Divinizzazione, culto del sovrano e apoteosi. Tra Antichità e Medioevo 9788873959120


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Divinizzazione, culto del sovrano e apoteosi. Tra Antichità e Medioevo
 9788873959120

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Divinizzazione, culto del sovrano e apoteosi Tra Antichità e Medioevo

DIPARTIMENTO stona culture CIVIltà

a cura di Tommaso Gnoli e Federicomaria Muccioli

LLJ

Bononia University Press

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Collana DiSCi

IlDipartimento di Storia Culture Civiltà, attivo dal mese di ottobre 2012, si è costi­ tuito con l'aggregazione dei Dipartimenti di Archeologia, Storia Antica, Paleogra­ fia e Medievistica, Discipline Storiche Antropologiche e Geografiche e di parte del Dipartimento di Studi Linguistici e Orientali. In considerazione delle sue dimensioni e della sua complessità culturale il Di­ partimento si è articolato in Sezioni allo scopo di comunicare con maggiore com­ pletezza ed efficacia le molte attività di ricerca e di didattica che si svolgono al suo interno. Le Sezioni sono: l) Archeologia; 2) Geografia; 3) Medievistica; 4) Scienze del Moderno. Storia, Istituzioni, Pensiero politico; 5) Storia antica; 6) Studi antro­ pologici, orientali, storico-religiosi. Il Dipartimento ha inoltre deciso di procedere ad una riorganizzazione unitaria di tutta la sua editoria scientifica attraverso l'istituzione, oltre che di una Rivista di Dipartimento, anche di una Collana di Dipartimento per opere monografiche e volumi miscellanei, intesa come Collana unitaria nella numerazione e nella linea grafica, ma con la possibilità di una distinzione interna che attraverso il colore con­ senta di identificare con immediatezza le Sezioni. Nella nuova Collana del Dipartimento troveranno posto i lavori dei colleghi, ma anche e soprattutto i lavori dei più giovani che si spera possano vedere in questo strumento una concreta occasione di crescita e di maturazione scientifica.

Divinizzazione, culto del sovrano e apoteosi Tra Antichità e Medioevo a cura di Tommaso Gnoli e Federicomaria Muccioli

Bononia University Press

Bononia University Press Via Farini 37, 40124 Bologna tel. (+39) 051 232 882 fux (+39) 051 221 019 © 2014 Bononia University Press

ISBN 978-88-7395-912-0 ISSN 2284-1849

Progetto grafico: Irene Sartini Redazione e impaginazione: Milena Aguzzoli .buponline.com [email protected]

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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi. In copertina: Apoteosi di Augusto, Museo Nazionale di Ravenna Stampa: Editografica - Rastignano (BO) Prima edizione: maggio 2014

Sommario

Presentazione Giuseppe Sassatelli

9

Introduzione Tommaso Gnoli, Federicomaria Muccioli

11

«Not a God, but a Person Apart». The Achaemenid King, the Divine and Persian Cult Practices Josef Wiesehofer

29

Il culto di Timoleonte a Siracusa nel contesto politico e religioso del IV secolo a.C. Tradizione e innovazione Federicomaria Muccioli

37

Fortuna, Virtu e Divinita nel caso di Alessandro il Grande Luisa Prandi

59

La divinizzazione del sovrano nella tradizione letteraria del primo ellenismo Franca Landucci Gattinoni

71

Ruler Cults in Practice: Sacrifices and LibationsJor Arsinoe Philadelphos, from Alexandria and Beyond Stefano G. Caneva

85

La regina, la dea e il suo cavallo Lucia Criscuolo

117

The Apotheosis ojthe Seleucid King and the Question oJHigh-priest/priestess: a Reconsideration ojthe Evidence Panagiotis P. lossif

129

The Arsacids: Gods or Godlike Creatures? Edward D:tbrowa Apoteosi e Catasterismo in Commagene: il cosiddetto 'Oroscopo del Leone' Margherita Facella

149

161

Mithridates, God-King? lranian Kingship in a Greek Context Luis Ballesteros Pastor

179

L 'apoteosi di Augusto Tommaso Gnoli

193

Divinizzazionijèmminili nella prima eta imperiale. Analisi della documentazione numismatica Anna Lina Morelli, Erica Filippini L 'apoteosi a rovescio: come mandare agli infori un imperatore Gabriele Marasco Per i vivi o per i morti? Politica e consecratio in eta giulio-claudia e antonina Orietta Dora Cordovana Living Gods-State Gods in Roman Egypt. Social and Economie Conditions ojImperia! Cult and ofEmperor Worship in the Capito! ojPtolemais Euergetis Kai Ruffing Euhemerism and Religious Lifè in the Roman Near East Ted Kaizer 'Knockin' on Heaven's Door: Vom Reden und Schweigen uber die herrscherliche Apotheose in den hellenistischen, kaiserzeitlichen und spdtantiken peri basileias-Schrijien - einige Uberlegungen Matthias Haake

211 251

265

281 295

307

Heliogabalus, Saturnus and Hercules Attilio Mastrocinque

321

L'imperatore sasanide tra umano e divino Antonio Panaino

331

Non tamen deus dicitur cuius effigies salutatur: el debate sobre el culto imperia! en el imperio cristiano Ram6n Teja

343

Teod(Jsio L imperatore senza apoteosi Giorgio Bonamente

359

Funerali e sepolture imperiali a Costantinopolifa realta e leggenda Antonio Carile

379

'Alexander rex' tra Bisanzio e Venezia: la doppia lettura ideologica del volo di Alessandro, tra XII e XIII secolo Monica Centanni

391

La sopravvivenza dell'apoteosi classica nella tradizione geografica medievale: le Colonne d'Ercole segno cartografico della divinizzazione cristiana Alessandro Scafi

427

Bibliografia e abbreviazioni

441

Abstracts

521

Autori

533

Presentazione

Con il volume Divinizzazione, culto del sovrano e apoteosi. Tra Antichita e Medioevo si inaugura la collana di pubblicazioni del Dipartimento di Storia Culture Civil­ tà (DiSCi). Il volume trova posto e viene inserito, come è naturale, nella Sezione di Storia antica. Esso si ricollega ad un Convegno sull'apoteosi tenutosi nel marzo 2012 a Ravenna, dove il Dipartimento ha una sua Unità Organizzativa di Sede. Ma non si tratta della mera riproposizione degli Atti di quel Convegno, come spesso capita nel mondo accademico. Per volontà dei curatori, Tommaso Gnoli e Federi­ comaria Muccioli, docenti rispettivamente di Storia Romana e di Storia Greca nel­ la Scuola di Lettere e Beni Culturali dell'Università di Bologna, si è voluto invece predisporre un vero testo miscellaneo più ampio, che raccoglie ulteriori contributi di studiosi italiani ed europei, e che approfondisce in modo organico e unitario una serie di tematiche oggetto ultimamente di rinnovata attenzione critica. Infatti i diversi saggi, scritti in italiano, inglese, tedesco e spagnolo da alcuni dei più autorevoli esperti nei rispettivi ambiti di competenza, possono essere certo in­ tesi come ricerche a sé stanti, redatte con l'intento di indagare una o più tematiche del titolo (ed è evidente che quando si pensa all'apoteosi ci si riferisce soprattutto al mondo romano, da Augusto in poi). Ma non ci si può nascondere che dietro di essi vi è un vero 'filo rosso', che si evince peraltro già dall'Introduzione. �ello affronta­ to nel volume è in realtà un macrotema, trasversale a tutte le società analizzate o ai modelli di società nel loro divenire storico, e solo apparentemente frazionato nei tre concetti del titolo. �esto peraltro sarebbe suscettibile di ulteriori approfondimen­ ti, se solo si pensa ai rituali funerari, alla Darstellung del potere e ai culti tributati anche in civiltà non esplicitamente affrontate in questa sede (basti ricordare il pro­ blema della divinità del Faraone o la dimensione religiosa del Lucumone in ambito etrusco). Accanto a ciò, costituisce un pattern importante nella cultura europea, di straordinaria vitalità e influenza, come ben testimoniano i saggi a ciò riservati.

10

Giuseppe Sassatelli

Un buon libro deve avviare o stimolare la discussione, nonché suscitare doman­ de e curiosità; questo volume, che pure affronta in modo esauriente un vasto nume­ ro di casi di studio, sollecita ulteriori approfondimenti di ricerca. È dunque più di un auspicio quello che esso si propone, ovvero che tale complesso filone d'indagine, che ben testimonia la vitalità scientifica del DiSCi (Dipartimento di Storia Culture Civiltà) , possa essere ripreso in futuro, in un'intersezione sempre più articolata tra i diversi saperi dell'Antico e di altre epoche, in un dialogo fecondo all'interno del Dipartimento e, più in generale, dell'Ateneo bolognese con la comunità internazio­ nale degli studiosi. Ringrazio in primo luogo i due Curatori del Volume e poi tutti gli autori che hanno partecipato a questa impresa dalla quale spero traspaia tutto il rigore scien­ tifico che il nostro Dipartimento intende adottare per la sua nuova Collana, nella consapevolezza di un esordio che, ne sono sicuro, ci porterà fortuna.

Giuseppe Sassatelli

Introduzione*

Tommaso Gnoli Federicomaria Muccioli

l. �esto volume vede la sua genesi in un convegno internazionale sul tema dell'apoteosi tenutosi a Ravenna il 1 5 - 17 marzo 20121, grazie al supporto finanzia­ rio, organizzativo e logistico della Fondazione Flaminia, della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna e dell'allora Dipartimento di Storia e Metodi per la Conser­ vazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna (divenuto poi Dipartimento di Beni Culturali), nonché a un successivo contributo finanziario del Dipartimen­ to di Storia Culture Civiltà, della medesima Università. Non si tratta però di una semplice riproposizione delle relazioni esposte in quella sede, in quanto se ne sono poi aggiunte altre, su alcuni periodi o aspetti ritenuti particolarmente importanti o meritevoli di approfondimenti. Un quadro che necessariamente non può che es­ sere pensato a più mani, visti gli ambiti di competenza più disparati degli studiosi coinvolti e, ciò nonostante, tra loro quasi complementari. L'intento dei curatori è quello di offrire un quadro generale sul fenomeno della divinizzazione, del culto del sovrano e, più nello specifico, dell'apoteosi, con interesse anche al Nachleben, vol­ gendo l'attenzione non solo al mondo greco-romano, come di consueto nella storia degli studi, ma anche, pur senza pretesa di esaustività, a realtà politiche e religiose parallele, e in alcuni casi addirittura tangenti, quali quelle iraniche o iranizzate (da­ gli Achemenidi ai Parti, fino ai Sassanidi).

· I§§ l e 4 sono stati redatti da Tommaso Gnoli e Federicomaria Muccioli; invece i§§ 2 e 3 sono stati scritti rispettivamente da F. M. e da T. G. 1

Apotheosis: Becoming God between Antiquities and the Middle Ages.

Tommaso Gnoli, Federicomaria Muccioli

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presenti contributi si inseriscono in un periodo particolarmente fecondo nella storia degli studi, che ha visto anche recenti sintesi sul concetto di apoteosi e, più in generale, raccolte di saggi sul complesso fenomeno della divinizzazione (e, quasi specularmente, dell'eroizzazione) di personalità rilevanti nel mondo greco- romano (in vita e in morte) nonché del Ruler Cult, con attenzione non limitata solo all'an­ tichità classica e apprezzabile trasversalità metodologica2• In particolare negli ultimi lustri, con rinnovato fervore e nuove o aggiornate prospettive interpretative, ci si è liberati o ci si sta liberando da convinzioni e idee stereotipate, entrate nella commu­ nis opinio e nella manualistica più generale imperante per buona parte del secolo scorso, a lungo ancorata ad alcune idee fondanti di alcuni standard works, peraltro ancora imprescind ibili. Risalendo nel tempo, se si escludono analisi e intuizioni isolate, ancorché au­ torevoli, come quelle di WW. Tarn, L. Ross Taylor e, soprattutto, A.D. Nock, si deve arrivare agli anni 1 956- 1 960 per avere alcune ricerche di impianto sistematico, tendenti ad offrire una morfologia dei fenomeni cultuali di tipo divino nel mondo greco-romano e anche una prima sintassi esplicativa. Risale al 1 9 57, infatti, l'opera di L. Cerfaux e di]. Tondriau, in cui trovano sistemazione, tra l'altro, numerosi lavo­ ri preliminari del secondo studioso (dedicati, in particolare, all'epoca ellenistica)3• Una monografia ambiziosa, ancorché caotica nella sua esposizione, viziata da alcuni errori metodologici di fondo (come quello, palmare già nel titolo, della contrappo­ sizione tra culto del sovrano e cristianesimo, teorema smontato, da ultimo, anche in alcuni contributi nel presente volume); rimane comunque utile per l'ampia mole di dati raccolti, necessariamente da rivedere e da ampliare con le nuove acquisizioni epigrafiche, papiracee, archeologiche e in base alle nuove prospettive di ricerca ico­ nografica (anche in ambito numismatico). Allo stesso periodo ( 1 957- 1 960) si deve un altro lavoro di raccolta di documen­ tazione e di sintesi, quale quello di F. Taeger4, che reca significativamente nel titolo uno degli elementi fondamentali per la comprensione del fenomeno, ovvero il cha­ risma, concetto, prettamente weberiano, che connota o tende a connotare i poteri monocratici, accompagnati o meno da pratiche onorifiche che si traducono poi in veri e propri culti, istituzionalizzati o meno5• Passato quasi sotto silenzio è invece il testo di C. Gatti, che pure contiene alcune osservazioni interessanti6• Venendo a indagini più mirate, sempre a quel periodo ( 1 956) si deve la prima edizione di una monografia incentrata sui culti civici per i sovrani e dinasti elleni­ stici (tranne una breve parte, preliminare, riservata all'epoca classica), scritta da C. 2.

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2

Vd. Bechtold 20 Il e i contributi raccolti in Iossif et a/ii 20 Il; Giinther, Plischke 20 Il (limitatatamente all'età ellenistica). 3 Cerfaux, Tondriau 1957. 4Taeger 1957-1960. 5 Sulla validità dell'interpretazione di Weber cfr. i saggi contenuti in Luraghi 2013. 6 Gatti 1956.

Introduzione

13

Habicht (ampliata e aggiornata nella seconda edizione del 1970 ) 7. Lo studioso pro­ pone essenzialmente una chiave di lettura politica, autentico asse portante nell'in­ terpretazione di molte realtà cultuali, non solo nel mondo greco di età ellenistica, come si avrà modo di precisare. A ragione P.P lossif, nel suo contributo contenuto nel presente volume, sottoli­ nea come sia sostanzialmente assente da questa corrente di studi il mondo anglosas­ sone, pur con le dovute eccezioni (ad es. E. Badian e E.A. Fredricksmeyer, ovvero N.G.L. Hammond per quanto riguarda soprattutto la Macedonia e il case study per eccellenza, ovvero quello di Alessandro Magno). A questo relativo scarso interesse fa da adeguato contrappeso, ma solo in epoca successiva, la monografia di S.R.F. Price del 1984, che offre un'analisi metodologicamente nuova, incentrata sul culto imperiale in Asia Minore, con ampio spazio anche per l'età ellenistica. Un'indagi­ ne condotta con encomiabile rigore metodologico nell'analisi delle fonti, che deve molto alle teorie di stampo socio-antropologico di C. Geertz8• Nella storia degli studi sul fenomeno della divinizzazione il grande assente, sia nel mondo greco sia nel mondo romano, è stato, per lungo tempo, lo storico della religione in senso classico, più attento semmai ad indagare la figura dell'eroe e i culti relativi, e propenso ad evitare un'analisi puntuale del fenomeno (tanto nel mondo greco quanto in quello romano). Un'eccezione è costituita senz'altro, in ambito ma­ nualistico, dall'opera di M.P. Nilsson9 e successivamente, in tempi ancora non so­ spetti, da alcuni lavori, talora anche seminali, di H.S. Versnel10• In campo iranistico, dove filologia, storia e indagine sulla realtà religiosa spesso sono fuse mirabilmente, si è invece prestata maggiore attenzione al rapporto del sovrano con la divinità e al suo status di immagine terrena di Auhra Mazda, secondo una definizione applicata ai sovrani achemenidi II. Si pensi, in particolare, ai lavori di G. Widengren, non privi peraltro di una certa enfatizzazione, e soprattutto a quelli di G. Gnoli o anche di P. Calmeyer12• Una svolta, anche decisa, tra gli studiosi di storia delle religioni è comunque ravvisabile nelle recenti, frequenti intersezioni nell'approccio ai singoli problemi e alle singole tematiche e alla crescente attenzione che riviste di settore (in particolare,

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Habicht 1956; 1970. Price 1984a, pp. 23 ss.; cfr., ad es., p. 248: « The imperia! cult stabilized the religious order of the world. The system of ritual was carefully structured; the symbolism evoked a picture of the relation­ ship between the emperor and the gods. The ritual was also structuring; it imposed a definition of the world. The imperia! cult, along with his politics and diplomacy, constructed the reality of the Roman empire>> . Vd. anche Price 1980; Price 1984a. 9 Nilsson 1961. 10 Versnel 1974; cfr. Versnel 2011. 11 Cfr. Plut., Ihem. 27, 4-5. 12 Riferimenti in Muccioli 2013, pp. 318 ss. e nei lavori su quel contesto politico e religioso nel presente volume. 8

Tommaso Gnoli, Federicomaria Muccioli

14

«Kernos ») dedicano sempre più ai culti divini, con sguardo rivolto soprattutto alla dimensione divina del sovrano in ambito ellenistico. Inevitabilmente, gli studi raccolti in questa sede risentono ancora in parte di questa dicotomia nella scholarship, giacché in buona misura si devono a studiosi di storia greca e romana in senso classico (si tralasciano, per i motivi suddetti, i con­ tributi sulle realtà iraniche o sul mondo bizantino), comunque sensibili o, in mol­ ti casi, partecipi dei nuovi trends interpretativi, oltre a specialisti della tradizione dell'antico nel mondo occidentale (la persistenza del fenomeno dell'apoteosi è ben tangibile fino ad un recente passato e meriterebbe ulteriori approfondimenti). È bene precisare che il concetto di apoteosi rischia di essere fuorviante se ap­ plicato al mondo greco (a meno che lo si vincoli strettamente o lo si sovrapponga tout court a quello di divinizzazione, con tutte le sue sfumature). Colà, infatti, l'uso del termine (e derivati) applicato ad una vera e propria divinizzazione può sembrare quanto meno improprio, ed è usato per lo più in absentia o presupposto aprioristicamente. Infatti è pur vero che Polibio accusa Callistene di aver diviniz­ zato Alessandro, usando proprio à:rro8eouv, ma la vis polemica dello storico acheo va sfumata e senz'altro va riconosciuta una certa imprecisione, tanto più nell'uso del verbo13• In chiave più generale, si può affermare che le fonti, generalmente, evitino pro­ prio di usare tale verbo e il sostantivo relativo. Anzi, quelle letterarie (e molto spesso anche quelle epigrafiche)14 non offrono descrizioni particolareggiate dell'apoteosi, nonostante la prima, riconosciuta apoteosi, exemplum fondante per buona parte dell'antichità, sia quella di Eracle (modello, dichiarato o meno, per molti prota­ gonisti della storia greca, come Lisandro e Alessandro Magno). Anche quando si assiste a descrizioni di fenomeni di divinizzazione, occorre considerare con molta cautela la possibile interpretatio romana. Così, per citare solo un caso assai discusso nella scholarship degli ultimi anni, l'atleta Eutimo di Locri venne onorato per la sua impresa contro l'eroe di Temesa nel V secolo: un culto, peraltro ignorato da Pausa­ nia (notoriamente ben informato sugli atleti, e su questo personaggio in particolare, e sugli onori ad essi resi post mortem), che viene variamente definito o interpretato come eroico ovvero divino15• Secondo la testimonianza di Plinio, costui, addirittura, consecratus est16• Anche se è vero che l'erudito romano attinge qui a Callimaco, è indubbio che si assista ad una sovrapposizione, quanto meno linguistica, tra mondo greco e mondo romano, con un' Uberarbeitung che può essere fuorviante e che non aiuta a definire il culto per tale personaggio. 1 3 Polyb. XII 23, 3-7 ( FGrHist 566 F 119b). Vd. infra, pp. 50-51. Più attendibile è invece, ad es., Plut., Apophth. Lac. 210c-d (sui Tasi ed Agesilao). 14 Ma vd., ad es., OGIS 56, l. 56 e, per la sua singolarità, la documentazione attinente al regno di Commagene. s 1 Cfr. l'analisi di Currie 2002. 16 Plin., NH V II 152 ( Callim. F 99 Pf.). =

=

Introduzione

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In buona sostanza, indipendentemente dal tentativo di scorgere connessioni e una visione unitaria, difficilmente si potrà considerare il mondo greco speculare a quello romano per quanto riguarda il fenomeno strettamente correlato all'apoteosi, che trova, notoriamente, la sua mordace parodia nel senecano Ludus de morte Clau­ dii o Divi Claudii Ludus de morte Claudii, spesso noto con il titolo Apokolokyntosis, tràdito da Cassio Dione17• Altri sono i tratti che possono essere accomunati o comunque accostati, nell'in­ terpretazione dei moderni, anche in una prospettiva che tenda a creare un conti­ nuum, per quanto disomogeneo, tra mondo greco e mondo romano. Il Ruler Cult, nelle sue diverse forme, di cui l'apoteosi (con la sua creazione/ rielaborazione so­ prattutto in ambito imperiale romano) costituisce il momento più evidente, anche e soprattutto dal punto di vista del rituale, è stato spesso considerato una forma di instrumentum regni. È palmare che dietro l'uso di termini come isotheos oppure he­ mitheos si celi la volontà di creare una limitazione allo status divino, ovvero evitare una perfetta e pericolosa sovrapposizione con le divinità tradizionali. Nelle dinami­ che politiche di età ellenistica tra sovrano, regno e singole poleis (a lui collegate, a diverso titolo) la divinità del monarca, nonostante rigidi rituali e prassi cultuali, è una divinità 'funzionale', ovvero in stretta (e, vista con occhi moderni, cinica) con­ nessione con la temperie e l'opportunità politica18• Particolarmente significativi a riguardo sono i casi di Antioco III e Laodice III a Teos19, oppure quello di Strato­ nice moglie di Seleuco I e poi di Antioco I, che a Smirne diviene Afrodite Strato­ nikis (accettando l'ipotesi, ampiamente diffusa, che sia lei la sovrana in questione) e presentata come tale nel mondo greco. Smirne, pronta più di altre città d'Asia Minore a cogliere il cambiamento politico e a stabilire un rapporto privilegiato con i Seleucidi, fu poi la prima a offrire un tempio alla Dea Roma nel l 9 5 a.C. Non sor­ prende affatto, conseguentemente, che Li via, moglie di Augusto, sia stata gratificata dell'epiteto di Stratonikis, in un ideale passaggio di consegne a livello cultuale tra mondo ellenistico e imperium romano20• Tenuto conto di ciò, è inevitabile che una chiave interpretativa ricorrente nel volume sia quella di analizzare la divinizzazione nella sua dimensione politica, in senso lato. Tralasciando le possibili corrispondenze o somiglianze con la cosiddet­ ta 'religione della politica', per usare una categoria interpretativa che ha avuto un certo successo nell'analisi soprattutto dei regimi monocratici o dittatoriali del XX 17 Dio LX 35, 3: cbroKoÀodvTwaw auTÒv wcnrep Ttvà tiElavchaaw ÒVÒfLaa-aç. Per un esame vd. Roncali 1989, pp. 15-19, 102-103. En passant, andrà osservato che il gioco di parole con il termine tinoElÉwa-tç nel titolo risulta più immediato se si considera la perdita dell'aspirazione in KoÀodVTYJ (al posto dell'ampiamente usato KoÀoKuVElYJ). 1 8 Un aspetto, questo, peraltro già individuato da Tacito, laddove parla di Graeca adulatio, a proposito del culto per Teofane di Mitilene (Ann. Vl6, 18: Datum erat crimini, quod 1heophanem Mytilanaeum Cn.

Magnus inter intimos habuisset quodque defuncto 1heophani caelestes honores Graeca adulatio tribuerat). 19 Cfr. Chaniotis 2007 (e, più in generale, Chaniotis 2003). 2° Cfr. Muccioli c.s. b.

Tommaso Gnoli, Federicomaria Muccioli

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secolo21, tale scelta non può prescindere da tutta una serie di temati che attinenti al problema, invero complesso, dei rapporti tra politica e religione : la sacralizzazione del potere, la politicizzazione della religione, la religione civile e la religione politica (oltre alla succitata religione della politica) o anche la teologia politica. Accanto all'aspetto 'politico' della divinizzazione, quasi sempre soggetto alla temperie politica, nonostante indubbi fenomeni di persistenze cultuali, dall'età ellenistica a quella romana, per non parlare delle tardive rivitalizzazioni (anche cultuali) o creazione ex novo di culti per personaggi entrati nella memoria storica greca, vi sono indubbiamente altri elementi, che vanno considerati e adeguatamen­ te apprezzati e che interagiscono inevitabilmente con quell'aspetto, permettendo una precisa contestualizzazione del culto del sovrano (Ruler Cult/Herrscherkult) e dell'apoteosi, anche nei suoi processi di trasformazione ed evoluzione22• Il termine culto, anzitutto, comunemente usato nelle principali lingue scientifiche per indicare questo fenomeno, ha in sé una certa ambiguità, giacché comporta il ricorso a stru­ menti e linguaggi tecnici che sono propriamente tangenti alla sfera religiosa della polis o della comunità. Altra discriminante, a parte il momento topi co dell'apoteosi vera e propria, è il tentativo di ritualizzare questi onori cultuali, sovrapponendoli, accostandoli o anche apponendoli al calendario religioso tradizionale. Nelle intenzioni di chi lo sollecita e di chi lo introduce in contesti dinastici o civici, il culto diventa una pratica religiosa ufficiale, regolamentata dalle strutture politiche che presiedono al controllo della sfera religiosa e questa considerazione vale sia nell'ambito della polis (e nelle realtà ellenistiche) sia, tanto più, in una so­ cietà più complessa e stratificata, come l'ecumene sotto !'imperium Romanum. È un controllo, esercitato spesso anche dall'alto, che esercita la sua influenza nelle prati­ che rituali, controllandole e regolamentandole; una considerazione questa che non riguarda solo i culti divini ed eroici qui presi in esame, ma anche, ad es., la sfera funeraria e la sua rappresentazione pubblica23• Ma non si può dimenticare anche il motivo prettamente religioso e 'devozionale', finora sotteso o spesso eluso, e che pure è tangibile, pur se soffocato da fonti lettera­ rie e documentarie che tendono a ignorarlo o a sottostimarlo, per motivi diversi. È un aspetto trasversale a tutta la civiltà greca, nelle diverse forme cultuali, e che ob­ bliga anche a riconsiderare dogmi o cesure particolarmente significative o a vederle sotto una luce diversa. Infatti, riguardo al mondo greco (inteso in senso estensivo, fino alla fine dei regni 21

Gentile 2001; cfr. Muccioli 2011 (a cui si rimanda per una prima bibliografia sulle tematiche discusse), nonché infra, l'intervento di P.P. Iossif, nota 7, che ricorda come l'espressione, in modo cur­ sorio, sia già stata utilizzata da P. Wendland (ma l'accezione è in buona misura differente). 22 Su questa linea, pur con accentazioni diverse, cfr. Sfameni Gasparro 1994, p. 432; Van Nuffelen 1998-1999. 2 3 Cfr., ad es., Frisone 2004 (e altri lavori della medesima studiosa; ad es., Frisone 2011 a); Mari 2010.

Introduzione

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ellenistici), per lungo tempo la critica si è soffermata soprattutto su Alessandro Ma­ gno, con relativa attenzione ai prodromi cultuali di tipo divino (su tutti, Lisandro). Agli occhi di chi scrive, risulta però metodologicamente proponibile e fecondo inseri­ re la divinizzazione di Alessandro, considerata peraltro giustamente momento impre­ scindibile a livello politico e religioso, nell'ambito di un lungo periodo di 'fluidità' cul­ tuale, con un' interazione tra culti eroici e culti divini e compresenza reciproca anche nella stessa età ellenistica. Tralasciando la nota richiesta del Macedone circa il culto più appropriato per l'amico defunto Efestione, basterà solo ricordare come accanto alla di­ vinizzazione del figlio di Filippo II in Egitto (e alla sua presenza nel culto dinastico dei Tolemei) vi sia anche un suo vero e proprio culto del fondatore ad Alessandria, che si richiama a quello ecistico, che durò almeno fino al II secolo d.C., fenomeno che trova un importante pendant in altre città di nuova fondazione nella prima età ellenistica, sia pure in modo difficilmente documentabile24• Una fluidità e, anzi, dialogicità, dun­ que, che conoscono fenomeni di resistenza, più o meno palese, alla nuova temperie, con ritorni al passato o rivitalizzazioni di culti per divinità tradizionali25• 3. Il vecchio paradigma- �ello dell'apoteosi e del culto del sovrano è un tema sco­ modo sia dal punto di vista storico sia da quello religioso26• Per poter essere trattato richiede delle spiegazioni preliminari che però in larga misura ne influenzeranno studio e analisi: come mai il culto del sovrano defunto ha avuto un così imponente sviluppo proprio in una civiltà, quella di Roma, che si considerava dotata di tutti gli anticorpi necessari per resistere meglio di qualunque altra al fascino del regime mo­ narchico? Come è possibile pensare seriamente che i Romani considerassero divini personaggi storici a loro contemporanei, dei quali conoscevano particolari della vita - anche i meno edificanti - e che senza alcun dubbio, a differenza degli dèi, quelli veri, erano nati in un particolare giorno e morti in un altro? Anche dal punto di vista del divinizzato la posizione non è comoda. Come può considerarsi dio e pretendere un culto per sé chi fa mostra di non essere in vita un dio, ma nemmeno un ben più prosaico 'padrone' o 'signore'27? Chi insiste senza posa nella definizione di sé come princeps, cioè primus inter pares? Le spiegazioni che si sono date a questi interrogativi sono state molte e tra loro molto diverse. Talmente diverse da comportare rappresentazioni divergenti di tema24 Cfr.

Muccioli c.s. a.

25 Cfr. Deshours 2011.

26 Le rapide note che seguono presentano una bibliografia meno che essenziale, da intendersi come semplice ausilio alla lettura. Nel discorso, necessariamente schematico, ho volutamente tralasciato temi di enorme importanza e che hanno conosciuto proprio in questi ultimi anni sviluppi e approfon­ dimenti, quali ad esempio il ruolo dei collegi sacerdotali nel culto imperiale a Roma e nelle munici­ palità dell'impero. �esto paragrafo intende integrare il precedente, con unfocus diretto al culto del sovrano nell'età del principato visto sotto una prospettiva eminentemente storico-religiosa. 27 Cfr. per Augusto soprattutto Suet., Aug. 53.

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tiche di straordinaria ampiezza e importanza, quali la religione antica, la natura del principato etc. Naturalmente e innanzi tutto, divergenze sull'importanza dell'apo­ teosi o consecratio nell'ambito della religione romana, il ruolo che la religione ebbe nella vita e nella società romana tra primo secolo avanti e terzo secolo dopo Cristo, il ruolo di Augusto, infine, nella riforma religiosa del mondo romano. Il culto imperiale e la connessa apoteosi dell'imperatore rappresenta quindi un crocevia fondamentale, che implica concezioni significativamente diverse del mondo romano. Il paradigma interpretativo più antico e tradizionale era portato a limita­ re molto l'importanza del fenomeno della divinizzazione dell'imperatore defunto e del successivo culto che gli veniva dedicato. Non si trattava certo di vera religione, bensì di un sottoprodotto religioso, di una degenerazione tarda e decadente di un paganesimo consunto, che non riusciva a proporsi che come un puntello politico del nascente regime totalitario imperiale. Il modello più alto del mondo antico era rap­ presentato senza possibilità di equivoci da Demostene e dal suo emulo latino Cicero­ ne, gli eroici, anche se perdenti, oppositori delle tendenze autocratiche di Filippo e di Cesare. L'egemonia macedone in Grecia avrebbe cancellato per sempre quell'irripe­ tibile stagione nella storia dell'umanità. A Roma, l'avvento della casa Giulia avrebbe avuto esiti un po' diversi: il regime per così dire transitorio creato dalla genialità di Augusto - quello della mommseniana diarchia tra principe e senato, per intenderei­ avrebbe consentito ancora per qualche generazione una situazione intermedia, dove la libertas repubblicana sarebbe stata lentamente ma inesorabilmente avvelenata dalle crescenti pretese autocratiche degli imperatori. Così, da Augusto si sarebbe lenta­ mente decaduti, con un processo che non poteva essere lineare e matematico, fino al soprassalto rappresentato dall'impero umanistico degli Antonini. Il destino di Roma era però oramai segnato: nuovi veleni dovevano giungere dall'Oriente ad aggravare una malattia ormai incurabile. I culti orientali si diffusero a macchia d'olio nel corpo marcio dell'impero romano, privo da secoli di una religione degna di questo nome. Tra tanti veleni, naturalmente, vi era però anche un farmaco, che avrebbe consentito una palingenesi di un corpo trasfigurato in una nuova fede. Il capolavoro letterario e scientifico sul quale in larga misura si costruì questo paradigma fu la History of the Decline and Fall of the Roman Empire di Edward Gibbon ( 1 776- 1 789 ) 28• Esso ebbe tuttavia una vita lunghissima, trovando ancora espressione in sintesi monumentali nella prima metà del ventesimo secolo29• In que28 Naturalmente a eccezione dell'atteggiamento nei confronti del Cristianesimo. Il vecchio pa­ radigma è stato molto rafforzato, sul lato storico, dall'opera di Mommsen, che ha creato la formula istituzionale del principato come diarchia tra principe e senato. 29 A titolo d'esempio possono citarsi i volumi dello Handbuch der Altertumswissenschaft di Wis­ sowa 1902, Nilsson 1950 e Latte 1960. La continuità su questi temi è impressionante, al di là della differenza nei toni: Gibbon 1994, l, p. 105: «The history of their own country had taught them [cioè ai Romani] to revere a free, a virtuous, and a victorious commonwealth; to abhor che successful crimes of Caesar and Augustus; and inwardly to despise those tyrants whom they adored with the most abject flattery»; Beurlier 1890b, p. 7: «pures flatteries>> ; Latte 1960, p. 31: «Nur darf man darin nicht eine

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sta prospettiva, appunto, il culto imperiale non poteva essere considerato realmente degno di attenzione dal punto di vista religioso. Si trattava solamente di una dege­ nerazione politica di un fenomeno religioso, estranea alla mentalità greca e romana, proprio come estranea a questa mentalità era il regime politico ad esso soggiacente. Gli spiriti liberi di Grecia e di Roma non potevano assoggettarsi ai nuovi regimi se non dietro la spinta proveniente dall'Oriente, da sempre terra d'elezione per ogni sorta di dispotiche autocrazie. Ilvecchio paradigma poteva contare sul sostegno fornito dalle fonti storiografi­ che. Limitando il discorso a Roma, l'antica, originaria e pura religione latina appa­ riva splendidamente rappresentata nelle opere di autori di età tardo repubblicana e augustea: Catone, Varrone, ma soprattutto la straordinaria opera di Cicerone, uni­ tamente all'enorme massa di dati raccolti dalla grande poesia augustea, fornivano un quadro dell'antica religione romana quanto mai coerente. La convergenza di dati non si limitava solo alla generale rappresentazione del mondo religioso romano ar­ caico, bensì forniva elementi univoci per la determinazione delle sue linee evoluti­ ve: la religione più antica si sarebbe conservata pura e intatta fino all'età annibalica circa, quando sarebbero iniziati a penetrare in Italia e a Roma dei culti orientali che, assieme alluxus importato anch'esso dall'Oriente, avrebbero iniziato a minare l'autorevolezza e la forza della religiosità tradizionale. Non potevano esserci dubbi su questa interpretazione corroborata dalla preziosissima testimonianza del Senatus consultum de Bacchanalibus. Del resto le opere di Cicerone traboccano di lamentele circa la decadenza, ai suoi tempi, dell'osservanza delle pratiche religiose tradizionali, e anche la logica dell'abbandono delle antiche e sane tradizioni durante la lunghis­ sima tragedia delle guerre civili ben si adattava a questo schema narrativo, e allo stesso modo consentiva di dare pieno credito all'affermazione, tanto frequente da risultare addirittura uno slogan propagandistico, che Augusto avrebbe 'restaurato' la religiosità tradizionale. La restaurazione tradizionale dei culti sarebbe stata effettiva e reale, con la sola eccezione rappresentata dall'introduzione del culto imperiale. �esto non fu opera di Augusto, che anzi tentò di resistere a questa spinta proveniente dal basso, ma fu iniziativa delle plebi orientali. Sarebbero stati i provinciali egiziani, siriani, micrasia­ tici che, abituati da sempre ad adorare i loro sovrani locali, poi ellenistici, trovarono naturale riversare le loro attenzioni sui nuovi padroni, gli imperatori romani. Augu­ sto rifiutò questi onori, che infatti non avrebbero attecchito in Italia e a Roma, per poi accettarli, in forma ridotta, nelle province. A dimostrazione del diverso atteg­ giamento che nell'impero romano ci sarebbe stato nei confronti della nuova pratica del culto imperiale, in Oriente l'imperatore non dovette faticare ad imporre il suo culto ( anzi, se mai dovette faticare a limitarne le espressioni estreme e sconvenien­ ti ) , mentre in Occidente il nuovo culto dovette essere imposto dal centro, tramite religiose Form sehen, sondern eine Bekundung der Loyalirar, einen Ausdruck der polirischen Zugeho­ rigkeir zum Romischen Reich».

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pratiche per così dire istituzionalizzate, affidate a collegi sacerdotali e gruppi sociali organizzati a questo scopo. Naturalmente tutto questo discorso ha una certa importanza nella storia politica del mondo romano. Risulterebbe necessario per spiegare la selezione tra imperatori buoni e cattivi; per analizzare le politiche successorie in determinati momenti stori­ ci; per spiegare infine lo sviluppo dell'unico vero e importante movimento religioso dell'età imperiale, il Cristianesimo30• Non ebbe mai importanza reale in quanto tale, poiché il culto imperiale non sarebbe mai stato un vero e proprio fenomeno religio­ so: anche il più credulone suddito dell'impero non poteva non cogliere la differenza sostanziale esistente tra Giove e Augusto o Marco Aurelio. Di conseguenza il culto di Giove è una questione degna della massima considerazione sul piano religioso, mentre il culto di Augusto o di Marco Aurelio non sarebbe altro che lo studio di un'adulazione d'interesse meramente politico. Il nuovo paradigma Nonostante l'apparente semplicità e razionalità, l'antico paradigma sul culto imperiale non regge in nessuna sua parte. La storia di come si siano dimostrate infondate tutte le affermazioni finora riportate sarebbe una sorta di storia dell'ultimo secolo di storiografia sull'impero romano, fatto sta che il paradigma si è oramai dissolto. Nella prima metà del ventesimo secolo la Storia delle religioni - e delle Religioni del mondo classico in particolare - si è del tutto rinnovata, con personalità di enorme spessore che hanno ripensato tutti i concetti fondamentali sui quali poggiava il vecchio paradigma. Dapprima in Germania la Religionsgeschichtliche Schule ha avuto un ruolo decisivo nello studio e nella storicizzazione di quelle che venivano chiamate « Religioni orientali », l'imperfetta conoscenza delle quali aveva dato luogo a tanti pregiudizi esistenti nel vecchio paradigma. La Religionsgeschichtli­ che Schule, con la sua capacità di collocare in un quadro più ampio e complesso - fatto di interazioni culturali tra Giudaismo e Cristianesimo - rendeva in buona parte supe­ rato l'approccio al problema del culto imperiale rappresentato dal capolavoro di Émi­ le Beurlier, Essai sur le culte rendu aux empereurs romains, Paris 1 890. Senza dubbio la personalità che più di ogni altra si pone come erede spirituale diretto della scuola tedesca fu Franz Cumont ( 1 868- 1 947), la cui enorme produzione erudita è stata in anni recenti al centro di attenzioni non sempre benevole. Pur non essendosi mai in­ teressato direttamente in prima persona del culto imperiale, se non per alcuni aspetti specifici, a margine di indagini diverse31, Cumont ispirò con il suo insegnamento e la sua dottrina una delle monografie più importanti e influenti: The Divinity oJRoman Emperor di Lily Ross Taylor ( 1 93 1 ). Illibro della Taylor ha dominato la storia degli -

30 Il paragone tra Cristianesimo e culto imperiale è espressamente indicato nella monografia di Cerfaux, Tondriau 1957. 31 Di particolare importanza per quanto riguarda il tema specifico dell'apoteosi sono i suoi studi sull'aquila come vettore delle anime in cielo: Cumont 1917. Trattano incidentalmente anche di aspetti specifici del culto reso agli imperatori le grandi monografie dedicate al culto dei morti e alle concezioni funebri presso i romani: Cumont 1942, 1949.

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studi per circa mezzo secolo, fino agli anni '80. Nel frattempo, fino alla metà degli anrti '80 appunto, la storia delle religioni da una parte e l'antropologia dall'altra co­ nobbero una fase estremamente feconda. Non è un caso che proprio il 1 986, anno della morte di Mircea Eliade e Georges Dumézil, coincida con la pubblicazione di una monografia che a tutt'oggi costituisce uno dei capisaldi nel nuovo paradigma: Ri­ tuals and Power: The Roman Imperia! Cult in Asia Minor, di Simon R.F. Price. L'anno dopo, nel 1 987, Paul Zanker pubblicava il suo Augustus und die Macht der Bilder. Price ha avuto il grande merito di saper coniugare le ultime risultanze derivanti dalla storia delle religioni con i lavori più avanzati della contemporanea ricerca antro­ pologica e sociologica statunitense, in particolare i lavori di CliffordJ. Geertz ( 1 9262006) e di Benedict R.O. Anderson ( 1 936-), mentre nel 1 983 EricJ. Hobsbawm e Terence Ranger pubblicavano una raccolta di saggi, The lnvention of Tradition, desti­ nata a cambiare per sempre il concetto stesso di tradizione storiografica. Ilnuovo paradigma pertanto si è andato costituendo a partire dagli anni '80, e da allora ha fatto moltissima strada32• L'importanza del culto imperiale come fenome­ no pienamente religioso e non meramente politico è oramai un dato universalmen­ te riconosciuto, così come appare indubitabile il fatto che la linea evolutiva della religione romana come una lunghissima decadenza risalente in ultima istanza alla seconda metà del terzo secolo avanti Cristo sia certamente sbagliata e incredibile. Il problema non è tanto quello di spostare in alto o in basso l'inizio di un certo processo, bensì quello di reinterpretarlo ex novo e collocarlo in una nuova sequenza. Che la religione romana si sia nei secoli modificata e che tanti aspetti cultuali arcaici fossero ormai poco compresi o addirittura poco osservati in età tardo-repubblicana è cosa ovvia e del tutto ammissibile. Meno ovvia appare invece l'accusa mossa da Cicerone ai suoi contemporanei di aver meno ottemperato al culto degli dèi. Ap­ pare falsa, cioè, l'idea che nel primo secolo avanti Cristo vi sia stata una minore attenzione verso il sacro a Roma, e che solo grazie ad Augusto si sia avuta una ripre­ sa di queste antiche e venerande tradizioni. Le tradizioni antiche, lungi dall'essere facilmente ricostruibili dalle testimonianze offerte dalla grande letteratura latina di età cesariana e augustea, sarebbero state 'inventate' proprio allora, e in vista di una nuova ideologia, che proprio in quegli anni si andava costruendo e che avrebbe co­ stituito la mentalità dominante durante il Principato. 32 Naturalmente si tratta di una ricostruzione molto schematica, che non tiene conto di molte variabili e di significative anticipazioni che si sono avute soprattutto in Francia. Lì opere di studiosi straordinari qualiJean Bayet (1882-1969) eJean Gagé (1902-1986) avevano già a partire dagli anni '40 mostrato con le loro ricerche innovative l'insufficienza del vecchio paradigma. Tuttavia mi sembra di poter dire che i loro lavori, tutt'oggi imprescindibili, siano stati resi del tutto fruibili e utilizzabili all'interno del nuovo paradigma solamente da studiosi di generazioni successive, come, per !imitarci alla Francia, Robert Turcan eJohn Scheid. Associo alle figure di Gagé e Bayet, anche i nomi, almeno, di Walter Friedrich Otto (1874-1958) e Arthur Darby Nock (1902-1963). Nel frattempo l'Italia ha contribuito più sul piano della Storia delle religioni in generale, con personalità quali Raffaele Pettaz­ zoni (1883-1959) o Angelo Brelich (1913-1977), piuttosto che su quello specifico del culto imperiale.

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In questa prospettiva, per poter restituire piena dignità al ruolo religioso che il culto imperiale ebbe secondo questo nuovo paradigma interpretativo, bisognava ancora distinguere tra gli onori resi agli dèi e quelli resi ai sovrani, significativamente detti icr66eot Tlf.!.ctL In quell'uguaglianza vi è anche tutta la differenza: l'imperatore è 'pari' a un dio, non 'è' un dio. Il culto imperiale riguarda quindi la sfera politica, come è ovvio, ma anche quella religiosa, dal momento che il concetto stesso di religione deve essere sottoposto a verifica. Non si tratta, secondo una prospettiva cristianocen­ trica, di un concetto assoluto, dove Dio è ontologicamente e assolutamente distinto dall'uomo - eccezion fatta per la sua volontaria e storicamente determinata incarna­ zione - bensì di un concetto relativo, costituito da una gradazione che prevede una varietà di livelli tra divino e umano. La religione greca e romana è innanzi tutto un sistema di rapporto tra realtà diverse e di diverso livello. Si tratta cioè di un rapporto disuguale non diverso da quello che regola tra loro gruppi sociali distinti. Le pratiche cultuali sono gli strumenti che la religione greca e romana mette in mano agli uomini per poter interagire con gli dèi, e principale strumento d'azione in questo rapporto impari è costituito dal sacrificio. Il sacrificio è ciò che lega mutuamente l'uomo al dio, ed è ciò che costringe il dio a prendersi cura delle richieste degli uomini. In que­ sto quadro gli dèi sono esseri più potenti degli uomini e gli uomini sono tanto più pronti a venerare un dio quanto più questo si riveli potente e in grado di soddisfare le richieste che gli vengono rivolte. Non tutti gli dèi vengono allo stesso modo onorati e venerati. In questo modo l'inserimento dell'imperatore tra le divinità non è più un problema. L'imperatore è un essere talmente potente da poter essere considerato 'pari agli dèi'. E non a un dio qualsiasi, ma ai più potenti tra gli dèi. Verso una revisione del nuovo paradigma È piuttosto recente il superamento di alcune posizioni importanti che hanno caratterizzato il lavoro di Simon R.F. Price negli anni '80. Secondo GradeP3 non è vero che la società romana fosse al riparo dalle lusinghe della monarchia. Al contrario, le forti disuguaglianze unite a strutture so­ ciali peculiari quali la clientela, rendevano Roma un luogo particolarmente idoneo allo sviluppo di pratiche cultuali tra esseri umani. L'eccezionalità nella storia di Roma non è stata la diffusione del culto dell'imperatore, ma proprio il contrario, cioè che la presenza di un compatto blocco aristocratico ininterrottamente al potere per circa cinquecento anni abbia impedito la creazione di un regime monarchico nonostante la continua pressione dal basso in questo senso. Non fu l'innata voglia di autonomia e indipendenza del popolo romano ciò che tenne lontana Roma dalla monarchia, ben­ sì le condizioni politiche create dall'aristocrazia senatoria che impedivano al popolo di Roma di creare quei legami personali indispensabili per la creazione di un regime monarchico. Non appena le condizioni politiche resero possibili queste condizioni ben prima di Cesare e di Augusto, già con Scipione Africano, con Mario, con Cinna, con Silla, etc. - il popolo di Roma fu ben lieto di riservare a questi personaggi 'onori -

33 Gradel 2002.

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pari agli dèi'. �esti onori furono in larga misura privati - nella sfera pubblica era inaccettabile che si potesse passare apertamente a un culto di una specifica persona fino a quando le condizioni politiche non resero possibile il passaggio del culto nella sfera pubblica. Laddove il controllo del!'aristocrazia senatoria era molto più blando e lontano, cioè nelle province, la dimensione pubblica del culto rivolto ai governatori fu molto più aperto e precoce. Ciò non toglie, però, che anche a Roma e in Italia il culto imperiale si diffuse rapidamente sulle ali di un entusiasmo ampiamente condiviso. È più a quell'entusiasmo, che portò qualcuno ad incidere su una colonna del portico del teatro di Pompei la frettolosa esclamazione Augustojèliciter\ che si deve guardare per comprendere affermazione e diffusione del Ruler cult in Italia e a Roma, piuttosto che alle prudenti nuances dei discorsi messi in bocca a Tiberio da Tacito. Naturalmente questo genere di manifestazioni personali sono fragili e trasparenti ai moderni stru­ menti d'indagine, e non è un caso che i maggiori progressi in questo campo provenga­ no da regioni, l'Egitto e le città vesuviane, che per motivi diversi hanno prodotto un maggior numero di documenti provenienti dagli strati sociali più umili. Ilculto imperiale è quindi un elemento centrale della religione romana a partire dal primo secolo avanti Cristo. Lungi dall'essere un'importazione spuria dall'Oriente, esso nacque, crebbe e si diffuse all'interno del sistema religioso romano. Ne fu uno sviluppo, ma uno sviluppo ovvio e non drammatico. Costituì un'evoluzione interna perfettamente rispondente ai requisiti fondamentali del sistema religioso romano. Si tratta di un punto importante: il culto imperiale nacque in ambito privato, all'interno delle singole domus che costituivano lo Stato romano35• In quell'ambito non vi era nulla di strano a pensare che vi fosse un culto per un essere umano: il culto per un antenato, chiunque esso fosse, non era forse un culto reso a un essere umano? A rigor di termini sarebbe addirittura sbagliato parlare di 'divinizzazione' del sovrano come di una pratica straordinaria ed eccentrica, perché, per la concezione romana, ogni essere umano ha in sé una parte divina e immortale, da sempre oggetto di intenso e devoto culto: ilgenius. Ilgenius personale, che aveva il suo pendant femminile nella iuno, è elemento sfuggente, privo com'è di precise rispondenze nel mondo moderno. Lo si potrebbe definire come un insieme di qualità: quel qualcosa che rende un individuo somigliante a un altro dal punto di vista fisico e morale (un figlio simile al padre); la capacità riproduttiva che porta alla perpetuazione della schiatta; la capacità di godere ciò che della vita merita di essere vissuto; le inclinazioni intellettuali e le propensioni individuali (o talenti)36• Si tratta di una misteriosa mescolanza di attributi familiari 34 C/L IV 2460, significativamente messo da Van Andringa 2009 in esergo al suo terzo, eccellente, capitolo intitolato 'Pompéi et le pouvoir impérial, temps nouveaux, cultes nouveaux'. 35 Cfr. le testimonianze, alle quali si è già fatta allusione nel testo, di Plut.,Mar. 27, 9. Val. Max. 8, 15, 7. 36 In realtà le idee sulgenius sono molte e discordanti tra loro, a causa della scarsezza e contraddit­ torietà delle fonti antiche. Come troppo spesso accade, infatti, negli autori antichi si trovano notizie circa ciò che è strano, inconsueto, poco noto, mentre si tace su cose ovvie e a tutti note. Così, riguardo algenius, autorevolissimi studiosi sostengono la sua immortalità e divinità Birt 1884; Otto 1962 ( orig.

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e individuali, che però certamente venivano venerati nel culto domestico dei Lari a livello familiare, non individuale. n genius era, innanzi tutto, quello del pater fàmi­ lias, così come la iuno era quella della sua sposa. Ovviamente anche queste credenze religiose, molto difficili da studiare per noi perché hanno lasciato tracce molto deboli nelle nostre fonti, nonostante la loro straordinaria importanza e pervasività nella vita religiosa romana, hanno conosciuto una continua evoluzione. Nonostante il fatto che il genius sia innanzi tutto quello del paterjàmilias, col tempo anche individui subordi­ nati all'interno dellajàmilia hanno avuto genii degni di culto: sono testimoniati casi di liberti e addirittura di schiavi. Del resto chi poteva impedire che, all'interno della più grandejàmilia romana, nelle famiglie nucleari si concedessero onori cultuali a per­ sonaggi di minore importanza? Visto dal basso, cioè partendo dal culto che tutti i giorni nelle famiglie di ogni estrazione sociale veniva osservato per i propri antenati, si comprende immediatamen­ te il ruolo che anche il complesso rapporto sociale della clientela ebbe nella genesi del culto pubblico. In quantejàmiliae sparse per il mondo romano - ma ovviamente soprattutto a Roma e in Italia - si sarà bruciato incenso in onore, poniamo, di un L. Silla o di uno Cn. Pompeo, oltre al pizzico dedicato al più vicino patrono o, nei casi più fortunati, al nonno magistrato? È sulla base di questa concezione che il repub­ blicano Cicerone può piangere la figlia prematuramente scomparsa progettando una sua 'divinizzazione' (è questa la prima ricorrenza in assoluto del sostantivo tino8ewO"tç) senza trovare in alcun modo aberrante, o lontana dalle proprie concezioni religiose, questa eventualità37• La iuno della povera Tullia sarebbe stata comunque venerata dal padre tutti i giorni. Che poi egli considerasse non sufficiente onoraria nel Larario della sua abitazione ma pensasse di costruirle a sue spese e su una sua proprietà un tempietto (jànum), tutto questo si spiega perfettamente all'interno di una tradizione religiosa, quella romana, che prevedeva il culto del genius del defunto. Come ha scritto molto opportunamente R.B. Onians in un saggio sottoutilizzato per quanto riguarda il culto imperiale: nuovo e peculiare nel ruolo dei Cesari, tanto in vita quanto dopo la morte, era pro­ prio che, mentre il genius del comune cittadino era un dio privato adorato priva­ tamente, il genius del Cesare era un dio di Stato, adorato pubblicamente, come un parens o paterpatriae, importante per lo Stato quanto il paterJamilias per la famiglia. Giulio Cesare era già prima della morte ufficialmente parens patriae, e quando i citta­ dini offrivano una libagione al genius dell' imperatore, lo invocavano esplicitamente come parens patriae38•

1923), pp. 59-60; Rose 1923, contra Wissowa 1902, pp. 175-76. Benché sia questo l'aspetto centrale che qui ci interessa, molti altri sono i temi controversi: cfr. un buon status quaestionis in Orr 1978. 37 Cicero, Ad Att. XII 12, l; 18, l; 27, l; 36, l; 37, 4, cfr. Boyancé 1944; Treggiari 2007, p. 136. 38 Onians 1998, p. 166.

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Nella già citata monografia, L.R. Taylor ha ritenuto di poter tracciare una di­ stinzione netta tra culto del genius dell'imperatore e culto dell'imperatore viven­ te. Partendo da una celebre e netta affermazione di Cassio Diane secondo la quale Augusto non avrebbe consentito di essere onorato in Italia e a Roma39, la studiosa americana ritenne di poter ipotizzare che il culto che indubitabilmente venne rivol­ to ad Augusto in vita, testimoniato non foss'altro che dagli innumerevoli passi let­ terari di tanti poeti40, fosse invero rivolto al suo genius. La realtà è diversa: le prime attestazioni di un culto espressamente rivolte al genius dell'imperatore non sono precedenti agli anni '50 del primo secolo dopo Cristo, e rappresentano certamente un'evoluzione successiva, un adattamento rispetto all'età augustea. Apoteosi e culto imperiale In questa evoluzione l'apoteosi del sovrano, cioè l'ascesa in cielo della sua anima dopo la morte, è un aspetto fondamentale e impor­ tante. Diversamente da altri contesti religiosi, quali ad esempio quello iranico, nel mondo romano la divinizzazione del sovrano ha avuto un ruolo centrale. Nel culto pubblico romano il momento della morte del princeps ha ricoperto un'importanza tutta particolare. Come ogni culto pubblico a Roma la responsabilità e l'iniziati­ va del culto spettava al senato. Non c'era differenza tra il ratificare l'ingresso nel pantheon romano della Magna Mater, del Divo Augusto o della Diva Livia: erano comunque necessarie delle deliberazioni ufficiali del senato41• Il senato autorizzava i nuovi ingressi fondamentalmente sempre sulla base del medesimo criterio: l'utilità nei confronti dello Stato (che poi in larga misura coincideva con il senato stesso). Non mi sembra possa esserci una differenza per così dire 'teologicà tra l'esigenza di allontanare le carestie che incrudelivano a Roma sul finire delle guerre annibaliche, quando s'introdusse nell'Urbe il rito frigio della Magna Mater a seguito di un'ordi­ ne dei Libri Sibillini, oppure l'esigenza di procrastinare laJelicitas temporum vissuta sotto il governo di Augusto dopo la sua morte. In modo simile a quanto avvenne nel terzo secolo avanti Cristo, con la splendida cerimonia accuratamente descritta da Livio, effettuata anche allora sulla base di una tradizione messa in piedi lì per lì dai vari preposti ai sacra (ancora una volta: senatori), il funerale imperiale, con la sua ri­ tualità presa di peso dalla tradizione aristocratica repubblicana, ma con significative aggiunte e 'tradizionali novità', segnava l'ingresso della nuova divinità nel pantheon -

39 Dio LI 20, 6-8. 40

In realtà il culto di Augusto in Italia è testimoniato da un buon numero di templi, quasi tutti databili proprio a partire dal suo regno: cfr. Gradel 2002, p. 338: «of the sixteen temples to Augustus known from Italy, seven are datable to his lifetime, and seven cannot be dated with any certainty; but only one, the tempie of Nola, is certainly posthumous>> . 41 L' ingresso della Magna Mater Cybele nel pantheon romano venne deliberato dal senato di Roma nel 205 a.C. e ci volle un anno prima che la dea - ovvero il suo nero simulacro - venisse portato fisicamente a Roma e collocato in un tempio, come narra Li vio XXIX l O, 4 11 8; 14, S. Per quanto ri­ guarda Livia, invece, la sua divinizzazione venne deliberata solamente sotto Claudio nel 42, ben tredici anni dopo la sua morte, avvenuta nel 29. Specificamente sulla divinizzazione delle donne della domus Augusta cfr. Cresci Marrone, Nicolini 2010 e in questo volume Morelli, Filippini infta. -

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cittadino e quindi statale. Visivamente - nelle cerimonie pubbliche l'aspetto visivo, performativo, è naturalmente essenzialé2 - questo ingresso è marcato dal volo di un'aquila che si alza in cielo dalla pira funebre; come se non bastasse vi è anche un testimone che afferma sotto giuramento di aver visto il defunto salire al cielo. Perché non possano esserci dubbi su questa testimonianza, il testimone è anch'egli membro della élite che a Roma amministrava il sacro: il senato. Tendenze attuali della ricerca In questi ultimi anni, diciamo in questo scorcio di ventunesimo secolo, si è avuto un grande ritorno d'interesse nei confronti del tema del culto imperiale e della divinizzazione dell' imperatore. Il nuovo paradigma ha prodotto tra l'altro una serie di grandi opere analitiche su specifiche tematiche che hanno reso più facile un approccio globale e multidisciplinare al tema. Soprat­ tutto in Germania, per impulso di personalità quali Paul Zanker e Ton io Hi:ilscher, archeologi, storici dell'arte, studiosi di numismatica hanno iniziato a produrre ca­ taloghi importanti sui templi dedicati al culto dell'imperatore e della domus impe­ riale, su espressioni formulari epigrafiche, sulla ritrattistica della domus imperiale giulio-claudia, sull'iconografia monetaria, anche specificamente legata alla conse­ cratio43. �esti studi, che nascono dall'esigenza di superare gli schemi ormai logori del vecchio paradigma per esplorare vie nuove o comunque meno battute rispetto agli ormai esausti testi letterari, si sono meravigliosamente coniugati con il rinve­ nimento di nuovi materiali importantissimi: dalla scoperta, nel l 983, della Tabula Siarensis, si è aperta in Spagna una felicissima stagione dell'epigrafia, che noi tutti speriamo non si sia conclusa nel 1 993 con la scoperta del Senatus consultum de Cn. Pisone patre. Di particolare importanza, inoltre, è stata la scoperta, avvenuta nel l 995, di un tempio dedicato al culto imperiale a Narona44• �esti nuovi testi e materiali hanno portato nuova linfa su numerosi aspetti strettamente connessi al culto imperiale, in particolare sul Junus publicum, producendo importanti nuove monografie, dove non è sorprendente constatare il ruolo di punta giocato dall'an­ tichistica spagnola45• Grazie anche a questi nuovi strumenti di lavoro l'attenzione degli studiosi sembra essersi spostata da Roma e dall' Italia verso il resto del mondo romano46• -

42 Bodel 1999; Favro, Johanson 2010. La ritualità come performance è al centro dell'attività di ricerca di G. S. Sumi, 2002; 2005; 2009; 20 l l a; 20 l l b. 43 In ordine cronologico e limitandosi alle sole monogralì.e o volumi collettivi: Alfoldi 1971; Al­ bert 1981; Holscher 1984; Hanlein-Schafer 1985; Wesch-Klein 1993; Bergmann 1998; Spannagel 1999; Boschung 2002; Stepper 2003; Berrens 2004; Bechtold 2011; Schmitzer 2012. 44 Marin 1996, 200 l; Marin, V ickers 2004. 45 Per limitarsi solamente alle grandi monogralì.e e lavori collettivi, e senza alcuna pretesa di com­ pletezza, Gonzalez, Arce 1988; Arce 1990; Alvar et alii 1992; Gonzilez 2002; Nogales Basarrate, Gonzilez 2007; Alvar 2008. Interessante il recente reading comprendente per la prima volta tutti i nuovi testi scoperti più di recente: Lott 2012. 46 Naturalmente questo non vuoi dire che le ricerche in Italia o sul territorio italiano si siano ar­ restate: segnalo, a titolo d'esempio, Torelli 2012, recentissima pubblicazione di una raccolta di saggi,

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27

Dalle periferie continuano a provenire importanti sintesi regionali che dovranno prima o poi trovare una loro organica collocazione in una fase nuova della ricerca47• �esta ormai s'individua chiaramente nei suoi tratti essenziali: il culto imperiale è 'esploso' in una serie di pratiche diverse e tra loro non sempre necessariamente strettamente correlate: il culto imperiale a livello centrale e pubblico48; quindi il culto provinciale, sottoposto anch'esso a un controllo pubblico, ma meno strin­ gente; infine il culto municipale, dove la libertà d'azione era molto più ampia, le situazioni molto diversificate, anche all'interno di una stessa provincia. Vi era poi quel sottobosco di devozioni più o meno private, che hanno lasciato tracce spesso contraddittorie, certamente perché contraddittori erano anche i modi di esprimere questa religiosità. Il paradigma futuro, alla costruzione del quale il presente volume ambirebbe contribuire, non prevederà quindi più un solo culto imperiale, ma una pluralità di pratiche cultuali attuate da una pluralità di attori49• 4. Pochi mesi prima che si tenesse il convegno dal quale questo volume è nato ci è giunta

la notizia dell'improvvisa scomparsa del Prof. Dr. Géza Alfoldy. Egli aveva aderito con il consueto entusiasmo al nostro invito, presentatogli con largo anticipo in occasione di un seminario da lui tenuto, come era solito fare, a Bologna. li tema sarebbe stato quello dell'apoteosi imperiale nelle province danubiane « se la salute ci assiste», come disse, ridendo, riferendosi a quella data che si sarebbe rivelata per lui troppo lontana. La genesi di questo volume ha una lunga storia, maturata tra l'altro dalle discus­ sioni avute con il Prof. Gherardo Gnoli, che a più riprese, nel corso della sua vita, si è occupato di temi connessi con la regalità in Iran. Benché fosse chiaro che le condizio­ ni di salute non gli avrebbero consentito di prender parte ai lavori, non si potevano prevedere i tempi della sua scomparsa, avvenuta esattamente una settimana prima del convegno. I curatori del volume sono onorati di poter ospitare l'ultimo contributo del Prof. Gabriele Marasco, che ha voluto tener fede, con grande sacrificio, a un impegno preso quando non sarebbe stata neppure immaginabile la sua repentina e prematura scomparsa. A questi studiosi è dedicato il presente volume. molti dei quali essenziali per il nostro tema. Gasperini, Paci 2008 costituisce una premessa per indagini a tappeto sul territorio dell' Italia centrale. Molto importanti, e incentrati sull' Italia, sono anche i già citati Gradel 2002 e Van Andringa 2009. 47 Oriente greco: de Blois, Funke, Hahn 2006; Kantirea 2007; Carnia 2009; 2011; 2012; Iossif et a/ii 2011; Frija 2012; Egitto: Herklotz 2007; Lozano G6mez 2010; Pfeiffer 2010; Occidente latino, oltre ai volumi di Fishwick 1985-2002, cfr. Derks 1998. 48 �ando questo volume era ormai in bozze è stata inaugurata a Roma, a Castel Sant'Angelo, in uno dei luoghi simbolo dell'apoteosi imperiale, la mostra Apoteosi. Da uomini a dei. Il Mausoleo di Adriano (Roma 21/12/2013-27/4/2014). 49 Kancik, Kinzl 2003; Hitzl 2003, Brodd, Reed 2011.

«NOT A GOD, BUT A PERSON APART».

josef WiesehOjer

The Achaemenid King, the Divine and Persian Cult Practices*

I. It is not an easy task to write about the relation of the Achaemenid ruler to the sphere of the divine. The arising difficulties concern definitions as well as substance. The first problem is the term 'ruler cult', as it is not unambiguous, like the term 'Hellen­ ism: In European discourse the latter oscillates between the name of an epoch, a term for an era of cultural history, and - like in the works of Johann Gustav Droysen - a designation that stresses not the least the fusion of Greek and Oriental cultures1• Simi­ larly, some identify 'ruler cult' exclusively with the dynastic cult enacted from above. Others also include in it the divine honours installed by Greek city-states in favour of a ruler or they even enclose the hero cults for dead kings2• Finally, when talking about the relations between an Achaemenid ruler and the sphere of the divine it has to be made clear beforehand what space we are referring to: the whole empire, Iran or even only Persis? In this contribution the term 'ruler cult' is used in a broader sense that covers both the dynastic cults and the cults introduced by cities to honour living rulers. However, there will also be a discussion on funeral offerings to promi­ nent dead figures. Geographically, the focus is on Iran. Another part of the problem is the sources on our topic. There can be no doubt

·

In this article the following abbreviations are adopted:

PF

=

R. T. Hallock, Persepolis Fortification Tablets, Oriental Institute Publications 92, Chicago

1969. NN

=

Unpublished Persepolis Fortification tablet edited by R. T. Hallock.

P F-NN

=

Fort.

Unpublished Persepolis Fortifcation tablet in the National Museum of Iran (Tehran),

=

Elamite Persepolis Fortification texts cited from unpublished editions by R. T. Hallock.

edited by G.G. Cameron, and collated by R.T. Hallock, C.E. ]ones and M.W. Stolper. 1

Bichler 1983; 2012.

2

Chaniotis 2003; Giinther, Plischke 2011; lossif et alii 2011.

Josef Wiesehofer

30

that among them it is the cuneiform tablets from Persepolis, the royal inscriptions and the similarly royally defined visual imagery of palaces, tombs, seals and coins that should be given priority. However, it would be too simplistic and we would miss a chance if we excluded the respective Avestan or Greek traditions because of their rightly noted internal problems3, or if we underscored the obvious tenden­ cies of the Greek tradition4• Finally: even if it concentrates on Iran, a paper on the Achaemenid ruler cult cannot but consider the Ancient Near Eastern traditions5• 11. In every (world) empire headed by a monarch the king or emperor has to justify the legitimacy of his position and rule. Correspondingly, the ruler has to demonstrate to his subjects the legitimatory basis of his rule as well as the benefits his regiment provides. Like most imperial ideologies, such legitimatory strategies have multiple and somewhat distinct agendas, and they show consideration for regional peculiari­ ties and traditions and for the needs and expectations of different audiences. As for the Teispids and Achaemenids in Iran, it is the royal inscriptions and the visual imagery of palaces, tombs and seals that are our best testimonies for royal legitimisation strategies6• With regard to the inscriptions, we should also not for­ get what was once said about their multilingual character: « (that) one should take all the versions of all the royal inscriptions as the King's words. Particularly in the case of texts found in heartland contexts, non-Persian versions are not lesser 'in­ terpretations' or 'traditions' but equal strands of his polyglot message» 7• And as far as the Ancient Near Eastern and Ancient Iranian monumental inscriptions are concerned, we should take into account that here, at holy places of kingship, «the power of the public written word lay in its wholeness, its comprehension simply as ,T EXT ', rather than in whatever message was actually contained in the specifies of the text»8• This might be one of the reasons why the public royal text was almost al­ ways accompanied by figural imagery. In this way the text became part of the visual imagery and possibly even got a numinous quality9• This does not mean that the narrative of the king's message becomes insignificant. However, - not least because of the illiteracy of large sections of the population - other media must have played an important part in the dissemination of the message. One may think of public oral announcements or the spreading of imperial imagery. Visual imagery, in which text and image fuse with each other, must have played a particular role within the scope of legitimisation strategies.

3

Cf. Garrison 2011.

4

Cf. Harrison 2010.

1

This has only recently been shown impressively by my friend Rollinger 2011.

6

Here, I definitely agree with Mark Garrison.

7

Henkelman 2008, pp. 369 s.

8

Garrison 2011, p. 58.

9

Ibidem.

The Achaemenid King, the Divine and Persian Cult Practices

31

If one takes a look exclusively at the narratives of the texts ofDarius l's inscrip­ tions, it becomes quite clear that the king was a master of demonstrating to his subjects and to his successors the ideological traits of Persian kingship but also of the advantages of his own regiment10• Firstly, kingship is firmly rooted in Persia, or more precisely Persis, as well as in the Aryan ethnic and cultural community, and it requires descent from the family of Achaemenes11: I (am) Darius, the great king, king of kings, king of the countries containing all races, king on this great earth even far off. the son ofHystaspes, an Achaemenid, a Persian, the son of a Persian, an Aryan, of Aryan lineage. (DNa § 2, transl. R. Schmitt)

Scholars were able to show how Darius I and his successors successfully used Av­ estan (Zoroastrian) and secular (oral) Iranian folk traditions (about legendary Ira­ nian kings) to make their rule part of an Iranian ,historical' continuum12• At the same time, the Persians stand out among all peoples on account of their abilities and their special relationship to the ruler. Persian kingship differs from that of the neighbours and predecessors, because it excels them in power ('king of kings'). This is not least thanks to the unequalled number of 'lands' (dahydva) that acknowledge the rule of the Persian king. Secondly, Persian kingship is characterised by a special relationship between the ruler and the gods: A great god (is) Auramazda, who created this earth, who created yonder heaven, who created man, who created blissful happiness for man, who made Darius king, the one king of many, the one master of many. (DNa § 1, transl. R. Schmitt)

'By the favour of Auramazda' Darius has been elected and installed, and - success­ fully - rules the empire. As Auramazda's 'representative' on earth, he is vested with a kind of royal charisma (*fornah ) 13 Thirdly, as his kingship owes itself to the favour of Auramazda, the king is obliged to protect the god's good creation. He is capable of doing so, because the god has not only longed forDarius' rule but has 'bestowed upon him' (upari mdm niyasaya) 'wisdom' (xraSum), 'ability' (aruvastam) and other 'skills' (unard): the ability to tell right from wrong, and those which are conducive 1°

C£ Briant 2002a, passim; Wiesehiifer 2013; Kuhrt 2007, II, pp. 467 ss. (for the sources).

11

This does, however, not mean that we should assess Cyrus's rule as an Elamite-shaped rule and

that the Persian element only took centre stage in the time of Darius. In the course of time, Fars had become a region ofElamite-Persian cultural and linguistic fusion, and this fusion can still be observed under Darius. C£ Henkelman 2011. 12 13

Skj:£rV0 2005; Shayegan 2012. For the 'figure in the winged ring/ disk' etc. on the reliefs and the royal aura, c£ the discussion

in Rollinger 2011, pp. 20-22; for the debate on the court ceremonial (proskynesis, prostration etc.), c£ ibidem, pp. 23-40; for the kitin see below.

Josef Wiesehofer

32

to the promotion of justice and the protection of order. Although an absolute mon­ arch, he is capable of being impartial and self-controlled. He judges, rewards and punishes not at his own discretion, but fair and steadily. As a good horseman, war­ rior and farmer he is able to ward off the dangers threatening his empire. This is why the violent death of a king (his murder or his death on the battlefield) endangers the God-given imperial order just like the disloyalty of the king's subjects. Order, not chaos, peace, not tension, good conduct of the subjects and royal generosity, not disloyalty and kingly misbehaviour are the values celebrated in the inscriptions and the imagery of the royal residences and glyptic. The idea of the divine right of kings also convinces the subjects ideologically, because they are pious people, but at the same time see themselves as members of a community which their God has made part of his good creation. Thanks to the actions and qualities of the divinely appointed and inspired ruler, it has become a community of fate, for the benefit of the king and the subjects alike. All this is part of Oarius' message14• However, to concentrate exclusively on the narrative of the inscriptions prevents us from understanding other facets of the royal message. As has just been exemplari­ ly brought forward, these become apparent if we consider the inscriptions to be part of the visual imagery and if we notice the emblematic quality as well as the 'panoptic perspective' of palaces and architectural sculptures, of tombs and funeral reliefs as well as of seals. This perspective «does not attempt to record an event in time and space, a narrative, as it were, to be read in a linear manner by a hypothetical viewer, but to see through/around an event. The all-encompassing panoptical/imperial per­ spective is thus an act of imperial control, metaphysical in its conception» 15• The emblematic imagery does not only point to the supra-normal position of the king, but also 'assimilates' the king 'to the divine'16 without having a mortal claiming di­ vineness. The royal share in the divine is also hinted at by the concept of kitin. Already tangible in pre-Achaemenid Elamite inscriptions, it is a kind of divine essence, lent by the god Humban to the ruler. It not only protects its owner, but also gives au­ thority and power to him17• This kitin is also at the Persian king's disposal, as the Elamite version ofXPh (theDaiva inscription) reveals: And among the lands there was (a place) where, formerly, (the people) made (for) the daivd their sacrificial feast(s). Then, by the effort of Auramazda (Uramasda), I devastated that place of daivd worship and I placed kiten upon them, lest the daivd their sacrificial feast be celebrated. (XPh 29-32; transl. W.Henkelman) c

14

For a different view (the idea of a pax Persica is - apart from its parallel to the pax Romana - in­

duced by the undramatic aura of Achaemenid court art and is, in return, applied to its interpretation), see Jacobs, c.s. 15

16 17

Garrison 2011, p. 62. Ibidem, p. 65. Henkelman 2008, pp. 364-371; Garrison 2009, pp. 36-38.

The Achaemenid King, the Divine and Persian Cult Practices

33

Finally, an up until now unpublished cuneiform tablet from the Ebabbar archive in Sippar (BM 72747), which can be dated to the first regnal year ofXerxes, testifies for the first time to offerings in front of a statue of a Persian king in a Babylonian temple: (l-4) Barley, concerning the regular offerings in front of/for the statue of Darius, from the first day of the month Ayyaru (11) of the first year to the end of the month Duzu (IV) of the first year of king Xerxes: (5) Bunene-ibni, servant (of the person responsible for) the rations of the king and epifdnu of Tattannu, did receive (the barley) from Bel-uballit, the son of Bel-ahu-ittannu, the descendant of Bel-eteru. (9) And x makkasu dates in the month Simanu (Ill) xx he received from Bel-uballit18• At first sight, the «regular offerings in front of/for the statue ofDarius» (sattuk !a !ialam Dari'amu!) may remind us of the funeral offerings for a dead ruler, which are still to be treated. However, Darius might have already introduced these offerings in his lifetime, since the Neo-Babylonian king Nabonidus had already installed a cult for a 'statue of his kingship' (iialam !arrutiya) at Uruk and had it endowed with benefices19• Additionally, BM 79712 (30'h year ofDarius I) from Sippar testifies to offerings 'in front of the statue of the king', presumablyDarius himselP0• The statue cults do not point to a divinised king, but very well to the special status of the monarch who owns shares in the divine. According to Ancient Near Eastern tradition, the Achaemenid king would indeed have been looked at as a mortal person. However, his office or, in the end, the institution of monarchy symbolised by insignia and throne or, in the case of lran, by emblematic imagery would have had a connection with the divine and would have enabled the ruler to mediate between gods and people. The classical sources seem to have had a feeling for this special status of the king, if they, like Aeschylus (Pers. 620, 642 s. resp. 634, 856), call Darius a daimon/theos or isodaimon/isotheos ('godlike')21, or, as Curtius Rufus does, talk about the Persicae regiae par deorum potentiaefostigium ('the gran­ deur of the Persian king's power, equal to that of the gods') (VI 6, 2 s.) or about the 'divine honours"'(caelestes honores) that the Persian king might usurp (VIII 5, S-6). Ill. As for the funeral offerings in favour of a dead ruler, Aristobulus (FGrHist 139 F 51 Arrian VI 29, 4-7; Strabo XV 3, 8) refers to them in his report on Cyrus' tomb at Pasargadae. According to him, a cult had been installed that was looked after by magi «to whom were given from the king a sheep a day, an allowance of meal and wine, and a horse each month, to sacrifice to Cyrus»22• New research on =

18

Rollinger 2011, p. 46 (after C. Waerzeggers).

19

References and literature in Rollinger 2011, p. 45, note 139.



Kleber 2008, p. 275.

21

However, it is made clear that Darius is not actually a god (Garvie 2009, pp. 76, 99 s., 264, 283

s., 328). 22

It is quite interesting in that respect that Alexander probably also visited Darius' (and Xerxes')

Josef Wiesehofer

34

two Elamite tablets from Persepolis has suggested that there was indeed sacrificial activity at tombs. Tablet PF-NN 1700, which dates from the 23rd regnal year of Darius I (499/8), testifies to monthly deliveries to the tomb (fumar) ofDarius' fa­ ther Hystaspes (the Takht-i Rustam')23: To Shiyatizza speak, Zishshawish speaks as follows: 'Issue 60 BAR of grain (to) the men who are keepers of the Jumar ofHystaspes (at) Persepolis, to them (as) rations for their servants. Second, third and fourth months, during a total of 3 months in the 23'd year. 2 [persons] each 30 l; 7 [persons] each 20 1, total: 9 workmen.' Hinta­ mukka wrote, Kamezza delivered the instruction; he (se.Hintamukka) received the copy fromHitibel. (Transl. A. Kuhrt)24

Indeed, the text does not explicitly mention magi and ritual activities. However, it does mention royally instructed functionaries who look after Hystaspes' tomb. The second document (PF-NN 2174) from Narezzas (today's Niriz) in south­ eastern Fars, dated to Darius' regnal years 19 and 20 (503/2 and 502/1), registers funeral offerings at the tombs of Cambyses and the Lady Upandus who may be identical with Phaidyme, the daughter of Otanes and spouse of Bardiya: ToHarrena, the cattle-chief, speak, Parnaka speaks as follows: 'Issue 24 head of small cattle to them, Bakabadda and his companions, who are making ... (at) the Jumar ofCambyses and (the woman) Upandush at Narezzash. The seventh, eighth, ninth, tenth, eleventh, twelfth months, a total of 6 months in the 19'h year, and the first, second, third, fourth, fifth (and) sixth months, a total of 6 months in the 20'h year: during a total ofl2 months.Thefumarthat (are) ofCambyses and (the woman) Up­ andush, for those each monthly 1 head of small cattle '. Kamezza wrote; he received the copy from Nanitin. (Transl. A. Kuhrt)25

Here, the regular monthly deliveries seem to be linked to specific rituals at the

Jumar that can probably be interpreted as funeral offerings. The kind of supplies strikingly reminds us of Aristobulus' allowances. It has rightly been supposed26 that the offerings were available to priests and staff as food rations after the rites had been executed. The offerings at a Jumar might be supplemented by the so-called bafur of­ ferings27 to which other tablets testify (PF 1854; PF 0302). These funeral offerings were also made in Cambyses' favour. Other tablets show that offerings were made not only at tombs of members of tomb(s) at Naqsh-i Rustam? (Onesicritus F GrHist 134 F 35 see Miiller c.s. 23

Bessac, Boucharlat 2010.

24

Kuhrt 2007, p. 574.

25

Ibidem.

26

Henkelman 2008, pp. 288 s.

27

Bafur

=

a sacrificial table.

=

Strabo XV 3, 8; cf. Diod. XVII 71, 7);

The Achaemenid King, the Divine and Persian Cult Practices

35

the Achaemenid (Hystaspes) or the Teispid clan (Cambyses), but also in favour of noble Persians (NN 1848: unknown owner of the tomb; Fort. 2512: Zisundus). The fact that there were offerings for crowned and non-crowned heads alike makes it difficult to decide whether the former point to a kind of dynastic cult for the late members ofthe royal family - like the cult of the progonoi of Antiochus Ill - or whether, more likely, both forms of funeral offerings were part of a kind of heroic cult for outstanding individuals inside and outside the ruling house. However, in the Iranian context one might also think of the charitable foundations (ruwdnagdn) of the early Sasanians, pious endowments to benefit the souls of the dead28• IV. Let us conclude: The status of the Persian king in the kingly defined royal ideol­ ogy can only inadequately be described by the categories 'divine' and 'human'. In­ deed, the ruler is mortal, but as king by the grace of God, he has got, qua office, a special aura and a share in the God-given kitin, a kind of authority - and power­ lending essence. The numinous character of kingship is also testified to by the visual imagery where word and image fuse to an emblematic whole, but possibly also by the statue cult attested at Sippar. For the dead king and for late members of his fam­ ily a kind of hero-cult or charitable foundation for the welfare of the soul seems at least conceivable.

28

Macuch 1992; Panaino 2009a.

IL C U LTO D I TI M OLEONTE A SIRAC U SA N E L CONTESTO POLITICO E RE LI G I OSO D EL IV SECOLO A.C.

Federicomaria Muccioli

Tradizione e innovazione

Chi disse : « Preferisco avere fortuna che talento» percepì l'essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo. Match Point, W. Allen

In un'analisi di ampio respiro, che riguardi le trasformazioni di età classica e del primo Ellenismo e le dinamiche tra timai eroiche e timai divine, talora la critica si è interro­ gata se si possa parlare di una vera e propria specificità occidentale, e in particolare si­ celiata. L'attenzione si è incentrata soprattutto tra il V e il IV secolo a.C., con le figure dei Dinomenidi, di Empedocle, dei Dionisi, di Dione e Timoleonte e la riflessione di Evemero di Messene, di notevole importanza anche per i risvolti per il Ruler Cult1• È indubbio che l'età delle tirannidi e dei liberatori costituisca un turning point significativo, che va comunque calato in un contesto più complesso di quanto si pos­ sa superficialmente credere. Infatti nell'Occidente greco in epoca storica si assiste, in primo luogo, alla presenza di patterns ben definiti, che si basano sul culto eroico tributato all'oikistes, attraverso la collocazione di un heroon posto in posizione cen­ trale della polis, prevalentemente nell'agorà. Si tratta di una prassi generalmente ammessa, documentata dalle fonti letterarie e che comunque ha trovato finora solo parziale conforto nella documentazione archeologica2• Non si possono infatti tra­ scurare recenti, autorevoli tentativi di revisione della communis opinio, che si basano 1 Cfr. Sanders 1 99 1 ; De Angelis, Garstadt 2006; Serrati 2008, nonché Currie 2005. 2 Casi sicuri sono l'heroon di Glauco a Taso (peraltro cofondatore con Telesicle) e di Batto a Cire­

ne. Una rassegna, con bibliografia, è in Giangiulio 20 10, pp. 52-53.

