Analisi nonlineare di pannelli murari soggetti a fenomeni di tipo fessurativo


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Analisi nonlineare di pannelli murari soggetti a fenomeni di tipo fessurativo

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Progetto MECOM, Programma Operativo Plurifondo 94/99 Misura 4.4 “Ricerca scientifica e tecnologica Sviluppi ed applicazioni della meccanica computazionale nella progettazione strutturale in campo civile ed industriale”.

Analisi nonlineare di pannelli murari soggetti a fenomeni di tipo fessurativo G. Formica, R. Casciaro Report n. 16

Dicembre 2000

Laboratorio di Meccanica Computazionale Dipartimento di Strutture – UNICAL 87030 Rende (Cs) Italy tel.: +39 0984 494031 - fax: +39 0984 494045 e.mail: [email protected]

1

Indice Introduzione 1 Il modello lagrangiano 1.1 Brevi cenni . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Risultati numerici in campo elastico 1.2.1 Ingranamento dei mattoni . . E . . 1.2.2 Variazioni del rapporto G

2

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4 4 4 5 6

2 L’analisi al passo: l’approccio path-following 2.1 I metodi incrementali—iterativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.1 Generalit` a sulla determinazione dei percorsi di equilibrio . . . . . . . . . . . . . 2.1.2 Il metodo di Newton—Raphson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1.3 Condizioni di convergenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Il metodo della lunghezza d’arco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.1 Alcune scelte della superficie di vincolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.2 Condizioni di convergenza ed effetto “filtro” del metodo della lunghezza di arco

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7 7 7 8 10 10 12 14

3 La meccanica del danneggiamento 3.1 Definizione “fenomenologica” della variabile di danno . . . . . . . 3.2 Il principio della deformazione equivalente . . . . . . . . . . . . . 3.3 I criteri di danneggiamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3.1 L’approccio tensionale o locale . . . . . . . . . . . . . . . 3.3.2 L’approccio energetico o globale . . . . . . . . . . . . . . 3.4 Meccanica del giunto fessurato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4.1 Il giunto come sistema reagente in parallelo . . . . . . . . 3.4.2 Modellazione della condizione di propagazione del danno . 3.4.3 Formulazione incrementale del legame costitutivo . . . . . 3.4.4 Alcuni approfondimenti sul legame ad attrito . . . . . . .

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18 18 19 21 21 23 25 25 26 27 28

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4 Strategia numerica adottata 4.1 Riformulazione della condizione di propagazione del danno . . . . . . . . 4.2 Lo schema di analisi al passo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2.1 Alcune considerazioni iniziali sulla scelta del tipo di formulazione 4.2.2 Formulazione “alla Hu—Washizu” . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2.3 Introduzione della variabile di danno nella soluzione alla Riks . . 4.2.4 Alcuni approfondimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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30 30 32 32 32 33 36

5 Sperimentazione numerica svolta 5.1 Aspetti generali dei test svolti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.2 Alcuni confronti effettuati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.3 Prova di trazione pura su singolo giunto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.4 Prova di taglio e compressione su singolo giunto . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.5 Prova di trazione su pannello 91x130 cm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.6 Prova di taglio e compressione su panello 96.75x108 cm . . . . . . . . . . . . 5.7 Prova di taglio e compressione su pannello 520x260 cm con apertura in basso 5.8 Prova di taglio e compressione su pannello 520x260 cm con apertura al centro

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39 39 40 40 40 41 43 47 50

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Conclusioni

53

Bibliografia

54

Introduzione

2

Introduzione L’evento sismico verificatosi in Umbria e nelle Marche nel 1997 ha evidenziato come le strutture, nelle quali la muratura, gli orizzontamenti, le coperture — anche lignee — erano state ben realizzate, ben collegate, ben manutenute, abbiano assorbito le scosse sismiche meglio di quelle, nelle quali erano stati eseguiti interventi riabilitativi, anche ingenti, in cemento armato (v. [10]). Il D.M. 16/01/1996, peraltro, aveva gi`a distinto l’“adeguamento” dal “miglioramento” sismico, raccomandando quest’ultimo tipo di intervento per quegli edifici definiti “bene culturale” (art. 16, legge n. 64, 02/02/1974), allo scopo di conseguire un maggior grado di sicurezza “senza modificare in maniera sostanziale il comportamento globale”(punto C.9.1.2 D.M. 16/01/1996). Tale indirizzo normativo, insieme all’esperienza del 1997, assume particolare importanza, essendo il patrimonio edilizio italiano costruito in gran parte in muratura. I caratteri storico—architettonico—monumentali, inoltre, uniti a quelli intrinsecamente strutturali (semplicit`a costruttiva, economicit`a, buona resistenza al fuoco, buon isolamento termo—acustico, ...) costituiscono un complesso di valori tecnico—scientifici e socio—culturali da salvaguardare, per i quali `e rilevante l’interesse ad approfondire le modalit`a di recupero e a sperimentare aggiornati metodi di calcolo e di verifica. Lo stato attuale delle conoscenze nel campo delle murature, tuttavia, `e carente, se confrontato con la maggiore affidabilit`a delle metodologie consolidatesi nelle costruzioni in cemento armato e acciao [9]. La prova eseguita a Pavia nel 1998 ha dimostrato, infatti, quanto discordanti siano, rispetto ai valori reali, le valutazioni che possono fornire gli strumenti di analisi attualmente in uso; tra i risultati pervenuti sul test si sono riscontrati anche errori di diverse centinaia percentuali sul carico di collasso. I limiti constatati dalle attuali metodologie di calcolo possono essere superati studiando le murature nella loro complessit`a [9]. Tale complessit`a `e legata da una parte all’eterogeneit`a dei materiali che costituiscono i pannelli murari e dall’altra alla natura intrinseca dei materiali stessi, soggetti a fenomeni di danneggiamento, di plasticizzazione, di attrito ed altro. Il comportamento delle murature `e caratterizzato, pi` u specificatamente, da un legame costitutivo di tipo nonlineare. La resistenza di un mezzo fessurato `e, infatti, descritta attraverso delle leggi matematiche che presentano delle discontinuit`a: lo stato tensionale tende a zero una volta superata una certa soglia di danneggiamento, attivata da un dato valore della deformazione. In campo nonlineare, un modo di operare ormai consolidato `e quello di servirsi di strumenti di calcolo che ricostruiscono numericamente il comportamento strutturale per punti di equilibrio, ottenuti per successivi incrementi di carico. Tra i diversi metodi applicati, quello a cui si pu`o fare riferimento `e il metodo della “lunghezza d’arco”, il quale, ideato da E. Riks nel 1979, `e oggi implementato in molti programmi di calcolo di uso commerciale (quali NASTRAN, ABACUS, ADINA, ...) per la risoluzione di problemi strutturali caratterizzati da nonlinearit`a di tipo sia geometrico sia fisico. L’esistenza, per`o, di fenomeni di localizzazione delle deformazioni e la presenza, anche multipla, di punti di biforcazione mettono in difficolt`a il metodo di Riks nella sua forma standard, cos`ı come evidenziato dai risultati ottenuti in [15] da G. Uva. La problematica, pertanto, di ricerca di un modello meccanico e di un legame costitutivo che descriva, per quanto possibile, il reale comportamento delle murature non pu`o essere disgiunta dalla problematica riguardante il tipo di schema da adottare per l’analisi dello stesso modello scelto.

Introduzione

3

Il presente lavoro vuole occuparsi in maniera integrata di entrambe le problematiche. Partendo, infatti, dal modello detto “lagrangiano”, risultato accurato ma semplice, in quanto la struttura `e discretizzata in maniera fine (a livello del singolo giunto e del singolo mattone), si provveder`a ad elaborare una strategia d’analisi adatta a superare le difficolt`a a cui si `e accennato. L’obiettivo `e fornire uno strumento che serva da laboratorio numerico, prima che operativo, con il quale testare tipologie strutturali e produrre, cos`ı, dei benchmarks, utili per la messa a punto della stessa strategia di analisi e per la definizione delle tecniche di omogeneizzazione e di modellazione FEM in grado di rappresentare, con mesh anche rada, l’intero edificio murario. L’esposizione che seguir`a si articoler`a in modo da descrivere: • il modello lagrangiano, che, presentato recentemente da V. Sansalone [13], `e risultato in grado, in campo lineare, di individuare alcuni aspetti (quali l’influenza dell’entit`a dello sfasamento tra i mattoni disposti su file successive) che le tecniche di omogeneizzazione attualmente pi` u diffuse non riescono a cogliere; • le caratteristiche principali delle metodologie di analisi al passo, con particolare riferimento al metodo della lunghezza d’arco (o path—following) di Riks e ai vantaggi che con l’adozione di questo si sono riscontrati nel campo delle nonlinearit`a strutturali; • la riconsiderazione dei criteri di danneggiamento che sono in grado di valutare, con l’ausilio dei risultati raggiunti nella meccanica della frattura, la perdita di resistenza del materiale, legata alla nucleazione e alla propagazione dei microdifetti e dei microvuoti; • la strategia numerica adottata e i risultati conseguiti, attraverso uno schema alla Riks “allargato” alla variabile che quantifica il danno ed inserito in un contesto generalizzato dei campi di variabili, secondo il principio energetico di Hu—Washizu.

Il modello lagrangiano

1 1.1

4

Il modello lagrangiano Brevi cenni

Il modello lagrangiano `e un modello misto, nel senso che le variabili di tensione sono considerate variabili primarie al pari di quelle di spostamento. ` detto lagrangiano, in quanto la struttura risultante dall’assemblaggio delle due classi di E elementi di cui il modello si compone, l’elemento mattone (o blocco) e l’elemento giunto di malta, configura un sistema lagrangiano, costituito da un insieme di punti collegati tra loro da molle. Se si ipotizza, infatti, che l’intera deformabilit`a della parete muraria sia concentrata nei giunti e che i mattoni siano rigidi, `e possibile pensare ai giunti come un sistema di molle e ai mattoni come punti [37, 52]. Questa suddivisione “topologica” si riflette nella scelta mista dei campi di variabili: ai giunti afferiscono, infatti, le variabili tensionali (σ, τ, µ), mentre ai blocchi le variabili cinematiche (u, v, ϕ) Le deformazioni si ottengono, nel caso di elasticit`a lineare, a partire dalle tensioni tramite 1 1 1 , , . una matrice di flessibilit`a diagonale F := diag kσ kτ kµ

Figura 1: Schematizzazione della muratura come sistema lagrangiano: rappresentazione delle variabili del blocco e del giunto Le analisi in campo lineare [13, 14] hanno fornito risultati significativi riguardo allo studio di alcuni casi campione. Il modello, infatti, riesce a descrivere adeguatamente quanto la risposta strutturale sia influenzata non solo dall’orditura dei mattoni ma anche dal rapporto tra la E dei giunti. rigidezza assiale e tagliante G

1.2

Risultati numerici in campo elastico

Il modello lagrangiano ha mostrato [13] una buona capacit`a nell’interpretare il comportamento reale di una parete muraria, soprattutto quei fenomeni legati all’ingramento dei mattoni e alle variazioni del rapporto. Per comprendere a pieno tali fenomeni, pu`o essere utile schematizzare le sollecitazioni che si

Il modello lagrangiano

5

generano nel giunto per effetto di un qualsiasi gradiente di spostamento dei blocchi da questo collegati.1 spostamento tra due blocchi di una stessa fila

δux,x δuy,x δϕ ϕ

1.2.1

tensione indotta sul giunto di letto

spostamento tra due blocchi di file diverse



σnh

δuy,y



σth

δux,y



σfh

δϕ



σth

ϕ

tensione indotta sul giunto di testa



σnb



σfb





σtb σnb , σtb

Ingranamento dei mattoni

La situazione pi` u caratteristica che il modello lagrangiano riesce a cogliere `e quella legata all’ingranamento dei mattoni, che `e possibile solo se questi sono “sfasati” (e non, quindi, nel caso di orditure “a sorella”). La tabella 1.2 mostra come, per effetto di una rotazione costante dei blocchi ϕ, si possano originare delle tensioni normali σnb sui giunti di letto appartenenti ad una stessa faccia. Tali tensioni risultano di verso opposto e determinano il particolare andamento “a bolle”,2 il quale si accentua man mano che diminuisce l’importanza degli sforzi di taglio sui giunti verticali E. e, quindi, cresce il rapporto G Ci`o `e evidente, per esempio, nel diagramma delle σnb di una prova di taglio in cui il campo di rotazioni `e pressocch´e costante (v. figg. 2 e 4).

