Diritto privato dello sport [2 ed.] 9788892141728


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Indice
Prefazione
Introduzione - rapporti tra ordinamento sportivo, ordinamento statale ed europeo
Capitolo I - L’organizzazione e i soggetti dell’ordinamento sportivo
Capitolo II - L’adesione all’ordinamento sportivo: tesseramento e affiliazione
Capitolo III - Il contratto di lavoro nel settore sportivo
Capitolo IV - Il procuratore (o agente) sportivo
Capitolo V - Contratti commerciali e sfruttamento dell’immagine
Capitolo VI - Gli altri contratti e fenomeni sportivi
Capitolo VII - La responsabilità in ambito sportivo: profili generali
Capitolo VIII - La responsabilità civile dell’atleta
Capitolo IX - La responsabilità dell’organizzatore di eventi
Capitolo X - La responsabilità degli enti
Capitolo XI - Giustizia sportiva e ADR
Capitolo XII - Il sistema di giustizia sportiva
Capitolo XIII - L’arbitrato sportivo
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Diritto privato dello sport [2 ed.]
 9788892141728

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Diritto privato dello sport

Nuovi percorsi del Diritto Privato

Diritto privato dello sport a cura di

Ettore Battelli

SECONDA EDIZIONE

© Copyright 2021 – G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100 http://www.giappichelli.it

ISBN/EAN 978-88-921-4172-8

G. Giappichelli Editore

Questo libro è stato stampato su carta certificata, riciclabile al 100%

Stampa: Stampatre s.r.l. - Torino

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.

INDICE pag.

Prefazione di Attilio Zimatore

XV

INTRODUZIONE I RAPPORTI TRA ORDINAMENTO SPORTIVO, ORDINAMENTO STATALE ED EUROPEO Ettore Battelli

1. Il fenomeno sportivo quale ordinamento autonomo 2. L’ordinamento sportivo nell’ambito della pluralità degli ordinamenti giuridici 3. Ordinamento sportivo e ordinamento statale 4. Il fenomeno sportivo e le fonti dell’ordinamento nazionale 5. Il fenomeno sportivo e l’Unione Europea: il ruolo della Corte di Giustizia dell’UE

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PARTE PRIMA L’ATTIVITÀ SPORTIVA: SOGGETTI, ORGANIZZAZIONE, CONTRATTI CAPITOLO PRIMO L’ORGANIZZAZIONE E I SOGGETTI DELL’ORDINAMENTO SPORTIVO Ettore Battelli

1. Il Movimento Olimpico e le Olimpiadi moderne

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VIII

Indice

pag.

2. 3. 4. 5. 6.

Il CIO e la Carta Olimpica Il CONI La riforma del CONI e dello sport italiano del 2021 La riforma degli Enti sportivi professionistici e dilettantistici Le Federazioni sportive 6.1. La natura giuridica delle Federazioni 6.2. Discipline sportive associate ed Enti di promozione sportiva 6.3. Società e associazioni sportive: i sodalizi sportivi 7. Gli atleti 7.1. Gli atleti disabili e il loro ruolo nell’ordinamento sportivo 8. Gli ausiliari sportivi: tecnici, dirigenti e arbitri 9. La tutela degli animali impiegati dall’uomo in attività sportive

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CAPITOLO SECONDO L’ADESIONE ALL’ORDINAMENTO SPORTIVO: TESSERAMENTO E AFFILIAZIONE

Ettore Battelli

1. Il tesseramento: nozione e natura giuridica 1.1. Efficacia del vincolo di tesseramento 1.2. Cessazione del tesseramento e ultrattività del rapporto 1.3. Il tesseramento dei minori di età 2. L’affiliazione: nozione e natura giuridica 2.1. Efficacia del vincolo di affiliazione 2.2. Diritti e obblighi derivanti dall’affiliazione 2.3. La revoca dell’affiliazione. La radiazione 3. Il tesseramento del minore straniero. Lo ius soli sportivo

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CAPITOLO TERZO IL CONTRATTO DI LAVORO NEL SETTORE SPORTIVO Gaetanino Rajani

1. Il lavoro sportivo: genesi di un unicum contrattuale 2. L’introduzione della l. 23 marzo 1981, n. 91. La libertà di esercizio dell’attività sportiva 2.1. Il progetto di riforma dello sport italiano

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Indice

IX pag.

3. La definizione di professionismo sportivo. Il c.d. professionismo di fatto 3.1. Il perimetro applicativo della l. n. 91/1981 3.2. Il datore di lavoro: le società sportive professionistiche. L’assunzione diretta 4. La qualificazione giuridica del rapporto di lavoro sportivo. I requisiti del contratto: l’accordo delle parti e la causa 4.1. (Segue) L’oggetto del contratto. Il vincolo di subordinazione e le obbligazioni dello sportivo 4.2. (Segue) La forma 5. I diritti dello sportivo professionista. La retribuzione. Il mobbing nel calcio (cenni) 6. La tutela sanitaria, assicurativa e previdenziale nello sport professionistico 7. La specialità del contratto di lavoro sportivo. Il recesso anticipato e la c.d. “clausola rescissoria” 8. Le vicende modificative del contratto. La clausola di recompra 9. Il trattamento contrattuale dello sportivo non professionista (cenni) 9.1. Il professionismo di fatto e l’evoluzione dello sport femminile

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CAPITOLO QUARTO IL PROCURATORE (O AGENTE) SPORTIVO Gaetanino Rajani

1. La figura dell’agente. Dagli albori del fenomeno alla deregulation 2. La riforma del 2017 e il nuovo Regolamento CONI degli Agenti Sportivi 2.1. La riforma del 2019 3. Il contratto di incarico: natura, struttura ed effetti 4. Una professione delicata: il divieto di conflitto di interessi. La compatibilità con l’attività di avvocato

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CAPITOLO QUINTO CONTRATTI COMMERCIALI E SFRUTTAMENTO DELL’IMMAGINE Ettore Battelli

1. I contratti commerciali di comunicazione e sfruttamento dell’immagine: sponsorizzazione e pubblicità. Inquadramento generale

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X

Indice

pag.

1.1. 1.2. 1.3. 1.4. 1.5.

I contratti di pubblicità Sponsorizzazione e diritto all’immagine Sponsorizzazione e contratti di pubblicità a confronto Sponsorizzazione e figure affini I contratti di sponsorizzazione sportiva: i diversi modelli contrattuali 1.6. La disciplina e gli elementi tipici dei contratti di sponsorizzazione sportiva 1.7. Le clausole più ricorrenti nella prassi: clausola di esclusiva, diritto di prelazione e la previa approvazione delle campagne marketing dello sponsor 1.8. (Segue) Il problema delle morality clauses 1.9. La risoluzione per inadempimento. Clausola risolutiva espressa e clausola penale 1.10. La responsabilità dello sponsor 2. Il merchandising 2.1. Inquadramento e natura giuridica 2.2. La disciplina e gli elementi tipici dei contratti di merchandising 2.3. Il merchandising in ambito sportivo 2.4. Il merchandising e figure affini: il licensing

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CAPITOLO SESTO GLI ALTRI CONTRATTI E FENOMENI SPORTIVI Pierluigi Dodaro

1. Ambush Marketing 1.1. Gli strumenti generali di private enforcement 1.2. Le misure di public enforcement e gli interventi legislativi ad hoc 1.3. Cos’è in concreto l’ambush marketing? 1.4. L’ambush marketing nella giurisprudenza italiana 2. Il ticketing 2.1. Repressione della violenza negli stadi. Storia ed evoluzione della tessera del tifoso 3. I diritti audiovisivi sugli eventi sportivi 3.1. Inquadramento del diritto alla diffusione audiovisiva 3.2. Il mercato dei diritti audiovisivi 3.3. La vendita dei diritti audiovisivi: modelli di negoziazione ed evoluzione normativa

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Indice

XI pag.

3.4. La l. 19 luglio 2007, n. 106 e il d.lgs. 9 gennaio 2008, n. 9 3.5. Nuovi scenari e possibili sviluppi del mercato dei diritti audiovisivi

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PARTE SECONDA LA RESPONSABILITÀ CIVILE IN AMBITO SPORTIVO CAPITOLO SETTIMO LA RESPONSABILITÀ IN AMBITO SPORTIVO: PROFILI GENERALI

Ettore Battelli e Vincenzo Rossi

1. 2. 3. 4.

Premessa: responsabilità civile e responsabilità sportiva L’illecito sportivo L’illecito civile in ambito sportivo La scriminante sportiva: tra regole tecniche e accettazione del rischio 4.1. La differenziazione del rischio nelle varie categorie di sport e fra le diverse tipologie di danneggiati 5. La responsabilità degli altri soggetti coinvolti nell’attività sportiva

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CAPITOLO OTTAVO LA RESPONSABILITÀ CIVILE DELL’ATLETA, DEGLI INSEGNANTI E DEGLI ISTRUTTORI

Calogero Alberto Valenza

1. La responsabilità civile dell’atleta 1.1. La responsabilità dell’atleta per i danni arrecati ai terzi 1.2. Orientamenti giurisprudenziali nelle principali attività sportive. Gli sport “a contatto necessario” 1.2.1. (Segue) Gli sport “a contatto eventuale” 1.2.2. (Segue) Gli sport “a contatto proibito” 1.2.3. (Segue) Le attività sportive pericolose 2. La responsabilità degli insegnanti e degli istruttori sportivi. Il danno ad altri allievi e a terzi

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XII

Indice

pag.

2.1. 2.2. 2.3.

Il danno provocato dall’allievo maggiorenne Danni cagionati ad altri allievi e a terzi. Casistica Il caso di danno auto-procurato

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CAPITOLO NONO LA RESPONSABILITÀ DELL’ORGANIZZATORE DI EVENTI E DEL GESTORE DEGLI IMPIANTI SPORTIVI

Gennaro Di Martino

1. La responsabilità civile dell’organizzatore di eventi 2. Titoli di responsabilità 2.1. Responsabilità verso gli spettatori 2.2. Responsabilità dell’organizzatore nei confronti degli atleti 3. L’organizzazione di eventi come attività pericolosa (art. 2050 c.c.) 3.1. La responsabilità delle società calcistiche 4. La responsabilità del gestore di impianti 4.1. Giurisprudenza in materia di responsabilità del gestore di impianti

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CAPITOLO DECIMO LA RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI E DEI SOGGETTI COINVOLTI A LATERE NELL’ATTIVITÀ SPORTIVA Gennaro Di Martino

1. La responsabilità delle Istituzioni e delle Federazioni 2. La responsabilità dei sodalizi sportivi 2.1. La responsabilità dei sodalizi in caso di condotte negligenti in campo medico-sportivo 3. Le responsabilità dirette dei medici sportivi 4. Le responsabilità dei direttori di gara: giudici, arbitri e commissari. Il ruolo del referto arbitrale

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Indice

XIII pag.

PARTE TERZA GIUSTIZIA E ADR NELLO SPORT CAPITOLO UNDICESIMO GIUSTIZIA SPORTIVA E ADR Alberto Cinque

1. La giustizia sportiva nel quadro dei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale 2. Il riparto di giurisdizione tra giudice sportivo e giudice dello Stato 3. Il vincolo di giustizia sportiva 3.1. (Segue) La c.d. “pregiudiziale sportiva” 4. Le ADR in ambito sportivo

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CAPITOLO DODICESIMO IL SISTEMA DI GIUSTIZIA SPORTIVA Alberto Cinque

1. L’organizzazione della giustizia sportiva 2. Il Codice di Giustizia Sportiva e il processo sportivo 3. La giustizia endofederale 3.1. Giudici sportivi nazionali e territoriali 3.2. La Corte sportiva di appello 3.3. Il Tribunale federale 3.4. La Corte di appello federale 4. La Procura federale 5. La Procura generale dello Sport 6. Il Collegio di Garanzia dello Sport 6.1. Il sindacato di legittimità

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XIV

Indice

pag.

CAPITOLO TREDICESIMO L’ARBITRATO SPORTIVO Alberto Cinque

1. 2. 3. 4.

L’arbitrato sportivo: inquadramento generale La clausola compromissoria L’ambito di applicazione dell’arbitrato sportivo L’arbitrato nelle controversie di lavoro sportivo 4.1. Profili generali 4.2. L’arbitrato di lavoro sportivo nel calcio professionistico 5. L’arbitrato sportivo federale 5.1. La Camera arbitrale per le vertenze economiche nel nuovo Codice di Giustizia sportiva della FIGC 5.2. La Commissione Accordi Economici presso la Lega Nazionale Dilettanti 5.3. L’arbitrato federale presso la Federazione Italiana Nuoto 6. Il Collegio di Garanzia dello Sport con funzioni di organo arbitrale 7. Le altre forme di ADR nello sport: conciliazione e mediazione

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PREFAZIONE di Attilio Zimatore

1. È curioso notare come milioni di italiani, delle più diverse età e provenienze, di differente formazione culturale ed estrazione sociale, lontani dal mondo del diritto e poco interessati allo studio di codici e leggi, siano invece perfettamente a conoscenza delle regole del diritto sportivo e siano capaci di discuterne approfonditamente, denotando talvolta insospettabili capacità esegetiche e critiche. Accade così negli ambienti più diversi, nelle ovattate sale di un circolo cittadino come ai tavoli di un bar di provincia, nelle trasmissioni televisive come nelle piazze, di ascoltare animate e dotte discussioni sulle regole di competizioni sportive e sulla applicazione che ne è stata fatta, sulla interpretazione di Statuti e Regolamenti sportivi, su pretese violazioni di norme sportive, su contestate sanzioni e penalizzazioni, su squalifiche, ripescaggi, retrocessioni, con sottili distinzioni interpretative e acute analisi di processi sportivi. Questa vastissima popolarità del diritto sportivo è solo un riflesso della diffusione e della straordinaria rilevanza sociale ed economica dei rapporti che esso regola. Rapporti che non possono stare senza un ordinamento normativo che li disciplini, non soltanto sul piano tecnico, ma anche su un piano organizzativo e giuridico. Oltre a registrare un interesse tanto diffuso e trasversale, ormai da vari decenni il diritto sportivo ha acquisito piena dignità scientifica; è entrato nelle aule universitarie e forma oggetto di studi e ricerche da parte di schiere di giuristi che ad esso dedicano articoli e saggi, opere monografiche e manuali.

XVI

Attilio Zimatore

2. Il diritto sportivo, che già in precedenza aveva suscitato l’interesse di un giurista e filosofo del diritto come Widar Cesarini Sforza 1, a partire dal 1949, aveva trovato il suo primo luogo di approfondimento scientifico nella Rivista di diritto sportivo 2, che si proponeva appunto di elaborare una impostazione teorica della materia secondo un criterio sistematico e nel cui Comitato scientifico sedevano, tra gli altri, Rosario Nicolò e Giuliano Vassalli. La Rivista, fin dal suo esordio, ospitò contributi di prestigiosi giuristi, privatisti e pubblicisti, da Domenico Rubino a Massimo Severo Giannini 3, testimoniando così la ricchezza della materia, l’attenzione della quale essa già godeva e, soprattutto, la varietà di prospettive di studio del diritto sportivo. La Rivista, oltre a Sezioni dedicate a saggi di dottrina, alla giurisprudenza, con note di commento, alla legislazione, conteneva anche una Sezione dedicata alla Giurisprudenza federale, nella quale venivano riportate le decisioni rese dagli organi della giustizia sportiva. In tal modo, con scelta innovativa, la Rivista accendeva un faro sulla giustizia domestica e ne sottolineava la rilevanza all’interno del sistema sportivo, fornendo un importante punto di riferimento sulle interpretazioni più accreditate. Circa venti anni dopo alla giustizia sportiva avrebbe dedicato la sua attenzione con un’opera monografica, per primo, l’illustre processualista Francesco Paolo Luiso 4. L’ambito scientifico della Rivista non si limitava a temi di interesse strettamente sportivo, ma investiva temi di carattere generale ed interdisciplinare. Basti ricordare che, all’inizio degli anni ’50, essa partecipò attivamente al largo e contrastato dibattito dottrinale che prese avvio a seguito del disastro aereo di Superga e delle sentenze che avevano negato il diritto al risarcimento del danno in favore dell’A.C. Torino, esprimendo una posi1 W. CESARINI SFORZA, La teoria degli ordinamenti giuridici e il diritto sportivo, in Foro it., a. LVIII, n. 1, 1933, cc. 1381 ss. 2 Sulla nascita e sulla storia della Rivista di diritto sportivo si rinvia all’interessante e denso saggio di A. CAPPUCCIO, La Rivista di diritto sportivo nella temperie culturale dell’Italia repubblicana, in Riv. dir. sportivo, 2017, p. 203 ss. 3 M.S. GIANNINI, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. dir. sportivo, a. I, nn. 1-2, 1949, p. 10 ss. Questo importante saggio di Massimo Severo Giannini (il quale era pure componente del Comitato scientifico della Rivista) – che diede avvio ad un ampio dibattito dottrinale – ha rappresentato e continua a rappresentare ancora oggi un fondamentale punto di riferimento nello studio del diritto sportivo e soprattutto del tema della giuridicità dell’ordinamento sportivo. Tema sul quale il Giannini tornò anche molti anni dopo (M.S. GIANNINI, Ancora sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1996, pp. 671-677. 4 F.P. LUISO, La giustizia sportiva, Milano, 1975.

Premessa

XVII

zione decisamente favorevole all’accoglimento della domanda proposta dalla società calcistica 5. Pochi anni dopo la fondazione della Rivista – alla metà degli anni ’50 – al diritto sportivo dedicava la sua autorevole attenzione anche Angelo Falzea, sottolineando l’urgenza di affrontare il problema del rapporto tra le norme di diritto sportivo e quelle dell’ordinamento giuridico statale 6. In quegli stessi anni il diritto sportivo si affacciava timidamente nelle Università attraverso corsi di esercitazioni 7 tenuti da docenti di discipline diverse (diritto privato, diritto commerciale, diritto amministrativo), dai quali già emergeva l’esigenza di un approccio interdisciplinare allo studio della materia. Le prime cattedre universitarie espressamente dedicate al diritto sportivo vengono istituite a metà degli anni ’80 dapprima presso gli Atenei di Napoli e di Palermo e poi, progressivamente, presso numerose altre Università italiane. Tali cattedre afferiscono ai settori scientifico disciplinari del Diritto privato, del Diritto pubblico, del Diritto amministrativo, ma in verità la varietà interdisciplinare della materia richiede competenze giuridiche assai più articolate e specialistiche. Di diritto sportivo si occupano studiosi di diritto privato e di diritto pubblico, di diritto del lavoro, di diritto commerciale, di diritto penale, di diritto processuale, di diritto internazionale, europeo e comparato. E accanto ai corsi universitari fioriscono sempre più numerosi in questi ultimi anni corsi specialistici, corsi di perfezionamento e master, organizzati da Università e Scuole di formazione, rivolti non soltanto a giuristi ma anche a laureati di altre discipline economiche e sociali. Nel frattempo, la Rivista di Diritto sportivo ha trovato un nuovo slancio

5

A questo tema – che poneva il problema, di grande respiro teorico, della tutela aquiliana del credito – sul quale, nell’immediatezza, avevano preso posizione i più prestigiosi studiosi del tempo, da Nicolò a Barbero, da Bigiavi a Redenti, la Rivista dedicò largo spazio, pubblicando per esteso le varie sentenze con ampie note di commento dello stesso suo direttore, Giulio Onesti, di Roseda Tumiati, nonché del privatista Carlo Alberto Funaioli. 6 A. FALZEA, Lo sport e il diritto, in Annuario della Università degli Studi di Messina, Messina, 1955, pp. 19-27. 7 In particolare, nel 1957, presso l’Università di Firenze il Preside della Facoltà di Giurisprudenza, Prof. Salvatore Romano, nel fornire un resoconto dell’attività didattica, segnalava la presenza, per il quarto anno consecutivo, di un Corso di esercitazioni di Diritto Sportivo, ed evidenziava il vasto interesse suscitato dalle lezioni tanto da parte di studenti, quanto da parte di laureandi e laureati iscritti a Seminari Forensi.

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Attilio Zimatore

con una rinnovata Direzione scientifica 8 che vuole dare spazio a tutte le diverse competenze specialistiche, accademiche e professionali, che partecipano allo studio del diritto sportivo, evidenziandone la complessità e la dimensione transnazionale. E, per garantire il più rapido aggiornamento e la migliore diffusione, accanto al tradizionale formato cartaceo, la Rivista si avvale ora di una versione on line. In questo ricco e variegato quadro di interessi e di studi non potevano mancare i manuali 9, la cui comparsa segna un punto di maturazione della materia e l’esigenza di una sua trattazione organica ed unitaria. 3. L’opera di Ettore Battelli, insieme ad un piccolo e qualificato gruppo di studiosi di diritto privato e diritto sportivo, “Diritto privato dello sport”, per la generalità e la organicità della trattazione, può appunto collocarsi nella categoria dei moderni manuali di diritto sportivo, nell’ambito della quale si caratterizza per la prospettiva privatistica che viene espressamente privilegiata e dichiarata già nel titolo del volume. Seguendo la competenza dei suoi Autori, l’opera fornisce, dunque, una illustrazione esaustiva e sistematica degli istituti di diritto sportivo rilevanti sul piano dei rapporti privatistici, così come essi sono oggi conformati dalle norme statali, dalle norme sportive, dall’autonomia privata, dall’interpretazione offerta dagli organi di giustizia. L’opera si sviluppa in tre parti: la prima dedicata ai contratti, la seconda alla responsabilità, la terza alla giustizia. La parte relativa ai contratti si apre si caratterizza per una ampia trattazione del contratto di lavoro sportivo che muove dalla disciplina della l. 23 marzo 1981, n. 91 e dalla definizione di professionismo sportivo per soffermarsi poi sui requisiti del contratto – seguendo il tradizionale impianto codicistico: accordo, causa, oggetto, forma – ed evidenziarne la specialità. Trattando del rapporto tra sportivi e società sportive, un capitolo è stato opportunamente dedicato alla figura dell’agente sportivo, che ha assunto nel tempo un ruolo vieppiù rilevante, trovando riconoscimento positivo 8 Affidata ad ALBERTO M. GAMBINO e GIULIO NAPOLITANO, affiancati da un prestigioso Comitato Scientifico. 9 Tra i quali piace ricordare quello di MARIO SANINO e FILIPPO VERDE (Diritto sportivo, Wolters Kluwer-Cedam) – particolarmente attento ai profili pubblicistici ed al tema della giustizia sportiva – che nel 2015 è giunto alla sua quarta edizione; e quello di GIUSEPPE LIOTTA e LAURA SANTORO (Lezioni di diritto sportivo, Milano, Giuffrè, 2018), anche esso alla quarta edizione.

Premessa

XIX

nel 2017 attraverso l’istituzione presso il CONI di un Registro nazionale degli agenti sportivi, per tutte le federazioni operanti nel nostro Paese 10. Una approfondita attenzione è dedicata ai contratti commerciali di comunicazione e sfruttamento dell’immagine, nelle numerose, varie ed eterogenee formule offerte dalla prassi ed elaborate da una instancabile fantasia commerciale. La forza attrattiva e la capacità suggestiva di uno sport, di un atleta, di una squadra, di una competizione sportiva li trasformano in straordinari strumenti di pubblicità e di comunicazione commerciale. Nel tempo la fervida capacità creativa dei pubblicitari ha elaborato tante diverse modalità di abbinamento tra eventi e personaggi del mondo sportivo, da un lato, e prodotti commerciali, dall’altro; e su queste formule si sono costruiti modelli contrattuali diversi. In particolare, da oltre trenta anni la dottrina civilistica italiana si occupa del contratto di sponsorizzazione, trovando un campo di indagine ricco e multiforme, la cui varietà deriva dalla continua ed incalzante evoluzione degli strumenti e delle tecniche di comunicazione di massa. Il Manuale – se così possiamo definire l’opera che qui si presenta – fornisce una aggiornata disamina delle diverse tipologie di sponsorizzazione diffuse nella prassi contemporanea, dai modelli più tradizionali di abbinamento sino alle formule più innovative e sofisticate di web sites sponsorship e videogame sponsorship. Alla illustrazione delle diverse varianti di sponsorizzazione segue un’attenta analisi volta all’inquadramento e alla classificazione delle diverse formule contrattuali secondo i criteri qualificatori propri del diritto privato. L’indagine è arricchita dall’esame delle clausole più ricorrenti nella prassi contemporanea, tra le quali spiccano quelle volte a conferire rilevanza alla condotta dello sponsorizzato. In questa categoria rientrano, tra le altre, le cc.dd. morality clauses attraverso le quali l’intuitus personae che permea il contratto di sponsorizzazione va oltre la qualificazione professionale ed atletica dello sponsorizzato per investire anche la sua vita privata. Esse mirano a scongiurare il grave rischio per lo sponsor che l’abbinamento con l’immagine dello sportivo possa tradursi in un pregiudizio commerciale anziché in un van10 Cfr. l’art. 1, comma 373, della l. 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio per l’anno 2018) ed il successivo art. 1 del DPCM 23 marzo 2018 che appunto ha istituito presso il CONI il Registro Nazionale degli Agenti Sportivi. A seguito di dette disposizioni il CONI, con deliberazione n. 1596 del 10 luglio 2018 del Consiglio Nazionale, ha emanato il “Regolamento CONI degli Agenti Sportivi”.

XX

Attilio Zimatore

taggio ove lo sponsorizzato tenga comportamenti eticamente riprovevoli. Tali clausole sono state concepite per tutelare lo sponsor nel quadro di un sistema che vuole esaltare il principio di moralità nello sport. C’è da chiedersi, però, quanto queste clausole possono spingersi avanti nel sindacare i comportamenti dell’atleta; e mentre sembrano legittime le clausole che diano rilevanza a condotte penalmente rilevanti o gravemente antisportive – configurando clausole risolutive espresse o clausole di recesso – qualche dubbio potrebbe nutrirsi per clausole che riguardino la violazione di regole etiche e morali, come appunto accade nel caso delle morality clauses. Peraltro, il c.d. “effetto di ritorno”, tipico della sponsorizzazione, può giocare anche in senso inverso con effetti reciprocamente vantaggiosi o svantaggiosi tanto per lo sponsor che per lo sponsorizzato. Ci si potrebbe domandare allora – simmetricamente a quanto accade nel caso di una condotta riprovevole tenuta dallo sponsorizzato – se l’atleta possa recedere dal contratto nel caso in cui lo sponsor si sia reso colpevole di condotte censurabili sul piano della correttezza commerciale o sul piano della sicurezza dei prodotti immessi sul mercato. Esaminate le tecniche di sponsorizzazione, il Manuale non tralascia di esaminare le ipotesi deteriori di ambush marketing, ove si realizzano forme di agganciamento arbitrarie e ingannevoli di un marchio o un prodotto ad un evento sportivo. E qui, denunciata l’insidiosità del fenomeno, l’attenzione si rivolge alle tecniche di private enforcement e di public enforcement segnalando la difficoltà di trovare efficaci tecniche di tutela rispetto a condotte subdolamente confusorie. L’analisi dei contratti rilevanti in ambito sportivo si conclude con l’esame del mercato globalizzato dei diritti audiovisivi, del quale si illustra la evoluzione sino al riassetto complessivo della disciplina normativa in materia di titolarità e commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi attuato con la l. delega 19 luglio 2007, n. 106 e il d.lgs. 9 gennaio 2008, n. 9. 4. Le pagine dedicate alla responsabilità ripropongono il problema del rapporto tra ordinamento normativo statale e ordinamento sportivo, il quale – come lo stesso legislatore riconosce (art. 1, comma 1, d.l. 17 ottobre 2003, n. 220, conv. in l. 17 ottobre 2003, n. 280) – rinviene la sua originarietà e le ragioni della sua autonomia nell’essere una “articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale”. La predicata autonomia lascia tuttavia “salvi i casi di rile-

Premessa

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vanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo”. Si distinguono perciò fatti che assumono rilevanza di illecito soltanto nell’ambito dell’ordinamento sportivo, per i quali si prospettano effetti e sanzioni circoscritte a quello stesso ambito e per i quali vale il c.d. vincolo di giustizia sportiva; e fatti che – oltre a configurare illeciti sportivi – presentano profili di rilevanza anche per l’ordinamento giuridico dello Stato. Si prospetta così, in questa seconda ipotesi, il delicato problema della interferenza tra poteri del giudice sportivo e poteri del giudice statale, della distinzione tra tutela invocabile dinanzi al primo e tutela esercitabile dinanzi al secondo. Problema che ha alimentato un acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul quale è intervenuta la Corte Costituzionale con due successive importanti decisioni 11, nelle quali si è osservato che “la regolamentazione statale del sistema sportivo deve dunque mantenersi nei limiti di quanto risulta necessario al bilanciamento dell’autonomia del suo ordinamento con il rispetto delle altre garanzie costituzionali che possono venire in rilievo, fra le quali vi sono …… il diritto di difesa e il principio di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale presidiati dagli artt. 24, 103 e 113 Cost.”. Ferma questa premessa, la Corte Costituzionale ha ritenuto che “nelle controversie aventi per oggetto sanzioni disciplinari sportive non tecniche incidenti su situazioni soggettive rilevanti per l’ordinamento statale è possibile proporre domanda di risarcimento del danno al giudice amministrativo in regime di giurisdizione esclusiva, mentre resta sottratta alla sua giurisdizione la tutela di annullamento” 12. Nello studio dell’illecito sportivo un rilievo particolare è attribuito al regime di responsabilità oggettiva che grava sui sodalizi sportivi, posto a tutela della regolarità e della sicurezza delle competizioni. Nel segnalare l’importanza del principio, sovente considerato un cardine dell’ordinamento sportivo, il Manuale evidenzia la linea di tendenza della giustizia sportiva da qualche anno orientata a un temperamento della portata della responsabilità oggettiva, valorizzando il comportamento tenuto dalla società sportiva e tenendo conto dell’esistenza di un effettivo legame tra l’illecito e le specifiche responsabilità ascrivibili alla società 13. Pur tenendo fermo il principio della responsabilità oggettiva della società sportiva 11

Ci si riferisce a Corte Cost. 25 giugno 2019, n. 160 e 7 febbraio 2011, n. 49. V. più diffusamente infra sub par. 5. 12 Così in Corte Cost. 25 giugno 2019, n. 160. 13 Cfr. Coll. di Garanzia dello Sport, Sez. Un., 24 novembre 2015, n. 58.

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per le illecite condotte dei suoi tesserati, i Giudici sportivi, prendono in considerazione la condotta della società, il suo livello di consapevolezza del prevedibile comportamento dei suoi tesserati o sostenitori, l’assenza – o meno – di un qualsivoglia vantaggio per la società stessa, l’eventuale adozione di regole e presidi tesi a prevenire comportamenti illeciti 14. Tale valutazione, dichiaratamente non formalistica, effettuata caso per caso, se non può condurre ad escludere la responsabilità oggettiva della società, fornisce tuttavia al giudice sportivo un criterio ai fini della determinazione della misura della sanzione, consentendone un contenimento. In questo quadro può forse affermarsi che, come il principio di responsabilità oggettiva delle società sportive ha una sua innegabile funzione ‘politica’, allo stesso modo anche a questa tendenza della giustizia sportiva può riconoscersi una sua positiva efficacia pratica, stimolando le società sportive ad adottare – secondo un principio che potremmo definire ‘di precauzione’ – ogni opportuna cautela volta a prevenire qualunque prevedibile comportamento censurabile tenuto dai suoi tesserati in occasione delle competizioni sportive. Evidenziando i rischi intrinsecamente connaturati all’esercizio di una attività sportiva, il Manuale si sofferma diffusamente sul tema della c.d scriminante sportiva per la cui valutazione assumono rilievo, da un lato, le regole tecniche che disciplinano una data attività sportiva, dall’altro, la consapevole accettazione dei rischi propri di quella attività. Il Manuale da conto dell’ampio e contrastato dibattito sul problema della risarcibilità del danno cagionato da un atleta ad un altro nel corso di una competizione sportiva e pur nel rispetto delle regole tecniche del gioco, chiedendosi quando possa considerarsi superata la soglia del rischio consentito e rilevando la notevole differenziazione di questa soglia in relazione alle varie categorie di sport. Infine, il Manuale non trascura di esaminare il problema della responsabilità civile di soggetti che svolgano attività comunque connesse all’eser14 In questa prospettiva si pongono anche le Linee guida per l’adozione di modelli di organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire atti contrari ai principi di lealtà, correttezza e probità recentemente approvate dal Consiglio Federale della FIGC. Rispettando una serie di standard di condotta (che hanno riguardo, tra l’altro, ai seguenti parametri: valutazione dei rischi, leadership e impegno, codice etico e sistema procedurale, controlli interni e controlli sulle terze parti, organismo di garanzia, comunicazione e formazione, sistema interno di segnalazione, sistema disciplinare, riesame e monitoraggio, ecc.), le società potranno ottenere il riconoscimento di esimenti e attenuanti.

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cizio dello sport: l’organizzatore degli eventi sportivi, il gestore degli impianti, le società calcistiche, i medici sportivi, i direttori di gara. Si analizzano così una serie di ipotesi che assumono i contorni di ‘attività pericolose’ e nelle quali la responsabilità – che potrebbe rilevare sia a titolo contrattuale che extracontrattuale – si proietta non solo nei confronti degli atleti, ma anche nei confronti di terzi, in particolare, gli spettatori. Il Manuale fornisce anche una interessante panoramica della giurisprudenza in materia di responsabilità dei gestori di impianti sportivi, soffermandosi sull’ipotesi che ha suscitato maggiore interesse, quella della gestione di impianti e piste da sci; ipotesi sulla quale è intervenuto lo stesso legislatore con la l. 24 dicembre 2003, n. 363, dettando una serie di disposizioni in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo, con specifici obblighi a carico del gestore delle aree sciabili. 5. Il tema della giustizia sportiva richiama con forza il problema di fondo dell’autonomia dell’ordinamento sportivo – che rivendica la sua autodichia – e del rapporto tra ordinamento sportivo e ordinamento giuridico dello Stato. Onde la terza parte del Manuale, dedicata appunto alla giustizia sportiva, si apre con una approfondita riflessione su questi aspetti di carattere teorico generale e sui principi che governano il riparto di giurisdizione tra giudice sportivo e giudice dello Stato, anche alla luce dei criteri sanciti dalla l. n. 280/2003, sui quali – come si è già riferito nelle pagine che precedono – si è sviluppata una contrastata giurisprudenza, sino alla più recente decisione della Corte Cost. del 25 giugno 2019, n. 160, la quale, superando i dubbi sollevati dal TAR del Lazio 15, ha ritenuto la “non irragionevolezza” della scelta del legislatore di limitare l’intervento giurisdizionale “alla sola tutela per equivalente di situazioni soggettive coinvolte in questioni nelle quali l’autonomia e la stabilità dei rapporti costituisce di regola dimensione prioritaria rispetto alla tutela reale in forma specifica, per il rilievo che i profili tecnici e disciplinari hanno 15 Come è noto, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con ordinanza dell’11 ottobre 2017, aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 24, 103 e 113 Cost., dell’art. 2 (comma 1, lett. b, e comma 2) del d.l. 19 agosto 2003, n. 220 (Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva, conv. con mod. nella l. 17 ottobre 2003, n. 280). La recente citata sentenza della Corte Cost. n. 160 del 25 giugno 2019 fa seguito alla precedente decisione 7 febbraio 2011, n. 49 nella quale il Giudice delle Leggi già aveva escluso che le norme dettate dall’art. 2, commi 1, lett. b, e 2, del d.l. 19 agosto 2003, n. 220, si ponessero in contrasto con gli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione.

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nell’ambito del mondo sportivo. Ambito nel quale, invero, le regole proprie delle varie discipline e delle relative competizioni si sono formate autonomamente secondo gli sviluppi propri dei diversi settori e si connotano normalmente per un forte grado di specifica tecnicità che va per quanto possibile preservato”. Dopo essersi soffermato sul quadro sistematico tracciato dalla Consulta nel definire il rapporto tra Giudice amministrativo e giudice sportivo ed i confini della tutela esercitabile dinanzi al primo, il Manuale esamina il significato del vincolo di giustizia sportiva e della c.d. pregiudiziale sportiva. L’aggiornata disamina del tema della giustizia non manca di segnalare una importante innovazione normativa dettata dalla l. 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021) che ha introdotto una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva e di competenza funzionale inderogabile del TAR del Lazio per le controversie relative alla ammissione ed esclusione dalle competizioni professionistiche delle società o associazioni sportive professionistiche, o comunque incidenti sulla partecipazione a competizioni professionistiche (cfr. comma 647). Assai opportunamente il capitolo sulla giustizia sportiva, oltre a contenere puntuali riferimenti alla giurisprudenza ordinaria e amministrativa, richiama frequentemente l’interpretazione delle norme sportive fornita dai Giudici sportivi e, in particolare, dal Collegio di Garanzia dello Sport; fornendo così un’utile panoramica di quel diritto vivente, al quale la stessa Corte Costituzionale, discutendo di diritto sportivo, ha voluto conferire un significativo rilievo 16. L’attenzione si sposta, infine, sui metodi di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione (ADR) che, per la loro informalità, rapidità di svolgimento ed economicità, trovano sempre più spazio nel nostro ordinamento e che vanno diffondendosi anche nel mondo dello sport, il quale, peraltro, a livello internazionale, già forniva l’esempio del Tribunale Arbitrale dello Sport, con sede a Losanna. Proprio all’arbitrato sportivo è dedicato l’ultimo capitolo del libro, che innanzitutto ne fornisce un inquadramento generale, qualificandolo come arbitrato irrituale ed amministrato, e ne definisce poi l’ambito di applicazione, sia sul piano oggettivo che soggettivo. Lo studio si sofferma partico16

V. i numerosi rinvii al diritto vivente contenuti nella motivazione della richiamata sentenza della Corte Cost. del 25 giugno 2019, n. 160.