38

Federicomaria M uccioli

su una riconsiderazione dell'heroon più noto e dalla valenza considerata esemplare, quello di Posidonia3• Analogamente, pure la funzione del cosiddetto heroon di Me­ gara Iblea è stata messa in dubbio\ mentre quello recentemente ritrovato nell'agorà di Selinunte (sub-colonia di Megara) lascia intravedere una duplice tomba, il che non permette di escludere compresenze peraltro ignote accanto al fondatore della polis (Pammilo), attestato da Tucidide5• Comunque sia, l' importanza del culto eroico per l' ecista è di notevole importan­ za anche per la costruzione e diffusione di una memoria storica civica, che spesso, a quanto è dato desumere, proietta il personaggio in una dimensione autenticamente eroica, in linea con un'elaborazione cronologicamente alta della tradizione poleica6• Ma non si può sottacere, nello spazio religioso civico occidentale, anche la presenza di alcuni culti per personaggi legati al secondo millennio, da distinguere dagli ecisti veri e propri di epoca storica, ovvero le figure legate al contesto mitico-epico, di rilevante importanza nello spazio religioso coloniale. In un noto passo del De Pythiae oraculis Plutarco, profondo conoscitore della realtà di Delfi e delle sue tradizioni, sottolinea come l'oracolo indicasse ai fondatori di città, tra gli indizi utili a identificare il luogo opportuno, « santuari di divinità venerate oltremare e sepolture segrete di eroi»7• Senza addentrarsi in un'analisi sistematica, basterà solo ricordare qui che un personaggio come Filottete, nella tradizione occidentale, riceve onori che le fon­ ti arrivano a considerare divini. Secondo l'Alessandra di Licofronte, gli indigeni, a Macalla, costruiranno sulla sua tomba un luogo consacrato, facendo onore a lui, per sempre dio, con libagioni e buoi sacrificali; un'affermazione parzialmente confer­ mata dallo pseudoaristotelico De mirabilibus auscultationibus in cui si parla di onori per il personaggio da parte dei Crotoniati8• La critica ha spesso analizzato questi passi, e in particolare quando descritto da Licofrone, rubricando semplicemente il culto come eroico9• 3 Vd. le diverse ipotesi in Greco 2008, pp. 24-25; Greco 2009; cfr. Frisone 20 l l b, p. 82. Come sottolinea giustamente Greco, non è certo casuale che n eli' ipogeo fosse contenuta un'anfora con raffi­ gurata nel lato principale l'apoteosi di Eracle nell' Olimpo. 4 Così Gras, Tréziny 200 l, pp.59-63; da ultimo in Gras et alii 2004, p. 4 1 9: « pour nous, il ne peut s'agir ici de la tombe de I'oikistes (Lamis est mort à Thapsos avant la fondation de la cité), ni meme d'un cénotaphe, mais d'un « lot-standard » , réference culturalle de l'apoikia » . Per un' interpretazione tradizionale cfr. Avram 20 1 2, p. l 23. 5 Su Pammilo, unitosi ai Megaresi di Sicilia vd. Thuc. VI 4, 2 (con datazione al 628/7); cfr. VII 57, 8, mentre più generico è Diod. XIII 59, 4 (con datazione al 651/0). Cfr. Mertens 20 12, pp. I l 52- I l 53, che concilia la datazione alta e quella bassa proposte nei due passi di Diodoro e di Tucidide succitati. Vd. Gras, Tréziny 20 1 2, p. 1 1 4 1 . 6 Opportune puntualizzazioni a riguardo, i n opposizione a d una certa tendenza destrutturaliz­ zante e primitivistica ricorrente nell'attuale critica anglosassone, sono in Mele 2007, partic. pp. 36-59. 7 De Pyth. or. 407f-408a. Per un primo commento cfr. Malkin 1 987, pp. 35, 75 ss.; Mari 20 l O, p. 88; Muccioli 20 1 2, pp. 1 26- 1 30. 8 Alex. 927-930; cfr. [Arist.], De mir. ausc. 1 07. 9 Così Giangiulio 199 l a, p. 47, nota 46: l'enfasi descrittiva e la connotazione divina dd culto sono

Il culto di Timoleon te a Siracusa

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Altro esempio significativo, tratto sempre dall'Alessandra, è quello di Partenope, onorata ogni anno come dea uccello10• Secondo Raviola, il culto implicherebbe una realtà arcaica preesistente a Neapolis, con probabile allusione ad « un insediamento greco arcaico attorno a quel culto » 1 1 • Nel testo effettivamente si parla di gyxwpot, la­ sciati volutamente anonimi. Non è comunque irrilevante chiedersi se si possa parlare di una presenza consistente anellenica coinvolta in qualche modo nel culto quando questo venne impiantato, anche se è senz' altro più probabile pensare ad una forma cultuale greca (anche con fenomeni di acculturazione cultuale reciproca) che antici­ pa la fondazione di Neapolis. Comunque sia, è evidente che secondo quanto traman­ da la fonte (e si sottolinei ancora una volta, la fonte ellenistica) agli occhi dei Greci il culto era inteso come un culto divino, non eroico. Venendo più propriamente alle istituzioni di Neapolis spicca la figura di Eumelos, designato come theos patroos12• Anche in altri contesti regionali, i personaggi legati al secondo millennio e al rac­ conto dell'epica o m erica non vanno tutti visti in rapporto ad un culto di tipo eroico, come si potrebbe immaginare, ma ricevono anche onori divini o considerati tali. È il caso, ad es., di Achille, quale progenitore dei Neottolemidi, in Epiro13, ovvero nel Mar Nero, in ambito p rettamente coloniale e in un background sociale, politico e religioso completamente differente1\ oppure nell'Occidente magnogreco15• A Sparta, poi, è ben attestato fin dall'epoca arcaica l'heroon chiamato Menela­ ion 16. In realtà, a quanto è lecito dedurre dalla documentazione archeologica (che spazia dall'età arcaica a quella ellenistica) e dalla tradizione letteraria (che parla di naos) 17, Menelao ed Elena sono considerati come divinità e il loro è un culto sì cto­ nio, ma con sacrifici divini (e non eroici). Un caso questo che ben si inserisce nelle dinamiche dei rapporti tra culti eroici e culti divini (anche in termini di rituale) messe a fuoco dalla Ekroth 18• Si tratta dunque di fenomeni che hanno o stanno dando luogo ad un riesame più approfondito, nel tentativo di scorgere connessioni e interazioni con le pratiche da attribuirsi al poeta dell'Alessandra ( cfr. Giangiulio 199 1 b ) . Sui vari aspetti della figura di Filottete e della sua popolarità in Occidente, con attenzione rivolta anche agli aspetti propriamente archeologici, cfr., ad es., Genovese 20 1 0 ( che, a p. 2 1 , parla comunque di divinizzazione «che si legittima attraverso processi ideologici diversificati, tutti di chiara impronta ellenica, ma sviluppatisi verso e per le comu­ nità epicorie » ) . IO 7 1 9-720. 1 1 Raviola 2006, p. 1 4 1 . 12 / G XIV, 7 1 5, l. l Cfr. Giangiulio 20 1 0, pp. 94-95, che mette i n connessione culto e rapporto d i Fere con Apollo. 13 Plut., Pyrrh . l , 2-3. 14 Docum entazione e analisi in Hedreen 1 99 1 . 15 Cfr. Frisone 20 1 1 b, pp. 84-86. 1 6 Per una prima analisi cfr. Antonaccio 1 995, pp. 1 55- 1 66; Malkin 2004, p. 1 34, nota 84. 17 Paus. III 1 9, 9 (naos) ; non specifica Polyb. V 1 8, 21 -22; cfr. Liv. XXXIV 28, 7 (Menelai montes radices). 18 Ekroth 2002; 2007.

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cultuali conferite ai primi fondatori coloniali (tanto in Occidente quanto nel Mar Nero), non sottovalutando, ma neppure enfatizzando, processi di rielaborazione cultuale tardiva, in particolari contesti civici, e possibili, se non probabili diaframmi interpretativi delle fonti posteriori. Vi è poi sempre più la necessità di svincolarsi, o quanto meno di stemperare la netta dicotomia culto divino/culto eroico, cercando di individuare possibili imer­ sezioni o di delineare una casistica che tenga conto di tutte le variabili, compresa l' influenza o la partecipazione dell'elemento indigeno nel conferimento del culto. Ciò vale per la succitata ninfa Partenope ma anche per un personaggio come Filippo di Butacide in epoca storica, noto peraltro dal solo Erodoto19• In questo contesto, dagli sviluppi peraltro tutt'altro che lineari, occorre dunque inserire le forme cultuali della Sicilia di V-IV secolo, lasciando da parte il (dubbio ?) precedente del legislatore siracusano Diocle (che meriterebbe un approfondimento specifico)2°. Gli onori eroici conoscono diverse attestazioni significative che si lega­ no soprattutto all'attività fondatrice (anche in senso figurato) di alcuni personaggi ben calati nel contesto sociale e politico civico, tiranni e non, da Gelone a Timole­ onte. Ignota è invece la possibile pratica nel campo degli atleti, peraltro ben attestata in altri ambiti regionali, come appunto il caso, sia pure sui generis, di Eutimo in am­ bito locrese (onorato non in quanto atleta, ma per aver avuto la meglio sull'eroe di Tem esa)21• Ne è escluso un personaggio come Empedocle (e, per alcuni aspetti, il suo 'epigono' Menecrate), la cui dimensione di uomo divino (theios aner) lo sottrae alle dinamiche politiche e religiose consuete delle poleis antiche e, anzi, finisce per cri­ stallizzarne la figura in un'aneddotica che solo in base a un' interpretazione stretta­ mente razionalizzante, peraltro già avvalorata dagli antichi (in particolare, Timeo) potrebbe essere rifiutata tout court o fraintesa pregiudizialmente22• Una figura che comunque vale come exemplum e va confrontata con altre realtà occidentali. 19 V 47: « Per la sua bellezza ottenne dai Segestani onori quanti nessun altro ; hanno eretto un heroion (heroon) sulla sua tomba e se lo propiziano tramite sacrifici » . Cfr. Athenag., Leg. 14 (che si­ curamente dipende dal passo erodoteo). La peculiarità del culto consiste non tanto nell'attestazione riferita alla prima metà del V secolo, quanto proprio nel fatto che si tratta di una forma cultuale e con­ trario: sono i nemici di Egesta a onorare colui che hanno ucciso. Diverse le interpretazioni a riguardo, riassunte in Muccioli 20 1 1 , p. 1 1 4 e nota 84. 20 Diod. XIII 35, 2 ss., dove vi è chiaramente la sovrapposizione con il politico di V secolo (che comunque sicuramente non ricevette forme cultuali eroiche). Se davvero il legislatore di età arcaica aveva ricevuto culti eroici, non si spiega però perché Dionisio avrebbe voluto distruggerne la tomba; cfr. Brugnone 2006, p. 59. Una possibilità è quella di pensare ad un' interpretazione malevola della fonte, tesa a mettere in cattiva luce il tiranno: Timeo è, evidentemente, il candidato più immediato. Va notato che, in ambito occidentale, Zaleuco, Caronda, Timarato e altri legislatori sono oggetto di isotheoi timai, effetto dell'astorico processo di 'pitagorizzazione' in !ambi., VP 172, mentre più fondata è l'attestazione di onori per i legislatori di Tegea, quantunque difficilmente databile (Paus. VIII 48, l). 21 Vd. quanto ho osservato nell' Introduzione al presente volume. Possibili risvolti cultuali indigeni possono essere peraltro colti anche per questo personaggio. " Cfr. Muccioli 2000; 20 1 1 , p. l 07; p. 1 1 6, nota 9 1 ; c. s. c.

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In ogni caso, bisogna sottolineare l' importanza del modello eroico come auten­ tico fil rouge che attraversa quasi due secoli, in quello che si presenta come un si­ stema politico-religioso bloccato o comunque ancorato alla tradizione, nonostante tentativi di cambiamento, in particolare sotto i Dionisl. Il dibattito sulla possibilità di culti divini attribuiti ai due tiranni si è infatti acceso negli ultimi decenni. Esclu­ dendo, come si è già affermato in altre occasioni, un vero e proprio istituzionalizzato Herrscherkult, ovvero l'esistenza di un precedente di quanto avvenne diffusamente in epoca ellenistica23, rimane innegabile che in quella tirannide vi siano alcuni fer­ menti che vanno nella direzione di un rapporto diverso con i sottoposti, agevolato in ciò dalla volontà (in particolare Dionisio I) di creare un modello di dynasteia con forti tratti innovativi, in cui trova spazio un'esaltazione della casata e della prede­ stinazione divina al potere (celebrata o comunque enfatizzata dallo storiografo di corte, Filisto )24, con ipotizzati risvolti anche nella simbologia monetale25. Non può sfuggire il rapporto privilegiato dei Dionisi con alcune divinità, anche a livello onomastico : rispettivamente Dioniso per Dionisio I (che si riflette anche nel nome dei figli, in particolare Niseo), e Apollo per Dionisio II (che chiamò il fi­ glio maggiore Apollocrate) . Il rapporto con Dioniso può sicuramente passare anche per un interesse tragico del tiranno, a livello letterario, implicando anche la 'teatraliz­ zazione' del suo potere, agevolata anche dall'attività a corte dei (cosiddetti) kolakes. In questo senso la sovrapposizione Dionisio/Dioniso può essere ricercata proficua­ mente anche nell'appellativo Dionysiokolales/Dionysokolakes26• �anto ai funerali di Dionisio I, questi, nella loro ostentazione (descritta in modo ammirato da Filisto, a cui fa da contraltare polemico Plutarco, ad uso peraltro alle immagini tratte dalla vita scenica) rappresentano senz'altro un elemento importante, anche a livello di ritua­ le27. Lo splendore della tomba di Dionisio I è in implicita, ma chiara contraddizione con la legge contro il lusso funerario e le norme restritittive imposte da Gelone e ben si inquadra nel tentativo di creare una dynasteia ereditaria, aspetto questo supportato anche da altri elementi nelle fonti28. A ciò si aggiunga - ed elemento che non va sottovalutato anche per un' indagine su Timoleonte - un rapporto alquanto disinvolto con le divinità tradizionali, che può trovare un paragone con l'atteggiamento tenuto da Lisandro, pronto a cercare 23 Cfr. Muccioli 1 997; 1 999, pp. 47 1 -8 1 . 24 FGrHist 5 5 6 F F 5 7a , 57b (cfr. Tim. FGrHist 566 F 29) su cui, da ultimi e con differenti prospet­ tive interpretative, Biffi 2006; Sammartano 20 10 ( ivi ampia bibliografia). 25 A riguardo, vanno segnalate le interpretazioni proposte da Caccamo Caltabiano 2002; 2003; 2009 (che però, a quanto mi consta, non hanno avuto ampio riscontro nella scholarship). 26 Vd. Ceccarelli 2004, che scarta la variante Dionysiokolakes e ritiene possibile una prima forma di culto per i Dionisl nel circolo degli adulatori. Cfr. Duncan 20 1 2, parti c. p. 1 54, che a sua volta enfatiz­ za il programma di 'self-dramatization' di Dionisio L 27 Plut. Pelop. 34, l ( Philist. FGrHist 556 F 40); cfr. Mari 20 10; Frisone 20 l l a, p. 1 97 (e, più in generale, Frisone 2004). 28 Vd. Plut., Dion 13, S. =

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di manipolare i principali santuari del mondo greco o frequentati dai Greci (Dodo­ na, Delfi, Siwah)29• A quanto tramanda la tradizione, spesso sopra le righe per la sua tendenziosità, i Dionisi sono intenti a saccheggiare santuari e commettere empietà di ogni tipo, sia in Sicilia sia a Locri sia altrove30• Spicca, a tal proposito, un episodio tràdito da Ateneo, secondo cui Dionisio (generalmente identificato con Dionisio I) fece un brindisi con vino all'Agathos Daimon della divinità (Asclepio o Apollo) su una tavola d'oro o d'argento, ordinando poi di rubare quest 'ultima31• Indipen­ dentemente dall' Uberarbeitung e dalla faziosità della tradizione, con gli inevitabili riverberi nell'aneddotica, sempre più sfocata e infida, il rapporto con la religione tradizionale, in buona misura diverso rispetto allapietas di personaggi come Gelone o, anche, Agatocle, marca uno stacco rispetto al sistema di valori religioso tradizio­ nale, da non sottovalutare anche in termini di successiva ricomposizione della polis, a livello istituzionale e di valori sistemici. Dopo la lunga tirannide dionisiana, la breve parentesi di D ione, ambiguo libe­ ratore, segna senz' altro uno stacco e come tale venne sentito dai Siracusani e dalle fonti. L'entusiastica accoglienza riservata a più riprese al discepolo di Platone, nel 3 57, e nel 356/5, al suo ritorno da Leontini, attraverso forme spontanee di ado­ razione e altre istituzionalizzate, come la concessione da parte dell'assemblea di un culto eroico in vita nella seconda occasione, in quanto considerato salvatore della città, marca una decisa svolta rispetto al passato, non solo quello siracusano e siceliota32• Svolta che passa per una scelta del culto eroico, pur in una nuova di­ mensione terrena. Confronti sono stati proposti con altri culti eroici, a comincia­ re da quelli per i ph ilo i di Demetrio Poliorcete, peraltro tutt 'altro che probanti33• Comunque sia, e soprattutto per il tema che qui si sta affrontando, si tratta di un culto che, nelle motivazioni del suo conferimento (ovvero il fatto che Dione fu il salvatore dei Siracusani), non si presenta strettamente vincolato alle dinamiche legate al culto eroico per l'ecista. E va adeguatamente rimarcato il suo carattere effimero, giacché con ogni probabilità cessò nel vorticoso succedersi degli eventi, nella Siracusa e nella Sicilia del 3 54-344. �anto alle timai tributate a Timoleonte dai Siracusani dopo la morte (avve­ nuta nel 336 subito dopo la deposizione della strategia, o qualche tempo dopo), queste sono note da due passi paralleli rispettivamente di Diodoro Siculo e di Plu29 Cfr. Muccioli 20 1 1 , p. 1 23 (e, più in generale sul personaggio, pp. 1 1 8 - 1 28, con le fonti e la bibliografia addotte). 3° Cfr., indicativamente, Muccioli 1 999, p. 3 1 1 , nota 845; pp. 348-353; cfr. pp. 120- 1 24 e passim. 31 Athen. XV 693e (Asclepio ; cfr. Cic. De nat. deor. III 84) ; Ael., VH I 20 (Apollo). 32 Diod. XVI 1 1 , 1 -2 e 20, 5-6, da confrontarsi con Plut., Dion 29, 1 -2 e 46, l. Cfr. Muccioli 1997; 1999, pp. 3 1 8-3 1 9, 361 -362; Bosworth 2003. La preferenza va accordata, giustamente, ai luoghi diodo­ rei, in particolare al secondo, anche se, come sottolinea ora Versnel 20 1 1 , p. 46 1 , nota 82: «Both may have contributed to the creati on of this new 'theology' », riprendendo osservazioni di Nilsson. 33 Cfr. Habicht 1970, pp. 55-58; 204 e nota 48; 255-256; Muccioli 1 997, p. 1 1 2; Buraselis 2003; Bosworth 2003.

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tarco34• Le differenze tra i due autori vertono essenzialmente sul nome del padre di Timoleonte e sul fatto che Diodoro scrive che il Corinzio fu artefice della libertà dei Sicelioti, mentre in Plutarco si sostiene che restituì le leggi ai Sicelioti (convergenti gli altri punti: aver deposto i tiranni, sconfitto i barbari e ricolonizzato le maggiori città greche). La seconda testimonianza è, a mio avviso, senz'altro da preferire, in quanto il biografo dà l' idea proprio di citare in extenso il decreto, anche se opera adattamenti di tipo linguistico eliminando i dorismi del testo35• In ogni caso, anche se il racconto di Diodoro può essere considerato un riassun­ to, forzatamente stringato in alcuni p assaggi, occorre ipotizzare un'unica fonte, che ha avuto accesso alla copia del decreto, non necessariamente per via autoptica, letto davanti alla cittadinanza in occasione dei funerali del Corinzio. L' ipotesi senz' altro più economica è che tale autore sia Timeo di Tauromenio, che potrebbe aver avuto accesso a fonti storiografiche locali, quali Atanide di Siracusa, probabile testimone oculare degli avvenimenti. Non è questa la sede per addentrarsi nel problema di Quellenjòrschung, anche se va ribadito che è ormai pericoloso e scarsamente fondato metodologicamente ancorarsi all' idea della fonte unica, tanto per Diodoro quanto, a maggior ragione, per Plutarco. 34 Diod. XVI 90, l : « In Sicilia morì Timoleonte di Corinto, che aveva sistemato ogni questione riguardante i Siracusani e i Sicelioti, dopo aver esercitato la strategia per otto anni. I Siracusani, che gli avevano manifestato grande favore per il suo valore e gli importanti benefici ricevuti, fecero splendide esequie e in occasione dei funerali, dinanzi alla folla radunata, fu proclamato da Demetrio, che era a quei tempi l'araldo con la voce più forte, il seguente decreto : 'Il popolo di Siracusa ha stabilito con un decreto di seppellire qui Timoleonte, figlio di Timeneto, di Corinto, con una spesa di duecento mine e di onorario in eterno con giochi musicali, equestri e ginnici, per aver deposto i tiranni, sconfitto i barbari e ricolonizzato le maggiori città greche, facendosi così artefice della libertà dei Sicelioti' » (trad. T. Alfieri Tonini). Plut., Timo!. 39: « l . Assistito nella vecchiaia, tenuto in così grande onore e amato come un padre comune, morì quando all'età si aggiunse una piccola cagione. 2. Furono concessi alcuni giorni per permettere ai Siracusani di preparare il necessario per la sepoltura, a chi abitava in campagna e agli stranieri di giungere; a tutto si provvide sontuosamente: i giovinetti, scelti per vo­ tazione, trasportavano il feretro adorno attraverso la reggia di Dionisio, allora ridotta in macerie. 3. Precedevano il feretro molte decine di migliaia di uomini e di donne, il cui aspetto conveniva ad una festa: erano tutti incoronati e indossavano vesti candide; voci e lacrime, mescolate all'elogio del morto, rivelavano non apparenza di onore né ufficio svolto a seguito di deliberazione pubblica ma sincero rimpianto e riconoscenza, che nasceva da autentico affetto. 4. Infine, quando il feretro fu poggiato sulla pira, Demetrio che, fra gli araldi di allora, aveva la voce più potente, lesse il bando che era stato scritto, il seguente: S. 'Il popolo di Siracusa seppellisce Timoleonte, figlio di Timodemo, corinzio, con una spesa di duecento mine. Lo onora in eterno con agoni musicali, ippici, ginnici poiché, dopo aver rovesciato i tiranni, sconfitto i barbari, ripopolato le più importanti delle città distrutte, restituì le leggi ai Sicelioti'. 6. Lo seppellirono nella piazza e, successivamente, dopo aver circondato il luogo di portici e costruito palestre, innalzarono un ginnasio per i giovani e lo chiamarono Timoleonteion. 7. Essi, ser­ vendosi dell'ordinamento e delle leggi che quello aveva fissato, vissero felici per lungo tempo>> (trad. D.P. Orsi). Cfr. Nep., Timo!. 5, l e 4. �anto alla data della morte di Timoleonte, Diodoro potrebbe comprimere troppo gli avvenimenti (strategia della durata di otto anni e morte), collocati sotto l'anno attico 337/6 (cfr. XVI 89, l); così, ad es., Talbert 1 974, p. 49, nota l . 35 Per un'analisi cfr. ora Micciché 20 1 1 .

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La specificità del culto per Timoleonte è stata spesso rimarcata e inquadrata nel contesto siceliota. Già Westlake aveva sottolineato come i Sicelioti fossero per na­ tura portati a concedere timai eroiche con più prontezza rispetto ai Greci della ma­ drepatria, anche se tale suggerimento, per quanto importante, va opportunamente sfumato e calato nel contesto del IV secolo (e oltre). In ragione di ciò, pertanto, va osservato come, nonostante i casi ben attestati in Sicilia, si tratti di un onore unico n ell' isola, proprio perché Timoleonte non era siceliota d'origine36. Come sotto­ lineano le fonti, i Siracusani, e in genere i Sicelioti, consideravano il Corinzio un secondo fondatore e, senza ombra di dubbio, gli onori si inseriscono nell'alveo dei culti eroici per i fondatori, avvalorati anche dal fatto che Timoleonte aveva liberato i Sicelioti, eliminando dunque la tirannide. Tra gli studi più recenti, di carattere generale, che si sono occupati della questione, Smarczyk, dopo un accurato status quaestionis, propende, sulla scorta di Malkin, per un ritorno alla tradizione ecistica, con stretti rimandi peraltro ad un altro siracusano, Gelone, gratificato di onori eroi­ ci probabilmente di tipo ecistico37. Può solo apparentemente sorprendere il fatto che, nell'orizzonte cultuale oc­ cidentale, il tiranno sia considerato e voglia essere considerato anche fondatore (e dunque oggetto per questo di culti eroici) cosa che si verifica, in modo palmare, per Ierone I (ad Aitne/Catane) e forse per altri personaggi (Terone ad Agrigento) . L'esempio di lerone mostra come la ricerca della dimensione cultuale ecistica, e dunque eroica, miri ad obliterare lo status di tiranno e le connotazioni da cui questa figura è caratterizzata, sì da influenzare anche la Darstellung della pubblicistica coe­ va38. Certo è che, soprattutto riguardo al tiranno 'buono' Gelone (oggetto peraltro di una vera e propria imitatio da parte dei suoi successori e inevitabile elemento di confronto in età dionisiana) si assiste ad un' interazione della popolazione siracusa­ na con i Dinomenidi, con la necessità di presentare un' immagine nuova del pote­ re monocratico. L'accoglienza riservata al tiranno dai Siracusani, acclamato come salvatore, benefattore e re, pur risentendo di un filtro posteriore, ne è un riflesso indicativo39. Come è stato osservato, la tomba del tiranno, qualunque sia la sua esat­ ta ubicazione, è lontana topograficamente e tipologicamente da quella degli ecisti di epoca arcaica (e non), giacché non è ubicata in un posto centrale o comunque rilevante dell'agorà: si trovava in un podere della moglie del Dinomenide, fra le cosiddette Nove Torri, a duecento stadi di distanza dalla città40• È dunque legittimo 36 Wesdake 1 952, p. l (riprendendo osservazioni di Nilsson). 37 Smarczyk 2003, pp. 1 0 1 - 1 1 8 ('Die Oikistenstellung Timoleons'); cfr. Malkin 1 987, pp. l l, 237240 (che peraltro sottolinea che Gelone, nella pagina diodorea - XI 38 non è onorato esplicitamente come un ecista). 38 Cfr. le osservazioni di Lavelle 1994, a proposito di McGlew 1 993. Specificatamente sulle realtà occidentali fondamentale è Currie 2005 (pur se non sempre condivisibile); cfr. anche Mann 20 1 3. 39 Diod. XI 26, S -6. Cfr. Brugnone 2006, pp. 60-6 1 . 40 Oltre alle osservazioni d i Malkin (supra, nota 37), cfr. Luraghi 1 994, pp. 27 1 , 297 -298; Brugno­ ne 2006, p. 63, nota 53. -

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chiedersi se tale lontananza sia dovuta alla volontà di disgiungere la figura di Gelone da quella di un fondatore tout court, e se il culto abbia davvero altre motivazioni (quali emergono nel dopo lmera) oppure se sia unicamente dettata dal desiderio di non turbare un sistema architettonico, ma soprattutto sociale, politico e religioso, ricorrendo all'utilizzo di uno spazio privato, anzi familiare. Acquista comunque grande importanza il fatto che, a differenza di quanto avven­ ne per lerone a Aitne/Catane, la tomba e, con ogni probabilità, il culto del dinasta dovettero protrarsi almeno fino alla distruzione della tomba causata dai Cartaginesi nel 396, attraversando dunque tutta l'età dionisiana e quella successiva. Diodoro, fonte al riguardo (e dipendente da Timeo), aggiunge maliziosamente che Agatocle per invidia fece abbattere le Torri41• Tuttavia a quanto si lascia intravedere, costui doveva avere un certo rispetto per i suoi predecessori lato sensu42, il che potrebbe anche giustificare il mantenimento di un culto eroico per Gelone durante gli anni del suo potere. Ora, è lecito chiedersi se Timoleonte fosse considerato un fondatore per Sira­ cusa ovvero per tutte le città greche, e se conseguentemente venisse gratificato di un culto in modo capillare nei diversi centri (il che è peraltro inattestato), giacché traspare dal filtro delle fonti (in particolare Timeo) che agli occhi dei Greci di Sici­ lia, e si intendano tutti i Greci, egli era un nuovo fondatoré3• �esto è un elemento importante anche per la difesa della tradizione letteraria, contro la tendenza recente della critica (soprattutto di matrice archeologica), peraltro in buona misura legitti­ ma, a riconsiderare, e ridimensionare le gesta di Timoleonte e il revival delle città siceliota sotto il suo operato44• Se è senz' altro giusto rivedere o sfumare un' interpre­ tazione rigidamente impostata sulla dicotomia Dionisi distruttori/Timoleonte rie­ dificatore, basata sulle fonti letterarie (spesso interessate o faziose), rimane il fatto, indiscutibile, che agli occhi dei Sicelioti, e dei Siracusani in particolare, Timoleonte continuava a godere di grande popolarità ed era o veniva considerato davvero un liberatore e un nuovo fondatore ; la situazione politica sotto il Corinzio presenta una rottura totale con l'esperienza tirannica, anche rispetto a Dione e agli altri effi­ meri governi succedutisi, pur accettando un'evoluzione della sua esperienza politica 4 1 Diod. XI 38, 5; cfr. XIV 63, 3 (dove viene ricordata la distruzione anche della tomba della mo­ glie di Gelone, Demarete). 42 Vd. Cic., In Verr. II 4, 1 22-1 23 (riguardo alle immagini di costoro nel tempio di Minerva), su cui cfr. Consolo Langher 2000, p. 277; 2003, pp. 297-30 1 ; 2006; Muccioli 1 999, pp. 472-473; 20 1 3, p. 1 46 e nota 605. 43 Cfr. De Vido 20 1 3, p. 78. 44 Partendo dal fascicolo monografìco di « Kokalos >> dedicato al Corinzio ( 4, 1 958), oltre alle opere di insieme sul personaggio (in particolare, Talbert 1 974; Smarczyk 2003, ma anche diversi con­ tributi in Bonacasa et alii 2002) si vedano recentemente, Micciché 20 1 1 e gli altri articoli, soprattutto quelli di carattere archeologico, contenuti nel medesimo volume ( Congiu et alii 20 1 1 ), nonché Giin­ ther 20 1 2b (che ritiene che l 'opera di colonizzazione del Corinzio debba intendersi in realtà in senso più politico che materiale, con il cambiamento di regimi politici).

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e ridimensionando il carattere 'democratico' del suo intervento, nel quadro della rivalutazione della dialettica siracusana e dei suoi avversari politici45• Inquadrando il culto per Timoleonte nell'ampio alveo del culto eroico del fon­ datore (aspetto questo confermato dalla tomba del Corinzio in posizione centrale a Siracusa, nell'agorà, e con la creazione, ma solo successivamente, di un ginnasio chia­ mato Timoleonteion, a dire di Plutarco)46, si noterà che ancora tra V e IV secolo tale culto trovava esempi o rilevanti possibilità di raffronto e forse di sviluppi rispetto all'età arcaica, in sistemi sociali, politici e religiosi in cui il codice di valori tradizionale era ancora ben saldo. I patterns presenti in quell'epoca, fatto salvo il loro valore para­ digmatico, vanno comunque calati in un contesto più ampio di rinnovamento, che riguarda anche città che ancora per lungo tempo rimasero o cercarono di rimanere impermeabili a innovazioni. Per citare l'esempio più noto, e per alcuni aspetti più em­ blematico, ad Atene, dove pure viene introdotto il culto eroico per i caduti in guerra, il riconoscimento delle individualità conosce forme onorifiche significative, ma stenta ad essere inquadrato secondo precise forme cultuali di tipo eroico/divino. Se è vero che fu Conone il primo ad essere onorato con una statua nell'agorà dopo Armodio e Aristogitoné7, non è però lecito istituire una vera e propria equazione tra le forme cultuali divine tributate a Lisandro in vita a Samo nel 404 (e forse in altri contesti, in ambito microasiatico) e le timai rese, tra gli altri, allo stesso Conone, Cabria, Ificrate e Timoteo, che si presentano comunque diverse rispetto a quelle dei protagonisti del V secolo48• Si assiste, pur con fenomeni di discontinuità, allo sviluppo di un culto della personalità, che non porta ad una vera e propria eroizzazione dei leader politici, ma, in qualche misura, ad un accostamento del loro status (sociale) a quello eroico49, e che è 45 Particolarmente significative le notazioni di Plut., Timo!. 38, 2 e 39, l (in cui è considerato dai Siracusani benefattore e padre comune). 46 L'esatta localizzazione della tomba è oggetto di discussione, giacché non è unanimemente ac­ colta l' ipotesi di individuarla nel cosiddetto Ginnasio Romano (cfr. i lavori riportati in Zirone 2005, p. 1 66- 167 e, soprattutto, Trojani 2005; diversamente, F. Coarelli, in Coarelli, Torelli 1 988, p. 24 1 ). Ringrazio il dott. G. Giallanza per le indicazioni fornitemi a riguardo. 47 Così Demosth., Or. XX 70. Sul culto dei Tirannicidi cfr., recentemente, Shear 20 12a; 20 12b. 48 Così Burelli-Bergese 1 994, p. 4 1 : «Nasce un vero e proprio culto della personalità per gli stra­ teghi vittoriosi, quali Cono ne, Cabria, Ifìcrate e Timoteo, a cui corrispondono, a Sparta, gli onori tri­ butati a Lisandro>> . Demostene, dal canto suo, polemizza con quanti adulano Timoteo, Ifìcrate e altri in contrapposizione con lo spirito degli Ateniesi nei giorni di Salamina e Maratona: Cfr. Starr 1 962, p. 327 ( Starr 1 979, p. 1 99) con i passi ivi evocati in cui si contrappongono polemicamente i politici di IV secolo a quelli di V secolo, a tutto vantaggio dei secondi (Demosth., Or. III, 26; XIII 29; XVIII 203-204, 208; XX 73; XXII 13; XXIII 207). 49 Aesch., Adv. Ctes. 243; cfr. Mossé 2003, p. 81 : « L'erezione di una statua era dunque una forma di eroizzazione e veniva riservata agli strateghi vittoriosi [ .. ]. Dal duplice esempio degli strateghi spar­ tani e degli strateghi ateniesi si nota come la dedica di una statua concessa al vincitore lo elevasse se non al rango di dèi, almeno a quello di eroi. E questo, per un greco del IV secolo, non costituiva una trasgressione alle regole della vita religiosa, non più che della vita politica >> . =

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destinato a scontrarsi con le spinte innovative (introduzione di culti divini) dell'epoca di Alessandro Magno. Prova di ciò è il fatto che in quella stessa Atene dove vi fu un acceso dibattito sull'opportunità di conferimento di onori divini per il Macedone (ed eroici per Efestione) i cittadini fossero poi pronti a tributare un culto di stampo eroico per Leostene50• Ancora più importante e stringente è il caso di Anfìpoli e dei suoi due 'fonda­ tori' Agnone e Brasida, come informa Tucidide51 • Nel passo dello storico ateniese, purtroppo assai stringato, si parla di Agnoneia e di un vero e proprio culto per Bra­ sida, considerato il salvatore della città dopo la sua liberazione del 422. È possibile che l'eccezionalità della situazione, con Anfìpoli in sospeso tra Ateniesi e Spartani, abbia potuto favorire un vero e proprio culto eroico per Brasida (comunque post mortem ) , mentre più incerta o comunque più discussa è la possibilità che già Agno­ ne, il vero, primo fondatore, fosse onorato in tal modo da vivo 52• L' importanza e la problematicità del caso di Brasida potrebbero trovare un pendant nella fondazione di Messene, patrocinata da Epaminonda, il quale anzi venne considerato alla stessa stregua del fondatore della città, ricevendo un culto conseguente : la sua importanza è infatti confermata dalla presenza di una sua statua di bronzo nel luogo detto dai Messeni herothysion, in cui vi erano statue di tutti gli dèi venerati dai Greci. Ma basterebbe rimarcare la differenza semantica nei termini usati ( ebcwv per il Te bano, &.y&.Àf.taTa per le divinità) a indurre qualche sospetto circa il conferimento di un vero e proprio culto eroico53• Il ruolo di Epaminonda (e di Te be, dietro di lui) è senz' altro fondamentale, ma pare semplicistico pensare ad un vero e proprio culto creato subi­ to al momento della fondazione di Messene (369) . Sicuramente Pausania accredita forme onorifiche di epoca imperiale, età in cui la riconsiderazione del passato fon­ dante può indurre anche a rivisitazioni con implicazioni cultuali54• Ancora più com­ plessa la questione riguardo a Filippo II di Macedonia, quantunque costui, in più di un'occasione e in differenti contesti, tendesse a 'flirtare' con l' idea di divinità55• 50 Diod. XVIII 13, 5. Cfr. Hyper. VI 13 (nonché V 32). 5 1 V 1 1 , l (trad. F. Ferrari): « Da allora in poi gli Anfipoliti, cinto di uno steccato il suo sepolcro, gli fanno sacrifici come a un eroe e offrono in suo onore giochi e sacrifici annuali. E gli dedicarono la colonia come a un fondatore, dopo aver distrutto gli edifici di Agnone (Agnoneia) e se c'era qualcosa che potesse restare come ricordo della sua fondazione; consideravano Brasida come loro salvatore, e nel momento presente per timore di Atene preferivano l'alleanza con Sparta, mentre pensavano che l'onorare Agnone, per l'ostilità che nutrivano per Atene, non avrebbe più portato come prima piacere a lui ed utilità a loro » . 5 2 Asmonti 20 1 2 e , soprattutto, Mari 20 1 2 (che esclude l a possibilità che v i siano stati onori eroici per Agnone). 53 Paus. IV 32, l; cfr. IV 27, 5 -7; IV 3 1 , 10; IX 14, 5; Diod. XV 66, l. 54 Cfr. la prudenza d i Luraghi 2008, p. 2 1 6, ss L'espressione è in Mitchell 20 1 3, p. 1 00. Vd. l' iscrizione attestante l'esistenza di un altare del re Filippo salvatore e fondatore, talora considerato Filippo II (Hatzopoulos, I, p. 179, nota 6; II, n. 78; cfr. nn. 75-76; Hatzopoulos 20 1 2). Ma, paleograficamente, il testo appartiene all'età di Filippo V e quindi non è affatto da escludere che il personaggio in questione sia proprio quest'ultimo ; cfr. Mari

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Anche con Alessandro Magno e i suoi immediati successori si nota come accanto al culto divino persista il culto eroico, applicato in occasione di fondazione/rifon­ dazione di città. Ben noti sono gli esempi di Alessandria d' Egitto e di Tolemaide, dove il culto eroico per Alessandro e Tolemeo l, in quanto ktistai, continuò ad essere vivo ancora in età imperiale. Altri casi potrebbero essere addotti, come quello di Cinea, fondatore (o rifondatore ?) di Ai Khanum56• Una completa morfologia di questi culti eroici difficilmente può essere scritta, allo stato attuale delle conoscenze, ma è indubbio che, nonostante la diffusione del culto divino in età ellenistica, quello eroico continuò a persistere, per i fondatori (e non solo per costoro)57• Ciò detto, l'esperienza politica e religiosa di Timoleonte presenta tratti di con­ tinuità e di discontinuità con il passato che devono essere adeguatamente vagliati, e che non vanno necessariamente intesi solo in rapporto con il culto eroico a lui tributato. Ora, è indubbio che il personaggio abbia avuto chiaro il senso di propa­ ganda e che quindi abbia presentato la sua spedizione sotto la protezione divina, a cominciare da divinità particolarmente venerate in Sicilia (come Demetra e Core). È un tema ben attestato dalle fonti letterarie58, ma con riflessi anche nella produ­ zione numismatica coeva, a testimonianza della volontà del Corinzio di sfruttare i segni divini per la sua azione (oltre all'utilizzo di altri vettori propagandistici, come il richiamo a Zeus Eleutherios)59• Il protagonismo del personaggio è forse solo in­ tuibile, in un certo qual modo, anche a livello epigrafico, nella dedica a Corinto per la vittoria del Crimiso e in quella ad Apollo delfico della decima del bottino di una battaglia che devrebbe essere la medesima60• Una dedica che potrebbe realmente avvicinare Timoleonte a Gelone, in un' ideale sovrapposizione tra Imera e il Cri­ miso, come supposto dai moderni61, talora rimarcando la particolare predilezione 2008, pp. 258 ss. (n. 8). Sul rapporto di Filippo II con la divinità, con attenzione ai culti a lui tributati che la tradizione, soprattutto letteraria, gli riferisce, cfr. Mari 2008; Muccioli 20 13, pp. 39-40. 56 Cfr. Rougemont 20 1 2, n. 97a e relativo commento. Ha senso logicamente parlare di rifonda· zione solo in seguito ad un precedente insediamento poleico sotto Alessandro Magno o Seleuco Il Antioco I (la cronologia del sito è altamente dibattuta, soprattutto negli ultimi decenni, ma sembra imporsi una datazione sotto Seleuco l; cfr. Martinez-Sève 20 1 2, pp. 2 1 8-2 1 9). 57 Tralascio qui di discutere altre forme cultuali come il succitato culto per i philoi di Demetrio Poliorcete ovvero, ad es., l' eroizzazione dei filosofi: basti pensare ai collegi di Diogenisti, Antipatristi e Paneziasti ad Atene (in onore rispettivamente di Diogene di Seleucia, Antipatro di Tarso e Panezio di Rodi) noti da Athen. V 1 86a. Cfr. Dorandi 1 99 1 , pp. 3 1 -32. 58 Passi e discussione, tra gli altri, in Melita Pappalardo 1 996; Bearzot 2008; Santagati 20 1 1 . 59 Castri zio 20 1 1 . 60 Vd. Rhodes, Osborne 2003, n. 74 (dove Timoleonte, con il titolo di strategos, è da alcuni inte­ grato alle IL 2 e 4; comunque sia il ruolo di KTtcrT�P è assegnato all'eroe Korynthos alla L 3). Il testo presenta divergenze rispetto a Plut., Timo!. 29, 6 (cfr. Diod. XVI 80, 6). Tra la bibliografia cfr., recente­ mente, Manganaro 2002, pp. 1 1 4- 1 1 6 (con altre proposte di integrazione, che comprendono comun­ que sempre il nome del Corinzio, ma alla L 5); Prestianni Giallombardo 20 1 1 , pp. 467-468; Prag 20 1 3, pp. 4 1 -45. Sul secondo documento cfr. le restituzioni di Manganaro 2002, pp. 1 17- 1 1 8. Gt Jacquemin 1 992, p. 20 l e, con ulteriori osservazioni e documentazione, Gulletta 2003, p. 760

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per i due personaggi da parte di Timeo62• Rimane il fatto, indubitabile, che delle statue dei tiranni precedenti venne risparmiata sotto il Corinzio solo quella di quel Dinomenidé3• D'altro canto, spicca il legame con la Tyche, denominata (in modo insolito o comunque precedentemente inattestato) Automatia: in suo onore il Corinzio fa­ ceva sacrifici, aveva fatto erigere un tempio e e consacrò la sua stessa abitazione allo Hieros/ Agathos Daimon64• Tale legame può senz'altro prefigurare quanto avvenne poi in età ellenistica, inserendosi in una temperie particolarmente aperta alle inno­ vazioni, forse anche nella stessa città di Corinto65• L' importanza della tyche, anche intesa come una divinità ( Tyche), comincia a farsi particolarmente rilevante nella seconda metà del IV secolo e incide sensibilmente anche nelle vicende, positive e negative, dei personaggi dell'epoca66• Ad es., la morte di Leostene nel 323 a Lamia viene attribuita da Iperide all'eimarmene, che Diodoro, a sua volta, considera un inatteso colpo di fortuna 7rct.paòo�ov EÙl e Demetrio ; ella viene per celebrare i solenni misteri delia Figlia, ma egli è qui, lieto, bello e ridente, come si conviene alla divinità. Egli appare come qualcosa di venerando, con tutti i suoi amici intorno a lui ed egli in mezzo a loro, come gli amici sono le stelle, così egli è il sole. Salve, figlio del potentissimo dio Posidone e di Afrodite. Gli altri dei o sono molto lontani, o non hanno orecchie, o non esistono, o non si occupano affatto di noi, ma vediamo che tu sei tra noi non di legno, né di pietra, ma vivo e vero : noi invero ti preghiamo. Prima di tutto dacci la pace, o amatissimo : tu infatti sei in grado di farlo. La Sfinge che domina non Tebe, ma tutta la Grecia - l ' Etolo che, seduto sulla pietra, come il mostro antico, afferra e porta via tutti i nostri corpi < questa Sfinge> io non posso combatterla: infatti, è tipico degli Etoli rapinare le cose dei vicini, ma ora anche quelle più lontane da loro. Tu, invero, in persona puniscila: altrimenti, trova un Edipo, che precipiti giù questa Sfinge o la trasformi (t) in roccia. �esto cantavano i Maratonomachi non solo in pubblico, ma anche in privato, loro che avevano ucciso chi si prosternava al re di Persia, loro che avevano sterminato innumerevoli miriadi di barbari.

I n base al riferimento d i Democare a Corcira, alcuni hanno visto nella Demetra dell' itifallo l' ipostasi di Lanassa19, che a Demetrio aveva portato in dote la grande 1 9 Cfr. Ehrenberg 1 935, pp. 279-295, in particolare p. 285; Manni 1 953, p. 94 e nota 94 (molto dubbioso) ; Wehrli 1 968, p. 1 77.

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isola dello Ionio, ma quello che è certo è il notevole valore religioso del canto20, nel quale gli dei tradizionali sono annullati dal confronto con il nuovo dio, presente in carne ed ossa, « vivo e vero » di fronte ai bisogni degli Ateniesi, mentre gli altri dei «O sono molto lontani, o non hanno orecchie, o non esistono, o non si occupano affatto di loro » . Nel testo a noi conservato d a Ateneo, questo forte valore religioso è messo in diretta connessione con il pericolo costituito dalla 'sfinge' etolica che sembra incom­ bere minacciosa sugli Ateniesi, i quali, dunque, pregano il deus praesens Demetrio di proteggerli dai possibili attacchi degli Etoli, descritti come un popolo abitualmente dedito a violenze e saccheggF1• Che all'epoca ci fossero forti contrasti tra gli Etoli e il Poliorcete, dopo anni in cui, invece, avevano lealmente collaborato22, ci è confer­ mato anche da Plutarco23, il quale sottolinea che Demetrio, dopo aver fatto celebrare le feste pitiche ad Atene, per evitare che esse si svolgessero sotto il patrocinio degli Etoli, che ormai controllavano i passi intorno a Delfi, decise di intraprendere una spedizione militare in territorio etolico, spedizione che non ebbe però gli esiti da lui sperati, perché al fianco degli Etoli intervenne Pirro, con il quale alla fine Demetrio fu costretto a siglare una pace di compromesso24• Anche se il biografo di Cheronea non accenna affatto alla conclusione di una pace anche tra Demetrio e gli Etoli, essa era stata ipotizzata dai moderne5, pur nel silenzio delle fonti, poiché la descrizione di uno stretto rapporto di alleanza tra il koinon e Pirro, in funzione anti-demetriaca, suggeriva una piena condivisione delle scelte politico-militari di entrambi nei confronti dell'Antigonide. Oggi, però, noi possiamo documentare l'esistenza di questa pace, poiché F. Lefèvre26, nel 1 998, ha pubblicato un' iscrizione che contiene il testo di un trattato di pace concluso, per un periodo di soli cinque anni, tra un re Demetrio, che egli giustamente identifica con Demetrio Poliorcete27, e gli Etoli; nonostante la grave lacunosità del testo, che manca, a sinistra, di circa 50 lettere per linea, l'editore è riuscito a ricostruire buona parte delle clausole che regolavano l'accordo tra i contraenti, che si presentano su un piano di assoluta parità e in uno stato di reciproca, malcelata, ostilità, evidente an­ che dalla brevissima durata prevista per il patto. Grazie a questo nuovo testo epigra­ fico possiamo oggi affermare con certezza che nel 289 gli Etoli furono protagonisti non solo della guerra, ma anche della pace con il Poliorcete, umiliato da Pirro sia in 20 Ehrenberg 1 935, pp. 279-295; Manni 1 953, pp. 93-95; Landucci Gattinoni 1 98 1 , pp. 1 1 5- 1 23. Cfr. a questo proposito le riflessioni di Palumbo Stracca 2000, pp. 503-5 1 2. 22 Sull'alleanza degli Etoli con Antigono e Demetrio negli anni precedenti la battaglia di Ipso, cfr. Landucci Gattino n i 2004, pp. l 05- 1 30, in particolare p. 1 22, con ampia discussione delle fonti e della bibliografia. 23 Plut., Demetr. 40, 7-8. 24 Cfr. Plut., Demetr. 43, 1 -2; Phyrr. 10, 1 -4. 25 Cfr. e.g. Grainger 1 999, p. 92. 26 Lefèvre 1 998. 27 Lefèvre 1 998, p. 1 33. 21

La divinizzazione del sovrano nella tradizione letteraria

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Etolia con l a sconfitta del suo generale Pantauco che i n Macedonia con una aggres­ siva incursione militare : la 'sfinge' etolica, così paventata dagli Ateniesi nell' inno itifallico eseguito in onore di Demetrio, riuscì già in quegli anni a dimostrare tutta la sua pericolosità28• Dall'analisi della tradizione sembra, dunque, evidente che, nel complesso e plu­ ridecennale rapporto tra Atene e il Poliorcete, al di là degli aspetti più squisitamente religiosi molto abbiano contato i fattori politici: nel 307/6, infatti, Demetrio mi­ rava alla stabilizzazione del controllo sulla città attica, controllo appena acquisito con la cacciata di Demetrio Falereo, fedele luogotenente di Cassandra ; nel 302, egli, invece puntava al consolidamento dell'alleanza con Atene in vista della ormai prossima e decisiva battaglia contro la coalizione formata da Cassandra, Lisimaco Seleuco e Tolemeo, battaglia che in effetti si combatté ad Ipso nella primavera/ estate del 30 l ; nel 290, infine, il Poliorcete voleva coinvolgere Atene nel tentativo di neu­ tralizzare l'ascesa degli Etoli, astro nascente dello scacchiere politico-militare della Grecia metropolitana. Sic stantibus rebus, dobbiamo notare che la tradizione letteraria tende a sotto­ lineare ( e a condannare ) il servilismo dei politici ateniesi di fronte allo strapotere di Demetrio, dato che descrive gli onori a lui tributati come il frutto velenoso del­ la piaggeria degli Ateniesi, ormai dimentichi della gloriosa storia della città, come viene implicitamente affermato nel commento che, come abbiamo visto, chiude, in Ateneo, la citazione dell' itifallo in onore di Demetrio : questo cantavano i Maratonomachi non solo in pubblico, ma anche in privato, loro che avevano ucciso chi si prosternava al re di Persia, loro che avevano sterminato innumerevoli miriadi di barbari (Athen. VI 253f [ Duris in FGrHist 76 F 1 3 ] ) =

La suddetta tradizione, però, non si limita a leggere in chiave politica i fatti, ma fa ri­ ferimento anche alla 'questione religiosà, evidenziando con forza la blasfemia sia di chi offriva sia di chi riceveva gli onori e trasformando il Poliorcete in un paradigma negativo di grande spessore, ufficialmente 'codificato' da P l marco stesso all' inizio della Vita di Demetrio: per parte nostra, non riteniamo né umano né civile un metodo educativo che parte dal pervertimento di altri; ma forse non è male aggiungere alla galleria delle Vite una coppia o due di personaggi che si sono comportati in modo troppo sconsiderato e distinti, nel gestire il potere e nelle grandi circostanze, per un orientamento al vizio. L' intenzione non è davvero quella di divertire, per Zeus, né di dare un passatempo al lettore variando la narrativa. Ma [ . . . ] mi pare che anche noi, se informati sulle vite di scarso valore e biasimevoli, saremo più disposti a guardare ed imitare quelle migliori di esse. �esto libro conterrà dunque le vite di Demetrio Poliorcete e del triumviro 28

Su tutta questa vicenda, cfr. Landucci Gattinoni 2004, pp. l 05-1 30.

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Antonio, uomini che più di tutti hanno confermato il detto platonico che le grandi nature producono, come grandi virtù, anche grandi vizi. (Plut., Demetr. l, 5-7)

Come ha suggerito la Andrei29, Plutarco ci mette di fronte a 'due vite deterrenti, cioè due modelli non da imitare, ma da cui guardarsi': la figura di Demetrio, dunque, anche a distanza di secoli, manteneva i connotati pesantemente negativi che le erano stati attribuiti nella letteratura (per noi purtroppo perduta) del primo Ellenismo, all' interno della quale ampio doveva essere il dibattito sul ruolo e lo status dei sovra­ ni che si contendevano l'eredità di Alessandro. In effetti, nei frammenti superstiti di questa letteratura, se, da un lato, troviamo giudizi sferzanti sulla 'divinizzazione' di Demetrio, dall'altro, leggiamo, invece, pa­ role di apprezzamento nei confronti di una �a.cnÀela. 'ideale', intesa come 'onorevole servizio'(evòo�oç ÒovÀela.), con i sovrani trasformati in disinteressati e instancabili 'benefattori' (eùpyha.t) dei sudditi. Come ho già scritto altrove30, l'espressione evoo�oç oouÀela è attribuita da Eliano ad Antigono Gonata, in un fa­ moso aforisma31 che sembra riecheggiare il tema di una monarchia 'filantropica' di matrice stoica cui, secondo i modernP2, il Gonata voleva richiamarsi, dopo gli eccessi 'comportamentali' del padre Demetrio, così bene messi in luce nella biografia plutar­ chea del Poliorcete. L''onorevole servizio' lodato da Eliano diventa addirittura un peso difficile da por­ tare in una serie di 'detti famosi: spesso ripetuti dalla tradizione erudita fino alla tar­ da antichità, nei quali il riferimento concreto è al diadema, simbolo per eccellenza della regalità e come tale immortalato di frequente nell' iconografia dei sovrani33. Paradigmatici a questo proposito due celebri detti, riferiti rispettivamente allo stesso Antigono Gonata e a Seleuco Nicatore: quest'ultimo, secondo Plutarco3\ era solito ripetere che « se la gente sapesse quanto faticoso sia il solo scrivere e leggere tante let­ tere, non raccoglierebbe un diadema gettato via » , mentre Antigono Gonata, secon­ do Stobeo3S, si sarebbe così rivolto a un'anziana donna, che lo chiamava beato : « se tu sapessi di quanti mali è pieno questo straccio (e così dicendo le avrebbe mostrato il diadema), non lo raccatteresti neppure se fosse caduto in un letamaio » . 29 Andrei 1989, p . 37. 30 Landucci Gattinoni 20 1 1 , pp. 89- 105. 3 1 Ael., VH II 20: 6 AVTlyovoç 01JToç opwv TÒV uìòv ToTç Ù7npcootç XPWflEVOV �Iatonpov TE JCal 9pa> . The hypothesis, made by Collombert 2008, that these benefits should be identified with che reform of che apomoira tax to support che cult of Arsinoe in Egyptian temples, is intriguing but remains unproven. 14 Transl. by Thiers 2007, pp. 179- 1 80: «Alors, !es prophètes et !es pères divins du tempie de Neith arrivèrent dans le lieu où se trouvait sa Majesté : ils dirent en présence de sa Majesté: 'Souverain, notre maitre, la statue de la reine, héritière du Double Pays, Isis-Arsinoé, [la déesse qui aime] san frère [ ... ] a été dressée>> l l.A « C 'est la piace vers laquelle tous !es dieux ... (?). �e ta Majesté vienne la (= la statue) voir>>. 11 A point apdy stressed by Schafer 20 1 1 , pp. 257-260 regarding che association of Arsinoe with festivals far sacred animals. 1 6 See recendy Garre 2009, pp. 285-344, 6 1 1-622, and Thompson 20 1 2, pp. 1 17- 1 28. 1 7 The first text has been found in � (BM EA 1 668); a probably later text from Koptos (CG 7003 1 [ Urk. II 55-69] + Cairo, Egyptian Museum RT 3 1 /3/64/ 1 ) is of greater imerese far our present purpose. As Senu states at line l: « ( C l ) ] 'ai realisé ce qu'elle [i.e. la déesse Isis précedemment évo­ quée] desire (en réalisant) toute sorte d'oeuvres excellentes de pierres dures, en érigeant des statues du roi de Haute et Basse-Égypte Ouserkare aimé d'A mon, fils de Ra, possesseur des couronnes, Ptolémée vivant à jamais et des statues féminines de la reine. Rien de pareil n'avait été fait auparavant, sauf par le Maitre de ce pays >> (Trans. Garre 2009, p. 109). Discussion in Derchain 2000, pp. 44-53 with che

Ruler cu/ts in practice: Sacriflces and libations for Arsinoe Philadelphos l

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Egyptian priests, Greeks enjoying a distinctive position within the Ptoiemaic sociai hierarchy piayed a prominent roie in the spread and organization of the cuits of Arsinoe throughout the Ptoiemaic Empire. Prosopographicai data concerning the Alexandrian eponymous priests of Alexander an d the Theoi Adelphoi as well as the eponymous kanephoroi of Arsinoe Philadelphos provide a suitabie basis for detect­ ing the connections between the careers of individuai members or entire families of the Ptoiemaic elite and the transiation of court religious policy into practice18• In this perspective, the case of Kallikrates of Samos - Ptoiemaic admiral, fìrst known priest of the Theoi Adelphoi an d author of various major dedications related to the royai house, including the foundation of the tempie of Arsinoe at Cape Zephyrion - is exempiary but no t isolated 19• What associates Egyptian priests and Greek officiais is that their action in the diffusion of Arsinoe's cuits is not separate from their distinctive sociai function within the Ptoiemaic system. Conversely, what still iacks in our understanding of the sociai dynamics underlying the spread and organization of Arsinoe's cuits is an evaiuation of the roie of normai peopie : those worshippers of Arsinoe whose par­ ticipation in the cult of the goddess wouid not have any speciai impact beyond the sphere of their family an d dose acquaintances. Detecting and interpreting their roie is more difficult due to the poverty of evidence, yet not impossibie in the case of Arsinoe's cuits, at ieast in some specifìc geographicai contexts. Approaching this issue brings us to the core of the questions concerning the iink between 'lived reli­ gion' an d the success of a centralized religious program. 2. Detecting individuai agency in the cults for Arsinoe In the previous section I have tried to move the focus from centralized religious programs to the roie of iocalized groups and individuais. We can consider this movement as a shifi: from officiai to non-officiai, from top to botto m, or, more gen­ erally, from peopie whose actions have iarge impact within their group to others having more iimited impact. In the following sections I concentrate o n the attempt to detect the lived experience of the cults for Arsinoe by focusing on evidence of rituais performed by individuais that held no institutionai authority. This approach requires a preliminary defìnition of the anaiyticai ianguage that I use. review of l. Guermeur, in «BiO>> 60, 2003, pp. 327-336; see also Guermeur 2003 and 2006; Gorre 2009, pp. 1 03- 1 1 8, 606-6 1 1 , 6 1 3. 18 See the lists of priests in Clarysse, Van der Veken 1 983, with updating in P. Sorb. 3, pp. 1 2- 1 3. 1 9 On Kallikrates ofBoiskos from Samos (Tm Person ID 2 1 37), cf. Hauben 1970 and 20 1 3 ; Bing 2002-2003; Bingen 2002a and 2002b. Another exemplary case is provided by the long-lasting attach­ ment of the family of Aetos from Aspendos to offìcial appointments associated with Ptolemaic ruler cults: cf. Caneva 20 1 2, pp. 85-86, with previous refs at note 39.

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Stefano G . Caneva

Firsc, as ofi:en happens when new vocabuiary imporced from sociai sciences en­ cers che field of Altertumswissenschaft, the concept of 'agency' has become more an d more common in recent schoiarship in ancient history, yet in most cases this con­ cepc remains unexpiained, so that it may cause some obscurity and even generate a sort of repuision on che part of readers. By 'individuai agency' I refer to the ability of individuais to not oniy understand and respond to, but aiso to adapt and creatively interact with sociai ( and religious ) norms, models and trends, regardiess of the status chac these individuais hoid in the sociai structure. In relation to the concept of 'lived religion: individuai agency refers therefore to the roie of individuai agents ( or to say it better, of agents envisaged as individuais - i.e. by temporarily not considering the soci ai authority in whose name they may act) in the concrete practice of cults as well as in che construction of their meaning as it is perceived at a collective ievel. Within this framework, sociai structure becomes important at a second stage, when we consider sociai interactions and thus the impact that individuais occupying different sociai sta­ tuses may have on the groups they live in. Of course, the iarge philosophicai and socio­ iogicai debate raised by the category of 'agency' cannot be discussed at iength here20• It shouid be pointed out, however, that the focus on individuai agency as a factor of creacivity within a system needs to be nuanced by taking into account that individuai initiative is deepiy influenced by embodied structures, i.e. a set of models that indi­ viduais have experience with and absorb in everyday life an d which piay an active part in orienting their practices21• Coming back to our purpose of detecting the roie of individuai initiative in the success of ruier cuits, these theoreticai observations impiy thac top-down and bottom-up perspectives must be combined in order to understand che points of interaction between che religious initiative of singie individuais or small groups on the one han d, centralized poiicy an d normativity o n che other. Second, recent research has warned against the risks of adopting a simplistic di­ chotomy 'public vs. private' in relation to religious activity in Antiquity22• I will cherefore try to nuance this terminoiogy by adopting henceforth the opposition 'public vs. private' oniy in a spatiai sense : in other words, by considering as 'public' the acts, cultic toois and representations related to a space chat makes them visibie to a number of spectators. O n the other han d, by taiking of 'offìciai vs. unoffìciai: I distinguish cultic agents charged with institutionai authority by the king, a city, 20 A generai introduction to the concept of'agency' is provided by Emirbayer, Mische 1 998. For a

brief summary ofits applications to cultura! history, cf. Barker 2003, pp. 233-239. Riipke c.s., explores the connection between 'agency' and 'lived religion'. 2 1 In this perspective, P. Bourdieu's category of'habitus' is stili of great utility ( Bourdieu 1990, esp. pp. 52-65; Maton 20 1 2 ) . 22 See the studies collected in de Polignac, Schmitt-Pantel 1 998 and Dasen, Piérart 2005, in par­ ticular Aneziri 2005 as concerns cults for sovereigns; see also the observations in Macé 2008 and Ma 20 13. esp. pp. 2 1 2-233. For discussion of this issue in relation to Roman imperia! worship, cf. Gradel 2002, pp. 1-26. In generai, for a defìnition of'private vs. public' rituals according to the Roman law, see Scheid 20 13, pp. 76-80; Riipke-Spickermann 20 1 2.

Ruler cults in practice: Sacriflces and libations for Arsinoe Philadelphos

l

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a sanctuary, from those stemming out o f the initiative of individuals o r groups n ot enjoying such recognition. The decree reported in a fragment of Satyrus' On the Demes oJAlexandria con­ cerning the procession of Arsinoe in Alexandria provides a good case to explore the theoretical approach that I have described before23• The decree states that those who wanr to sacrifìce to Arsinoe o n the occasion of the official festival shall do it o n permanent brick altars or on temporary ones made of sand, to be erected in front of or above their houses or on streets along the path of the kanephoros (lines 1 21 5, 1 8-23)24• As far as the location is concerned, Satyrus' reference to the front of houses and to roofs clearly hints at household altars. The third option ( of placing al­ tars along the streets walked through by the priestess) must have been envisaged for those who did not live along the processional roure, so rhat they could stili panici­ pare in the evenr. People who wanted to participate in the celebration could make an altar with sand or perhaps use portable altars, whose small dimensions would suffice for burning vegetables o n a fire made of sticks. As L. Robert pointed out, the fact that these altars were placed outside houses along the city streets made them belong to the public sphere : rather than being privately related to the traditional gods of rhe house and family, these altars performed the function of a bridge be­ tween the household and the community25• In other words, families and individuai citizens could participate in the official event by performing an unofficial sacrifìce. This occurred on a public place, i.e. visible to everyone, thus providing people with the right (and the duty, as everyone could be seen by rheir neighbors) to participate in a collective display of religious adherence an d loyalty. By bringing into communication private and public space, official and unoffìcial ritual practice, household traditions an d ci vie innovations, this intersection between households and city streets provides the point in which religious regulation decided by institutions meets with the initiative of individuals and groups, thus contribut­ ing to the creati o n of a shared religious identity in Alexandria. Parallel examples are

23 P.Oxy. 27, 2465, fr. 2; cf. Schorn 200 1 ; Caneva 20 1 2, pp. 82-83. See also below, § 3 on the inter­ diction concerning the sacrifìce of goats. 24 For the location ofaltars, cf. lines 1 2- 1 5 ( ed. Schorn ) : [ ol oè) �ouÀÒ�EvoL Sum Apow [ 6n LÀa] l [oe]

):� SuhwtÀaoéÀ [LÀo}i:ra-rop [oç] 'OÀUfl7l'ltXÒoç T�ç LEÀEÙJCOV, O'TEavn6pou �i:tO'lÀLO'O'rjC KÀeo7!'ctTpac ee&ç EùepyÈTLÒoç [�lovluO'aplou Tfjç'HpaKÀelòov. [wO'opou �a]O'lÀLO'O'rjç KÀE07l'ctTpaç ee&ç [[Kaì] ] Eù [[p/ehl8oc ��è JCaÌ LÀotci-ropoç KÀeo7rhpaç -rfjç KaÀÀLKÀHolvç. [ K ] avYJ�6pou .i\pO'LY6YJç LÀaòe[À�ou . . . . ]ç T�ç TLfloÒwpou, ti8Ào�6pou BepevlKY)ç Eùepyenòoç noiu1Cpdnlaç ��ç éi�ò'wpov, flYJVÒç Il: (�v l ��:�[ o l� [T] 0v [ ÒÈ Alyu'l'l'TLWV n]�x0[v . . . . Ka]ì ÒeKctTYJl. Sul moltiplicarsi degli appellativi cultuali per Cleopatra III, sulla scorta

della ricostruzione elaborata da Otto, Bengtson 1 938, p. 1 50, e l'ulteriore discussione di Koenen 1 970, pp. 66-67, si vedano, tra altri, Thompson 1 989, p. 699; Whitehorne 1 994, p. 1 33; Minas 2000, pp. 1 55- 160.

La regina, la dea e il suo cavallo

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negabile nella scelta della divinità, lside, onorata per di più come generatrice di dei, all' interno della coppia di regine regnanti: la figlia dunque sarebbe stata oggetto di un culto specifico che ne faceva la divinità madre per antonomasia, evidentemente come madre degli eredi del re9• La lettura storica dell' istituzione di questo sacerdozio, che ha portato alle con­ clusioni sopra ricordate, le quali fondamentalmente completano e ratificano la som­ maria ricostruzione delle fonti narrative antiche, si è dunque per lo più concentrata su tre assunti: l . che nella divinità si dovesse identificare una regina, 2. che tale re­ gina fosse Cleopatra III, dal momento che l'eponimato compare in documenti nei quali Cleopatra II non è menzionata, in modo particolare dopo la morte di Tole­ meo VIII, mentre prima di quel momento era attestato raramente, 3. che la sua isti­ tuzione fosse dunque avvenuta proprio nel momento in cui, cacciati da Alessandria per opera della sorella, Tolemeo VIII aveva voluto rimarcare con questo onore il suo favore per la nipote-moglie10• Riprendendo in ordine inverso questi punti, si tenterà di verificarne la fondatezza. In effetti il più antico documento che fino a poco tempo fa attestava un eponi­ mo del 'sacro puledro' era un testo demotico redatto a Memphis datato al 40o anno di regno di Tolemeo VIII e di Cleopatra III, e più precisamente al 28 maggio 1 30 a.C., il P. Ehevertrdge 37, nel quale il riferimento ad eponimi dei culti alessandrini, porta anche l ' indicazione ' ( eponimi ) che sono con il Faraone', con ciò indicando che il contratto era stato stilato secondo un protocollo formalmente alessandrino, ma ormai distinguendo eponimi che si trovavano con Tolemeo e Cleopatra III, da poco tempo costretti a lasciare Alessandria1 1 • Ora però P. dem. Memphis 5 a+b, che risale al 39o anno di Tolemeo VIII e più precisamente al 9 novembre del 1 32 a.C., e che parimenti elenca un hieros polos, funge da terminus ante quem per la scissione tra i regnanti 12, vista la mancanza di Cleopatra II nel protocollo. Non tutto in questa ricostruzione è però soddisfacente, a cominciare dal fatto che, se da un lato i documenti datati alla sola Cleopatra II sono pochissimi, tutti 9 Praticamente soprattutto dopo Otto, Bengtson 1938, pp. 71-92, tutti gli studiosi hanno inteso questo culto così, indipendentemente dall' identificazione della regina: Iside sarebbe infatti solo una personificazione della sovrana; cfr., comunque sempre ascrivendo la personificazione a Cleopatra III, tra gli ultimi, Whitehorne 1 994, pp. 1 28- 1 29 e si vedano ad esempio la tavola riassuntiva in Minas 2000, p. 1 60; cfr. Colin 1 994, p. 287; van Oppen Ruiter 2007, p. 1 35; Pfeiffer 2008, p. 67; Minas 20 1 1 , p. 67. 1 0 Secondo appunto la ricostruzione di Otto, Bengtson 1938, partic. p. 72, sopra ricordata. 1 1 Sulla doppia nomina di sacerdoti, cfr. Minas 20 1 1 , p. 67. Va detto però che, a parte la menzione dei regnanti, diversa a seconda del sovrano che in quel momento e in quel luogo specifico aveva il con­ trollo ed era riconosciuto, non ci sono per il momento testi che riportino nomi di eponimi (dal 134 al 1 20 a.C.), ma solo la loro menzione generica, segno che la particolare situazione politica rendeva impossibile ai notai avere una lista di chi effettivamente ricopriva la carica ad Alessandria e dunque, poiché era comunque necessario, per la loro validità, intitolare gli atti secondo una procedura tradi­ zionale, ma forse era noto che potevano contemporaneamente esistere sacerdoti diversi, si cominciò sistematicamente a non nominarli, come poi divenne frequente continuare a fare negli anni successivi. 12 Cfr. Thompson 1 994, p. 3 1 1 ; Hug 200 1 , p. 608; Thompson 20 1 2, p. 1 4 1 .

Lucia Criscuolo

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dall'Alto Egitto e in uno solo di essi, dotato di protocollo di eponimi, al momento, il sacerdozio del hieros polos manca13, dall'altro anche in protocolli datati ai due so­ vrani co ncorrenti questo stesso sacerdozio non è sempre ricordato, e non solo ma, curiosam ente, proprio quando durante la secessione i due monarchi, zio e nipote/ moglie, si trovano nella chora dove sono attestati i sacerdoti eponimi 'nell' accam­ pam ento del re', come nel BGU 3, 993 14, la lista non comprende proprio quel sa­ cerdozio che sarebbe stato istituito per contrastare idelogicamente la figura della più anzi ana sovrana. Esso sarebbe stato recuperato solo dopo la riconciliazione, e la sua esistenza risulterebbe per questo di nuovo da testi successivi alla morte del vecchio re. In realtà il sacerdozio è quasi certamente attestato anche in un papiro del 1 25/24 a.C. da Herakleopolis, PSI 14, 1 402, seppure integrato in lacuna, nella cui intestazione sono ricordati come regnanti i soli Tolemeo VIII e Cleopatra III, dun­ que pri ma della riconciliazione. Il testo, un contratto di vendita, è chiaramente un documen to notarile in cui la stessa impaginazione comportava un' intestazione pre­ defi nita ( più larga rispetto al corpo dell'atto), ma la presenza del sacerdozio di lside, in quanto tale, dimostra solo che il culto a lside istituito continuava ad essere prati­ cato ad Alessandria. E del resto anche dopo la morte di Tolemeo VIII non sempre il hieros polos è ricordato come sacerdozio eponimo insieme agli altri nei protocolli sacerdotali1 5• A ciò potrebbe aver contribuito il fatto che, nei casi noti, il sacerdozio è sp esso ite rato16, dunque non rivestiva un vero e proprio valore di eponimo. Il che 13

Cfr. P. Bad. 2, 2 (29 ottobre 130, anno terzo della regina): [�wn]Àe [uoucrl']]ç KÀwrrchpaç 9etiç

1ì..o [fL] �To[po ç] Lwnìp [a]ç h?uç TpÌT[o]u, [È ìe] p H wç Tou iiVTo]ç Èv )\�e�av[òpeìa1] AÀe�tivòpo [u] J:Cctl 9ew [v L]�T�p wv [Kal 9ewv Aòeì..wv] Kal 9ewv [EùepyeTwv] K[a]l �e [wv LÀo'ITaT6p] �v �[al 9ewv] [Em] �a��v ltépwa-a f!EyaÀwv oatf!6vwv Èm/ ave(wç, aiTtveç Èf!OÌ Ka9Yjyef!6veç/ei1Tvxoiiç cipx�ç Kaì �aa-tÀe(at 7rct> , si sarebbero molto giovati della conoscenza di Musti 2005, in particolare il cap. I. .

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Tommaso Gnoli

to esterno. È frutto della nuova immissione di ricchezze a Roma a partire dal I secolo a.C. il fiorire di grandi sepolcri monumentali, spesso appartenenti a persone non di primissimo piano, come la splendida tomba di Cecilia Metella, fatta costruire dalla moglie di uno dei figli di Crasso, il triumviro del 60 a.C. Caio Ottavio non aveva a disposizione sontuosi sepolcri familiari. Non solo, il divi Caesaris Jilius doveva necessariamente marcare la differenza anche con il pro­ prio genitore adottivo, secondo una regola che egli seguì sempre in tutta la sua vita46• Il problema dei modelli architettonici della grande tomba di Ottaviano è parti­ colarmente grave, anche per lo storico. Chi ritiene che la visita alla tomba di Ales­ sandro, nel 30, abbia fornito il modello alla costruzione augustea, porrà l'accento sulla derivazione alessandrina nel monumento romano47, mentre invece chi ritiene che la decisione di Augusto sia andata verso un deciso richiamo alle tradizioni ita­ liche, preferirà il referente etrusco-italico, immaginato da Kornemann48• Da segna­ lare, infine, l'opinione di chi individua un'origine del monumento 'troiana' - cioè caria, in quanto derivante dal Mausoleo originario, di Alicarnasso49• Si tratta di un problema di difficile soluzione, ma che non può essere eluso in questa sede. Due fatti mi sembrano certi: l . innanzi tutto l'erronea attribuzione a una pretesa 'egittomania' di Augusto di parti della decorazione marmorea interna dell'edificio, avanzata molti anni fa da Mariette e Arnold De Vos50 e ormai abbandonata nei più recenti studi di storia dell'arte ; 2. secondo poi il fatto che, evidentemente, un certo influsso orientale era ravvi­ sabile da parte del pubblico al quale la tomba si rivolgeva, se è vero che molto presto s' impose, per designarla, il nome di 'Mausoleo'.

Su questo punto, però, è bene fare una breve considerazione: Jean-Claude Ri­ chard ritiene di poter affermare che la designazione della tomba dinastica di Augu­ sto con il termine 'Mausoleo' sia da far risalire ad Augusto stesso, e che tale denomi­ nazione sia stata indicata al nuovo padrone di Roma da un suggeritore d'eccezione : quel Lucio Munazio Planco al quale si deve anche l'aver escogitato il nomen Augu­ sto, secondo quanto concordemente affermato da Velleio Patercolo e Svetonio51• A mio parere la dimostrazione di Richard, che la tomba sarebbe stata chiamata 'Mau­ soleo' da Augusto stesso, resta però indimostrata, tutta basata com'è su un brano di 46 Il difficile e complesso rapporto di Augusto nei confronti dell'eredità di Cesare è stato ben delineato, da ultimo, da Zecchini 2009. 47 Bernhard 1 956; Krafi: 1 967; Coarelli 1 975; Castagnoli 1 9 8 1 ; Coarelli 1 983. 48 Kornemann 1 92 1 ; 1 933; 1 938. Cfr. anche Davies 2000. 49 Ross Holloway 1 966; Richard 1 970. 50 De Vos, De Vos 1 980. 5 1 Veli. II 9 1 , l; Suet., Aug. 7, 4. PIR F n. 534, pp. 390-392; Hanslik 1 933. Cfr. Richard 1 970.

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Svetonio52 e s u una linea dei Fasti Cuprenses53 i n realtà muti al riguardo. Pure indi­ mostrata e indimostrabile resta la paternità del suggerimento del nome della tomba ad Augusto : com'è noto Munazio Planco si fece costruire a sua volta un grande mo­ numento funebre nei pressi di Gaeta, ben studiato da Rudolf Fellmann54, ed è certo che egli ebbe modo di ammirare il mausoleo originale ad Alicarnasso, nulla di più 55• Tuttavia, per tentare di impostare il problema dei referenti culturali del grande monumento funebre in Campo Marzio, mi sembra molto preferibile la strategia di inquadrare la costruzione di quell'edificio in un più ampio orizzonte, e in quest'ot­ tica di valorizzare un celebre apoftegma riferito ancora una volta da Svetonio : quan­ do, nel 30 a.C., Ottaviano visitò in Egitto il grande cenotafio di Alessandro e gli venne chiesto dai solerti accompagnatori se egli avesse voluto visitare anche le vici­ ne tombe dei Tolemei, egli avrebbe risposto regem se voluisse videre, non mortuos56• L'opposizione rex/mortus è rivelatrice di una precisa ideologia della regalità: il vero rex è ontologicamente incapace di morire. Non è un caso che Suetonio associ il rac­ conto di questo episodio con la costruzione del grande monumento funebre, e non mi sembra possano sussistere dubbi che proprio nell'associazione di questi due fatti - la costruzione della grande tomba dinastica e l'esplicita presa di distanza dai To­ lemei - stia la chiave interpretativa corretta delle finalità ultime della grande opera del princeps in Campo Marzio. L' inventore dell'apoteosi o consecratio imperiale era disposto a riconoscere la qualifica di rex al grande Alessandro, non ai Tolemei, peral­ tro appena eliminati dal palcoscenico della storia. Augusto distingue nettamente tra Alessandro e i successori, ai quali non risulta abbia mai dato particolare attenzione o riguardo. Mi sembra pertanto difficile da accettare, date queste premesse, l' ipotesi di partenza, cioè che sia stato Augusto stesso ad imporre al suo monumento il nome di Mausoleo, derivante com'è ovvio dal nome di un regolo ellenistico, peraltro di ben poco momento. Mi sembra piuttosto preferibile ritenere che il nome si sia imposto 52 Suet., Aug. l 00, 4: reliquias legerunt primores equestris ordinis tunicati et discincti pedibusque nu­ dis ac Mausoleo condiderunt. Non può far meraviglia il fatto che in età traianea ci si riferisse alla tomba di Augusto con il termine Mausoleo : il testo non è indicativo per il nostro argomento. 53 CIL IX 5289-93 lnscrlt XIII l, n. 7. Il frammento VI dei fasti, riferibile certamente al 14 d.C., contiene la menzione del Junus publicum e, certamente, della cremazione in campo Ma}rtio. Il frammento VIII è invece d' impossibile restituzione. 54 Fellmann 1955. ss È altamente verosimile che Munazio Planco, durante il suo prolungato governatorato della pro­ vincia d'Asia, abbia potuto prendere visione della grande tomba di Mausolo, ma nessuna fonte indica che egli abbia avuto un ruolo nel suggerire ad Ottaviano qualcosa in proposito. Egli passò dalla parte di Ottaviano immediatamente prima della battaglia di Azio. La tesi che Munazio Planco abbia potuto suggerire ad Ottaviano la costruzione di un Mausoleo esemplato sull'originale è intrinsecamente debo­ le: se è vero che non si conosce con sicurezza l'aspetto del tumulus augusteo con tutte le sue finiture, si conosce invece molto bene I' aspetto dell' imponente monumento funebre che Munazio Pianco si fece costruire a Gaeta ( cfr. supra, nota 54) e non mi sembra si possa dire che questo monumento circolare ( come quello di Augusto ) avesse qualche particolare punto di contatto con quello anatolico. 56 Suet., Aug. 1 8. =

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presto a livello popolare, alternandosi al più usato tumulus, che ricorre quasi invaria­ bilmente su documenti epigrafici a carattere uffìciale57• Mi sembra infine chiaro un ultimo punto : Ottaviano non formò in Egitto la sua concezione della regalità, ma vi arrivò con le idee già chiare. Augusto ebbe un rapporto strettissimo con Alessandro. Basti sottolineare la cir­ costanza che un anello con l' immagine di Alessandro venne utilizzato per lungo tempo dall' imperatore per sigillare la sua corrispondenza58, e, soprattutto, che, se­ condo quanto riferisce Plinio, il nuovo Foro dell' imperatore venne adornato con una quantità d' immagini di Alessandro ( Castorem et Pollucem eum Victoria et Ale­ xandro Magno, item Belli imaginem restrictis ad terga manibus, Alexandro in curru triumphante. f2.!!as utrasque tabulas divus Augustus in fori sui celeberrimis partibus dicaverat simplicitate moderata)59, mentre statue raffiguranti il Macedone furono fatte erigere da Augusto davanti al tempio di Mars Ultor e davanti alla Regia60• �esta precoce visione della figura del sovrano, e della connessa immortalità - e in ultima istanza, divinità - risale quindi certamente agli anni precedenti, e non di poco, il 30 a.C., come si vedrà. È quindi addirittura precedente a quella fase del­ la vita di Ottaviano nella quale egli deteneva un potere di fatto, non sostanziato da alcuna forma giuridicamente e costituzionalmente valida, ma solo per consensu universorum, come egli avrebbe successivamente dichiarato61 • Eppure, la concezio­ ne precisa e autonoma della regalità - cioè di quella che sarebbe poi stata la sua, di Augusto, regalità - egli la concepì allora, negli anni infuocati della distruttiva pole­ mica con Antonio, in chiara contrapposizione frontale con le dinastie ellenistiche personificate da Cleopatra e dal suo amante. Il fatto che nei concitati anni della sua ascesa Ottaviano abbia fatto ripetutamente ricorso all' iconografia corrente dei monarchi ellenistici - nella statua equestre collocata per decreto del senato accanto ai rostra già nel 43, nella statua celebrativa della vittoria di Nauloco (36 a.C.), in nudità eroica e con clamide, infine nella statua posta in cima alla colonna rostrata, 57 Mausoleum in riferimento al grande monumento in campo Marzio non compare mai in docu­ menti o testi contemporanei. Il termine comincia ad imporsi, fino a diventare corrente, in autori suc­ cessivi, come appunto Suetonio. In suo luogo si trova sempre e soltanto tumulus, come si può vedere, molto significativamente, su un documento ufficiale quale la Tabula Siarensis, ( frg. B, col. I, l. 1 37 ) , su cui, senza particolari commenti, già Millar 1 988. 58 Suet., Aug. 50; Plin., NH XXXVII 10; Dio LI 3, 4-5; Kienast 1 969; Instinsky 1 962. 59 Plin., NH XXXV 93-94: « Castore e Polluce con la Vittoria e Alessandro Magno, e un secondo quadro col ritratto della Guerra con le mani legate dietro la schiena e Alessandro trionfante sul carro. Ambedue questi quadri il divino Augusto li aveva dedicati nelle parti più frequentate del suo foro con semplicità e senso di autocontrollo>> cfr. anche XXXV 27. Sul Foro di Augusto e la sua decorazione, nota solo da tradizione letteraria, cfr. l' imponente monografia di Spannagel 1 999. 60 Plin., NH XXXIV 48: « Anche di Alessandro Magno si racconta che facesse sostenere la sua tenda da statue; di esse, due sono state dedicate di fronte al tempio di Marre Ultore e altre due davanti alla Regia >> . 61 Recentemente Martin Spannagel ha ritenuto di poter far risalire l' ideologia regale di Ottaviano fino agli anni immediatamente successivi l'uccisione di Cesare: Spannagel 2009.