Figura 2: prova di taglio - schema geometrico e di carico Figura 3: prova di trazione σx - schema geometrico e di carico

Lo sfasamento dei blocchi `e responsabile anche di un altro andamento “a bolle”, quello delle tensioni di taglio σtb sui giunti di letto, riscontrato in una prova di trazione laterale della parete (v. figg. 3 e 5). La presenza di uno spostamento ux , non essendo in fase tra le diverse file, provoca, infatti, sulla faccia orizzontale del mattone tagli di verso opposto (v. fig. 6). 1

L’apice h (“head”) individua i giunti di testa, mentre b (“bed”) individua i giunti di letto. L’andamento “a bolle”, avente media nulla, `e caratterizzato da una lunghezza d’onda troppo piccola per esser colta da un modello al continuo. Si legga, a tal proposito, il capitolo 4 della tesi di V. Sansalone [13], in cui il modello lagrangiano `e confrontato con i modelli di Cauchy e di Cosserat. 2

Il modello lagrangiano

6

Figura 4: prova di taglio - forza normale distribuita sui Figura 5: prova di trazione σx - forza tagliante giunti di letto σnb distribuita sui giunti di letto σtb

Figura 6: prova di trazione σx - andamento delle sollecitazioni sul blocco 1.2.2

E Variazioni del rapporto G

Il modello lagrangiano `e sensibile alle variazioni di rigidezza (Cfr. pagg. 41-47 [13]). Per una E crescente rende pi` u deformabile la parete, o prova di trazione laterale (v. fig. 3), un rapporto G meglio, rende meno solidali i letti di malta in direzione y. Nel caso limite in cui fosse G = 0, i diversi livelli di orditura si comporterebbero indipendentemente gli uni dagli altri, mostrando una differenza di fase nello spostamento ux costante lungo tutta una fila di blocchi e proporzionale all’entit`a dello sfasamento tra due file di blocchi. Tale differenza, legata alla presenza di un mattone in pi` u da una fila ad un’altra, `e di per s´e poco rilevante, ma `e determinante nel descrivere gli effetti che si generano in termini di tensioni tangenziali e del loro andamento “a bolle”. E , l’entit` a delle tensioni tangenziali `e trascurabile rispetPer valori medio-bassi del rapporto G to a quella delle tensioni normali, il cui valore, d’altra parte, varia solo leggermente al variare di u ad assestarsi al valore tale rapporto. Al diminuire di G, infatti, il valore di σnh tende sempre pi` costante della trazione applicata (v. fig. 3). Per una prova di taglio (v. fig. 2), il valore della rotazione ϕ, che “regola” il comportamento E finch` e questo si mantiene medio— “a bolle”, `e, invece, pressoch`e indipendente dal rapporto G E → ∞, la tensione tagliante σh tende a zero e tutto l’equilibrio a alto; in un caso limite di G t rotazione del blocco `e recuperato dalla coppia di sforzi assiali. E ; all’aumentare Come ϕ anche le tensioni tangenziali sui giunti di letto σtb non dipendono da G del rapporto, aumenta lo scorrimento e contemporaneamente diminuisce la rigidezza a taglio, per cui i due effetti tendono ad annullarsi.

L’analisi al passo: l’approccio path-following

2

7

L’analisi al passo: l’approccio path-following

Per l’analisi nonlineare delle murature si far`a riferimento, come accennato in introduzione, ad uno schema di analisi al passo. L’analisi al passo `e una strategia per il calcolo dei percorsi di equilibrio di una struttura discretizzata in un certo numero di parametri (tanti quanti sono i gradi di libert`a del problema). Tale strategia consiste generalmente in un processo, che avanza per incrementi successivi di carico, e in una serie di cicli iterativi, ciascuno dei quali `e svolto all’interno di un singolo incremento di passo. In questo capitolo, si proporr`a un breve richiamo ai metodi incrementali—iterativi (la denominazione `e legata proprio a questo tipo di strategia) che sia utile per l’introduzione e la comprensione del metodo della lunghezza d’arco, elaborato nel 1979 da E. Riks e usato, come gi`a accennato, in molti dei codici di calcolo attualmente disponibili (NASTRAN, ABACUS, ADINA, ...). Le peculiarit`a che rendono il metodo di Riks uno strumento potente per l’analisi nonlineare delle strutture, sono legate soprattutto al criterio di filtro delle direzioni critiche. La comprensione delle modalit`a con cui sia possibile operare tale filtro costituisce un presupposto indispensabile per l’elaborazione della strategia di analisi delle murature che si proporr`a.

2.1 2.1.1

I metodi incrementali—iterativi Generalit` a sulla determinazione dei percorsi di equilibrio

Una discretizzazione della struttura in n gradi di libert`a consente di pervenire ad un sistema di equazioni nonlineari, esprimibile genericamente nella forma r(u, λ) ≡ s[u] − λˆ p=0

(1)

essendo λˆ p ∈ n il vettore delle forze esterne generalizzate, u ∈ n il vettore degli spostamenti generalizzati ed s[u] ∈ n il relativo vettore della risposta strutturale. (1) `e, pi` u specificatamente, un sistema di n equazioni algebriche nonlineari nelle n + 1 incognite (u, λ) e definisce, in forma implicita, una curva nello spazio n+1 detta percorso di equilibrio. Tale curva pu`o essere tracciata iterativamente “per punti” (metodo path-following), in modo da ricondurre il problema (1) in k sottoproblemi, il cui obbiettivo `e valutare, a partire da una soluzione consolidata u(k) , λ(k) , una nuova soluzione u(k + 1) , λ(k + 1) distante dalla prima ∆u(k) = u(k + 1) − u(k) ∆λ(k) = λ(k + 1) − λ(k)

Le incognite da determinare sono, quindi, i soli incrementi ∆u(k) , ∆λ(k) , i quali sono calcolati attraverso un ciclo iterativo, che fornisce una stima (∆uj , ∆λj ), la quale, corretta ad ogni j—esimo loop, rappresenta, a convergenza raggiunta, il nuovo incremento di passo da consolidare ∆u(k) ≡ ∆uj conv , ∆λ(k) ≡ ∆λj conv . I metodi che si occupano di risolvere un problema cos`ı posto vengono detti incrementali— iterativi. Questi si compongono generalmente di due fasi distinte: una fase di predictor, in cui

L’analisi al passo: l’approccio path-following

8

si stima la soluzione incrementale, ed una fase di corrector, in cui si corregge opportunamente la stima effettuata. Definito, cio`e, il residuo all’equilibrio come ˆ rj := s[uj ] − λ(k + 1) p

(2)

`e necessario un procedimento (corrector) che migliori la stima iniziale uj=0 (predictor) della soluzione k + 1, fino a quando una opportuna misura rj del residuo risulti inferiore ad una prefissata tolleranza toll: rj < toll

(3)

Il corrector pu`o essere realizzato impostando un processo iterativo che produca una sequenza u0 , u1 , ..., um con la propriet`a che r0 > ... > rm > rm+1

(4)

Si noti che ogni valore uj `e pari alla somma u(k) + ∆uj , in cui u(k) `e il punto di equilibrio consolidato e ∆uj `e la reale incognita del ciclo iterativo. L’elemento uj+1 della successione viene in genere determinato in funzione di quello precedente uj , sulla base di una relazione del tipo uj+1 = γ [uj ]

(5)

dove la funzione γ [u] qualifica il metodo utilizzato. 2.1.2

Il metodo di Newton—Raphson

Il metodo di Newton—Raphson ipotizza che, a partire dal valore del residuo rj calcolato alla j—esima iterazione, un’estrapolazione lineare dello stesso sia in grado di giungere a soluzione: rj+1 = rj +

dr (uj+1 − uj ) + O( uj+1 − uj )2 = 0 du u=uj

(6)

ammettendo un errore dell’ordine O( uj+1 − uj )2 . Per il metodo di Newton—Raphson vale, in altri termini, l’assunzione uj+1 = γ [uj ] = uj −

dr -1 rj = uj − Kj -1 rj du u=uj

(7)

Se il valore di inizio iterazione uj=0 ≡ u(k) `e sufficientemente vicino alla soluzione esatta la convergenza risulta regolata da una condizione, approssimativamente quadratica, del tipo

u(k + 1) ,

uj+1 − u(k + 1) < C uj − u(k + 1)

n

con C > 0

(8)

dove n `e un numero minore di 2. Si noti che la parte pi` u onerosa nel ciclo di iterazione `e l’assemblaggio e la decomposizione dr . Pu`o, infatti, risultare pi` u conveniente (necessaria per il calcolo di uj+1 ) della matrice du u=uj

L’analisi al passo: l’approccio path-following

9

˜ per tutte le iterazione j, ottenendo cos`ı il metodo di utilizzare una matrice tangente costante K Newton—Raphson modificato ˜ -1 rj γ [uj ] = uj − K

(9)

Questa variante del metodo richiede pi` u iterazioni a parit`a di tolleranza sull’errore (si dimostra in particolare che la convergenza `e in questo caso lineare): la convenienza sussiste quando l’aggiornamento continuo comporterebbe una riduzione del numero di iterazioni superiore al costo di assemblaggio e decomposizione della Kj (v. fig. 7). Sono possibili, per ridurre ulteriormente i costi, altri ritocchi, i quali prevedono il calcolo ˜ dell’ampiezza di carico variabile in funzione delle nonlinearit`a del percorso, l’utilizzo di una K (k + 1) sulla base costante per pi` u passi k, l’estrapolazione del punto di inizio iterazione u0 , λ delle soluzione dei passi precedenti.

Figura 7: Andamento delle iterazioni nel metodo di Newton-Raphson (a) e Newton-Raphson modificato (b) I metodi incrementali illustrati sono basati su un controllo del processo tramite il parametro di carico λ. Ci`o comporta alcune difficolt`a nella gestione del zone “piatte” del percorso di equilibrio. Vicino ai punti limite, pu`o, infatti, non esistere pi` u la corrispondenza biunivoca tra parametro di carico e spostamento. La soluzione pi` u comune `e quella di procedere, in tali zone del percorso, per incrementi di una prefissata componente di spostamento, determinando, nel corso del procedi- mento iterativo alla Newton, il relativo parametro di carico e le restanti componenti di spostamento. La possibile presenza di punti di stazionariet`a della componente di spostamento utilizzata per controllare il processo, spinge poi ad implementare tecniche pi` u articolate in cui si passa automaticamente dal controllo tramite λ al controllo tramite u e viceversa. Occorre osservare che tale tecnica, inizialmente proposta da Argyris in [?], richiede una buona conoscenza a priori del comportamento della struttura per conseguire la scelta ottimale della componente di spostamento con la quale controllare il processo.

L’analisi al passo: l’approccio path-following

2.1.3

10

Condizioni di convergenza

Per lo studio pi` u dettagliato delle condizioni necessarie per la convergenza dello schema di Newton modificato rj+1 − rj = Kj (uj+1 − uj )

(10)

`e utile definire la matrice di rigidezza secante Kj come segue 1

Kj :=

0

K[uj + t(uj+1 − uj )]dt

Attraverso l’uso della (9) si ricava l’espressione di uj+1 , la quale, sostituita nella (10), fornisce la legge di evoluzione del residuo rj al (j + 1)—esimo ciclo iterativo: ˜ -1 rj rj+1 = I − Kj K

(11)

La convergenza dello schema iterativo (9) `e, pertanto, garantita dalla condizione sufficiente ˜ -1 < 1 , ρ I − Kj K

∀j

(12)

essendo ρ(·) il raggio spettrale della matrice (·). Indicando con µ(·) un generico autovalore della matrice (·), la (12) pu`o porsi nella forma ˜ -1 < 2 , 0 < µ Kj K

∀j, ∀µ

(13)

la quale indica la presenza di difficolt`a di convergenza, oltre che nei pressi dei punti di stazionariet`a (µ ≤ 0), anche in qualche direzione, in cui si `e eccessivamente sovrastimata la rigidezza (µ ≥ 2).