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larmente sull’arbitrato nelle controversie di lavoro sportivo, per il quale la diffusione nel calcio professionistico è favorita dalla previsione di clausole compromissorie nei contratti tipo adottati in molti sistemi federali sulla base degli accordi collettivi tra le federazioni e i rappresentanti delle categorie interessate. Nel mondo del calcio ne forniscono esempio gli accordi collettivi intervenuti tra la FIGC, la Lega Nazionale Professionisti di Serie A (L.N.P.A.) e l’A.I.C., dove si prevede l’inserimento nei contratti individuali di lavoro sportivo di una clausola compromissoria che deferisce ad un collegio arbitrale “tutte le controversie aventi ad oggetto l’interpretazione, l’esecuzione o la risoluzione di detto contratto ovvero comunque riconducibili alle vicende del rapporto di lavoro da esso nascente”; analoghe disposizioni sono contenute negli accordi collettivi stipulati dalla Lega Nazionale Professionisti Serie B (L.N.P.B.) e dalla Lega Pro. In questo quadro generale, che attesta la rilevanza e la diffusione dell’arbitrato nel sistema della giustizia sportiva, il Manuale segnala la significativa innovazione portata dal nuovo Codice di Giustizia sportiva della FIGC 17, che, nella parte relativa al Processo sportivo, introduce un nuovo organo arbitrale, la Camera arbitrale per le vertenze economiche 18. 6. Per la completezza e la chiarezza della trattazione, per le interessanti considerazioni sui profili privatistici degli istituti del diritto sportivo, per i tanti spunti ricostruttivi, per la ricchezza e l’aggiornamento dei riferimenti al quadro normativo e giurisprudenziale nella sua più recente evoluzione, l’Opera non solo si presenta come un ottimo sussidio per la didattica, ma fornisce anche agli studiosi stimoli di approfondimento e riflessione e ai professionisti un prezioso strumento di consultazione. E, allo stesso tempo, 17

Nuovo Codice approvato dalla Giunta Nazionale del CONI con deliberazione n. 258 dell’11 giugno 2019. 18 Cfr. artt. 134, 135 e 136 del nuovo Codice, ove si prevedono la composizione e la competenza della Camera arbitrale, le regole del procedimento e l’esecutività delle decisioni rese dai Collegi arbitrali. Per l’art. 134, comma 2, la Camera “ha competenza a giudicare: a) sulle controversie di natura economica tra società professionistiche, comprese quelle relative al risarcimento dei danni per i fatti di cui all’art. 26; b) sulle controversie tra società professionistiche e tesserati professionisti che siano originate dalla loro attività sportiva o associativa e abbiano carattere meramente patrimoniale non soggette ad accordi collettivi, ove le norme dell’ordinamento statale non escludano la compromettibilità in arbitri; c) sulle controversie relative alle pretese risarcitorie di tesserati nei confronti di società diverse da quelle di appartenenza nei casi in cui la responsabilità delle stesse sia stata riconosciuta in sede disciplinare sportiva”.

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si offre agevolmente alla lettura di tanti appassionati di sport desiderosi di conoscere meglio l’apparato normativo che governa questo mondo, guardando oltre ‘le regole del gioco’.

Roma, 10 ottobre 2019 (Prima edizione) Attilio Zimatore

INTRODUZIONE

I RAPPORTI TRA ORDINAMENTO SPORTIVO, ORDINAMENTO STATALE ED EUROPEO di Ettore Battelli

SOMMARIO 1. Il fenomeno sportivo quale ordinamento autonomo. – 2. L’ordinamento sportivo nell’ambito della pluralità degli ordinamenti giuridici. – 3. Ordinamento sportivo e ordinamento statale. – 4. Il fenomeno sportivo e le fonti dell’ordinamento nazionale. – 5. Il fenomeno sportivo e l’Unione Europea: il ruolo della Corte di giustizia dell’UE.

1. Il fenomeno sportivo quale ordinamento autonomo. Un’indispensabile premessa allo studio del diritto sportivo è rappresentata dalla necessaria conoscenza e comprensione della struttura e delle caratteristiche dell’ordinamento giudico sportivo 1. L’attività sportiva in quanto esplicazione della personalità va adeguatamente tutelata, sia nel suo aspetto individuale, sia in quello associativo «nelle formazioni sociali» in cui agisce (art. 2 Cost.). 1 Tra le principali trattazioni si vedano: AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, Atti del 3° Convegno Nazionale SISDiC, Napoli, 2009; M. SANINO-F. VERDE, Il diritto sportivo, 4a ed., Cedam, Padova, 2015; A. MAIETTA, Lineamenti di diritto dello sport, Giappichelli, Torino, 2016; G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, Giuffrè, Milano, 2016, p. 83; G. VALORI, Il diritto nello sport, 4a ed., Giappichelli, Torino, 2018; G. CASSANO-A. CATRICALÀ (a cura di) Diritto dello sport, Maggioli Editore, Rimini, 2019, p. 33 ss.; M. PITTALIS, Sport e diritto, Cedam, Padova, 2019, p. 1 ss.; L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, 2a ed., Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2021, p. 19 ss.

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Lo sport, infatti, è un’attività umana che coinvolge le abilità fisiche e mentali dell’uomo, ed è al tempo stesso un fenomeno complesso e articolato che nei suoi molteplici aspetti coinvolge la sfera del diritto sotto i profili della sua struttura organizzativa nazionale e internazionale, dei suoi soggetti (associazioni, società e atleti), nonché per l’appunto il profilo dell’attività e cioè la pratica sportiva o più propriamente esercizio dell’attività sportiva 2. A tal riguardo, al fine di poter meglio comprendere il valore giuridico dell’attività sportiva propriamente detta, occorre distinguere il gioco dallo sport, evidenziando che quest’ultimo a differenza del gioco puro e semplice si caratterizza per la serietà dei fini e per l’impegno, di ordine prettamente fisico ma anche intellettuale, volitivo e morale: il c.d. agonismo sportivo. È l’agonismo che qualifica l’attività sportiva e che si manifesta, talora, nella ricerca individuale o collettiva (si pensi agli sport di squadra) di superare i propri limiti e conseguire un risultato (esito sportivo o c.d. “risultato” di gara). Ciò sempre nel rispetto dell’avversario, nell’adozione di un comportamento leale e corretto, oltre che nell’osservazione delle regole prestabilite, riconosciute come autonoma disciplina sportiva (dal Comito Olimpico Nazionale e Internazionale – rispettivamente CONI e CIO), anche al fine di assicurare l’uniformità delle manifestazioni e la comparabilità dei “risultati” di gara. Se pure è vero 3 che deve ritenersi sport anche una partita (es. di calcio) giocata in un campo non regolamentare da soggetti non appartenenti ad alcuna associazione o società sportiva (affiliata alla Federazione di competenza; es. la Federazione Italiana Giuoco Calcio – FIGC), occorre partire dall’esercizio dell’attività sportiva c.d. regolamentata se si vuole comprendere la natura di un fenomeno, che nel suo insieme non può essere ritenuto un semplice “gioco” o esercizio, occasionale e spontaneo o anche organizzato. Ciò sia per il sostrato valoriale che guida lo sport sin dai tempi antichi, sia per quelle dinamiche in cui si esprimono contenuti c.d. di spettacolo e intrattenimento che ne rappresentano il profilo economico. Per questa ragione si reputa fondamentale partire da una ricognizione dei rapporti intercorrenti fra ordinamento statale e “ordinamento sporti2 3

G. MAGNANE, Sociologie du sport, Gallimard, Paris, 1964. Cass. civ., 8 agosto 2002, n. 12012.

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vo”, espressione quest’ultima introdotta dalla dottrina di inizio novecento, impiegata dalla giurisprudenza 4 ed entrata nel linguaggio del legislatore (anche costituzionale: art. 117 Cost.) 5. Secondo alcune ricostruzioni teoriche più risalenti, il fenomeno sportivo doveva considerarsi giuridicamente irrilevante: le gare, infatti, sono disciplinate da regole puramente tecniche che, in quanto tali, si differenziano profondamente dalle regole di diritto, con una conseguente reciproca estraneità fra sport e diritto 6. Si tratta di approcci ampiamente superati, risultando ormai pacifico che lo sport ha un’indubbia rilevanza giuridica di diritto interno e sovranazionale, atteso che l’ordinamento sportivo ha una propria legittimazione che prescinde dall’eventuale riconoscimento da parte dei singoli sistemi statali 7. Dal punto di vista del diritto, il fenomeno sportivo rappresenta un ordinamento complesso, settoriale, dotato di una giuridicità originaria, diverso e per molti aspetti separato dall’ordinamento giuridico dello Stato e per questo caratterizzato da una sfera di autonomia, più o meno ampia a seconda degli interessi coinvolti, collocandosi in una posizione assai speciale tra diversi livelli normativi e differenti ordinamenti (nazionali e sovranazionali) dai quali trae il suo valore giuridico 8. Il fenomeno sportivo quale ordinamento autonomo ha delle proprie norme, un autonomo sistema di giustizia e un apparato organizzativo, rispettivamente chiamati a dare interpretazione e piena attuazione alle regole da esso stesso prodotte 9. Non deve, quindi, sorprendere che il fenomeno sportivo abbia a lungo cercato di sottrarsi al rispetto delle leggi degli Stati. D’altronde, per converso, non sono stati pochi i tentativi di intervento del legislatore ordina4

Ex multis Cass. civ., 11 febbraio 1978, n. 625. G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 9. 6 In tal senso, fra i tanti, C. FURNO, Note critiche in tema di giochi, scommesse e arbitraggi sportivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, p. 619 ss., il quale sosteneva l’a-giuridicità dell’ordinamento sportivo. 7 Conformemente a quanto già sostenuto, a suo tempo, da W. CESARINI SFORZA, La teoria degli ordinamenti giuridici e il diritto sportivo, in Foro it., I, 1933, c. 1381 ss., e in tempi recenti oggetto della riflessione critica di C. CASTRONOVO, Pluralità degli ordinamenti, autonomia sportiva e responsabilità civile, in Eur. dir. priv., 2008, p. 545 ss. 8 G. FARAGLIA, L’ordinamento giuridico sportivo, 2a ed., C.S.E.F., Bologna, 1988. 9 F. FRACCHIA, voce Sport (diritto dello), in Dig. disc. pubb., Utet, Torino, 1999, p. 467 ss. 5

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rio, delle corti nazionali e dell’Unione Europea, di ritenere rientranti nella propria giurisdizione fette sempre più ampie dell’attività sportiva 10. A una maggiore chiarezza si è giunti con l’art. 165 TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’UE) che ha incluso lo sport tra le competenze di coordinamento e sostegno dell’Unione, cui è seguito l’intervento della Corte di giustizia dell’UE che ha dichiarato la normativa sulla concorrenza applicabile alle sanzioni disciplinari irrogate dagli organi della c.d. giustizia sportiva, ipotizzando un proprio sindacato anche riguardo alle regolamentazioni tecnico-sportive.

2. L’ordinamento sportivo nell’ambito della pluralità degli ordinamenti giuridici. Un posto di assoluto rilievo nello studio del diritto sportivo deve essere riservato al grande giurista Santi Romano, cui si deve l’elaborazione della teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici o teoria istituzionalistica 11. Ai fini che qui rilevano, occorre evidenziare come secondo la tesi sostenuta il diritto scaturisce dalla struttura della società; dunque non necessariamente dallo Stato ma anche dalle diverse istituzioni sociali, da cui il nome di teoria istituzionalistica. Vi potranno essere una pluralità di ordinamenti giuridici, diversi e contestuali. Secondo l’insigne giurista, ogni ordinamento giuridico è istituzione e viceversa ogni istituzione è un ordinamento giuridico. Per istituzione si intende «ogni ente o corpo sociale» e la sua essenza è espressa dalla parola “organizzazione”. Il diritto nasce allora nel momento in cui il gruppo sociale diviene gruppo organizzato, ossia si istituzionalizza creando una organizzazione 12. Quindi, non c’è società senza che si manifesti in essa il fenomeno giuridico (ubi societas ibi ius). Si ha un ordinamento giuridico quando oltre alla società, da intendersi come l’insieme dei soggetti, si rinvengono almeno altri due elementi essenziali: la normazione, ossia il complesso delle regole di organizzazione; e l’ordine 10

G. LIOTTA, voce Sport (diritto dello), in Diritto civile. Dizionari del diritto privato, promossi da N. Irti, a cura di S. Martuccelli e V. Pescatore, Giuffrè, Milano, 2011, p. 1658 ss. 11 S. ROMANO, L’ordinamento giuridico, 2a ed., Sansoni, Firenze, 1962 (1a ed., Spoerri, Pisa, 1918). 12 S. ROMANO, op. cit., p. 25 ss.

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sociale, cioè il sistema delle strutture entro cui i soggetti che sono membri della società si muovono. Santi Romano discorre di pluralismo “istituzionalista”, nel quale la produzione normativa delle società sub statali hanno un ruolo significativo e finanche separato da quello dello Stato, differenziandosi, in particolare, da Kelsen, il quale parla di pluralismo statualista nel senso che ogni Stato ha un ordinamento giuridico proprio 13. Fondamentale appare il contributo offerto da Massimo Severo Giannini, per il quale l’ordinamento sportivo mondiale sarebbe “superstatale”, “non territoriale” ed “originario”, nel senso che la sua «costituzione […] fonda la propria efficacia esclusivamente sulla “forza” dell’ordinamento stesso, e non su quella di altri ordinamenti» 14. In tale prospettiva, gli ordinamenti sportivi nazionali appartengono alla categoria degli ordinamenti diffusi, la cui esistenza viene ricollegata ai gruppi sociali che presentano i requisiti costitutivi della plurisoggettività, dell’organizzazione e della normazione 15. Tutti elementi che lo stesso Giannini ritenne rinvenibili nel fenomeno sportivo, definibile a pieno titolo come “ordinamento sportivo”. Con riferimento al primo elemento, basti dire che se c’è una caratteristica propria del fenomeno sportivo è proprio la pluralità e varietà di soggetti che ne fanno parte: atleti, tecnici, associazioni, società, federazioni, leghe, oltre a una miriade di corpi intermedi, tutti accomunati dall’osservanza di un norme comuni dal valore vincolante. Quel che più rileva nel pensiero di Giannini è però aver intuito che nel rapporto tra ordinamento statale e ordinamento sportivo sono individuabili diverse zone in cui rispettivamente Stato e fenomeno sportivo vengono a contatto, si intersecano, si sovrappongono, escludendosi a vicenda in alcuni punti e confliggendo in altri 16. 13 L’applicazione della teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici al fenomeno sportivo è, poi, stata effettuata da W. Cesarini Sforza nell’ambito dell’elaborazione della definizione del “diritto dei privati”, inteso come «quello che i privati medesimi creano per regolare determinati rapporti di interesse collettivo in mancanza o insufficienza, della legge statuale» (W. CESARINI SFORZA, Il diritto dei privati, Giuffrè, Milano, 1963 - pubblicato per la prima volta nel 1929 -; ID., La teoria degli ordinamenti giuridici ed il diritto sportivo, in Foro it., 1933, c. 1381 ss.). 14 M.S. GIANNINI, Prime osservazioni sugli ordinamenti sportivi, in Riv. dir. sport., 1949, p. 10 ss. 15 M.S. GIANNINI, Prime osservazioni sugli ordinamenti sportivi, cit., p. 17 ss.; ID., Ancora sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1996, p. 672 ss. 16 M.S. GIANNINI, op. cit., p. 26.

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A segnare il cambio di prospettiva è sicuramente l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (1° gennaio 1948) con il riconoscimento offerto dall’art. 2 Cost. dei diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, ritenuto un significativo avvicinamento alla teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici propugnata da Santi Romano Francesco Galgano ritiene che nel nuovo ordinamento costituzionale il giudice dello Stato, chiamato a decidere in ordine a vicende interne alle associazioni, quali l’espulsione o il recesso dell’associato, dovrà essere il garante del rispetto di diritti e libertà, riservando così all’ordinamento statale una posizione di supremazia. Le stesse norme di organizzazione trovano il proprio fondamento nel riconoscimento costituzionale e nella disciplina legislativa ordinaria. Ed è sempre la Costituzione a porre principi e limiti invalicabili tanto al legislatore ordinario quanto alle organizzazioni intermedie sia di carattere generale sia in ordine alla salvaguardia dei diritti dei singoli e della loro tutela giurisdizionale 17. Pietro Perlingieri pone l’accento sulla necessità di «discorrere non tanto di pluralità degli ordinamenti, quanto di pluralità delle fonti», ritenendo che all’interno dell’unità del sistema ordinamentale non ci sia posto per ordinamenti intermedi o settoriali 18. In questo senso, è l’ordinamento giuridico della Repubblica, nei limiti dei diritti e dei valori inderogabili della Costituzione, che riconosce e garantisce al fenomeno sportivo autonomia (e, si badi, non indipendenza), considerandolo non un ordinamento in senso proprio ma anzi un fenomeno aperto sul piano giuridico ad articolazioni interne e a fonti esterne sovranazionali. Un ulteriore impulso ai rapporti tra ordinamento statale e ordinamenti intermedi, negli anni successivi, giunge nel diritto interno dall’attuazione del regionalismo. Dal consolidamento della Comunità/Unione Europea, dalla progressiva affermazione della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU), dalla 17 F. GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati (Art. 36-42), in Commentario Scialoja Branca, 2a ed., Zanichelli – Casa Editrice del Foro Italiano, Bologna, 1976, dimostra l’esigenza costituzionale di tutelare il singolo individuo all’interno delle formazioni sociali ritenendo che tale compito spetti al giudice ordinario chiamato a decidere su vicende particolarmente delicate delle associazioni quali l’espulsione o il recesso dell’associato. 18 P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italocomunitario delle fonti, 3a ed., Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2006, p. 196 s.

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spinta dal mercato comune europeo, deriverà poi il vero e proprio consolidamento del pluralismo come dato storico giuridico. Lo sport, coinvolto sotto il profilo economico-sociale, sarà così chiamato a rendere conto della sua pretesa autonomia per ciò che attiene all’aspetto delle tutele e dei diritti degli sportivi quali membri dell’organizzazione e/o di coloro che dello sport fanno il loro lavoro. Sempre volgendo lo sguardo al piano sovranazionale, è stata pure avanzata l’ipotesi che le strutture di governo dello sport sarebbero soggetti di diritto internazionale in quanto associazioni autonome operanti nel sistema retto a livello mondiale dalla Carta olimpica. Sarebbero inoltre soggette all’ordinamento dell’Unione Europea solamente in quanto da questa riconosciute per sviluppare la dimensione europea dello sport in base a quanto previsto dall’art. 165 TFUE. Sarebbero, inoltre, soggetti riconosciuti dall’ordinamento repubblicano che gli conferisce un’autonomia organizzativa e normativa limitata solo da situazioni giuridiche soggettive così come prevede l’art. 1 della l. n. 280/2003, nel rispetto di quel principio di sussidiarietà orizzontale che dal 2001 trova espresso riconoscimento nel comma 4 dell’art. 118 Cost. La stessa legge sullo sport n. 426/1942 non conteneva alcun riferimento all’articolazione a livello mondiale che appare, invece, nell’art. 1 e nell’art. 34 del D.P.R. 157/1986 (regolamento attuativo della stessa l. n. 426/1942) ove è stato stabilito che l’atleta non professionista «deve praticare lo sport in conformità alle regole del Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e della competente federazione internazionale». Solo successivamente fu introdotto con il d.lgs. n. 242/1999 l’obbligo del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) di conformarsi «ai principi dell’ordinamento sportivo internazionale in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi emanati dal CIO». Il riferimento “ai principi” sembra peraltro avere una funzione di indirizzo, ma senza automatismi che vorrebbero l’ordinamento nazionale considerarsi per questo dipendente da quello sportivo internazionale. D’altronde, nell’attuale sistema anche il CIO è un fenomeno associativo che ha la sua base giuridica nell’art. 102, n. 8, della Costituzione federale svizzera 19. Da un lato non può negarsi che il modello europeo di sport, incentrato 19

Così M. PIERINI, L’autonomia del fenomeno sportivo nell’ordinamento repubblicano e dell’Unione Europea, in G. CASSANO-A. CATRICALÀ, Diritto dello sport, cit., p. 33 ss., spec. p. 40.

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sul principio di specificità del fenomeno sportivo, garantisce un certo ambito di autonomia in ragione delle sue finalità, mentre dall’altro non può trascurarsi la costante giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE che non ammette deroghe (se non talune, eccezionalmente individuate) alla riconducibilità dello sport nell’alveo del diritto europeo ogniqualvolta questo assuma una dimensione economica 20. Della mutata realtà sociale su cui fondare l’autonomia degli ordinamenti giuridici intermedi rispetto all’ordinamento repubblicano fu interprete Pietro Rescigno il quale ha avuto, tra gli altri, il merito di individuare nella base contrattuale la legittimità degli ordinamenti giuridici intermedi. Come ricostruito da Rescigno, infatti, le formazioni sociali legittimate dall’art. 2 Cost. si fondano sul consenso di coloro che vi aderiscono: «il potere di autoregolamentazione scaturisce dall’accordo di tutti i soggetti che fanno parte della formazione-istituzione». Deve quindi convenirsi che, nel fenomeno sportivo, un ruolo centrale rivestono l’autonomia privata e il contratto o meglio il negozio associativo, che nel tesseramento e nell’affiliazione trova i momenti fondanti dell’appartenenza a questo ordinamento così particolare 21. La libertà del singolo si esprime proprio nella scelta di praticare o meno un determinato sport e richiede l’accettazione, cioè l’adesione alle regole prestabilite dalla Federazione sportiva di appartenenza. Contrariamente a quanto sostenuto da Giannini non è sufficiente “lo svolgere” di fatto “un’attività sportiva” per far acquistare alla persona fisica la qualità di appartenente all’ordinamento sportivo, essendo necessario invece un atto formale. E l’accesso di un individuo ad un qualsiasi tipo di formazione sociale stabilmente costituita esige la stipula di un corrispondente negozio per consentire che gli effetti giuridici delle attività poste in essere dai membri siano giuridicamente imputabili all’ente oppure a suoi organi o rappresentanti 22. Ciò senza sminuire quelle manifestazioni di grande rilievo sia per il valore giuridico sotteso, sia per il numero considerevole di persone interessa20 S. BASTIANON, L’Europa e lo sport. Profili giuridici, economici e sociali, Giappichelli, Torino, 2014. 21 P. RESCIGNO, Persona e comunità, Il Mulino, Bologna, 1966, fonda su basi contrattualistiche la legittimità degli ordinamenti intermedi e cioè sul consenso volontario di tutti coloro che vi aderiscono. 22 Cfr. F. MODUGNO, Pluralità degli ordinamenti, in Enc. dir., XXXIV, Giuffrè, Milano, 1983, p. 18 ss.

Introduzione – I rapporti tra ordinamento sportivo, ordinamento statale ed europeo

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te, quali ad esempio lo sport studentesco praticato nell’ambito delle strutture scolastiche e quello esercitato come impiego del tempo libero. Questa costatazione rende agevole cogliere il primo e forse più importante significato della normativamente affermata libertà di esercizio dell’attività sportiva. Questa può essere praticata anche al di fuori delle strutture organizzative ufficiali, potendo ad esempio svolgere una funzione educativa o semplicemente ricreativa, e nel contempo essere giuridicamente valutata come tale. L’affermata libertà di esercizio dell’attività sportiva comporta anche la libertà del relativo associazionismo a scopi ricreativi e culturali al fine di offrire agli associati la possibilità di svolgere un’attività agonistica non collegata ai programmi federali. Alla luce di tale dottrina l’associazionismo amatoriale dovrebbe a sua volta costituire un ordinamento giuridico. Di conseguenza parlare dell’ordinamento sportivo è esaminare la realtà “ufficiale”, offrendo una visione ed una analisi giuridica insufficienti dello sport perché, in questo modo, si tralascerebbe la dimensione non organizzata del fenomeno sportivo, la quale è non meno significativa numericamente ma soprattutto ugualmente degna di tutela e di considerazione 23. Si pensi all’esercizio di pratiche da parte di singoli o di gruppi non stabilmente organizzati, quali ad esempio gli amici che giocano a pallone ogni sabato o i ragazzi che si ritrovano tutti i giorni presso un campo di pallacanestro. Tale criticata visione pluralistico-ordinamentale è quindi fortemente limitata nella sua capacità rappresentativa del fenomeno 24.

3. Ordinamento sportivo e ordinamento statale. Una volta affermata l’esistenza di una pluralità di ordinamenti, il fenomeno sportivo è posto al cospetto dell’ordinamento giuridico, inteso come stabile organizzazione dotata di autonomia normativa 23

E. INDRACCOLO, Rapporti e tutele nel dilettantismo sportivo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2008. 24 L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, in L. DI NELLA-E. INDRACCOLO-A. LEPORE-P. DEL VECCHIO-S. PALAZZI, Manuale di diritto dello sport, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2021, p. 35.

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L’ordinamento statale regola il fenomeno sportivo con un complesso molto articolato di norme, a partire dall’istituzione del CONI, alla l. n. 91/1981, alla l. n. 280/2003, per finire all’art. 117 Cost. che parla espressamente di “ordinamento sportivo”, lasciando alla competenza concorrente Stato-Regioni la capacità di legiferare in materia. L’ordinamento sportivo costituisce la fonte primaria di regolamentazione dell’attività oggetto della prestazione dell’atleta e dello sport individuale e/o di squadra. Richiamando la fondamentale tesi, sopra esposta, di Pietro Perlingieri, per la quale la pluralità di fonti non coincide necessariamente con una pluralità di ordinamenti, occorre aggiungere che nessun dubbio residua sul fatto che il fenomeno sportivo debba fare i conti con più livelli normativi. La giurisprudenza, d’altronde, da tempo è giunta ad affermare che il rapporto fra l’ordinamento giuridico statale e l’ordinamento giuridico sportivo è «di riconoscimento: riconoscimento, da parte dell’ordinamento giuridico statale, dell’ordinamento giuridico sportivo già autonomamente esistente e perciò originario; non già creazione, perché […] l’ordinamento giuridico sportivo, che è costituito ed agisce nel territorio nazionale italiano, è collegato all’ordinamento giuridico internazionale, donde attinge la sua fonte» 25. Ebbene, questa impostazione è oggi esplicitamente sancita anche dal legislatore: ai sensi dell’art. 1, comma 1, d.l. 19 agosto 2003, n. 220, convertito con modificazioni dalla l. 17 ottobre 2003, n. 280, infatti, «La Repubblica riconosce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale». L’ordinamento sportivo è dunque dotato di una potestà normativa originaria, che tuttavia non è abilitata a disciplinare in via esclusiva tutto ciò che riguarda il fenomeno dello sport. Come chiarito dalla Corte di Cassazione «In particolare, non è attribuita all’ordinamento giuridico sportivo la potestà normativa attinente ai rapporti intersoggettivi privati» 26. La Costituzione repubblicana del 1948, d’altronde, non conteneva riferimenti diretti al fenomeno sportivo, né a livello del singolo né a livello organizzativo. Solamente con la riforma del Titolo V della Costituzione del 25 26

Così Cass., sez. III, 11 febbraio 1978, n. 625, in Foro it., I, 1978, c. 862 ss. Cass. n. 625/1978, cit.

Introduzione – I rapporti tra ordinamento sportivo, ordinamento statale ed europeo 11

2001, il nuovo art. 117 parla genericamente di ordinamento sportivo senza peraltro offrire ulteriori definizioni o elementi conoscitivi 27. Neppure il Trattato di Roma del 25 marzo 1957, istitutivo dell’allora Comunità economica europea, conteneva riferimenti allo sport. Viceversa, con il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, l’art. 165 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea include lo sport tra le competenze di coordinamento e sostegno dell’UE 28. Ebbene, in conformità a quest’orientamento, l’art. 1, comma 2, d.l. n. 220/2003, convertito con modificazioni dalla l. n. 280/2003, statuisce che «I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo». L’ordinamento sportivo ha il potere di dettare norme volte a disciplinare determinati aspetti dell’attività sportiva (intesa in senso ampio) 29, nonché la sanzione applicabile in caso di violazione di siffatte norme30. L’art. 2 del citato d.l. n. 220/2003 dispone chiaramente che «è riservata all’ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione e l’applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive». I rapporti fra ordinamento sportivo e ordinamento statale sono, dunque, in parte di autonomia e in parte di interferenza 31. 27

Solo dopo la riforma del Titolo V, realizzata con la l. costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, è possibile rinvenire un fondamento espresso: l’art. 117, comma 3, Cost. attribuisce la competenza legislativa concorrente allo Stato e alle Regioni in materia di «ordinamento sportivo». Anche precedentemente, tuttavia, si riteneva che lo sport avesse un valore fondamentale, in quanto contribuisce allo sviluppo della personalità dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali (art. 2 Cost.), all’associazionismo (art. 18 Cost.) e alla tutela della salute (art. 32 Cost.). Cfr. P. SANDULLI, Costituzione e sport, in Principi e problematiche di giustizia sportiva, Aracne, Roma, 2018, p. 29 ss. 28 Ibidem. 29 B. BERTINI, La responsabilità sportiva, Giuffrè, Milano, 2002, p. 213. 30 Cfr. L. COLANTUONI, Diritto sportivo, Giappichelli, Torino, 2009, p. 358 ss. 31 Cfr. P. GROSSI, Sui rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo (Relazione al Convegno di Studi “I rapporti tra ordinamento statale e ordinamento sportivo”, Firenze, 2 dicembre 2011), in Diritto amministrativo, 2012, p. 3 ss., il quale si sofferma sulla

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Ciò che lo Stato, in ogni caso, non può stabilire è che l’attività sportiva prescinda dal principio di lealtà che incarna lo spirito stesso dello sport «non solo durante la competizione agonistica, ma in ogni momento della sua vita di relazione con l’associazione e gli altri associati» 32. I due ordinamenti restano autonomi quando il primo disciplina una serie di comportamenti che restano giuridicamente irrilevanti per il secondo; interferiscono quando entrambi attribuiscono rilevanza a una medesima condotta.

4. Il fenomeno sportivo e le fonti dell’ordinamento nazionale. Lo Stato postmoderno ha riconosciuto fonti diverse non soltanto al suo interno (in particolare le leggi regionali), bensì anche all’esterno (c.d. principio di apertura internazionale dell’ordinamento interno) e all’Unione Europea, specialmente a seguito dell’introduzione nella Costituzione dell’art. 117, riconoscendo una tutela ancor più penetrante al potere di autoregolamentazione dei privati 33. L’ordinamento giuridico statale non conosce, però, al suo interno propriamente altri “ordinamenti” (ancorché derivati), bensì settori normativi integrati da uno o più sistemi nell’insieme ordinamentale unitario e superiore e, anche laddove fa uso del termine “ordinamento” (ad esempio proprio al comma 3 dell’art. 117 Cost., con riguardo all’ordinamento sportivo), fa riferimento a sistemi più o meno organici di norme giuridiche destinati a regolare determinati ambiti della realtà (è il caso dell’ordinamento forense). È necessario, quindi, per quanto strettamente attiene all’ordinamento sportivo coordinare la sua autonomia rispetto alla Carta Costituzionale, tenendo conto della presenza di regole costituzionali idonee a fondare il riconoscimento del sistema sportivo 34: l’art. 3, comma 2, che favorisce il pieno sviluppo della persona umana; l’art. 18, che tutela il diritto di assoquestione inerente la razionalizzazione dei rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento giuridico dello Stato italiano. 32 Cons. Stato, 6 marzo 1973, n. 80. 33 L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 51. 34 G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 13.

Introduzione – I rapporti tra ordinamento sportivo, ordinamento statale ed europeo 13

ciazione; l’art. 31, con riguardo alla protezione dell’infanzia e della gioventù; l’art. 32, che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e al tempo stesso come interesse generale primario della collettività; l’art. 35 (in combinato disposto con gli artt. 1 e 4) in materia di tutela dell’attività lavorativa; l’art. 41, che sancisce il principio della libertà di iniziativa economica privata; nonché con riferimento alla giustizia sportiva gli artt. 24, 103, 113 Cost. In attuazione, poi, del già citato art. 117 Cost., all’interno degli statuti delle Regioni (a statuto ordinario) è stabilito che siano trasferite a queste ultime funzioni amministrative che «comprendono, tra l’altro, anche la promozione di attività sportive e ricreative» a tutti i livelli, compresa l’agevolazione della partecipazione di atleti a campionati e a competizioni di carattere ultraregionale, nonché la promozione delle manifestazioni sportive e «la realizzazione dei relativi impianti ed attrezzature». Tale ultima competenza si esercita in concreto attraverso la costruzione, il miglioramento, l’ampliamento, l’acquisizione e la gestione di impianti sportivi 35. Con riguardo alla competenza regionale, si segnala la sentenza della Corte Cost. n. 517/1987 che, chiamata a pronunciarsi ben prima dell’introduzione dell’art. 117 Cost., dopo aver distinto le attività sportive secondo il loro carattere agonistico e non agonistico, ha precisato che solo le prime rientrano nella materia dell’ordinamento sportivo di competenza statale, mentre le seconde c.d. amatoriali e ricreative sono di attribuzione regionale (ex art. 56, D.P.R. n. 616/1977) 36. Al di là di tale risalente orientamento, deve oggi ritenersi che trasversalmente al riparto di competenze tra Stato e Regioni, ma anche con riguardo alle funzioni attribuite agli Enti Locali e alle altre Istituzioni siano da valorizzarsi gli aspetti sociali dell’attività sportiva sotto forma di sostegno all’attività motoria e sportiva di soggetti che si trovano in condizioni di disagio sociale come disabili e anziani. Oltre alle fonti nazionali e regionali (e a quelle europee di cui si dirà di seguito) troviamo le fonti emanate dagli organi sportivi, cioè dalle istituzioni sportive dotate di quella autonomia che è loro riconosciuta dallo Stato. Negli statuti e nei regolamenti delle federazioni sportive, infatti, sono presenti norme che devono essere osservate da tutti gli appartenenti al mondo sportivo. In generale tali norme danno origine ad un complesso si35 36

Così M. PIERINI, L’autonomia del fenomeno sportivo, cit., p. 47 s. Cfr. G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 15 s.

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stema di rapporti tra gli iscritti (affiliati e tesserati) che coinvolgono lo svolgimento del gioco/competizione e le regole procedurali e sanzionatorie previste in caso di controversie. La l. n. 280/2003 all’art. 2 stabilisce le competenze dell’ordinamento sportivo in materia di corretto svolgimento delle attività sportive e agonistiche, i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, l’irrogazione e l’applicazione delle relative sanzioni. Volendo riassumere, i contenuti caratterizzanti la legge sono i seguenti: (1) il riconoscimento di un sistema di giustizia interno al fenomeno sportivo, per tutte le controversie di carattere tecnico, concernenti l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo; (2) la riserva della giurisdizione statale per le controversie che abbiano rilevanza per l’ordinamento statale in relazione a situazioni giuridiche connesse con l’ordinamento sportivo; (3) l’attribuzione della competenza esclusiva al TAR Lazio (salvi i casi di controversie di carattere economico-patrimoniale che sono attribuite alla giustizia ordinaria e che, trattandosi di diritti disponibili, possono essere devolute dalle parti ad arbitrati); (4) la previsione legislativa della c.d. clausola compromissoria. Si precisa che, in materia di tesseramento e affiliazione o iscrizione al campionato e simili, poiché nei confronti delle persone giuridiche tali provvedimenti limitano il diritto di iniziativa economica o il diritto al lavoro (in riferimento agli atleti professionisti e, per l’ordinamento europeo, anche per i dilettanti che percepiscano una remunerazione), mentre nei confronti dei non professionisti (o degli sportivi amatoriali) detti provvedimenti sono limitativi del diritto di associazione, ne deriva che nessun vincolo di giustizia può precludere il ricorso al giudice dello Stato. Per le controversie disciplinari concernenti i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e delle conseguenti sanzioni quali, ad esempio, i provvedimenti di squalifica, sospensione, radiazione, invece, occorre distinguere: nonostante il Consiglio di Stato (sent. n. 1050/1995) avesse ritenuto tali provvedimenti, quali atti amministrativi, impugnabili davanti al giudice amministrativo a prescindere dal vincolo di giustizia federale, ai sensi dell’art. 2, lett. b), l. n. 280/2003, le controversie di natura esclusivamente disciplinare sono da ritenersi di competenza della sola giustizia sportiva 37, mentre per le controversie di natura “anche” sanzionatoria si ritiene che, ove vengano in rilievo posizioni giuridiche di interesse legitti37

M. PIERINI, L’autonomia del fenomeno sportivo, cit., pp. 49-51.

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mo, non possa essere precluso il ricorso al giudice amministrativo, sia pure subordinandolo al previo esperimento di tutti i gradi della giustizia sportiva (c.d. “pregiudiziale sportiva”).

5. Il fenomeno sportivo e l’Unione Europea: il ruolo della Corte di giustizia dell’UE. Dopo aver chiarito il quadro dell’ordinamento sportivo in rapporto all’ordinamento statale, sul piano sovranazionale, secondo la costante giurisprudenza della Corte Giustizia UE, considerati gli obiettivi della Comunità, l’attività sportiva è disciplinata dal diritto comunitario in quanto configurabile come attività economica ai sensi dell’art. 2 del Trattato CE (ora articoli da 2 a 7 del TFUE). Già la Carta Europea dello Sport ed il Codice Europeo di etica sportiva di Rodi del 1992, tra i propri scopi, introdussero l’impegno delle istituzioni comunitarie nel garantire a tutti i cittadini e in particolare ai giovani la possibilità di praticare sport e godere di programmi di educazione fisica idonei allo sviluppo delle proprie attitudini sportive di base, in ambienti sani e sicuri, favorendo la possibilità di coltivare le proprie capacità per raggiungere risultati sportivi di eccellenza. Parimenti il valore delle regole morali ed etiche dello sport, di rispetto della dignità umana, trovarono riconoscimento proprio nel coevo Codice Europeo di etica sportiva che enunciò la celebre regola del “fair play”: «Chi gioca lealmente è sempre vincitore». In tale contesto merita di essere ricordata la dichiarazione dell’Anno Europeo dell’educazione attraverso lo sport del 2004 e il “Libro bianco sullo sport” (COM[2007]391def.) promosso in coincidenza con le Olimpiadi di Atene (e gli Europei di calcio in Portogallo), con il merito di aver sottolineato aspetti profondamente legati allo sport come la tutela della salute pubblica, dell’istruzione, dell’inclusione sociale, della lotta al razzismo e del contrasto alla violenza, del volontariato, nonché della promozione dello sport come strumento nella politica di sviluppo dell’UE e del finanziamento dello sport 38. Ebbene, proprio nell’ambito della politica di finanziamento dello sport di base è stato promosso in seno al programma “Erasmus” lo stanziamento 38

Cfr. G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 18 s.

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di un fondo destinato al sostegno dei progetti transnazionali facenti capo ad enti pubblici e organizzazioni della società civile. Si segnala infine la Comunicazione del 2011 (COM/2011/0012) della Commissione Europea denominata «Sviluppare la dimensione europea dello Sport», nella quale si pone attenzione, tra l’altro, allo sport per i disabili ed alla parità tra i sessi nello sport, nell’ottica della valorizzazione di esso come momento di pari opportunità e di inclusione sociale. È accaduto che i maggiori problemi interpretativi e di coordinamento si sono spostati dal piano interno, che pure ha continuato a suscitare riflessioni, al piano sovranazionale e al sistema europeo in particolare. Tra gli ambiti attribuiti all’Unione, che più rilevano, rientrano senz’altro le materie economiche, in tema di libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali, nonché le norme sulla cittadinanza dell’Unione, finendo così per attrarre lo sport all’interno dell’ambito d’azione dell’ordinamento europeo sotto plurimi profili 39. Lo sport è stato chiamato a confrontarsi con l’ordinamento europeo sia in quanto attività economica in senso lato, e per questo assoggettabile alle regole del mercato interno, comprese quelle della concorrenza, sia in quanto settore nel quale sono esplicati servizi e occupati lavoratori cittadini dell’Unione. A partire dagli anni ’70 l’Unione Europea si è occupata di sport principalmente attraverso l’intervento della sua Corte di giustizia. Centrale è stata la sentenza “Bosman” del 1995 per gli effetti che ne sono scaturiti in materia di libera circolazione e di vincoli di appartenenza degli sportivi ai club. Ripetuti i tentativi di invocare l’incompatibilità di molteplici disposizioni sportive con il diritto europeo nel tentativo di stravolgere il sistema 40. Due pronunce della Corte di giustizia dell’UE spiccano su tutte: “Deliège” (sentenza 11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C191/97) e “Lehtonen” (sentenza 13 aprile 2000, causa C-176/96). La sentenza “Meca-Medina e Majcen” del 2006 (sentenza 18 luglio 2006, causa C-519/04), rovesciando le conclusioni cui erano giunti Commissione europea e Tribunale, ha poi mostrato una particolare attenzione verso il problema delle sanzioni disciplinari, capaci di incidere sulla disciplina della concorrenza, soffermandosi inaspettatamente a chiarire il suo punto di vista 39 C. ALVISI, (a cura di), Il diritto sportivo nel contesto nazionale ed europeo, Giuffrè, Milano, 2006, p. 32 ss. 40 M. PIERINI, L’autonomia del fenomeno sportivo, cit., p. 53.