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tutte opere che conosciamo da conii monetali - è stato spiegato molto bene da Paul Zanker: « quelle immagini potevano suggellare la sua vittoria schiacciante, ma non era un linguaggio con cui si potesse formulare a Roma un programma politico: le immagini parlavano infatti del capo e delle sue ambizioni di potere, ma non dello Stato e del suo futuro. Restava quello, ad ogni modo, il linguaggio dei protagonisti e ad esso non c 'erano alternative »62• Il giovane Ottaviano volle evidentemente risolvere questa mancanza di alternati­ ve creando un sistema ideologico, culturale, figurativo, alternativo a quello ellenisti­ co, ed è in questo contesto che si deve collocare la creazione del culto imperiale e la sprezzante espressione nei riguardi dei Tolemei riportata da Svetonio. La creazione di questo sistema alternativo doveva già essere abbastanza avanzata quando, dopo la vittoria di Azio, Ottaviano, che si avviava ormai a diventare Augusto, decise di ri­ muovere e fondere le statue bronzee sopra citate assieme ad altre, che in quegli anni affollavano le strade e le piazze dell' Urbe, come afferma lui stesso in modo enfatico : Ho fatto rimuovere io stesso le mie statue, i monumenti equestri e le raffìgurazioni con quadriga che erano in città, circa ottanta in tutto, e d'argento, e con questo de­ naro ho fatto collocare delle offerte votive d'oro nel tempio di Apollo, a nome mio e di coloro che mi avevano onorato con quelle statué3•

La rimozione di quelle statue fu dunque un gesto talmente importante da dover essere ricordato oltre quarant'anni dopo, nelle Res Gestae. È quindi chiaro l'humus ideologico che sta dietro questa creazione, che doveva risolutamente distanziarsi il più possibile dai vituperati modelli ellenistici64• �esti ultimi non potevano semplicemente essere ignorati né rimossi. Augusto iniziò un vero e proprio processo di appropriazione di questi modelli, soprattutto egiziani65• Lo spettacolo costituito dall'enorme complesso monumentale costituito dall' in­ sieme dei grandi monumenti augustei: Pantheon, horologium, Ara Pacis, ustrinum, 62 Zanker 1 987. 63 RGDA 24, 2. 64 Una visione diversa è in Bosworth 1 999, secondo il quale il testo delle Res Gestae sarebbe servito da base ideologica alla futura apoteosi - aspetto condivisibile, come si vedrà - per cui il princeps avrebbe fatto ricorso a una pretesa «Hellenistic doctrine of apotheosis >> . Il problema sta nella definizione di tale dottrina: affermazioni come quella che « the message is che pure Hellenistic doctrine that excellence on earth elevates mortals to che divine>> (ibidem, p. 6) abbassa questa dottrina a termini talmente generici che sarebbe possibile riscontrarla praticamente presso tutti i popoli del pianeta. Le consonanze evidenzia­ te tra il testo delle Res Gestae e i versi di Ennio avrebbero dovuto essere cercate, quanto meno, con il testo dei trattati Sulla regalita, e non mi sembra che tali consonanze esistano. �anto poi al fatto che Ennio sia stato il traduttore in latino di Evemero, non può far dimenticare che il grande poeta latino, !ungi dall'esser stato il propagatore di teorie ellenistiche a Roma, è stato soprattutto il primo cantore dell'apoteosi di Romolo/ Q0rino, e per questo la sua opera ebbe tanta fortuna in età augustea (cfr. Price 1 987). 65 Su Augusto e I' Egitto e Augusto in Egitto cfr. ora due recenti monografìe: Herklotz 2007; Ffeif­ fer 20 1 0.

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tumulum doveva essere assolutamente impressionanté6• È su questo insieme di mo­ numenti, altamente simbolici, e tutti incentrati attorno ai concetti di nascita e di morte del princeps che dovrebbe iniziare la riflessione attorno alla natura costitu­ zionale del principato, più che sulle alchimie poste in essere dal princeps per rendere accettabile al senato, e quindi duratura, la propria posizione senza precedenti. L' invenzione del culto imperiale del sovrano defunto poteva imporsi solo in­ ventando una nuova tradizione, e facendovi confluire una serie di elementi anti­ chi, conosciuti, 'occidentali': Eracle e Romolo affiancheranno i greci Alessandro ed Esculapio nella definizione dell'apoteosi imperiale. Il luogo dell'apoteosi

Il luogo dell'apoteosi, innanzi tutto. Un'antica leggenda, valorizzata nuovamente negli anni di Cesare e di Augusto, poneva nel Campo Marzio, nei pressi della palus Caprae, il rapimento in cielo di Romolo67• E il Campo Marzio divenne, allora, il luogo delle apoteosi imperiali. Alla 'strategia del lutto' corrispondeva, dunque, una 'topografia del lutto'68• Era una topografia incentrata lungo due direttrici: un asse percorreva in direzione da sud a nord il Campo Marzio, dal Pantheon al tumulus, incentrato sulla figura del princeps69, un altro asse, poi, percorreva tutto il Campo Marzio coincidendo verso ovest con l'attuale via dei Coronari. Occorre indubbia­ mente una grande capacità immaginativa per 'vedere', in mezzo ai vicoli dell'attuale centro storico di Roma, la direttrice che univa Piazza Montecitorio, e di lì il Mauso­ leo di Augusto, con il cenotafio di Agrippa, individuato da Eugenio La Rocca nelle immediate vicinanze di Piazza Sforza Cesarini, verso una delle estremità di Corso Vittorio Emanuele. È proprio dall'area del cenotafio di Agrippa che, all' inizio del II secolo, la 'topografia del lutto' immaginata da Augusto verrà stravolta dalla deci­ sione di Adriano di trasferire oltre il Tevere il luogo del cordoglio e della memoria. Significativamente, l'attraversamento del Tevere sarà segnato anche da un deciso abbandono dell'asse augusteo, tramite la creazione di un angolo retto, che avrebbe segnato per sempre la fine della progettualità augustea. 66 Sull'Horologium, avente come gnomone l'obelisco ora collocato in Piazza Montecitorio recante la significativa dedica a Sol CIL VI 70 1-702 ILS 9 1 : Imp. Caesar Divif Augustus pontifex maximus imp. XII cos. XI trib. pot. XIVAegypto in potestatem populi Romani redacta Soli donum dedit, l'opera di riferimento è Buchner 1 982; cfr. anche le recenti rettifiche di Pollini 20 1 2. 67 Livio I 1 6; Plut., Rom. 27, 6. Sulla rielaborazione in età cesariana della leggenda romulea insiste, a ragione, Beard et a/ii 1998, pp. S-6. Sulla continuità ideologica benissimo Zecchini 2009. 68 Coarelli 1975; La Rocca 1 984; Rehak 2006; Pollini 20 1 2. 69 Si tratta di un asse grosso modo identificabile con l'attuale Corso Vittorio Emanuele (via del Corso), che però è parallelo rispetto alla prospettiva augustea, immediatamente a ovest rispetto a que­ sto, e anche diversamente orientata di pochi gradi. =

L 'apoteosi di Augusto

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Probabilmente è questa d i Adriano l a deviazione più direttamente tangibile dalla linearità augustea. L'altra deviazione, quella individuata da Elias Bickerman - cioè la creazione in età Antonina di una nuova ritualità legata al Junus imperiale, e in par­ ticolare al doppio corpo del sovrano70, pure criticata da molti illustri studiosi, come Ernst HohF1 - sembra essere meno netta di quanto immaginato dal grande allievo di Rostovtzeff. Non sembra però un'esigenza peregrina indagare se vi sia un nesso tra l'abbandono del Campo Marzio da parte di Adriano e il tentativo di imporre una nuova manifestazione del lutto pubblico. La linea evolutiva che Bickerman per primo ha con chiarezza individuato, vede una progressiva spettacolarizzazione delle ritualità connesse con i funerali imperiali, e questo fatto sembra assodato. I resoconti, pur mol­ to diversi, dei rituali di Augusto, Claudio, Antonino Pio, Pertinace, Settimio Severo mostrano con grande chiarezza questo tipo di evoluzione72• Altra cosa è stabilire, però, se a queste variazioni si sia accompagnata una trasformazione dell' ideologia so tresa. Su questo punto mi sembra che le deduzioni di Bickerman siano criticabili, per­ ché da una parte sono troppo sistematiche, tendenti cioè a creare un sistema omoge­ neo e razionale in un campo, quale quello delle esequie del sovrano defunto, che la­ sciava ampio spazio a comportamenti irrazionali; dall'altra perché Bickerman lascia troppo indeterminati gli inizi della procedura di divinizzazione degli imperatori a Roma. L'apoteosi di Augusto è veramente poco presente nello studio per altri versi pregevolissimo del l 929, e l'assenza ne pregiudica alcune delle conclusioni. Tra i problemi che Bickerman non pone nel suo lavoro c 'è quello, importante, del rapporto esistente tra la ritualità del funerale di Augusto e quella dei funerali precedenti (significativamente il punto di partenza del lavoro di Price) . Conoscia­ mo parecchio di tali riti funebri, soprattutto grazie a una celebre digressione poli­ biana, inserita nel serrato confronto tra la civiltà romana e quella cartaginese, che so­ stanzia il VI libro delle storie. Polibio ammira quest'uso non greco, anzi fortemente estraneo alla mentalità greca, nel quale individua uno dei motivi dell' irresistibile successo di Roma: secondo lui l'uso romano di rievocare gli illustri antenati della famiglia del deceduto tramite maschere di cera indossate dalle persone che più asso­ migliavano, per corporatura e portamento, ai defunti commemorati, e unicamente, « alla loro presenza » , recitarne le imprese tramite laudationes talvolta anche non del tutto veritiere, costituiva un potentissimo sprone per l'emulazione di quelle im­ prese da parte dei più giovani: chi non resterebbe colpito nel vedere le immagini di uomini celebrati per la loro virtù, tutte insieme, quasi fossero dotate di vita e respiro ? �aie spettacolo potrebbe 70 Bickerman 1 929; 1 973; 1 974. Benché mi lasci molto dubbioso sulla sua applicabilità al mondo antico, l'approccio proposto da Bickerman merita un'attenta valutazione, che spero di poter effettuare in altra sede. La sua applicabilità all'età moderna è nel celebre e discusso volume di Kantorowicz 1957. 7 1 Hohl 1938. Una critica decisa è ora in Gradel 2002, e Gradel in Buraselis et alii 2004. 72 È questo uno dei temi portanti di Price 1 987; cfr. anche Arce 1 988.

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Tommaso G no l i

apparire più bello ? [ . .. ] Di conseguenza, venendo sempre rinnovata la fama di virtù degli uomini di valore, la gloria di coloro che hanno compiuto qualche bella azione si fa immortale, e la celebrità di coloro che hanno reso benefici alla patria diviene nota ai più ed è trasmessa ai posteri. Ma la cosa più importante è che i giovani sono incoraggiati a sopportare qualunque cosa per il bene dello stato, per conseguire la gloria che accompagna gli uomini di valore73•

Non c 'è dubbio che i funerali di Augusto mantennero in pieno questa caratteristica, romana a un tempo e didattica, sottolineata da Polibio. La matrice 'repubblicana', tante volte sottolineata nei rituali imperiali, è indubbia. In particolare le laudationes pubbliche ebbero un ruolo sempre più importante nel rituale, tanto da meritare una grande attenzione da parte degli storici antichi, e anche la monografia di Wil­ helm Kierdorf, oltre ad aver lasciato tracce documentarie in un papiro conservato a Colonia74• Pure la stretta connessione tra maschere di cera repubblicane e statua di cera dell' imperatore, tra parata funebre e parata trionfale sono tratti più volte sotto­ lineati, bene evidenziati, tra gli altri, da Javier Arce75• Ci sono tuttavia dei particolari nelle cerimonie di Augusto, quella dei suoi propri funerali, così come di quelli che lui stesso organizzò per i suoi amici e familiari, che sono rivelatori del ruolo estrema­ mente creativo avuto da Augusto anche in questo campo. Per testimonianza esplicita di Cassio Dione, i funerali di Agrippa seguirono per la prima volta il rituale che, molto più tardi, Augusto organizzò per sé, nel libro con­ tenente i mandata deJunere suo di cui ci parla anche Svetonio. Ovviamente Agrippa non ebbe un'apoteosi ufficiale quali quelle che ebbero Cesare, e soprattutto Augu­ sto. Tuttavia Fraschetti ha potuto dimostrare, in maniera a mio avviso incontrover­ tibile, che il grande collaboratore del princeps ebbe un'apoteosi non ufficiale, cioè non decretata dal senato, ma spontaneamente concessa dalla popolazione di Roma, come risulta da una delle facciate dell'altare dei vicomagistri conservato ai Musei Vaticani, e noto con il nome di Altare del Belvedere. �i un personaggio, che non può essere altri che Agrippa, viene rappresentato mentre sale al cielo su una quadriga trainata da cavalli alati, mentre, dalla terra, la moglie Giulia lo saluta, affiancata dai due giovani figli, Caio e Lucio Cesar?6• È bene ribadire che le identificazioni dei personaggi rappresentati su questo rilievo sono da considerarsi certe, sulla base delle considerazioni di Fraschetti. Se così fosse, allora si potrebbe ben dire che il funerale di Agrippa fu quasi una sorta di prova generale della consecratio di Augusto. Ora, come è possibile leggere in Cassio Dione, il cadavere di Agrippa venne na73 Polyb. VI 53, l 0-54, 3 (trad. M. Mari). Su questo brano e in genere sulla pompaJunebris e la sua importanza per lo sviluppo di una identità storica a Roma, dopo Price 1 987, cfr. tra gli altri Flower 1 996; Sumi 2002, Flaig 2004, pp. 49-69; Walter 2004, pp. 89- 1 08, l l l ; Sumi 2005; Gallia 20 1 1 , pp. 20, 1 17. 74 Kierdorf 1 986, il papiro è P. Colon. inv. 470 l , relativo alla laudatio funebre per Agrippa. 7s Arce 1 988. 76 Fraschetti 1 980.

L 'apoteosi di A ugusto

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scosto da un velo, prima che Augusto pronunciasse la laudatioJunebris, parte della quale ci è miracolosamente giunta nel papiro di Colonia già menzionato77• La stessa procedura, della velatura della salma, è testimoniata solamente altre due volte : per Ottavia, la sorella di Augusto scomparsa nell' 1 1 a.C.78; e per Druso Minore, scom­ parso nel 23 d.C. e commemorato da Tiberio79• Non sembra pertanto che l'uso di parapetasma per nascondere dalla vista il cadavere sia sopravvissuto agli anni 20 del primo secolo. Ma quando iniziò ? Tutto sembra indicare che si sia trattato di un' in­ venzione augustea. Certo, ben pensata, e che faceva leva su concetti di purità ritua­ le ben documentati fin dall'età arcaica. Sembra tuttavia di poter affermare che tale tabù fosse quanto meno caduto in completo disuso, se Dio ne si fa portavoce perples­ so delle diverse ipotesi contraddittorie che circolavano al riguardo già nelle sue fon­ ti. È vero che Seneca si mostra del tutto sicuro nell'attribuire senz 'altro il tabù della purezza rituale alla carica di pontefice massimo, resta comunque il fatto che Cassio D ione - e le sue fonti - non lo erano per nulla, e che tale soluzione del problema sia, in effetti, tutt 'altro che scontata. In un lavoro immeritatamente uscito dalla più mo­ derna ricerca sul censo a Roma in età repubblicana, e mai entrato in quella relativa al iustitium in età giulio-claudia, Maxime Lemosse individuava il vero motivo del tabù riferito da Cassio Dione e da Seneca nella carica deljlamen Dialis, non in quella di pontijéx Maximus80• Al contrario, quest 'ultimo aveva tradizionalmente l' incarico di soprintendere alle pratiche funerarie mentre, per esplicita testimonianza di Aulo Gellio « [ iljlamen Dialis] non entra mai in locali funerari, non tocca mai un morto ; però non ha il divieto di seguire un funerale » 8 1 • Si conoscono assai bene l e cariche sacerdotali ricoperte d a Augusto, e non trami­ te deduzioni erudite, bensì per sua compiaciuta ammissione : « Fui pontefice massi­ mo, augure, XVvirum sacrisJàciundis, V/Ivirum epulonum, Jrater arvalis, sodalis Ti­ tius, feziale »82• Del resto un incarico sacerdotale con le proibizioni rituali prescritte aljlamen Dialis ed elencate a lungo da Aulo Gellio sarebbe stato evidentemente in­ compatibile con la direzione dello stato. Ma allora, se né Augusto né Tiberio aveva­ no mai ricoperto il flaminato di Giove, da dove proveniva il tabù del velo ? Mi sembra evidente che qui ci troviamo di fronte a una mera invenzione da parte di Augusto. Invenzione, inoltre, particolarmente consona a quanto sappiamo dell'atteggiamen­ to dell' imperatore nei confronti della morte: l 'episodio già commentato davanti alla tomba di Alessandro, la costruzione della grande tomba dinastica, la composizione minuziosa e dettagliata di un libro deJunere suo, il presagio d' imminente morte nel 77 Dio LIV 28, 3. 78 Dio LIV 35, 4. 79 Sen., Cons. Mar. 1 5, 3. 80 Lemosse 1 968.

81 Geli., NA. X 1 5, 24-25.

82 RGDA 7, 3. Sulle cariche religiose ricoperte da Augusto cfr. Scheid 1999 e 2009; sul ruolo che esse ebbero nel prosieguo del Principato cfr. Stepper 2003.

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Tom maso Gnoli

volo dell'aquila che si posò sulla prima lettera del nome del suo amico Agrippa, già splendidamente valorizzato da Fraschetti83, infine la notizia, riportata sempre da Svetonio, riferita alla speranza di avere, quando fosse venuta l'ora, una euthanasia, come so leva dire utilizzando il termine greco, sono tutti chiari segnali di un rappor­ to particolare che egli ebbe con la morte : un atteggiamento di grande inquietudine e terrore, che naturalmente ha avuto riflessi in questa disposizione inventata della velatura del cadavere. Perché una simile innovazione rituale potesse avere successo, doveva essere ammantata da un'aura di antichità, e di apparente tradizionalismo, e in questo Augusto era oramai un consumato maestro, in grado d' ingannare un intel­ lettuale del calibro di Seneca, ma non i suoi contemporanei, che si saranno chiesti, con sgomento, i motivi di tale novità, come testimoniano le perplessità raccolte da Cassio Dione.

8 3 Fraschetti 1 980; 1 990a.

D IVI N IZZAZ I O N I F E M M I N ILI N E LLA PRI MA ETA I M PERIALE

Anna Lina Morelli Erica Filippini

Analisi de lla docu mentazione nu mis m atica

Dagli onori postumi per Agrippina Maggiore alla divinizzazione di Livia: le pre­ messe di età giulio-claudia

Come è noto, la relatio inter divos e l' istituzione del culto del princeps morto e di­ vinizzato racchiudono, fin dalla prima età imperiale, una forte accezione politica, sostanzialmente incentrata sulla creazione e sulla celebrazione di un rapporto di ascendenza e di filiazione divina, che supporta l'affermazione di precise aspirazioni dinastiche. In effetti, l' istituzione del principato lasciava aperta la questione succes­ soria, che non era normata in maniera fissa e definitiva, ma che concedeva spazio a scelte dettate dalle circostanze specifiche e dalle necessità contingenti nel delineare modelli di legittimazione, sostanzialmente basati sulla praxis. In questo senso, se si può riconoscere che il principio dinastico, in senso lato, fosse alla base delle scelte successorie, rimangono però oggetto di riflessione appro­ fondita le modalità di trasmissione della legittimità, che venivano di volta in volta messe in atto secondo dinamiche essenzialmente interne alla domus Augusta. Poiché i legami che connotavano tale appartenenza potevano essere d'ordine biologico, ma anche giuridico, come accadeva con l'adozione, istituto che consentiva di ampliare e moltiplicare le relazioni riconosciute in seno allagens, la domus Augusta non costi­ tuiva semplicemente la domus Caesarum, ma rappresentava una costruzione dinasti­ ca complessa e articolata, nella quale le donne poterono assumere un ruolo centrale come fonte di legittimazione del potere maschile1 • 1 La domus Augusta costituiva, d i fatto, uno spazio politico in continuo divenire, i n relazione a matrimoni (e divorzi), adozioni, quindi integrazioni, ma anche allontanamenti, scelte che ovviamente determinavano modifìcazioni nei rapporti privati tra i vari membri, ma che avevano anche una ricaduta

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Tuttavia, nelle strategie messe in atto rispetto alla questione successoria, il coinvol­ gimento dei personaggi femminili delle diverse domus imperiali non fu mai generale, né uniforme, ma, viceversa, venne gestito attraverso scelte finalizzate alla valorizza­ zione di specifici legami, sempre suscettibili di modifiche anche all' interno della politica di ogni singolo princeps, che andavano a definire relazioni funzionali alla le­ gittimazione personale o alla individuazione della linea successoria2• In questo sen­ so, a fronte di dibattiti ancora aperti sul ruolo e sul grado di coinvolgimento a livello pubblico e ufficiale delle esponenti femminili della domus imperiale3, è indubbio che parlare di apoteosi rispetto a questo genere significa, in ogni caso, inquadrare le donne che la ottennero come strumenti, a tutti gli effetti, del potere maschile. In buona sostanza, considerando che l' istituto della consecratio costituiva una compo­ nente imprescindibile della concezione romana del potere imperiale, analizzare l' ap­ plicazione di questa prassi alle Auguste significa comprendere le scelte del princeps, che poteva celebrarne o oscurarne le memoria in funzione delle strategie dinastiche e politiche in continua evoluzioné. Nella ricostruzione storica di questi aspetti un apporto significativo può deriva­ re dall'analisi filologica della fonte numismatica, tenuto conto che i messaggi diffu­ si attraverso il medium monetale costituivano parte integrante della comunicazione politica ufficiale5• In tale prospettiva, la decodificazione dei 'modi' - vale a dire lo schema iconico, l'elemento epigrafico, il rapporto tra dritto e rovescio - attraverso i quali ciascun personaggio femminile trova spazio nella comunicazione monetale, sul piano pubblico e ufficiale. Sulla formazione e sulla percezione della domus Augusta nella prima età imperiale si veda Moreau 2005, con fonti e bibliografia precedente. 2 Per un'analisi complessiva del ruolo femminile nelle dinamiche del potere romano imperiale si rimanda a Cenerini 2009 e, da ultimo, Hidalgo de la Vega 20 1 2. In particolare, sulla concreta funzione delle 'donne imperiali' nella legittimazione successoria si veda Corbier 1 995. 3 In questo filone di indagine appare decisivo, per l'approccio scientifico multidisciplinare, fina­ lizzato ad una ridefinizione della metodologia della ricerca, il contributo degli studi raccolti in Kolb 20 10a. 4 Per visioni complessive sull'opposto trattamento riservato, in questo ambito, alle 'donne imperiali' si vedano Hidalgo de la Vega 20 1 2, in particolare pp. 1 63- 178, e Varner 2001 . Una sintesi delle attestazioni monetali relative alla divinizzazione 'al femminile' in Malfugeon 2005. s Sul sistema di comunicazione ad alto contenuto simbolico ed ideologico che connota il documento monetale e sull 'approccio interpretativo al complesso linguaggio che lo caratterizza si rimanda a Caccamo Caltabiano 2007, con ampia bibliografia di riferimento. Inoltre, si specifica, fin da ora, che le considerazioni riguardanti la documentazione numismatica saranno circoscritte alle emissioni monetali delle zecche im­ periali, cioè, per il periodo che qui ci interessa, quella di Roma e, in parte, anche quella di Lugdunum (sulla produzione attribuibile a questo atelier monetale vd. RIC'- l, pp. 102-104, la cui impostazione è stata qui seguita) , mentre non sono state valutate sullo stesso piano le emissioni locali dei territori provinciali, con particolare riferimento a quelli orientali, in cui l'uso dei termini greci sebaste e thea non hanno lo stesso si­ gnificato dei corrispondenti termini latini, oltre al fatto che, come è noto, nella produzione locale i membri della famiglia imperiale potevano essere insigniti di titoli ed onori che non erano stati conferiti ufficialmente a Roma. Nella presente analisi le emissioni 'provinciali' costituiscono, tuttavia, una documentazione da valu­ tare di volta in volta, in parallelo con la produzione cosiddetta imperiale.

Divinizzazioni femminili nella prima e tà imperiale

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può favorire la comprensione del ruolo rivestito, quindi, in seconda istanza, di quali fossero i legami dinastici che il princeps voleva privilegiare nella legittimazione del proprio potere e/o nell'ottica della successioné. Come è stato ben delineato7, l' istituto della consecratio, nei suoi caratteri costi­ tutivi, non è ·caratterizzato da formule ricorrenti e costanti - malgrado ifunera im­ periali venissero intesi come occasioni di comunicazione ufficiale e quindi fossero in certa misura normati attraverso l'elaborazione di una prassi codificata8 - dunque è importante valutare caso per caso a quali esigenze politico-ideologiche dovesse rispondere l'apoteosi di donne della domus imperiale nei diversi contesti storici e culturali in cui essa fu messa in atto. In questa prospettiva, appare significativo che il primo volto femminile di un personaggio reale9, precisamente identificato attraverso la legenda monetale, presen­ te sulle emissioni di età romana imperiale, sia quello di una donna non più in vita, Agrippina Maggiore - nipote di Augusto, in quanto figlia di Giulia Maggiore10 -, raffigurata dal figlio Caligola in coniazioni che ne celebrano la memoria (fig. 1 ) .

Fig. l . Sesterzio, Caligola per Agrippina Maggiore, zecca d i Roma (BMCRE I p . 1 59, n . 8 5 ; cfr. RICl I p . 1 1 2, n . 5 5 ) . Th e British Museum, Londra, Department o f Coins and Medals, n. reg. 1 872, 0709.443 © Trustees of the British Museum.

6 ln particolare, sulla funzione legittimante svolta dalle Auguste nelle dinamiche della successione al potere, quale emerge attraverso l'analisi della fonte numismatica, si rimanda a Morelli 2009. 7 Si rimanda, nello specifico, a Bonamente 2002, con fonti e bibliografia di riferimento. 8 Sul tema della 'strategia del lutto' e, in particolare, sui funerali delle esponenti femminili della domus di Augusto, si veda Cresci Marrone, Ni colini 20 l O. 9 Per una disamina delle rappresentazioni monetali di personaggi femminili tra l'ultima fase repubblica­ na e la primissima età imperiale si rimanda a Morelli 2009, pp. 23-54. 10 Per Agrippina Maggiore cfr. PIR' V 463 (P. Rhoden, H. Dessau); FOS 8 1 2.

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Si tratta dei noti sesterzi battuti dalla zecca di Roma 11, nei quali la commemorazione della madre dell' imperatore è affidata al ritratto posto sul dritto della moneta, ac­ compagnato dalla legenda identificativa del personaggio - AGRIPPINA M F MAT CAESARIS AVGVSTI -, a cui si associano, al rovescio, l' immagine del carpentum, il carro a due ruote trainato verso s. da due mule, e l' iscrizione dedicatoria S P Q R l MEMORIAE l AGRIPPINAE, che alludono alla solenne pompa, nel corso della quale la vettura doveva trasportare la sua immagine, e ai giochi tenutisi in suo onore nel circo12• La celebrazione postuma della madre da parte di Caligola, espressa attraver­ so l' iconografia monetale - significativamente su un sesterzio, nominale di forte impatto -, è certamente da inquadrare all' interno di un preciso disegno politico­ dinastico, incentrato sulla necessità, per l' imperatore, di richiamare i legami interni alla domus e di sancire la propria discendenza, finalizzata ad affermare e a rafforzare i fondamenti del suo potere, che assumeva il sanguis Augusti come strumento di autolegittimazione. Infatti, diversamente da Tiberio, adottato e designato alla suc­ cessione da Augusto stesso, per Caligola, la cui nomina era stata, come è noto, assai più controversa, era importante affermare la legittimità del proprio ruolo, riconnet­ tendosi, tramite la madre, direttamente al fondatore del principato13• L'emissione di sesterzi per Agrippina Maggiore non è datata, ma è verosimilmen­ te da collocare nella primissima fase della monetazione di Caligola, in concomitanza con la decisione dell' imperatore, subito dopo i funerali di Tiberio, di far trasportare 1 1 RI0 I p. 1 1 2, n. 55. 12 Suet., Ca!. 1 5, l : et eo amplius matri circenses carpentumque quo in pompa traduceretur. �ella sui sesterzi commemorativi di Agrippina Maggiore è la prima raffigurazione monetale del carpentum in funzione funeraria. In precedenza l'immagine di questo veicolo era già stata utilizzata da Tiberio per la madre Livia - lei vivente - identificata come Iulia Augusta, su sesterzi battuti tra 22 e 23 d.C. (RI0 I p. 97, nn. 50-5 1 ) , nei quali la particolare scelta iconografica, poteva essere motivata dalla concessione alla vedova di Augusto del privilegio dell'uso del carro coperto a due ruote, normalmente riservato alle Vestali, in relazione al ruolo di sacerdotessa del culto del divus Augustus da lei rivestito, peraltro già da otto anni (cfr. Frei-Stolba 2008, pp. 359-360 e 364), sebbene la datazione delle emissioni consenta di correlare l' immagine anche alla grave malattia che aveva colpito la Augusta in quell'anno (Suet., Tib. 5 1 , 2; Tac., Ann. III 64, l ) . Per l' interpretazione del tipo del carpentum, che in questo caso non è utiliz­ zato come simbolo funerario, bensì come richiamo al ruolo e al prestigio di cui godeva Livia, si vedano Dixon 1 988, p. 78; Wood 1 988, p. 426; Frei-Stolba 2008, pp. 365-366. L' immagine monetale del carpentum caratterizzerebbe anche due emissioni monetali successive assai controverse, precisamente un denario, noto in un unico esemplare, a nome di Antonia Minore (cfr. RI0 I p. 1 24, nota t) e un sesterzio a nome di Agrippina Minore (cfr. RI0 I p. 1 29, n. 1 03). Su queste emissioni problematiche e, più in generale, sul significato e sull'evoluzione della raffigurazione monetale del carpentum si veda Girod 2008, con bibliografia precedente. Per una disamina dell'uso di questo veicolo, con particolare riferimento alla pompa circensis, si rimanda ad Arena 20 l O, specificamente pp. 76-79. 1 3 La volontà di sottolineare l'elemento della consanguineità, affermando la discendenza per via ma­ trilineare, trova evidenza nei documenti monetali anche attraverso l'uso della convenzione iconografica della fortissima somiglianza tra madre e figlio, utilizzata per esprimere 'visivamente', tramite i ritratti posti sui due lati della moneta, il diritto genetico al potere. Cfr. RI0 I pp. 1 08- 1 10, nn. 7-8, 13-14, 2 1 -22, 30.

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solennemente le ceneri della madre, morta in esilio nel 33 d.C., nel mausoleo di Au­ gusto14 ed è da ricollegare a tutta una serie di celebrazioni in suo onore, inquadrabili nel contesto della intensa propaganda dinastica avviata da Caligola a favore della sua parentela, immediatamente dopo la salita al potere. Le emissioni monetali rifletto­ no con grande evidenza la volontà, da parte del princeps, di affermare e comunicare i legami interni alla domus attraverso la produzione di serie sia in oro e argento che in bronzo e oricalco, articolate su tutti i nominali del sistema, dedicate ai membri della famiglia imperiale, a partire dal divus Augustus, dal padre Germanico e dalla madre Agrippina Maggiore1S, per arrivare ai fratelli Nerone e Druso Cesari16 e alle tre sorelle, alle quali è riferita la notissima emissione di sesterzi, battuta dalla zecca di Roma fra 37 e 38 d.C., l'unica che celebra membri della famiglia imperiale ancora viventi17(fìg. 2). In tale emissione, al ritratto dell' imperatore al dritto vengono asso­ ciate, sul rovescio, le immagini di tre personifìcazioni divine, riconoscibili, tramite gli attributi che le connotano, come Securitas, Concordia e Fortuna e identificate con i nomi delle tre sorelle dell' imperatore, cioè Agrippina, Drusi/la e Iulia18•

1 4 Suet., Cal. 1 5, 1 : Tiberio cum plurimis lacrimis pro contione laudatoJùneratoque amplissime, conjestim Pandateriam et Pontias ad transferendos matrisfratrisque cineresJestinavit [ ... ] acfrequenti die duobusJerculis Mausoleo intulit. 1 5 RIC'- I p. 1 08, nn. 3-4, 7- 1 2; p. 1 09, nn. 1 3 - 1 8 e 2 1 -26; p. 1 1 0, n. 30 e 3 1 (aurei e denari); p. 1 1 0, n. 35 (assi); p. 1 1 2, n. 5 5 (sesterzi). 1 6 RIC'- I p. 1 10, n. 34 (dupondi). 1 7 RIC'- I p. 1 1 0, n. 33; l'emissione è datata dalla legenda C CAESAR AVG GERMANICVS PON M TR POT che accompagna il ritratto di Caligola al dritto. A questa emissione è forse da af­ fiancare quella, pure di sesterzi, riportata in RIC'- I p. 1 1 1 , n. 4 1 , che, nella legenda di dritto, indica l'assunzione da parte dell' imperatore della tribunicia potestas III, da riferire all'anno 39-40 d.C. Tale emissione risulta attestata esclusivamente da un esemplare delle Civiche Raccolte Numismatiche di Milano (cfr. SNR Milano I 2, p. 260, n. 85), catalogato tra le coniazioni regolari del 39-40 d.C., mal­ grado alla nota 26 si osservi: « La mancanza del tipo nel MIR, come negli altri repertori numismatici consultati, potrebbe essere spiegata con l' ipotesi che tutte le monete dell'emissione con le tre sorelle di Caius del 39-40 d.C. siano da ritenere delle falsificazioni moderne » . In riferimento all'esemplare specifico, non illustrato, in RIC'- I p. 1 1 1 , nota 41 si dice: «The Milan coin is perhaps a little tooled, bue che reading seems plain >> . Al di là di possibili fraintendimenti cronologici derivanti dal riferimento alla tribunicia potestas IIII ( 1 8 marzo 40-24 gennaio 41 d.C.) presente su alcune copie e/o contraffa­ zioni moderne ( Cohen 2 I p. 237, nota al n. 4) e nell' impossibilità di una visione autoptica dell'unico esemplare noto, dubbi sulla autenticità della coniazione non sono necessariamente giustificati dall' as­ senza di riferimenti alla morte e alla divinizzazione di Drusilla, avvenute nell'arco di tempo compreso tra giugno e settembre del 38 d.C., poiché, teoricamente, è possibile ritenere che una nuova emissione possa essere stata prodotta, riutilizzando il medesimo tipo di rovescio battuto fra 37 e 38 d.C., nel periodo compreso tra l'assegnazione della III tribunicia potestas a Caligola e l'allontanamento di Agrippina e Livilla nell'ottobre del 39 d.C. (vd. infra). 18 Tutte tre le figure sono connotate dall'attributo della cornucopia, ma, oltre a questo, la prima, collegata al nome di Agrippina, è appoggiata ad una colonna e posa il braccio sinistro sulla spalla della seconda, associata a Drusi/la, che tiene una patera, mentre la terza, accostata a Iulia, reca un timone.

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Fig. 2. Sesterzio, Caligola ( Agrippina Minore, Giulia Drusilla e Giulia Livilla al rovescio ) , zecca di Roma (BMCRE I p. 1 52, n. 37; cfr. RIC2 l, p. 1 1 0, n. 33 ) . The British Museum, Londra, Department of Coins and Medals, n. reg. R.6432 © Trustees of the British Mu­ seum.

L'esplicito riferimento alle tre donne, che da un certo punto di vista può essere inter­ pretato tout court nel contesto della celebrazione familiare, che caratterizza la prima fase della monetazione di Caligola, per altri versi sembra piuttosto da correlare al conferimento alle sorelle di pubblici onori, finalizzato a sancire il loro coinvolgi­ mento a livello ufficiale accanto all' imperatore19, e a sottolineare il ruolo specifico e concreto loro assegnato nel predisporre una soluzione in chiave dinastica al pro­ blema della successione, problema che, come è noto, costituiva il punto nodale delle scelte giuridiche e istituzionali, oltre che ideologiche, dell'epoca giulio-claudia. In questa prospettiva, la fonte numismatica, alla quale, ovviamente, è estraneo il giudizio negativo che pesa su Caligola attraverso la tradizione storiografica20, lascia intravvedere l ' ipotesi che, nella prospettiva futura della dinastia e dell' impero, le tre donne potessero rivestire una funzione legittimante nei confronti di un succes1 9 Tra gli onori attribuiti alle sorelle di Caligola va sottolineata l' inclusione dei loro nomi nei giura­ menti ufficiali e nelle dichiarazioni di lealtà all' imperatore {Suet., Cal. 1 5, 3; Dio LIX 3, 4 e 9, 2). Cfr. Wood 1995, in particolare p. 458, con nota S. e p. 46 1 ; Osvald 2004, p. 103. Per Iulia Agrippina {Agrip­ pina Minore), cfr. PIR2 I 641 {L. Petersen); FOS 426; Kienast 2004, p. 94, s.v. Agrippina, die]ungere. Per !ulia Drusilla: PIR2 I 664 {L. Petersen); FOS 437; Kienast 2004, p. 87, s.v. Iulia Drusilla. Per Iulia Livilla: PIR2 I 674 {L. Petersen); FOS 443; Kienast 2004, p. 88, s.v. Iulia Livilla. 20 Suet., Ca!. 24, l; Dio LIX l l , l. Cfr. Wood 1 995, pp. 458-46 1 . Nel suo studio, Susan Wood suggerisce come l'accusa di incesto, mossa a Caligola da una tradizione storiografìca a lui ostile, potesse scaturire dal fatto che le sorelle dell' imperatore rivestirono un ruolo pubblico normalmente affidato alle mogli e che, come le mogli, esse potessero, in linea di principio, ricoprire anche la funzione di perpetuare la dinastia. In questo senso, è possibile ritenere che il piano dinastico di Caligola, in assenza di figli propri, lasciasse volutamente aperta la possibilità di una successione legittima attraverso una eventuale discendenza maschile generata dalle sorelle. Sull'argomento si veda anche Osvald 2004, pp. 1 1 2- 1 1 3.

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so re prescelto o potessero diventare esse stesse genitrici di eredi destinati al potere21• Secondo questa visione, la predilezione del princeps per Drusilla, rispetto alle altre due sorelle, e quindi la scelta di farne la sua 'erede'22, poteva essere verosimilmente motivata dalla eventualità che ella fungesse da tramite nella legittimazione al potere, nell' ipotesi di affidare la successione, in prima istanza, al suo secondo marito, Marco Emilio Lepido, e in seguito ai figli, discendenti diretti della dinastia giulia per linea femminile, che fossero nati da questa unioné3• La morte prematura di Drusilla, avvenuta il l O giugno del 38 d.C.2\ rese inattua­ bile questa ipotesi, lasciando insoluta la questione della successione, e determinò un radicale mutamento della prospettiva2S, ma, sulla base di quanto delineato, assume un fortissimo significato politico e ideologico la divinizzazione per lei decretata - la prima di un membro femminile della domus Augusta - voluta da Caligola a breve distanza dalla sua morte26• L'apoteosi di Drusilla, al di là delle tendenze teocratiche riconoscibili nel potere di Caligola27, aveva una duplice ricaduta, contribuendo, da un lato, alla costruzione di quella genealogia divina, che andava progressivamente 21 A tale proposito è opportuno ricordare che in questa fase Caligola non aveva prole e non aveva ancora contratto il suo terzo matrimonio con Lollia Paulina dopo il ripudio della seconda moglie Cornelia (Li via) Orestina ( Orestilla), il cui nome non è concordemente riferito dalle fonti (cfr. Su et., Ca!. 25, l ; Dio LIX 8, 7), dunque è del tutto plausibile che le sorelle potessero rappresentare una linea successoria alternativa. Wood 1 995. p. 459. con nota 16 e Osvald 2004, p. 1 14, con nota 78. 22 Suet., Ca!. 24, l : (sci!. Drusillam) heredem quoque bonorum atque imperii aeger instituit. La scelta dell' imperatore viene messa in relazione con la grave malattia che lo colpì nel 37 d.C. Come più sopra delineato, il coinvolgimento ufficiale delle sorelle è ben riflesso negli elementi epigrafici ed iconografici del tutto peculiari che caratterizzano il sesterzio datato al 37-38 d.C., nel quale i nomi di Agrippina, Drusilla e Iulia sono associati a personificazioni identificabili, rispettivamente, come Securitas, Con­ cordia e Fortuna, concetti fondanti del potere imperiale e presupposti basilari per la sua prosecuzione. In tal senso può risultare fuorviante una lettura del tipo monetale in chiave strettamente teocratica, come assimilazione delle tre sorelle ad altrettante entità divine, sulla base delle tendenze impresse da Caligola al suo governo, mentre risulterebbe più consona alle prospettive che si andavano delineando un' interpretazione del messaggio monetale come affermazione dello stretto collegamento tra i concet­ ti centrali dell' ideologia imperiale e le tre donne, allo scopo di sottolineare il loro diretto e concreto coinvolgimento nelle dinamiche del potere. Secondo questa chiave di lettura appare particolarmente significativa l'associazione tra la personificazione di Concordia - concetto affermato fin dall'età augu­ stea come simbolo della continuità dinastica, basata sull'unità familiare - e Drusilla, la sorella nomi­ nata come sua erede dal princeps, collocata sulla moneta in posizione centrale, verso la quale converge lo sguardo delle altre due. 2 3 Cfr. Wood 1 995, p. 459. 24 Cfr. CIL XIV 4535, l. 29 Inscrlt XIII l, 5, fr. X, l. 29 Vidman 1 982, p. 43, ad annum 38, l. 29. 2 5 Come è noto, nell'anno successivo alla morte di Drusilla il marito e vedovo Marco Emilio Lepido, accusato di cospirazione insieme ad Agrippina e Livilla, fu ucciso e le due sorelle furono esiliate (Suet., Ca!. 24, 3 ; Dio LIX 22, 6-9). Wood 1 995, pp. 459- 460. 26 Morta il l O giugno del 38, Giulia Drusilla risulta qualificata come diva nella registrazione degli Actra Fratrum Arvalium relativa al 23 settembre dello stesso anno (cfr. CIL VI l, 2028, e., Il. 1 2- 1 7 AFA, p. XLVI. ll. 1 2-17 CFA, p. 3 1 , n. 1 2, c, IL 99- 1 04). 27 Cfr. Gatti 198 1 . =

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caratterizzando la domus Augusta, ma determinando, dall'altro, un effetto imme­ diato nel connotare il princeps, che non aveva potuto essere divi filius, come divae Jrater8• La divinizzazione di Drusilla fu celebrata con straordinaria enfasi e fu accom­ pagnata da una serie di provvedimenti specifici, tra cui l' istituzione di un culto a lei destinato come diva Drusilla Panthea29, oltre ad un santuario con sacerdoti de­ dicati, l' introduzione dell'uso del giuramento per il suo numen e l'erezione di statue che la ritraevano in sembianze divine, collocate nella curia e nel tempio di Venere Genitrice nel foro di Cesare30, scelta, questa, che la poneva ufficialmente nella linea di discendenza Iulia e che avvalora l' ipotesi della messa in campo di una possibile successione legittima per il suo tramite. In quest 'ottica, non si può non rimarcare l'assenza, nelle emissioni monetali di zecca imperiale, di qualsiasi riferimento all'apoteosi di Drusilla31, che risulta docu­ mentata con certezza solo in due coniazioni di bronzo attribuite alla zecca di Apa­ mea di Bitinia, nelle quali viene ripreso il motivo iconografico dei sesterzi di Roma, ma con l' inserimento nella legenda del termine diva accanto al suo nome32 (fig. 3). 28 Gatti 1 98 1 , p. 1 62, in cui si precisa, tuttavia, che Caligola non fece mai uso ufficialmente di tale connotazione. Su questi aspetti e sulla identificazione della domus Augusta come domus divina si veda Fishwick 199 1 . in particolare pp. 423-435. 29 Per l'epiteto di Panthea e le sue implicazioni ideologiche, oltre che religiose, si veda Wood 1 995. pp. 460-46 1 . 30 Gli onori connessi alla divinizzazione di Drusilla sono riferiti dalle fonti, tra c ui Svetonio (Ca!. 24, 2) e Cassio Dione (LIX 1 1 , 2-4), che menziona anche il giuramento prestato da un senatore - Livio Gemino - come prova della sua ascesa al cielo, ad imitazione di quanto già avvenuto per la divinizza­ zione di Augusto (cfr. Bonamente 2002, pp. 365-366 e 368; Osvald 2004, pp. 106- 107). Non è dato sapere se l'apoteosi di Drusilla sia stata annullata ed il suo culto abolito dopo l'assassinio del fratello, né si conosce la dislocazione e l'eventuale diversa destinazione successiva del santuario a lei dedicato (cfr. Chausson 200 1, pp. 344-345, con note 145 e 1 50). 3 1 �alora autentica, la serie di sesterzi, datata dall'assunzione della terza tribunicia potestas da parte dell' imperatore ( 1 8 marzo 39- 17 marzo 40 d.C.), attesterebbe la reiterazione del tipo con la raffigurazione delle tre sorelle presente nell'emissione datata al 37-38 d.C., senza alcuna modificazio­ ne, anche dopo la morte e l'apoteosi di Drusilla (vd. nota 1 7), né l'assolura mancanza di attestazioni monetali di zecca imperiale relative alla divinizzazione della sorella potrebbe essere imputabile ad un eventuale ritiro delle emissioni bronzee di Caligola dopo la sua morte, menzionato dalle fonti (Dio LX 22, 3), da ritenersi assai improbabile (cfr. RJC I pp. 1 06- 1 07 e Wood 1 995, p. 46 1 , con nota 26). 32 Cfr. RPC I p. 343, nn. 20 1 2, 20 1 4; RPC Suppl. II p. 43, n. 20 1 4/3. In entrambe le emissioni le legende menzionano Drusilla come diva. La prima emissione, recante su un lato l'immagine della madre, Agrippina Maggiore, in trono, con gli attributi di patera e scettro, vede, sull'altro lato, le tre donne raffigurate come busti ritratto, con Drusilla in posizione centrale, rappresentata frontalmente e con una stella sul capo, segno del suo status divino. Nella seconda emissione, in associazione ai ritratti dei fratelli, Nerone e Druso Cesari, viene ripreso, sul lato opposto, lo schema iconico del sesterzio bat­ tuto a Roma con le personificazioni divine di Securitas, Concordia e Fortuna associate ai nomi delle tre sorelle, ma con la specificazione di diva per Drusilla. Altre emissioni prodotte in area provinciale, pre­ cisamente a Smirne e Mileto (cfr. RPC I p. 4 1 9, n. 2472; p. 450, n. 2704), raffigurano la sola Drusilla, evidenziando la sua posizione preminente rispetto alle altre due sorelle, ma non sono necessariamente

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Fig. 3. AE 2 1 mm., Caligola per Druso e Nerone Cesari (Agrippina, Giulia Drusilla divi­ nizzata e Giulia Livilla al rovescio), zecca di Apamea di Bitinia (cfr. RPC Suppl. 2 p. 43, n. 20 1 4/3) © Classical Numismatic Group.

Indubbiamente la celebrazione della nuova diva nella monetazione imperiale avreb­ be potuto veicolare un messaggio molto forte dal punto di vista ideologico, andan­ do a costituire un elemento di coesione assai potente intorno alla domus imperiale, dunque tale omissione potrebbe trovare qualche giustificazione nella volontà di non rimarcare ulteriormente l'assunzione, da parte di un membro femminile, di uno sta­ tus divino e di un culto specifico, che fino a quel momento avevano connotato solo Augusto33• Secondo un'altra prospettiva, si può forse anche valutare l' ipotesi che il precipitare degli eventi che avevano coinvolto la domus Augusta successivamente alla morte e alla divinizzazione di Drusilla possa aver reso inopportuna la sua celebrazio­ ne attraverso le emissioni di Roma, che, viceversa, potrebbe essere stata recepita ed espressa nelle coniazioni della zecca orientale, verosimilmente prodotte in un mo­ mento antecedente l 'allontanamento di Agrippina e Livilla dietro l'accusa di cospi­ razione o comunque prima che ne fosse giunta notizia in area provinciale. In ogni caso, al di là del desiderio di superare l' ineluttabilità della morte, la divi­ nizzazione di Drusilla assumeva un chiaro significato politico, consentendo di ge­ stire una situazione difficile nella pianificazione della successione poiché, attraverso il riconoscimento di onori postumi, la sua figura non solo rimaneva parte integrante della famiglia imperiale, ma, anzi, veniva rivestita del ruolo di protettrice della dina­ stia e delle generazioni future34• Appare significativo, in questo senso, che alla figlia avuta dalla sua quarta ed ultida mettere in relazione con la sua morte e la successiva divinizzazione. Per un'analisi di questa produ­ zione si veda Wood 1 995, pp. 46 1 -464. 33 È qui opportuno ricordare che la madre di Caligola, Agrippina Maggiore, pur onorata e ricorda­ ta con emissioni commemorative {vd. supra ), non ottenne la divinizzazione. 3> (citazione da Cresci Marrone, Nicolini 20 1 0, p. 1 78). In questo senso, le disposizioni del principe avevano garantito alla consorte uno status che poteva preludere alla sua divinizzazione e il ritardo con il quale essa avvenne appare spiegabile solo per i motivi personali di Tiberio, considerando che Ovidio, nella celebrazione del!' apoteosi di Augusto, aveva già profetizzato quella di Li via (jàst. I 536: sic Augusta novum Iulia numen erit). Sul ruolo religioso di Livia si veda Frei-Stolba 2008, pp. 358-365. 44 Così Zecchini 2003, p. 1 14.

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l' immagine di Livia in trono45, sotto le sembianze di Ceres, cioè con corona di spi­ ghe/ diadema sul capo e con un mazzo di spighe e papaveri e una lunga torcia nelle mani, associata alla legenda DIVA AVGVSTN6 ( fig. 4).

45 È qui opportuno sottolineare che la raffigurazione di Livia divinizzata sui dupondi emessi da Claudio si avvale di un modello iconografico già pienamente affermato nella monetazione imperiale. Introdotta in emissioni dell'ultimo periodo del regno di Augusto, in concomitanza con la presenta­ zione ufficiale di Tiberio come successore, nelle serie di aurei e denari battuti a Lugdunum fra 13 e 14 d.C. (RIC'- I p. 56, nn. 2 1 9-220), la figura femminile in trono, con gli attributi di ramo e scettro/ lancia, viene ripresa fin dalla primissima fase della monetazione tiberiana, con lo scopo evidente di indicare la continuità sia dinastica che politica rispetto al predecessore (RIC'- I p. 95, nn. 25-30). Suc­ cessive emissioni di assi battuti a Roma tra 1 5 e 16 d.C. (RIC'- I p. 96, nn. 33-36), appaiono volte alla legittimazione del princeps con un'allusione più esplicita alla madre, pur non identificata dalla legenda, attraverso la rappresentazione, sul rovescio, della figura femminile in trono, nel medesimo schema ico­ nico utilizzato per gli aurei e i denari, ma con il capo velato e con gli attributi di patera e lungo scettro, chiari riferimenti al ruolo di sacerdos divi Augusti da lei rivestito, che si evidenzia in modo particolare nella serie recante al dritto la testa di Augusto con corona a raggi, sormontata da una stella e con fulmine accanto, associata alla legenda DIVVS AVGVSTVS PATER. In questo senso, il modello ico­ nografico utilizzato nei dupondi di Claudio per la raffigurazione di Livia divinizzata, ora precisamente identificata dalla legenda, appare evocativo di un' immagine che certamente aveva assunto, già dall'età augustea e poi in quella tiberiana, una valenza specifica come icona della legittimazione dinastica. Per un'analisi dell' iconografia monetale relativa alla figura femminile in trono, riconoscibile come Li via, si veda Morelli 2009, in particolare pp. 44-54. 46 RIC'- I p. 1 28, n. l O l. In questa emissione va notata la particolarità della sigla S C (senatus con­ sulto), indicativa della delibera senatoria, sul lato che ritrae l' immagine di Augusto divinizzato, cioè sul dritto (cfr. BMCRE I p. 1 95, nota 224), anziché, come di consueto per le emissioni in bronzo e in oricalco, sul rovescio : è forse lecito chiedersi se con questa diversa collocazione si intendesse rimarcare la competenza del senato proprio in relazione al provvedimento di divinizzazione di Livia. In riferi­ mento all' iconografia utilizzata per Livia, va rilevato che, pur nelle dimensioni ridotte della raffigura­ zione monetale, è possibile identificare con chiarezza gli attributi collocati nelle mani, cioè un mazzo di spighe e papaveri e una lunga torcia, mentre rimane di difficile lettura l'elemento che orna il capo, talvolta meglio interpretabile come diadema, talaltra come corona spicea e variamente descritto dai repertori (in RIC'- I p. 1 28, n. 1 0 1 si omette l' indicazione dell'attributo specifico, in BMCRE I p. 195, nn. 224-225 e in BNCMER II pp. 1 07- 1 08, nn. 256-262 è identificato come corona di spighe, mentre in Schmidt-Dick 2002, p. 32, s.v. Ceres, variante fSA/03, è descritto come diadema). La raffigurazione di Livia come Ceres appare in ogni caso evidente, oltre che appropriata in relazione alla morte e alla divinizzazione della Augusta (cfr. L/MC IV/ l , pp. 893-908, s.v. Demeter!Ceres [S. De Angeli) ). Per un'analisi della funzione di Ceres nel quadro dell' ideologia imperiale si rimanda a Chirassi Colombo 1 98 1 e a Spaeth 1 995; in particolare, per le assimilazioni delle Augustae alla dea, si vedano Mikocki 1 995 e Wood 2000, specificamente pp. 78-8 1 . Alcune considerazioni sull' iconografia monetale utiliz­ zata nel dupondio emesso da Claudio per Livia divinizzata in Fabbri 20 1 1 .

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Fig. 4. Dupondio, Claudio per Augusto e Livia divinizzati, zecca d i Roma (cfr. RJ(;2 I p . 1 28, n. 10 l) © ArtCoins Roma.

L'esplicita assimilazione di Livia divinizzata a Ceres divinità collegata alla sfera femminile attraverso il tema della fertilità e della maternità, quindi della discenden­ za e dunque portatrice di un forte messaggio ideologico - trova un parallelo nelle coniazioni di aurei e denari in cui Claudio celebra, con ritratti postumi, la madre Antonia Minore, morta il primo maggio del 37 d.C.47, anch'essa raffigurata con l'attributo connotativo della corona spieea e precisamente identificata come Antonia Augusta48• Sebbene l' iconografia di Ceres costituisca una tematica ricorrente nella moneta­ zione di Claudio49, va riconosciuto che l'accostamento alla dea utilizzato nella raffi­ gurazione sia dell'antenata Livia che della madre Antonia, entrambe defunte 5°, non -

47 Cfr. Kienast 2004, p. 88, s.v. Antonia Minor. 48 RJ0 I p. l 24, nn. 65-68. In queste emissioni il medesimo tipo di dritto, recante il ritratto di An·

tonia Minore con corona di spighe sul capo, accompagnato dalla legenda ANTONIA AVGVSTA, si abbina a due diversi rovesci, che vedono in un caso (aurei e denari) la raffigurazione di Antonia stante, a figura intera, con lunga torcia nella destra e cornucopia nella sinistra e legenda CONSTANTIAE AVGVSTI, nel secondo caso (aurei e denari) il tipo è costituito da due lunghe torce accese e unite da un nastro, con legenda SACERDOS DIVI AVGVSTI. A questo proposito va rilevato che, se le emis­ sioni per Livia divinizzata, non datate (cfr. RJ0 I p. 1 28, nota 1 0 1 ), hanno tuttavia, evidentemente, un terminus post quem, fissato al l 7 gennaio 42 d.C. (cfr. datazione in Kaenel l 986, p. 32, tipo 80), le emissioni recanti il ritratto di Antonia con l'attributo di Ceres, non presentando elementi datanti, sono state variamente collocate dagli specialisti tra 4 l /42 (Kaenel l 986, p. I O, tipi 1 5- 1 6), tra 4 l -45 (BM­ CRE I p. eli; RJ0 I p. 1 1 8) o, in alternativa, tra 4 1 -5 1 /52 d.C. (Trillmich 1 978, pp. 72-77). In ogni caso appare corretto assegnarne l' inizio al primo anno di regno di Claudio, dunque anteriormente alle emissioni di dupondi che onorano Livia divinizzata. 49 Cfr. RIC' I pp. 1 27, n. 95 e 1 29, n. 1 10. In queste emissioni il riferimento alla dea allude vero­ similmente all' impegno dell' imperatore nel miglioramento degli approvvigionamenti granari per la capitale; cfr. Martin 1 998, in particolare p. 207. w L'accostamento a Ceres connoterà anche la raffigurazione di Agrippina Minore, lei in vita -

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era certamente casuale, ma, anzi, rappresentava una scelta precisa nella definizione dei ruoli all'interno della domus Augusta, che andava a sottolineare una sorta di pa­ rallelismo tra le due donne - veri e propri modelli di rettitudine morale, in relazione alla famiglia e alla prole -, parallelismo del resto già rimarcato da Caligola attraver­ so l'attribuzione alla nonna paterna di tutti gli onori precedentemente conferiti a Livia, compresa la nomina a sacerdos divi Augusti ed il titolo di Augusta51 • In ogni caso, la documentazione in nostro possesso attesta che Antonia Minore non fu mai divinizzata e se il confronto con Livia si spinge, per così dire, fino alla assimilazione con Ceres, di fatto la differenziazione dei ruoli si evidenzia proprio in corrisponden­ za della consecratio52• D'altra parte, la mancata divinizzazione della madre dell' imperatore53 a vantag­ gio di quella dell'antenata sottende una scelta precisa: se è vero che attraverso i suoi stessi genitori Claudio poteva richiamare per consanguineità il legame con la gens Iulia, di fatto egli, a differenza del fratello Germanico, adottato da Tiberio nel 4 d.C., non poteva affermare un legame diretto con i suoi due predecessori e il ma­ trimonio con Agrippina Minore, che avrà lo scopo di rafforzare la sua posizione, avverrà soltanto nel 49 d.C.54 In questo senso, il riferimento a Livia, che consen­ tiva a Claudio di sottolineare il suo collegamento con Augusto in modo ben più stretto e diretto di quanto gli potesse permettere il richiamo alla madre5\ assume, con l'apoteosi dell'antenata, una dimensione straordinaria, « giacché ora entrambi diversamente da Livia e da Antonia -, dopo il suo matrimonio con Claudio. Cfr. RICZ I p. 1 26, nn. 80-8 1 ; Ginsburg 2006, p. 7 1 . 51 Antonia morì u n mese dopo l'ascesa al potere del nipote; i n quel breve periodo Caligola aveva voluto che le venissero attribuiti, con decreto senatorio, gli stessi onori riservati a Livia, in particolare il titolo di Augusta, che lei avrebbe rifiutato e che ricorrerà nella documentazione soltanto durante il principato di suo figlio Claudio, il quale, dopo l'annullamento di tutti gli acta compiuti da Caligola, confermò i privilegi già concessi alla madre. Per il conferimento di tali onori ad Antonia cfr. Suet., Ca!. 15, 2 e Claud. 1 1 , 2; Dio LIX 3, 4. Sull'argomento si rimanda a Flory 1 988, pp. 1 22- 1 24; Kokkinos 1992, pp. 46-47 e p. 88; Segenni 1 994, p. 3 1 5; Barrett 2002, pp. 324-325; Frei-Stolba 2008, pp. 36036 1 , 369. 52 È forse qui solo il caso di accennare che, pur essendo la linea di confine tra un mortale assimilato ad una divinità e un divus estremamente flessibile e mutevole, la raffigurazione in formam deorum esprimeva certamente un grado di potenzialità differente rispetto alla divinizzazione. Per un breve in­ quadramento della problematica generale e, in particolare, per la raffigurazione delle 'donne imperiali' sub specie deae si veda Mikocki 1 995. 53 Per la mancata divinizzazione di Antonia Minore cfr. Frei-Stolba 2008, p. 369, con nota 1 37. �esta scelta appare in certa misura da associare a quella di non richiamare mai nei documenti mone­ tali, nemmeno nella produzione provinciale, il ruolo di Antonia Minore come mater dell' imperatore, ruolo già affermato da Caligola per Agrippina Maggiore, che pure avrebbe potuto esprimere una forte valenza rispetto all'appartenenza di Claudio alla domus Augusta. Su questo aspetto si veda Segenni 1994, p. 300, con nota l O, e p. 303. 54 Cfr. Kienast 2004, p. 94, s.v. Agrippina, diefungere. ss Il rapporto di Antonia con Augusto era indiretto, poiché ella era figlia della sorella Ottavia e del triumviro Marco Antonio. Cfr. Kienast 2004, pp. 88-89.

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i nonni dell' imperatore erano divi» 56 e questo determinava una prospettiva nuova, con un'evidente ricaduta sui membri viventi della domus imperiale. In questo senso, nella docu mentazione monetale la divinizzazione di Livia può trovare ipoteticamente un'eco anche nelle emissioni neroniane di aurei e denari re­ canti al rovescio la legenda AVGVSTVS AVGVSTA, in associazione all' immagine a figura intera dell' imperatore, togata, connotata dalla corona a raggi e dagli attribu­ ti di patera e scettro, accanto ad una figura femminile velata e diademata ( ?), con pa­ tera e cornucopia57 (fig. 5). L' identificazione della coppia raffigurata con Nerone e Poppea, suggerita dalla datazione di queste coniazioni, collocabile tra 64 e 66 d.C. 58, può non escludere, infatti, anche la possibilità di riconoscervi un richiamo ad Au­ gusto e Livia divinizzati, utile a sancire la discendenza e ad affermare la continuità dinastica, secondo la linea già indicata da Claudio59•

Fig. S. Aureo, Nerone (Augustus Augusta al rovescio), zecca di Roma (BMCRE I p. 208, n. 52: cfr. RJC2 I p. 1 53, n. 44). The British Museum, Londra, Department of Coins and Med­ als, n. reg. 1 864, 1 1 28.248 © Trustees of the British Museum.

La fonte numismatica attesta la celebrazione di Livia divinizzata anche durante il breve periodo in cui il potere imperiale fu detenuto da Gaiba (giugno 68-gennaio 69 d.C.), nel quadro dell'ampia propaganda monetaria destinata a diffondere il suo pro­ gramma politico, ma soprattutto volta a legittimare un potere che, per la prima volta S6 Così Fasolini 2006, p. 1 23. La coppia di amenati divi, protettori della linea di discendenza at­ traverso coloro che la rappresentavano, era anche funzionale a sancire definitivamente l'unione di due grandigentes romane. Sul riflesso di questa duplice ascendenza nella monetazione di Claudio cfr. Mar­ tin 1 998, p. 202. s7 Cfr. RJC' I p. 1 53, nn. 44-45 e 56-57. ss Per la datazione delle emissioni cfr. RIC' I pp. 145- 146 e p. 1 53, nota 56-7. s9 Flory 1988, p. 1 30. L' identificazione dei personaggi raffigurati come Augusto e Livia è proposta anche in BNCMER II p. 1 4 1 , nn. 199-20 1 , contra BMCRE I pp. CLXXIII - CLXXIV e RIC' I p. 1 45.

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dall' inizio del principato, non era supportato dalla discendenza genetica. Già nelle prime emissioni a suo nome prodotte in Spagna, sia in metallo prezioso che in bron­ zo, come pure, successivamente, in quelle, esclusivamente in oro e in argento, battute a Roma, compare, infatti, sul rovescio, in abbinamento al ritratto imperiale del dritto, un' immagine femminile stante, con gli attributi di patera e lungo scettro, identificata dalla legenda DIVA AVGVSTN° (fig. 6), richiamo che, al di là della volontà di ono­ rare l'Augusta che aveva favorito la sua ascesa, consentiva a Galba di proporsi come il continuatore della dinastia giulio-claudia dopo la morte di Neroné1•

Fig. 6. Aureo, Gaiba (Livia divinizzata al rovescio), zecca di Roma (BMCRE I p. 309, n. 3; cfr. RIC l, p. 242, n. 1 88). The British Museum, Londra, Department of Coins and Medals, n. reg. R.6577 © Trustees of rhe British Museum.

Nel corso del principato di quest'ultimo, come è noto, sia la madre Agrippina Mi­ nore, vedova dell' imperatore Claudio divinizzato, che la prima moglie Ottavia, figlia del suo predecessore, entrambe uccise per ordine di Nerone, non solo, ovvia­ mente, non furono divinizzate, ma subirono provvedimenti di condanna62, tuttavia, 00 Cfr. RIC'- I p. 233, nn. 1 3- 14; p. 234, n. 36; p. 235, nn. 55 e 66-67 (zecca spagnola, Tarraco ?); p. 241 , nn. 1 5 1 - 1 53; p. 242, nn. 1 84- 1 89; p. 243, nn. 223-224 (zecca di Roma). 6 1 Sull'occorrenza della raffigurazione di Livia nella monetazione di Gaiba si veda Morelli 200 l, p. 1 1 2. A proposito della protezione e dei favori che Gaiba aveva ricevuto da Livia, compresa una sostan­ ziosa eredità, cfr. Suet., Gaiba 5, 2. Per il presunto legame di parentela di Gaiba con Livia, menzionato dalle fonti ( Suet., Gaiba 4; Plut., Gaiba 3, 2), cfr. Flory 1 988, pp. 1 27- 1 28. Nel contesto dell'intensa propaganda legittimante intrapresa da Gaiba attraverso la monetazione, alle emissioni che commemo­ rano la divinizzazione di Livia e che vedono l' introduzione - eventualmente preceduta dal riferimento velato a Livia nell'emissione neroniana più sopra menzionata - del nuovo schema iconico con la figu­ ra femminile stante, si affiancano quelle che recano la semplice iscrizione identificativa Augusta e che riprendono, invece, la rappresentazione della figura femminile in trono, con gli attributi di patera e scettro, che dall'età tiberiana aveva connotato Livia nel suo ruolo di sacerdos divi Augusti e che ne aveva fatto un'icona della legittimazione (vd. supra. Cfr. RIC'- I p. 248, nn. 33 1 -338; p. 252, nn. 432-433). 62 La prima, accusata di cospirazione contro l' imperatore fu uccisa nel marzo del 59 d.C. e subì

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quando, nel 63 d.C., morì, a pochi mesi di vita, la piccola Claudia, nata dall'unione dell' imperatore con la seconda moglie Poppea, fu decretata la sua consecratio come diva Claudia virgé3• Con questo atto Poppea divenne la madre di una fanciulla di­ vinizzata64, status che sarà successivamente rivestito da Domizia Longina, moglie di Domiziano e madre del divus Caesar, il figlioletto, anch'egli morto in tenerissima età, nel quale erano riposte le aspettative di successione della domus Flavia65• A sua volta, Poppea Sabina, morta nel 65 d.C., ebbe funerali pubblici e l' inumazione nel mausoleo di Augusto, cui seguì la sua divinizzazione come diva Poppaea Augusta66• Per quanto riguarda la documentazione numismatica, le apoteosi di Poppea e della fi­ glia Claudia sono completamente ignorate dalla produzione della zecca di Roma e sono celebrate unicamente in una emissione di zecca orientale, nella quale le legende DIVA POPPAEA AVG e DIVA CLAVO NER F, poste sui due lati della moneta, sono as­ sociate all' immagine di templi con statue all' interno67 (fig. 7). �este raffigurazioni monetali sembrano riflettere le informazioni derivanti dalla tradizione storiogra­ fica, secondo la quale tra gli onori decretati dal senato alla diva Claudia figurava la costruzione di un tempio e l' istituzione di un sacerdozio per la gestione del suo culto68, mentre per la diva Poppaea, espressamente associata a Veneré9, Nerone fece costruire un santuario, ma sia i culti che i sacerdozi dedicati alle due nuove divae non sopravvissero alla fine del suo regno70.

la damnatio memoriae (Tac., Ann. XIV 1 2, l; cfr. Kienast 2004, p. 94, s.v. Agrippina, diejungere) ; la seconda, che non ottenne mai il titolo di Augusta (cfr. Kienast 2004, p. 98, s.v. Octavia ), a sua volta ac­ cusata di cospirazione e di adulterio, fu esiliata, poi assassinata (Tac., Ann. XIV 64). A proposito delle condanne decretate per le due donne si rimanda a Varner 200 l, pp. 68-70. 63 Cfr. Tac., Ann. XV 23, 3. Per la qualifica di diva Claudia virgo: CIL VI l, 2044, pag. l, c. d., l. 26 = AFA, p. LXXXII, col. I, c, l. 26 CFA, p. 80, n. 30, col. l, cd, l. 26 (Acta Fratrum Arvalium, post l l gennaio 66). Cfr. anche Kienast 2004, p. 1 00, s.v. Claudia Augusta; Frei-Stolba 2008, pp. 384-385, con nota 220. 64 Così, secondo la testimonianza di Tacito, Poppea è menzionata nell'elogio funebre pronunciato da Nerone (Tac., Ann. XVI 6, 2: [ ... ] laudavitque ipse apud rostraJòrmam eius et quod divinae injàntis parensJuisset [ ... ] . 6s A questo proposito si veda di seguito il contributo di Erica Filippini. 66 Tac., Ann. XVI 2 1 , 2: et cum deum honores Poppaeae decernuntur, sponte absens,funeri non inter­ Juerat. Cfr. Kienast 2004, p. 99, s.v. Poppaea Sabina. La divinizzazione è attestata anche da una iscrizione proveniente dal territorio di Luni ( CIL XI 1 33 l a ILS 233 ). Malgrado la precedente apoteosi, Poppea fu coinvolta nella damnatio memoriae decretata ufficialmente per Nerone nel 68 d.C. e fu poi successi­ vamente riabilitata da Otone, che era stato il suo secondo marito (cfr. Varner 200 1, pp. 45-46). 67 RPC I p. 670, n. 4846. La datazione proposta per l'emissione è, genericamente,post 65 d.C.; la zecca potrebbe essere identificata con Cesarea Philippi (Paneas) in Siria, sebbene sul luogo e anche sulla autorità che avrebbe promosso la coniazione permangano incertezze. Cfr. RPC I pp. 669-670. 68 Tac., Ann. XV 23, 3: Rursusque exortae adulationes censentium honorem divae et pulvinar ae­ demque et sacerdotem. 69 Dio LXIII 26, 3. Frei-Stolba 2008, p. 385, con nota 227. 7° Cfr. Chausson 200 1 , p. 346; Gregari, Rosso 20 1 0, p. 207, con nota 87. =

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Fig. 7. AE 21 mm., Poppea e Claudia divinizzate, zecca di Caesarea Philippi (Paneas) ( cfr. RPC I p. 670, n. 4846) © Classical Numismatic Group.

A.L.M.

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Diva Domitilla Augusta :

alcune considerazioni sul significato della divinizzazione postuma di Flavia Domitilla Minore

Come già accennato in precedenza, considerando le implicazioni ideologiche de­ rivanti dall' istituzione del culto del princeps morto e divinizzato, emerge come la pratica della relatio inter divos si configuri innanzi tutto come uno strumento di le­ gittimazione del potere imperiale, basato fondamentalmente sulla creazione di una genealogia divina, più o meno articolata. Secondo questo presupposto, il coinvolgimento diretto della componente fem­ minile della domus Augusta nell'evoluzione dell' istituto della consecratio, partico­ larmente evidente a partire dal principato di Domiziano, assume una rilevanza si­ gnificativa strettamente connessa alla funzione mediatrice rivestita dalle Auguste, in quanto garanti della successione al potere, secondo un principio di continuità dinastica effettiva o fittizia7 1 • I n questo senso, dall'esame dei documenti monetali prodotti tra prima e media età imperiale, risulta immediatamente evidente come i casi di divinizzazione al fem­ minile, spesso ricondotti allo svolgimento e al consolidamento di una prassi sempre più frequente e ormai (apparentemente) sistematica72, documentino in realtà una precisa intenzionalità di scelte conseguenti alla determinazione di una o più linee di successione. In particolare, considerando la documentazione emessa durante il periodo fla­ vio, l'analisi di alcune serie monetali, coniate da Domiziano per o con riferimento alle Auguste della domus imperiale interessate dal conferimento della divinizzazione post mortem (diva Domitilla Augusta, diva Iulia Augusta), consente di riconoscere le linee di definizione di un programma numismatico volto all'affermazione di un principio di trasmissione del potere di carattere essenzialmente dinastico, in assenza di una discendenza maschile diretta. Riconsiderando alcuni problemi di natura interpretativa, divenuti oggetto di un dibattito piuttosto ampio e articolato nel tempo, il presente contributo si propone 7 1 Sul culto imperiale e sul programma di divinizzazione postuma dei componenti della famiglia imperiale durante il periodo flavio: Rosso 2006 ( con bibliografia specifica precedente ) . Tra gli studi di pubblicazione più recente, per un inquadramento generale dei personaggi femminili della famiglia im­ periale e per un'analisi del ruolo delle Auguste durante la prima e media età imperiale, cfr. Temporini­ Vitzthum 2002; Cenerini 2009; Morelli 2009 ( con riferimento particolare all'esame delle attestazioni numismatiche ) ; Hidalgo de la Vega 20 1 2. In particolare, per il periodo flavio, cfr. Castritius 2002. 72 In questo senso, tra fine primo e inizio secondo secolo d.C., durante il periodo pre-antonino, e più precisamente tra il principato di Domiziano e il principato di Adriano, nell'ambito della domus Flavia e della domus Ulpia-Aelia, si registrano complessivamente sei casi di divinizzazioni postume femminili: diva Domitilla Augusta, diva Iulia Augusta, diva Augusta Marciana, diva Augusta Matidia, diva Plotina, diva Augusta Sabina. Per un quadro di sintesi, cfr. Hidalgo de la Vega 20 1 2, pp. 168-17 4. In generale, per le emissioni monetali di celebrazione postuma e di consecratio delle componenti fem­ minili della famiglia imperiale, cfr. Malfugeon 2005.

