131 0 9MB
Italian Pages 124 [131] Year 1984
108 ;o-;0\'E.\lBRE-DICE.MBRE 1983
ALESSANDRO BLASETII DI GIANFRANCO GORI 1 IL CASTORO CINEMA . BL\lESTRALE DIRETIO'DA FERNALDO DI GIA.MMATIEO LA NUOVA ITALIA
L'abbonamt:nto per il1984 costa L 35.000 Per l'estero L 40.000 T uni i diritti riservati Versamenti sul ccp 323501 intestato a «La Nuova Italia» Editrice, Firenze Responsabile Fernaldo Di Giammatteo Autorizzazione del tribunale di Firenze n. 2328 del2.2.1974
N.:/ caso di variazione di indirizzo spedire /ire 1300 in /rancoboiii e lù fascetta con ii vecchio indirizzo de/l'ultimo numero ricevuto
15
2c..
22
5
24
3029
10
l
312
f
� bli LA ALESSANDRO BLASETTI x.._ DI
GIANFRANCO GORI -
28
LA NUOVA ITALIA
26
22
30
24
Gori, Gianfranco Alessandro Blasetti l di Gianfranco Gori. Firenze: La nuova Italia, 1984.- 124 p; 17 cm. (Il castoro cinema; 108). 1. Blase tti, Alessandro 791.43'023.3'0924 -
La parola a Blasetti
Le mie contraddizioni. Debbo confessare di essere un oceano di con traddizioni. Mi sono contraddetto in tutto: in politica, nelle preferenze let terarie, nei gusti, dai gastronomici ai musicali. Insomma, nella mia vita, al meno da quando ho messo i pantaloni lunghi fino ad oggi, non c'è un mo mento di cui qualcuno non possa dire: «Un uomo incostante come Blaset ti è difficile trovarlo ». In questo mare di contraddizioni Blasetti è rima sto costante soltanto in due cose. La prima è che si è sempre contraddetto con sincerità, senza secondi fini (non c'è mai disaccordo fra quello che dico e quello che penso o che sento). La seconda è l'amore per la macchina da presa, per i carrelli, i riflettori, i cavi elettrici, i teatri di posa. Ho fatto dei film contro la violenza, come Fabiola e Corona di ferro. Chi conosce il mio carattere non può accusarmi di ipocrisia. Ma la violenza che io condanno nei miei film è quella dei condottieri, dei capi di governo, degli avventurieri. Io, pur rimproverandomelo, sono· un violento di genere diverso. Quando sono al volante, per esempio; allora divento addirittura una belva. È più forte di me [ . ]. Ed ecco forse la più grossa delle mie contraddizioni. Tra i milioni di italiani che amano ascoltare il suono della propria voce ci sono anch'io. An zi, meriterei di essere in prima fila. Io penso che l'Italia sarà un paese vera mente libero solo quando gli italiani, me compreso, sapranno frenare quel l'inflazione di parole che troppo spesso li sommerge. Ho sempre sostenuto di non essere l'autore dei miei film, oppure di esserlo, ma soltanto insieme a tutti i miei collaboratori, dal soggettista allo sceneggiatore, dagli attori all'operatore. È mostruoso, pensavo fino a pochi giorni fa, che un film risulti concepito, sceneggiata, dialogato, diretto, in terpretato, musicato e fotografato dalla stessa persona. L'eccezione di Cha plin che inevitabilmente mi veniva opposta quando sostenevo questa tesi, era per me quella che conferma la regola. Mi ero attirato le critiche dei miei migliori amici, come Sandro De Feo, Mario Gromo, Luigi Chiarini, ..
3
G.ìie .Ari.&&ilrco eJ E.munno Contini, ma io rima11evo della stessa idea, ._. ,;;, * COli i •in discorsi avevo convinto più di una persona. Que .. ... • l«* �)orni f•. Durante la preparazione dei miei ultimi film, gi ,.. • naGli IIJo st41o di progetti, mi sono «corto che gli •utori dei testi, IJj suwuWJori e i dillloghisti, pretendevano, proprio appoggiandosi sulle
COIJ,.;,Voni, che io fossi un semplice esecutore di quanto essi scrive Eao quindi la mia ultima contraddizione. Oggi, pur attribuendo una ,_porunz.a creativa ai miei collaboratori, rivendico a me non il diritto, ma il dor�ere di consentire con l'opera di ciascuno e di utilizz.arla secondo le lllie idee(«L'Espresso», 27 ottobre 1957). _.
�-
La storia dei miei stivali. Con gli stivali avevo avuto il gusto matto di car�alcare come diciottenne ufficiale volontario in artiglieria da campagna. Ma aggiungo che ci camminavo pure con gusto, mi euforizuzva piantarci i piedi a -terra, mi piaceva come mi stavano. La spudorata dichiarazione var rà, spero, a far credere che quando cominciai a calzarli come regista, dieci anni dopo, fu per pura esigenza professionale. Erano stivali di gomma, si prolungavano fino a mezza coscia e nessuno avrebbe potuto farne a meno se avesse voluto, come io fermamente volevo, muovere i passi nell'«qua alta oltre un metro, e relativo fango, della palude. A chi altro se non al regista - ritenni subito - sarebbe spettato di scegliere le inquadrature che avrebbe colto la mia Ascania (marcia a manor�ella, manovrata dal co raggioso operatore Peppino Caracciolo) piazzata temerariamente sulla mi nuscola chiatta che spingevo io stesso nel canneto per farne aprire l'intrico sulla r�isuale di questo o di quel nero troncone di albero? Giravo Sole, il film sulla bonifica delle paludi pontine con il quale de buttai nel 1928. Debbo confessare però che continuai a calzarli gli stivali anche quando dalla palude ci trasferimmo nei «nostri» teatri di via Mon dovi [ ... ] E stavolta erano stivali a l«ci di cuoio, conosciuti tra i butteri delle nascenti campagne di Sabaudia e Littoria. E stavolta era anche perché ero tornato subito a prenderei gt1sto. Ma era principalmente, per la verità, perché avevo scoperto che il mio modo di fissare con precisione teutonica t�olumi, profondità, dinamica dei quadri, mi portava a stendermi e roto Lumi esagitatamente sul pavimento del teatro per le tanto predilette inqua4
drature dal basso e, per quelle dall'alto, ad arrampicarmi senza alcuna cau tela su quei micidiali convegni di chiodi non ribattuti e di scaglie di le.gno sporgenti che sono i praticabili(cosiddetti). Con uno scalmanato incurabile come me delle due l'una: o lasciare un po' più di danaro dal calzolaio o lasciarlo in blocco dal sarto e nei negozi di vestiario a meno di voler gi rare tutto strappi, frange, strisce e toppe. Aggiungete a favore degli stivali la difesa dalla pioggia� dalla neve, dal fango, dal vento con relative zaffate di polvere nelle scarpe e capirete perché, inattaccabili anche dai chiodi, quelle calzature da buttero mi hanno accompagnato sempre, per tutta la mia vita di lavoro, mai cedendo alla vanità di quelle lucide, snelle, stile ca valleria(«Cinema Nuovo», n. 2.53, maggio-giugno 1978). Le mie convinzioni politiche. [ .. . ] io sono liberale perché convinto che una sola strada possa condurre cosi alla giustizia sociale come al progres so in ogni campo: quella della libertà. (Libertà, non anarchia: diceva il mio maestro Enrico Fe"i che libertà vuoi dire comodo proprio solo fino al con fine del comodo proprio degli altri). Senza libertà non c'è verità, non c'è co raggio, non c'è dignità umana. E la prima libertà è quella di espressione, per tutti. Le idee debbono scontrarsi - diciamo più civilmente: incontrarsi con le idee non con la polizia. E vinca quella che è più forte perché avrà i più forti difensori. Solo chi non è convinto della propria idea può rifuggire dal confrontarla con quella altrui: anche se quegli col quale si parla vuoi fa re il sordo, hanno buone orecchie quelli che ascoltano e cioè quelli che do vranno giudicare(«Cinema Nuovo·», n. 3.5, maggio 19.54). D mestiere di rqista. Il mestiere del regista è un mestiere, fra tutti, estremamente difficile, perché richiede la contemporanea presenza di due sentimenti opposti dell'uomo: l'ambizione (chiamiamola anche presunzio ne) e l'umiltà. Il regista è al centro del film dal momento in cui ne sceglie, o ne accetta, l'idea, sino all'uscita della copia campione. All'ambizione che nasce dall'essere il responsabile unico dell'impresa occorre accoppiare l'u miltà. Il regista deve sempre poter essere in grado di pensare che se un film fallisce tutte le colpe sono sue, e se un film riesce non tutti i meriti, e i pregi dell'opera, sono suoi. Inoltre, il regista dev'essere un comandm1'
,kw poueJne le qualità umane e morali per poter dirigere un gruppo J.i persone. Deve capire e rispettare i suoi collaboratori, inten JDw � Z.110ro (e lo stile e la portata morale del lavoro), a cominciare dagli lailton. Deue essere un attore, saper scegliere gli attori, vederli in rap IIJ'lO 4i personaggi e farli recitare. Deve essere un pittore, perché è lui, e solo INi, che sceglie le immagini del suo film. Deve essere uno scenogra/o u,
dnOleJUO
soprattutto deve essere un musicista, dominatore della musicalità e del ritmo delle immagini(« Radiocorriere TV», n. ) , 1 966).
e
Dieci film da salvare. Il cammino verso la vita di Nikolaj Ekk, La grande illusione di Renoir, La tragedia della miniera di Pabst, A nous la liberté di Clair, All 'Ovest niente di nuovo di Remarque e Milestone, Germania anno zero di Rossellini. Perché mi sembrano le più sincere e toccanti e
spressioni della rivolta determinata nell'animo dell'artista dalle violenze che la politica esercita sull'individuo considerandolo come «massa»: stu pidità e crimine in. cui le classi dominanti di tutto il mondo nella nostra epoca hanno battuto il primato. Gli altri quattro tutti film di Charlot [ ... ) («Epoca», 7-J-1953). Chaplin. Fra le cose di cui mi debbo confessare cioè - aggiorniamoci! debbo fare autocritica, c'è un mio arbitrio tanto più consapevole in quanto esercitato in un campo che mi è così poco familiare, quello della giusta valu tazione di livelli culturali. Titolare di sceneggiatura e regia al Centro speri mentale, disposi che quando qualcuno in aula pronunciava il nome di Cha plin, automaticamente, immediatamente, tutti - a cominciare da me dovevamo alzarci in piedi in omaggio al massimo artista di tutta la storia del tinema di tutto il mondo. Un attimo solo naturalmente, poi il «seduti». Be', trent'anni dopo, debbo dichiarare che si trattò di un arbitrio, quasi di una saprai/azione. Però mi scaricassero trent'anni dalla schiena, adesso che ho ristudiato Chaplin e gli altri per L'arte di far ridere, è un arbitrio che mi riprenderei («Cinema Nuovo», n. 251 , gennaio-febbraio 1 9 78). Ha detto Mosca: Charlot sta a Charlie Chaplin come i versi stanno al poeta e le tele al pittore. Charlot seguiterà a vivere anche quando Charlie Chaplin sarà dimenti c�Uo [ ... ) 6
Ha detto Billy Wilder che le idee politiche di Chaplin non superano il livello delle elementari. Esatto: così avranno potuto capirle anche quelli che più in là non sono potuti andare. Era a loro che Chaplin si rivolgeva. Pare che Fellini sia rimasto stupito quando Chaplin gli ha chiesto quan to era costata La strada e quanto aveva reso. Perché? � invece soltanto la conferma del t'iscerale anticonformismo di Chaplin: del suo rifiuto di ogni presunzione intellettualistica. Giustissimo chiedere se un film ha reso o no. Perché se ha reso vuol dire che l'hanno visto, che lo ha visto chi doveva vederlo, la folla. Se no non si fanno film, si fanno tavole rotonde. La maschera di Charlot tocca il massimo assoluto della spontanea capa cità inventiva e, nello stesso momento, il minimo assoluto dell'impegno pre-determinato, cioè della finalità politica. Per questo ha toccato il cuore del mondo sulla ingiusta sorte dei dise redati e degli emarginati, ha contribuito ad imporre alle classi politiche il dovere di una nuova giustizia sociale con elficacia incomparabilmente mag giore di quella che possono avere conseguito, tutti insieme, tutti i film- so cialmente «impegnati» di tutta la storia del cinema. Dice di lui stesso: «Il personaggio di Charlot non nacque col proposito di denunciare le ingiustizie della società o di esaltare il trionfo finale degli umili sui pre potenti. Lo inventai per caso. La sola cosa' che avevo in mente era di poter lavorare con Mack Sennett, il mago delle comiche e quindi fare soldi. Non mi proponevo di cambiare la faccia del mondo». Appunto. Il suo profitto Chaplin lo richiedeva al Presidente di una Società di Produzione, non al Presidente degli Stati Uniti o di un partito progressista. Tanto più autentica, credibile,· elficace l'istanza sociale che scaturisce dall'amino: proprio perché non la pronuncia. Provate ad immaginare la maschera di Calvero di Luci della ribalta im mobile in quell'ombra di sorriso profondamente amaro, mentre si guarda il suo Charlot in azione: constaterete che le due immagini non vi si disso deranno piu. (Sia detto questo non certo per tutti ma per i Mosca, i Wil7
der, i Fellini che dell'arte non ignorano la componente, direi la base, umana) («Edav », n. 54, gennaio 1 978). Critica e critici. [ . ; . ] non mi sembra al/atto accettabile la distin%ione che fa la critica tra cinema come prodotto (o film di intrattenimento) e ci nema come opera (o film di autore, cioè film d'arte). La generale, aperta dilfidenu - che spesso nell'impeto dei più giovani confina addirittura con il dispre%%0 - di cui il saggismo gratifica sempre i film di grande succes so popolare equivale, a mio avviso, ad un improprio, inopportuno, qual che volta soltanto snobistico concetto del criterio intellettuale con cui deve essere valutato il cinema come arte; perché si tratta di un'arte, come ho detto, destinata alla più grande collettività umana. E tanto più improprio, tanto più inopportuno, direi addirittura tanto più colpevole - soprattut to nei frequenti casi di conformismo snobista - mi appare un tale con cetto critico quanto più sia praticato da saggisti che si schierano a sinistra. Sono pienamente d'accordo che il film meritevole di un giudi%io critico non debba essere solamente un «prodotto ». Ma affermo che deve essere sem pre anche un prodotto [ . .. ] . Cominciò già a scoraggiarmi la tenden%a critica di una decina di anni fa quando un film poteva essere preso in considera%ione soltanto se mo tivato e giustificato da un impegno sociale e politico precisi. E non perché · io mi sentissi estraneo a tali problemi e non sentissi sinceramente il dovere di tali «impegni » (il mio film Sole credo ne sia antica e chiara testimo nian%a). Ma perché questo spingeva inevitabilmente verso quel cinema « im pegnato» che oggi è diventato sinonimo di didascalismo propagandistico e di quel poco dignitoso %elo ideologico che ha soffocato per decenni i grandi talenti del cinema sovietico («Avanti!», 1 1 -J-1 966). La censura. La censura è un male necessario come lo stato. Appare evi dente che lo stato limitando la libertà dei cittadini, e a volte fino al punto di togliere loro il pane e la vita, è una delle più grosse maledi%ioni che sia no capitate sulla testa dell'uomo. Non c'è uomo, ritengo, che abbia un pal lido senso della propria dignità umana, il quale non maledica l'esistenu JeUo stato; ma non c'è nemmeno uomo che abbia il buon senso di accet-
tare l'ineluttabile, cui non appaia la necessità di ammettere lo stato e su birne le violenze e le tasse. Se è vero questo, è altrettanto vero che la cen sura, nei secoli odiosa, sarà per i secoli necessaria specialmente per uno spettacolo a vastissima diffusione popolare come quello cinematografico. Censura per la difesa dello stato, male inevitabile e dunque accettato, cen sura per la difesa dei confini morali che un aggiornato senso dell'etica ri tiene opportuno non valicare («Cinema», n. 82, 1.5-J-19.52). Cinema e musica. Per me, intanto, non si può parlare di un apporto del la musica al film perché il film è musica. Anche nella resa delle atmosfere sonore e nei dialoghi tutto ricade - pena la perdita della efficacia e della chiarezza, cioè della validità, dello spettacolo - sotto le leggi del ritmo, dei volumi, dei toni che sono le leggi dell'armonia e dunque della musica. Azioni che risultino sbagliate, confuse o soltanto imprecise nel ritmo, voci, suoni, rumori che cadano in squilibri di volume o in errori di tono a volte gravi anche se minimi: ed ecco un film sgradevole, sconcertante, spesso in sopportabile. Il film nasce, se non proprio dalla musica, sempre nella mu sica. S per questo che così facilmente è stata accettata - anche sul piano artistico - la pratica dell'impiego parziale e frammentario della musica strumentale a «commento» di talune sequenze: perché non c'è antitesi né incoerenza tra musica composta con voci, suoni, rumori reali e musica di orchestra. Non c'è s'intende, in teoria. Nella pratica tanto spesso il rit mo, il tono, il linguaggio del film è uno: quello della musica un altro. Ed allora quegli arrivi e partenze dei brani musicali lungo la storia hanno tutta l'aria di pezze da turar buchi; allora la musica - ed il film - scendono inevitabilmente al livello della peggiore operetta o della rivista da avanspet tacolo(«Bianco e Nero», n .5-6, 19.50). .
Cinema e televisione. Ero entrato qualche volta, casualmente, nei teatri di via Teulada durante le prove di un romanzo a puntate ed una volta anche nel corso di una trasmissione diretta. Rimasi terrorizzato. In un teatro di posa di proporzioni medie nel quale un regista cinematografico può girare, al massimo, un paio di interni di medie proporzioni c'erano una osteria di campagna con pergolato, uno scorcio di ponte sulla Senna, l'an-
9
ticamera ed i saloni di un palazzo principesco, un tugurio con scaletta e soppalco, una strada con negozi, un commissariato, l'esterno di una chiesa. E dimentico sicuramente qualcosa. Nell'intrico di fiancali, spezzoni, mobilia che i macchinisti piazzavano o asportavano con l'agilità e la silenziosità dei gatti, tre grossi ca"elli a gru con macchine da ripresa scivolavano Dio sa come prendendo dieci po sizioni una dopo l'altra e tutte segnate regolarmente a terra, mentre gli at tori balzavano dal campo al fuori campo e viceversa, cambiando a volte anche vestito, con la rapidità e la maestria dei giocolieri. Tutto mi parve appunto un immenso gioco di prestigio, difficilissimo, alla prova del quale io sarei risultato assolutamente incapace [ ... ] . Accettai la proposta della direzione del secondo programma TV per La lunga strada del ritorno(che subito mi affascinò per quello che mi con sentiva di dire) quando ebbi conferma non soltanto che si concordava pie namente sulle mie intenzioni, ma che avrei potuto stabilire io a quale data la trasmissione sarebbe stata matura per andare in onda; e quando, soprat tutto, mi resi conto che i meui di cui mi sarei servito sarebbero stati esclu sivamente cinematografici [ . ] non posso certo vantarmi di aver avuto il coraggio di chi affronta l'imprevisto accogliendo l'offerta della TV: tema, tipo di ·spettacolo, mezzi per realizzarlo mi erano familiari da tempo. La mia esperienza diretta e i miei contatti indiretti negli stabilimenti di via Teulada hanno modificato e confermato i miei te"ori precedent. Modifi cato e confermato [ ] . Modificato nella valutazione dei risultati cui conduce la spregiudicatez za tecnica del metodo televisivo cogliendo immagini, confessioni, testimo nianze della vita reale assolutamente imprevedibili, allucinanti, i"aggiun gibili anche con la più intelligente e ostinata preparazione [ . . ] . Confermato però nella necessità che questi documenti u.mani siano mes si a disposizione di una selezione, di una costruzione, insomma di una tec nica spettacolare, dalla quale siano prima liberati di quel tanto di greuo inevitabile che li appesantisce e ne annebbia la forza espressiva, e dalla quale siano poi collocati, uno in rapporto all'altro e nel complesso, con quella meditata opportunità di impiego che ne potenzi al massimo l'effi cienza e la significazione. ..
...
.
10
Difleren%e tra cinema e televisione? Innumerevoli nel campo tecnico e meccanico ed anche artistico della realiua:ione, importantissime nel criterio sociale e umano di sele%ione de gli spettacoli, sorprendenti nella immediateua e nella vastità o nella tem poraneità dei risultati sul pubblico, notevoli anche, ma più P" abitudine che per necessità e/lettiva, nella imposta%ione organi%%ativa e quindi eco nomica della produ%ione. Assolutamente nulle nella qualità del meuo espressivo. Schermo e video proiettano immagini che si equivalgono in campi fermi, panoramiche e carrelli operanti dal dettaglio al campo lun ghissimo in tutta una identica varietà di tagli mentre altoparlanti diversi solo di grande%%a materiale integrano quelle immagini con commenti, dia loghi, musiche, rumori. Melodrammi e operette, riviste e commedie tragiche e inchieste docu mentarie, giornali e interviste, possono essere reali%%ati ugualmente cosl con i me%%i tecnici del cinema come con quelli della televisione. E non cre do si possa smentire che non c'è spettacolo televisivo di ,cui sia impossibile la proie%ione in una sala cinematografica - superato naturalmente il solo fatto tecnico - così come non c'è stato film che non sia potuto diventare spettacolo televisivo. I due me%%i espressivi non possono dirsi fratelli gemelli soltanto per ché l'uno è nato prima e l'altro dopo. Ma come fratelli debbono guardarsi tra loro per assimilare l'uno il meglio dell'altro. Il cinema deve adeguarsi in coraggio, spregiudicate%%a, approfondimento e conquista di una più vi va realtà. La televisione deve adeguarsi in esperien%a organiuativa e cioè in aflinamento della qualità attraverso una più adeguata prepara%ione ed un più attento controllo, un più serio impegno nella fase conclusiva e de terminante delle trasmissioni. (Rela%ione alla tavola rotonda Cinema e tele visione: influenze reciproche, Grosseto, 29-JO settembre 1962, pubblicata negli Atti, Roma, Bianco e Nero, 1963).
11
Alessandro Blasetti il cineasta
luiialo Bill del Quadraro, Radames della cartapesta, Cecil Blount De e fagioli, Giovanni Battista del cinema italiano, derviscio ed CDaJWDCDO della regia, eroico piccolo borghese e guerriero che affrontò da I01o l'esercito nemico, regista della « corata ,. e del « fritto», matto con
c-c. Pal»t gli
stivali ovvero Blasetti dei miei stivali - come egli stesso si definisce
in uno degli scritti autobiografici apparsi su « Cinema Nuovo»; e ancora,
fuor d'ironia: predicatore dell'onesto ceto medio, autore ariostesco, regista italiano (tout court). Di questo e di molto altro- è stato gratificato Alessandro Blasetti: tren taquattro lungometraggi (più ùn episodio di Le quattro verità) e dieci cor tometraggi (di cui uno non ultimato) diretti, due supervisioni, dodici regie televisive, otto regie teatrali, tre interpretazioni, sempre nella parte di se stesso: il regista. E ancora una serie senza fine di scritti: sceneggiature, saggi, articoli, critiche, interviste... sempre e comunque connessi e fi nalizzati al cinema. Un cinema, forse sarebbe meglio dire il cinema, che Blasetti percorre in lungo e in largo: conoscendone e praticandone quasi tutti i mestieri - dalla critica al montaggio - e intèhdendolo in ogni mo mento come sintesi di arte (di massa) e industria. Per il cinema apre nuove strade, inventa generi, combatte innumerevoli battaglie a tal punto che la cinematografia nazionale, sul versante dell'arte e dell'industria, è in qualche modo segnata dalla sua presenza di cineasta « totale ,. e inte gralmente « militante». Ad onta di tutto ciò non ha mai avuto un pieno consenso di critica e su di lui, tra i molti riconoscimenti, ha spesso aleggiato il sospetto di « eclettismo ,. . Gli stessi « giovani turchi ,. della critica, che hanno risco perto a man bassa gli anni trenta e il cinema italiano di genere, pur recu perando - non poteva essere altrimenti - anche Blasetti, hanno riversato
12
la maggior parte delle loro attenzioni su un regista indubbiamente più « schermico ,. come Camerini. Blasetti, infatti, non è propriamente un re gista per cinéphiles, è soprattutto un cineasta, nel senso letterale della pa rola, anche se in primis « direttore ,.. Sarà nostro compito, allora, leggerlo nel suo operare trasversale in quel tutto che si chiama cinema : nei film come nelle battaglie di politica cultu rale e industriale e in quelle semplicemente politiche. Va da sé che una simile lettura impone - specie per un cineasta, non soltanto regista si badi bene, « impegnato,. come Blasetti - un costante riferimento sia alla evoluzione politica e del costume della società nazionale che allo sviluppo tecnico e industriale del cinema italiano.
Cenni (auto)biografici Nato a Roma il 3 luglio del 1900 da Cesare Blasetti e Augusta Luliani. Mio padre era «professore di oboe» e corno inglese: suonava e insegnava alla regia Accademia di Santa Cecilia. Mio nonno era scultore (è sua la statua del « Silenzio» all'ingresso del nostro Verano) . Mia inadre discendeva da una antica famiglia della cosiddetta borghesia nera romana, avvocati della Curia, di padre in figlio. Ho compiuto gli studi inferiori al collegio Rosi di Spello , tenuto da sacerdoti somaschi, religiosi di una estrema semplicità e di bontà patema. (Mio padre era quasi sempre in viaggio per le « toumées ,. cui lo conduceva la sua professione e mia madre lo seguiva). Mio fratello Giorgio fu con me in questo primo periodo di studi. Poi, per il liceo, io passai al Collegio Militare di Roma; lui all'Accademia Navale di Livorno e la vita cosi ci separò prestissimo, concedendomi rari e brevi incontri con lui finché l'ultima guerra me lo tolse, valoroso ufficiale di marina, il 19 aprile del 1943. Gli studi universitari li ho compiuti a Roma, alla Sapienza. Mi sposai nel 1923, mi laureai nel 1924, in legge, alla facoltà scelta per secondare i desideri della tradizione materna. Ma per sposarmi appena congedato mi ero impiegato in banca e la laurea doveva servirmi ben poco. Infatti la mia vera vita di lavoro la sentii nascere quando entrai nel quotidiano «L'Impero» [ . . . ] .
Cosi Alessandro Blasetti, nel 1952, descriveva su «Cinema,. (n. 92) la sua vita « precinematografica »: prima cioè di entrare all'c Impero».
Qwc:.u dau è decisiva per i destini futuri delgiovane avvocato, nonché im pq.o di banca; ma se frughiamo ancora nei suoi abbondanti ricordi, tro
wc:rcmo altri episodi, altri incontri se non fatidici senza dubbio importanti. Lui SIC$50 racconta che cominciò a interessarsi al cinema attorno ai dieci an ni: • alle proiezioni che ci facevano in collegio i Padri Somaschi •.
Mi affascinavano perfino i primi documentari di Luca Comerio. Immagi narsi, a quell'età, il Quo Vadis1 di Guazzoni. E poi in seguito le prodigiose immagini di Cabiria di Pastrone. Ghione mi elettrizzò quando già avevo di ciassette anni. Quello che mi decise al cinema fu però Intolerance di Griffith. E non soltanto per la sua potenza spettacolare. Ma per aver fatto della storia viva vista come vita uguale e parallela a quella di oggi. Purtroppo, e me ne vergogno, non ho mai visto né Assunta Spina né Sperduti nel buio (in Materiali sul cinema italiano 1 929/1 943 , Pesaro 197.5, p. 191). Poi alla fine degli anni dieci, entra nel cinema «per la porta grande: comparsa», con Caramba, Lucio D'Ambra e Mario Caserini, ma le sue esperienze come attore non hanno seguito. Cosl conclude gli studi, e rien tra nel cinema, questa volta come critico, pochi anni dopo. Quando mi riavvicinai al cinema, il mio sacro fuoco, per quanto compresso e fatto più violento dagli anni della laurea e del matrimonio, non poteva mo lestare più nessuno. Tutti i teatri di posa romani erano abitati soltanto da ragni e da topi; polvere e pioggia vi calavano in libera alternativa dalle crol lanti tettoie di vetro; e una fertile melma aveva dato rigoglio, ovunque, ad appezzamenti di verde variegato [ . ] Era dunque il 192.5 quando mi riavvicinai al cinema (Cinema italiano oggi, Roma 19.50, pp. 24 e 26). .
.
Blasetti era entrato nel 1923 come critico d'operetta a «L'Impero • diretto dagli ex-futuristi Mario Carli e Emilio Settimelli. Ma fu nei primi mesi del 1925 che inaugurò una rubrica di critica cinematografica, «Lo Schermo», la prima rubrica cinematografica su un quotidiano, dove piut tosto che recensire i film cominciò ad agitarsi «per la cosiddetta •rina scita" del cinema italiano che la concorrenza americana aveva letteralmente abolito •· Dalla rubrica «Lo Schermo • passa a fondare assieme a Renzo Cesana nei primi mesi del1926 «Il mondo e lo schermo,., «settimanale
14
illustrato del cinematografo», che dopo qualche mese diventa «Lo Scher mo» (22 numeri in tutto fino al gennaio 1927). Quindi, nd marzo 1927, nasce la più importante ddle riviste blasettiane, «cinematografo» (con la c minuscola, come ha fatto notare Aprà) che esce fino al luglio 1931, all'inizio quindicinale quindi dal '30 mensile. Accanto a «cinematografo», Blasetti fonda« Lo Spettacolo d'Italia», che ha per direttore Collarino Bla setti, zio e prestanome del futuro regista: si tratta di un settimanale e esce dall'ottobre 1927 al giugno 1928. (Non bisogna dimenticare, infine, le di spense ddla «prima biblioteca italiana» di «cinematografo»: Come na sce un film dello stesso Blasetti, I grandi films di Umberto Masetti, Stato e cinematografo di Ugo Ugoletti, I grandi cineasti di Mario Serandrei, L'in cantatrice del Sud di Raffaello Matarazzo). Accanto a Blasetti nella batta glia per la rinascita si raccolgono Umberto Masetti, Libero Solaroli, Mario Serandrei, Umberto Barbaro, Aldo Vergano, Goffredo Alessandrini, Gino Mazzucchi, Francesco Pasinetti, Ferdinando Maria Poggioli, Corrado D'Er rico, Marcello Gallian, Giacinto Solito, Raffaello Matarazzo, Jacopo Co min, Gastone Medin, Aldo De Benedetti e anche intellettuali come Anton Giulio Bragaglia e Massimo Bontempelli: «cinematografo,. diviene cosi il punto di coagulo di pressoché tutte le forze che lottana perché la cine matografia nazionale rinasca.
È noto che il punto piu basso della crisi che investi il cinema italiano dopo la prima guerra mondiale è da situare tra il 1925 e il 1930. Nd 1919 era stata costituita l'Uci, un consorzio di case produttrici nazionali, per operare nd campo della produzione, dd noleggio e dell'esercizio. Lo scopo dichiarato era di far fronte in tal modo alla crisi del primo dopoguerra e, allo stesso tempo, opporsi alla penetrazione americana. Ma nd '27 l'Uci andò a rotoli, affogata in un mare di debiti e gli americani egemonizzarono il mercato italiano (emblematico della politica del consorzio e definitiva mente passato nell'aneddotica è l'ordine: « non facite l'arte, facite scarpe », che oltre ad avere conseguenze disastrose portò - secondo la testimonianza di Blasetti - ad episodi quali la gara tra Carmine Gallone e Lucio D'Am bra: fare un film nd minor numero di giorni. Vinse Gallone in cinque gior ni contro i sette di D'Ambra). In questo contesto si colloca
«
cinematografo ,. che propone un pJ,"Pgetto .....
15
di politica culturale organico e all'epoca assolutamente unico in Italia. La ri vista affronta il cinema nella sua globalità, investendone cioè tutti gli aspetti: finanziario, industriale, tecnico, politico, critico, teorico ed este tico. E si muove essenzialmente lungo quattro direttrici: intervento «con creto ,. sul piano della gestione e della politica cinematografica - di cui sarà alfiere Blasetti; individuazione e analisi delle teoriche del cinema che si stavano configurando proprio in quel periodo a cavallo tra il muto e il sonoro; lavoro didattico teso all'appropriazione della «tecnica,. cinemato grafica; elaborazione critica volta a delineare una «politica degli autori •· Taie progetto in cui si fondono - almeno nelle intenzioni - teoria e prassi è personificato al massimo grado da Blasetti: intellettuale «organi co ,. che, sin dall'inizio, non scinde mai i problemi teorici da quelli pratici ed ha ben chiaro in testa che il cinema è un'arte (di massa) e un'industria. Era, dunque, nella logica delle cose che dalla critica si passasse all'azione. Blasetti racconta come: [ .. ] non bastavano più le colonne di« cinematografo,. né quelle di« Lo spet tacolo d'Italia • [a contenere il nostro fervore] . Decidemmo di «passare all'azione •, trovammo affettuosi sostenitori e fondammo la « Augustus •, so cietà di produzione italiana. Il 20 dicembre 1928 demmo il primo colpo di manovella (realmente perché si girava ancora a mano) al film Sole nd nostro teatro di via Mondovi. La domenica 16 giugno 1929 il film venne presentato al cinema Corso di Roma, e il successo fu tale da piombarmi nella più inerte amarezza perché realizzai subito che la migliore stagione della mia vita si era ormai conclusa, per sempre (in « Cinema •, n. 92, 1952 ) . .