2.2

Il metodo della lunghezza d’arco

Il metodo della lunghezza d’arco, formulato da Riks in [32], costituisce attualmente lo strumento pi` u utilizzato per l’analisi path-following delle strutture a comportamento nonlineare. Per comprendere meglio tale metodo `e conveniente riscrivere in termini parametrici le equazioni di equilibrio (1): u = u[ξ] λ = λ[ξ]



r[ξ] ≡ s[u[ξ]] − λ[ξ]ˆ p=0

(14)

il processo incrementale `e, quindi, regolato tramite un parametro ξ crescente. L’idea del metodo della lunghezza d’arco `e quella di complementare le equazioni (14) con un ulteriore relazione g[u, λ, ξ] ≡ g[x, ξ] = 0

(15)

in modo da costituire un sistema di n + 1 equazioni nelle n + 1 incognite (u, λ). u[ξ] Il punto x[ξ] = `e, in altri termini, soluzione del problema se risulta λ[ξ] R[x, ξ] :=

r[x] g[x, ξ]

=

s[ξ] − λ[ξ]ˆ p g[x, ξ]

=0

(16)

L’analisi al passo: l’approccio path-following

11

essendo R[x, ξ] ∈ N +1 la curva da valutare. Da un punto di vista geometrico, la (15) definisce una superficie (superficie di vincolo) in N +1 , la cui intersezione con la curva data dalle (14) fornisce il punto di equilibrio cercato. In altre parole, al variare del parametro ξ la superficie varia nello spazio N +1 e le intersezioni con la curva (14) definiscono una sequenza di punti lungo il percorso di equilibrio (v. fig. 8).

Figura 8: Significato geometrico della superficie di vincolo Una scelta efficace della superficie di vincolo `e legata — per quanto dimostrato da Riks in [33, 35] — all’orientazione relativa tra la superficie stessa e la curva di equilibrio. Nel punto in ¯ = (n, ν) alla superficie g[x, ξ] = 0 cui queste s’intersecano, l’angolo θ tra il vettore normale n ˙ ˙ λ) alla curva di equilibrio r[x] = 0 deve, infatti, essere inferiore a e il vettore tangente x˙ = (u, π/2 (figura 9).3

Figura 9: Intersezione regolare (1) ed intersezione degenere (2) 3

˙ indica ∂ (T) . La simbologia (T) ∂ξ

L’analisi al passo: l’approccio path-following

12

Il metodo dell’arco di curva segue lo spirito dell’approccio incrementale-iterativo e si articola, in definitiva, nei seguenti punti • ipotesi iniziale: note le prime k soluzioni x(i) = x[ξi ] ,

i = 0...k

si vuole determinare il nuovo punto x(k + 1) , attraverso le successive stime xj con xj=0 := x(k) . • predictor: la prima stima xj=1 pu`o essere fornita o dalla tangente al percorso nell’ultimo punto di equilibrio, oppure da una estrapolazione basata sui punti calcolati in precedenza, del tipo x1 := x0 + β (k) x(k) − x(k − 1)

(17)

dove β (k) `e un fattore di amplificazione della lunghezza del passo.4 • corrector: Le prime n equazioni del sistema (16) sono risolte mediante il metodo iterativo di NewtonRaphson,5 nel rispetto della condizione di vincolo (15), determinando una sequenza convergente di punti xj := (uj , λj ), per j = 2, 3 . . ., ˜ u˙ j − λ˙ j p ˆ = rj K

g[xj + x˙ j , ξk ] = 0 essendo x˙ = u˙ j , λ˙ j del problema (18) e

T

(18)

= {uj − uj+1 , λj − λj+1 }T il vettore che raccoglie le soluzioni ˜ := K

ds[u] du u=u ˜

(19)

˜ .6 la matrice di rigidezza assemblata in un punto u Quando una opportuna misura del residuo r j=j risulta inferiore ad una tolleranza toll prefissata, il punto xj “corregge” il punto “predetto” x1 e fornisce il nuovo punto di equilibrio x(k + 1) := xj . 2.2.1

Alcune scelte della superficie di vincolo

Successivamente al primo lavoro di Riks [32], si `e sviluppata una ricerca dei possibili miglioramenti da apportare allo schema fin qui esposto. Tali miglioramenti hanno riguardato e riguardano 4

Esistono delle forme di predictor pi` u accurate, basate su estrapolazioni Lagrangiane di ordine superiore [34] ovvero su sviluppi in serie di Taylor che utilizzano le derivate successive di x[ξ] in x = x0 . 5 I passagi che permettono di scrivere le equazioni (18) verranno ripresi e approfonditi a pag. 14. 6 ˜ := Come gi` a evidenziato in precedenza, `e possibile scegliere un aggiornamento, in ciascun ciclo iterativo, u ˜ := u0 o u ˜ := u1 (schema Newton uj (schema Newton puro), ovvero solo all’inizio del passo incrementale, u modificato).

L’analisi al passo: l’approccio path-following

13

tuttora una forma differente per il predictor, delle tecniche di accelerazione di convergenza per il corrector, ecc. La maggior parte delle varianti si `e, per`o, concentrata soprattutto sulla scelta della superficie di vincolo (15). Tale scelta `e determinante nella ricerca dei punti di equilibrio critici per la struttura; ad esempio, i metodi classici, per i quali vale l’ipotesi implicita g[u, λ, ξ] := λ˙ j = 0 (cfr. par. 2.1.2), non sono in grado di superare i punti limite per il carico. Una famiglia di superfici di vincolo, che comprende la gran parte delle proposte formulate in letteratura, pu`o essere scritta nella forma ¯ x˙ = 0 ¯TM n

(20)

¯ := diag(M, µ) una matrice metrica (simmetrica ¯ := (n, ν) una opportuna direzione e M essendo n e definita positiva) che definisce un prodotto scalare nello spazio (u, λ), in modo da rendere omogenee variabili di differente natura. Lo schema proposto originariamente da Riks in [32] prevedeva, in particolare, come superficie di vincolo un iperpiano di normale ¯ := {u1 − u0 , λ1 − λ0 }T n

(21)

la scelta di Riks prende il nome di metodo Normal Plane (v. fig. 10).

Figura 10: Metodo Normal Plane con schema iterativo di Newton modificato Una prima modifica, proposta da Ramm (v. fig. 10) e detta metodo Updated Normal Plane, si comporta meglio nei punti di gomito della curva, che risultano di pi` u difficile valutazione quando la convergenza `e, invece, ricercata sul vincolo (21) a normale costante. Ramm dispone, infatti, che la normale ¯ := {uj − u0 , λj − λ0 }T n sia aggiornata ad ogni passo j del corrector

(22)

L’analisi al passo: l’approccio path-following

14

Figura 11: Metodo Updated Normal Plane con schema iterativo di Newton modificato Sia nel Normal Plane sia nel Updated Normal Plane, la condizione di vincolo `e lineare rispetto u complesse, quali quelle presentate da alle variabili xj . Esistono proposte di condizioni pi` Crisfield. Il metodo Updated Normal Plane rappresenta, tuttavia, “un buon compromesso tra robustezza ed efficienza computazionale”7 e permette, cos`ı come si mostrer`a qui di seguito, una gestione della soluzione del problema pi` u immediata. 2.2.2

Condizioni di convergenza ed effetto “filtro” del metodo della lunghezza di arco

Nei casi in cui la condizione di vincolo `e lineare nella singola iterazione, lo schema iterativo (18) pu`o essere posto nella forma ˜Jx˙ j = Rj

(23)

essendo ˜ J la matrice ˜J :=

˜ K T

−ˆ p

n M νµ

(24)

x˙ j := {uj − uj+1 , λj − λj+1 }T il vettore soluzione e Rj := {rj , 0}T il vettore dei residui. Cos`ı come visto, infatti, con l’espressione (6) per il metodo di Newton—Raphson modificato, l’equazioni (18) costituiscono una linearizzazione del problema, ottenuta tramite lo sviluppo del 7

Crf. lavoro di A.D.Trunfio [] ...

L’analisi al passo: l’approccio path-following

15

residuo (16):

Rj+1 = Rj +



dr ˜  du u=u − dg du u=u ˜

rj

dR x˙ = dx u=u ˜

0

e, quindi, rj 0

˜ u˙ − p ˆ λ˙ K



dr dλ dg dλ

˜ λ=λ ˜ λ=λ

  

u˙ λ˙

=0

nT Mu˙ + νµλ˙

=0

(25)

(26)

Il sistema (26), equivalente al sistema (23), viene risolto in forma partizionata in modo da risultare ˜ -1 rj nT MK λ˙ j = − µν + nT Mˆ u u˙ j =

˜ -1 K

ˆ = rj + λ˙ j p

(27) ˜ -1 rj K

ˆ + λ˙ j u

˜ -1 rj si muove nella Se, quindi, la soluzione che si avrebbe in uno schema di Newton—Raphson K stessa direzione di n, λ˙ j `e una quantit`a negativa che “filtra” le direzioni critiche per la soluzione ˜ -1 p ˆ .8 ˆ := K nominale u Introdotta la direzione ˜ -1 Mn dj := K

(28)

la soluzione partizionata (27) assume la forma λ˙ j = −

dTj rj ˆ µν + dTj p

(29)

˜ -1 rj + λ˙ j p ˜ -1 I − ˆ =K u˙ j = K

ˆ dTj p rj ˆ T dj µν + p

(30)

Per quanto visto in precedenza (v. par. 2.1.3), la definizione di matrice Jacobiana secante Jj 1

Rj+1 − Rj = Jj (xj+1 − xj )

Jj :=

0

J[xj + t(xj+1 − xj )]dt

(31)

sostituita nell’espressione (18), fornisce la legge di evoluzione del residuo Rj al (j + 1)—esimo ciclo iterativo: Rj+1 = I − Jj ˜J-1 Rj

(32)

La convergenza dello schema iterativo (27) `e, pertanto, garantita dalla condizione sufficiente ρ I − Jj ˜J-1 < 1 , ∀j 8

Per una migliore comprensione, si rimanda a pag. 16.

(33)

L’analisi al passo: l’approccio path-following

16

essendo ρ(·) il raggio spettrale della matrice (·). In termini degli autovalori µ(·), la (33) equivale all’espressione 0 < µ Jj ˜J-1 < 2,

∀j

(34)

Introducendo le quantit`a ˆ dTj p Bj := T ˆ dj p

ωj :=

ˆ T dj p ˆ T dj µν + p

ˆ c := µν + dTj p

(35)

e richiamando la definizione di matrice di rigidezza secante Kj 1

Kj :=

0

K[xj + t(xj+1 − xj )]dt

la condizione di convergenza (33) `e regolata dalla matrice J-1 := Jj ˜

˜ -1 + (I − Kj K ˜ -1 )ωj Bj (Kj K ˜ -1 − I)ˆ Kj K p/c 0

1

(36)

o meglio, in virt` u della particolare forma della matrice stessa, dai termini del primo minore J-1 ]: (n × n) della [I − Jj ˜ ˜ -1 ][I − ωj Bj ] < 1 ρ [I − Kj K

(37)

˜ -1 p ˆ := K ˆ , si ha la condizione Se si adotta, per semplicit`a, la scelta9 n ≈ u ˜ -1 Mn ≈ u ˆTK ˆ T Mˆ ˆ T dj = p u>0 p

(38)

che, per la definizione stessa di ωj , implica 0 < ωj ≤ 1



¯ rj ≤ Rj

(39)

ˆ , in quanto regola il calcolo La matrice [I − ωj Bj ] rappresenta, cio`e, un “filtro” nella direzione u della correzione (30) ˜ -1 [I − ωj Bj ] rj u˙ j = K ottenendo, nelle vicinanze di punti limite dove ∆λj ≈ 0 ⇒ µν ≈ 0, un filtro totale ωj → 1. Per ωj = 0, si ottiene, invece, la condizione di convergenza, gi`a ricavata nel paragrafo 2.1.2, per uno schema incrementale-iterativo controllato da incrementi di carico: ˜ -1 < 1 ρ I − Kj K

(40)

Il vantaggio dello schema di Riks risiede, in definitiva, nella presenza del “filtro” [I − ωj Bj ] ˆ tende al modo critico (per maggiori dettagli si veda [67]). Nelle vicinanze dei punti limite, u (quel modo, cio`e, che rende singolare la matrice) e l’effetto filtro consiste proprio nel troncare le componenti di rj in questa direzione. 9

Altre scelte della superficie di vincolo, cos`ı come deducibile da quanto descritto nel par. 2.2.1, possono essere effettuate in modo da ottenere comunque il rispetto della condizione (38).

