteco­ nomia alla pratica corrente 26• Anche se l'addestramento pratico può oggi esse­ re considerato largamente diffuso e pressoché accettato dai docenti e dai pro­ fessionisti, esistono ancora un certo numero di problematiche, legate ad una migliore comprensione degli obiettivi e delle finalità di quest'attività didattica. Molti docenti sono convinti che un addestramento troppo calato nella pratica tende ad abbassare la qualità della formazione, non dando la capacità critica e la flessibilità che servono al bibliotecario in questo periodo di grandi cambia­ menti. Sembra quindi di poter dire che un periodo di stage ben organizzato e pianificato come elemento del corso può essere indicato quale soluzione ponte all'annoso problema di teoria e pratica, a patto che si rispettino certi requisi­ ti 27 • In modo corretto lo stage, con la supervisione attenta del docente, deve

25. In Italia molto spesso l'autonomia delle singole università nella scelta dei docenti è stata limitata dalle norme. Ad esempio non è possibile affidare incarichi di insegnamento ai biblioteca­ ri delle università. 26. Sulla pratica dello stage in Europa si rimanda a G. VA:-1 DER MOLEN, Practice and Theo­ ry: Placement as Part o/ the Curriculum, in L. KAJBERG, L. LORRING (a cura di) , European Currù:u­ lum Re/lections on Library and In/ormation Science Educatz'on, Royal School of Library and Infor­ mation Science, Copenhagen 2005 , pp. 1 99-2 1 5 . 27. L o stage dovrebbe prevedere dalle 1 2 5 alle 2 5 0 ore, m a l a sua durata varia nelle singole nazioni europee. I requisiti per gli studenti e per l 'istituzione ospitante variano secondo gli obiet­ tivi formativi dello stage. Per ottenere i benefici dello stage, occorre tuttavia prestare attenzione alle diverse tipologie organizzative dello stage. Alternanza. Il tempo dello studio è pianificato comprendendo una parte teorica in classe e una pratica presso una biblioteca o un centro informativo. La permanenza presso l ' istituzione che riceve lo studente dovrebbe basarsi su un apprendimento induttivo, in cui cioè vengono applica­ te le conoscenze apprese in un determinato contesto istituzionale. Il periodo di stage può quindi prevedere molte forme diverse, correlate ai diversi obiettivi formativi previsti. Apprendimento basato su progetti. I bibliotecari dovranno essere capaci di lavorare in una strut-

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BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

dare allo studente la possibilità di integrare teoria e pratica, osservare il succes­ so o l'insuccesso di certe procedure e scelte nel mondo reale, e dare senso ai tanti frammenti di conoscenza appresi durante il corso. Uno stage ben orga­ nizzato in biblioteche e in altre agenzie informative dovrebbe aiutare il futuro bibliotecario a capire come il contesto in cui opera la biblioteca e le funzioni della biblioteca stessa siano correlate e come le decisioni prese in un'area della biblioteca impattano sulle attività della biblioteca nella sua globalità. Deve essere chiaro che lo stage è un'attività didattica, cioè l'opportunità di calare nella pratica le teorie apprese, e non è invece la possibilità per le strut­ ture ospitanti di disporre di lavoratori a basso costo. Un principio di base dell'apprendimento è che solo quando certe conoscenze vengono applicate queste possono essere apprese. L'osservazione giornaliera di una certa proce­ dura in situazioni reali e complesse, può insegnare di più che ore di lezione in una classe o un'esercitazione accademica in laboratorio. Gli studenti inoltre devono essere coinvolti fin dalla fase organizzativa dello stage, essere consape­ voli delle particolari competenze che vogliono ottenere da questa attività prati­ ca, selezionando alcuni specifici obiettivi. Malgrado l'evidente avanzamento nella soluzione della dicotomia tra teoria e pratica attraverso le prospettive adottate, il contrasto tra teoria e pratica permane. La vera soluzione all'annoso problema è quella indicata dal quadro formativo eu­ ropeo con la realizzazione di un sistema per la formazione lungo tutta la vita. 2 1 .5 Conclusioni