La rinascita
Sole è, assieme a Rotaie (1929) di Camerini, il film eponimo della rinascita •· Addirittura, secondo alcune fonti, la cooperativa blasettiana, Augustus, avrebbe dovuto produrre anche Rotaie, che fu invece realizzato dalla SACIA di Milano con la collaborazione della tedesca Nero Film. Lo stesso Camerini, del resto, poco tempo prima, si era gettato con grande slancio nell'iniziativa cooperativistica, con Kif tebbi ( 1928) incontrando «
16
non poche traversie. Ma se entrambi i registi della rinascita puntarono al l'inizio sulla stessa formula produttiva, almeno per Blasetti si trattò del principio e della fine del lavoro in cooperativa: vuoi perché Sole non ebbe alcun successo di pubblico; vuoi perché nel 1929 si trasferl a Roma, rile vando i teatri di posa della Cines di via Vejo, Stefano Pittaluga, unani memente considerato l'unico industriale che, all'epoca, cercasse di mettere in pratica una politica economica alternativa all'egemonia americana, con un progetto di integrazione dei vari livelli dell'industria cinematografica: produzione, distribuzione, eljercizio. Pittaluga chiamò subito Blasetti a lavorare per lui. Blasetti, che aveva sempre polemizzato sulle colonne di «cinematografo,. con i criteri indu striali di Pittaluga, con la sua «talpesca ed ottusa produZione,., la sua «incapacità industriale, artistica, politica e commerciale,. e nel '27 aveva esplicitamente scritto: « Pittaluga non è l'uomo che possa presiedere alla più importante azienda d'Italia del più possente mezzo d'espressione della vita e del progresso del nostro popolo,., accettò l'offerta. Perché tale in versione di rotta? Certo, il fallimento dell'operazione Sole e conseguente mente della Augustus, indusse Blasetti a riflettere su alcuni degli assunti teorici del film: sulla scelta della produzione «indipendente,. e «a basso costo,. da una parte e sulla opzione in favore del muto dall'altra (posizioni elitarie che non favorivano certo il contatto del film col pubblico). Sole, in somma, era nato con lo stigma dell'insuccesso commerciale. Allo stesso tempo, Blasetti dovette riconoscere che il progetto di Pittaluga era l'unico ad avere il respiro sufficiente per trascinare il cinema italiano fuori dalle secche, o meglio dalla nullità, in cui era arenato- anche se proprio Pitta luga era stato uno dei responsabili della crisi degli anni venti, in quanto «produttore dei Macisti,., dei film «esasperatamente monotoni,. che avevano allontanato sempre piu il pubblico italiano dal film italiano. Ma torniamo a Sole che, a dispetto dello scarso successo al box olfice, fu un film molto caro alla critica cinematografica. Purtroppo ne è rimasto soltanto un frammento, 260 metri di pellicola, coi titoli di testa e poche inquadrature iniziali. La prima didascalia, assai eloquente, dice: « Palude: terra ove il sole si specchia nel fango, campo dell'eterno conflitto fra civil17
ù c regresso ». Da «cinematografo» &li elcmcnù essenziali della trama:
(8 giugno 1929) possiamo ricavare
Gli abitanti della palude sono in fermento perché la bonifica sta per arrivare alle loro capanne: è stata emessa un'ordinanza di sfratto che colpisce tutti gli abitanti della zona. Essi vorrebbero ribellarsi. Prima però decidono di sentire l'opinione di Marco, il loro capo. Silvestro è incaricato di recarsi da lui. In casa trova solo la figlia di Marco, Giovanna, di cui è innamorato; le dichiara il suo amore ma viene respinto. Arriva Marco e caccia Silvestro. Marco e Giovanna si recano al campo dei bonificatori per parlare col loro capo, l'ingegner Rinaldi; ma è questi a convincerli della necessità ineluttabile della bonifica. Intanto gli abitanti della palude aizzati da Barbara e Silvestro decidono di attirare in un tranello l'ingegner Rinaldi e contemporaneamente assalire il campo dei bonificatori. Silvestro è incaricato di condurre al luogo dell'agguato l'ingegnere. Senonché riconosce in lui l'ufficiale che in guerra gli aveva salvato la vita. Ora è Silvestro a salvargliela. Bisogna però correre subito al campo. Là, tra bonificatori e abitanti della palude, sta per iniziare una colluttazione, che viene sedata dall 'intervento di Silvestro - solo Barbara resta ·uccisa. La bonifica si compie e gli abitanti della palude si trasformano in agricoltori. Come è facile vedere, il film è perfettamente allineato con la politica ruralista del regime, che aveva uno dei suoi cardini nella bonifica integrale. Sin dal 1925, infatti, il duce aveva lanciato la battaglia del grano per «li berare il popolo italiano dalla servitù del pane straniero ». In realtà, il problema principale era quello di dare uno sbocco alla enorme concentra zione demografica nelle campagne del Veneto e dell'Emilia Romagna. Sole porta il suo contributo a questa battaglia del fascismo mettendone in scena le vittorie e riesce perfino ad introdurre un altro dei temi cari al regime: quello dei reduci. Sul piano sùlistico, molti, all'epoca, intravidero nel film l'eco della scuola sovietica. Ma la loro intuizione era errata perché Blasetti vedrà i russi solo un paio d'anni dopo. Se proprio si vogliono individuare antecedenti, sarà il caso di cercarli altrove - sebbene l'ope razione sia di dubbia riuscita dato che ci rimane ben poco della pellicola. Aprà in una recente monografia (Blasetti regista italiano, in A. Blasetti, Scritti sul cinema, Venezia 1982, pp. 1 3- 1 4) coglie dei legami con Metro polis ( 1926) , sia nella «struttura da parabola,. di Sole, sia nell'«uso dei
18
movimenti di macchina, dell'illuminazione e del montaggio,. : il film di Blasetti rappresenterebbe «un tentativo di adattare la lezione espressio nistica alla realtà italiana,. , poiché è girato non in studio ma in esterni reali. Tale ipotesi è corroborata dallo stesso Blasetti quando racconta di aver visto i sovietici non prima del '3 1 e di essere stato invece, in prece denza, «molto impressionato,. da Metropolis. Resta da fare solo una pre cisazione: il girare in esterni dev'essere considerato più che una libera scelta stilistica una necessità dovuta alle condizioni di estrema povertà e di pressoché totale prostrazione del cinema italiano - un fatto analogo, del resto, accadde nel secondo dopoguerra col neorealismo.
Alla conquista del sonoro L'avvento del sonoro coglie l'industria italiana in una situazione di to tale impreparazione. Una rivista come «cinematografo», espressione delle punte più avanzate della cultura cinematografica, teorizzava, all'epoca, il cinema come arte muta, negando lo statuto di arte al cinema sonoro. An che Blasetti è schierato contro il sonoro, ma le sue argomentazioni non si sviluppano tanto sul versante della teoria e dell'estestica quanto su quello della politica culturale e industriale. Col film sonoro l'America «si pro pone di radere al suolo l'industria europea, oggi ridivenuta pericolosa con corrente di film muti, per poi strozzare e comprare a quattro soldi il no stro commercio e il nostro esercizio,. . Blasetti individua perfettamente qua le sia la posta in gioco e forse intravede anche che col sonoro il cinema si sarebbe imposto definitivamente come grande spettacolo di massa. Cosi anche per questo, quando Pittaluga lo chiama alla Cines, accetta l'offerta.
lo quando ho terminato Sole racconterà poi Blasetti a Francesco Savio -, malgrado il successo, sono arrivato direttamente alla liquidazione della società. Il negativo fu venduto per due lire, la società fu messa assolutamente a terra. Il mio nemico Stefano Pittaluga invece di gioj.re di questa mia situazione, venne a Roma, mi chiamò e mi disse : « La battaglia l'ha vinta lei, Blasetti. Se lei non mi chiede una cifra eccessiva io desidererei che ·lei fosse il primo regista con il quale riaprirò i miei stabilimenti della Cines perché adesso, -
19
..._.t PUmi lei dimostrato che in balia si può fare del cinematografo, c'è r....aso dd sonoro che mi consiglia a riprendere la produzione. Lei sarà il lliio rqi5&a, se non mi chiede una grande cifra ». Dissi : « La cifra la saiva Ici• [ )In questa condizione lui mi chiede [ . ] di fare quattro documentari pu C5pCrimentare diverse forme di sonoro: il dialogo, la musica, i rumori. lo gli dissi : «Ma guardi Pittaluga, se io le faccio tre documentari lei spende dd denaro e non ne fa niente, se io le faccio un film, viceversa, cercando di combinare queste tre atmosfere, lei riporta a casa un po' di denaro,. [ . ] Feci questo film che fu il più colossale insuccesso della mia vita (in Cinecittà anni trenta, Roma 1979, pp. 1 1 3-4). ...
..
..
Si trattava di Resurrectio (· 1930): il primo film prodotto dalla nuova Cines, ed anche il primo film sonoro italiano, che però fu giudicato nega tivamente dal punto di vista commerciale e distribuito dopo Terra madre. Cosicché il primo film sonoro italiano a circolare nelle sale fu La canzone dell'amore (1930) di Gennaro Righelli- di Porto di Jacopo Comin, an nunciato da « cinematografo » nel maggio del '29 come « il primo film so noro italiano», quando ancora la Cines non si era attrezzata per la lavo razione sonora (lo farà nel gennaio 1930) , non si sa neppure se fu effet· tivamente realizzato. Resurrectio, che per ora è invisibile (esiste soltanto la copia negativa depo sitata alla Cineteca Nazionale), narra la storia di un direttore d'orchestra che, abbandonato dall'amante, decide di uccidersi. Ma quando è sul punto di met· tere in atto il suo proposito, la vista di un bambino che sta per finire sotto un camion, lo distoglie e lo induce a gettarsi in suo aiuto. Dopo questo fatto, rompe col passato: spara simbolicamente sul ritratto dell'amante e torna a dirigere. A un concerto incontra una fanciulla che lo renderà felice. � questo il coronamento della sua « resurrezione » morale. La storia in sé è piuttosto banale e la responsabilità di ciò va totalmente ascritta a Blasetti: per l'unica volta nella sua carriera fu l'unico sceneggia tore e soggettista di un suo film. Confesserà a piì1 riprese l'c errore», ma allo stesso tempo sottolineerà il carattere sperimentale della pellicola. Resurrectio fu il primo esperimento che io ho fatto alla Cines. Ho associato
20
l'atmosfera autentica mattutina della città che si sveglia, di operai che vanno al lavoro, di donne che vanno alla spesa, con un'atmosfera puramente e net tamente musicale, e con un'altra atmosfera ancora diversa cioè un luogo di ballo in cui la musica, i rumori, il dialogo fossero legati insieme. Infine una quarta atmosfera: il puro dialogo semplice, senza rumori, senza musica, senza niente (in Cinecittà anni trenta cit., p. 114) .
n film, dunque, è da considerare un'avventura pionieristica, un lavoro di frontiera nd passaggio del cinema italiano dal muto al sonoro. Passaggio in cui sia detto tra parentesi - avrà un ruolo decisivo un altro compo nente dd gruppo di «cinematografo», l'ingegner Ernesto Cauda che, con la sua perizia, colmò molti dei ritardi ddla tecnologia italiana nella fase di trapasso. -
Un'altra richiesta di Pittaluga, e forse anche la delusione per il falli mento di Resu"ectio, inducono Blasetti a iniziare le riprese di un film, Nerone ( 1 930) , di cui sarebbe stato semplicemente il «coordinatore tec nico ». Anche questo non ci è giunto intatto: i brani che possiamo vedere oggi fanno parte di una Antologia di Petrolini, curata nel 1952 dalla Ci neteca Nazionale in occasione della Mostra di Ven�ia, che raccoglie anche stralci di Medico per forza ( 1930) di Carlo Campogalliani. È presumibile che nel compilare l'antologia l'originale sia andato distrutto (sic): in ogni caso è oggi introvabile. Ci consola parzialmente l'affermazione di Blasetti: «Di quel che contava in Nerone non mi sembra sia andato perduto nien te». Il film è imperniato sulle qualità artistiche di Ettore Petrolini (anche soggettista e sceneggiatore: a riprova dd fatto che Blasetti tende qui a li mitare al massimo il suo ruolo) che si esibisce in alcune delle sue più popola ri maschere; mentre il filo narrativo, per altro assai tenue, è dato dal flirt na to fra Petrolini e una sua ammiratrice. Si tratterebbe, insomma, di semplice teatro filmato e l'importanza della pellicola starebbe tutta ndla maestria di Petrolini, mentre l'intervento dd regista non andrebbe oltre l'uso della mac china da presa ndla maniera più funzionale alla recitazione dell'attore. Qualcuno ha creduto di ravvisare, in Nerone, anche motivi di satira antidit tatoriale, e dunque antimussoliniana, ndla parodia ddla Roma dei Cesari. Ma questa tesi non convince molto. Anzi , sul piano soggettivo, è da re spingere: Petrolini e Blasetti erano leali verso il regime. Diverso è il di-
21
scorso sul piano oggettivo. Qualche elemento di satira antimussoliniana esiste, ma è assolutamente involontario : solo a posteriori, forse, è stato pos sibile leggerlo. Allo stesso modo, non convincono, anzi vanno rettificate, sia la tesi
del teatro filmato sia, conseguentemente, l'affermazione di Blasetti secondo cui egli sarebbe solo il « coordinatore tecnico ,. : è sicuramente qualcosa di più. Innanzi tutto, ha l'idea di far dire i titoli di testa a Petrolini : • Ma in somma il film muto è morto o non è morto, se è morto è inutile conti nuare con le didascalie, allora preferisco quarantasette morto che parla. Alla realizzazione di questo film hanno collaborato . . . » . Il che non è poco per i tempi. Poi, e ciò è ancora più importante, esibisce il teatro stesso (il palcoscenico con tanto di pubblico in sala) e · « si pone il problema delle riprese di un testo teatrale [ . . . ] in modo che si senta il più possibile la presenza della macchina da presa, sia attraverso i movimenti dei carrelli , che mediante la scelta di piani ravvicinati e di angolazioni variabili » (G.P. Brunetta, Storia del cinema italiano, vol. I , Roma 1979 , p . 473 ) . Il che non è poi cosi scontato : basti pensare al famoso carrello iniziale:
[ . . . ] avevo immaginato di aprire il film avanzando dal totale del « Variété • pieno di pubblico fino ad isolare l'attore sul proscenio : per chiudere [ . . . ] con il movimento opposto : che dall'attore isolato sul proscenio si allontanasse fino al totale della platea plaudente. Immaginazione oggi scontatissima, realizzazione oggi più che banale. Idea molto meno scontata, allora , perché pazzesca come realizzazione. Senza dire che allora dello zoom, con il quale oggi si fanno scher zando le montagne russe, non era nata nemmeno l'ombra dell'idea. Quanto ai carrelli si marciava o sulle rotaie che sarebbero « entrate in campo » ad un terzo della lunghezza della sala oppure su carrettelle a gomme, larghe il doppio dei corridoi tra le poltrone. Dunque: ·· nella platea di un teatro, niente carrelli , proibito. Che combinò, allora, il « matto con gli stivali » per meritarsi lo sfottente (e cordiale) battesimo? Intanto nel « Variété », ricostruito in studio, dispose il pubblico su tre file di poltrone, una centrale e due laterali, con l'avvertenza di mantenere nei due corridoi, tra le file, lo spazio sufficiente al libero scorrere di ruote gommate da camion, per poi, sulle quattro ruote, due nel canale di sinistra, due nel canale di destra, piazzare [ . . . ] una piattaforma per la macx:hina da presa, per l'operatore [ ... ] e per gli stivali del regista; ed assegnare la spinta-trazione del voluminoso marchingegno ad un drappello di
22
macchinisti [ . . . ] . E fin qui passi . Soltanto che per ottenere il massimo spicco della figura dell'attore sul proscenio avevo fatto collocare la macchina da presa, cioè la piattaforma, il più basso possibile con la semplificazione di un'alter natliva per le comparse-pubblico del settore sul quale doveva passare: o rinun ciare alla testa durante il passaggi o o abbassarla [ . . . ] era nata - se l'orgoglio non mi fa velo - l'esigenza, la richiesta formale dello zoom (A. Blasetti, in « Cinema Nuovo » , n. 2.53 , 1978).
Insomma, se è vero che Blasetti si mette « al servizio » di Petrolini, se è vero che egli mira con questo film soprattutto a fornire un « docu mento » della recitazione dell'attore (poiché è convinto che il cinema è un mezzo atto a riprodurre e tramandare nd ricordo) , è allo stesso tempo vero che il medium non è oggettivo e la presenza del regista si sente. Basta una carrellata per porre « la traccia soggettiva » , « la firma dell'autore » (Germani) . C'è poi chi, come Savio, ribalta addirittura i termini della que stione, affermando che « il tributo impersonale » reso da Blasetti a Pet� lini è « scarsamente " credibile " » : poiché alle « macchiette e agli acts di Petrolini, Blasetti dona un'ispida connotazione, una luce stranita od aspri gna, sovrapponendo la propria iattanza a quella dell'interprete » (Ma l'amo re no, Milano 1975, pp . XVII-XVIII) .
Blasetti ruralista Terra madre è, cronologicamente, il primo film di Blasetti che ci giunge intero. Girato nel 1930 , gode dell'appoggio governativo ed è prodotto anche in versione tedesca. Proprio in quegli anni , infatti, il fascismo co mincia a far uscire dai confini « la nuova immagine » dell'Italia e Te"a madre è giudicato adatto allo scopo. Il regista prosegue coerentemente il discorso lungo la linea « ruralista » inaugurata da Sole, passando dal tema della bonifica integrale a quello del « ritorno alla terra » , anch 'esso per fettamente funzionale alla politica economica e demografica dd regime. E per perorare la causa di tale « ritorno » costruisce l'opera sulla fonda mentale opposizione tra vita cittadina corrotta e vita rurale « sana » e su una serie di opposizioni minori che specificano ulteriormente l'assunto; 23
aà esempio : musica popolare - ballo contadino vs. musica jazz ballo borghese . Ovviamente il conflitto è risolto in chiave anticittadina con la conciliazione finale - ma sarebbe più esatto parlare di riconciliazione -
-
tra contadini e parte « sana » delle classi agiate.
È probabilmente questo
messaggio di tipo interclassista che ha indotto alcuni a vedere nel film una sorta di versione « agricola » di Metropolis. Ma, a differenza di Me tropolis, Terra madre è totalmente segnato dalla (starei per dire iscritto nella) figura del padre-patriarca-padrone, il duca (chiara allusione anche verbale al duce) .
Sin dalle prime battute il film postula l'esigenza dd « padre ». Addirit tura, il primo dialogo, che si svolge tra due contadini, è imperniato !òulla man canza del « padrone ». Dice il primo contadino: « Eh, i tempi del vecchio don Paolo, quello era un padrone ! ». Il padrone non c'entra, risponde l'altro: « Ci wole un buon massaro, giovane, e che sappia comandare ». Intanto è arrivato alla tenuta il duca Marco, padrone delle terre che però vive in città, accompagnato da una schiera di amici, tra cui Daisy, la sua amante, e uno specultore a cui Marco intende vendere la tenuta. I contadini accolgono felici il padrone e organizzano vari festeggiamenti ; c'è persino una specie di rodeo in cui si devono abbattere dei manzi prendendoli per le corna : anche il duca si cimenta e naturalmente riesce. Da quando è �rivato il padrone tutto riprende a funzionare e i contadini si aprono alla fiducia e alla speranza. Ma Marco è triste: a contatto coi suoi contadini, con la loro vita serena comincia a pentirsi della sua decisione di vendere ; per di più prova della simpatia per Emilia, la figlia del fattore, classico esempio di forza e salute che ha solo chi vive a contatto con la terra. Con lei Marco si confida: « Qui da voi si respira. Non avrei mai dovuto allontanarmene » . A questo punto c'è uno stacco . Gli amici dd duca ballano all'interno dd palazzo , al suono dd pianoforte, un motivo alla moda. Un altro stacco, e inizia il ballo folcloristico, al suono della fisar monica. Poi i cittadini se ne vanno. Dice lo speculatore : « Ma come si fa a vivere qui? ,.: Ribatte il duca: « Eppure questa gente ci vive da tnille anni » . Arriviamo cosl all'unica scena d ì ambiente cittadino di tutto i l film . Il duca gioca a carte, Daisy flirta con un corteggiatore, Marco quasi li coglie sul fatto, ma in quel momento squilla il telefono: la tenuta va a fuoco. � il segno del destino. Marco lasoia la città e vola in campagna. Là, sotto la sua guida, i contadini domano l'incendio. Poi il duca rompe le trattative e decide di non vendere. Come scriveva « Kinema » (gennaio 193 1 ) : « egli è tornato 24
per assumere le responsabilità di un padrone di terra amato dalle sue genti. Cosl la fede nel capo e nel lavoro è tornata in tutti , più salda che mai; e la vi ta dei campi riprende più fervida e più feconda. Marco è tornato uomo, rigenerato dal lavoro, dall'amore schietto dei suoi uomini, dall'amore per
la terra ».
Non c'è molto da aggiungere : la tesi del film è perfettamente allineata con la politica fascista. Più arduo è affermare che Blasetti sia il portavoce di una tendenza « strapaesana » , poiché pone e risolve il conflitto città campagna in chiave anticittadina : non solo in Sole e Terra madre ma an che, successivamente, in Palio e 1 860. Se prestassimo fede a Longanesi, uno dei principali teorici di Strapaese, dovremmo escluderlo : basti pensare ai giudizi che questi dà di Sole ( « una banale pellicola d'imitazione sovietica, con butteri ragionieri e contadini di via Veneto ») e di Te"a madre ( « Il capolavoro della retorica rurale, l'oleografia dei nuovi tempi ,. ) , oppure al programma « pre-neorealistico ,. enunciato dallo stesso Longanesi in « L 'Italiano ,. (n. l 7-18, 19 3 3 , monografico sul cinema) : Non credo che in Italia occorra servirsi di scenografi per costruire un film. Noi dovremmo mettere assieme pellicole quanto mai semplici e povere nella messinscena, pellicole senza artifizi, girate quanto più si può dal vero. 1:: appunto la verità che fa difetto ai nostri film. Bisogna gettarsi alla strada, portare le macchine da presa nelle vie, nei cortili, nelle caserme, nelle stazioni. Basterebbe uscire in strada, fermarsi in un punto qualsiasi e osservare quel che accade durante mezz 'ora, con occhi attenti e senza preconcetti di stile, per fare un film italiano naturale e logico.
Blasetti, da parte sua, è ben lontano da queste problematiche: altre questioni, all'epoca, lo angustiano. Ed è ancora più lontano - occorre ricordarlo? - dalle posizioni del « Selvaggio ,. dello " strapaesano " Mac cari che rifiutava il cinema come uno degli aspetti della « modernità cosl come si va configurando bastarda, internazionale, esteriore, meccanica • · Nondimeno, temi e problemi sollevati da Strapaese sono presenti nell'ope ra di Blasetti : quanto consciamente non sappiamo . Senza dubbio diretta, invece, è l'influenza di Stracittà e in particolare di un maitre à penser come
25
Massimo Bontempelli, il quale - non lo si dimentichi - collaborò anche alle riviste blasettiane. L'influenza di Bontempelli su alasetti è particolar mente evidente, come mostra la vicenda di Terra madre. Questo film ebbe un destino inverso rispetto a Sole. La critica, all'epoca, lo giudicò - salvo alcune eccezioni che misero in risalto il suo essere un passo avanti sulla via dd sonoro - sfavorevolmente, imputandogli una certa convenziona lità, mentre godette di un largo successo di pubblico . Il che a Blasetti non dispiacque affatto, come egli stesso dichiarò più avanti : Siccome Sole non aveva avuto un grandissimo seguito di pubblico, il mio vivo desiderio fu da allora in poi di avere invece il pubblico, cioè di poter parlare al grande pubblico, di cercare il suo linguaggio, i suoi temi, in maniera da poter andare al pubblico che mi sembra lo scopo principale fondamentale dell 'azione di un regista (in Cinecittà anni trenta cit., p. 1 18).
La «popolarità » del cinema è un leitmotiv ddla teoria e della prassi cinematografica blasettiana ed è mutuata da quanto andava allora affer mando Bontempelli in «900 » : il cinema è l'erede del teatro popolare e l'arte popolare per eccellenza del nostro secolo; la sua principale caratte ristica è quella di essere «spettacolo » : di qui il rifiuto del cinema d'avan guardia e l'elogio del cinema americano. Del resto, Bontempelli si era espresso cosl anche su una delle riviste blasettiane, «Lo Schermo » (30 ottobre 1926) : Il cinema « puro » come tutte le purità è distruttivo. Il cinema sta nel suo nascere come spettacolo, nel dover rispondere a una necessità : essere popolare. Esso vive in quanto c'è un milioni d'occhi che guardano. Naturalmente il mestierante è distruttivo e assurdo quanto il « puro ». Il successo si può otte nere da schiavi e da padroni L'arte cinematografica può diventare il fuoco centrale dell'espressione di un tempo e la più efficace educazione di un popolo. .
Circa un anno dopo, Blasetti scriverà su «cinematografo » due articoli assai importanti che ci consentono di misurare quanto egli sia lontano da Longanesi e quanto invece sia vicino a Bontempelli; ma che soprattutto ci permettono di specificare ulteriormente la sua concezione del cinema: un tutto fatto di spettacolo-industria-arte-politica. Nel primo articolo, pren-
26
dendo spunto da una lettera di Giuseppe Ceccarelli che suggeriva l'uti lizzazione del Pathé-Baby come strumento di propaganda per i bambini, con proiezioni fatte in famiglia, Blasetti lancia un invito a guardare oltre, « allo schermo che richiama le grandi folle per il magico [ un'eco del « rea lismo magico » di Bontempelli? ] dono di un'ora di imprevisto, di irreale, di sogno » (in « cinematografo » , 4-9- 1927). Nel secondo articolo, ideal mente collegato al primo, polemizza col fascismo che, a suo parere, dedi cava troppa attenzione al « cinema educativo » a scapito del cinema-spet tacolo :
Uno, e grande, è il valore del film « dal vero » : documentue. Altro, e grande, è quello del film d'ordinario spettacolo: ricreando, avvincere e con vincere. Una è la zona di possibile influenza del primo: la scuola, intesa nel senso più lato di palestra di studio e di ricerca. Altra è la zona di possibile influenza del secondo: la platea. All'uno spetta di affrettare il mondo sulla via del sapere. All'altro, che ha dominio infinitamente più vasto, che ha missione più spiccatamente volgarizzatrice, spetta di preparare al mondo la sua storia plasmando l'animo delle folle a quella idea sociale, a quello stile che il popolo più forte e più degno è capace di esprimere (in « cinematografo » , 2 .10.1927) . Improntato a questa « missione » , sebbene le preoccupazioni politiche siano molto meno evidenti che in Terra madre, è Palio ( 1931). Ciò appare chiaro, immediatamente dopo i titoli di testa, da una didascalia che ha un duplice scopo : da una parte « volgarizzare » , spiegare cosa sia il Pa lio - « Perché certamente, per quanto celeberrimo, il Palio non è cosi noto a Napoli e a Torino a Venezia o in Sicilia, come lo è a Firenze e a Siena » . Dall'altra anticipare quale sarà l'idea-guida del film : la forza e la schiettezza del popolo senese : insomma del popolo italiano. Sotto l'insegna del « populismo », Palio si ricollega a Terra madre, di cui riprende parzial mente anche la struttura oppositiva nel contrasto aristocratici-popolani ; ad esempio : là il pianoforte contro la fisarmonica, qui il sassofono contro i tamburi. « Nel campo di Siena ad ogni estate, da secoli, si corre il Palio, tipica espressione dello spirito combattivo della nostra gente. Più che una corsa è questa una lotta di rioni - le " Contrade " - che per la bravura del cavallo 27
ricevuto in sorte e per la valentia dd fantino si contendono un drappo di seta dipinta - il Palio - simbolo e ricordo dell'agognata vittoria. Popolani e signori vivono, in quei giorni, entro i confini di ogni contrada, la stessa ardente passione e tutto mettono in opera : danaro, astuzia, violenza, pur di condurre al trionfo i loro antichi vessilli » . Dopo l a didascalia, ci troviamo all'osteria del Fantino, ritrovo dei soste nitori della contrada della Lupa. Zarre, il fantino della contrada, già vincitore dd Palio dell'anno precedente e fidanzato di Fiora, è accolto festosamente. La sera, in casa della contessa Fortarrighi patrona della Lupa, arrivano le ragazze con i costumi per il Palio. All'uscita il dottor Turamini corteggia Fiora che si schermisce. Zarre ha assistito alla scena. Ingelosito, si lascia condurre da un gruppo di amici al caffè-concerto; là si invaghisce di una " sciantosa " che, d 'accordo con Bachicche, fantino di una contrada rivale, trama un'insidia ai suoi danni, onde impedirgli di prendere parte alla corsa. La sera precedente alla gara su invito della sciantosa, Zarre, dopo aver rotto il suo fidanzamento, si reca alla casa di lei e cade nel tranello tesogli : bastonato duramente dev'essere ricoverato all'ospedale. La contrada della Lupa è ora priva di un valido fantino e non ha più alcuna speranza di vittoria. Zarre, allora, abbandona l'ospedale e coraggiosamente prende parte alla gara. Mentre Fiora, ignara di ciò che sta succedendo, vaga per le strade completamente deserte in preda alla disperazione, Zarre vince il Palio. Poi i due si incontrano e si abbracciano.
La struttura narrativa è piuttosto « frammentaria » e l 'intreccio non è certo dei più scorrevoli (un'analoga incertezza di scrittura caratterizzava
Te"a madre) . All'epoca, si disse, a parziale giustificazione, che l'interesse del regista era rivolto prevalentemente agli aspetti figurativi e formali , e assai meno alla vicenda. In realtà , l'ambiente senese ha un notevole risalto. E il semplice fatto di aver portato sullo schermo il paesaggio italiano senza incappare nelle banalità dei « cineasti turistici » fruttò a Blasetti un dieci in « italianità » sappiamo quanto questa nozione fosse centrale nel ci nema degli anni trenta. Più avanti nell'elogio era però difficile spingersi . Chi ci provò indicò alcune sequenze « da salvare » : il che, forse, venne spontaneo data la frammentarietà del film . La sequenza finale , basata sul contrappunto tra il « movimento » della corsa e la « solitudine » delle strade prive di vita dove vaga una ragazza disperata, riscosse il maggior numero di consensi : tutti o quasi , da Emilio Cecchi in avanti, la elogiarono . Da parte sua , Blasetti pone « all'attivo della pellicola » semplicemente il -
28
fatto « di aver volgarizzato due attori comici di eccezionale valore, Ceseri e Sacripante, e di aver consegnato al cinema un altro forte attore: Mario Ferrari ,. .
Alla Cines con Cecchi
·
Il 5 aprile 193 1 muore Pittaluga. Blasetti gli rende l'estremo saluto con un articolo apparso su « Il Tevere ,. (7 aprile 193 1) . E, secondo il suo stile, non scrive un semplice epitaffio, bensi un appello a continuare l'ope ra del produttore scomparso. Stefano Pittaluga non si sostituisce. Ma non c'è bisogno di sostituirlo. Egli non ci ha lasciato di fronte ad una dura posizione da conquistare. La ha con quistata - purtroppo con il sacrificio della sua vita - e ce l'ha consegnata con un solo compito, con un solo dovere: non disertarla, saperla difendere. La sua azienda, da lui controllata fino all'ultimo respiro, in ogni pietra ed in ogni uomo, è un organismo vivo e vitale creato dalla sua intelligenza vigile di industriale e di commerciante, dalla sua solida capacità organizzativa, dalla sua indiscutibile conoscenza delle materie e degli uomini' [ . ] Non di sastro: pericolo che non tutti sappiano queste responsabilità comprendere e seguire l'esempio dell'uomo che ha fatto, ormai inesorabilmente, risorgere ca> nomicameote vitale e necessaria la produzione italiana. Stefano Pittaluga: presente ! .
.