L’analisi al passo: l’approccio path-following

17

Con o senza filtro, la convergenza del processo dipende, comunque, dalla differenza relativa ˜ e la matrice secante Kj . Si ha, infatti, assenza di convergenza tra la matrice di iterazione K anche se, in almeno una direzione, la matrice di iterazione attuale Jj supera il doppio di quella stimata ˜ J (la seconda parte della condizione (12) non viene soddisfatta). Per un problema del genere, detto di locking failure, adottare una lunghezza di passo inferiore, al di l`a del fatto che rallenterebbe l’analisi, potrebbe non funzionare come rimedio. La sola alternativa efficace resta cos`ı l’uso di una modellazione strutturale basata su variabili in grado di descrivere il percorso di equilibrio in modo meno nonlineare; questa opportunit`a sar`a alla base della formulazione mista del problema che si fornir`a successivamente. • Alcune osservazioni sull’effetto “filtro” Per una pi` u immediata comprensione dell’effetto “filtro”, pu`o essere utile pensare ad una situazione generica in cui di un vettore v si vogliano filtrare le componenti in direzione w. La matrice filtro, in analogia a quanto visto fin qui, `e costruita secondo la forma F=I−

wwT wT w

Questa applicata al vettore v, scrivibile come combinazione di una parte parallela a w e di una parte perpendicolare a w stesso v ≡ kw + v ⊥w produce l’effetto cercato di troncare la direzione w: 1

{k(wT w)w + (wT v⊥w )w} w w 1 ≡ kw + v ⊥w − T k(wT w)w = v ⊥w w w

Fv = kw + v ⊥w −

T

Nel caso del calcolo delle correzioni u˙ j (30), lo schema di Riks permette di escludere da rj la direzione Mn. ˆ , la matrice Se, infatti, si sta adottando, come esemplificato in precedenza, n := u F ≡ I − ω j Bj = I −

ˆ dTj p ˆT Mˆ uu = I − ˆ T dj ˆ T Mˆ µν + p µν + u u

ˆ. applicata a rj , filtra parzialmente (per la metrica M) le componenti u ˆ `e anche la principale ragione che consente l’utilizzo dello La presenza del filtro in direzione u ˜ nelle vicinanze schema di soluzione partizionata (18): anche se la decomposizione della matrice K di punti critici pu`o introdurre grossi errori (legati all’arrotondamento) nella componente di ˆ , tale componente viene annullata dal filtro e il potenziale errore risulta soluzione in direzione u irrilevante. In quei casi, per`o, in cui la direzione critica `e molto diversa dalla tangente al percorso nel punto critico, l’effetto filtro non `e sufficiente ad eliminare la direzione critica stessa. Un punto di biforcazione rischia, infatti, di essere superato in modo inappropriato dallo schema di Riks. Senza specifiche cautele, lo schema pu`o non “accorgersi” della presenza del punto di biforcazione e procedere erroneamente lungo il percorso fondamentale della struttura. Questo rischio `e ancor pi` u accentuato se, come accade nel caso dell’analisi a fessurazione delle murature, da uno stesso punto possono diramarsi pi` u direzioni critiche.

La meccanica del danneggiamento

3

18

La meccanica del danneggiamento

Per quanto riscontrato anche nelle prove svolte in laboratorio, un collasso strutturale avviene per modalit`a di rottura che combinano la rottura fragile, tipica dei blocchi, e la rottura duttile— fragile, tipica dei giunti. La possibilit`a, infatti, di sviluppare progressivamente delle fessure fornisce alla muratura capacit`a dissipative, che l’elevata resistenza a schiacciamento dei blocchi non potrebbe fornire. Il fenomeno fessurativo si manifesta, pi` u specificatamente, attraverso una serie di processi micromeccanici irreversibili che alterano in maniera permanente la struttura cristallina del solido. Queste considerazioni possono spiegare, pertanto, la definizione di materiale quasi—fragile e l’esigenza di precisare a quale scala di osservazione vengono condotti gli studi. Tali scale sono cos`ı elencabili: microscala scala dei legami atomici; mesoscala scala del punto materiale; macroscala scala delle strutture “ingegneristiche”. Alla mesoscala il comportamento appare fragile, mentre alla microscala si possono osservare delle deformazioni anelastiche che aumentano al progredire del processo di carico. La meccanica del danneggiamento, in particolare, vuole indagare su come si manifesta il deterioramento delle caratteristiche meccaniche nell’arco del processo, che inizia con la nucleazione e la propagazione dei microdifetti e termina con la rottura del materiale. Una volta introdotta una grandezza che quantifichi il danneggiamento, il comportamento del materiale `e ricostruito secondo il legame costitutivo, senza seguire puntualmente il reale andamento delle fessure. La meccanica della frattura che si occupa, invece, di analizzare tale andamento, fornisce, come si vedr`a nelle pagine successive, degli strumenti necessari ma non sufficienti se si vuole descrivere il comportamento della muratura che si presenta come un materiale in cui le fessure sono diverse e diffuse in pi` u punti.

3.1

Definizione “fenomenologica” della variabile di danno

La meccanica del danneggiamento si rivolge, per le considerazioni fin qui svolte, alla mesoscala, la scala, che `e propria della meccanica dei continui e che permette di formulare le ipotesi necessarie per la definizione del legame costitutivo del materiale. Nell’ambito della meccanica dei continui si descrive, infatti, il comportamento dei materiali attraverso delle variabili continue, le quali associano ad ogni punto materiale del solido in esame alcune particolari propriet`a fisiche. Nel contesto delle murature, in particolare, il punto materiale “interpreta” una porzione di materia, detta elemento rappresentativo di volume o RVE (Representative Volume Element), il quale contiene un numero significativo di informazioni sulle caratteristiche fisiche, cio`e tali che le grandezze corrispondenti possano essere riportate sotto forma di valori medi. La variabile di danneggiamento rientra tra queste caratteristiche mediate all’interno dell’RVE e misura la percentuale di microdifetti presenti, nel modo seguente [17]: SD D(P, n) := lim S→0 S

(41)

La meccanica del danneggiamento

19

P `e il punto materiale rappresentato dall’RVE, S `e la superficie d’intersezione tra un piano di normale n e l’RVE stesso e SD `e la parte di S occupata dai microdifetti (v. fig. 12). Pi` u semplicemente, `e possibile ipotizzare che i microdifetti siano uniformemente di- stribuiti in tutte le direzioni e far s`ı che il danno diventi una quantit`a isotropa ed omogenea D≡

SD S

(42)

tale che sia 0 ≤ D ≤ 1: • D = 0 rappresenta il caso di RVE totalmente integro, e questo stato perdura finch´e le deformazioni non raggiungono un valore di soglia; • D = 1 rappresenta il caso ideale di RVE diviso perfettamente in due, anche se nella realt`a per D = Dc (< 1) si innesca la rottura del materiale.10

3.2

Il principio della deformazione equivalente

In linea con le ipotesi fin qui fatte, la valutazione dello stato tensionale, ad esempio quello monoassiale sul piano di normale n (v. fig. 12), passa attraverso la definizione di tensione nominale, che si genera per effetto di un carico p: p (43) σ(P, n) := lim S→0 S La presenza, infatti, di uno stato fessurativo aumenta questo valore nominale rendendo la σn una tensione effettiva p (44) σ ∗ (P, n) := lim ∗ ∗ S →0 S dove S∗ = S − SD `e l’area effettiva.

Figura 12: Definizione fenomenologica della variabile di danno L’aumento di tensione `e misurato dalla variabile di danno (42), in maniera tale che risulti p p lim = lim S − S D S→SD S→SD S(1 − SD ) S σ p ≡ = lim S(1 − D) 1 − D S→0

σ ∗ (P, n) ≡

10

Dc `e un valore critico del danno, generalmente compreso tra 0.2 e 0.8

(45)

La meccanica del danneggiamento

20

La tensione effettivamente presente sulla faccia di normale n (tensione netta) stima, quindi, la capacit`a di resistenza del materiale in un generico punto P del materiale stesso. Questo tipo di rappresentazione tensionale, derivato dalla definizione “fenomenologica” di danno, permette di riferirsi al principio della deformazione equivalente, in modo da legare la tensione alla deformazione. Il principio sostiene, infatti, che “un qualsiasi comportamento deformativo, sia monodimensionale che pluridimensionale, di un materiale danneggiato, `e rappresentato dalle leggi costitutive del materiale integro nelle quali la tensione nominale `e sostituita dalla tensione netta”(J. Lemaitre [18]): MATERIALE INTEGRO

ε = f[σ, D = 0, . . .]

MATERIALE DANNEGGIATO

ε = f[σ ∗ , 0 < D < 1, . . .]

La funzione f che lega le deformazioni alle tensioni rimane, in altri termini, invariata in presenza o meno di danno, eccetto che per la presenza della σ∗ al posto della σ: ε=

σ∗ E



σ (1 − D)E

(46)

Si noti che fin qui ci si `e limitati al caso di tensione monoassiale; per stati tensionali pi` u generici occorre avvalersi di un tensore del danno D. Se non si introducono legami nonlineari tensione—deformazione, si pu`o, per`o, facilmente dimostrare che le equazioni precedenti non modificano la propria struttura. Indicata, infatti, con E∗ la matrice elastica effettiva, la quale tiene conto del degrado delle propriet`a meccaniche del materiale, il principio della deformazione equivalente permette di scrivere: PRINCIPIO DEFORMAZIONE

ε = E-1 σ

EQUIVALENTE

−→

ε = E-1 σ ∗ = E-1 E∗ σ

in cui si evidenzia l’operatore di danno E-1 E∗ che pu`o essere rappresentato nella stessa forma adottata nel caso monodimensionale, ossia E-1 E∗ := (I − D)-1 . La determinazione del tensore di danno D non `e, in generale, un’operazione immediata, e ancor meno lo `e la gestione del legame costitutivo in cui `e presente. La rappresentazione scalare, invece, pur risultando di chiaro significato fisico, non `e in grado di modellare sempre con sufficiente acuratezza il processo di danneggiamento, in quanto non considera come il degrado di resistenza di un materiale risulti dalla combinazione di effetti in pi` u direzioni nello spazio. Per un pannello murario, il problema `e, tuttavia, di pi` u facile soluzione. La muratura `e un materiale che sviluppa delle fessure quasi esclusivamente all’interno dei giunti; se non si esaminano i casi di rottura dei blocchi e se si pensa di approssimare ad un segmento lo spazio occupato dal giunto stesso, `e possibile adottare una misura monodimensionale del danno. Prima di mostrare cosa comporti questa assunzione nel modello lagrangiano descritto nel capitolo 1, `e utile indicare i criteri matematici e fisici attraverso cui stabilire le modalit`a di propagazione del danno.

La meccanica del danneggiamento

3.3

21

I criteri di danneggiamento

La Meccanica del Danneggiamento si serve di alcuni risultati raggiunti dalla Meccanica della Frattura, come quelli utili per determinare di quanto e di come si espanda la fessura. I criteri, infatti, che definiscono le condizioni con cui la fessura pu`o propagarsi sono diversi e sono classificabili, nello studio dei materiali a comportamento fragile, secondo due categorie di approccio: un approcio tensionale, legato alla teoria di Irwin, ed un approccio energetico, legato alla teoria di Griffith. Se il primo approccio si occupa di studiare l’effettivo andamento tensionale nell’intorno della fessura e in tal senso si pu`o definire “locale”, il secondo approccio, invece, si pone in termini “globali” e caratterizza qualitativamente il degrado di resistenza del materiale all’avanzare della fessura. 3.3.1

L’approccio tensionale o locale

La misura dell’effettivo stato tensionale all’apice (tip) della fessura (crack) `e riconducibile, come accennato nel capitolo ??, ai lavori di Irwin del 1957. Irwin mostr`o come la presenza di una fessura in un corpo modifichi il comportamento lineare elastico e isotropo del corpo stesso solo in una ristretta zona all’estremit`a della fessura stessa. In tale zona si ha, infatti, una concentrazione di tensione legata, cos`ı come ipotizzato da Irwin, alle possibili modalit`a di apertura del crack (schematizzate generalmente in tre modi (v. fig. 13)) ed alle dimensioni, alla forma e alle condizioni al contorno del corpo, che, tuttavia, non influenzano l’andamento dei valori tensionali ma solo l’intensit`a.

Figura 13: Tre possibili modi di apertura della fessura Se si considera, in particolare, un solido bidimensionale soggetto a deformazioni uniformi all’infinito e contenente una fessura di dimensioni 2a, in caso di legame elastico lineare lo stato tensionale in un punto di coordinate polari (r, θ) rispetto all’apice della fessura stessa (v. fig. 14) vale σij = √

1 Kgij (θ) 2πr

(47)

KI `e il cosiddetto stress intensity factor, che varia al variare del modo di apertura del crack. Se ci si riferisce al primo modo I si ha √ KI = σd a dove d `e un parametro che tiene conto della geometria del pannello e delle condizioni di carico agenti.

La meccanica del danneggiamento

22

Figura 14: Lastra soggetta a deformazioni uniformi all’infinito Anche se `e evidente l’inconsistenza fisica di uno stato tensionale che va all’infinito in corrispondenza del tip del crack, ci`o che preme in questo momento sottolineare `e che la teoria consolida un andamento delle tensioni in funzione dell’apertura a del crack del tipo disegnato in figura 15.