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dunque di indagare il significato ideologico generalmente sotteso ai processi di di­ vinizzazione dei personaggi femminili della domus Flavia, incentrando l'attenzione sul caso particolare di Flavia Domicilia Minore, figura spesso trascurata dalla ricerca storica. Nello specifico, dall'esame delle occorrenze monetali per la diva Domitilla Au­ gusta, agevolato da una nuova sistemazione della produzione di età flavia73, sembre­ rebbero emergere alcuni aspetti funzionali al riconoscimento del personaggio com­ memorato dalle monete, altrimenti reso incerto dall'omonimia intercorsa tra Flavia Domicilia Maggiore e Flavia Domicilia Minore74• Riassumendo brevemente lo stato della questione, il quadro complessivo delle testimonianze documentarie riguardanti la divinizzazione di Domitilla - composto da una documentazione epigrafica numericamente esigua e perlopiù frammenta­ ria e da alcune serie monetali di datazione incerta e di interpretazione non sempre univoca - risulta di fatto poco risolutivo, in mancanza di elementi utili a definire l' identità del personaggio. In particolare, esaminando il nucleo di testimonianze epigrafiche attribuite al­ ternativamente a Domitilla Maggiore o a Domicilia Minore75, almeno due monu­ menti, databili genericamente al periodo flavio, documenterebbero o potrebbero documentare, a seconda del caso, la divinizzazione di uno o di entrambi i perso­ naggi: un frammento di architrave rinvenuto a Ferentum conserva alcune tracce di un' iscrizione dedicatoria, fortemente lacunosa, integrata verosimilmente [divae] Domitil[lae Augustae]76, mentre un titolo funerario da Patavium restituisce il nome 73 Secondo il riordino delle coniazioni pertinenti al periodo compreso tra i principati di Vespasiano e Domiziano, operato di recente da lan Carradice e da Ted Buttrey nell'ambito della second revised edition della prima parte del volume II del Roman Imperia! Coinage (RIC), qui accolto. 74 Entrambi i personaggi morirono prima dell'accessione di Vespasiano al principato (Suet., Vesp. 3: Uxori acjiliae superstesJuit atque utramque adhuc privatus amisit). Per Flavia Domicilia Maggiore, moglie di Vespasiano, cfr. RE VI, 2, coli. 273 1 -2732, n. 225 (A. Stein); PIR2 F 4 1 6 (A. Stein); FOS 367; DNP 4, coli. 541 -542, s.v. Flavia [l} F. Domitilla (M. Strothmann) ; Kienast 2004, p. 1 1 3, s.v. Flavia Domitilla, die Altere. Per Flavia Domicilia Minore, figlia di Vespasiano e di Flavia Domicilia Maggiore, cfr. RE VI, 2, col. 2732, n. 226 (A. Stein) ; PIR2 F 417 (A. Stein); FOS 368; DNP 4, col. 542, s.v. Flavia [2} F. Domitilla (M. Strothmann); Kienast 2004, p. 1 14, s.v. Flavia Domitilla, diejungere. Terzo personaggio omonimo, tuttavia escluso dal dibattito interpretativo relativo all' identificazione della figura commemorata come diva Domitilla Augusta, fu Flavia Domicilia nipote di Vespasiano, figlia di Flavia Domicilia Minore e (presumibilmente) di Q Petillius Cerialis Caesius Rujus (P/R 2 P 260). Moglie di T. Flavius Clemens (PIR2 F 240), console nel 95, fu esiliata poco dopo l'uccisione del marito, avvenuta nello stesso 95 d.C. Per Flavia Domicilia nipote di Vespasiano (figlia di Domicilia Minore): RE VI, 2, coli. 2732-2735, n. 227 (A. Stein); PIR 2 F 4 1 8 (A. Stein); FOS 369; DNP 4, col. 542, s.v. Flavia [3} F. Domitilla (M. Strothmann). 75 A questo proposito, per un esame di alcuni onori postumi, concessi a Flavia Domicilia Minore o alla madre Flavia Domicilia Maggiore, attestati da iscrizioni latine e greche, cfr. Veyne 1 962. 76 AE 1 962, 272 ( AE 1 963, 83 ) : frammento di architrave, coservato presso il Museo Archeo­ logico Nazionale di Viterbo, rinvenuto a Ferentum, località di origine di Flavius Liberalis (cfr. Suet. Vesp. 3), padre presunto (cfr. infta, nota 78) di Domicilia Maggiore moglie di Vespasiano. Il frammen=

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di una sacerdotessa del culto della diva Domitilla (Asconia C. f Augurini sacerdos divae Domtillae)77• to, pertinente forse a un edificio di culto o a un monumento di carattere commemorativo, mutilo su entrambi i lati, restituisce parte del tracciato di un' iscrizione onoraria, composta originariamente con lettere di bronzo. Le tracce conservate individuano chiaramente il nome di Domitilla. A questo proposito, Pau! Veyne propose le integrazioni alternative [Flaviael Domitil[lae imp(eratoris) Vespasia­ ni Caesaris Aug(usti) l . per Domitilla Maggiore, ovvero [divael Domitil[lae Augustael . per Domitil­ la Minore, accordando il conferimento della divinizzazione e del titolo postumo di Augusta a Flavia Domitilla Minore, secondo un' ipotesi basata fondamentalmente sull'attribuzione delle occorrenze monetali per la diva Domitilla Augusta a Flavia Domitilla figlia di Vespasiano ( Veyne 1962, pp. 49-5 1 , i n particolare p . 5 1 , con nota 3 ) . Recepita dall'Année épigraphique (AE 1962, 272 = AE 1 963. 83 ), la soluzione [divael Domitil[ae Augustael è stata acquisita in seguito da numerosi studi. In questo senso, nella maggior parte dei casi, l'occorrenza epigrafica è stata attribuita, quantomeno presumibilmente, alla figura di Flavia Domitilla Minore, diva e Augusta ( cfr., a titolo esemplificativo, Cenerini 2009, p. 85; Hidalgo de la Vega 20 1 2, p. 88). Diverse le posizioni di Kienast 1 989, p. 142, e di Barrett 2005, p. 392. Considerando le due proposte di restituzione formulate da Veyne 1 962, Kienast propende per l'attribuzione del riferimento epigrafico a Flavia Domitilla Maggiore, stante la testimonianza di Sve­ tonio circa la provenienza del padre Flavius Liberalis, originario di Ferentum. Analogamente, Barrett ritiene anch'egli più plausibile l'attribuzione a Domitilla Maggiore, data la provenienza dell' iscrizione, pur non escludendo l'eventualità di un riferimento alla figlia Domitilla Minore ( p. 392, nota 25 ) . Per quanto riguarda la documentazione epigrafica, tra le attestazioni dibattute, compare anche CIL VI 4/2, 3 1 287: iscrizione onoraria mutila, disposta su più colonne, dedicata ad alcuni personaggi delle famiglie imperiali giulio-claudia e flavia, tra cui certamente Agrippina Minore e una Flavia Domitilla, restituita da tre frammenti non consecutivi di una tavola in marmo, rinvenuta a Roma durante gli scavi eseguiti per la realizzazione delle fondamenta degli edifici della Banca Nazionale. Stante l'omonimia tra Domitilla Maggiore e Domitilla Minore, l' iscrizione è stata attribuita alternativamente all'una o all'altra, sulla base di due prosposte di restituzione, ritenute entrambe ammissibili ( cfr. Barrett 2005, pp. 395-396): divla Domitil[la Alug(usta) l [imp(eratoris)l Caesa [risl l [ VeslpasianiA[ug(usti)j(ilia) ] , ipotesi d i integrazione suggerita d a Stein in PIR2 F 417, volta all' identificazione del personaggio con Flavia Domitilla Minore, figlia di Vespasiano, ovvero Flavi]a Domitil[la Au]g(usta) l [imp(eratoris)] Caesa [ris] l [ Ves]pasiani A[ug(usti) (sci!. uxor) ] . secondo una proposta di restituzione sostenuta ad esempio da Kienast 1 989, p. 1 42, per l'attribuzione dell' iscrizione a Flavia Domitilla Maggiore, moglie di Vespasiano. A questo proposito, risulta dunque dirimente la dedizione redatta da G. Alfoldy in CIL VI 8/2, 40452. La lettura corretta dell'epigrafe - fraintesa per lungo tempo, malinterpretando i resti dell'abbreviazione [Alug(ust-), contenuta nel terzo frammento corrispondente all'angolo superiore destro ( = col. III ) , come menzione del titolo di Augusta, conferito post mortem al personaggio com­ memorato come diva Domitilla - consente dunque di identificare verosimilmente il personaggio con Flavia Domitilla Maggiore, qualificata, in assenza di titoli onorifici ( «nec Augustam, nec Divam » ) , esclusivamente come moglie di Vespasiano ( = col. II ) : Flavi]a Domitil[la l l [imp(eratoris)] Caesa [ris l l [ Ves]pasiani A[ug(usti) (sci!. uxor)] . In questo senso, l'abbreviazione [A]ug(ust-) dell'angolo su­ periore destro dovrebbe essere interpretata come elemento della titolatura di un terzo personaggio, presumibilmente un'altra Augusta della domus giulio-claudia (Antonia Minore ? ) , onorata accanto ad Agrippina Minore e a Flavia Domitilla Maggiore sul medesimo monumento. 77 CIL V l, 2829 ( = ILS 6692): monumento funerario da Padova, ritrovato presso la basilica di Santa Giustina, conservato presso il Museo Civico agli Eremitani, attestante l' istituzione del culto per Domitilla divinizzata, documentato dalla qualifica di Asconia C.fAugurini, sacerdos divae Domitillae. Come per le epigrafi discusse nella nota precedente, !' iscrizione è stata associata variamente a Domitil-

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A questo proposito, considerando la testimonianza di Svetonio circa la condi­ zione giuridica prematrimoniale di Domitilla Maggiore ( moglie di Vespasiano ) 78, pur in assenza di elementi certi di identificazione, entrambi i riferimenti epigrafici sono stati attribuiti generalmente alla figlia Domitilla Minore, ritendendo diver­ samente poco verosimile il conferimento di onori postumi di natura divina ad un personaggio di probabile origine servile79• Un quadro interpretativo altrettanto incerto emerge dall'esame della documen­ tazione numismatica prodotta dalla zecca di Roma ( tab. 1 ) . Complessivamente, le attestazioni monetali per Domitilla, generalmente sprovviste di elementi di data­ zione specifica, comprendono alcune emissioni di celebrazione postuma (memoriae Domitillae), prive di ritratto, riferite concordemente a Flavia Domitilla Maggiore, e alcune monete di consecratio, raffiguranti il busto della diva Domitilla Augusta, certamente posteriori, attribuite finora variamente a Flavia Domitilla Minore ( fila Maggiore o alla figlia Domitilla Minore ( a titolo esemplificativo, cfr. Angeli Bertinelli 2008, p. 26, per l' identificazione con Domitilla Maggiore, derivata da CIL V l, 2829, e Veyne 1 962, p. 5 1 , nota 3, poi anche Bassignana 1 987, p. 3 50, per I' assegnazione del riferimento a Domitilla Minore, sulla base di PIR' F 417 ) . 78 Suet., Vesp. 3: Inter haec [sci!. Vespasianus] Flaviam Domitillam duxit uxorem, Stati/i Capellae equitis R(omanis) Sabratensis ex Africa delicatam olim Latinaeque condicionis, sed mox ingenuam et civem Rom(anam) recuperatorio iudicio pronuntiatam, patre asserente Flavio Liberale Ferenti genito nec quicquam amplius quam quaestorio scriba. Secondo la testimonianza di Svetonio, Flavia Domitilla Maggiore, in orgine schiava favorita (delicata) di uno Statilius Cape/la (PIR' S 820 ) , eques Romanus Sabratensis ex Africa, altrimenti sconosciuto, ottenuta la condizione latina (Latinitas Iuniana) per ma­ nomissione, conseguì in seguito la restituzione del diritto di nascita - fu dichiarata ingenua dal collegio giudiziario dei recuperatores, ricevendo peraltro conseguentemente la cittadinanza romana, requisito necessario alla celebrazione del matrimonio con Vespasiano, già membro dell' ordo senatorius. Due cenni brevissimi ( e identici ) alla condizione giuridica originaria di Domitilla Maggiore, deriva­ ti verosimilmente dal passo di Svetonio, sono contenuti in Ps. Aur. Vict., epit. 1 0, l ; 1 1 , l : secondo l'Anonimo autore dell'Epitome de Caesaribus, Tito e Domiziano sarebbero stati figli di Vespasiano e di una liberta di nome Domitilla. Sulla questione relativa alle origini di Flavia Domitilla Maggiore, cfr. Cenerini 2009, p. 84, e da ultimo, La Monaca c.d.s., con particolare attenzione all'esame delle impli­ cazioni giuridiche desumibili dall' interpretazione del passo di Svetonio. In quest 'ultimo contributo, basandosi sui dati derivati dell'analisi delle occorrenze epigrafiche per i delicati, Valeria La Monaca propone, tra l'altro, alcune considerazioni, particolarmente suggestive, sui legami intercorsi tra Flavia Domitilla e Statilius Cape!la. In particolare, secondo I' autrice, Flavia Domitilla potrebbe essere stata figlia illegittima dello stesso Statilius Cape/la. Nata dall'unione con una schiava, Domitilla sarebbe divenuta schiava delicata del padre naturale. Di conseguenza, il Flavius Liberalis citato da Svetonio po­ trebbe essere stato un liberto di Vespasiano, chiamato a reclamare di fronte al collegio dei recuperatores la propria paternità ( fittizia) su Flavia Domitilla. 79 Cfr. Barrett 2005; Frei-Stolba 2008, pp. 386-387: « il est nécessaire d' identifier diua Domitilla [ ... ] . Les arguments avancés pour l' identification à la fille de Vespasien plutòt qu'à son épouse se basent en premier lieu sur la notice de Suétone, reprise par l'auteur anonyme des Abrégés des Césars, selon laquelle l'épouse de Vespasien aurait été de condition latine, puis affranchie, devenant ainsi citoyenne romaine; son origine sociale quelque peu douteuse expliquerait la présence discrète de Flauia Domitil­ la, épouse du premier Flavien » . -

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glia di Vespasiano, sorella d i Tito e di Domiziano ) o piuttosto alla madre Domitilla Maggiore. Nello specifico, il prospetto derivato dall'esame delle emissioni monetali per Do­ mitilla documenta, in prima istanza, il conferimento di onori postumi di natura non divina80 a Flavia Domitilla Maggiore, attesati da tre serie divisionali, battute durante il principato di Tito e contraddistinte al rovescio dal tipo del carpentum, individua­ to dalla formula dedicatoria MEMORIAE DOMITILLAE S P Q R81 ( fig. 8) o dalla variante DOMITILLAE IMP(eratoris) CAES(aris) VESP(asiani) AVG(usti) (scii. uxor) S P Q R82 ( fig. 9). 80 Non divae Domitillae, ma memoriae Domitillae, come attestano le legende monetali di alcu­ ni sesterzi. Al contrario, Alexandridis 20 10, p. 197, nota 28, considera erroneamente le monete con rappresentazione del carpentum e iscrizione MEMORIAE DOMITILLAE o variante, qui prese in considerazione, come attestazioni della divinizzazione postuma di Domitilla Maggiore. Il tipo del carpentum, contraddistinto dalla legenda S P Q R MEMORIAE AGRIPPINAE, era già stato impie­ gato in precedenza per la commemorazione postuma di Agrippina Maggiore, sul rovescio di sesterzi battuti durante il principato di Caligola (RJC'- I p. 1 1 2, n. 55). A questo proposito, per le emissioni a nome di Agrippina Maggiore, si rimanda nello specifico alle osservazioni formulate sopra da Anna Lina Morelli. 8 1 RIC II p. 1 34, n. 1 53 (MEMORIAE DOMITILLAE al rovescio) RIC'- II/ l p. 214, nn. 262-263 (MEMORIAE DOMITILLAE al dritto); BMCRE II p. 270, nn. 226-228: D/ IMP T CAES DIVI VESP F AVG P M TR P P P COS VIII (intorno); S C (al centro). R/ MEMORIAE DOMITILLAE ( in alto, su tre righe); S P QR (in esergo). Carpentum trainato verso d. da due mule. Sull'occorrenza del tipo MEMORIAE DOMITILLAE al dritto o al rovescio delle monete prese in esame, chi scrive ritiene più plausibile un'attribuzione al lato di rovescio, data la connotazione dedicatoria del tipo stesso, rimarcata dalla declinazione della legenda in dativo, in contrapposizione con la titolatura di Tito, espressa invece in nominativo sul lato opposto. In questa prospettiva, la sigla S C (senatus consulto), collocata solitamente sul rovescio dei nominali in bronzo e in oricalco, qui indicata al centro del presunto lato di dritto, potrebbe forse rimarcare l' intervento svolto dal senato nell'assegnazione degli onori postumi, stabiliti con decreto senatori o. Per la cronologia della emissioni, vd. nota successiva. 8 2 RIC II p. 1 34, n. 1 54 RIC'- II/ l p. 2 1 4, n. 264; BMCRE II p. 27 1 . n. 229. Descrizione come sopra, ma al R/ DOMITILLAE IMP CAES VESP AVG ( in alto, su quattro righe); S P Q R (in esergo). Per quanto riguarda la datazione, la menzione del consolato VIII di Tito e l' indicazione del legame di filiazione divina (DIVI VESP F), entrambe contenute nella titolatura imperiale al dritto delle monete di commemorazione per la madre Domitilla, suggeriscono una datazione delle serie per Domitilla Maggiore contestuale alle emissioni di consecratio per il divus Vespasiano, confermata peraltro dal riscontro dell' impiego di un medesimo conio di dritto, condiviso tra le serie DIVO AVG VESPAS e DOMITILLAE IMP CAES VESP AVG. A questo proposito, in mancanza di ulterio­ ri elementi di datazione specifica, la coniazione delle monete per Domitilla Maggiore, avviata nei primi mesi dell'anno 80 (data desunta dalla menzione del cos. VIII di Tito), certamente prima della fine di maggio (terminus ante quem per la consecratio di Vespasiano), potrebbe essere stata reiterata fino all'anno successivo (cfr. RIC'- II/ l p. 2 1 4, anche se con indicazione inversa dei tipi di dritto e di rovescio). Per la datazione della divinizzazione postuma di Vespasiano, decretata verosimilmente nei primi mesi dell'anno 80 (ovvero oltre sei mesi dopo la morte, avvenuta nel giugno del 79), come attestato chiaramente dalla documentazione numismatica, cfr. Buttrey 1 976. Il terminus ante quem per la consecratio di Vespasiano, fissato nella data del 29 maggio 80, deriva dalla prima menzione pre=

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Fig. 8. Sesterzio, Tito (memoriae Domitillae al rovescio), zecca di Roma (BMCRE II p. 270, n. 227; cfr. RIC Il/ l , p. 2 1 4, n. 262). The British Museum, Londra, Department of Coins and Medals, n. reg. R. l l 225 © Trustees of the British Museum.

Fig. 9. Sesterzio, Tito (Domitillae imp. Caes Vesp. Aug. al rovescio), zecca di Roma (BMCRE Il, p. 27 1 , n. 229; cfr. RIC Il/ l , p. 2 1 4, n. 264). The British Museum, Londra, Department of Coins an d Medals, n. reg. 1 902, 0403.2 © Trustees of the British Museum.

Le emissioni di sesterzi per Domitilla Maggiore, coniate in concomitanza con alcu­ ne serie monetali per Vespasiano divinizzato, attesterebbero pertanto il conferimen­ to di un privilegio postumo, di carattere celebrativo, piuttosto peculiare per i per­ sonaggi femminili della famiglia imperiale, determinato dall'esposizione pubblica cisamente datata del legame di filiazione divina nelle titolature di Tito ( testo integrato in CFA) e di Domiziano ( testo conservato), attestata da un frammento degli Acta Fratrum Arvalium (cfr. CIL VI l, 2059, l. 4 = AFA, p. CV, l. 4 = CFA, p. 1 25, n. 48, 1. 4). Le indicazioni di mese e giorno, contenute in una parte del testo andata perduta, sono state restituite sulla base della data riportata dalla registra­ zione successiva (30 maggio 80).

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dell' immagine della defunta, trasportata su u n carpentum trainato da mule durante lo svolgimento della pompa circensis83• Viceversa, alcune serie di coniazioni, pertinenti alla diva Domitilla Augusta, at­ tribuite cronologicamente prima al principato di Tito e in seguito al principato di Domiziano84, risultano di identificazione più problematica. Più precisamente, una serie di emissioni in oro, con rappresentazione associata dei busti del divus Augustus Vespasianus al dritto e della diva Domitilla Augusta al rovescio85 (fig. 1 5), e altre in argento, di interpretazione più discutibile (denari ibridi), contraddistinte di nuovo dalla raffigurazione del ritratto della diva Domitilla Augusta al dritto e da tipi ri­ conducibili alla rappresentazione di alcune personificazioni femminili al rovescio86 83 Sulle occasioni di utilizzo e sul significato del carpentum (carro coperto a due ruote) durante il periodo imperiale: Molin 200 l a; Girod 2008 (in particolare pp. 33-34, per le monete di Domicilia Maggiore); Arena 20 1 0, in particolare pp. 76-79. 84 Prive di elementi di datazione specifica, le occorrenze monetali per Domicilia (Maggiore o Mino­ re ?) divinizzata, documentate da emissioni in argento a nome della diva Domitil!a Augustà e da una serie in oro per Vespasiano e per Domicilia, entrambi divinizzati, furono assegnate alternativamente ai princi­ pati di Tito o di Domiziano già da Harold Mattingly. A questo proposito, cfr. RJC II pp. 1 14, 124: iden­ tificazione del personaggio con Domicilia Maggiore, moglie di Vespasiano, madre di Tito e Domiziano, e attribuzione delle emissioni per la diva Domitil!a, sia in oro sia in argento, al principato di Tito (80-8 1 ); BMCRE II pp. LXXV, LXXXIV. LXXXIX, 246, 3 1 2: identificazione del personaggio con Domicilia Maggiore - per le serie in argento, attribuite a Tito (80-8 1 ) - o forse, anche se dubitativamente, con Domicilia Minore - per la serie in oro, attribuita a Domiziano (8 1-84). Diversamente, tutte le occorrenze (sia aurei sia denari) per la diva Domitilla Augusta sono state attribuite di recente, da Ian Carradice e da Ted Buttrey, ad emissioni coniate durante il principato di Domiziano (82-83 d.C.) per la commemora­ zione della divinizzazione postuma della sorella Flavia Domicilia Minore. Cfr. RJC III l pp. 243, 275276. In aggiunta, per la datazione ai primi anni del principato di Domiziano, cfr. infra, nota 1 0 1 . 85 RJC II p. 1 24, n . 6 9 (Tito, 80-8 1 ) RIC II/ l , p . 275, n . 146 (Domiziano, 82-83); BMCRE II p. 3 1 2, n. 68 (Domiziano, 8 1 -84): D/ DIVVS AVGVSTVS VESPASIANVS. Testa di Vespasiano verso d., con corona radiata. R/ DIVA DOMITILLA AVGVSTA. Busto drappeggiato di Domicilia verso d. 86 Concordia Augusta/i: RIC II p. 1 24, n. 70 (Tito, 80-8 1 ) RIC II/ l - (espunta); BMCRE II p. 246, n. 1 36 (Tito, 80-8 1 , plated and worn ) : D/ DIVA DOMITILLA AVGVSTA. Busto drappeggiato di Domicilia verso d. R/ CONCORDIA AVGVST. Pavone verso d. Fortuna Augusta/ i: RIC II p. 1 24, n. 7 1 (Tito, 80-8 1 ) RJC II/ l p. 276, n. 1 57 (Domiziano, 82-83); BMCRE II p. 246, n. 1 37 (Tito, 80-8 1 ) : D/ DIVA DOMITILLA AVGVSTA. Tipo come il precedente. R/ FORTVNA AVGVST. Figura femminile (Fortuna), con capo diademato, stante verso s., tiene timone nella d. e cornucopia nella s. Pax Augusta (Nemesis): RIC II p. 1 24, n. 72, con nota (Tito, 80-8 1 , hybrid, plated) RIC II/ l - (espunta) ; BMCRE II p. 249, n. l 48 (Tito, hybrid,platedand worn): DI DIVA DOMITILLA AVGVSTA. Tipo come i precedenti. R/ PACI AVGVSTAE. Figura femminile alata (Nemesis), in mo­ vimento verso d., tiene caduceo nella s.; davanti, serpente. Pietas Augusta: RIC II p. 1 24, n. 73 (Tito, 80-8 1 ) RJC II/l - (espunta) ; BMCRE II p. 246, n. l38 (Tito, 80-8 1): D/ DIVA DOMITILLA AVGVSTA. Tipo come i precedenti. R/ PIETAS AVGVST. Figura femminile (Pietas), seduta verso s. su trono, tiene scettro trasversale nella s. e protende la d. sul capo di una figura di piccole dimensioni stante verso s. In generale, per quanto riguarda la descrizione del ritratto di Domicilia divinizzata al dritto delle serie di denari qui prese in considerazione, RIC II indica erroneamente la presenza di una corona di alloro sul capo. Per le implicazioni legate alla natura ibrida delle emissioni in argento con raffigurazione della diva Domitilla al dritto, vd. infra, con nota l 00. =

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( figg. l 0- 14) , documentano dunque il conferimento della divinizzazione postuma per l'una o l'altra dei due personaggi omonimi. A questo proposito, le occorrenze monetali per la diva Domitilla Augusta furono attribuite a Flavia Domitilla Minore già nei primi anni del secolo scorso, attraverso un' ipotesi di identificazione basata sul riferimento fornito da Stazio nel primo com­ ponimento delle Silvae, allusivo alla consecratio della sorella di Domiziano, enumera­ ta puntualmente tra i familiari divinizzati del princeps87• L' identificazione della figura commemorata come diva Augusta con la figlia di Vespasiano, sorella di Domiziano, proposta in origine da Arthur Stein nella redazione della voce per la Pauly-Wissowa re­ lativa al personaggio, fu ripresa in seguito nelle ricostruzioni del profilo prosopografico di Domitilla Minore redatte dallo stesso Stein per la seconda edizione della PIR e da Raepsaet-Charlier per la Prosopographie desfemmes de l'ordre sénatorial (FOS)88•

Fig. 10. Denario per Domitilla divinizzata, serie ibrida (cfr. RJC II, p. 1 24, n. 70) © Gerhard Hirsch Nachfolger.

8 7 Cfr. Stat., Si/v. I l, 94-98: Huc et sub nocte si/enti, l cum superis terrena placent, tua turba relicto l labetur caelo miscebitque oscula iuxta. l !bit in amplexus natusJraterquepaterque l et soror: una locum cervix dabit omnibus astris. ll primo componimento della raccolta delle Silvae fu intitolato e dedicato da Stazio all' inaugurazione del monumento equestre di Domiziano (equus Domitiani) collocato nel foro romano, edificato verosimilmente tra la metà del 90 e l' inizio del 9 1 , in seguito alla celebrazione del duplice trionfo germanico-dacico, avvenuta a Roma intorno alla fine dell'anno 89 d.C. (per la cronologia del monumen­ to, cfr. Kienast 1 989, pp. l4S-146). 88 Per i riferimenti relativi alle voci e ai profili prosopografici di Flavia Domicilia Minore in RE, PIR e FOS, cfr. supra, nota 74. L' identificazione diva Domitilla Augusta Flavia Domicilia Minore, proposta inizialmente da Stein in RE, è stata di recente ripresa da Meret Strothmann in DNP (per il riferimento specifico, cfr. supra, nota 74). -

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Fig. 1 1. Denario per Domitilla divinizzata, serie ibrida ( ? ) (BMCRE I I p . 246, n . 1 37; cfr. RJC II/ l p. 276, n. 1 57). The British Museum, Londra, Department of Coins and Medals, n. reg. 1 927, O l O 1 . 1 © Trustees of the British Museum.

Fig. 12. Denario per Domitilla divinizzata, serie ibrida ( ? ) , esemplare suberato (cfr. RIC2 11/ 1 p. 276, n. 1 57) © Classica! Numismatic Group.

Fig. 13. Denario per Domitilla divinizzata, serie ibrida, esemplare suberato (BMCRE II p. 249, n. 148; cfr. RIC II, p. 1 24, n. 72). The British Museum, Londra, Department of Coins and Medals, n. reg. BNK, R.293 © Trustees of the British Museum.

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Fig. 14. Denario per Domitilla divinizzata, serie ibrida, esemplare suberato (BMCRE II p. 246, n. 138; RIC II p. 1 24, n. 73 ) . The British Museum, Londra, Department of Coins and Medals, n. reg. R. l 0995 © Trustees of the British Museum.

Date queste premesse, la questione relativa al riconoscimento della diva Domitilla Augusta fu esaminata nuovamente da Dietmar Kienast in un contributo pubblicato alla fine degli anni '8089• Pur accogliendo la testimonianza fornita da Stazio circa la divinizzazione della 'sorella' di Domiziano, Kienast propose di assegnare un si­ gnificato alternativo al termine soror, appellativo generalmente piuttosto flessibile, utilizzato nel contesto specifico per esprimere un legame di parentela altro rispetto al rapporto fraterno-sororale. Secondo l' ipotesi di Kienast, volta essenzialmente ad attribuire il riferimento di Stazio a Giulia figlia di Tito, nipote di Domiziano90, esi­ genze metriche particolari, dovute all' impiego dell'esametro, avrebbero determina­ to il ricorso ali' utilizzo del termine soror in sostituzione dell'espressioneftatrisJilia, certamente più appropriata per indicare la figura di Iulia Titi91 • Dal punto d i vista ideologico, secondo Kienast, sembrerebbe dunque più op­ portuno associare il riferimento fornito da Stazio alla figura della diva lulia (Au8 9 Cfr. Kienast 1 989. 90 PIR2 F 426 (A. Stein); FOS 37 1 ; Kienast 2004, p. 1 1 4, s.v. (Flavia} Iulia. 91 A questo proposito, tuttavia, pur essendo caratterizzato da una certa flessibilità semantica, il termine latino soror (propriamente sorella), sembrerebbe essere stato impiegato con uso alternativo esclusivamente con il significato di cugina, in particolare, con riferimento alla figlia del fratello del pro­ prio padre (soror patruelis ). A chi scrive non sono di fatto note occorrenze del termine soror utilizzato in modo generico per indicare la nipote figlia di fratello (/ratrisfilia). D'altra parte, lo stesso Kienast 1 989 (pp. 1 46- 1 47), argomentando l' ipotesi di attribuzione del riferimento di Stazio a Giulia figlia di Tito, nipote di Domiziano, dal punto di vista linguistico, rimanda all'utilizzo del termine soror nel duplice significato di sorella (Schwester) o di cugina germana ( Geschwisterkimf; : «Vom Sprachlichen her macht diese Idencifizierung nicht die geringsten Schwierigkeiten, da soror nicht nur die Schwester, sondern auch das Geschwisterkind heiRen kann » . In generale, per l'utilizzo del termine latino soror con il significato di cugina, cfr. Bettini 1 990, p. 38.

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gusta), considerando il ruolo particolarmente significativo rivestito da Giulia figlia di Tito nell'ambito della domus Flavia92, a fronte della posizione apparentemente marginale occupata invece dalla figura di Domitilla Minore. Del resto, ( Flavia) Giulia, morta presumibilmente negli ultimi mesi dell'anno 8993, successivamente divinizzata per iniziativa dello stesso Domiziano94, continuò a rivestire un ruolo di accezione fortemente dinastica anche nel contesto della domus divina, chiamata 92 Per i presupposti e per le implicazioni del ruolo attribuito a Giulia figlia di Tito (diva Iulia dopo la divinizzazione postuma) nell'ambito della domus Flavia, cfr. Rosso 2007, pp. 142- 143; Rosso 2009; Gregori, Rosso 20 1 0. 93 Considerando la stretta relazione temporale tra la morte di Giulia e altri eventi (duplice trionfo germanico-dacico, processo contro la vestale massima Cornelia) menzionati più o meno esplicitamen­ te da Stazio ( Silv. I l, 6-7, 27, 5 1 , con riferimento alle vittorie sui Catti e sui Daci; I l, 36, con allusione al processo contro Cornelia) e da Plinio il Giovane (Epist. IV 1 1 , 7), Martha Vinson suggerisce di datare la morte di Giulia figlia di Tito agli ultimi mesi dell'anno 89 (cfr. Vinson 1 989, p. 436). Di fatto, Giulia figlia di Tito morì in una data incerta, compresa tra 87 e 89 d.C., comunque posteriore al 3 gennaio 87 e antecedente al 3 gennaio del 90, secondo gli estremi cronologici derivati dal riscontro della presenza, o viceversa dell'assenza, del nome di Giulia ( Iulia Augusta ) nelle registrazioni degli Acta Fratrum Arvalium relative alla formulazione dei voti annuali di inizio gennaio (nello specifico, solutio et nuncupatio votorum pro salute et incolumitate) per gli anni 87 e 90 (cfr. C/L VI l , 2065, Il. l ss. = AFA, pp. CXVI s., col. I, Il. l ss. = CFA, pp. 146 s., n. 55, col. I, Il. l ss. [3 gennaio 87] ; CIL VI l , 2067, l. 5 ss. = AFA, p. CXXIV s., l. 5 ss. = CFA, p. 1 58 s., n. 58, l. 5 ss. [3 gennaio 90] ). 94 A questo proposito, la divinizzazione di Giulia figlia di Tito, decretata dal senato nel corso dell'anno 90, risulta documentata da alcune serie monetali di carattere commemorativo, articolate tra emissioni divisionali, costituite da due serie di sesterzi, prive di ritratto, contraddistinte sul rovescio dalla raffigurazione del carpentum, datate agli intervalli compresi tra 90-9 1 e 92-94 dai riferimenti al XV e al XVI consolato di Domiziano, e una coniazione in metallo prezioso, costituita da aurei a nome della diva Iulia Augusta, priva di elementi di datazione specifica. Cfr. RIC II p. 204, n. 400 (sesterzio, 90-9 1 , DIVAE IVLIAE AVG DIVI TITI F al rovescio) = RICl 11/ 1 p. 3 17, n. 717 (DIVAE IVLIAE AVG DIVI TITI F al dritto); BMCRE II pp. 402-403, nn. 458-463: D/ IMP CAES DOMIT AVG GERM COS XV CENS PER P P (intorno) ; S C (al centro). R/ DIVAE IVLIAE AVG DIVI TITI F; S P Q R ( in esergo). Carpentum trainato verso d. da due mule. RIC Il p. 205, n. 4 1 1 (sesterzio, 9294) = RJC II/ 1 p. 321, n. 760; BMCRE II pp. 405-406, nn. 47 1 -473: D/ IMP CAES DOMIT AVG GERM COS XVI CENS PER P P (intorno); S C (al centro). Tipo come il precedente. R/ Descri­ zione come emissione precedente. Per la collocazione del tipo del carpentum, riconosciuto alternati­ vamente come tipo di rovescio ( RIC Il, BMCRE II) o come tipo di dritto (RICl Il/ l ) , cfr. supra, nota 8 1 . Per la stretta analogia delle emissioni di sesterzi per la diva lulia Augusta con le monete coniate in precedenza da Tito per la celebrazione postuma della madre Domitilla Maggiore, anch'esse contraddi­ stinte dalla rappresentazione del carpentum trainato da mule, cfr. RICl Il/ l p. 3 1 7, nota 78: «Details on this rev type are, on some examples, so dose to that of Memoriae Domitillae group (struck under Titus) that some of the same dies (recut) may have been re-used>> . RIC Il, p. 1 8 1 , n. 220 (aureo, non datato, ca. 90-92) = RICl 11/ 1 p. 3 17, n. 7 1 8 (non datato, 90-9 1 ) : D/ DIVA IVLIA AVGVSTA. Busto drappeggiato di (Flavia) Giulia verso d. R/ Anepigrafe. (Flavia) Giulia (statua di), con velo e diadema/ stephane ( ?) sul capo, seduta in trono su carro scoperto trainato verso d. da due elefanti, tiene spighe di grano nella d. e lungo scettro verticale nella s. Per quanto riguarda la descrizione del ritratto di Giulia al dritto dell'emissione di aurei non datati, RIC Il, n. 220, indica erroneamente la presenza di un diadema sul capo, fraintendendo presumibilmente la composizione dell'acconciatura, estremamente elaborata.

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ad esercitare, post mortem, una funzione di tutela specifica nei confronti dell'ere­ de - mai nato e forse nemmeno concepito - atteso da Domiziano e dalla moglie Domizia9'. Data l'attribuzione del riferimento di Stazio alla figura di Giulia divinizzata, le emissioni monetali per la diva Domitilla Augusta furono assegnate a Flavia Domi­ tilla Maggiore96, a discapito dell' ipotesi interpretativa di Stein circa la divinizza­ zione di Flavia Domitilla Minore, recuperando alcune considerazioni di carattere tipologico formulate da Harold Mattingly nella parte introduttiva del secondo vo­ lume di BMCRE ( 1 930). A questo proposito, l'attribuzione delle monete di conse­ cratio a Flavia Domitilla Maggiore risultava evidente dall'esame dei tipi di rovescio delle coniazioni in argento attribuite generalmente al principato di Tito ( tab. l ) , caratterizzate al dritto dalla rappresentazione del busto d i Domitilla divinizzata e al rovescio dalla raffigurazione di personificazioni femminili (Fortuna Augusta/ i, Pietas Augusta) confacenti alla connotazione materna della figura di Domitilla Maggiore ( madre di Tito e Domiziano)97; analogamente, la serie commemorativa in oro, coniata presumibilmente durante il principato di Domiziano per la celebra95 Cfr. Mart., VI 3 (90 d.C.): Nascere Dardanio promissum nomen !ufo, l vera deum suboles; nascere, magne puer: l cui pater aeternas post saecula tradat habenas, l quique regas orbem cum seniore senex. l lpsa tibi niveo trahet aurea pollicefila l et totam Phrixi Iulia nebit ovem. Malgrado l'assenza dell' appel­ lativo di diva per lulia, la caratterizzazione del personaggio da parte di Marziale consentirebbe comun­ que di attribuire il riferimento alla figura di Giulia morta e divinizzata (cfr. Vinson 1 989, p. 436). Un riferimento puntuale alla diva Iulia compare invece in Mart., IX l, 7 (94 d.C.). Sul concepimento effet­ tivo del nascituro invocato da Marziale, forse soltanto auspicato, commentatori e studiosi divergono. A questo proposito, per una sintesi delle diverse posizioni, cfr. Frei-Stolba 2008, p. 389, con nota 244; in aggiunta, Girard 1 987, p. 172; Kienast 1989, p. 145; Vinson 1 989, p. 447, nota 59. 96 In questa prospettiva, la testimonianza di Stazio costituirebbe un terminus post quem - con evidenti ricadute sulla cronologia delle occorrenze monetali - per la datazione della divinizzazione di Flavia Domicilia Maggiore, avvenuta non prima del 90 d.C., data l'assenza, nel luogo citato (Star., Si/v. I l , 94-98), di riferimenti o allusioni alla consecratio della madre di Domiziano (cfr. Kienast 1 989, p. 147; Rosso 2007, p. 1 44). Tuttavia, a questo proposito, alcune caratteristiche delle monete attribuite alla diva Domitilla Augusta, relative alla definizione dello standard ponderate dell'aureo, alla percen­ tuale di fino dei denari, nonché all'orientamento delle legende monetali, inducono a circoscrivere la datazione non oltre i primi anni del principato di Domiziano (fine 82-inizio 83 d.C.) (in questo senso, cfr. Wood 20 1 0, pp. 48-49, 5 1 ). Per le caratteristiche della documentazione numismatica, vd. infra, nota 1 0 1 . 97 Cfr. BMCRE II p . LXXV, con riferimento particolare a l tipo d i Pietas Augusta: «Diva Domic­ ilia is associated with reverses of the imperia! Fortuna, which has raised her family to such honour, of che peacock, the bird of]uno, to whom the 'divà is assimilated, an d of 'Pietas Augusta', laying her righe hand on a small figure ofSpes. 'Pietas Augusta', here, will be Domicilia herself, presiding, like che very spiri t of mother-love, aver the princes, the hopes of her line. The type is far more appropriate to Domitilla the wife than to Domicilia the daughter ofVespasian ». Successivamente, Kienast 1 989, p. 143, riprese le considerazioni elaborate da Mattingly a supporto dell'attribuzione dei denari per la diva Domitilla Augusta a Flavia Domicilia Maggiore, pur sottolineandone la fragilità argomentativa. Per i riferimenti di repertorio alle emissioni in argento della diva Domitilla Augusta con rovesci FORTV­ NA AVGVST e PIETAS AVGVST, cfr. supra, nota 86.

Divinizzazioni femminili nella prima età imperiale

241

zion e postuma d i Vespasiano e d i Domitilla divinizzati, contraddistinta dall'asso­ ciazione dei ritratti del divus Augustus Vespasianus ( al dritto ) e della diva Domitilla Augusta ( al rovescio ) , avrebbe dovuto riprodurre il busto di Domitilla Maggiore, secondo una combinazione di tipi già impiegata in precedenza per la rappresenta­ zione delle coppie imperiali98•

98 In questo senso, Kienast 1 989 (p. 1 43) rimanda ad un confronto con le raffìgurazioni monetali di alcune coppie imperiali, in particolare, divus Augustus-diva Augusta e Nerone-Poppea Sabina, rap­ presentate tuttavia tramite l' impiego di schemi iconici differenti, considerando l'associazione di ritrat­ ti singoli tra dritto e rovescio utilizzata invece per la raffigurazione della coppia Vespasiano-Domitilla divinizzati. A questo proposito, per Augusto e Livia divinizzati, cfr. RJCY I p. 1 28, n. 1 0 1 ; BMCRE I p. 1 95, nn. 224-225 (dupondi non datati, 42 d.C., secondo la datazione di Kaenel l 986, tipo 80): D/ DIVVS AVGVSTVS ; S C (ai lati). Testa di Augusto verso s., con corona radiata. R/ DIVA AVGV­ STA. Livia, con corona spicea sul capo, seduta verso s. su trono, tiene spighe di grano nella d. e lunga torcia verticale nella s. Per Nerone e Poppea: RICY I p. l 53, nn. 44-45, 56-57; BMCRE I p. 208, nn. 52-55 (aurei e denari non datati, ca. 64-66 d.C., secondo la datazione di RJCY I): D/ NERO CAESAR AVGVSTVS. Testa di Nerone verso d., con corona di alloro. R/ AVGVSTVS AVGVSTA. A s., figura maschile (Nerone ?), togata, con corona radiata sul capo, stante verso s., tiene patera nella d. e lungo scettro verticale nella s.; a d., figura femminile (Poppea Sabina?), drappeggiata, con capo velato e dia­ demato ( ?), stante verso s., tiene patera nella d. e cornucopia nella s. Altre considerazioni riguardano la formulazione della legenda monetale (Kienast 1 989, pp. 1 43- 1 44). Da questo punto di vista, la comparazione con le formule epigrafiche delle emissioni coniate da Tito e da Domiziano per (Flavia) Giulia e da Antonino Pio per Faustina Minore, precisate dall' indicazione del rapporto di filiazione intercorso tra Giulia e Tito (RJCY II/ l nn. 385-398 [Tito] ; nn. 1 47, 683-684, 717-7 1 8, 760 [Dom.]) e tra Faustina e Antonino Pio (RJC III, nn. 493-497, 500-5 17, 1 367- 1 4 1 0), consentirebbe di assegnare il tipo realizzato per la rappresentazione della diva Domitilla Augusta alla figura di Flavia Domitilla Maggiore, moglie di Vespasiano e madre di Tito e Domiziano, considerando l'omissione del legame di filiazione, altrimenti necessario all' identificazione del personaggio con Flavia Domitilla Minore, figlia di Vespasiano. A questo proposito, tuttavia, numerosi esempi di precisazione del vincolo coniugale, documentati dalle legende monetali di emissioni per Agrippina Maggiore (RICY I, n. 102 (Claudio]), Agrippina Minore (RICY I, n. 1 -3, 6-7 [Nerone]), Domitilla Maggiore (RICY II, l , n. 264 [Tito]), Domizia Longina (RICY II/ l nn. 1 32- 1 36, 1 48- 1 53, l 55-1 56, 678-682 [Dom.]) etc., suggeriscono di riconsiderare il quadro comparativo delineato da Kienast, basato essenzialmente sull'assenza dell' indi­ cazione del legame familiare intercorso tra Domitilla e Vespasiano divinizzati, ritenuta determinante per l'attribuzione del tipo a Flavia Domitilla Maggiore. Dal punto di vista interpretativo, assumere l'omissione del legame di filiazione come discrimine per l'attribuzione delle occorrenze monetali per la diva Domitilla, di fatto prive di elementi di precisazione volti all'esplicitazione di un rapporto di parentela specifico, all'una o all'altra dei due personaggi omonimi, risulterebbe dunque fuorviante.

242

A n n a L i n a More l l i , Erica Filippini

Stante l' ipotesi di Kienast ( divinizzazione di Domitilla Maggiore ) , divenuta ormai corrente99, dal quadro della documentazione numismatica per la diva Domitilla Augusta, modificato dalla nuova organizzazione della produzione monetale di età flavia, operata nell'ambito della seconda edizione del RIC, sembrerebbero emergere alcuni elementi utili a riprendere il dibattito relativo all' identificazione del perso­ naggio divinizzato. Data questa premessa, la revisione delle attestazioni monetali per la diva Do­ miti/la restituisce un prospetto fortemente emendato, individuato esclusivamente dalla serie di aurei per Vespasiano e Domitilla divinizzati ( tab. 2 ) , desunto dall'esclu­ sione delle emissioni in argento a nome della diva Domitilla Augusta, costituite da esemplari ibridi e perlo più suberati ( tab. 3) 1 00• Espunte le coniazioni di denari, tipo99 Cfr., in particolare, Hahn 1 994, p. 228-230; Castritius 2002, p. l 72; Rosso 2007, p. 144; Frei­ Stolba 2008, p. 388; Alexandridis 20 1 0, p. 1 97; Wood 20 1 0, nello specifico, pp. 48-5 1 (assegnazione delle occorrenze per la diva Domitilla Augusta a Flavia Domitilla Maggiore e attribuzione del riferi­ mento di Stazio, relativo alla divinizzazione della 'sorella' di Domiziano, a Giulia figlia di Tito) e pp. 54-55 (consecratio di Domitilla Maggiore decretata durante il principato di Domiziano); Hidalgo de la Vega 20 1 2, pp. 89, 1 69- 170. Contra, Barrett 2005, pp. 393-395. D'altra parte, verificando le voci di Flavia Domitilla Maggiore e Minore contenute nella riimische Kaisertabelle, appare significativo notare come Kienast, in parziale disaccordo con la proposta da lui stesso formulata a proposito dell' identi­ ficazione della diva Domitilla, abbia ( inspiegabilmente) indicato come plausibile la divinizzazione di entrambi i personaggi (cfr. Kienast 2004, p. 1 1 3, s.v. Flavia Domitilla, die Altere; p. 1 14, s.v. Flavia Domitilla, die]ungere). 1 00 Per i riferimenti di repertorio, cfr. supra, nota 86. Considerando il quadro complessivo della at­ testazioni numismatiche per Domitilla divinizzata, le serie in argento a nome della diva Domitilla Au­ gusta risulterebbero fuorvianti quantomeno dal punto di vista interpretativo, data la natura ibrida delle emissioni, determinata dalla combinazione di tipi di dritto e di rovescio originariamente pertinenti a coniazioni diverse. CONCORDIA AVGVST: emissione di denari ibridi, con dritto di Domitilla divinizzata (da rovescio di RJ0 II/ l p. 275, n. 146, aureo) e rovescio di Domizia Longina (cfr. RJCZ II, l p. 276, n. 1 5 1). FORTVNA AVGVST: denari ibridi, con dritto di Domitilla divinizzata (come precedente) e rovescio pertinente presumibilmente a coniazioni di Vespasiano (cfr. RJ0 II! l p. 1 40, n. 1 1 1 6, Lugdunum, aureo). PACI AVGVSTAE: denari ibridi, con dritto di Domitilla divinizzata (come precedenti) e rovescio pertinente a coniazioni anonime battute durante il periodo delle guerre civili (cfr. RICZ I, p. 208, n. 56 [ Civil 11/ars, group II, Gaul] , dritto). PIETAS AVGVST: denari ibridi, con dritto di Domitilla divinizzata (come precedenti) e rovescio di Domizia Lo ngina (cfr. RJ0 II/ l p. 276, n. 1 56). Nello specifico, in riferimento alla serie di denari con rovescio FORTVNA AVGVST ­ registrata da RJ0 II/ l p. 276, n. 1 57, come tipologia genuina per Domitilla divinizzata, documentata da due esemplari specifici ritenuti autentici (BMCRE II p. 246, n. 1 37, BNCMER III p. 2 1 1 , n. 102) - la natura ibrida dell'emissione, qui supposta, emergerebbe in prima istanza dal riscontro di alcuni denari suberati, esito di falsificazioni antiche (BNCMER III p. 2 1 5 , nn. 1 38, 1 39), e di almeno una contraffazione moderna (British Museum, n. reg. BM B l 0878). Del resto, considerando il quadro complessivo della documentazione numsmatica di età flavia, fatta eccezione per una serie genuina di aurei a nome di Vespasiano (RICZ II/ l p. 1 40, 1 1 1 6), il tipo di Fortuna Augustali risulta documenta­ to esclusivamente da emissioni contraffate di denari ibridi, spesso suberati, contraddistinti da tipi di dritto dello stesso Vespasiano (BM n. reg. R.4 1 5), di Tito (BNCMER III p. 209, n. 86), di Domiziano Cesare (BMCRE II p. 250, n. 5; BNCMER III p. 2 1 4, n. 1 25) e di Domizia Longina (BMCRE II p. 3 1 2, n. 64). D'altra parte, l'anomalia del rovescio per le emissioni a nome della diva Domitilla sembre-

Divinizzazioni femminili nella prima e tà imperiale

243

logicamente non genuine, dall'analisi delle monete emesse certamente per la diva Domitilla Augusta emergono aspetti direttamente funzionali al riconoscimento del­ la figura commemorata, di supporto all' ipotesi formulata originariamente da Stein circa la divinizzazione di Domitilla Minore.

rebbe confermata anche da alcuni aspetti puntualizzati da Franziska Schmidt-Dick in merito all' inter­ pretazione generale del tipo ( cfr. Schmidt-Dick 2002, p. 55, s.v. Fortuna). A questo proposito, la rap­ presentazione monetale di Fortuna, qui raffigurata stante con timone e cornucopia, connotata da una valenza simbolica strettamente legata alla funzione specifica di tutela esercitata dalla personificazione divina sul ritorno del princeps, sarebbe documentata pressoché esclusivamente da emissioni coniate a nome dell' imperatore o di altri personaggi maschili della famiglia imperiale ( cfr., in particolare, p. 58, variante Fortuna flA! 19: Gaiba, Vespasiano, Vespasiano per Tito Cesare, Domiziano, Nerva, Traiano, etc.). Unica eccezione in questo senso : l'emissione di denari per Domicilia divinizzata.

Nominale Legenda dritto

Iconograha dritto

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Repertorio (cronologia)

lconograha rovescio

Legenda rovescio

Tito (per Flavia Domitilla Maggiore)

zecca di Roma, 80-81 d.C.

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Sesterzio

IMP T CAES DIVI VESP F AVG P M TR P P P COS -(tipo aniconico) VIII; S C " "

MEMORlAE DOMITILLAE; S P Q R

Carpentum trainato verso d. da una coppia di mule

RIC II, n. 153 (Tito, 80-8 1) BMCRE II, nn. 226-228 (Tito, 80-8 1)

DOMITILLAE IMP CAES " RIC II, n. l 54 (Tito, 8?-8 1) VESP AVG; S P Q R BMCRE - li,- - n.- -229 - - - -(Tito, - - - -80-8 - - - 1)- - - - - - - Ti;o �;D��lrlll; di;hiliz;�� (Fl��l; D��lrlna Maggiore) zecca di Roma, emissioni non datate (80-8 1 d.C.) RIC II, n. 70 (Tito, 80-8 1) Busto di Domitill a CONCO RD lA AVGVST Pavone verso d. . DIVA DOMITILLA 3 Denano BM (Tito, 80-8 1) (platetf; verso d. AVGVSTA �-------- - ---- - - - - - - - - - - - - - - - - - - -CRE- -II,- -n.- -136 -----------------------------------------R!C ll, n. 71 (Tito, 80-8 1) Fortuna, stante verso s., " 4 Denario " FORTVNA AVGVST timone cornucopi con e � �M�� )! !: (�i !} ? :?·-��-�-1) - -- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - Pf; :;," �;d�; -; �;; ; : a e . t RJC ll, n. 73 (Tito, 80-8 1) PIETAS AVGVST con scettro; davann, fi�ra 5 Denario BMCRE ll, n. 138 (Tito 80-8 1) . - - - - - di - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - stante - - piccole - - - - - -dimens10m -----------Emissione ibrida Nemesi5 alata, in movimento R!Cll, n. 72 (Tito, 80-81) (hybrid,platetf; PACI AVGVSTAE verso d., con caduceo; 6 Denario BMCRE ll, n. l48 (Tito) (hybrid,platetf; davanti, serpente 2 Sesterzio

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Tito o Domiziano per Vespasiano e Domitilla ( Flavia Domitilla Maggiore ? ) divinizzati

7 Aureo

DIVVS AVGVSTVS VESPASIANVS

zecca di Roma, emissioni non datate (80-81 o 81-84) Testa di Vespasiano DIVA DOMITLLA Busto di Domitilla verso d. verso d., con corona AVGVSTA radiata

R!C ll, n. 69 (Tito, 80-8 1) (DMg.) BMCRE Il, n. 68 (Dom., 81-84) (DMg. l DMn.?)

Tabella l . Prospetto delle occorrenze monetali postume per Domicilia, secondo Mattingly ( RIC II l BMCRE II). =

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Nominale Legenda dritto

Iconografia dritto

Legenda rovescio

Repertori (cronologia}

Iconografia rovescio

Tito (per Flavia Domitilla Maggiore}

zecca di Roma, 80-8 1 d.C.

l Sesterzio

IMP T CAES DIVI VESP F AVG P M TR P P P COS -(tipo aniconico} VIII; S C

MEMORIAE DOMITILLAE; S P QR

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Carpentum trainato verso d.

da una coppia di mule

DOMITILLAE IMP CAES " VESP AVG; S P QR

2 Sesterzio

RJC II/l, nn .

262-263 (Tito, 80-8 1) RIC Il, n. 153 (Tito, 80-8 1) BMCRE II, nn. 226-228 (Tito, 80-8 1) RJ C Il/I, n. 264 (Tito, 80-8 1} RIC II, n. l 54 (Tito, 80-8 1} BMCRE Il, n. 229 (Tito, 80-8 1) =

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Domiziano per Domitilla divinizzata (Flavio/Domitilla Minore)

zecca di Roma, emissioni non datate { 82-83 d. C.) Per la serie di denari (DIVA DO MITILLA AVGVSTA l FO RTVNA AVGVST} registrata daRJ C Il, l, n. 157 (Domiziano). cfr. tabella 3, n. 2 Domiziano per Vespasiano e Domicilia (Flavia Dornitilla Minore} divinizzati

DIVVS AVGVSTVS VESPASIANVS

Testa di Vespasiano DIVA DOMITLLA verso d., con corona AVGVSTA radiata

Busco di Domicilia verso d.

RIC Il/l, n. 146 (Dom., 82-83) (DMn.} R!C ll, n. 69 (Tito, 80-8 1) (DMg.) BMCRE ll, n. 68 (Dom., 8I-84} (DMg. l DMn.?) =

Tabella 2. Prospetto delle occorrenze monerali postume per Domitilla, secondo Carradice, Bumey ( RJCZ II/ l ) . =

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Zecca di Roma, emissioni non datate (82-83}

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Nominale Tipo dritto

Repercori {cronologia)

Tipo rovescio

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Note

Domitilla divinizzata {Flavia Domitilla Minore)

emissioni ibride

Denario

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DIVA DOMITILLA CONCORDIA ) o, AVGVSTA. Busto di AVGVST . pavone verso d. B'JYJ�C ' 'RE II , n. 136 Domtt. ilia verso d. (Tito, 80_8 1) � 1 nfated)

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

Emissione di denati ibridi e suberati: dritto di Domicilia divinizzata (= rovescio di RIC II/l n. 146 [Dom.], aureo), combinato con un tipo di rovescio pertinente a . . per DomlZla . (RJr'2 . . ' d'1 DomiZlano . . Longma comaz1001 �..- - II/l n. 151 [D om. ))

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - ·

Emissione di denati ibridi {?): dritto di Domicilia divinizzata {= rovescio di, RIC II/l n. 146 [Dom.), aureo), combinato con un tipo di rovescio pertinente presurni­ bilmente a coniazioni di Vespasiano (RIC III l n. 1 1 16 [Vesp.], Lugdunum, aureo). Malgrado il riscontro di almeno due esemplari verosimilmente autentici (BMCRE II, n. 137 [Tito),BNCMER III, n. l02 [Tito)), riconducibili dunque ad una produ­ RJC II/l n. l 57 zione di zecca ufficiale, dubbi circa la natura ibrida dell'emissione registrata da RIC 82-83) Il/l n. 157 [Dom.) derivano dalla presenza di alcuni denari suberati, esito di falsifi­ FORTVNA AVGVST. =(Dom., RICII, n. 71 cazioni (BNCMER III, nn. 138, 139 [Tito)). Tra gli esemplati conservati presso il 2 Denatio Fortuna, stante verso s., (Tito, 80-81) British Museurn risulta invece una contraffazione presurnibilmente moderna (BM con timone e cornucopia BMCRE II, n. 137 n. reg. Bl0878). D'altra patte, considerando il quadro generale della produzione (Tiro, 80-8 1) monerale di età flavia, escludendo la serie di aurei a nome di Vespasiano (RIC III l n. 1 1 16), considerata genuina, il rovescio di FORTVNA AVGVST (stante, con timone e cornucopia) risulta documentato esclusivamente da emissioni contraffare di denari ibridi, spesso suberari, contraddistinti da ripi di dritto di Vespasiano (BM n. reg. R.415), Tito (BNCMER III, n. 86), Domiziano Cesate (BMCRE II, p. 250, _ _ _ �: ?� J!�ç�J!,_I!� n� }�? _[J:i!�l) e_f? ��i:�a-���g�� �J!J:'!ç!?!:, ! l� �JP-�l!lJ)� PACI AVGVSTAE. RIC II, n. 72 (Tito, Emissione di denati ibridi e suberati: dritto di Domicilia divinizzata (= rovescio di Nemesis alara, in 80-81) (hybrid,plated} RIC II/l, n. l46 [Dom.), aureo), combinato con un tipo di rovescio pertinente a 3 Denatio movimento verso d., con BMCRE II, n. 148 coniazioni anonime battute durante il periodo delle guerre civili (= dritto di RIC I, :���

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Divinizzazioni femminili nella prima età imperiale

247

questo proposito, considerata nel contesto complessivo delle emissioni di cele­ brazione familiare battute durante i primi anni del principato di Domiziano, la serie di aurei per il divus Augustus Vespasianus e la diva Domitilla Augusta, perti­ nente ad un gruppo ristretto e omogeneo di monete celebrative in metallo prezio­ so 101, sembrerebbe configurarsi come attestazione della consacrazione postuma di Flavia Domitilla Minore. In questo senso, ad esclusione della serie per Domiziano e Domizia Lo n gina ( coniugi imperiali, entrambi viventi ) 102, le emissioni monetali riservate alla celebrazione dei membri divinizzati della famiglia imperiale - cia­ scuno associato, nell'ambito delle diverse serie di emissioni, ad altri componenti della domus Flavia, ancora viventi o anch'essi già morti e divinizzati - risultereb­ bero improntate alla rappresentazione di coppie di personaggi legati tra loro da un rapporto di discendenza diretta ( coppie di genitori-figli ) : divus Augustus Vespasia­ nus/diva Domitilla Augusta, divus Titus Augustus/ Iulia Augusta divi TitiJ(ilia),

A

1 0 1 Considerando le caratteristiche ponderali e metalliche dei nominali in oro e in argento ( au­ mento del peso per gli aurei e accrescimento del tenore di metallo nobile per i denari), l'orienta­ mento direzionale delle legende monetali (antiorario) e Io 'old style' mantenuto nell'esecuzione dei ritratti di alcuni personaggi della domus imperiale, le emissioni di celebrazione familiare, sebbene prive di elementi utili a precisare la datazione delle stesse, sono state attribuite cronologicamente al periodo compreso tra fine 82 e inizio 83, immediatamente successivo alla riforma della monetazio­ ne in metallo prezioso, operata da Domiziano nel corso dell'anno 82 (cfr. RIC' Il/ l pp. 242-243). Fatta eccezione per la serie in oro e in argento con rappresentazione del busto di Domizia al dritto e raffigurazione del divus Caesar al rovescio, certamente connessa alla duplice emissione di aurei e di denari ( genuini ? [cfr. nota successiva] ) coniata per la celebrazione della coppia imperiale formata da Domiziano e dalla stessa Domizia Longina, le serie commemorative battute per i personaggi di­ vinizzati della domus Flavia risultano omogenee anche dal punto di vista della determinazione del nominale di emissione (aureo) e per scelta del medesimo schema tipologico (associazione di ritratti singoli tra dritto e rovescio). 1 02 Cfr. RIC' Il/l p. 275, nn. 1 48 (aureo), 1 49 (denario) ; BMCRE II, p. 3 1 0, n. 58 (aureo) : D/ IMP CAES DOMITIANVS AVG P M. Testa di Domiziano verso d., con corona di alloro. R/ DO­ MITIA AVGVSTA IMP DOMIT. Busto drappeggiato di Domizia Longina verso d. Dubbi circa l'autenticità di RIC' 149 sembrerebbero emergere dal riscontro (pressoché esclusivo) di numerosi esemplari suberati per l'emissione in argento qui presa in considerazione, documentata da un uni­ co pezzo genuino, conservato presso l' Hunterian Museum di Glasgow (Coats Collection). D 'altra parte, secondo i curatori di RIC', l'esistenza di un secondo esemplare apparentemente genuino, rea­ lizzato con i medesimi conii della moneta conservata a Glasgow, potrebbe confermare I' emissione di denari per questa serie (cfr. RJC' II/ l p. 275, nota 1 6; BMCRE II p. 3 1 0, nota 58: «plated denarius of these types, R. /t. [ RIN] , 1 986, p. 165 >> ). =

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Anna Lina More l l i , Erica Filippini

Domitia Augusta !mp( eratoris) Domit(iani) (scil. uxor) l divus Caesar !mp( eratoris) Domitianij(ilius) 103 (figg. 1 5- 1 7) .

Fig. 15. Aureo, Domiziano per Vespasiano e Domicilia divinizzati, zecca di Roma (BMCRE II p. 3 1 2, n. 68; cfr. RICl Il/ l p. 275, n. 146 ) . 1he British Museum, Londra, Department of Coins and Medals, n. reg. 1864, 1 128.256 © Trustees of the British Museum.

1 03 Aurei per Vespasiano e Domitilla divinizzati: cfr. infra, nota 85. Aurei per Tito divinizzato e Giulia: RIC'- II/ l p. 275, n. 147; BMCRE Il, p. 3 1 3, n. 69: DI DIVVS TITVS AVGVSTVS. Testa di Tito verso d., con corona radiata. R/ IVLIA AVGVSTA DIVI TITI F. Busto drappeggiato di (Flavia) Giulia verso d. Aurei e denari per Domizia Longina e il divus Caesar: RIC'- ll! l p. 276, nn. ! 52 (aureo), 153 (denario); BMCRE ii, p. 3 1 1 , nn. 62 (aureo), 63 (denario): D/ DOMITIA AVGVSTA IMP DO­ MIT. Busto drappeggiato di Domizia Longina verso d.; R/ DIVVS CAESAR IMP DOMITIANI F. Il divus Caesar, raffigurato in nudità, con braccia aperte e sollevate, seduto su globo, circondato da sette stelle. A questo proposito, la serie di denari registrata da RIC'- II/ l p. 276, n. 1 54 ( BMCRE Il, p. 347, n. 246) si configura come coniazione di esemplari ibridi, costituita da un dritto di Domiziano e da un rovescio pertinente ad emissioni per Domizia Longina: D/ IMP CAES DOMITIANVS AVG P M. Testa di Domiziano verso d., con corona di alloro. R/ DIVVS CAESAR IMP DOMITIANI F. Tipo come il precedente. Cfr. anche RIC'- III l p. 276, nota 17, secondo cui, malgrado la presunta natura ibrida dei denari, la serie per Domiziano e il divus Caesar sarebbe comunque pertinente ad una produzione di zecca ufficiale, dato il riscontro di un legame di conio tra il rovescio di un esemplare per Domiziano ed altri di monete per Domizia (combinazione tipologica genuina). Per la figura dd divus Caesar ( T. Flavius Caesar?) (PIR2 F 1 83), figlio di Domiziano e di Domizia Longina, nato nel 73 d.C. (Suet., Dom. 3, 1 ) , morto prematuramente in una data incerta, tuttavia antecedente all'accessione di Domiziano al principato, in seguito onorato con il conferimento della divinizzazione postuma, cfr. Desnier 1 979. Sull' interpretazione dd tipo, volto alla celebrazione di una discendenza improntata al modello gioviano, cfr. anche Gury 200 1 , p. 1 87. In questo senso, la raffigurazione monetale del divus Caesar, rappresentato come Arcas (Arctophylax per catasterismo, cfr. Ov., Met. Il 468-469, 505-507; Fast. II 1 88-1 90; Hyg., Astr. II l, 2; II 4, l ) , figlio di Giove e Callisto, esprimerebbe una valenza simbo­ lica strettamente connessa al principio della predestinazione dinastica. =

Divinizzazioni femminili nella prima e tà imperiale

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Fig. 1 6. Aureo, Domiziano per Tito divinizzato e Giulia, zecca di Roma (BMCRE II p. 3 1 3, n. 69; cfr. RJC2 II/ 1 , p. 275, n. 147). The British Museum, Londra, Department of Coins and Medals, n. reg. R. l 076 1 © Trustees of the British Museum.

Fig. 1 7. Aureo, Domiziano per Domizia Lo n gina e il divus Caesar, zecca di Roma (BMCRE II p. 3 1 1 , n. 62; cfr. RIC2 II/ l p. 276, n. 1 52). The British Museum, Londra, Department of Coins and Medals, n. reg. R. 1 0760 © Trustees of che British Museum.

Secondo questi presupposti, la visione di insieme, derivata dall'esame del gruppo delle serie commemorative per i componenti della domus divina, consentirebbe dunque di assegnare la qualifica di diva Domitilla Augusta a Flavia Domitilla Mino­ re { figlia di Vespasiano, sorella di Domiziano ) , documentando peraltro una precisa intenzionalità di scelte, connesse alla definizione di più linee successorie, basate sul­ la discendenza auspicata da ciascuna delle tre figure femminili rappresentate sulle monete qui prese in considerazione, date le circostanze contingenti determinate dall'assenza di una discendenza maschile diretta per Domiziano. In questa prospettiva, considerando il significato ideologico sotteso alla diviniz­ zazione dei personaggi femminili della famiglia imperiale, il conferimento di onori

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A n n a L i n a Morel l i , Erica Filippini

postumi di natura divina a Domitilla Minore, per iniziativa dello stesso Domiziano - attestati in prima istanza dalla documentazione numismatica per la diva Domitilla Augusta (82-83 d.C.), poi confermati dal riferimento di Stazio (90 d.C.), relativo alla consecratio della sorella del princeps - diviene oltremodo significativo. Di fatto, la divinizzazione postuma di Flavia Domitilla Minore, intervenuta durante i pri­ mi anni del principato di Domiziano, risulta funzionale ali' individuazione e alla legittimazione di una linea di continuità praticabile quantomeno potenzialmente, secondo un' ipotesi di trasmissione del potere imperiale concretizzatasi poi effetti­ vamente - in una data incerta, presumibilmente intorno al 95 d.C. - nell'adozione da parte di Domiziano dei nipoti della sorella, figli di Flavia Domitilla (omonima della madre) e di Flavio Clemente, designati alla successione con i nomi dinastici di (Flavius) Vespasianus e (Flavius) Domitianus104• E. F.

1 04 A questo proposito, la designazione imperiale di (Flavius) Vespasianus (PIR2 F 397) e di (Fla­ vius) Domitianus (PIR2 F 258), nipoti di Domitilla Minore, figli di Flavia Domitilla (3) (cfr. supra, nota 74) e di Flavio Clemente (cugino delprinceps, console nel 95. cfr. P/R2 F 240), attestata dalle fonti antiche, fu preceduta verosimilmente dall'adozione degli stessi da parte di Domiziano (cfr. Kienast 1989, pp. 144-145; Wood 20 1 0, p. 45-46; Hidalgo de la Vega 20 1 2, p. 85). Sulla designazione dei figli di Flavio Clemente, ancora parvuli, alla successione di Domiziano, cfr. Suet., Do m. l 5, l : [ . . . ] cuius ( i.e. Flavii Clementis) jilios etiam tum parvulos successores palam destinaverat abolitoque priore nomine alterum Vespasianum appellari, alterum Domitianum. ln questo senso, con riferimento particolare alla do­ cumentazione numismatica, alcune monete provinciali di produzione locale, coniate dalla zecca di Smyrna, registrano puntualmente la designazione di (Flavius) Vespasianus, con emissioni dedicate alla celebrazione del personaggio: cfr. RPC II p. 159, nn. 1028- 1029, oricalco 1 5 mm. Y, assarion, 94-95 d.C. (secondo la datazione di Klose 1987, tipo XLII, nn. 1-1 0): D/ OYECnAClANOC NE.QTEPOC. Busto di (Flavius) Vespasianus verso d. Per le figure di (Flavius) Vespasianus e (Flavius) Domitianus, indicati significativamente come nipoti della sorella di Domiziano, cfr. �nt., Inst. IV pr. 2: cum vero mihi Domitianus Augustus sororis suae nepotum delegaverit curam. =

L' APOTEOSI A ROVESC I O : COM E MAN DARE AG LI I N F ERI U N I M PERATORE

Gabriele Marasco

L'apoteosi e il culto dell' imperatore sono stati elementi fondamentali della vita dell' Impero romano fin dalle sue origini, a partire dalla divinizzazione di Cesare all' indomani della sua morte1 ; la fede diffusa nella natura superiore a quella uma­ na dei sovrani si univa, in effetti, a motivi politici, rafforzati dall'accostamento del culto imperiale a quello della dea Roma, che si affermò in ambito provinciale già dall'epoca di Augusto e si diffuse poi gradualmente anche nella stessa capitale2• Ben si comprende, dunque, come la certezza della divinizzazione potesse perfino coin­ cidere, nella concezione di un imperatore, con la prospettiva della propria morte3, mentre è noto che l'apoteosi non fu neanche prospettata solo riguardo ad impera­ tori che erano periti vittime di rivolte o di congiure e la cui morte aveva concluso il ciclo della loro dinastia, come Nerone, Domiziano e Commodo. Anche al di là di questi casi limite del tutto comprensibili, tuttavia, l'apoteosi dell' imperatore non fu sempre una decisione attuata de plano: a volte, anzi, essa fu oggetto di dubbi, di aspre discussioni, di opposizioni e di polemiche, che hanno lasciato traccia nella storia e nella letteratura deli' antichità. Il caso più famoso è in­ dubbiamente costituito dalla vicenda di Claudio. Dopo la sua morte, avvenuta il 13 ottobre del 54 a seguito di un avvelenamento da funghi su cui aleggiò da subito 1 In proposito cfr. soprattutto Bickermann 1 929; Taylor 1 93 1 ; Cerfaux, Tondriau 1 957; Taeger 1 960; Weinstock 1 97 1 ; den Boer 1 973; Herz 1 978; Turcan 1 978; Richard 1978; Wlosok 1 978; Price 1 986; Arce 1 988; Gradel 2004; Fishwick 2005; Lozano Gomez 20 l O; Brodd, Ree d 20 1 1 ; Iossif et alii 20 1 1 ; Frija 20 1 2. 2 Cfr. Mellor 1 975; Fayer 1 976; Mellor 1 98 1 . 3 S i veda, ad es., la battuta d i Vespasiano in Suet., Vesp. 23, 8 : Vtte... puto deusfio; cfr. Dio LXVI 17, 3.

Gabriele Marasco

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il sospetto, peraltro ben fondato, di un omicidio voluto dalla moglie Agrippina4, Claudio fu deificato per volere della vedova e del successore Nerone con ostentate manifestazioni di culto, ma la decisione suscitò sconcerto e perfino ilarità, come te­ stimoniano la derisione e i motteggi che accompagnarono il discorso funebre com­ posto da Seneca e pronunciato da Nerone, soprattutto riguardo all'elogio dellapro­ videntia e della sapientia del defunto5, la battuta di Nerone stesso, che definì i funghi cibo degli dèi perché grazie ad essi Claudio era appunto divenuto dio (dunque era morto )6, e soprattutto I'Apokolokyntosis, la satira giunta fino a noi in cui Seneca, in totale opposizione rispetto all'elogio espresso ufficialmente per bocca del nuovo imperatore, volle dar voce ali' aspro risentimento che egli stesso e gli ambienti della corte e dell'aristocrazia senatoria nutrivano verso il defunto e al senso di liberazio­ ne che ne aveva accompagnato la scomparsa7• �esta satira, meritatamente famosa nell'antichità come nelle epoche successive e che ha avuto un' influenza notevole sul delinearsi di una tradizione tutt 'altro che elogiativa riguardo al regno di Claudio8, merita attenzione per i motivi che vi giustificano l'aspra opposizione agli onori divi­ ni resi al defunto, una misura dettata da contingenti motivi politici legati alla succes­ sione di Nerone e che non era evidentemente per nulla sentita negli stessi circoli che pure l'avevano promossa con tanto apparente fervore, come dovevano ben presto confermare la rapida scomparsa del titolo Divi Claudi ftlius dalla monetazione di Nerone9 ed il mancato completamento del tempio dedicato al defunto imperatore, che fu distrutto dopo la morte di Agrippina nel 59, sostituito con una stazione di distribuzione deii'Aqua Claudia, infine ricostruito solo per volere di Vespasiano10• Nella satira di Seneca, com'è noto, Claudio cerca invano di farsi accogliere nel consesso degli dèi con l'avallo di Ercole, viene respinto in virtù soprattutto degli interventi contrari di Giano e del divo Augusto, è condotto da Mercurio agli Inferi, dove subisce un processo dinanzi al tribunale di Eaco, viene infine condannato ed è affidato ad un liberto che se ne servirà come a cognitionibus. Ma qual è l'accusa in base alla quale Claudio dapprima si vede negati gli onori divini, poi viene condotto agli Inferi e subisce una così umiliante condanna? La descrizione del personaggio è certo basata su elementi di continua derisione, tali da escluderne decisamente la 4 Cfr. Marasco 1 997, pp. 284-85; Id., 1 998a, p. 278. Per la responsabilità di Agrippina cfr. in par­ ticolare Kroll l 927; Momigliano 1 932; Id., 1 934, p. 74; Wuilleumier 1 975; Barrett 1 996. L'opinione opposta è stata sostenuta in particolare da Bagnani 1946. s Tac., Ann. XIII 3, l : [ . . ] postquam ad providentiam sapientiamqueflexit, nemo risui temperare, quamquam oratio a Seneca composita multum cultus praejèrret, ut Juit il/i viro ingenium amoenum et temporis eius auribus adcommodatum. 6 Sue t., Nero 33, l ; Dio LX 35, 3. 7 Si vedano in particolare le edizioni con commento di Eden, 1 984 e Russo, 1 985, con bibliografia; inoltre Griffìn 1 976, pp. 1 29-7 1 ; Bringmann 1985; Horstkotte 1985; Astbury 1 988. 8 Su cui cfr. Carney 1 960; Levick 1 990, pp. 1 87-97 e bibliografia a p. 236. 9 Cfr. Kraft 1 966, p. 1 2 1 ; Huss 1 978, p. 1 32. 10 Suet., Claud. 45, 2; Vesp. 9, l; Charlesworth 1 937, p. 57. .

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possibile natura divina: dall'aspetto fisico ridicolo s i passa al modo incomprensibile di parlare, tale che perfino un viaggiatore sperimentato come Ercole ha difficoltà a comprenderne la favella1 1, alla mania per la concessione della cittadinanza romana a qualsiasi popolo, aspramente riprovata dall'aristocratico Seneca12• Ma, anche se questi difetti contribuiscono a giustificare la negazione degli onori divini, essi non sono di per sé sufficienti, né mai ne sono presentati come la causa reale; lo stesso può dirsi anche della stupidità, che pure è elemento essenziale della derisione da parte di Seneca13, soprattutto se consideriamo che di tale difetto è accusato lo stesso Er­ cole1\ di cui pure non è mai messa in dubbio la natura divina e che anzi ha un ruolo essenziale in tutta la prima parte della satira quale mentore e 'sponsor' delle pretese di Claudio, che egli appoggia con notevole efficacia, in virtù del proprio prestigio e dell'ascendente fra gli altri dèi15. In realtà, l'accusa mossa contro Claudio è ben altra e si ripete immutata, sia pure con circostanze e vittime diverse, sia nella prima parte, dinanzi al tribunale degli dèi, sia nella seconda, dinanzi a quello di Eaco, determinando in entrambi i casi l' inevitabile condanna di Claudio, incapace di difendersi: si tratta delle numerose uccisioni ordinate, perpetrate o comunque commesse in suo nome, senza una sua minima obiezione e senza mai l'ombra di un regolare processo. Nella prima parte della satira, in effetti, la requisitoria è pronunciata dal divo Augusto16 e consiste in un vero e proprio elenco di delitti perpetrati ai danni di esponenti di spicco della più alta aristocrazia17. Augusto, dopo aver ammonito gli astanti a non farsi ingannare dall'aspetto ingannevolmente innocuo di Claudio, all'apparenza incapace di dar noia ad una mosca, ma che in realtà uccideva la gente con la stessa facilità con cui un cane si accosta ad un muro, enumera con raccapriccio i propri discendenti ed i membri della famiglia imperiale che Claudio ha fatti peri­ re : le sue pronipoti Giulia, figlia di Druso, uccisa per ferro, e l'altra Giulia, figlia di Germanico, fatta morire per fame18, L. Giunio Silano Torquato19, Messalina, della 1 1 Sen , Apoc. 5, 2-3; 6, 2; 7, 2. " Sen., Apoc. 9, 4. 1 3 Sen., Apoc. l, l; 8, l e 3; cfr. Leon 1 948. 1 4 Sen., Apoc. 6, l: et imposuerat Herculi minime vafro [ . ] . 15 Sen , Apoc. 9 , 6. 16 Sen., Apoc. l 0- 1 1 ; cfr. Zwierlein 1 982 ; Wolf 1 986. 1 7 Su questo elenco cfr. Baldwin 1 964, la cui conclusione secondo cui Seneca non sarebbe l'autore dell'Apokolokyntosis non appare accettabile. 1 8 Sen., Apoc. l O, 4. Cfr. Suet., Claud. 29, 2 e per la prima Tac., Ann. XIII 32, 3; 43, 2; Dio LX 1 8, 3; per la seconda, accusata di adulterio con Seneca, Dio LX 8, 4; LXI 10, l . 1 9 Sen., Apoc. 1 0, 4 ; cfr. già 8, 2 , dove quest'accusa è pronunciata d a u n dio !a cui identità è incerta a causa della lacuna che precede. Silano, fidanzato della figlia di Claudio, Ottavia, fu accusato nel 48 dal censore Vitellio, su istigazione di Agrippina, di incesto con la propria sorella Giunia Calvina e costret­ to a suicidarsi ( Tac., Ann. XII 3, 2- 4, 3; 8, l ; Suet., Claud. 27, 4; 29, 3; Dio LX 3 1 , 8. Tacito (Ann. XII 4, 2 ) considera l'accusa falsa; è probabile che essa mirasse ad eliminare Silano per far posto a Nerone, che Agrippina voleva far sposare con Ottavia. .

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cui morte Claudio dichiarava d'essere stato inconsapevole, M. Licinio Crasso Fru­ gi, sua moglie Scribonia e suo figlio Gneo Pompeo Magno, al quale pure Claudio aveva restituito in precedenza il titolo Magno toltogli da Caligola20, infine Gaio Appio Giulio Silano, che Seneca definisce, con qualche confusione, socer di Clau­ dio21. Augusto insiste sull' illegalità di queste uccisioni, attuate senza un processo e senza un'udienza, contrariamente al diritto e all'usanza degli dèi22; su quest 'accusa e su questa sola egli fonda la sua richiesta di bandire Claudio dal cielo e ne ottiene l'espulsione, immediatamente attuata. Non diversa è l'accusa formulata agli Inferi, dove tuttavia le condizioni sono tutt'altre. Claudio, condotto da Mercurio, vi viene accolto da una folla festante, che egli ritiene scioccamente amica e che invece è lì per godersi la vendetta per le pene subite. In prima fila ci sono Gaio Silio, console designato, l'ex-pretore Giunco ed altri personaggi di rango equestre, tutti amanti di Messalina, il pantomima Mne­ stere, che aveva partecipato alle nozze di Silio con Messalina23; essi corrono tutti ad avvertire quest'ultima. Sono inoltre presenti due prefetti ed altri personaggi, fra cui quattro di rango consolare, oltre a nuore, generi, suocere ed altri congiunti di Clau­ dio24. È evidente dall'ambientazione e dal contesto che questi personaggi sono con­ siderati da Seneca tutt'altro che vittime innocenti: al contrario, essi si trovano agli Inferi come giusta punizione per la loro condotta immorale e per le colpe commesse in vita, ma la responsabilità di Claudio nei loro confronti resta pur sempre grave, per effetto dell'abitudine a far uccidere senza processo. La vicenda ha una brusca conclusione : un tal Pedone Pompeo presenta l'accusa ufficiale, che consiste in un' imputazione di omicidio in base alla !ex Cornelia: Clau­ dio è accusato d'aver eliminato trentacinque senatori, duecentoventun cavalieri ed un numero incalcolabile di altri personaggeS, un'affermazione fin troppo vicina alla notizia di Svetonio, secondo cui egli avrebbe fatto uccidere appunto trentacinque senatori, oltre a più di trecento cavalieri26. Dinanzi all'evidenza dell'accusa, Eaco 20 Sen., Apoc. 1 1 , 2 e 5; cfr. Tac., Hist. I 48; Suet., Claud. 29, 2-3; Dio LX 5, 8-9. Magno, com'è chiarito più avanti, era genero di Claudio (Sen., Apoc. 1 1 , 5), perché ne aveva sposato la figlia Antonia. 2 1 Sen., Apoc. 1 1 , S. �esto Silano aveva sposato in realtà Domizia, madre di Messalina (cfr. Dio LX 14, 2-4). Fu fatto uccidere nel 42 da Claudio per volere di Messalina: cfr. Tac., Ann. XI 29, l; Suet., Claud. 29, 2; 37, 3-4; Renard 1937, p. 1 1 . 22 Sen., Apoc. l O, 4: Dic mihi, dive Claudi, quare quemquam ex his, quos quasque occidisti, antequam de causa cognosceres, antequam audires, damnasti? Hoc ubifieri solet? In caelo nonjìt. Analogamente, riguardo alle uccisioni di Appio Silano e delle due Giulie, Suet., Claud. 29, 2: [ . . . ] crimine incerto nec defensione ulla data occidit... 23 Per questa vicenda, che aveva provocato la reazione di Claudio e l'esecuzione di Messali n a e degli altri personaggi coinvolti, cfr. Tac., Ann. Xl 26-38; Meise 1 969, pp. 1 23-69; Ehrhardt 1 978; Levick 1 990, pp. 64-67. 24 Sen., Apoc. 13, 4-5 25 Sen., Apoc. 14, l . 26 Suet., Claud. 29. La corrispondenza con Svetonio diventa poi ancor più stringente se si accetta per il testo di Seneca l'integrazione di Baehrens CC< C>XXI, ammessa anche da Russo ( 1 985, p. 1 24).

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taglia corto e condanna Claudio, vietando al suo avvocato di pronunciare la difesa, chiaro contrappasso perle condanne senza processo decretate dall'accusato. In conclusione, le uccisioni di senatori e di altri esponenti dell'aristocrazia, fra cui membri della stessa famiglia imperiale, risultano essere in Seneca l'unico vero motivo del rifiuto opposto alla divinizzazione e della condanna di Claudio, che per il resto è raffigurato si come un imperatore debole, presuntuoso e pieno di difet­ ti personali, ma che senza quell'unico elemento d'accusa sembrerebbe in grado di ottenere l'apoteosi. Ora, è vero che le relazioni fra Claudio e l'aristocrazia furono fin dall' inizio assai difficili, caratterizzate dalle aspre resistenze che il senato oppose alla sua ascesa al trono27, da congiure e da progetti di attentati contro di lue8, dalla sostanziale diminuzione dei poteri e del prestigio del senato dinanzi all'affermarsi dell'autorità imperiale ; sicché, nonostante l' impegno di Claudio nel mostrare un formale rispetto nei confronti del senato, i rapporti rimasero assai fredde9, mentre anche quelli con i cavalieri, inizialmente buoni, andarono sempre più deteriorando­ si30. Tuttavia, di questa complessa situazione, delle recriminazioni a cui essa doveva aver dato adito, dei motivi politici, costituzionali ed economici non è fatta la benché minima menzione nella satira, in cui l'unico rimprovero sostanziale mosso a Clau­ dio sono e restano le uccisioni di illustri esponenti dell'aristocrazia31. La particolare sensibilità nutrita dal senato in questa materia è del resto confer­ mata da Cassio Dione, nonostante le condizioni assai frammentarie in ci è giunta questa parte della sua opera: egli attribuisce infatti in diversi passi agli imperatori da Nerva a Settimio Severo e con ogni probabilità anche a Macrino il formale impegno, espresso con decreti, lettere ufficiali e giuramenti, di non far mai mettere a morte un senatore32, il che rende credibile che tale impegno sia stato preso effettivamente da tutti gli imperatori almeno da Nerva fino a Settimio Severo33; l' importanza di esso 27 Cfr. Jung 1 972; Levick 1 990, pp. 31 ss. 28 Cfr. Levick 1 990, pp. 58 ss. 29 Cfr. soprattutto Momigliano 1 934, pp. 39 ss.; inoltre McAlindon 1 956 e 1 957; Swan 1 970, pp. 1 55 ss. e soprattutto l'analisi di Levick 1 990, pp. 93- 102, con fonti e bibliografia. 3° Cfr. Levick 1 990, pp. l 02- 1 03. 31 Del resto, il fatto che la crudeltà dimostrata nel campo delle condanne capitali costituisse metro di giudizio essenziale nei confronti degli imperatori ci è confermato dal caso di Tiberio, contro il quale l'ostilità popolare fu acuita dall'esecuzione di alcuni condannati a morte, eseguita il giorno stesso in cui era stata annunziata la morte dell' imperatore, senza che fosse loro concessa la possibilità di appellarsi a Caligola: Crevit igitur invidia, quasi etiam post mortem tyranni saevitia permanente (Suet., Tib. 75 ). 32 Dio LXVIII 2, 3 (Nerva); 5, 2 (Traiano); LXIX 2, 4 (Adriano); LXXI 30, 2-3 (Marco Aurelio); LXXIV 5, 2 (Pertinace); LXXV 2, 1 -2 (Settimio Severo, del quale comunque è detto che violò egli stesso questo giuramento); LXXIX 1 2, 2 (Macrino). 33 Cfr. Birley 1 962, il quale afferma che il silenzio su Antonino Pio potrebbe essere dovuto allo stato frammentario del testo, tanto più che il biografo deli'Historia Augusta (HA., Ant. Pius 6, 5; 7, 3-4) sottolinea il rispetto di questo imperatore verso il senato e la sua mitezza anche in occasione di congiure, tanto che Cornelio Pisciano morì di propria mano e Antonino vietò che si facessero indagi-

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nella valutazione di Cassio Dione è poi confermata dal fatto che lo storico sottolinea come Nerva e Traiano si fossero mantenuti fedeli al proprio giuramento nonostante le congiure ordite contro di essi34• Ma Cassio Dione va ben oltre queste attestazioni di fatto e ci fornisce una testimonianza, generalmente trascurata, di notevole impor­ tanza: egli riferisce infatti che nell'8 1 Domiziano, appena asceso al trono, non prestò alcuna attenzione agli elogi che venivano rivolti alla memoria di Tito per non aver mai messo a morte nessun senatore, né si curò del fatto che il senato aveva spesso cercato di votare un decreto che vietasse all' imperatore di condannare a morte un senatore Domiziano obiettava, infatti, che vi era una grande differenza per essi se la condanna veniva decisa personalmente dall' imperatore oppure se era comminata con il consenso del senato, tacendo così l'ovvia circostanza che i senatori non avrebbero comunque potuto opporsi al suo volere né rifiutarsi di condannare chiunque35• Mi sembra difficile dubitare dell'attendibilità di Cassio Dione, che poteva facil­ mente consultare documenti e proposte del senato. La sua testimonianza è dunque preziosa, non solo perché dimostra che l' impegno di non mettere a morte nessun se­ natore era criterio fondamentale nel giudizio sull'operato dell' imperatore già prima di Nerva e almeno dall'epoca della dinastia flavia, ma anche e soprattutto perché ci illumina sul contrasto politico e giuridico, in realtà irrisolvibile, a cui questa richie­ sta dava adito. Da un lato, infatti, l' impegno a non mettere a morte nessun senatore, indipendentemente dalle imputazioni e dallo stesso giudizio dei suoi pari (eviden­ temente in difficoltà, quando non affatto impossibilitati a resistere alle pressioni dell' imperatore ) doveva apparire elemento fondamentale della dignità dei senatori e della loro libertà anche nell'esercitare le proprie funzioni, talché il mantenimen­ to di questo privilegio costituiva un motivo essenziale di resistenza; dall'altro, pro­ prio questo impegno e la libertà d'azione che ne conseguiva costituivano una forte limitazione del potere imperiale e potevano divenire perfino una grave minaccia, incoraggiando il ricorso a congiure e attentati contro la vita stessa dell' imperatore. Sul piano giuridico, infine, il privilegio d' impunità richiesto dal senato comportava una pericolosa eccezione, nei casi più gravi, non solo alla !ex Cornelia de sicariis et venejiciis, che prevedeva la pena di morte per i colpevoli di omicidio36, ma anche e

n i. Tuttavia, l' impegno anche di Antonino Pio di evitare condanne capitali mi sembra esplicitamente attestato ancora da un frammento di Cassio D ione (LXX 2). 34 Dio LXVIII 2, 3; l 5, 3. Cfr. ad es. Garzetti 1 950, pp. 46 ss. Circa il modo in cui il giuramento fatto all' inizio poteva impegnare l' imperatore anche in occasione di complotti mi sembra paradigma­ tico il caso del recidivo C. Calpurnio Crasso Frugi, organizzatore di successive congiure: praticamente ignorato in maniera ostentata da Nerva, contro cui aveva ordito un complotto (Dio LXVIII 3, 2) egli fu portato dinanzi al senato da Traiano, che ne ottenne la condanna sotto la stessa imputazione (Dio LXVIII 1 6, 2), infine relegato in un' isola da Adriano e ucciso da un procuratore ancora sotto lo stesso pretesto, ma senza l'ordine dell' imperatore (HA, Hadr. 5, 5-6); cfr. Jones 1 992, pp. 1 65-66. 35 Dio LXVII 2, 4. 36 Iustinian., /nst. IV 1 8, 5; Dig. XLVIII 8; cfr. Santalucia 1 994, pp. 1 1 7-28.