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sull’autonomia del fenomeno sportivo e sui limiti della regolamentazione tecnica 41. La Corte ha così definitivamente riconosciuto che l’attività sportiva riveste una notevole importanza sociale nella Comunità (sentenze “Bosman”, punto 106 e “Deliège”, punto 41), precisando pure che quando un’attività sportiva riveste il carattere di una prestazione di lavoro subordinato o di una prestazione di servizi retribuita, essa ricade in particolare nell’ambito di applicazione dell’ordinamento europeo (sentenza “Bosman”, punto 73) 42. Considerato che lo sport, quale diritto sociale, può essere esercitato da qualunque cittadino dell’Unione secondo le proprie capacità, può delinearsi la contrarietà al diritto europeo della discriminazione fondata sulla cittadinanza (artt. 20, § 1, e 21, § 1, TFUE) anche in relazione al settore dilettantistico. Si delinea così l’illiceità delle clausole federali sulla nazionalità, delle clausole che fissano la quota degli atleti nazionali nei club o che vadano a limitare il numero degli stranieri comunitari, nonché delle clausole di residenza che possono sortire un medesimo effetto discriminatorio (artt. 18, 19, 45, § 2 TFUE; artt. 20, 21, Carta UE) 43. Sono invece da considerare lecite quelle limitazioni fondate sulla nazionalità che risultino proporzionali e rispondenti al principio di specificità dello sport, così come quelle che riservano ai soli cittadini dello Stato membro la partecipazione alle rappresentative nazionali, intese quale espressione della cultura del territorio 44. Più di recente la Corte è stata chiamata in causa anche per questioni assai eterogenee tra loro che vanno dall’applicazione dell’IVA, all’uso di marchi, ai diritti televisivi, e alle scommesse 45. Circoscrivendo il campo soltanto ai “profili europei” del fenomeno sportivo, in conformità al più volte citato art. 165 TFUE 46, vi è dunque un 41

L. DI NELLA, Il fenomeno sportivo nell’ordinamento giuridico, cit., p. 45. Così M. PIERINI, L’autonomia del fenomeno sportivo, cit., p. 52, che in tema richiama pure le sentenze “Walrave”, punto 5 e “Donà”, punti 12 e 13. 43 L. DI NELLA, op. cit., p. 46. 44 Corte giust. UE, 13 giugno 2019, c. 22/18. 45 M. PIERINI, op. cit., p. 54. 46 Per quanto qui rileva, l’art. 165 TFUE statuisce che: «1. L’Unione contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e, se necessario, sostenendo ed integrando la loro azione nel pieno rispetto della responsabilità degli Stati membri per quanto riguarda il contenuto dell’insegnamento e l’organizzazione 42

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duplice livello normativo: quello nazionale, che può regolare ogni aspetto, e quello europeo che può incidere sui profili europei con interventi non sempre armonizzanti, in cooperazione con le organizzazioni sportive internazionali e i Paesi terzi 47. Si rileva, infine, come nel sistema europeo non trova spazio la distinzione tra regole sportive meramente tecniche, “indifferenti” per l’ordinamento generale e di conseguenze sottratte a qualsiasi ingerenza da parte di quest’ultimo, e regole sportive che toccano invece interessi giuridicamente protetti e sottoposte a controllo giudiziale (in sostanza, un atteggiamento corrispondente a quello della risalente giurisprudenza italiana) 48.

del sistema di istruzione, nonché delle loro diversità culturali e linguistiche. L’Unione contribuisce alla promozione dei profili europei dello sport, tenendo conto delle sue specificità, delle sue strutture fondate sul volontariato e della sua funzione sociale ed educativa. – 2. L’azione dell’Unione è intesa: […] a sviluppare la dimensione europea dello sport, promuovendo l’equità e l’apertura nelle competizioni sportive e la cooperazione tra gli organismi responsabili dello sport e proteggendo l’integrità fisica e morale degli sportivi, in particolare dei più giovani tra di essi. – 3. L’Unione e gli Stati membri favoriscono la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di istruzione e di sport, in particolare con il Consiglio d’Europa». 47 L. DI NELLA, op. cit., p. 46. 48 L. DI NELLA, op. cit., p. 45.

PARTE PRIMA

L’ATTIVITÀ SPORTIVA: ORGANIZZAZIONE, SOGGETTI, CONTRATTI Cap. I. L’organizzazione e i soggetti dell’ordinamento sportivo (E. BATTELLI) Cap. II. L’adesione all’ordinamento sportivo: tesseramento e affiliazione (E. BATTELLI) Cap. III. Il contratto di lavoro nel settore sportivo (G. RAJANI) Cap. IV. Il procuratore (o agente) sportivo (G. RAJANI) Cap. V. Contratti commerciali e sfruttamento dell’immagine (E. BATTELLI) Cap. VI. Gli altri contratti e fenomeni sportivi (P. DODARO)

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Capitolo Primo – L’organizzazione e i soggetti dell’ordinamento sportivo

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CAPITOLO PRIMO

L’ORGANIZZAZIONE E I SOGGETTI DELL’ORDINAMENTO SPORTIVO di Ettore Battelli

SOMMARIO 1. Il Movimento Olimpico e le Olimpiadi moderne. – 2. Il CIO e la Carta Olimpica. – 3. Il CONI. – 4. La riforma del CONI e dello sport italiano del 2021. – 5. La riforma degli Enti sportivi professionistici e dilettantistici. – 6. Le Federazioni sportive. – 6.1. La natura giuridica delle Federazioni. – 6.2. Discipline sportive associate ed Enti di promozione sportiva. – 6.3. Società e associazioni sportive: i sodalizi sportivi. – 7. Gli atleti. – 7.1. Gli atleti disabili e il loro ruolo nell’ordinamento sportivo. – 8. Gli ausiliari sportivi: tecnici, dirigenti e arbitri. – 9. La tutela degli animali impiegati dall’uomo in attività sportive.

1. Il Movimento Olimpico e le Olimpiadi moderne. Le Olimpiadi moderne, dette anche “Giochi olimpici”, sono il complesso di competizioni sportive internazionali istituite nel 1896 per iniziativa del barone francese Pierre de Coubertin (pedagogista e sociologo), che scelse anche il motto olimpico «Citius, altius, fortius» («più veloce, più alto, più forte») 1 e la bandiera dai “cinque cerchi”, ognuno di colore diverso e intrecciati tra loro, a simboleggiare l’unione dei popoli dei cinque continenti.

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Dopo ben 127 anni, alle Olimpiadi di Tokio 2020 (svoltesi nel 2021), cambia il motto olimpico con l’aggiunta di «Communiter» («insieme»), che riconosce il potere unificante dello sport e l’importanza della solidarietà olimpica.

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Le Olimpiadi rappresentano oggi la più grande manifestazione sportiva del mondo e, per un atleta, una medaglia olimpica il massimo successo sportivo. Nel 1894, al termine di un congresso internazionale alla Sorbona di Parigi, si stabilì che i primi Giochi olimpici dell’era moderna si sarebbero svolti ad Atene nel 1896 e si istituì il Comitato internazionale olimpico (CIO) per curarne l’organizzazione. A questi primi Giochi parteciparono 250 atleti in rappresentanza di 13 dei 21 paesi che avevano inizialmente aderito all’iniziativa. Dal 1896 le Olimpiadi vengono organizzate ogni quattro anni (salvo le interruzioni dovute alle due guerre mondiali) dal CIO, ogni edizione in una città diversa di un differente Stato (celebre quella del 1900 a Parigi, in concomitanza con l’Esposizione Universale), per sottolineare il carattere transnazionale dell’iniziativa. Solo nel 2004, le Olimpiadi tornarono nuovamente ad Atene, in un evento di grande significato simbolico che vide la partecipazione di oltre 10.000 atleti, che gareggiarono in ben 28 discipline sportive per un totale di 301 specialità. Alle Olimpiadi dell’era moderna si affiancano, successivamente, dal 1924 anche le Olimpiadi invernali, e dal 1960 le Paralimpiadi dedicate ad atleti disabili. L’obiettivo dei “Giochi Olimpici” sin dall’inizio è stato quello di far rivivere lo spirito dei più famosi giochi “sacri” dell’antichità, che venivano celebrati in onore di Zeus padre degli Dei a Olimpia 2. Tra i più celebri atleti dell’antichità si ricorda Milone di Crotone, lottatore vissuto nel sesto secolo a.C., reso celebre per la sua forza, tanto che si narra come, durante una lezione di Pitagora, Milone si sostituì a una colonna della sala che minacciava di crollare dando così il tempo al Maestro e agli altri discepoli di uscire. Fu l’unico atleta ad avere conquistato una vittoria in ben 6 diverse Olimpiadi dell’antichità. Il più celebre atleta entrato nel mito fu però certamente Ercole (in gre2 Storicamente, però, i giochi olimpici non erano gli unici celebrati dai Greci nell’antichità. Tra gli altri giochi sacri del mondo Greco si ricordano i “Giochi pitici”, in onore di Apollo Pitio, che si celebravano a Delfi il terzo anno da ciascuna Olimpiade (cioè il periodo tra due Giochi olimpici); i “Giochi nemei”, in onore di Archemoro, figlio del re di Nemea, che si celebravano ogni secondo e quarto anno dall’Olimpiade; i “Giochi istmici”, in onore di Poseidone, che si celebravano anche questi ogni due anni sull’istmo di Corinto. Vi era poi anche una serie di giochi minori tra i quali si ricordano i “Giochi panatenaici” in onore di Atena Pallade che si svolgevano dal 566 a.C. ad Atene.

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co antico Eracle) cui si attribuisce persino la fondazione della prima edizione dei giochi, che vide la partecipazione degli “dei” Apollo e Marte. L’Olimpiande fu ripristinata nel 776 a.C. con l’intento di pacificare l’Elide e il Peloponneso, regioni stremate e dilaniate da guerre e carestie. Il regolamento fu inciso su un disco (il disco di Ifito), custodito nel tempio della dea Era, primo documento storico dei giochi. Culturalmente, si segnala che alle gare non erano ammessi stranieri, schiavi e persone disonorate, mentre le donne, alle quali era vietato persino assistere alle gare (almeno fino al 396 a.C.), organizzavano ad Argo propri Giochi, detti “Giochi erei” perché dedicati a Era. Inizialmente, i giochi olimpici consistevano in diversi tipi di corse podistiche alle quali si aggiunsero poi il pentathlon, il pugilato, le corse a cavallo, quelle armate, quelle con i carri e il pancrazio (unione di pugilato e lotta) e dal 776 a.C. proseguirono per tutta l’epoca romana, fino al 393 d.C., quando furono vietati dall’imperatore romano cristianizzato Teodosio I, perché ritenuti uno spettacolo pagano. Fu solo con la scoperta, nel corso dell’Ottocento, delle rovine dell’antica città di Olimpia che l’interesse per lo spirito dei Giochi dell’antichità si rinnovò, di pari passo con la riscoperta dell’importanza dello sport nella vita degli uomini, sia per la loro salute nonché per la formazione dei giovani, sia come strumento di pace tra i popoli. Celebre il brocardo «Mens sana in corpore sano» («mente sana in corpo sano»), locuzione latina tratta da un capoverso delle Satire del poeta Giovenale, in cui quest’ultimo prendeva le distanze dal mondo romano teso a finalizzare l’attività fisica per l’addestramento militare o quale strumento di controllo delle élite sulla massa. Solo nella modernità si giunse ad attribuire alla frase il senso che per aver sane le virtù dell’anima, bisogna aver sane anche quelle del corpo, secondo un modello educativo che salvaguardi l’essere umano nella sua unità psicofisica. In negativo si ricorda l’edizione del 1904 di Saint Louis (USA), la cui sede non facilmente raggiungibile scoraggiò la partecipazione, tanto che dei 496 partecipanti solo 64 provenivano da altri continenti e, aspetto più grave, furono proposte gare sportive riservate ai Neri, ai Pellirosse, ai popoli asiatici, in disaccordo con gli ideali olimpici contrari a qualunque tipo di discriminazione; tanto che De Coubertin non assistette neanche ai Giochi. Ben diverse furono le Olimpiadi di Londra del 1908, con oltre 2.000 atleti di 22 nazioni (68 italiani) che segnarono il vero inizio delle Olimpiadi moderne.

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Nelle successive edizioni andarono definendosi il cerimoniale e i simboli che ancora oggi contribuiscono a mantenerne la solennità e il fascino delle Olimpiadi, malgrado la crescente commercializzazione: la bandiera (approvata nel 1914, utilizzata nel 1920 ad Anversa), il giuramento di un atleta in rappresentanza di tutti i partecipanti (1920), la fiamma olimpica (nel 1928 ad Amsterdam), un villaggio olimpico appositamente costruito (nel 1932 a Los Angeles), la staffetta con la fiaccola che porta la fiamma dall’antica città di Olimpia alla sede dei Giochi (nel 1936 a Berlino, edizione celebrata a fini propagandistici, con mezzi straordinari – compresa la realizzazione del film “Olimpya” – messi a disposizione dal Ministero della cultura e della propaganda del Terzo Reich), nonché la cerimonia di chiusura (dal 1956, a Melbourne) in cui gli atleti del mondo entrano nello stadio non più divisi per nazione di appartenenza, come avviene nella cerimonia di apertura, ma insieme, per indicare l’unità di tutti i partecipanti al termine delle gare. Le Paralimpiadi, organizzate per la prima volta a Roma nel 1960, manifestazione sportiva internazionale dedicata agli atleti con una disabilità fisica, si svolgono due settimane circa dopo le Olimpiadi, nella stessa città ospitante. Anche se già dal 1924, ogni quattro anni, vennero organizzati giochi specifici per gli atleti sordi, detti “Giochi silenziosi”. È importante segnalare che dal 1912 al 1948 le Olimpiadi prevedevano anche i cosiddetti Concorsi d’arte con medaglie per opere di architettura, letteratura, musica, pittura e scultura ispirate allo sport. Nel 1954 i Concorsi sono stati annullati e sostituiti con esposizioni d’arte. Una storia parallela è quella che nella modernità ha riguardato le “Olimpiadi invernali” (per contrapporle ai Giochi Olimpici che usualmente hanno luogo appunto in estate) la cui nascita è dovuta al diffondersi della pratica degli sport invernali, anche se già a Londra nel 1908 era stata introdotta la gara del pattinaggio artistico e nel 1920 ad Anversa pure l’hockey su ghiaccio come disciplina di squadra. Solo dal 1924 le Olimpiadi invernali, difficili da organizzare nei mesi estivi, soprattutto per consentire lo svolgimento di gare di sci, si svolsero ufficialmente a Chamonix, raggruppando tutti gli sport della neve e del ghiaccio. Fino al 1992, le Olimpiadi estive e invernali si svolgevano lo stesso anno; poi è stato deciso di separare le due manifestazioni in modo che quelle invernali non sembrassero più un’appendice di quelle estive. Il cerimoniale è lo stesso, le discipline sportive sono 7 con 15 specialità.

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Occorre precisare che le discipline sportive dei Giochi Olimpici dell’era moderna erano inizialmente 9: atletica leggera, ciclismo, ginnastica, lotta, nuoto, scherma, sollevamento pesi, tennis e tiro sportivo. Come è noto, successivamente se ne aggiunsero molte altre, che il CIO decise di stabilire per dare continuità al programma di giochi, secondo criteri che tenessero conto della loro diffusione nei diversi Paesi del mondo. Il complesso delle regole che presiedono all’organizzazione delle Olimpiadi riveste il cuore dell’ordinamento sportivo internazionale.

2. Il CIO e la Carta Olimpica. I soggetti investiti del potere di dettare le regole vigenti nell’ordinamento sportivo sono a livello sovranazionale il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) e a livello nazionale il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI). Il rapporto tra gli organi nazionali sportivi e le organizzazioni sportive internazionali ha una struttura piramidale con al vertice proprio il CIO, organizzazione internazionale non governativa 3. Il CIO, le Federazioni olimpiche e le Federazioni internazionali non riconosciute sono associazioni di diritto privato regolate dal diritto del Paese in cui hanno la sede 4. Nell’ordinamento sportivo internazionale svolgono un ruolo centrale le seguenti Istituzioni: WADA (Agenzia Mondiale Antidoping), ICAS (Consiglio internazionale per l’arbitrato sportivo), CIFP (Comitato Internazionale per il fair play), WOA (Associazione mondiale degli atleti olimpici), IPC (Comitato Internazionale Paralimpico). La Carta Olimpica qualifica alla Regola 15 lo status giuridico del CIO in termini di «organizzazione non governativa senza fine di lucro, di durata illimitata, costituita come associazione riconosciuta dal Consiglio Federale Svizzero» con sede legale nella città di Losanna, posto al vertice dell’ordi3 F. LATTY, Le Comité International Olimpique et le droit International, Montchrestien, Paris, 2001; M. VELLANO, Il CIO e il governo transnazionale dello sport, in Riv. dir. sportivo, 2017, p. 243 ss.; E. INDRACCOLO, Lo sport italiano nel contesto internazionale, in Rass. dir. e econ. dello sport, 2018, p. 276 ss. 4 M. ZACCHEO, Regolamento FIFA e norme dell’ordinamento italiano, in AA.VV., Fenomeno sportivo e ordinamento giuridico, Atti del 3° Convegno Nazionale SISDiC, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2009, p. 305 ss.

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namento sportivo internazionale, con poteri legislativi, esecutivi e giurisdizionali. Dal CIO promana la Carta Olimpica che rappresenta la fonte principale dell’ordinamento sportivo internazionale. Benché abbia assunto l’attuale denominazione nel 1978, essa deriva da un regolamento scritto dal barone De Coubertin e una prima versione fu adottata nel 1908 per stabilire principi e regolamento delle Olimpiadi, inizialmente riservate esclusivamente alla partecipazione degli uomini “atleti dilettanti”, cioè a quanti avevano la possibilità di dedicarsi a un’attività sportiva nel tempo libero. Accadde così che come nei tempi antichi, le donne vennero escluse e solo lentamente la partecipazione femminile fu introdotta (atletica e ginnastica femminili nel 1928 ad Amsterdam) e poi parificata a quella maschile. Anche il principio del dilettantismo è stato superato dopo aspre polemiche nell’edizione di Seul in Korea, quando il CIO ha dovuto riconoscere che, per ottenere risultati competitivi, l’impegno a tempo pieno risulta necessario. D’altronde, diversamente, il CIO dovrebbe escludere sia gli atleti finanziati dalle rispettive federazioni sia quelli sponsorizzati, cioè la maggior parte dei migliori gli atleti nelle rispettive discipline sportive. Gli unici professionisti ancora esclusi dalle Olimpiadi sono i pugili. Insieme alla Carta Olimpica si segnalano altresì: il Codice Etico, il Codice mondiale antidoping, il Codice dell’arbitrato in materia di sport, il Codice della classificazione e degli standard internazionali per lo sport paralimpico, il Codice medico, nonché i regolamenti delle diverse Federazioni sportive internazionali. La Carta Olimpica, oltre a codificare i principi fondamentali e i valori essenziali del Movimento Olimpico, alla stregua di Carta Costituzionale dell’Olimpismo, rappresenta anche lo statuto del CIO e ne detta le Regole e le Norme di funzionamento e di applicazione, disciplinando i rapporti con le Federazioni internazionali, i Comitati Olimpici nazionali e i Comitati organizzatori dei Giochi Olimpici. Lo sport viene riconosciuto dalla Carta Olimpica come diritto dell’uomo associato alla cultura, dal forte valore educativo. Nella Carta Olimpica trovano riconoscimento il già citato motto olimpico, la bandiera olimpica (cinque anelli intrecciati: da sinistra a destra, rispettivamente, in alto, di colore blu, nero e rosso, e in basso, giallo e verde), il simbolo olimpico, l’inno, la fiaccola (che si trova a Olimpia e che segna il legame con il passato dell’antica Grecia) e la torcia olimpica la cui fiamma è accesa all’inizio delle Olimpiadi (dal tedoforo che raccoglie la

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fiaccola di Olimpia al termine di una staffetta anch’essa simbolica che attraversa diversi Paesi e città rappresentando l’unità dei popoli) e il cui spegnimento segna la “fine dei Giochi”. Gli organi del CIO sono: l’Assemblea generale, la Commissione esecutiva, il Presidente. L’Assemblea generale dei membri del CIO si riunisce una volta all’anno ed è l’organo decisionale del Comitato, al quale competono le scelte da adottare. I suoi compiti sono: emendare e interpretare la Carta Olimpica; eleggere i membri del CIO, il Presidente e i vice-Presidenti e tutti gli altri membri del Comitato esecutivo; individuare la città dove si terranno i Giochi Olimpici. La Commissione Esecutiva del CIO è eletta con votazione segreta e rappresenta l’organo direttivo eletto dall’Assemblea generale, con compiti di gestione finanziaria e amministrazione del CIO. Il Presidente è la massima autorità dell’organizzazione, rappresenta il CIO in tutte le sue attività e nelle occasioni ufficiali, e viene eletto con votazione segreta tra i membri dell’assemblea. Gli obiettivi del CIO sono essenzialmente di carattere educativo, morale, sociale ed etico; si sintetizzano nella promozione del Movimento Olimpico e del dilettantismo sportivo. Cuore dell’organizzazione internazionale è il Congresso olimpico che, ogni otto anni, riunisce tutti i membri del CIO, i delegati in rappresentanza delle Federazioni internazionali, dei Comitati olimpici nazionali e delle altre organizzazioni riconosciute dal CIO. Attraverso la solidarietà olimpica vengono sostenuti i diversi Comitati nazionali e promossi, a livello globale, l’organizzazione di competizioni internazionali e, innanzitutto, tra esse ovviamente i Giochi dell’Olimpiade e i Giochi olimpici invernali 5. Tutti gli introiti derivanti dalle varie manifestazioni (compresi i diritti televisivi e le sponsorizzazioni) sono destinate allo sviluppo e alla promozione del Movimento olimpico e dello sport. Spetta, invece, alle singole Federazioni sportive internazionali, disciplinare i criteri di qualificazione alle Olimpiadi in riferimento a ciascuno sport 5 Si segnalano per la rispettiva attività di promozione degli sport nei giochi Olimpici Estivi e Invernali: l’Association of Summer Olympic International Federations (ASOIF) e l’Association of International Olympic Winter Sports Federations (AIOWF), le quali sono punto di raccordo tra le diverse Federazioni sportive partecipanti ai giochi.

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ammesso alle gare. A tal fine il CIO riconosce una sola Federazione Sportiva Internazionale per ogni disciplina sportiva, delegando la regolamentazione tecnica dei vari sport. Per svolgere le sue funzioni, in ogni Paese il CIO si avvale, infatti, di Comitati Olimpici Nazionali (CON), cui impone il rispetto delle regole olimpiche e con i quali stringe un rapporto fiduciario, fondato sulla spontanea conformità, innanzitutto, dei rispettivi Statuti alle norme del CIO, sulla base dei principi di autonomia, imparzialità e indipendenza 6. L’azione del CIO si caratterizza per l’indipendenza dalla politica degli Stati ed anzi rientra tra i suoi compiti impedire interferenze politiche, tutelando in ciò i singoli Comitati Olimpici nazionali e i Comitati promotori, promuovendo altresì la pace tra le Nazioni (tregua olimpica) 7. È tuttavia noto come episodi di interferenza non siano mancati. Si ricorda tra i più rilevanti (oltre gravissimi episodi terroristici) quanto accaduto nel 1980, allorché gli Stati Uniti e altri 64 Paesi boicottarono i Giochi di Mosca in segno di protesta per l’invasione dell’Afghanistan; ma anche quando l’URSS e 14 Paesi del “blocco sovietico” disertarono nel 1984 i Giochi di Los Angeles sostenendo che gli organizzatori non erano in grado di garantire la sicurezza dei loro atleti in un ambiente ritenuto ostile ai “Paesi comunisti”.

3. Il CONI. Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) è un ente non economico, istituito nel 1914, che rappresenta il vertice dell’ordinamento sportivo italiano (l. 16 febbraio 1942, n. 426), dotato di personalità giuridica di diritto pubblico (d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242). Valenza pubblicistica hanno lo Statuto e i suoi regolamenti. 6 E. MAIO, L’organizzazione dell’attività sportiva, in L. DI NELLA-E. INDRACCOLO-A. LEPORE-P. DEL VECCHIO-S. PALAZZI (a cura di), Manuale di diritto dello sport, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2021, p. 89 ss. 7 Nell’antichità la “tregua olimpica” era vigente in tutta la Grecia per chiunque partecipasse alle grandi feste e ai giochi nazionali; cessavano tutte le inimicizie pubbliche e private, e nessuno poteva essere molestato, specialmente atleti e spettatori che dovessero attraversare territori nemici per recarsi ad Olimpia.

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Sono soggetti dell’ordinamento sportivo italiano oltre il CONI anche le Federazioni Sportive Nazionali (FSN), le Discipline Sportive Associate (DSA), gli Enti di Promozione Sportiva (EPS), i sodalizi sportivi (e cioè le società sportive professionali, non professionali e le associazioni sportive), gli atleti, i dirigenti, i tecnici sportivi, gli ufficiali di gara, i giudici del sistema di giustizia sportiva 8. Appaiono, poi, portatori di interessi sempre più rilevanti da un lato gli sponsor, dall’altra i tifosi (sia singolarmente sia in forma associata), ma anche i procuratori e gli agenti sportivi. Al CONI fanno capo tutti i soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo italiano, indipendentemente dalla Federazione di appartenenza. Sin d’ora si precisa che queste ultime hanno invece natura privatistica, come d’altronde le rispettive Federazioni e Confederazioni internazionali, e le regole che da esse promanano hanno efficacia soltanto nei confronti dei soggetti che ne fanno parte in quanto tesserati o affiliati. Il CONI, nato storicamente come “Federazione delle Federazioni sportive italiane” per consentire la partecipazione degli atleti italiani alle Olimpiadi moderne, sin dagli inizi ebbe un ruolo importante per la diffusione e la promozione dello sport (anche con finalità politiche) 9. Il CONI «presiede, cura e coordina l’organizzazione delle attività sportive sul territorio nazionale» (art. 2, comma 1), detta «i principi fondamentali per la disciplina delle attività sportive e per la tutela della salute degli atleti, anche al fine di garantire il regolare e corretto svolgimento delle gare, delle competizioni e dei campionati» (comma 2), nonché i «principi per promuovere la massima diffusione della pratica sportiva in ogni fascia di età e di popolazione, con particolare riferimento allo sport giovanile sia per i normodotati che, di concerto con il Comitato Italiano Paralimpico, per i disabili» (comma 3). Si segnala il comma 4 dell’art. 2 che, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, detta principi «contro l’esclusione, le diseguaglianze, il razzismo e contro le discriminazioni basate sulla nazionalità, il sesso e l’orientamento sessuale», assumendo e promuovendo «le opportune iniziative contro ogni forma di violenza e discriminazione nello sport». Inoltre, il CONI detta anche i principi per conciliare la dimensione 8 A. BUSACCA, I soggetti, in G. CASSANO-A. CATRICALÀ (a cura di), Diritto dello sport, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2020, p. 73 ss. 9 Durante il fascismo gli furono affidati compiti di «miglioramento fisico e morale della razza» (art. 2, testo previgente).

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economica dello sport con la sua inalienabile dimensione popolare, sociale, educativa e culturale 10. Lo Statuto del CONI 11 si compone di dieci titoli: I) disposizioni generali, funzioni, organi; II) e III) organizzazione centrale e territoriale, disciplina degli organi e delle altre istituzioni che al CONI fanno capo; IV) Federazioni sportive nazionali (ordinamento e requisiti per il riconoscimento); V) Discipline sportive associate (ordinamento e requisiti); VI) Enti di promozione sportiva (ordinamento, requisiti e risorse finanziarie); VII) società e associazioni sportive; VIII) atleti, tecnici sportivi, ufficiali di gara; IX) e X) organizzazione amministrativa del CONI (compresi i procedimenti elettorali, gestione patrimoniale e finanziaria). Tra le principali fonti di produzione del CONI aventi natura regolamentare si segnalano: il Codice di comportamento sportivo (art. 13 bis Statuto CONI), i Principi Fondamentali degli Stati delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate, i Principi di Giustizia Sportiva e il Codice di Giustizia Sportiva con il regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio di Garanzia dello Sport, nonché le Norme Sportive Antidoping. L’art. 4 dello Statuto CONI ribadisce l’autonomia e l’indipendenza del Comitato Olimpico Nazionale Italiano da ingerenze di carattere politico, religioso ed economico, pur dovendosi coordinare con il Governo e il Parlamento per le determinazioni in materia di Sport. Ai sensi dell’art. 8 dello Statuto il Presidente del CONI è il legale rappresentante sia in ambito nazionale che internazionale, eletto dal Consiglio Nazionale e nominato con Decreto del Presidente della Repubblica. Il Presidente del CONI è eletto insieme con i componenti della Giunta del CONI dal Consiglio Nazionale. Il Consiglio Nazionale del CONI è l’organo (composto da 77 membri rappresentativi di tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo italiano) che ha, tra i principali compiti, quello di coordinare l’attività sportiva nazionale, armonizzando l’azione delle singole Federazioni sportive nazionali, in conformità agli indirizzi emanati dal CIO. Il Consiglio delibera in ordine ai 10

A. PANICHELLA, L’organizzazione dell’attività sportiva, in L. DI NELLA-E. INDRACCOLEPORE-P. DEL VECCHIO-S. PALAZZI (a cura di), Manuale di diritto dello sport, cit., p. 95 ss. 11 Modificato da ultimo dal Consiglio Nazionale del CONI il 27 ottobre 2020 con deliberazione n. 1676 e approvato con DPCM del 6 aprile 2021. LO-A.

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provvedimenti di riconoscimento delle Federazioni nazionali, potendone determinare in casi di gravi irregolarità anche il commissariamento. La Giunta del CONI (composta da 17 membri) è l’organo con funzione di indirizzo generale dell’attività amministrativa e gestionale; ai suoi lavori partecipano oltre il Presidente, anche il Segretario Generale e i membri italiani del CIO, nonché un rappresentante del Comitato Paralimpico per gli aspetti connessi alla pratica sportiva dei disabili. Alle sedute assistono anche i componenti del Collegio dei Revisori dei Conti (tre membri, uno designato dal Ministero dell’Economia, uno dalla Presidenza del Consiglio e uno dal CONI). Il Segretario Generale del CONI è l’organo cui spettano funzioni di gestione amministrativa e cura dell’organizzazione generale. È a capo degli uffici dell’ente e ne coordina tutte le attività, predisponendo altresì il bilancio del CONI e provvedendo all’adempimento delle deliberazioni del Consiglio Nazionale e della Giunta. Il CONI, secondo un principio di sussidiarietà, oltre che una struttura centrale è dotato di una organizzazione territoriale (Titolo III) articolata in Comitati Regionali (art. 15 Statuto), Delegazioni Provinciali (art. 16 Statuto) e Fiduciari Locali (art. 17 Statuto). Tali organi rappresentano il CONI nel territorio di competenza e cooperano con gli organi centrali per le azioni svolte da questi ultimi sul territorio; curano e promuovono nell’ambito delle loro competenze i rapporti con le strutture territoriali delle Federazioni Sportive Nazionali (nonché delle Discipline Sportive Associate e degli Enti di Promozione Sportiva), con le Amministrazioni pubbliche, statali e territoriali, nonché con ogni altro organismo competente in materia sportiva. Oggetto di dibattito è se la nozione di sport vada riferita esclusivamente alle attività regolamentate dal CONI. L’opinione, in effetti, non appare condivisibile, peccando di troppo formalismo giuridico, dal momento che assume come criterio di qualificazione delle attività come sportive il dato estrinseco rappresentato dall’atto formale di riconoscimento da parte del CONI. Si pensi al bridge o alla dama, che da quando sono state regolamentate in seno al CONI sono qualificate pacificamente come sport. Ciò non deve sorprendere laddove si pensi al particolare dinamismo che rimodella di continuo le pratiche sportive. Basti pensare al moltiplicarsi delle Federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI o al continuo mutare delle discipline agonistiche ammesse ai Giochi olimpici. L’atto di riconoscimento da parte del CONI riveste carattere dichiarati-

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vo nei riguardi dell’attività in sé e per sé considerata, mentre ha effetti costitutivi rispetto all’associazione che rappresenti la specifica attività sportiva, attribuendo ad essa la natura di Disciplina sportiva associata o di Federazione sportiva. Si tratta, come è evidente, di una questione che è ben diversa e prescinde da quella della soggettività giuridica che preesiste al riconoscimento del CONI ed è, a sua volta, condizione di per sé sufficiente perché un ente sia soggetto giuridico titolare di diritti e doveri, nonché della capacità di agire per il loro esercizio. La personalità giuridica porta con sé quella autonomia patrimoniale che consente di separare il patrimonio dell’ente dai patrimoni personali dei singoli soci o associati, con la conseguente applicazione di un sistema di regole specifiche non applicabili agli enti di fatto 12. L’idea di sport precede non soltanto il legislatore sportivo ma anche il legislatore ordinario. Come dimostra la storia anche recente, non è da escludere che uno Stato debba cedere il passo e venga addirittura costretto a modificare proprie disposizioni normative per renderle compatibili con le regole dello sport. Basti pensare a ciò che accadde nel mondo del calcio in Grecia quando la FIFA costrinse lo Stato Greco a riconoscere adeguata autonomia e indipendenza, con la concreta possibilità di escludere, a titolo di sanzione, la nazionale di calcio dai campionati europei. Vicende simili sono quelle che hanno coinvolto vari ordinamenti sportivi a causa di interferenze dei governi locali sull’amministrazione e sulle procedure elettorali e giurisdionali, delle rispettive Federazioni nazionali, pena sempre la sospensione dalle competizioni internazionali. Dal lato soggettivo, l’estraneità di un’attività al sistema sportivo, quand’anche essa sia coincidente con una disciplina sportiva riconosciuta dal CONI, dipenderebbe dal fatto che il praticante non faccia parte del sistema sportivo istituzionalizzato, in quanto soggetto non tesserato presso alcuna società o associazione sportiva affiliata ad una Federazione o Ente di promozione sportiva o Disciplina sportiva associata inserita nell’organigramma del CONI. L’estraneità dal lato oggettivo dipenderebbe, invece, dal fatto che si tratti di un’attività non compiutamente riferibile ad alcuna disciplina sportiva del CONI, come nel caso di una partita di calcio giocata fuori da un 12

C. ALVISI, Autonomia privata e autodisciplina sportiva. Il CONI e la regolamentazione dello sport, Giuffrè, Milano, 2000.

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campo regolamentare o più radicalmente nei casi in cui si tratti di un’attività non riferibile ad alcuna disciplina sportiva riconosciuta, come nel caso di sport di nuova generazione 13. Quanto all’assetto organizzativo dell’ordinamento sportivo nazionale si deve segnalare che dal 2002, al fine di fronteggiare la grave crisi economica finanziaria maturata a seguito del crollo delle entrate provenienti dai giochi a pronostico (per tutti il Totocalcio), la l. 8 agosto 2002, n. 178, dispose un «Riassetto del CONI» (art. 8) con la creazione della Società per azioni CONI Servizi s.p.a., della quale il CONI poteva avvalersi per lo svolgimento dei suoi compiti 14. In concreto alla CONI Servizi s.p.a. vennero affidate, tra le altre, anche la gestione della Scuola dello Sport, l’Istituto di Medicina e Scienza dello Sport, i centri nazionali di preparazione olimpica ed una generale competenza in tema di impiantistica sportiva. Tale struttura è stata, infine, sostituita da una nuova società per azioni denominata “Sport e Salute s.p.a.”, il cui consiglio di amministrazione e Presidente di nomina governativa non hanno mancato di porre delicate questioni di “svuotamento” delle funzioni del CONI e di indipendenza, oltre che di riparto del finanziamento pubblico, sulle quali il legislatore italiano è nuovamente intervenuto prima nel 2019 e poi nel 2021. Con d.l. 29 gennaio 2021, n. 5 15, il Governo ha difatti adottato misure volte a potenziare maggiormente il CONI e ad assicurarne «la piena operatività e la sua autonomia e indipendenza quale componente del Comitato olimpico internazionale» (art. 1, comma1), pur individuando in “Sport e Salute S.p.a.” il soggetto erogatore dei contributi economici, insieme al CONI, preposto alla preparazione olimpica degli atleti.