Figura 15: Andamento tensionale in funzione dell’apertura della fessura (σ =

KI √ ) d a

Le prove sperimentali hanno dimostato, in particolare, che di una fessura preesistente di ampiezza a0 si ha un incremento solo a partire da un certo livello σ0 di tensione. Per far s`ı che la fessura si continui ad espandere `e necessario incrementare successivamente lo stato tensionale σ0 fino a quando, per un certo valore critico acr , non si innesca un altro tipo di comportamento (la tensione attinge il valore σc ).

La meccanica del danneggiamento

23

In questa fase che `e nominata “instabile” — a differenza della prima detta “stabile” — l’unico modo perch`e si abbiano valori sempre crescenti di a `e ammettere che si verifichi un processo di scarico tensionale. Il punto 0 di coordinate (a0 , σ0 ) appartiene alla curva caratterizzata da un valore dello stress intensity factor KI 0 ; il punto C di coordinate (acr , σc ) appartiene, invece, alla curva relativa a KI cr , che rappresenta la cosiddetta resistenza della frattura (v. fig. 15). u elevato si registra una fase stabile pi` u lunga ed il valore Si noti anche che per un a0 pi` u alto a cui corrisponde uno σc pi` u basso. critico si attinge ad un livello acr pi` Il criterio di propagazione del crack di Irwin sintetizza queste considerazioni, in quanto, nel caso di materiali fragili e nel caso di modo I di crack, lo sviluppo della fessura segue le condizioni: KI < KI cr → KI = KI cr → KI > KI cr → 3.3.2

ASSENZA DI PROPAGAZIONE (PROCESSO STABILE) PROPAGAZIONE QUASI—STATICA PROPAGAZIONE INSTABILE (O DINAMICA)

L’approccio energetico o globale

Cos`ı come visto sperimentalmente il fenomeno di degrado fessurativo si articola in due fasi; questa duplicit`a di comportamento `e ricostruita pi` u convenientemente da considera- zioni di carattere energetico, proposte da Griffith nel 1920, e allargate successivamente a considerazioni di carattere termodinamico. Griffith dimostr`o, infatti, che il fenomeno fessurativo, quando si sviluppa in modo quasi statico, e cio`e quando `e tale da costituire l’unica fonte dissipativa dell’energia, `e regolato dalla condizione di bilancio energetico G−R≤0

(48)

dove G

R

TASSO DI RILASCIO DI ENERGIA ` O DI RESISTENZA FUNZIONE DI TENACITA

Questo approccio indica, pi` u specificatamente, come il danno non aumenti finch´e l’aliquota di energia disponibile per aprire la fessura G `e inferiore all’aliquota necessaria per aprire la fessura stessa R (caso G < R); a condizione di criticit`a raggiunta (caso G = R), inizia il processo quasi—statico o stabile di propagazione della fessura, attraverso successivi stati di equilibrio. Si ha, infine, propagazione dinamica o instabile — ci`o richiede di rimuovere l’ipotesi di trascurabilit`a dei contributi cinetici dell’energia — se risulta G > R. In relazione alle considerazioni qui introdotte, la misura delle due aliquote si ottiene tramite le espressioni G :=

d(W − U) dD

(49)

R :=

dΓ dD

(50)

in cui si `e indicato con D una generica misura del danno, con W il lavoro prodotto dalle forze esterne, con U l’energia di deformazione elastica del materiale e con Γ l’energia di frattura. La

La meccanica del danneggiamento

24

condizione (48) deriva, quindi, dalla condizione dΓ d(W − U) − ≤0 dD dD

˙ := dD ≥ 0 con D dt

(51)

la quale corrisponde, in caso di assenza di effetti legati alla variazione di temperatura e di velocit`a, al secondo principio della termodinamica. G `e pari, pertanto, alla variazione dell’energia potenziale totale corrispondente ad un incremento unitario della fessura, mentre R definisce, al variare del parametro di danno, la curva di resistenza. La misura di quest’ultima ha interessato diversi approfondimenti, la maggior parte di carattere semiempirico.11 Broek [16], in particolare, assume come funzione di tenacit`a la legge (v. fig. 16)   −1 0 ≤ α ≤ 1 ρ= (52) R[α] = Rcr α−ρ  0.8 1≤α

in cui il valore del parametro α `e una delle possibili misure del danno, in quanto equivale al rapporto tra la percentuale di materiale integro e quella di materiale fessurato. Se, invece, di α, si voglia utilizzare il parametro β, che `e pari alla percentuale di materiale fessurato, si ha (v. fig. 17)  −ρ  −1 0 ≤ β ≤ 0.5 β ρ= (53) R[β] = Rcr  1−β 0.8 0.5 ≤ β ≤ 1

Figura 16: Curva di resistenza R[α]

Figura 17: Curva di resistenza R[β]

Il criterio energetico, in definitiva, si caratterizza secondo lo schema G < R

G = R G > R

˙ = 0, dK = 0) (D ˙ ≥ 0, dK = 0) (D ˙ ≥ 0, dK > 0) (D



→ →

ASSENZA DI PROPAGAZIONE (PROCESSO STABILE) PROPAGAZIONE QUASI—STATICA PROPAGAZIONE INSTABILE (O DINAMICA)

dove dK `e la variazione di energia cinetica. 11

Ci si limita in questo paragrafo a trattare della sola R in quanto la G trova una immediata espressione una volta introdotto lo stato tensionale e deformativo propri del modello meccanico adottato.

La meccanica del danneggiamento

25

Rcr `e il valore critico—soglia di separazione tra il comportamento hardening e quello softening del materiale ed `e determinato tramite delle prove monoassiali sul materiale, che rilevin i limiti tensionali a trazione (σ ) e a taglio (τ ): Rcr :=

1 E

σ2

Rcr :=

ovvero

1 G

τ2

(54)

Si noti, inoltre, che Irwin dimostr`o12 l’equivalenza tra il criterio locale da lui stesso proposto ed il criterio globale di Griffith, ricavando l’espressione G≡

KI2 E

scritta per il primo modo di apertura del crack (anche per gli altri due modi si perviene ad una forma analoga).

3.4

Meccanica del giunto fessurato

I criteri di danneggiamento (propri della Meccanica della Frattura), uniti alle considera- zioni (proprie della Meccanica della Danneggiamento) sulla variabile di danno e su come questa determini la valutazione media dello stato tensionale forniscono le informazioni utili per definire compiutamente la meccanica dell’elemento scelto per l’analisi dei pannelli murari. Il poter ipotizzare monodimensionale la fessura, la quale, nel caso delle murature, si nuclea e si sviluppa solitamente all’interno dei giunti di malta, avvalora ancor di pi` u, per quanto si mostrer`a nei paragrafi successivi, la scelta di disporre di un modello lagrangiano. 3.4.1

Il giunto come sistema reagente in parallelo

In virt` u anche delle considerazioni svolte nei paragrafi precedenti, tra cui, in particolar modo, quelle relative al principio della deformazione equivalente, si `e pensato di ricostruire il comportamento fessurativo del giunto, considerando il giunto stesso come un sistema reagente in parallelo, costituito da due parti “indipendenti”, l’una integra l’altra fessurata.   σ := (1 − β)σi + βσf (55)  τ := (1 − β)τ + βτ i f

Limitandosi ad introdurre, quale fenomeno stabilizzante nei confronti della fessura- zione, il solo attrito, si `e ipotizzato che la parte integra lavori come un materiale infinitamente elastico— lineare, e che la parte fessurata lavori, invece, ad attrito. Quest’ultima non reagisce, infatti, a trazione (caso di giunto “aperto”, ε < 0), ma reagisce a compressione (caso di giunto “chiuso”, ε ≥ 0), sviluppando eventualmente, in direzione tangenziale, deformazioni anelastiche. σi := Eε σf :=

0

τi := Gγ (ε < 0)

Eε (ε ≥ 0) 12

τf :=

0

(ε < 0)

(56)

G(γ − γP ) (ε ≥ 0)

Per approfondire meglio la dimostrazione di equivalenza tra i due criteri di propagazione della fessura, si consiglia di consultare il testo [16] di D. Broek alle pagg. 125—127 o il testo [20] di S. Marfia alle pagg. 56—58.

La meccanica del danneggiamento

26

dove γP `e tale che |τf | ≤ σf tan(ϕ)

(57)

σf tan(ϕ) non `e altro che la forza specifica d’attrito (v. fig. 19). Tramite le quantit`a σ := {σ, τ }T , ε := {ε, γ}T

σ i = {σi , τi }T ,

σ f = {σf , τf }T

che si intendono agenti sui punti di Gauss attraverso cui si `e scelto di discrettizare il giunto13 , l’espressione (55) assume la forma σ = (1 − β) σi + β σ f

(58)

= (1 − β) Eε + β E(ε − εP )

o la forma pi` u sintetica σ = Eε − βEεP in cui si `e introdotta la funzione H(a) =

(59)

1 a>0

0 a≤0 u Il vettore εP := {εP , γP } assume un duplice significato: in compressione rappresenta pi` propriamente il contributo di deformazione anelastica che si produce per effetto dell’attrito, mentre in trazione corrisponde all’intera deformazione elastica ε, in modo tale che risulti: T

σ≡

(1 − β)Eε

TENSIONE DI TRAZIONE

Eε − βEεP

TENSIONE DI COMPRESSIONE

(ε < 0) (60) (ε ≥ 0)

Figura 18: Schematizzazione del giunto fessurato

3.4.2

Modellazione della condizione di propagazione del danno

Il criterio energetico (descritto a pag. 23) che definisce la condizione (48) di avanzamento della fessura, necessita, per quanto si mostrer`a, di essere riformulato se si vuole inserirlo all’interno della strategia di soluzione. 13

Lo stato tensionale introdotto nel capitolo 1 si riferisce al baricentro del giunto. Lo stesso stato tensionale pu` o essere, per` o, pi` u accuratamente valutato, integrando le tensioni {σ, τ }T agenti su due o pi` u punti di Gauss.

La meccanica del danneggiamento

27

Nella valutazione di G, che rappresenta la variazione dell’energia potenziale W − U rispetto alla variazione di danno, intervengono solo quelle sollecitazioni che lavorano per aprire la fessura. Tali sollecitazioni “efficaci”, nel caso di giunto in trazione (ε < 0), sono legate alla ε e alla γ contemporaneamente, nel caso, invece, di giunto in compressione (ε ≥ 0), alla sola γ: G=

1 2 (1

− β)2 Eε2 + Gγ 2

per ε < 0

1 2 (1

− β)2 Gγ 2

per ε ≥ 0

1 ⇒ G = (1 − β)2 εP[ε]T EP[ε]ε 2

(61)

La matrice P[ε] serve a proiettare le deformazioni ε in un’ideale direzione, in cui hanno valore non nullo solo quelle componenti che rilasciano contributi energetici per l’ulteriore incremento di fessura. ` infatti, possibile riscrivere la condizione G − R = 0, riferendosi alla (61) e alla (65) per E, ottenere: 1 1 P[ε]T EP[ε]ε − R[α] = 0 2 (1 + α)2

(62)

la quale, semplificata nella

Φ[ε] − C[α] = 0

con

  Φ[ε] := 

T 1 2 εP[ε] EP[ε]ε

(63)

C[α] := (1 + α)2 R[α]

fornisce la legge α = α[ε]. Tale legge che mette in evidenza l’energia di deformazione del giunto integro Φ[ε] (ridotta, per`o, in caso di compressione, ai soli contributi tangenziali) e che introduce il contributo energetico legato alla tenacit`a del giunto stesso C[α], permette, insieme alle equazioni di tensione (59), di ricostruire il legame costitutivo della malta σ[ε]. La C[α] introdotta nella (63) ha un andamento sempre crescente (v. fig. 20) e sensibilmente pi` u “dolce” della R[α]; conserva, tuttavia, nella zona di passaggio (per α ≡ αcr = 1) tra il ramo a tensione crescente ed il ramo a tensione decrescente, il punto angoloso. 3.4.3

Formulazione incrementale del legame costitutivo

Le assunzioni fatte sulla ricostruzione della risposta tensionale del giunto parzialmente fessurato (59) e l’esplicitazione del criterio che presiede allo sviluppo del processo fessura- tivo (48) forniscono le equazioni necessarie e sufficienti per delineare il legame costitutivo del materiale giunto. La legge σ[ε] `e, infatti, deducibile da un problema del tipo  α  EεP  σ = Eε − 1+α (64) σ[ε] →   Φ[ε] − C[α] ≤ 0 in cui si `e provveduto a riscrivere le equazioni (59) e (48), in termini del parametro di danno α al posto di β: h

f hf hf h = = α= h hi h − hf 1 − hf

h β:= hf



α=

β 1−β

↔ β=

α 1+α

(65)