Per concludere, possiamo dire che il ruolo del bibliotecario è sempre più im­ portante e di rilevante utilità sociale perché, oltre alla mediazione tra autore e lettore, è agente del cambiamento e facilitatore dell'apprendimento. L'impor-

tura gerarchica o, alternativamente, in una struttura di "gestione per progetti " o entrambe con­ temporaneamente. Lavorare in gruppo per la realizzazione di un progetto è una situazione pro­ fessionale abbastanza comune. Occorre quindi prevedere che gli studenti possano fare esperienza di tutte le fasi di sviluppo di un progetto, compresa la sua valutazione, come: lo sviluppo dell'i­ dea, lo studio del caso, la risposta alle specifiche istituzionali, la ricerca bibliografica, la pianifica­ zione dell'intervento ecc. Applicazione delle nuove tecnologie. Un altro tipo di stage può essere finalizzato a un migliore apprendimento di tecnologie applicate nel settore della biblioteconomia, come ad esempio la di­ gitalizzazione del materiale analogico, oppure la catalogazione in linea. Placement. Un ulteriore servizio che molte università hanno reso disponibile è facilitare il passag­ gio al mondo del lavoro o placement, che riguarda la preparazione degli studenti ad entrare nella professione. La discussione sul placement deve essere necessariamente legata alle esigenze evi­ denziate prima di fornire grande flessibilità ai laureati dalle scuole di biblioteconomia, per trova­ re occupazione in una varietà di organizzazioni informative, considerando anche le diverse esi­ genze di specializzazione e gli obiettivi formativi elencati nei descrittori di Dublino. Un'attenzio­ ne speciale deve essere data al placement in ambito internazionale, anche attraverso la coopera­ zione internazionale tra scuole di biblioteconomia.

2 I . GLI STRUMENTI E I CONTE:-JUTI D ELLA FORMAZIO!'\E DEI BIBLI OTECARI

tanza sociale del ruolo è correlata alla complessità delle conoscenze e delle ca­ pacità personali, da acquisire con una formazione lungo tutta la vita e che in­ elude una formazione di base, una formazione specialistica universitaria e una formazione continua. Analizzando gli strumenti e i metodi per la formazione dei bibliotecari in una prospettiva europea, appare evidente che il problema maggiore da affrontare in Italia è quello di una qualificazione dei professionisti dell'informazione generalmente bassa, o almeno di un livello professionale in­ feriore al livello generalmente riconosciuto in Europa. Una situazione analoga si presenta per l'avanzamento della carriera, dove non vengono riconosciuti come necessari la specializzazione e l'aggiornamento professionale continuo, e l'unico criterio di progressione sembra essere l'anzianità del servizio. Per superare il problema, l'opportunità dell'internazionalizzazione e del cambiamento del processo di Bologna è da indicare essenzialmente in due aspetti essenziali: il primo riguarda il focus sugli obiettivi formativi e le competenze. Questo aspetto richiede una collaborazione necessaria tra tutti gli interessati, come i docenti, le associazioni professionali e i datori di lavoro, usando anche stru­ menti di riferimento comuni a livello europeo come l'European Qualifications Framework e i descrittori di Dublino; il secondo riguarda l'innovazione della didattica, con l'adeguamento dei cur­ ricula alle esigenze della società deltapprendimento, un diverso rapporto tra teo­ ria e pratica, anche attraverso la valorizzazione dei periodi di stage come periodi obbligatori nel percorso formativo, la trasparenza e la garanzia di qualità dei corsi e con un nuovo impegno dell'università nella formazione continua. Non è sufficiente tuttavia lo stimolo della legislazione per far sì che le cose avvengano. Il focus della formazione del bibliotecario sugli obiettivi formativi e le competenze facilita e rende necessaria la comunicazione e la collaborazio­ ne tra tutti gli altri interessati al processo formativo, contribuendo a eliminare l'ostacolo della dicotomia della teoria e della pratica: questo va considerato il primo passo. Il processo del cambiamento tuttavia potrà essere lungo e diffici­ le e il successo dipenderà dai bibliotecari. Il nuovo scenario avviato in Europa della formazione lungo tutta la vita, che non si limita a considerare lo stu­ dente universitario, ma lo accompagna nella sua carriera professionale, come adulto che continuamente accresce le sue competenze e conoscenze, è ancora tutto da costruire e i bibliotecari, come facilitatori dell'apprendimento, do­ vranno loro stessi per primi diventare persone che apprendono lungo tutto l'arco della vita. Letture complementari v. ALBERANI, E. POLTRONIERI, Documentazione e scienza dell'informazione: Interazioni con la biblioteconomia, "Bollettino Am " , 43 (2), 2003 , pp. 1 89-20 1 . M . COOK, Guidelines in curriculum development in in/ormation technology /or librarians, documentalists, archivists, UNEsco, Paris 1 986.