E presente Pittaluga lo fu, in qualche modo, anche negli anni succes sivi. Non solo perché era stato lui ad impostare la modernizzazione del cinema italiano, costruendo teatri di posa adeguati per il passaggio dal muto al sonoro; non solo perché aveva realizzato un tipo di concentrazione dei ruoli (produzione, distribuzione, esercizio) che sarebbe continuata poi - del resto, il suo marchio « l'Anonima Pittaluga presenta ,. continuerà ad apparire fino al '35 . Ma anche perché aveva lasciato in eredità alla Cines e alla cinematografia italiana un modello binario (da una parte i generi con professionisti di sicuro mestiere, dall'altra la sperimentazioe e la poli tica dei giovani con Blasetti e il suo gruppo) , che si sarebbe ulteriormente
29
divaricato col suo successore alla direzione generale della produzione, il " letterato " Emilio Cecchi . Cecchi , appena arrivato alla Cines, radunò at torno a sé letterati e artisti, volgendosi decisamente verso « il film d'ar te » , a scapito dei generi che tutt'al più dovevano servire a finanziare i progetti « alti » . Ciò nonostante, non si abbandonò all'avanguardismo selvaggio » né trascurò la « popolarità » . Eppure, probabilmente a causa della sua fiducia illimitata (e illuministica) nella forza delle idee che avreb bero vinto alla fine sulle « ragioni » dell'industria, falll. Del tutto positivo, invece, fu il rapporto (quasi da maestro a disce polo) che intrattenne con Blasetti, indirizzandolo lungo una strada « reali stica » che sfocerà nei suoi due film più apprezzati dalla critica. « Cecchi parlava (poco) , io ascoltavo (molto) [ . . ] Fu lui a consigliarmi le Noterelle dell'Abba [ per 1 860 ] Ed è a lui che debbo la conoscenza di Viviani e la realizzazione de La tavola dei poveri », dirà poi il regista. Accanto a 1 860 e La tavola dei poveri va citato Assisi ( 1 932) : .
I l documentario Assisi fu una cosa di una certa importanza. Mi fu richiesto da Emilio Cecchi e fu presentato a Venezia devo dire con un successo piut tosto robusto. Ed è stato il primo documentario sul quale si è appuntata l'attenzione critica della ripresa del cinema italiano (in Cinecittà anni treni• cit., p. 144) . Alla Cines, del resto, era iniziata sin dall'arrivo di Pittaluga una pro duzione di cortometraggi. Dovevano avere una funzione formativa e prope deutica al film narrativo - ad esempio : Presepi di Ferdinando Ma ria Poggioli e Campane d'Italia di Mario Serandrei. Cecchi incrementò questa attività : oltre ad Assisi (che ovviamente non era un debutto, e si ricollega a Palio : vuoi per le « ricerche formalistiche » , vuoi per il discorso sul paesaggio italiano) , si possono ricordare: Cantieri dell'Adriatico di Um berto Barbaro, Littoria e Mussolinia di Sardegna di Raffaello Matarazzo , Il ventre della città di Francesco Di Cocco , Zara di Ivo Perilli, Paestum di Poggioli. Non tutti questi giovani imboccheranno la strada della regia (non la imboccheranno Barbaro, se non per una volta, né Serandrei né il pittore Di Cocco) . Per alcuni, invece (Matarazzo , Perilli e Poggioli) , fu proprio questo il preludio alla direzione di film di finzione.
30
Nel '32 Blasetti inizia anche la sua attività di docente, nella prima Scuola Nazionale di Cinematografia, sorta - sotto il patronato del Mini stero dell'Educazione Nazionale e della Corporazione dello Spettacolo presso l'Accademia di Santa Cecilia. Questo è in certo senso il naturale prolungamento della sua attività di giornalista e saggista, e una prova ul teriore del suo essere « militante a tempo pieno » per la rinascita del ci nema italiano che, tra le altre cose, necessita di nuovi quadri. Un telegra fico sguardo alle iniziative direttamente prodotte dal suo attivismo sfre nato - o che comunque sono sorte con il suo contributo -· lo conferma. Oltre alle riviste al cui spazio e ruolo abbiamo già accennato, Blasetti si muove in varie direzioni . Nel '27 bandisce quattro concorsi per autori, registi, scenografi e attori in collaborazione con la casa di produzione I .C . S.A . (una delle poche a godere di una discreta posizione economica) che si impegnava a scritturare i vincitori. Nel '29 con « cinematografo » dà un contributo essenziale alla fondazione dei Cine-Oub italiani ; nel '30 in col laborazione con la Pathé-Baby propugna la formazione di « gruppi filoci nematografici » , che avrebbero awto dalla Pathé-Baby particolari facilita zioni - come l'acquisto dell'attrezzatura a prezzo .ridotto - per la rea lizzazione di film (si prevede un premio in denaro per il miglior film Pa thé-Baby e il miglior soggetto) . Nello stesso anno nasce a Roma il Grup po Centrale di cultura cinematografica guidato da Blasetti, Luciano Doria, un organizzatore di cultura, Raffaello Matarazzo e Corrado Pavolini. Il Gruppo fonda il Cine-Oub d'Italia, che consentirà ai cineasti, in un periodo in cui la censura era pesante, di vedere i film in originale e in versione in tegrale ; e si batte per la costituzione della Scuola Nazionale di Cinemato grafia, che sarà istituita soltanto alla fine del 193 1. A Blasetti furono asse gnati « i corsi di sceneggiatura, regia e recitazione cinematografica insieme a una specie di direzione tecnica generale » ; a Guglielmo Zorzi « arte dram matica » e « recitazione teatrale » ; all'ingegnere Ernesto Cauda « tecnica luministica, ottica e fonica » . Già sappiamo che Blasetti diresse per la Cines, durante la gestione
Cecchi , La tavola dei poveri. Ciò accadeva nel 1932. Poco meno di trenta anni dopo, il regista parlerà senza ulteriore specificazione, di « Tavola dei 31
poveri di Raffaele Viviani
» (in Cinema italiano oggi cit.) . L'affermazione potrà sembrare errata. Ma in realtà non lo è. Giocando sul fatto che potrebbe benissimo alludere all'opera teatrale omonima da cui fu tratto il soggetto di La tavola dei poveri, Blasetti può parlare dd film dando il massimo risalto al contributo fornito da Raffaele Viviani come interprete e soggettista . Del resto, furono in molti ad avallare la tesi : « film costruito per la recitazione di Raffaele Viviani ». Vi fu anche chi si spinse oltre, come Solaroli, che lo definl « nazional-popolare ,. (naturalmente in senso posi tivo, gramsciano) e lo dipinse come il film più importante degli anni trenta, attribuendone tutto il merito a Viviani. Solo di recente, con l'acume che lo distingueva, Francesco Savio ha notato che si deve alla regia « fredda ,. e « distaccata » di Blasetti se i valori « patetici » dd . l'opera non vengono sentiti come tali, ma come « valori universali » . Forse, allora, è Blasetti a prevalere s u Viviani e non viceversa ; anche se tra i film blasettiani La tavola dei poveri è il meno blasettiano di tutti : a cominciare dalla trama.
Un nobile napoletano, il marchese lsidoro Fusaro (Raffaele Viviani) , pur essendo ridotto in miseria, non rinuruiia alle tradizioni di famiglia; tra queste: la beneficienza ai bisognosi. Cosl, assieme ad un gruppo di benefattori radu natosi a casa sua, prepara l'annuale pranzo per i poveri. Proprio in qud fran gente si presenta un mendicante che desidera affidare i frutti di anni di accattonaggio al marchese, pregandolo di conservarglieli momentaneamente. Fu saro acconsente e prende la somma, ma i presen ti la scambiano per un'offerta per il pranzo . Cosl quando il mendicante gli richiede indietro i soldi, proprio durante il pranzo dei poveri, il marchese si trova in una situazione estrema· mente difficile, alla quale riesce a far fronte in extremis, vendendo gli ultimi due quadri rimastigli al ricco industriale Volterra. La tesi del film che coincide con la filosofia di Fusaro-Viviani, viene esposta dal marchese stesso nel discorso ai poveri in occasione dd pranzo :
Ci sono due categorie di poveri : i poveri di spirito ed i poveri di mezzi ; voi appartenete alla seconda categoria. Categoria privilegiata perché ha istituti e provveditori in tutti gli angoli dd globo . .32
Viviani la precisa ancor meglio in un'intervista a « La Tribuna » ( 3 17- 1932 ) : A questo mondo c'è il vero povero e il falso povero. Il vero è quello che,
nascondere al mondo la sua miseria, ostentare con sussiego il solino inamidato e sopportare la fame senza tradirsi; è quello che non può attendere un sussidio da nessun comitato di beneficienza, ma deve, a volte, concorrere con un personale contributo alla beneficienza degli altri, mentre non ha nemmeno il danaro per pagare la pigione. Il falso è, invece, quello che indossa ufficialmente la divisa del povero, che reca in pubblico questa sua etichetta e ne fa una ragione di vita. Il falso povero può frequentare le cucine gratuite, ricevere in dono abiti smessi, pretendere sussidi in denaro e fare perfino delle economie. Egli è, dunque, ·il vero ricco della vita. Però il mondo s'ostinerà a ritenerlo per sempre un povero, mentre con tinuerà, nella sua ingiustizia, a classificare tra i ricchi l'altro: il vero povero, il povero dignitoso, il povero che muore di fame, conservando la sua aria signorile, il suo bastone di malacca, ch'è un ricordo di famiglia e ch'egli non darebbe per tutto l'oro del mondo, perché le memorie, diamine! sono tesori che bisogna custodire. spesso , deve suo vecchio
Niente di più lontano dal populismo di Blasetti, dai popolatii " sani " e schietti di Te"a madre e Palio (e poi di 1 860 ) . Qui, sono l'amarezza e la disperazione - condite magari dai paradossi e dall'ironia di Viviani che improntano l'immagine del popolo : una folla di straccioni - « vera mente straccioni, tutte persone prese dalla vita » , fa notare Blasetti affamati e senza possibilità di riscatto. Tanto più che - a differenza dei film precedenti e successivi - non hanno un " padre " che li possa guidare. Il protagonista, marchese Fusaro, è tutto eccetto che un " padre" : è un anti-eroe, un fallito, un horn loser. Cosicché l'ineludibile riconciliazione di classe finale avviene con gli auspici dell'industriale, l'avvocato Volterra; ed è in qualche modo vanificata dallo " sfondo " che si pone in antitesi con essa: la miseria e la fame di Napoli. Per di più, Blasetti, da buon ruralista, parteggia chiaramente per il marchese Fusaro, ricco di " umanità " , contro l'industriale Volterra, ricco invece di cinismo. Cosl, la scena delle 33
officine, con macchine e operai al lavoro, dove il marchese è completa mente spaesato, piuttosto che un inno alle macchine, al lavoro e ai futuri destini dell'Italia come grande potenza industriale, è semplicemente il simbolo di un mondo che ne sta cancellando un altro; e nell'economia del film una componente dell'elegia che Blasetti tesse sul tramonto e la decadenza di uno stile di vita incarnato dal nobile lsidoro Fusaro. Ancora una volta la struttura narrativa è « gracile » (come in Palio e Terra madre) ; ma questa volta da ciò il film « ne guadagna in auten ticità [ . . ] Pause, vuoti, tempi lenti acquistano sostanza, mentre nei due film precedenti facevano a pugni con l'eroismo e la forza che i prota gonisti maschili pretendevano di emblematizzare » (Aprà, op . cit . , p. 20) . Allo stesso modo, la regia di Blasetti e più misurata : non c'è la ricerca del l'esibizione del marchio del « direttore » su ogni fotogramma né della bella inquadratura a tutti i costi ; mancano certi audaci carrelli . Blasetti, insomma, adopera la macchina da presa in un · modo che potremmo dire " oggettivo " . (Manco a farlo apposta, una prodezza stilistica c'è anche in La tavola dei poveri: Blasetti infatti girò per la prima volta « con la luce a cavallo » , cioè appena calato il sole) . .
Remakes 1 860, sebbene qualcuno abbia creduto di vedervi una certa « debo lezza » di scrittura, è quasi unanimemente giudicato il « capolavoro » di Blasetti . E se non va considerato tale, certo è da porre, assieme a Vecchia guardia e a La corona di ferro, tra le sue opere più « rappresentative » : non solo - non tanto - perché la critica di scuola neorealista, succube di un modello storiografico di stampo finalistico, l'ha eletto tra i prin cipali incunaboli del neorealismo. Tuttavia, prima di affrontare 1 860, cor rettezza filologica impone almeno di accennare a due film che diacroni camente lo racchiudono : Il caso Haller ( 1933) che lo precede ; L'impiegata di papà ( 1934) che lo segue. Questi film hanno moltissime cose in co mune fra loro e invece molto poche con 1 860. Entrambi sono, come si diceva allora, « rifacimenti di successi stranieri » che « ebbero - nota
34
Blasetti - un loro breve momento quando giunse sul cinema italiano cioè sulla Cines che ne costituiva la massima parte, l'inevitabile ondata di crisi che doveva seguire circa un anno e mezzo dopo la morte del primo pioniere industriale della " rinascita " , Stefano Pittaluga » . Entrambi sono girati in tempo record : rispettivamente 9 e 1 2 giorni. Entrambi hanno per protagonista Memo Benassi e lanciano nuovi attori : il primo la già nota attrice teatrale Marta Abba, e Isa Miranda nel suo primo ruolo di un certo rilievo ; il secondo Maria Denis e Enrico Viarisio. Di entrambi Blaset ti tende - senza motivo - a giustificarsi adducendo il suo professionismo: lo faccio la profesllione del regista . Non sono l'alto ingegno che si produce soltanto quando può manifestarsi in una qualsiasi sua forma. No. Io sono un professionista come l'avvocato è avvocato, come il medico è medico. A un certo punto il medico può fare una grande scoperta o può operare un miracolo, e poi normalmente cura l'influenza, il tifo, il raffreddore (in Cinecittà anni trenta cit . , pp 122-3).
Entrambi, infine, e ciò andava detto subito, sono scomparsi . Scom parsi, ceno, perché un malinteso o affatto inesistente concetto di con servazione disdegnava di interessarsi ai film « non di autore » , e questi non lo sono ; ma anche perché nei confronti di opere che non si iscri vevano nella « nozione di italianità » - e questi appunto sono rifacimenti di film stranieri - è scattata una sorta di « rimozione collettiva » , « un unanime silenzio storico » (dr. Il neorealismo cinematografico italiano, Venezia 1975, pp. 366-8 ) . Quanto al soggetto dei due film, Il caso Haller racconta una vicenda di sdoppiamento della personalità del tipo di Lo strano caso del Dr. ]eleyll e del Sig. Hyde, mentre L'impiegata di papà è una « garbata » commedia che racconta il flirt nato fra due giovani, che dopo qualche equivoco giunge a buon fine. ·
rta Carmeliddu a .Genova, l'autonomista e il giobertiano litigano e abbandonano il loro posto che viene occupato da due tedeschi. Unica parziale eccezione l'Inghilterra : una società in glese finanzia la Società nazionale, ma il suo aiuto è interessato. Gli stranieri, insomma, sono nemici, con essi non vi è alcuna possibilità di comunicazione. Il riscatto dell'Italia può venire solo dagli italiani, pri vati della patria e della parola. Per essere esatti, tuttavia, privati della parola e impossibilitati a comunicare sono gli isolani : il pastore di Bla setti parla pochissimo e con frasi brevi e smozzicate, incarnando da una parte « il mito squadrista dell'azione » opposto al vuoto chiacchiericcio dei politici, dall'altra consentendo al regista di risolvere cosl il grosso problema della lingua . Blasetti, infatti, aveva a disposizione una lingua - il dialetto siciliano - assolutamente incomprensibile fuori dell'isola ; dunque il silenzio del suo protagonista diviene una scelta quasi obbli gata - felicemente obbligata - per la comprensione del film in tutto il Paese . Allo stesso tempo, il silenzio assurge a simbolo dell 'oppressione d'Italia.
43
Tra tante concordanze, coscienti o meno, c'è almeno un grosso mo tivo di discordanza riguardo all'interpretazione del Risorgimento . 1 860 propone una visione di tipo « populista ,. - omettendo, naturalmente, le sanguinose repressioni operate dai garibaldini - in cui le classi po polari hanno un ruolo ; mentre gli storici fascisti - ma anche gli altri hanno messo in evidenza, pressoché all'unanimità, come l'unità d'Italia sia stata realizzata da un'élite di aristocratici e borghesi . Il fatto che Bla setti si discosti da tale interpretazione, può significare molte cose. Ad esempio, da un punto di vista oggettivo, che non c'erano allora grandi controlli da parte del regime e, sul piano soggettivo, che il regista si pone in una posizione " arretrata " rispetto alla storiografia fascista. La prima proposizione è senza dubbio vera; la seconda lo è molto meno e in realtà più che di " arretratezza " sarebbe il caso di parlare di intui zione anticipatrice . Dice Blasetti : le classi « subalteme ,. della Sicilia condussero una lotta autonoma con fini autonomi - per quanto era pos sibile ad una classe priva di una propria leadership, di intellettuali or ganici per dirla con Gramsci . Cosa che, in storiografia e tanto meno al cinema, nessuno fino ad allora aveva detto. Il primo ad avanzare tale tesi sarà Salvatore Francesco Romano in Momenti del Risorgimento in Sicilia ( 1 953 ) ; la riprenderà poi Del Carria in Proletari senza rivoluzione ( 1966) . Questo è, più o meno, il succo del discorso di Del Carria: le masse popolari siciliane ebbero un ruolo da protagoniste, in quanto por tatrici di rivendicazioni economico-sociali " autonome " (la rivolta per l'occupazione delle terre, ad esempio) nel quadro di una situazione in surrezionale . La vittoria nacque dall 'incontro tra i picciotti e un grande generale nazional-popolare come Garibaldi. I Mille , insomma, « avreb bero fatto la fine dei fratelli Bandiera e di Pisacane senza la forza rivo luzionaria delle masse popolari siciliane ,. . Garibaldi lo intul subito e appoggiò con una serie di atti le rivendicazioni degli isolani, salvo poi rimangiarsi tutto a partire dagli episodi di Biancavilla e Bronte, cioè dalla fine (repressione) della rivolta contadina. Fin qui Del Carria . E il film ? Cetto, non dice esattamentè queste cose, né qualcuno dei suoi realizzatori le pensa in simili termini gau chistes. Però : mostra i picciotti in piena rivolta già prima dell'arrivo di .
44
Garibaldi (distruggono un'unità nemica, vengono sconfitti e imprigi� nati; poi si raccolgono in armi e corrono in processione incontro a Ga ribaldi come si trattasse di una « festa popolare • ) e ha per protago nista un pastore e più in generale il meridione d'Italia che, non lo si dimentichi, farà qui la sua ultima apparizione, poiché l'avvento di Freddi DC provocherà la eliminazione dagli schermi. Per contro : la direzione della lotta è totalmente in mano a Garibaldi e ad alcuni leader inter medi (Carini e padre Costanzo) e l'obiettivo finale non è la rivoluzione IOCiale ma l'unità d'Italia; inoltre, il personaggio principale, Carmeliddu, - come ha osservato Sorlin - non è i'demento unificatore del film, bensl rappresenta uno (quello popolare) dei diversi punti di vista, tutti egualmente significativi. Ossia, l'affermazione dell'autono� dei conta dini siciliani sarebbe in parte vanificata. Tuttavia, c'è almeno una scena ricca di implicazioni : siamo a Genova allorché si sparge la voce che Ga ribaldi non va più in Sicilia. La macchina da presa esplora la sede dd l'Associazione siciliana; prima ci mostra di sfuggita il ritratto di Vit torio Emanude Il, poi Carmeliddu e gli altri siciliani distrutti dalla no tizia. A un certo punto si odono dei rumori : all'Associazione nazionale li canta « Fratdli d'Italia » . Carmeliddu, allora, comincia a parlare: « Can tano bene i piemontesi », dice ironicamente; e continua : « loro che sono a posto, nelle loro case, con le loro donne, col pane sicuro ... » . La mac china da presa inquadra il ritratto di Pisacane, poi i siciliani si alzano infuriati, quasi che il canto sia oltraggio o scherno al loro dolore, e le loro ombre scorrono sotto l'immagine di Pisacane che campeggia. Non li sopravvaluta la portata di questo gruppetto di inquadrature se si co glie in esse una chiara allusione a problemi economico-sociali. E non è casuale l'insistenza sull'effigie di Pisacane laddove nella stessa scena li intravede appena qudla di Vittorio Emanude. In 1 860 i ritratti han no un'evidente funzione espressiva. Se qudli di Napoleone e Sofia di Ba viera alludono all 'oppressione straniera, le immagini di Pisacane e Vit torio Emanude sono un chiaro riferimento alle forze che faranno l'unità d'Italia, ma molto maggiore è l'enfasi posta sul ritratto di Pisacane, che - giova ricordarlo - fu il primo in Italia a criticare i rivoluzionari c formali » e a propugnare la necessità ddla rivoluzione sociale attraverso
la mobilitazione delle masse popolari, soprattutto rurali, da ottenersi puntando sulle loro rivendicazioni. In conclusione, il « populismo » di 1 860 non può essere liquidato, co me si fa per il populismo dd ventennio nero in genere, definendolo una delle maschere che il fascismo indossò per celare la sua reale natura di dittatura antioperaia. Va, invece, indagato più a fondo, cominciando dall'analisi dei legami che ha con alcuni temi che attraversarono la cul tura italiana nell'immediato dopoguerra e confluirono poi nd cosiddetto « fascismo di sinistra » : dal mito di derivazione jahieriana del sano popolo contadino a quello della giustizia sociale; dal regionalismo (Bla setti stesso sottolineò l'importanza dell'uso dei dialetti in 1 860) alla polemica antiborghese (caratterizzati negativamente, nd film, i borghesi si riscattano con la spedizione in Sicilia e solo grazie a Garibaldi e ai picciotti) ; dal mito del Risorgimento al culto di Garibaldi. Proprio Garibaldi è l'altro grande protagonista del film: appare po chissimo ma rappresenta la sintesi _suprema. Blasetti nd '.33 su « La Stampa » (cit.) pose il parallelo Garibaldi-Mussolini : parlando di « un Uomo » che porta la politica « dal campo della discussione a quello dell'azione », e di un gruppo di uomini che lo seguono « fregandosene di morire » . Tuttavia, anche in questo caso le cose non sono tanto sem plici. Come mettere in immagini Garibaldi? Il regista avrebbe potuto fame un eroe romanzesco e il materiale non gli sarebbe mancato (come insegna Omar Calabrese in Garibaldi tra Ivanhoe e Sandokan, Milano 1982) ; avrebbe potuto dipingere l'ennesimo santino dell'oleografia risor gimentale (era la via piu facile ed altri l'avevano già intrapresa: un Ga ribaldi appare nel catalogo Cines fin dal 1 907, Caserini nel ' 1 0 dirige Anita Garibaldi e molti altri seguiranno) ; avrebbe potuto tratteggiarlo nei panni dimessi della quotidianità, non intento a pronunciare frasi buone per i futuri manuali di storia ma alle prese con le beghe di tutti i giorni (ci proverà Rossellini in Viva l'Italia! - 1 960 - e la retorica· but tata dalla finestra rientrerà puntualmente dalla porta) . Blasetti sfugge a que ste trappole ; non mostra, anzi fa vedere appena Garibaldi. Se non ho con tato male, l'eroe dei due mondi appare fisicamente in sei inquadrature e molto rapidamente: tra queste, una in campo lungo, la !Ùtre in campo
46
medio o in piano americano. Nondimeno, la sua presenza incombe : Ga ribaldi è il demiurgo. Il che è vero. Ciò che non regge, invece, è l'equa zione Garibaldi-Mussolini. Gian Piero Brunetta (cit. ) ha spiegato che nell ' Italia degli anni trenta l'unico vero divo fu Benito Mussolini e che il suo divismo, a differenza di quello hideriano veicolato dalla radio era necessariamente visivo : Mussolini doveva essere visto - almeno fino al '36 anno in cui torna a regnare la parola . Il mito del duce era costituito di immagini e i cinegiornali ne trasmettevano « il gesto • · Dunque, si trattava di una forma di divismo tutta fisica, prodotta da una accumu lazione di presenza. Se allora vogliamo trovare un rapporto col Garibaldi incorporeo di Blasetti, dovremo necessariamente individuarlo nella fi gura del grande uomo, quello che fa la storia. Ma ciò significherebbe, quanto meno, restare sulle generali . Anche questa volta il cinema di Blasetti sembra condizionato dalla immagine del padre ; anche questa volta sembra trattarsi di un apologo sulla conciliazione delle classi: un invito all 'embrassons nous. Ma giudizi siffatti sono quanto meno riduttivi. 1 860 ha molte frecce nel suo arco ed è estremamente difficile incasellarlo dentro schemi precostituiti. E proprio · come film storico esibisce le sue migliori qualità : infatti, non si limita a riproporre interpretazioni storiche dominanti, né si adegua pe dissequamente ai testi né, tanto meno, rivela un'attenzione pedantesca al dettaglio storiografico. Ossia, pur riflettendo la mentalità e l'ideologia di un'epoca, non è ad esse " subalterno " , poiché introduce differenze, scarti, abbozza " intuizioni " . Come ebbe a dire Blasetti parlando della realizzazione di 1 860 : In partenza non sono andato a leggermi i libri che raccontavano quei fatti storici, non mi sono riferito agli storiografi . Ho preso un individuo che aveva vissuto quelle vicende, il signor Abba e ho cercato di restituire il clima di quel libro (in Cinema e storia, Ferrara 1960, p. 1 5 ) .
Un film fascista Il 1 934 segna l'apice dell'impegno politico di Blasetti a fianco del fascismo e, allo stesso tempo, l'inizio del suo progressivo allontanamento
47
dalla politica. Come dire che Vecchia guardia• definito più tardi « l'unico film sinceramente fascista che sia stato realizzato durante il ventennio » (Cosulich) , incrinò il rapporto di Blasetti col regime. Del res to , il 1934 è un anno fatidico per tutto il cinema italiano. Come ha notato Aprà (op . cit ., p . 32) : Si può scegliere proprio Vecchia guardia per chiudere in attivo una breve stagione di sperimentazione cinematografica, sollecitata dalla povertà delle strut ture e dei quadri, dal tentativo direttivo di Cecchi e dall 'anarchia imperante dopo il fallimento industriale della Cines. Acciaio, 1 860, T'amerò sempre, Treno popolare nel 1933, La signora di tutti, Come le foglie, Il cappello a tre punte, Seconda B nd 19.34 possono dare l'impressione di una cinematografia già prestigiosa ; sono invece casi isolati, che possono permettersi il lusso di non risentire della produzione di genere che preme alle spalle e che, quanti tativamente, « fa ,. il cinema.
In questa congiuntura, e proprio in quell'anno, nasce la Direzione Generale della cinematografia che segna una svolta nell'intervento dd regime verso il cinema. E vero che il fascismo si interessò « abbastanza presto » (Brunetta) allo spettacolo cinematografico: sin dal '24, infatti, rafforzò la censura amministrativa e creò l'Istituto LUCE; nd '3 1 poi varò una legge che dargiva contributi pari al 1 0 % sugli incassi ai film nazionali ; nel '33 impose ai gestori di proiettare un film italiano ogni tre stranieri e istitui una fotte tassa di importazione, oltre a vietare la proiezione di film in lingua originale. Ma solo con la Direzione Gene rale lo stato fascista inaugurò un progetto di controllo e coordinamento di tutto il cinema nazionale sia privato che pubblico. Alla guida ddla Direzione venne chiamato Luigi Freddi, giornalista ed inviato speciale del « Popolo d'Italia » , che aveva cominciato ad interessarsi al cinema, relativamente tardi, alla fine degli anni venti. Pochi anni dopo, però, prendendo spunto da un viaggio a Hollywood, stilò un rapporto sulla cinematografia americana che, finito sotto gli occhi di Mussolini, gli aprl la strada al controllo del cinema nazionale fino al r1 939. I cinque anni che vengono comunemente definiti « era Freddi » , furono caratterizzati da un intervento via via più massiccio dello stato. Era profonda convin-
48
zione di Freddi che la cinematografia nazionale non sarebbe potuta so pravvivere senza aiuti economici da parte dello stato che, in compenso, ne avrebbe ricevuto un sostegno ideologico. Sostegno che non doveva essere esplicitamente propagandistico ma teso a propugnare la pace so ciale, ad accreditare, insomma, dopo il fascismo in camicia nera quello in « doppio petto » . Cosi, non si dovevano esaltare gli anni della marcia su Roma né i manganelli e le squadre, anzi bisognava rimuoverli, fa vorendo un cinema di pura evasione e divertimento. Freddi sembrava aver capito che la forza del cinema come strumento di propaganda non sta tanto nel lanciare messaggi " diretti " quanto nel suo essere uno spet tacolo che si rivolge all'immaginario dello spettatore, attraverso quello che potremmo definire un discorso " indiretto " . Come è stato più volte ripetuto� il " vero " cinema fascista divenne allora quello dei « telefoni bianchi » del conformismo e dei buoni sentimenti, mentre le opere che ritornavano agli anni violenti della « rivoluzione » ebbero tutte vita difficile: da Camicia nera ( 1 93 3 ) di Forzano a Ragazzo ( 1 9 3 3 ) di Pe rilli - del resto chi s'è preso la briga di contare i film " fascisti " dal '29 al '43 non è andato al di là di sette titoli, su un totale di oltre set tecento. Nemmeno Vecchia guardia piacque a Freddi, ed egli lo dirà chiara mente nelle sue memorie (Il cinema. Miti esperienze e realtà di un re gime totalitario, Roma 1 949) :
Dentro di me pensavo che il mio dovere sarebbe stato di bocciare il film, anche per fare un'affermazione di principio, in quanto il regime, secondo me, non aveva certo bisogno di quelle riesumazioni e di quei lenocini, che invece potevano suscitare e provocare reazioni dannose [ . . . ] Non proibii il film, !imitandomi a !asciargli percorrere la sua carriera [ . . . ] . Secondo la testimonianza di Blasetti, invece :
Se il film vide gli schermi, fu semplicemente grazie a Corrado Pavolini, critico del « Tevere », il quale aveva simpaticamente seguito la mia carriera, criticandola aspramente quando era necessario, ma anche accompagnandola con intelligenza e affetto. E quando seppe che questo film, che aveva visto e aveva approvato era stato bocciato, ne fece immediatamente parola a suo fratello
49
Alessandro, il quale vide Vecchia guardia, condivise l'opinione dd fratello e portò immediatamente il film a Mussolini . Mussolini si commosse addirittura, anzi si dice che avesse le lacrime agli occhi nel finale, e ordinò che il film passasse immediatamente [ . . . ] e integralmente senza alcuna modifica né niente (in Cinecittà anni trenta cit. , p. 1 3 1 ) .
Vecchia guardia piacque anche a Hider e a Goebbels, e pure ai cat tolici, che proprio nel '34 avevano costituito il Centro Cattolico Cine matografico col compito di recensire e giudicare, sotto il profilo mo rale, tutta la produzione cinematografica circolante in Italia - corto metraggi e lungometraggi . Cominciarono ad apparire allora i cosiddetti « giudizi » , che costituiscono ancor oggi un corpus normativa per la fruizione cinematografica da parte delle masse cattoliche. Vecchia guar dia venne giudicato « adatto per tutti » e presentato piuttosto favore volmente. Il che è facilmente comprensibile ; per averne una conferma basta scorrere la trama. « Questo film - dice la didascalia di apertura - vuole esaltare tutto lo squadrismo d'Italia e far rivivere momenti che nessuno deve dimenticare. L'azione si svolge in una piccola città dell'I talia Centrale nell'ottobre del '22 alla vigilia della Marcia ,. .
Un gruppo di squadristi ritorna , all'alba, da una spedizione . Roberto, uno di essi , rientra in casa, e Mario, suo fratello più giovane, lo informa che gli infermieri dell'ospedale sono entrati in sciopero. Poi Mario ritorna ai suoi giochi e Roberto si mette a conversare dalla finestra con Lina, una maestra che insegna nelle scuole elementari del paese. Il dottor Cardini , padre di Mario e Roberto e primario dell'ospedale, es sendo stato informato dello sciopero in atto, va immediatamente a discutere con gli infermieri per cercare di farli recedere : il vostro è un posto di respon sabilità - egli dice -, tanto più che i medici scarseggiano. Ma gli infermieri non gli danno ascolto. Poi Cardini cerca di telefonare ma il teldono non fun zione : niente funziona in quest'Italia . Allora va in municipio, ma vi trova solo l'usciere : il sindaco, l'assessore, il segretario sono in giro per i fatti loro. Al paese, intanto, arriva un parlamentare socialista. Mario e Marcone gli giocano un tiro; lo conducono in una barberia, che è abituale luogo di ritrovo dei fascisti, e gli radono metà barba. Cardini , da parte sua, si è rivolto anche al commissario che però non vuole o non può intervenire. « Mi rivolgerò al
.50
fascio, allora ! ,. esclama Cardini . I socialisti, intanto, per vendicare l'affronto
fatto al deputato, assaltano rumoreggiando il negozio del barbiere, ma la loro
azione ha scarso risultato : uno di loro colpisce con un sasso un bambino un occhio. ·
ad
Il pazzo Tralicò fugge dal manicomio in cui non c'è più sorveglianza ; ha pezzo di ferro . Mario, che è un suo grande amico, interviene e lo rabbonisce. Poi gli squadristi « danno una lezione » agli scioperanti e li inducono a ritornare al lavoro. Al manicomio, Mario e Tralicò parlano tra loro; il primo chiede: « E quando non c'è il sole? ». « C'è la luna ,. , risponde l'altro. c E quando non c'è la luna? ,. . « Ci sono le stelle ». « E quando non ci sono neanche le stelle, che è tutto nuvolo e tutto scuro ? » . « No - risponde Tra licò non è mai tutto scuro c'è sempre qualche cosa che fa luce • ·
in mano un
-
I l giorno successivo gli squadristi riaprono le scuole e s i arriva quasi allo scon tro con « i rossi •· A sera, viene meno la luce a causa di uno sciopero alla centrale dettrica. I fascisti si radunano per una spedizione contro gli scioperanti della centrale. Mario dice: « Questa sera alla luce ci penso io » , e finge d i andare a letto; i n realtà s i nasconde i n u n camion. Il dottor
Cardini che voleva prendere parte alla spedizione, viene riman
dato a casa. Appena i camion giu.1gono nei pressi della centrale, Mario balza fuori dal suo nascondiglio ed è falciato da una fucilata . Gli squadristi al colmo
della collera piegano rapidamente la resistenza degli scioperanti.