La meccanica del danneggiamento

28

Il legame costitutivo pu`o essere introdotto, insieme alle equazioni di equilibrio e di congruenza, all’interno del problema incrementale, (Cfr. [25]) il quale trover`a, cos`ı come avviene in problemi di elasto—plasticit`a, un’appropriata collocazione nell’analisi al passo. In termini incrementali, infatti, quanto finora svolto pu`o essere cos`ı sintetizzato: noti

si vogliano calcolare

(σ 0 ,   σ     ε  εP     α

ε0 , εP0 , α0 )

VALORI DI INIZIO PASSO

:= σ 0 + ∆σ := ε0

+ ∆ε VALORI DI FINE PASSO

:= εP0 + ∆εP := α0 + ∆α DECOMPOSIZIONE ADDITIVA

dove, per la parte fessurata, ∆ε := ∆εE + ∆εP

DELLE DEFORMAZIONI

e

∆σ f := E∆εE

si ha σ = (1 − β)(σ0 i + E∆ε) + β(σ 0 f + E(∆ε − ∆εP )) = σ ∗0 + (1 − β)E∆ε + βE(∆ε − ∆εP ) = σ ∗0 + E∆ε −

α[ε0 + ∆ε] E∆εP 1 + α[ε0 + ∆ε]

1 (σ 0 i + α[ε0 + ∆ε]σ 0 f ) 1 + α[ε0 + ∆ε] Il legame costitutivo risulta, in definitiva, dal problema  α  E∆εP  σ = σ ∗0 + E∆ε − 1+α   Φ[ε + ∆ε] − C[α] ≤ 0

dove σ∗0 :=

LEGAME

0

∆ε

COSTITUTIVO

con ∆εP ≡

3.4.4

µ˙

∂f [σ f ] ∂σ f

TRAZIONE

(ε < 0)

COMPRESSIONE

(ε ≥ 0)

Alcuni approfondimenti sul legame ad attrito

Cos`ı come premesso a pag. 26, il legame tensione—deformazione in compressione `e di tipo u specificatamente, un legame non associato, nel senso che attritivo. Il legame ad attrito14 `e, pi` alle deformazioni anelastiche non `e possibile associare, quale potenziale plastico g[σ], la funzione di snervamento f [σ]. 14

Viene qui fatta una trattazione del legame ad attrito con una notazione generica e non specificata tramite pedice (∗)f ; nel caso in esame, infatti, la sola parte fessurata lavoro ad attrito.

La meccanica del danneggiamento

29

Un legame non associato non corrisponde alla definizione di materiale stabile secondo il criterio di Drucker; `e, quindi, indispensabile adottare uno strumento alternativo con cui individuare per quali condizioni la risposta risulti comunque stabile. Se, infatti, si ammette [58] che • l’attrito sia lineare: f [σ] ≡ fA [σ] := |τ | − σ tan(ϕ) ≤ 0, • per effetto dell’attrito stesso, si possano produrre degli slittamenti solo in direzione tangenziale: ∆εP = 0, il potenziale plastico pu`o essere posto nella forma g ≡ gA [σ] := |τ |

(66)

ottenendo una soluzione al passo, in cui il rientro sul dominio elastico avviene lungo l’asse delle τ.

DOMINIO ELASTICO:

De := {(σ, τ ) : fA [σ] ≤ 0} FUNZIONE DI SNERVAMENTO:

fA [σ] := |τ | − σ tan(ϕ) POTENZIALE PLASTICO:

gA [σ] := |τ | Figura 19: Dominio di resistenza alla Coulomb senza coesione

ANGOLO DI ATTRITO:

ϕ

Le deformazioni ∆εP vengono, infatti, calcolate tramite l’espressione ∆εP = σ 0 + E∆ε − σ ≡

E 0, τE − σE tan(ϕ)sign [τE ] G

T

che risulta facilmente ricavabile avvalendosi della figura 19, in cui σ E := {σE , τE }T ≡ {σ0 + E∆ε, (σ0 + E∆ε) tan(ϕ)sign [τ0 + G∆γ]}T

(67)

Strategia numerica adottata

4

30

Strategia numerica adottata

L’analisi al passo si adatta bene in un contesto olonomo di elasto—plasticit`a incrementale [26, 27]. Le condizioni necessarie per la convergenza degli algoritmi incrementali (v. pag. 10) si dimostrano soddisfatte senza eccessivi oneri computazionali quando il legame costitutivo `e di tipo elastico perfettamente plastico [27]. La presenza di un processo di degrado della resistenza legato alla fessurazione introduce, per`o, una serie di fenomeni che rendono complessa la gestione numerica del legame costitutivo della muratura. Un’opportuna modellazione del legame, anche se ottenuta nel modo semplice descritto nel capitolo 3, non `e, infatti, sufficiente se si vuole descrivere l’effettivo percorso di equilibrio seguito dalla struttura. Tale percorso `e caratterizzato da successivi punti di biforcazione, che risultano tali da mettere in “difficolt`a” lo strumento di filtro di Riks. Il numero elevato dei modi che si possono diramare a partire dai punti critici (biforcazioni multiple) rende, inoltre, impensabile l’uso di un qualche algoritmo matematico capace di valutare a quale delle possibili combinazioni dei diversi modi critici corrisponda l’effettiva soluzione. Nelle pagine successive si mostrer`a, pertanto, come questi problemi possano essere superati adottando una strategia in cui il metodo classico compatibile `e stato ripensato. In particolare, si introdurranno delle variabili ulteriori, in aggiunta a quelle di spostamento, e si riadatter`a il metodo di Riks in modo che possa filtra adeguatamente le direzioni di forte nonlinearit`a legate alle variabili di danno. Si verificher`a, poi, come i fenomeni dissipativi (attrito e viscosit`a), i quali possono essere introdotti senza alterare sostanzialmente la meccanica del giunto (v. sez. 3), intervengano a stabilizzare il processo fessurativo. La sperimentazione condotta in chiusura del lavoro svolto evidenzier`a, infine, quanto le soluzioni adottate nello schema al passo, sia in termini di rapidit`a sia in termini di accuratezza, siano risultate efficaci.

4.1

Riformulazione della condizione di propagazione del danno

Prima di procedere nella trattazione che compete il tipo di strategia al passo scelto, occorre osservare che il legame costitutivo risulta caratterizzato, per effetto della legge di propagazione del danno, dalla presenza di un punto angoloso nella zona critica. Questa situazione non rispecchia un reale comportamento fisico, ma `e, invece, il frutto dell’unione di due leggi che vogliono descrivere, in modo adeguato, l’andamento pre—critico e post—critico separatamente [16]. Nell’intorno della zona critica, si possono, inoltre, riscontrare problemi di tipo numerico, che si accentuano tanto pi` u fortemente quanto pi` u velocemente si incrementa il danno. Alla luce di queste considerazioni, il processo di danneggiamento pu`o essere modellato in modo tale da rendere pi` u regolare l’andamento σ[ε] e da rallentare l’azione repentinea di degrado della resistenza per un dato incremento di α. ˜ Un primo accorgimento `e consistito, infatti, nell’approssimare la C[α] ad una funzione C[α] del tipo ˜ := 2Rcr α ≈ C[α] C[α]

(68)

Strategia numerica adottata

31

che permette di semplificare l’espressione (63) nella Φ[ε] − 2Rcr α = 0



α=

Φ[ε] 2Rcr

(69)

Questa approssimazione matematica `e, in realt`a, ottenibile in modo pi` u rigoroso ipotizzando che l’evoluzione del danno sia esprimibile tramite una legge di tipo associato, governata dalle condizioni di Kuhn—Tucker [20].

C1 [α] := Rcr α(1 + α)2 C2 [α] := Rcr α−0.8 (1 + α)2 ˜ C[α] := 2Rcr α

Figura 20: Curva C[α]

Un ulteriore accorgimento, atto, invece, a ritardare la velocit`a di crescita del danno, `e stato realizzato, introducendo un fenomeno di tipo viscoso [69, 70] nell’equazione (69): α − f[ε] + cα˙ = 0 dove si `e posto f[ε] :=

(70)

Φ[ε] e si `e indicato con c la costante di viscosit`a e con α˙ la velocit`a di 2Rcr

apertura della fessura. Se si ammette, infatti, che α˙ al tempo t1 sia pari alla media α˙ 1 = e che il valore α1 sia quello cercato

α1 − α0 α1 − α0 ≡ t 1 − t0 ∆t

α1 − f1 + cα˙ 1 ≡ α1 − f1 + c

α1 − α0 =0 t1 − t0

il livello di α corrente `e calcolabile utilizzando l’espressione c Φ[ε] + α0 2Rcr ∆t α= c 1+ ∆t

(71)

c , valutabile in funzione della lunghezza del passo di analisi, `e il fattore che limita Il rapporto ∆t l’incremento di α quando il processo di carico avviene pi` u velocemente.

Strategia numerica adottata

4.2 4.2.1

32

Lo schema di analisi al passo Alcune considerazioni iniziali sulla scelta del tipo di formulazione

Organizzare lo schema di soluzione al passo con una formulazione compatibile significa scegliere l’insieme degli spostamenti come unico campo di variabili e sottoporre a ciclo iterativo le sole equazioni di equilibrio, poich´e quelle di compatibilit`a sono per ipotesi implicitamente verificate. Per quanto mostrato da G.Uva [15], `e necessario modificare questo modo di operare se si vuole introdurre il problema fessurativo. La causa di ci`o, come si evidenzier`a pi` u in dettaglio nel paragrafo 4.2.3, risiede essenzialmente nel cambio di pendenza che subisce, nel procedere dell’analisi, la funzione σ[ε]. L’alternativa al compatibile pu`o consistere nel trattare le possibili variabili del problema ` possibile, quindi, senza legarle tra di loro, imponendo a priori il rispetto di alcune equazioni. E non ridursi al solo campo degli spostamenti ed adottare, cos`ı, una formulazione mista. La scelta mista dei campi di variabili `e, in particolare, ricaduta su quelli evidenziati dal principio di Hu—Washizu (deformazioni, tensioni e spostamenti). Una formulazione del genere, anche se non `e sufficiente per superare i problemi legati alla presenza di biforcazioni multiple, si `e mostrata indispensabile per lo schema di soluzione elaborato. Il legame σ[ε] pu`o essere, infatti, gestito in termini di quantit`a esclusivamente locali all’elemento. La possibilit`a di concentrare a livello locale tutte le nonlinearit`a del problema permette, come si dimostrer`a in seguito, di risolvere il problema stesso introducendo in modo agevole la variabile di danno come ulteriore variabile. 4.2.2

Formulazione “alla Hu—Washizu”

La generalizzazione del principio di minimo dell’energia potenziale, che prende il nome anche di principio di Hu—Washizu [4], `e rappresentata, nel caso di materiale elastico—lineare, dalla condizione di stazionariet`a 1 ΠHW [ε, σ, u] := εT Eε − σ T (ε − (Du − e)) − f T u = stazionario 2

(72)

Tale principio evidenzia come sia possibile descrivere il problema variazionale in termini di tre campi di variabili (spostamenti, tensioni e deformazioni), i quali possono essere raccolti, per il modello in esame, nei vettori ε := ε1 , . . . , εnl

T

,

σ := σ 1 , . . . , σ nl

T

,

u := u1 , . . . , unb

con εn ≡ {ε, γ, χ}T ,

per

n = 1, . . . , nl lati

σ n ≡ {σ, τ, µ}T ,

per

n = 1, . . . , nl lati

un ≡ {u, v, ϕ}T ,

per

n = 1, . . . , nb blocchi

T

Strategia numerica adottata

33

Ai tre campi di variabili sono associati altrettanti campi di equazioni ∂ΠHW ∂ε ∂ΠHW ∂σ ∂ΠHW ∂u

=0 →

Eε −

=0 →



σ

ε

=0 + Du − e = 0

DT σ

=0 →

(73)

− f =0

in cui e e f rappresentano i carichi agenti; e sono le deformazioni impresse sul giunto, mentre f sono le forze sul blocco. Il principio (72) impone, quindi, di risolvere un sistema di equazioni, che, nel caso pi` u generale, in cui le tensioni siano legate nonlinearmente alle deformazioni, si scrive   σ[ε] − σ =0     (74) − ε + Du − e = 0      − f =0 DT σ