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Gli

autori

Antonella Agnoli è consulente di numerose amministrazioni locali, in particolare per i servizi di biblioteca pubblica e per ragazzi, e fondatrice della Biblioteca di Spinea (Ve­ nezia), poi progettista e direttore scientifico della biblioteca San Giovanni di Pesaro. Lorenzo Baldacchini insegna Biblioteconomia e Bibliologia a Ravenna presso la Fa­ coltà di Conservazione dei beni culturali dell'Università di Bologna. Ha diretto la Bi ­ blioteca Malatestiana di Cesena e l'Istituzione Biblioteche del Comune di Roma. Gianfranco Crupi insegna Letteratura italiana, Storia del libro e Informatica umanistica presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Roma " La Sapienza " . Dirige la biblioteca digitale "Biblioteca Italiana" (Biblt) < http://www. bibliotecaitaliana.it/ > . Gianna Del Bono, già responsabile delle Sale di Consultazione della Biblioteca nazio­ nale centrale di Firenze, insegna Bibliografia e Biblioteconomia presso la Facoltà di Musicologia di Cremona dell'Università di Pavia. Giovanni Di Domenico insegna Bibliografia e Biblioteconomia presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Urbino "Carlo Bo " , dove presiede il Consiglio del corso di laurea in Scienze archivistiche, librarie e dell'informazione documentaria. È stato direttore di tre edizioni del Master in progettazione e gestione di servizi docu­ mentari avanzati. Carlo Federici, ha lavorato all'Istituto centrale di patologia del libro, di cui è stato anche direttore; insegna Conservazione del materiale archivistico e librario presso l'U­ niversità "Ca' Foscari" di Venezia e presso l'Università di Padova. Luca Ferrieri dirige i servizi culturali e bibliotecari del comune di Cologno Monzese, in provincia di Milano. Lavora sul tema della lettura e dell'associazionismo dei lettori. Ornella Foglieni, dopo essersi occupata presso la Regione Lombardia dello sviluppo

dell'organizzazione bibliotecaria sul territorio e di archivi storici, attualmente è soprin­ tendente regionale per i beni librari della Lombardia. Anna Galluzzi è consigliere parlamentare con funzioni di bibliotecaria presso la Bi ­

blioteca "Giovanni Spadolini" del Senato della Repubblica, dove si occupa dei servizi

BIBLIOTECON OMIA : PRINCIPI E QUESTIONI

al pubblico. È responsabile della versione Web del "Bollettino AIB. Rivista italiana di Biblioteconomia e Scienze dell'informazione" . Maria Guercio insegna Archivistica generale e Gestione informatica dei documenti presso la Facoltà di Lettere e @osofi.a dell'Università di Urbino "Carlo Bo" , dove è anche direttore dell'Istituto di studi di beni archivistici e librari. Coordina il progetto internazionale InterPARES. Mauro Guerrini insegna Biblioteconomia presso la Facoltà di Lettere e @osofia del­ l'Università di Firenze, dove coordina anche il Master biennale in Catalogazione, ed è membro della Commissione Catalogazione dell'IFLA, dell'IFLA ISBD Review Group e del Planning Committee dell'LYIE Ice. Giorgio Montecchi insegna Bibliografia presso la Facoltà di Lettere e @osofi.a dell'U­ niversità Statale di Milano. Angela Nuovo insegna Biblioteconomia presso il Corso di laurea in Conservazione dei beni culturali della Facoltà di Lettere e @osofia dell'Università di Udine. Dal 1999 ha fondato e gestisce insieme a Graziano Ruffini ed Aldo Coletto il sito web "TI libro antico" < http://web.uniud.it!libroantico/l > . Chiara Rabitti dirige la Fondazione Querini Stampalia ONLUS di Venezia ed è docente

di Catalogazione bibliografica presso l'Università "Ca' Foscari " di Venezia. Delia Ragionieri è responsabile della Biblioteca dell'Accademia della Crusca a Firenze. Maria Stella Rasetti dirige la Biblioteca Comunale di Empoli ed è docente di Orga­ nizzazione delle biblioteche per la formazione presso la Facoltà di Scienze dell'educa­ zione dell'Università di Firenze. Riccardo Ridi insegna Biblioteconomia presso l'Università "Ca' Foscari" di Venezia e

coordina AIB-WEB < http://www. aib.it > . Marielisa Rossi insegna Bibliografia presso la Facoltà di Lettere e @osofi.a dell'Uni­ versità di Roma Tor Vergata, dove è anche direttore del Master in Indicizzazione di documenti cartacei, multimediali ed elettronici in ambiente digitale. Giovanni Solimine insegna Management delle biblioteche e Teoria e tecniche della catalogazione e della classificazione presso la Scuola Speciale per Archivisti e Bibliote­ cari dell'Università di Roma "La Sapienza" e dirige il "Bollettino AIB. Rivista italiana di Biblioteconomia e Scienze dell'informazione " . Anna Maria Tammaro insegna Editoria digitale e Biblioteca digitale presso l'Universi­ tà di Parma, dove è anche coordinatore del Master internazionale a distanza in Scienze dell'informazione e della comunicazione, organizzato in collaborazione con la Universi­ ty of Northumbria.