All'alba, i camion ritornano al paese: si ripete l'inquadratura iniziale. In breve tempo si diffonde la notizia della morte di Mario mentre la macchina da presa esplora la camera del bambino. Questo olocausto provoca una generale e spontanea riappacificazione e molti degli op,positori si vanno ad iscrivere al fascio, dove per un attimo appare un ritratto di Mussolini. Scende la notte e i fascisti si radunano : è la notte precedente la « marcia su Roma » . I camion corrono lungo l e strade d'I talia, e una didascalia i n sovrimpres
sione recita : « E insieme ai vivi marciavano i morti che. all'appdlo del duce
erano tutti risorti » . Poi, ancora camion in corsa e un'altra didascalia : « E i morti e i vivi e l'armi e le bandiere baciò l'alba di Roma, Vecchie Camicie nere! » . Le squadre sono giunte a Roma: è l'alba, la luce.
Vecchia guardia, film « fascista e squadrista » (Sacchi) , colloca Bla setti a pieno titolo nel « fascismo movimento ,. - se la definizione di De Felice ha un senso. Come del resto facevano i film " politici " pre cedenti, anche se in modo meno preciso. Un filo " nero " unisce Sole, 51
Te"a madre, 1 860 e Vecchia guardia, ma soprattutto con 1 860 i legami sono molto stretti, a partire dal medesimo insuccesso di pubblico. En trambi si risolvono con un viaggio attraverso l'Italia. Entrambi pongono il fascismo come erede di un episodio della storia patria. Di 1860 si è detto. Vecchia guardia, invece, elegge il regime a continuatore della grande guerra attraverso il « reducismo » : Roberto stesso è un reduce ; in una scena i mutilati di guerra protestano contro i socialisti, in un'altra appare il ritratto di un ufficiale della prima guerra mondiale. Entrambi sono « precedenti riconosciuti del neorealismo » , solo che il primo è girato en plein air, è un film diurno e luminoso, il secondo è notturno con una fotografia buia, cupa. Tanto che Savio è giunto a parlare di « matrice stravolta ed onirica » e di « ossessione espressionista » . Altri invece non ne hanno parlato per niente : esemplare è la rimozione totale operata da Solaroli in Da Rotaie a Ossessione, apparso a puntate su « Ci nema nuovo » nel '53 . Questo scritto, tutto teso a rinvenire gli ante cedenti del neorealismo nel cinema degli anni trenta, espunge Vecchi4 guardia e ciò rivela l'imbarazzo della critica neorealista nei confronti del film . Se comunque la discussione su antecedenti e derivazioni ha un senso, credo che Vecchia guardia sia da iscrivere nel filone realistico, e per la ricerca del particolare « quotidiano » e per il suo stile scarno ed essenziale. « Semplicità di vocabolario e di sintassi » , come scrisse Cor rado Pavolini in una recensione su « L'Italia Letteraria » del 1 5 dicem bre 1934, e anche « piana efficacia di racconto » ; e bisognerebbe ag giungere: una struttura narrativa che, coerentemente col messaggio del film, si sviluppa come ricerca o viaggio verso la luce. Il film si apre e si chiude su due albe, una terza segna il ritorno vittorioso da una spedizione ma anche la morte di Mario. Le azioni decisive condotte dagli squadristi avvengono sempre di notte e si concludono all'alba (di notte gli squadristi « riducono alla ragione » gli infermieri ; di notte ri mettono in funzione la centrale elettrica ; di notte partono per Roma; di notte, infine, muore Mario} ; di giorno tutt'al più si potrà- fare uno scherzo - pesante - a un onorevole socialista. È quasi uno scontro manicheo tra la luce e le tenebre (il bene e il male) . Questo scontro si risolve solo con un olocausto (la morte di Mario) che conduce alla 52
notte e all'alba decisiva della marcia su Roma, cioè alla conquista della luce. Ciò, naturalmente, conferisce qualche fondatezza anche alla tesi di Savio, ulteriormente confermata dal fatto che è il pazzo Tralicò il por tatore della saggezza : c'è sempre qualche cosa che fa luce. Corrado Pavolini, vero e proprio nume tutelare di Vecchia guardia, ba sottolineato un altro importante aspetto dd film :
Si sa oggi cos'è, ahimè, l'c italiano ,. del teatro e del cinema: una sbalor ditiva menzogna messa in giro da attori analfabeti e cafoni i quali si sono ficcati in capo d'essere supremamente « distinti ». � il francese delle logore pochtules tradotto alla peggio e pronunciato con accento vagamente settentrio Dale. Una lingua italiana tuttavia esiste: e non soltanto nella letteratura. � quella che parlano, con cadenze diverse, tutti 8J.i italiani per bene: ovverosia la enorme maggioranza degli italiani. I dialetti sono per l'appunto la lingua; con differenze da regione a regione - chi astragga dagli accenti - in ultima analisi minime, trascurabili. Si è tuonato molto, in questi ultimi anni, contro i dialetti: ma c'è stata forse una piccola confusione. S'è scambiato cioè il dialetto - la più innnocente delle intonazioni - con lo spirito dialettale la più odiosa e la più intollerabile sopraVvivenza di epoch� asfissianti, quando nessuno vedeva più in là del proprio naso e la cronaca dell'Italia meschina si svolgeva sonnecchiando tra il farmacista e il segretario comunale. Combattere il regionalismo è opera santissima: ma voler distruggere i dialetti è non solo praticamente impossibile ma idealmente errato. Nei dialetti è il lievito stesso della lingua unitaria; essi sono i vivai inesauribili che arricchiscono c man tengono giovane la lingua. Perché dunque fingere che esista un « italiano ,. che· non esiste, e parlare sulla scena o sullo schermo un esperanto da filodram matici? A meraviglia ha fatto Bli.setti, in una pellicola a protagonisti popolari, lasciandoli discorrere ciascuno come gli veniva fatto, ciascuno come dalla mamma aveva appreso. N'ha guadagnato la vivacità della recitazione, n'ha guadagnato la c aedibilità • stessa del film, n'ha guadagnato, dirò , perfino l'idea che il regista si proponeva di esaltare, in quanto con la semplice e franca accettazione del dato di fatto che i dialetti ci sono, ha potuto, pur concentrando l'azione in uaa sola cittadina di provincia, suggerire il senso che l'Italia tutta parteci pava al moto delle Camicie Nere. Non vedo come quegli scalcinati sublimi aquadristi, quelle donnette d'oro, quei balilla di domani avrebbero pouto parlare l'italiano immaginario di Paola Borboni. O sl lo vedo: ma come vedrei ''
film dove per rappresentare la Marcia su Roma le camicie nere s'andassero a comprare da Zingone (in « L'Italia letteraria » cit.) .
un
Pochi giorni prima Blasetti era intervenuto, con un'intervista con cessa a Domenico Meccoli, sullo stesso problema :
:t indiscusso che al cinema spetta come dovere la funzione divulgatrice e quindi unificatrice della lingua [ . . ] in Vecchia guardia, dove si tratta di popolo, pur cercando di conciliare la verità viva del parlato con la funzione unificatrice che spetta al cinema, il sarto, il barbiere, il contadino parlano come parlerebbe un sarto, un barbiere, un contadino e non come un attore che li interpretasse. E cioè, non il dialetto, ma un italiano parlato e non scritto che risente soltanto di alcune cadenze e tonalità venete, toscane, ro magnole, lombarde, romane, incancellabili, se non ricorrendo a quella musi calità standardizzata della pronuncia che in Italia esiste solo sui palcoscenici di antica tradizione francesizzante (in « Il Lavoro Fascista », 9 dicembre 1934 ) . .
Se è vero che « in Italia soltanto Blasetti si è avvicinato alla realiz zazione di un film sociale: Vecchia guardia » (F. Sarazani, in « Cinegior nale », n. 1 6 , 1 935) , è altrettanto vero che dopo questo film il regista si allontana progressivamente dall 'engagement verso i grandi temi della società e dunque anche dal problema dell'unificazione linguistica risolto attraverso la « verità viva del parlato » . La svolta in senso " evasivo " appare ancora più sorprendente , qualora si ponga mente al fatto che Blasetti, sempre nel 1 93 4 , diresse uno spettacolo teatrale all 'aperto, di grande impegno politico e spettacolare. Si trattava di 1 8 BL che, servito da duemila interpreti e gigantesche scenografie, celebrava la storia della fascistizzazione dell'Italia attraverso la vicenda di un unico protagoni sta : un camion ,1 8 BL, appunto, che prima era stato in guerra, poi aveva trasportato le Camicie nere nei loro raid squadristici e nella marcia su Roma, e infine era stato utilizzato nella bonifica delle terre.- Lo spet tacolo fu rappresentato un 'unica volta, a Firenze, il 29 aprile e si risolse in un colossale insuccesso, da attribuire, secondo Blasetti, a problemi di carattere tecnico. 54
Progetti falliti e film d'evasione A causa di Vecchia guardia, Blasetti fu « perseguitato per un bien nio dalla Direzione Generale, corse « addirittura il rischio della fame » . Ecco la sua versione dei fatti (in Cinecittà anni trenta cit. , p. 1 34-5) :
Mi chiamò Ciano e io proposi due temi: Scipione l'Africano e Ettore Fie ramosca. Partendo molto largamente da D'Azeglio, per Fieramosca la mia idea era di battere su quella che dei francesi è sempre stata la cosa più fastidiosa: la sulfisance [ . . . ] Viceversa, Scipione l'Africano aveva un'intenzione diciamo trionfalistica, cioè aveva un'intenzione esaltativa. Esaltativa di cosa? Della forza di Roma. Ma questa forza partiva da una posizione di debolezza . Cioè partiva dalla disfatta di Canne [ .. . ] Scipione l'Africano lo si vedeva una volta sola, in Africa, nd momento del suo incontro con Annibale. Lui era a cavallo con Lelio, soli, e Annibale invece veniva con un seguito di cinquecento numidi, insomma con una grande messa in scena a questo incontro; e am moniva paternamente il giovane romano di non contare troppo sulle sue forze, mentre il romano non rispondeva affatto. Alla fine dd discorso di Annibale, le uniche parole che avevo pensato per il mio Scipione l'Africano erano in latino ed erano queste: si curvava, raccoglieva una manciata di sabbia, la rigettava e diceva: « Teneo Africa ». Basta. Scipione l'Africano non avrebbe detto altro. Questo era il mio Scipione l'Africano. Naturalmente alla mia proposta fu risposto che era completamente assurdo [ . .. ] . Il film, come abbiamo detto, fu affidato a Gallone che ne trasse una cosa completamente diversa : un lavoro retorico e magniloquente, non privo comunque di alcune scene suggestive. Il Fieramosca, invece, « lo annullarono totalmente pensando di far fare I Condottieri e chia marono Trenker » . Cosl, obtorto collo, Blasetti dovette accettare Alde
baran ( 1935 ) .
M i fu proposto di fare un film sulla marina da guerra in tempo di pace. allora io lo impostai sul bisogno di questi uomini di mare di ritornare a un certo momento alla terra e alla famiglia, sottraendosi al loro continuo pere grinare sul mare . Ne venne fuori questo film che è un film assolutamente ano dino, privo di qualsiasi ragione fondamentale di esistere, se non quella che E
bisognava che io lavorassi perché avevo anche allora da pagare le tasse oltre
che famiglia.
Tuttavia, a prescindere dal fatto che Aldebaran è andato perduto, rileggendo quanto all'epoca e dopo si scrisse, viene da pensare che il giudizio retrospettivo di Blasetti sia eccessivamente duro, non foss'altro perché egli si rifiutò di tessere un retorico elogio delle glorie della regia marina e non si limitò a sfruttare la suggestione che poteva derivare dalla bellezza dell'ambiente e dallo splendore delle divise dei marinai, nel senso indicato da Mino Doletti alcuni anni prima : « E si faccia un film marinaresco : di mare ce n'è tanto. La cinematografia è in gran parte, un problema estetico: di suggestione e di estetica: e la divisa dei nostri marinai è troppo bella nella sua semplicità perché non debba affascinare il pubblico » . Bensl concentrò l'attenzione sul conflitto tra passione e dovere nella vicenda di un ufficiale che sta per compromettere la sua carriera a causa della gelosia nei confronti della propria moglie. Naturalmente, la storia ha un happy end, ma il contrasto tra pub blico (il dovere militare) e privato (la tensione affettiva verso la mo glie) resta probabilmente irrisolto : un indizio di ciò lo si può trovare in quello « spiacevole senso di ibrido » - sono parole di Blasetti che proviene dal film e che è dovuto, probabilmente, alla mancata fu sione tra la dimensione individuale e sentimentale e quella collettiva. A titolo di semplice curiosità, va anche ricordato che il film fu citato a giudizio per plagio dall'ammiraglio Guido Milanesi ; e che Blaset .ti vi appare pochi secondi, per l'unica volta nella sua carriera, in un ruolo « di finzione » , quello di un telegrafista. Era apparso e appa rirà, invece, in altre pellicole, ma sempre nel ruolo di se stesso: in Nerone, in Bellissima ( 195 1 ) di Visconti, in Una vita difficile ( 196 1 ) di Dino Risi e nel televisivo Il mistero di Cinecittà ( 1977) di Mario Perrero. Particolarmente importante la partecipazione a Bellissima, poi ché, nonostante Visconti abbia affermato di aver « messo dell'ironia » nel personaggio del regista, accompagnando la sua entrata in scena con un motivo tratto dall 'Elisir d'Amore di Donizetti e intitolato Tema del ciarlatano, con questo film il cinema italiano stabili chi dovesse incar nare, almeno negli anni cinquanta, il corpo del regista italiano .
.56
Contessa di Parma ( 1 937 ) , il film successivo, rientra anch'esso nd genere « evasivo » . E per ciò stesso Blasetti tende a giustificarsi : « Avevo assolutamente bisogno di lavorare, quindi proposi questo film di tele foni bianchi pressappoco per avere un lavoro. Basta » . In un'altra inter vista, sempre della metà degli anni settanta, rincara la dose, definendolo assieme a Retroscena, evasivo anche quello, « il più cretino dei film che ho fatto » . Eppure, nel '37 , vi aveva trovato anche qualche pregio: la « spigliatezza del dialogo » , la « vivacità della recitazione » , il « ritmo delle diverse sequenze » , ad esempio. Pregi che senza dubbio al film vanno riconosciuti, e che la critica all'epoca gli riconobbe - come del resto il valore documentario degli esterni dal vero, girati negli ambienti dell'alta moda torinese. Gli fu rimproverata, invece, la convenzionalità del soggetto, imperniato su una love story tra un'indossatrice lanciata col nome di « Contessa di Parma » (Elisa Cegani, nel suo primo ruolo di rilievo) e il centravanti della nazionale (personaggio ispirato al po polare calciatore Felice « Farfallino ,. Borel) . Il film, -comunque, ebbe un buon successo di pubblico e ciò per il fatto che metteva in scena due mondi assai popolari : quello della moda e - cosa insolita nel ci nema dell'epoca - quello del calcio. Politica e spettacolo Blasetti , in questi anni st e piuttosto defilato dal dibattito sui de stini del cinema nazionale, dedicandosi, con alterne fortune, prevalente mente alla regia ; ma quando rientra nella discussione lo fa con l'impeto che gli è caratteristico, scrivendo nell'arco di due mesi (maggio e giu gno '37) tre lunghi articoli per « Il Giornale d'Italia » , « Kinema » e c Cinegiornale » . In questi articoli fc;>calizza l'attenzione su quello che ritiene il nodo fondamentale da sciogliere (il rapporto tra intervento dello stato e iniziativa privata) e avanza una proposta proprio nel momento in cui Dino Alfieri succede a Ciano al Ministero della cultura popolare. Il nuovo ministro favorevole al non intervento, si scontra immediatamente con Freddi , che teorizzava il controllo da parte dello stato di ogni fase della ,
57
produzione commerciale. Dallo scontro venne fuori la « famigerata » c legge Alfieri » che passò, nonostante la « tenace » opposizione di Freddi, e che in sostanza attribuiva ai produttori premi proporzionali all'introito lordo dei film. Freddi dirà più tardi che la legge « aveva scatenato una vera baldoria produttiva » ; e - aggiungiamo noi - aveva dato inizio al declino dello stesso Freddi che, dopo essere stato battuto anche sulla legge del monopolio dei film stranieri, fu messo da parte. Ma qual è l'opinione di Blasetti? Anzitutto, egli si dichiara favorevole all'inizia tiva privata, indirizzata e appoggiata dallo stato, naturalmente ; è contra rio, invece, all ' « unico tipo di produzione verso cui tutti si orientano oggi » , quella « del filmetto in econotnia » che consente di speculare sul « piccolo margine dei buoni e del premio » statali, ma certo non favorisce l'affermazione di un'industria cinematografica italiana (dr. « Il Giornale d'Italia » , 1 8 maggio 1937) . In polemica con Chiarini, poco meno di un mese dopo, Blasetti precisa che non per questo lo stato non deve intervenire. Anzi, il suo intervento è necessario, all'interno però di una politica di più ampio respiro:
[ . . . l a misura che lo stato ha aumentato il suo appoggio economico e politico non ha creato [ . . . 1 la mentalità del disoccupato inglese, non ha soffocato l'ini ziativa individuale, ma ha realizuto un progressivo, proporzionale, deciso aumento della quantità ed un miglioramento della qualità della produzione. Questo vuoi dire che la posizione ideale cui si mira è che lo stato stesso si faccia produttore ? Nemmeno
per idea
[ ... l
Vuoi dire soltanto [ . . . l che l'intervento economico e politico dello stato nell'industria , dimostratosi salutare, è soltanto ancora inadeguato per la inte grazione di quei « limiti » raggiunti i quali la bilancia del calcolo industriale tocca il suo equilibrio e nasce, finalmente viva e vitale, un'industria. Una industria privata, apportatrice di capitale privato, regolata e guidata dall'ini ziativa privata sotto l'appoggio e nell'indirizzo dello stato (in « Cinegiornale » , 15 giugno 1937) .
Strettamente correlato al discorso econotnico è quello politico. « Il cinematografo dev'essere questo e soltanto qpesto : politica nell'interno, politica all'estero » , afferma Blasetti, auspicando l'avvento di un film
58
che parli efficacemente dell'Italia fascista a cinquanta milioni di straruert inducendoli a meditare, commuovendoli, facendo dilagare l'ammirazione e l'en tusiasmo che ora si viene formando in gruppi di giovani stranieri per il fasci smo [ . . ] (in « Civiltà fascista » , giugno 1936). .
Sono queste l e premesse d i u n film come Ettore Fieramosca ( 1 9 38) che non a caso esalta una gloria nazionale e 'dunque è politicamente im pegnato, anche se in una forma più mediata rispetto, ad esempio, a Vecchia guardia; non a caso è prodotto da una società privata e indu strialmente solida come la Nembo Film (ideata e fondata da Blasetti) e riceve l'« anticipazione statale » pari a un terzo circa dd suo costo preventivo; non a caso, infine, mira ad essere un'opera « di qualità » , ma anche . spettacolare quanto basta per piacere al pubblico - e forse anche a Freddi. Non piacque però alla critica, o per lo meno qualcuno ritenne che i recensori lo avessero accolto troppo tiepidamente. Cosl in tervenne molto autorevolmente, su « Cinema » (n. 62, 1939 ) , con una proposta, niente meno che Vittorio Mussolini : Io non sono dell'opinione di quelli che vorrebbero abolire la critica cine matografica, come in Germania, o, al minimo, imbeccarla con più o meno opportuni richiami e circolari. Ma dato che, a detta dei più, esiste in questa categoria di critici una diffusa superficialità e impreparazione, propongo di abolire la critica delle prime visioni sui giornali quotidiani, fino a che non saranno mutati i tempi, lasciando, in compenso, libero sfogo alle penne rimaste inoperose, nelle rubriche settimanali delle terze pagine, che tutti i giornali che si rispettano dedicano all'interesse di una vasta categoria di pubblico. In più esistono riviste e giornali tecnici che si interessano esclusivamente di cine matografo, dove ci si può sbizzarrire nella critica e nella polemica, affrontando tutti i problemi del cinema e, con molta più analisi, quelli di ogni nuovo film. Quello che più conta, nella proposta, è che si eviterebbero in tal modo, i giudizi avventati, esagerati o ingiusti, che sia pure inconsapevolmente e limi tatamente, danneggiano la produzione [ . . ] Un esempio recente illustra l'asserto: il Fieramosca questo bellissimo film di Blasetti che onora la nostra industria, tartassato da certi critici, ha avuto un pauroso attimo di attesa che poteva nuocere ingiustamente al film e togliergli quel successo, anche economico, che gli sforzi dei suoi realizzatori meritavano. Fortunatamente [ . ] è inter venuto a buon punto il giudizio del popolo, che ha affollato, nonostante i .
..
59
silenzi sapienti di certa critica, le sale di proiezione tributando un inequivo cabile ed incoraggiante successo al film. Del resto, che il Fieramosca fosse importante lo comprendiamo an che dal numero speciale di « Bianco e Nero » che gli venne dedicato e che comprendeva, tra l'altro, una rassegna stampa assai ampia, aperta e chiusa, sintomaticamente, da due articoli entrambi a firma di Corrado Pavolini : quello di apertura elogia il film, quello di chiusura lamenta l'atteggiamento della critica. Insomma, per farla breve, Ettore Fieramo sca diviene il simbolo della necessità di stringere tutte le forze dd ci nema italiano attorno alle patrie bandiere critici compresi . Ed era logico che questa operazione nascesse all 'insegna di Blasetti, che era stato un critico militmte, e da sempre concepiva il cinema non come semplice fatto estetico e spettacolare bensl anche politico e industriale; e, appun to, di Ettore Fieramosca già dai tempi di D'Azeglio consacrato eroe del l'unità ftazionale. -
Il film si apre ai bagni termali di Pau, sui Pirenei, proprio con quei nudi femminili che appariranno ancora negli altri film in costume di Blasetti (dalla Corona di fe"o al famoso seno nudo di Clara Calamai in La cena delle beffe, fino ai nudi delle cristiane crocefisse nel circo del " cattolico" Fabiola) . A Pau francesi e spagnoli discutono della spartizione dell'Italia, e gH spagnoli sono subito presentati, a differenza dei francesi, in modo benevolo: riflesso evidente della situazione politica internazionale, caratterizzata da buoni rapporti con la Spagna (sperimentati nella guerra civile ) , laddove quelli con la Francia erano assai difficili (Kezich ha ricordato che già allora si cantava nei Gruppi clonali: « E se la Francia - fa la troia - Nizza e Savoia.. . » ) . In Italia, intanto, attorno al castello di Morreale, una sorta di enclave italiana all 'interno di una penisola occupata dagli stranieri, spagnoli e francesi combattono tra loro. Ettore Fieramosca, mercenario capuano, si sta dirigendo al castello, dove Graiano d'Asti assolda truppe. Prima di giungervi si scontra coi pastori del castello, che gli uccidono il cavallo. Fieramosca è furibondo, e quando incontra Giovanna , signora di Morreale, la rampogna duramente per l'offesa fattagli. Giovanna è attratta dal mercenario. Ciò nonostante, il perfido Graiano, con un espediente, la convince a sposarlo. Poi Graiano si vende ai francesi del l'altero e sprezzante Guy de la Motte. Fieramosca tenta eroicamente di opporsi ma deve cedere alla preponderanza numerica dei francesi. Salvatosi fortunosa-
60
mente, viene portato al campo degli spagnoli. Dopo una furibonda battaglia che vede la sconfitta dei francesi, Guy de la Motte e alcuni dei suoi sono fatti prigionieri. Il francese, benché sconfitto e prigioniero, non perde la sua arroganza e ingiuria i cavalieri italiani. Fieramosca, allora, gli lancia la sfida: tredici italiani contro tredici francesi. Ha · luogo cosl lo scontro che è anche la sequenza finale e la più famosa dd film. Gli italiani, scesi io campo con le bande nere sulle corazze (allusione evidente alle « camicie nere •), risultano - come è noto - vincitori e, non senza significato, unico tra i combattenti a perdere la vita è Graiano, il traditore che si era schierato coi francesi. t stato detto, più volte, che Ettore Fieramosca è parte, anzi inau la blasettiana tetralogia io costume. Ma, in realtà, sarebbe più
gura
esatto parlare di trilogia (La corona di fe"o, Un'avventura di Salvator Rosa, La cena delle bel/e) , poiché questo è piuttosto un film " sparli acque " , un film di frontiera che introduce sl i tre successivi ma al con
tempo mantiene molti legami coi precedenti : in particolare con 1 860. Non solo per i motivi, evidenti in entrambi, del condottiero « salvatore della patria » e dell'appello all'unione degli italiani e non a slanci espansioni stici (che l'unico a pagare il fio, in Fieramosca, sia un traditore italiano è in tal senso oltremodo rivelatore: con ciò il film sembra dire agli italiani di ba dare a se stessi, di stare entro i propri « confini ,. , di preoccuparsi della pro pria coesione senza badare a quanto avviene all'esterno; dunque più che na zionalista non potremmo definirlo « isolazionista ,. ? ) . Ci sono anche altre importanti affinità, a partire dal fatto che entrambi i film hanno come punto di partenza non un testo storiografico ma rispettivamente un libro di memorie e un romanzo storico patriottico: solo in un secondo mo mento Blasetti consulterà, e con dovizia, le fonti storiografiche. Ambedue i film, inoltre, per le scenografie e i costumi fanno riferimento alla pit tura del tempo: 1 860 a Fattori, Fieramosca a Giorgione, Mantegna e Raffaello (in questo secondo caso, ad onor del vero, tale influsso è assai più evidente) . Ne risulta un modo blasettiano di filmare la storia, fon dato sui testi e del pari teso a ricrearli: « [ . . . ] cercherò di muovermi, nei limiti dei dati storici certi, ricreando artisticamente, immaginando do ve c'è da immaginare ,., dichiarava il regista nel '37 , preparando Fiera mosca, e lo stesso aveva fatto con 1 860. Dunque, Ettore Fieramo�ca è più un film storico che un film in costume. In costume saranno invece 61
i successivi, perché in essi la storia diverrà un mero pretesto, uno sfondo per qualsiasi tipo di intreccio. Di quelli, comunque, Fieramosca annuncia già la passione per le « tonalità epiche ,., il « tomeare di cavalieri ,., il « garrire di insegne ,. , insomma la tendenza sempre più urgente in Bla setti ad eleggere « a suo mondo lo spazio e a sua bussola l'immagina zione storica, distorta e reinventata in libertà ,. (Savio, op. cit . , p. XIX) . Ma se il film è figurativamente forte, è anche narrativamente debole. Per l'ennesima volta si rimprovera a Blasetti la « scarsa e poco sorvegliata [ . . . ] capacità dd racconto ,. che « produce discontinuità e talvolta oscu rità nd suo modo di narrare ,. (E. Cecchi) . Il regista cercherà di porvi rimedio sia apponendo delle didascalie sia rimaneggiando il film a più riprese; cosl dagli originali 3 1 25 metri (un'ora e quarantacinque) con tagli successivi si arriva agli attuali 2496 (poco più di un'ora e mezza ) ma una certa debolezza di scrittura rimane.
Il piacere di raccontare Per quanto appena detto è motivo di sorpresa la svolta compiuta con Un'avventura di Salvator Rosa, film narrativamente « degante » e « scorre vole » . Ma prima di parlame, occorrerà, per completezza d'informazione, fare un rapido flashback, che accenni a Caccia alla volpe nella campagna romana, cortometraggio diretto da Blasetti nel '38 , e primo tentativo in Italia di uso del colore (technicolor) ; e a Retroscena ( 1 9.39) pellicola « evasi va ,. che narra la storia dell'innamoramento di un cantante lirico e di una pianista, e della beffa giocata dal cantante ai danni di un critico musicale che aveva stroncato una sua esibizione. Blasetti ama assai poco questo film, nonostante l'abbia diretto con mano abbastanza felice, e sostiene di averlo fatto solo per sfottere un noto critico a cui non era piaciuto Fieramosca: « Lo feci proprio per potermi passare questa spe cie di gusto cattivo di attaccare, di insolentire un critico e farlo passare per fesso » . Ma Retroscena va ricordato soprattutto per un'altra ragio ne: si chiude qui una prima fase dell'attività di Blasetti, contraddistinta dal prevalere ddla dimensione politica, nella quale egli aveva avuto un
62
ruolo di punta nella cinematografia nazionale e fascista e l'aveva inter pretato con dignità, coerenza e senza piaggeria, realizzando dei film assai vicini a un modello di « cinema politico » - indicato da Telesio lnterlandi, direttore del più che fascista « Il Tevere », in un articolo apparso nel '35, in « 40" anniversario della cinematografia ( 1 895-193.5 ) » - « dove l'arte non si faccia soffocare dalla necessità politica » e « ri spondente a una particolare concezione della vita e del mondo che l'autore del film vuole diffondere fra gli spettatori, allo scopo incon fessato o sottinteso di guadagnare i loro spiriti al suo modo di sentire ». Con ciò, beninteso, non si vuoi dire che le preoccupazioni politiche siano espunte dall'universo blasettiano, ma solo che esse assumono un peso minore e lasciano il passo a una maggiore attenzione per la speci ficità del medium. La -politica, insomma, diviene l'oggetto di un discorso indiretto. Del resto, già in Fieramosca, accanto agli intenti ideologici trovava posto il tentativo di realizzare un grande spettacolo culminante nella sequenza della Disfida. Se dunque è possibile scorgere « allusioni politiche » nella vicenda di Salvator Rosa, pittore e avventuriero che si schiera coi contadini contro i potenti, è allo stesso tempo impossibile non notare che, qui, l'interesse di Blasetti è tutto rivolto verso la messa in scena, il ritmo del racconto; e del pari impossibile non percepire il godimento del regista - forse per la prima volta nella sua carriera nel raccontare oltre che nel rappresentare. Questa volta, nonostante debba descrivere una vicenda piuttosto complicata, Blasetti non risulta cattivo narratore, anzi.
Il film è ambientato nel regno di Napoli, dopo la fallita rivolta di Masaniello, quando il peso della dominazione spagnola si è fatto ancora più insopportabile. Il pittore Salvator Rosa, conosciuto e ammirato dagli spagnoli, ha anche un'altra identità, quella di Formica, sorta di Robin Hood che si batte in favore del popolo oppresso e ordisce audaci beffe ai danni dei potenti. Per riposarsi dalle fatiche che la sua attività di « bandito » gli procura, va, come Salvator Rosa naturalmente, nel ducato di Torniano. Anche U, però, si trova di fronte a prepotenze ed ingiustizie, per cui decide di passare all'azione: deve sventare il tentativo del conte Lam&:rto che mira a impalmare la duchessa di Torniano per impossessarsi delle sue terre; salvare alcuni contadini condannati a morte
63
aver cercato di riportare l'acqua ai loro campi (acqua che gli era stata sottratta dalla capricciosa duchessa per irrigare i propri giardini) ; e infine, trOvare il sistema per portare l'acqua sia ai campi sia alle fontane della duchessa . Grazie al proprio ingegno e alla propria audacia e giocando sulla sua doppia personalità, dopo una girandola di avventure e di colpi di scena, riuscirà a raggiungere tutte e tre le mete che si era posto. per
Un'avventura di Salvator Rosa è prodotto e distribuito nella sta gione cinematografica 1939-40, quella in cui si cominciano a sentire gli effetti del R.D.L. 4 settembre 1938 n. 1 398, sul « monopolio per l'acquisto, l'importazione e la distribuzione in Italia, possedimenti e colonie, dei film cinematografici provenienti dall'estero •· Gli effetti sono innanzitutto quantitativi: dai 3 1 film prodotti nel '37 si passa ai 50 del '39 e agli 83 del '40, per arrivare alla punta massima dei U9 del '42 . Anche la qualità migliora e a riprova di ciò si sogliono indicare quattro pellicole: Salvator Rosa, L'assedio dell'Alcazar di Genina, Una romantica avventura di Camerini e Uomini sul fondo di De Robertis. Tuttavia, all'epoca, fu soprattutto il film di Blasetti a godere di con sensi unanimi. Isani ( in « Cinema • , n. 87 , 1940) lo definl addirittura « il miglior film italiano prodotto dal 19 30 in poi •. Da parte sua Blasetti, che andava rarefacendo i suoi interventi sulla stampa, ne parlerà come « opera di assoluta collaborazione • , come di un successo non dovuto alla sua « individuale capacità » bensl a « tutto quel complesso colla borativo che è alla base di ogni opera • : insomma di « un successo di metodo e di categoria • (implicitamente in « Cinema • , n. 88, 1940) . Niente di nuovo in questo. Il regista si limita a codificare quanto da anni è andato sostenendo: mettendosi « al servizio ,. di Petrolini e Viviani, insistendo sul l'importanza del ruolo di Mazzucchi e Cecchi in 1 860, facendo scrivere « di Giuseppe Zucca » nei titoli di testa di Vecchia guardia Cosl, pro prio quando le ma;ors sono praticamente cacciate dal mercato italiano in forza della legge sul monopolio, egli teorizza un modello cinematografico da studio americano, fondato sulle categorie professionali, col regista primus inter parer, e non sulla nozione di « autore •, ovvero di padrone e padre dell'opera (dr. Aprà, op. cit., p. 45) . La figura paterna rimane co.