In riferimento allo schema iterativo di Newton—Raphson (v. par. 2.1.2), il sistema di equazioni ai residui assume la forma   σj = rσ j σ[εj ] −     (75) ˆ = rej − εj + Duj − λj e      DT σ j − λj ˆf = rf j

in cui rσj `e la tensione che misura l’errore sulle equazioni di legame, rej `e la deformazione che misura l’errore sulle equazioni di compatibilit`a e rf j `e la forza che misura l’errore sulle equazioni di equilibrio. Si ricordi che il pedice (∗)j sta ad indicare la j—esima iterazione. ˙ da apportare alle quantit`a (∗)j si ottengono risolvendo il sistema lineare Le correzioni (∗) j 

dove si `e posto

   ε˙  D   σ˙  ·  u˙

Ej −I ·

  −I ·  · DT

Ej :=

   

   r  σj     = rj = rej       r  

(76)

fj

∂σ[ε] ∂ε ε=εj

Questa sottomatrice raggruppa le sole componenti della matrice di iterazione che variano durante il processo incrementale—iterativo. 4.2.3

Introduzione della variabile di danno nella soluzione alla Riks

Per adottare il metodo di Riks, `e necessario trattare il problema con l’aggiunta di un’ulteriore variabile, ossia il parametro di carico. Valutare anche la variazione λ˙ j significa, per quanto visto

Strategia numerica adottata

34

nel paragrafo 2.2, operare una correzione nei valori dei residui del sistema (76), in modo da filtrare le componenti di rj nelle direzioni critiche. Tali direzioni critiche sono legate alla variazione del danno, e quando, in particolare, il giunto `e per met`a fessurato la resistenza del materiale non cresce pi` u al crescere delle deformazioni e, quindi, dei carichi. In corrispondenza del livello di soglia delle tensioni, un incremento di α anche piccolo pu`o comportare una correzione σ˙ j talmente elevata da non far convergere lo schema iterativo.15 Si noti che questa difficolt`a di convergenza potrebbe risultare insormontabile in un caso di schema classico (compatibile) di Riks, nel quale le σ˙ j devono correggere delle σj estrapolate elasticamente dalle εj [15]. Ci`o dipende dal fatto che la parte Ej della matrice di iterazione, anche se aggiornata al passo attuale j, potrebbe essere molto diversa da quella reale (il percorso `e in una fase in cui si richiede un cambiamento di segno di Ej ). La presenza del filtro consente s`ı di trovare la soluzione, perch`e consente di cercarla sul piano ortogonale alla direzione critica, ma non `e detto che su questo stesso piano il processo non incontri un’altra direzione critica. Una situazione del genere porta a variare ad ogni “loop” j il parametro λj al punto tale che l’unica soluzione di equilibrio che lo schema riesce a tollerare `e quella che muove verso una condizione di scarico della struttura. Per superare questo limite legato intrinsecamente alle modalit`a con cui si sviluppa il processo fessurativo, si `e pensato, allora, di completare il problema (74), “allargandolo” ai valori α, cos`ı come fatto da Riks con il parametro di carico λ (v. par. 2.2). Il sistema di equazioni da risolvere diventa, quindi, del tipo r[x, α, λ] := s[x, α] − λˆ p=0

(77)

dove α := α1 , . . . , αnl

T

x := ε1 , . . . , εnl , σ 1 , . . . , σ nl , u1 , . . . , unb 1 nb T ˆnl , ˆf , . . . , ˆf ˆ := 0, . . . , 0, e ˆ1 , . . . , e p

T

Si ammette che a partire da un punto j, noto per ipotesi, il processo converga linearmente verso un punto j + 1 sulla curva r[x, α, λ] = 0; si pu`o, in altri termini, scrivere rj+1 = rj +

dr dx

j

(xj+1 − xj ) +

dr dα

j

(αj+1 − αj ) +

dr dλ

j

(λj+1 − λj ) = 0

e, quindi, rj −

ds dx

j

x˙ j −

ds dα

˙ j + λ˙ j p ˆ=0 α j

La notazione [∗]j indica il calcolo delle quantit`a [∗] nel punto j e x˙ j := xj − xj+1

15

˙ j := αj − αj+1 α λ˙ j := λj − λj+1

Per comprendere ancora meglio quanto si sta qui osservando, si rimanda a pag. 37.

(78)

Strategia numerica adottata

35

sono le correzioni da fornire alle variabili valutate in j. Poich`e la risposta strutturale s[x, α] = 0 coincide, in pratica, con le grandezze poste ai primi ds rappresenta la matrice tangente del membri delle equazioni del sistema (74), la matrice dx j problema (74) stesso:   Ej −I ·   ds (79) ≡ K[xj ] := −I · D    dx j · DT ·

(Kj ha dimensioni N xN , se N `e il numero totale di tutte le variabili x del problema: N = 3nl + 3nl + 3nb). La parte, invece, che compete alle αn si ricava dall’espressione K[αj ] :=

ds dα

j

Trattare le incognite α come ulteriori variabili, permette, in definitiva, di estendere il problema (74), al sistema   ˙j −p ˆ λ˙ j = rj   K[xj ]x˙ j + K[αj ]α T T (80) ˙ j + νµλ˙ j = 0 nx Mx x˙ j + nα Mα α    f [α ˙ , x˙ ] = 0 j

j

in cui, il secondo gruppo di equazioni rappresenta, in base alla metrica definita dalle matrici Mx e Mα , la superficie di vincolo nello spazio individuato dalle variabili (x, α, λ). ˙ j , x˙ j ] = 0, che epslica un vincolo aggiuntivo, pu`o essere ricavata operando una La legge f[α variazione della condizione (69):16 Φ [εnj ]

T

ε˙ nj − C [αnj ]α˙ nj = 0

(81)

dove si `e posto, per il singolo giunto n, Φ[εnj ] := 12 εnj T PT EPεnj

→ Φ [εnj ] = PT EPεnj

C[αnj ] := (1 + αnj )2 R[αnj ]

→ C [αnj ] = 2(1 + αnj )R[αnj ] + (1 + αnj )2 R [αnj ]

u vettori e dove si `e utilizzata P come una matrice che proietti il vettore {ε, γ, χ}T in uno o pi` {ε, γ}T , tanti quanti sono i punti di Gauss scelti per descrivere le caratteristiche di sollecitazione del giunto.17 Adottando, per semplicit`a, la notazione Φj := Φ [εnj ] e Cj := C [αnj ], la condizione di vincolo ˙ j , x˙ j ] = 0 `e esplicitabile in α, ˙ in quanto si ha f [α α˙ nj = 16

1 nT T ε P EPε˙ nj Cj j

Per non appesantire la trattazione e senza perdere di generalit` a, si sono trascurati i termini legati alla viscosit` a (v. par. 4.1). 17 La matrice di proiezione P tiene conto anche della matrice P[ε], introdotta a pag. 27.

Strategia numerica adottata

36

Quest’ultimo risultato, rappresentato in termini di variabili globali, fornisce il terzo gruppo delle equazioni (80) ˙ j = Aj x˙ j α

(82)

e consente cos`ı di ridursi al sistema   [K[xj ] + K[αj ]Aj ] x˙ j − p ˆ λ˙ j  Mx nx + ATj Mα nα

T

= rj

x˙ j + νµλ˙ j = 0

(83)

Si noti che la matrice Aj ha dimensioni nlxN ; l’unica zona non nulla `e la sottomatrice di posto nlx3nl, e, pi` u in particolare, la zona costituita dai termini A[k,3(k−1)+1] e A[k,3k(k−1)+2] con k = 1, . . . , nl. ˜ approssima la matrice tangente [K[xj ] + K[αj ]Aj ], il problema (83) ammette Se, infine, K una soluzione partizionata del tipo λ˙ j = −

Mx nx + ATj Mα nα T

Mx nx + ATj Mα nα

T

˜ -1 rj K

˜ -1 p ˆ + νµ K

(84)

˜ -1 rj + λ˙ j p ˆ x˙ j = K e posto, quindi, ˜ -1 Mx nx + AT Mα nα dj := K j si ha ˜ -1 I − x˙ j = K

ˆ dTj p rj ˆ T dj µν + p

(85)

Un’opportuna misura della parte in α nel calcolo di λ˙ j permette di superare, durante il percorso di equilibrio, i possibili punti di biforcazione in quanto pu`o far s`ı che le quantit`a in α abbiano un “peso” tale da influire sempre di pi` u, con l’evolvere dello stato fessurativo, nella ˙ valutazione della correzione λj . La soluzione (85) `e, infatti, ottenuta tramite uno schema, il quale nelle direzioni dj conserva, a differenza del metodo classico di Riks mostrato nel capitolo 2 (e, pi` u specificatamente, nelle pagg. 16—17), l’informazione sulle variabili di danno. 4.2.4

Alcuni approfondimenti

La matrice d’iterazione scelta Come matrice d’iterazione, si `e potuto scegliere, per l’intero percorso di carico, la matrice tangente nel punto 0 (condizione a carichi nulli):   E −I ·   ˜ ≡ K[0] :=  −I · D  [K[xj ] + K[αj ]Aj ] ≈ K   · DT ·

Strategia numerica adottata

37

Questa scelta, poich`e verifica comunque le condizione di convergenza dell’algoritmo, determina un’importante semplificazione e permette, in pi` u, di contenere notevolmente i costi computazionali del codice da implementare. La possibilit`a di assemblare e decomporre la matrice di iterazione, una sola volta per l’intera analisi, `e legata proprio alla formulazione del problema secondo il principio di “Hu—Washizu”. Tale formulazione relega, come gi`a detto in precedenza, in una zona “locale” le nonlinearit`a del problema, facendo s`ı che • la parte della matrice K[xj ] variabile durante l’analisi coincide solo con il minore di posto [1 . . . 3nl, 1 . . . 3nl]; • se si esclude la prima iterazione di ogni inizio passo, le equazioni di equilibrio e di congruenza, da cui si vogliono ottenere le informazioni pi` u importanti in termini di risultato finale, risultano sempre verificate nei cicli iterativi; ˙ j in x˙ j , `e risolvibile ˙ j , x˙ j ], che permette di condensare le variabili α • la condizione f[α elemento per elemento, senza dover mai realmente assemblare la matrice Aj . Lo schema di calcolo delle correzioni Il calcolo delle correzioni x˙ j avviene risolvendo il sistema di equazioni lineari (76), il quale assume la forma ˜ x˙ j = rj K ˜ un’approssimazione di Kj . se si stima K Lo schema di Newton—Raphson richiede, com’`e noto, di effettuare l’inversione della matrice ˜ K, una volta che questa sia stata precedentemente assemblata. ˜ ha, per quanto mostrato finora nel caso in esame, una struttura particolare, perch`e solo La K una parte di essa deve necesariamente assemblare i contributi dei vari elementi che costituiscono il modello strutturale. Si pensi, infatti, di operare secondo uno schema di condesazione, e seguire una sequenza del tipo   n per n = 1, . . . , nl  σ˙ j = En ε˙ nj − rσ nj    ε˙ n = Dm u˙ m − r n per m = 1, . . . , nb ej  j     r m = Dm σ˙ m  fj j  (86)  n m T En ε mTr n  ˙ = D − D σj j    = Dm T En Dm u˙ m − Dm T En re nj − Dm T rσ nj per m = 1, . . . , nb Kcmp u˙ = f cmp

Strategia numerica adottata

38

dove si `e posto Kcmp := A[Dm T En Dm ]  T T   rf 1j + A D1 En re nj − A D1 rσ nj    .. f cmp := .    T n  nb nb  rf j + A D E re nj − A Dnb T rσ nj

          

essendo A un operatore che assembla per ogni blocco i contributi provenienti dai giunti ad esso collegati. Lo schema di soluzione scelto permette, quindi, di assemblare e decomporre la sola Kcmp ,18 la quale corrisponde alla matrice d’iterazione che risulterebbe se si adottasse una formulazione “compatibile” del problema. La formulazione a tre campi adottata consente, pertanto, di descrivere il problema fessurativo con le modalit`a e i vantaggi fin qui esposti, senza “pagare” un costo computazionale superiore a quello che una classica formulazione compatibile richiederebbe. Se si pensa, poi, al fatto che la matrice di iterazione `e assemblata e decomposta una volta soltanto durante tutto il percorso di equilibrio (v. pag. 36) il risparmio computazionale risulta ancora pi` u elevato.

18

Si noti che la matrice Kcmp ha dimensioni nbxnb e non N xN . Il vettore f cmp , che rappresenta il residuo all’equilibrio ed `e ottenuto condensando i contributi dei residui sugli altri campi di equazioni, ha dimensioni nbx1.