4. La riforma del CONI e dello sport italiano del 2021. Il 28 febbraio 2021 il Governo, in attuazione della l. delega 8 agosto 13

G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, Giuffrè, Milano, 2016, p. 5. A. BUSACCA, I soggetti, cit., p. 93 ss. 15 Pubblicata in G.U., 29 gennaio 2021, n. 23 – Serie generale, convertito nella l. 24 marzo 2021, n. 43 (in G.U., 30 marzo 2021, n. 77 – Serie generale), recante «Misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI)». 14

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2019, n. 86 16, al fine di riordinare e semplificare le norme italiane in tema di sport e attività motoria, ha emanato cinque decreti legislativi entrati in vigore lo scorso 6 aprile 2021 17. Allo stato, la riforma è stata differita nella sua applicazione al 1° gennaio 2022 18, con specifico riferimento all’applicazione delle norme che riguardano il contratto di lavoro sportivo, l’abolizione del vincolo sportivo, la disciplina dei rapporti di rappresentanza e di accesso ed esercizio della professione di agente sportivo, nonché quelle concernenti gli impianti sportivi, gli organismi sportivi e le discipline sportive invernali. Notevole è la portata innovativa di tale complessiva riforma dello sport, per l’impianto valoriale alla stessa sotteso e per la trattazione uniforme ed organica di interi ambiti concettuali e normativi. La legge di «Delega al Governo per l’adozione di misure in materia di ordinamento sportivo», oltre a indicare principi e criteri direttivi per il riordino delle normative concernenti i vari ambiti coperti dall’ordinamento sportivo, si poneva, fra gli altri, l’obiettivo di «definire gli ambiti dell’attività del CONI, delle federazioni sportive nazionali, delle discipline sportive associate, degli enti di promozione sportiva, dei gruppi sportivi militari e dei corpi civili dello Stato e delle associazioni benemerite». I cinque Decreti Legislativi delegati attuativi della riforma sono i seguenti: – il d.lgs. n. 36, attuativo dell’art. 5 della legge delega, recante «Riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo»; – il d.lgs. n. 37, attuativo dell’art. 6 della legge delega, recante «Misure in materia di rapporti di rappresentanza degli atleti e delle società sportive e di accesso ed esercizio della professione di agente sportivo»; – il d.lgs. n. 38, attuativo dell’art. 7 della legge delega, recante «Misure in materia di riordino e riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l’esercizio degli impianti sportivi e della normativa in tema di ammodernamento o costruzione di impianti sportivi»; – il d.lgs. n. 39, attuativo dell’art. 8 della legge delega, recante «Semplificazione di adempimenti relativi agli organismi sportivi»; – il d.lgs. n. 16

Pubblicata in G.U. 16 agosto 2019, n. 191. M. PITTALIS, L’attuazione della legge delega 8 agosto 2019, n. 86, in tema di ordinamento sportivo, professioni sportive e semplificazione, in Corr. giur., 2021, p. 737 ss. 18 Si veda la legge “Sostegni bis” approvata in via definitiva il 23 luglio 2021, n. 106, che ha però differito l’entrata in vigore delle nuove norme in materia di lavoro sportivo e di vincolo sportivo al 1° luglio 2022. 17

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40, attuativo dell’art. 9 della legge delega, recante «Misure in materia di sicurezza nelle discipline sportive invernali». Il provvedimento più articolato è sicuramente il d.lgs. n. 36 che: – focalizza l’attività “sportiva” quale fattore «culturale, educativo e sociale», e strumento di «miglioramento della qualità della vita e di tutela della salute, nonché quale mezzo di coesione territoriale»; – individua l’ambito della attività “motoria”, quale strumento di promozione della salute; – promuove l’attività sportiva per il miglioramento della qualità della vita mediante la promozione di «stili di vita corretti» tesi all’inclusione sociale ed al benessere psico-fisico «sia nelle persone sane sia nelle persone affette da patologie»; – promuove l’esercizio dell’attività sportiva da parte di tutti e in condizioni di sicurezza; – riconosce il diritto alla pratica sportiva dei minori e la piena attuazione del loro preminente interesse morale e materiale; – promuove la «pari opportunità delle donne nelle prestazioni di lavoro sportivo», tanto nel settore professionistico quanto in quello dilettantistico; – incentiva la pratica sportiva da parte dei cittadini con disabilità, «quale misura volta ad assicurarne il pieno inserimento nella società civile»; – introduce una disciplina organica del rapporto di lavoro sportivo, a tutela della dignità dei lavoratori e rispettosa della specificità dello sport; – valorizza la formazione e crescita «non solo sportiva, ma anche culturale ed educativa», dei lavoratori sportivi, specialmente dei giovani atleti, nonché una preparazione professionale che ne favorisca l’accesso all’attività lavorativa alla fine della carriera sportiva; – sostiene e tutela il volontariato sportivo; – valorizza la figura del laureato in scienze motorie e dei soggetti forniti di titoli equipollenti. Riprendendo l’unica nozione ad oggi esistente di cui all’art. 2 della Carta Europea dello Sport di Rodi del 1992, la riforma detta (art. 2, comma 1, lett. nn) la prima definizione legislativa di sport: «qualsiasi forma di attività fisica fondata sul rispetto di regole che, attraverso una partecipazione organizzata o non organizzata, ha per obiettivo l’espressione o il miglioramento della condizione fisica e psichica, lo sviluppo delle relazioni sociali o l’ottenimento di risultati in competizioni di tutti i livelli». Strettamente correlata è l’operatività della c.d. “scriminante sportiva” rappresentativa del rischio accettato e condiviso dai singoli partecipanti nell’ambito dell’attività “sportiva”, diversamente dalla attività “motoria” in senso stretto che è invece finalizzata al benessere ed alla tutela della salute, da assicurarsi per lo più nelle c.d. “palestre della salute” da apposite figure a ciò preposte ed in funzione di specifiche caratterizzazioni tecniche della stessa, individuate dall’art. 2, comma 1, lett. e), f), t).

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Gli ulteriori Decreti si pongono i seguenti obiettivi: – d.lgs. n. 37: garantire l’esercizio unitario della funzione di agente sportivo su tutto il territorio nazionale, distinguendone nettamente le competenze rispetto a quelle riservate agli avvocati dalla legislazione nazionale e ferme restando le competenze di questi ultimi in materia di consulenza legale e assistenza stragiudiziale dei lavoratori sportivi, delle società e delle associazioni sportive (art. 3, comma 2 e 3); – d.lgs. n. 38: promuovere e regolare attività di costruzione, ristrutturazione, gestione e sicurezza degli impianti sportivi, compresi quelli scolastici, al fine di favorirne l’ammodernamento, con particolare riguardo alla sicurezza degli stessi e dei loro fruitori e degli spettatori; – d.lgs. n. 39: istituire il “Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche” e promuovere linee guida in relazione ai fattori di rischio di discriminazioni, molestie e violenze in danno di donne e di minori, o per ragioni di etnia, religione, disabilità, età od orientamento sessuale (art. 16); – d.lgs. n. 40: promuovere e garantire anche negli sport invernali livelli di sicurezza più elevati e la più ampia partecipazione da parte delle persone con disabilità (art. 4, comma 2; artt. 34 ss.) 19.

5. La riforma degli Enti sportivi professionistici e dilettantistici. Il d.lgs. n. 36/2021 si occupa di riordinare e riformare la disciplina degli enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché quella del lavoro sportivo. Quanto al primo ambito, vengono innanzitutto delineate all’art. 6, comma 1, le forme giuridiche che gli enti sportivi dilettantistici, essenzialmente connotati dal fine non lucrativo, possono assumere, e cioè: (a) associazione sportiva priva di personalità giuridica, disciplinata dagli artt. 36 ss. c.c.; (b) associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato; (c) società di cui al Libro V, Titolo V, del codice civile. In base al comma 2 dell’art. 6: «Gli enti sportivi dilettantistici, ricorrendone i presupposti, possono assumere la qualifica di enti del terzo settore», ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. t), del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, «e di 19

M. PITTALIS, L’attuazione della legge delega 8 agosto 2019, n. 86, cit., pp. 739-741.

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impresa sociale» ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. u), del d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112, in quanto compatibili. È, dunque, importante evidenziare che risulta ammessa la compatibilità della qualità di associazione o società sportiva dilettantistica e di ente del terzo settore, anche al fine di poter accedere ai vantaggi, fiscali e non, previsti dal Codice del Terzo Settore. Il terzo ed ultimo comma dell’art. 6 prevede che «Gli enti sportivi dilettantistici si affiliano annualmente alle Federazioni Sportive Nazionali, alle Discipline Sportive Associate e agli Enti di Promozione Sportiva. Essi possono affiliarsi contemporaneamente anche a più di un organismo sportivo affiliante». Lo scopo non lucrativo degli enti dilettantistici è compatibile con l’esercizio di attività di natura economica a latere, secondarie e strumentali rispetto a quelle di natura prettamente sportiva (art. 9). Gli enti dilettantistici vedono certificata la propria natura dilettantistica per mezzo della iscrizione all’istituito “Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche” tenuto dal Dipartimento per lo Sport, che, avvalendosi di “Sport e Salute S.p.a.”, esercita le funzioni ispettive, al fine di verificare il rispetto delle disposizioni della riforma (art. 10). Quanto alle società sportive professionistiche, viene confermato l’impianto di cui alla l. n. 91/1981, e cioè, fra l’altro, la forma costitutiva di società per azioni o di società a responsabilità limitata, unitamente alla nomina del collegio sindacale (art. 13, comma 1), lo svolgimento esclusivo di attività sportive ed attività ad esse connesse o strumentali (art. 13, comma 2), la destinazione di una quota parte degli utili, non inferiore al 10 per cento, a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico-sportiva (art. 13, comma 3), l’affiliazione a una (o più) Federazione Sportiva Nazionale prima del deposito dell’atto costitutivo (art. 13, comma 4). Si prevede (art. 13, comma 7) che negli atti costitutivi delle società sportive professionistiche sia contemplata la istituzione di un organo consultivo a tutela degli interessi specifici dei tifosi, che emetta pareri obbligatori ma non vincolanti, composto da non meno di 3 e non più di 5 membri eletti ogni tre anni dagli abbonati alla società sportiva con sistema elettronico. Una serie di norme (artt. 15-18) viene poi dedicata alle persone fisiche, individuate come segue: atleti, tecnici, dirigenti e direttori di gara. Con riguardo agli atleti, si chiarisce la natura del rapporto che si instaura fra atleta e società o associazione sportiva all’atto del tesseramento, configurandolo come “rapporto di natura associativa” e dunque privatistica

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(art. 15, comma 1), che rende il tesserato soggetto dell’ordinamento sportivo (art. 15, comma 2), come tale tenuto alla osservanza delle norme dettate dal CONI, dal CIO, dalla Federazione Nazionale ed Internazionale, Discipline Sportive Associate o Enti di Promozione Sportiva di appartenenza (art. 15, comma 3). Di nota e meritevole di grande considerazione è il Titolo V, dedicato alle «Disposizioni in materia di lavoro sportivo», in cui si rinvengono tre Capi, dedicati, rispettivamente, al «Lavoro sportivo» (artt. 25-38), alle «Disposizioni a sostegno delle donne nello sport» (artt. 39-40) ed a «Disposizioni in materia di laureati in scienze motorie» (artt. 41-42).

6. Le Federazioni sportive. Nell’attività di coordinamento tra dimensione internazionale dello sport e ambito nazionale, un ruolo assai rilevante spetta alle Federazioni Sportive Internazionali (FSI), che curano la regolamentazione della propria disciplina sportiva tramite norme che garantiscano unità e uniformità dell’attività sportiva (o gruppo di attività sportive) e l’omologazione dei risultati, con carattere di autonomia e indipendenza. Il principale compito delle Federazioni Sportive Internazionali è l’organizzazione dei campionati internazionali. Ad esse fanno riferimento le singole Federazioni Sportive Nazionali (FSN), indipendentemente dal riconoscimento o meno della specifica disciplina come sport olimpico rientrante nei Giochi o meno 20. L’autonomia e l’indipendenza delle FSI nell’amministrazione dell’attività sportiva di loro interesse è provata dalla funzione normativa che esercitano, consistente nell’emanazione di statuti, regolamenti e codici sportivi vincolanti per le Federazioni Sportive Nazionali, una volta diventate membri delle rispettive Federazioni Internazionali. La prima Federazione Internazionale è stata la Federation Internationale de Gymnastique, che risulta operativa nel 1881 a Liegi, mentre tra le prime federazioni di inizio novecento si annoverano l’Union Cycliste Internationale del 1900 e l’International Association of Atlethics Federations nel 1913. 20

A. BUSACCA, I soggetti, cit., p. 79 ss.

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Assai note sono la Fédération Internationale de Football Association (più nota con il suo acronimo FIFA, con sede a Zurigo in Svizzera) e a livello intermedio (di carattere continentale) la Union of European Football Associations (UEFA, anch’essa con sede in Svizzera a Nyon, organizzata in forma di società, legalmente costituita e registrata ai sensi del codice civile svizzero nel 1954), le quali sono impegnate nella promozione del giuoco del Calcio rispettivamente a livello mondiale ed europeo, organizzando ciascuno proprie competizioni e tornei 21. Spettò poi alla Carta Olimpica stabilire i requisiti di riconoscimento delle Federazioni Sportive Internazionali, al fine di determinarne gli Statuti e le norme comuni come il Codice Antidoping del Movimento Olimpico. A livello intermedio tra dimensione internazionale del CIO e delle Federazioni Sportive Internazionali e nazionali si pongono enti attivi a livello sovranazionale (a carattere continentale). Si pensi in generale all’European Olympic Commitees (COE), che federa tutti i Comitati Olimpici Nazionali (CON) d’Europa riconosciuti dal CIO al fine di promuovere i principi olimpici in Europa. Ai singoli Statuti delle Federazioni Sportive spetta regolare l’organizzazione interna: il Presidente, il Segretario, l’Assemblea (con funzioni elettive, di approvazione del bilancio, e più in generale deliberative e/o consultive; composta da diverse componenti e costituita dai delegati di società ed associazioni, nonché talvolta da singoli associati, rappresentativi delle varie componenti dei soggetti tesserati), l’Organo Esecutivo (Giunta/Consiglio Federale; con funzioni direttive/organizzative e attuative delle delibere assembleari) e gli Organi di Giustizia. Ciascuna Federazione Sportiva Nazionale ha piena autonomia anche nell’organizzazione periferica con delegazioni e assemblee territoriali, tramite le quali promuove gare e competizioni in ambito nazionale, favorendo la crescita e la diffusione della pratica sportiva, in condizioni di uguaglianza e pari opportunità, con appositi programmi di formazione. In Italia la più antica Federazione sportiva è la Federazione Ginnastica Italiana (FGI), fondata nel 1869 a Venezia, seguirono la Federazione Ciclistica Italiana (FCI) nel 1894, la Federazione Italiana Di Atletica Leggera (FIDAL) nel 1897 (con la denominazione Unione Podistica Torinese per poi assumere l’attuale denominazione dal 1926) , la Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) nel 1898, la Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti 21

E. MAIO, L’organizzazione dell’attività sportiva, cit., p. 92 ss.

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Marziali (FIJLKAM) nel 1902 e la Federazione Italiana Tennis (FIT) nel 1910. Sarà poi la l. n. 426/1942 che riconoscerà le 24 Federazioni Sportive Nazionali esistenti all’epoca come «organi del CONI», «con regolamenti interni, approvati dal Presidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, le norme tecniche ed amministrative per il loro funzionamento e le norme sportive per l’esercizio dello sport controllato», con poteri al CONI di riconoscere nuove FSN (una sola Federazione sportiva nazionale per ogni sport, mentre è ammesso che una Federazione sportiva nazionale possa disciplinare più sport come accade per la Federazione Di Atletica Leggera – FIDAL) 22. Con la l. n. 242/1999 (c.d. “Decreto Melandri”) si procederà alla c.d. “privatizzazione” delle Federazioni Sportive Nazionali di cui si dirà di seguito. All’interno di una Federazione possono, poi, essere costituite Leghe di società o di atleti, sorte per iniziativa degli stessi soggetti partecipanti per soddisfare le esigenze di rappresentatività endofederale. Le Leghe, dotate di ampi poteri di autogoverno e autoregolazione (es.: organizzazione dell’attività agonistica delle proprie associate, mediante la compilazione del calendario dei campionati; criteri di iscrizione; omologazione degli impianti sportivi), sono organismi riconosciuti dalle rispettive Federazioni come enti di natura privatistica, rappresentativi di società ad esse affiliate in possesso del titolo sportivo per partecipare ad uno stesso campionato. La prima a costituirsi è stata nel 1946 la Lega Calcio; cui seguì negli anni ’70 nella pallacanestro la Lega maschile di serie “A”, quella femminile e quella dei campionati inferiori. Lo stesso per la pallavolo 23.

6.1. La natura giuridica delle Federazioni. Alle Federazioni Sportive Nazionali è oggi riconosciuta dalla legge (d.lgs. n. 242/1999) natura privatistica: associazioni con personalità giuridica di diritto privato, senza scopo di lucro. Gli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali (e delle Discipline Spor22 23

A. BUSACCA, I soggetti, cit., p. 98. A. PANICHELLA, L’organizzazione dell’attività sportiva, cit., pp. 118-119.

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tive Associate) con i regolamenti federali (compresi quelli tecnici, quelli di giustizia e di disciplina) rappresentano le fonti di natura privatistica dell’attività sportiva cui sono soggetti tutti gli affiliati e i tesserati alla Federazione, in conformità ai principi stabiliti dal CONI e nel rispetto delle deliberazioni e degli indirizzi della rispettiva Federazione Internazionale riconosciuta dal CIO. Si precisa, preliminarmente, che lo Statuto e i Regolamenti della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) fungono nel sistema sportivo italiano da modello di riferimento per gli altri settori sportivi. Si discute se, data la qualifica di organi del CONI, attribuita dall’abrogata l. n. 426/1942 alle Federazioni Sportive, queste ultime conservino una qualche valenza anche pubblicistica. Alle Federazioni, in effetti, è stata riconosciuta anche dopo la riforma del 1999 una natura giuridica ambivalente, tanto da parlarsi di una natura giuridica c.d. “mista” 24: pubblicistica, quanto esse assumono la qualifica di organi del CONI 25; privatistica, quanto esercitano autonomia tecnica, organizzativa e gestoria 26. È comunque prevalente l’opinione secondo la quale fondamento del potere statutario e regolamentare esercitato dalle Federazioni Sportive è il più generale potere di autonomia privata che l’art. 1322 c.c. riconosce in capo ad ogni soggetto che appartenga all’ordinamento giuridico dello Stato Italiano. Risulta quindi chiara la differenza tra le norme promananti dal CONI che hanno efficacia nei confronti di tutti i soggetti dell’ordinamento sportivo italiano e le norme delle singole Federazioni Sportive che hanno efficacia soltanto all’interno delle stesse Federazioni verso i loro associati. I rapporti tra diritto e regolamenti federali, considerati atti di autonomia privata associativa (assoggettati alle disposizioni del Codice Civile 27), sono governati dal principio della specificità dello sport 28, il quale insieme 24

A. PANICHELLA, L’organizzazione dell’attività sportiva, cit., p. 112. Cass., 18 aprile 2019, n. 10820, in Rep. Foro it., 2019, voce Sport, n. 67. 26 Cass., 25 febbraio 2000, n. 46, in Foro it., 2000, I, c. 1625 ss.; Cass., Sez. Un., 11 ottobre 2002, n. 14530, in Rep. Foro it., 2002, voce Sport, n. 60. 27 Si parla anche di atti di autonomia organizzativa contrattuale frutto di un’attività di natura prettamente privatistica delle Federazioni, espressione del potere di autodeterminazione riconosciuto agli enti privati (ex art. 16 ss. c.c.) dall’ordinamento statale; cfr. Cass., Sez. Lav., 3 agosto 2007, n. 17067, in Rep. Foro it., 2007, voce Sport, n. 104. 28 Tra le altre si veda Corte giust., 15 dicembre 1995, c. 415/93. 25

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al principio di proporzionalità costituisce lo strumento di valutazione della legittimità delle clausole contenute nei regolamenti sportivi posto a presidio dei principi di uguaglianza e democraticità, nonché delle caratteristiche dello sport ritenute meritevoli di tutela 29. Tramite l’argomento della specificità la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE ha richiamato i principi sottesi allo sport e li ha bilanciati con quelli del diritto primario, facendoli prevalere anche sulle libertà fondamentali del Trattato allorché siano espressione di meccanismi essenziali per il funzionamento del sistema sportivo (ad es., equilibrio dei concorrenti e incertezza dei risultati) o per la realizzazione dei suoi valori precipui (ad es., solidarietà, etica sportiva, composizione delle squadre nazionali quale valore culturale) e siano attuati con misure proporzionate alla protezione degli interessi in giuoco 30. La giurisprudenza ha più volte posto al centro più che la natura delle Federazioni Sportive l’attività funzionalmente svolta, riconoscendo talora la giurisdizione del giudice ordinario 31, come in materia di rapporti di lavoro e condotte infedeli degli amministratori (Cass. civ., Sez. Lav., 3 novembre 2015, n. 22418), e talaltra quella del giudice amministrativo, come nel caso di applicazione del Codice degli appalti pubblici (TAR Lazio, 13 aprile 2018, n. 4100) 32. Tra le attività di rilevanza pubblicistica svolta dalle Federazioni Sportive Nazionali, ai sensi dell’art. 23 dello Statuto del CONI, vi sono quelle di: curare la partecipazione degli atleti alle competizioni internazionali; formare atleti e tecnici; assicurare il regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi all’interno del territorio nazionale; vigilare sull’utilizzazione dei contributi pubblici; prevenire e contrastare il doping; curare la preparazione olimpica di alto livello favorendo la partecipazione degli atleti alle Olimpiadi; assicurare l’utilizzo e la gestione degli impianti sportivi pubblici (cfr. TAR Lazio, 5 maggio 2020, n. 4693). 29 L. DI NELLA, Le federazioni sportive nazionali dopo la riforma, in Riv. dir. sportivo, 2000, p. 53 ss. 30 Detto principio è stato utilizzato dalla Corte di giustizia anche nel noto caso MecaMedina per giudicare della legittimità della disciplina antidoping, in cui viene considerata l’attività sportiva in sé e non la natura giuridica delle norme sportive. Così Corte giust., 18 luglio 2006, David Meca-Medina e Igor Maicen c. Commissione, in Rass. dir. ed econ. dello sport, 2007, p. 85 ss. 31 Cass., Sez. Un., 23 marzo 2004, n. 5775, in Giust. civ., 2005, I, p. 1629 ss. 32 A. BUSACCA, I soggetti, cit., p. 100 s.

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6.2. Discipline sportive associate ed Enti di promozione sportiva. Le Discipline Sportive Associate (art. 24 e 25 dello Statuto CONI) sono enti preposti all’organizzazione e gestione delle attività sportive relative a discipline che non godono della qualificazione di “sport olimpico”, in quanto non inserite nei programmi del CIO ma che tuttavia presentano una organizzazione e articolazione delle attività, anche agonistiche, di considerevole livello di pratica e diffusione 33. Esse sono associazioni senza scopo di lucro con personalità di diritto privato, composte dalle associazioni e società sportive e, nei casi previsti dagli Statuti, anche dai singoli tesserati, che per poter svolgere la propria attività devono ottenere il riconoscimento da parte del CONI. Ai fini del riconoscimento, l’art. 24 dello Statuto del CONI individua i seguenti requisiti: – lo svolgimento, in ambito nazionale, di una attività sportiva (anche di rilevanza internazionale) che preveda organizzazione e svolgimento di competizioni, nonché attuazione di programmi di formazione per atleti e tecnici; la presenza di una “consistenza quantitativa” del movimento sportivo; una struttura organizzativa basata su regolamenti e principi di democraticità, con la partecipazione delle diverse componenti di genere; l’assenza di fine di lucro; una tradizione sportiva. In caso di inserimento dell’attività nel programma CIO con acquisizione della qualifica di “sport olimpico”, la Disciplina Sportiva Associata porrà in essere quanto richiesto per assumere la forma di Federazione Sportiva. A differenza tanto delle Federazioni Sportive quanto delle Discipline Sportive, che si caratterizzano entrambe per essere preposte all’organizzazione di singole discipline sportive (o gruppi di discipline affini), gli Enti di Promozione Sportiva (EPS), riconosciuti dal CONI solo nel 1976, sono associazioni con personalità di diritto privato indirizzati alla promozione e divulgazione delle attività sportive con finalità ricreative e formative, caratterizzate dall’assenza dello scopo di lucro e senza la possibilità di organizzare attività agonistica o di partecipare ad attività sportive internazionali (artt. 26-28, Statuto CONI). Anche sotto il profilo storico gli Enti di Promozione Sportiva, nell’ambito dell’associazionismo italiano e di quello sportivo in particolare, si sono contraddistinti per una funzione sociale più che agonistica, spesso strettamente collegata all’impegno civile, religioso o politico. Si segnalano in par33

A. BUSACCA, I soggetti, cit., p. 104 ss.

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ticolare: l’Unione Italiana Sport Per tutti (UISP), l’Unione Sportiva ACLI, le Polisportive Giovanili Salesiane (PGS), il CUSI (Centro Universitario Sportivo Italiano; riconosciuto come Ente dotato di personalità giuridica con D.P.R. n. 770/1968, con la finalità di promuovere lo «sviluppo dello sport universitario»).

6.3. Società e associazioni sportive: i sodalizi sportivi. L’associazionismo sportivo rappresenta il cuore dell’ordinamento sportivo. Le associazioni e le società sportive sono organizzate, in conformità all’art. 18 Cost. e alle norme del Codice civile, consentendo la diffusione della pratica sportiva su tutto il territorio nazionale, con forti radici nella tradizione delle comunità locali 34. Prescindendo dalla specifica forma giuridica, società e associazioni sportive, sono comunemente indicate come “sodalizi sportivi”, intendendo con tale espressione gli enti sportivi organizzati secondo le regole previste dal Libro I o dal Libro V del Codice civile (o da leggi speciali), che acquisiscono poi lo status di soggetto dell’ordinamento sportivo tramite l’affiliazione ad una Federazione Sportiva Nazionale o ad una Disciplina Sportiva Associata. Il comma 4 dell’art 29 dello Statuto CONI indica i doveri derivanti dallo status di soggetto dell’ordinamento e tra essi, innanzitutto, quello di esercitare con lealtà sportiva le loro attività, osservando i principi, le norme e le consuetudini sportive, salvaguardando la funzione educativa, sociale e culturale dello sport, anche a fini di crescita della comunità di appartenenza. Si comprende, quindi, il perché i sodalizi sportivi devono indicare la pratica sportiva come scopo ed oggetto sociale primario. La rete costituita in ambito nazionale dalle Associazioni Sportive Dilettantistiche rappresenta, per dimensioni e caratteristiche, una realtà significativa nell’ambito dell’attività sportiva no-profit, indirizzandosi alla tutela e alla promozione dei valori dello sport come veicolo di crescita e integrazione sociale, ponendosi, sotto diversi aspetti, in una posizione di rilevanza centrale nell’ambito del Terzo Settore. Si guarda in tal senso con crescente interesse alla riforma degli Enti del Terzo Settore di cui alla l. n. 117/2017 (“Codice del Terzo Settore”; e rela34

A. BUSACCA, I soggetti, cit., pp. 109-114.

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tivi decreti attuativi tra i quali da ultimo il D.M. 19 maggio 2021, n. 107 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, entrato in vigore il 10 agosto 2021, e il D.M. 15 settembre 2020, n. 106, sempre del Ministero del Lavoro, relativo al “Registro unico nazionale del Terzo settore” – RUNTS), anche per le agevolazioni fiscali previste, in particolare per le associazioni e società sportive dilettantistiche, che rappresentano la struttura portante degli Enti di Promozione Sportiva 35. Per altro verso, le attività economiche legate allo sport hanno subito una evoluzione così significativa che l’evento sportivo è sempre più divenuto anche un “prodotto” da offrire sul mercato. Parimenti, la stessa portata degli investimenti in tali settori sportivi risulta così elevata da mal conciliarsi con l’assenza dello scopo di lucro 36. L’assetto organizzativo in forma d’impresa sportiva allora diventa persino necessario per assicurare una continuità competitiva agonistica ad alti livelli o semplicemente una programmazione di lungo periodo (si pensi, banalmente, ad una scuola di addestramento o ad un sistema di ricerca e selezione dei migliori talenti). E non manca la necessità di gestire servizi commerciali connessi allo svolgimento dell’attività sportiva in senso stretto, nonché di disporre di impianti sportivi di proprietà, oltre ai numerosi contratti di lavoro con i c.d. ausiliari sportivi. Deve considerarsi che un’impresa sportiva è comunque tenuta tanto al rispetto delle norme della Federazione Sportiva di affiliazione quanto della disciplina di diritto privato dettata dall’ordinamento civile. Ecco perché il procedimento di costituzione di una società sportiva si articola nelle seguenti fasi: 1) stipula dell’atto costitutivo; 2) affiliazione presso una Federazione di appartenenza, in base all’attività sportiva esercitata; 3) iscrizione nel registro delle imprese; 4) deposito dell’atto costitutivo presso la Federazione di appartenenza. Successivamente, ogni società professionistica così costituita dovrà dare comunicazione alla Federazione di ogni eventuale modifica dello Statuto o delle cariche sociali 37. 35 G. BEVIVINO, Responsabilità sociale dell’impresa. Strumenti attuativi e rimedi, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2018; A. FICI, Un diritto per il terzo settore. Studi sulla riforma, Editoriale scientifica, Napoli, 2020. 36 G. BRUNO, Lo statuto dell’impresa sportiva, in L. DI NELLA-E. INDRACCOLO-A. LEPORE-P. DEL VECCHIO-S. PALAZZI (a cura di), Manuale di diritto dello sport, cit., p. 207 ss. 37 G. BRUNO, Le società professionistiche, in L. DI NELLA-E. INDRACCOLO-A. LEPOREP. DEL VECCHIO-S. PALAZZI (a cura di), Manuale di diritto dello sport, cit., p. 211.

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7. Gli atleti. I protagonisti dell’attività sportiva sono gli “Atleti”, che sono i soggetti che esercitano una attività sportiva. L’art. 31 dello Statuto del CONI indica alcune caratteristiche e obblighi che derivano dall’appartenenza all’ordinamento sportivo degli atleti, i quali attraverso il tesseramento, direttamente a una Federazione Sportiva Nazionale, a una Disciplina Associata o a un Ente di Promozione Sportiva, nonché tramite inquadramento presso una associazione o società sportiva, assumono l’obbligo di esercitare con lealtà sportiva le loro attività, osservando nella pratica dello sport i principi, le norme e le consuetudini sportive, conformi ai dettami e agli indirizzi del CIO e del CONI, nell’ambito della disciplina praticata e regolata dalle competenti Federazioni Sportive Nazionali e Internazionali. Al riguardo, deve considerarsi che le stesse Federazioni Sportive Nazionali possono prevedere differenti modalità di pratica sportiva, distinguendo attività sportive amatoriali e attività agonistiche, nonché nell’ambito di queste ultime l’esercizio di attività dilettantistica e quella professionistica 38. Gli atleti sono classificati poi nell’ambito delle singole Federazioni Sportive Nazionali in base ad altri parametri relativi all’età (under 18, under 21, ecc.), alle caratteristiche fisiche (si pensi al pugilato) o all’abilità maturata (ad esempio nel sollevamento pesi o nel nuoto; più in generale in base a: forza, velocità e resistenza). Nell’ambito della più generale categoria degli atleti, merita una considerazione la situazione delle atlete che, quantunque partecipino all’attività sportiva secondo un principio di pari opportunità, si caratterizza per evidenti discriminazioni; basti pensare, oltre alla scarsa presenza di donne negli organi di governo dello sport e in ambito societario, anche alle Federazioni Sportive, comprese quelle che hanno riconosciuto il professionismo, che relegano il settore femminile tra i non professionisti (e i dilettanti).

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A. BUSACCA, I soggetti, cit., p. 116.

Capitolo Primo – L’organizzazione e i soggetti dell’ordinamento sportivo

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7.1. Gli atleti disabili e il loro ruolo nell’ordinamento sportivo. Di particolare rilievo è sicuramente la crescita del Movimento Paralimpico in cui, in applicazione di regole di classificazione specifiche, gli atleti vengono suddivisi in condizione di disabilità permanente in gruppi distinti nelle principali discipline sportive. Gli standard internazionali indicano i requisiti tecnici e operativi di classificazione cui si uniformano anche le singole Federazioni sportive nazionali. L’attenzione verso l’esercizio dell’attività sportiva da parte dei soggetti disabili, sebbene sia abbastanza recente, ha in effetti assunto una rilevanza progressivamente sempre maggiore 39. Risulta centrale sicuramente l’acquisita consapevolezza che la crescita armoniosa e il pieno inserimento sociale delle persone disabili passa anche attraverso la valorizzazione del loro ruolo nello sport. La pratica sportiva organizzata per gli atleti disabili già si svolgeva nel 1888 a Berlino grazie alle prime società per non udenti. La prima manifestazione sportiva che ha visto la partecipazione di atleti disabili è stata quella dei Giochi di Stoke Mandeville del 1948 in cui gareggiarono atleti affetti da patologie al midollo spinale. Successive categorie furono quelle degli sportivi disabili privi di arti, non vedenti e sordomuti, che costituirono specifiche associazioni sportive per prendere parte ai Giochi, con un coinvolgimento via via crescente di soggetti. Bisognerà aspettare le Olimpiadi di Roma del 1960 per i primi Giochi Paralimpici ufficiali. Nel 1987 nacque il Comitato Paralimpico Internazionale (ICP), un’associazione di diritto privato senza scopo di lucro, avente il compito di organizzare i Giochi Paralimpici nonché promuovere lo sport per i soggetti disabili, secondo principi di pari opportunità, uguaglianza e inclusione sociale, garantita a tutti i livelli, dalla condivisione non solo dei valori olimpici ma anche da quelli incentrati sulla persona dell’atleta. Il Comitato Paralimpico Internazionale (ICP) riunisce le Federazioni Internazionali (IF), le Organizzazioni Regionali e le Organizzazioni Internazionali dello Sport per i Disabili (IOSD), le quali cooperano per lo sviluppo del para-sport a livello mondiale. 39

R. LANDI, Lo status degli sportivi disabili ed il loro ruolo nell’ambito del sistema sportivo, in L. DI NELLA-E. INDRACCOLO-A. LEPORE-P. DEL VECCHIO-S. PALAZZI (a cura di), Manuale di diritto dello sport, cit., p. 116 ss.

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L’ICP ha redatto nel 2007 una classificazione ufficiale degli sport per disabili, basata sulla tipologia e il grado di handicap, la quale è prodromica alla creazione di categorie degli sport per i disabili. Le Federazioni Internazionali (IF) aderenti al Comitato Paralimpico Internazionale sono Federazioni sportive indipendenti, riconosciute dall’ICP come unici rappresentanti di uno sport paralimpico. Le Organizzazioni Internazionali di Sport per Disabili (IOSD) sono, invece, organizzazioni indipendenti riconosciute dall’ICP come unici rappresentanti di uno specifico gruppo di disabilità. Tra queste organizzazioni internazionali si annovera l’IBSA (International Blind Sport Association) istituita nel 1989 con l’obiettivo di organizzare gare e attività sportive che consentano a sportivi non vedenti o ipovedenti di competere in condizioni di parità. Altre IOSD da menzionare sono l’INAS (International Sports for Person with Intellectual Disability) creata nel 1986 per promuovere sport per atleti affetti da disabilità intellettiva, autismo e sindrome di down, e l’IWAS (International Wheelchair and Amputy Sports Federation) che favorisce lo sviluppo delle discipline sportive per soggetti in sedia a rotelle e con arti amputati. In Italia la prima normativa in materia è quella introdotta con la l. 15 luglio 2003, n. 189, recante «Norme per la promozione della pratica dello sport da parte delle persone disabili» che, tra l’altro, ha istituito il Comitato Paralimpico Italiano (CIP), con sede a Roma e con personalità giuridica di diritto pubblico, dotato di autonomia quale «Confederazione delle Federazioni Sportive Paralimpiche (…) e delle Discipline Sportive Paralimpiche da esso riconosciute». Il CIP, sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio, ha il compito di gestire e organizzare le attività sportive praticate dalle persone disabili, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Comitato Internazionale Paralimpico. Si tratta di funzioni prima assegnate alla Federazione Italiana Sport Disabili (FISD), costituita nel 1990. Deve in materia segnalarsi il dibattito relativo al principio per il quale l’equilibrio nelle competizioni possa giustificare o meno l’impedimento di atleti disabili a prendere parte agli eventi sportivi cui partecipano atleti “normodotati” e, più in generale, quale sia la ratio di un’organizzazione sportiva separata per gli atleti disabili rispetto ad un ampliamento dell’ambito delle attività sportive della varie Federazioni 40. 40

R. LANDI, Lo status degli sportivi disabili, cit., p. 116 ss.

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Anche la questione delicata dei c.d. vantaggi competitivi che potrebbero derivare ai disabili dall’impiego di supporti necessari ad integrare le loro ridotte capacità motorie per consentire la partecipazione alle varie competizioni trova un limite nella regola generale, di portata internazionale, valevole quindi anche nell’ordinamento sportivo italiano, in base alla quale è precluso all’atleta il ricorso a supporti tecnici di cui non dispongano gli atleti concorrenti, idonei a determinare un vantaggio nelle gare. Se così fosse l’adozione di uno strumento tecnico che non si riveli idoneo ad incidere sulla qualità e sul livello della prestazione atletica non dovrebbe essere motivo di differenziazione o tanto meno esclusione 41. Celebre il caso del velocista sudafricano Oscar Pistorius, ammesso dopo una disputa con l’IAAF (Associazione Internazionale delle Fondazioni Atletiche), risolta nel 2008 con la sua ammissione a partecipare alle Olimpiadi di Pechino dello stesso anno e a quelle di Londra del 2012, correndo con protesi in fibra di carbonio al posto delle gambe, riuscendo a qualificarsi per la gara dei 400 metri e giungendo in semifinale 42.

8. Gli ausiliari sportivi: tecnici, dirigenti e arbitri. L’espressione “ausiliari sportivi” viene usualmente utilizzata per indicare un insieme eterogeneo di soggetti persone fisiche che partecipano, a diverso titolo e con diverse funzioni, pure strumentali, alla realizzazione delle attività sportive, anche nelle fasi che le precedono o le seguono, curandone l’organizzazione (gli organizzatori), la gestione societaria (i dirigenti), la preparazione atletica (i tecnici), la regolarità dello svolgimento delle competizioni (arbitri e giudici di gara). I dirigenti sportivi (federali, di società o associazioni sportive) sono soggetti che ricoprono un ruolo di orientamento, gestione e direzione, presso società sportive o Federazioni sportive e simili. Mentre i dirigenti presso le Federazioni sportive divengono soggetti dell’ordinamento sportivo all’atto 41

Si segnala la proposta giuridica e culturale di L. DI NELLA, Lo sport per disabili tra integrazione e segregazione, in Rass. dir. e econ. dello sport, 2008, p. 260 ss., di passare dal concetto di «sport per disabili» a quello di «disabili nello sport». 42 Altro caso celebre quello di Casey Martin, atleta disabile ammesso dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America a prendere parte alle finali del campionato professionistico di golf americano, utilizzando una macchinetta elettrica per spostarsi da una buca all’altra.