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soprattutto alla lex de maiestatt?7, che comminava anch'essa l a morte a chiunque attentasse alla sicurezza dell' imperatore. In questa prospettiva, ben si comprendono sia l' insistenza dei senatori su un decreto che li avrebbe messi comunque al sicuro dalla pena di morte, sia l'opposizione dell' imperatore ad una simile misura e la pre­ ferenza da lùi accordata ad un giuramento al riguardo, che costituiva non un pri­ vilegio strappato dal senato, ma una benevola concessione del sovrano, comunque ritirabile nei casi di eccessi o di gravi minacce per la sicurezza dello Stato. n dossier in proposito si arricchisce poi se passiamo ad esaminare le testimo­ nianze nell'Historia Augusta. Nella biografia di Avidio Cassio è detto in effetti che Marco Aurelio, dopo la rivolta di Cassio, avrebbe proposto una legge secondo cui, durante tutto il suo regno, nessun senatore avrebbe potuto essere sottoposto alla pena capitale, attirandosi così larghe simpatie38; ma la notizia mi sembra chiara­ mente legata al desiderio di sottolineare la clemenza nei confronti dei partigiani di Cassio39 e dunque motivata da quella situazione40• Essa è del resto nettamente ridimensionata nella biografia di Marco Aurelio, dov'è detto che questi, ogni volta che si doveva esaminare un processo capitale nei confronti di un senatore, usava il riguardo di esaminarlo prima a porte chiuse e di rendere pubblica la sentenza solo in seguito, escludendo comunque dai tribunali i cavalieri41• Di Settimio Severo è detto poi che fece promulgare un senatoconsulto, per il quale non era consentito all' im­ peratore di far giustiziare un senatore senza aver prima sentito il parere del senato42; la posizione di Severo, come si ve de, non andava comunque oltre quella che Cassio Dione attribuisce a Domiziano. Testimonianze ulteriori mi sembrano confermare la particolare sensibilità dell'aristocrazia romana al riguardo : Claudio non fu infatti l'unico imperatore la cui divinizzazione provocò resistenze ed aspre opposizioni. Il biografo dell'Historia Augusta afferma che, dopo la morte di Adriano, molti lanciarono contro di lui accu­ se d'ogni genere; il senato voleva annullare i suoi atti e non gli sarebbe stato neppure concesso il titolo di divus se non l'avesse chiesto espressamente il successore, Anto­ nino, che riuscì a fargli erigere un tempio presso Pozzuoli e a fargli rendere le ono­ ranze convenienti al suo culto, ottenendo secondo alcuni l'appellativo Pio proprio 37 Cfr. Bauman 1 970; de Castro-Camero 2000. 38 HA, Av. Cass. 8, 7: [ ... ] rogavit, ne quis senator temporibus suis capitali supplicio adficeretur, quo illi maximum amorem conciliavit. 39 Il suo carattere contingente è del resto confermato per le stesse circostanze da HA, M. Ant. 25 , 5-6: In conscios dejèctionis vetuit senatum graviter vindicare, simulpetit, ne quis senator tempore princi­ patus sui occideretur, ne eius pollueretur imperium. Cfr. anche ibidem, 26, 13; 29, 4. 4° Come conferma, a mio avviso, la concordanza con la più esplicita testimonianza di Cassio D ione (LXXI 28, 2; 30, 1). 41 HA, M Ant. l O, 6: Hoc quoque senatoribus detulit, ut, quotiens de eorum capite esset iudicandum, secreto pertractaret atque ita in publicum proderet nec pateretur equites Romanos talibus interesse causis. 42 HA, Sev. 7, 5: Fieri etiam senatum consultum coegit, ne liceret imperatori inconsulto senatu occidere senatorem.

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per questo atto43. La notizia, e le forti ostilità diffuse contro il morto Adriano, sono confermate brevemente nella biografia di Antonino Pio44• I motivi di quest 'opposizione sono chiariti ancora da Cassio Dione il quale, ini­ ziando il racconto del regno di Adriano, ne riferisce il giuramento di non mettere mai a morte nessun senatore, quindi afferma che, nonostante avesse regnato con la più grande umanità, Adriano fu severamente criticato per aver ucciso alcuni mem­ bri deli' aristocrazia ali' inizio del suo regno e poi di nuovo verso la fine della sua vita; per questo motivo poco mancò che gli fossero negati gli onori come semidio. All' inizio, infatti, erano stati uccisi quattro consolari, A. Cornelio Palma, L. Publi­ lio Celso, C. Avidio Nigrino e Lusio �ieto, i primi due sotto l'accusa d'aver co­ spirato contro di lui per ucciderlo durante una caccia, gli altri per altre imputazioni, ma in realtà perché godevano di grande influenza, ricchezza e prestigio. Adriano era rimasto così colpito dalle reazioni che la vicenda aveva suscitato che si era difeso, giurando di non aver ordinato le loro esecuzioni. Alla fine del suo regno erano periti poi L. Giulio Urso Serviano e suo nipote Pedanio Fusco45. Su queste vicende Cassio Dione insiste ancora a conclusione del racconto del regno di Adriano, sottolineando come quest'ultimo fosse odiato dal popolo, nono­ stante per il resto avesse regnato nel migliore dei modi, a causa delle uccisioni per­ petrate all' inizio ed alla fine del suo regno, che erano state ingiuste ed empie; così, nonostante egli si fosse mostrato per il resto mite e clemente, il senato persistette a lungo nel negargli onori divini e nelle accuse contro quanti avevano commesso eccessi sotto di lui ed avevano ottenuto onori, mentre avrebbero dovuto essere puni­ ti46. Infine, iniziando il racconto del regno di Antonino Pio, Cassio Dione afferma che l'opposizione del senato all'apoteosi di Adriano, dovuta alle uccisioni di espo­ nenti dell'aristocrazia, poté essere superata solo in virtù della minaccia di Antonino di rinunciare al potere e al timore dei soldati da parte dei senatori47• La vicenda dei quattro consolari, avvenuta agli inizi del l 88, è nota anche attraver­ so la testimonianza dell'Historia Augusta, basata sull'autobiografia di Adriano48,che tuttavia presenta alcune differenze e perfino contraddizioni interné9• Adriano affer43 HA, Hadr. 27, l- 3: In mortuum eum a multis multa sunt dieta. Acta eius inritafieri senatus vole­ bat. Nec appellatus esset divus, nisi Antoninus rogasset. Templum denique ei pro sepulchro apud Puteolos constituit et quinquennale certamen etflamines et soda/es et multa alia, quae ad honorem quasi numinis pertinerent. Qua re, [ . . . ] multi putant Antoninum Pium dictum. 44 HA, Ant. Pius 2, 6: (Pius cognominatus est a senatu} [ . . . ] ve! quod, Hadriano contra omnium studia post mortem infinitos atque immensos honores decrevit. 45 Dio LXIX 2, S-6. 46 Dio LXIX 23, 2-3. 47 Dio LXX l . 48 HA, Hadr. 7, 1-4 ( fr. 4 Peter2). I l mancato silenzio d i Adriano sulla vicenda conferma l a dif­ fusione delle accuse contro di lui ed il suo impegno per difendersene : cfr. Westall, Brenk 20 1 1 , pp. 376-78. 49 In proposito ed in generale sull'episodio cfr. soprattutto von Premerstein 1 908; Jordanescu =

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m ava che i quattro erano stati soppressi senatu iubente e contro il suo volere e s i scusò in senato, giurando che in futuro non avrebbe mai punito un senatore se non dopo un voto espresso dal senato50; l'affermazione, come si vede, ribadiva ancora il ruolo riconosciuto al senato nella ratifica delle condanne, anche se è evidente che l'uccisio­ ne dei consolari era avvenuta senza un voto di condanna del senato, che al più aveva potuto partecipare al giudizio con alcuni suoi membri5 1 • La testimonianza dell'Histo­ ria Augusta è poi completata da una notizia successiva, secondo cui Adriano avreb­ be voluto sopprimere il prefetto Attiano, ai cui consigli attribuiva la responsabilità dell'uccisione dei quattro consolari, ma ne fu distolto dal malcontento diffuso per effetto proprio di quella vicenda52• �anto poi alle morti volute da Adriano, prossi­ mo alla fine, del novantenne Serviano e di suo nipote, il diciottenne Fusco, esse sono riferite sia da Cassio Dione che dall'Historia Augusta al sospetto che i due ambissero alla successione all'epoca della discussa adozione di Ceionio Commodo53• La gravità di queste vicende è evidente, ma è importante sottolineare da un lato che le uccisioni dei quattro consolari restavano ancora all'epoca della morte di Adriano, dopo ben vent 'anni, il motivo essenziale dell'ostilità contro di lui54, dall'al­ tro che l'aspra opposizione agli onori divini era motivata solo ed esclusivamente da questa vicenda e da quella recente di Serviano e Fusco55, nonostante lo stesso Cassio Dione riconosca la notevole mitezza mostrata da Adriano nelle condanne 56 e nonostante i suoi rapporti con il senato, dalla discussa ascesa al trono alla contra­ stata scelta del successore, fossero stati resi non facili anche da altri, più complessi ed importanti motivi di contrasto politico57• Infine, è da notare che, se l'Historia Augusta non fornisce un motivo esplicito 1 94 1 , pp. 66-85 ; Birley 1 997, pp. 86-89 e 94-95; Migliorati 2003, pp. 2 1 8 ss.; Galimberti 2007, pp. 45-57. 50 HA, Hadr. 7, 4: In senatu quoque excusatis, quaeJacta erant, iuravit se numquam senatorem nisi ex senatus sententia puniturum. 51 Cfr. Galimberti 2007, p. 55, che pensa ad un consilium presieduto dal prefetto Attiano in assenza

dell'imperatore. 52 HA, Hadr. 9, 3. 53 Dio LXIX 17; HA, Hadr. l 5, 8; 25, 3 e 8: cfr. per Serviano Michelotto 1 987; per Fusco Cham­ plin 1 976; per entrambi Galimberti 2007, pp. 34-36. 54 L'opinione di Migliorati (2003, p. 374), che non crede a questa motivazione, poiché a quell'epo­ ca le famiglie dei condannati non godevano più di un'adeguata infl.uenza in senato, mi sembra incon­ sistente, perché non tiene conto né del fatto che a quella vicenda si era aggiunta quella recentissima di Serviano e Fusco, né soprattutto dello spirito di corpo del senato nel difendere la propria posizione dinanzi all'autorità imperiale. ss La persistenza di questo motivo nella tradizione mi sembra confermata nettamente dal sintetico giudizio che ancora Ausonio esprime sul regno di Adriano ( Caes. 1 6: Aelius hinc subiit mediis praesignis in actis:/principia etJinemfama notat gravior [ ]). 56 Dio LXIX 5, l ; 23, 2-3. 57 In proposito cfr. Birley 1 997; Galimberti 2007, pp. 44-7 1 ; poco attendibile Thornton 1 975, pp. 437-39. ...

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dell'opposizione all'apoteosi di Adriano, Aurelio Vittore, che pure si ricollega alla versione di parte senatoria58, ci offre una variante : egli afferma che l' imperatore ave­ va ordinato di uccidere molti senatori, che si opponevano alla sua scelta di Anto­ nino Pio come successore. Morto Adriano, il senato, insensibile alle preghiere di quest'ultimo, si oppose a lungo all'apoteosi, perché afflitto dalla morte di tanti dei suoi membri; quando però apparvero i condannati, la cui esecuzione non era stata eseguita, i senatori si adattarono a concedere gli onori divini al defunto59• �esta notizia resta isolata nella tradizione; ma, anche se volessimo revocare in dubbio la volontà di Adriano di far uccidere allora i senatori contrari alla sua scelta del suc­ cessore, resta il fatto che anche Aurelio Vittore motiva comunque l'opposizione all'apoteosi con la condanna a morte di senatori, sia pure non attuata. A confermare l' importanza essenziale di questo elemento nella condotta del se­ nato riguardo alle proposte di apoteosi contribuisce, a mio avviso, ancora una testi­ monianza nell'Historia Augusta. A conclusione del suo racconto, infatti, il biografo di Commodo riferisce le acclamazioni ( sarebbe meglio dire le maledizioni ) del se­ nato ed il succo del senatoconsulto che salutò la morte di quell' imperatore. L'au­ tenticità del documento può essere discussa60, ma resta il fatto che esso è comun­ que espressione del giudizio della classe senatoria e della sua profonda reazione alla politica e alla condotta di Commodo. Ora, nelle aspre e ripetute esecrazioni della condotta di quest'ultimo ricorrono, oltre alla nota accusa di parricidio e agli insulti in quanto gladiatore, continue accuse di essere carnifèx senatus, parricida senatus, hostis senatus, qui senatum occidif1, qui senatum vendidif2, ancora, più in genera­ le, qui omnes occidit... , qui omnem aetatem occidit... , qui utrumque sexum occidit... ; infine, qui sanguine suo non pepercif3• In tutti questi passi l'esecrazione si appunta in maniera esclusiva sulle uccisioni, in particolare di senatori, considerate crimine supremo, tale da imporre la gioia per l'avvenuta morte del sanguinario tiranno. Mi sembra difficile dubitare della realtà di questa circostanza, data la qualità delle fonti: il senatore Seneca, il senatore Tacito, il senatore Cassio Dione, l'autore o gli autori dell'Historia Augusta ed Aurelio Vittore, esponenti comunque della storiografia se­ natoria ed eredi della sua tradizione, non potevano che esprimere le simpatie, le idee 5 8 In proposito cfr. soprattutto P. Dufraigne, Aurélius Victor. Livre des Césars, Paris 2003, pp. XXV ss. E, circa l'ostilità verso Adriano, pp. XXXI e 1 09. 59 Aur. Vict., Caes. 1 3- 1 4: At patres ne principis oratu quidem ad Divi honorem eidem deforendum jlectebantur; tantum amissos sui ordinis tot viros maerebant. Sed postquam subito prodiere, quorum exi­ tium dolori erat, quique suos complexi, censent quod abnuerant. L'uccisione di membri del senato è ri­ cordata come colpa precipua di Adriano anche in epit. de Caes. 1 4, 9: Hic morbo subcutaneo, quem diu placide pertulerat, victus, dolore ardens impatiensque plures e senatu exstinxit. Cfr. inoltre HA, Heliog. 7, 9- 1 0. 60 In proposito cfr. soprattutto Heer 1 90 l, pp. 1 87 ss. 6 1 HA, Comm. 1 8, 4-5; 1 9, 2. 62 HA, Comm. 1 9, 6. 6 3 HA, Comm. 1 9, 4.

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e i giudizi della casta senatoria ed è ben comprensibile che quest 'ultima, aspramente gelosa allora ( ?) dei suoi privilegi ed intenzionata a mantenerli a qualsiasi costo, non andasse tanto per il sottile: non è un caso, a mio avviso, che le fonti, così sollecite nel condannare la crudeltà degli imperatori nei confronti delle loro vittime, si mostrino invece in più occasioni decisamente reticenti riguardo all'effettiva colpevolezza di queste ultime, quando non disponibili perfino ad ammetterla. Infine, una conferma di questo atteggiamento ci è fornita dalla tradizione seguita dall'Historia Augusta riguardo all'apoteosi di Aureliano. Il biografo ammette infatti che questi era stato un sovrano crudele e sanguinario, tanto da aver fatto uccidere perfino stretti congiunti senza giustificato motivo ; per questo aveva suscitato ostilità e timori, che Mnesteo aveva sfruttati per ordire la congiura per eliminarlo. Dopo la sua morte, tuttavia, chiarita la realtà dei fatti, quelli stessi che l'avevano ucciso gli dedicarono un grande sepolcro ed un tempio64. In maniera sostanzialmente analo­ ga, già Giuliano aveva del resto affermato che contro Aureliano erano state mosse molte accuse per le ingiuste uccisioni, dalle quali egli ebbe difficoltà a difendersi, poiché ne era effettivamente responsabilé5• Anche nel caso di Aureliano, dunque, le accuse mosse al momento della morte verterono esclusivamente sulle uccisioni di esponenti dell'aristocrazia, anche se i grandi meriti che egli aveva acquisiti nel corso del suo breve regno per la restaurazione del dominio romano dovettero imporre la sua divinizzazione. L' importanza essenziale attribuita dalle fonti all'atteggiamento del senato in occasione dell'apoteosi degli imperatori corrisponde ovviamente all'orientamento degli autori che ci riferiscono queste notizie, ma dev 'essere spiegato anche, a mio avviso, con il ruolo di grande rilievo che il senato deteneva nella decisione e nella ce­ rimonia stessa. Da un lato infatti, se l'iniziativa di promuovere l'apoteosi spettava al nuovo imperatore, la decisione ultima toccava al senato, sicché la seduta del senato era l'occasione perfetta per lo scatenarsi di tutti i rancori, i risentimenti e le perples­ sità che la condotta del defunto potevano aver suscitato ; dall'altro sono a mio avviso illuminanti le descrizioni che ci sono rimaste delle cerimonie che accompagnavano l'apoteosi, ad opera di testimoni oculari. Cassio D ione infatti, descrivendo la ceri­ monia dell'apoteosi di Pertinace, a cui egli stesso aveva preso parte, narra che i sena­ tori e le loro mogli si accostarono dapprima al feretro in abiti di lutto, poi, mentre l'imperatore pronunciava l'elogio del defunto, manifestarono la loro approvazione con lodi, lamenti e pianti, quindi sfilarono dinanzi alla salma battendosi il petto, per finire con il prendere posto tutti su sedili di legno per assistere al resto della ceri­ monia66. Da parte sua Erodiano, descrivendo l'apoteosi di Settimio Severo, riferisce che all' inizio della cerimonia il simulacro del defunto, acconciato come un malato, 64 HA, Aurel. 36, 2 - 37, 1: [ ] Quo interfecto cum esset res prodita, et sepulchrum ingens et templum illi detulerunt hi, a quibus interemptus est. 6 5 Iulian., Caes. 1 2, 3 1 4d. 66 Dio LXXV 4, 4; 5, 1 -4. ...

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veniva vegliato per sette giorni da tutti i senatori in vesti nere e dalle loro mogli e figlie, in vesti bianche e prive di ornamenti. Il letto veniva poi portato a spalle da al­ cuni giovani scelti fra i senatori e dai più nobili cavalieri sino al Foro, dove un coro di fanciulli scelti fra le più nobili famiglie senatorie e di donne anch'esse nobili intona­ va inni in onore del defunto67• Come si vede, le due descrizioni concordano circa il ruolo fondamentale rivestito dal senato nella cerimonia; del resto, già Tacito attesta che, in occasione dei funerali di Augusto, i senatori avevano voluto che il corpo fosse portato al rogo sulle loro spallé8; ben si comprende, dunque, come l'approvazione e la partecipazione almeno formale dei senatori fossero elementi essenziali e il loro dissenso costituisse un problema politico assai grave per l' imperatore che volesse procedere alla divinizzazione del suo predecessore.

Appendice: Dubbi e perplessita circa l 'apoteosi alfomminile

Cassio Dione ci riferisce che, quando nel 38 Giulia Drusilla, sorella di Caligola, morì e venne divinizzata, Livio Geminio, curator della via Appia, giurò in senato di averla vista ascendere in cielo ed ottenne dall' imperatore un milione di sesterzi69• La vicenda è pure ricordata con derisione nell'Apokolokyntosis da Seneca, il quale afferma che nessuno credette a una tale storia, evidentemente inventata per avidità e cortigianeria, ed anzi cita Gemini o all' inizio della sua opera come esempio di te­ stimone inattendibile in materia70• Da parte sua l' imperatore Giuliano, nei Cesari, considera unica macchia di Marco Aurelio, da lui esaltato come il migliore degli imperatori, l'aver concesso l'apoteosi alla defunta moglie Faustina, nonostante la sua condotta scostumata; Giuliano giustifica comunque in una certa misura Marco Aurelio con la scusante dell'amore coniugale71 • Se nel caso d i Faustina è evidente che i l giudizio d i Giuliano dipende dall' adesio­ ne all'accusa d' immoralità e di relazioni adulterine con marinai e gladiatori, anche altrimenti attestata contro questa imperatrice72, mi sembra credibile che pure lo scet­ ticismo di Seneca riguardo a Drusilla fosse influenzato dal diffuso gossip circa una sua relazione incestuosa con Caligola73• Nonostante i limiti della documentazione 67 Herodian. IV l, 2-2, S. 68 Tac., Ann. I 9, S: Conclamant patres corpus ad rogum umeris senatorumforendum. 69 Dio LIX 1 1 . La vicenda non è singolare: in occasione della morte di Augusto, il senatore Nume­ rio Attico aveva reso un'analoga dichiarazione, ottenendo dalla vedova Livia lo stesso compenso: Suet., Aug. l 00, 4; Dio LVI 46, 2. Per gli onori straordinari onori resi a Drusilla cfr. ad es. Cerfaux, Tondriau 1 9S7, p. 347; Barrett 1 989, pp. 86-89. 70 Sen., Apoc. l, 2-3. 71 Iulian., Caes. 9, 3 1 2a-b. 72 HA, M. Ant. 1 9, 1 - 1 1 ; Auson., Caes. , 1 9. 73 Ioseph., Ant. XIX 204; Suet., Ca!. 24, l ; Dio LIX 22, 6; Eutrop. VII 1 2, 3; Aur. Vict., Caes. 3, lO; epit. de Caes. 3, 4 ; Hieron., Chron. p. 178 Helm ; Oros. VII S, 9 ; cfr. Barrett 1 989, pp. 8S-86 anche per

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rimastaci, possiamo ritenere che, mentre il giudizio circa l'apoteosi degli imperatori era condizionato dalla loro umanità e clemenza nel campo delle esecuzioni capitali, quello relativo alle imperatrici fosse improntato piuttosto al giudizio morale circa la loro condotta personale e le loro virtù, conformemente alla morale corrente, che apprezzava nella donna soprattutto quel genere di qualità. Può essere comunque interessante notare che nella tradizione senatori a a cui Giuliano parrebbe ricollegar­ si, Faustina è rappresentata anche come donna assai decisa e non incline alla pietà, tanto che avrebbe raccomandato al marito di usare il pugno di ferro contro i respon­ sabili della ribellione di Avidio Cassio74•

la diffusione della notizia già fra i contemporranei. Si noti che in altre occasioni, riguardo a personaggi meritevoli, Seneca si mostra tutt'altro che contrario agli onori divini: cfr. Altman 1 938. 74 HA, Av. Cass. 9, 1 1 - 1 2.

PER l VIVI O PER l M ORTI ?

Orietta Dora Cordovana

Politica e consecra tio in età giu lio-claudia e antonina

In una recente e sintetica messa a punto sul culto dei divi e la consecratio John Scheid lamentava come molti aspetti di questo istituto e il connesso rituale rimangano an­ cora assai poco chiari, nonostante la notevole messe di studi dedicati a questo tema e al culto imperiale in genere. In quel suo lavoro, pubblicato alcuni anni fa, lo studio­ so francese teneva a distinguere e separare il rito funebre dalla consecratio effettiva, poiché osservava che «l riti della morte sono sempre concepiti come il contrario di questo mondo e soprattutto del mondo celeste » 1• Ne derivava che le immagini dei divi, poiché immortali, non potevano più essere presenti nelle processioni funebri, e i divi stessi come tali non potevano essere posti in relazione con la morte in alcun modo. La consecratio afferma Scheid - avveniva necessariamente alla fine dei fune­ rali ufficiali, quando cioè aveva luogo la cerimonia di apoteosi vera e propria. Se da un lato è un dato di fatto che i meccanismi e le implicazioni del culto im­ periale presentano ancora numerose incognite e lati oscuri, d'altro canto non si deve nemmeno trascurare che gran parte della procedura e del rituale di apoteosi di un imperatore defunto è stata ampiamente chiarita e fissata negli studi storico-religiosi prodotti sin dai tempi del magistrale lavoro di Bickerman del l 929, e dall'acuta disa­ mina di Calderone del l 97Y. Da allora l' interesse degli studiosi si è concentrato su alcuni aspetti peculiari dell'apoteosi. In particolare sono state definite e analizzate le varie fasi che scandivano il protocollo e gli aspetti formali legati al rituale funebre e alla dichiarazione ufficiale dell' imperatore defunto nel novero dei divi. Alcune ri­ cerche sono state anche concentrate sullo studio storico-filologico del canone degli -

1 Scheid 2006. 2 Bickerman 1 929; Calderone, 1 973. Si vd. anche Fishwick 1 987-2002, ll, 1 , pp. 423 ss., 436 ss. Lozano G6mez 20 1 0, pp. 50-90.

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imperatori divinizzati e sull'analisi del culto imperiale e della consecratio nella tran­ sizione tra paganesimo e cristianesimo3• E per quanto si sia ancora lontani dali' avere indagato tutti gli aspetti politici e religiosi e le componenti cultuali e teologiche del culto imperiale, connesso com'è a quella serie di variabili spazio-temporali tra centro e periferie dell' impero, tra religione tradizionale e credo cristiano, riguardo l'apoteosi in modo specifico si possono fissare alcuni punti fermi. In primo luogo gli studi sul tema confermano il ruolo indiscusso e fondamentale del senato che, com'è stato già rilevato, della consecratio fece sua esclusiva prerogativa nell'attivazione e osservazione scrupolosa di uno specifico protocollo4• Da ciò deri­ va il prevalente e generale carattere politico sotteso a ogni procedura di consecratio e, quindi, il valore della consecratio quale atto politico in se stesso. In secondo luogo, è stato posto l'accento sulla formalizzazione del protocollo di apoteosi imperiale secondo stadi procedurali determinati. La prima fase della pro­ cedura riguardava l'emissione del senatus consultum da parte del senato che rendeva esecutiva l'apoteosi. Seguiva, ma poteva anche precedere, la celebrazione delfunus publicum o imaginarium che fosse, secondo le circostanze specifiche legate al luo­ go di decesso dell' imperatore, se in aree di confine provinciali, nella capitale, o in prossimità di quest'ultima. L'ultimo adempimento del protocollo, infine, consiste­ va nella cerimonia di apoteosi vera e propria che poteva aver luogo solo a termine del luctus publicus5• Un terzo aspetto oggetto di analisi negli studi sull'argomento riguarda l'unici­ tà e specificità di ogni consecratio imperiale. Fattori contingenti ( anche di carattere ambientale), e le peculiari situazioni storico-politiche alla morte di un imperatore ovviamente condizionavano le modalità di esecuzione protocollare e ne determina­ vano la stessa ragion d'esseré. In conformità con queste premesse e punti di partenza, allora, quali potrebbero essere i successivi passi avanti nello studio di un argomento così complesso e pro­ blematico, date le sue implicazioni politiche e socio-culturali che vanno ben al di là deli' aspetto rituale e, per certi versi, teatrale e di apparato nella messa in scena del culto imperiale ? Un aspetto fondamentale, ma fino ad ora trascurato, riguarda la posizione po­ litica e il ruolo del successore all' impero che introduceva in senato la richiesta per l'apoteosi del predecessore. Di là dagli aspetti di procedura formale relativi alla ro­ gatio del principe successore, su cui purtroppo le fonti non sempre ci illuminano con tutta la dovizia di particolari che vorremmo, è mia intenzione esaminare alcuni 3 Si vd. per es. Bonamente 1989a; 1 99 1 ; 20 l O. 4 Bonamente 1 994; 2002. 5 Si cfr. per es.: Arce 1 988, pp. 1 25 e ss.; Clauss 200 l, pp. 356 ss.; Chalupa 2007. Sugli aspetti visivi di questo particolare tipo di comunicazione politica legata all'apoteosi Bechtold 20 1 1 , pp. 227 ss. 6 Price 1 987; Arce 1 988, pp. 1 26- 1 3 1 ; Fishwick 2002; Gradel 2002, pp. 282 ss.; Benoist 2005, l 05 ss.; 1 36 e ss.; 147 e ss.

Per i vivi o per i morti?

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elementi specifici della consecratio. Piuttosto che considerare questo istituto esclusi­ vamente dal punto di vista rituale e formale del culto religioso tributato all' impera­ tore defunto, può essere utile ricostruirne gli aspetti politici e gli elementi giuridici che erano funzionali al consolidamento del potere e alla legittimità dell' imperatore vivente. Un'attenta valutazione di tali aspetti della consecratio, che ruotano cioè più sul rafforzamento politico e sulla legittimità giuridica del successore che sull'osse­ quio rituale e religioso dell' imperatore defunto, credo possa aprire e chiarire scenari diversi dei meccanismi in opera. Tutto questo, del resto, si pone ancora nel solco di quel Leitmotiv specifico dei delicatissimi rapporti tra il princeps interpares e il sena­ to nel corso di almeno due secoli di storia imperiale. Gli studiosi sono pienamente concordi sul fatto che Settimio Severo abbia ma­ nipolato fortemente il rituale di apoteosi imponendo al senato l' inserimento di Per­ tinace e Commodo tra i divP. Non vi sono dubbi che tale intervento e imposizione e tale uso della consecratio siano stati strettamente finalizzati alla legittimazione po­ litica nella successione imperiale di un homo novus, la cui famiglia solo per i tempi più recenti poteva annoverare esponenti tra i ranghi dei consulares, senza un passato antico e nobile per le sue ascendenze politiche e aristocratiche. È necessario concen­ trare, però, l'attenzione su fasi politiche della successione imperiale antecedenti l'età severiana e su momenti cronologici alquanto diversi. Vi sono buone ragioni, infatti, per sostenere che l'esigenza di proclamare divus un imperatore defunto avesse la sua principale ragion d'essere specialmente nella legittimazione ufficiale del successore, e questo si può osservare nelle modalità di avvicendamento degli imperatori e nella trasmissione del potere già tra l'età dei Giulio- Claudi e degli Antonini. La consecra­ tio forzata di Commodo, come la manipolazione dell'apoteosi di Pertinace, in que­ sta prospettiva legata agli interessi politici del sovrano regnante, più che agli onori effettivi per la memoria del defunto, non si configurano come un caso unico e un episodio isolato legato alla figura di Settimio Severo. Al contrario, costituirebbero l'esito di continuità nel solco di una specifica tradizione caratterizzata da esempi diversi che pure scaturivano da contingenze storico-politiche diverse. Sostrato ideologico e culturale

La necessità di affermare una legittima successione imperiale fu un elemento costan­ te del principato e pratica cruciale ben radicata tanto in uno specifico habitus politi­ co quanto supportata dall' ideologia filosofica legata alla maiestas imperiale. Dall'età repubblicana sino all' impero degli Antonini la produzione di scritti politici e l' ela­ borazione filosofica e intellettuale greco-latina offrono numerosi esempi nel deli7 Dio LXXIII 1 7, 4 (Boiss. III, p. 322); HA, Comm. 17, 1 1 - 1 2; Pert. 1 5, 1 -5; Sev. 7, 8-9; 1 1 , 3-4; 1 2, 8; 1 9, 3. Ulteriori testimonianze si hanno nelle emissioni numismatiche con le monete di consecra­ tio e di adoptio: RIC 4. 1 , pp. 92- 1 03; BMCRE 5, pp. 25, 4 1 -2, 25 1 , 479-80.

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neare l' ideale di uomo di Stato e, quindi, del sovrano. Possiamo riconoscerne già in età repubblicana una componente di ascendenza stoica che, tuttavia, non prescinde da elementi di influenza pitagorica e neo-platonica. In ogni caso è evidente - e non potrebbe essere altrimenti - che si tratti di una concezione aristocratica del potere e della forma di Stato. Nel definire il sostrato ideologico alla base dell' istituto di con­ secratio sono in primo luogo assai istruttivi alcuni passi famosi di Cicerone tratti dal De Republica. Il sesto libro è consacrato alla mirabile sezione nota come Somnium Scipionis, che chiarisce in modo efficace quello che rappresentava il modello etico e ideologico dell'uomo politico e di Stato per eccellenza, del suo ruolo non solo nella società, ma in generale espressione partecipe di quell'armonia cosmica presieduta dagli dèi. Scipione l'Africano guida il nipote (adottivo), l' Emiliano, in questo viag­ gio onirico nell'aldilà, quasi seguendo un iter pitagorico nella metempsicosi delle anime, ma al contempo consapevole di reminiscenze platoniche nel mito di Er: Ma perché tu, Africano, sia più sollecito nel difendere lo Stato, tieni ben presente quanto segue: per tutti gli uomini che abbiano conservato gli ordinamenti della pa­ tria, si siano adoperati per essa, l'abbiano resa potente, è assicurato in cielo un luogo ben definito, dove da beati fruiscono di una vita sempiterna. A quel sommo dio che regge tutto l'universo, nulla di ciò che accade in terra è infatti più caro delle unioni e aggregazioni di uomini, associate sulla base del diritto, che vanno sotto il nome di città : coloro che le reggono e ne custodiscono gli ordinamenti partono da questa zona del cielo e poi vi ritornano8•

�esto è l'esordio della scena che inquadra le immagini di questi uomini che non appartengono a schiere comuni. Nei capitoli successivi, infatti, si ampliano e si defi­ niscono in modo più preciso i concetti sulla concezione trascendentale e l'eternità delle anime di uomini nobili che servono lo Stato. Così il giovane Scipione è esorta­ to a « coltivare la giustizia e il rispetto dei valori che [ . . . ) giungono al vertice quando riguardano la patria » , cioè la collettività e il bene comune che essa rappresenta. Una vita esemplare siffatta « conduce al cielo e a questa adunanza di uomini » , uomini eletti che il giovane vede dinnanzi ai suoi occhi9• �este anime appartengono a co­ loro che sono riusciti a liberarsi dalla materialità del loro corpo. Solo questo, infatti, è mortale, poiché « l'essere di ciascuno di noi è la mente, non certo l'aspetto este­ riore » . Da ciò deriva un elemento essenziale: la mente di un politico lungimirante e avveduto che si dedica alle occupazioni più nobili riguardanti il bene della patria, fa sì che egli sia « un dio, se davvero è un dio colui che vive, percepisce, ricorda, pre­ vede, regge e regola e muove il corpo cui è preposto, negli stessi termini in cui quel dio sommo governa questo universo » 10• L'uomo di Stato è parte della lungimiranza 8 Cic., Rep. VI 1 3, trad. it. D. Fusaro 20 1 1 . 9 Cic., Rep. VI 1 6. 1 0 Cic., Rep. VI 26.

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divina e del patto d i armonia tra gli uomini e gli dèi; suggella questo patto e ne è garante. Alla sua morte, quando ha fine solo la sua esistenza materiale sulla Terra, si verifica quel ritorno alle origini dell'anima stessa che appartiene agli dèi. �esd passaggi del Somnium sono tanto più rilevanti quanto più contrastano per contenuto e tensione emozionale con le asserzioni espresse nel primo libro delle Tusculanae Disputationes. Diversa è, infatti, la sorte e la condizione che riguarda le anime di uomini più comuni, anche se di elevata educazione, che devono 'imparare a morire' separando l'anima dal corpo. Gli uomini saggi, che per legge di natura si preoccupano delle cose future e quindi della loro sorte alla fine della vita, possono solo aspirare di essere ricordati dopo la loro morte in virtù del ben operare durante la loro esistenza. A cosa serve, infatti, dedicarsi all'agricoltura o al governo della cosa pubblica, al mettere al mondo dei figli o adottarli, rispettare i testamenti, o costruire monumenti funebri, se non per serbare la memoria del nostro nome e così condivi­ dere un poco di eternità ? 1 1 D i certo quest 'opera fu tra l e ultime composte dal grande avvocato e , soprat­ tutto, è contestuale ad un periodo tragico della sua vita devastato dalla morte della figlia Tullia, che coincise anche con il suo ritiro dalla vita politica dopo la disfatta di Tapso, il suicidio dell' Uticense e il crollo delle speranze repubblicane. Nell'ambito di questo sfondo culturale e filosofico il Somnium, allora, rappre­ senta un punto di partenza nello sviluppo di una concezione aristocratica dell' ide­ ologia politica che sottende al sistema stesso della consecratio, processo di apoteosi nel distacco terreno dell'anima di un divus. D'altro canto, in un arco temporale ben definito dalla tarda Repubblica all'età antonina, uno dei punti di arrivo di questa stessa visione ideologica del sovrano può essere individuato in quelle Meditazioni di Marco Aurelio in cui la fatica concreta (e a volte il dolore) del governare è impernia­ ta sulla 'missione', nobile servitium, dell' imperatore e dell'uomo politico chiamato alla cura dei più alti interessi dello Stato12• In questi termini gli elementi di contatto con tutto il sistema istituzionale imperniato sulla consecratio e sulla cerimonia di 11 Cic., Tusc. , I 31 e 32: «L' indizio più grande in verità è che la stessa natura, per quanto in modo implicito e inespresso, dà un giudizio di valore sull' immortalità delle anime, poiché la più grande pre­ occupazione degli uomini consiste in quale sia la memoria che di loro si conserverà dopo la morte. 'Pianta alberi per le generazioni future', come dice Stazio nei Synephebi, riferendosi a cosa se non al fatto che anche i secoli futuri ci riguardano? Il contadino diligente, allora, pianterà alberi di cui egli stesso non vedrà mai i frutti; un grande uomo di Stato forse che non istituirà leggi a fondamento della repubblica? A cosa serve mettere al mondo dei figli, eternare il proprio nome, adottare dei figli ? A cosa serve la cura dei testamenti ? Che cosa significano gli stessi monumenti sepolcrali e gli elogi funebri, se non anche il fatto che pensiamo al futuro ? 32 [ ] �este cose ormai passate sono eternate secondo il culto comune: cosa crediamo allora abbiano pensato in questa repubblica uomini tanto numerosi e tanto degni uccisi per lo Stato ? Forse che il loro nome finisce al termine stesso della loro vita? Nessuno mai si sarebbe offerto alla morte per la patria senza una grande speranza di immortalità » (T. d. A.). 1 2 Mare. Aur. I 1 4- 1 5; VI 7; 44; VII 67-69; IX 23; XI 1 8. Si vd. anche il bell'articolo, ancora valido e stimolante, di Volkmann 1 967. ...

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apoteosi imperiale appaiono conseguenti e parte di un presupposto politico, reli­ gioso e culturale ben specifico. L'apoteosi imperiale riceve su queste basi una siste­ mazione logica assai coerente, per quanto si arricchisca di nuovi elementi nel corso del tempo. Il Somnium e le Meditazioni, sebbene frutto di momenti cronologici diversi in oltre due secoli di storia politica, rappresentano le componenti fondamentali del medesimo pensiero ideologico che si sviluppa secondo una linea ideale. Altri scritti si collocano a metà strada di questo processo di elaborazione culturale, e un momen­ to intermedio si può ben distinguere in un passo tratto dal de benejiciis di Seneca. Vi è qualcosa di nuovo : QE_esto omaggio dobbiamo agli uomini virtuosi: onorabili non solo finché sono da­ vanti ai nostri occhi, ma anche una volta scomparsi; come essi fecero in modo di gio­ vare non solo alla loro età, ma di lasciare i loro benefici anche a quelle successive, così noi non dobbiamo limitare la nostra riconoscenza a una sola vita. QE_esti ha generato dei grandi uomini: è degno dei nostri benefici, qualunque sia il suo valore, perché ci ha dato dei figli che ne sono degni. QE_esti discende da antenati illustri: qualunque sia il suo valore, sia coperto dall'ombra dei suoi. Come i luoghi oscuri sono rischiarati dal riflesso del sole, così coloro che non hanno fatto nulla risplendono della luce dei loro antenati 13•

Si è sulla stessa lunghezza d'onda del Somnium e, tuttavia, sembra imporsi gradual­ mente a fondamento dell'esercizio del potere la validità di un principio di legittimi­ tà dinastica e di sangue : il ruolo dei grandi uomini di Stato che hanno beneficiato la loro patria riverbera, si trasmette, si riflette sui loro figli, anche nel caso in cui questi ultimi non compiano in particolare nulla di ragguardevole. Nel corso di un secolo Plinio il Giovane ed Erodiano fanno eco a Seneca, rispettivamente nel Panegirico a Traiano e nel discorso ufficiale tenuto da Commodo per la sua successione indivi­ duale all' impero, alla morte di Marco Aurelio. Il principio dell'adoptio, sistema rela­ tivamente recente nella successione imperiale dopo la dinastia dei Flavi, è canonizza­ to nelle parole di Plinio nell'affermare che « non esiste prova più certa della divinità di un principe che prima della sua morte abbia scelto il suo degno successore » 14• Ma alcuni decenni dopo l'assolutismo monarchico si impone nelle parole di Commodo che, esortando i soldati a rinnovare i voti di fedeltà e ubbidienza nei suoi confronti, rivendica la legittimità al potere per diritto di nascita: Il destino designò me come suo successore, ed io non sono estraneo alla dignità di principe, come quelli che prima di me furono elevati da un potere ricevuto in dono ; io solo fui generato nella dimora di un sovrano, e non fui suddito nemmeno in fasce: 1 3 Sen., Ben. IV 30, 3-4 ( trad. it. Reale 1 994, p. 557). Per altri esempi nella storiografia si vd. Fi­ shwick 1 990. 1 4 Plin., Pan. 1 1 , 1 -3.

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appena venni alla luce, mi avvolse la porpora regale, e il sole mi vide nello stesso istante uomo e imperatore. Considerando queste cose, ben a ragione dovete amare colui che è vostro sovrano per diritto di nascita, e non per una scelta arbitraria. Mio padre dunque, salito al cielo, ormai si accompagna agli dèi, e siede nel loro consesso ; a me conviene curare la sorte dei viventi, e amministrare le cose di questo mondo15•

�este testimonianze, solo alcune tra numerose, sono rilevanti nel mostrare il tes­ suto connettivo di quell' ideologia aristocratica legata alla legittimità del potere imperiale che slitta gradualmente dal valore dell'adoptio per scelta di un migliore designato, all'acquisizione di una successione dinastica per diritto di nascita 16• La consecratio tra la Repubblica e l' Impero

Con tali premesse di tipo politico-ideologico e culturale e, soprattutto, sullo sfondo dell'ambigua opposizione politica tra il senato e il principe che caratterizza tanto il pri­ mo quanto il secondo secolo dell' impero, la consecratio non era solo e semplicemente un rituale religioso ridondante connesso al culto imperiale oppure, come è stato so­ stenuto, un ennesimo omaggio e ossequio del senato nei confronti dell' imperatore17• Nella sua interezza procedurale, infatti, la consecratio poteva rappresentare, da un lato, una sorta di spettacolarizzazione rituale e visiva a livello di massa della successione imperiale. Dall'altro, però, la procedura stessa con il suo protocollo politico definito era rilevante a livello ufficiale e formale per la transizione giuridica della trasmissione del potere e fondamentale per gli stessi presupposti della legittimità successoria del regnante. Su questo punto in particolare è necessario ora concentrare l'attenzione. Per meglio definire tali aspetti politici e giuridici della consecratio dobbiamo bre­ vemente accennare alle origini repubblicane del problema, ancora alla cruciale morte di Cesare e, per così dire, alla sua 'dilatatà apoteosi in senso temporale. L'assenza del nome di Cesare dal canone dei divi nel cui nome si esercitava lo ius iurandum e si rin­ novavano i vota (in ordine gerarchico) del senato, delle coorti pretorie, dell'esercito, e del popolo tutto ad ogni nuova accessione imperiale è stata considerata anomala, in quanto connessa alle alterne vicende della sua fama e sottoposta a più riprese ad una rimozione della memoria storica18• �esta vicenda, tuttavia, può apparire in una 15 Hdn. I 5, 3-6 ( trad. it. Càssola 1 967 ) . 1 6 Si cfr. in proposito Clauss 200 1 , pp. 356-375; Moulinier-Arbo 2002. Sugli aspetti legati all'ere­ dità del potere politico in particolare si vd. ora Marastoni, Mastrocinque, Po letti 201 1 , pp. 3-8 ss. 1 7 Si vd. le considerazioni pur condivisibili di Arce 1988, pp. 1 25 ss.; Gradel 2002, pp. 26 1 -369 considera lo scopo 'didattico' dell'apoteosi da parte del senato che, in tal senso, stimolerebbe l' impe­ ratore vivente ad una retta condotta secondo 'role models: per essere ben ricordato e divinizzato a sua volta dopo la morte. 1 8 Tac., Ann. I 7-8, specifica le gerarchie nell'esecuzione dei giuramenti. In particolare si cfr. Bona­ mente 1 993; si vd. anche Bravi 20 1 1 .

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luce diversa soprattutto se vediamo nel processo di apoteosi un istituto funzionale innanzi tutto all' interesse politico del successore. Sin dalla consecratio di Cesare ap­ pare chiaro, infatti, come tutto l' iter procedurale si concentrasse sull'efficacia giu­ ridica post mortem degli atti del dictator. L' intero processo, quindi, era suscettibile di manipolazione ideologica e politica nel consolidare la legittimità del nuovo capo carismatico. In altri termini: la consecratio di Cesare fu per il figlio adottivo Ottaviano uno strumento politico fortissimo che, dilatato in termini cronologici anche ai fini di costruzione del consensus, ebbe come obiettivo precipuo che disposizioni politiche, atti religiosi e giuridici compiuti dal padre adottivo, tra cui lo stesso testamento, con­ tinuassero ad avere efficacia dopo la sua morte. Si sa bene che quella morte cruenta era gravata dallo spettro d' illegittimità per aspirazioni a un potere assoluto e tirannico. Per questo potremmo anche dire che quella di Cesare fu un'apoteosi necessariamente dilatata in senso temporale, cioè dal primo Gennaio del 42 a.C., quando i triumviri pretesero il giuramento in acta Caesaris, sino al trionfo nell'Agosto del 29 a.C. dopo Azio, quando venne dedicata I'aedes del Divo Giulio19• Il valore di quell'apoteosi era duplice, ma secondo un'aporia di base di cui gli antichi erano ben consapevoli. La consecratio di Cesare da un lato garantiva la legittimità di Ottaviano ; ma dall'altro costituiva una rottura, anzi 'la' rottura repubblicana rispetto ad Ottaviano e al nuovo corso giuridico imperiale. Richiamare in seguito il Divo Giulio nei vota e nei giura­ menti avrebbe significato bypassare lo snodo cruciale dell' impero di Augusto, con i suoi fondamenti giuridici, per quanto esso avesse comunque le sue fondamenta nel mos giuridico e cultuale della Repubblica. Nella documentazione storiografica successiva, pertanto, non si può conside­ rare solo come un atto di omaggio politico, come consuetudine, o manifestazione retorica di propaganda, il riferimento frequente alla rogatio del principe successore al senato in favore della consecratio del predecessore defunto20• Né la richiesta, né la concessione senatoria, o il diniego dell'apoteosi per personalità specifiche ap­ pare frutto del caso. Così avvenne, ad esempio, della rogatio di Gaio Caligola per l'apoteosi di T iberi o che fu rifiutata dal senato. Cassio D ione dà una ragione spe­ cifica di questo rifiuto dei senatori, che acquisirono una condotta ambigua, « poi­ ché non conoscevano ancora in modo chiaro la disposizione d'animo del giovane imperatore » Y Da questa asserzione si deve trarre indizio, allora, come il processo di consecratio fosse direttamente correlato alla posizione del principe successore e, 19 Dio XLVII 1 8, l (Boiss. II, p. 223). 20 Si vd. anche Gesche 1978, che pur osservando il valore della consecratio in funzione della legitti­ mità del principe successore, attribuisce importanza prevalente all'assunzione del titolo Divifilius con evidente carattere di propaganda. 21 Dio LIX 3, 7 (Boiss. II, p. 62 1 ) : «Non votarono immediatamente; infatti, da un lato esitavano nel non onorario del tutto, dall'altro non osavano disonorarlo apertamente, poiché non conoscevano ancora in modo chiaro la disposizione d'animo del giovane imperatore. Procrastinavano ogni cosa a quando egli fosse stato presente. Dopo che il suo corpo fu condotto in città di notte, fu onorato con nient'altro che un funerale pubblico >> (T. d. A.).

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sembrerebbe, proprio a ratifica della sua legittimità al potere. Nel caso d i Caligola, quindi, questo rifiuto del senato potrebbe anche essere indizio di una posizione politica alquanto debole che, aggravandosi nel corso del suo regno, ne determinò la fine cruenta e alquanto precoce dopo soli quattro anni di reggenza. Con queste premesse, poi, è conseguente la circostanza che sotto Claudio, suc­ cessore di Caligola, si giurasse solamente in acta Augusti, tralasciando Tiberio e Caligola. Ma Claudio, dal canto suo, richiese al senato l'apoteosi di Livia. �esta richiesta a dodici anni dalla morte dell' imperatrice non deve sorprendere. Se si con­ sidera quella particolare successione familiare e dinastica dopo la rivolta dei preto­ riani contro Caligola, Claudio per cause di forza maggiore ovvie doveva eludere sia la consecratio di Tiberio sia di Caligola invisi al senato. La sua successione all' impero si istituiva principalmente per via femminile attraverso la nonna materna Ottavia, sorella di Augusto. Sua nonna Livia per parte di padre, però, rappresentava il raffor­ zamento più concreto e il legame più stretto per consolidare la sua posizione succes­ soria con il potere imperiale di Augusto enfatizzando la linea maschile diretta22• È istruttivo il racconto dell'accesso all' impero di Claudio nella biografia di Svetonio. Elementi specifici sono posti in stretta relazione nella loro sequenza temporale : cle­ menza di Claudio nei confronti di quanti erano stati responsabili dell'uccisione di Caligola, con l'eccezione di pochi tribuni e centurioni condannati a morte ; giura­ mento nel nome di Augusto; richiesta di apoteosi per Livia23• A parte le circostanze contingenti che emergono dalla lettura del passo, è im­ portante porre l'accento su un aspetto specifico di valore generale. La consecratio è dominio e sfera costitutiva del sacrum, tanto che nei resoconti degli storici il riferi­ mento ai giuramenti sacri è spesso contestuale e comunque connesso alla consecratio stessa. �esto è chiaramente riferito da Cassio Dione : Il nome di Gaio non è presente nel catalogo degli imperatori ( scii. divi) di cui fac­ ciamo menzione nei giuramenti e nelle preghiere, come neanche quello di Tiberio e neppure quello di coloro di cui si decretò damnatio memoriael-4•

Com'è noto, la damnatio memoriae costituiva l'antitesi dell'apoteosi. Con l' apoteo­ si i divi entravano a far parte di un canone, di una lista che, conferma Cassio D ione, è rilevante nei giuramenti e nelle preghiere. In conformità a queste testimonianze, dunque, si può rilevare una forma di connessione diretta tra la consecratio, i vota ( le preghiere per la salute imperiale appunto ) e lo ius iurandum ( giuramento di fedel­ tà) . �esti elementi intrinseci alla consecratio stessa creano inoltre un collegamento interdipendente con quello che è il valore pubblico e sacro della stessa maiestas im22 Su questo aspetto in particolare si cfr. anche Corbier 1 995; Marastoni, Mastrocinque, Paletti 20 1 1 , pp. 88 ss. e in questo stesso volume il contributo di A. L. Morelli e E. Filippini. 23 Suet., Cl. 1 1 , 1 -2. 24 Dio LX 4, 6 ( Boiss. Il, p. 667. T. d. A.).

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periale. A proposito di Tiberio e della sua attitudine 'ipocrita' ( da un punto di vista senatori o ) Tacito osservava e confermava nei termini seguenti la relazione tra questi elementi e la loro rilevanza per i fondamenti della regalità: Tiberio ricusò l'appellativo di padre della patria, più volte offertogli dal popolo ; né acconsentì a pronunciare giuramento sui suoi atti, per quanto l'avesse deliberato il senato, poiché andava ripetendo che incerte erano tutte le cose mortali, e che il terre­ no sarebbe stato quanto più sdrucciolevole sotto i suoi piedi, quanto più alto egli fos­ se salito in potenza. Non riusciva, tuttavia, a dimostrare la verità dei suoi sentimenti liberali; aveva infatti rimesso in vigore la legge di lesa maestà, che pur con lo stesso nome era dagli antichi applicata per ben altre colpe; se qualcuno avesse pregiudicato la sorte dell'esercito con il tradimento, il popolo con le sedizioni, ed avesse offeso la maestà del popolo romano con la cattiva amministrazione della cosa pubblica, allora si prendevano provvedimenti contro i fatti, mentre contro le parole non vi era pena25•

Ma cosa era esattamente sacer, e perché rilevava in quanto publicus? Attingere a una formula di giuramento sacro significava fare appello a un qualcosa che apparteneva alla collettività pubblica e quindi a una fonte di diritto stesso. Più precisamente : ren­ dere sacro qualcosa o qualcuno nella società romana e nel diritto romano significava consegnarlo alla collettività pubblica, esattamente come apprendiamo dai Digesta: « Sono sacre quelle cose che sono pubblicamente consacrate, non privatamente » 26• Tali cose sacre, quindi, acquisivano carattere pubblico e non potevano essere private. Inoltre, era anche prerogativa esclusiva dell' imperatore rendere qualcosa 'sacra' cioè 'pubblica: nel consegnarla alla collettività27• A questo fa eco un altro rescritto dei Digesta rilevante per le cause di alto tradimento, laesa maiestas: Coloro i quali diano alle fiamme statue o immagini dell' imperatore già consacrate, o altrimenti commettano qualcosa di simile ( danneggiandole o distruggendole ) , sono passibili della legge Iulia maiestati�8•

Consacrare un divus era per certi versi consegnare alla collettività e rendere pub­ blica, cioè sacra, la sua memoria e il suo culto, ma soprattutto la memoria delle sue azioni, delle sue leggi che vincolavano i successori e della cui stessa legittimità e tra­ smissione questi ultimi dovevano avvalersi. In questo quadro, allora, il dato che la cerimonia di apoteosi ponesse fine allo iustitium, il periodo di sospensione di ogni 25 Tac., Ann. I 72, l (trad. i r. B. Ceva 1 987). 26 Marcianus, l. 3 inst. , D. , I 8, 6, 3: Sacrae autem res sunt hae quae publice consecratae sunt, non private (T. d. A.). 27 Ulpianus, /. 68 ad edictum, D. I 8, 9, l . 28 Venonius, /. 2 de iudiciispublicis, D. XLVIII 4, 6: Qui statuas aut imagines imperatoris iam conse­ cratas conjlaverint aliudve quid simile admiserint, lege lulia maiestatis tenentur (T. d. A.).

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attività giuridica a seguito e durante il lutto pubblico, è circostanza d i logica conse­ guenza nell'applicazione di una consuetudine giuridica pur radicata nella sfera reli­ gioso-cultualé9. E non è accidentale quando Svetonio, ad esempio, riferisce che uno dei primi atti dell'esecutivo di Claudio immediatamente a seguito della damnatio di Gaio fu proprio quello di abrogare diverse delle sue leggi considerate ingiuste. Lo ius iurandum e il rinnovamento dei vota nel nome dei divi implicavano il riconosci­ mento di tutti gli atti imperiali pregressi e la loro continuità nella nuova figura im­ periale. Essi costituivano fondamento di regalità e legame diretto, attraverso l' intera procedura di consecratio, con il sistema giuridico legato al nuovo esecutivo imperiale, legittimità della successione e, attraverso lo ius iurandum, il riconoscimento della validità degli atti imperiali passati e futuri, ma con una continuità di transizione nel presente formalizzata e resa nella sua dimensione 'pubblicà dalla stessa cerimonia di apoteosi. �esto tipo di strutturazione è frutto di un processo che possiamo di­ stinguere nelle sue fasi fondamentali dall'età repubblicana fino a Claudio, poi con Vespasiano e, infine, nella sua forma stabilizzata in età antonina. Vespasiano determinò un punto di svolta. Dopo il longus et unus annus e la ce­ sura con la successione dinastica giulio-claudia, il primo dei Flavi fissò in modo de­ finitivo i fondamenti giuridici del principato e della maiestas imperiale. È ovvio che la situazione politica gli impediva di chiedere l'apoteosi del tiranno Nerone. Vespa­ siano non cercava lo scontro diretto con il senato e, tuttavia, è cruciale la sua !ex de imperio. È bene ricordarne alcuni passaggi: Abbia il diritto e il potere di compiere e realizzare qualunque cosa riterrà utile allo Stato per la grandezza delle questioni divine, umane, pubbliche e private, così come poterono fare il divo Augusto, T iberi o Giulio Cesare Augusto, Tiberio Claudio Ce­ sare Augusto Germanico. L' imperatore Cesare Vespasiano sia svincolato da quelle leggi e da quei plebisciti dai quali fu scritto che non fossero vincolati il divo Augusto o Tiberio Giulio Cesare Augusto e Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico e all'imperatore Cesare Vespasiano Augusto sia consentito fare tutto quello che fu ne­ cessario che facessero, in base a qualsiasi legge o proposta, il divo Augusto, Tiberio Giulio Cesare Augusto o Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico30 •

Anche in questo caso di natura puramente giuridica, trattandosi di un senatus consultum che non coinvolge il livello religioso rituale e di culto come nei senatus consulta di consecratio, il richiamo agli imperatori 'legittimi' nella consuetudine del diritto è un termine d'obbligo. Augusto, Tiberio e Claudio sono fondamento giu­ ridico e costituiscono il fulcro nella messa a fuoco di diversi paragrafi della !ex de imperio. Ne sono esclusi i tiranni colpiti da damnatio memoriae, i cui atti non hanno più alcuna validità legale. 29 Si vd. in partic. Bonamente 1994, pp. 1 37- 1 46; Agamben 2005, pp. 41 3° CIL VI 930 FIRA I 1 5 ILS 244, 11. 16-27 (T. d. A.). =

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ss.

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L' istituto della consecratio, con il suo carico ideologico e di collegamento all' ese­ cutivo giuridico imperiale, si mantenne in modo definito anche dopo il regno di Vespasiano e coesistette con la durevole validità della !ex de imperio. Domiziano ebbe, infatti, estrema sollecitudine nel tributare al fratello onori divini, che nella situazione politica e giuridica del momento non erano dovuti per semplici questioni formali. Le lacrime per la perdita di Tito, la rogatio al senato per la sua apoteosi e l'elogio funebre sono interpretati a posteriori da Cassio Dione in termini di dissi­ mulazione delle reali aspirazioni e intenzioni di Domiziano ai sensi di una gestione tirannica e assoluta del potere. Avrebbe fatto volentieri a meno di tutta la procedura, se avesse potuto dare apertamente corso immediato al suo impero anti-senatorio31• Successione adottiva e apoteosi imperiale

La ricerca di concordia con il senato attraverso l' ideale figura di un optimus interpa­ res, secondo il compromesso inaugurato dall'elezione di Nerva, fu uno degli obiet­ tivi politici perseguiti con una certa costanza durante tutto l' impero adottivo degli Antonini. Se si osservano le contingenze e le dinamiche delle singole successioni imperiali durante il secondo secolo, la funzione principale dell'apoteosi come stru­ mento di legittimità e consolidamento del potere di un imperatore adottivo appare ancora più marcata. Nessuno degli Antonini omise questo passaggio costituzionale e di transizione giuridica del potere attraverso la rogatio di apoteosi in senato. Tutto il rituale e la procedura appaiono ormai fissati. Al di là del tenore esortativo che si di­ stingue in tutto il Panegirico teso verso l'augurio e il consiglio effettivo a ben operare e amministrare, nelle parole di Plinio il Giovane si può anche riscontrare la chiara e deliberata insistenza sulla legittimità di questa successione segnatamente adottiva. La consecratio di Nerva su richiesta di Traiano diventa un exemplum di devozione da parte di un principe che era successore legittimo e rappresentava la scelta più degna e avveduta negli interessi dell' impero. Traiano credeva nella divinità imperiale di Nerva e questi, del resto, aveva mostrato realmente la sua appartenenza al mondo dei superi proprio perché aveva ben scelto in vita il suo successore legittimo32• Adriano seguì lo stesso protocollo riguardo gli onori da tributare al suo prede­ cessore, con qualche preoccupazione in più per la sua stessa posizione di legittimità al potere imperiale scaturita in primo luogo dal favore ( e dalle manovre ) di Plotina e dall'acclamazione dell'esercito. Non vi è ragione di dubitare della veridicità dei fatti come riportati nella Historia Augusta, cui del resto fa eco anche Cassio Dione. Nella Vita Hadriani leggiamo :

3 1 Dio LXVII 2, 6 ( Boiss. III, p. 1 66 ) .

3 2 Per i passi specifici del Panegirico si vd. sopra nota1 4. Cfr. anche Marastoni, Mastrocinque, Po­ letti 20 1 1 , pp., 43 ss., 73 ss., 95 ss.

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Indirizzando al senato una lettera accuratamente riguardosa chiese e, con il consenso generale, ottenne che fossero concessi onori divini a Trai ano, facendo sì che i senatori di loro stessa iniziativa decretassero per Traiano anche molte onoranze che Adriano non aveva richiesto. Sempre scrivendo al senato, si scusò anche del fatto che non ave­ va lasciato ad esso la prerogativa di sancire la sua accessione al trono, spiegando che era stato acclamato imperatore dai soldati senza il minimo indugio, perché lo Stato non poteva rimanere senza un capo33•

I l nuovo imperatore temeva che alcuni equilibri potessero realmente alterarsi. S i correva anche i l rischio che l a validità della scelta successoria d i Traiano i n punto di morte potesse essere delegittimata per errori procedurali e vizi di forma, quali quelli di eludere, di fatto, le competenze del senato su questioni fondamentali di natura istituzionale. Il senato doveva comunque accettare e ratificare formalmente la scelta successoria, la cui legittimità sarebbe stata corroborata anche dal processo di consa­ crazione. Del resto, tale procedura che preservava e distingueva nettamente i poteri di ratifica del senato è quello che contraddistingue l' impero degli adottivi, solleci­ ti del consenso senatorio esattamente perché consapevoli che da esso dipendeva la stabilità della loro posizione politica nel corso del loro regno. E com'è noto, queste funzioni e prerogative del senato furono in gran parte diminuite nel momento in cui gli imperatori militari del terzo secolo preferirono ricercare il fondamento della loro legittima successione in via prioritaria sul consenso e sostegno degli eserciti. Ai fini di questo argomento e della sua validità, però, l'esempio più probante è tutta la vicenda legata alla successione di Antonino Pio e la connessa consecratio di Adriano, così come si ricava dalle principali fonti sulla vicenda. Anche in que­ sto caso possediamo le testimonianze strettamente coincidenti di Cassio Diane e della Historia Augusta che riferiscono della forte riluttanza del senato nel decretare l'apoteosi di Adriano, tanto da procrastinare per lungo tempo l' intero processo di consecratio34• Dalla Vita Hadriani si apprende che : Dopo che fu morto, furono in molti a lanciare accuse di ogni genere contro di lui. Il senato voleva annullare i suoi atti; e non gli sarebbe stato concesso neppure l'ap­ pellativo di divus, se non fosse intervenuto a richiederlo espressamente Antonino35•

Ancora una volta e in modo assai esplicito il punto cruciale del problema è l'an­ nullamento degli atti normativi dell' imperatore defunto e lo stretto legame che da questo deriva in relazione al processo di apoteosi. Né tali asserzioni possono essere considerate quali illazioni mendaci del biografo dell'Historia Augusta, dato che Cas33 HA, Hadr. 6, 1 -3 (trad. i t. P. Soverini 1993). Si vd. anche den Boer 1 975. 34 Dio LXIX 23, 3 (Boiss. III, P· 242): oò f!EVTOl aÀÀ � Y€poucrla hrl 7rOÀÌi tXVTECTX€, Tàç Tlf!àç f!� '!rl'JlcracrSat eSD..oucra: «Nondimeno il senato procrastinò per lungo tempo, non desiderando votargli onori divini ». 35 HA, Hadr. 27, 2-3 (trad. it. Soverini). o

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si o D ione dà una spiegazione specifica dei motivi legati all' impopolarità di Adriano presso il senato : Adriano, pur avendo governato con grande mitezza, fu ugualmente biasimato per alcune uccisioni di nobili uomini sia all' inizio del suo regno che alla fine della sua vita, e per questo motivo poco mancò che non fosse ascritto tra i divi36•

In queste testimonianze il potere politico senatori o e lo sforzo di conciliare una qual­ che forma di diarchia tra senato e impero si riconfermano caratteristiche costanti dell'età antonina con definizione specifica di competenze. Non possiamo, tuttavia, e in definitiva non dovremmo limitare la consecratio a un atto di ossequio religioso, o considerarne la validità politica solo in merito all'organo istituzionale da cui essa deriva. Sussiste un livello giuridico marcato e specifico nella trasmissione visiva, for­ male e sostanziale dei poteri imperiali se acquisiti in forma 'costituzionale', cioè per consensus universorum. �esta forma di trasmissione del potere, istituzionale ma al contempo spettacolarizzata, è esattamente la consecratio. Le regole e i fondamenti del principato non erano scontati e fissati una volta per tutte : andavano rinnovati. Come anche si rinnovavano i giuramenti di fedeltà e dedizione assoluta alla persona del principe. La consecratio era quella formula di rinnovamento che suggellava ogni nuova alleanza nel dialogo delicato tra il principe, il senato e il popolo. Tiranni era­ no coloro che non si curavano delle forme di questa alleanza che non poteva essere fissata una volta per tutte e neanche poteva considerarsi definitivamente acquisita durante il corso stesso della vita del principe. A conclusione di questo studio la sintesi migliore e forse la testimonianza più va­ lida per quanto finora sostenuto è ancora riscontrabile nelle parole di Cassio D ione, quando riferisce di Antonino e della sua ostinata rogatio per l'apoteosi di Adriano. (È noto che), quando il senato non volle concedere onori divini ad Adriano dopo la sua morte a causa di certe uccisioni di uomini eminenti, Antonino rivolse loro molte parole tra lacrime e lamenti, e infine disse : 'Bene, allora neanche io governerò su di voi, se ai vostri occhi egli è divenuto un male, un nemico pubblico : è chiaro infatti che annullerete subito tutti i suoi atti, uno dei quali fu anche la mia adozione'. Udite queste parole il senato, sia per rispetto della sua persona, sia per paura dei soldati, decretò gli onori divini ad Adriano37•

Per quanto egli fosse gradito e ampiamente accetto ai senatori, Antonino era consa­ pevole della continua, persistente 'debolezzà della posizione di principe, se privo del consenso dei pares. Le conferme alla legittimità del suo potere imperiale potevano essere continue e di diversa natura, ma il presupposto giuridico era imprescindibile. 36 Dio LXIX 2, 5 (Boiss. III, p. 223. T. d. A.). 37 Dio LXX l . 2-3 (Boiss. III, p. 243. T. d. A.).

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È u n cerchio che s i chiude tra Giulio Cesare, Ottaviano Augusto e Tito Aurelio Arrio Antonino detto Pio. Il secondo secolo fu dominato dalla presenza di due grandi saggi-imperatori ( tali almeno dal punto di vista senatorio ) , Antonino Pio e Marco Aurelio. Esattamente la loro civilitas, cioè quell'attitudine ed equilibrio nel non porsi al di sopra dei su­ balterni pur essendo in una posizione di maggiore autorità, conferì loro il dono e la reputazione di una vita esemplare negli interessi dell' impero, così come auspicato nel Somnium. Alla loro morte gli onori di apoteosi furono concessi spontaneamente e senza restrizioni, in modo unanime e senza indugio38• È noto che Commodo trasse grande vantaggio da questa indiscussa posizione di legittimità successoria di sangue. Il problema politico e storico fu il non esserne degno.

3 8 L'Historia Augusta riferisce addirittura di numerose rogationes per la consecratio di Antonino Pio da parte di diversi membri del senato : HA, Ant. 1 3, 3; Dio LXXII 34, 3 (Boiss. III, p. 276); Eutr. VIII 1 4.

LIVI N G GODS-STA TE GODS IN RO MAN EGYPT

Kai Ru.ffing

Social and Econo mie Conditions of I m peria! C u l t and of E m peror Worship in the Capito! of Pto le m ais Euergetis*

Among the papyri found in the ruins of the ancient city of Oxyrhynchos situated in Middle Egypt o n the banks of the Bahr Yussuf is the foliowing pieee, which seems to be a draft of an official circular or of a public proclamation : « He who had to pay his debt to his ancestors, Caesar the god manifest (èvcj>av�ç 9e.òç Kaicrap), has joined them, and the expectation and hope of the world has been declared Emperor (AùToKprtTwp), the good genius of the world and source of ali good things (à:ya8òç oa(fLWV OÈ T* oLJCOUfL€VYjç [ àp ]x� wv �e. naVTwv àya9wv ) , Nero, has been declared Cae­ sar (Kaicrap). Therefore ought we ali wearing garlands and with sacrifices of oxen to give thanks to ali gods. The first year of the Emperor Nero Claudius Caesar Augustus Germanicus, the 2 1 st of the month Neos Sebastos » 1• This document summarizes in a certain sense the ongoing discussion beween Manfred Clauss and his opponents regarding the imperia! cult2• Whereas Clauss in his groundbreaking study of impe­ ria! cult and emperor worship underlines that the emperor already during his life­ time was a human as weli as a devine bein!f , which under favorable circumstances by means of the process of deification became a Roman state god\ his oppenents focus I thank Markus Diedrich for improving my English. 1 P. Oxy. 7, 1 0 2 1 . C( the introduction. Translation according A.S. Hunt. There is another papyrus relating to the ascension ofTraian and the accession of Hadrian. Here Phoibos Apollo, the interpreta­ fio Graeca of the Egyptian god Horos, speaks to the people of the nome Apollonopolites saying that he has accompained Traian in heaven an d that h e is now heralding the new lord Hadrian (ava� JCcttvòç i\optav6ç) : P. Giss. 1, 3 P. Giss. lit. 4.4 WChrest. 49 1 . 2 O n imperia! cult see Price 1 984a; Fishwick 1987-20 1 2; Fischler 1998; Clauss 200 1 ; Gradel 2002; Herklotz 2007; Pfeiffer 20 1 0. 3 See Clauss 200 1 , esp. pp. 469-499. 4 On divinisation see Gesche 1 978; Beard, Henderson 1 998, Bonamente 2002; Zanker 2004; de *

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o n the difference between worshipping the actual emperor, who thus remains a hu­ man being, an d the imperial cult, which was reserved for dead an d deified emperors thus having become gods in the narrower sense of the word5• lt is not the aim of this paper to pursue this ongoing debate. But for the following i t seems necessary to state that in my view the emperors were moved very dose to the sphere of the gods and took a position clearly elevated above ordinary human beings including devine qualities. The text cited above demonstrates this quite distincdy for Egypt: Nero is styled as « the good genius of the world an d source of all good things ( àya.9òç Òa.t!lWV ÒÈ T�ç oixou!lÉVYjç [ àplx� wv -r:e 7l'tXVTwv àya.9wv) » , obviously something that cannot be said about ordinary human beings. But beside all that it is true as well that the living emperors remained humans at least in their self-consciousness6• Thus the actual shaping of how the divine qualiti es of living emperors were con­ ceived or how they were worshiped, an d how the imperial cult worked depended o n factors rooted in space and society, i.e. the piace and its cultural imprint, where an individual lived, as well as on the social position of persons involved in the worship of emperors and in the imperial cult. It is an obvious fact that regarding the social position of persons involved the imperial cult in the west is different from the one in the east of the empire. Since the social position in the Roman world heavily de­ pended on wealth there were different economie conditions as well. What follows, therefore, tries to give an insight in how cultural, social and economie factors in a given piace and a given time of the empire - that is Roman Egypt in the begin­ nings of the third century AD - were a strucrural framework for worshipping living emperors as well as having a cult for the dead ones who became state gods through apotheosis. Such an approach seems justified for a couple of reasons. First of all an analysis of the economie dimension of cults and temples in Roman Egypt remains a de­ sideratum in contemporary scholarship7• Furthermore for Roman Egypt there is an excellent documentation regarding this theme. In the present case it is a papy­ rus from the Berlin collection, which gives detailed insights in the socio-economie conditions of running a tempie in the metropolis of the Arsinoites Nome which is called Ptolemais Euergetis. This document from the year 2 1 5 AD contains a long account of in come revenue an d expenditures of the tempie of luppiter Capitolinus thus making accessible details of sources of income, an d how an d for what purposes Jong, Heckster 2008; Heckster 2009. On damnatio memoriae see Pailler, Sablayrolles 1 994; Élie 1 997; Flower 1 998; Benoist 2003; Benoist 2004; Flower 2006; Benoist, Daguet-Gaegey 2007; Benoist, Da­ guet-Gaegey 2008; Kriipe 20 I l . s See e.g. Pfeiffer 20 1 0, pp. 1 9-29, esp. 29. 6 This is not a contradiction to the positions of Clauss, who sees the emperors as humans as well, but gives wheight to the fact that in the ancient world the concept of being a go d is clearly different from that of monotheistic religions. Thus humans could be seen as having divine qualities that is in the terminology of Clauss as living gods: see Clauss 200 l, pp. 469-47 1 . 7 For Asia Minor see Dignas 2002. For Egypt see Otto 1 905 and Otto 1908.

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these incomes were spent, i.e. feasts, personal etc.8 Already the nomenclature o f the god - Iuppiter Capitolinus - an d the name of the piace of the location ofhis tempie - the Capito! of Ptolemais Euergetis - are very interesting regarding the process of Romanization and self-Romanization in the province ofEgypt. Even more interest­ ing is the date of the document: 2 1 5 AD. Thus the document is to be seen in the context of two developments: firstly the spread of the Roman Citizenship within the Empire, which was granted to ali free persons by Caracalla in 2 1 2 AD, and sec­ ondly the process of municipalisation in Roman Egypt, which culminateci in the bestowal of the boule to the metropoleis in 200 AD by Septimius Severus. Therefore i t is necessary to first have a closer look to the society ofRoman Egypt, which indeed is to be characterized as a multicultural one. When Egypt became a Roman province in 30 BC, a history of 300 years of domination by Macedonian kings laici behind the lanci. The reign of the Ptolemies brought important develop­ ments regarding the structure of the society in Egypt with it. First of ali there was evidently a considerable amo un t of Macedonian an d other Greek immigrants serv­ ing the king in the (high) administration and doing military service. By means of that the lanci o n the Nile became an attractive destinatio n for other groups of indi­ viduals like teachers of Greek, physicians, actors, athletes an d other groups as well. The behavior and the policies of the reigning dynasty towards Greeks and native Egyptians can be seen in the field of taxation, where real Hellenes and tax-Hellenes were privileged9• Nevertheless the result of 300 years of Macedonian domination was a society characterized by a a complex mix of Greek and Egyptian culture, shaped by Hellenisation an d self Hellenisation as well as Egyptian traditions. lt is interesting to see, how in the Ptolemaic period Greeks and Egyptians differ. Greeks held more livestock and lanci, had larger families and households. They had their own social institutions like slavery, naming practices, religion, education and their own institutions of social affiliation like the gymnasium as well10• Egyptians could become p art of this privileged group through posts, but the basic role of the natives remained a traditional one. They worked mainly in agriculture, provided scribes for the bilingual administration an d had a strong position in the religious sphere1 1 • The coming o f the Romans changed the structures o f this society again. First of ali the Greeks in Egypt became subjects, which were not favored to the same degree by the Roman administration like by the Ptolemaic one. Furthermore the Roman administration shaped the social structure of the new province in a different way. Social groups were basically distinguished by the piace ofbirth an d the formai piace of residence - the [Ò(ct - well defined by the provincia! administration 12• Given that, 8 BGU 2, 362. 9 C( Clarysse, Thompson 2006, pp. 138- 1 47. 1 0 O n the gymnasium in Ptolemaic Egypt see Habermann 2004. 11 Cf. Clarysse, Thompson 2006, pp. 20 1 , 342-349, esp. pp. 344-345. 1 2 See Braunert 1 964, pp. 1 1 2- 1 1 3. On the io(« see Braunert 1 955- 1956, esp. pp. 3 1 8-322.

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one can differentiate between the following social groups: those who had the citi­ zenship of Alexandria in terms of the Roman administration were separated from the inhabitants of the rest of Egypt, the chora. Regarding the inhabitants of the chora, then, the Romans distinguished two groups: those from the metropoleis of the nomes and those who had their piace of origin and official piace of residence in the villages. The poll tax was the instrument chosen by the Romans to structure the society in Egypt. Whereas citizens of Alexandria were not liable to the poll tax13, the rest of the population of the chora had to pay it. But the amount of the poll tax paid by the villagers differed from that paid by the dwellers of the metropoleis, who were privileged by means of paying a lower rate sìnce the reign of Augustus. Within the metropoleis the Roman administration created privileges for those who were affiliated to the gymnasium. This was a Roman innovation. At the same time the Romans closed the gymnasiums in the villages14• By using the juristic piace of residence and the amount of poll tax to be paid the Romans structured the society in a new fashion an d gave way to the development of a new 'urban' eli te in the prov­ ince. Those affiliate d to the gymnasium (in the Arsinoites Nome the so-called 6.475 Greeks) were the nucleus for this new stratum, who in the time of the emperor Trajan become visible in the sources as holders of municipal offices15• The process, which in modern research is called 'municipalisation' culminated in the bestowal of the boule to the metropoleis in AD 200, which in this way became poleis in the ad­ ministrative an d judicial sense of the word 16• A further element in the society of the province are the Roman citizens. They clearly cannot be discerned as a homogenous group either in social or in cultural respect17• Without going in further detail here we may conclude that from the reign of Augustus onwards Roman citizens became more and more an important element of the society of the province ofEgypt. But as far as emperor worship an d imperial cult is concerned, another factor is important: Active soldiers and veterans had a different behavior in this respect, sin ce they stood in a special relation to the emperor and his house18• Thus in the provincia! society of Egypt as briefly sketched so far one is dealing at least with not less than three cultural identities: the Roman, the Greek and the Egyptian one. 1 3 See Delia 199 1 , pp. 30-3 1 . 1 4 For the privileges created through paying different amounts o f the poli tax see Bowman, Rath­ bone 1 992, pp. 1 1 2 and 1 20; Jordens 1999, p. 1 64; Alston 2002, p. 1 87. For the details cf. Wallace 1 938, pp. 1 09- 1 1 2. For the administrative recording of those from the metropolis by means of lists maintained in the quarters of each metropolis and the procedure of recognition called epikrisis see Bowman, Rathbone 1 992, pp. 1 20- 1 2 1 ; Jordens 1 999, p. 1 64; Alston 2002, pp. 143- 145. For details cf. Kruse 2002, pp. 252-27 1 . 1 5 See Bowman, Rathbone 1 992, pp. 1 22- 1 23; Jordens 1 999, pp. 165- 1 69; Habermann 2000, pp. 276-285. 1 6 On this process and the regarding discussions in modern research see Jordens 1 999. 1 7 For a short summing up of the problem see Ruffing 1 999, pp. 3 1 4-3 17. 18 See Stacker 2003, pp. 293-367.

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This is also mirrored i n the religious sphere, since there can b e made a divi­ sion between Egyptian, Greek, Greco-Egyptian and definitely Roman cults being present in the province, not to forget the Jewish cult and the orientai ones19• Thus Roman emperors had to meet the needs of people of different cultures as far as religious matters in staging the emperor were concerned. This is especially true for the Egyptian cults an d therefore the Egyptian temples. Although the coming of the Romans for the temples meant a change of the social an d economie framework as well as one of the mode ofinteraction between Egyptian priests and the state, in this case passing the 'Augustan threshold' had not the dramatic consequences assumed in elder research. The emperors and thus also the provincia! administration had an interest to guarantee the functioning of the indigene temples o n a solid economie basis. Moreover the Roman state had a dose contro! on the composition of the priesterhood. In generai the administrative contro l of the Egyptian temples became very dose un der Roman rulé0• O n the other han d Augustus an d his successors were styled as pharaohs by the priesthoods of the important Egyptian temples and con­ sequendy they were to a certain degree staged as pharaohs for the enchoric popula­ tion. The particularities were developed during the reign of Augustus and trans­ ferred to the emperors afi:er him21• The Egyptian priests worked out a Horus-name styling the emperor as « King ofUpper and Lower Egypt, Emperor, son of Re, Lord of the crowns, Caesar, may he live forever, beloved by Ptah and Isis » 22• Although the Roman influence is dearly visible, there is o ne particular element in the Horus­ name, which deserves doser attention : Augustus is the son ofRe, the sun-god of the Egyptian pantheon, thus being the son of a real god for the Egyptians, not the o ne of a Roman state god. Given the dose connection to Apollo established by Augustus during his reign, seeing this god also as an interpretatio Graeca of the Egyptian sun­ god, an d in the light of the transportation of five if no t seven obelisks to Rome o ne gains an interesting insight in the role of the sun-god in staging the Roman emperor in general23• But there is an even more important consequence. In Egyptian contexts Augustus was perceived as a living god. This becomes visible in documents written by Egyptian priests, who already during his life time named Augustus 9eòç KctÌ Kl.iptoç Kalcrctp .ì\vToKp1hwp24• Even more interesting regarding divine honors for the living emperor is a petition written by priests of the tempie of the god Soknopaios in 7-4 BC. Evidendy there were some troubles for the tempie, which was situated in the 1 9 See Lewis 1 983, pp. 84- 1 06 and Bowman 1 986, pp. 1 66- 1 90 giving a broader picture. Por the Arsinoites nome see Riibsam 1 974. 20 Por a brief description of this process see Ruffìng 2008, pp. 579-582. Por the privileges of the Egyptian temples and the reforms under Augustus see Jordens 2009, pp. 338-345. 21 Por details regarding the cu!t of Augustus see Herklotz 2007. 22 Cf. Herklotz 2007, p. 1 26. 23 See Herklotz 2007, pp. 209-228. See also Berrens 2004, p. 30. 24 Cf. Herklotz 2007, pp. 254-255; Whitehorne 1992.

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village Soknopaiu Nesos on the northern fringe of the Fayum depression25• Part of the problems were as usual financial matters. Reasoning before the prefect how and why these financial troubles carne into being the priests gave an overview regarding the expenditures m et by the tempie. Among these expenditures are the costs for the monthly processions in honor of the god Caesar26• The language used here by the priests deserves closer attention, since it is typical for documents originating from this really Egyptian milieu. In the titulature E>e6ç appears before Kaicrap, 2:e�acr-r6ç and Aù-roKpthwp or a combination of these terms. Furthermore the titulatures have the definite articlé7• This observation made by John Whitehorne gives reason to reconsider two tempie accounts from Soknopaiu Nesos. In both documents there is an entry mentioning a payment of 40 dr. o n behalf of sacrifices for the gods Sebastoi (-rwv 8ewv :Le�acr-rwv) on occasion of their birthdai8• This entry is generally under­ stood as evidence for the cult of the deified emperors in this tempie. Consequently Andrea Jordens the editor of the text was surprised to fin d in the Egyptian milieu a mention of the imperial cult29• In the light of the evidence mentioned above it is a fair assumption to understand -rwv E>ewv :Le�acr-rwv, thus the actual emperors. lf this is right, in both documents sacrifices in honor of the present emperors would be meant. This could be corroborateci by another deliberation. The accounts are from the second century AD. Since the month Nioç 2:e�acr-r6ç is mentioned in both documents, they were written before 1 66 AD30• Due to paleographical reasons it is clear, that the same scribe wrote both documents31• Thus one may conclude that the emperors in both documents are Marcus Aurelius and Lucius Verus and that both documents should be dateci between 1 6 1 and 1 66 AD. With a view to the parallels this seems to be a concise interpretation, which demonstrates that stili in the second century AD the needs of the Egyptian religion were met through venerating the emperors as pharaohs and hence as living gods32• Beside the Egyptian temples the imperial cult in Roman Egypt took piace main­ ly in the metropoleis of the nomes. Here, on the one hand, the needs of mostly Greek or Greco-Egyptian people were met. As already mentioned the inhabitants of the metropoleis formed a kind of provincia! eli te in the Egyptian chora an d were the nucleus of the process of municipalisation. The temples in which the cult was going on were called Katcrapeiov or :Le�acr-reiov, where the emperors afi:er Augustus

2 5 O n the socio-economie comext of the cult ofSoknopaios here see Ruf!ìng 2007. 26 CPR 7, l, 5-6: . .Tàç �[ctTà] !+[�va] yetV'?fl�Vctç ti7!'È[p] �oii eeoii Ka (crapoç l lC� [flaCTL] � [ç] .. 27 Cf. Whitehorne 1992, pp. 430-43 1 . 28 P. Louvre l , 4 , 3 5 ; SPP 22, 1 83, pp. 52-53 (ed. Capron 2008). 29 Cf. the commentary to P. Louvre l , 4, 35. 3° Cf. P. Louvre l , pp. 22-23. 3 1 Cf. Capron 2008, p. 1 34. 3 2 See Whitehorne 1992, p. 43 1 ; Herklotz 2007, pp. 407-408. See also Pfeiffer 20 1 0, p. 290 who argues the same without deciding the question. .