Strategia numerica adottata

5

39

Sperimentazione numerica svolta

5.1

Aspetti generali dei test svolti

` stata, in particolare, La campagna di test svolta ha interessato diverse tipologie di esempio. E organizzata in modo da testare pannelli di divesra geometria, partendo da quelli pi` u elementari (con due blocchi e un giunto interposto) per arrivare a quelli pi` u complessi (con aperture e dimensioni quasi in scala reale). Le condizioni di carico sono limitate a quelle di • trazione, tramite cui verificare le modalit`a di sviluppo della fessurazione, • taglio—compressione, tramite cui riprodurre il comportamento tipico delle pareti murarie. Il codice di calcolo che si `e implementato, consente, inoltre, di conoscere, per qualsiasi giunto, il valore delle caratteristiche di tensione e di deformazione; le informazioni sugli spostamenti sono, come gi`a detto, riferite, invece, al singolo giunto. ` possibile, poi, osservare la mappa del livello di fessurazione raggiunto su ogni giunto (v. E fig. ??) e il diagramma forza—spostamento relativo alla componente ritenuta pi` u signit`ıficativa. LEGENDA DEI DATI



B H sm bm

lunghezza pannello



altezza pannello



profondit` a pannello



lunghezza mattone



spessore malta



altezza mattone



sfasamento

Em Gm



modulo di Young della malta

ϕ



angolo d’attrito

hm am ds

Rcr

imp

→ →



modulo a taglio della malta

valore critico medio della resistenza del giunto percentuale di discostamento medio da Rcr

Tabella 1: Definizione dei dati necessari per l’analisi Si noti, infine, che ogni test necessita dei dati riportati in tabella 1, oltre quelli sulla geometria del pannello e dei carichi a cui `e sottoposto.

Figura 21: Mappa dei valori di percentuale di giunto fessurato Nei casi di carico in cui si combiano azioni orizzontali e verticali, il processo incrementale che ricostruisce il percorso di equilibrio si compone di due sotto—processi: uno iniziale in cui si attinge il valore indicato di compressione della parete, ed un altro in cui il valore di taglio `e lasciato variare finch`e lo stato fessurativo medio della parete non raggiunge un dato limite (il 95% circa).

Strategia numerica adottata

5.2

40

Alcuni confronti effettuati

Vista l’importanza di alcuni parametri del pannello si `e voluto osservare l’influenza che la variazione di tali parametri ha sui risultati dell’analisi. Sono state, infatti, eseguiti dei confronti tra i risultati ottenuti con diversi valori della resistenza critica Rcr e con diversi valori di coefficiente d’attrito tan(ϕ). Per quanto concerne il primo tipo di confronto, quello, cio`e, in cui si investiga l’influenza di variazione del valore critico di sogia (a partire dal quale si innesca il processo fessurativo instabile), si `e, in realt`a, voluta riscontrare la sensibilit`a all’imperfezione del panello. Se, infatti, una distribuzione uniforme sulla struttura di R cr definisce “perfetta” la struttura stessa, `e lecito parlare di imperfezione se i giunti si distinguono per differenti valori di Rcr . Tale imperfezione `e indicata con il termine imp e quantifica, pi` u specificatamente, il disn costamento medio che l’Rcr di un qualsiasi giunto ha rispetto al valore medio. I singoli valori di Rcr sono stati generati in maniera random secondo una distribuzione gaussiana.

5.3

Prova di trazione pura su singolo giunto

` la prova che mette in evidenza l’andamento del legame costitutivo di un giunto teso. E ` E organizzata, infatti, in due blochi disposti a sorella e, quindi, intervallati da un solo giunto. Anche se nel caso specifico si fa riferimento alla forza agente sul blocco adiacente al giunto in esame, appare chiara la caratterizazione softening del legame. I carichi devono tendere a zero una volta che l’energia di deformazione disponibile ha raggiunto il livello critico di resistenza. Si noti che la scelta della variabile di danno α ha reso meno violento il processo di degrado di resistenza. La scelta, invece, di come modellare l’avanzamento del danno ha “smussato” la legge forza—spostamento nell’intorno della zona critica.

B

=

26 cm

H

=

26 cm

sm

=

6 cm

bm

=

26 cm

hm

=

13 cm

am

=

1 cm

ds

=

0%

Em Gm

=

3000

=

1000

ϕ

=

Rcr

=

kg cm2 kg cm2 ◦

30

1

kg cm2

Figura 22: Diagramma carico—spostamento

5.4

Prova di taglio e compressione su singolo giunto

Analogamente alla precedente, la prova di taglio e compressione sul singolo giunto `e, in realt`a, simulata attraverso un concio di pannello, di due blocchi e un giunto.

Strategia numerica adottata

41

B

=

26 cm

H

=

26 cm

sm

=

6 cm

bm

=

26 cm

hm

=

13 cm

am

=

1 cm

ds

=

0%

Em Gm

=

3000

=

1000

ϕ

=

Rcr

=

kg cm2 kg cm2 ◦

30

1

kg cm2

Figura 23: Diagramma carico—spostamento Si pu`o constatare che, se l’attrito fosse nullo, la curva carico—spostamento dovrebbe coincidere, a parit`a di altre condizioni, con la curva carico—spostamento relativa alla prova di trazione pura. Infatti, la sollecitazione di taglio, che, per il modello meccanico proposto, vale in generale α G∆γP si riduce all’espressione τ = τ0∗ + G∆γ − 1+α τ = τ0∗ +

1 G∆γ 1+α

per tan(ϕ) = 0

(87)

la quale coincide con quella usata per il legame σ[ε] in trazione. La (87) interpreta, quindi, la circostanza secondo cui in assenza di attrito una qualsiasi variazione di deformazione tangenziale si dissipa completamente in un slittamento plastico.

5.5

Prova di trazione su pannello 91x130 cm

Figura 24: Condizioni di carico

B

=

91 cm

H

=

130 cm

sm

=

6 cm

bm

=

26 cm

hm

=

13 cm

am

=

1 cm

ds

=

50%

Em Gm

=

3000

=

1000

ϕ

=

Rcr

=

kg cm2 kg cm2 ◦

30

4

kg cm2

Strategia numerica adottata

42

Figura 25: Diagramma carico—spostamento per pannello 130x91 cm con diversi valori di distribuzione della resistenza critica Rcr : con valore medio pari a Rcr = 3

kg cm2

Figura 26: Deformata della struttura e distribuzione delle percentuali di giunto fessurato

Figura 27: Deformata della struttura e distribuzione delle percentuali di giunto fessurato (imp = 10%)

Strategia numerica adottata

43

Figura 28: Deformata della struttura e distribuzione delle percentuali di giunto fessurato (imp = 25%)

Figura 29: Deformata della struttura e distribuzione delle percentuali di giunto fessurato (imp = 50%)

5.6

Prova di taglio e compressione su panello 96.75x108 cm

Figura 30: Condizioni di carico

B

=

96.75 cm

H

=

108 cm

sm

=

9.8 cm

bm

=

20.5 cm

hm

=

5 cm

am

=

1 cm

ds

=

50%

Em Gm

=

11000

=

4900

ϕ

=

Rcr

=

kg cm2 kg cm2 ◦

36.86 120

kg cm2

Strategia numerica adottata

44

Figura 31: Diagramma carico—spostamento per pannello 130x91 cm con diversi valori di distribuzione della resistenza critica Rcr : con valore medio pari a Rcr = 3

kg cm2

Figura 32: Deformata della struttura e distribuzione del danno allo stato finale

Strategia numerica adottata

45

Figura 33: Distribuzione dei valori degli sforzi normali Figura 34: Distribuzione dei valori degli sforzi sui giunti di letto (in kg) tangenziali sui giunti di letto (in kg)

Figura 35: Deformata della struttura e distribuzione del danno allo stato finale, con imp = 10%

Strategia numerica adottata

Figura 36: Deformata della struttura e distribuzione del danno allo stato finale, con imp = 25%

Figura 37: Deformata della struttura e distribuzione del danno allo stato finale, con imp = 50%

46

Strategia numerica adottata

5.7

47

Prova di taglio e compressione su pannello 520x260 cm con apertura in basso 2

10 kg/cm F

B

=

520 cm

u

H

=

260 cm

sm

=

6 cm

bm

=

26 cm

hm

=

13 cm

am

=

1 cm

ds

=

50%

Em Gm

=

3000

=

1000

'

=

Rcr

=

260

208

117

30

520

Figura 38:

kg cm2 kg cm2 ±

2700

kg cm2

Condizioni di carico

200

200

160

160

f =30°

f =20°

120 120

f =10°

80 80

f = 0° 40 40

0 0 0 0

50

Figura 39:

100

150

200

50

100

150

200

250

250

Diagramma carico{spostamento

Figura 40:

Diagramma carico{spostamento per diversi valori dell'angolo di attrito

Strategia numerica adottata

Figura 41: Sforzi normali e tangenziali sui giunti di letto (in kg) — test con ϕ = 30◦

Figura 42: Sforzi normali e tangenziali sui giunti di letto (in kg) — test con ϕ = 20◦

48

Strategia numerica adottata

Figura 43: Sforzi normali e tangenziali sui giunti di letto (in kg) — test con ϕ = 10◦

Figura 44: Sforzi normali e tangenziali sui giunti di letto (in kg) — test con ϕ = 0◦

49

Strategia numerica adottata

5.8

50

Prova di taglio e compressione su pannello 520x260 cm con apertura al centro 10 kg/cm2 F u

182 260

78

520

Figura 45:

B

=

520 cm

H

=

260 cm

sm

=

6 cm

bm

=

26 cm

hm

=

13 cm

am

=

1 cm

ds

=

50%

Em Gm

=

3000

=

1000

'

=

Rcr

=

kg cm2 kg cm2 ±

30

1215

kg cm2

Condizioni di carico

120

120

f =30° F (kN )

f=20°

80

80

f =10°

f= 0°

40

40

0

u (mm) 0

Figura 46:

40

80

120

160

Diagramma carico{spostamento

0 0

Figura 47:

40

80

120

160

Diagramma carico{spostamento per diversi valori dell'angolo di attrito

Strategia numerica adottata

Figura 48: Sforzi normali e tangenziali sui giunti di letto (in kg) — test con ϕ = 30◦

Figura 49: Sforzi normali e tangenziali sui giunti di letto (in kg) — test con ϕ = 20◦

51

Strategia numerica adottata

Figura 50: Sforzi normali e tangenziali sui giunti di letto (in kg) — test con ϕ = 10◦

Figura 51: Sforzi normali e tangenziali sui giunti di letto (in kg) — test con ϕ = 0◦

52

Strategia numerica adottata

53

Conclusioni Il presente lavoro ha affrontato sia la modellazione del legame costitutivo dei pannelli murari soggetti a fenomeni di fessurazione, sia lo sviluppo di uno schema di soluzione appropriato. Lo schema tratta, in particolare, le variabili che quantificano il danno come variabili principali, al pari delle variabili di deformazione, tensione e spostamento, nell-ambito di una formulazione generalizzata “alla Hu—Washizu”. Tale formulazione permette di concentrare tutte le nonlinearit`a del poblema nelle sole equazioni di legame (quelle, cio`e, legate alle deformazioni), le quali, grazie al particolare modello lagrangiano adottato, risultano valutate e gestite a livello soltanto di ogni singolo giunto. Ci`o ha consentito di introdurre nello schema di Riks, con facilit`a e senza alcun aggravio computazionale, le informazioni necessarie per filtrare dal calcolo delle quantit`a in gioco quelle componenti, legate al danno, che mettono in crisi lo schema stesso nella sua forma pi` u classica. L’assemblaggio e la decomposizione della matrice d’iterazione, che costituisce l’operazione di maggior costo nel metodo di Riks, viene, infatti, effettuata una volta soltanto all’inizio del processo di analisi. Inoltre, le equazioni di equilibrio e di compatibilit`a, da cui si valutano tensioni e spostamenti, ossia le due caratteristiche di maggior interesse in termini di risultati finali di un’analisi, sono sempre direttamente verificate. La considerazione, infine, di altri fenomeni propri del comportamento delle murature, quali l’attrito e la viscosit`a, non solo si `e dimostrata attuabile senza complicare eccessivamente la modellazione del legame costitutivo, ma, cos`ı come si riscontra nei processi fisici reali, contribuisce a stabilizzare l’evolversi del processo fessurativo. Una eventuale riformulazione, quindi, pi` u ricca di informazioni, del legame costitutivo si ritiene possa essere in futuro perseguibile, senza sconvolgere necessariamente la strategia qui proposta, ma intervenendo unicamente sulla parte del modello che compete la gestione delle equazioni di legame stesso. Questa flessibilit`a, propria della formulazione adottata, unita alla possibilt`a di eseguire le prove in modo semplice ma accurato in termini di risultati, rende possibile l’uso del codice implementato come laboratorio numerico con cui testare tipologie strutturali ed approfondire ulteriormente il modello meccanico.

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