64
.
munque nella finzione; per quanto illuminato, Salvator Rosa-Formica resta sempre un padre " dispotico " , dato che è lui a decidere ciò che sia bene per il popolo. Quanto poi ai « collaboratori ,. del film, tutti andrebbero ricordati, dal produttore agli sceneggiatori ; ma forse più di tutti merita la citaziooe il costumista Gino Sensani, non solo per quan to fece in questo film, ma perché improntò col suo lavoro il filone dei film « in costume ,., non poco importante all'epoca. Anche gli attori a cominciare da un eccele l nte Gino Cervi - fornirono una grande pro va; e Blasetti ci racconta come, durante la lavorazione del film, nacque la « coppia maledetta ,. Fetida-Valenti : Quando chiesi Luisa Fetida per Un'avventura di Salvator Rosa mi fu ri sposto che il noleggio non la voleva [ . . . ] Ma io mi impuntai [ . . . ] Quando arrivò sul set il primo giorno, essendo perfettamente al corrente della bat taglia che avevo sostenuto per averla nel film, mi divorò con gli occhi, era tutta un fremito e un'impennata, insomma mi lasciò intendere che non era affatto · indifferente alla mia grinta di uomo e di regista. Tanto che presi Valenti da parte e gli dissi : « Senti dille che è una donna stupenda, ma che, insomma,
non deve fare cosl, perché io ho altri interessi sentimentali ... ,.. Evidentemente Valenti glielo fece capire talmente bene che nel giro di due giorni scattò il . ':rto tra loro due (in L'avventurosa storia del cinema italiano , vol . l, o 1979, p. 19) .
�
Film in costume Anche nel film successivo, La çorona di fe"o ( 1 94 1 ) , si possono trovare allusioni politiche nella figura del tiranno usurpatore. Ma risulta sempre più evidente che Blasetti è passato dal « tempo della politica ,. al « tempo del medium ,. . Lui ha sempre negato, o quanto meno ha cercato di presentare il film come un apologo pacifista, una favola con tro qualsiasi forma di violenza, adducendo a riprova di ciò il giudizio di Goebbels : « Un regista tedesco che avesse fatto questo film, oggi in Germania sarebbe messo al muro ,. . Ma non di favola si tratta bensl di fiaba, regno incontrastato della fantasia, dominio del falso program-
matico, irrilevanza di qualsivoglia intento didascalico. Come aveva ben compreso Massimo Bontempelli che ne scrisse nel '4 1 , all 'indomani della prima veneziana su « Film Quotidiano » , supplemento speciale della rivista di Mino Doletti per la Mostra del cinema :
g
:t ur ente dare a Blasetti una prima lode per avere desiderato, spasmodica mente anelato, di strapparsi dalle bassure del cinema verista e del cinema comico sentimentale [ . .. ] e tentare un mondo che fosse fiaba, tutto nient'altro che fiaba [ ... ] Mi sembra di essere uscito da un banchetto asiatico di cinquanta portate, pastasciutte piene di potenza, cinghiali rosolati interi, arrosti aggressivi, carreggiate di lessi, schidionate di uccelli d'ogni grandezza , frotte di pesci in oceani di salse dai cento colori, altipiani di croccanti fritti, formaggi a mon tagne e un ospite generoso e prepotente che ti obbliga a mangiare tanto tanto di ogni cosa, e tu stesso ti precipiti avido e pieno fin che boccheggi : in ugual modo qui volendo ammannire un mondo di fiaba il cuoco squassato dal nume ha raccolto tutto quanto la storia millenaria della fiaba gli ha portato: crimini, esaltazioni, fughe, battaglie, crudeli ambizioni, il Re munito di una ridanciana ferocia tra l'Attila e l'Enrico VIII, la principessa frenetica, la principessa soave, la Nonna profetessa del bosco con arcolaio, il magico cervo carlogozziano che corre leggermente le più intricate foreste, stornate uccisioni di pargoli, scambio di neonati tra le madri atterrite, un emulo di Tarzan che si fa strada allegra nella vita con la leggerezza dei salti e lo splendore della nudità, arrivi di frecce alla Tell e di lacci alla Buffalo Bill, la dorata prigione protettiva per la figlia del Re, la principessa velata da ancella, crollo di montagne, valli e fossati pieni di ruggiti, un prodigioso torneo con quintane e scontri memori del Marco Visconti e della Turandot. Chi non vorrà vedere tutta questa fan tasmagoria da Secondo Faust? Il film avrà un largo successo presso il candido pubblico delle sale di tutto il mondo. Tutto questo avviluppato in una fosfo rescente rete wagneriana. E ombre di significazioni morali e metafisiche, ribel lioni di masse dietro l'aspirazione a una generica libertà, che non manca mai in questo genere d'invenzioni. C'è un sapore misto di sangue e di sospiri e alla fine una pace fatta più di stanchezza che di raggiunta purità. In mezzo a tale piena di romanticismo forestuoso, il pio pellegrinaggio partito da Bisanzio per portare in dono al Sommo Pontefice la corona di ferro è quasi sempre dimenticato e sommerso: quando la Sacra corona riappare nel franamento che apre una voragine fra i due popoli della Montagna e dd Mare - s'intende che non poteva mancare una voragine - quella corona ci si presenta come
66
certi improvvisi e inutili ricordi d'un particolare isolato della lontana infanzia. Più che una fiaba, hai qui un'officina della Fiaba [ .. . ] . Si potrà non condividere qualche dettaglio, ma è indubbio che Bon tem pelli coglie appieno lo " spirito , dd film : ne individua la moltepli cità dei riferimenti culturali, l'devato tasso spettacolare, la tensione fan
tastica; riesce persino a prevedere che avrà un grosso successo di pub blico. Tutte cose che risulteranno un po' più chiare dopo la lettura ddla trama.
Il film inizia e finisce su un antico volume manoscritto, La leggenda della corona di ferro , le cui pagine narrano della corona, fatta col metallo delle spade romane e con un chiodo della croce, che l'imperatore di Bisanzio ha
inviato come segno di pace al papa. Il corteo che la porta deve attraversare un territorio in cui si sta svolgendo una guerra cruenta. Licinio, vincitore della guerra, è fatto uccidere con una freccia alle spalle dal fratello Sedemondo che ne usurpa il trono. Poi l'usurpatore costringe Artace, il re sconfitto, a colpire con una freccia un'altra freccia messa davanti al corpo di Kavaora sua moglie. Artace supera la prova e viene mandato, assieme alla sua gente, in esilio. Quindi Sedemondo invia l'implacabile arciere Farkas alle gole di Natersa a vigilare i confini dd suo regno. Nel frattempo, giunge un messo che gli chiede l'autorizzazione a far passare nelle sue terre la corona di ferro; Sede mondo gli permette di attraversare le gole di Natersa. Ma ecco apparire al re una vecchietta che gli profetizza oscuri castighi: a un fratricida nascerà una femmina e alla vedova dell'ucciso un maschio e, divenuta adulta, la ragazza amerà il giovane con immenso dolore. Tuttavia, un messo che annuncia che al re è nato un figlio maschio, credendo che il re sia ancora Licinio, rassicura Sedemondo. Quindi, l'usurpatore va alle gole di Natersa, dove Farkas ha tru cidato la scorta della corona, ma non riesce a impossessarsi della reliquia, poiché essa è divenuta pesantissima e affonda ndla terra. Intanto, a Kindaor, la moglie di Sedemondo ha fatto scambiare la figlia Elsa con Arminio, figlio di Licinio. I due bambini crescono come cugini. Ma un giorno Sedemondo si accorge dell'inganno; vorrebbe uccidere Arminio ma Elsa gli fa scudo col proprio corpo, allora il re li colpisce entrambi con la frusta sul braccio. Poi ordina a un servo di calare Arminio nella valle dei leoni. Ndla foresta, Sedemondo incontra ancora la vecchia che lo deride e con un sortilegio gli fa perdere l'orientamento. Nd frattempo, il servo che ha calato Arminio ndla valle passa dalle gole di
67
Natersa e Farkas lo uccide. Ritornato a Kindaor, Sedemondo non ricorda più dove sia nascosto Arminio. Allora decide di segregare Elsa nd giardino della reggia, protetta da tre ordini di cancelli . Passano vent'anni e il re bandisce un torneo: al vincitore andrà in sposa Elsa. Contemporaneamente le montagne che cingono la valle dei leoni crollano, e Arminio, che è cresciuto assieme alle belve, esce dalla valle attraverso un varco, inseguendo un cervo. Ndla foresta incontra Tundra, figlia di Artace e Kavaora, che lotta per la libertà dd suo popolo. Arminio crede che dla sia un uomo, ma poi un corpo a corpo rivela i lunghi capelli di Tundra. A sera, i due giovani si baciano e la ragazza propone ad Arminio di combattere al torneo per la libenà del suo popolo; ma riappare il cervo e il giovane continua l'inseguimento; poi il cervo scompare e appare la vecchia che convince Arminio a partecipare al torneo. Il mattino seguente Arminio prende la via di Kindaor assieme a Nicarete, re ddla Rosa, che intende partecipare alla gara. Dopo la presentazione dei contendenti, il ministro di Nicarete informa Sedemondo dd crollo della valle dei leoni ; questi, allora, rassicurato, fa aprire i cancdli dd parco ddla reggia. Elsa esce tra la folla travestita da ancella; :incontra Arminio e se ne innamora. La sera, nd parco, dove gli ha dato appunt�mento, parlandogli come figlia dd re, gli chiede di non partecipare al torneo per non far soffrire la sua ancella. Inizia il torneo, Eriberto, feroce re dei tartari, lo vince, e pre tende di sposare Elsa. All'improvviso appare Arminio. Sedemondo, pur di non vedere la figlia sposa dd tartaro, acconsente a farlo combattere. Eriberto è cosi sconfitto e Arminio avrà la mano di Elsa. La stessa sera i due giovani fanno l'amore nd parco. Tundra, armata di pugnale, li spia e vorrebbe aggredire Arminio, considerandolo un traditore: ma le . parole di Elsa che intende proporre al padre di spanire il regno coi vinti, la fanno recedere dal suo proposito e il pugnale le cade dalle mani. Dopo che Arminio si è allontanato, Tundra esce dal suo nascondiglio ed Elsa le dà appuntamento alla porta del parco: parlerà con suo padre poi le darà la buona notizia. Al ritorno di Arminio, Elsa lo informa di aver incontrato Tundra, ma non gli dice di aver raccolto il pugnale che Tundra ha lasciato cadere. Poi, al banchetto che si tiene in suo onore, chiede al padre di dividere il regno con Tundra. Ma il re insinua che Arminio ami Tundra: dunque bisognerà fare in modo che questo sentimento si trasformi in odio. Cosl la sera nd parco, Tundra raèé:oglie il pugnale, messo n, si presume, da Elsa. Arminio la scopre con l'arma in mano e, sospettando che sia venuta per uccidere Elsa, la caccia via. La giovane, però, rientra nd parco servendosi di una chiave datale prece dentemente dalla vecchia del fuso. Dopo aver lanciato al suo esercito il segnale
68
d'attacco, penetra nelle stanze di Elsa che, intuendo l'amore di Arminio per Tundra, la convince ad andare alle gole di Natersa per fermare il suo esercito. Poi incontra Arminio, che all'improvviso ricorda la frustata inflitta ad entrambi da Sedemondo, e crede che Elsa sia sua sorella. Elsa allora si rende conto di non poter in nessun modo ostacolare l'amore fra Arminio e Tundra e fugge anch� lei verso le gole. Al banchetto Sedemondo viene informato che sua figlia è fuggita e il nemico avanza verso Kindaor. Poi, arriva Arminio furibondo per il ricordo della fru stata subita, ma Sedemondo gli rivela che non è fratello di Elsa bensl cugino. Arminio allora si lancia all'inseguimento di Elsa, mentre il re impazzisce. Tundra intanto giunge alle gole e Farkas scocca implacabile il suo dardo; ma Elsa all'ultimo momento fa scudo col suo corpo e viene colpita a morte dalla freccia di Farkas abbattuto a sua volta da Anninio. Elsa in punto di morte rivela ad Arminio e Tundra di essere stata lei a mettere il pugnale nel parco. Nd frattempo gli eserciti nemici marciano verso le gole; ma non appena vi giungono si apre una voragine che li divide, inghiottendo il corpo di Elsa, mentre appare la corona di ferro e cadono le spade. Arminio e Tundra si sposano e la corona di ferìo può riprendere il suo viaggio verso Roma. Rispetto a Un'avventura di Salvator Rosa, regnO del gioco e del pia cere di raccon tare , La corona di ferro si fonda su una narrazione più stentata, verrebbe voglia di dire sofferta. Blasetti porta all'esasperazione la sua tendenza a voler dire, a voler spiegare più di quanto in effetti la messa in scena non dica e non spieghi, e il film risulta - sono parole sue « eccessivamente carico di intenzioni e di propositi • · I tempi sono bui, la guerra divampa sui fronti di tutto il mondo ed anche per questo lo sguardo del regista, che nd film precedente era ottimistico, incupisce, si fa pessimistico. Miti e certezze vacillano : primo fra tutti qudlo virile dd padre, che dalla figura di Sedemondo tiranno, usurpa tore e fratricida riceve un durissimo colpo. Ma c'è dell'altro. Ndla filmografia blasettiana v'è un tema che ricorre costantemente: il rapporto padre e figlia. Ricordiamo: Marco e Giovanna in Sole ; il fattore ddle terre dd duca e Emilia in Terra madre ; il marchese Isidoro Fusaro e Giorgina in La tavola dei poveri; il capo dei ribelli e Gesuzza in 1 860 ; il dottor Cardini e Lina - che non è sua figlia ma lui la tratta come tale ed ella alla fine sposerà, si presume, Robertq figlio di Cardini -
IJ(:
69
- in Vecchia guardia; Giovanna di Morreale e suo padre - defunto e tuttavia simbolo della difesa del suolo patrio, difesa che Giovanna continua - in Ettore Fieramosca; don Luca e Maria in 4 passi fra le nuvole; Anna e suo padre in Nessuno torna indietro ; Fabio e Fabiola e Torquato e Letizia in Fabiola; il commendator Carloni e Anna , la sua bambina, in Prima comunione; il signor Stroppiani e Lina in Peccato che sia una canaglia; lo spazzino Furlani e Maria in Amore e chiac chiere. Naturalmente, diversa è l'importanza di questo rapporto nel l'economia dei singoli film : a volte è appena accennato, altro volte è più approfondito, ma non è mai - tranne che ne La corona di ferro - al centro del racconto. Non solo, ma qui Blasetti ne cambia il segno ri spetto alla morale corrente. Le " figlie " di Blasetti - prendiamo i film considerati sinora, anche se la sostanza della questione non cambierà neppure in seguito, salvo qualche dettaglio - sono sempre future « spose e madri esemplari • , perfino la ieratica Giovanna d i Morreale. I padri, d a p � loro, anche quando non protagonisti, sono sempre - ad eccezione di Fusaro-Viviani - un modello di fascistica virilità (qui, naturalmente, vi saranno nel dopoguerra i cambiamenti maggiori) . Il rapporto, dunque, è « sano ,., e si sviluppa nell'alveo delle bronzee leggi dell'etica fascista. Che cosa suc cede ne La corona di ferro? Anzitutto, Sedemondo ed Elsa sono l'uno il doppio dell'altra, rappresentano le due facce d'un Giano bifronte, op poste ma in fondo coincidenti. Tanto lui (Gino Cervi) è barbarico, esu. berante, carnale e violento, tanto lei (Elisa Cegani) è aristocratica, s tiliz zata ed eterea, pur non disdegnando di usare l'inganno per vincere la rivale Tundra. Entrambi trasgrediscono i dettami della morale corrente: non solo perché la follia di Sedemondo mina alle radici la figura del padre, e perché Elsa è come morta - lei stessa lo dice a Tundra -, morta come moglie e madre; ma soprattutto perché il loro rapporto è, in fondo, incestuoso : c'è un'altra ragione all'c incapacità • di Elsa di essere sposa e madre esemplare? ( All'inizio del . film la moglie di Sedemondo supponendo che il marito avrebbe ucciso una figlia femmina la scambia con Arminio. Tuttavia, quando il re scopre l'inganno, invece di uccidere Elsa cerca di eliminare
70
Arminio; poi rinchiude la figlia nel parco della reggia di Kindaor pro tetta da un triplice ordine di cancelli : per difendere la sua vita, certo, ma anche la sua castità. Quando Elsa diviene adulta, per consolarla, sep pure a malincuore, bandisce. un torneo il cui vincitore l'avrà in sposa. Eriberto vince la gara ma il re, pur di non concedergli la figlia, gli da rebbe metà del suo regno. Dopo che Arminio ha battuto Eriberto, Se demando non può più opporsi alle nozze . Allora insinua nd cuore ddla figlia il dubbio che il giovane ami Tundra e la induce a tramare un inganno ; le accarezza anche teneramente i capdli, gesto dd tutto estra neo al suo stile. Poi nd finale, in preda a follia, grida : « Se mia figlia deve morire, voglio che muoia tutto, voglio che un vento infuocato bruci le montagne, voglio che tutto arda di sete, voglio che la terra si spacchi sino nd profondo » . Il sospetto di incesto, che per un momento nd film coglie Arminio, non è errato, solo che non va riferito a lui e a Elsa bensl a Elsa e Sedemondo, dei quali : l'uno impazzisce presagendo la morte della figlia; l'altra muore, inghiottita dalla terra, come olocausto alla pace ritrovata ma anche in espiazione della sua colpa. La componente sessuale è ancor più evidente nd film successivo, La cena delle beffe ( 1 94 1 ) , a partire dall'esibizione del seno nudo e dd corpo spesso coperto di semplici veli di Ginevra (Clara Calamai) . Tuttavia ciò che colpisce non sono le relazioni eterosessuali, bensl il rapporto di tipo omosessuale che lega Neri e Giannetto. Come La co rona di fe"o anche La cena delle beffe allude a manifestazioni delle ses sualità " illecite • . Ma se nel primo caso il motivo dell'incesto è cifrato e al lusivo, ne] secondo il tema d�l!'omosessualità è molto meno vdato. Del resto, dell'atmosfera di perversione di cui è intriso il film si accorse anche il Centro Cattolico Cinematografico che, mentre aveva giudicato per tutti e « con opportuni emendamenti » anche per sale parroch c iali La corona di fe"o, valutò La cena deUe beffe « un intreccio di libidine, di brutalità e di libertinaggio [ . ] e, pertanto, da escludersi per ogni genere di pubblico » . ..
I l film è ambientato nella Firenze rinascimentale. Neri Chiaramontesi si prende gioco ripetutamente e in maniera feroce di Giannetta Malespini, il quale decide di vendicarsi. Dopo aver escogitato un complicato tranello, invita
71
il rivale a una « cena della pace ,. presso un amico. Alla cena, facendo leva
sull 'amor proprio di Neri, lo induce a compiere una bravata in un'osteria malfamata, nella quale precedentemente aveva fatto spargere la voce che Neri Chiaramontesi era uscito di senno. Cosicché, quando questi giunge alla taverna armato di una roncola, gli altri avventori gli balzano addosso per impedirgli di nuocere; pur non riuscendo a catturarlo, lo costringono a rifugiarsi in cima a un campanile, da dove egli non può fuggire perché alcuni uomini restano di guardia. Giannetto allora si introduce nottetempo nel letto di Ginevra, fin· gendosi Neri. Al mattino, però, Neri riesce a fuggire e si precipita a casa di Ginevra. Là capisce di essere stato beffato, ma non può reagire perché è subito catturato e incarcerato. Vedendolo incatenato, Gianoetto rimane visibilmente turbato e gli propone una vera riappacificazione, riceveodone uno sputo in faccia. Egli tuttavia non desiste e giunge ad implorare il rivale in ginocchio: « Ho paura di te come di me, ti chiedo scusa, pace ». Ma visto che tutto è inutile, lo sfida apertamente: passerà la notte con Ginevra. Neri, fingendosi assolutamente pazzo e inoffellSiivo, con l'aiuto di Usabetta, che è innamorata di lui, riesce a farsi liberare. Immediatamente attua la sua vendetta : quella stessa notte si reca a casa di Ginevra con cui crede si trovi Gianoetto. Ma questi ha architettato un'altra tragica beffa, facendo in modo che nell 'alcova di Ginevra si trov.i Gabriello, fratello di Neri. Neri penetra nella casa e colpisce a morte l'uomo che trova presso la donna. Uscito dalla stanza, però, si trova di fronte Giannetto che gli rivela la verità. Neri allora impazzisce davvero e inutilmente Giannetto lo prega di ucciderlo per punirlo del male che ha fatto. Neri adesso crede di aver ucciso Giannetto e che questi sia Gabriello; così gli fa una carezza e si allontana, !asciandolo in preda alla disperazione.
All'epoca ci fu qualcuno che rimproverò a Blasetti l'eccessiva subal ternità al testo teatrale di Sem Benelli da cui il film deriva, ma molto maggiori furono i consensi. Giustamente se ne sottolineò l'ottima co struzione e « il ritmo serrato e veloce della messa in scena » . In seguito, il regista affermerà di aver fatto La cena delle beffe senza altre ambi zioni che realizzare un film di buon mestiere, per « rispondere » ai cri tici che di La corona di ferro « non avevano capito assolutamente nulla » , e pe r dare una chance a Osvaldo Valenti, che era sempre apparso in ruoli di secondo piano e qui, invece, assurge al ruolo di co-protagonista, costituendo assieme ad Amedeo Nazzari la coppia attorno alla quale 72
ruota tutto il film . Una coppia maledetta, unita da un rapporto " per verso " che, se analizzato con gli strumenti della psicanalisi, svelerà la sua radice omosessuale. In effetti, tra la virilità esibita - troppo esi bita - di Neri e l'ambigua debolezza di Giannetto non c'è molta dif ferenza. E il desiderio sessuale di entrambi non è indirizzato verso Gi nevra, « donna dello schermo ,. , bensl è tutto racchiuso nel loro legame « virile ,. . Assai bene lo rivela la scena finale, quando si manifestano le pulsioni profonde e inconfessabili dei due uomini. Se la tesi dell'omosessualità, proposta alla Mostra dd nuovo cinema di Pesaro nel '75 e ripresa da Aprà (op . cit ., pp. 59-6 1 ) con dovizia di argo menti, è condivisibile, meno persuade la conclusione, diciamo, politico psicanalitica che ne è stata ricavata . Ossia : La cena delle bel/e darebbe un colpo definitivo alla figura del padre, del maschio, dd dittatore, ri velando che queste « altro non sono che maschere dietro le quali si nasconde la femminilità repressa ,. . In sede psicanalitica premesse e con clusioni sono perfettameqte coerenti . Tuttavia non è lecito trascurare altri tipi di letture, che tengano conto di come il pubblico può recepire il messaggio - diretto o indiretto che sia. Ad esempio: non è forse vero che la forza e la " lealtà " sono subdolamente sconfitte dalla debolezza e dall'astuzia? e le prime sono caratteristiche virili mentre le seconde femminili. Non è altresl vero che il film - profondamente antifemmi nista - è costruito in modo che tutte le nostre simpatie - del pub blico, voglio dire - si orientino verso le qualità virili incarnate da Neri? Non è un caso che a interpretare quello splendido campione dell'epica dd « me ne frego ,. che è Neri Chiaramontesi sia stato chiamato Amedeo Nazzari, un divo amato dalle folle e anche, nel ventennio, incarnazione ideale dd Vero Uomo, mentre nel ruolo del rivale Giannetto Malespini compare Osvaldo Valenti, un personaggio " antipatico " e reduce da tre parti da villain : il protervo Guy de la Motte in Fieramosca, il perfido Lamberto d'Arco in Salvator Rosa, il malvagio Eriberto in La corona di Fe"o. Dunque, sgombrato il campo dalle donne che tutt'al più sono (come Clara Calamai-Ginevra) splendidi oggetti da esibire, e attribuiti i caratteri femminei a Giannetto, tutto lavora per Neri, per il maschio e indirettamente per il padre.
73
4 passi fra le nuvole Se non proprio Blasetti, a liquidare il mito del duce-padre ci pen seranno le dure replice della storia. Il consenso al regime aveva raggiunto il suo apice con l'impresa d'Etiopia. Da U era iniziata la fase calante, accentuata dalle prime " imprese " , nella seconda guerra mondiale, del regio esercito, che rivelarono la retorica e la falsità sottese agli otto mi lioni di baionette. In tale situazione, non deve stupire che il film suc cessivo, 4 passi fra le nuvole (•1942 ) , costituisca una svolta radicale ri spetto ai precedenti (basti pensare, tanto per restare in tema di figure virili, a Gino Cervi, attore prediletto di Blasetti : dopo essere stato eroico ufficiale di marina in Aldebaran, invincibile soldato in Fieramosca, bef fardo ami du peuple in Salvator Rosa, re folle, ma non privo di una sinistra grandezza in La corona di ferro, eccolo ora commesso viaggiatore in dolciumi) . Tuttavia, la svolta verso i toni dimessi e quotidiani non era frutto della delusione provata da Blasetti per l'« inganno fascista » - come sostiene Lizzani , op. cit., p. 1 00 - ma, piuttosto, un " segno " dei tempi. Il registà, in realtà, non fece una scelta d'autore ma in un certo senso fu scelto, e accettò di mettere la sua professionalità al servizio dd film . Lui stesso, del resto, conferma di essere arrivato a 4 passi fra le nuvole in modo casuale. Era reduce da una serie di progetti, appar tenenti perlopiù al filone « in costume » , andati a vuoto : un film su Francesca da RJmini; una rievocazione dei Vespri siciliani; una riduzione della Figlia di lorio, da lui scartata e infine Harlem che doveva esaltare le virtù dei nostri emigranti e fu poi diretto da Gallone. Dopo tante ini ziative abortite, �eppino d'Amato d'accordo con Freddi gli « sottopose una rosa di copioni » , tutti respinti, fino a che gli « capitò tra le mani » quello di 4 passi fra le nuvole. Il regista lo scelse, essendo « ben lungi dal pensare - sono parole sue - di star facendo un film che si sarebbe inserito nella corrente neorealistica » . Come ogni mattina, Paolo Bianchi, commesso viaggiatore in dolciumi, che vive in un palazzo popolare di periferia con una moglie petulante e i figli, si alza di buon'ora, per compiere il suo giro in provincia. Deve prendere un 74
autobus sempre affollatissimo, poi un treno altrettanto carico di viaggiatori e infine una corriera che non rispetta affatto gli orari. Un giorno sul solito treno incontra una ragazza di campagna, Maria, che torna a casa dai genitori, dopo aver vissuto una triste esperienza in città: è stata messa incinta e poi abbandonata. Ella teme la reazione dei suoi, gente di campagna, all'antica, e prega Paolo di aiutarla. In un primo momento, l'uomo è riluttante, ma la grazia e l'innocenza della ragazza lo inducono ad accettare di presentarsi ai genitori di lei come legittimo consorte, almeno per le prime ore dd ritorno. Ben presto, però, l'inganno è scoperto. La ragazza sta per essere scacciata di casa. Allora Paolo esorta alla comprensione il padre di Maria e, non senza rimpianto, se ne torna a casa. I suoi c quattro passi tra le nuvole » sono finiti. A casa lo accoglie la voce sgradevole della moglie che lo invita a mettere a bollire il latte per i bambini. Paolo versa meccanicamen te il latte nd tegame, poi, all 'improvviso, si sente male.
Che si tratti del resoconto di un viaggio è fuor di dubbio, ma è un viaggio che non ha nulla da spartire con quelli dei precedenti film di Blasetti : né con quello c di conoscenza », dalla Sicilia a Genova e ritorno, di Carmeliddu, né con la corsa dei 1 8BL, da un ignoto paese di pro vincia a Roma, verso la palingenesi. E ciò non soltanto perché in 4 passi fra le nuvole non c'è proprio nulla di epico e tanto meno di celebrativo, ma soprattutto perché Paolo Bianchi non viaggia dalla periferia di una città qualunque a un non precisato posto di campagna, bensl sogna di viaggiare: la dimensione onirica, del resto, è richiamata anche nel titolo. Ma c'è di più . Il film si apre e si chiude in due momenti cronologici identici (un mattino e quello successivo) , nello stesso luogo e nella medesima situazione: già ciò ci induce a dubitare che il protagonista abbia solo sognato. Il dubbio diviene quasi certezza se pensiamo che le due parentesi urbane che racchiudono il film sono estremamente reali stiche, mentre il viaggio in campagna è palesemente ricostruito, fittizio: un sogno, appunto. La messa in scena ha qui un'importanza decisiva, ed altrettanta ne ha nel farci comprendere che lo sguardo di Blasetti sul rapporto conflit tuale città-campagna è mutato. Il realismo dell'inizio e del finale si scon tra con l'« artificialità ,. pressoché esibita del mondo rurale (si pensi al75
l'« insufficienza tecnica dei trasparenti • ) , che è ulteriormente rafforzata dalla recitazione sopra le righe di Silvani-don Luca e dalla « teatralità ,. del tutto. Se dunque la città è luogo del reale, la campagna lo è del l'irreale; alla coppia oppositiva città-campagna si sostituisce il binomio realtà-finzione. Il cittadino non entra in contatto - come avviene in Terra madre - con un ambiente che lo rigenera ma soltanto con un mondo fittizio, arcadico nel vero senso della parola. E l'Arcadia - dice il film - non esiste, è pura finzione, messa in scena, o meglio il sogno di un commesso viaggiatore frustrato. Blasetti liquida l'ipotesi " rora lista " e approda a una totale assenza di certezze: poiché se la salvezza
non può venire dalla campagna , tanto meno potrà nascere nella cupa, oppressiva, alienante città. Un pessimismo tanto radicale riflette generi camente i tempi bui della guerra, ed era - l'abbiamo detto - perce pibile nei due film precedenti come lo sarà in quello successivo, Nes suno torna indietro. Ma in 4 passi fra le nuvole è, in particolare, sintomo dello smarrimento della società italiana di fronte al grande processo av viato dall'urbanizzazione e dall'abbandono delle c�pagne. Un fenome no a cui Blasetti aderisce « col massimo di partecipazione affettiva ,. (Bru netta, op. cit ., p. 506 ) , e, questa volta, senza tesi da difendere . Considerato da tale punto di vista, 4 passi fra le nuvole si rivela un insieme coerente : un discorso in cui le varie parti (sia « realistiche » sia « artificiali ») sono strettamente funzionali alla logica della narra zione. E ciò a dispetto di certa critica e di certa storiografia che, al l'epoca e poi, sempre affannate a cercare nei film, la prima porzioni di « realtà » , la seconda esempi di pre-neorealismo, avevano liquidato l'« idillio agreste » in quanto « falso ,. e individuato nella prima parte « realistica ,. il punto di forza del film . Quindi l'avevano eletto, con Ossessione ( 1 943) e I bambini ci guardano ( 1 943 ) , a costituire un trit tico che avrebbe aperto la strada al neorealismo. Ora invece sappiamo tralascio le facili obiezioni a un metodo di ricerca che fa della « realtà ,. un grimaldello buono per tutti gli usci e dell'individuazione delle « prime volte ,. in cui detta realtà si è manifestata un'« ideologia ,. - che « i tre film hanno in comune non già (anzi niente affatto) elementi di preludio al neorealismo, bensl elementi di rottura con il cinema italiano sonoro
76
dell 'epoca, rispetto al quale interrompono la linea di continuità che lo aveva caratterizzato dal '29-'30 in poi » (L. Miccichè, in Il neorealismo cit�ematografico italiano cit., p. 1 8 ) .