G L I AUTORI

Paolo Traniello insegna Bibliografia e Biblioteconomia presso la Facoltà di Lettere e

filosofia dell'Università Roma Tre. Maurizio Vivarelli dirige il Servizio biblioteche e attività culturali del Comune di Pi ­

stoia; è stato professore a contratto di Informatica documentale presso la Facoltà di Conservazione dei beni culturali dell'Università della Tuscia. È coordinatore scientifico di uno spazio web dedicato alla lettura ed alle sue relazioni con i servizi delle bibliote­ che < http://www.letturaweb .net > . Pau) Gabriele Weston insegna Teoria e tecnica della catalogazione e della classifica­

zione, Organizzazione informatica delle biblioteche e Gestione delle biblioteche presso la Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Pavia.

Carocci editore

Altri volumi in catalogo Vilma Alberani, La letteratura grigia Tommaso Alibrandi, Pier Giorgio Ferri, Il diritto dei beni culturali: La prote­

zione del patrimonio storico-artistico Ave Appiano, I musei in tasca Lorenzo Baldacchini, Il libro antico Lorenzo Baldacchini, Lineamenti di bibliologia Maria Bruna Baldacci, Rappresentazione e ricerca delle informazioni Giuseppe Basile, Le opere d'arte negli edifici di culto Maria Barbara Bertini, La conservazione dei beni archivistici e librari. Preven­

zione e piani di emergenza Lorenzo Caratti di Valfrei, Manuale di genealogia. Profilo, fontz� metodologie Paola Carucci, Il documento contemporaneo Paola Carucci, Marina Messina, Manuale di archivistica per l'impresa Raffaele De Felice, L'archivio contemporaneo Gianna Del Bono, La bibliografia. Un'introduzione Carlo Federici, A, B e C Dialogo sulla conservazione di carte vecchie e nuove Paola Ceretto (a cura di) , Lineamenti di biblioteconomia Maria Guercio, Archivistica informatica. I documenti in ambiente digitale

Francesco Negri Arnoldi, Il catalogo dei beni culturali e ambientali. Principi e

tecniche di indagine. Nuova edizione aggiornata Francesco Negli Arnoldi, Barbara Tagliolini, La guida al turismo culturale.

Dalla formazione all'attività professionale Armando Petrucci, La descrizione del manoscritto Franca Petrucci Nardelli, La legatura italiana Elena Pierazzo, La codifica dei testi. Un'introduzione Maria Robotti Motta, Regole di catalogazione per autori Carlo M. Simonetti, La classificazione Dewey Gemma Sirchia (a cura di) , La valutazione economica dei beni culturali Donato T amblé, La teoria archivistica italiana contemporanea Paolo Traniello, Legislazione delle biblioteche in Italia Paul Gabriele Weston, Il catalogo elettronico. Dalla biblioteca cartacea alla bi­

blioteca digitale

Francesco Negri Arnoldi, Il catalogo dei beni culturali e ambientali. Principi e

tecniche di indagine. Nuova edizione aggiornata Francesco Negli Arnoldi, Barbara Tagliolini, La guida al turismo culturale.

Dalla formazione all'attività professionale Armando Petrucci, La descrizione del manoscritto Franca Petrucci Nardelli, La legatura italiana Elena Pierazzo, La codifica dei testi. Un'introduzione Maria Robotti Motta, Regole di catalogazione per autori Carlo M. Simonetti, La classificazione Dewey Gemma Sirchia (a cura di) , La valutazione economica dei beni culturali Donato T amblé, La teoria archivistica italiana contemporanea Paolo Traniello, Legislazione delle biblioteche in Italia Paul Gabriele Weston, Il catalogo elettronico. Dalla biblioteca cartacea alla bi­

blioteca digitale

Francesco Negri Arnoldi, Il catalogo dei beni culturali e ambientali. Principi e

tecniche di indagine. Nuova edizione aggiornata Francesco Negli Arnoldi, Barbara Tagliolini, La guida al turismo culturale.

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