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della loro nomina, i dirigenti che operano all’interno delle associazioni o delle società sportive lo divengono all’atto del tesseramento presso l’ente di appartenenza 43. Ad essi si rivolge l’art. 13-bis dello Statuto del CONI vincolandoli al rispetto dei doveri di lealtà, correttezza e probità sportiva, nonché al Codice di Comportamento sportivo, con applicazione dei rispettivi Codici di Giustizia Federale per le ipotesi di illecito sportivo e conseguente irrogazione delle sanzioni 44. Grande rilevanza assume tra gli ausiliari dello sport il c.d. “settore tecnico” cui tutte le Federazioni dedicano particolare attenzione, considerato che (come affermato all’art. 9 del Regolamento settore tecnico della FIGC) spetta ai tecnici tutelare e valorizzare il potenziale atletico dei singoli atleti e delle società/associazioni per le quali sono tesserati, curandone la formazione tecnica, nonché promuovendo la conoscenza delle norme regolamentari e sanitarie. L’importanza e la centralità del settore tecnico ha trovato espressione nel riconoscimento del diritto di rappresentanza in seno agli organi centrali del CONI (Consiglio Nazionale e Giunta Nazionale). Come requisito di eleggibilità occorre essere in attività o esserlo stati da non più di otto anni dalla data delle elezioni (art. 34 Statuto CONI). Con riferimento alla categoria dei tecnici deve tenersi conto del fatto che essa riguarda un gruppo variegato di soggetti e tra essi innanzitutto coloro che hanno compiti di controllo e preparazione degli atleti e in particolare gli allenatori, che la l. n. 91/1981 contempla espressamente insieme con il preparatore atletico e i direttori tecnici sportivi tra i soggetti che possono avere la qualifica di sportivi professionisti. Rientrano nella categoria degli ausiliari “tecnici” anche gli accompagnatori di squadra, gli addetti agli arbitri, nonché i medici sociali, i collaboratori parasanitari e gli operatori sanitari veri e propri (fisioterapisti, massaggiatori, capi bagnini degli stabilimenti idroterapici, ecc.). L’art. 32 dello Statuto del CONI sottolinea come i tecnici, inquadrati presso le società e le associazioni sportive riconosciute dalle rispettive Federazioni, sono soggetti dell’ordinamento sportivo che devono «esercitare 43

G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 101. A titolo esemplificativo il Codice di Giustizia della FIGC ai commi 1 e 2 dell’art 6 dispone: «1. La società risponde direttamente dell’operato di chi la rappresenta ai sensi delle norme federali. – 2. La società risponde ai fini disciplinari dell’operato dei dirigenti, dei tesserati e dei soggetti di cui all’art. 2, comma 2». 44

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con lealtà sportiva le loro attività, osservando i principi, le norme e le consuetudini sportive, tenendo conto in particolare della funzione sociale, educativa e culturale della loro attività». Particolare attenzione merita la figura dell’istruttore sportivo, soggetto ad un particolare regime aggravato di responsabilità per i danni cagionati all’allievo e dall’allievo nel tempo in cui l’istruttore presta la sua attività (art. 2048, comma 2, c.c.). Il fondamento del regime di responsabilità aggravata a carico dell’istruttore sportivo va riferito al rapporto sussistente tra allievo e maestro e all’affidamento che il primo ripone nel secondo. Ciò spiega perché l’applicabilità del regime di responsabilità ex art. 2048, comma 2, c.c. vada riconosciuta soltanto in presenza di un rapporto perdurante nel tempo, anche se contenuto in spazi di tempo molto limitati (come nel caso di una lezione di tennis settimanale) e vada esclusa, invece, nell’ipotesi di una singola lezione resa occasionalmente 45. Gli arbitri o ufficiali di gara (ma anche ufficiali di campo, commissari, segnapunti, osservatori, ecc., secondo le diverse denominazioni contenute nei regolamenti federali) sono soggetti preposti ad assicurare il rispetto delle regole di gara, la rilevazione delle violazioni commesse nell’ambito della stessa e l’irrogazione delle relative sanzioni. Si tratta di una categoria di soggetti dell’ordinamento sportivo alla quale l’art. 33 dello Statuto del CONI riserva specifica attenzione, avendo cura di prevedere che «nella qualifica loro attribuita» dalla competente Federazione, Disciplina Sportiva o Ente di Promozione Sportiva di appartenenza, «senza vincolo di subordinazione» ad essi sia affidato lo «svolgimento delle manifestazioni sportive per assicurarne la regolarità» (comma 1), con l’impegno a svolgere le proprie funzioni «con lealtà sportiva, in osservanza dei principi di terzietà, imparzialità e indipendenza di giudizio» (comma 3). Le qualifiche possono variare a seconda non solo dei diversi Enti/Federazioni di appartenenza ma anche in relazione al livello delle competizioni, alla “serie” o alla dimensione della manifestazione (locale, regionale o nazionale). 45 G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 100: «In altri termini, non è la qualifica rivestita dal maestro che determina l’attrazione della fattispecie nell’alveo dell’art. 2048 c.c., bensì l’esistenza di un concreto rapporto di trasmissione del sapere tra docente e discente» (cfr. Cass. civ., Sez. III, 15 gennaio 2003, n. 482).

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Una questione delicata riguarda la natura giuridica dell’ufficiale di gara e in particolare se esso possa qualificarsi come pubblico ufficiale, nella considerazione, oggi superata, del rilievo (interesse) pubblico al regolare svolgimento delle competizioni sportive, da cui si faceva derivare la rilevanza pubblicistica della funzione e del soggetto preposto al suo svolgimento (si veda l’art. 23, comma 1, dello Statuto del CONI). La natura privatistica delle Federazioni sportive riconosciuta dal legislatore ha però definitivamente chiuso il dibattito, ravvisando nell’attività degli ufficiali di gara l’esercizio di funzioni delegate da parte delle Federazioni che ne circoscrivono la funzione nell’ambito delle regole tecniche di gioco e di gara 46. In giurisprudenza, l’arbitro spesso rileva, poi, come soggetto passivo delle condotte illecite da parte degli sportivi e in particolare da parte dei supporter/tifosi, con addebito della conseguente sanzione alla società sportiva ritenuta “oggettivamente” responsabile 47. Un altro aspetto da segnalare concerne la possibilità che gli ufficiali di gara siano chiamati a rispondere dei danni patiti dal gareggiante per effetto dell’irrogazione di sanzioni disciplinari conseguenti al giudizio arbitrale in campo, laddove il referto risulti non veritiero. L’orientamento prevalente è nel senso che la responsabilità dell’arbitro vada esclusa anche nell’ipotesi in cui il referto risulti stilato in modo non veritiero, sempre che ciò sia conseguenza di un errore scusabile e non dipenda, invece, da dolo o colpa grave 48. Si segnala la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Un., 9 gennaio 2019, n. 328, che ha riconosciuto la responsabilità dell’arbitro (di calcio) il quale risulta «investito, di fatto, di un’attività avente connotazioni e finalità pubblicistiche, in quanto inserito, a pieno titolo, nell’apparato organizzativo e nel procedimento di gestione dei concorsi pronostici da parte del CONI, con il connesso impiego di risorse pubbliche» sicché «sussiste quella relazione funzionale e quella compartecipazione con l’ente pubblico idonee a configurare la responsabilità contabile». Per certo, infine, sono escluse dalla categoria degli ausiliari sportivi alcune figure di soggetti che, pur concorrendo alla realizzazione degli eventi sportivi, non fanno parte dell’ordinamento sportivo. Basti pensare alle fi46

G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 102. A. BUSACCA, I soggetti, cit., p. 119. 48 Così G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 103. 47

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gure degli steward e dei delegati per la sicurezza istituite con D.M. 8 agosto 2007, poi rivisitate, con ampliamento delle funzioni loro assegnate, dal D.M. 28 luglio 2011. A tal proposito, occorre riferire che presso il Ministero dell’Interno opera l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, costituito fra l’altro da rappresentanti del CONI (oltre che, in particolare, della FIGC e delle Forze di sicurezza dello Stato), che ha il compito di verificare il rispetto da parte delle società sportive delle misure richieste dalla legge per gestire il regolare svolgimento delle gare e garantire la sicurezza degli spettatori. L’Osservatorio, che ha emanato le “Linee guida per il miglioramento della formazione degli steward”, è chiamato a valutare la sussistenza di uno o più parametri di rischio concreti ed attuali a scopo di prevenzione e sicurezza delle manifestazioni sportive, cercando di diminuire episodi di violenza 49.

9. La tutela degli animali impiegati dall’uomo in attività sportive. Uno degli aspetti più qualificanti del d.lgs. n. 36/2021 è la previsione di una articolata disciplina (artt. 19-24) a tutela degli animali impiegati dall’uomo in attività sportive. Il Titolo IV «Discipline sportive che prevedono l’impiego di animali» si compone di due capi, il primo dedicato alle “Disposizioni generali”, in apertura del quale troviamo la norma che delinea la nozione di «benessere animale» con un esplicito richiamo all’art. 13 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che definisce l’animale quale “essere senziente”, ed alle cinque libertà tradizionalmente ricollegate a ciascun essere animale dal noto Brambell Report, e cioè: la libertà dalla sete, dalla fame e dalla cattiva nutrizione; la libertà di vivere in un ambiente adeguato alla propria natura; la libertà dal dolore, dalle ferite e dalle malattie; la libertà di manifestare le caratteristiche comportamentali normali per la singola specie; la libertà dalla paura e dal disagio 50. L’art. 19 rubricato «Benessere degli animali impiegati in attività sportive» prevede che «coloro che detengono a qualsiasi titolo un animale im49 50

G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., pp. 97-98. M. PITTALIS, L’attuazione della legge delega 8 agosto 2019, n. 86, cit., p. 744.

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piegato in attività sportive, sono tenuti a preservarne il benessere, in termini di alimentazione, cura della salute e accudimento nel rispetto delle sue esigenze etologiche» (art. 19, comma 1). Si introduce, altresì, il divieto di adottare «metodi di addestramento e di allenamento che possono danneggiare la salute e il benessere psicofisico dell’animale», qualsiasi metodo di coercizione o costrizione e l’utilizzo di mezzi o dispositivi che possano provocare danni alla salute e al benessere psicofisico o comunque arrecare sofferenza. Più in particolare non è ammesso far allenare e gareggiare animali in stati fisiologici incompatibili con lo sforzo richiesto, come lo stato di gravidanza avanzata o in caso di allattamento. La bardatura e le attrezzature da utilizzare per l’attività sportiva, compresa la ferratura, devono essere idonei ad evitare all’animale lesioni, sofferenze o disagi psico-fisici (art. 19, comma 3). Le caratteristiche tecniche delle piste, dei campi e delle aree di gara, comunque denominate, nonché di tutte le relative attrezzature devono rispondere a criteri di sicurezza e salvaguardia dell’incolumità degli animali. Le strutture dove gli animali vengono custoditi devono assicurare agli stessi spazi di movimento e di riposo adeguati alla loro natura (art. 19, comma 4). Una delle novità più importanti è rappresentata dalla norma (art. 19, comma 5) per la quale «ogni animale deve essere dotato di un ‘documento di identità anagrafica’ intestato a persona fisica maggiore di età o a persona giuridica, che ne assume i doveri di custodia, di mantenimento e di cura, e di una scheda sanitaria». Il legislatore ha colto l’opportunità di evidenziare la qualità di “atleta” dell’animale, quale effettivo protagonista dell’attività e della gara sportiva, perciò identificato mediante apposito “documento di identità anagrafica” o “passaporto” (con specifico riguardo all’equide registrato) 51. L’introduzione del “documento di identità anagrafica” dell’animale si muove da un lato sul piano della tutela e dall’altro nella prospettiva del riconoscimento della soggettività dell’essere animale, e cioè la sua identità quale centro autonomo di imputazione di interessi, sia pure ricollegato ad una persona fisica o giuridica che detti interessi possa far effettivamente valere 52. Di grande rilievo culturale è, poi, il divieto di macellare o sopprimere altrimenti gli animali non più impiegati in attività sportive, fatta eccezione per l’abbattimento umanitario (art. 19, comma 6). 51 52

M. PITTALIS, L’attuazione della legge delega 8 agosto 2019, n. 86, cit., p. 745. M. PITTALIS, op. cit., p. 744.

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Significativa pure la norma per cui i veicoli per il trasporto degli animali devono garantirne la sicurezza e l’incolumità, essere ventilati, puliti e disinfettati, avendo cura che il trasporto avvenga nel rispetto di quanto previsto dall’art. 3 del Reg. CE n. 1/2005, garantendo condizioni tali da non esporre gli animali a lesioni o sofferenze (art. 19, comma 7). Infine, è fatto obbligo al proprietario dell’animale di stipulare una polizza assicurativa per i danni provocati dall’animale anche qualora si trovi sotto la custodia di soggetto diverso dal proprietario stesso (art. 19, comma 8). Con riguardo alle competizioni sportive (art. 20) si impone alle Federazioni Sportive, alle Discipline Associate e agli Enti di Promozione Sportiva che impieghino animali in attività sportive di dotarsi di appositi regolamenti che fissino sanzioni disciplinari a carico di coloro che violino le disposizioni contenute nel Titolo IV, fino alla revoca dell’affiliazione delle società e associazioni sportive o del tesseramento per le persone fisiche; sempre fatte salve le norme dell’ordinamento generale civile e penale (art. 21). Viene poi riservata una specifica normazione al “cavallo atleta” (artt. 22-24), ritenendo tale l’“equide registrato” mediante apposito “Documento di Identificazione”, ai sensi dell’art. 2 del Reg. UE n 262/2015, che risulti ivi dichiarato non destinato alla produzione alimentare e a condizione che venga iscritto al “repertorio cavalli atleti” presso la Federazione Italiana Sport Equestri o la Federazione Pentathlon Moderno o la FitetrecAnte, o presso un Ente di Promozione Sportiva, e ciò risulti dal “documento di identificazione” definito “passaporto dell’equide”, la cui emissione è riservata alla competenza del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (art. 22). Infine, si richiama l’art. 24 in cui si prevede che «le manifestazioni pubbliche o aperte al pubblico devono comunque garantire i requisiti di sicurezza, salute e benessere degli atleti, dei cavalli atleti e del pubblico, con la previsione di sanzioni efficaci, dissuasive e proporzionate in caso di trasgressione». Consegue da tale norma che le manifestazioni folkloristiche in cui vengano impiegati equidi, come ad es. il Palio di Siena, devono comunque garantire la sicurezza, la salute e il benessere degli atleti persone fisiche, dei cavalli atleti e del pubblico.

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CAPITOLO SECONDO

L’ADESIONE ALL’ORDINAMENTO SPORTIVO: TESSERAMENTO E AFFILIAZIONE di Ettore Battelli *

SOMMARIO 1. Il tesseramento: nozione e natura giuridica. – 1.1. Efficacia del vincolo di tesseramento. – 1.2. Cessazione del tesseramento e ultrattività del rapporto. – 1.3. Il tesseramento dei minori di età. – 2. L’affiliazione: nozione e natura giuridica. – 2.1. Efficacia del vincolo di affiliazione. – 2.2. Diritti e obblighi derivanti dall’affiliazione. – 2.3. La revoca dell’affiliazione. La radiazione. – 3. Il tesseramento del minore straniero. Lo ius soli sportivo.

1. Il tesseramento: nozione e natura giuridica. L’ordinamento sportivo presenta i caratteri dell’autonomia e della settorialità e, pertanto, i destinatari delle sue norme non si identificano nella generalità dei consociati, ma soltanto in coloro che sono legati da un particolare rapporto con una Federazione sportiva nazionale, una Disciplina sportiva associata o un Ente di promozione sportiva, ovvero in quei soggetti il cui vincolo sia cessato e nei cui confronti le norme stesse continuano a trovare applicazione limitatamente a vicende attinenti a tale vincolo, nonché in tutti i soggetti i quali, sebbene non tesserati, svolgono un’attività rilevante per l’ordinamento sportivo (ad esempio i componenti degli organi di giustizia sportiva) 1. *

Si ringrazia il Dott. Alberto Cinque per il prezioso contributo ai §§ 1-2.3. Si veda l’art. 31 dello Statuto del CONI, che, con riferimento alla figura dell’atleta, prevede al comma 1 che «Gli atleti sono inquadrati presso le società e associazioni sportive 1

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Tale rapporto nasce per effetto di un atto che prende il nome di tesseramento. Esso consiste, in particolare, nell’acquisto, da parte di una persona fisica, della qualifica di soggetto dell’ordinamento sportivo e si effettua mediante l’iscrizione della persona stessa ad una società o associazione sportiva, che a sua volta provvede ad iscriverla presso la Federazione cui è affiliata. Va rilevato, in primo luogo, che il tesseramento non riguarda solo gli atleti, ma anche altre categorie di persone fisiche, quali i dirigenti, i tecnici, gli ufficiali di gara, i medici sportivi. L’acquisto dello status di soggetto dell’ordinamento sportivo può derivare anche dall’affiliazione, la quale, a differenza del tesseramento, previsto per le sole persone fisiche, riguarda invece gli enti, cioè società e associazioni sportive. Il tesseramento, così come l’affiliazione (di cui si dirà meglio dopo), si risolve in un’adesione negoziale ai modelli organizzativi di tipo associativo propri dell’ordinamento sportivo, comportando l’assoggettamento alle regole di tale ordinamento. Applicando le categorie civilistiche, può essere affermato che il tesseramento, così come l’affiliazione, risultano più correttamente qualificabili come “atti di adesione” ad un “contratto plurilaterale con comunione di scopo”. Il tesserato, aderendo allo statuto della Federazione, da qualificarsi come associazioni “multilivello” di diritto privato, si impegna a rispettarne le regole statutarie. Il tesseramento dà luogo alla costituzione di un rapporto giuridico tra atleta e Federazione sportiva di appartenenza. Dalla qualificazione del tesseramento in termini di adesione ad un contratto associativo, si è dedotta la configurazione dell’ente – Federazione, società o associazione sportiva – come una struttura aperta, diretta a soddisfare il medesimo interesse di un numero indeterminato di soggetti (c.d. principio della porta aperta) 2. Ne consegue che la tessera, che viene rilasciata in seguito, non è altro che il documento rappresentativo di tale rapporto, ma non assurge a elericonosciute, tranne i casi particolari in cui sia consentito il tesseramento individuale alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline sportive associate e agli Enti di promozione sportiva». 2 Cfr. G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, Giuffrè, Milano, 2016, p. 82.

Capitolo Secondo – L’adesione all’ordinamento sportivo: tesseramento e affiliazione

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mento costitutivo della fattispecie necessario ai fini dell’acquisto, da parte dell’atleta, dello status giuridico di tesserato. Il tesserato, entrando a far parte della Federazione, si sottopone all’osservanza dei relativi regolamenti interni, accettando anche che tutti gli atti e i fatti relativi all’esercizio dell’attività sportiva vengano accertati e giudicati dagli organi federali. In altri termini, il tesserato, aderendo ad una Federazione, si impegna anche a rispettarne lo Statuto e i regolamenti interni, nonché, in presenza di una clausola compromissoria statutaria, ad adire esclusivamente gli organi della giustizia sportiva per la risoluzione delle controversie che dovessero insorgere in relazione all’esercizio dell’attività sportiva. Con riferimento a questo aspetto, va chiarito che la clausola compromissoria contenuta nello Statuto di una Federazione non rappresenta una condizione generale di contratto unilateralmente predisposta da uno dei contraenti e, pertanto, non è sottoposta alla disciplina dettata dall’art. 1341 c.c. Perché detta clausola sia applicabile, pertanto, non è necessaria una sua specifica approvazione per iscritto, ma soltanto che essa rispetti i limiti imposti dal Codice di procedura civile per la devoluzione della risoluzione di una controversia ad arbitri, come, ad esempio, il requisito – previsto dall’art. 806 c.p.c. – della disponibilità del diritto controverso: «tali clausole operano quindi esclusivamente per questioni relative a diritti rientranti nella libera disponibilità delle parti, tra cui quelli relativi alle controversie di carattere meramente tecnico-sportivo» 3.

1.1. Efficacia del vincolo di tesseramento. Il tesseramento comporta l’attribuzione al tesserato, quale soggetto dell’ordinamento sportivo, di una serie di diritti e obblighi. In primo luogo, esso costituisce titolo per esercitare l’attività sportiva presso le società o associazioni sportive operanti nell’ambito delle discipline riconosciute dal CONI. Lo status di tesserato attribuisce il diritto di concorrere all’elettorato, sia attivo che passivo, nelle cariche federali, tranne che per gli organi di giustizia sportiva, per le cui cariche non è necessario il requisito del tesseramento 4. 3 4

Cfr. Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Consultiva, parere 23 febbraio 2015, n. 3. Cfr. Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. IV, decisione 6 aprile 2018, n. 18, secondo

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Tra gli obblighi derivanti dal tesseramento riveste particolare importanza il rispetto dei principi di lealtà e correttezza, che sono alla base dell’ordinamento sportivo nel suo complesso. Uno dei principali obblighi derivanti dal tesseramento è costituito dal c.d. vincolo sportivo, che consiste nell’impegno di svolgere l’attività sportiva esclusivamente con la società di appartenenza, con esclusione della possibilità di tesserarsi con altra società affiliata presso la stessa Federazione per tutta la durata del vincolo. Ciò significa che l’atleta tesserato presso una società sportiva non può trasferirsi ad altra società o associazione che operi nello stesso settore di disciplina sportiva. Per effetto del tesseramento un soggetto, aderendo ai modelli organizzativi associativi dell’ordinamento sportivo in forza di un proprio atto di volontà, si obbliga anche all’osservanza delle decisioni degli organi della giustizia sportiva per tutti gli atti e i fatti relativi all’esercizio dello specifico sport.

1.2. Cessazione del tesseramento e ultrattività del rapporto. Con particolare riferimento alla commissione di violazioni delle norme tecnico-disciplinari, si è posto il problema di individuare il momento in cui, ai fini dell’assoggettamento alla giurisdizione degli organi della giustizia sportiva, sia richiesta la sussistenza di tale vincolo. Infatti, ove l’atleta tesserato abbia posto fine al rapporto di tesseramento prima dell’irrogazione della sanzione, potrebbe astrattamente ipotizzarsi che la sua condotta non sia più sanzionabile in base alle norme proprie dell’ordinamento sportivo, atteso che la cessazione del vincolo di tesseramento comporta l’estraneità del soggetto da detto ordinamento. Tuttavia, occorre considerare la posizione rivestita dal tesserato non già al momento dell’atto di “deferimento” o a quello successivo della “irrogazione della sanzione”, ma al momento della “commissione delle violazioni contestate”, anche laddove il tesseramento sia in seguito venuto meno. Si afferma, in tal modo, una “ultrattività” del vincolo derivante dal tescui «Ai sensi dell’art. 61, comma 3, dello Statuto Federale della FISE, il tesseramento presso la Federazione non è richiesto per i componenti degli Organi di Giustizia Federale, ma nemmeno è espressamente vietato a un tesserato FISE di poter far parte degli Organi di Giustizia Federale».

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seramento, nella misura in cui si ammette che le norme dell’ordinamento sportivo – applicabili, in via generale, ai soli soggetti che di tale ordinamento fanno parte – possano operare anche per il tempo successivo alla cessazione di tale vincolo ove riguardino vicende ad esso attenenti. La ratio di tale “ultrattività” dell’assoggettamento alle norme statutarie e regolamentari, che giustifica l’irrogazione di una sanzione a un soggetto nonostante sia venuto meno il vincolo derivante dal tesseramento, è da rinvenirsi nella contestualità tra la condotta illecita posta in essere dall’agente e la produzione dell’effetto lesivo per l’ordinamento sportivo. Diversamente, si ammetterebbe la possibilità per un soggetto che abbia commesso un illecito sportivo di sottrarsi liberamente al procedimento disciplinare e alla conseguente irrogazione della sanzione. Con riferimento, invece, alle sanzioni non istantanee, che presuppongono, cioè, ai fini della loro esecuzione, la sussistenza di un valido rapporto di tesseramento e, quindi, la permanenza del soggetto passivo all’interno dell’ordinamento sportivo, considerato che l’iscrizione a una Federazione è rimessa alla volontà del tesserato, il quale può in ogni tempo dimettersi o non rinnovarla, è possibile che questi si sottragga volontariamente all’esecuzione della sanzione ponendo fine al rapporto di tesseramento. In tal caso, trova applicazione l’art. 12 dei Principi Generali CONI, che prevede il divieto di far parte dell’ordinamento sportivo per dieci anni per coloro che, con le proprie dimissioni o non rinnovando il tesseramento, si sottraggano volontariamente all’esecuzione delle sanzioni loro irrogate. La ratio si rinviene nell’effetto deterrente che essa intende perseguire rispetto a tali comportamenti, ritenuti contrari al più generale principio di lealtà e correttezza, al fine di garantire l’osservanza da parte di ogni tesserato delle disposizioni federali e l’effettiva esecuzione delle sanzioni irrogate.

1.3. Il tesseramento dei minori di età. Una fattispecie di particolare interesse è il tesseramento minorile. La questione ha ad oggetto il dibattuto problema della necessità o meno del consenso di entrambi i genitori (o di chi ne ha la responsabilità) ai fini del tesseramento del figlio minore di età. In assenza di una disciplina unitaria, ogni Federazione nel corso del tempo ha, difatti, disciplinato tale aspetto in modo differente, alcune richiedono per il tesseramento il consenso di un solo genitore, altre prescri-

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vono che si debba acquisire la dichiarazione di consenso di entrambi, altre ancora richiama l’istituto dell’esercente la responsabilità genitoriale. Ciò, peraltro, non appare in alcun modo derivare dal tipo di sport o dalla minore o maggiore pericolosità dell’attività sportiva, considerato che, ad esempio, il consenso di entrambe le figure genitoriali è prevista per il tesseramento alla Federazione Italiana Pallacanestro mentre per la Federazione Italiana Sci Nautico si richiede il consenso di un solo genitore. La soluzione maggiormente condivisa è nel senso di escludere il requisito del consenso genitoriale sia per il tesseramento come pure il successivo svincolo, in quanto, ai sensi dell’art. 320 c.c., esso non può essere considerato un atto di straordinaria amministrazione, per tale intendendosi un atto dispositivo che alteri la consistenza del patrimonio del minore e che richiede, altresì, l’autorizzazione del giudice tutelare. Si ritiene, peraltro, che il tesseramento del minore di età esuli dalla distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione. Infatti, sulla base del rilievo che le nozioni di amministrazione ordinaria e straordinaria sono correlate al concetto di patrimonio, si afferma che il tesseramento è un atto neutro dal punto di vista patrimoniale. Esso, infatti, incide unicamente sulla sfera personale del minore e solo in via indiretta e eventuale sul patrimonio dello stesso, ove costituisca il presupposto per la conclusione di accordi che prevedono la corresponsione di un reddito in relazione all’esercizio dell’attività sportiva. De iure condendo, si auspica una diversa ricostruzione dell’istituto del tesseramento minorile, che possa consentire di valorizzare il grado di maturità psico-fisica raggiunta dal minore, affinché gli sia consentita, almeno a partire da una certa età (come avviene per alcuni sport) e sempre previa apposita certificazione medica, una piena autonomia di scelta e libertà di determinazione in ordine all’esercizio dell’attività sportiva e al connesso atto di tesseramento presso la Federazione competente 5. La questione è ancora più centrale laddove si tenga in considerazione che in alcuni sport maggiori successi possono essere ottenuti proprio iniziando l’attività sportiva in giovanissima età. Ciò senza considerare la rilevanza che proprio lo sport riveste nel processo di formazione del minore, dal punto di vista della crescita fisica e della tutela della salute, nonché dell’apprendimento dei valori di lealtà e 5

In questi termini G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 86 ss.

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rispetto degli altri, oltre al fondamentale ruolo rivestito dal dovere di osservare le regole (di gioco così come quelle della vita comune).

2. L’affiliazione: nozione e natura giuridica. L’affiliazione è l’atto con cui le società e le associazioni sportive, mediante l’adesione a una Federazione sportiva nazionale, a una Disciplina sportiva associata o a un Ente di promozione sportiva, divengono soggetti dell’ordinamento sportivo. L’affiliazione consiste, in particolare, nell’atto di riconoscimento, a fini sportivi, di una società o un’associazione che ha come scopo statutario lo svolgimento di un’attività sportiva rientrante tra quelle riconosciute dal CONI. L’affiliazione rientra nelle materia di competenza del Consiglio Nazionale del CONI il quale può delegare tale funzione alle Federazioni 6. Attraverso l’affiliazione una società o un’associazione sportiva entra a far parte dell’ordinamento sportivo e viene assoggettata alle relative regole; ricordando che le Federazioni sportive nazionali, al pari delle Discipline sportive associate e degli Enti di promozione sportiva, rappresentano associazioni di diritto privato.

2.1. Efficacia del vincolo di affiliazione. La natura giuridica, pubblicistica ovvero privatistica, delle Federazioni sportive rappresenta una delle questioni più problematiche del diritto sportivo. Per i fini che qui interessano, può osservarsi che a quanti sostengono la tesi (A) della natura privatistica delle Federazioni, configurandole come associazioni di diritto privato sottoposte al controllo del CONI, si affiancano coloro che ne hanno affermato (B) la natura pubblicistica, sulla base di un rapporto di immedesimazione organica intercorrente tra il CONI e le Federazioni medesime. Vi è poi una teoria (C) intermedia che, in base ad un approccio funzionale, si incentra sulla natura della specifica attività di volta in volta posta in essere dalla Federazione. Tale impostazione sembra con6

G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 66.

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fermata anche in virtù delle modifiche normative intervenute con l’art. 15 del d.lgs. 23 luglio 1999, n. 242 (c.d. decreto Melandri). Tale norma qualifica, difatti, le Federazioni sportive nazionali come associazioni con personalità giuridica di diritto privato. Il successivo d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 15 (c.d. decreto Pescante) ha precisato altresì che le Federazioni svolgono la loro attività in conformità delle delibere del CIO e del CONI, «anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche attività individuate nello Statuto del CONI» e rinviando, in tal modo, allo Statuto del CONI medesimo per l’individuazione, di tipo tassativo, delle attività delle Federazioni che abbiano valore pubblicistico (come per esempio: l’utilizzazione dei contributi pubblici; la gestione di impianti sportivi pubblici; la prevenzione e repressione del doping; le attività relative alla preparazione olimpica; l’affiliazione, modificazione o revoca di una società o associazione sportiva – ma lo stesso vale per l’ammissione di un singolo tesserato –; il controllo in ordine al regolare svolgimento delle competizioni e dei campionati sportivi professionistici) 7. La procedura di affiliazione, secondo un rigido formalismo, ha inizio con la presentazione della domanda tramite appositi moduli predisposti dalle stesse Federazioni sportive, allegando a pena di nullità la documentazione prevista nei singoli regolamenti federali e, in particolare, l’atto costitutivo e lo statuto della società o associazione richiedente, con indicazione del rappresentante legale, nonché componenti dell’organo direttivo, ecc. Ne consegue che, se l’adesione a siffatti modelli di tipo associativo propri dell’ordinamento sportivo avviene in forza di un atto di volontà, con l’affiliazione le società diventano titolari di diritti nei confronti di tutti i soggetti di detto ordinamento e si sottopongono consapevolmente all’osservanza dello Statuto CONI e del Regolamento delle rispettive Federazioni, accettando anche, in caso di violazione di tali diritti, che tutti gli atti ed i fatti relativi all’esercizio dell’attività sportiva vengano accertati e giudicati dagli organi della giustizia sportiva 8. Proprio l’art. 23, comma 1, dello Statuto del CONI riconosce natura giuridica pubblicistica ad alcune specifiche attività delle Federazioni, tra le quali quelle «relative all’ammissione e all’affiliazione di società, di associa7 Per una ricostruzione del dibattito sulla natura giuridica delle Federazioni, si veda, da ultimo, A. AVERARDI, Tra Stato e società: le federazioni sportive nel perimetro mobile delle Amministrazioni Pubbliche, in Riv. dir. sport., 2016, p. 39 ss. 8 Cfr. M. SANINO-F. VERDE, Il diritto sportivo, Cedam, Padova, 2015, p. 49.

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zioni sportive e di singoli tesserati; alla revoca a qualsiasi titolo e alla modificazione dei provvedimenti di ammissione o di affiliazione». Tuttavia, il successivo comma 1 bis dello stesso art. 23 precisa che «la valenza pubblicistica dell’attività non modifica l’ordinario regime di diritto privato dei singoli atti e delle situazioni giuridiche soggettive connesse». Il riconoscimento della natura giuridica pubblicistica di tali attività poste in essere dalle Federazioni risulta coerente, dal punto di vista sistematico, con l’attribuzione della competenza in materia di affiliazione al Consiglio Nazionale del CONI e con la possibilità di demandare l’adozione dei relativi provvedimenti, come avviene nella prassi, ai Consigli delle Federazioni, delle Discipline sportive associate o degli Enti di promozione sportiva. La valenza pubblicistica dell’attività delle Federazioni relativa all’affiliazione di società e associazioni sportive o di revoca della stessa comporta precise conseguenze dal punto di vista della disciplina applicabile e dell’impugnabilità degli atti emessi dalle Federazioni medesime nell’esercizio di tali attività: si pensi, nonostante non siano appunto enti pubblici, all’assoggettamento delle Federazioni alla l. 7 agosto 1990, n. 241, limitatamente alle attività con cui esse perseguono finalità di interesse generale per effetto dell’attribuzione di prerogative pubblicistiche. Proprio dalla natura amministrativa dei provvedimenti con cui le Federazioni esercitano siffatti poteri di carattere pubblicistico, in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CONI, deriva, difatti, la loro impugnabilità innanzi al giudice amministrativo. Lo stesso Consiglio di Stato (nella sentenza 17 aprile 2009, n. 2333) 9 ha osservato che la giustizia sportiva costituisce lo strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell’applicazione delle regole sportive, mentre la giustizia statale è chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l’ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi. Ne consegue che alla giustizia sportiva sono riservate le c.d. controversie tecniche, cioè quelle che riguardano il corretto svolgimento della prestazione sportiva ovvero la regolarità della competizione sportiva, mentre rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo le questioni concernenti l’ammissione e l’affiliazione alle federazioni di società, associazioni sportive e di singoli tesserati, e i provvedimenti di ammissione ai campionati 10. 9

In Foro amm. CDS, 2009, 4, p. 1040 ss. Con riferimento al provvedimento di revoca dell’affiliazione, si veda Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 1996, n. 654, in Foro amm., 1996, p. 1573 ss., in cui tra l’altro si afferma che 10

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L’affiliazione ha efficacia limitata ad un anno e secondo i termini perentori prescritti dai regolamenti federali, deve essere presentata ogni anno da parte di chi intende proseguire la propria attività sportiva.

2.2. Diritti e obblighi derivanti dall’affiliazione. L’adesione di una società o un’associazione all’ordinamento sportivo mediante l’affiliazione comporta l’acquisizione di un particolare status, consistente nella titolarità di un complesso di diritti e di doveri all’interno della Federazione di appartenenza e, più in generale, del CONI. In primo luogo, l’ente affiliato acquista il diritto – che prende il nome di “titolo sportivo” – di partecipare all’attività sportiva ufficiale della Federazione nazionale di appartenenza 11. Per “titolo sportivo”, più precisamente, si intende il riconoscimento da parte della Federazione di appartenenza delle condizioni tecniche e sportive che consentono, concorrendo gli altri requisiti previsti dalle norme federali (ad esempio il disporre di un impianto regolamentare per l’esercizio dell’attività sportiva), la partecipazione a un determinato campionato e, più in generale, alle attività federali 12. Il titolo sportivo rappresenta, quindi, un profilo soggettivo intrinseco alla qualità di associata della società o dell’associazione sportiva affiliata. In conformità, ad esempio, a quanto previsto dall’art. 52, comma 2, delle NOIF della FIGC, da esso consegue l’impossibilità che esso possa formare oggetto di cessione, in quanto non suscettibile di essere considerato una componente patrimoniale dell’azienda e, come tale, liberamente trasferibile a terzi 13. Alcuni regolamenti federali, tuttavia, consentono la cessione del titolo sportivo, talora subordinatamente al rispetto di alcune condizioni come la gratuità dell’atto e al rispetto del legame con una determinata area geografica, nonché in ogni caso all’approvazione da parte del Consiglio Federale. «l’atto di revoca dell’affiliazione di una società sportiva alla federazione del CONI, comportando il riscontro dell’esistenza delle condizioni richieste per l’affiliazione stessa, dà luogo alla pronuncia di tipici atti amministrativi, i quali essendo legati all’esercizio di un potere discrezionale, si collegano ad una posizione di interesse legittimo». 11 Così G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 70. 12 Tale è la nozione di “titolo sportivo” dettata dall’art. 52 delle NOIF della FIGC. 13 Cfr. Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. I, decisione 29 novembre 2017, n. 89.

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Tra gli altri diritti che spettano agli affiliati si richiama quello di organizzare eventi sportivi, a carattere promozionale, amatoriale o agonistico, purché in conformità alle norme federali. Con l’affiliazione l’ente (società o associazione) acquisisce, altresì, il diritto di partecipare alle assemblee federali, ordinarie e straordinarie. Così come accade con il tesseramento, con l’affiliazione l’ente affiliato aderisce all’ordinamento sportivo in forza di un proprio atto di volontà e si obbliga ad osservarne regole e principi. Tra i doveri conseguenti alla costituzione del vincolo di affiliazione, vi è, in primo luogo, quello del rispetto dei principi di lealtà e correttezza, che permeano il sistema sportivo nel suo complesso 14. Le società e le associazioni sportive affiliate, all’atto di adesione ad una determinata Federazione, si impegnano inoltre ad osservarne i relativi statuti e regolamenti interni, comprese le clausole compromissorie ivi contenute, in forza delle quali gli associati si obbligano anche ad accettare che tutti gli atti e i fatti relativi all’esercizio dell’attività sportiva vengano accertati e giudicati dagli organi federali 15. Tra i doveri principali rientrano quelli di assicurare ai giovani atleti una formazione educativa complementare a quella sportiva. Ai sensi dell’art. 29, comma 6, dello Statuto del CONI ogni affiliato deve «mettere a disposizione delle rispettive Federazioni sportive nazionali, o Discipline sportive associate, gli atleti selezionati per far parte delle rappresentative nazionali italiane». Differente dall’affiliazione è lo status di aderente, il quale, a seconda delle diverse Federazioni, pur non possedendo i requisiti per ottenere l’affiliazione, si vede attribuito il diritto di svolgere determinate attività sportive a livello amatoriale o promozionale. In alcune Federazioni è presente, altresì, la figura delle associazioni aggregate alle quali, pur non possedendo anch’esse come gli aderenti i requisiti per l’affiliazione, vengono però attribuiti diritti sostanzialmente coincidenti a quelli riconosciuti agli affiliati 16. 14

Così Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Consultiva, parere 1 agosto 2017, n. 5, in cui si afferma che «solo i tesserati e gli affiliati, in quanto soggetti dell’ordinamento sportivo in forza di un loro atto di volontà, sono tenuti al rispetto rigoroso del principio di lealtà sportiva. Per i soggetti non tesserati si assiste a una attenuazione della regola di lealtà e correttezza sportiva, che degrada al rango di condotta corretta che è lecito attendersi da chiunque». 15 Cfr. Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Cons., parere 23 febbraio 2015, n. 3, cit. 16 Così G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 72.

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2.3. La revoca dell’affiliazione. La radiazione. Con riferimento allo scioglimento del vincolo di affiliazione, deve preliminarmente osservarsi che esso può conseguire sia al venir meno dei requisiti previsti dalle norme federali per ottenere l’affiliazione, sia alla commissione di gravi infrazioni all’ordinamento sportivo, ipotesi disciplinata dall’art. 10, comma 7, l. 23 marzo 1981, n. 91, che viene comunemente indicata dai regolamenti federali con il termine “radiazione”. Un’ulteriore ipotesi di revoca dell’affiliazione è prevista da taluni regolamenti federali in caso di “dichiarazione di fallimento” della società sportiva affiliata, cui consegue la delibera di estromissione dall’ordinamento sportivo e la non ammissione al campionato. L’affiliazione può inoltre essere revocata dalla Federazione sportiva come conseguenza di “gravi infrazioni” all’ordinamento sportivo. A titolo esemplificativo, i casi che sono stati portati all’attenzione della giurisprudenza amministrativa hanno riguardato ipotesi di violazione di disposizioni federali relative alla (mancanza di controlli nella) gestione delle società professionistiche affiliate 17 e all’insolvenza nei confronti dei propri tesserati 18. Più in generale, la perdita dell’affiliazione scaturisce dalla “mancanza dei requisiti prescritti” dai regolamenti federali e in tutti quei casi in cui questi ultimi dispongano la decadenza delle società o associazioni sportive affiliate per effetto di inattività assoluta per un intero anno agonistico. L’ipotesi di “assenza di tesserati” in un’associazione che abbia ottenuto l’affiliazione per lo svolgimento di attività promozionale non rappresenta, invece, causa di revoca dell’affiliazione. La carenza di persone tesserate costituisce una causa specifica di decadenza solo laddove sia il Regolamento federale a prescrivere un numero minimo di tesserati. Avverso la delibera di revoca dell’affiliazione, al pari di quanto previsto per il diniego della stessa, può essere proposto ricorso innanzi alla Giunta Nazionale del CONI, che si pronuncia, previa acquisizione del parere del Collegio di Garanzia dello Sport (art. 7, comma 5, lett. n), entro sessanta giorni dalla presentazione del ricorso 19. 17

Cons. Stato, Sez. VI, 30 settembre 1995, n. 1050, in Riv. dir. sport., 1996, p. 111 ss., con nota di S. SICA; T.A.R. Lazio, Sez. III, 23 giugno 1994, n. 1361, in TAR, 1994, I, p. 2399 ss. 18 Cfr. T.A.R. Lazio, Sez. III, 12 dicembre 1987, in TAR, 1988, I, p. 67 ss. 19 Rilevano G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., che la medesima di-

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Come già accennato, occorre precisare che la giurisprudenza amministrativa ritiene che i provvedimenti di revoca dell’affiliazione di una società sportiva dalla Federazione di appartenenza, comportando il riscontro dell’esistenza delle condizioni richieste per l’affiliazione stessa, involgono l’esercizio di un potere discrezionale e danno luogo alla pronuncia di tipici atti amministrativi, i quali si collegano ad una posizione di interesse legittimo e sono pertanto sindacabili dal giudice amministrativo 20.