La
parata finale
Ancor più cupi e dolorosi i due film a cui il regista lavora prima della Liberazione. Quelli della montagna ( 1 942) fu diretto da Aldo Ver gano, componente dd gruppo storico di « cinematografo » e soggettista di Sole. Blasetti diede soltanto la sua supervisione, che comunque - a suo dire - fu « fondamentale » . Anzitutto il film non s i sarebbe fatto se i o non l'avessi supervisionato. E poi Vergano non era molto addentro nella regia, e io presi larghissima parte sia alla sceneggiatura che alla regia. lo assistetti, si può dire , 1'8096 delle riprese e lo seguii molto da vicino e lo feci sostenendo molto anche Vergano [ . . . ] (in Cinecittà anni trenta cit., pp. 153-4 ) . . Come già Aldebaran, Quelli della montagna rientra nd filone pro pagandistico delle forze armate ed in particolare dell'arma degli alpini, assieme a Scarpe al sole ( 1 93.5) di Elter e l trecento della settima ( 1934) di Baffico. Diretto da Blasetti, invece, con un cast di ali stars, Nessuno
torna indietro ( 1943 ) . [ . . . ] il film - racconta il regista - era stato concepito proprio per non fare Quelli di Bir el-Gobi. lo fui officiato da Mondadori, venne anche un gior nalista italiano che non nomino adesso, e che scrisse un articolo sul giornale di Mondadori perché dovevo fare Quelli di Bir el-Gobi [ . . . ] dissi che avevo preso già un altro impegno. Questo impegno invece non lo avevo preso, ma ero in disconi con Alba De Cespedes e con il suo romanzo [ . . . ] (Idem, p. 1.52). S i trattava, appunto, di Nessuno torna indietro, analisi di u n mondo di psicologie femminili a cui Blasetti restò sostanzialmente fedde, limi-
77
tandosi a ridurre da otto a sette i personaggi (scomparve il personaggio di Augusta, fuso con quello di Silvia) . La vicenda si svolge a Roma, nel 1939. Sette ragazze hanno terminato gli studi all ' Istituto Grimaldi, un pensionato di suore, e vivono il loro primo impatto col mondo reale, uscite dal chiuso del collegio: Milly , malata di tubercolosi, muore; Silvia si innamora del suo professore ; Xenia diviene l'amante di Dino, un bi scazziere; Vinca vive nel ricordo del fidanzato che l'ha abbandonata e poi è morto nella guerra di Spagna; Emanuela ha awto un figlio da un aviatore che poi è deceduto ; Valentina è sempre in attesa di un principe azzurro che non arriva ; Anna invece lo trova, e il finale riunisce insieme le ragazze al suo matrimonio. Ma non si tratta proprio del finale, perché Xenia poi va a trovare Dino in carcere � egli la invita ad aspettarlo per ricominciare insieme. Una singolare nota di speranza, mitigata tut tavia dall 'ultima inquadratura che mostra Xenia dietro le sbarre , in un film amaro e doloroso, in cui prevale il senso della sconfitta e della fine. Un che di funereo aleggia dappertutto: dal titolo al fatto di aver riunito insieme tante attrici (Dina Sassoli, Elisa Cegani, Mariella Lotti, Doris Duranti, Maria Mercader, Valentina Cortese, Maria Denis) e attori tra i più significativi di un'epoca e di un cinema: quasi a voler fare un con suntivo, allestire una parata finale. Ciò, tuttavia, non stupisce più tanto: il 25 luglio è alle porte e la guerra si accanisce anche fisicamente con tro il film. Proprio durante la lavorazione muore al fronte il fratello di Blasetti ( « la cosa più tragica della mia vita » , dirà il regista) e gli aerei alleati bombardano il quartiere San Lorenzo, a Roma, poco lontano da gli stabilimenti della Scalera dove Blasetti e la sua troupe sono intenti alle riprese di Nessuno torna indietro. Il film usci nel '45 e non ottenne grandi consensi : ben altre 89SO&Ce travagliavano la società italiana. L'anno dopo fu addirittura stroncato: non era un'opera da suscitare entusiasmo ma certo neppure giudizi ra dicalmente negativi. Più tardi, quando le preoccupazioni e le ansie del l'immediato dopoguerra saranno un po' sopite, gli si riconoscerà, al meno, un sufficiente mestiere e una certa accuratezza nella ricostruzione degli ambienti.
78
Produzioni cattoliche
Dopo 1'8 settembre, nata la Repubblica di Salò, i f�sti cercarono di trasferire la cinematografia italiana da Roma a Venezia. Ma con buona pace di Leo Bomba che aveva pronunciato la " storica " frase « l'in telligenza italiana è nel nord » , ben pochi tra i quadri cinematografici aderi rono alla RSI, e tra quelli che contavano solo Valenti e la Ferida. Blasetti ricorda Adriano Baracco (in « Star » , n. 8, 1944) - « pur di non andare a Venezia fece la rinunzia maggiore, cioè si tolse gli stivaloni, è indossò la tona ca trasformandosi in padre Lulani [ . ] si dedicò allo studio di certe cata combe ben poco note » . Scherzi a parte, neppure alla macchia il regista rimase inoperoso. Stese un soggetto intitolato Mercato nero, che non fu realizzato, compose alcune poesie in dialetto romanesco e scrisse un importante saggio, L'attore nel cinema (in « 1 944 » , aprile-maggio 1944 ) , in cui dopo aver ribadito che il cinema è « quello spettacolo - e quella forma d'arte - che non esiste se non " funziona " dinanzi a qualche mi lione, anzi a qualche decina di milioni di spettatori » , affermava l'impor tanza decisiva dell'attore professionista - poco tempo dopo, coerente mente con tale assunto, impiegò nel suo unico film « neorealista ,. attori rigorosamente professionisti. Nel '45 , fu incaricato dalla Minerva film di preparare Paolo e Francesca, ma non riusd a realizzare neppure que sto progetto che era già arrivato allo stadio della sceneggiatura. Mise in scena anche due lavori teatrali, Il tempo e la famiglia Conway di Priesdey e Ma non è una cosa seria, che Silvio d'Amico definl la miglior rappre sentazione del testo pirandelliano che egli avesse visto. La guerra finisce, il cinema italiano riprende a lavorare. La tesi del l'epurazione è subito largamente battuta, prevale la linea moderata fa vorevole all'amnistia generale. Cosl, ritroviamo praticamente tutti i re gisti italiani che si erano « compromessi », chi più e chi meno, col re gime. Blasetti inizia una fertile collaborazione con Salvo D'Angelo e, per suo tramite, con due case produttrici cattoliche. L'Orbis produce Un giorno nella vita ( 1 94 5 ) , l'Universalia Fabiola ( 1 948 ) , Prima Comu nione ( 1 950) e i tre cortometraggi La gemma orientale dei papi, Castel Sant'Angelo, Il duomo di Milano ( 1947 ) : cioè tutto quanto Blasetti di..
79
rige tra il '45 e il '50 . Ciò nonostante, tra i lungometraggi solo il primo riscuote i favori del CCC, mentre gli altri sono classificati per « adulti con riserva » a causa di alcuni nudi - Fabiola - e di una certa « gros solana e pur maliziosa sensualità » - Prima comunione. Nondimeno, è Un giorno nella vita che più degli altri sollecita « una lettura erotica » (dr. Aprà, op. cit. , pp . 70- 1 ) in quanto metafora della « penetrazione » del corpo femminile (le suore di un convento di clausura) da parte del corpo maschile (i partigiani che vi fanno irruzione) . La vicenda è ambientata in un convento al momento dd passaggio dd fronte. Un gruppo di partigiani per sfuggire ai tedeschi vi si rifugia. Le suore sono scandalizzate e cercano di evitare qualsiasi contatto con gli uomini. Tra essi , però, vi è un ferito grave e occorre intervenire. La superiora, allora, decide di aiutare i partigiani e nel frangente dell'operazione riconosce nel ferito l'uomo che aveva ucciso suo marito tanti anni prima. Un bombardamento aereo co stringe i due gruppi a stare insieme senza più barriere, in cantina: da questo nasce una maggiore comprensione reciproca. Cessato il bombardamento, gli uomini se ne vanno : suor Bianca vorrebbe abbandonare l'abito e unirsi a loro, ma il capo dei partigiani le chiede di attendere poiché essi torneranno presto. Durante l'assenza dei partigiani, sopraggiunge un reparto tedesco che per rap presaglia fucila le suore. Al loro ritorno i partigiani sconfiggono i tedeschi. Poi, per vendicare il crimine da essi commesso, decidono di passare per le armi i superstiti. Ma la vista dei cadaveri delle suore li fa desistere dal loro proposito : so no martiri che non chiedono vendetta. Mentre la guerra continua, il film si chiude sull 'unica suora superstite, inquadrata in primo piano dietro le sbarre del cancello, che in preda alla follia continua a ripetere : « Nessuno di noi sa quello che fa ». L'ultima immagine ha due sicuri precedenti : il pazzo Tralicò in Vecchia guardia che continua a ripetere : « c'è sempre qualcosa che fa luce » ,
cogliendo istintivamente il " buio " delle ideologie contrastanti che dila niano il mondo (ossia, i pazzi sono portatori di saggezza ) ; l'inquadra tura finale, con Xenia dietro le sbarre della prigione, di Nessuno torna indietro. Qui, però, l'assunto è rovesciato; dall'interno - il collegio ci si proietta verso l'esterno; i contraccolpi della realtà sono tragici e ci si ritrae, pur riÌnanendo la speranza di un ritorno all 'esterno. In Un giorno nella vita, invece, è la realtà che fa irruzione in un luogo
-
80
chiuso e protetto, portandovi lo scompiglio e inducendo l'ultima super stite impazzita a rinchiudervisi per sempre. Questo è un tema comune a molti film dell'immediato dopoguerra italiano, genericamente definiti neorealisti : da Paisà ( 1 947 ) a Vivere in pace ( 1 947 ) . È un riflesso evidente della duplice occupazione - alleata e tedesca - sofferta dall'Italia negli ultimi anni di guerra . Anche lo spirito « ciellenistico » che pervade il film è un tratto comune, assieme al sacrificio riparatore patito da religiosi : si ricordino le eroiche figure di don Pietro in Roma città aperta ( 1 945 ) e di don Camillo in Il sole sorge ancora ( 1 946 ) , entrambi fucilati dai nazisti (il parroco di Un gior no nella vita, al contrario, è un perfetto vigliacco, ma in vece sua a offrirsi in olocausto ci sono le suore) . Altre affinità non ne vediamo . Dunque, ammesso e non concesso che il neorealismo sia una " scuola " caratterizzata da unità di intenti e di stile, non si può certo dire che Un giorno nella vita vi appartenga . Non almeno da un punto di vista formale : poiché in esso la messa in scena e la sceneggiatura sono estremamente accurate ; le parti principali sono tutte coperte da attori professionisti, che hanno un ruolo quasi di vistico. Per di più, qui si ricorre ad dementi di 'carattere tradizional mente spettaco�e, come, ad esempio, l'agnizione da parte della supe riora dell'assassino dd marito. Allo stesso modo, a ben vedere, Un giorno nella vita non appartiene al neorealismo neppure nei contenuti, poiché si tratta di una storia " psicologica " fuori dal tempo, che potrebbe essere ambientata in qualsiasi epoca - dal Medioevo al Risorgimento - e che si risolve in un generico quanto metastorico appello contro ogni tipo di violenza .
La pace, la bontà, la comprensione umana diventano, l'elemento fon dante ddla riflessione di Blasetti, il quale ora cerca di dimostrare che esse erano state anche il fondamento etico di molti dei suoi film pre cedenti . Rientra pure nd dibattito estetico, politico ed economico sul cinema italiano, presentandosi un po' come l'uomo della mediazione . Non, beninteso, per giungere a un compromesso vile ma alla grande pa cificazione nazionale: al « compromesso storico » , verrebbe voglia di dire . Lui , che si definisce « cattolico-liberale » , è amico di democristiani e
81
comunisti ed esorta tutti alla reciproca collaborazione e comprensione. È il primo a parlare alla grande manifestazione di Piazza del Popolo, a Roma (2 febbraio 1949 ) , in difesa del cinema italiano e interviene ripe tutamente con articoli sollecitanti la salvaguardia della produzione na zionale contro l'invadenza del cinema americano. Scrive, su richiesta di Gian Luigi Rondi, un importante saggio, Cinema italiano ieri, in cui ripercorre il cammino compiuto dal primo dopoguerra al '4.5, attiran dosi gli strali di Chiarini . Torna, a varie riprese, a definire il cinema « arte di collaborazione » , rivalutando sempre più il ruolo del sogget tista e dello sceneggiatore (ciò è il corrispettivo in campo strettamente cinematografico dell'esaltazione della comprensione umana nella vita so ciale) . Certo, adesso, la militanza di Blasetti è meno intensa, ha perso in smalto e originalità . Eppure egli saprà essere ancora per molti anni , in veste di regista, un geniale innovatore, aprendo nuove strade al cinema « popolare ,. .
Fabiola è il primo superspettacolo (e superproduzione) del dopoguer ra. Avrebbe dovuto segnare la definitiva affermazione della cattolica Uni versalia, che produsse anche : Daniele Cortis ( 1 947) di Soldati, La bel lezu del diavolo ( 1 948) di Oair, La terra trema ( 1 948) di Visconti (con il contributo di alcune federazioni siciliane del PCI ) , Guarany ( 1 950) di Freda, Gli ultimi giorni di Pomp ei ( 1 950) di L'Herbier e Prima co munione, ultima esperienza produttiva dei cattolici (che da quel momento avrebbero fatto confluire i loro capitali verso imprese più remunerative) . Certo , non fu Fabiola a deludere le speranze economiche dell'UniveJiSalia, poiché ebbe un notevole successo al botteghino. Ciò nonostante non mancò di suscitare ostilità proprio tra i cattolici, che, dal loro punto di vista, ne avevano ben donde: un film che avrebbe dovuto essere una apologia religiosa si limitava a lanciare un generico messaggio umani tario e, fatto ancor piu grave, apriva « uno sguardo trasgressivo verso realtà proibite » (Brunetta, op. cit . , vol. Il, p. 2 1 9 ) : a cominciare dalle foto pubblicitarie, « le più osées del dopoguerra » , che mostrano Michèle Morgan coperta da un velo trasparente che ha lo scopo di mettere in risalto il seno e i capezzoli . Ma non solo. Le comparse, nella scena della crocifissione, sono quasi tutte a seno scoperto. In un'altra scena i due 82
protagonisti giacciono distesi l'una accanto all'altro dopo avere, evidente mente, fatto l'amore. Il film, del resto, piacque assai poco anche alla critica che anzitutto diede a Blasetti « cinque in storia romana » , e poi gli rimproverò le solite incertezze di scrittura (che sono reali, e lo stesso regista dovette avvertirle se sentl il bisogno di inserire numerose didascalie) e anche una notevole dose di retorica e magniloquenza . A sua difesa egli elencò quelli che, secondo lui, erano i « pregiudizi » che avevano nuociuto al film : pregiudizi che val la pena di riferire, perché, al di là della valu tazione della pellicola, costituiscono una fotografia piuttosto fedele di certi atteggiamenti di buona parte della critica italiana.
Anzitutto del film si era parlato troppo e, forzatamente, da troppo tempo. Per chi deve giudicare, la pubblicità, ad un certo punto, dà il senso della prevaricazione. Per un italiano, poi, addirittura della provocazione. Bisogna convenire unanimemente che un critico non può farsi imporre un successo dal commercio: deve scoprirlo da sé [ .. ] Poi c'è il cosiddetto « scandalo della spesa ,. [ . .. ] un costo effettivo di 700 milioni [ ... ] 700 milioni sono molti e, per chi giudica, i grandi mezzi sono presupposto di minimo risultato; grande si traduce in grosso; grandioso vuoi dire mostruoso, perfino ingiusto. Per chi giudica, il « grande film ,. nasce· con un vizio di presunzione e con grave so spetto di teatralità e volgarità. Il « grande film » è sempre una « grossa mac china » che giustifica insomma le più vaste diffidenze e la più naturale avver sione per l'implicita minaccia di soperchieria che comportano le sue propor zioni [ . .. ] Terza concomitante causa del pregiudizio è il fatto che Fabiola fosse un film in costume, anzi storico, e che si tenessero per ovvi lo spet tacolone, il vecchiume, l'antli.chità melodrammatica dei gesti eroici, le barbe finte, i ferri di cartone, gli stracci da mascherata, la romanità retorica del ventennio, le colonne e i templi, i fori, le bighe e i pretoriani. Ultima causa: il colore politico. Fondate ragioni stabilivano che la casa produttrice era di marca democristiana; e lo ribadiva l'argomento del film che ripropone la storia del martirio cristiano del terzo secolo. Come si poteva dubitare che si trattasse di un film di propaganda politica, di imbonimento clericale in vista dell'Anno Santo (in « Cinema », n. 21, 1949) . .
Eppure, almeno dal punto di vista politico, Blasetti sembrava es-
83
sersi premunito. Aveva eletto a protagonisti del film i cristiani, e poi li aveva assimilati, velatamente, ai comunisti. Aveva scritturato uno stuolo di sceneggiatori che coprisse tutto « l'arco costituzionale ». Era questa una prassi assai diffusa nei film dell 'immediato dopoguerra, nei titoli di testa dei quali è facile trovare una buona decina di nomi alla voce sceneggia tura :
[ . . . ] vi si trovano regolarmente i nomi di un democristiano e di un comunista (come nei film un marxista e un prete) . Il terzo co-sceneggiatore ha la fama di saper costruire una storia, il quarto di trovare le gag, il quinto di fare dei buoni dialoghi, . il sesto c di avere il senso della vita » �. ecc . (A. Bazin, Che cos'è il cinema, Milano 1979, pp. 292-3) . Solo che ormai, dopo il 1 8 aprile e l'inizio della guerra fredda , le ' grandi « ammucchiate » di sapore ciellenistico scontentavano un po tut ti. Cosl Blasetti pagò il tentativo di conciliare l'inconciliabile. Ebbe, in vece, ragione da vendere al box-olfice: Fabiola occupò nella sua stagione il primo posto nella classifica degli incassi. Molto semplice - a dirsi la ricetta: il regista si era limitato a inserirsi nel filone storico-mito logico - inaugurato nel dopoguerra da Genoveffa di Brabante ( 1947) di Zeglio, vicecampione d'incassi nella stagione '46-'47 , dilatandone le componenti spettacolari attrav� grandi scene di . massa, utiliZzando un cast eccezionale (Michèle Morgan, Massimo Girotti, Henri Vidal, Mi che! Simon, Gino Cervi) e aggiungendo un pizzic:O di sesso. Il tutto, naturalmente, grazie all'alto budget di cui disponeva; e grazie - b� gna dirlo alla sua abilità di regista. Va detto, però, che non seppe rendere pienamente scorrevole il macchinoso congegno narrativo del ro manzo di Wiseman, che funzionò al meglio soltanto nelle scene dramma tiche delle persecuzioni e delle crocifissioni nel circo: uno strano risul tato per un film. programmaticamente antiviolento e pacifista. .
-
-
Dedicato « agli offesi ai perseguitati alle vittime di ogni violenza », come recita la didascalia di apertura, il film è ambientato nel IV secolo. Inizia nèlle Gallie . Rhual, un giovane gallo, è in partenza per Roma assieme al decurione Quadrato. Giunto a Roma, trova lavoro, come gladiatore, pre110 il senatore Fabio Severo. Un giorno, nelle vicinanze della _ villa del patrizio romano, in-
84
una fanciulla: i due si sentono irresistibilmente attratti e intrecciano una relazione IUDOIOSa . Più tardi Rhual apprenderà che la giovane è Fabiola, fislia di Fabio Severo, che viene assassinato per ordine dell'imperatoEe: del l'omiàdio sono ingiustamente accusati i cristiani. Fabiola incontratasi con loro nelle catacombe comprende che essi non possono essere gli autori del delitto e nutre sospetti su Rhual. Nondimeno, di fronte al · tribunale, incolpa i aistiani, mentre Rhual prende le loro difese e proclama pubblicamente di appartenere alla loto stessa rdigione. Intanto si scatena la persecuzione: molti aistiani SODO uccisi , altri imprigionati. Fabiola ottiene la libertà per Rhu.I che è tra i condannati, ma egli la rifiuta. Dopo il martirio del centurione Seba stiano, anche Fabiola passa dalla pane dei cristiani ed è imprigionata. Costretto ad affrontare nell '81'eDI una schiera di 'gladiatori, Rhual li vince pur non ucci deodoli, pen:hé la sua fede è contio la violenza. Quando, ormai esausto, sta per soccombel'e, i suoi avversari vinti dal suo esempio · gettano le armi. Intanto arrivano le avanguardie di Costantino che portano la salvezza ai cmtiani. contra
·
Con p,;ma comunione, ennesimo · appello alla bontà e alla compren sione tra gli uomini, Blasetti si misura con la commedia. Ma tratta il geneJ:e in modo affatto diverso dai « neorealisti rosa ,. che di n a poco si sal'ebbero imposti con Due soldi di spe,an%11 ( 1 9,2) e i vari Pane, amo,e . . . La vicenda, girata quasi in tempo reale; è estremamente sti lizzata e procede a ritmo di balletto, in una sorta di · frenetica corsa con tro il t�po scandita da tutta una serie di gag - non a caso si è fatto il nome di René Clair. InoltJ:e Blasetti (assieme a Zavattini ideatore del film) sottopone ad una satira corrosiva gli egoismi, le meschinità, . la necessità di apparire ma llQn di essere, che sono tipici del mondo bor ghese, personificato dal perfetto pa'venu commendator Carloni, fino a mettere sotto accusa il cattolicesimo ipocrita e di facciata di tutto un popolo . . « � Pasq�. è Pasqua, noi siamo tutti buoni, l'autore, il regista, il pubblico e Carloni », il film inizia con questo ritornello fuori campo. La voce ofl, poi, spie p chi è il commendator Carloni. Finalmente questi appare, svegliato di sopras salto dai richiami del suo autista. Mentre si abbiglia con cura, ammirando attraverso la finestra una procace vicina di casa, appl'eDde che il vestito bianco di Anpa, la sua bambina che deve fare la prima comunione quella mat tina stessa, non è ancora arrivato. Aggredisce la moglie, incolpevole del ri-
8'
tardo, poi va di persona dalla sarta a ritirare l'abito, al quale attribuisce molta importanza per il " prestigio • della famiglia. Quando vi giunge il ve· stito è pronto: manca solo l'etichetta; e pur sbuffando decide di pazienta re finché l'etichetta non sia cucita. Sulla via del ritorno deve far fronte a una serie di contrattempi : l'automobile nuova ha un guasto; un taxi gli viene soffiato da sotto il naso; sale su un autobus ma si mette · a litigare con un altro passeggero. Allora scende per picchiarlo e affida il pacco col vestito della bimba ad un passante zoppo. Quando la colluttazione finisce, Cartoni non ritrova più lo zoppo. Torna a casa furente e cerca in tutti i modi, anche quelli più meschini, di trovare un abito per la sua bambina. Prova a sottrarlo alla figlia di un vicino povero, offrendogli del denaro; ma il tentativo fallisce perché la bimba, appena intuisce che le sarà sottratto l'abito bianco, si dispera, e suo padre, pur essendo povero, non ha il cuore di rovinarle il giorno della prima comunione. Poi le donne tentano di adattare un vestito da ballo, e Carloni come extrema ratio prova a far rinviare la cerimonia. Ma tutto è inutile. Allora se la prende ancora con la moglie che però, questa volta, si ribella e gli appioppa uno �affo. Egli non reagisce, anzi mostra qualche segno di pen timento. All'ultimo momento, arriva lo zoppo con l'abito: attraverso l'etichetta è riuscito a risalire alla sarta e poi al cliente. La famiglia Carloni corre in chiesa, mentre sulla banda sonora risuona il ritomello : « _g Pasqua, è Pasqua ... � (motivetto assai pertinente e spiritoso, di quel Cicognini che l'anno successivo avrebbe scritto la buffa canzoncina dei poveri in Miracolo a Milano di De Sica) .
Blasetti fa un altro passo avanti nella critica del « maschio � che, abbiamo visto, era iniziata con La corona di fe"o e La cena delle beffe. Carloni interpretato festosamente da Aldo Fabrizi è allo stesso tempo padre e marito, e quindi « maschio ,. a tutti gli effetti. In realtà, il film rivela il suo fallimento come padre: poiché pur dando l'impres sione di amare la piccola Anna , non fa altro che strumentalizzarla alle sue esigenze di prestigio sociale; e come marito: poiché, pur essendo programmaticamente ingiusto e prepotente con la moglie, non appena si scontra con una reazione decisa di lei diviene un agnellino. Ciò avviene quando la moglie arcistufa, sbotta: « lo, io, io. Sono vent'anni che non sento altro » , e gli molla uno schiaffo. Lui senza reagire, totalmente ri dimensionato, ammette: « Sono un porco ». Per misurare la svolta com piuta in un cinema maschilista come quello di Blasetti, basti pensare -
86
-
all'invettiva di Fieramosca, cui i contadini di Giovanna di Morreale hanno ucciso il cavallo . A Giovanna dice: « Il mio cavallo me lo sono visto nascere, me lo sono cresciuto che ancora non si reggeva sulle gam be, mi riconosceva la voce e mi guardava negli occhi » . Giovanna gli propone di dargliene uno dei suoi, e lui : « Sarebbe come se un nemico ti uccidesse il figlio e te ne offrisse in cambio uno dei suoi, un altro . . . Se tu avessi amato capiresti, ma tu non hai mai amato ! » . Giovanna non reagisce. Più tardi, dopo aver accettato di sposare Graiano, ammet te, riferendosi a Fieramosca : « � il prlino che mi ha trattato come una donna » . Se ciò non bastasse, potremmo aggiungere il lapidario « A casa le donne! » , rivolto da Neri Chiaramontesi a Ginevra in La cena delle
beffe.
Sul piano della battaglia delle idee, Prima comunione serve al regista anche come esempio e banco di prova nella lotta che sta conducendo in quegli anni in favore di soggettisti e sceneggiatori. « Il cinema è un'arte collettiva » , dice, riprendendo le tesi già esposte in occasione di Un'av ventura di Salvator Rosa. Il regista è soltanto « un professionista » e non « l'unico autore dell'opera » . Ad esempio: « il contenuto umano, sociale, poetico della narrazione » cioè « il testo » , non si deve a lui, bensl al soggettista e allo sceneggiatore. Dunque, « lo slancio poetico, il valore narrativo, l'importanza sostanziale del " testo " di Prima co munione appartiene unicamente a Cesare Zavattini » . Ugualmente pe rentorie sono le affermazioni di Blasetti sull'importanza degli attori p� fessionisti :
[ . ] con Prima comunione ho voluto anche, disponendo di un racconto e di un ambiente · particolarmente adatti alla scelta di attori non professionisti , affidare invece esclusivamente ad attori professionisti anche il più piccolo dei ruoli del film : sono dell'idea infatti che ormai il ricorso alla spontaneità ed alla credibilità dell'uomo della strada - sistema del quale mi sento in parte responsabile e non senza fierezza - abbia esaurito il suo ciclo utile (che era quello di dichiarare morto un antico sistema di recitazione) e superato il suo clima doaunentario più opportuno. Non che ad attori occasionati ci si debba proibire tassativamente di fare più ricorso ; ma mi sembra giunto il momento ..
87
di abbandonare il sistema. Nell 'arte - e deve essere considerata arte anche quella de� attori - oiente si può raggiungere senza affinamento, c:�perieoza, metodo. Gli attori hanno da essere professionisti per arrivare a superare la distanza tra lo schermo e il cuore dello spettatore, per poter coscientemente c:�primere la parola dell 'autore ed interpretare coscientemente le intenzioni del regista (in « Film », n. 3 1-32, 19,0).
Lo stesso discorso vale per Un giorno nella vita e Fabiola che sono veri e propri atti di fede nell'attore di carriera . Un analogo atto di fede è il rilancio come interprete di Vittorio De Sica, tenacemente voluto da Blasetti. Già nel 1949, « Cinema » (n. 25) annunciava: « Prima comu nione sarà interpretato da De Sica » . Poi non se ne fece nulla . Ma Bla setti non si arrese: quando la Cines - la quarta, nata nel 1949 e rima sta in attività fino al 1 958 - gli propose la regia di L4 fiammata, egli rispose che avrebbe accettato ad una sola condizione, quella di avere De Sica per Altri tempi. Il che non era affatto pacifico, dato che De
Sica, all 'epoca, era considerato da molti produttori un'autentica iattura. Come egli stesso ci conferma:
Già, forse non è credibile, ma la verità è che il mio nome di attore non valeva più gran che prima che Blasetti mi offrisse quella parte di avvocatucolo napoletano, forse addirittura non valeva più nulla. Non so bene perché, forse mi si giudicava vecchio , forse la campagna scatenata contro di me quale autore di film neorealisti produceva i suoi effetti proprio là, nd terreno della !=Cci tazione (in L'tWventurosa storia del cinema italiano cit., p. 263 ) .
La Cines accettò De Sica, e Blasetti diresse La fiammata ( 1952 ) : film assolutamente di « second'ordine » (per ammissione dello stesso regista) , che neppure l'abilità di Mario Chiari e di Maria De Matteis, rispettiva
mente scenografo e costumista, riuscl, seppur parzialmente, a riscattare.
Né vi riuscl il mestiere registico di Blasetti che da ciò trasse un'ulteriore conferma della sua tesi sull'importanza decisiva del testo ( « con L4 fiam mata avrei dimostrato che nemmeno una sufficiente regia può .sollevare il livello di un testo mediocre • ) .
88
Zibaldoni, commedie, inchieste filmate,
una
conferenza ed altro
1. Di tutt'altro rilievo, nel panorama del cinema italiano degli anni cin quanta, Altri tempi ( 1 9,2) e Tempi nostri ( 19,4), costituiti da brevi episodi tratti nel primo caso da racconti di autori dell 'Ottocento, nel secondo da testi contemporanei. Blasetti torna, in certo modo, alla spe rimentazione che aveva caratterizzato i suoi esordi registici, e ancora una volta grazie alla Cines. Non bisogna supporre, tuttavia, che la quar ta Cines fosse , a somiglianza della seconda degli anni trenta, incline alla sperimentazione. Anzi, la sua regola aurea era: rischiare poco (ossia pren� dcre le distanze dal neorealismo e realizzare prodotti di buon mestiere) . L'elenco dei non moltissimi film prodotti rrmetterà di farsene un'idea:
D� mogli sono troppe, Cuori sul mare, pi/4 facile che un cammello, L'edertJ, Cameriera bellll presenza olfresi, L'eroe sono io, Naso di cuoio, Il brigtJnte di TacctJ del Lupo, La città si difende, La voce del silenzio, Fllnciulle di lusso, L'ortJ dellll verità, Cento anni d'amore, Sinfonia d'tJmo re, Amici per ltJ pelle, I due compari, Mogli e buoi, Le schiave di CtJr tat.ine. Oltre, naturalmente, ai film blasettiani , che, ad esclusione di La fiammata, rappresentano U massimo di sperimentazione cui la casa
produttrice giunse.
Cosa U nostro regista si proponesse, lo aveva retti (in « L'Eco del Cinema », n. 72, 1 9,4) :
capito Tommaso Chia
Egli pensava alla possibilità di utilizzare forze giovani e fresche in ogni dai giovani attori ai giovani registi, per costruire vere e proprie anto logie cinematografiche nelle quali un denominatore comune nQn pregiudicava la sostanza: che sarebbe stata sostanza di brevi composizioni poetiche per le quali occorreva ricercare [ ] forme, contenuti e stile: nuQvo ; egli auspicava la nascita del « raa:onto breve » cinematografico, nascita difficile e tumultuosa, ma certo piena di speranze. c:ampo,
...