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found their piace of cult as weli; only for Hadrian particular temples are attested33• The Kaisareia/Sebasteia, however, were not only the piace for worshipping the Ro­ man emperor, but a lot of public acts took piace there as weli : administrative orders were published, wills were opened, marriage contracts were written, investigations were made there by the strategoi, the highest administrative offìcers of the nomes, offìcials of the metropoleis were designated, and - last but not least - punishments were staged in front of the Kaisareia/Sebasteia34• At least in the first two centuries AD Augustus and his successors had an imperia! cult as living gods there35• Thus on the level of the metropoleis there was also a specific form of imperia! cult. A very interesting phenomenon of the process of municipalisation and self-Rom­ anisation are the Capitolia to be found in nome metropoleis in the Egyptian chora. At least they are attested for Ptolemais Euergetis an d Oxyrhynchos. Sin ce the times of Wilamowitz-Moeliendorffthe emergence of Capitolia is seen in the context ofthe con­ stitutio Antoniniana and the grant of the Roman citizenship to nearly ali provincials36• But already Ulrich Wilcken was apparendy not fuliy convinced37• The presumed re­ lationship between the appearance of the boule an d the emergence of the Capitolia is indeed not without problems. At least in the case of the Capitolium of Oxyrhynchus there is evidence for an earlier construction of this kind of tempie. In an account dated by the editor to the late 2nd century AD we find an entry that the sum of 2.500 dr. was paid to the contractors for the doors of the CapitoP8• Thus already in the time in which the account was written down the Capitol of Oxyrhnychos was evidently un der construction, hence before the bestowal of the boule and the grant of citizenship39• Whereas the date of the construction of the Capitolium of Ptolemais Euergetis remains uncertain, the above mentioned papyrus BGU 2, 362 gives deep insights in sources of in come of the Iuppiter Capitolinus there as weli as in the expenditures40• But first some remarks about the persons running the administration and the cult. The responsibility for ali affairs regarding the Capitolium was in the hand of an epimeletes, who was appointed by the boule, as it is shown by a letter containing the appointment of such an epimeletes. This letter is included in the account (pag. V 1 - 1 7) . The epimeletes, in the present case a certain Aurelios Serenos alias Isidoros, former kosmetes and bouleutes, had a permanent staff at his disposal : a certain Ne33 Cf. Kunderewicz 1 9 6 1 , pp. 1 23- 1 25; Blumenthal l 9 1 3, pp. 322-323; Pfeiffer 20 10, p. 244 and pp. 257-259. 34 Cf. Kunderewicz 1 96 1 , pp. 1 25- 1 28. For the flagellation in front of a Kaisareon/Sebasteion see SB V 7523. See also Pfeiffer 20 1 0, pp. 245-246. 35 Cf. Pfeiffer 20 1 0, p. 250 and pp. 278-279. 36 Cf. Wilamowitz-Moellendorff 1 898, p. 677. See Riibsam 1974, 48; Pfeiffer 20 l O, p. 259. 37 Cf. Wilcken 1 9 12, 1 1 6. 38 P. Oxy. 17, 2 1 28, 4. O n the Capito! of Oxyrhynchos see Kriiger 1 990, p. l 04; Diz. Top. Suppl. III ( 2003 ) , p. 1 14. 39 Cf. Whitehorne 1995, p. 3084. 40 See the short remarks regarding that in Giare 1 994, p. 550.

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mesianos, tempie guard, earning a monthly salary of 28 dr., a certain Theoneinos, earning 19 dr. per month, a certain Xanthos, proairetes bibliothekon, gaining 30 dr. a month, and Boethos, secretary with a monthly salary of 40 dr. Furthermore there was an overseer for the monthly processions, who received 1 2 dr. per month (e.g. pag. IV 1 6-20). Evidently the centrai administration of the province in Alexandria exercised some control over the Capitolium, since Aurelios Serenos is ordered in the letter of appointment to act in accordance with the orders of a certain Aurelios Italikos, procurator usiacus an d acting high priest of the province of Egypt41 • Although the tempie was dedicated t o Iuppiter Capitolinus ( 6 nctp' �fLELV 8eòç Zeùç KctmTWÀLOç: pag. V 5-6) the worship of the emperor an d the imperial house are the most prominent features visible in the long account of the epimeletes Aurelios Serenos. Thus there was a feast commemorating the day when Caracalla became Caesar (fr. l, 1 0- l l ) , another one in the beginning of the month Mechir (= 26th of January - 24th of February) for a kind of decennalia and the everlasting reign of Caracalla (pag. III 23 - IV 3 )42, furthermore there was a holiday o n the 1 9th of Mechir ( = 1 3th of February) celebrating the reign of the deifìed Septimius Severus, the father of the lord Caracalla (pag. IV 6-9), then on the 25th ofMechir ( = 1 9th of February) another holiday for the everlasting felicitousness and eternal lastingness ofSeptimius Severus (pag. IV 1 1 - 1 5). Another holiday was celebrated on the 1 8th of Phamenoth ( = 14th of March) on occasion of the erection of a colossal statue of Caracalla in the tempie (pag. VII 3-6 with VI 4- 1 0)43• Additional holidays were celebrated on the 5th ofPharmouthi (= 3 1 st ofMarch) for the victory and everlast­ ing felicitousness of the Lord Caracalla (pag. X 3-7) and on the 9th of Pharmouthi (= 4th of Aprii) for the birthday of the Lord Caracalla (pag. X 9- 1 1 ). O n the 1 3th of Pharmouthi ( = 8th of Aprii) there was a holiday for the everlasting felicitousness and eternal lastingness of Caracalla (pag. XI 2-5) and on 1 6th of Pharmouthi ( = 1 1 th of Aprii) the birthday ofSeptimius Severus was celebrated (pag. XI 8- 1 0) . On the 1 9th ofPharmouthi ( = 1 4th of Aprii) there was a holiday for Iulia Domna (pag. XI 1 5- 17). 1he birthday ofRome was celebrated on the 26th ofPharmouthi (= 2 1 st of Aprii) (pag. XII 8- 1 O). Thus between January an d Aprii there were 1 3 holidays for the emperor and the imperial house, whereas there were only two traditional Egyptian holidays. There was one for the nome god Souchos (pag. VI 22-25) and on another occasion there was one holiday for the traditional Egyptian feast of the NetÀcict (pag. XV 1 1 ). O n nearly ali these holidays statues an d other things display­ ing the emperor were crown ed ( �ç Èft�ç OEXOftEVOV Sewv EUftEVeiç OE�tìtç napÉ()"Tl'j()"a, ftlftl'jfta OLKatov cj>uÀct()"()"WV aSavaTOU cj>povTLOoç iJ 7rOÀÀctKtç ÈftOt xeipaç oupav(ouç eiç �OYJ9e(av li)'WVWV È�Émvav. 48 nep\ OÈ iepoupytwv a'lo(wv OtaTa�tV npÉ7r0U()"aV È7rOll'j()"ctftl'jV, onwç ()"ÙV alç apxrtioç Kat KOtvòç VOftOç ha�ev Su()"(atç Kal vÉaç ÉopTaç Elç TE 9ewv ()"E�a()"ftÒV Kal �f'ETÉpaç Ttftìtç &navTEç o[ KaT' Èft�V �a()"tÀe(av ÈnmÀw()"t. 49 Pleket 1968, p. 446. 10 Price 1 984, p.38. Cf. ibidem, p. 38, note 60: «Euhemerism is importane only in its stress on the

benefactions of the gods » .

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as in ritual prescriptions that demand e qual worship ofking and gods, and his visual appearance o n Nemrud Dag i as a colossal figure among his divine 'peers' » 5 1 . lt might appear strange to end an artide o n Euhemerism an d Roman Near Eastern religion with some remarks about Palmyra, since there was of course no 'royal cult' in the Commagenean mould at Palmyra, nor indeed - before Zenobia - actual king­ ship52. But in 2003 the Polish excavators discovered a new mosaic, consisting of two main panels, which has cast light on the relativity and the fluidity of the concept of divinity53• The first panel depicts the Greek hero Bellerophon, wearing eastern clothes with so-called Parthian trousers an d riding the winged horse Pegasus, in the act of slay­ ing the chimaera, with two eagles flying above the hero carrying a wreath with which they crown him. The second panel ostensibly depicts a common hunting scene, with the horseman, again dressed in so-called Parthian trousers, engaged in a fight with two Persian tigers, and similarly crowned with a wreath by an eagle flying above him. The second mosaic is accompanied by an inscription which, uniquely for this medium, is in the local Palmyrenean Aramaic dialect, and refers to the artist who has laid the mosaic. However, the inscription is believed to be a later correction to an earlier text, written in a slightly bigger letter type, and of which two letters are preserved which originally read the word for 'lord' (mr[n]). The key to the problem, as M. Gawlikowski has ingeniously shown, is that in third-century Palmyra this title was used only for the leading citizen Odaenathus and his elder son Herodian. From this, it has been argued that the hunting scene is an allegory for the victory which the Palmyrenes won over Shapur's armies in 260, and which earned Odaenathus and Herodian the Persian title 'King of Kings'54. If the hunter o n the second panel is Herodian, Bellerophon is of course Odaenathus. lt is easy enough to understand how the Persian tigers stand for the neo-Persian Sasanians, but also the Chimaera can be explained in this man­ ner: the famous Thirteenth Sibylline Oracle, 'predicting' Odaenathus' victories over both neo-Persians and Roman usurpers, states how « the one who was sent by the sun (i.e. Odaenathus ) , a mighty and fearful lion, breathing much flame; then he with much shameless daring will destroy the well-horned swift-moving stag ( i.e. �etus ) and the greatest beast, venomous, fearful and emitting a great deal of hisses, an d the sideways walking goat (i. e. Callistus ? ) »55. Gawlikowski thus convincingly interpreted the mosaic as an allegory commenting on contemporary events in the third century. 51 Kropp 20 1 3, p. 359. 5 2 Cf. Yon 20 1 0. 53 For the offìcial publication see now Gawlikowski, Zuchowska 20 l O, an d for further discussion Gawlikowski 2005a; 2005b. 54 For a full analysis of this ti de in a Palmyrene context, cf. Gnoli 2007, pp. 8 1 -94. It is now also discussed in the context of a 'crisis of identity' by Smith II 20 13, pp. 175- 1 8 1 . 5 5 Oracu!a Sibyl!ina XIII, lines 1 64- 1 69: rér' D.evonat �Àté7rEfl7rToç oetvéç TE q,o�epéç TE Àéwv 'ITVELWV Àéya 'ITOÀÀ�v. o� ré9' o y' aùr' éÀécret noÀÀij KctÌ avatOé"i TOÀfl!'J E1Ì1Cepawr' EÀaév TE 9oòv lCctÌ 9�pa flÉytcnov io�éÀov q,o�epòv cruptyflctTa né»..' a> . 4 Zur Divinisierung des verstorbenen Kaisers in Rom s . etwa Bickermann 1929; Gradel 2002, S. 26 1 -37 1 und Zanker 2004. .

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engeschichdichen Traditionslinien zu stellen ; dies gilt auch fiir die O berlegungen zur Thematisierung des Verhaltnisses des Herrschers zur gotdichen Sphare - ein derartiges, durchaus erneut lohnendes, wenn auch in der Forschung bereits verschie­ dendich unternommenes Unterfangen wiirde den vorliegenden Rahmen sprengen.

I. Die peri basileias-Schriften in Hellenismus, Kaiserzeit und Spatantike - mate­ rieller Befund und inhaltliche Ausgestaltung5

Mit Alexander dem GroGen wurde in der griechischen Welt nicht nur eine neue Form der monarchischen Herrschafi: begriindet. Unter Alexander dem GroGen ent­ stand auch eine neue literarische Gattung: die peri basileias-Literatur6• Bei den Verfassern der unter Alexander abgefaGten peri basileias-Schrifi:en han­ delt es sich um den Begriinder des Peripatos, Aristoteles aus Stageira, den akademi­ schen Scholarchen Xenokrates von Chalkedon und den Demokriteer Anaxarchos von Abdera7• In den dem 'langen Jahr der Ki:inige' folgenden Jahrzehnten entstan­ den eine ganze Reihe weiterer Werke, die peri basileias betitelt sin d. Si e stammen aus der Feder der Peripatetiker Theophrast von Eresos und Straton von Lampsakos, des Megarikers Euphantos von Olynth, der Stoiker Kleanthes von Assos, Persaios von Kition und Sphairos vom Borysthenes sowie des Atheners Epikur8• Neben diesen 1 Vgl. zur peri basileias-Literatur neben Haake 2003; Haake 20 l lb und Haake 20 1 3 insbesondere Bertelli 2002; Virgilio 2003a, S. 47-52; Sidebottom 2006 und Murray 2007. 6 Vgl. dazu eingehend un d mi t Verweisen auf weitere Literatur Haake 20 1 1 b, S. 67 sowie insbe­ sondere Haake 20 1 3, S. 168. Vgl. zudem, wenn auch in jeder Hinsicht iiberzeugend, Edelmann 2007, S. l SS-172. 7 Die Belege sind : Arist. test. 1 6.4 [p. 76.23-26] Gigon = peri basileias test. 3 [pp. 6 1 -62] Ross = peri basileias test. l [p. 408] Rose' ap. Philop. [Ps.-Ammon.] in Cat. praef. 7'. 1 0- 1 2 [ = CIAG XIII. l , p. 3, 22-24 Busse]; Arist. test. 5 [p. 35, 17- 1 9] Gigon = peri basileias frg. l [p. 62] Ross = frg. 646 Rose' ap. Vi t. Graeca Vulgata 22 Diiring; Arist. test. 3 [p. 30. 8- 1 O] Gigon = peri basileias frg. l [p. 62] Ross = frg. 646 Rose' ap. Vit. Marciana 21 Diiring und wahrscheinlich, wenn auch nicht unumstritten, Arist. frg. 982 Gigon = peri basileias frg. 2 [p. 62] Ross = frg. 647 Rose' ap. Them., Or. 8, 107c-d; Xcnocr. frg. 2 Isnardi Parente ap. Dio g. Laert. IV 1 4; Anaxarch. frg. 6SA Dorandi = 72 B l D K ap. Clem. Al., Strom. I 6, 36; Anaxarch. frg. 66 Dorandi = 72 B 2 DK ap. Ael., VH IV 14. Fiir Verweise auf relevante Forschungsliteratur s. Haake 20 1 3, S. 1 68- 1 69, Anm. 17, 20 und 2 1 . 8 Theophr. frg. 5 8 9 Nr. 1 2 Fortenbaugh - Huby - Sharples - Gutas ap. Diog. Laert. V 47; Theophr. frg. 603 Fortenbaugh - Huby - Sharples - Gutas ap. Athen. 144e; gemaB dem Werkverzeichnis von Diogenes Laertios verfaBte Theophrast noch zwei weitere Werke mit dem Titel peri basileias: Theo­ phr. frg. 589 Nr. lO Fortenbaugh - Huby - Sharples - Gutas ap. Diog. Laert. V 49, u. Theophr. frg. 589 Nr. l l Fortenbaugh - Huby - Sharples - Gutas, ap. Diog. Laert. V 42; Strato Perip. frg. 141 Wehrli = frg. l Sharples ap. Diog. Laert. V 59; Euphant. Megar. frg. 68 Diiring = FGrH74 T l = TrGF I frg. 1 1 8 Snell ap. Diog. Laert. II 1 1 0; SVF I Cleanth. Stoic. frg. 48 1 ap. Diog. Laert. VII 175; SVF I Pers. Stoic. frg. 435 ap. Diog. Laert. VII 36; SVF I Sphaer. Stoic. frg. 620 ap. Diog. Laert. VII 178; Epicur., p. 94, IX frg. 5 Usener [9] 2Arrighetti ap. Plut., Mor. 1095c - s. auch Diog. Laert. X 28. Vgl. Haake 20 1 3, S. 1 69, Anm. 23; S. 1 74, Anm. 63 u. 64 fiir Verweise aufForschungskontroversen und -literatur. =

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Schrifi:en ist noch ein weiteres Werk mi t dem Titel peri basileias in hellenistischer Zeit bezeugt9: Von diesem um das Jahr l 00 v.Chr. zu datierenden Text ist allerdings nur der Autor, Theopomp, bekannt, ii ber den die einzig si che re Kenntnis ist, daB es sich bei ihm nicht um den gleichnamigen Historiker handelt10• Auch wenn die aus hellenistischer Zeit bekannten peri basileias-Schrifi:en ein 'wahres Triimmerfeld der Ùberlieferung' darstellen, so ist es dennoch mi:iglich, eini­ ge grundlegende Aussagen iiber den Inhalt und die kommunikative Funktion dieser literarischen Gattung zu treffen. Hauptthema der peri basileias-Schrifi:en ist die nicht­ personalisierte und entkontextualisierte Figur des guren Herrschers, die - ohne die Prasentation von konkreten und situationsbedingten Handlungsanweisungen oder schulspezi6schen Maximen - als Gegenbild zum Tyrannen konstruiert ist1 1• Bei den Autoren handelt es sich grundsatzlich um Philosophen12, die in der sozialen Rolle des lntellektuellen, der Personi6kation der Antithese von Geist und Macht schlechthin 13, peri basileias-Schrifi:en an als basileus titulierte Alleinherrscher adressierten, deren im­ pliziter Leser die panhellenische polis- O ffentlichkeit war14• Die kommunikative und soziale Funktion der mi t peri basileias bezeichneten Texte ist im stets labilen Kommu­ nikationsgefiige zwischen hellenistischen Ki:inigen un d poleis zu verorten 15• Auch aus der romischen Kaiserzeit und der Spatantike sind Texte mi t dem Titel peri basileias bekannt16• Es handelt sich dabei um Werke von Dion von Prusa, der 9 Ob das in das erste vorchristliche Jahrhundert zu datierende Papyrusfragment P.Schub. 35 Frii­ sén, Westman 1 997, S. 8- 1 5 mit Fraser 1972, II, S. 702, Anm. 58 und Sidebottom 2006, S. 1 29, Anm. 12 als Teil eines peri basileias-Textes anzusehen ist, laBt sich nicht mi t Sicherheit entscheiden ; s. Haake 20 1 1b, S. 70, Anm. 20 sowie Haake 20 13, S. 175, Anm. 66. Da Philodems auf einem herculanensi­ schen Papyrus erhaltener Text de bono rege secundum Homerum kein integraler Bestandteil der Gat­ tung der peri basileias-Schrili:en ist, bleibt er in vorliegendem Kontext unberiicksichtigt. Vgl. in diesem Zusammenhang Haake 20 1 1 b, S. 7 1 , Anm. 25 und Haake 20 13, S. 174- 175, Anm. 65 - jeweils auch mit Verweisen aufweitere Forschungsliteratur; s. n un auch Vesperini 20 12, S. 278-282. Zu den in ihrer Datierung kontrovers diskutierten pseudopythagoreischenperi basileias-Schrili:en s. unten S. 3 14-3 1 S. 1 0 Mai uri, Nuova Silloge 1 1 , col. I, Z. 28-29; vgl. dazu - mi t weiteren Hinweisen - Haake 2003, S. 1 23, Anm. 99 und Haake 20 1 3, S. 175, Anm. 66. 1 1 Vgl. dazu eingehend Haake 20 1 1 b, S. 72-73 sowie Haake 20 13, S. 176- 177; s. in diesem Zusam­ menhang auch Muccioli 20 13, S. 355-390. " Vgl. Haake 20 1 1b, S. 69 und Haake 20 13, S. 174. 1 3 Vgl. Haake 20 1 3, S. l 82; zur Figur des Inrellektuellen s. die Ausfiihrungen von Haake 2003, S. 97- 1 00. 1 4 Vgl. in diesem Zusammenhang Haake 20 1 1 b, S. 73 un d Haake 20 13, S. 175- 1 78. 11 Vgl. hierzu ausfiihrlich Haake 20 1 l b, S. 73-75 und Haake 20 1 3, S. 178- 1 84. 16 Vgl. allgemein Haake 201 1 b, S. 70-7 1 ; s. auch Sidebottom 2006, S. 1 28- 1 54. Im Jahr 359 hielt der spatere Kaiser Julian als Caesar eine Rede auf Kaiser Constantius, seinen Cousin, die zwar den Untertitel peri basileias tragt, jedoch gattungsmaBig strictu sensu nicht dem Genre der peri basileias­ Literatur angehiirt, sondern enkomiastischer Natur ist; Themistios' 369 gehaltene achte Rede, die Rede zum fonfjahrigen Regierungsjubilaum, fiir die auch der Titel Valens oder uber die konigliche Na­ tur, vorgetragen an den Quinquennalien in Markianopel bezeugt ist, ist formai ebenfalls nicht der peri basileias-Literatur zuzurechnen, sondern der Panegyrik; s. dazu Haake 20 1 1 b, S. 7 1 , Anm. 24. =

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vier entsprechende Schriften verfaBte, von Markellos von Pergamon und von Syne­ sios von Kyrene. Wahrend von der Schrift des pergamenischen rhetor Markellos, die an Hadrian gerichtet war, nichts erhalten ist17, haben sich die dionischen Texte, die an Traian adressiert waren, ebenso wie Synesios' Werk, das urspriinglich vor Arca­ dius vorgetragen wurde, womi:iglich aber in der vorliegenden Form eine stark iiber­ arbeitete Fassung darstellt, vollstandig erhalten 18• Auch im Falle der kaiserzeitlichen und spatantiken peri basileias-Schriften gilt, daB die Autoren grundsatzlich auf die soziale Rolle des Philosophen zuriickgreifen konnten 19• Ihre Texte waren allerdings in ihrem originaren Kommunikationskontext keine schriftlichen Werke, die an ei­ nen Alleinherrscher adressiert waren, sondern Reden, die vor dem ri:imischen Kai­ ser vorgetragen wurden, der a la mode grecque als basileus, nicht jedoch etwa als autokrator oder sebastos, angeredet wurde20• Die peri basileias-Schriften, die in der Kaiserzeit verfaBt wurden, stellen ein nicht sonderlich erfolgreiches Rezepti­ onsphanomen dar: Bedingt durch die strukturellen Differenzen zwischen hellenis­ tischem Ki:inigtum und ri:imischen Kaisertum variierten auch die kommunikativen Kontexte, so daB wesentliche Konstituenten fiir die peri basileias-Schriften unter den Vorzeichen der ri:imischen Monarchie nicht mehr gegeben waren respektive auf andere Weise funktionierten21• Neben den bislang genannten Texten mit dem Titel peri basileias sind noch drei weitere Schriften mit diesem Titel bekannt, die in der Forschung nicht zu Unrecht als 'pastiches' bezeichnet worden sind22: die drei pseudopythagoreischen peri basileias-Schriften, die in Exzerpten des Stobaios vorliegen und deren Autoren unter den Namen des Diotogenes, Ekphantos und Sthenidas firmieren23• In ihrer Datierung sind diese drei pseudopythagoreischen Texte, die nicht als wirkliche Ex­ ponenten der Gattung der peri basileias-Literatur anzusehen sind, hoch umstritten: Sie schwankt zwischen den extremen Positionen einer Friihdatierung in das vierte vorchristliche Jahrhundert und einer Spatdatierung in das dritte nachchristliche -

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17 Das mi t peri basileias betitelte Werk des Markellos von Pergamon ist in der Suda, s.v. M�pKEÀÀoç (M 204) bezeugt; zu Markellos s. die in Haake 20 l lb, S. 70, Anm. 22 zusammengestellte Literarur. 1 8 Zu Dions bzw. Synesios' peri basileias-Reden s. unten S. 3 1 5 bzw. S. 3 1 4-3 1 5 . 19 S. i n diesem Zusammenhang Haake 2003, S . l 00- 1 02 sowie - mi t weiteren Literaturhinweisen - Haake 20 l l b, S. 77-78, Anm. 47. 20 Vgl. Haake 20 1 l b, S. 77-78; s. in diesem Zusammenhang ferner auch Wifstrand 1 939. 2 1 Vgl. zu dieser knappen Darlegung die ausfiihrliche Eriirterung in Haake 20 1 1 b, S. 78-8 1 . 22 So Murray 2007, S. 17. 23 Ps.-Diotog., pp. 37, 5-45, 1 1 Delatte = pp. 7 1 . 1 5-75, 1 6 1hesleff ap. Stob. IV 7, 6 1 -62 [IV, pp. 263, 14-270, 1 1 ] Hense; Ps.-Ekphant., pp. 25, 1 -37, 4 Delatte = pp. 79, 1-84, 8 Thesleff = pp. 76-92 Merkelbach ap. Stob. IV 6, 22 u. 64-66 [IV, pp. 244, 1 3-245, 10 u. 27 1, 1 3-279, 20] Hense; Ps.-Sthenid., pp. 45, 1 2-46, 1 2 Delatte = pp. 1 87, 8- 1 88, 1 3 1hesleff ap. Stob. IV 7, 63 [IV, pp. 270, 1 2-27 1 . 1 2] Hense.

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Jahrhundert24• Auf Grund konzeptioneller Aussagen zum Herrscher erscheint ei­ gentlich eine kaiserzeitliche Verortung nicht unplausibel, doch zwingt ein vor eini­ gen Jahren bekannt gewordener Papyrus dazu, eine Entstehung im Alexandria des ersten vorchristlichen Jahrhunderts starker in Erwagung zu ziehen25• Was die originaren Texte der Gattung der peri basileias-Schriften aus hellenis­ tischer wie auch aus der Kaiserzeit und der Spatantike gemein haben, ist erstens, dafS ihre Autoren als Philosophen auftraten - mithin also in der sozialen Rolle des lntellektuellen ; ist zweitens, dafS ihr Adressat stets ein Alleinherrscher, ob nun hel­ lenistischer Konig oder romischer Kaiser, war; un d ist drittens, dafS als das implizi­ te Publikum primar die griechische po/is- O ffentlichkeit anzusehen ist. Diese letzte Aussage fiihrt zu einer wichtigen Feststellung: Es gibt kein formales Pendant zu den peri basileias-Schriften in einem originar romischen Kontext - lateinische Werke mi t dem Titel de regno sin d nicht nur nicht bezeugt, sondern strukturell undenkbar. Auf Grund des spezifischen, durch originar griechische Strukturelemente vorgege­ benen Kommunikationskontextes der peri basileias-Literatur konnte es eine romi­ sche Adaption dieser Gattung unter den Vorzeichen der Alleinherrschaft in Rom nicht geben26• Auch wenn - wie bereits hervorgehoben - die Textsorte der peri basileias­ Schriften erst unter Alexander dem GrofSen entstand, so ist hervorzuheben, dafS die thematisch-inhaltliche Ausgestaltung dieser Schriften keineswegs als innovativ zu betrachten ist, sondern einem im friihen Hellenismus in der griechischen Welt langstens etablierten Argumentationshaushalt iiber die Figur des Alleinherrschers verpflichtet war27• Sei t den Tagen Homers hatte sich in literarischen Erorterungen, die um die Figur des Alleinherrschers kreisten, in verschiedenen literarischen Gat­ tungen in unterschiedlichen politischen und sozialen Kontexten ein dichotomes Paar etabliert, das nicht herrschaftstypologisch, sondern normativ zu begreifen ist: der gute Herrscher, der basileus, und sein Gegenbild, der Tyrann. Entlang der Fi­ guren des basileus und des Tyrannen wurde in den peri basileias-Schriften des Hel­ lenismus und der Kaiserzeit der gute Herrscher vor den Augen beziehungsweise den Ohren des Alleinherrschers ausgehandelt28• Von zentraler Bedeutung in diesem Zusammenhang sind zwei Aspekte : Auch wenn, erstens, die peri basileias-Schriften unmittelbar an hellenistische Konige respektive romische Kaiser adressiert waren, 24 Verwiesen sei etwa auf Goodenough 1928, S. 59-78; Delatte 1 942, S. 59- 1 63 ; Thesleff 196 1 , S. 30-41; Burkert 1 972, S . 48-55; Thesleff 1972; Squilloni 1 99 1 , S . 35-60; Bertelli 2002, S . 43-54; Centrone 2005, S. 57 1-575; Murray 2007, S. 17, Anm. 14; Andorlini, Luiselli 20 1 1 , S. 1 59- 1 60 und Muccioli 20 1 3, S. 357-358. 2 5 Vgl. dazu unten S. 3 1 6. 26 Vgl. in diesem Zusammenhang Sidebottom 2006, S. 1 3 5- 1 36; Braund 2009, S. 18 und Haake 20 l l b, S. 78. 27 Vgl. Haake 20 1 1b, S. 66 und ausfi.ihrlich Haake 20 13, S. 1 69- 172. 28 Vgl. Haake 20 l lb, S. 75-76 und Haake 20 1 3, S. 1 76.

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so werden di e Herrscher im Kontext der literarischen Erorterungen ii ber den guten Monarchen in der Regel nicht explizit angesprochen - dies erfolgt auf der sprachli­ chen Ebene implizit durch die Evozierung des Bildes des guten und des schlechten Herrschers. Zweitens, in den peri basileias-Schrifi:en wird zwar ein detailliertes Bild des guten Herrschers gezeichnet, aber sie beinhalten keine spezi6schen Handlungs­ maximen, die historische Bedingungen beriicksichtigen oder auf konkrete Ereig­ nisse reagieren wiirden; vielmehr kennzeichnet diese Texte eine in dieser Hinsicht intendierte programmatische Allgemeingiiltigkeit29, die den Verfassern, den Philo­ sophen jenseits der ihnen zugestandenen parrhesia30, in gewisser Weise auch eine Schutzfunktion gegeniiber den angesprochenen Herrschern war. Diese Allgemeingiiltigkeit wird seitens der Autoren dadurch erreicht, daG sich die Diskussionen um den guten Herrscher, den basileus, ebenso wie diejenigen um sein Gegenbild, den Tyrannen, inhaltlich stets um diejenigen Tugenden spinnen, aus deren Pool auch die im Laufe der Geschichte unterschiedlich bestimmten vier Kardinaltugenden entstammen: GroGmut, Menschenfreundlichkeit, Wohltatig­ keit, Tapferkeit, Weisheit, Frommigkeit, Besonnenheit, Selbstbeherrschung und Gerechtigkeit31 • I I . Die herrscherliche Apotheose in der hellenistischen, kaiserzeitlichen und spatantiken peri basileias- Literatur

Auf Grund des deplorablen Oberlieferungszustandes der in die hellenistische Zeit zu datierenden peri basileias-Schrifi:en eignen sich diese nicht als Ausgangspunkt fiir O berlegungen zum Themenfeld der herrscherlichen Apotheose in diesem litera­ rischen Genre. Sinnvoller ist es, in chronologisch verkehrter Reihenfolge zunachst den spatesten antiken, unter christlichen Vorzeichen stehenden Exponenten die­ ser Gattung, die Rede peri basileias des Synesios von Kyrene, hinsichtlich der Frage nach der herrscherlichen Apotheose in den Fokus zu nehmen - auch wenn der Be­ fund negativ ist. Dies verwundert nicht: Die Rede peri basileias des nachgerade 'favorinischen', weil prima focie Widerspriichlichkeiten in sich vereinigenden Philosophen un d Bi­ schofs steht trotz ihres in vielerlei Hinsicht traditionellen Argumentationshaushaltes in einem christlichen Kontext - ist es doch der Hof des christlichen Kaisers Arcadius in Konstantinopel, an dem sie um das Jahr 400 gehalten wurde32• So spielt denn auch 29 Vgl. Haake 20 1 1 b, S. 72 un d Haake 20 1 3, S. 175 sowie S. 1 86. 30 Zur parrhesia des Philosophen s. eingehend Haake 20 1 3, S. 1 82- 1 83. 3 1 Zu den Kardinaleugenden s. eewa Préaux 1 969. 3 2 Zu Synesios' peri basileias-Rede mie ihren gaeeungsbedingeen Seereoeypen sowie ihren Spezifika sei verwiesen auf Cameron, Long 1 993, S. l 07 - 1 42; Garener 1 993; Hagl 1997, S. 63- 1 02; Schmitt 200 1 , S. 282-288; Brande 2003 und Aujoulae 2008.

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Gott in einigen Passagen von Synesios' Rede eine zentrale Rolle, und ein wichtiger, herrschaftsstabilisierender (bzw. - allerdings nicht explizit - unter Umstanden herr­ schaftsdestabilisierender) Faktor wird ihm zugeschrieben33• Deutlich tritt zu Tage, daB der Herrscher - und sei er auch noch so machtig - Gott eindeutig untergeordnet ist und daB diese Hierarchie uniiberwindbar ist34• Auch wenn dem Herrscher emp­ fohlen wird, Gottes Vorbild nachzueifern: Eine Apotheose im traditionellen paga­ nen Sinne konnte es unter christlichen Vorzeichen nicht mehr geben35• Wie aber gestaltete sich die Thematisierung der herrscherlichen Apotheose in den vier dionischen peri basileias-Texten, den zugleich friihesten vollstandig erhal­ tenen wie auch den friihesten kaiserzeitlichen Zeugnissen dieser Textsorte ?36 Es ist insbesondere Dions erste, um das Jahr l 00 gehaltene peri basileias-Rede, die in vor­ liegendem Kontext von besonderem Interesse ist, da sie ergiebiger als seine anderen d rei peri basileias-Reden ist37• Nachdem Dion in seiner ersten Rede peri basileias zunachst kurz und pragnant dargelegt hat, was den guten Herrscher, der von Zeus in seine Position eingesetzt ist38, ausmacht und nachdem er sodann eine ausfiihrliche Erorterung des guten Herrschers - und zwar des guten Herrschers nach Homer - folgen laBt39, behan­ delt er schlieBlich zunachst Zeus, den in homerischen Worten 'obersten Konig un d Herrscher', den die Sterblichen und diejenigen, die die Belange der Sterblichen len­ ken, nachzuahmen haben40, bevor sich daran nach kurzen Bemerkungen iiber die Administration des Universums Ausfiihrungen zur Rolle des Herrschers anschlie­ Ben, der - wie der Autor noch einmal betont - se in e Machtstellung Zeus verdankt41 • Auch wenn Dion Chrysostomos das hierarchische Verhaltnis zwischen Herr­ scher und Zeus, dem hochsten Gott, in Gestalt des seinerzeit iiberaus prasenten Konzepts des princeps a diis electus unter griechischen Vorzeichen thematisiert42 33 Vgl. in diesem Zusammenhang die Inhaltsiibersicht von Hagl l 997, S. 72 zu Synes., Regn. 8- 1 3. 34 In diesem Zusammenhang sei verwiesen auf Martin 1 984; Martin 1 987, S. 194- 1 95 und Die­ fenbach 1 996, bes. S. 39. 3 1 Vgl. in diesem Zusammenhang Bonamente 20 I l . 36 Zu Dions peri basileias- Reden seien aus der groBen Zahl an Publikationen nur Desideri 1 978, S. 283-3 1 8 ; Jones 1 978, S. 1 1 5- 1 23; Moles 1 990; Gangloff2009 und Van Nuffelen 20 1 1 , S. 147- 1 56 genannt; s. auch die in Haake 20 l lb, S. 70, Anm. 2 1 angefiihrte Literatur. 37 Fiir eine kurze inhaltliche Obersicht dieser Rede s. beispielsweise Schulte 200 1 , S. 2 1 1-213 und Gangloff 2009, S. 8-9; fiir eine eingehende Analyse dieser Rede vgl. etwa Charles-Saget 1 986 und Moles 1 990, S. 305-337. 38 Dion Chrys., or. 1 , 1 1 . 39 Dio n Chrys., or. l , 1 1 - 1 4; 1 5-36; vgl. dazu etwa M o le s 1 990, S . 3 1 2-3 1 6. Zur Verwendung von Aspekten des 'guten Kiinigs nach Homer' zur Ausgestaltung der Figur des princeps s. etwa Gangloff 20 1 1 . 40 Dio n Chrys., or. 1 .37-4 1 ; vgl. in diesem Zusammenhang etwa Mol es 1 990, S. 3 1 6. 41 Dion Chrys., or. 1 .42-47; s. dazu beispielsweise Moles 1 990, S. 3 1 6-3 17. 4' Zu Dions Verwendung des Konzepts des princeps a diis electus unter griechischen Vorzeichen vgl. insbesondere Fears 1 977, S. 1 54 sowie ferner auch Gangloff 2009, S. 8.

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und Zeus' Nachahmung durch den Monarchen als einen wesentlichen Aspekt fi.ir den guten Herrscher bestimmt: Nicht nur in der ersten, sondern in allen vier di­ onischen peri basileias-Reden findet - ebenso wie in der peri basileias-Schrifi: des Synesios - eine explizite Auseinandersetzung mit der herrscherlichen Apotheose nicht statt. Wie gestaltet sich schlieBlich die Thematisierung der herrscherlichen Apothe­ ose in den drei mi t peri basileias betitelten Schrifi:en, die in ihrer Ausdeutung auf Grund ihrer vieldiskutierten Datierung am umstrittensten sind43 ? Es geht um die in unterschiedlich umfangreichen Exzerpten des Stobaios vorliegenden pseudo­ pythagoreischen Werke aus der Feder von unter den Namen Diotogenes, Ekphan­ tos un d Sthenidas firmierenden Autoren, fi.ir di e zwar auf Grund konzeptioneller Ausfi.ihrungen zum Herrscher eigendich ein kaiserzeitliches Entstehungsdatum plausibel erscheint, fi.ir die jedoch auf Grund eines vor einigen Jahren bekannt gewordenen Papyrus das Alexandria des ersten vorchristlichen Jahrhunderts als Abfassungskontext in Erwagung zu ziehen ist44• So wichtig die Datierung dieser pseudopythagoreischen Texte grundsatzlich ist, in vorliegendem Kontext kann sie auf Grund ihres 'pastiche'-Charakters, der auch bedeutet, sie in einem von den i.ibrigen peri basileias-Schrifi:en differenten, namlich nicht herrscherbezogenen kommunikativen Kontext anzusiedeln, auf sich beruhen45• In Pseudo-Diotogenes' Konzeption des Konigs46, dessen Herrschafi: ein gott­ ahnliches Geschafi: ist, spielen das Priesteramt und die Verehrung der Gotter eine wesentliche Rolle. Um dieses Priesteramt angemessen ausfi.illen, das heiBt, um ein guter und frommer Priester sein zu konnen, ist es notwendig, daB der Herrscher das Wesen und die Tugend Gottes eingehend studiert hat. Daneben ist es fi.ir den Konig, der seine Herrschafi: von Gott erhalten hat, von zentraler Bedeutung, mit den Gottern durch SeelengroBe und unbedingte Tugend eins zu werden. Unter den Gottern, denen der Herrscher nacheifern soli, nimmt Zeus, der mi t den home­ rischen Worten als Vater der Menschen un d Gotter bezeichnet wird, di e wichtigste Position ein. Mit der Aussage, daB das Konigtum ein gottahnliches Unterfangen sei, endet das Exzerpt47• 43 Zu diesem Aspekt s. nun auch Muccioli 20 1 3, S. 356-357. Fiir eine Datierung der pseudopythagoreischen peri basileias-Schri fcen in die Kaiserzeit vgl. mie weicerfiihrenden Hinweisen - Haake 2003, S. 1 2 1 - 1 22, Anm. 88; Haake 20 1 1 b, S. 7 1 -72, Anm. 26 un d Haake 20 1 3, S. 174- 175, An m. 65; s. in diesem Zusammenhang auch Zecchini 1 997, S. 8485, der fiir eine zeitliche Verortung in die augusteisch-tiberianische Zeit pladiert hat. Allerdings stelle eine eingehende un d erneute Eriirterung der Datierungsfrage vor dem Hincergrund der bislang wenig rezipierten Beobachtungen von Andorlini, Luiselli 200 1 zu P.Bingen 3 ( = P.Med. inv. 7 1 .86[, der von Daris 2000 publiziert worden ist) ein Desideratum dar. S. aber Landucci Gattinoni 20 1 1 , S. 95-97. 45 Vgl. in diesem Zusammenhang Murray 2007, S. 20-2 1 . 46 Grundsatzlich zur Konzeption des Kiinigs bei Pseudo-Diotogenes s . etwa Goodenough 1 928, S. 64-73; Schulte 200 1 , S. 1 36- 148 und Bertelli 2002, S. 47-49. 47 Ps.-Diocog., pp. 37, 1 1 - 1 3; 38, 3-4; 39, 2-4; 4 1 , 8-9; 42, 17-43, 2; 45, 2-7 u. 1 0- 1 1 Delatte = pp. 44

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Fiir den unter dem Namen Sthenidas48 schreibenden Autor ist es in seinen Aus­ fiihrungen ii ber das Konigtum von wesendicher Bedeutung, daiS der Konig Abbild und Nachahmer des hochsten Gottes ebenso wie dessen Diener ist49• GemaiS der Konzeption des Konigs nach dem unter dem Namen Ekphantos50 schreibenden Autor ist der Herrscher, der ein Abbild Gottes ist, vom resdichen Menschengeschlecht geschieden, da er, obschon grundsatzlich gleicher Natur mit den Menschen, mehr Anteil am Gotdichen hat: Der Herrscher, der gotdicher Ab­ stammung ist, ist trotz seiner den iibrigen Menschen gleichen Natur ein vollkom­ meneres Geschopf als der Rest der Menschheit51• Dieser kurze Blick auf die pseudopythagoreischen peri basileias-Texte zeigt, daiS das Verhaltnis des Herrschers zu Gott bzw. den Gottern ein wichtiges inhaldiches Element dieser drei Schriften darstellt - wenn dieser Eindruck nicht allein Stobaios' Disposition der Exzerpte geschuldet ist. Auch wenn alle drei betrachteten Texte ei­ nem pseudopythagoreischen Kontext entstammen - ohne daiS dies massive andere philosophische Einfliisse auf die Konzeption des Herrschers ausschliefSt -, so sind die Konzepte in Bezug auf die Relation des Konigs zur gotdichen Sphare keines­ wegs identisch52• Gemein haben die drei Texte allerdings - ausweislich der iiberlie­ ferten Exzerpte -, daiS die herrscherliche Apotheose keine Thematisierung erfahrt. Nur schwerlich lafSt sich auf Grund der O berlieferungslage etwas jenseits der groiSen thematischen Schwerpunkte iiber die inhaldiche Ausgestaltung der in die hellenistische Zeit zu datierenden peri basileias-Schriften en detail aussagen : Zwar ist mi t guten Griinden davon auszugehen, daiS auch in diesen Schriften etwa Bezug auf die Herrschaft des Zeus genommen wurde53; aber es gibt keinerlei Indizien da­ fiir, daiS die herrscherliche Apotheose Gegenstand der hellenistischen peri basileias­ Schriften gewesen ware. 7 1 , 23-24; 72, 2-3 u. 1 5- 1 6; 73, 1 8- 1 9; 74, 10- 1 2 u. 75, 8- 1 3 u. 1 5- 1 6 lhesleff ap. Stob., pp. 263, 20264, l; 264, 4-5; 265, 1 -3; 266, 22-23; 268, 3-5; 270, 1 -7 u. 1 0- 1 1 Hense; im Zusammenhang mi t den zitierten Textstellen s. Delatte 1 942, S. 249, 253-255, 262-263, 269-270 u. 273. 48 Grundsatzlich zur Konzeption des Kiinigs bei Pseudo-Sthenidas s. etwa Goodenough 1 928, S. 73-75; Schulte 200 1 , S. 1 48- 1 50 und Bertelli 2002, S. 49-52. 49 Ps.-Sthenid., pp. 45, 1 3-46, l u. 46, 1 1 - 1 2 Delatte = pp. 1 87, 1 0- 1 3 u. 1 88, 1 2- 1 3 lhesleff ap. Stob., IV pp. 270, 1 3 - 1 6 u. 27 1 , 1 1 - 1 2 Hense ; im Zusammenhang mit den zitierten Textstellen s. Delatte 1 942, S. 275-278 u. S. 28 1 . 50 Grundsatzlich zur Konzeption des Kiinigs bei Pseudo-Ekphantos s . etwa Goodenough 1928, S. 75-78 u. S. 82-9 1 ; Squilloni 1 99 1 , S. 64- 1 06; Schulte 200 1 , S. 1 5 1 - 1 58; Bertelli 2002, S. 52-54 und Calabi 2008, S. 1 85-2 1 5 . 51 Ps.-Ekphant., pp. 25, 7-26, 3 u . (damit identisch) 27, 1 2-28, 3 sowie 28, 5-29, 1 0 Delatte = pp. 79, 20-80, 3 sowie 80, 4- 1 3 lhesleff= pp. 76, 78 u. 80 Merkelbach ap. Stob., IV pp. 244, 1 9-245, 4 u. (dami t identisch) 272, 9- 1 2 sowie 272, 14-273, 10 Hense; im Zusammenhang mit den zitierten Textstellen s. Delatte 1 942, S. 175- 1 8 1 . 5 2 Vgl. i n diesem Zusammenhang etwa die i n ihren Ausdeutungen jedoch ofi:mals nicht iiberzeu­ genden Ausfiihrungen von Edelmann 2007, S. 1 56- 1 6 1 . 5 3 S . etwa Murray 2007, S . 23.

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Bei den - trotz aUer grundsatzlichen Uniformitat der einzelnen Texte - durch­ aus vorhandenen Differenzen zwischen den verschiedenen peri basileias-Texten aus dem Hellenismus sowie der Kaiserzeit und der Spatantike ist hinsichdich der herr­ scherlichen Beziehung zur gotdichen Sphare Folgendes festzuhalten: die Nicht­ Thematisierung der Apotheose ist - trotz philosophisch-theologischer Ausfiihrun­ gen iiber die Relation zwischen Herrscher und Gott bzw. Gottern - allen mi t peri basileias iiberschriebenen Werken gemein. III. 'Let's talk about . . . apotheosis' ? Di e peri basileias S chri ften un d das Themen­ feld der Apotheose - einige abschlieBende Bemerkungen -

In der historischen Umwelt der peri basileias-Schriften fungierte die herrscherli­ che Apotheose einerseits im Hellenismus und in der Kaiserzeit als ein integraler Bestandteil des Umgangs der Beherrschten mit dem Konig respektive Kaiser - sie war ein Mittel der politischen Kommunikation, das dazu diente, die iiberragen­ de Machtstellung des Herrschers in das kommunikative Gefiige der 'Untertanen' einzubinden54: Sie spiegelte nicht nur, aber insbesondere die Beurteilung des mo­ narchischen Agierens eines Konigs oder Kaisers in Bezug auf Erwartungen der Beherrschten an den Herrscher wider. Andererseits nutzten in hellenistischer Zeit - und teilweise gilt dies ebenso fiir die Kaiserzeit - auch Herrscher die Apotheose ihrer selbst und ihrer Vorfahren fiir ihre politischen Zwecke - sie cliente dann der Heraushebung der eigenen Stellung sowie der Integrati o n der beherrschten Rei che, die durch wenig 'im Innersten' zusammengehalten wurden. Wie erklart es sich vor diesem Hintergrund, daiS mi t der Apotheose e in zentrales Medium der Kommunikation zwischen Beherrschten und Herrschern in einem an­ deren wichtigen Medium, das ebenfalls im Kontext der Kommunikation zwischen Beherrschten und Herrschern seinen sozialen Ort hat, in einen Mantel des Schwei­ gens gehiillt und nicht thematisiert wird ? Die Antwort liegt p rimar in zwei zentralen Charakteristika der Gattung der peri basileias-Schriften begriindet, die besagen, was diese Texte nicht sind: Da sie, ers­ tens, weder analytische Konzeptionen von monarchischer Macht im Hellenismus und der Kaiserzeit noch von Herrschaftspraktiken des hellenistischen Konigtums oder des romischen Kaisertums sind55, und auch keine spezifischen Handlungsan­ leitungen fiir einen Herrscher bieten (und deren Konsequenzen darlegen)56, son54 In diesem Zusammenhang vgl. etwa exemplarisch Bechthold 20 1 1 zu 'Apotheose und Kataste­ rismos in der politischen Kommunikation der romischen Kaiserzeit'. 55 Vgl. in diesem Zusammenhang die Ausfiihrungen von Gehrke 1 982, S. 248 bzw. Gehrke 20 1 3, S. 73-7 4 in Bezug auf philosophische Konzeptionen der hellenistischen Monarchie, di e mutatis mu­ tandi - auch fiir das romische Kaisertum gelten; s. auch Haake 20 1 1 b, S. 73. 5 6 Vgl. dazu etwa Haake 20 1 1 b, S. 72-73 und Haake 20 1 3, S. 176- 177. Beziiglich der postmortalen -

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dern ganz grundsatzlich und auf einer allgemeinen Ebene den guten Herrscher als Gegenbild zum Tyrannen imaginieren, werden situationsgebundene Akte der Kommunikation zwischen Alleinherrscher und Beherrschten beziehungsweise vice versa - wie sie etwa auch die Apotheose darstellt - nicht thematisiert. Die peri basileias-Schi.'iften sind, zweitens, auch nicht Ausdruck oder Reprasentanten einer an realen Gegebenheiten oder idealen Vorstellungen orientierten, womoglich gar offìziosen 'politischen Philosophie'57 mit einer im weitesten Sinne 'herrschaftspro­ pagandistischen' Intenti o n 58 - un d zwar weder des hellenistischen Konigtums noch der romischen Kaisertums59• AbschlieBend sei noch auf eine inhaldiche Differenz innnerhalb der angespro­ chenen peri basileias-Schriften hingewiesen : Die in den pseudopythagoreischen Texten deudich starker zu Tage tretende philosophisch-theologische Komponente in der Konstruktion des Monarchen ist nicht allein dem philosophischen Umfeld zuzurechnen, sondern diirfte auch der Tatsache geschuldet sein, daB diese Schriften in einem anderen kommunikativen Kontext stehen als die an Herrscher adressier­ ten originaren Exponenten der Gattung der peri basileias-Schriften. So sehr also die Apotheose des Herrschers auch ein fundamentaler Bestandteil der Kommunikation der Beherrschten mi t un d iiber den Herrscher im Hellenismus und in der Kaiserzeit sowie des Herrschers mit den Beherrschten im Hellenismus war und so sehr auch die Kommunikation mit dem Herrscher vor einem spezifi­ schen Publikum die soziale und kommunikative Funktion der peri basileias-Schrif­ ten darstellte : Die 'alltagspraktische' Vergottung des Herrschers konnte auf Grund der spezifischen Charakteristika der Gattung der peri basileias-Schriften nicht in diesen thematisiert werden.

herrscherlichen Apotheose gilt e s zudem zu beriicksichtigen, daB der Tod des Herrschers und die sich daraus ergebenden Konsequenzen nicht Bestandteil von an Monarchen gerichteten Schrifi:en oder Reden waren - und dies gilt nicht nur fiir Texte der Gattung der peri basileias-Schrifi:en, sondern fiir auch fiir samdiche Formen der basilikoi logoi ( un d letzdich nahezu ausnahmslos fiir alle Sprechakte gegeniiber dem Alleinherrscher) . 57 Dies ist in Anlehnung an den Ti te! von Goodenough 1 928 formuliert. 5 8 So aber etwa Edelmann 2007, S. 1 50- 1 72. 59 Das strukturell bedingte und ebenso explizite wie demonstrative Schweigen iiber die herrscher­ liche Apotheose in den peri basileias-Schrifi:en konnte allein durch die Behandlung eines spezifischen Themas auf eine sehr implizite Weise gebrochen werden: indem der Autor iiber die Figur des Herakles schrieb bzw. sprach, an die im Hellenismus und in der Kaiserzeit immer wieder Herrscher angegli­ chen wurden. Da in der antiken Tradition Herakles seine Vollendung in einer Apotheose fand, konnte durch die Evozierung der Heraklesfigur in einigen peri basileias-Schrifi:en auf eine sehr indirekte und subtile Weise die Thematik der herrscherlichen Apotheose angerissen werden. Zur Angleichung des Herrschers an Herakles im Hellenismus und in der Kaiserzeit s. etwa Huttner 1 997, S. 27 1-323 sowie Gangloff 2009, S. 28-33; zur Apotheose des Herakles sei beispielsweise verwiesen auf Shapiro 1 983 und Winiarczyk 2000.

H ELI OGABALU S , SATU RN U S , ANO H E RCU LES

Attilio Mastrocinque

Each emperor has his preferences within the pantheon. Divinization was not a sim­ ple transformation of a deceased man imo a god, but also a work of shaping this new god. The preferences of the emperors were often the starting point of the forth­ coming divinization. The most cherished god became the model for the divinized emperor. Even the disregard for divinization was respected, as it was the case of Tiberius. On the other hand the emperors often wanted to appear the like of one god and supposed to identify themselves with him. Augustus and Nero cherished Apollo, Commodus, Postumus, Maximianus cherished Hercules, Septimius Severus Di­ onysus, Hercules and Serapis, Heliogabalus thought to be similar to the living sun Elagabal and thus was called with the name of the god himself However he was thinking also of other gods and assumed attitudes of theirs or performed rituals which were fitting both emasculated gods and himself Cassius Dio1 describes the vices of Heliogabalus ( who is called with the nick­ name Sardanapalus ) , and mentions a strange ritual : éç -ròv vaòv athoii Àéov-ra Kctl nl9YJKOV Kctl ocjnv nvà l;wv-ra É')'KctTctlCÀelO'aç, alooili n àv9pclmou É!l�aÀwv, Kctl &M' &na àvoO'toupywv, nept!in-rotç n\ TLO't lluplotç !iel non XPW!lEVOç I will no t describe the barbarie chants which Sardanapalus, together with his mother and grandmother, chanted to Elagabalus, or the secret sacrifìces that he offered to him, slaying boys and using charms, in fact actually shutting up alive in the god's 1 Dio LXXIX 1 1 , 3 (III, p. 464 Boissevain); transl. by E. Cary, on the basis of the version by H.B. Foster.

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Attilio Mastrocinque

tempie a lion, a monkey, and a snake, and throwing in among them human genitals, and practising other unholy rites, while he invariably wore innumerable amulets.

This extravagant ritual was never understood by the modero scholarship. lt is unique indeed and mysterious, but we will see that some clues exist, which provide us with a way to understand. Cassius Dio, as well as the Historia Augusta, describes an d condemns the sexual extravagances of Heliogabalus, who seems to have been always worried to avoid his masculinity. Among his numerous oddities, he presented himself as an emasculated priest of Sol Elagabalus2, and planned to cut off his genitals altogether3• Cassius Dio wrote in the age of Heliogabalus and Severus Alexander an d thus h e is a reli­ able author, even if he was absent from Rome un der Heliogabalus. His account has a stronger value than the late and manipulatory Aurelius Victor and the Epitome de Caesaribus. However the modero scholarship has ofi:en underlined the strong prejudice of ancient historiography against this emperor\ a prejudice which pre­ vent us from understanding the aims and the reasons of his reign. The evidendy biased account by Cassius Dio transmits a precise ritual, whose reality was hardly the product of senato riai propaganda. Therefore we can try to discover archaeologi­ cal evidence which explains it. We have the following elements : lion, monkey, snake, and human genitals. We start with the lion and the monkey. A series of magical gems5 (see fig. l ) shows a small cynocephalic monkey, which is riding on the back of a lion. On the reverse side the Sisisrò magical spell can be read. The meaning of such an iconography has been explained by Simone Michel6• She noticed that the monkey was a sign of the Egyptian Dodekaoros, a special form of zodiac7, in which this symbolic animai cor­ responds to the Capricoro, the 'home' of Saturous8• According to Michel, the lion was an image of the suo, who was un der the influence of Saturous an d the Capri­ coro. O n the specimen in the Skoluda collection (fig. 2) a god appears o n the reverse side, who is accompanied by the sceptre of Kronos, i.e. a hooked spear (ankistron). 2 HA, Heliog, 7. 3 Dio LXXX 1 1 . 4 I quote, for instance, a fairly judged book by Turcan 1 985 and that by Icks 20 1 1 ; two studies on the religion of Heliogabalus by Frey 1 989 ( who underlines the Syrian origin of many religious acts of Heliogabalus, which were misunderstood by Cassius Dio), and by Gualerzi 2005; and a recent book, in which the archaeological evidence is preferred to the irremediably biased historical tradition : de Arrizabalaga y Prado 20 l O. On the dependence ofHerodianus on Cassius Dio: Scheithauer 1990. No t only ancient authors, but also contemporary documents shared the condemnation of Heliogabalus' effeminacy: P. Oxy. 46, 3298-9; cf. Parson 1 982, part. 1 92. 5 Delatte, Derchain 1964, no. 20 l. I dea! with ali this topic in Mastrocinque 20 1 1 . Ali the documents are quoted there. 6 Miche! 20 1 1 . 7 See Boll l 903, chap. 1 3th. 8 See for ex. Hephaistion; I, 24 Pingree.

Heliogabalus, Saturnus, and Hercules

Fig. lA

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Fig. IB

Fig. l. Jasper gem in the Cabinet des Médailles. Paris. A. Obv.: an Egyptian young Kronos; B. Rev.: a monkey riding o n the back of a lion.

Fig. 2. Jasper gem in the Skoluda collection. lconography as in fig. l .

Simone Michel9 correcdy maintains that Ctct Cpw (i.e. Sisi and Srò) are two Decans of Capricorn 10•

9 As quoted; cf. Supplementum magicum, l, p. l SO; von Lieven 2000, p. 32 .

10 Hephaistion (I 25 Pingree), Cpw and'Icpw. See Abry 1 993a, pp. 77-78.

Attilio Mastrocinque

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This logos occurs also on one magical gem o n obsidian 11 which depicts a peculiar form ofKronos, simUar to the Egyptian Kronos-Suchos, but holding his geni tal organs instead of rhe crocodUe. This gem (fig. 3) is kept in the Civic Archaeological Museum of Bologna12• Another gem13 (fig. 4) shows a standing man, wearing a tunic, his hair is perhaps feminine, and another person, probably a woman, is kneeling behind him. This iconography is explained by a passage of the 1 st book of the Kyranides1\ where we read: "You should engrave on the obsidian an emasculated man, having his sexual organs ly­ ing at his feet, his hands downward, and he himselflooking down towards his genitals. Aphrodite is to be engraved behind him, shoulder to shoulder, and she is gazing at him".

Fig. 3A

Fig. 3B

Fig. 3. Obsidian gem in the Civic Museum ofBologne. A. Obv. an Egyptian or Syrian Cronos who holds his geni tal organs; B. Rev. boar and a lion-headed snake.

Fig. 4. Jasper gem in the Kunsthistorisches Museum in Vienne. lt depicts an emasculated priest lusted after by a woman. 1 1 On this gcms and related topics see Mastrocinque 2002, and Mastrocinque 20 1 1 , pp. 9-49. 12 Syll. Gem. Gnost. II, Bo 6. 1 3 Zwierlein-Diehl l99 1 , no. 221 1 ; see Mastrocinque, as quoted in footnote I l . 1 4 63 Kaimakis.

He/iogabalus, Saturnus, and Hercules

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lf we gaze attentively at the gem, we recognize the sexual organs at the feet o f the standing man. This gem decorated the center of Aphrodite's crown, which was dec­ orated also by other gems, each o ne of whom encapsulated a different love charm. The Kyranides clarify that this kind of stone and the related charm were sacred to Kronos. We have presented now two kinds of gems which show the emasculated man, the lion, and the monkey. The snake is stili missing. The reverse side ofBologna gem is engraved with a lion-headed snake facing a boar. Kronos had some mysterius links with the snake. In fact, the Vatican Mythographer15 reports that the head of Satur­ nus had the forms of a snake, a li o n an d a boar, depending o n the seasons. Moreover, the sacred stone of Kronos was calied "snake's stone" 16• Those gems were related to a stream of religious thought which depended o n the Egyptian cult of Kronos-Suchos and on the Syrian cult of Athargatis-Dea Syria. In fact, the woman who is depicted on the Vienna gem corresponds to the Aphrodite as described by the Kyranides. In Hierapolis of Syria a ritual was performed in the tempie of the Dea Syria: the castrated priests wore women's garments and were de­ sired by women 17• lt is probable that a similar ritual was performed also in the Alex­ andrian tempie ofKronos. In fact the Christian writer Rufìnus18 says that a priest of this tempie convinced severa! women to sleep in the tempie ; he appeared, disguised as Kronos, and had sexual intercourse with them. Heliogabalus' interest in his strange ritual can therefore be explained by this compound of beliefs which magica! gems testify to. Every element of the ritual proves to be related to the emasculated Syrian Kronos and the Egyptian Kronos­ Suchos. Cassius Dio19 witnesses that Septimius Severus was in Egypt in 1 99 CE an d « took away from practicaliy ali the sanctuaries ali the books that he could fin d con­ taining the secret lore » . Heliogabalus an d his advisors had thus at their disposal the Egyptian secret lore, which could be put in comparison with their familiar Syrian religion. The sophisticated ritual of Heliogabalus was devoted to an emasculated Kronos, and this makes sense in the case of an emperor, who presented himself as a transsexual, cross-dressed, an d virtualiy emasculated young man. Unfortunately i t is impossible to ascertain that whether the beliefs testifìed by the gems depended on the religion of the imperia! court or vice versa. 1 5 Mythogr. Vatican. 3 ( 1 .8, 1 55-6 Bode Cumont 1 898, 53-54). In the Second Book oj}eu (Kop­ tisch-gnostische Schriften, I, p. 207 ed. Schmidt) an evil god is described, whose head was that of a boar an d the body that of a lio n. According to the diagram of the Ophites (in Orig., Contra Cels. vi, 30) Michael was placed in the ci reie of Saturnus an d had the form of a lio n. 16 Kyranides, l.c.; Ps. Callisth., Historia Alexandri (recensio A) I 4, S. p. 33 Kroll; Papyri Graecae Magicae XII 434. Pliny, NH XXIX 66 says that the Magi used a substance called basilisci sanguen, which was also called Saturni sanguen; cf. Gaillard-Seux 1 999. 1 7 Lucian., De dea Syria 1 9-27; in particular 22. 18 H. E. II 25. 1 9 Dio LXXVI 1 3. =

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Attilio Mastrocinque

An antoninianus of Gallienus ( fig. 5), struck at Antiochia20, shows Kronos and the inscription Aeternitas, which is typical of consecratio coins. In the age of the Tetrarchy the divinized emperors appear on coins ( fig. 6) with veiled head, like Saturnus,21 who became a model of a supreme god, raised to the hyperuranium. No doubt that the Egyptian religion played an important role in the transformation of Kronos from the god of time (chronos) into the god of eternity. In fact, the croco­ dile, in the Egyptian culture, could represent Eternity22•

Fg. 5. Antoninianus of Gallienus showing Cronos and the name Aeternitas.

Fig. 6. Bonze coin of Constantius Chlorus showing the deified emperor.

We pass now to another transexual and crossdressed god, who was cherished by He­ liogabalus: namely Hercules. This apparendy very masculine god appears on many 20 RJC V, 1 84, no. 606. 2 1 See for ex. RIC VI, 5 1 8, 48 (Maximianus Herculius); RJC VI, 326, 1 27 (Constantius Chlorus). 22 Kàkosy 1 956, part. 1 14.

Heliogabalus, Saturnus, and Hercu/es

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coins (fig. 7) o f the emperor, o r rather the emperor àppears disguised as Hercules, in front of an altar and is holding a club23•

Fig. 7. Denarius of Heliogabalus showing him as a cross-dressed Hercules.

Hercules was actually famous also for his transvestitism. Propertius24 tells the story of Hercules after his fìght with Cacus in Rome. H e was thirsty an d went to the sacred grove of Bona Dea, where a spring flowed, but female ceremonies were taking piace, which excluded men. He begged the chairwoman of the ceremony by reminding he had been disguised as a giri at Omphale's court. The myth of the cross-dressed Hercules at Omphale's court was well known. The Romans used it also to explain the nudity of the Luperci. Ovid25 in fact tells the story of Faunus, who was deceived by Hercules' clothes and approached by supposing him to be Omphale. lmages of Hercules wearing female clothing are known26• One of them shows him cross-dressed on the base for the mensa ponderaria in Tivo!i27, and many oth­ ers show him with Omphale. Joannes Lydus speaks of cross-dressing men during a Roman Festival in honour of Hercules Victor, namely that of the 3th ApriF8• 23 See RIC IV.2, Heliogabalus, nos 44 ( "cypress branch" ) , 51, 52, 88, 1 3 1 - 1 35, 177- 179 (club or cypress branch? ) , 1 9 1 . 200; ali of chem were issued in che years 22 1 -222. 24 Prop. IV 9. 2s Ovid., Fasti IV 3 1 3-30. 26 Verzar Bass 1985, where an alcar is studied, which was dedicaced by a man in occasion of che decima, i.e. che offering of che centh parc of che properties ro che god. The monument is known thanks to an ancient drawing, and Ricter 1995, 48-49, disagrees with che interprecacion of che image as a disguised Hercules. For ocher monuments representing Hercules and Omphale: Riccer 1 995, pp. 1 7 1 181. 27 Ricter 1 995, pl. 1 1 .2. 28 Lyd., De mens. IV 67.

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A festival in Cos was celebrated by a priest who, in imitation of Herakles, was dressed in female clothingZ9• Heliogabalus' dressing on the mentioned coins is a long, sleeved, and non-Ro­ man garment, decorated by a buckle at the centre, over the belly. We do not know how the priests of Emesa were dressed, but a description of a Jewish high priest's clothes is very interesting. The Babylonian and Palestinian Talmudin30 say that Simeon the Righteous had two sons, and entrusted the priestood to the younger, namely Onias, who was dressed by his brother Simeon in this way: "Simeon dressed his brother Onias in a close-fitting dress an d a girdle" (both parts of the usual wom­ en's appare!) "and brought him to the altar". When Simeon declared that he wore the dress of his mistress, the other priests wanted to kill him. The simple fact that Onias accepted such a dress and the priests behaved quietly until the declaration signifies that his vestments were not completely different from a woman's dress. O n the other hand, it is known that the high priest's head was covered by a mitra, i.e. a typically female headdress, which Herakles' priests wore at Cos31• In his discourse In Clodium et Curionem32, Cicero mocks the cross-dressed Clodius by saying: You, who bind your feet with ribbons, who wear a female hat, who tear your sleeved tunic to pieces, who gird your bosom carefully...

Therefore a sleeved dress was peculiar to women. According to the Historia Augusta33, Commodus presented himself disguised as Hercules and wore female garments and leonté (in veste muliebri et pelle leonina). We do not know of any Syrian cross-dressed Herakles. In Syria and nearby re­ gions he was rather identified with local gods of the netherworld34• In the Greek mythology Herakles was also known for his homosexual behaviour; for exemple he was fond of the boy Hylas; but the emperor was famous for his passive homo­ sexuality, whereas Herakles was an erastes (i.e. an active partner), not an eromenos (usually a boy who was cherished by a more adult partner). Therefore Heliogabalus was looking for a divine model within the Roman religion, who could justify his uncanny behaviour. He was talking to the Romans by using images on coins, and they understood perfectly the meaning of a man similar to Hercules clothed with a long an d sleeved garment. 29 Plut., Q!taest. Gr. 58 (304c). 30 B. Menahot 1 09b; Yer. Yoma 6. 3, 43c. 31 See for ex. Exodus 29, 6; for Cos: Plut., Quaest. Gr. 58 (304c). 32 M. Tuili Ciceronis Scripta �ae Manserunt Omnia. VIII, ed. F. Schoell, 1 9 1 8, oratio 14, fr. 24; cf. also fr. 22. See Geffcken 1 973, 72-77; Williams 1 999, 145; Leach 200 1 ; Butrica 2002, 5 1 4-5 1 5. 33 HA, Commodus 9, 6. 34 See Mastrocinque 2007.

Heliogabalus, Saturnus, and Hercules

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The Roman Hercules was indeed the only Roman god who was sometimes pre­ sented as a transvestite. Heliogabalus wanted to be seen as a new Hercules. His at­ titude on coins is that ofa priest who sacrifices to the sun, which is represented as a star above the altar. The message is clear: the cross-dressed Hercules was a devotee of the sun god Elagabalus. Sometimes a strange offering appears dose to the altar, and o ne can no t say if it is a phallus, but this interpretatio n is possible (fig. 8).

Fig. 8. Denarius of Heliogabalus showing a stange offering beneath the altar.

Afi:er having focussed on the role of Hercules in the emperor's ideology, two epi­ graphical mentions of this god should no more embarrass the scholarship. The first is the well known dedication to Hercules35 by the Centurion Masculinus Valens, the standard-bearer Aurelius Fabianus, and the adjutant Valerius Ferminus, soldiers of the Tenth Antonine Cohort of the Praetorian Guard. The inscription is dated to 22 1 or 222 CE, and celebrates a religious parade of the emperor (sacrae expe­ ditiones). The second inscription36 celebrates the arrivai of Heliogabalus in Rome in 2 1 9, an d is dedicated t o Hercules Magusanus. This dedicatio n could have bee n related to the religious traditions of the soldiers who made i t, but the inscription of Masculinus could be explained only in two ways: either the parade was performed in honour ofHercules, and not ofSol lnvictus Elagabalus, or it was in honor ofSol, but Hercules played an importane religious role. We conclude by saying that the accounts of ancient authors were indeed biase d, but generally they did not lie. Their prejudices simply prevent us from understand­ ing the meaning an d the religious background of bizarre rituals. Therefore the task of understanding is hard, but sometimes no t impossible.

35 CIL VI 323. O n the embarrass cf. for ex. Halsberghe 1 972, 87. 36 C/L VI 3 1 1 62.

L' I M PERATO RE SASAN I DE TRA U MANO E DIVI NO

Antonio Panaino

L'occasione offerta dal presente volume mi permette di fare il punto su alcuni aspetti essenziali della concezione iranica della regalità in età tardo-antica, con specifico ri­ ferimento al mondo sasanide. Per questa ragione ringrazio profondamente i curato­ ri, i quali hanno il merito di aver riportato con forza l'attenzione su di un argomento essenziale per la comprensione dell' ideologia politica antica (e non solo). Avendo già affrontato la questione sia in generale sia su aspetti, per così dire, di dettaglio, mi permetterò, quindi, di fare riferimento a diversi miei lavori precedenti 1, in modo da non ripetere alcune considerazioni o appesantire inutilmente questa digressione, che vorrei avesse forza di sintesi rispetto ad una serie di temi sui quali mi preme fare chiarezza in modo definitivo. La mia principale preoccupazione si è concentrata in questi anni sui rischi pre­ senti in una facile sovrapposizione tra l' idea di 'regalità sacra' e 'regalità divinà, pro­ blema, la cui sottovalutazione, ad esempio, ho specificamente contestato al collega ed amico Touraj Daryaeé, il quale sembra, invece, sovrapporre i due aspetti, attri­ buendomi una teorizzazione della monarchia sasanide nel quadro specifico di una sorta di 'divine kingship'. Se si coglie, invece, la complessità di tale anfibolia, molti dei problemi e delle polemiche che si sono aperte in questi anni potrebbero trova­ re, se non un pacifico accomodamento, almeno una ragionevole presentazione, che permetterebbe di uscire da sterili controversie terminologiche per fissare parametri interpretativi più chiari e soprattutto più pertinenti, in attesa di nuovi e risolutivi indizi. Il rischio latente è quello di utilizzare non solo una terminologia inadegua­ ta, ma anche di richiamarsi in modo più o meno inconscio a modelli di carattere 1 Vd. Panaino 2003; 2004b; 2005; 2006; 2007a; 2007b ; 2009a; 2009b. 2 Daryaee 2008, pp. 62-64.

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teologico-politico anacronistici o non pertinenti, talora sottintesi, ma spesso non chiaramente esplicitati, e quindi ancor più difficili da valutare, proprio perché messi, per così dire, 'sotto traccia', più o meno inconsciamente. Il mio approccio al tema in questione parte piuttosto dall'assunto che nell'ambi­ to di sistemi religiosi e cultuali quali quello sviluppatosi nell' Iran sasanide alla luce della tradizione mazdaica - tradizione di cui dirò in modo più circostanziato tra breve -, l'uomo, in maniera crescente a seconda del suo ruolo sociale e castale, par­ tecipa del divino, accedendo ad una dimensione sacra, ovvero separata e sua propria, pertanto anche 'pericolosà (e vedremo di seguito perché 'pericolosà), per quanto, di norma, egli non divenga mai veramente dio. E ciò vale anche e soprattutto per il sovrano. La questione è però resa complessa per via delle molte sfumature che dob­ biamo prendere in considerazione : in Iran, ad esempio, la concezione dell'anima umana era tale da permettere sacrifici in suo favore anche durante la vita di colui che voleva beneficiare della beatitudine post mortem3• Tale fatto, purtroppo, è stato spes­ so confuso con una divinizzazione, anche se a ricevere sacrifici per l'anima non erano solo i sovrani ed i membri della famiglia reale, ma pure altre persone, di rango più o meno elevato4; inoltre, è bene sottolineare che l' impiego di tale liturgia di suffragio (quasi una sorta di richiesta di indulgenza ante litteram) verso l'anima di un vivente era accessibile a tutti, almeno in linea teorica. Né mancano esempi di liturgie offerte alla propria anima, presenti esplicitamente già nella letteratura rituale avestica (nel quadro dell' interiorizzazione del sacrificio ) 5 e confermati da prassi ben attestate in epoche successivé. Per questa ragione appare necessario prendere in considerazione tale fenomeno, per certi versi un po' singolare, dei sacrifici, cosiddettipad ruwdn, « a favore dell'anima »7, in quanto il suo sviluppo s i prestava ad un'esaltazione, nel caso del re e dei membri della sua famiglia, della dinastia imperiale sotto una veste solo apparentemente divina. Non mi stupisco, pertanto, del fatto che una pluralità di fonti, a partire dal periodo achemenide, ad esempio con riferimento ai culti tributati presso la tomba di Ciro8, e che investono la ritualità degli stessi Kusana9, si ritrova­ no, mutatis mutandis, anche in pieno ambito sasanide, a conferma dell'esistenza di un culto dinastico, la cui attestazione non necessariamente dimostra la presenza di una teologia politica in patente contrasto con il Mazdeismo, né la diffusione di un impianto dottrinale riconducibile esclusivamente al mondo ellenistico ed al model­ lo della divinizzazione regia. Ricordiamo, inoltre, che la dottrina indo-iranica del sacrificio, soprattutto quel3 Panaino 2005. 4 Ibidem. 5 Panaino 2004c, pp. 5 1 -75. 6 Panaino 2005. 7 de Menasce 1 964. 8 Panaino 2005. 9 Panaino 2009b.

L 'imperatore sasanide tra umano e divino

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la mazdaica, considera il rituale sacrificale come momento 'esoterico' 10, quindi in gran parte inaccessibile ai profani, ovvero ai soggetti ritualmente non qualificati, norma che colpisce anche tutti quei Mazdei che non abbiano ricevuto le diverse iniziazioni prescritte per renderli ammissibili al rito, oppure che, per via di qual­ che accidente contaminante, si trovino in uno stato di impurità e, di conseguenza, risultino non solo ( provvisoriamente ) inadeguati alla partecipazione liturgica, ma addirittura tali da rendere, solo con la loro presenza impura, inefficace lo stesso ce­ rimoniale. Il sovrano, quindi, come essere umano beneficiava del sacrificio per la sua anima e, come leader del paese, riceveva un'adeguata istruzione religiosa, che gli permetteva di qualificarsi nella titolatura ufficiale quale 'mazdeo'. Alla luce di alcune fonti occidentali (e.g., Agazia) 1 1 non sarebbe neppure inverosimile supporre che i sovrani potessero accedere ad una sorta di iniziazione sacerdotale, che li qualificava in modo tale da renderli ritualmente adeguati a partecipare a determinati riti. D'al­ tro canto, risulta evidente che un tale stato sacerdotale, ammissibile in linea teorica, non poteva essere mantenuto in permanenza da un sovrano, viste le restrizioni com­ portamentali che esso inevitabilmente comportava, ma certamente vi sono diver­ si indizi che permettono di stabilire un legame funzionale tra sacerdozio e dignità regale. In questo senso, bisognerebbe soffermarsi a mo' di esempio normalmente trascurato sulla regalità hittita, in cui il principe destinato al trono doveva prima essere investito del sacerdozio, oppure, sempre nello stesso contesto, al fatto che in numerosi rituali i sovrani agivano vestiti come gli dei che intendevano rappresenta­ re12, senza perciò diventare loro stessi affatto 'divini', per quanto - ed è questo ciò che più mi preme sottolineare -, si dovevano trovare in uno stato di purezza rituale di carattere eccezionale, che li rendeva particolamente diversi ed "a parte" rispetto al resto dell'umanità. In modo più specifico, nell'approccio, spero originale, che ho cercato di seguire nell'affrontare questo argomento, molta importanza ha assunto proprio la dimen­ sione 'iniziatica' della regalità. La regalità è, infatti, a mio avviso, 'sacrà nel momento in cui l'uomo che sta per ascendere al trono, cambia identità con la sua consacra­ zione regia13; egli assume un nuovo nome, sceglie una corona14 che ne manifesta il programma politico-ideologico, diviene il difensore dell'autorità religiosa e della regolarità dei riti, e si pone pertanto come l' intermediario tra corpo sociale e sfera divina. Nel caso specifico dell' Iran, il sovrano si caricherà sempre più delle preroga­ tive tipiche del Saosyant venturo, che, come figura escatologica, annuncia e prepara 10 Panaino 2004b; 20 1 1 ; cfr. Gnoli 1 965. 11 Secondo Historiae II, 26, 2-3, il re Ardaxslr sarebbe stato iniziato ai 'misteri' religiosi; si veda l'edizione stabilita da Keydell 1 967, 75, e la traduzione di Frendo 1975, p. 60. Cfr. anche Chaumont 1958, pp. 1 67- 1 68. 12 Taggar-Cohen 2006, passim. 1 3 Panaino 2009a. 1 4 Panaino 2004a, pp. 563-672 [ 2007a, pp. 1 5 1 - 1 60 ] ; cfr. Carile 2000a; 2000b; 2002a. =

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Antonio Panaino

l'apocatastasi del ferro e del fuoco ed opera per il riscatto finale dell'umanità dalle tenebre di Ahreman. Una valutazione della sacertà propria della sfera regale in Iran non può perciò prescindere dal fatto, che, così come nella tradizione cristiana, se­ gnatamente in quella bizantina, abbiamo a che fare con un sistema teologico, che attribuisce un fine alla storia dell'umanità, quindi un senso teleologico alla politica umana e che implica così una visione escatologica piena e di senso compiuto. Non si tratta, in altri termini, di culture in cui la dimensione religiosa rispondeva solo ad una ortoprassi e ad una serie di mitologemi condivisi, ma di un vero e proprio siste­ ma etico-morale di natura teologico-filosofica, in cui effettivi processi di divinizza­ zione sarebbero apparsi alquanto difficili, se non impossibili, come esattamente già il Nock aveva rimarcato15. Lo fdhdn fdh ha una sua funzione specifica nella storia e per la storia; una funzione per la quale egli risponde per un verso a dio per l'altro al suo popolo. In tal senso il mondo iranico e quello bizantino hanno conosciuto un continuo rispecchiamento nel linguaggio del potere monarchico, attraverso l'esalta­ zione della figura del sovrano come 1COO'[-t01Cpchwp16, nell'uso della simbologia astra­ le17, del cerimoniale cortese che ne enfatizzava la solarità, e che nel mondo bizantino includeva anche fenomeni di 'cristomimesi'18. Si sarebbe in questo caso trattato di divinizzazione ? Antonio Carile ha in modo circostanziato mostrato che una tale lettura sarebbe oltremodo miope e inadeguata19, mentre essa rispondeva, invece, ad un linguaggio proprio della regalità sacra, che per via della sua forza non ha mancato di scandalizzare diversi studiosi di impianto confessionale. Mi sembra opportuno aggiungere che la specifica dottrina iran ica del xar;mah- ( pahlavi xwarrah o forn), 'la luce di gloria: la fortuna regia20, che si reifica simbolicamente nella corona impe­ riale, ma che risulta altresì attribuita anche alle divinità, ai corpi celesti, a Zoroastro ed ai campioni della mitologia ancestrale dei popoli arii, crea una cifra in cui umano e divino si incontrano e sono marcati, meglio si direbbe 'irradiati; dalla stessa inve­ stitura di luce, permanente per gli esseri divini, sempre a rischio di smarrimento, invece, per gli umani, qualora si mostrassero inadeguati al compito, come nel caso emblematico di Yima, il primo essere civilizzatore21 . Per questa ragione, il Cihr re­ gale, che viene menzionato nella titolatura regia, si accompagna, a mio avviso, alla luce che è concessa dalla sfera divina (ké Cihr az yazaddn)22, all'eroe umano. Se, alla luce delle speculazioni teosofiche più tarde del Denkard23, evidenziate recentemente 15 Nock 1 96 1 , passim. 16 Panaino 2003. 17 Panaino 2004b. 18 Carile 2000a, pp. 108- 1 10; 2000b, p. 1 05; cf. Panaino 2004a, p. 563 [ 2007a, p. 1 5 1 ] 1 9 Carile, ibidem. 20 Gnoli 1 999; Panaino 2007b. 2 1 Panaino 20 1 2a; 20 1 3. 22 Panaino 2009a. 23 1n particolare nel terzo libro ; cfr. Skja:rv0 20 1 1 , pp. 455-456. =

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da P.O. Skjcerv024, risulta che il Cihr s i possiede per natura, non per libera scelta, è altresì vero che esso si può perdere per errore o empietà. Si tratta allora di diviniz­ zazione ? lo riconosco la possibilità di una consustanzialita tra umano e divino nella luce di gloria, di legame, anche di parentela (in fin dei conti per i Mazdei come per i Cristiani gli essere umani sono esseri creati da dio per scelta e per uno scopo, non per errore), di funzione teleologica (la vittoria contro il male), che ovviamente porta l'umano reso 're' su di un piano che lo trasforma, lo indìa, rispetto al resto dell'umanità, ma non gli permette di auto-definirsi yazad (yazata- venerabile' nel senso di essere propriamente divino), perché mortale e, conseguentemente, soggetto al giudizio finale dell'anima. Inoltre, la derivazione del Cihr dagli dei ribadisce una secolare dottrina iranica, quella secondo la quale la prima investitura al legittimo sovrano viene dagli dei, così come di norma avveniva nella concezione achemenide. Dobbiamo altresì ribadire che al momento della sua intronizzazione e della sua incoronazione, rituale per cui era stato creato un complesso cerimoniale dalla corte sasanide, il sovrano cambiava status in termini ontologici. Egli non era più il 'prin­ cipe', per quanto uomo di rango altissimo, pur sempre 'uomo' come gli altri; egli di­ veniva, ma solo allora, un 'sovrano mazdeo', 'il cui Cihr proviene dagli dei'. Il fatto che tale controversa titolatura sia stata attribuita solo ed esclusivamente solo al sovrano, mai ai suoi figli o a sua moglie oppure ancora ai suoi genitori (per estensione), so­ prattutto al padre che non sia eventualmente già asceso al trono, dovrebbe di per se stesso mettere una certa prudenza nel liquidare la sua interpretazione come una conferma di un avvenuto processo di divinizzazione. Infatti, nella titolatura il re è sì denominato bay, termine traducibile tanto con 'maestà, signore' quanto con 'dio', ma la struttura sintattica in cui esso è attestato (ovvero alternativamente in anteposi­ zione o posposizione rispetto al nome proprio a cui si riferisce) mostra un uso molto preciso e soprattutto distintivo o, più precisamente, contrastivo : bay, posposto ad un nome proprio, significa 'dio'25• Vd. le iscrizioni di Ardasir a Naqs-i Rustam : paykar in ohrmazd bay 'questa è l' immagine di Ohrmazd il dio' [ANRm-bj 26• bay, anteposto ad un nome proprio, significa 'signore': paykar en mazdesn bay ardafir fdhdn sdh 'questa è l' immagine del signore mazdeo Ardasir' re dei re [AN­ Rm-a] )z?. Da tale differenza sistematica si evince che sarebbe un grave errore assumere un significato univoco per bay come· 'dio' nelle titolature ufficiali dei sovrani persiani. Inoltre, non si deve dimenticare l'accezione semantica della voce bay come 'distri­ butore' 'elargitore', ben preservata in pahlavi sino alla letteratura religiosa del IX/X secolo d.C. L'elargizione da parte di chi è baxtdr ('elargitore'), soprattutto se riferita '

24 Vd. Skja:rv0 20 1 1 , pp. 455-456 rispetto a Skja:rv0 2007. 25 Boyce 1 98 1 ; cfr. Panaino 2003; 2009a. 26 Back 1 978, p. 282. 27 Back 1 978, p. 28 1 .