3. Il tesseramento del minore straniero: lo ius soli sportivo. Il tema della cittadinanza e, per quanto qui interessa, quello dell’acquisto della cittadinanza sportiva, ha assunto negli ultimi anni una spiccata centralità nel dibattito politico e nelle riflessioni giuridiche, non soltanto a causa del processo di integrazione comunitaria (e dunque dell’affermazione dello status di cittadino europeo), dell’intensificarsi degli scambi internazionali (e dunque della circolazione delle persone all’interno del libero mercato) e dell’aumento del fenomeno dell’immigrazione clandestina, ma anche alla luce della considerazione, per così dire, «statistica» che l’Italia da terra di emigrazione è divenuta terra di immigrazione (anche di giovani atleti). Si è, pertanto, riacceso il dibattito sulla dicotomia ius soli – ius sanguinis 21. È così che l’interesse per le questioni connesse all’acquisto della cittadinanza italiana da parte degli stranieri, unitamente alla sempre maggiore rilevanza delle attività sportive e alla crescente immigrazione di potenziali «fenomeni» sportivi, ha indotto lo Stato Italiano a regolamentare la materia del tesseramento sportivo, relativo ad uno status, quello di sportivo, destinato ad esplicarsi in un ordinamento altro e autonomo 22. sposizione non è riprodotta nei regolamenti di tutte le Federazioni e che alcuni di essi (Regolamenti FIR, FIN, FIP, FIPAV, FCI, FIC, FICK, FIB, FIDAL) attribuiscono la competenza a conoscere dei ricorsi proposti avverso le delibere di diniego o revoca dell’affiliazione ad organi diversi dalla Giunta Nazionale del CONI, quali, ad esempio, nel caso della FIN, il Consiglio di Presidenza in prima istanza e il Consiglio Federale in seconda istanza. 20 Cons. Stato, Sez. VI, 7 maggio 1996, n. 654, cit. 21 G. LIOTTA, Il tesseramento nei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, in Riv. dir. sport., 2016, p. 243 ss. 22 Cfr. G. LIOTTA, voce Sport (diritto dello), in Diritto civile, Dizionari del diritto pri-

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Si tratta della la c.d. legge sullo ius soli sportivo e cioè la l. 20 gennaio 2016, n. 12 («Disposizioni per favorire l’integrazione sociale di minori stranieri residenti in Italia mediante l’ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali, alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva»), che tuttavia non interferisce con la problematica dell’attribuzione della cittadinanza sulla base «della nascita nel territorio dello Stato, all’infuori di ogni considerazione della cittadinanza dei genitori» 23, questioni tanto importanti da incidere in maniera determinante sulla nozione stessa di “popolo”. La l. n. 12/2016 sul c.d. ius soli sportivo stabilisce, all’art. 1, che «i minori di anni diciotto che non sono cittadini italiani e che risultano regolarmente residenti nel territorio italiano almeno dal compimento del decimo anno di età possono essere tesserati presso società sportive appartenenti alle federazioni nazionali o alle discipline associate o presso associazioni ed enti di promozione sportiva con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani» 24. Tale norma si inserisce in un tessuto ordinamentale in cui lo Stato è competente a dettare in via esclusiva le norme sulla «condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea» (art. 117, comma 2, Cost., lett. a), come pure a indicare i principi fondamentali relativi all’ordinamento sportivo che, ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost., ricade nelle materie di potestà legislativa concorrente. L’introduzione della disciplina era necessaria per rimuovere gli ostacoli al tesseramento che potevano precludere a giovani talenti sportivi, figli di genitori di Paesi non dell’Unione europea, ma nati o cresciuti nel nostro Paese, di seguire i compagni nell’attività agonistica per motivi legati al possesso della cittadinanza 25. vato, promossi da N. Irti, a cura di S. Martuccelli, V. Pescatore, Giuffrè, Milano, 2011, p. 1659 ss. 23 Così C. MORTATI, Istituzioni di Diritto pubblico, 10a ed., a cura di F. Modugno, A. Baldassarre e C. Mezzanotte, Cedam, Padova, 1991, p. 125. 24 La l. 5 febbraio 1992, n. 91, oggi in vigore, all’art. 4, comma 2, stabilisce che «lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data». La cittadinanza italiana si trasmette, infatti, come regola generale, ai sensi dell’art. 1 della legge, attraverso la nascita da un padre o una madre cittadini, cioè iure sanguinis (cfr. A. BARBERA-C. FUSARO, Corso di diritto costituzionale, Il Mulino, Bologna, 2012, p. 163 ss.). 25 Si vedano: G. NAPOLITANO, La condizione giuridica degli stranieri extracomunitari

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Si pensi, in particolare, a quei giovani talentuosi per i quali l’attività sportiva può rappresentare un’importante occasione di integrazione, che si vedono in maniera inaccettabile e discriminatoria negato il diritto di fare attività sportiva, divertirsi, competere, crescere e integrarsi. Poiché gli enti di promozione sportiva, già prima dell’entrata in vigore della l. n. 12/2016, permettevano a tutti gli atleti, anche ai minori stranieri, di partecipare all’attività sportiva non agonistica, la legge serve invece ai giovani stranieri minorenni che desiderano «tesserarsi a una federazione sportiva al fine di svolgere attività agonistica, poiché prima dell’entrata in vigore della legge le federazioni avevano la facoltà, o meno, di accettare il tesseramento di questi atleti». Alla luce della finalità ora illustrata, si comprende il vero significato della disposizione di cui all’art. 1, comma 1, della legge, che parla genericamente di «minori stranieri», ma, in realtà, appare chiaro, come la normativa sullo ius soli sportivo sia destinata ai minori che hanno la cittadinanza di Stati esterni all’Unione europea. Al contrario, i minori che sono cittadini dell’Unione, in virtù del possesso della cittadinanza di uno degli Stati membri della stessa, godono di un regime d’equiparazione agli italiani, allorché si trovavano a esercitare attraverso lo sport un’attività lavorativa, in virtù dei principi affermati per la prima volta dalla celebre sentenza Bosman 26, che ha riconosciuto la libera circolazione dei lavoratori degli Stati membri «per quanto riguarda l’occupazione, la retribuzione e le condizioni di lavoro». Dunque, se a beneficiare della nuova normativa sono soprattutto i cittadini di Paesi terzi rispetto all’Unione europea va evidenziato come si presti a critiche la previsione che fa riferimento a «minori di anni diciotto che non sono cittadini italiani e che risultano regolarmente residenti nel territorio italiano almeno dal compimento del decimo anno di età». nell’ordinamento sportivo: divieto di discriminazione e funzione di programmazione del Coni, in Foro it., 2001, III, p. 530 ss.; V. FRATTAROLO, L’ordinamento sportivo nella giurisprudenza, Giuffrè, Milano, 2005, p. 145 ss.; L. SANTORO, Il tesseramento minorile, in Sport, Benessere, Diritto e Società, 2008, 2, p. 51. 26 Corte di giustizia dell’UE, sent. 15 dicembre 1995, C-415/93, Union royale belge des sociétés de football association ASBL e altri contro Jean-Marc Bosman e altri, in Raccolta, 1995, I, p. 4921 ss. e in Foro it., 1996, IV, p. 1 s. con note di S. BASTIANON, Bosman, il calcio e il diritto comunitario, nonché di G. VIDIRI, Il “Caso Bosman” e la circolazione dei calciatori professionisti nell’ambito della Comunità europea. Cfr., ex multis: M. CLARICH, La sentenza “Bosman”: verso il tramonto degli ordinamenti giuridici sportivi?, in Riv. dir. sportivo, 1996, p. 393 ss.

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Non a caso, la Carta Olimpica, nei Fundamental Principles of Olympism, al numero 4, stabilisce «the practice of sport is a human right»; e che «every individual must have the possibility of practicing sport, without discrimination of any kind and in the Olympic spirit, which requires mutual understanding with a spirit of friendship, solidarity and fair play». Ma si pensi anche, ad esempio, alla Carta internazionale per l’educazione fisica e lo sport, adottata dall’UNESCO nel novembre del 1978, ove si afferma che «la pratica dell’educazione fisica e dello sport è un diritto fondamentale per tutti». Ancor più importante, quanto alla tematica in esame, è il richiamo all’art. 31 della Convenzione sui Diritti del fanciullo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York, il 20 novembre 1989, e resa esecutiva in Italia con la l. 27 maggio 1991, n. 176 27. L’art. 31, stabilisce, al par. 1, che «gli Stati parti riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed artistica»; e, al par. 2, che gli stessi «rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l’organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative». Queste ultime previsioni rappresentano degli obblighi internazionali ai quali, ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost., la legislazione ordinaria deve uniformarsi. Poiché la Convezione si applica a tutti i minori che sono nel territorio italiano, a prescindere dal titolo della presenza in Italia dei loro genitori, e poiché l’attività sportiva rientra senz’altro tra le attività ricreative, ne discende, quanto alla problematica dell’ambito soggettivo di applicazione della l. n. 12/2016, che l’unica interpretazione della stessa compatibile (con la Convezione e dunque) con la Costituzione è quella per cui ciascun minore presente sul territorio italiano è comunque soggetto al regime di cui alla l. n. 12/2016, a prescindere dalla legalità del soggiorno in Italia dei genitori 28. 27

Su tale convenzione v. M.R. SAULLE, La Convenzione delle Nazioni Unite del 1989 sui diritti del fanciullo e la tutela del nascituro, in A. TARANTINO (a cura di), Per una dichiarazione dei diritti del nascituro, Giuffrè, Milano, 1996, p. 182 ss.; E. LA ROSA, Tutela dei minori e contesti familiari. Contributo allo studio per uno statuto dei diritti dei minori, Giuffrè, Milano, 2005, p. 39 ss. 28 F. VARI, Profili costituzionali del c.d. Ius soli sportivo: il tesseramento dei minori stra-

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La disciplina dettata dalla l. n. 12/2016 può essere, peraltro, ricondotta all’attuazione di specifici diritti protetti direttamente dagli artt. 2 e 18 Costituzione 29. In particolare, la pratica sportiva costituisce un’occasione formidabile per lo sviluppo della personalità del minore e per una piena integrazione dello stesso all’interno della società, come sottolineato anche nell’Accordo di programma per la realizzazione di attività volte a favorire l’inclusione e l’integrazione sociale dei migranti di prima e seconda generazione attraverso lo sport e a contrastare le forme di discriminazione e intolleranza, sottoscritto da Ministero delle Politiche sociali e CONI nel 2014, e rinnovato sia nel 2015 sia nel 2016 30. Nel Libro bianco sullo sport del 2007 della Commissione COM(2007)391 def., poi, è espressamente riconosciuto che «lo sport promuove un senso comune di appartenenza e partecipazione e può quindi essere anche un importante strumento d’integrazione degli immigrati». Non è dubbio che, «quando la pratica sportiva non trova più nella mera partecipazione alle competizioni, nell’orgoglio dei risultati ottenuti, nei premi, anche simbolici che ne attestano il valore sportivo, la propria ragion d’essere e di riconferma nella conquista di più ambiziosi traguardi, ma diventa oggetto di un rapporto obbligatorio che si assume nei confronti di una società a fronte di un corrispettivo, la stessa perda la sua dimensione di gioco, che si sceglie di praticare per passione, per diventare un lavoro» 31. Alla luce di siffatte considerazioni, emerge chiaramente come la normativa dettata dalla l. n. 12/2016 va a rimuovere un ostacolo al godimento di tale libertà da parte dei minori stranieri presenti in Italia. Dalla natura dei diritti costituzionali sottesi al tesseramento discende, dunque, sul piano dei principi costituzionali, la legittimazione di un internieri tra disciplina legislativa e drittwirkung dei diritti fondamentali, in Riv. dir. sportivo, 2016, p. 215 ss., spec. 220. 29 Si veda per tutti, P. RESCIGNO, Persona e comunità: saggi di diritto privato, Il Mulino, Bologna, 1966, p. 3 ss. Cfr. M. CARTABIA, I diritti dei cittadini, in V. ONIDA-M. PEDRAZZA GORLERO (a cura di), Compendio di Diritto costituzionale, 2a ed., Giuffrè, Milano, 2011, p. 90. 30 Cfr. i materiali disponibili all’indirizzo www.integrazionemigranti.gov.it/Progetti-e-a zioni/Pagine/Sport-Integrazione.aspx. 31 M.T. SPADAFORA, Diritto sportivo del lavoro sportivo, 2a ed., Giappichelli, Torino, 2012, p. 79.

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vento così incisivo sull’autonomia dello sport, come quello operato dalla l. n. 12/2016. Alla luce del quadro esposto, in particolare, come già accennato, si prevede che il minore straniero, per poter beneficiare dell’equiparazione agli italiani quanto alle procedure previste per il tesseramento, debba essere presente in Italia «almeno dal compimento del decimo anno di età». Si tratta di una misura che ha lo scopo di bloccare un potenziale mercato di giovani talenti, che siano trapiantati dalla loro realtà familiare e sociale per essere attratti dal miraggio di una carriera sportiva. Bisognerebbe, però, chiedersi se la disposizione sia effettivamente idonea a raggiungere lo scopo, in conformità all’art. 31, comma 2, Cost. che impone alla Repubblica di proteggere «la maternità, l’infanzia» e, per ciò che qui interessa, «la gioventù». In altri termini, è necessario domandarsi se il limite dell’arrivo in Italia prima del compimento del decimo anno d’età indicato dalla legge si applichi lo stesso o se esso non abbia un carattere assoluto, bensì relativo. Si pensi al minore straniero che giunge in Italia dopo aver compiuto dieci anni, perché immigrano i suoi genitori o per richiedere asilo. Il limite del compimento dei 10 anni determina l’esclusione di molti minori il cui diritto alla parità di trattamento con i coetanei italiani sarebbe viceversa garantito dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (firmata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con l. n. 176/1991); si pensi, ancora, a quei minori che, pur avendo risieduto per molti anni (se non dalla nascita) sul territorio italiano, non siano in possesso di una iscrizione anagrafica o di un permesso di soggiorno valido, e appare al contempo confliggere con il T.U. immigrazione (d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286) il quale prevede che, indipendentemente dalla posizione giuridica dei genitori, il minore non possa mai essere considerato giuridicamente irregolare (art. 19, comma 2, lett. A, T.U. immigrazione). Se le considerazioni esposte sui diritti ‒ in particolare, quelli protetti dagli artt. 2, 4 e 18 Cost. ‒ che vengono in gioco con riferimento al tesseramento risultano fondate non appare possibile ritenere che il limite posto dal legislatore, costituito dall’arrivo in Italia prima del decimo compleanno, abbia un carattere assoluto e debba sempre trovare applicazione. In sostanza, la legge sullo ius soli sportivo sembrerebbe imporre l’equiparazione della posizione del minore straniero a quello italiano sempre nel caso di minori entrati in Italia prima del compimento del decimo anno; per

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quelli entrati dopo, però, si deve consentire il tesseramento nel momento in cui non vengono in gioco esigenze di protezione della gioventù 32. Pur ammettendo la necessità di allentare il rigore della procedura prevista, occorre comunque tenere presente che esso si giustifica con l’esigenza di salvaguardare e proteggere da possibili sfruttamenti economici proprio i minori nonché, al contempo, di garantire la presenza nei vivai giovanili di atleti da cui attingere per le rispettive rappresentanze nazionali 33. Occorre, difatti, richiamare l’art. 2, comma 4-bis, dello Statuto del CONI secondo cui quest’ultimo «detta principi ed emana regolamenti in tema di tesseramento e utilizzazione degli atleti di provenienza estera al fine di promuovere la competitività delle squadre nazionali, di salvaguardare il patrimonio sportivo nazionale e di tutelare i vivai giovanili», nonché l’art. 3, comma 1, nella parte in cui stabilisce che «Il CONI promuove la massima diffusione della pratica sportiva, anche al fine di garantire l’integrazione sociale e culturale degli individui e delle comunità residenti sul territorio». Invero, la prospettiva di osservazione che adotta il legislatore sportivo, nel disciplinare il tesseramento di stranieri, non volge al requisito formale astratto della cittadinanza italiana, bensì a quello sostanziale concreto della residenza in Italia (per gli extracomunitari suffragata dal permesso di soggiorno che ne attesta la regolarità) 34. Analogamente alcune normative federali prescrivono il requisito del nulla-osta della Federazione di provenienza nel caso di atleti stranieri non residenti in Italia, ipotesi questa che, come sopra detto, esula dall’oggetto della legge in esame. Talvolta è possibile rinvenire nelle carte federali una specifica esclusione per gli atleti stranieri con riguardo, in particolare, alla partecipazione alle squadre nazionali. Difficilmente giustificabili in base al principio di spe32

F. VARI, Profili costituzionali del c.d. Ius soli sportivo, cit., p. 226. G. LIOTTA, Il tesseramento nei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, cit., p. 247. 34 Ad esempio, nella Federazione Italiana Rugby la principale distinzione degli atleti è nelle due categorie dei «giocatori di formazione italiana» e dei «giocatori di formazione non italiana». Ad entrambe le categorie possono appartenere atleti di cittadinanza italiana ovvero straniera. Ciò che vale ai fini dell’appartenenza ad una o all’altra delle due categorie sopra dette non è, infatti, l’essere cittadino italiano, bensì l’essere tesserato in Italia senza provenire da Federazione straniera ed aver giocato per almeno due stagioni sportive in società italiane, ovvero, se non formato nei vivai giovanili italiani, l’aver vestito la maglia della squadra nazionale assoluta. Così prevede la Circolare informativa su Affiliazioni e Tesseramento FIR 2013/2014 del 19 aprile 2013. 33

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cificità dello sport sono, invece, le limitazioni, presenti in alcuni ordinamenti endofederali, in ordine al numero massimo in percentuale di atleti stranieri che possono essere tesserati rispetto agli atleti italiani, a prescindere dalla partecipazione alla rappresentativa nazionale 35. Alcune Federazioni, poi, prevedono specifiche limitazioni per la partecipazione degli atleti stranieri ad alcuni campionati. Emerge il dubbio che il legislatore abbia erroneamente sovrapposto, rendendoli coincidenti, il piano attinente al tesseramento degli atleti stranieri con quello relativo alla partecipazione degli stessi atleti ai campionati federali. Peraltro, non può non tenersi conto del fatto che ciascuna Federazione nazionale deve conformare il proprio operato ai regolamenti della Federazione internazionale cui la stessa è affiliata. Emblematica, sotto quest’ultimo profilo, la disciplina del settore calcistico, ove la FIFA ha, fino ad oggi, rivendicato la propria autonomia in materia, sottoponendo le richieste di tesseramento all’approvazione di un proprio organo interno (ai sensi dell’art. 19 del proprio Regolamento). La normativa sul tesseramento di minori stranieri della FIGC rappresenta chiaro esempio di quanto detto. L’art. 40-quater, punto 1.2., ultimo capoverso, delle N.O.I.F. prescrive, infatti, che «In caso di richiesta di primo tesseramento con Società dilettantistica italiana di calciatori/calciatrici comunitari ed extracomunitari di età inferiore ai 18 anni, si applicano le disposizioni della F.I.F.A. sui minori di età». La normativa FIFA, contenuta nelle FIFA Regulations on Status and Transfer of Players, prevede all’art. 19, commi 1 e 3, il divieto del trasferimento internazionale di calciatori minorenni ed il primo tesseramento di un calciatore minorenne per una Federazione di un Paese di cui non è cittadino, salva la ricorrenza di una tra le quattro eccezioni previste ai commi 2 e 4 dello stesso art. 19. La normativa FIFA poggia sulla ratio di tutela dei calciatori minorenni, come espressamente enunciato nell’intitolazione del citato art. 19 (Protection of minors). Essa mira, pertanto, ad impedire i fenomeni di tratta che coinvolgono i calciatori in età precoce, provenienti soprattutto da Paesi del terzo mondo e, quindi, maggiormente esposti al rischio di sfruttamento. Orbene, seppure la Federcalcio, quale soggetto di diritto operante all’interno dello Stato italiano, è obbligata al rispetto delle sue leggi, al con35

L. SANTORO, La legge 20 gennaio 2016, n. 12: un’occasione perduta, in Riv. dir. sportivo, 2016, p. 228 ss., spec. p. 236.

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tempo non può esimersi dal rispetto delle regole imposte dalla FIFA, quand’anche esse abbiano un contenuto contrastante con la legge italiana 36. Infine, sul piano delle politiche attuate dal CONI e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, va ricordata la stipula, nel dicembre 2013, dell’Accordo di programma in materia di integrazione sociale dei migranti attraverso lo sport e contrasto alle discriminazioni che, tra l’altro, «prevede l’identificazione e la valorizzazione di quei progetti realizzati nell’ambito dell’associazionismo sportivo, che mirano a favorire l’inclusione e l’integrazione dei giovani provenienti da un contesto migratorio» 37. All’interno del predetto Accordo si inserisce il Manifesto «Sport e Integrazione: la vittoria più bella», nel quale vengono specificate le finalità e gli obiettivi dell’Accordo stesso, nonché i principi fondanti le politiche di integrazione, tra i quali v’è quello della cittadinanza sportiva. Il Manifesto garantisce «l’accesso al tesseramento e ai campionati, di ogni disciplina e livello, a coloro i quali siano nati in Italia da genitori stranieri. Per la pratica sportiva queste persone devono essere equiparate ai cittadini italiani. Quindi lo straniero nato in Italia deve essere considerato atleta italiano a tutti gli effetti e partecipare come tale ai campionati nazionali e internazionali» 38. Ad oggi, ai fini della validità del tesseramento degli atleti stranieri e, in particolare, degli atleti non appartenenti all’Unione europea, si richiede, quindi, il permesso di soggiorno, precisando che esso non può essere sostituito con altri documenti o con situazioni di mera aspettativa. L’equiparazione degli atleti a formazione straniera agli atleti a forma36

L. SANTORO, La legge 20 gennaio 2016, n. 12, cit., p. 237 s. L. SANTORO, La legge 20 gennaio 2016, n. 12, cit., p. 229. 38 Il Manifesto si apre con le parole pronunciate da Nelson Mandela in occasione della cerimonia dei Laureus World Sports Awards, svoltasi a Monaco nell’anno 2000: «Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di unire le persone come poche altre cose al mondo. Parla ai giovani in un linguaggio che capiscono. Lo sport può creare speranza dove prima c’era solo disperazione. È più potente di qualunque governo nel rompere la barriere razziali. Lo sport ride in faccia ad ogni tipo di discriminazione». Il Manifesto enuncia, quindi, quale sua principale finalità, «La promozione delle politiche di integrazione (…) elemento prioritario per favorire la convivenza dei cittadini italiani e stranieri, nel rispetto dei valori sanciti dalla Costituzione italiana, e per consentire allo straniero di partecipare alla vita economica, sociale e culturale della società. Lo sport, grazie ai valori che lo animano, può svolgere un ruolo trainante nel processi di integrazione e contribuire in modo efficace a diffondere la cultura del rispetto e della convivenza fra persone provenienti da culture diverse» (www.integrazionemigranti.gov.it/ Progetti-e-azioni/progetti-conclusi/Documents/Booklet_Manifesto.pdf). 37

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zione italiana, richiede la specifica richiesta in tal senso della società di appartenenza, la quale non produce effetti se non a partire dalla stagione sportiva successiva alla presentazione della richiesta stessa. Particolari previsioni sono state introdotte con la riforma di cui al d.lgs. n. 36/2021 che con riguardo agli atleti minorenni ha previsto (art. 16) che la richiesta di tesseramento deve essere infatti presentata «anche disgiuntamente da ciascun genitore», nel rispetto della responsabilità genitoriale, ma comunque «tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del minore» (art. 16, comma 1); con diretta applicazione, in caso di disaccordo fra i genitori o di esercizio difforme dalle decisioni concordate, delle disposizioni dell’art. 316 c.c., e, in caso di crisi coniugale ovvero di procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio, degli artt. 337-bis ss. c.c., informati alla tutela dell’interesse morale e materiale della prole. In applicazione dell’art. 337-octies c.c., si prevede (art. 16, comma 2) la necessità del personale consenso al tesseramento del minore dodicenne, e senza limitazioni di età minima (nel previgente testo si prevedeva l’età minima di dieci anni) ai minori stranieri di anni diciotto «anche non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, laddove siano iscritti da almeno un anno a una qualsiasi classe dell’ordinamento scolastico italiano», i quali possono così tesserarsi con le stesse procedure dei minori italiani. Lo straniero di qualsiasi età, purché inferiore a 18 anni, che resta pur sempre cittadino straniero, per il solo fatto di essere iscritto da almeno un anno a una qualsiasi classe dell’ordinamento scolastico italiano, può pertanto acquisire il tesseramento esattamente come un minore italiano. L’art 16, comma 4 (che riprende il dettato del comma 2 dell’art. 1 della l. n. 12/2016), altresì, prevede che il tesseramento del minore straniero resti valido dopo il compimento del 18° anno di età fino al completamento delle procedure per l’acquisizione della cittadinanza italiana, che abbia richiesto secondo la l. 5 febbraio 1992, n. 91, in presenza dei presupposti ivi previsti 39.

39 Come ben evidenzia G. LIOTTA, Il tesseramento nei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, cit., p. 250: poiché lo Stato non potrà pronunciarsi sulla richiesta di cittadinanza prima di avere esperito un’accurata istruttoria, che talora si protrae per diversi anni, soltanto l’ordinamento sportivo o, meglio, gli enti sportivi si troverebbero nelle ipotetiche condizioni di valutare medio tempore la presenza dei predetti presupposti.

CAPITOLO TERZO

IL CONTRATTO DI LAVORO NEL SETTORE SPORTIVO di Gaetanino Rajani

SOMMARIO 1. Il lavoro sportivo: genesi di un unicum contrattuale.– 2. L’introduzione della l. 23 marzo 1981, n. 91. La libertà di esercizio dell’attività sportiva. – 2.1. Il progetto di riforma dello sport italiano. – 3. La definizione di professionismo sportivo. Il c.d. professionismo di fatto. – 3.1. Il perimetro applicativo della l. n. 91/1981. – 3.2. Il datore di lavoro: le società sportive professionistiche. L’assunzione diretta. – 4. La qualificazione giuridica del rapporto di lavoro sportivo. I requisiti del contratto: l’accordo delle parti e la causa. – 4.1. (Segue) L’oggetto del contratto. Il vincolo di subordinazione e le obbligazioni dello sportivo. – 4.2. (Segue) La forma. – 5. I diritti dello sportivo professionista. La retribuzione. Il mobbing nel calcio (cenni). – 6. La tutela sanitaria, assicurativa e previdenziale nello sport professionistico. – 7. La specialità del contratto di lavoro sportivo. Il recesso anticipato e la c.d. “clausola rescissoria”. – 8. Le vicende modificative del contratto. La clausola di recompra. – 9. Il trattamento contrattuale dello sportivo non professionista (cenni). – 9.1. Il professionismo di fatto e l’evoluzione dello sport femminile.

1. Il lavoro sportivo: genesi di un unicum contrattuale. La disciplina normativa sul contratto di lavoro sportivo è il frutto di un tortuoso dibattito dottrinale e giurisprudenziale in ordine ai rapporti tra sportivi e società sportive 1. 1

Sulla nozione di sportivo professionista, cfr. G. MAZZONI, Dilettanti e professionisti, in Riv. dir. sport., 1968, p. 368, il quale traccia una linea di demarcazione tra sportivi dilet-

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Con riferimento all’inquadramento sportivo, lo status di atleta professionista era subordinato al tesseramento da parte di un sodalizio sportivo (a sua volta riconosciuto dal CONI) in forza del quale s’ingenerava tra le parti un vincolo 2 del tutto peculiare, il c.d. vincolo sportivo. Le società sportive non solo consentivano l’ingresso dell’atleta nella comunità sportiva mediante il tesseramento, ma ne acquisivano “egoisticamente” le energie, provvedendo alla sua formazione atletica e tecnica e instaurando un vincolo a tempo indeterminato in base al quale spettava esclusivamente alla società decidere le sorti del rapporto stipulato con i propri atleti, privi di effettiva autonomia contrattuale e di recesso. Si trattava, a ben vedere, di una relazione asimmetrica nella quale lo sportivo risultava non già soggetto del contratto, quanto piuttosto “oggetto” di esso, dovendo peraltro soggiacere alle conseguenze di un’eventuale cessione del contratto, in deroga all’art. 1406 c.c. 3. In ordine alla natura giuridica del contratto di lavoro sportivo, si è lungamente dibattuto tra quanti riconducevano tale rapporto nell’alveo del lavoro autonomo o tutt’al più innominato 4 e quanti, invece, si richiamavano alla disciplina associativa, facendo leva sulla comunanza di scopo dei tanti e professionisti, riconoscendo solo a questi ultimi l’intento di incanalare le proprie energie fisiche in attività qualificabili, a tutti gli effetti, come fonte di reddito. 2 In relazione al vincolo che lega l’atleta al club, si afferma l’esistenza di un diritto reale su un bene immateriale in R. NICOLÒ, Struttura giuridica del rapporto tra associazione calcistica e i propri giocatori, in Riv. giur. lav., 1952, II, p. 208. Nello stesso senso, cfr. App. Bologna, 26 aprile 1962, in Giur. it., 1962, I, 2, p. 308 ss. 3 In G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, Giuffrè, Milano, 2018, p. 145 ss. si riconosce alla Associazione Italiana Calciatori (AIC) il merito di aver sollecitato, sin dagli anni ’60, un intervento normativo teso al riconoscimento degli atleti sportivi quali autentici prestatori di lavoro e come tali titolari di alcuni diritti fondamentali. 4

In favore di una ricostruzione del rapporto tra società e sportivi professionisti in termini di “contratto di ingaggio” assimilabile al lavoro autonomo si esprime R. SCOGNAMIGLIO, In tema di responsabilità delle società sportive ex art. 2049 c.c. per l’illecito del calciatore, in Dir. giur., 1963, p. 81 ss. Nel senso di una piena autonomia del rapporto di lavoro si esprime anche F. BIANCHI D’URSO, Lavoro sportivo e ordinamento giuridico dello Stato: calciatori professionisti e società sportive, in Dir. lav., 1972, p. 396. In favore della natura “innominata” e atipica del contratto cfr. L. VESPIGNANI, Il rapporto fra il giocatore e la società sportiva, in Riv. dir. sport., 1960, p. 339 ss. In tale ultimo senso, si veda Pret. Napoli, 6 febbraio 1980, in Riv. dir. sport., 1980, p. 362 ss., che, seppur riconoscendo natura subordinata al rapporto lavorativo, ne ha esaltato il carattere “atipico”, per l’effetto negando ai calciatori la maturazione dell’indennità di anzianità.

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soggetti (svolgimento di attività ludico-ricreativa) 5. Senza contare la tesi fondata sul vincolo di para-subordinazione 6, caratterizzata da un affievolimento dell’autonomia operativa del lavoratore a vantaggio delle esigenze organizzative dell’ente. Tuttavia, già dagli anni ’60, la maggior parte degli studiosi 7 riconosceva natura subordinata al rapporto lavorativo professionistico, evidenziandone il vincolo di subordinazione. Ai sensi dell’art. 2094 c.c., esso si caratterizza, in ambito sportivo, per l’eterodirezione dell’atleta-lavoratore, la professionalità della prestazione e l’obbligo di collaborazione per il raggiungimento degli obiettivi sportivi. La giurisprudenza, anche di legittimità, affermava la prevalente natura subordinata del contratto di lavoro sportivo professionistico, nel quale la prestazione assume i tipici connotati di continuità, esclusività e professionalità 8. Nei successivi sviluppi, tale impostazione – corroborata dal mutato clima sociale e politico determinato dall’entrata in vigore della l. 20 maggio 1970, n. 300 (c.d. Statuto dei lavoratori) – mirava al completo riconosci5

G. VOLPE PUTZOLU, Sui rapporti tra giocatori di calcio e associazioni sportive e sulla natura giuridica della c.d. cessione del giocatore, in Riv. dir. comm., 1964, II, p. 15 ss.; P. BARILE, La Corte delle Comunità Europee e i calciatori professionisti, in Giur. it., 1977, I, p. 1411 ss. 6

S. GRASSELLI, L’attività dei calciatori professionisti nel quadro dell’ordinamento sportivo, in Giur. it., 1974, p. 151 ss. 7 In favore di tale ricostruzione, tra gli altri, R. BORRUSO, Lineamenti del contratto di lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1964, p. 72 ss.; A. MARTONE, Osservazioni in tema di lavoro sportivo, in Riv. dir. sport., 1964, p. 117 ss.; F. POCHINI FREDIANI, Aspetti sostanziali e processuali del “vincolo” dei calciatori professionisti, in Riv. dir. sport., 1967, p. 179 ss.; C. GIROTTI, Il rapporto giuridico del calciatore professionista, in Riv. dir. sport., 1977, p. 183 ss. 8 Sul punto, Cass., 21 ottobre 1961, n. 2324 in Foro it., 1961, I, p. 1608, nel caso Raccis c/Milan ha ravvisato l’obbligo di fedeltà previsto ex art. 2105 c.c. nel divieto, imposto al calciatore, di prendere parte ad eventi sportivi estranei al sodalizio di appartenenza. Inoltre, la Cassazione ha concluso per l’assoggettamento del contratto alla regolamentazione collettiva, adeguandolo ai principi fondamentali che regolano il rapporto di lavoro subordinato, quali, fra gli altri, il diritto del giocatore ad un periodo annuale di riposo (art. 2109 c.c.), il diritto ad uno specifico trattamento di malattia ed infortunio (art. 2110 c.c.) e l’obbligo previdenziale a carico delle società sportive (art. 2114 c.c.). Nello stesso senso: App. Venezia, 3 luglio 1969 in Orient. giur. lav., 1970, p. 226 ss. e Cass., 8 settembre 1970, n. 1949 in Giust. civ., 1970, p. 1096 ss. In senso difforme, ancorato alla natura sui generis del contratto in esame, cfr. Cass., 2 aprile 1963, n. 811 in Giust. civ., I, p. 1892 ss.

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mento del vincolo di subordinazione, negando qualsiasi residuo di specialità che confliggesse con la tutela del lavoratore sportivo 9. Il quadro appena delineato subì un significativo cambiamento nell’estate del 1978 per effetto del blocco del c.d. calciomercato. Con decreto emanato d’urgenza il 7 luglio, l’allora Pretore di Milano 10 inibì ai rappresentanti delle società di calcio lo svolgimento di trattative e la stipulazione di contratti riguardanti le prestazioni dei giocatori, giacché contrastanti con le norme in materia di collocamento, di cui alla l. 29 aprile 1949, n. 264 (poi abrogata nel 2003). Il Governo intervenne prontamente per evitare il blocco della sessione estiva di mercato, che avrebbe messo in dubbio il regolare inizio dell’imminente stagione calcistica. Con il d.l. 14 luglio 1978, n. 367 (convertito in l. 4 agosto 1978, n. 430), si escluse così con chiarezza il trasferimento dei calciatori dalla sfera di operatività della legge sul collocamento richiamandosi al rispetto della normativa regolamentare di matrice federale, facendo leva sulle «caratteristiche di specialità e autonomia» del rapporto contrattuale in questione 11. Tuttavia, il clamore mediatico suscitato dalla vicenda e l’acceso dibattito che ne seguì resero i tempi maturi per la realizzazione di un intervento legislativo finalmente organico, onde evitare il ripetersi di situazioni emergenziali e destabilizzanti per il sistema sportivo nazionale.

2. L’introduzione della l. 23 marzo 1981, n. 91. La libertà di esercizio dell’attività sportiva. All’indomani della conversione del d.l. n. 367/1978, il Governo presentò alle Camere un disegno di legge con l’intento di qualificare la prestazione sportiva professionistica in termini di lavoro autonomo. 9

Nella prospettiva della piena e completa subordinazione, cfr. Cass., SS.UU., 26 gennaio 1971, n. 174 in Riv. dir. sport., 1971, p. 6 ss., la quale aggiunse che le peculiarità del rapporto di lavoro sportivo derivavano da accordo negoziale consistente nella volontaria sottoposizione dei soggetti appartenenti alla FIGC (in primis, i calciatori professionisti) all’osservanza dei regolamenti federali, con ciò desumendo la riprova del vincolo ex art. 2094 c.c. 10 Si tratta del decreto Pret. Milano, 7 luglio 1978, in Foro it., II, c. 319 ss. 11 G. VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, in Giust. civ., 1993, II, pp. 205-206.

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L’attività legislativa culminò con l’approvazione della l. 23 marzo 1981, n. 91 12, intitolata «Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti», entrata in vigore l’11 aprile 1981, normativa di rango legislativo di riferimento in materia di lavoro sportivo 13. L’art. 1 enuncia il principio di libertà di esercizio dell’attività sportiva, a prescindere dalle modalità di svolgimento, tanto sotto il profilo ludico (sport individuale o di squadra), quanto dal punto di vista organizzativo, secondo il discrimine professionismo/dilettantismo, tutelando i diritti in conformità all’art. 2 Cost., anche nelle formazioni sociali ove si sviluppa la personalità del singolo individuo 14. In primo luogo, esso costituisce un argine a tutela del singolo contro le indebite ingerenze poste in essere dall’ordinamento sportivo: l’attività sportiva, considerata in senso generale, può definirsi davvero “libera” solo ove afferisca all’impiego del tempo libero 15, al di fuori dell’orario lavorativo, ed esuli dal contesto regolamentare delle Federazioni sportive nazionali. A ben vedere, infatti, i poteri esercitati da queste ultime inevitabilmente finiscono per restringere il campo di autonomia decisionale del singolo atleta, considerato che la pratica sportiva a livello agonistico o amatoriale deve essere svolta sotto l’egida delle Federazioni, attraverso il tesseramento con un sodalizio sportivo, nel rispetto della normativa regolamentare valevole per la singola disciplina. Cosicché l’autentica libertà, scevra da condizionamenti diversi dalle mere regole tecniche, trova la sua sede nelle attività sportive promosse per soli scopi ricreativi o formativi. In secondo luogo, il principio di libertà sportiva costituisce una sorta di barriera protettiva dell’ordinamento sportivo contro indebite pressioni o sconfinamenti attuati dall’ordinamento giuridico statale giacché l’esercizio delle attività sportive non è semplicemente permesso, ma promosso e sviluppato alla luce del dettato costituzionale 16. 12

Per una compiuta analisi storico-politica dell’iter legislativo, cfr. M. DELLA COSTA, La disciplina giuridica del lavoro sportivo, Egida Libreria Editrice, Vicenza, 1993, p. 44. 13 G. VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, cit., p. 207, definisce la l. n. 81/1991: “legge per il calcio”. Cfr. F. BIANCHI D’URSO-G. VIDIRI, Sul rapporto tra Figc e calciatori delle squadre nazionali, in Foro it., 1990, II, p. 3176. 14 Si veda, a tal proposito, la riflessione contenuta in M. COLUCCI, Il rapporto di lavoro nel mondo dello sport, in Lo sport e il diritto, 2004, p. 17 ss. 15 In questo senso cfr. G. VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, cit., p. 209. 16 D. DURANTI, L’attività sportiva come prestazione di lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1983, p. 704.