Purtroppo, però, la produzione non colse le grandi potenzialità in site nella formula degli episodi, che permetteva anche di ottenere buoni risultati spettacolari con un impiego contenuto di capitali ed era un'ef ficace terapia per la crisi di idee e di soggetti. Cosl, negli anni cinquanta, 89
i titoli appartenenti a questo filone si contano sulle dita delle mani (Vill4 Borghese, I vinti, Amori di me%%0 secolo, I sette peccati capitali, Siamo don ne, Amore in città, L'oro di Napoli, RAcconti romani e Racconti d'estate) . So lo negli anni sessanta il genere avrà un periodo di notevole fortuna, e vi par teciperanno pressoché tutti i maestri e gli autori più rappresentantivi del ci nema italiano. Blasetti, dunque, indica una direzione di marcia i cui effetti si ve dranno più tardi; ma inaugura anche una nuova forma di divismo, che avrà effetti immediati: quello delle « maggiorate fisiche • · Non che prima non si fosse fatto nulla in tal senso, ma Blasetti in Il processo di Frine (ultimo episodio di Altri tempi) , auspice Vittorio De Sica, codifica il fenomeno e ne stila il manifes�o programmatico. Al centro della vicenda - tratta da un racconto di Edoardo Scarfoglio - c'è Maria Antonietta Desidero-Gina Lollobrigida. Maria Antonietta ha messo del veleno per topi nella minestra della suocera che voleva porre freni al suo compor tamento. Per questo viene processata e difesa d'ufficio da Vittorio De Sica - un De Sica dalla dialettica geniale e dal fascino ancora irresi stibile - che sgrana la sua arringa in uno splendido crescendo. Dopo aver più volte ripetuto: questa è « una donna buona • ; dopo aver posto l'equazione Maria Antonietta-Frine e aver fatto notare che « Frine era la bellezza stessa • ; dopo aver chiesto ai giurati se se la sarebbero sentita di incarcerare la bellezza (il che equivarrebbe a mettere in carcere il Vesuvio) , esplode nel famoso finale, divenuto immediatamente prover biale: « Non è questa nostra legge che prescrive siano assolti i minorati psichici? Ebbene, perché non dovrebbe essere assolta una maggiorata fisica come questa formidabile creatura ! » . Se è superfluo aggiungere che Gina Lollobrigida è assolta a furor di popolo - e come potrebbe essere altrimenti? -, può essere più interessante notare che di n a poco la coppia Lollobrigida-De Sica si ripeterà in Pane, amore e fantasia ( 1 953) di Comencini, il film che scrive la parola fine sul progetto neorealistico e segna l'affermazione definitiva della Lollo come Maria detta Pizzaca rella la bersagliera, o più semplicemente « la bersagliera •· Mentre Bla setti, da parte sua, impernierà su Sophia Loren, imposta poco tempo prima da De Sica in L'oro di Napoli ( 1 954) , i suoi due film successivi. 90
Cosl, con Gina, Sophia, e due padrini come Blasetti e De Sica, nasce il divismo delle maggiorate fisiche ed accanto ad esso si delinea, sugli schermi degli anni cinquanta, una nuova immagine della donna: le nuove eroine non sono più circondate dall'alone perverso o comunque intriso di peccato che aureolava le protagoniste nd neorealismo. Per quanto esibita, la loro sessualità è sana, irradia intorno a sé un che di fami liare, di tranquillizzante; il loro corpo - poiché tutto sommato di un corpo si tratta - comunica un'idea di salute fisica e morale del tutto aliena dalle angosce della passione e della carne. Era, in fin dei conti, uno dei tanti modi che aveva la società italiana per ribellarsi al morali smo cattolico - e anche a quello neorealista - e per incamminarsi verso un modo di concepire e vivere la sessualità che fosse esente da sensi di colpa e da grandi drammi, e dunque più libero e felice. 2. Nd dopoguerra, Blasetti lavora essenzialmente in due direzioni : alla stabilizzazione dei generi e, come si è detto, alla nascita dd divismo nazionale. Cosl, dal film a episodi passa alla commedia, e, dopo aver costituito la coppia divistica Lollobrigida-De Sica," lancia la coppia cine matografica più rappresentativa degli ultimi trent'anni di storia patria: quella formata da Sophia Loren e Marcello Mastroianni. Dopo l'esordio nelle commedie blasettiane Peccato che sia una canaglia ( 1 9.54) e La fortuna di essere donna ( 1 9.5.5) , i due torneranno ciclicamente insieme, e nella loro traiettoria è facile leggere in filigrana - naturalmente, a ritmo di commedia - l'evoluzione dd costume nazionale: dall'arte di arrangiarsi degli italiani giovani, belli e tutto sommato bravi degli inizi (con Blasetti) ai successivi Ieri, oggi e domani ( 1 963 ) , Matrimonio al l'italiana ( 1 964) , La moglie del prete ( 1 970) , La pupa del gangster ( 1 97.5 ) , fino a giungere a Una giornata particolare ( 1977) in cui la coppia per anto nomasia si trasforma in un sodalizio " particolare " tra un omosessuale sen sibile e una massaia frustrata. Ma torniamo al '.54 , quando Sophia e Marcello erano ancora giovani e avevano come " padri " Alessandro Blasetti e Vittorio De Sica, che in Peccato che sia una canaglia interpreta il ruolo dd padre di Sophia (con risultati decisamente inferiori un ruolo affine sarà sostenuto da Charles
91
Boyer in La fortuna di essere donna) . Il regista mira soprattutto alla creazione della coppia divistica e conseguentemente opta per la com media di caratteri e non per quella di situazioni : prima crea dei perso naggi con un loro carattere, poi da questi caratteri fa dipendere l'azione; quindi stabilisce che a· prendere l'iniziativa sia il personaggio femmi nile - coerentemente con tutta la commedia degli anni cinquanta in cui « è soprattutto la donna il soggetto emergente » (cfr. Brunetta, op. cit ., vol. Il, pp . 5 1 3-4) ; infine sceglie l'happy end programmatico. � questo, detto in maniera assai schematica, il modello blasettiano di commedia. Paolo, un conducente di taxi, si imbatte un giorno in Linà, una bellissima popolana specializzata in furti, che assieme a due compari affitta il suo taxi da Roma alla spiaggia di Ostia. I due si propongono di rubare l'automobile mentre il conducente sarà distratto e irretito dal gioco di seduzione di Lina. Il colpo non riesce e Paolo, pur essendosi invaghito di Lina, decide di portarla al commissariato; la ragazza però riesce a sfuggirgli. Quando, qualche giorno dopo, Paolo, casualmente, la incontra di nuovo, è già innamorato e rinuncia subito al suo proposito di consegnarla alla polizia. Va, invece, a parlare con Stroppiani, padre di lei , che gli viene presentato come un artista mentre in realtà è un ladro di valigie. I due giovani decidono di fidanzarsi, ma, quando Paolo scopre che il portasigarette che Lina gli ha regalato è frutto di un furto, la pianta e tronca ogni rapporto con gli Stroppiani. Poi, padre e figlia tentano un borseggio in tram e proprio Paolo lo sventa. Condotti al commissariato riescono con grande abilità a farsi rilasciare . Qumdi Lina confessa a Paolo che l'ultimo tentativo di furto aveva il solo scopo di risarcirlo per il danno procuratogli in precedenza. Allora Paolo che è sempre innamorato la abbraccia.
Il film è sorretto da una grande scioltezza narrativa, e sul piano del ritmo - come riconosce Germani nella sua monografia su Camerini (Fi renze 1 980, p. 1 1 9) - batte persino il coevo La bella mugnaia di Ca merini che riprendeva il terzetto: Loren-Mastroianni-De Sica. Anche quando uscl., dd resto, questi meriti gli vennero riconosciuti. Allo stesso tem po tuttavia, qualcuno stigmatizzò il fenomeno del divismo emergente. Ecco che cosa scrisse Sacchi (in « Epoca » , 1 3-2- 1 9 5 5 ) , uno dei decani ddla critica cinematografica italiana:
92
Gli slogan più sfacciati e bombastici sono messt m circolazione per lei. Proprio in questi giorni si proietta un giornale Incom in cinemascope nel quale dopo il Presidente al Quirinale, l'ambasciatore Luce a New York e Parigi inondata, si vede Sophia Loreo presentata come l'attrice italiana attualmente al vertice. Al vertice di che cosa? Sarà magari domani un'attrice sul serio, se blufferà meno e studierà di più, e allora ci caveremo tutti tanto di cappello, ma oggi è una modesta principiante il cui repertorio mimico non supera le possibilità di una giri di rivista. Tutto consiste nello spingere alternativamente ora l'uno ora l'altro gluteo all'infuori sollevando ora l'uno ora l'altro braccio per stirarsi il fianco o ravviarsi i capelli , e sbattendo gli occhi in cadenza. Nessun gioco espressivo, nessuna maliziosa finezza , nessuna spontaneità in questo personaggio che pure era un personaggio facile solo ad aver dentro un po' di ginger. Però proclamano: « � la più bella ragazza del mondo ,.. Quanta esagerazione. Il naso è troppo adunco e le dà di profilo un che di gallinaceo , il collo non è più fresco, e quando si hanno fianchi cosi voluminosi bisogna avere un ventre incavato. Dico le prime cose che mi vengono in mente, ma avrei delle altre osservazioni.
Il film successivo, La fortuna di essere donna, non ha assolutamente nulla da invidiare, dal punto di vista della scorrevolezza narrativa, al precedente (checché ne pensassero gli sceneggiatori Flaiano e Cecchi D'Amico, i quali, secondo le dichiarazioni di quest'ultima, litigarono, fino a togliersi il saluto, con Blasetti, « reo ,. di aver ridotto la sceneg giatura a qualcosa di « molto banale » : dura replica al sogno blasettiano di un cinema arte di collaborazione) . Identico è, inoltre, l'assunto generale qui esplicitato fin dal ti tolo . (è una « fortuna ,. essere una bella donna , perché ciò consente di raggiungere lo scopo, ovvero, invariabilmente, di accalappiare l'uomo che si ama) . Si radicalizzano, invece, i termini del gioco della seduzione come chiarisce la sinossi stesa da Spinazzola ( Cine ma e pubblico, Milano 1974, p. 1 14 ) : Antonietta, ragazza che sa quello che vuole e non intende perdere le occa sioni, si concede addirittura un'esperienza prematrimoniale con il fotografo Corrado, al quale si è fidanzata con il patto esplicito di venire lanciata nel mondo del cinema. Per parte sua, il giovanotto è un bravo maschietto all'ita liana, pronto a mettere le mani addosso a tutte ma attento a non farsi intrap-
93
polare da nessuna: convincere Antonietta a posare seminuda, e poi portarsela a letto, rientra nella sua tecnica abituale. Anche dopo il fattaccio, entrambi continuano a professarsi la loro cinica spregiudicatezza ; ma l'amore e la gdosia sono all'opera. D'altronde a continuar a correre dietro alle gonnelle ci si stanca; magari Corrado non lo confesserebbe, se non ci pensasse Antonietta, accortasi intanto che nd mondo dd cinema si incontrano solo furfanti c cialtroni: a suon di sassatc il fotografo si trova amorevolmente persuaso a dichiararle che le wol bene e intende sposarla.
Il gioco della seduzione, condotto dalla donna nell'ottica del matri monio, ritorna in La lepre e . la tartaruga, episodio di Le quattro verità ( 1 962 ) , nel quale Blasetti, girando in « chiave mondana » la favola omo nima di La Fonatine, racconta con notevole brio di una moglie (Monica Vitti, reduce dalle esperienze antonioniane e riscoperta in un ruolo bril lante) che riconquista il marito, strappandolo all'amante. Ma facciamo un passo indietro, al 1957 . Dopo aver rifiutato una allettante offerta di Selznik per la riduzione cinematografica di Addio alle armi di Hemingway, Blasetti porta a termine un'altra commedia di ca ratteri, Amore e chiacchiere. Questa, però, a differenza delle precedenti, è percorsa da una vena di satira politica indirizzata contro le « chiac chiere » dei vecchi, contro la wota retorica delle molte parole e dei pochi fatti della generazione più anziana : sembra di tornare alla pole mica anti-parolaia di 1 860 e Vecchia guardia. Per contro, si avverte una partecipazione piena di affetto ai problemi delle nuove generazioni. Sia mo a pieno titolo nel filone giovanilistico che si è affermato con i risiani « poveri ma belli » . I n una piccola città di provincia, i bombardamenti dell'ultima guerra hanno essere ricostruito. Al progetto si oppone il commcndator Paseroni proprietario di una villa da cui si gode la vista di un panorama che la costruzione dell 'ospizio inevitabil mente derurperebbe. ( Il titolo del film era originariamente Salviamo il panorama, ma fu cambiato per timore che il pubblico lo prendesse per un film turistico e disertasse le sale : Salviamo il panorama rimase come sottotitolo) . Contro le manovre di Paseroni si batte il vicesindaco Bondli (Vittorio De Sica) paladino in parte distrutto l'ospizio dei vecchi, che perciò dovrebbe
94
degli interessi popolari. Ma, quando Paseroni gli propone di tenere il discorso ufficiale, all'inaugurazione della villa , alla presenza di un ministro, di numerose personalità e della televisione, egli abbandona le sue idee democratiche. Tanto più che queste, nel frattempo, hanno ricevuto un duro colpo: Paolo, suo figlio, vorrebbe sposare Maria, la figlia dello spazzino. Alla prova dei fatti, Bonelli si rivela per quello che è, un meschino maneggione di provincia che dietro la retorica cela le solite debolezze e ambizioni. Per vincere l'opposizione. del padre , Paolo scappa con Maria a Roma. Bonelli, pur essendo assai angosciato per la fuga del figlio, interviene all'inaugurazione della villa . Là uno dei vecchi gli offre notizie di Paolo a condizione che egli dia il via ai lavori ·dell'ospizio. Travolto dagli eventi, Bonelli, davanti alle telecamere, promette di far iniziare i lavori ed anche di non opporsoi più all'amore dei due giovani, che dopo un ingenuo tentativo di suicidio vengono ricondotti a casa .
Secondo Blasetti, Amore e chiacchiere è, tra i suoi film, quello « che meglio riflette i difetti degli italiani » . I n Italia più si chiacchiera e meno si fa, soprattutto i politici, ma anche g)i intellettuali, che sono poi quelli che, in qualche modo, creano fuori d'Italia l'immagine dell'Italia. De Sica nel film era perfetto, in · questo'·senso: l'iDlpor tante è chiacchierare, non fare, e nel film chiacchiera, chiacchiera [ . . ] Non era un film sul rappono tra padri e figli, come qualche critico allora disse, anche se l'ipocrita era il padre e l'ingenuo il figlio ; era un film in cui io e Zavattini volevamo formulare un'accusa contro il piacere di parlare, questa grande vanitl che ha tante brutte conseguenze soprattutto in politica ( in L'avventurosa stori4 del cinema italiano cit. , p. 346) . .
Nondimeno, come è stato notato, la satira politica su cui Blasetti in siste finisce sopraffatta dal clima di apologo, di « favola morale » su cui il film s'impernia . Colpisce di più il contrasto tra padri e figli, tra giovani e adulti, tra vecchio e nuovo, tra modernizzazione e conserva zione, che tuttavia non è affatto risolto in senso " modernista " . Certo, Blasetti sta con i giovani . Per lui, se tra adulti e nuove generazioni « c'è un abisso » , come dice Bonelli, la colpa è tutta di quest 'ultimo e di quelli co me lui che hanno basato la loro vita sul potere della parola. Addirittura, la moglie del vicesindaco, parlando del marito, confida : « Io lo sentii parlare
9.5
e ... nacque Paolo » . Il quale per una sorta di legge del contrappasso è leg germente balbuziente. Anche nel finale (lieto date le convenzioni del genere) , quando Bonelli si ravvede, in realtà non si ravvede affatto e continua a « blaterale » : « Signori e signore . . . Miei cari amici . . . udite. Sono parole che mi fioriscono dal cuore. . . qui nel treno che mi ha ridato la pace. Il treno... pioniere della civiltà che abolisce ogni distanza fra gli uomini, proiettandoci verso il prossimo, fondendoci in un solo e magico anelito che batte, che batte, che batte . . . ». Giudizio più duro su una generazione e una classe politica difficilmente si potrebbe formu lare. Senonché, quando si tratta di risolvere i conflitti, il film cade nel banale e Blasetti sembra , in qualche modo, ritornare al " ruralismo " che aveva caratterizzato i suoi esordi. Bonelli non cambia per un moto di onestà o di senso civico, ma per la salvaguardia dell'unità famigliare: la famiglia, dunque, come grande cemento unificante della società. I gio vani fuggono sl in città, ma se ne ritraggono ben presto per tornare fra le mura amiche della casa e nella quiete del paesino di Matomo, opposta al disordine della metropoli : insomma, questi giovani sono ri volti al passato. E se ciò non bastasse, si noti che è proprio un medium « moderno » come la televisione a sconvolgere la vita nel borgo.
). Europa di notte ( 1 958) e Io amo, tu ami. ( 1 96 1 ) fondono insieme, sotto il segno della televisione, due pratiche che Blasetti aveva già spe rimentato: da una parte la riproduzione a scopo di testimonianza, ovvero il cinema al servizio di altre forme di spettacolo al fine di t ramandarle (è il caso di Nerone) ; dall'altra il film a episodi come nuova formula spettacolare e produttiva (è il caso di Altri tempi e Tempi nostri) . Però, se nei due nuovi film l'ansia " documentaria " rimane intatta, la tendenza alla frammentazione narrativa si accentua ancora di più. ..
Questa volta - racconta Blasetti, parlando di Europa di notte � ne uscivo addirittura con l'assurdo: una frantumazione ancora più provocaqte del racconto unico, uno spezzatino di documentari ammucchiati in chissà quale guazzabuglio e in chissà quale padellone filmico. Proponevo niente di meno dei più validi e che lo spettacolo-documento, documento - in quel caso -
-
96
rari numeri d'arte varia, a volte prodigiosi, che si producevano ancora brillan
temente a quei tempi, 1956, da Madrid a Parigi, da Berlino a Londra e di cui in breve volgere di anni non sarebbe rimasta traccia (in « Cinema Nuovo » ,
n. 246, 1978).
Tuttavia, Europa di notte non è semplicemente un documento " di retto " , una testimonianza a futura memoria sullo spettacolo in Europa, ma è qualcosa di più: una testimonianza " indiretta " sulle mutate con dizioni dei mezzi audiovisivi - naturalmente, ciò vale anche per Io amo, tu ami. . . Nei due film, infatti, è possibile cogliere l'influenza della tde visione: vuoi perché Blasetti mima la « diretta ,. TV; vuoi perché la frammentazione narrativa costringe lo spettatore ad un tipo di fruizione tdevisivo, cioè non più legato ad un'opera unitaria e in sé conclusa ma estremamente parcellizzato (dr. Aprà, op. cit. , p . 82 ) .
Europa di notte fu anche un campione al botteghino e il capofila di un nuovo filone cinematografico . Blasetti, cogliendo ancora una volta con singolare tempismo e perspicacia gli umori di un'Italia che si incam minava a grandi passi verso « il " boom " » , aveva mescolato esotismo ed erotismo, creando una miscela che vista oggi · non stuzzica più di tanto, ma allora doveva far scandalo e riempire le sale. Tale successo produsse un'alluvione di film costruiti intorno a tre parole chiave: la notte, il sesso, il mondo (la conquista della dimensione planetaria si dovette a Mondo cane, 1 962 , di Jacopetti) . Furono realizzati « mondi di notte » in tutte le variazioni possibili , e poi « notti nude » , « calde » e in tutte le salse, per non dire della sequela dei sexy : « magico » , « nd mondo » , « nudo » , « al neon » , « proibitissimo » , eccetera. Era nato un genere che negli anni sessanta vide essenzialmente tre fasi : la prima basata sugli spettacoli notturni delle città del mondo; la seconda volta alla scoperta della diversità delle usanze sessuali di popolazioni ancora primitive; la terza ambientata nelle aule di medicina per mostrare, sotto il pretesto dell'oggettività scientifica, ogni sorta di fenomeni e pratiche sessuali. Non pochi Catoni insorsero contro questa congerie di pellicole e Blasetti in quanto precursore ebbe la sua parte di reprimende mora listiche. Infatti, se è fuori luogo vedere negli spogliarelli cinematografici 97
uno strumento di liberazione sessuale, « tanto più quando si tenga conto del senso di frustrazione aggiuntiva inflitto allo spettatore dall'incomple tezza dd rito, che la censura impedisce di portare a conclusione ,. , è pur vero che « a dispetto dello scandalo e del biasimo universale ,. , l'ondata degli spogliarelli si inserl in una critica più generale dei costumi sessuali e diede il suo contributo al rinnovamento di tali costumi e all'« allinea menti dell ' Italia con gli altri paesi dell'Occidente sviluppato ,. (dr. Spi nazzol a, op. cit . , p. 324 ) . Blasetti (in « Schenni ,. , n. 16, 1959) volle comun que giustificarsi : lui avrebbe desiderato fare « un continuo rispon�ersi tra palcoscenico e platea, una sia pur benevola indagine di costume con frequenti e rapide incursioni nei retroscena, che dessero anche, almeno, il sapore di una inchiesta sulla fatica, i sacrifici , i rischi ,. ddla gente dello spettacolo, ma i produttori glielo impedirono. Preoccupazioni analoghe - cioè di carattere morale - sono alla base di lo amo, tu ami . che vuole essere un'esaltazione dell'amore e una rivalutazione dei sentimenti più genuini . Rispetto a Europa di notte, semplice antologia di numeri di varietà, lo amo tu ami . ha una strut tura più articolata e presenta anche qualche episodio colto dalla vita reale. Tuttavia ebbe un esito commerciale di gran lunga inferiore e, nonostante le intenzioni di Blasetti, anche diversi guai con la censura. ..
. .
4. Preoccupazioni morali (evidenti sin dal sottotitolo : Conferen:.a con proiezioni) e st11,1ttura narrativa frammentata ritornano anche in Io, io, io . . . e gli altri ( 1966), con cui Blasetti intende stilare il suo « testa mento ,. cinematografico . Il che non significa che smetterà di lavorare, ma solo che rinuncerà a realizz are film « d'autore • · Accetterà, infatti, per semplice professionismo altri lavori che gli saranno proposti : La ra gazza del bersagliere ( 1 967 ) , commedia surreale tratta dall'opera om� nima di Edoardo Anton ; e Simon Bolivar ( 1 969) , un colosso teso non tanto a ricostruire storicamente le gesta del mitico eroe sudamericano quanto a fare di esse un ammonimento per l'oggi. Comunque, questi film - a cui andrebbe ricollegato idealmente anche Liolà ( 1963 ) , pallida e poco convinta trasposizione cinematografica della commedia omonima di
98
Pirandello - non aggiungono nulla al progetto registico blasettiano che va veramente la sua ultima realizzazione in Io, io, io . . . e gli altri.
tro
Sandro, il protagonista del film - evidente proiezione autobiografica del regista -, è un giornalista affermato che decide di condurre un'inchiesta sul l'egoismo, e a tale scopo va raccogliendo osservazioni e appunti. Le conferme del grande egoismo che presiede alle azioni degli uomini gli arrivano da ogni parte , basta guardarsi attorno per individuame la presenza in tutti gli aspetti della vita: nel matrimonio, in politica, nella vita sessuale, nell'amicizia eccetera . Lui stesso non comprende l'insegnamento antiegoista dell'amico Peppino, che lo conduce a vedere nel bosco due vecchietti innamorati, simbolo di una vita d'amore e di dedizione, e che morirà poi in un eroico gesto di altruismo. Tuttavia a mano a mano che l'inchiesta procede, si trasforma da atto d'accusa contro l'egoismo altrui in una sorta di confessione : Sandro è ipocrita, meschino, borioso, insomma egoista quanto e forse più degli altri. E il suo errore gli appare in tutta la sua grandezza dopo l'incontro con Silvia - celebre diva che egli stesso aveva avviato ad una brillante cartiera cinematografica, ma allo stesso tempo priva di qualsiasi soddisfazione interiore poiché totalmente votata al successo e dunque all'aridità e all'egoismo. Silvia, pur essendo all'apice della carriera, è una donna infelice. Ella rinfaccia a Sandro di non aver saputo capire, all'epoca del loro primo incontro, quando lei era ancora una semplice insegnante di inglese, la sua offerta d'amore pura e disinteressata e di averla spinta sulla via dell'egoismo. Sandro cerca di giustificarsi, ma inutilmente; allora gli appare l'immagine dei due vecchietti mostratigli da Peppino e, finalmente, egli sembra rendersi conto della fondamentale importanza dei valori che essi rappresentano e che lui non ha neppure sfiorato per rincorrere il suo egoismo.
Con Io, io, io. . . e gli altri, dice Blasetti, « ho voluto fare un film che fosse una specie di lezione conclusiva sui danni e sui guasti dd l'egoismo, che è all'origine dell'intolleranza e dell 'odio » . L'intento edi ficante ritorna con una sorta di coazione a ripetere, dall'immediato do poguerra in poi, in gran parte delle dichiarazioni programmatiche dd regista: forse effetto di un senso di colpa prodotto dal suo passato di fascista ? E ritorna in modo ancor più palese in quest'" ultimo " film, costituendone comunque la componente piu caduca. Più interessante, senza dubbio, è la struttura narrativa, che Blasetti descrive cosi: 99
Porto avanti un mio tentativo di comporre un film non solo di racconti brevi ma relativamente fornito di una impostazione narrativa come per Altri tempi e Tempi nostri: un film tutto composto anche di episodi brevissimi, l'uno di diverso ambiente dagli altri, purché tutti suggeriti e provocati da un tema unico; un film di annotazioni, osservazioni, riflessioni, che si possono tradurre anche in episodi assolutamente minuscoli (Il cinema che ho vissuto, Bari 1 982, p. 242).
Ma ancor più interessante per noi è lo spaccato sociale che Blasetti ci restituisce: redigendo, con un fuoco di fila di annotazioni lampo, una sorta di compendio dei mutamenti che allora avvenivano nd costume italiano.
5. Flashback : Blasetti è stato se non il primo, uno dei primi registi ita liani di cinema a lavorare per la televisione. Debuttò nd 1962 con LI lunga strada del ritorno. Ma nel suo lavoro la presenza del nuovo medium era avvertibile, almeno a livello sintomatico, sin dalle antologie docu mentaristiche e con ogni probabilità ancor prima, con i film ad episodi. Fisicamente, inoltre, la tdevisione appariva già all'inizio di Tempi no stri, poi in Amore e chiacchiere e Europa di notte. Cosl sembra abba stanza logico, quasi naturale, che Blasetti si cimenti precocemente come di ll a poco farà un altro grande dd cinema italiano, Rossellini col nuovo medium. C'è anche un'altra ragione a spingerlo: se il cinema è per lui essenzialmente uno spettacolo « destinato alla grande folla ,. ancor di più lo è la tdevisione. « Milioni di italiani - dice Blasetti ogni sera sono " visitati " dalla tdevisione: e questi sono la grande mas sa ,. . Ad informare questa massa dovrà essere diretto il lavoro dd regista. Le premesse di Blasetti hanno qualche analogia con quelle di Ra& sellini , ma ne divergono in fase realizzativa. Entrambi scelgono il campo dell'informazione come terreno privilegiato, ma Rossellini lavora nella fiction mentre Blasetti opta per il documentario e il film di montaggio, sconfinando solo due volte nel campo della finzione, con Racconti di fantascienza ( 1 978) e Napoli 1 860: la fine dei Borboni ( 1 970), un ri torno alle tematiche di 1 860 che vuoi essere anche una sorta di « con trostoria », tesa a ridimensionare i luoghi comuni storici sui Borboni. -
1 00
Storie dell'emigra%ione ( 1 972), invece, è un film di montaggio estrema mente interessante che mescola documento e fiction ; il resto è solo « do cumento • : dal ben riuscito La lunga strada del ritorno, che incrocia brani documentari sulla guerra a interviste coi combattenti che vi ave
vano preso parte, al piuttosto agiografico Gli italiani del cinema italiano ( 1964 ) , a Vene%ia: una mostra per il cinema ( 198 1 ) che è l'ultimo film di Blasetti per la televisione (per il cinema aveva smesso di lavorare già dal 1969 ) . Ormai, l'età gli impedisce anche il lavoro in televisione, che è stato per lui la continuazione, parafrasando Clausewitz, di quello nel cinema con altri mezzi . Ciò nonostante, dal suo appartamento in Via Lazio 9, a Roma, proprio a ridosso di Via Veneto, quale « papà ,. o fratello maggiore del cinema italiano - a cui, secondo Visconti, tutti i registi italiani debbono qualche cosa -, continua a lanciare messaggi : l'ultimo, al momento della stesura di queste note, in « il manifesto ,.
( 1 3-1 1 - 1 983 ) :
Per intraprendere la professione della regia, un giovane deve prima studiare bene quando e come hanno realizzato il mestiere i più importanti fra gli altri prima di lui : da alcuni si sentirà estraneo o respinto, da altri attratto; respinga sia l'attrazione di copiare come quella di essere originale ad ogni costo.
101
FILMOGRAFIA
Questa filmografia è stata stabilita collazionando le seguenti fonti : Segna ltn:ioni cinematografiche, Roma, Centro Cattolico Cinematografico, per il periodo che va dal 1934 al 1969 ; Alessandro Blasetti 1 929-1 952, a cura di Giusto Vittorini, in « Cinema », n. 92, 1952 ; Blasetti Alessandro, in « Schedario Cinema tografico Rinnovato », marzo 1974 ; Francesco Savio, Ma l'amore no. Realismo, formalismo, propaganda e telefoni bianchi nel cinema italiano del regime, Mi lano, Sonzogno, 1975; Materiali sul cinema itali4no 1 929/ 1 94), Pesaro, Dodi cesima Mostra internazionale del nuovo cinema, 1975 ; Materiali sul cinema italiano degli anni '50, vol. II, Pesaro, Quattordicesima Mostra internazionale del nuovo cinema, 1978 ; Carlo Lizzani , Il cinema itali4no 1895-1979, Roma, Editori Riuniti, 1979 (Filmografia, a cura di Roberto Chiti) ; Alessandro Blasetti, Il cinema che ho vissuto, a cura di Franco Prono, Bari, Dedalo, 1982 ; Alessandro Blasetti, Scritti sul cinema, a cura di Adriano Aprà, Marsilio, Venezia, 1982. A queste, naturalmente, vanno aggiunti i titoli di testa dei film e altre schede e notizie sparse in varie sedi. Il cortometraggio Sulla cupola di San Pietro ( 1945) è citato solo da Aprà.
Regie
1929 SOLE Regia: Alessandro Blasetti ; soggetto: Aldo Vergano; sceneggiatura : Aldo Vergano, Alessandro Blasetti ; fotogra/i4 : Giuseppe Caracciolo, Giorgio Orsini, Carlo Montuori ; scenografi4 : Gastone Medio ; montaggio: Ales sandro Blasetti; aiuto regia: Goffredo Alessandrini; interpreti: Marcdlo Spada (ingegner Rinaldi) , Vasco Creti (Marco) , Oria Paola (Giovanna ) , Vittorio Vaser (Silvestro) , Lia Bo sco (Barbara) , Anna Vinci, Rolando Co stantino, Rinaldo Rinaldi, Igino Nunzio, Vittorio Gonzi, Arnaldo Baldac cini, Sante Bonaldo, Arcangelo Aversa; produzione: Augustus. Il film girato muto ebbe un commento musicale realizzato da Mario De Risi per il debutto al cinema Corso ( 16 giugno 1929). 102
1930 RESURRECI'IO Regia: Alessandro Blasetti; soggetto: Alessandro Blasetti; sceneggiatura: Alessandro Blasetti ; dialoghi: Guglielmo Zorzi ; fotografia: Carlo Montuori, Giulio De Luca; scenografia: Gastone Medio; musica: Amedeo Escobar; montaggio : Ignazio Ferronctti, Alessandro Blasetti ; aiuto regia: Eugenio De Liguoro; interpreti: Lya Franca (la ragazza ) , Daniele Crespi (Pietro Gadda) , Venera Alcxandrcscu (la donna fatale) , Olga Capri, Aldo � schino; produzione: Stefano Pittal1J8a, Cines ; durata: 64'. NERONE
Regia: Alessandro Blasetti; soggetto : Ettore Petrolini ; sceneggiatura: Et tore Petrolini ; fotografia: Carlo Montuori; scenografia: Mario Pompei; musica: Pietro Sassoli, da temi degli spettacoli di Petrolini; suono: Gio vanni Paris ; montaggio : Ignazio Ferronetti, Alessandro Blasctti; interpreti:
Ettore Pctrolini (Gastone, Nerone, Fortunello, Pulcinclla, se stesso), Grazia Del Rio (l'ammiratrice), Merccdes Brignone, Alfredo Martinclli , Elma Kriner, A1J8Usto Contardi ; produzione : Stefano Pittaluga, Cincs;
durata: 82'.
TERRA MADRE Regia: Alessandro Blasctti; soggetto : Camillo Apolloni ; sceneggiatura: Gian Bistolfi, Alessandro Blasetti ; fotografia: Carlo Montuori, Giulio De Luca; scenografia: Domenico M. Sansone, Vinicio Paldini; musica: Felice Montagnini; direzione orchestrale: Pietro Sassoli; adattamento delle can zoni popolari romagnole: Francesco Balilla Pratella; coro : Brigata di Lugo diretta dal maestro Montanari ; suono : Giovanni Paris ; montaggio: Ignazio Fcrrone tti, Alessandro .Blaseui ; aiuto regia: Goffredo Alessandrini; inter preti: Leda Gloria (Emilia) , Sandro Salvini (Marco) , lsa Pola (Daisy), Carlo Ninchi (il compratore) , Vasco Crcti (il padre di Emilia) , 0Jga Capri (una massaia ), Franco Coop , Umberto Cocchi , Ugo Gracci , Raimondo Van Ricl, Giorgio Bianchi, Umberto Sacripante, Augusto Bandini, Franz Sala, Arcangelo Avena; produzione: Stefano Pittaluga, Cines; durata: 87 '.
1931 PALIO Regia: Alessandro Blasetti; soggetto: da alcuni racconti di Luigi Bonelli ; sceneggiatura: Gian Bistolfi, Alessandro Blasetti, Luigi Bonclli ; fotografia: Anchise Brizzi , Gioacchino Gennaro Gcngarclli; scenografia: A. Busiri Vici, Tullio Rossi, Roberto Rustichclli ; musica: Felice Lattuada; dire-
103
:ione orchestrale: Pietro Sassoli ; suono : Giovanni Paris ; montaggio: Ignazio Ferronetti, Alessandro Blasetti; aiuto regia : Ferdinando Maria Poggioli; interpreti: Leda Gloria ( Fiora) , Guido Celano (Zarre ) , Mario
Ferrari (Bachicche) , Laura Nucci ( Liliana) , Mara Dussia (la contessina Fortarrighi) , Mario Brizzolari (il dottor Mario Turamini) , Ugo Ceseri ( Roncanino) , Olga Capri (la cicciona) , Vasco Creti (uno stalliere) , Umberto Sacripante (Saragiolo) , Arcangelo Avena, Gino Viotti, Eugenio De Liguoro, Ugo Gracci ; produzione: Cines; durata: 9 1 '.