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ai 'luminari', segnatamente la Luna (mdh xwarrah-baxtdrih)28, non a caso riguarda strettamente il xwarrah, di cui anche i sovrani devono ovviamente essere dotati. Per di più - e questo credo sia un altro aspetto che ho cercato di portare all'attenzione dei miei colleghi -, nessun sovrano sasanide è mai stato definito come yazad, tito­ lo derivato dall'avestico yazata- 'venerabile' con cui venivano indicate le divinità mazdaiche tra le quali, in età tardo antica, troviamo elencato anche Ohrmazd. Di conseguenza, il fatto che le versioni greche rendano indifferentemente tanto bay quanto yazad con il greco 9e6ç, più che semplificare la questione è spia di molti e ben articolati problemi che solo una lettura superficiale potrebbe lasciare irrisoltf9• I Sasanidi, infatti, nell'usare il greco sapevano bene, a meno di coniare dei neologismi più o meno incomprensibili e pertanto inutili ( come nel caso di un mai attestato *iazatos), di non poter rendere efficacemente la distinzione tra bay e yazad, la cui complessità sarebbe apparsa del tutto sfuggente al di fuori del contesto iranico­ mazdaico. Anzi, possiamo addirittura immaginare che i Persiani non avessero alcun interesse politico nel farlo. Il greco venne, infatti, utilizzato con lo scopo di rendere intellegibile al nemico un manifesto politico e perciò tale testo deve per forza essere stato concepito secondo categorie politico-religiose che non potevano essere sim­ metricamente speculari a quelle iraniche, come in una sorta di traduzione mecca­ nica. In altri termine, è ragionevole supporre che la cancelleria sasanide, attraverso una sorta di Consiglio della corona o altri organismi politici interni, avesse studiato un adattamento ad hoc della traduzione della Vorlage medio-persiana in versione occidentale, al fine di ottenere una certa efficacia alla luce di un linguaggio politico differente, non soltanto per la lingua, ma per le categorie riflesse dalla semantica consolidata di una terminologia a sua volta intrisa di sfumature e di implicazioni ideologiche altre, certamente difficili, ma nient 'affatto sconosciute all'intelligence persiana. L'uso di 9e6ç nella cultura politico-religiosa dell' Impero romano d' Orien­ te non costituiva, infatti, un problema serio, anzi era scelta ampiamente attestata, nonostante fosse asimmetrica rispetto all'uso di divus in Occidente. Sarebbe per giunta molto grave trascurare le più recenti considerazione proposte da Manfred Clauss30 e da Kai Ruffint 1 a proposito delle condizioni alquanto singolari in cui un imperator romano poteva essere proclamato divus nel quadro giuridicamente circo­ stanziato dei sacra publica, tale per cui la figura di divusidiva ricade nella categoria di Staatsgottheit, in un processo privo di automatismi, ma nel quale era essenziale il ruolo del sovrano successore. Si tratta, perciò, di aspetti molto delicati, chiaramente diversi da quelli riscontrabili nel contesto orientale. È proprio su queste asimmetrie, allora, ben riscontrabili tra bay, 9e6ç e divus che mi sono soffermato, per suggerire che una lettura contrastiva del dato contenutistico alla luce delle dottrine politiche e 28 Panaino 20 1 2b. 29 Panaino 2003; 2004b ; 2009a. 30 Clauss 200 l . 3 1 Vd. Ruffìng, c.s.

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delle ideologie correnti dovrebbe metterei in guardia da facili interpretazioni basate su di un'acritica comparazione lessico grafica. Per i Sasanidi il fatto che il nemico considerasse come un 'dio' il proprio re, un dio chiamato con lo stesso termine usato per designare le false divinità dei Romani, non comportava probabilmente alcuno scandalo ; sicuramente, il 'Re dei Re' doveva essere ai loro occhi ben più sacro e pre­ stigioso di tali divinità, assimilabili più ai demoni ed alla progenie di Ahreman, da scacciare nuovamente nelle tenebre secondo la missione storico-escatologica di un giusto sovrano mazdeo. Se i Romani usavano chiamare '9e6ç' il loro sovrano, perché non farlo con il sovrano sasanide, almeno in una traduzione ? Perché presentare il proprio sdhdn sdh con una titolatura che sarebbe risultata oggettivamente inferiore a quella usata per il sovrano nemico ? Non mi risulta che in politica internazionale si facessero favori di tale portata al nemico, né si fanno ancora oggi. Per tornare alla titolatura dei sovrani sasanidi, devo segnalare che in una recen­ te recensione, il collega P. Oktor Skj;Erv032 è ritornato sulla questione del iihr, per prendere atto, questa volta senza polemiche, che le mie riflessioni sulla sua polisemia (stirpe/luce/forma) pongono un problema ineludibile sul piano della valenza sin­ cronica da attribuire a tale lemma e che ogni soluzione unilaterale, esclusivamente fondata sulla traduzione greca (yevoç), sarebbe parziale. Inoltre, anch'egli ha preso atto della mia riflessione a proposito del fatto che il sovrano persiano, per quanto esaltato dalla titolatura, resta nelle stesse iscrizioni un dastgird di Ohrmazd, ovvero un sorta di suo strumento o una sua proprietà (lett. manujàctus [dast-gird] ) . Per un dio sembrerebbe francamente un po' poco. In questo quadro, mi sembra che si possa allora affermare la necessità di uscire da una ristrettezza terminologica che di fatto produce soltanto una serie di falsi proble­ mi. La categoria della divinizzazione non riflette propriamente la dimensione ideo­ logica in cui collocare la figura dello sdhdn sdh. Egli si pone piuttosto in una posi­ zione intermedia, quale essere speculare alla sfera divina rispetto agli uomini, che lo raffigurano, proprio per questa ragione, della stessa forma, dimensione e immagine di Ohrmazd, mentre abbatte il nemico, così come il dio supremo cavalca disarcio­ nando Ahreman. L'uno come condottiero degli :E ran nel tempo storico o limitato33, in cui le anime incarnate hanno accettato di combattere per aprire la via al Salvatore venturo ed al regno eterno di Ohrmazd, l'altro, per il momento ancora nella luce paradisiaca, fuori dalla storia, ma pur sempre partecipe delle sue vicende, pronto ad intervenire alla fine dei tempi per dare il colpo di grazia al suo nemico. Nell'antro­ pologia mazdaica non si trova alcuna dottrina che possa giustificare la divinizzazio­ ne di un umano nei termini e secondo le categorie proprie della tradizione classica o ellenistica. Neanche Zoroastro è veramente divinizzato. Non che tali dottrine oc­ cidentali non possano aver giocato un certo ruolo, a cominciare dall'epoca partica (e non solo per tramite dell'area siriana, ma anche da quella battriana, come ha di 32 S kj a:rv0 20 1 1 . 33 Sul rapporto tra tempo infinito e tempo storico nel Mazdeismo vd. Panaino 1 999.

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recente sottolineato D�browa)34, nella formazione di alcuni aspetti del linguaggio politico della regalità iranica e soprattutto della sua terminologia, come ha ragio­ nevolmente ribadito Gherardo Gnoli3S, ma non vi sono, a mio avviso, argomenti probanti per postulare con Geo Widengren36 che l' ideologia reale sasanide riflettes­ se una concezione religiosa differente da quella del Mazdeismo, che diverrà la cifra essenziale della teologia politica di tale dinastia. Inoltre, per quanto concerne stret­ tamente il mondo partico, le nostre fonti dirette sulla concezione del potere propria degli Arsacidi sono molto scarne37, così come in generale tutta la documentazione linguisticamente partica risalente all'epoca che precede l'ascesa dei Sasanidi. Nel caso dei Parti fu certamente più smaccata la tendenza ad accettare e propagare tito­ lature che riflettevano chiaramente un processo di deificazione38, ma le implicazioni teologiche poste dietro la scelta di tale linguaggio non sono chiare, anche alla luce del fatto che appaiono solo in legende greche, mai in una lingua iranica, né siamo in grado di affermare come i sovrani arsacidi considerassero se stessi o pretendessero di essere onorati, se come bay o anche come yazat, oppure ancora se preferissero circoscrivere l'uso di tale lessico solo al dominio di lingua greca. Allo stesso modo, anche la fondazione di templi del fuoco dedicati al culto di­ nastico può semplimente riflettere la tradizione del sacrificio in suffragio dell'anima (anche dei vivi), ma ciò non sarebbe un privilegio reale, visto che ogni mazdeo po­ teva celebrare tali riti. Non sono mancate, peraltro, posizioni volte a considerare il Mazdeismo partico come un culto molto superficiale, comunque intriso di troppi elementi esterni. Resta il fatto che con poche fonti esplicite i dati possono essere più facilmente manipolati in una direzione piuttosto che in un'altra. Tornando però alla dinastia persiana, ciò non significa negare l'esistenza di una dialettica, talora palesemente negativa o almeno contraddittoria, tra trono e altare, fenomeno che ho cercato di enfatizzare, ad esempio, nell'analisi di una serie di dinamiche p rettamente politiche messe in atto da Xusraw I nei riguardi di Giustiniano e delle minoranze cristiane in palese autonomia rispetto agli interessi, per così dire 'fondamentalisti', del clero mazdeo39, ma ciò emerge non dalla constatazione di una differenza teologi­ ca, quanto dall'ammissione della dimensione veramente politica dell'azione storica svolta dalla corona di Persia. La Ragion di Stato e l' interesse strategico di mantene­ re determinati equilibri possono ampiamente travalicare le categorie valoriali della fede, qualunque essa sia, senza che ciò implichi la nascita o la presenza di una diversa 34 D:}browa 2009a, pp. 48-49. 35 Gnoli 1 989, p. 1 68. 36 Widengren 1 965, p. 3 1 9; 1 968, p. 352. 37 Si veda comunque, per l'equilibrio nel giudizio generale e nella valutazione delle fonti D:}browa 20 l O a e 20 l Ob (con ulteriore bibliografia sul tema). Un certo imbarazzo nella ricostruzione della reli­ gione dei Parti si può evincere nel datato, ma pur sempre utile, articolo di Unvala 1 9 14. 3 8 D:}browa 2009a. 39 Panaino 2004c; Panaino 2009c.

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confessione. Per tornare, quindi, all'antropologia religiosa, m i sembra importante ricordare che in una visione verticale dell'essere umano, come essere dotato di sen­ so e di dignità grazie alla creazione di dio, principio non solo cristiano ma anche mazdeo, il divino dialoga con l'umano e la regalità, insieme alla funzione sacerdo­ tale, può farlo ad un livello molto alto, in cui privilegi e responsabilità ovviamente si mescolano. A rendere più difficile la disamina di questo scenario in ambito zo­ roastriano concorre la sua specifica dottrina del sacrificio, la quale presuppone che la liturgia possa aprire una dimensione intermedia tra umano e divino, uno spazio in cui i limiti dell'esistenza umana, del mescolamento tra forze del bene e del male, si interrompe, per anticipare lo stato di liberazione finale, la dimensione mondata dalle tenebre, lo spazio infinito di dio. Sulla via del sacrificio il clero e gli dei si in­ contrano e gli uomini possono anticipare la visione mentale (lo stato di maga-, la cui complessa dottrina è stata profondamente analizzata da Gherardo Gnoli)40 che avranno solo dopo la morte e, soprattutto, al momento della resurrezione finale. In tale contesto, si aggiunge un ulteriore fenomeno, su cui mi sto concentrando negli ultimi anni41, che riguarda il rispecchiamento simmetrico tra il collegio sacrificale incaricato di svolgere la liturgia dello yasna-, sette assistenti diretti da uno zaotar­ (zot in pahlavi) e quello celeste, costituito da Ohrmazd più i sei Amahraspand, se­ guiti dal dio Sros42• L'osservazione di tale corrispondenza non è il frutto di una mia interpretazione speculativa, ma corrisponde esattamente al contenuto di molti testi pahlavi e si lascia evincere da diversi passi della stessa letteratura sacrificale avestica. Per certi versi, la constatazione che una tale concezione dello staff sacerdotale era di fatto propria anche del mondo vedico e della ritualistica indiana, in cui i sette sacer­ doti assistenti più il loro maestro, corrispondono agli Aditya insieme a Vivasvant/ Mrtaoda43, presuppone una comune rappresentazione della dimensione sacrificale come spazio in cui i sacerdoti, aprendo una dimensione meta-temporale, assumono le funzioni del collegio divino, e sacrificano come gli dei fanno a loro volta. Uomini e dei si scambiano il loro ruolo attraverso il rito, in un tempo che però non è più quello dell'esserci, del Dasein umano, ma che è un 'fuori-tempo', un 'essere-oltre'. Si tratta di divinizzazione ? �ando il sacerdote cattolico celebra il mistero della tran­ sustanziazione, come se egli stesso fosse in quel momento il Cristo, capace secondo il dettame teologico, di modificare la substantia fisica di pane e vino in carne e san­ gue, è il prete umano o il Cristo che opera sotto altra veste ? Chi realizza il miracolo ? �ando con la comunione gli uomini che si nutrono del corpo di Cristo partecipa­ no della sua natura divina divengono forse dei ? Anche in questo caso, perciò, quella della 'divinizzazione' è categoria che non convince o che, comunque, non appare 40 Gnoli 1 968. 41 Su questo tema sto scrivendo una nuova monografia: The Priests and the Gods. Indo-lranian Origins and Later Survivals on the Avestan Priestly Collegium. 42 Kreyenbroek 1 985. 43 Krick 1 982, p. 4 1 7, nota 1 1 26; Oldenberg 1 9 17, pp. 386-389.

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veramente calzante, mentre la pertinenza del confronto emerge con forza se con­ sideriamo il fatto che le riflessioni sull'eucarestia portarono a precisare la dottrina della Chiesa come corpo mistico, ma anche a mettere in atto uno scambio di prero­ gative tra sfera religiosa e politica su cui si è particolarmente soffermata la riflessione di Kantorowicz44• Mi scuso con i colleghi se una riflessione di ordine storico sembra avviarsi su di un terreno che sta assumendo sempre più il carattere di una speculazione teologico­ filosofica, ma devo ricordare che 'divinizzazione' e 'apoteosi' sono a loro volta feno­ meni su cui la teologia, meglio le teologie, hanno inevitabilmente molto da dire. La categoria del sacro e del mistero forse aiutano a meglio circostanziare una sfera quale quella di una regalità in cui il sovrano deve essere campione della fede, baluardo del­ la legalità e dell'ordine tanto politico quanto spirituale, esempio di pietas religiosa, modello sulla terra del divino, quasi come una sua icona fisica. Una tale investitura trasfigura l'umano e, forse, nelle sue prerogative sacerdotali, offre al sovrano la possi­ bilità di partecipare o di 'essere partecipato' dal divino, come attore e iniziatore di riti a cui gli dei sono ritenuti prendere parte. Allo stesso tempo, la dimensione di dastgird45, di servo in un certo qual modo, anche se tale termine non è propriamente usato, di vassallo terreno, pur sempre rimovibile e punibile in caso di empietà o di apostasia, resta ben presente al punto da costituire una pietra miliare della legittimi­ tà al trono. Per queste ragioni, preferisco mantenermi nella sfera di una terminolo­ gia prudente che affermando il principio della regalità sacra non esclude momenti in cui umano e divino si stemperano sino quasi a confondersi, in una dimensione in cui il corpo del re è l' icona di quello di dio, mentre la sua luce, il suo wç o xwarrah risplende a garanzia del trionfo della luce sulle tenebre, ma che pur sempre appartie­ ne alla storia terrena, ai suoi limiti, alla dimensione della finitezza, condizione che non viene mascherata, ma che rientra in una strategia del dio creatore, il quale ha voluto tutti gli uomini, da Zara9ustra ai re, sino ai più umili servi, come mortali al fine di rendere caduca l'esistenza nella realtà mescolata dal peccato e dal male, per predisporre la vittoria finale su Ahreman. Per questo anche i sovrani pregano e sacri­ ficano per la propria anima; perché non sono dei e sanno altrettanto bene di dover affrontare il giudizio del ponte di C inwad, di dover cioè rispondere delle proprie responsabilità di fronte alla storia e di fronte alla religione. Il banchetto celeste, di cui vagheggia in un contesto di straordinaria dimensione esoterica l' iscrizione del Gran sacerdote Kirder46, riguarda anche il re, non solo i preti o gli uomini comuni. La differenza è che, come iniziato ai misteri della regalità o del sacerdozio, ovvero del rispecchiamento con il divino, il mortale (re) si prepara ad un destino di pri­ vilegio e di responsabilità che non è per tutti gli altri umani. L'essere più vicino agli

Kantorowicz 20 1 2 [ 1 957] , pp. 43-267. Cfr. anche Visceglia 2009, pp. 44-45. 41 Panaino 2009a. 46 Panaino 20 1 1 .

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dei non è però garanzia di salvezza. L'essere sacer47, infatti, può sempre implicare anche il rischio di una maledizione, perché lo spazio del sacrificio è anche quello di una terra di nessuno, in cui l'errore genera mostruosità ed il nemico è sempre ali' erta. Il xwarrah può essere perduto. Per queste ragioni, continuo a rifuggire dal­ la categoria della divinizzazione o dell'apoteosi ( strettamente intesa come deifica­ tio) nel descrivere la regalità iranica, particolarmente quella sasanide, anche se non mi dispiacerebbe usare un termine come parateosi o upoteosi; ma, alla fine, anche 'apoteosi' potrebbe essere ammesso, sebbene in un'accezione relativamente debole, intesa come elevazione dall'umano in posizione super-umana, paradivina, ma pur sempre al divino subalterna, in quanto non permanente, ma condizionata dal com­ portamento contingente, ovvero dall'esserci nel flusso della storia. Sarebbe forse più semplice parlare di 'santificazione', come nel caso di certi fenomeni attraverso i qua­ li, per via della natura divina della regalità, non dei singoli re, i sovrani medievali, soprattutto nel mondo francese ed inglese, divengono taumaturghi48 e vengono poi veramente santificati come San Luigi dei Francesi ( Luigi IX, 1 2 14- 1 270 ) 49, ma mi sembra inopportuno utilizzare una categoria teologica del tutto estranea al mondo iranico. Il paragone comunque con l' idea della santità in vita ( aureola quadrata) mi sembra purtuttavia utile per far capire quanto intendo affermare, a patto, però, che si tenga sempre presente la dimensione intermedia di tale stato, in vita, cioè della sua eccezionale altezza rispetto all'umano, ma, nonostante tutto, inferiore rispetto alla perennità e perfezione della potenza veramente divina. In conclusione diremo che se è divino il principio (Cihr) che investe, sceglie, eleg­ ge, eleva, illumina il re, che diviene così 'sacro-santo'50, intoccabile, inavvicinabile senza particolari accortezze 51, di foggia simile a quella di dio, dotato di xwarrah, non lo è quello che ne qualifica la persona, la cui maestà (bay), distributrice di luce e di gloria, non gli permette di rifuggire dai sacrifici per il beneficio della propria anima e per la beatitudine futura ( anch'egli, infatti, è sottoposto al giudizio finale ) e resta uno strumento dell'opera divina (dastgird) . Lo statuto sacro della regalità si articola, quindi, in un gioco dialettico, tra il divino che sceglie, protegge e sovrintende, e l'umano che ad esso cerca di conformarsi attraverso lo strumento del rito e del suo apparato simbolico, che, nella liturgia dell' iniziazione sacerdotale e regia, crea lo spazio ed il linguaggio in cui tali dimensioni comunicano.

47 Benveniste 1 969, pp. 179-207 [ 1976, II: pp. 4 1 9-44 1 ] . Cfr. anche Morani 1 9 8 1 . 48 Bloch 1 9 8 3 ; 1 989. 49 Le Goff 1 995; 2007. so Benveniste 1 969, 2, pp. 1 9 1 , 204 [ 1 976, II: pp. 429, 439] . SI Panaino 2003b.

NON TAMEN DEUS DICITUR CUIUS EFFIGIES SALUTA TUR: EL D EBATE SOB RE EL CU LTO

Ramon Teja

I M PERIAL EN E L I M PERIO CRISTIANO*

El culto imperia! estaba tan profundamente arraigado en las pd.cticas politicas y en las mentalidades de los hombres de la Antigiiedad que los emperadores cristianos no pensaron nunca en suprimirlo y el tema no escap6 ni al debate paganismo-cristia­ nismo ni al mismo debate interno entre los propios cristianos, al igual que tampoco habfa estado ausente de las cdticas de muchos de los fìl6sofos paganos. Me compiace recordar el sarcasmo burlesco de Luciano de Samosata en sus Didlogos de los muertos sobre culto rendido a Alejandro Magno por su supuesta fìliaci6n divina. Imagina Luciano que se encuentran en la otra vida Di6genes y Alejandro y se produce este dialogo entre ambos: - D. « Entonces menda Am6n al decir que eras hijo suyo. Pero { tu eres hijo de Filipo, verdad ? » - A. « De Filipo, evidentemente, porque s i l o habrla sido d e Am6n n o habria muer­ to » . - D . «Y, sin embargo, también d e Olimpias s e dedan cosas semejantes : que una serpiente tenia comercio con ella y que habia sido vista en su lecho y que, ademas, tu habias sido engendrado de ese modo, y que Filipo se habia engaiiado al pensar que tu eras hijo suyo » . - A. « También yo ol a contar esas historias, como tu; pero ahora veo que nada sensa­ to de d an n i mi madre n i los adivinos de Amo n 1 » .

En el segundo de los Dialogos vuelve sobre el tema cuando se produce el encuentro entre Alejandro y su padre Filipo : · Esca investigaci6n ha sido realizada con cargo a los proyectos de lnvestigaci6n del Ministerio Espanol de Ciencia y Tecnologia HAR20 l 0/ 1 5957 y FFI 2009- 1 2006/FILO. 1 Luc. Sam., Didl. 13, l .

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- F. « Ahora no podd.s negar que eres hijo mio, Alejandro, pues no estadas muerto si lo fueses de Am6n » . - A. «Ni yo ignoraba, o h padre, que soy hijo de Filipo, hijo de Amintas, pero acepté el od.culo porque crela que iba a ser util para mis planes » 2•

La persistencia de estas criticas racionalistas de los pensadores paganos después de Constantino se aprecia bien en esta diatriba del filosofo neoplatonico del s. IV, Sa­ lustio, amigo y colaborador de Juliano el Apostata, en el opusculo Sobre los dioses y el cosmos 1 8, 3: « A quienes han venerado a sus reyes como a dioses, seria justo que la ley les castigase enviandoles lejos de los propios dioses »3• Es posible que el autor aluda veladamente a los cristianos, aunque la deificacion de los emperadores tuvo una especial aceptacion entre los neoplatonicos como se puso de manifiesto en el caso del propio Juliano4• Tampoco entre los cristianos estan ausentes las criticas, lo que demuestra que la persistencia de estas practicas cultuales. Me parecen especial­ mente reveladores dos pasajes de Sulpicio Severo. En su Cronica habla de los reyes que, corrompidos por los halagos de sus subditos, reclaman para si mismos honores divinos5• Pero tan significativo como esta critica es la anécdota que recoge en su Vita Martini donde el diablo tienta al santo obispo con una aparicion en que se hace pa­ sar por Cristo revestido con la purpura y otras insignias imperiales y le exige el rito de la adoratio6• Es evidente que una tentacion como ésta seria impensable si a finales del siglo IV el ritual no fuese conocido y practicado. No pretendo abordar aquf el debatido tema de la pervivencia de formas de cul­ to imperia! en el denominado 'Imperio cristiano', es decir, a partir de Constantino, sobre el que existe una amplia y documentada bibliografia de estudiosos del tema mucho mas competentes que yo7• Me limitaré a recoger algunas de las contradic­ ciones en que se vieron sumidas muchas de las mentes mas lucidas del cristianismo al enfrentarse al dilema de aceptar o rechazar el caracter sagrado de la figura del emperador romano y cristiano en una religion que hizo del monoteismo uno de los argumentos apologéticos mas importantes freme al politdsmo grecorromano. Creo 2 Luc. Sam., Didl. 14, l . 3 Hay que dejar constanda que l a critica moderna n o e s unanime e n atribuir este opusculo neo­ platonico a Saturninus Secundus Salutius, nombrado Prefectus Praetorio por Juliano en el 36 1 : vd. PLRE I, s.v. nr. 3. 4 Vd. Nock 1 957. 1 Sulp. Sev., Chron. 2, 7, l . 6 Sulp . Sev., Vita Mart. 24, 4 : ore, laeta circumiectus luce purpurea. . . veste etiam regia indutus, dia­ demate ex gemmis auroque redimitus, calceis auro inlitis, serenofocie. 7 Remito, entre otros a la redente monografia, cuyo contenido est:i bien expresado en el dtulo de Bardill 20 1 1 ; Van Dam 2007 cuya tercera parte lleva el elocuente titulo «Emperador y Dios >> (lo citaré por la edici6n italiana); Bonamente 20 1 1 , uno de los estudiosos que mas se ha ocupado del tema, es autor también de un estudio redente y fundamental en el que se resumen muchas de su aportaciones anteriores; termino esta breve resefia bibliografica con el lucido ardculo de van Nuffelen 2002 y el ya clasico de Bowersock 1 982.

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que e s u n punto de vista enriquecedor para comprender l a pervivencia del culto im­ peria! y los debates surgidos en el seno del cristianismo, dar respuesta a la pregunta de si la pervivencia de las formas, en este caso del ceremonial o de la 'liturgia' con que se resalt6 en la Antigiiedad tardfa la sacralidad de la figura del emperador es un reflejo de la ideologia subyacente. Es bien conocido el hecho de que en Occidente el vado dejado por la desaparici6n del Imperio fue ocupado progresivamente por los obispos de Roma hasta el punto de que puede decirse que el papado ha sido la ultima supervivencia de la instituci6n imperia!. Recordaré una anécdota que me parece re­ presentativa de lo que pretendo plantear. Cuando el papa Clemente VII corono em­ perador a Carlos V muy cerca de aquf, en la iglesia de san Petronio, en un momento del ritual ofreci6 su pie para que fuese besado por el soberano con estas palabras : invitus passus sum osculari pedes meos, sed !ex ceremoniarum ita cogit. Se trata de una supervivencia del rito de la proskynesis o adoratio, el que mejor expresaba el cad.cter sagrado del emperador en época tardfa. El ritual fue asumido por el ceremonial de la corte papal y es una ultima demostraci6n de que, cuando la sacralidad de la figura imperia! habfa sido transferida a los papas, también el emperador se vio obligado a someterse al ritual8• Se trata de un proceso que podemos seguir también en la corte imperia! bizan­ tina. En un primer momento las muestras de respeto y sumisi6n de los senadores y caballeros de rango mas elevado al emperador consisdan en la denominada sa/utatio, un beso en la mejilla. Pero, con el paso del tiempo, los mas altos personajes de la muy cristiana corte de Bizancio no eran admitidos a la salutatio sino después de haber­ se arrodillado delante del emperador, es decir, después de la proskynesis o adoratio. Podrfa objetarse que el besar la mano e inclinar la cabeza no implican la adoratio. Pero nos saca de dudas san Jer6nimo en un pasaje de su polémica contra Rufino de Aquileya. Respondiendo a éste que le reprochaba una traducci6n inexacta del he­ breo al ladn de un pasaje de un Salmo, aclara el recurso al término adorate con estas palabras: «Es que, en verdad, quienes adoran tienen la costumbre de besar la mano e inclinar la cabeza, algo a lo que el bienaventurado Job afirma haberse negado a hacer con los elementos y los fdolos ... »9• Se puede recordar también que el Ceremonial de Constantino Porfirogénito recoge la noticia de que en la procesi6n de la fiesta de la Navidad, en el momento en que los soberanos llegaban a los Lychni, los kraktai, especie de voceros que iniciaban las aclamaciones del pueblo, gritaban : « j Muchos 8 El complicado proceso de las interferencias en la Edad Media entre los emperadores y los papas por las aspiraciones a ser considerados los auténticos herederos de Constantino se aprecia bien en el hecho que, a partir del siglo XI, el titulo de Vicarius Christi, tradicionalmente atribuido al soberano, comenz6 a ser usado por los papas al tiempo que era refutado a los soberanos laicos; los canonistas del siglo XII Ilegaran a declarar al emperador Vicarius papae: vd. Herklotz 2000, p. 250. Es la época en que Bernardo de Claraval y otros autores criticadn a los papas por « imitar al emperdor Constantino y no a San Pedro » , algo con lo que parece decidido a terminar el actual papa argentino. 9 ]er.,Apol. adv. Ruphin. l, 19: quia enim qui adorant solent deosculare manum et capita submittere...

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aii.os a Vos, soberanfa divina ! » 10• Cabe preguntarse hasta qué punto quienes esta­ ban sometidos a estos rituales, en una época en que desde hada mucho tiempo el cristianismo monotefsta constitufa la religion oficial, segufan considerando sagrada o sobrenatural a la persona del emperador y, por lo tanto, qué es lo que se escondfa detras del lenguaje. Cuando recordamos estos elementos del ceremonial bizantino y papa! estamos ya muy lejos de los siglos IV y V en que algunos cristianos, o, al menos los mas dis­ trictores, se rebelaban contra la pervivencia de gestos y palabras que recordaban el caracter divino de los emperadores. El mejor documento lo constituye la obra ano­ nima que lleva el dtulo Consultationes Zacchei christiani et Apollonii philosophi. Se trata de una obra polémica, una de las ultimas apologfas latinas, quiza de inicios del s. V, que se nos han conservado. El autor hace una exposicion de los principios fundamentales de la fe cristiana sirviéndose de la forma tradicional del dii!ogo cuyos protagonistas son un cristiano, Zaqueo, y un pagano, Apolonio. En un momento del debate el pagano pregunta como es que los cristianos aceptan la 'adoracion pu­ blica' a las estatuas de los emperadores puesto que se trata de un honor debido solo a Dios y que antes !es reprochan a ellos, los paganos, como un sacrilegio (nobis pro sacrilegio adscribitis). El cristiano Zaqueo no puede negar la acusacion, que debfa de ser muy evidente para todos, pero recurre a uno de los lugares comunes de la apologética cristiana de todos los tiempos, la distincion entre la religion popular y la auténtica religion basada en las doctrinas teologicas. Existen abusos, dice, pero éstos son cometidos por el pueblo que continua con una practica cuyo origen era la adulacion al poder imperia!. Esto, sigue diciendo, se ha convertido en una cos­ tumbre y muchos, llevados por la emocion que experimentan ante las imagenes de los emperadores, hacen mas de lo que les exigen los propios emperadores. Estos ar­ gumentos, que parecen bastante simplistas, trata de reforzarlos el autor con otros de mas peso ideologico cuando aduce que los gestos a la persona o a la imagen del emperador en realidad no so n manifestaciones de un culto divino, sino simplemen­ te de homenajes 'imprudentes': incautum obsequium, ojficia incautiora. El razona­ miento esgrimido por Zaqueo tiene todas las apariencias de ser un lugar comun de los pensadores cristianos de la época para justificar la tradicion romana de la relatio inter divos de los emperadores paganos y su pervivencia en época cristiana pues es muy similar al aducido por san Agusdn : se tratada, segun el obispo de Hipona, de un exceso de adulacion hacia la persona del emperador, pero no un error de natura­ leza religiosa o teologica: mortuum Romulum [ ... ] in deos rettulere Romani [ . ] nec postea nisi adulando, no errando, jàctum est temporibus Caesarum 1 1• Continuando con sus argumentos, admite el anonimo polemista de las Consultationes que, a pesar de todo, hay cristianos mas estrictos u observantes (districtores christiani) - alusion seguramente a los monjes - que aborrecen estas costumbres y que los obispos (sa. .

1 0 Lib.Cerem. I 2, p. 30. 1 1 Aug., Civ. Dei XVIII 24; vd. Bonamente 20 1 1 , p. 358.

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cerdotes) no dejan de prohibirlo. Termina el autor con el recurso al significado de los términos que, si tenemos en cuema lo que hemos dicho sobre la salutatio, no resulta en absoluto convincente pues parece querer establecer una distincion entre salutatio y adoratio que un contemporaneo como san Jeronimo, buen conocedor de las costumbres y mentalidades antiguas no admida. El argumento que aduce y es el elemento fundamental de la refutacion de las acusaciones del interlocutor pagano es que la salutatio a una imagen del emperador no significa el reconocimiento de su divinidad: non tamen deus dicitur, cuius e.ffigies salutatur12• El amor anonimo de las Consultationes parece dar a entender, y asi lo ha interpre­ tado J.L. Feiertag, su mas redente editor, que la pervivencia del culto imperial en el Imperio cristiano era rechazada solo por los monjes, si es correcta la interpretacion de la expresion districtores christiani y algunos otros cristianos intransigentes. De he­ cho, fueron los juicios muy contrapuestos respecto a la actitud que debia adoptarse sobre las imagenes en general, lo que dari lugar a la controversia iconoclasta. Pienso que también debio formar parte del debate entre arrianos y nicenos como parece deducirse de un conocido texto del historiador de la Iglesia Filostorgio. Habla este historiador, en un extracto de su perdida Historia Eclesidstica recogido por Focio, de los honores que eran rendidos a una estatua de Constantino levantada en el foro de Constantinopla en forma de plegarias que le eran dirigidas como si se tratase de un dios: « Este enemigo de Dios (Filostorgio) acusa también a los cristianos de apaciguar mediante sacrificios la imagen de Constantino colocada encima de una columna de porfido, de honrarle con velas e incienso (lychnokaiais kai thymiamasi), de ofrecerle plegarias como a Dios y dirigirle suplicas para alejar las calamidades » 13• Filostorgio, que escribia hacia el 425, era un arriano disdpulo de Eunomio, y pienso que esta critica se explica, no solo por su hostilidad hacia Constantino, sino especial­ mente por su credo pues la noticia de la estatua es recogida también por otros histo­ riadores eclesiasticos contemporineos de orientacion nicena, pero sin mencionar el culto denostado por su colega arriano. Se plantea en este texto de Filostorgio un tema que me parece que es la clave para comprender el proceso sincredstico que caracterizo a la religi6n cristiana en esta época: el culto a las imagenes y a sus poderes taumaturgicos y los rituales con ellas relacionados como es el recurso a los cirios, al incienso y a las libaciones14• Es bien sabido que en entre los cristianos preconstantinianos exisda un discurso muy hostil hacia todo tipo de imagenes por considerarlas una via directa de acceso a la idola­ tria. Por ello los apologistas califican a los paganos como adoradores de estatuas y " Consult. Zac. et Apol. l , 28; me sirvo de la edicion de Feiertag 1 99 1 . 13 Filost., HE. II 17 ( GCS 5 l , p . 28).

14 �iza no esté de mas recordar que fue en el siglo XII cuando la Iglesia redujo a siete el numero de los sacramentos al dejar de considerar como tal la consagraci6n del soberano y que poco antes Gregorio VII habia negado decididamente el poder taumaturgico de los reyes, su capacidad de curar la enferme­ dades, elemento tipico de la teologia rea! francesa: vd. Herklotz 2000, p. l SO.

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se burlan de que eleven plegarias a objetos inertes. Asi Arnobio de Sicca en este bello pasaje en que en que recuerda sus vivencias como pagano : «Todavia hace poco, oh ceguedad, adoraba yo imagenes cocidas al homo, dioses forjados con martillos en el yunque, huesos de elefantes, pinturas, cintas colgantes de aìi.ejos arboles. Siempre que me aconteda ver una piedra ungida con aceite de oliva, yo le prodigaba senales de profundo respeto, como si algun poder oculto la hubiera escogido para mansi6n suya; no podia menos de hablarle y pedirle favores, aunque no era sino una roca des­ provista de inteligencia. Y a aquellos mismos dioses en cuya existencia crda, los tra­ taba con los mayores reproches, pues crda que eran palos de madera, piedras, huesos, o que habitaban en semejante materia » 15• Por los mismos motivos rechazaron ritos tan extendidos en los cultos paganos como la ofrenda de in denso a las estatuas, hasta el punto de que Tertuliano condena, no solo las ofrendas de incienso, sino también el comercio de este producto16 y san Cipriano habla del « altar del diablo que habia vis­ to exhalar y humear hediondos vapores (quodjàetore taetrofumare ac redolere) » 17• Se trataba de practicas que estuvieron durante mucho tiempo asociadas a experiencias traumaticas de los primeros cristianOS Y a la sangre de los martires18• De la pervivencia de estas experiencias traumaticas antes de que el culto a las ima­ genes y el uso del incienso se generalizasen en la liturgia cristiana ofrece un buen testimonio Gregorio de Nacianzo en el 364. En un conocido pasaje de su primera diatriba contra Juliano critica la estratagema ideada por el emperador para corromper a los soldados cristianos: les ofreci6 un donativum, pero para ir a recogerlo debian someterse previamente al rito de la quema de incienso sobre el fuego que ardia en un altar: « era necesario quemar el incienso sobre el fuego y recibir del emperador el precio, tan pequeìi.o por un hecho tan grande, a saber, la ruina de todas las almas y la impiedad hacia Dios. iMiserable acci6n!, i miserable recompensa ! La maniobra puso en venta a todo un ejército y quienes habian sometido al universo entero se vieron vencidos por un poco de fuego y de oro mediante un poco de olor de humo » 19• �e se trat6 de un hecho real y no producto de la diatriba retorica del obispo capado­ cio encuentra su confirmaci6n en Libanio que atribuye a Juliano los mismos hechos pero, naturalmente dandoles un valor totalmente opuesto : « mediante una pequeìi.a ganancia, los soldados lograron o tra mayor, la amistada de los seìi.ores de la guerra(los dioses paganos) » 20• Ademas, la anécdota cuadra bien con la obsesi6n que Juliano 1 s Arnob. Sic., Adv. Nat. I 39. Sobre el tema, vd. Caseau 2007, 1 1 7- 1 4 1 . 1 6 Tertul., De idol. 1 1 , 6. 1 7 Cipr., De lapsis 8. 18 Vd. Caseau 20 1 2, pp. 535-548. 1 9 Greg. Naz., Orat. 4, 83, l ; el paso recuerda 96, 2 donde denuncia de que durante la persecuci6n de Maximino se exclula de la vida publica a « quien no hubiese quemado incienso sobre los altares que les eran colocados delante y no hubiesen pagado asl un precio tan grande por ello » . 20 Lib., Orat. 1 8, 168; sobre si es Gregorio quien sigue a Libanio o viceversa, vd. Lugaresi 1993, pp. 349-350, nota ad locum; la noticia de Gregorio es recogida también con pequeiìas variantes por Soz., HE. V 17, 8-12 y Teodor., HE. III 1 6, 6- 17,4.

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demostr6 por los cultos tradicionales en todas sus mas variadas manifestadones. Pero no deja de ser significativo que mas adelante Gregorio narre la anécdota de que algu­ nos cristianos no fueron conscientes de que el « quemar el incienso sobre el fuego » habfa significado renegar de la fe en Cristo21• � Puede dedudrse de esta constatad6n que el uso del indenso estaba ya extendido en la liturgia cristiana y podfa no ser in­ terpretado como una prictica pagana?22 Se suele adudr en contra del uso del incienso en la liturgia cristiana en el siglo IV la autoridad del africano Arnobio de Sicca quien afirma que los cristianos no recurrfan n i a las libadones n i al uso del incienso23, pero, aparte de tratarse de un autor de finales del siglo III, todas estas afirmadones relativas al culto imperial y a los cultos paganos en generai hay que recogerlas con suspicada en una época como ésta en que los apologistas intentaban marcar distancias con la mis­ ma sociedad con la que las autoridades eclesiasticas intentaban encontrar una forma de convivenda que fuese aceptada por las masas populares que se acercaban a la nueva fe. Autores de tanto peso como Jer6nimo o Agusdn de Hipona se vieron obligados e reconocer en sus polémicas que muchos usos paganos habfan penetrado en la Iglesia y no era posible abolirlos por la oposid6n de los nuevos conversos. El caso del incienso es similar al de los cirios pues al fuego se atribufa un poder purificador caracterfstico de la divinidad. A comienzos del s. V el cristiano Vigi­ lando, muy reado a las pricticas paganas que se habfan introducido en el culto a los martires, reprochaba a Jer6nimo que aceptase la utilizaci6n de los drios en la liturgia: «Vemos que, so capa de religi6n, se introduce en la iglesia una cosa que se asemeja a un rito pagano : en pleno dfa, drios encendidos en abundancia ... » . La defensa de Jer6nimo es tan poco consistente como la de Zaqueo en su dialogo con Apolonio : no se endenden de dfa, dice, sino de noche para atenuar la oscuridad durante las veladas24• Algo que, evidentemente, era falso. Junto con el culto a los muertos, las manifestaciones del culto a las estatuas y, en espedal, las del emperador, fueron algunas de las herendas paganas que mas profundamente arraigaron entre los cristianos. Sin olvidar la alusi6n de Vigilando a los drios, se puede recordar que en las ilustraciones de la Notitia Dignitatum en el codicillum referido al nombra­ miento del Praejèctus Praetorio aparece la imagen del emperador colocada sobre un altar y acompafi.ada de cuatro grandes candelabros encendidos25• 21 Greg. N az., Orat. 4, 84. 22 Se ha aducido por algunos estudiosos que la noticia del Liber Pontificalis sobre las donaciones por Constantino de incensarios {thymiamateria) a diversas iglesias romanas habria constituido una revoluci6n liturgica ya en época constantiniana. Sin embargo, B. Caseau ha defendido recientemente, con buenos argumentos, que se trata de una informaci6n anacr6nica y que el uso del incienso en la liturgia no est:l atestiguado hasta fìnales del siglo IV: la noticia de Egeria sobre su uso en la Anastasis seria el documento mas antiguo, Caseau 20 1 2, pp. 544-546; si se acepta mi interpretaci6n del texto del Nacianzeno habria que adelantar su entrada en la liturgia cristiana. 23 Arnob. Sic., Adv. Nat. VI 1 0. 24 Jer., Adv. Vigil. 4; vd., sobre el tema: Teja 2005. 25 Vd. Teja 1 993, p. 63 1 Teja 1 999, p. 59. =

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Si me he detenido en recordar estos aspectos cultuales es porque la polémica antipagana en cuanto al contenido y la retorica en cuanto a la forma invaden y con­ diciona la mayor parte de la literatura cristiana tardia y asi de be ser tenido en cuenta para interpretar los textos relacionados con la pervivencia de multiples manifesta­ ciones del culto imperia!. Este es el caso de otro texto de Gregorio de Nacianzo. En el marco de su polémica antijulianea, acusa al Apostata de haber intentado asociar estrechamente el culto a su imagen imperia! con la adoraci6n de los dioses del pa­ ganismo y califica la purpura imperia! como « trapo funesto y arrogante » 26• Pero juicios como éstos no impediran ni que los emperadores cristianos sigan utilizando la purpura como simbolo principal de su caracter sagrado, n i que la purpura pasase a formar parte del culto cristiano y de la vestimenta papal. Es del todo punto evidente que la liturgia cristiana hizo acopio de los multiples y variados simbolos y ritos que rodeaban el ceremonial de corte para resaltar el caracter divino o, al menos sagrado, de la persona del emperador: incienso, cirios, purpura, salutatio, proskynesis ...y la sacralidad de las imagenes. Las imagenes de los emperadores estaban presentes por doquier pues eran el mejor medio para expresar la omnipresencia de alguien que por su naturaleza era invisible a los ojos del comun de los mortales27• El cristianismo termino por hacer suyas aquellas mismas practicas que el autor anonimo por boca de Zaqueo afirma que evitan los cristianos ante las imagenes del emperador: nec adolentur ture imagines, aut colendae aris superstanf8• Constataciones como éstas demuestran que el sincretismo relacionado con el culto imperia! no fue una simple caracteristica de la denominada 'religi6n popu­ lar', como han defendido tambien ciertos 'apologistas' modernos. R. Van Dam ha descrito muy bien la ideologia subyacente a este sincretismo en un largo y sugestivo pasaje que no me resisto a reproducir en su integridad: « Pensar en Dios (o en los dioses) y pensar en los emperadores eran dos aspectos del mismo discurso sobre las interacciones entre lo divino y lo humano en la sociedad romana y, por lo tanto, sobre el adquisici6n de autoridad, la representacion del poder y la imposici6n de los dogmas religiosos y politicos correctos. Las doctrinas religiosas paganas y cristianas proporcionaron idiomas simbolicos al servicio de los emperadores y de su poder; las imagenes de los emperadores, ya fuesen tetrarquicos o cristianos, proporcionaron, igualmente, idiomas simb6licos para dar forma a la divinidad, tanto de los dioses paganos como del Dios cristiano. Cada una podia ser utilizada para imaginar la o tra » 29• 26 Greg. Nac., Orat. 4, 108. 27 Vd. este bello pasaje de una homilfa de Severiano de Gabala: « Puesto que el emperador no puede estar siempre presente, su retrato debe estar en los lugares de la administraci6n de la justicia, en los mercados, en los lugares de reuni6n, en los teatros. El retrato del emperador debe estar en cualquier lugar donde se ejerce el poder para proporcionar autoridad a quien Io ejerce » (PG 56, p. 489). 28 Consult. Zac. et Apol. , I 28, 8. 29 Van Dam 2007, p. 230 (ed. ital.).

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Desde este punto de vista creo que es como se debe analizar una conocida ley emanada por el muy piadoso Teodosio II sobre el culto debido al emperador cris­ tiano y que ha dado lugar a interpretaciones muy contrapuestas. Se trata de una ley del 42S en que se pretende deslindar las formas que se deben observar en el culto tributado a Dios (numen supernum) y en el tributado al numen imperial. El texto de la ley ilustra muy bien del uso politico que se hada de las imagenes imperiales y la creencia, ampliamente compartida por paganos y cristianos, de que las imagenes de los emperadores participaban del caricter sagrado que tenian las imagenes de los dioses: « Cuando nuestra estatuas o nuestras imagenes son erigidas, bien en los dias festivos, como es costumbre, bien en los dias ordinarios, que esté presente el gober­ nador (iudex) y que se haga sine adorationis pompaefastigio... Asi mismo, si nuestras efigies (simulacra) son expuestas con motivo de los juegos, que sirvan de demostra­ cion de que nuestra divinidad (numen) y nuestra gloria (laudes) estin muy vivas solo en los corazones y en lo recondito de los espiritus de quienes estin presentes. �e un culto que sobrepase la dignidad humana quede reservado solo a la divinidad supre­ ma {excedens cultura hominum dignitatem superno numini reservetur) » 30• Algunos estudiosos como F.C. Babut primero y Cl. Lepelley mis recientemente31 han visto en este texto una condena de la adoracion de las imagenes imperiales por los cristianos. Yo, mis bien, creo que ratifica y da caricter legai al culto a estas imagenes: se trata de un texto que puede considerarse una verdadera filigrana desde el punto de vista politico y teologico. Su objetivo pienso que es solo limitar ciertos excesos y establecer una doctrina o explicacion que pudiese satisfacer a algunos espiritus mas escrupuloso o mis rigoristas como los monjes que tanta influencia tuvieron sobre Teodosio IL La ley, lejos de despojar al emperador de su caricter sagrado, establece una distincion entre la 'divinidad' de los emperadores, nostrum numen, siguiendo la terminologia tradicional, y el supernum numen reservado al Dios unico, y evitar que se realicen signos externos por parte de los subditos susceptibles de ser interpretados como culto idolatrico. Pero, al servirse del mismo término, numen, para expresar el caracter sagrado o sobrenatural de Dios y del emperador, no hace sino perpetuar la doctrina, tan tradicional y romana, de que entre la divinidad y los emperadores habia algo en comun que se expresa en este término intraducible, aunque, siguiendo la costumbre establecida, he optado por 'divinidad'32• Lo trasmite muy bien Amiano Marcelino cuando describe el recibimiento que dispenso aJuliano la ciudad de Antioquia, como si se tratase de una divinidad: «Le 30 C. Th., xv, 4, l : Si quando nostrae statuae ve! imagin es eriguntur seu diebus, ut adsolet, jèstis sive communibus, adsit iudex sine adorationis ambitioso fastigio, ut ornamentum diei vel loco et nostrae re­ cordationi sui probet accessisse praesentiam. Ludis quoque simulacra proposita tantum in animis concu­ rrentium mentisque secretis nostrum numen et laudes vigere demonstrent; excedens cultura hominum dignitatem superno numini reservetur. 31 Babut 1 9 1 6, p. 228; Lepelley 1 979, t. I. p. 366. 32 Vd. ahora el comentario a la ley a cargo de Feiertag, pp. 88-93, aunque no comparto todos sus analisis y conclusiones.

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recibieron en las inmediaciones de la ciudad como si fuese una divinidad (in speciem alicuius numinis) y quedo asombrado ante aquel inmenso concierto de voces que lo aclamaban como si un astro nuevo hubiese aparecido en Oriente »33• Con el término numen se expresa la comunidad existente entre el emperador y la divinidad tal como reflejo muy bien un panegirista de Constantino: «En ti hay verdaderamente algo que es comun con aquel espiritu divino que solo a ti se ha dignado manifestarse » 34• Nos encontramos, pues, en la ley de Teodosio II freme a una distincion puramente termi­ nologica - nostrum numen-supernum numen similar a la que, como ya hemos recar­ dado, intenta establecer el anonimo autor de las Consultationes entre la adoratio debida a la imagen de Dios y la salutatio debida a la imagen del emperador. La realidad es que, tanto entre los cristianos como entre los paganos de la época, subyace, de una forma mis o menos manifiesta, la tradicional distincion entre los conceptos de divus y deus, lo que explica la pervivencia entre los emperadores cristianos del rito de la consecratio de los emperadores difuntos35• Ningun cristiano de la época, por muy rigorista que fuese, se atrevio a negar un cierto caracter 'divino' al emperador en cuanto pardcipe, mis que ningun otro morrai, de los atributos de la divinidad y, por lo tanto, principal vicario o imagen en la tierra del unico Dios. Sin alejarnos del mismo Teodosio II, en el 43 1 Cirilo de Alejandria se dirige al emperador en unos términos que ponen bien de manifiesto como un obispo de gran formacion teologica no tiene escrupulos en manifestar que el emperador participa de alguna forma de la naturaleza divina: «Esto pertenece de una manera eminente a la naturaleza divina y suprema, pero también, a vuestra Majestad, emperadores amigos de Cristo, puesto que vos sois, para los habitantes de la tierra, como una impronta e imitacion del reino celestial »36• Se podria recordar también que Gregorio de Nacianzo se dirige a Constando II denominandole theiotate basi/eu kai philochristotat�7; trata­ miento muy similar al deum dedit Hispania quem vidimus con el que el panegirista pa­ gano, Pacato, se dirigio al cristiano Teodosio P8• Se podria aducir que se trata de textos literarios y de alto contenido retorico, pero limitindonos a la misma época se puede recordar la terminologia que pervive en este texto legislativo de Teodosio I referido a la falsificacion de moneda: Qjti sacri oris imitator et divinum vultum adpetitor venerabiles formas sacrilegio eruditus impressit 39• Con buen criterio L. Cracco Ruggini ha escrito, a proposito de la terminologia, que se pueden interpretar « i risvolti religiosi in senso tanto pagano quanto cristiano, data l 'equivocità dei suoi aspetti sacrali» 40• -

33 Amm. Mare. XXII 14. 34 Paneg. Lat. 1 2, 2-5; vd. et. Paneg. Lat. 4, 1 6, l : « Creemos que esd. siempre pr6xima a ti aqudla sublime majestad que te circunda y protege >> . Los textos se poddan multiplicar. 35 Las fuentes fueron reunidas por Cracco Ruggini 1 977, specialmente pp. 45 1 -452 y nota 92. 36 ACO (Acta Conciliorum Oecumenicorum, ed. Schwartz), I 3, 75. 37 Gregorio Nac., Orat. 4, 34, l . 38 Drepano Pacato, Paneg. Lat. 1 2. 39 C.Th. IX 38, 6 (38 1). 4° Cracco Ruggini 20 1 1 , p. 42 1 .

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La citada epistola de Cirilo a Teodosio II, al igual que la ley del 425 del Teo­ dosiano, pienso que constituyen documentos que ilustran muy bien la postura del cristianismo oficial ante la 'divinidad' de los emperadores cristianos. Al margen de que ciertos ritos, pricticas y creencias pudiesen chocar con las tradiciones cristia­ nas, el hecho cierto es que la nueva religi6n contribuy6 a perpetuar la imagen del emperador romano que se habia ido gestando en el paganismo grecorromano. La creencia en una asociaci6n estrecha e n tre la divinidad y la figura imperi al se mantie­ ne sin rupturas en el Imperio cristiano. La mejor prue ba es que la liturgia cristiana ha perpetuado hasta el presente el ceremonial de la corte imperia! tardoantigua que, no debe olvidarse, estaba basado en el caracter sagrado de la figura del empera­ dor. Como ha seii.alado con acierto G. Dagron, a partir de Constantino, « el culto imperia! adquiere un nivei no igualado ; las fuentes contemporineas que desprecian describirlo presentan el palacio constantiniano como la prefiguraci6n del reino de Cristo » 41• El asombro y admiraci6n que Eusebio de Cesarea atribuye a los obis­ pos en Nicea cuando se les permiti6 el acceso hasta los aposentos mas intimos del palacio imperia! se puede comparar con el que, segun el panegirista Mamertino, habian experimentado quienes pudieron asistir al encuentro entre Diocleciano y Maximiano e n el p alaci o de Milan y venerar el sacer vultus del geminatum numen de ambos emperadores: « Adoraci6n escondida en lo mas intimo del santuario, que habria de asombrar unicamente los animos de aquellos a los que su rango les permi­ tia acceder hasta vos » 42• Volviendo al tema del culto a las imagenes es evidente que desde Constantino tanto el propio emperador como los principales pensadores cristianos se esforzaron por establecer fronteras entre el culto a las imagenes imperiales y el culto al unico Dios. Eusebio de Cesarea dice que Constantino orden6 sacar sus imagenes de los templos para que su culto no se interpretase como idolatrico : « Prohibi6 por ley que se le consagrasen efigies en los templos paganos para no contagiarse con ellas con el error de los cultos que él mismo habia prescrito » 43• Pero se trat6 de una medida li­ mitada a los templos, que no significo renunciar al caricter sagrado de sus imagenes. El mismo Eusebio recuerda que, a su muerte, se llev6 a cabo una especie de apoteosis cristiana con retratos oficiales en que el emperador apareda disfrutando de la gloria celestial : « Retratos dedicados a su memoria como si todavia estuviera vivo : en cro­ maticas tablas trazaban la imagen del cielo y representaban al emperador, por encima de la b6veda celeste, recostado en su etérea morada » 44• Como ha adveritdo G. Bo­ namente, «a conciliare la divinizzazione con la 'santificazione' era propio l'elemento centrale del modello tradizionale, quello per cui l'imperatore era chiamato nei cieli

4 1 Dagron 1 974, p. 94. 42 Eusebio, Vita III l 5; Mam., Paneg. Lat. 3, l . 4 3 Eusebio, Vita l V 1 6. 44 Eusebio, Vita lV 69.

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in ragione della sua funzione istituzionale » 45• Como e n un intento de adelantarse a posibles criticas, ya al comienzo de la Vita habia advertido Eusebio del peligro que significaba para los cristianos 'santificar' al emperador en vida: «Es este el momento oportuno para celebrar dignamente, con todos los medios oportunos a aquel (empe­ rador) verdaderamente bienaventurado (makarios), cosa que anteriormente no nos era licito, santificar a un hombre antes de su muerte » 46• Pero estas prevenciones de Eusebio no las comparti6 el humanista Lorenzo Valla cuando, comentando el pasaje de la Donatio Constantini en que este texto es calificado como 'escritura sagrada' y sus decretos como 'divinos: interpela al emperador en estos términos: « Hace un momento, Constantino, te habias llamado 'terrenal', ahora te llamas 'divino' y 'sagra­ do'. Recaes en el paganismo, y en algo peor que en el paganismo. Te haces un dios, tus palabras las haces sagradas y tus decretos los haces inmortales, pues ordenas al mundo que conserve tus 6rdenes integras e inquebrantables » 47• Un pasaje de la diatriba de Gregorio de Nacianzo contra Juliano pienso que re­ fl.eja muy bien la forma como los pensadores cristianos se adaptaron a las formas tra­ dicionales del culto imperial. La primera parte contiene una magnifica descripci6n de las formas que en su época revesda la relaci6n de las subditos con las imagenes de las emperadores. Se trata de una de las mejores testimonios que nos ha dejado la Antigi.iedad de las ideas que inspiraron el culto a las imagenes del emperador y que después haria suyas la liturgia cristiana y que no san otras que las expresadas por Basilio de Cesarea cuando dice que « el honor prestado a una imagen se transmite a su protipo » 48• Es de resaltar que la descripci6n de Gregorio, aunque enmarcada en una critica contra Juliano, es aséptica desde el punto de vista religioso pues parece que se limita a constatar la realidad de su tiempo. Por su enorme interés, me detengo a reproducir este 'nomos basilikos' como la califica el obispo capadocio : Es una ley del Imperio - no sabda decir si la ley existe en rodos los paises que tienen una monarquia -, pero que es de las mas respetadas por los romanos, que los empera­ dores sean honrados con retratos ofìciales. De hecho, n i las coronas, n i las diademas, n i el brillo de la purpura, ni el gran numero de lanceros, ni la multitud de los subditos so n sufìcientes para realzar su poder. Es obligada también la proskynesis freme a ellos para realzar su sacralidad (semnotes), y no solo la proskynesis ante su persona, sino también ante sus retratos esculpidos o pintados para que el honor (sebas) que se !es rinde sea perfecto y acorde con su dignidad. En estas representaciones los distintos emperadores prefìeren unos u otros ornamentos. Algunos hacen representar a las ciudades mas ilustres llevando sus dones, otros a la Victoria coronando su cabeza, otros a los personajes mas nobles haciendo la proskynesis y recibiendo las insignias de sus cargos. Hay quienes prefìeren escenas de caceda y la habilidad con el arco, otros 41 Bonamente 20 1 1 , p. 345. 46 Eusebio, Vita I 1 1 . 47 Lorenzo Valla, Rejutatio 68. 48 Basilio de Ces., De Spir. Santo 45.

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representaciones de barbaros vencidos arrojados a sus pies o ejecutados pues no solo se complacen con los hechos reales sino que también gustan de sus representaci6n49•

Es significativo que en una descripcion tan realista, y que se puede confrontar con los pocos documentos iconograficos que se nos han conservado, como es el caso del famoso Missorium de Teodosio de Madrid, Gregorio no parece mostrar escrupulos ni tan siquiera ante una practica como la denominada adoratio purpurae que antes de Constantino habia provocado muchos derramamientos de sangre de martires50• Sin embargo, a renglon se guido, el Nacianzeno utiliza el texto para denostar a Ju­ liano porque un acro como éste intento convertirlo en idolatrico al asociarlo con el culto las divinidades paganas mediante la argucia de poner las imagenes de los dioses junto a la suya de emperador: « Como los que mezclan el veneno con los alimentos quiso unir la impiedad a los honores debidos por tradicion a los soberanos y unir las leyes romanas a la adoracion de los idolos ... y a los honores (tymai) rendidos a los emperadores acompaiiar los rendidos a los dioses haciendo que fuese mixta la proskynesis» 5 1 • Gregorio, pues, acepta que se rindan a las imagenes honores quasi di­ vinos, pero establece una distincion que no pasa de ser simplemente terminologica entre los 'honores' (tymai) rendidos a los emperadores y la heidolon proskynesis que se rinde a los dioses. Nos encontramos ante una discriminacion terminologica que recuerda, una vez mas, la que establecera, para tranquilizar las conciencias y respon­ der a la cdticas de los paganos, el autor anonimo de las Consultationes entre salutatio y adoratio. Trarandose de emperadores cristianos parece que el culto a sus imagenes fue aceptado facilmente por la mayoda de los pensadores cristianos, a condicion de que, como critica Gregorio de Nacianzo en Juliano, la adoratio no fuese mixta52• La doctrina oficial, pues, que se generalizo entre los obisposy pensadores cris­ tianos consisda en admitir unicamente los actos y gestos cultuales dirigidos a las imagenes de los emperadores, aunque fuesen iguales o similares a las que se rendian a los idolos: lo que era idolatria en el caso de éstos no lo era si se trataba de los empe­ radores. Pero para el comun de las gentes y para los paganos resultaban difkilmente comprensibles estas sutilezas de los teologos para separar el culto imperia! del culto a los dioses, lo que explica que estos ultimos, segun la expresion del anonimo de las Consultationes, reprochasen a los cristianos que solo cuando ellos lo practica49 Greg. Nac. , Orat. 4, 80. so « Éloge ou blame: tells sont !es cermes stricts de la problematique de l 'auteur>> , dice ]. Bernardi al repecto en nota a la traducci6n del texto en su edici6n de Sources Chrétiennes 309, pp. 202-203. SI Greg. Nac., Orat. 4, 8 1 , 1 -2. s2 Feiertag 1 99 1 , 83-88 dice que a comienzos del siglo v y lo relaciona con la composici6n del Dia­ logo anonimo, se produjo una reacci6n contra el culto a las imigenes en ciertos ambientes cristianos, pero las fuentes que aduce no me resultan muy convincentes. Pero en otro lugar, p. 72 manifiesta que « los textos cristianos demuestran que, a pesar de las criticas que surglan con frecuencia, la adoraci6n de las imigenes imperiales estaba muy enraizada >> .

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ban lo considerasen un sacrilegio : nobis pro sacrilegio adscribitis53• La ambigiiedad de que hizo gala el cristianismo respecto al culto imperia! centrado en las imagenes se prestaba a rodo tipo de interpretaciones que afloraran durante los debates de la controversia iconoclasta de los siglos VII y VIII. El autor anonimo de las Consul­ tationes fue incluido en una tradicion literaria hostil al culto de las imagenes y, por ello, pudo ser utilizado, junto con un pasaje de san Jeronimo en su comentario a Daniel III 1 85\ por los iconoclastas de la época de Carlomagno que redactaron los Libri Carolini en que se refutan los acuerdos del II Concilio de Nicea del 787 a favor de las imagenes55• Deseo concluir estas reflexiones sobre el culto imperia! en el llamado Imperio cristiano aplicando a nuestro tema lo escrito recientemente por L. Cracco Ruggini proposito del término 'pontifex': «Tutto ciò è uno fra i tanti segni di permeabilità e di continuità fra paganesimo e cristianesimo, sfociando nella parziale cristiani­ zzazione semantica di realtà attinenti a funzioni che continuavano a revestire una qualche importanza, nonostante l'ottica del tutto mutata da cui ormai si guardava a esse » 56• No concuerdo, sin embargo, con la estudiosa italiana cuando concluye que « si trattava in vero di aspetti con valenze precipuamente amministrative e ce­ remoniali, che non potevano venire soppresse d'un giorno all'altro se non a prezzo di gravi turbative politiche e sociali » . Pienso, mas bien, que bajo la osmosis de la terminologia se produjo otra osmosis de ritos y creencias, no coyunturales, que pa­ saron a formar parte sustancial de la nueva religion y que expreso muy bien A. von Harnack cuando, ya hace mas de un siglo, manifesto que cristianismo y paganismo compartian los mismos ritos y supersticiones y solo les separaba la teologia. La historiografia de los ultimos aii.os ha puesto un especial empeii.o en romper ideas y tradiciones arraigadas desde hace siglos sobre las relaciones entre el paganis­ mo y el cristianismo en esta época crucial que es la Antigiiedad Tardia que conocio la consolidacion de la nueva religion. No me resisto a constatar en un aii.o como el presente, caracterizado por las 'celebraciones constantinianas', que la refutacion que en 1 89 1 hizo O. Seeck del mal llamado 'Edicto de Milan' del 3 1 3 ha tardado mas de un siglo en ser aceptada por la historiografia oficial catolica. Un proceso similar acaba de iniciarse para otro de los grandes textos legislativos del siglo IV: el mito del Cunctos populos, el Edicto de Tesalonica del 380, que habria significado el recono­ cimiento oficial por Teodosio I del cristianismo como unica religion oficial y licita del Imperio y, por tanto, la culminacion del proceso iniciado con la conversion de Constantino. Profundizando en las investigaciones iniciadas por algunos historia53 Consult. Zac. et Apol., I 28, 4. 54 « �e los jueces y los principes del siglo, que adoran las estatuas y las imagenes de los empera­ dores, comprendan que esdn haciendo lo mismo que los tres niiios no quisieron hacer para agradar a Dios >> : C. C H. ser. Latina ?SA, p. 802. ss Vd. Feiertag 1 99 1 , 93-97. 5 6 Cracco Ruggini 20 1 1 , pp. 422-423.

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dores hace algunos afios, R . Lizzi Testa ha tratado recientemente de demostrar, de una forma dificilmente refutable, que no se trat6 de un texto legislativo de caracter generai y universal, sino limitado, en cuanto al contenido y al ambito geografico : « Non si trattava, pertanto, di un editto generale volto a definire l'ortodossia cris­ tiana, come hanno creduto quanti l'hanno celebrata come 'uno dei documenti più significativi nella storia europea', bensì di una misura di circunstanza per ristabilire l' ordine nella capitale orientale » 57• �Cuanto tiempo habra de pasar para que esto se convierta en ktema eis aei de la historiograffa sobre el cristianismo ?

s7 Lizzi Testa 20 1 1 , p. 47 4; sobre el tema, vd. et., Ead. 1 997.

TEO DOSIO l , I M PE RATO RE SE NZA APOTEOSI

Giorgio Bonamente

Della vita secolare dell' istituto della relatio in numerum divorum è ben noto il mo­ mento dell' inizio, che coincide con il culto di natura gentilizia che Ero filo/ Amazio attivò in onore di Giulio Cesare nei giorni successivi alla tumultuosa cremazione del corpo del dittatore nel Foro e, a distanza di quasi due anni, con la seduta del senato romano del l gennaio del 42 a.C., in cui fu sancito l' inizio del culto ufficiale del divus Iulius1• Anche se resta aperto il dibattito sul rapporto fra tale prassi funerario­ cultuale e gli onori conferiti già in vita, non vi è dubbio che l' istituto abbia assunto la sua configurazione con Giulio Cesare e che sotto il profilo ideale esso vada an­ corato al passaggio dalla repubblica al principato2• La consecratio e il suo opposto, l'abolitio memoriae, divennero da allora un elemento costante, di rilevanza non tra­ scurabile per la concezione del principe, una tappa obbligata per tutti gli imperatori, che vennero sistematicamente sottoposti allaprobatio del senato dopo la morte3• Nel suo insieme tale istituto si qualificò come funzione significativa e come esercizio dell'auctoritas del senato per tutta l'età imperialé. Problematica è invece l' individuazione della fase finale e dell'abolizione di tale 1 CIL XI 2628: Genio Deivi Iuli parentis patriae quem senatus popu!usque Romanus in numerum deorum rettulit; Dio XLVII 18, 2-5; Serv., In Aen. V 56: Caesarem quiprimus divinos honores meruit et divus appel!atus est. La divinizzazione di Cesare era stata uffìcializzata a ulteriore tutela del triumvirato ; cfr. Taylor 1931, pp. 1 8 1 s.; Syme 193 1 , pp. 1 0 1 - 1 07; Weinstock 1 97 1 , pp. 86 s.; Bonamente 1 993, p. 708. 2 Dobesch 1 966; Clauss 1 999, pp. 46 s. 3 Un senatoconsulto costituì il momento iniziale della procedura del!' apoteosi già nel corso del primo secolo d.C.; cfr. Tac., Ann. XII 69, 2: caelestesque honores Claudio decernuntur etfuneris sol!emne perinde ac Divo Augusto celebratur. Cfr. infra, nota 8. 4 Bonamente 1 994; 2002.

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istituto per l'assenza di testimonianze esplicite, ma soprattutto, perché si è verificato un fenomeno complesso di esaurimento e di sostituzione dell'apoteosi con un nuo­ vo rituale, nell'arco di tempo che va dal regno di Costantino a quello di Teodosio L In quegli anni si passò infatti dalla proclamazione di Costantino il Grande come di­ vus, ancora secondo la tradizione, all'assunzione del piissimus Theodosius nella 'luce' e nella 'assemblea dei santi', e non ad opera del senato, bensì del vescovo Ambrogio. Come per gli esordi, anche per la conclusione il mutamento coincise con una pro­ fonda trasformazione culturale, religiosa e istituzionale, sviluppatasi nell' impero nel corso del IV secolo, che si riflesse in modo particolare sulla sacralità del potere e sui carismi dell' imperatore5• Ciò che definiamo apoteosi è infatti un istituto complesso - con una forte com­ ponente ritualé - la cui ratio consiste nel rapporto fra il potere e le virtù imperiali ad esso connesse da un canto, e la proiezione dell' imperatore - dopo la morte - in un tempo e uno spazio assoluti, dall'altro. �esto elemento costitutivo la rende per sua natura commensurabile con la concezione vetero- e neotestamentaria di una sanzione escatologica dell'operato dell'uomo e ciò dà una ragione immediata del fenomeno, solo apparentemente assurdo, dell'evoluzione dell'apoteosi nella 'santi­ ficazione' degli imperatori. Nello specifico spiega la reazione molto blanda, di fron­ te alla divinizzazione imperiale, da parte di alcuni autori cristiani, tra cui lo stesso Agostino7• In generale un deciso rinnovamento degli studi sull'apoteosi va collegato in pri­ mo luogo alla definizione della terminologia, messa a punto nel 1 986 da Wilhelm Kierdorf, il quale ha dimostrato che le formule rejèrre inter divos e divum appellare erano legate alla probatio, atto con cui il senato decideva l' inserimento del defunto nella serie dei divi, mentre la consecratio significava di per sé l'avvio effettivo del cul­ to, anche se talvolta il termine è usato per indicare tutto il complesso della procedu­ ra della divinizzazione8• Da allora sono state spazzate molte esegesi fantasiose delle fonti e, soprattutto, si è spostato il baricentro da un' interpretazione rituale-magica ad una protocollare e istituzionale, con la conseguente rivendicazione del ruolo ri­ vestito dal senato9• Negli stessi anni, infatti, una più attenta lettura dei Fasti Ostienses relativi alla s Bonamente 20 1 1 ; 20 14. 6 Il rituale ebbe sempre un'elevata spettacolarità, di cui ci riferiscono nel modo più dettagliato Erodiano e Cassio Dione ( Herod. III 1 5, 7; Dio LXXVI 1 5, 3). Cfr. MacCormack 1 98 1 , pp. 198 ss.; Price 1 987; Arce 1 988; Wesch-Klein 1 993; Athanassiadi 2004, 2 1 2-21 4. 7 Aug., De civ. Dei II 1 5 : Romulum suum diis praetulerunt, quamvis et ipsum semideum potius quam deum secretior eorum doctrina commende!; XVIII 24: nec postea, nisi adulando, non errando,Jactum est temporibus Caesarum. Cfr. Bonamente 1 994, p. 1 37. 8 Gli elementi sono : l' istituzione di sacerdozi, la costruzione di are e templi, la dedica di statue e l'emissione di monete di consacrazione. Cfr. Kierdorf 1 986; Arce 1 988; Clauss 1 999, p. 358; Bona­ mente 1 994, p. 1 39. 9 Bickermann 1 929; Gros 1 966.

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divinizzazione di Ulpia Marciana, sorella di Traiano, confermava il ruolo della pro­ batio senatoria, ma dava spunto per un'altra non meno importante messa a punto, quella della prevalenza degli aspetti protocollari e rituali rispetto a presunte com­ ponenti mistiche desunte impropriamente dal rituale del 'doppio funerale: reale e imaginarius, ampiamente attestato a partire dal II secolo dell'età imperiale10• Nel complesso l'apoteosi imperiale non solo è salita alla ribalta nella pluralità delle sue espressioni, istituzionali, politiche, rituali e monumentali, ma ha trovato una sua collocazione precisa e distinta nel quadro del fenomeno complessivo del culto imperiale, per il suo carattere specifico, di essere uno degli istituti del diritto sacrale in cui il senato ha acquisito e mantenuto un ruolo primario1 1 • Da ciò sono derivati prestigio e credibilità per un istituto che si è consolidato nel tempo e che la Chiesa ha sussunto, trasformandolo, proprio nel caso dell'imperator Chistianissimus Teodosio il Grande. In primo luogo va messa in discussione la presunta inconciliabilità fra relatio inter divos e il fatto che a partire da Costantino quasi tutti gli imperatori siano morti da battezzati12• Si tratta di una petizione di principio astratta, contraddetta dalla realtà storica, a cominciare da Costantino, per finire, appunto, con Teodosio. Forse basterebbe richiamarsi alle monete di consacrazione di Costantino, emesse da tutte le zecche dell' impero con l'eccezione di quelle controllate da Costante, caratterizza­ te dalla legenda divus e dalla figura dell' imperatore che sale in cielo su una quadriga, atteso da una mano che si protende dall' alto13; ma le circostanze e le vicende del suo funerale, furono eccezionali ed offrono elementi ben più significativi. Costantino infatti, morto il 22 maggio 337, rimase esposto nella reggia per al­ cuni mesi, fino a che fu definita, il 9 settembre, la successione dei figli Costanzo II, Costantino II e Costante ; solo allora si procedette al funerale, che quella volta come non mai fu una cerimonia di investitura e di legittimazione dei successori14• Legittimazione duplice, a Costantinopoli e a Roma: due riti di sepoltura gli furo­ no infatti tributati, come è testimoniato dalla Vita Constantini in cui è riferito che egli aveva ottenuto nella polis basilis un cerimoniale funebre in absentia (Roma subì l'umiliazione di essere privata del corpo dell' imperatore defunto e della presenza di Costanzo II a vantaggio di Costantinopoli), una celebrazione connotata comunque dagli elementi fondamentali della relatio in numerum divorum, quali il iustitium, 1 0 Chantraine 1 980; Vidman 1 984; Bonamente 1 994, pp. 36 1 s. 1 1 Fishwick 1 990. 12 Con l'eccezione di Valentinano II, su cui infra, nota 60. 1 3 L' immagine era compatibile sia con la tradizione romana, recentemente richiamata in occasione dell'apoteosi di Costanzo (Pan. Lat. 6, 14, 3: dive Constanti, quem curru {et} paene conspicuo, dum vicinos ortus repetit occasu, Sol ipse invecturus caelo excepit; 7, 7, 3: Vere enim projècto illi superum tempia patuerunt, receptusque est consessu caelitum love ipso dexteram porrigente ), sia con quella biblica e cri­ stiana ( Eus., Vita Const. IV, 73) ; cfr. Calderone 1 973; Bonamente 1 988, pp. 1 29 s.; Rosen 1 993, p. 858. 14 Cfr. Klein 1 979; Di Maio, Arnold 1 992; Marasco 1993; Marcone 2002, pp. 1 66- 169; Burgess 2008, pp. 8-9; Barnes 20 1 2, p. 1 68.

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la presenza di imagines, la raffigurazione della ascesa al cielo e, comunque, l' attri­ buzione ufficiale dell'epiteto divus. Della descrizione conservata da Eusebio si ha riscontro, nella parte occidentale dell' impero, in una serie di vere e proprie dediche sacre al divus Constantinus, le ultime rintracciabili nell' impero : ad Arles, a Fano, a Roma, ad Ostia e in Umbria (a Plestia), in contesti ufficiali e privati rilevanti, tali da non poter essere spiegati come il semplice perpetuarsi di un uso, bensì come effetto di un'autorizzazione o di una direttiva ufficiali 15• Nella > (Vita Const. III 46, 2). 50 Se ne ricorda solo il merito di essersi opposto - prima di diventare imperatore - alla politica religiosa di Giuliano l'Apostata (De obitu Vàlentiniani 55: Adest etiam pater, qui militiam sub Iuliano et tribunatus honoresfidei amore contempsit). 5 1 Un prologo è costituito dall' immagine della Chiesa che piange ed è colpita sulle due guance, per la morte di Graziano e quella di Valentiniano II (De obitu Vàlentiniani 6); la prosopopea di Graziano inizia però con il paragrafo 54, ove Graziano attende il fratello ed intercede per lui presso Dio (Hic tuus iam et tuo iudicio vindicatus [ . . ] Gratianus) ; nei par. 7 1 -73 gli va incontro mentre sale in cielo e Io ab­ braccia; in par. 73 garantisce per le virtù del fratello ; in 76-77 ambedue finalmente ascendono insieme in cielo in mezzo agli angeli (amplexatus igiturftatrem ducere coepit ad propriam mansionem [ .. ] cum ftatre coepit ascendere [ . .. ] ) ; negli ultimi paragrafi vengono infine descritti insieme nella loro dimora celeste (77: ad illasjlorulentas delectationes, ubi cumftatre coniunctus aeternae vitaeftuitur voluptate) e nel loro status di beati (par. 78), sono in attesa della resurrezione (par. 80). 5 2 In una sola espressione Ambrogio caratterizza Valentiniano I e Graziano, attribuendo al primo la sola fides e riconoscendo al secondo sia la devotio sia la pietas (De obitu Vàlentiniani 55: quorum utrumque imitatus [Valentiniano II], alterum [Valentiniano I]jide, alterum [sci. Graziano] devotione pariter atque pietate... ) . In assenza di notizie esplicite sul battesimo di Graziano, la caratterizzazione che Ambrogio ne dà in questa orazione e nell'orazione funebre per Teodosio costituiscono forti indizi a favore di un battesimo, impartito comunque in circostanze che restano ignote. Cfr. De obitu Theo­ dosii 5 1 . 5 3 Valentiniano I è connotato in ambedue i casi i n modo negativo, come colui che non era interve­ nuto a togliere i privilegi tràditi ai culti ed ai collegi sacerdotali, né aveva rimosso l'ara della Vittoria, come invece aveva fatto con merito Graziano (De obitu Vàlentiniani 20: patrem meum laudatis, quia non abstulit; Et cum paterno conveniretur exemplo... ; 55: quod patri defuerat, adiunxit, quodftater con­ stituit, custodivit). Cfr. Soraci 1 97 1 , pp. 1 67 ss.; Lizzi Testa 2004, pp. 229-235. .

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vino': la fede5\ la devozione, la pietà55 e l'esercizio delle virtù56, alcune delle quali di natura politica, come la clemenza oppure l'amor provincialium57, altre strettamente personali, come la castità58 e il profondo affetto per le sorelle59• Anche l'evocazione delle immagini dell'ascensione al cielo dell'augusto scomparso erano state adeguate alla ritualità della antica relatio in numerum divorum. Secondo la topica dell'Anti­ co e del Nuovo Testamento, Valentiniano II era stato proposto come un principe santificato, che saliva al cielo ed entrava in una dimensione eterna di beatitudiné0• Ma il giovane imperatore, morto in circostanze oscure, era una figura soccom­ bente e un non battezzato; erano mancati pertanto i presupposti fondamentali perché incarnasse un exemplum di imperatore cristiano61 • Con Teodosio l, invece, la situazione era favorevole al massimo grado : era battezzato ed aveva professato apertamente la sua appartenenza alla Chiesa nicena62; era reduce da una vittoria cla­ morosa su un usurpatore che si era compromesso con il paganesimo e la sua vittoria era stata già accreditata pubblicamente come effetto della protezione divina63; la successione dei figli era stata già definita ma appariva precaria, e quindi ambedue necessitavano di quella legittimazione che in passato era stata costituita dall'essere divijilius64• L'orazione funebre tenuta in Milano il 25 febbraio 395, di fronte all' imperatore Onorio6S, poneva Ambrogio nelle condizioni ideali per proporre, ad un uditorio 54 De obitu Valentiniani 6: in obitu [ .. ]fidelium imperatorum [ . . ] (in} morte piorum principum. 55 Prendendo come tema la pietà di Valentiniano II verso il fratello Graziano e verso la religione (De obitu Vtzlentiniani 19: a quo se nolletpietate superari), Ambrogio torna a presentare come esemplare l'atteggiamento tenuto da Graziano, allo stesso modo delle Epp. 17 e 1 8 (Maur.), inviate a Valentinia­ no II stesso in concorrenza con la Relatio de ara Victoriae di �into Aurelio Simmaco. 56 De obitu Vtzlentiniani 9: Et ille quidem se suarum virtutum remuneratione solatur. 57 De obitu Vtzlentiniani 2 1 -22; viene confrontato con Giuliano l'Apostata, per lo scrupolo posto nel non imporre tassazioni insostenibili: hoc laudant provinciae Iulianum. Cfr. Pack 1986, p. 90, nota l 05. 5 8 La rinuncia ai giochi del circo (De obitu Valentiniani 14); la castità ( 17: ... tamen exhiberet sui tamquam vinctus coniugio castitatem); la clemenza ( 1 8). 59 Giusta, Grata e Galla, anch'esse, come Valentiniano II, figlie di Giustina; al tema della pietas familiare sono dedicati De obitu Valentiniani 46-5 1 . 60 Il suo « battesimo di desiderio e di opere» (De obitu Valentiniani 5 1 -52) lo giustifica al pari dei martiri morti catecumeni (par. 53). 6 1 Ambrogio allude all'uccisione, ma evita una polemica esplicita (De obitu Valentiniani 33: de celeritate mortis, non degenere loquor, non enim accusationis voce utor, sed doloris [ ... ] Quid ei sua profuit oratio?). Si deve tenere conto che Valentiniano II non è nemmeno nominato nel De obitu Theodosii; cfr. in.fra, nota 87. 62 Cfr. Lizzi Testa 1 996; McLynn 1 997, I, 1 7 1 - 1 78; Lizzi Testa 2009b, p. 39 1 ; Maraval 2009, pp. 1 04- 1 1 6 e 301-320. 63 Zecchini 1 984; Perelli 1 995; Demandt 1 996, pp. 3 1 -43; Paschoud 1 997, pp. 36 1 s.; Cameron 20 1 1 , pp. 93- 1 3 1 . 64 Sulla centralità del tema della successione nell'orazione d i Ambrogio cfr. Biermann 1995; Aiello 2002, pp. 1 19 55. 6 5 De obitu Theod. 3; 54 s.; cfr. Biermann 1995, pp. 1 43 ss. .