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Un approfondimento a parte merita la questione del c.d. vincolo sportivo 17, in virtù del quale l’atleta professionista restava vincolato a tempo indeterminato per il sodalizio col quale era tesserato, quantunque il rapporto di lavoro si fosse estinto anche per risoluzione consensuale. Perfino il trasferimento della prestazione lavorativa richiedeva, di norma, il consenso dell’ente titolare del “cartellino”, il che comportava evidenti ripercussioni in ordine alle prospettive di carriera dello sportivo. Prima della sua abrogazione espressa, realizzata per effetto dell’art. 16, l. n. 91/1981, il vincolo sportivo costituiva, pertanto, un grave vulnus all’autonomia negoziale del professionista, che minava l’equilibrio contrattuale, risolvendosi nella sostanziale negazione del principio di libertà di esercizio dell’attività sportiva 18.

2.1. Il progetto di riforma dello sport italiano. Al termine di un travagliato iter di approvazione, con l’intento di innovare il settore sportivo sotto molteplici aspetti 19, è intervenuto, in particolare, il d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 36 – in attuazione dell’art. 5 della l. delega n. 86/2019 – si focalizza sul rapporto intercorrente tra sodalizi e atleti aprendo a nuovi scenari sul piano normativo e lavoristico. 17

In relazione alla natura giuridica e all’operatività dell’istituto, cfr. C. PASQUALIN, Il vincolo sportivo, in Relazione al I Convegno di diritto sportivo Giustizia sportiva e giustizia ordinaria, in Riv. dir. sport., 1980, p. 297; M. FERRARO, La natura giuridica del vincolo sportivo, in Riv. dir. sport., 1987, p. 13. 18 In particolare, si esamini la disciplina dettata dagli artt. 32, 32-bis e 106-113 delle NOIF (Norme organizzative interne della Federazione) emanate dalla FIGC in materia di vincolo sportivo dei calciatori “giovani” e “non professionisti”. Da tempo la giurisprudenza si è interrogata circa la compatibilità dell’istituto in esame con i principi dettati dal codice civile in materia di recesso dai vincoli associativi a tempo indeterminato, nonché circa la sua legittimità in relazione agli artt. 2 e 18 della Costituzione. In tal senso, cfr. Cass., 14 maggio 1997, n. 4244, in Foro it., 1997, I, c. 2484 ss. Si esprime in termini di anacronistico e arcaico limite alla libertà contrattuale, T.A.R. Lazio, 12 maggio 2003, n. 4103, in www.giustizia-amministrativa.it. 19 Al momento della stampa del presente lavoro, l’entrata in vigore della Riforma è sostanzialmente rinviata al 1° gennaio 2023, fatta eccezione per le disposizioni dettate dal d.lgs. n. 36/2021 (vigenti dal 1° gennaio 2022) in ordine alle disposizioni comuni e principi generali (Titolo I), alle associazioni e società sportive (Titolo II), alla disciplina applicabile agli sportivi (Titolo III), agli sport che prevedono l’impiego di animali (Titolo IV) nonché in materia di sostegno delle donne nello sport e laureati in scienze motorie (Capi II-III del Titolo V) e pari opportunità (Titolo VI).

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La prima e più significativa novità consiste nell’introduzione della figura del “lavoratore sportivo”, ossia colui che «senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico» esercita l’attività sportiva «verso un corrispettivo al di fuori delle prestazioni amatoriali» (art. 25). Nella logica del progressivo superamento dei rigidi schemi disegnati dalla l. n. 91/1981, l’intento è di strutturare la disciplina del rapporto di lavoro sulla qualificazione “concreta” di professionismo, ancorata al dato economico consistente nella percezione di un’autentica retribuzione che escluda la spontaneità e gratuità della prestazione sportiva amatoriale. In particolare, si dispone (art. 29) che gli enti sportivi e le Federazioni sportive nazionali possano avvalersi di amatori che mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere lo sport, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ma esclusivamente con finalità amatoriali. A fronte di tali prestazioni è consentita, peraltro, l’erogazione di premi, compensi e rimborsi spesa forfettari che, entro determinati limiti, non ne modificano il carattere amatoriale. Segue l’inquadramento della prestazione in uno dei seguenti schemi tipici: rapporto di lavoro subordinato 20 o autonomo, anche nelle forme delle collaborazioni coordinate o in termini di prestazione occasionale. Il secondo tassello della riforma riguarda l’abolizione del vincolo sportivo anche per gli atleti dilettanti, che allo stato attuale di norma sono legati al club di appartenenza per buona parte della carriera. Tuttavia, secondo una logica di contemperamento degli opposti interessi, il legislatore ha predisposto un “premio di formazione tecnica” (cfr. art. 31) parametrato all’età, alla durata e al contenuto formativo del rapporto, in regime di mutua assistenza tra le società professionistiche e dilettantistiche che hanno curato la crescita del giovane atleta. Viene, pertanto, disegnato un meccanismo di compensazione finanziaria già noto, ad esempio, nell’ambito della Federazione Italiana Giuoco Calcio, posto essenzialmente a carico dei club professionistici che acquisiscono le prestazioni dell’atleta svincolato e diretto alla tenuta del “sistema” sportivo. Infine, allo scopo di valorizzare il percorso formativo dei giovani atleti, sia sotto il profilo sportivo che umano e relazionale, è prevista (art. 30) la 20

Nelle Federazioni che ammettono il professionismo opera la presunzione di subordinazione qualora l’attività prestata sia «principale, ovvero prevalente, e continuativa» (art. 27, comma 2).

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stipulazione di appositi «contratti di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, per il diploma di istruzione secondaria superiore e per il certificato di specializzazione tecnica superiore», in regime di convenzione con istituti scolastici e università, come misura di alternanza scuola/lavoro. L’obiettivo è quello di accompagnare alla crescita atletica la maturazione socio-culturale agevolando il passaggio dalla carriera prettamente sportiva a quella lavorativa. Nel caso in cui il giovane sottoscriva, allo scadere del periodo di apprendistato, un contratto di lavoro sportivo, scatterebbe il diritto al premio di formazione tecnica in favore dei sodalizi presso i quali l’atleta abbia svolto attività dilettantistica, giovanile o amatoriale.

3. La definizione di professionismo sportivo. Il c.d. professionismo di fatto. Lo status di sportivo professionista si ricava dall’art. 2, l. n. 91/1981, che prescrive la compresenza di requisiti di natura oggettiva e soggettiva. Sotto il primo profilo, si considera professionista colui che svolge attività sportiva a titolo oneroso e con carattere di continuità, nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI. Pertanto, i caratteri di onerosità e continuità sono presi a modello dal legislatore per mettere in evidenza, nel mondo professionistico, la stretta correlazione intercorrente tra prestazione sportiva e diritto al compenso. Tale binomio se, per un verso, ha il pregio di favorire la qualificazione del professionismo, circoscrivendone il terreno rispetto al ben più ampio mondo dilettantistico, per altro verso appare criticabile in quanto trascura l’elemento della prevalenza 21. 21 Il legislatore avrebbe potuto precisare, quale elemento cardine per la qualificazione di professionista, che l’attività sportiva venga esercitata in modo prevalente o esclusivo rispetto ad altre occupazioni, tracciando così una netta linea di demarcazione rispetto all’atleta dilettante, che da essa non trae prevalente (o esclusivo) sostentamento. Il requisito della continuità, a ben vedere, unito al vincolo di subordinazione e all’assenza delle condizioni di cui al comma 2 dell’art. 3, ben può costituire il sintomo di un’attività lavorativa sportiva resa in forma subordinata. Cfr. D. DURANTI, L’attività sportiva come prestazione di lavoro, cit., p. 306; in senso conforme, E. PICCARDO, Legge 23 marzo 1981, n. 91. Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti, in Nuove leggi civ. comm., 1982, p. 564. Nel senso, invece, della superfluità del requisito di prevalenza, considerato come integrativo in sede di contrattazione collettiva, G. GIUGNI, La qualificazione di atleta professio-

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Dal punto di vista soggettivo, è necessario che l’attività prestata dallo sportivo sia qualificata come professionistica da parte della Federazione di appartenenza. La legge, infatti, attribuisce all’ente federale il compito di prestabilire se una determinata attività agonistica afferisca o meno al mondo del professionismo. Si tratta di una scelta certamente discutibile in quanto la determinazione viene demandata ad una sorta di relatio esterna al sistema delle fonti legislative, cionondimeno giustificabile alla luce dell’esigenza di controllo del fenomeno professionistico 22. Occorre precisare, inoltre, che allo stato attuale ben poche Federazioni 23 hanno optato per l’attivazione del settore professionismo, anche per via dei costi – in termini di risorse e di personale addetto – non indifferenti, necessari per la sua implementazione. Da quanto detto deriva un’importante considerazione: quantunque uno sportivo, rispondente alle categorie soggettive di legge, pratichi a titolo oneroso e in modo continuativo un’attività agonistica con prestazioni d’alto livello, ma nell’alveo di una Federazione che non conosce il settore professionistico (ad esempio: la FIPAV – Federazione Italiana Pallavolo), questi non è soggetto alle prescrizioni e al regime di tutele approntato dalla l. n. 91/1981. Questa conclusione ha prodotto come effetto il dilagare del c.d. professionismo di fatto (o shamateur). Si tratta di un fenomeno presente nella prassi che risponde all’esigenza di coniugare la pratica sportiva agonistica, spesso ad elevato contenuto tecnico, col diritto alla percezione di un compenso 24. Nel calcio dilettantistico si pensi, ad esempio, all’art. 94-ter delle NOIF, che consente la stipulazione di accordi economici concernenti nista, in Riv. dir. sport., 1986, p. 162 ss. L’A. precisa, inoltre, che la qualificazione federale assume natura di atto di ammissione all’interno della cerchia del professionismo sportivo, di talché può inferirsi l’autonomia e la chiusura dell’ordinamento sportivo. 22 Così G. VIDIRI, La disciplina del lavoro sportivo autonomo e subordinato, cit., p. 210. 23 Si tratta delle Federazioni seguenti: FIGC (calcio), FIP (pallacanestro), FCI (ciclismo) e FIG (golf). Un discorso a parte merita la situazione della FMI (motociclismo), che in occasione della riforma dello Statuto ha stabilito di abbandonare l’attività professionistica (cfr. art. 13, Statuto FMI), così come la FPI (pugilato) che ha inaugurato la sezione PRO (di cui al Regolamento federale del 2 febbraio 2019). 24 Per evidenziare il superamento della tradizionale impostazione dilettantistica e amatoriale dello sport, da intendersi come puro svago basato sullo spirito di competizione ed esercitato a titolo gratuito, è stata coniata l’espressione ossimorica di «dilettantismo retribuito». Cfr. P. MORO, Sul dilettantismo retribuito. Natura e problemi del dilettantismo di fatto nello sport, in Giurisprudenzasportiva.it, 2018, 2, p. 4 ss.

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«[…] indennità di trasferta, i rimborsi forfettari di spese e le voci premiali» in favore dei calciatori che partecipano al campionato italiano della Lega Nazionale Dilettanti. La soluzione approntata nel settore calcistico, se, per un verso, risponde all’esigenza pratica di remunerazione del lavoro prestato, non scioglie l’interrogativo in ordine alla estensione (o meno) della disciplina vincolistica, di cui alla l. n. 91/1981, anche alle figure di professionismo di fatto. La questione è dibattuta. In base ad un primo orientamento di segno negativo – sostenuto da autorevole dottrina e avallato anche dalla giurisprudenza di legittimità 25 – il dettato normativo è insuscettibile di applicazione estensiva oltre il suo orizzonte applicativo, stante il carattere di specialità rispetto al regime lavoristico ordinario. Per come è stata ideata e modellata dal legislatore, la l. n. 91/1981 non può essere invocata da coloro che traggono il loro reddito principalmente dall’esercizio di uno sport, ma risultano tesserati per una Federazione estranea al professionismo. Concludono, invece, per l’estensione normativa quanti fanno leva sull’inaccettabile disparità di trattamento tra sportivi professionisti e dilettanti, che verrebbero sacrificati per via della scelta definitoria ascrivibile alla Federazione di appartenenza 26. Viene qui in rilievo la situazione dell’autentico professionista di fatto 27, che percepisce periodicamente una retribuzione dalla cifra ben superiore 25 In dottrina, B. BERTINI, Il contratto di lavoro sportivo, in Contr. e impr., 1998, p. 762 ss.; G. MARTINELLI, Lavoro autonomo e subordinato nell’attività dilettantistica, in Riv. dir. sport., 1993, p. 17 ss.; C. ZOLI, Sul rapporto di lavoro sportivo professionistico, in nota a Pret. Busto Arsizio, 12 dicembre 1984, in Giust. civ., 1985, I, p. 2090 ss. In giurisprudenza, Cass. pen., 8 marzo 2016, n. 9559, in La Tribuna, Rivista Penale, 2016, p. 1033, aderisce all’interpretazione letterale dell’art. 2, l. n. 91/1981 in lettura combinata con gli artt. 28-29 NOIF, giacché – investita di un regolamento di competenza formulato dalla difesa di un calciatore dilettante – conclude per l’irrilevanza di un accordo tra club e atleta che deroghi alla disciplina legale, ritenendola inapplicabile alla fattispecie trattandosi di sodalizio affiliato alla LND (Lega Nazionale Dilettanti). Sull’obbligo di formale qualificazione ad opera della Federazione, Pret. Bologna, 26 gennaio 1985, n. 178. 26 G. VIDIRI, Il lavoro sportivo tra codice civile e norma speciale, in Riv. dir. lav., 2002, 1, p. 49, il quale richiama, in tal senso, F. REALMONTE, L’atleta professionista e l’atleta dilettante, in Riv. dir. sport., 1997, p. 374. 27 Nel gioco del calcio, pertanto, la situazione in esame deve essere tenuta ben distinta da quella del calciatore di livello amatoriale ovvero del dilettante che riceve il rimborso spese, ai sensi del già citato art. 94-ter delle NOIF. Si tratta, infatti, di categorie di soggetti non paragonabili a quella del calciatore professionista, quanto a impegno atletico, tecnico, lavorativo, ecc., profuso a titolo oneroso e con continuità.

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al mero rimborso delle spese sostenute, traendo da essa l’unica fonte di sostentamento. Sul punto, la giurisprudenza europea 28 che ha enucleato un principio di equiparazione in concreto, da valutarsi caso per caso, in relazione alle mansioni svolte dall’atleta, apre al riconoscimento di un rapporto lavorativo di natura subordinata, sempre che sussistano i requisiti di cui all’art. 2094 c.c. Si tratta, in questo caso, di una valutazione rimessa all’apprezzamento del giudice, sulla quale non incide alcun potere qualificativo di matrice federale. In aggiunta a ciò, la delicata funzione attribuita dal legislatore alle Federazioni sportive nazionali di qualificare uno sport come professionistico non può essere delegata, né tanto meno integrata dall’autonomia negoziale; il riferimento è agli accordi economici stipulati nel settore sportivo dilettantistico, ai quali si preclude un’attività ricognitiva o modificativa che configuri un rapporto di lavoro 29. In ordine ai mutevoli confini del c.d. professionismo di fatto si colloca la scelta del legislatore di considerare l’atleta un lavoratore senza distinzione tra discipline professionistiche e dilettantistiche. Vigente la riforma dello sport, l’aspetto qualificante il lavoratore sportivo, rispetto al semplice amatore, sarà infatti rappresentato dall’onerosità della prestazione.

28 In relazione al divieto di discriminazione per diversa appartenenza alla categoria professionistica o dilettantistica e la consequenziale applicazione delle norme del Trattato UE anche agli atleti sostanzialmente professionisti, cfr. le seguenti pronunce della Corte di giustizia europea: 12 dicembre 1974, C-36/74 (caso Walrave e Koch), in Racc., 1974, p. 1405 ss.; 14 luglio 1976, C-13/76 (caso Donà), in Racc., 1976, p. 1333 ss.; 11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97 (caso Deliege), in Foro it., Racc., 2000, I, p. 2549 ss. In tali decisioni si afferma l’irrilevanza della qualifica dilettantistica pronunciata dalle Federazioni sportive, al fine di escludere l’esercizio di attività economica e segnatamente di prestazione di servizi ai sensi dell’art. 49 TCE (oggi art. 56 TUE). Nell’ordinamento spagnolo si segnala: Trib. Santander, 14 ottobre 1996, in Riv. dir. sport., 1997, p. 856 ss., caso Olsson, con nota di S. BASTIANON, Dal calcio alla pallamano: la giurisprudenza Bosman nella pronuncia di un giudice nazionale. 29 M.T. SPADAFORA, Diritto del lavoro sportivo, Giappichelli, Torino, 2012, pp. 95-96. La giurisprudenza federale della FIGC si è espressa, inoltre, per il divieto di estensione della normativa nazionale, attinente al contenuto degli accordi economici ex art. 94-ter delle NOIF, ai calciatori partecipanti ad altri campionati diversi da quelli nazionali, ad es. regionali, provinciali, ecc., sotto pena dell’applicazione di sanzioni. Cfr. Comitato regionale Lombardia – LND Commissione Disciplinare, 14 giugno 2007, n. 47, in Rass. dir. ec. sport., 2010, p. 215 ss., con nota di E. INDRACCOLO (sul “caso Hubner”).

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3.1. Il perimetro applicativo della l. n. 91/1981. L’art. 2, l. n. 91/1981 elenca gli sportivi professionisti ai quali si applica la normativa speciale. Il richiamo è alle figure seguenti: atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici. Con riferimento ai primi, si tratta di coloro che praticano una disciplina sportiva a carattere agonistico, qualificata come professionistica dalla Federazione di appartenenza, al fine non solo di gareggiare in competizioni sportive, ma anche di trarne profitto. Nella regolamentazione del gioco calcio, ad esempio, sono principalmente due le disposizioni normative multilivello, nazionale (art. 28 NOIF) e internazionale (art. 2 Reg. FIFA), che definiscono la categoria di calciatore professionista 30. Per inquadrare la categoria entrambe le discipline individuano, alla stregua di elementi qualificanti, i caratteri dell’onerosità e del vincolo lavorativo assunto verso una società. Si segnala, in particolare, che nella normativa FIFA il parametro discretivo tra professionisti e dilettanti è incentrato sul mero dato economico, ove il pagamento di una somma superiore alle spese effettuate dal calciatore appare sintomatico del professionismo. La disciplina è completata, inoltre, dagli artt. 27-35 delle NOIF, che definiscono lo status di calciatore, nonché dagli accordi collettivi di categoria, conclusi dalla FIGC e dalle diverse Leghe nazionali professionistiche, unitamente alla AIC (Associazione Italiana Calciatori). Ampio rilievo pratico assume la definizione di calciatore professionista offerta dall’art. 28 NOIF, la quale fissa dei limiti d’età per la sottoscrizione del relativo contratto. Il primo vincolo da professionista, infatti, può essere stipulato da calciatori che abbiano compiuto almeno il 19° anno di età nell’anno precedente in cui ha inizio la stagione sportiva, fatto salvo il caso dei c.d. giovani di serie (cfr. art. 33, commi 3-4, NOIF). Con riferimento agli allenatori (definiti anche “tecnici” in taluni rego30 In ambito nazionale, il riferimento è all’art. 28 delle NOIF, il quale recita: «Sono qualificati “professionisti” i calciatori che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità, tesserati per società associate nella Lega Nazionale Professionisti o nella Lega Professionisti Serie C». In ambito internazionale, viene in rilievo l’art. 2 del Regolamento della FIFA (Fédération Internationale de Football Association) secondo il quale «[…] per professionista si intende un calciatore che abbia stipulato un contratto scritto con una società e che in cambio della propria prestazione riceva un pagamento superiore alle spese effettivamente sostenute nell’esercizio della prestazione calcistica. Tutti gli altri calciatori rientrano nella categoria dei dilettanti».

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lamenti federali), essi svolgono funzioni di carattere squisitamente tecnicosportivo inerenti alla selezione, preparazione e addestramento degli atleti. Ai fini dell’esercizio dell’attività gli allenatori necessitano, di norma, dell’acquisizione di un’idoneità all’insegnamento della disciplina sportiva. Più specificamente, nel calcio è richiesta l’iscrizione in un apposito albo e sono previste due categorie di allenatore professionista, corrispondenti ai livelli riconosciuti anche dall’UEFA 31. Infine, mentre i preparatori atletici collaborano con l’allenatore nella formazione e preparazione fisica degli atleti, sui direttori tecnico-sportivi incombe l’onere di giudicare le capacità e le potenzialità di atleti e tecnici, operando le principali scelte di mercato. Nel settore calcistico esiste un apposito Elenco Speciale dei direttori sportivi tenuto dalla FIGC, nel quale deve iscriversi un’eterogenea categoria di soggetti, quali i direttori generali, i direttori sportivi, i segretari generali, nonché i responsabili del settore giovanile e dell’area osservatori. Ci si interroga in ordine alla tassatività o meno della catalogazione offerta dall’art. 2. Il dubbio è sorto con riferimento ad alcune figure professionali di rilievo per la cura psico-fisica degli atleti, quali i massaggiatori e i medici sociali. Una parte della dottrina ritiene l’elenco puramente esemplificativo e non esaustivo, aperto ad integrazioni da parte delle Federazioni, soprattutto alla luce del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo e del carattere meramente definitorio della disposizione normativa 32. Secondo l’orientamento assolutamente prevalente, per converso, le categorie professionali richiamate costituiscono un “numero chiuso” e la norma in questione appare insuscettibile di interpretazione estensiva o analogica. Sul punto, anche la giurisprudenza di legittimità 33 si è espressa 31 L’art. 16 NOIF traccia una classificazione in tal senso tra Allenatori Professionisti di 1ª categoria-UEFA PRO, abilitati alla conduzione tecnica di squadre di qualsiasi tipo e categoria, e Allenatori Professionisti di 2ª categoria-UEFA A, la cui abilitazione è circoscritta alle squadre iscritte alla Lega PRO, alla LND e abilita alla conduzione di squadre giovanili senza limitazioni. 32 In tal senso cfr. P. TOSI, Sport e diritto del lavoro, in ADL, III, 2006, p. 721 ss.; M. DE CRISTOFARO, Legge 23 marzo 1981, n. 91. Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti, in Nuove leggi civ. comm., 1982, p. 592 ss.; D. DURANTI, L’attività sportiva come prestazione di lavoro, cit., p. 576. 33 Cass., 11 aprile 2008, n. 9551 in Diritto dello sport, 2008, p. 253 ss. In senso conforme si segnala Pret. Venezia, 22 luglio 1998, in Riv. dir. sport., 1998, p. 164, la quale evi-

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in senso restrittivo, argomentando dalla specialità del contratto di lavoro sportivo professionistico che prevede deroghe peggiorative alla disciplina comune del lavoro subordinato. Ciò non esclude che l’ordinamento delle singole Federazioni possa intervenire per dettare una normativa di settore per le categorie professionali escluse dall’applicazione della l. n. 91/1981. È il caso, ad esempio, del Regolamento del Settore Tecnico della FIGC che dedica una disciplina specifica (cfr. artt. 30-31) alle figure del medico sociale e degli operatori sanitari, che sono tenuti al tesseramento come gli sportivi professionisti. Occorre precisare che la disciplina de qua non è applicabile ai rapporti di lavoro nascenti tra le società sportive e i propri dipendenti che siano estranei all’ambito sportivo, bensì addetti all’attività amministrativa (segreteria, contabilità, servizi legali, ecc.) oppure alla gestione e manutenzione degli impianti sportivi della società. Alle suddette categorie si applica, infatti, la disciplina giuridica ordinaria dettata in materia di lavoro subordinato.

3.2. Il datore di lavoro: le società sportive professionistiche. L’assunzione diretta. Prima di analizzare gli elementi che caratterizzano il contratto in esame, occorre soffermarsi sulla qualificazione soggettiva del datore di lavoro, che ha subito un’importante rivisitazione per effetto della giurisprudenza europea e soprattutto per effetto della nota sentenza Bosman 34. Nel suo impianto originario, infatti, l’art. 10, l. n. 91/1981 prevedeva che la stipulazione di contratti con atleti professionisti fosse appannaggio di società sportive costituite in forma di società azionarie o a responsabilità limitata, previa affiliazione ad una o più Federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI. Si trattava di una disciplina fortemente derogatodenzia la specificità delle mansioni svolte dal personale clinico, significativamente differenti da quelle menzionate nella legge. In dottrina abbracciano questa impostazione, tra gli altri, E. PICCARDO, Legge 23 marzo 1981, n. 9, cit., p. 562 e L. COLANTUONI, Il vincolo sportivo e la disciplina del rapporto di lavoro sportivo, in ID. (a cura di), Diritto sportivo, Giappichelli, Torino, 2009, p. 127. 34 Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 15 dicembre 1995, causa c. 415/93, in Giust. civ., 1996, I, p. 601, con nota di M. ORLANDI, Ostacoli alla libera circolazione dei calciatori e numero massimo di stranieri comunitari in una squadra: osservazioni in margine alla sentenza Bosman, in Foro it., 1996, IV, p. 1.

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ria 35 rispetto ai principi sottesi allo svolgimento di attività economica in forma societaria, come desumibili dall’art. 2247 c.c. 36. La particolarità consisteva nella esclusione del fine lucrativo c.d. soggettivo: era espressamente vietata la distribuzione di utili tra i soci, sotto forma di dividendi, mentre le utilità dovevano essere reinvestite in toto per il perseguimento delle attività sportive. Sul quadro appena delineato la citata sentenza Bosman è intervenuta sancendo l’abolizione del sistema dell’indennità di preparazione e di promozione che l’atleta professionista era tenuto a versare al club di provenienza per sottoscrivere un nuovo ingaggio presso altro sodalizio. La sentenza rileva, altresì, per il decisivo riconoscimento della libertà di circolazione dei lavoratori del settore sportivo entro lo spazio economico europeo, con l’effetto di parificare il trattamento giuridico ed economico tra atleti italiani e stranieri dotati di passaporto europeo. Dunque, al fine di preservare la stabilità del sistema sportivo nel suo complesso, il legislatore è intervenuto per rimodulare l’assetto organizzativo delle società sportive professionistiche. La l. 18 novembre 1996, n. 586 ha così modificato l’art. 10, l. n. 91/1981 aprendo le porte al perseguimento dello scopo di lucro, sebbene contemperato da obblighi di accantonamenti periodici destinati a finanziare il settore giovanile, e allentando lo stretto sistema di controlli sulle società, originariamente demandati alle Federazioni. Allo stato attuale, pertanto, le società sportive possono considerarsi, a tutti gli effetti, enti lucrativi di diritto privato 37, pur residuando una forma di interferenza da parte dell’ordinamento sportivo nella sola fase di affiliazione (e di revoca) demandata agli organi federali. Sul versante della costituzione del rapporto, l’art. 4 della legge in esame consente l’assunzione diretta, in deroga agli artt. 33 e 34 dello Statuto dei 35

Sul punto, cfr. G. VOLPE PUTZOLU, Una legge per lo sport? Società e federazioni sportive, in Foro it., 1981, V, p. 308. L’A. parla di “anomalia” nello schema tipico delle società di capitali in quanto le società sportive perseguono l’utile quale interesse mediato per raggiungere il fine del traguardo nello sport. 36 Coerentemente il successivo art. 13, comma 2, dettato in materia di liquidazione della società, vietava la ripartizione dell’attivo patrimoniale tra i soci in misura eccedente al valore nominale delle rispettive partecipazioni. 37 Il legislatore non prevede una disciplina ad hoc per la figura del datore di lavoro e, pertanto, in caso di morte o sopravvenuta incapacità dell’imprenditore, la proposta contrattuale o la sua accettazione non perdono efficacia, ai sensi dell’art. 1330 c.c. In caso di trasferimento d’azienda, inoltre, il rapporto di lavoro prosegue in capo all’acquirente ed il lavoratore sportivo conserva tutti i diritti (cfr. art. 2558 c.c.).

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lavoratori (l. 20 maggio 1970, n. 300). La scelta legislativa appare obiettivamente giustificata dall’elevato tasso di personalità (intuitus personae) che connota il rapporto lavorativo nel campo dello sport, nonché dall’impianto complessivo della legge, volto alla liberalizzazione delle vicende negoziali anche attraverso l’abolizione del vincolo sportivo. Peraltro, il mercato del lavoro sportivo professionistico abitualmente si fonda sulla delega diretta al c.d. agente (o procuratore) sportivo per la negoziazione, modifica o risoluzione del contratto di lavoro.

4. La qualificazione giuridica del rapporto di lavoro sportivo. I requisiti del contratto: l’accordo delle parti e la causa. Il comma 1 dell’art. 3, l. n. 91/1981 dispone una presunzione legale – come tale, insuscettibile di prova contraria ex art. 2728 c.c. – in ordine alla natura subordinata del contratto di lavoro sportivo dell’atleta professionista 38. Tuttavia, il comma 2 consente di qualificare il rapporto come lavoro autonomo al ricorrere di almeno uno dei requisiti seguenti: a) l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo; b) l’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento; c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno. In queste ipotesi, infatti, non si può ritrovare il carattere della subordinazione giacché l’atleta appare libero dai dettami tecnico-sportivi impartiti da soggetti terzi e comunque la sua prestazione è resa con carattere intermittente o in maniera troppo diluita nel tempo per riconoscere lo status di dipendenza 39. A tale riguardo, pertanto, è corretto ricondurre il contratto nel solco del lavoro autonomo e si applica l’art. 2222 c.c. 38

Si esprime in questi termini Cass., 11 aprile 2008, n. 9551, cit. Relativamente alla prestazione sportiva in favore della Nazionale, resa nell’ambito di manifestazioni internazionali, essa può inquadrarsi quale prestazione a titolo gratuito accompagnata da compensi elargiti come liberalità d’uso da parte della Federazione. 39

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Al pari di ogni contratto, anche quello sportivo professionistico risponde ai requisiti di cui all’art. 1325 c.c., richiesti sotto pena di nullità 40. In particolare, l’accordo delle parti assume, insieme alla forma, un peso preponderante nell’economia delle trattative poiché la formazione del consenso è frutto di una procedimentalizzazione delineata dal legislatore. L’art. 4 della legge sul lavoro sportivo prevede, infatti, che la stipulazione debba avvenire «[…] secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all’accordo stipulato, ogni tre anni dalla Federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate» 41. La conformità al tipo è prevista non solo a tutela dello sportivo, ma anche in omaggio al principio di ordinato svolgimento delle attività agonistiche 42. Eventuali clausole peggiorative rispetto al contratto-tipo sono automaticamente sostituite, secondo un meccanismo simile a quello previsto dall’art. 2077, comma 2, c.c. in materia di lavoro subordinato. Viceversa, si ritengono ammissibili le clausole più favorevoli per il lavoratore, in ossequio al principio di derogabilità in melius delle condizioni contrattuali. Le trattative per la conclusione, per il prolungamento o per la risoluzioNon si può, quindi, parlare di “distacco” del lavoratore o, viceversa, di assenza di prestazione lavorativa. In tal senso, cfr. Cass., 14 giugno 1999, n. 5866, in Foro it., Rep. 1999, voce Sport, n. 50; Cass., 20 aprile 1990, n. 3303, in Dir. lav., 1992, II, p. 14 ss. con nota di V. CIANCHI. 40 Per una riflessione in ordine alla specificità del contratto di lavoro sportivo, anche in relazione ai requisiti richiesti a pena di nullità o di mera inefficacia, cfr. E. BATTELLI, Formazione e invalidità del contratto sportivo tra pluralismo delle fonti e unità del sistema normativo, in Riv. dir. sport., 2017, pp. 349-374. In particolare l’Autore mette in luce l’eterogeneità dei fini che connota il rapporto tra nullità testuale per inosservanza della forma e scritta rispetto agli altri rimedi – inefficacia e sostituzione di clausole – propri dell’attività di controllo svolta dalle Federazioni circa l’operato dei propri associati. 41

In dottrina, F. ROTUNDI, La Legge 23 marzo 1981, n. 91 ed il professionismo sportivo: genesi, effettività e prospettive future, in Riv. dir. sport., 1991, I-II, evidenzia come gli stipulanti non siano tenuti inderogabilmente a concludere l’accordo collettivo entro il termine triennale e che possano persino abbreviare l’impegno contrattuale per talune materie. 42

In ambito calcistico la disciplina ricalca quella prevista ex lege, seppur tracciando una differenziazione tra calciatori maggiori e minori d’età; a mente dell’art. 28 NOIF, è consentita «[…] la stipulazione di un contratto tra il calciatore e la società, di durata non superiore alle cinque stagioni sportive per i calciatori maggiorenni, e non superiore alle tre stagioni sportive per i calciatori minorenni, con le forme e modalità previste dalle presenti norme e dagli accordi collettivi stipulati dalle Associazioni di categoria, nel rispetto delle disposizioni legislative in materia».

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ne del contratto devono essere improntate al rispetto della buona fede, salvo il diritto al risarcimento del danno c.d. precontrattuale (art. 1337 c.c.) 43. In merito alla causa del contratto, come superiormente indicato, il legislatore si è preoccupato di declinare il rapporto nella sua duplice struttura, subordinata o autonoma. Entrambe le ipotesi, tuttavia, sono accomunate da una funzione unitaria fondata sullo scambio di energie fisiche ed atletiche, dirette al conseguimento del miglior risultato sportivo possibile, verso il corrispettivo di una retribuzione composta, in genere, da una parte fissa e da un’altra variabile, in relazione dagli obiettivi ottenuti.

4.1. (Segue) L’oggetto del contratto. Il vincolo di subordinazione e le obbligazioni dello sportivo. Il contratto di lavoro sportivo, come detto, ha per oggetto una prestazione lavorativa consistente in un facere generalmente infungibile. La prestazione viene svolta nel rispetto delle istruzioni tecniche e delle prescrizioni impartite dalla società per il conseguimento degli scopi agonistici. A tal proposito, viene sancito, in ambito FIGC, il diritto-dovere del calciatore di partecipare alle sedute di allenamento, alla preparazione precampionato della prima squadra, nonché alle gare (ufficiali o amichevoli) disputate in Italia e all’estero. L’eventuale esclusione temporanea dagli allenamenti può conseguire, infatti, ad una situazione di infortunio, di malattia ovvero di inadempimento contrattuale verso la società (cfr. artt. 7 e 11, accordo collettivo FIGC-LNP Serie A-AIC) 44. In virtù del vincolo di subordinazione, lo sportivo professionista è tenuto al rispetto degli obblighi di diligenza e di fedeltà. Innanzitutto, ai sensi dell’art. 2014 c.c. si impone al lavoratore subordinato di agire secondo la 43 Un richiamo espresso alla clausola generale è contenuto nell’accordo collettivo siglato tra FIP, Lega Società di Pallacanestro Serie A e GIBA (associazione dei giocatori di basket). Ai sensi dell’art. 9 del predetto accordo è stabilito quanto segue: «Nella conduzione delle trattative, la società e l’atleta, oltre che gli eventuali procuratori, devono comportarsi non solo secondo le ordinarie norme di correttezza e buona fede, ma altresì secondo i valori di lealtà e fair play che sono propri dello sport». 44 Sul punto, l’accordo nel settore della pallacanestro è più stringente in quanto il cestista, seppure infortunato o malato, «deve comunque presenziare agli allenamenti dei compagni di squadra, salvo giustificata impossibilità e salvo diversa prescrizione del medico sociale» (art. 13, comma 3, accordo FIP-Serie A-GIBA).

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diligenza richiesta dal tipo di mansioni a cui è adibito. Nel caso specifico dello sportivo, questi è tenuto ad utilizzare e conservare correttamente l’attrezzatura, nonché i materiali tecnici forniti dalla società. Inoltre, in considerazione dell’elevata componente agonistica della prestazione, l’atleta è tenuto ad astenersi dal compiere attività potenzialmente rischiose per la propria incolumità fisica e per la migliore integrità psico-fisica 45. A tal riguardo, si segnala che l’accordo collettivo vigente per i giocatori di pallacanestro (art. 17, comma 2) proibisce esplicitamente nel tempo libero la pratica di «attività sportive ad elevato indice di rischio», quali lo sci, il motociclismo e gli “sport estremi” in generale, così come definiti dalla polizza assicurativa obbligatoria contro gli infortuni. Anche lo stile di vita dello sportivo è soggetto a specifiche pattuizioni, denominate “clausole di contegno” volte a prevenire tanto i comportamenti extra-sportivi potenzialmente dannosi per il prestigio del club, quanto le dichiarazioni lesive rilasciate agli organi di stampa. Ad esempio, in materia di comunicazione espressa in pubblico, al tesserato per la Federcalcio è fatto divieto di «esprimere pubblicamente giudizi o rilievi lesivi della reputazione di persone, di società o di organismi operanti nell’ambito del CONI, della FIGC, della UEFA e della FIFA». In caso di violazione del precetto, sono previste sanzioni pecuniarie sotto forma di ammenda sia a carico del singolo sportivo, sia del sodalizio di appartenenza, quest’ultimo a titolo di responsabilità c.d. disciplinare-oggettiva. Inoltre, la carica lesiva delle dichiarazioni rilasciate dallo sportivo appare ancor più incisiva laddove il veicolo di diffusione delle dichiarazioni sia rappresentato dai social network, considerata la potenziale indeterminatezza dei soggetti intercettabili 46. La prassi negoziale vede il proliferare di autentici regolamenti di condotta che di norma contengono non solo un catalogo di doveri-standard, ispirati ai basilari principi di lealtà e di sportività, ma anche divieti di par45 In questi termini si esprime l’art. 9 dell’accordo collettivo dei calciatori professionisti FIGC-LNP Serie A-AIC. Nel settore del basket professionistico (art. 14, commi 5-6, accordo FIP-Serie A-GIBA), è precisato che l’atleta debba «[…] tutelare in ogni circostanza la propria integrità fisica e psicofisica attraverso una condotta di vita sana e consona ad uno sportivo professionista», precisandosi il dovere di rispettare «le prescrizioni dietetiche ed i menu stabiliti dai medici della società». 46 Nel senso che si tratti di autentica circostanza aggravante, cfr. Comm. disc. naz., in C.u. FIGC, 24 ottobre 2013, n. 29/CND. Anche la giurisprudenza è allineata in ordine alla equiparazione dei social network agli ordinari strumenti di comunicazione in tema di diffamazione ai sensi dell’art. 595 c.p.; v. Cass. pen., 16 aprile 2014, n. 16172, in Pluris.