1932 ASSISI Regia: Alessandro Blasetti; fotografia : Ubaldo Arata ; musica : cori reli giosi; montaggio : Alessandro Blasetti ; produzione: Emilio Cccchi Cines; durata : 13'. ,
LA TAVOLA DEI POVERI Regia: Alessandro Blasetti ; soggetto : dall'atto unico omonimo ( 193 1 ) di Raffaele Viviani; sceneggiatura: Raffaele Viviani , Mario Soldati (con la collaborazione di Emilio Cecchi , Alessandro Blasetti, Alessandro De Stefani) ; fotografia: Carlo Mon tuori , Giulio De Luca ; scenogra/ia: Ga stone Medio; musica: Roberto Caraggiano (su motivi di Raffaele Viviani); suono : Pietro Cavazzuci ; montaggio : Ignazio Ferronetti, Alessandro Bla setti; interpreti: Raffaele Viviani (marchese lsidoro Fusaro) , Leda Gloria (Giorgina Fusaro) , Salvatore Costa (Biase) , Vincenzo Flacco (Mezzapalla) , Marcello Spada (Nello Valmadonna) , Mario Ferrari (avvocato Volterra), Armida Cozzolino (Lida Valmadonna) , Cesare Zoppetti (il professore) , Lina Bacci (la segretaria del comitato) , Vasco Creti ( il cameriere di casa Fusaro) , Renato Navarrini ; produzione: Emilio Cccchi Cines; durata: 7 1 '. ,
1933 I L CASO HALLER Regia: Alessandro Blasetti ; soggetto : dal dramma Der Andere di Paul Lindau ; sceneggiatura: Leo Menardi (dal copione di Johannes Brandt per il film tedesco Der Andere di Robert Wiene) ; fotografia: Anchise Brizzi; scenografia: Arnaldo Foresti; musica : Cesare Andrea Bixio; direzione orchestrale: Armando Fragna ; suono : Vittorio Trentina; montaggio : Igna zio Ferronetti, Alessandro Blasetti ; interpreti: Marta Abba (la proscituta) , Memo Benassi (Haller) , Camillo Pilotto (il capo della banda) , Vittorio Vaser (un bandito) , Ugo Ceseri, Egisto Olivieri, Cele Abba, Vasco Creti ,
1 04
Umbeno Sacripante, Isa Miranda, Natalia Murray Danesi ; produzione : Liborio Capitani, Cines; durata : 77'.
1860 Regia: Alessandro Blasetti ; soggetto : da un racconto di Gino Mazzuchi c ; sceneggiatura: Alessandro Blasetti , Gino Mazzucchi, Emilio Cecchi ; foto grafia : Ancbise Brizzi, Giulio De Luca ; scenografia : Vittorio Cafiero, Angelo Canevari ; costumi: Vittorio Nino Novarese; musica : Nino Medio; suono: Vittorio Trentino; montaggio : Ignazio Ferronetti , Alessandro Bla setti ; "interpreti: Giuseppe Gulino (Carmeliddu) , Aida Bellia (Gesuzza ) , Gianfranco Giachetti (padre Costanzo, il frate domenicano) , Mario Fer,.rari
(colonnello Carini) , Maria Denis (Oelia) , Vasco Creti (l'autonomista) , Laura Nucci (ragazza siciliana) , Totò Majorana (il ragazzo ucciso) , Otello Toso (soldato piemontese) , Andrea Checchi (un soldato) , Cesare Zoppetti, Ugo Gracci, Amedeo Trilli, Arnaldo Baldaccini, Arcangelo Aversa, Aldo Frosi, Naisa Lago, Umberto Sacripante ; produzione: Emilio Cecchi, Cines ;
durata: 75'.
1934 L'IMPIEGATA DI PAPA Regia : Alessandro Blasetti ; soggetto : Alessandro· Blasetti (dal film tedesco Heimkehr ins Gluck di Cari Boese) ; sceneggiatura : Alessandro Blasetti; fotografia: Carlo Montuori ; scenografia : Gastone Medio ; musica : Robert Stolz, Cesare Andrea Bixio; suono : Vittorio Trentino ; montaggio : Ignazio Ferronetti, Alessandro Blasetti ; interpreti: Memo Benassi (il banchiere), Elsa De Giorgi (sua Eiglia) , Renato Cialente (il fidanzato) , Maria Denis (una collega d'ufficio) , Enrico Viarisio (il grafologo) , Laura Nucci (altra collega d'ufficio) , }anna Farini (altra collega d'ufficio) , Cesare Zoppetti, Mario Ferrari ; produzione: SAPF; durata : 68'. VECCHIA GUARDIA Regia: Alessandro Blaseni ; soggetto : Giuseppe Zucca (da una trama di G. Zucca e L. Apolloni) ; sceneggiatura: Giuseppe Zucca, Alessandro Bla setti, Leo Bomba, Guido Albertini ; fotografia: Otello Martelli; sceno grafia : Leo Bomba; a"edamento : Primo Zeglio; suono: Giuseppe Carac ciolo; registrazione sonora : Giovanni Paris ; montaggio : lgnDio Ferronetti, Alessandro Blasetti; aiuto regia : Flavio Calzavara ; interpreti: Gianfranco Giachetti (dott. Caudio Cardini ) , Mino Doro (suo figlio Roberto) , Franco Brambilla (suo figlio Mario) , Maria Puccini (sua moglie) , Barbara Monis
105
(Lina) , Graziella Antonelli (sua sorella) , Ugo Ceseri (Marcone) , Umberto Sacripante (il pazzo Tralicò) , Graziella Betti (la ragazza del convento), Gino Vioui (il sindaco) , Cesare Zoppetti (l'assesrso e) , Aristide Gabini (l'usciere) , ltalo Tancredi (l'infenniere) , Ugo Gracci (il fabbro) , Giovanni Grasso (il commissario) , Vasco Creti, Andrea Otecchi , Amina Piraoi Maggi , Aldo Frosi, Arnaldo Baldaccini, Fernando De Crucciati, Leo Bomba, Mimma Romano, Sergio Carmignani, Ugo Sasso , Alfredo Varelli, Walter Lazzaro ; produzione: Alfredo Viglietti, Fauno Film; durata: 87'. 193.5 AIDEBARAN Regia: Alessandro Blasetti ; soggetto : Corrado D'Errico, Leo Bomba, Giu seppe Zucca; sceneggiatura : Leo Bomba, Giuseppe Zucca, Alessandro Blasetti; fotografia : Ubaldo Arata, Massimo Terzano; scenografia: Guido Fiorini; musica: Umberto Mancini; suono : Giovanni Paris; montaggio: Ignazio Ferronetti; aiuto regia : Flavio Calzavara; interpreti: Gino Cervi (Corrado Valeri) , Evi Maltagliati (sua moglie Anna Weiss) , Gianfranco Giachetti (il contrammiraglio Valeri) , Egisto Olivieri (il comandante del bastimento), Elisa Cegani (Elisa Sandri) , Ugo Ceseri (un sottufficiale) , Franco Coop (un altro sottufficiale) , Umberto Sacripante (un attendente), Ermanno Roveri (un altro attendente) , Pietro Pastore (un altro attendente) , Vittorio Vaser, Giampaolo Rosmino, Gemma Bolognesi, Mario Steni, Rosina Anselmi, Vasco Creti, Franco Brambilla, Graziella Betti, Luigi Pavese, Tatiana Pavoni, Doris Duranti, Silvia Mdandri, Aristide Garbini, Aldo Frosi, Vittorio Carpi, Giotto Tempestini, Dino Cardinali, Umberto Bompiani, Olga Sandri, Alessandro Blasetti (un radiotdegrafista) ; pro duzione : Manenti Film; durata: 100'. 1 937 CONTESSA DI PARMA Regia : Alessandro Blasetti; soggetto : Gherardo Gherardi; sceneggiatura: Gherardo Gherardi, Alessandro Blasetti, Libero Solaroli, Mario Soldati, Aldo De Benedetti; fotografia: Otello Martelli; scenografia: Giovanni Paolucci; musica: Amedeo Escobar, Giovanni Fusco; direzione orchestrale: Fdice Montagnini; suono : Giovanni Canevaro; montaggio : Ignazio Fer ronetti, Alessandro Blasetti; aiuto regia: Mario Soldati; interpreti: Elisa Cegani (Marcella ) , Antonio Centa (Gino Viani), Maria Denis (un'indos satrice) , Umberto Melnati (il proprietario della casa di moda) , Pina Gallini (la zia) , Osvaldo Valenti, Nunzio Filogamo (due gagà), Ugo
1 06
Ceseri, Marichetta Stoppa, Giannina Chi.antoni; produzione: Roberto Dandi, ICI ; durata: 87'.
1938 CACCIA ALLA VOLPE NELLA CAMPAGNA ROMANA Regia: Alessandro Blasetti; fotografia (technicolor) : Jack Cardiff; musica: Enzo Masetti; direzione orchestrale: Fernando Previtali; produzione: Leonardo Film-World Window-United Artists; durata: 20' circa.
ETIORE FIERAMOSCA Regia: Alessandro Blasetti; soggetto: dal romanzo Ettore Fieramosca o la Disfida di Barletta ( 1833) di Massimo D'Azeglio; sceneggiatura: Ales sandro Blasetti, Cesare Vico Lodovici, Augusto Mazzetti, Vittorio Nino No varese ; fotografia: Vaclav Vich, Mario Albertelli ; scenografia: Giuseppe Porcheddu, Ottavio Scotti, Mirko Vuketich, Fulvio Jacchia; costumi: Vittorio Nino Novarese, Marina Arcangeli; musica: Alessandro Cicognini; direzione orchestrale : Pietro Sassoli; suono: Giuseppe Caracciolo, Mario Amari ; montaggio : Ignazio Ferronetti, Alessandro Blasetti; interpreti: Gino Cervi (Ettore Fieramosca) ; Elisa Cegani (Giovanna di Morreale) , Mario Ferrari (Graiano d'Asti) , Osvaldo Valenti (Guy de la Motte), Lamberto Picasso (Colonna) , Oara Calamai (Fulvia) , Gianili Pons (duca di Nemour, capo dell'esercito francese) , Corrado Racca (Don Diego) , Umberto Sacri pante (ministro di Giovanna ) , Mario Mazza (Fanfulla ) , Dino Gazzabini (Brancaleone) , Carlo Duse (scudiero di Graiano) , Andrea Checchi , Ugo Sasso, Otello Toso, Arnoldo Foà, Oscar Andriani, Virgilio Gottardi (sol dati italiani), Tao [ Paolo] Ferrari (il bambino) , Nicola Maldacea (l'oste), Jole Tinta, Diana Lante, Gemma Bolognesi, Diana Floriani, Orietta Fiume, Mara Danieli, Loretta Vinci (ballerine e cortigiane) , Silvio Bagolini, Antonio Petroni, Luigi Zerbinati, Guglielmo Morresi, Antonio Porazzi , Renato Chiantoni, Vasco Cataldo, Puccio Gamma, Beatrice Mancini, Paolo Ferrara, Lily Schiavon, Ubaldo Noris, Lorenzo Scategni, Otello Pollini, Guglielmo Longo, Stefano Sciaccaluca, Emily Kathrin Hovert, Alberto Minoprio, Laura Esperto; produzione: Vincenzo Genesi, Nembo Ftlm; durata: 1 14'. 1939 RETROSCENA Regia : Alessandro Blasetti; soggetto : da un racconto di Carlo Duse; sce neggiatura : Ettore Maria Margadonna, Alessandro Blasetti, Pietro Germi; fotografia: Vaclav Vich; scenografia: Gastone Medio; costumi: Marina 1 07
Arcangeli; musica: Giovanni Danzi, Alessandro Cicognini; suono : Gio vanni Paris; montaggio : Ignazio Ferronetti, Alessandro Blasetti; aiuto regia: Pietro Germi ; interpreti: Filippo Romito (il baritono) , Elisa Cegani (la pianista) , Emilio Pilotto (il manager del baritono), Lia Orlandini (la zia della pianista) , Enzo Biliotti (il critico musicale) , Ugo Ceseri (il capo claque) , Oretta Fiume, Giovanni Grasso, Romolo Costa, Fausto Guerzoni, Ermanno Roveri, Mario Pucci, Federico Collino, Cesare Zop petti, Nino Eller, Achille Majeroni, Nino Crisman, Sandro Dani, Luigi Erminio D'Olivo, Giuseppe Ricagno, Armando Migliari, Michele Ric cardini, Mary Dumont, Gondrano Trucchi, Carlo Duse, Giuseppe Porelli, Albe Ferrarotti; produzione: Continentalcine ; durata: 105'. UN'AVVENTURA DI SALVATOR ROSA Regia: Alessandro Blasetti; soggetto : da una trama di Ugo Scotti Berni ; sceneggiatura: Corrado Pavolini, Alessandro Blasetti, Renato Castellani ; dialoghi: Giuseppe Zucca; consulenza artistica : Corrado Pavolini; foto grafia: Vaclav Vich; scenograjia: Virgilio Marchi, costumi: Gino C. Sen sani; musica: Alessandro Cicognini; direzione orchestrale: Pietro Sassoli ; suono : Giovanni Paris; maestro d'armi: Enzo Musumeci Greco; mon taggio : Mario Serandrei, Alessandro Blasetti; aiuto regia: Renato Castel lani, Lionello De Felice; interpreti: Gino Cervi (Salvator Rosa, il Formica) , Luisa Ferida (Lucrezia) , Rina Morelli ( Isabella di Tomiano) , Osvaldo Valenti (Lamberto D'Arco) , Ugo Ceseri (Giuseppe), Umberto Sacripante, Piero Pastore, Mario Mazza , Paolo Stoppa (i contadini complici di Lu crezia) , Carlo Duse (ufficiale di palazzo a Napoli), Enzo Biliotti (il viceré di Napoli) , Jone Salinas (Amalia) , Mario Pucci (il poeta) , Leone Papa, Giorgio Gentile, Rudi Dal Prà, Gino Massi, Nino Eller, Ada Colangeli, Giuseppe Bordanaro, Enzo Musumeci Greco; produzione : Stdla Film; durata: 96'. 1940 NAPOLI E LE TERRE D'OLTREMARE Regia: Alessandro Blasetti ; produzione: Istituto Luce. Cortometraggio documentario sulla omonima mostra, interrotto in seguito allo scoppio della guerra. 1941 LA CORONA DI FERRO Regia: Alessandro Blasetti ; soggetto : Alessandro Blasetti, Renato Castel lani; sceneggiatura : Corrado Pavolini, Guglielmo Zorzi, Giuseppe Zucca ,
108
Alessandro Blasetti, Renato Castellani ; consulen%4 artistica: Corrado Pa volini; fotografia: Vaclav Vich, Mario Craveri; scenografia : Virgilio Mar chi; costumi: Gino C. Sensani, Casa Caramba; musica: Alessandro Ci cognini ; dire1.ione orchestrale: Pietro Sassoli; suono: Giovanni Paris: mon taggio: Mario Serandrei ; aiuto regia: Renato Castellani, Mario Chiari, Lionello De Felice; interpreti: Elisa Cegani (la madre di Elsa/Elsa) , Luisa Ferida (Kavaora, madre di Tundra/Tundra) , Gino Cervi (re Sede mondo) , Massimo Girotti (Licinio/suo figlio Arminio), Osvaldo Valenti (Eriberto) , Rina Morelli (la vecchia del fuso) , Umberto Silvestri (Farkas) , Stelio Carnabuci (re Artace) , Paolo Stoppa (Trifilli) , Amedeo Trilli (un re al torneo) , Renato Navarrini (ministro del re della Rosa) , Giorgio Gentile (il re della Rosa) , Ugo Sasso (Nacarete) , Primo Carnera, Piero Pastore, Mario Ersanilli, Antonio Marietti, Umberto Sacripante, Vittorio Carpi, Renato Karninski, Lino Bears; produ1.ione: ENICLux; durata: 106'. LA CENA DELLE BEFFE . Regitl: Alessandro Blasetti; soggetto : dal dramma omonimo ( 1 909) di Sem Benelli; sceneggiatura: Alessandro Blasetti, Renato Castellani; foto grafitl : Mario Craveri ; scenografia: Virgilio Marchi ; costumi: Gino C. Sensani; musica: Giuseppe Becce ; suono: Vittorio Trentino; montaggio : Mario Serandrei ; aiuto regia: Lionello De Felice, C. Benelli; interpreti: Amedeo Nazzari (Neri Chiaramontesi) , Osvaldo Valenti (Giannetto Ma lespini) , Oara Calamai (Ginevra) , Valentina Cortese (Lisabetta) , Elisa Cegani (Laldòmine) , Luisa Ferida (Fiammetta) , Memo Benassi (il Tor naquinci) , Alberto Capozzi (il Calandra) , Alfredo Varelli (Gabriello Chia ramootesi) , Lauro GQZlo, Umberto Sacripante, Silvio Bagolini (i tre dottori) , Gildo Bocci (l'oste), Nietta Zocchi (Cinzia) , Piero Carnabuci, Carlo Minello, Aldo Silvani, Antonio Acqua, Anna Carena, Adele Ga ravaglia, Margherita Bagni, Lilla Brignone; produ1.ione: Giuseppe Amato, Cines; durata: 86'. 1942 4 PASSI FRA LE NUVOLE Regia: Alessandro Blasetti; soggetto : Cesare Zavauini, Piero Tellini; sce neggiatura : Aldo De Benedetti , Cesare Zavattini, Alessandro Blasetti, Piero Tellini ; fotografia: Vaclav Vich; scenografia: Virgilio Marchi ; musica: Alessandro Cicognini ; suono: Umberto Picistrelli ; montaggio: Mario Se randrei; aiuto regia : Lionello De Felice; interpreti: Gino Cervi (Paolo
Bianchi) , Adriana Benetti (Maria) , Giuditta Rissone (Oara Bianchi) , 109
Carlo Romano (l'autista della corriera) , Margherita Seglin (donna Luisa, madre di Maria) , Guido Celano (Pasquale, fratello di Maria) , Giacinto Molteni (don Matteo, nonno di Maria), Aldo Silvani (don Luca, padre di Maria) , Lauro Gazzolo (il controllore ferroviario) , Enrico Viarisio (compagno di viaggio in treno) , Oreste Bilancia, Anna Carena, Pina Gallini, Arturo Bragaglia, Virgilio Riento (viaggiatori della corriera) , Umberto Sacripante, Silvio Bagolini ( i due suonatori girovaghi) , Mario Siletti, Gildo Bocci , Luciano Manara, Armando Migliari, Ada Colangeli, Paolo Bonecchi ; produzione : Giuseppe Amato, Cines; durata: 94'.
1943 NESSUNO TORNA INDIETRO Regia : Alessandro Blasetti; soggetto : dal romanzo omonimo ( 1938) di Alba De Cèspedes ; sceneggiatura: Alba De Cèspedes, Diego Calcagno, Alessandro Blasetti, Paola Ojetti; fotografia: Vaclav Vich; scenografia: Guido Fiorini; musica: Alessandro qcognini ; direzione orchestrale: Pietro Sassoli; montaggio : Dolores Tamburini ; aiuto regia: Vittorio Nino N� varese, Pietro Germi; interpreti: Dina Sassoli (Milly), Elisa Cegani (Sil via) , Mariella Lotti (Xenia) , Doris Duranti (Emanuela) , Maria Mercader (Vinca) , Valentina Cortese (Valentina) , Maria Denis (Anna ) . Vittorio De Sica (un viaggiatore incontrato da Xenia) , Alberto Capozzi (l'aman te di Xenia) , Claudio Gora (un uomo di mondo incontrato da Xenia) , Enzo Fiermonte (il fidanzato di Anna), Filippo Scelzo (il professore di Silvia) , Bella Starace Sainati (la nonna di Anna) , Virgilio Riento (il padre di Anna) , Roldano Lupi, Mino Doro, Giuditta Rissone, Alda Dondini, Anna Capodaglio, Giovanna Scotto, Lamberto Picasso , Elvira Betrone, Ernesto Sabbatini, Edda Soligo, Checco Rissone, Nicola Mal dacca , Alberto Tavazzi , Gilda Marchiò, Adele Garavaglia, Giuseppina Fiore, Maria Mdvia, Adriana Silvieri, Ori Monteverdi ; produzione: Artisti Associati-Quartafilm.
1 94.5 SULLA CUPOLA DI SAN PIETRO Regia: Alessandro Blasetti. Cortometraggio documentario.
UN GIORNO NELLA VITA Regia: Alessandro Blasetti; soggetto : Alessandro Blasetti, Cesare Zavat tini; sceneggiatura: Alessandro Blasetti, Cesare Zavattini, Mario Chiari, Anton Giulio Majano, Diego Fabbri ; fotografia : Mario Craveri ; sceno-
1 10
grafia : Salvo d'Angelo; musica: Enzo Masetti; montaggio : Mario Seran drei ; aiuto regia : Mario Chiari; interpreti: Amedeo Nazzari (il capitano De Palma), Massimo Girotti (Monotti) , Elisa Cegani (Olga, la madre superiora) , Arnoldo Foà (Brusan) , Mariella Lotti, Dina Sassoli, Ave Ninchi, Ada Dondini, Marcella Melnati, Amalia Pellegrini , Enzo Bi
liotti, Flavia Grande, Goliarda Sapienza, Dante Maggio, Ada Colangeli, Antonio Pierfederici, Luciano Mondolfo, Carlo Maronetto, Rino Purga tori; produzione: Orbis Film; durata: 1 17'.
1947 LA GEMMA ORIENTALE DEI PAPI Regia: Alessandro Blasetti; fotografia : Mario Craveri ; musica: Enzo Ma setti; montaggio : Alessandro Blasetti; produzione: Universalia Film. Cortometraggio documentario.
IL DUOMO DI MILANO Regia: Alessandro Blasetti; fotografia: Mario Craveri; musica : Enzo Ma setti; montaggio : Alessandro Blasetti ; produzione Universalia Film.
Cortometraggio documentario. CASTEL SANT'ANGELO
Regia: Alessandro Blasetti; fotografia : Ubaldo Marelli; musica: Ales sandro Cicognini ; produzione: Universalia Film. Cortometraggio documentario. 1948 FABIOLA Regia: Alessandro Blasetti; soggetto: dal romanzo Fabiola o la chiesa delle catacombe ( 18.54) del cardinale Wtseman ; sceneggiatura: Ales
sandro Blasetti, Jean-Georges Auriol, Antonio Pietrangeli, Diego Fabbri, Cesare Zavattini, Emilio Cecch i, Vitaliano Brancati, Corrado Pavolini, Suso Cecchi D'Amico, Umberto Barbaro, Mario Chiari, Lionello De Felice, Alberto Vecchietti; fotografia: Mario Craveri, Ubaldo Marelli ; scenografia : Arnaldo Foschini, Aldo Tommassini, Franco Lolli; costumi: Veniero Colasanti; musica: Enzo Masetti; direzione orchestrale: Willy Ferrera ; suono : Giovanni Paris, Ovidio Del Grande; montaggio: Mario Serandrei; consulenu fll'tistica e letteraria: Giuseppe Della Torre; con sulenu alla regia: Mario Chiari; aiuto regia: Lionello De Felice; interpreti: Michèle Morgan (Fabiola) , Henry Vidal (Rhual), Elisa Cegani (Sira), 111
Michel Simon (Fabio Severo) , Gino Cervi (Torquato) , Massimo Girotti (Sebastiano) , Louis Salou (Fulvio ) , Carlo Ninchi (Galba) , Paolo Stoppa (Manlio Valerio) , Sergio Tofano (Fausto) , Aldo Silvani (Cassiano), Rina Morelli (Faustina) , Guglielmo Barnabò (Antonio Leto) , Silvana Jachino (Lucilla) , Umberto Sacripante (un funzionario dell'annona) , Franco In terlenghi (Corvino) , Goliarda Sapienza (Cecilia) , Giovanni Heinrich (l'in quisitore dell'imperatore) , Virgilio Riento (Pietro) , Nerio Bernardi, Mau rizio Di Nardo, Bella Starace Sainati, Lorena Berg, Flavia Grande, Lo ciana Danieli, Annibale Betrone, Ludmilla Dudarova, Olga Vittoria Gen tili, Luca Cortese, Giovanni Caporilli, Laura Gore, Pasquale Ferzetti, Walter Lazzaro, Elena Makowska, Egisto Olivieri, Ugo Sasso, Amedeo Trilli ; produzione: Universalia Film; durata: 164'.
19.50 PRIMA COMUNIONE Regia : Alessandro Blasetti ; soggetto : Cesare Zavattini; sceneggiatura: Alessandro Blasetti, Cesare Zavattini, Suso Cecchi D'Amico; fotografia: Mario Craveri; scenografia : Veniero Colasanti ; musica: Alessandro Ci. cognini ; montaggio : Mario Serandrei ; aiuto regia : Filippo Mercati; inter preti: Aldo Fabrizi (il commendator Cartoni ) , Gaby Morlay (Maria Car loni) , Ludmilla Dudarova (signorina Ludovisi ) , Lucien Baroux (l'arci prete) , Enrico Viarisio (l'uomo del filobus) , Andreina Mazzo tti, Ernesto Almirante, Aldo Silvani, Lauro Gazzolo , Louis Jourdan, Jean Tissier, Max Elloy, Dante Maggio; produzione : Universalia-Franco London Film; durata: 74'. IPPODROMI ALL'ALBA Regia : Alessandro Blasetti ; fotografia: G. Ventimiglia junior. Cortometraggio documentario.
19.5 1 QUELLI CHE SOFFRONO PER VOI ... Regia : Alessandro Blasetti ; soggetto : Alessandro Blasetti; commento : Ales sandro Blasetti; fotografia : Mario Damicelli; musica: Gino Marinuzzi junior; montaggio : Mario Serandrei; produzione: Quadrifoglio-Farmitalia. Cortometraggio documentario. 19.52 ALTRI TEMPI (ZIBALDONE N. l ) Regia: Alessandro Blasetti ; soggetto : da un'idea di Alessandro Blasetti
1 12
( testi della novellistica dell'Ottocento scelti da Alessandro Blasetti e Suso Cecchi D'Amico) ; sceneggiatura: Oreste Biancoli, Alessandro Bla setti, Vitaliano Brancati, Gaetano Carancini, Suso Cecchi d'Amico, Ales sandro Continenza, ltalo Dragosei, Brunello Rondi, Vinicio Marinucci, Augusto Mazzetti, Filippo Mercati [ Luigi Filippo D'Amico ] , Turi Vasile, Giuseppe Zucca; fotografia: Carlo Montuori e (per l'episodio « Il processo di Frine ») Gabor Pogany ; scenografia e costumi: Dario Cecchi Veniero Colasanti ; musica: Alessandro Cicognini ; suono: Agostino Moretti; mon taggio : Mario Serandrei ; aiuto regia: Filippo Mercati ; interpreti: Aldo Fa brizi (il venditore di libri) , Pina Renzi (la giornalaia) , Enzo Stajola (lo stril lone) , Mario Riva (un cliente) , Galeazzo Benti, Luigi Cimara, Marisa Merlini ( tre clienti in automobile) e, per i vari episodi : « Ballo Excelsior ,. di Ro mualdo Marenco: Alba Arnova, Carlo Mazzone, il balletto del teatro dell'opera di Roma diretto da Attilia Radice ; « Meno di un giorno ,. di Camillo Boito: Alba Arnova (Matilde ) , Andrea Checchi (Camillo ) , Silvio Bagolini (un cicerone) , Bruno Corelli ; « Il tamburino sardo ,. di Edmondo De Amicis : Vittorio Vaser (il capitano) , Enzo Cerusico ( il tamburino) , Guido Celano, Attilio Tosato; « Questione d'interesse » di Renato Fucini : Arnoldo Foà e Folco Lulli (i due contadini) ; « Idillio » di Guido Nobili : Maurizio Di Nardo (Guido detto Micio), Geraldina Parrinello (!ilde detta Filli ) , Rina Morelli (Laura, madre di Guido), Paolo Stoppa (Nando, padre di Guido), Sergio Tofano (nonno di Guido) ; « La morsa ,. di Luigi Pirandello: Elisa Cegani (la moglie) , Amedeo Nazzari (Andrea, il marito) , Roldano Lupi (Serra ) ; « Pot-pourri di canzoni » : Barbara Florian, Elio PandoHi, Dina Perbellini ; « Il processo di Frine » di Edoardo Scar foglio: Vittorio De Sica ( il difensore d'ufficio) , Gina Lollobrigida (Maria Antonietta Desiderio) , Giovanni Grasso (il presidente del tribunale) , Arturo Bragaglia (il pubblico ministero) , Vittorio Caprioli (il farma cista), Dante Maggio, Umberto Sacripante, Carlo Mazzarella (testimoni) ; produzione: Cines; durata: 127 ' . ,
LA FIAMMATA Regia : Alessandro Blasetti; soggetto : dal dramma omonimo di Henry Kistemaekers ; sceneggiatura : Vitaliano Brancati, Leonardo Benvenuti, Fi lippo Mercati, Alessandro Blasetti; fotografia: Carlo Montuori; scena grafia: Mario Chiari , Giovanni Polidori ; costumi : Maria De Matteis ; musica: Alessandro Cicognini ; montaggio : Mario Serandrei ; interpreti: Eleonora Rossi Drago (Monica) , Amedeo Nazzari (colonnello Felt) , Elisa 1 13
Cegani (Yvonne Stettin), Carlo Ninchi (conte Stettin) , Rolf Tasna (ono revole Beaucourt) ; produzione: Cines. 19.53 MIRACOLO A FERRARA
Cortometraggio documentario. 1 9.54 TEMPI NOSTRI (ZIBALDONE N. 2) Regia : Alessandro Blasetti; soggetto : testi scelti dalla novellistica del No vecento; sceneggiatura: (rispettivamente secondo l'ordine degli episodi) : Ennio Flaiano; Suso Cecchi D'Amico; Vasco Pratolini e Alessandro Bla
setti; Puget; Alessandro Continenza; Giorgio Bassani; Alessandro Blasetti; Giuseppe Marotta, Alessandro Continenza e Eduardo De Filippo (per i dialoghi) ; Age, Scarpelli, Alessandro Continenza; fotografia: Gabor Po gany; scenografia: Guido Fiorini; costumi: Veniero Colasanti, Dario Cee chi; musica : Alessandro Cicognini, G. C. Sonzogno, Gomi Kramer; suono: Ennio Sensi; montaggio : Mario Serandrei; aiuto regia: Luigi Filippo D'Amico, Isa Bartalini; interpreti: « Scena all'aperto » di Marino Moretti: Vittorio De Sica, Elisa Cegani, Guido Celano, Memmo Carotenuto, Delfi Tanzi; « Il pupo » di Alberto Moravia: Lea Padovani, Marcello Mastroian ni ; « Mara » di Vasco Pratolini: Yves Montand (Vasco), Danièle Delorme (Mara) ; « Il bacio » di Achille Campanile: Dany Robin, François Perier; « Gli innamorati » di Ercole Patti: Alba Amova, Andtea Ou:cchi ; « Casa d'altri » di Silvio D'Arzo: Michel Simon (il parroco ) , Sylvie; « Scusi, ma ... » di Anton Germano Rossi: Alberto Sordi, Maria Denis, Enrico Viarisio, Adriana Danieli ; « Don Corradino » di Giuseppe Marotta: Vit torio De Sica (don Corradino) , Eduardo De Filippo (il controllore) , Maria Fiore, Vittorio Caprioli; « La macchina fotografica » di Age e Scarpelli : Totò (il fotografo) , Sophia Loren, Silvio Bagolini; produzione: Cines; durata : 132'. PECCATO CHE SIA UNA CANAGLIA Regia : Alessandro Blasetti ; soggetto: dal racconto Il fanatico di Alberto Moravia; sceneggiatura: Suso Cecchi D'Amico, Ennio Flaiano, Alessandro Continenza; fotografia: Aldo Giordani; scenografia : Mario Chiari ; co stumi: Maria De Matteis; musica: Alessandro Cicognini; suono : Ennio Sensi ; montaggio: Mario Serandrei; aiuto regia: Elsa Bartalini; interpreti: Sophia Loren (Lina Stroppiani) , Marcello Mastroianni (Paolo) , Vittorio De Sica (il padre di Lina) , Umberto Melnati (l'uomo derubato del por-
1 14
tafoglio) , Margherita Bagni (Elsa, sua moglie), . Walter Bartoletti (Bru netto) , Mario Passante (il commissario) , Memmo Carotenuto (Cesare, un tassista), Giacomo Furia (Luigi, un tassista), Lina Furia (sua moglie) , Mario Scaccia (l'uomo derubato della borsa) , Wanda Benedetti (sua moglie) , Vittorio Braschi (il ricettatore) , Manlio Busoni (il giornalista) , Michel Simon (Totb), Mauro Sacripante (Peppino) , Giulio Call (la guardia notturna) , Charles Stacy (il turista inglese) , Maria Britnewa (sua moglie) ; produzione: Documento Film; durata: 95'.
1955 LA FORTUNA DI ESSERE DONNA Regia: Alessandro Blasetti; soggetto : Suso Cecchi D'Amico, Ennio Flaiano, Alessandro Continenza ; sceneggiatura: Suso Cecchi D'Amico, Ennio Flaiano, Alessandro Continenza, Alesiaildro Blasetti; fotografia: Otello Martelli ; scenografia: Dario Cecchi ; costumi: Orietta Nasalli Rocca ; musica : Ales sandro Cicognini; direzione orchestrale: Carlo Savina; suono : Ennio Sensi ; montaggio: Mario Serandrei ; interpreti: Sophia Loren (Antonietta Fallari), Marcello Mastroianni (Corrado Vetti) , Charles Boyer (conte Gregorio
Sennetti) , Elisa Cegani (Elena, sua moglie) , Nino Bes