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eccezionale per qualificazione ed interesse, Teodosio I come ideale di imperatore christianissimus, proiettato nel paradiso dei cristiani, offrendo così un'alternativa di forte effetto alla relatio in numerum divorum tràdita. Sotto questo profilo il pa­ ragrafo 32 ha una funzione centrale, in quanto nel suo taglio sentenzioso e nell'uso ripetuto della titolatura ufficiale di Teodosio, si presenta espressamente come una formula riassuntiva: De obitu Theodosii 32: Absolutus igitur dubio certaminum fruitur nunc augustae me­ moriae Theodosius luce perpetua, tranquillitate diuturna, et pro his, quae in hoc gessit corpore, remunerationis divinaefructibus gratulatur. Ergo quia dilexit augustae memo­ riae Theodosius dominum deum suum, meruit sanctorum consortia.

Il contenuto della frase è coerente con la dottrina cristiana, in quanto propone in serrata connessione il novissimum della morte (che colloca l' imperatore in una con­ dizione assoluta, al di là dei certamina della vita) con il tema della relazione tra le opere e il premio divino ; soprattutto esplicita il criterio in base al quale l' impera­ tore andava giudicato : l'amore di Dio. Ma accanto al contenuto dottrinale, queste espressioni lapidarie - collocate in pieno rilievo nella struttura dell'orazione - con­ tengono due precisi riferimenti alla prassi tràdita, il cui senso non poteva sfuggire ai senatori presenti. Si tratta di due formule di grande rilievo : definire l' imperatore con l'epiteto augustae memoriae significava rinunciare alla formula divae memoriae; pronunciare la frase meruit sanctorum consortia equivaleva a sostituire in modo so­ stanziale il meruit in numerum divorum rejèrri che era di uso corrente per indicare l' apoteosi66• La santificazione di Teodosio trova fondamento sia nell'esaltazione delle virtù proprie dell'etica cristiana (Dilexi virum misericordem, humilem in imperio, corde puro et pectore mansueto praeditum, qualem Dominus amare consuevit) sia nella teo­ logia della vittoria, alla quale offriva un argomento di sicura presa la recentissima vit­ toria al Fiume Freddo, che Ambrogio stesso aveva già esaltato a caldo, trasfigurando la vittoria su Eugenio in un giudizio divino, dominato dal modo 'miracoloso' in cui vi era intervenuto il 'Dio di Teodosio'67• Le prime vengono esplicate in modo orga­ nico nella tessitura dell'orazione, dalla clementia proposta dal primo paragrafo68,

66 Tale formula risale agli esordi della divinizzazione, risulta attribuita al divo Giulio (Cesare) nella lex Ru.frena e ricorre in tutti i documenti relativi rimasti: CIL VI 872 F 797 ILLRP2 409 ILS 73 (da Otricoli); CIL IX 5 1 36 F 798 /LS 73 (Campli); CIL F 2927 (Minturno); cfr. Schumacher 1 988, p. 1 1 5, nota 38. Essa è riportata sistematicamente nel Breviario di Eutropio, il che implicava la sua presenza anche nella cultura di corte, considerando che lo storico fu console nel 387 e prefetto del pretorio negli anni 380- 1 ; cfr. Bonamente 1 989, pp. 47-59. 67 De obitu Theod. 7: [ .. ] princeps et ante aciem solus progrediens ait: Ubi est Theodosii deus? Cfr. Bonamente 2004, pp. 2 1 3 s. 68 De obitu Theod. l : [ . ] clementissimus imperator Theodosius. =

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alla combinazione di pietas, misericordia e fides del paragrafo 1 269, per insistere poi sulla humilitas nei paragrafi 27 e 2870, né manca un riferimento ai carismi di Teodo­ sio71. La seconda viene proposta nella sua inscindibile connessione con lafides, vero fondamento della vittoria conseguita quasi a conclusione del regno (recognoscitis nempe quos vobis Theodosiifides triumphos adquisiverit)72, ma anche garanzia per il buon esito della successione imperiale, precaria a causa della giovane età di Arcadio e di Onorio, ma diventata unfideicommissum garantito dalla divinità73• L'orazione contiene anche una lettura teologica della storia dell' impero roma­ no7\ che mette in primo piano l'ascesa in paradiso di Teodosio, proponendo ripetu­ tamente l' immagine del salire al cielo75, ma soprattutto si articola in una ricorrente definizione del luogo della sua beatitudine, per la quale vengono usati i più noti topo i biblici, dal 'riposo (eterno)' all"eredità del regno di Dio', dal 'grande sabato' alla 'Gerusalemme celeste', dalla 'terra dei viventi' al 'monte santo di Dio'76, per culmi­ nare con un'endiadi che designa proprio il luogo in cui Ambrogio vede Teodosio e Graziano : 'luce' e 'assemblee dei santi'77. Per configurare l'ascesa di Teodosio I al santorum coetum, Ambrogio mise in campo un immaginario, rigorosamente attinto dal repertorio biblico, altrettanto ef­ ficace e più differenziato di quello proprio della relatio in numerum divorum. Sapeva di dover concorrere con l' immagine di una sede celeste pensata per gli imperatori divi, ora proiettata nel cielo della Luna, ora in quello delle stelle fisse, come aveva recentemente messo in risalto Giuliano l'Apostata e come non hanno mancato di ricordare i commentatori di Virgilio o quelli del Somnium Scipionis78• Proprio ad 69 De obitu Theod. 1 2: [ ... ] imperatoris pii, imperatoris misericordis, imperatorisfidelis. 70 De obitu Theod. 27: [ ... ] bona igitur humilitas; 28: [ ... ] humilem se praebuit Theodosius imperator. 71 Conosceva il futuro attraverso il sogno ispiratore o grazie alla preveggenza di un asceta, quale Giovanni di Licopoli; cfr. Aug., De civ. Dei V 25. 72 Ambros., De obitu Theod. 7. 73 Bonamente 1 977; Consolino 2004, pp. 21 s. 74 Sordi 1 988, p. 1 43. Bellen 1 994; GroB-Albenhausen 1 999. 71 De obitu Theod. 1 8 : discedens e terris pia anima [ ... ] cum sese ad sublimia et superna subrigeret. 76 Rispettivamente: requies (De obitu Theod. 28: conversa est anima eius in requiem suam; 30: ... elevans animam suam ad illam perpetuam dirigit requiem); possessio hereditaria (28: Tamquam enim possessionem hereditariam recipimus, quae promissa sunt nobis) ; requies sabbati (29: Haec est requies sabbati magni [ ... ] haec est il/a requies sabbati); Hierusalem ( 2: in illam Hierusalem supernam; 3 1 :fostinavi! [ ... ] Theodosius [ ... ] ingredi civitatem Hierusalem) ; mons sanctus Domini (37: in montem domini sanctum [Ps 1 1 4, 4] [ ... ] vera regio viventium). 77 De obitu Theod. 39: Manet ergo in lumine Theodosius et sanctorum coetibus gloriatur. 78 Cfr. Serv., Ad Aen. V 45: [ ... ] quamquam sit discretio, ut deos perpetuos dicamus, divos ex ho­ minibusjàctos, quasi qui diem obierint: unde divos etiam imperatores vocamus; Macr., In Somn. I 9, 6: civitatum vero rectores ceterique sapientes [ ... ]foci/e post corpus caelestem, quam paene non relinquerant, sedem reposcunt: nec enim de nihilo aut de vana adulazione veniebat quod quosdam urbium conditores aut claros in re publica viros in numerum deorum consecravit antiquitas. Si vedano Bruggisser 1 987, pp. 227-241 ; Bonamente 1 989, pp. 30 s.

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un anno di distanza Claudio Claudiano, nel panegirico in versi per Onorio del 396, sarebbe infatti tornato a proporre, come voleva la tradizione letteraria, la diviniz­ zazione di Teodosio nella forma di un katasterismos di grande suggestione, che lo proiettava nel cielo delle stelle fisse79• Che egli non avesse di mira soltanto una riproposizione di temi, pur significativi e pertinenti, della dottrina cristiana riguardo la morte e la resurrezione dei corpi, lo indicano quattro punti, rintracciabili rispettivamente all' inizio dell'orazione e nei paragrafi 39-40, sulla cui funzione di snodo si tornerà fra breve : a) proprio all' ini­ zio, nel paragrafo 2, è svolto il tema della mutatio regni, per cui Teodosio conserva un qualche potere anche dopo la morte (regnumque non deposuit, sed mutavit)80; b ) nel paragrafo 39 la collocazione di Teodosio in una dimensione assoluta ( 39: manet ergo in lumine Theodosius) è motivata da valori propri della politica imperiale, quali la ultio di Graziano e la condanna dell'usurpazione di Massimo e di Eugenio, che vengono per l'appunto scaraventati in inferno8 1 ; c) nel paragrafo si ripropone la re­ galità di Teodosio dopo la morte ( 40: nunc sibi rex est ... ) e viene collocata in 'paradi­ so' tutta la domus Augusta; d) a completare il quadro viene richiamato l' imperatore Costantino, indicato come colui che ha reso l' impero una 'eredità di fede'82. Sono punti nodali che Ambrogio colloca al centro della sua orazione, ove riassu­ me il significato del regno di Teodosio, preannunciato nel paragrafo 33 (ut quadam sermonem meum peroratione concludam) e ne delinea la dimensione escatologica, richiamando l'attenzione sulla scelta del Salmo 1 14 come Leit-motiv delle argo­ mentazioni83. Solo dopo avere messo in evidenza tale serie di idee e di immagini, egli propone il lungo trattato dei paragrafi 4 1 -52, imperniato sull' invenzione della Croce da parte di Elena84. 79 Claudian., III cons. Honorii 1 67 s.: stetit arce suprema, l algenti qua zona riget Saturnia tractu. Ma anche dal 'cosmo' il divus vegliava sui regni dei figli:fortunate parens, primos cum detegis ortus, l aspicis Arcadium; cum te proclivior urges, l occiduum visus remoratur Honorius ignem; l et quocumque vagos jlectas sub cardine cursus, l natorum per regna venis... ( vv. 1 78- 1 82). 80 Un precedente che doveva essere noto ad Ambrogio, è il 'regno dopo la morte di Costantino'; cfr. supra, nota 1 9. Dal canto suo Ambrogio non riconosce a Teodosio il potere di aiutare direttamente i figli (De obitu Iheod. 2: Sedplurimos tamquam paterno destitutos praesidio dereliquit, ac potissimum jilios), in quanto la loro tutela è nelle mani di Dio e dell'esercito (gratia Christi ejides exercitus: ibidem). Il tema è riproposto nel paragrafo 1 6, ove il timor dei e la misericordia di Teodosio assicurano ai figli che dominus propitius sit rebus humanis. 8 1 De obitu Iheod. 39: Contra autem Maximus et Eugenius in inferno. 82 De obitu Theod. 40: post se hereditatemjidei principibus dereliquit. In ogni caso Ambrogio bada bene a non ricordare il battesimo ('ariano') di Costantino, portato alla ribalta dal Chronicon di Giro­ lamo (Hieron., Chron. ad a. 337, p. 234 Helm (citato supra, nota 4 1 ). Cfr. Aiello 1 992; 2003, pp. 277 ss.; Amerise 2005b. 83 De obitu Iheod. 37: hic vera perjectio est ubi iam culpa cessavit. Gratia perpetuae quietis adfulsit; 38: Ideo centesimus quartus decimus psalmus quia remuneratio caritatis est. Cfr. Biermann 1 995, pp. 14 5-149. 84 Sulla inventio crucis cfr. Rufin., HE. VIII ; Sordi 1 990; Consolino 1 984a; Sordi 1 993, pp. 884 ss.; Kolb 2003, p. 58.

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�esto notissimo excursus, sia per l a sua componente narrativa, che è costituita dall'epopea di Elena, sia per quella dottrinale, che è fondata sulla metafora dei due chiodi della croce quali tutela e freno del potere, ha avuto meritatamente successo a sé stante in quanto espressione efficace della concezione ambrosiana del rapporto tra il potere imperale e l'autorità della Chiesa85• Ma nel contesto logico ed espositivo dell'orazione esso ha la funzione di esaltare il buon principe cristiano e di colloca­ re convenientemente Teodosio nella serie dei principi cristiani. Lo dimostra il fatto che non solo l'excursus è preceduto direttamente dai paragrafi 39 e 40, nei quali è presentata la serie dei buoni imperatori, compresa la domus Augusta, a partire da Co­ stantino, come si è visto, ma è anche immediatamente seguito, nei paragrafi 50 e 5 1 , da una riproposizione del canone dei buoni e dei cattivi imperatori, con la condanna 'dei Neroni e dei Caligola'86 nonché di Giuliano l'Apostata, con una ribadita esalta­ zione di Graziano e di Teodosio87, sia infine con il riferimento complessivo ai reliqui principes Christiani88• Emergono, nell' intreccio delle argomentazioni, la funzione che Ambrogio ha at­ tribuito al suo elenco dei buoni imperatori cristiani, nonché i criteri di giudizio da lui adottati; ma risaltano gli esclusi: gli usurpatori Massimo ed Eugenio sono nell' in­ ferno, insieme a Giuliano, che è poi l'unico imperatore dell'èra postcostantiniana a non avere meritato il paradiso. Per tutti gli altri imperatori è invece previsto il premio eterno, una scelta non scontata, visto che ad Ambrogio non potevano essere ignoti il giudizio negativo di Girolamo su Costantino e quelli di ilario di Poi tiers e di Lucifero di Cagliari su Costanzo Il, e di Valente aveva egli stesso aveva denunciato il filoariane­ simo per giustificarne la morte sul campo di battaglia ad Adrianopoli89• Si tratta di un segnale importante : per Ambrogio la legittimità del potere era un valore positivo, mentre l' illegittimità era inaccettabile, come aveva indicato espres­ samente a proposito di Massimo e di Eugenio90; ciò significa che egli non si atteneva esclusivamente ad un criterio teologico e dottrinale, peraltro assolutizzato proprio 8 s Cfr. Consolino 1 994; Rosen 1 999, p. 174; Lizzi Testa 2009a, pp. 525 s. 86 De obitu Theod. 50: sed quaero: quare 'sanctum super frenum; nisi ut imperatorum insolentiam refrenaret, conprimeret licentiam tyrannorum? Di seguito c'è il richiamo ai cattivi imperatori, quali 'i Neroni' e 'i Caligola'. 87 De obitu Theod. 5 1 : inde Gratianus et Theodosius; 52: ambulabunt piane ac maxime Gratianus et Theodosius. 88 De obitu Theod. 5 1 . 8 9 Ambros. Defide I I 16, 1 4 1 . Nell'epistola 60, del 396, compare una significativa serie d i impera· tori romani qualificati come persecutori (Costanzo II, Giuliano e Valente) o come ostili alla dottrina nicena (Valentiniano I e Valentiniano II), dei quali si evidenzia la cattiva sorte. Girolamo dal canto suo aveva registrato Valente come persecutore dei cristiani ortodossi ( Chron. ad a. 367: Va!ens ab Eudoxio Arrianorum episcopo baptizatus nostros persequitur). 90 Par. 39: docentes exemplo miserabili, quam durum sit arma suisprincipibus inrogare. Il tema viene ribadito nel par. 49: Quomodo regibus resistemus? Ferro pedum eius reges inclinantur, in cui la venerazio­ ne e l'uso dei chiodi della croce da parte degli imperatori sono visti come un motivo di legittimazione. Cfr. Raschle 2002; Szidat 1979; 20 l O, pp. 265 s.

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nella politica religiosa coeva di Teodosio, ma preferiva adottare anche un criterio politico condiviso, come quello della legittimità, pervenendo in tale modo ad una sintesi - che era anche un compromesso - tra valori cristiani e valutazioni politi­ che91. Così riproduceva il discrimine classico fra principes consecrati e imperatori col­ piti da damnatio!abolitio memoriae, mantenendo un equilibrio tra le motivazioni etico-religiose e quelle politiche, riproducendo alcune forme proprie dell'apoteosi tràdita, sia nel dare rilievo alla domus Augusta ( nel par. 40 sono collocati nel 'regno del Signore' il padre Teodosio Senior, la moglie Flaccilla e i figli Graziano e Pulche­ ria) , sia n eli' adottare una distinzione, ali' interno dei principes Christiani, tra coloro che non meritavano di essere menzionati espressamente e quelli che godevano di una particolare considerazione, come Graziano e Teodosio. A tale riguardo si deve considerare il fatto che Valentiniano II, che pure aveva avuto un rapporto partico­ larmente forte con Ambrogio, come si è visto, non venga nemmeno ricordato nel De obitu Theodosii, e che la stessa figura di Costantino, oltre ad essere delineata in modo sommario e con esclusivo riferimento allajides ( nicena) , patisca la concorrenza del rilievo dato ad Elena92• Che nel De obitu Theodosii l' interesse di Ambrogio fosse rivolto alla sorte ultra­ terrena dell' imperatore, lo comportava l 'occasione e la dottrina cristiana del giudi­ zio e della vita venturi saeculi, una prospettiva cui l'orazione si attiene con coerenza; ma la composizione dell'uditorio93 imponeva al vescovo di non tralasciare temi po­ litici importanti, quali la continuità della linea di governo da Graziano a Teodosio e la precaria successione a Teodosio stesso94• Per la loro soluzione non era sufficiente parlare di un'eredità da rispettare, fosse essa di clementia o fosse difides, come è mes­ so bene in evidenza fino dai primi paragrafi; era necessario puntare sulla capacità di azione dell' imperatore defunto anche dopo la morte, naturalmente nella sola forma ammissibile dalla dottrina cristiana, dell' intercessione presso Dio e non nella forma di un potere proprio. Che è come dire : Ambrogio doveva appropriarsi dell'elemen­ to strutturale deli' apoteosi, che è quello di infondere nel successore il carisma di divi jilius. La lettura dell'orazione ha dimostrato che non solo l'elemento strutturale, ma anche alcune delle forme e delle espressioni della relatio in numerum divorum sono state sussunte nel modello ambrosiano del principe cristiano. Rispetto alle raffinate trattazioni dell' istituto tradizionale da parte della storia­ grafia e, più in generale, della cultura tradizionalista, la dottrina del principe cristia9 1 È utile il confronto con i criteri - diametralmente opposti - con cui la Historia Augusta ha 'revisionato' la lista dei principes divi; cfr. Bonamente 1 9 9 1 , pp. 65 ss.; Bonamente 20 l O, pp. 68 ss.; 20 1 1 . p. 353. 92 Cfr. Salamito 20 1 2, pp. 554 s. 93 La capienza della basilica di Milano era di circa 3000 persone; va presupposta la presenza di alti membri della corte e di uno stuolo dei funzionari; cfr. Krautheimer 1 983, p. 76; Biermann 1 995, p. 1 80. 94 Duval l 977; Consolino 1984b; Bonamente 2006.

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n o delineata d a Ambrogio aveva i l vantaggio d i poter incidere sul tessuto culturale e politico in modo efficace9\ considerando l'occasione cui era connessa la sua orazio­ ne. L' immediata eco a Costantinopoli si riscontra nell'Orazionefunebre per Teodosio tenuta dal vescovo Giovanni Crisostomo nell'anniversario della morte, il 17 genna­ io 399: nei frustoli rimasti ricorrono espressioni chiave di Ambrogio, come il topos della vittoria su Eugenio come battaglia incruenta, e, soprattutto, considerazioni sulla sopravvivenza di Teodosio e sulla capacità di operare dopo la morte96•

95 Consolino 1 994. 96 Iohann. Chrys., Om. 6, 2, 355 (P.G. 63, p. 492): « tutto appartiene a lui ed alla sua fede. Per questo lo consideriamo beato e riteniamo che non sia morto » ; cfr. Eus. Vita Const. II 1 2; iv, 56; Socr., HE. I 1 8 ; Soz., HE. I 8 1 ; Clauss 1 996, pp. 400 ss.; Pricoco 1998; Bonamente 2004, p. 2 1 5; Paschoud 2006, p. 36 1 ; Cameron 20 1 1 , p. 1 1 1 .

FUN ERALI E SEPOLTURE I M PERIALI A COSTANTI NOPOLI FRA REALTÀ E LEGGENDA

Antonio Cari/e

Eco estrema, ma ancora oggi riconoscibile, della esaltazione celeste degli imperatori 1 e dei loro familiari defunti a Costantinopoli Nuova Roma - di cui peraltro si con­ servano due principi tradizionali nella città antica e nell'impero : ilfunus publicum e il luctus publicus2 - è la evidenza archeologica a lstanbul nel Museo Archeologico, nelle sottostrutture del chiosco di Bagdhad al Topkapi Saray, in alcune moschee e nel cortile di Santa lrene dei ventotto sarcofagi in marmi pregiati3, porfido rosso, marmo verde di Tessaglia, marmo rosso, marmo proconesio, granito nero di Assuan, breccia di Hereke, marmo rosa, onice o alabastro, ostrite o marmo di Sagario. Anche i più integri, che impongono con la loro sola forma il senso della grandezza imperia­ le, presentano gli sfregi e le fratture apportate dai cercatori di gioielli, mentre i fram­ mentari terstimoniano la volontà di obliterarne la funzione e la memoria4• Il porfi­ do rosso, che ricorre in quattordici sarcofagi, ha una immediata evidenza imperiale 1 Bonamente 1989, dettagliata analisi dei funerali imperiali in Macrobio, in Servio, nella Historia Augusta, in Aurelio Vittore, in Pesto, in Eutropio, in Ammiano, con anche l'analisi dei Cesari di Giu­ liano, come pure delle testimonianze della celebrazione dei natales di diciannove imperatori ancora a metà del IV secolo nel Calendario di Filocalo, e di venti imperatori nei Fasti di Polemio Silvio del 499. �este celebrazioni comportavano i ludi circenses e « aspetti cerimoniali di chiaro significato religio­ so » , ibidem, p. 32. È in breve il repertorio analitico, corredato di tavole sinottiche delle fonti, da cui partire per una ricognizione del problema della consecratio e della sua validità politico-religiosa ancora nel IV-V secolo cristiano. 2 Ibidem, p. 7 1 . 3 Johnson 2009. Sulla connessione ideologica fra mausoleo imperiale e palazzo - ippodromo come esplicitazione monumentale della concezione del potere imperiale nella tarda Antichità cfr. Carile (M. C.) 20 1 2, pp. 1 2- 1 3; 55. nota 42. 4 Manini 2009, pp. 286-32 1 , tavv. 23. Una raccolta di fonti si trova in Bovini 1 962.

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per il pubblico del III-VI secolo, ma anche il verde di Tessaglia, venuto in uso dopo la metà del V secolo5, testimoniato in cinque sarcofagi, ha la medesima pregnanza simbolica. Le ventotto testimonianze archeologiche, rispetto alle 1 9 5 testimonian­ ze di personaggi della famiglia imperiale fino a metà del X secolo rappresentano il 14% dei casi possibili, un campione significativo anche sotto il profilo quantitativo, tenuto conto dei due grandi saccheggi (del 1 204 e del 1453). All'esterno del sarcofago non compaiono iscrizioni6 ma non sappiamo se com­ parissero sulle applicazioni in oro e argento che impreziosivano il sarcofago e che erano facili da asportare sia per i violatori sia semplicemente per necessità del gover­ no nei periodi di crisi monetaria, come fu il VI-VII secolo, quando Eraclio, nel corso del suo lungo regno ( 6 1 0-641 )7, chiese in prestito, cioè confiscò, i tesori mobili delle chiese, compreso il tesoro del Laterano a Roma8• Altro elemento atto a evidenziare la grandezza imperiale è testimoniato dalla costruzione del mausoleo imperiale, l'�p4)ov, che mutò nel tempo: la distinzione maggiore è fra i mausolei singoli, come i giganteschi tumuli di Augusto e di Adriano, come la colonna di Traiano in cui si conservava l'urna d'oro delle ceneri dell' impe­ ratore, e i mausolei plurimi, tombe monumentali a pianta centrale, a volta con lo spazio per i sarcofagi dell' imperatore e di alcuni familiari ma anche con accesso a vi­ sitatori e officianti: tale il mausoleo di Diocleziano e Pro ba a Spalato, il mausoleo di Galerio a Tessalonica, il mausoleo di Elena a Roma9, il cui sarcofago di porfido papa Anastasio IV ( + 1 1 54) asportò dal mausoleo imperiale sulla via Casilina e collocò in Laterano come propria sepoltura, attualmente conservato nei Musei Vaticani, con sorte migliore della eoneha porphiretica che papa Innocenza II ( + 1 143) aveva asportato da Castel Sant'Angelo, il mausoleo di Adriano, e che andò probabilmente 5 Bovini 1 962, p. 175 ricorda che i più antichi sarcofagi in marmo verde sono quelli di Leone I ( +474), Zenone ( +49 1 ), e Giustino I ( +527). Manini 2009, p. 305. 6 La qualità grafica e la complessità letteraria della epigrafe funeraria del sebastocrator !sacco Com­ neno (c. 1 093- 1 1 52), nella chiesa della Madre di Dio Cosmosoteira a Pherrai, ora al Museo Eccle­ siastico di Alexandroupolis, cfr. Piatnitsky 2000, p. 43 fig. 2 e p. 46, induce a pensare che iscrizioni di analoga qualità fossero apposte sui sarcofagi imperiali incise appunto sulle applicazioni in metalli pregiati. La mummia di Basilio II sarebbe stata riconosciuta dai versi sul lato corto del sarcofago nel 1 26 1 , cfr. qui nota 52. 7 Kaegi 2007, pp. 1 1 0- 1 1 1 , 196, 272-275, 280, 294. 8 Carile 2002b, pp. 79-80. 9 Sul mausoleo di Diocleziano cfr. Carile (M. C.) 20 1 2, p. 20. Sulla Rotonda di Tessalonica, sorta forse come mausoleo di Galerio, cfr. ibidem, pp. 49- 1 00 e passim. Sui mausolei di Galerio e di sua madre a Romuliana cfr. ibidem, pp. 1 3, nota 66; 5 1 , dove Galerio fu effettivamente sepolto. Le fonti bizantine dichiarano, ma corrono dal X di Costantino Porfirogenito al XIV-XV secolo dello Pseudo-Codino, che Elena venne sepolta nel sarcofago del figlio Costantino a Costantinopoli Nuova Roma cfr. Bovini 1 962, pp. 1 55- 1 57. Sul problema aperto delle basiliche « circiformi » cui sono annessi alcuni mausolei imperiali come la basilica di S. Agnese collegata al mausoleo di Costanza, la figlia di Costantino, e la basilica dei SS. Pietro e Marcellino cui è collegato il mausoleo di Elena a Roma, cfr. Vespignani 20 1 0, pp. 145- 1 53.

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distrutta nell' incendio della basilica del Laterano nel 1 30810• Si tratta della usuale appropriazione papale dei simboli di eccellenza dell' imperatore. La costruzione dei mausolei a pianta centrale proseguì a Costantinopoli Nuova Roma dal IV al VI secolo, nella continuità del programma propagandistico delle grandi costruzioni cristiane per la ridefinizione del tessuto urbanistico in senso cri­ stiano e imperiale1 1, mentre agli inizi del VII secolo quattro piccoli mausolei poligo­ nali furono annessi alla chiesa di Santa Eufemia12• I mausolei imperiali annessi alla basilica dei Dodici Apostoli a Costantinopoli dal IV all' XI secolo erano quattro13• L'heroon di Costantino il Grande, una rotonda a volta14; la stoà nord e la stoà sud, due mausolei minori eseguiti verso il 405, e il mausoleo cruciforme di Giustiniano P5• Dopo il VI secolo invalse l'uso di porre i sarcofagi nei narteci e nei parekklesia16• Malgrado una legge del 38 1 17 proibisse le sepolture in chiesa, la prassi continua in­ disturbata per sacerdoti, monaci e imperatori nonché laici influenti e loro famiglie. Fuori discussione erano comunque i mausolei per i membri della famiglia imperiale. Il cerimoniale dei funerali imperiali quale noi conosciamo nel secolo X differisce da quello del IV secolo, soprattutto per il fatto della consecratio cioè dell'ascesa al cielo dell'anima dell' imperatore, che nel IV secolo è ancora sottolineato dalle fonti come Eusebio e i panegirici e dalle raffigurazioni monetali di Costantino nell'atto di ascendere al cielo su di una quadriga, accolto dalla mano di Dio18, mentre prende a diffodersi la cristianizzazione della metafora figurativa dell'ascesa al cielo su di un carro attraverso la rappresentazione del carro di Elia che sale al cielo con il profe­ ta che conferisce la melote ad Eliseo19, scena perfettamente delineata nel sarcofago cristiano conservato a Sant 'Ambrogio a Milano20• Già lo Dvornik si era posto il problema della cristianizzazione dell'apoteosi imperiale21, rilevando che la solen­ ne deposizione delle spoglie imperiali in una chiesa rimpiazzava la cerimonia della cremazione della salma imperiale e del rilascio dell'aquila simbolica22 - metafora 1 0 Herklotz, p. 1 9; sulla imitatio imperii papale nel XII secolo, cfr. le pp. 20-37. 1 1 Buenacasa Pérez 200 l . 12 Naumann, Belting 1 966, pp. 49-53. 1 3 Si veda la importante descrizione dei Santi Apostoli dell'asecretis Costantino Rodio (870/8093 1 circa) edita e commentata da Angelidi 1 983 con ricostruzioni ipotetiche dei SS. Apostoli. 1 4 Bonamente 1989, p. 26 e nota 26 riferisce la bibliografia sul mausoleo della Gens Flavia, in cui fu traslato il sarcofago di Costantino intorno al 358, quando il sarcofago fu tolto dalla basilica dei Dodici Apostoli come se venisse smentita la qualità di Tredicesimo Apostolo. Ma si veda l'ampia disamina in Dagron 1 974, pp. 93-94, 403-409 (pp. 9 1 -92, 396, 407-41 5 della trad. italiana). 1 5 Bovini 1 962, p. 1 6 1 circa i sarcofagi di Giustiniano e di Teodora. 1 6 Johnson 1 986; Grierson 1 962. 17 C. Th. IX 1 7, 6. 1 8 MacCormack 1 98 1 , p!. 33 e pp. 1 22- 1 24. 19 MacCormack 1 98 1 , pp. 125-126 e pl. 30; Dvornik 1 966, p. 649. 20 MacCormack 1 98 1 , pp. 125-126 e 3 1 . 21 Dvornik 1 966, p. 646, 648-650, 677, 678, 737, 769, 78 1 , 8 1 0. 22 Dvornik 1 966, p. 649.

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dell'aquila che pure figura ancora nell'elogio funebre che sant 'Ambrogio dedica al defunto Valentiniano23, un testo in cui per di più la famiglia imperiale teodosiana viene associata all'apoteosi di Teodosio I - pur nel perdurare almeno fino a Teodo­ sio II di alcune forme della antica consecratio assieme alla terminologia, derivata dal culto imperiale e dalla divinizzazione degli imperatori, di divus, divinus, aeternus24 o addirittura numen25, terminologia che arriva in alcuni casi fino al X secolo, malgra­ do la dichiarazione di Ennodio di considerare i termini dei e pontefici applicati agli imperatori romani come « adulazioni dei nostri antenati » 26• La analitica rassegna di Sabine G. MacCormack sulla evoluzione delle cerimonie e iconologie imperiali nel passaggio dalla consecratio al funerale imperiale, in modo da salvaguardare il concetto della continuità fra l' imperatore defunto e il successo­ re e d'altra parte dell'assunzione in cielo del predecessore, mi sembra esimere dal ripercorrere questa analisi che viene condotta fino al VI secolo27, quando la visione cristiana dell' imperatore è consolidata da alcuni secoli, con la assunzione o trasla­ zione cristiana degli stilemi della divinizzazione e del culto imperiale di derivazione ellenistica28• La cultura romano-orientale è percorsa da un senso della morte evidenziato in forme letterarie codificate che si disseminano dalla classicità ellenica fino al tardo medioevo bizantino : le imitazioni bizantine di Luciano nei cosiddetti Hadesfohrten ( il Timarion, il viaggio di Mazaris, Giovanni Picatoro, l'Apokopos di Bergade) , la proliferazione delle composizioni poetiche in forma alfabetica aventi a soggetto il Caronte, divenuto personificazione dello Thanatos, mostra la continuità di questo senso della vita e dunque il ruolo che nella vita sociale romano-orientale viene ad assumere il funerale come momento del trapasso e della memoria29• La ricerca di sepolture monumentali, specialmente sarcofagi, ampiamente riutilizzati in età me­ dievale, è questione ben nota per l' autorappresentazione urbica delle aristocrazie30• Il racconto leggendario risalente al X secolo della fondazione costantiniana della prima Santa Sofia, mostra la vedova Anna cedere il suo palazzo del valore di 85 no23 Dvornik 1 966, p. 678. 24 MacCormack 1 98 1 , pp. 65 1 , 737, 78 1 . 25 MacCormack 1 98 1 , p. 652, termine riferito alla volontà imperiale i n una lettera d i Giustino I nel 520 diretta a papa Ormisda. 26 M. Felix Ennodius, Opera: Panegyricus dictus Theodorico, 1 7, ed. F. Vogel, in MGH, Auct. Ant. , 7, p. 2 1 3. 27 MacCormack 1 98 1 , pp. 9 1 - 1 58, svolge un intero settore circa la consecratio: Part L Conjlicts about the Afterlife ojthe Emperor, pp. 93- 1 44 e Part IL The Christian Resolution, pp. 1 45- 1 58. 28 L'assunto dell'opera dello Dvornik traccia una linea di continuità dalla antichità faraonica alla divinizzazione di Alessandro in età ellenistica, al culto regale dei Diadochi, fino al culto imperiale e successiva cristianizzazione. �esta linea è seguita soprattutto in chiave iconologica anche da Zanker 1 987, nel capitolo VIII della trad. i t. La diffusione del mito imperiale, pp. 3 1 4-353. 29 Moravcsik 1 967. 30 Andreae, Settis 1984; Herklotz 1 985; De Lachenal 1995; Kollwitz, Herdejiirgen 1 979.

Funerali e sepolture imperiali a Costan tinopoli fra realtà e leggenda

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mismata i n cambio della propria sepoltura nel luogo stesso i n cui sorgeva l a sua casa, divenuta lo skevophilakion di Santa Sofia31. Il funerale lCY]OELIX si articolava in un rituale in tre fasi: il corpo veniva preparato, nella residenza del personaggio di rilievo, o sulla tavola inclinata a 45 gradi, che ancora si trova al di fuori di alcune chiese esaugurate di paesi anatolici e entro il monastero di Mor Gabriel a Tur Abdin; seguiva la processione funeraria e quindi la cerimonia funebre e la deposizione nella tomba. La preparazione avveniva subito dopo il decesso con bagno e vestizione del cor­ po. Di solito il corpo veniva lavato con acqua calda, mescolata a vino, miele e spezie, veniva anche unto con essenze profumate, infine rivestito di abiti appropriati; occhi e bocca venivano chiusi. La vestizione consueta era un abito di lino bianco e un lenzuolo funebre. Costantino il Grande fu rivestito del suo abito battesimale di lino bianco. Santa Sofia di Costantinopoli metteva a disposizione del pubblico un corpo di becchini gratuiti, mantenuti con numerosi ergasteria esentasse a Costantinopo­ li32. Ma di becchini disponevano anche i grandi monasteri costantinopolitani per i loro monaci e anche per i malati deceduti nei loro ospedali33• Il ricorso alla imbalsa­ mazione non è testimoniato dopo il VI secolo. Flavio Cresconio Corippo nel 565 lascia intendere che il cadavere di Giustiniano fosse stato imbalsamato : tura Sabaea cremant, fragrantia mella locatis infundunt pateris et odoro balsama suco. centum aliae species unguentaque miraftruntur, tempus in aeternum sacrum servantia corpus34

e infatti nel 1 204 i crociati, alla ricerca di gioielli, ne trovarono la mummia intatta35. Va però detto che nel 1 26 1 Michele VIII Paleologo rinvenne e traslò la mummia di Basilio II morto nel 1 02536• Il rituale imperiale prevedeva i tre momenti ma con una solennità in sintonia con il ruolo speciale riservato all' imperatore nel disegno provvidenziale e nella con­ tinuità urbica di rituali che comportavano in ogni caso la partecipazione dei cittadi­ ni, non solo nelle cerimonie funebri ma anche nelle grandi occasioni di investiture

3 1 Dagron 1984, p. 1 98. 3 2 Rebillard 1 999, p. 274. Nella novella 59 del 537 si ricorda che Costantino aveva donato alla Grande Chiesa 950 ergasteria esenti dalle imposte perché assicurasse dei funerali gratuiti. Anastasio l'aveva portato a 1 1 00 ergasteria. Vi si aggiungeva anche una entrata di 70 libbre d'oro per lo stesso fìne. Teodosio II nel 420 conferma le misure prese da Costantino. Probabilmente numero delle esen­ zioni e effettiva applicazione della gratuità variarono a seconda dei tempi. 33 Cari!e, c.s., nota 5 l . 34 In laudem fustini augusti minoris, III 23-25, p . 6 1 ed. Cameron. 35 Harris 2009, p. 1 62 della trad. it. 36 Cfr. nota 58.

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di titoli aulici e di processioni imperiali37, manifestazione pubblica di consenso del «popolo» e dell'esercito, requisito convalidante, secondo la ideologia imperiale romano-orientale della basileia38• Eseguita la preparazione della salma, l' imperatore deceduto veniva esposto per le lamentazioni funebri di parenti, amici e familiari, nel portico del Triclinio dei Diciannove Letti39• Veniva orientato con il volto a est, - iconografia della rinasciata solare e simbolo della resurrezione -, le mani incrociate sul petto recante una icona, candele e incenso bruciavano attorno al catafalco. Era proibito somministrare la co­ munione al cadavere anche se gli si poneva fra le mani del pane benedetto, la eulogia. Per proteggere l'anima dai demoni, si cantavano salmi. Dopo la esposizione, la processione funebre muoveva verso la sepoltura fra lampade e fumigazioni di incenso. Se il percorso era eccessivo, per evitare la de­ composizione, il corpo veniva imbalsamato o posto in una bara chiusa40• Di solito c 'era l'accompagnamento delle prefiche per il lamento rituale ; san Giovanni Cri­ sostomo sollecita di rimpiazzare questo elemento della cerimonia con il canto dei salmi41• Il cerimoniale per la sepoltura imperiale è trattato nel capitolo l, LX, ( 69 ed. Vogt ) del de cerimoniis42 di Costantino VII Porfirogenito (9 1 3-959) . La sequenza delle fasi è la seguente : l . Si tace sulla preparazione del cadavere. 2. La salma imperiale viene trasportata - presumibilmente in processione attraverso il Ka�aMaptov fino al Triclinio dei Diciannove Letti, cioè un palazzo, nel recinto della città imperiale, dirimpetto alla Chalké, con una sala molto capace usualmente in funzione per i banchetti di stato e con un porticato antistante. Il Kct�aMaptov cioè il maneggio è citato solo due volte nel de cerimoniis, a meno che si tratti dell' ippodromo coperto secondo la ipotesi del Vogt43; questo ippodromo coperto peraltro non compare nella planimetria del Grande Palazzo disegnata su 37 Ho dedicato attenzione alla partecipazione popolare costantinopoli tana, come dimostrazione di consenso, alle grandi cerimonie di significato gerarchico o imperiale cfr. Carile 2004; 2009; 20 1 2b. 3 8 Si tratta della ainesis di cui disquisisce Pertusi 1 999, pp. 28-30. Il Pertusi peraltro delimita la concezione formale di «popolo >> in ambito ideologico bizantino cfr. ibidem, pp. 26-27, 30. 39 Brehier 1 970, p. 73. 40 Il corpo che non si decompone è un segno negativo nel folklore bizantino. In questo senso la pra­ tica della imbalsamazione sembra contraria a questa superstizione. La concezione bizantina dd corpo incorrotto ed enfìato, di vario colore, a seconda della maledizione e scomunica da cui il soggetto era stato colpito in vita, il cosiddetto tympaniaios, onkoumenos o addirittura vrykolakas vero e proprio revenant, talvolta riguarda anche gli imperatori come Michele VIII Paleologo cfr. Rigo 2006; Braccini 20 l l , pp. 1 23- 1 32, 1 38- 1 44. 41 Koukoules 1 948; Abrahamse 1 984, pp. 1 25- 1 34, e cfr. i vari contributi alle pp. 1 1 5- 1 95; Spyri­ dakis 1 950. 42 Const. Porph., De cer. I 69 ( 60 ) , II, pp. 83-86 Vogt. 43 Const. Porph., De cer. II p. 95 Vogt.

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indicazione del Vogt stesso nel 1 934. Nella sala del Triclinio viene posto il « letto d'oro del dolore » XPVIT� éÙV� T* ÀU1rl'jç. 3. La salma è posta sul « letto d'oro del dolore » . A questo punto s i descrive 4. 1' abbigliamento. La salma reca la corona, è addobbata con il divitision44, con la clamide d'oro e con i campagi, cioè gli stivali che indicano il porsi in viaggio. Si pone il problema se la vestizione sia anteriore alla deposizione sul «letto d'oro del dolore » o se avvenga nel salone. Il verbo usato per il vestire, all'aoristo, parrebbe indurre a pensare che la vestizione fosse la fase finale della preparazione. S. Il clero e i y�ÀovEç di Santa Sofia, assieme all' intero senato rivestito degli sca­ ramangia, entrano ed eseguono un canto « secondo l'ordine liturgico » . Il termine y�ÀovEç non è noto, Vogt pensa trattarsi di una confraternita funeraria, e forse si può supporre che sia un corpo di cantori parte del corpo dei becchini di Santa Sofia di cui si è detto. 6. Il prepositos fa un segno al maestro della cerimonia ed egli declama, ritmica­ mente e forse cantando : «Esci o imperatore, ti chiama il re dei re e il signore dei signo­ ri» . Declama per tre volte. 7. La salma viene sollevata dai �aoùncol, che per il Vogt sono gli ufficiali della guardia di palazzo ma per il Reiske erano semplicemente ministri, cioè domestici, persone di fiducia dell' imperatore in varie mansioni45• Come viene trasportata la salma ? Sul « letto d'oro del dolore » come viene testimoniato da uno storico con­ temporaneo al funerale di Costantino VII Porfirogenito, che dunque conferma l'aderenza del cerimoniale alla pratica reale del X secolo. 8. Il corpo viene esposto all' interno della Chalké dove si eseguono «le cerimo­ nie consuete » , recita il cerimoniale, probabilmente canto di salmi e fumigazioni di incenso. 9. �odo la cerimonia è conclusa, il prepositos fa un cenno al maestro della ce­ rimonia che ripete per tre volte, come all'atto del trasferimento dal Triclinio dei Diciannove Letti, «Esci o imperatore, ti chiama il re dei re e il signore dei signori » . 1 0. I l feretro è sollevato dai protospatari dell' imperatore e sfila per l a Mese. Il manto purpureo con il ricamo della calcatio colli del re vandalo fatto eseguire dalla imperatrice Sofia per la salma di Giustiniano nel 56546, conferisce a questa traslazio44 Fauro 1997; Kalamara 200 1 , p . 26 1 . L'indice del repertorio iconografico del divitision come «tunique probablement longue>> è nel vol. II, Paris 200 1 , tt. 79-92 (empereur). 45 PG 1 1 2, cc. 93-94. 46 Cor., in laudem fustini, I, v. 276 ( vestis); vv. 285-286. La clamide funebre di Giustiniano esalta le sue grandi vittorie militari: la storia recente della sottomissione di Vandali e Ostrogoti si trasfigura nella missione divina del!' imperatore di pacificazione universale, omnia regna, attraverso la guerra, riassunta nel trionfo finale della calcatio colli, che è il tema simbolico della vestis intexta pretioso murice in cui sono ricamate in oro le imprese di Giustiniano, campeggiante al centro nel gesto simbolico, che ritroviamo nella iconografia romano-orientale almeno dalle monete di Valentiniano III: ipsum autem in media victorem pinxerat aula l effira Vandalici calcantem colla tyranni. Tale vestis vivax Sapientia

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ne alcuni elementi di carattere trionfale che le insegne militari e le orifiamme con i santi militari del corpo addetto alla salvaguardia47 della corte e del feretro dovettero mantenere anche nei secoli posteriori. 1 1 . Il corteo raggiunge processionalmente il luogo della sepoltura. 1 2. Seguono la salmodia e gli atti consueti, evidentemente davanti al sarcofago il cui coperchio è sollevato in modo acconcio. 1 3 . Il prepositos fa un cenno al maestro della cerimonia che ripete per tre volte «Entra o imperatore, ti chiama il re dei re e il signore dei signori » . Allo stesso modo declama: «Deponi la corona dal tuo capo » . 1 4. Subito il prepositos toglie la corona e appone un CTYjfLEVTEtvov, una fascia, se­ condo il Vogt, un camauro secondo il Reiske, di porpora semplice, cioè non intessu­ ta d'oro né ricamata. 1 5. Il corpo è deposto entro il sarcofago. Poiché si tratta di casse piuttosto alte, di due misure : circa 3, 1 0 i più alti circa 1 , 5 8 i più bassi48, la deposizione della salma richiedeva due persone all' interno del sarcofago, e due all'esterno con la possibilità di salire con il corpo per una gradinata lignea, che a fine operazione veniva eviden­ temente rimossa mentre, usciti i due all' interno, il coperchio veniva collocato al suo posto. Il peso ne assicurava la difficoltà di rimozione, ragione per cui ci sono perve­ nuti i coperchi danneggiati dai violatori della sepoltura49• Va notato che la pratica del corpo dissepolto e cremato come nel caso già citato di Costantino V o gettato fra i rifiuti e lasciato insepolto, come nel caso dell'odiato Andronico Comneno ( 1 1 831 1 85), sono la manifestazione spettacolare e drammatica della damnatio memoriae cui il defunto è sottoposto, solitamente realizzata con discredito insinuato nelle fon­ ti o con opportuni silenzi. Nel funerale della imperatrice cambia solo al femminile il vocativo, con l'esortazio­ ne a uscire ed entrare, �acrlÀtcrcra. anziché �a.crtÀEuç. �esta sequenza fu certamente adottata per il funerale di Costantino VII Por(Co r., I, v. 29 1 ), la Sapienza vivente, cioè la imperatrice Sofia, aveva ordinato e fatto Cor., Praef. vv. 1 -3. Per l'episodio della umiliazione del re vandalo cfr. Ravegnani 1 984, p. 17; e per il trionfo di Belisario cfr. McCormick 1 986, p. 85 della trad. i t. Su altri episodi di calcatio cfr. ibidem, pp. 200-20 1 . Il trionfo di Giustiniano, attraverso Belisario, rappresentato nel mosaico del soffitto della Chalké completato dopo il 540 riproduce una iconografia più storicamente aderente al racconto di Procopio e meno sim­ bolica, cfr. MacCormack 1 98 1 , pp. 73-78. 47 Verpeaux 1 976, pp. 195,29- 1 96,28. Sui cinquecento uomini ad orifiamma cfr. ibidem, p. 1 96, 17-2 1 . Cfr. anche ibidem, pp. 1 8 1 , 1 0- 1 82, 10; Haussig 1 959, p. 1 89 della trad. it.; Treadgold 1 995, pp. 1 09- 1 1 0, 1 22; Carile 1 996, p. 1 57. Sui santi militari bizantini Orselli 1 993. 48 Fra i ventotto in qualche modo superstiti fino ad ora si contano fra i sarcofaghi di Santa Irene da 3, 1 0 e 1 ,58; 3, 17 /3,40/3,00/e 1 ,57/ 1 , 1 5/ 1 , 1 3 fra i sarcofaghi del Museo Archeologico di Istanbul, cfr. Manini 2009 I, pp. 286-321. 49 Cfr. Manini 2009, sarcofago 28, Museo Archeologico di Istanbul, fig. 23; ibidem, sarcofago n. 4 fig. 4.

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firogenito secondo il libro VI di Teofane Continuato e secondo la versione B della Cronica del Logoteta. Il Featherstone ipotizza che i due testi siano opera del patrizio parakimomenos Basilio Lecapeno ( 925-985 ) il famoso figlio illegittimo dell' impe­ ratore Romano I Lecapeno, reso eunuco fin dalla fanciullezza, elevato al titolo di patrizio e alla funzione di parakimomenos proprio dal cognato Costantino VII, per il ruolo da lui giocato nel 945 nella estromissione dal potere dei suoi fratellastri, figli di Romano. Basilio venne poi elevato a proedros da N ice foro II Focas, in ringrazia­ mento della sua influenza nella elevazione imperiale del generale e del matrimonio con Teofano, l' imperatrice vedova di Romano II. Basilio amministrò l' impero du­ rante la minorità di Basilio II, suo pronipote, accumulò un patrimonio talmente vasto che Basilio II nel 985 esiliò il prozio sulle rive del Bosforo e gli confiscò il patrimonio, in sintonia con la sua politica antisignorile. Basilio fu un mecenate rag­ guardevole, oltre alla fondazione del monastero di San Basilio a Costantinopoli, fu committente di opere d'arte di cui ci sono pervenuti la patena e il calice di diaspro giallo ora nel tesoro di San Marco a Venezia, il reliquiario del cranio di San Simeone Stilita ora a Camaldoli e il reliquiario della croce a Limburg-an-der-Lahn, oltre a codici splendidi di tactica a Firenze e Milano50• Nel libro VI di Teofane Continuato un brano edito da Featherstone51, descrive con gli occhi di persona presente al fatto, l'agonia di Costantino VII Porfirogenito il 1 5 marzo 647 1 cioè 96352• L' imperatrice Elena, con le figlie e il figlio Romano II, con il patrizio e parakimomenos Basilio - in realtà fratellastro dell' imperatrice - e i kitonite si affollano attorno al letto dell' imperatore, di cui, appena spirato, si compie il compianto funebre. Il testo afferma che la lavatura del corpo fu compiuta con le loro lacrime, evidentemente una iperbole, che però ci conferma la fase di preparazio­ ne del cadavere, che veniva lavato e cosparso di unguenti. Nel racconto del testo storico alla preparazione segue la deposizione nel Tricli­ nio dei Diciannove Letti, dove vengono eseguiti i salmi; il corpo viene poi esposto nella Chalké, dove avviene il congedo da parte del patriarca, dei preti, dei magistroi, dei patrizi, e di tutto il senato. Poi il maestro della cerimonia declama per tre volte : «Esci o imperatore, ti chiama il re dei re e il signore dei signori» mentre la folla leva alti lamenti, evidentemente nella piazza antistante la Chalké. Il corteo funebre si inoltra quindi per la via, la Mese, verso il tempio dei Santi Apostoli con il senato in processione che accompagna il trasporto con canti. Viene descritta la folla cittadina che si ammassa in lacrime attorno al « letto d'oro del dolore » su cui è esposta la salma imperiale, mentre da balconi e finestre degli edifici che costeggiano la strada si sporge un gran numero di persone. La ba­ silica dei Dodici Apostoli riceverà l'ultimo imperatore alla morte Costantino VIII

10 The Oxford Dictionary oJByzantium, s. v. Basi/ the Nothos, I, New York-Oxford 1 99 1 , p. 270. 1 1 Featherstone 20 1 1 , p. 1 1 6. 12 Penso che questo brano possa rientrare nella catergoria « funerary literature >> di Agapitos 2008.

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nel l 028 mentre il successore Romano III Argiro ( 1 028- 1 034)53, essendo esaurita la capienza dei sarcofaghi, si fece costruire il ricco monastero della Peribleptos dove fu sepolto in un sarcofago di diaspro rosso. Pervenuti alla basilica dei Dodici Apostoli il patrizio e parakimomenos Basilio avvolge con le sue mani il corpo dell' impera­ tore in un sudario bianco secondo il costume e lo depone entro il sarcofago di suo padre Leone VI, un sarcofago di marmo di Sagario color polmone nel mausoleo di Costantino54• �esti sarcofaghi multipli, più volte testimoniati nelle nostre fonti, erano denominati stataraia. Lo stesso cerimoniale era stato seguito per il funerale di Leone III (deceduto il 1 8 giugno 74 1 ) , deposto in un sarcofago di marmo proconesio nel mausoleo di Giustiniano ai Santi Apostoli55• Le notizie sui funerali imperiali sono piuttosto carenti nelle nostre fonti. Persino Anna Comnena, tanto coinvolta emotivamente nell'agonia e nel decesso del padre, Alessio I Comneno nel l 1 1 8, del quale descrive con perizia da medico la sintoma­ tologia progressiva che lo condurrà alla morte, si astiene dal notificarci il luogo del­ la sepoltura. Sembra del tutto destituito di fondamento il racconto leggendario di Michele Psello su Zenone, che Ariadne, presa d'amore per Anastasio, avrebbe fatto seppellire vivo approfittando di un suo stato di coma etilico 56. Costantino V era stato sepolto in un sarcofago di marmo tessalico verde nel 775 ma durante la reggenza di Teodora (842-856), presumibilmente dopo il ristabilimen­ to del culto delle immagini, il corpo dell'imperatore iconoclasta venne bruciato e lo stesso sarcofago venne ridotto in lastre e utilizzato nella chiesa della Madre di Dio del Faro57• �esta testimonianza di damnatio memoriae rende evidente la funzione memoriale del sarcofago, a prescindere dalla mummia in esso contenuta, con sua con­ seguente distruzione mediante riutilizzo del marmo nel caso dell'odiato eretico Co­ stantino V. Con il 1 028, quando Costantino VIII viene sepolto nel sarcofago che era stato apprestato per Basilio II, - ma non utilizzato per lui, sepolto nella chiesa di San Giovanni Teologo nell' Hebdomon, di cui era stato fondatore -, cessano le sepolture imperiali ai Santi Apostoli, che sembrano alludere al ruolo imperiale immaginario di Tredicesimo Apostolo. Gli imperatori e i loro familiari vengono sepolti nei monaste­ ri di loro fondazione, come i Lecapeni nel monastero di Myreleou, i Comneni nel monastero del Pantocratore. Nella chiesa di San Giovanni Teologo all' Hebdomon, ridotta a pascolo di pecore, la mummia di Basilio II, morto nel 1 025, venne rinvenuta intera nel 1 26 1 da Michele VIII Paleologo, nuda « dalla testa ai piedi » e con una SJ Harris 2009, p. 90 della trad. it.; Dark 1 999. s4 Manini 2009, p. 205 e cfr. anche p. 22, nota 7 sul marmo in questione. ss Mani n i 2009, p. 1 99. sG Michaelis Pselli Historia syntomos, editio princeps, recensuit, anglice vertit et commentario ins­

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Funerali e sepolture imperiali a Costan tinopoli fra realtà e leggenda

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siringa pastorale inserita nella bocca, evidente sfregio dei violatori della sepoltura, forse i Latini del l 204, alla ricerca di gioielli. Michele VIII rivestì la mummia con ve­ sti di seta intessute d'oro, la trasferì a Galata entro una teca di pregio fra salmi e inni, accompagnata da molti archontes con candele; collocò poi definitivamente il corpo nel monastero del Salvatore58• Giorgio Pachimere con questo racconto evidenzia la legittimità storica del regno di Michele VIII Paleologo, riconquistatore di Costan­ tinopoli Nuova Roma, mediante il pio collegamento al grande Basilio Il, che aveva segnato l'acme territoriale dell' impero duecento cinquat'anni prima. Le lamentazioni funebri e/ o il canto dei salmi, il corteo con il corpo esposto per una via centrale della capitale, sembrano riecheggiare antiche fasi pre-cristiane del rituale dell'apoteosi imperiale, la sepoltura ai Santi Apostoli o in una chiesa pre­ scelta dall' imperatore stesso segnano il momento cristiano della sepoltura con pro­ gressiva rinuncia alla simbologia apostolica, man mano che le sepolture avvengono al di fuori della basilica dei Santi Apostoli. Ma la consapevolezza della simbologia imperiale della basilica dei Santi Apostoli è tale che dopo il l453 Maometto II, che si atteggia a erede dell' impero romano-orientale, erigerà sulla basilica la moschea del Conquistatore Fetih çami e accanto la sua turbe, cioè il suo mausoleo che ora vediamo nella ricostruzione ottocentesca. Elementi costanti del rituale imperiale di sepoltura, lamentazione e salmi, espo­ sizione, processione funebre per la città, deposizione in un sarcofago imperiale in un mausoleo dei Santi Apostoli o in altra chiesa monastica, non sembrano impli­ care una posizione ideologica speciale per il corpo dell' imperatore, che viene trat­ tato come un qualsiasi fedele defunto, salvo l'apparato processionale specifico e la venerazione dovuta pubblicamente dai sudditi. Si distingue cioè fra il corpo, che fa dell' imperatore un uomo come tutti gli altri, secondo il rilievo già esposto dal diacono Agapeto nel 52759, e il potere, questo sì divino, ma già passato al succes­ sore e quindi non più prerogativa del defunto, che ubbidendo alla chiamata di Dio �ct> 20, 2007, pp. l 53- 1 7 1 . Chaniotis 2008 = A. Chaniotis, Priests and Ritual Experts in the Greek World, i n Dignas, Trampedach 2008, pp. 17-34. Chaniotis 20 1 1 a = A. Chaniotis, The Ithyphallic Hymn for Demetrios Poliorketes and Helle­ nistic Religious Mentality, in lossif et alii 20 1 1 , pp. l 57- 1 95. Chaniotis 20 l lb = A. Chaniotis (ed.), Ritual Dynamics in the Ancient Mediterranean: Agency, Emotion, Gender, Reception, Stuttgart 20 1 1 . Chankowski 20 1 1 = A.S. Chankowski, Le culte des souverains aux époques hellénistique et impériale dans la partie orientale du monde méditerranéen: questions actuelles, in lossif et alii 20 1 1 , pp. 1 - 1 4. Chantraine 1 980 = H. Chantraine, Doppelbestattungen romischer Kaiser, in « Historia >> 29, 1 980, pp. 7 1 -85.

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JosefWiesehi:ifer, «No t a God, but a Perso n Apart». The Achaemenid King, the Di­ vine and Persian Cult Practices lt is quite difficult to describe the position of the Achaemenid Great King from an ideologica! and religious-ritualistic point of view. The traditional distinction between human and divine does actually not fit this particular situation, while a comparative analysis of the Persian iconographic tradition, of the Greek literature describing the great ceremonies at the Achaemenid court, of the Elamite, Mesopo­ tamian, and Avestan traditions allows us to frame the peculiar status of the Achae­ menid king (or maybe of the Achaemenid kingship). Scholars have recently pro­ posed the hypothesis that the Achaemenid rulers might have been the object of cult after their deaths. But the questio n remains open about their status wh ile stili alive. Federico maria Muccioli, The Cult of Timoleon in 4th Century BC Politica! and Reli­ gious Context: Tradition and Innovation Diodorus and Plutarch report that Timoleon was attributed heroic honours by the citizens of Syracuse after his death. This paper aims at investigating the religious, social as much as politica! framework of those timai o n the background of the cultic practices in the 4th century BC. Heroic cult in Sicily was usually due to founders or leaders such as tyrants who had acted evergetically towards the citizens of their poleis, e.g. the oikistai attested for the archaic ages or the heroic tributes to Gelon, Hieron, Theron and Dion in his lifetime. Timoleon does not represents an excep­ tion, as he is considered as a founder in the sources. He compares to Gelon, accord­ ing to Timaeus, who considers both Timoleon and Gelon as the true saviours of

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A bstracts

Sicily. Timaeus was very conservative as far as cults were concerned and he might be responsible for the emphatic description of Timoleon's death and honours. The games celebrated in his memory deserve special attention. In particular, the music contests that are seemingly not attested before and should actually be compared to those hel d in Athens an d Macedonia o n rh e occasion of funerary celebrations. Luisa Prandi, Fortune, Virtue and Divinity. The Case oJAlexander This paper looks at the partial apotheosis of Alexander the Great, providing a survey of his posthumous reception in Macedonia an d Greece. Another key pie ce of evi­ dence is Alexander's funeral organised in Egypt by Prolemy so n o n Lagus. The main focus of the paper, however, is o n what we know of Alexander's own behaviour, an d what we can conclude from it about the persona he sought to cultivate and convey. The author also aims to offer answers to some basic questions: fìrsdy whether, to­ wards the end of his life, Alexander deliberately acted in ways which suggested god­ hood, with careful consideration of his behaviour at Haphaistion's funeral; and, secondly, whether he took steps to establish an of!ìcial apotheosis, with an analysis of the ancient very scanty tradition. Franca Landucci Gattinoni, The Divinisation in the Literary Tradition at the Begin­ ning oJHellenism The cult of the ruler in Early Hellenism is amply attested by epigraphic documenta­ tion : many poleis would express loyalty and gratitude to their sovereigns through worship, always portraying them as munifìcent benefactors. Literary documenta­ tion of the practice od divinising rulers is much scarcer, being almost solely confìned to the well known case of Demetrius Poliorcetes, revered as a god by the Athenians in at least three circumstances between 307 and 290 B C ; in fact, for the most part, the literary tradition proves hostile to this Athenian form of worship, considered unworrhy of free men. In literature originating in the Greek tradition, the cult of the ruler needs to be distinguished from the notion of ideai monarchy, described in these ancient texts as an 'honorable service' on the part of monarchs, who are celebrated for their disinterest in their own glory and orientation towards common good. There is, nonetheless, proof of a dynastic cult having its largest centre in Ptole­ maic Egypt, especially since the reign of Ptolemy II who, in 280/79, organized a large procession in honour ofhis father, by then formally deifìed; the event was de­ scribed in detail by a contemporary observer, Callixenus of Rhodes, an d preserved via Athenaeus. Into this contradictory cultura! climate fìts the figure of Euhemerus ofMessene, a 'rationalist' and 'atheist', who regarded the ancient divinities as deifìed benefactor-kings. Euhemerus was criticized by Callimachus, a poet of the court of Ptolemy II, perhaps because he revealed the arcana imperii of the time, namely the

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'politica!' ties between benefits (received by the subjects) and divine honours (be­ stowed o n the sovereign) , a practice of which Ptolemy II was a master. Stefano G. Caneva, Ruler Cults in Practice: Sacrifices and LibationsJor Arsinoe Phila­ delphos, Jrom Alexandria and Beyond In this paper I discuss the dossier of cults for Arsinoe II Philadelphos to investi­ gate how the worship of a sovereign could concretely become a constitutive p art of the religious life of the communities composing a kingdom. I argue that in order to let the worship of a sovereign survive the politica! context in which it was first conceived, a certain degree of freedom an d of individuai initiative must have been encouraged among potential worshippers, so that the cults could become part of a durable shared religious and politica! identity connecting the individuai with the collective sphere. Lucia Criscuolo, The Queen, the Goddess and Her Horse In the Ptolemaic royal titulature, the eponymous priests had an important role as an expression of the dynastic ideology and cult. In second century BC, the lists of such priesthoods became increasingly long, with the addition of both new kings an d queens, their cult epithets, an d new priesthoods for special royal cults. After the successio n of Ptolemy VIII o ne of these priesthoods, the sacred ho al of lsis, seems to have acquired a new ideologica! importance. lts first traditional attestati o n ( 1 3 1 BC) can now b e challenged an d its meaning in the dynastic propaganda can b e bet­ ter defined. Panagiotis P. lossif, The Apotheosis ojthe Seleucid King and the Question ojthe High­ priestlpriestess: a Reconsideration ojthe Evidence Royal cult' is generally considered based on the inscriptions, both royal and civic, dealing with the timai received by the kings. Ancient historians being in most cases silent o n the cult of the kings, especially of the Seleucids, modero history has recon­ structed a category of cult based o n the few scarce inscriptions relating the timai of­ fered to the kings (an d their families ) . Most of these inscriptions are manifestations of the effort of civic authorities to deal with the supra-civic power of a king. Much ink has been spilled o n analyzing these timai, generally (an d correctly) described as a form ofbenefaction in the do ut des process. With the exception of the prostagmata of 209 for the nomination of Nikanor an d 1 93 for the grand-priestesses of the cult of Laodike, most of the documents reflect the point of view of the city and her own anxieties in dealing with an unknown power. The same inscriptions do not deal with the question of the status of the Se-

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leucid king: divine ? hero ? human ? Furthermore, they provide no evidence on how kings (an d their courts) considered themselves. An analysis of the evidence is pro­ posed following Henk Versnel's approach of the notion of theos. Concluding, i t is necessary, for our better understanding of the Seleucid cult, to take un der consider­ ation coinage and other media for dissemination of the royal image. An innovative approach of coins is proposed focusing on the way the kings associated themselves with the divine. Edward D�browa, The Arsacids: Gods or Godlike Creatures? The aim of this paper is to propose some new observations concerning the Arsacid ruler-cult. In several studies written over the last few years the author proposed some interpretations of various aspects of this cult. Nevertheless, there are stili some questions which must be discussed. One of them especially important, is if in the Arsacid empire ruler-cult was indeed a replica of religious rites known in the Hellenistic monarchies. Available evidence does not support a view that on soil of Arsacid empire there existed any priest or regular religious practices related to the ruler-cult. Even while different types of evidence permit us to conclude that the Arsacid kings willfully propagated some forms of the ruler-cult, we should assume that its theological content was certainly different from that known from other Hellenistic states. Margherita Facella, Apotheosis and Catasterism in Commagene: the So-ca/led 'Lion­ Horoscope' Discovered in 1 882 during the first survey of the architectural complex of Nem­ rud Dagt, the 'lion-horoscope' is o ne of the most spectacular Commagenian monu­ ments. It is a quite large sandstone stele carrying the relief of a lion speckled with stars and with a moon crescent on his chest. Amongst the reasons that make this find so well-known is that the 'lion-horoscope' is, to date, the earliest Greek sculp­ tural evidence of an astrologica! conjunction. For this reason the reliefhas attracted significant attention within scholars, who have tried to locate in time this celestial event. The reinvestigations by Maurice Crijns and by Stephen Heilen demonstrate how the dating which the "horoscope" would represent and its interpretation re­ main under debate. In this paper the author gives a rapid overview of the dating hy­ pothesis and of the main interpretations proposed to date. The author then focuses on recent (and less recent) epigraphic finds which, in her opinion, permit a connec­ tion of this conjunction with an important event in the king's life, and therefore allow us to exclude that the relief celebrates Antiochus' apotheosis.

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Luis Ballesteros Pastor, Mithridates, God-King? Iranian Kingship in a Greek Context The Persian an d Macedonian roots of the Ponti c kingship were reflected in both the concept of royalty an d in the relationship with the subjects. Thus, while Mithridates VI received from the Greeks divine honours similar to those granted for other Hel­ lenistic monarchs, the Iranian perspective was followed at court: rulers were not deified although they could receive special treatment. Mithridates was hailed in Ro­ man Asia with terms that may be related to Greek epithets: pater-ktistes, conservator­ soter. Eupator was also exalted as a New Dionysus, that could be a sort of interpreta­ fio Graeca of the king's ability to drink plenty of wine - which was a feature associ­ ateci with the Persian concept of kingship. The Pontic ruler was also hailed as New Dionysus in Athens, in an episode reminiscent of Demetrius Poliorcetes' arrivai in the city. The Delian chapel dedicated to Eupator and the Dioscuri highlighted the relationship of these heroes with the sign of Gemini, which was linked by Persian astrology to Cappadocia. Mithridates shared this heroon with Castor and Pollux as a synnaos theos. This king was interested in being especially associateci with two char­ acters in Greek mythology: on the one side Pelops, regarded by certain traditions as king of Paphlagonia, famous as a charioteer, who had a chariot of winged horses given by Poseidon. O n the other side, the Pontic ruler claimed to be linked with Tel­ ephus, mythic king of Mysia, the region formerly ruled by the satraps ofDascylium, ancestors of the Mithridatids. In additio n to this Eupator was most likely associateci with Heracles, a Greek hero who had travelled to the Black Sea o n severa! occasions. The only direct evidence about ruler cult in the Mithridatid realm is an inscription dedicated to Pharnaces I by the phrourarch Metrodorus: i t reflects that the king was not deified, although he probably was granted honours similar to those received by the Persian rulers. However, there would have been a dynastic cult in Pontus, analo­ gous to the one established by Antiochus III in the Seleucid Empire. From at least Pharnaces I we know about the office of archiereus, royal foundations with dynastic names, and the use of royal epithets by some Pontic monarchs. Tommaso Gnoli, Augustus' Apotheosis This paper analyses Augustus' funerary ceremony of 14 AD an d specifically focuses o n the procedure of the Apotheosis and the significance of the great dynastic tomb in Campo Marzio. The analysis of the ceremony's religious meaning reveals a typical case of 'invention of tradition: pretending that it respected the oldest beliefs of the Roman religion rather than new revolutionar y needs. The ideologica! contents of the message connected with the death of the princeps had been accurately selected by Augustus himself in his lifetime as h e had planned the entire ceremony in great detail, imbuing it with high symbolic content. The message transmitted through this was a conscious alternative to Hellenistic ideologies.

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Anna Lina Morelli, Erica Filippini, The Deification oJWomen in the Early Empire: The Numismatic Evidence The deification of the princeps afi:er his death is the result of a series of ideologi­ ca! implications. In the Early Empire the consecratio had a strong politica! meaning and worked as a medium to achieve personal legitimation by means of the creation of a divine filiation and the consequent celebration of i t. Female members of the imperia! family also deserved a consecratio starting from the apotheosis of Drusilla, the sister of Caligula, and of Livia, the grandmother of Claudius. Ali this acquires special relevance in connection with the increasing importance of the women of the imperia! family in the process oflegitimation of the imperia! power. This is testified for by issues of posthumous coins during the first century AD celebrating both per­ sonal and dynastic legitimation by means of the deification of the members of the imperia! family, also women. In this regard, the study of the numismatic evidence regarding diva Domitilla, iden­ tified here as Flavia Domitilla Minor (sister of Domitian and grandmother of his adoptive sons), shows a clear dynastic programme, related to the role played by the imperia! women as guarantors for the succession to the throne. Gabriele Marasco, A Reversed Apotheosis: Ho w to Send an Emperor to Hell The apotheosis and the emperor's cult were essential and generally accepted features during the Roman Empire. However, the decision was not always taken without dif!ìculty: sometimes, indeed, it caused fierce debates and controversies, which have lefi: their mark in the history and literature of Antiquity. The most famous case is the apotheosis of Claudius, which was ordered by Nero an d Agrippina for politica! reasons, but caused considerable dissent and derision, witnessed mainly by Seneca's Apokolokyntosis. The analysis of this work and of similar evidences of the strong disagreements about the apotheosis of Hadrian and of some generally neglected sources concerning Commodus and Aurelian reveal that these disagreements were primarily the result of widespread hostilities in the Senate. The frequent references in Cassius Dio an d in the Historia Augusta also show traces of a very strong debate that opposed, also in the juridical field, imperia! authority over the Senate, jealous of its prerogatives, and aimed to provide its members with impunity even in cases of serious crimes. Orietta Dora Cordovana, For the Living orJor the Dead? Policy and consecratio in Julio-Claudian and Antonine Age This paper focuses on some hitherto neglected aspects of imperia! apotheosis. Scholars agre e that Septimius Severus manipulated this ritual for politica! purposes, in order to consolidate the legitimacy of his imperia! successi o n against o ne of the

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few politica! prerogatives still under senate control. This contribution aims t o dem­ onstrate that this was not a unique case. By contrast, the need to claim legitimate succession was a constant Leitmotiv of the principate and a pivotal practice well rooted in a specific politica! habitus an d a philosophic ideology of maiestas. Against the background of the ambiguous politica! opposition between the senate and the princeps primus inter pares, consecratio was not just a redundant religious ritual linked to the imperial cult. Focusing specifically on the first and second century AD, this paper analyses the fundamental role of the late emperor's successor in the apotheosis-protocol and its crucial legal consequences in the context of this specific procedura! aspect of imperial succession. Kai Ruffing, Living Gods-State in Roman Egypt. Social and Economie Conditions of Imperia! Cult and ofEmperor Worship in the Capito! oJPtolemais Euergetis Due to its richness of documentary papyrus sources Roman Egypt provides a good example for the economie and social conditions of worshipping the Roman emper­ or. Thus the present paper tries to sketch briefly how the Roman emperor was wor­ shipped during lifetimes by different stratums of the population of the N ile province. Afi:er short remarks o n the composition of the provincia! society something is to be said about the worshipping the emperor in Egyptian temples and the role of the Kai­ sareia in the metropoleis of the province. Finally a closer look will be taken o n how the imperial cult and the worship of the emperor was financed in the Capitolium of the nome metropolis Ptolemais Euergetis. It will be argued that there was an eco­ nomie an d social win-win-situation for the eli te sustaining the cult in the Capitolium. Ted Kaizer, Euhemerism and religious !ife in the Roman Near East Scholars generally claim that the presentation of the divine world of the Roman Near East in both the Phoenician History by Philo of Byblos and the Syriac Oration of Meliton the Philosopher, with their tendencies to explain the gods as mortals who had become deified in recognition of their contributions to civilization, had nothing to do with the actual cultic realities on the ground. This paper provoca­ tively questions the legitimacy of downplaying their Euhemeristic interpretations as a literary phenomenon only, and suggests to take into account the possibility that these theories could in fact have played an active role in some of the cultic life within the Levant. Matthias Haake, 'Knockin' on Heaven's Door' The apotheosis of a king or emperor, during his lifetime or afi:er his death, constitut­ ed an essential element in the politica! communication between rulers and subjects

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both in the Hellenistic peri od an d during the Roman lmperial era. Perhaps contrary to expectations, this aspect of political communication was of no importance in o ne specifìc type of text, the peri basileias-literature. This genre, having fìrst occurred during the reign of Alexander the Great, experienced itsjloruit in the early Hellen­ istic period and is attested, albeit as a rather unsuccessful phenomenon of reception in the Roman Imperial era and late antiquity. Socially, it is part of the communica­ tive context of the continually precarious web of relationships between ruler and city. However, i t is not the real-political aspects that characterise the content of the philosophers' texts - which are addressed to sole-rulers, entitled basileus and direct­ ed at the panhellenic public of poleis as their implicit readers -rather, it concerns the construction of the ideai good ruler, opposed to the tyrant omnipresent in an­ cient political thought. lt is in this context that the absence of the apotheosis-theme in the peri-basileias-texts needs to be explained. Attilio Mastrocinque, Heliogabalus, Saturnus and Hercules The ancient tradition unanimously condemned the emperor Heliogabalus, but did not explain what the alleged reason and the meaning ofhis behaviour were. Recent researches has been aimed at understanding more than describing or condemning the political and religious choices of this odd emperor. In this artide a ritual per­ formed by him is explained where he combines a lion, a monkey, a snake, and hu­ man genitals. The iconography of some magical gems shows the same elements and is referred to a castrated Egyptian Kronos, whose features were known also in Syria, at Hierapolis-Bambyke. This Kronos was a symbol of Eternity and possibly of the eternity of a deifìed emperor. A second peculiarity of Heliogabalus was his depic­ tion on coins as a cross-dressed Hercules, wearing a priestly Syrian dress, similar to female attire. Romans knew only of a cross-dressed god, namely Hercules at the court of Omphale. This was a means by which Heliogabalus presente d himself as a new Hercules and made the Romans understand his attitude. Antonio Panaino, The Sasanian Emperor Between Human and Divine Sasanian royal ideology should be framed in its particular context. The king was a persona sacra, w ho, by means of his initiation to royalty (in the rituals of enthrone­ ment and coronation) changed his status and at the same time entered an altogether new ontological dimension. While this royal elevation gave him a Cihr (descent/ brighmes/image) deriving from the gods, it did not permit him to name himself as yazad. Furthermore, the .fdhdn .fdh remained a dastgird of the gods, and this explains why he continue d to offer sacrifìces for the benefìt of his own soul. All these facts, analyzed more in detail, serve to demonstrate that the Persian king was a human being, no t a god, but se t apart, as a sacred perso n. As such, he was responsible for an

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eschatological role i n the struggle against (historical and spiritual) evil, and i n dose relation with Ohrmazd and the other Yazadan. This special position needs to be carefully considered, which is why the concept of divinization which is applied to i t seems to be completely unfitting, or, at least, misleading. Ramo n Teja, Non tamen deus dicitur cuius effigies salutatur: the Discussion Over the Imperia! Cult in the Christian Empire In the so called Christian Empire that began with Constantine, a new religion was shaped from Greek and Roman paganism, with the addition of new themes to ben­ efit the Roman cult of the emperor which had been promoted pardy through the iconic fashioning of an image to establish the emperor type. Christian liturgy trans­ mitted what had been the late-antiquity imperial court ceremonial, based on the sacral nature of the imperial figure. Contemporary Christian thinkers attempt to justify the persistence of those rituals which establish different meanings to terms such as adoratio an d salutatio, numen supernum an d numen imperatoris, or, as in the case of Gregory Nazianzenus, between the proskynesis to images of divinities an d to image of emperor, censuring the practice that h e called mixed adoratio; distinctions which seem, above all, rhetorical devices. There is the paradox that in the Christian empire the so called adoratio purpurae that had been before Constatine a cause of so much spilling ofblood of martyrs, was to become a permanent ceremony in the im­ perial palace. This ambiguity concerning the respect demonstrated by Christianity for imperial images, caused a variety of interpretations that reappear with particular harshness in the iconoclastie controversy. Giorgio Bonamente, Theodosius l, an Emperor Without Apotheosis The Apotheosis is a complex institution with a strong an d spectacular ritual. Its ratio is evident in the connection between power and the imperial virtues, and in the projection of the emperor - after death - to a time and to an absolute dimension. The primary role of the Senate in managing the probatio, which preceded an d gave foundation to the relatio in numerum divorum, and the consecratio of the deified emperor conferred prestige and credibility to imperial apotheosis. Therefore, by its nature, the apotheosis is commensurable with both the Old and New Testament's eschatological sanction of the works of a man, which explains the passage from the apotheosis to the 'sanctification' of the Christian emperors. At the beginning, the institute of the apotheosis was commissioned by Augustus for his adoptive father, but throughout the imperial age became an important compo­ nent of the figure and the role of the figurehead and role of emperor, because the Senate maintained an important role in deciding the probatio, and the successor to the dead emperor - who usually promoted the probatio and sanctioned the conse-

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cratio himself- obtained a strong legitimacy from the ti de of divifilius. A profound transformation, both in the ceremony and in the conception of the institution origintated from Constantine the Great. The first Christian emperor received both the ceremonial of relatio in numerum divorum and the tide of divus by the senate of Rome, an d obtained the depositio ad Apostolos in the Basilica of the Aposdes in Constantinople. lt was evident that the Christian conception of the afterlife fate of the emperor carne into direct competition with the traditional Roman concep­ tion. The balance experimented with by Constantine soon proved soon unstable and hence his sarcophagus was removed from the Basilica of the Aposdes during the reign of Constantius IL Nevertheless, only Ambrose was able to impose a Christian interpretatio o n the pro­ jection of the imperia! figure beyond the limits of earthly life, in occasion of the death ofTheodosius in 395. His senatorial culture exposed his sensitivity to the po­ litica! significance ofprobatio and he strived to give new foundations, a new process and new referents for reviewing the politica! work of an emperor, thus granting to it the chrism of absoluteness. The recent victory of Theodosius over Eugenius and the successio n to the throne of his two children presented Ambrose with the ideai conditions under which to propose a new model in a solemn manner. During the funeral, the bishop of Milan showed how a Christian prince could be 'accepted in light of the Father'. lt can be said that De obitu Theodosii marked the time when the traditional apotheosis disappeared and the era of the sanctification of the Christian rulers officially began. Antonio Carile, Imperia! Funerals and Burials in Constantinople Between Reality andLegend Though deprived of their originai gold ornaments, Byzantine sarcophaguses made of rare marbles (porphyry, green marble ofThessaly, red marble, proconnesian mar­ ble, Assuan black granite, reddish marble, onyx or alabaster, Hereke marble, Sagari­ on marble), stand as a testament to imperia! grandeur. Damages inflicted by thieves and fragments reused in other buildings testify the bias to obliterate the function and memory of the imperia! sarcophagus. The burial ceremony described by Con­ stantine VII in the tenth century is demonstrated adherent to reality by an historical description recendy edited by Featherstone. Monica Centanni, 'Alexander rex' Between Byzantium and Venice: the Double Ideo­ logica! Interpretation ojthe Alexander's Flight (XII-XIII Centuries) The episode of Alexander the Great's flight is a common subject in late-antique an d medieval Byzantine art. The scene features both as the subject of monumental de­ pictions and as an ornament in small precious objects related to courdy ceremonial,

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including golden rings, ivory caskets, an d glazed dishes. Between the l Oth an d the 1 3th century the legend startd to be portrayed also in the Western world. In me­ dieval churches the scene featured either in isolation, as a warning against human pride, or next to Biblical episodes, as positive symbol. In the twelfi:h-century Nor­ man cultural m ili eu, the iconography of Alexander's flight assumed negative con­ notations, with a precise ideologica! twist of the meaning attributed to the image in Byzantine domains. By contrast, in early thirteenth-century Venice, the image of Alexander Rex was once again converted into a positive symbol, in accordance with the Byzantine tradition. lndeed, Alexander's flight can be considered both an example of regal apotheosis and an exemplum superbiae. Such positive and negative meanings can be both traced back to textual and visual sources: the negative mean­ ing to an apocryphal chapter of the Scriptures, an d the positive meaning in the sense of a prefìguration of the divine charisma of the imperi al power. Alessandro Scafi, The Survival ojthe Classica! Apotheosis in the Medieval Geographi­ cal Tradition: The Pillars as Cartographic Pointer to Christian Divinisation The apotheosis of Hercules, recorded in classica! sources, had a Christian afi:erlife in medieval cartography. The idea of an east-west progression of human history lies at the heart of the medieval mappae mundi, which were east-oriented pictorial representations combining time an d space. The Pillars of Hercules, depicted at the botto m of some of these maps to indicate the Straits of Gibraltar, marked both a ge­ ographical boundary - the extreme west - and a historical threshold - the impend­ ing consummation of history. A map sign associated with the classica! hero who became a god was adop te d by Christian mapmakers to point to the ultimate apothe­ osis of humankind. According to Jean Seznec, the ancient gods survived through the Christian Middle Ages as historical fìgures transformed into gods, as symbols of cosmic forces, as allegories. This paper suggests the importance of geographical traditi o n to ensure this very survival.

Autori

Luis Ballesteros Pastor, Universidad de Sevilla Giorgio Bonamente, Universita di Perugia Stefano Caneva, Université de Liege Antonio Carile, Universita di Bologna Monica Centanni, Universita IUAV di Venezia Orietta Cordovana, University ofEdinburgh Lucia Criscuolo, Universita di Bologna Edward D a.browa, ]agiellonian University Margherita Facella, Universita di Pisa Erica Filippini, Universita di Bologna Tommaso Gnoli, Universita di Bologna Matthias Haake, Universitdt Munster Panagiotis P. Iossif, Be/gian School at Athens Ted Kaizer, Durham University Franca Landucci Gattinoni, Universita Cattolica di Milano Gabriele Marasco t, Universita della Tuscia Attilio Mastrocinque, Universita di Verona Anna Lina Morelli, Universita di Bologna Federico maria Muccioli, Universita di Bologna Antonio Panaino, Universita di Bologna Luisa Prandi, Universita di Verona Kai Ruffing, Philipps-Universitdt Marburg Alessandro Scafi, Wàrburg Institute, London Ram6n Teja Casuso, Universidad de Cantabria JosefWiesehofer, Christian-Albrechts Universitdt zu Kiel