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tecipazione ad eventi o campagne di sponsorizzazione personale in conflitto con gli interessi della società; oppure l’impegno a non frequentare locali notturni in corrispondenza di periodi caratterizzati da intenso stress agonistico o mediatico (es.: incontri di cartello, finestre di calciomercato, fasi di scarso rendimento della squadra, ecc.). L’ampia esposizione mediatica del calciatore determina, inoltre, l’impegno alla promozione di attività istituzionali, progetti di interesse sociale oppure anche più semplicemente a partecipare ad interviste o incontri con la stampa 47. Sotto un diverso profilo, nel corso del rapporto contrattuale è fatto divieto al professionista di instaurare trattative con società in concorrenza con quella datrice di lavoro, nonché di diffondere a terzi informazioni inerenti all’impresa ed alla sua organizzazione. In particolare, l’obbligo di fedeltà, di cui all’art. 2105 c.c., si traduce per gli atleti nell’impossibilità di svolgere attività per altri sodalizi e di astenersi da comportamenti integranti illecito sportivo 48. Il dovere di fedeltà cessa allo spirare del contratto: lo sportivo non può essere vincolato ad alcuna pattuizione che limiti la sua libertà professionale soprattutto in considerazione della brevità della carriera. La clausola concernente una siffatta pattuizione, pertanto, si considera nulla per contrarietà a norma imperativa (art. 4, comma 6, l. n. 91/1981) e nella fattispecie trova applicazione il principio di conservazione del contratto, racchiuso nell’art. 1419 c.c. Che si tratti di nullità parziale è confermato pure dal tenore letterale del comma 3 dell’art. 4, che, rievocando il meccanismo della sostituzione automatica delle clausole derogative in peius, si erge a presidio della posizione del lavoratore sportivo, pur senza giungere alla completa caducazione del regolamento negoziale. Sono generalmente ammessi i patti di opzione 49, in favore della società 47

Collegio Arbitrale (CA) della LNP-Serie B, lodo 22 febbraio 2017, tuttavia, ha stabilito che non sussiste alcun obbligo, desumibile dalle carte federali ovvero dall’accordo collettivo di lavoro, in capo al calciatore di rilasciare interviste su esplicita richiesta del club. 48 Il Codice di Giustizia Sportiva della FIGC – approvato dalla Giunta Nazionale del CONI in data 11 giugno 2019 ed entrato in vigore il 1° luglio 2019 – a norma dell’art. 4, impone a tutti i tesserati (calciatori e allenatori compresi) il rispetto dei principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva. Costituisce, pertanto, illecito sportivo «il compimento, con qualunque mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica» (art. 30 c.g.s. FIGC). 49 Ai sensi dell’art. 1331 c.c., l’opzione è il patto col quale un soggetto è obbligato a te-

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come del calciatore, purché sia prestabilito il corrispettivo della futura (ed eventuale) cessione e la durata complessiva del contratto – compreso il periodo di prolungamento dovuto all’esercizio dell’opzione – non superi il limite quinquennale di legge. Al contrario, nello sport professionistico è di norma vietato il ricorso ai patti di prelazione in quanto considerati – unitamente al patto di non concorrenza – limitativi del diritto di autodeterminazione del lavoratore. Il contenuto standard del contratto si completa con la previsione – formalmente facoltativa ex art. 4, comma 5, l. n. 91/1981, ma sostanzialmente obbligatoria – di una clausola compromissoria che devolva ad un Collegio Arbitrale – organo di arbitrato irrituale, strutturato a seconda delle previsioni degli accordi collettivi – la definizione delle controversie nascenti da interpretazione o applicazione di clausole negoziali.

4.2. (Segue) La forma. La figura contrattuale in esame assume natura di contratto scritto ad substantiam, in quanto la forma scritta assurge ad elemento essenziale, ai sensi dell’art. 1325, comma 1, n. 4), c.c.; ne consegue che, in difetto della forma richiesta dalla legge, il contratto è da considerarsi nullo. Si tratta, a ben vedere, di una vistosa deroga al principio di libertà delle forme 50 che fa da cornice al sistema contrattuale, pur trovando una valida giustificazione nel favor che l’ordinamento nutre verso il lavoratore “speciale” e meno garantito, quale è lo sportivo professionista, soprattutto sotto il profilo della stabilità del rapporto. Tuttavia, la scelta legislativa, consacrata nel comma 1 dell’art. 4, l. n. 91/1981, deve essere coniugata con la previsione di cui all’art. 2126 c.c., che impedisce alla nullità di operare nel periodo in cui il contratto è stato nere ferma una proposta contrattuale in favore di un altro soggetto (detto “oblato”), il quale è libero se accettare o meno detta proposta. Il patto d’opzione è vietato esplicitamente solo dall’accordo collettivo per la Serie C; gli altri accordi nulla dicono a riguardo e pertanto deve essere considerato ammissibile, in omaggio al principio di autonomia privata (art. 1322, comma 1, c.c.). 50 Cfr. A. GENTILI, Le invalidità, in E. GABRIELLI (a cura di), I contratti in generale, I, t. 2, in Tratt. dei contratti, diretto da P. Rescigno e E. Gabrielli, Utet, Torino, 2006, p. 1407 ss., per il quale la forma vincolata prevista dalla legge ha funzione di tutela delle parti, consentendo alle stesse una più attenta ponderazione degli interessi in gioco.

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eseguito e lascia impregiudicati i diritti maturati dal lavoratore, in primo luogo il diritto alla retribuzione 51. La peculiarità del contratto-tipo di diritto sportivo consiste nel rapporto che unisce il singolo contratto individuale alle previsioni generali del contratto collettivo, avente natura di contratto normativo, nell’ottica di armonizzare il contenuto del regolamento negoziale 52. In sintesi, la normativa di riferimento prevede quattro passaggi-chiave per la stipulazione del contratto: la redazione in forma scritta, la conformità al tipo predisposto dalle Federazioni di concerto con le rappresentanze di categoria 53, il deposito presso la competente Federazione e, infine, l’approvazione da parte di quest’ultima. Nonostante l’infelice collocazione topografica dell’inciso «a pena di nullità», si ritiene comunemente che anche la mancanza della conformità al tipo sia causa di nullità del contratto 54. Con specifico riferimento al mondo del calcio, si assiste ad una molteplicità di contratti-tipo in numero pari alle Leghe professionistiche a tutt’oggi operanti (LNP Serie A, LNP Serie B e Serie C-Lega Pro). Inoltre, il deposito viene effettuato presso la Lega di appartenenza, seguito dalla trasmissione in copia alla FIGC per l’approvazione, e costituisce mero requisito di efficacia dell’atto 55. In particolare, il deposito è strumentale ad un duplice controllo. Per un verso, esso riguarda la congruità e ragionevolezza dell’impegno economico assunto dalla società in relazione alla situazione economica e finanziaria; 51 In dottrina, v. F. ROTUNDI, La Legge 23 marzo 1981, n. 91, cit., p. 32; in giurisprudenza, cfr. Cass., 24 giugno 1991, n. 7090, in Nuova giur. civ. comm., 1992, I, p. 857 ss. 52 Sul punto v. E. BATTELLI, I contratti-tipo. Modelli negoziali per la regolazione del mercato: natura, effetti e limiti, Jovene, Napoli, 2017, p. 196. 53 Cfr. G. BRUNO, Autonomia sportiva e fenomeni negoziali, ESI, Napoli, 2012, p. 208 ss., il quale si sofferma in particolare sull’esame del contenuto del contratto collettivo e sulle limitazioni all’autonomia negoziale dei contraenti (p. 233 ss.). 54 Si collocano in tale linea di pensiero, tra gli altri, G. VIDIRI, Sulla forma scritta del contratto di lavoro sportivo, in Giust. civ., 1993, p. 2839 ss. e G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., pp. 153-154. Nel senso che la nullità conseguirebbe alla sola mancanza della forma scritta, mentre la non conformità al tipo costituirebbe un illecito disciplinare, produttivo di effetti circoscritti al solo ordinamento sportivo, cfr. J. TOGNON, Il rapporto di lavoro sportivo: professionisti e falsi dilettanti, in Giuslavoristi.it, p. 7. 55 Per un’ampia disamina circa la natura e gli effetti del deposito del contratto presso le Federazioni, si veda: E. BATTELLI, Formazione e invalidità del contratto sportivo tra pluralismo delle fonti e unità del sistema normativo, cit., pp. 355-357.

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sotto una diversa prospettiva, l’accertamento scongiura la presenza di clausole difformi dal contratto-tipo, fungendo da strumento di tutela per i diritti degli sportivi professionisti 56. L’obbligo di deposito incombe sulla società entro un termine stabilito dall’accordo collettivo di riferimento; in caso di inerzia, può provvedere direttamente il calciatore, il quale ha comunque diritto ad essere informato circa l’avvenuto espletamento della procedura. Quest’ultima, inoltre, può concludersi anche attraverso un’approvazione tacita, purché entro il termine prestabilito dall’accordo collettivo non intervenga una dichiarazione di senso opposto. In caso di mancata approvazione del contratto per causa non imputabile al calciatore o al suo agente-procuratore, l’atleta ha diritto ad un equo indennizzo, quand’anche manchi una responsabilità diretta della società e ferma comunque l’azione di regresso verso i terzi responsabili. La domanda indennitaria deve essere formulata dal calciatore al Collegio Arbitrale di competenza e l’importo dell’assegno viene calcolato decurtando dal valore del compenso promesso gli eventuali emolumenti percepiti o percipiendi per effetto di altro contratto di prestazione sportiva, regolarmente approvato. Una disciplina simile regola pure il trattamento dei tecnici, allenatori e direttori sportivi, prevedendo per questi ultimi il diritto all’indennizzo anche in caso di mancata ammissione o partecipazione della società al campionato di competenza.

5. I diritti dello sportivo professionista. La retribuzione. Il mobbing nel calcio (cenni). Il rapporto di prestazione sportiva è essenzialmente «a titolo oneroso», come recita il comma 1 dell’art. 4, l. n. 91/1981 e la retribuzione, di norma, si compone di una parte fissa ed una parte variabile. Quest’ultima può dipendere dai risultati raggiunti dal singolo sportivo o dalla squadra, oppure può legarsi ad obiettivi anche non sportivi del singolo atleta, secondo il comune accordo delle parti. Nel mondo del calcio, gli accordi collettivi per la Serie A e la Serie B disciplinano dettagliatamente la materia. 56

Il concetto è confermato, seppur in relazione al contratto di trasferimento dello sportivo, da Cass., 23 febbraio 2004, n. 3545, in Corr. giur., 2004, p. 895 ss.

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Innanzitutto, la retribuzione deve essere sempre espressa al lordo degli oneri fiscali e contributivi, tanto nei documenti contrattuali, quanto nelle comunicazioni ufficiali con la Federazione e le Leghe. In caso di contratti pluriennali, essa deve indicarsi singolarmente per ciascuna stagione sportiva 57. Ogni pagamento deve avvenire esclusivamente tramite bonifico bancario presso il conto corrente indicato dal calciatore alla stipula del contratto. In ogni caso, sono vietati accordi tra società e tesserati che prevedano compensi o indennità in contrasto con le disposizioni contrattuali, regolamentari o federali, nonché il pagamento di somme superiori a quelle pattuite e non inserite nel contratto o nei suoi allegati (art. 94 NOIF) 58. L’ammontare del reddito fisso, peraltro, non può essere stabilito al di sotto delle soglie, annuali e/o mensili a seconda dei casi, previste da ciascun accordo collettivo, avuto riguardo per l’età e la qualifica del calciatore (professionista “ai minimi” ovvero “giovane di serie” in addestramento tecnico). Inoltre, è fissato un tetto massimo per la quota variabile dello stipendio, parametrato all’importo della quota fissa, di modo da garantire all’atleta una retribuzione «proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa» (art. 36 Cost.). A partire dalla stagione sportiva 2013-2014, la LNP Serie B ha introdotto la regola del “tetto salariale”: attraverso un complesso meccanismo di calcolo, basato sul rapporto tra ricavi d’esercizio sociale ed emolumenti lordi, si stimola un circolo virtuoso di sostenibilità dei bilanci dei club. In caso di sforamento del limite prefissato, la società è esclusa da una quota dei proventi economici di spettanza da parte della Lega. Nel basket professionistico, invece, è prevista una sorta di adeguamento automatico (al ribasso) della retribuzione fissata nel contratto pluriennale, da attuarsi in caso di retrocessione della squadra 59. 57 Nell’accordo collettivo FIP-Serie A-GIBA (basket), è disposta una nullità testuale in caso di mancata indicazione dettagliata e annuale della retribuzione (art. 20.3). 58 Cass., Sez. Lav., 12 ottobre 1999, n. 11462 in Riv. dir. sportivo, 1999, p. 540 ss., conferma che gli eventuali patti aggiunti, non conformi al tipo e quindi non depositati presso la Federazione nazionale, sono privi di effetto. 59 «Nel caso di retrocessione della squadra, il compenso fisso dell’atleta che abbia concluso la stagione con la squadra medesima si intende automaticamente ridotto ad un importo pari all’80% del compenso contrattuale, salvi comunque i limiti minimi di compenso vigenti» (art. 20.4, accordo collettivo FIP-Serie A-GIBA).

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Alla scadenza del contratto, i calciatori non hanno diritto alla corresponsione del trattamento di fine rapporto, più propriamente detto “di fine carriera”, da parte delle società; queste ultime, difatti, provvedono a versare ad un fondo speciale – detto “Fondo di accantonamento dell’indennità di fine carriera”, attivo presso la FIGC – un contributo annuale calcolato in base alla retribuzione lorda annua 60. L’atleta può accedere alle somme accantonate solo al termine della carriera oppure quando abbandona il professionismo, tesserandosi per un club dilettantistico. Gli altri diritti spettanti allo sportivo, al pari di ogni lavoratore subordinato, riguardano il riposo settimanale, le ferie, il congedo matrimoniale e il diritto allo studio, sebbene quest’ultimo sia tutelato in misura meno pregnante rispetto alla generalità dei lavoratori subordinati. I singoli accordi collettivi disciplinano il godimento dei diritti suddetti in maniera conforme alla speciale attività lavorativa prestata. A titolo di esempio, il giorno di riposo non di rado ricade in uno dei primi due giorni della settimana, appena dopo la conclusione della giornata di campionato e comunque viene calendarizzato nel rispetto di eventuali impegni in altre competizioni sportive, quali coppe nazionali, internazionali, ecc. In aggiunta a ciò, si impone al sodalizio sportivo di consentire all’atleta di fornire la prestazione lavorativa in condizioni ottimali. Ne discende che la società deve fornire il materiale tecnico adeguato agli standard professionistici, al tempo stesso mettendo a disposizione spazi di allenamento consoni alle attività praticate. Inoltre, in caso di trasferte e ritiri, lo sportivo deve usufruire di servizi di trasporto, vitto ed alloggio forniti dal club. Connesso a quanto sopra indicato, vi è l’obbligo in capo alla società di consentire all’atleta di partecipare agli allenamenti e alla preparazione precampionato (art. 7.1 dell’accordo FIGC-LNP Serie A-AIC, ripreso anche dagli accordi delle altre Leghe). L’estromissione reiterata dalla preparazione atletica e tattica può dar luogo al fenomeno del mobbing sportivo, definibile come il complesso di atti o comportamenti vessatori, posti in essere dal gruppo di lavoro (o dal suo responsabile), allo scopo di emarginare la vittima 61. Detti comportamenti appaiono gravemente lesivi della dignità 60 In aggiunta, i c.d. tesserati “tecnici” (calciatori, allenatori e preparatori atletici) hanno l’obbligo di versare un contributo annuale presso un apposito “Fondo di solidarietà”, avente come finalità il ristoro per la mancata percezione degli emolumenti da parte di società inadempienti, in base a contratti regolarmente depositati e “vistati” dalla Lega di competenza e ratificati dalla FIGC. 61 In tema di mobbing nello sport: M.T. SPADAFORA, Diritto del lavoro sportivo, cit., p. 163 ss. Cfr. Cass., Sez. Lav., 17 febbraio 2009, n. 3785, in Not. giur. lav., 2009, p. 309 ss.

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del lavoratore e quanto mai pericolosi per la corretta prosecuzione della carriera sportiva. Spesso le condotte “mobbizzanti” sono attuate al fine di ottenere il rinnovo contrattuale, allontanando lo spettro del trasferimento “a parametro zero” (scadenza di contratto) che, dopo la soppressione dell’indennità di promozione e formazione ex art. 6, l. n. 91/1981, comporta una grave perdita economica per l’ultimo club detentore del cartellino. Sul punto, la giurisprudenza arbitrale insegna che le scelte discrezionali di natura organizzativa, messe in campo dalle società ovvero compiute dall’allenatore, in relazione all’impiego o meno di un calciatore «non possono mai assumere portata tale da comprimerne integralmente il diritto indefettibile […] di partecipare alle sessioni di allenamento e di preparazione precampionato […] svolte a beneficio dei componenti dell’organico della prima squadra, e di godere, pertanto, del medesimo trattamento loro riservato» 62. Ne consegue che il richiamo alla mera “scelta tecnica” non può costituire sic et simpliciter una giustificazione idonea per quei comportamenti nocivi per l’integrità psico-fisica, oltre che per la dignità professionale, dello sportivo. In tema di tutela del diritto alla retribuzione, il ritardo prolungato nei pagamenti abilita il calciatore alla messa in mora della società attraverso una formale comunicazione. Perdurando la morosità, è possibile inoltrare al Collegio Arbitrale competente la domanda di risoluzione. In caso di accoglimento della domanda, viene emesso un lodo di risoluzione contrattuale dotato dei caratteri di definitività e vincolatività per le parti, fatto salvo il diritto al pagamento delle mensilità inadempiute, da azionare in sede di giustizia ordinaria. Da ultimo, al duplice scopo di garantire la certezza degli impegni economici e di prevenire l’insorgenza delle liti, la FIGC prevede un sistema di rilascio delle “licenze nazionali”, imperniato sul controllo preventivo della regolarità nel pagamento degli emolumenti, sotto pena di sanzioni di rilevante tenore, che possono giungere alla mancata iscrizione al campionato di competenza.

62 Cfr. Lodo Collegio Arbitrale Serie A, 27 settembre 2017. La prova del mobbing è decisamente rigorosa: mentre dal punto di vista oggettivo si fonda sul nesso eziologico tra la condotta datoriale e il vulnus psico-fisico inferto al danneggiato, sotto il profilo soggettivo richiede la prova dell’intento persecutorio doloso del datore di lavoro.

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6. La tutela sanitaria, assicurativa e previdenziale nello sport professionistico. L’ordinamento salvaguarda l’integrità fisica e morale di tutti i lavoratori, ai sensi dell’art. 2087 c.c. e, in attuazione dell’art. 32 Cost., impone al datore di lavoro una serie di obblighi specifici 63. Nello sport, infatti, la cura della salute dell’atleta riveste un ruolo chiave nel raggiungimento del risultato agonistico 64. Il primo passo in tal senso concerne il rilascio di un certificato di idoneità fisica, previa sottoposizione ad approfonditi esami; in difetto, non si può escludere a priori la responsabilità personale dello sportivo, anche dilettante 65. Consequenzialmente è indispensabile che l’attività si svolga sotto stretto controllo medico: proprio per questo l’art. 7, l. n. 91/1981 prescrive l’adozione di una scheda sanitaria individuale per ciascun atleta professionista, soggetta ad aggiornamento periodico a cadenza almeno semestrale. In particolare, si richiede la ripetizione di tutti gli accertamenti clinici e diagnostici, in conformità all’apposito decreto del Ministero della Salute 66. La scheda sanitaria è istituita, custodita e aggiornata a cura della società, sotto la responsabilità del medico sociale, che deve essere specializzato in medicina dello sport e il cui nominativo deve risultare dall’apposito elenco tenuto presso la Federazione di appartenenza. Ove l’atleta sia un 63 Il venir meno della distinzione tra sportivo professionista e dilettante (o “professionista di fatto”) comporta l’estensione della disciplina in materia di tutela sanitaria, sicurezza nei luoghi di lavoro, assicurazione contro gli infortuni e trattamento previdenziale, in favore di tutti i lavoratori qualificati come “sportivi”. È quanto prevedono gli artt. 32-35 del d.lgs. n. 36/2021, in vigore a partire dal 31 dicembre 2023. Amplius E. SAVIO, La Riforma dello sport e l’impatto sulle collaborazioni sportive (commento alla normativa), in Cooperative e enti non profit, Ipsoa, Milano, 2021, p. 7 ss. 64 La prima regolamentazione in materia si deve alla l. 26 ottobre 1971, n. 1099 (“Tutela sanitaria delle attività sportive”), integrata dal D.M. 5 luglio 1975, che ha specificato gli accertamenti medici obbligatori per lo sportivo, calibrati in base all’attività praticata, al sesso e all’età. 65 La tutela della salute spetta non solo al sodalizio e agli organi federali, ma richiede la cooperazione attiva dello sportivo. Infatti, l’atleta che si sottrae volontariamente ai controlli clinici strumentali al rilascio del certificato medico, risponde del danno a se stesso cagionato in concorso colposo col club e con la Federazione. In tal senso, cfr. Trib. Sulmona, 27 febbraio 2018, n. 65, in DeJure. 66 Il riferimento normativo di natura regolamentare è al D.M. 13 marzo 1995, recante “Norme per la tutela sanitaria degli sportivi professionisti”.

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lavoratore autonomo, su quest’ultimo incombe l’onere di depositarne un duplicato presso la Federazione medesima. L’istituzione e l’aggiornamento periodico della scheda sanitaria costituiscono requisiti essenziali per il rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività professionistica. Il trasferimento dell’atleta comporta l’obbligo di trasmettere alla società cessionaria la scheda aggiornata entro otto giorni dall’avvenuta cessione; nell’ipotesi di cessazione del rapporto lavorativo, la scheda è inviata al medico federale. In seguito alla tragica scomparsa del calciatore Piermario Morosini – stroncato da un malore nel corso di un incontro valevole per il campionato di Serie B 2011-2012 – il legislatore è intervenuto col D.M. 24 aprile 2013 per rendere obbligatoria la dotazione di defibrillatori per tutti i sodalizi sportivi, ad eccezione di quelli operanti in discipline a ridotto impegno cardiocircolatorio. L’art. 8 della l. n. 91/1981 prescrive l’obbligo per tutte le società sportive di stipulare una polizza assicurativa individuale a favore degli sportivi professionisti contro il rischio della morte e contro gli infortuni. Per tale via, il legislatore ha riconosciuto la pericolosità intrinseca dell’attività sportiva professionalmente esercitata. L’art. 6, d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, ha imposto, a carico della società, l’assicurazione presso l’INAIL a copertura dell’eventuale infortunio occorso nello svolgimento o in occasione dell’attività sportiva dal quale sia derivata la morte o l’inabilità (temporanea o permanente, parziale o assoluta). Nel range applicativo della tutela in esame rientra anche il caso delle malattie professionali, nonché di quelle che siano conseguenza diretta e immediata della pratica sportiva, secondo le apposite tabelle ministeriali 67. In ordine al trattamento pensionistico, gli atleti, gli allenatori e gli addetti agli impianti sportivi godono dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia ed i superstiti presso l’INPS. L’art. 9, l. n. 91/1981 prescrive un onere contributivo differenziato a seconda che il fruitore sia un lavoratore subordinato ovvero autonomo. Nel primo caso, la contribuzione è posta a carico della società e dello sportivo nella misura rispettivamente di due terzi e di un terzo; nel secondo caso, è interamente a carico del prestatore di lavoro. 67

La normativa regolamentare ha stabilito che nella copertura assicurativa degli atleti ricadono tutte le conseguenze degli infortuni occorsi durante e a causa della pratica sportiva, ricomprendendo anche la fase di allenamento e di “riscaldamento” pre-gara.

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Infine, a partire dall’anno 2012, il sistema di calcolo della pensione è stato sostanzialmente allineato a quello degli altri lavoratori, sulla base del criterio contributivo e quindi l’importo dell’assegno previdenziale dipende dall’ammontare dei contributi versati.

7. La specialità del contratto di lavoro sportivo. Il recesso anticipato e la c.d. “clausola rescissoria”. Comunemente si afferma che il contratto di lavoro sportivo subordinato riveste una natura speciale per una molteplicità di motivazioni. In primo luogo, viene in rilievo la trilateralità del rapporto. Il professionista, infatti, assume un vincolo di tesseramento con la Federazione 68 e al tempo stesso stipula col club affiliato un contratto di lavoro, realizzando un intreccio di rapporti obbligatori che non trova corrispondenza in nessun’altra forma contrattuale subordinata. In secondo luogo, si ravvisa un’alterazione dello schema causale classico del contratto di lavoro, tradizionalmente fondato sullo scambio di prestazione lavorativa verso la corresponsione di una retribuzione. La maggior parte degli sportivi professionisti, infatti, non soggiace ad un tangibile potere di etero-direzione da parte del datore di lavoro e consegue, peraltro, cospicui proventi collegati alla maturazione di bonus e premi, secondo modalità e con frequenze sconosciute agli standard del rapporto subordinato. Tuttavia, l’elemento che più contraddistingue la forma contrattuale de qua consiste nell’inapplicabilità ad essa di alcune disposizioni della l. 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori), della l. 15 luglio 1966, n. 604, dettata in materia di licenziamenti, nonché della normativa relativa ai contratti di lavoro a termine di cui alla l. 18 aprile 1962, n. 230, ma attualmente disciplinati dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368. È inoperante, ad esempio, il divieto di ripresa audiovisiva dell’attività lavorativa (art. 4 Stat. lav.) per evidente incompatibilità con lo show-business sportivo ed i lucrosi introiti da esso derivanti; oppure quello di sot68

A giudizio di M. DE CRISTOFARO, Legge 23 marzo 1981, n. 91, cit., p. 578, l’elemento peculiare del rapporto risiedeva nel vincolo sportivo nascente dal tesseramento, almeno fino alla sua abolizione per gli sportivi professionisti.

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toporre il lavoratore ad accertamenti sull’idoneità fisica a seguito di malattia o infortunio (art. 5 Stat. lav.), giacché la prestazione dell’atleta è indissolubilmente connessa all’efficienza fisica e all’aggiornamento della cartella clinica, anche nell’interesse del lavoratore medesimo. Inoltre, sul fronte della violazione degli obblighi posti a carico del lavoratore, la legge esclude testualmente (art. 4, ult. comma, l. n. 91/1981) che alle sanzioni disciplinari irrogate dalle Federazioni siano applicabili le garanzie e le limitazioni di cui all’art. 7 Stat. lav. Gli accordi collettivi, però, nella prassi ricalcano lo schema garantista della disposizione da ultimo richiamata, prevedendo l’obbligo di preventiva contestazione della violazione e la predeterminazione della specie di sanzioni irrogabili 69. In caso di sanzioni particolarmente afflittive, è necessario il passaggio obbligato della contestazione di fronte al Collegio Arbitrale competente. Sul versante dell’interruzione del rapporto, invece, si segnala l’inapplicabilità degli artt. 1-8, l. n. 604/1966 che, per la validità del licenziamento, postulano la sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. Parimenti, un particolare valore simbolico ha l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’art. 18 Stat. lav. La ratio di fondo è nel senso di agevolare il fisiologico dinamismo dei rapporti di lavoro nel mondo dello sport, anche alla luce del singolare equilibrio di forza nei rapporti tra datore e lavoratore, di norma coadiuvato dal suo agente, che elimina in radice l’esigenza di proteggere oltremodo la parte contrattuale tradizionalmente considerata “debole”. Inoltre, il rapporto lavorativo in questione può manifestarsi tanto nello schema a tempo indeterminato, quanto nella più diffusa versione di lavoro a termine. Nel primo caso è eccezionalmente consentito lo scioglimento del rapporto per recesso unilaterale ad nutum 70. Non è esclusa, tuttavia, l’applicazione della disciplina generale contenuta negli artt. 2118 e 2119 c.c. Pertanto, la volontà di esercitare il recesso deve essere comunicata 71 all’altra 69

L’art. 11 dell’accordo collettivo dei calciatori di Serie A prevede un carnet di provvedimenti sanzionatori, applicabili in base al grado di intensità dell’inadempimento: ammonizione scritta, multa, riduzione della retribuzione (non al di sotto dei minimi di categoria), esclusione temporanea dagli allenamenti o dalla preparazione precampionato e, in ultima istanza, la risoluzione del contratto. 70 In tema di libertà di recesso dal contratto sportivo a tempo indeterminato, cfr. M. COLUCCI, Il rapporto di lavoro nel mondo dello sport, cit., p. 32. 71 La dottrina stigmatizza il contrasto tra la fase genetica del rapporto, improntata ad

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parte con un congruo preavviso ovvero, in difetto, si dà luogo al pagamento di un’indennità parametrata alla retribuzione per il periodo di mancato preavviso. L’onere del preavviso viene meno allorché, ai sensi dell’art. 2119 c.c., l’interruzione del rapporto sia dipesa da una giusta causa, salvo che non sia il prestatore di lavoro a rassegnare le dimissioni, maturando così il diritto all’indennità di cui sopra. Nell’ipotesi di contratto di lavoro a tempo determinato – che non può eccedere il quinquennio (salvo rinnovo) ex art. 5, l. n. 91/1981 – opera esclusivamente l’art. 2119 c.c. e, quindi, il rapporto può essere interrotto per volontà comune delle parti (risoluzione per mutuo dissenso) oppure per recesso unilaterale sorretto da una giusta causa che ne impedisca la prosecuzione, anche provvisoria. Il mondo del calcio professionistico conosce, in via quasi esclusiva, questa seconda versione contrattuale in quanto essa ha il pregio di disinnescare ogni rischio di svincolo ad nutum, che produrrebbe inaccettabili ripercussioni sulla regolarità delle competizioni, vulnerando le capacità attrattive del prodotto calcistico. È considerata giusta causa di recesso, da parte del sodalizio sportivo, la condotta ingiuriosa tenuta da un suo tesserato nei confronti della dirigenza 72, così come abilita il recesso del calciatore la sua sistematica esclusione dalla prima squadra e l’assegnazione a quella delle riserve 73. Si segnala che «il calciatore ha diritto di ottenere, con ricorso al CA, il risarcimento del danno e/o la risoluzione del contratto quando la società abbia violato gli obblighi contrattuali cui è tenuta nei suoi confronti» e, inoltre, «[…] costituisce motivo di risoluzione del contratto la morosità un rigido formalismo, e la sostanziale libertà che caratterizza il recesso. In questi termini si esprime F. ROTONDI, Sportivi professionisti: disciplina legale applicabile, in Dir. e Pratica del Lav., 2006, 43, p. 2425 ss. Di sostanziale assenza di formalità parla anche M.T. SPADAFORA, Diritto del lavoro sportivo, cit., p. 213. 72 Collegio Arbitrale FIGC, lodo 16 settembre 2010, inedito, commentato da E. MESTO, Il caso Cassano/U.C. Sampdoria: gli obblighi di condotta del calciatore lavoratore, in GiustiziaSportiva.it, 2010, 3, p. 116 ss. 73 In questo senso si è espresso il Tribunal Arbitral du Sport (TAS/CAS) di Losanna, 2024/A/3642, Erik Salkic v. Football Union of Russia & Professional Football Club Arsenal, commentato da M. HERTA PALOMBA, L’esclusione del calciatore dalla rosa della prima squadra e il concetto di giusta causa nella giurisprudenza del TAS e della FIFA, in Riv. dir. econ. sport., 2015, p. 60 ss. Ad avviso di M.T. SPADAFORA, Diritto del lavoro sportivo, cit., p. 215, si tratta di un comportamento altamente lesivo del diritto alla prestazione del calciatore e, di conseguenza, alla sua immagine di sportivo.

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della società nel pagamento del rateo mensile [per la parte fissa, così come per quella variabile, N.d.A.] della retribuzione», purché il calciatore abbia formalmente messo in mora il sodalizio di appartenenza 74. Sul punto si rileva come la materia sia disciplinata, sul piano internazionale, dall’art. 17 del “Regolamento FIFA sullo Status e sui Trasferimenti dei Calciatori”, secondo cui il recesso unilaterale e ingiustificato dà luogo al pagamento di un’indennità “di rottura”, determinata in base ad una pluralità di criteri (durata residua del contratto, retribuzione percepita, importanza del club, ecc.). Tuttavia, per ovviare alla complessità del calcolo, si suole apporre al contratto una specifica clausola – denominata buy-out clause o, erroneamente, “rescissoria” 75 – che quantifichi forfettariamente il quantum che il calciatore sarà tenuto a versare alla controparte per liberarsi dal vincolo, secondo un meccanismo equiparabile alla multa penitenziale, di cui all’art. 1373 c.c. In realtà, nella prassi accade che sia proprio il club interessato alle prestazioni del calciatore a fornire la provvista in danaro per il pagamento alla sua società di appartenenza. In definitiva, la clausola in esame viene adoperata per evitare che il club titolare del cartellino possa subire un danno economico dal recesso del calciatore, soprattutto alla luce dell’ondivaga giurisprudenza in materia di quantificazione dell’indennità “di rottura” 76.

74 Cfr. artt. 12.1-13.1, accordo collettivo FIGC-LNP Serie A-AIC; disposizioni sostanzialmente ripetute negli accordi collettivi siglati con la LNP Serie B e con la Lega Serie C. 75 L’uso giornalistico della locuzione “clausola rescissoria” deriva da un refuso in sede di traduzione dalla lingua spagnola dell’art. 16 del Real Decreto n. 1006/1985 (“Efectos de la extinción del contrato por voluntad del deportista”). Nel diritto spagnolo si fa riferimento ad un istituto (resolución del contrato) inconferente al caso di specie. Una conclusione plausibile è nel senso di richiamare, alternativamente, la disciplina della clausola penale di cui all’art. 1382 c.c., ovvero, in modo più aderente alla situazione di assenza di inadempimento, l’istituto del recesso unilaterale delineato dall’art. 1373 c.c., sotto forma di multa penitenziale (comma 3). 76 Il riferimento è al noto “lodo De Sanctis” TAS/CAS, lodo 28 febbraio 2011, CAS 2010/A/2145/2146/2147, Sevilla FC SAD/Morgan De Sanctis/Udinese S.p.A., consultabile on line all’indirizzo web www.tas-cas.org (maggio 2011). Esso costituisce un leading case in quanto ha disvelato le fragilità e la sostanziale “impalpabilità” dei parametri di determinazione del ristoro economico in favore del sodalizio sportivo.

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8. Le vicende modificative del contratto. La clausola di recompra. L’art. 5, ultimo comma, l. n. 91/1981, si limita a sancire l’ammissibilità della cessione del contratto anche prima della sua scadenza naturale, purché sussista il consenso delle parti e siano osservate le modalità fissate dalle Federazioni sportive nazionali. In relazione all’inquadramento generale del tema, la cessione del contratto di lavoro sportivo si sostanzia in un negozio trilaterale, cui sono parti essenziali lo sportivo, la società cedente e quella cessionaria. Nella prassi negoziale si redigono tre documenti. Innanzitutto si procede alla “variazione di tesseramento”, che risponde al modello della cessione del contratto civilistica e pertanto deve essere sottoscritta da tutte le parti coinvolte. In secondo luogo, viene redatto il “documento di variazione di tesseramento”, stipulato solo dalla cedente e dalla cessionaria, il cui fulcro si rinviene nella determinazione del corrispettivo e delle modalità di pagamento dello stesso. Infine, si procede alla stipulazione del vero e proprio contratto di lavoro tra lo sportivo e la società cessionaria. In ordine alla natura giuridica della cessione, si fronteggiano due opposti orientamenti. A fronte di una prima e tradizionale ricostruzione secondo cui si tratterebbe di una species dell’istituto civilistico della cessione del contratto in senso tecnico (artt. 1406-1410 c.c.), appare preferibile un diverso orientamento che richiama il fenomeno del collegamento negoziale tra rapporti giuridici caratterizzati da atipicità 77. La ragione di questa scelta si fonda sul potere che hanno le parti di modificare la durata e la retribuzione, di modo da alterare il sinallagma originario, dando vita ad una nuova e diversa fattispecie contrattuale. Nel panorama sportivo nazionale, la Federazione che più di tutte ha regolato nel dettaglio il trasferimento del c.d. cartellino è la FIGC, mediante le disposizioni contenute nelle NOIF (artt. 95, 102 e 103). Si deve osservare preliminarmente che il rapporto tra norme di legge (in particolare, l’art. 5, l. n. 91/1981) e norme federali è improntato al principio di gerarchia delle fonti e, pertanto, l’eventuale contrasto deve risolversi in favore delle prime 78. 77

M. PITTALIS, Sport e diritto. L’attività sportiva fra performance e vita quotidiana, Cedam, Padova, 2019, p. 177. 78 In ordine all’interazione tra norme civilistiche e norme federali, la giurisprudenza si è espressa nel senso che l’inosservanza dei dettami federali non comporti la nullità del contratto, bensì la sua inidoneità a realizzare gli interessi meritevoli di tutela secondo l’ordi-

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L’art. 95 delle NOIF è norma di carattere generale e delinea un quadro generale di natura prevalentemente formale. L’atto di cessione, infatti, deve avvenire in forma scritta a pena di nullità, mediante il ricorso ai modelli predisposti dalle Leghe professionistiche, da sottoscrivere a cura dello sportivo e del soggetto autorizzato ad impegnare il sodalizio. Per i calciatori minori d’età, è necessario il consenso “di chi esercita la potestà genitoriale” 79. Agli organi federali, poi, è demandato il compito di valutare la sostenibilità economico-finanziaria degli impegni assunti: nell’ottica di assolvere a tale funzione si prevede il deposito del contratto presso la Lega di competenza, alla quale compete il rilascio del c.d. visto di esecutività, essenziale per rendere operativa la variazione di tesseramento. È importante evidenziare che, nella medesima stagione sportiva, un calciatore può tesserarsi per un massimo di tre società, ma può giocare gare ufficiali solo per due dei suddetti club in quanto devono essere salvaguardate la certezza e la continuità della prestazione sportiva. Il trasferimento di un calciatore professionista può avvenire a titolo definitivo (art. 102 NOIF) o a titolo temporaneo (c.d. prestito): nel primo caso, la prestazione sportiva viene ceduta fino alla cessazione del nuovo contratto di lavoro, mentre nel secondo caso si verifica una scissione temporanea tra titolarità del cartellino e diritto ad usufruire delle prestazioni sportive. L’art. 103 delle NOIF consente alle parti di pattuire un diritto d’opzione secondo il quale, alla conclusione del periodo di prestito, il club che ha fruito del calciatore può acquistarne la titolarità definitiva. Si verifica, in definitiva, un mutamento nella titolarità del cartellino, dipendente dall’esercizio di un diritto potestativo. Nella prassi questo accordo prende il nome di “prestito con diritto di riscatto”, il quale può atteggiarsi anche ad autentico “obbligo di riscatto”; entrambi eventualmente condizionati al verificarsi di determinati eventi namento giuridico (cfr. art. 1322, comma 2, c.c.). Di talché si ritiene corretto inquadrare la fattispecie nell’alveo dell’invalidità ovvero nell’inefficacia. In tal senso, Cass., Sez. I, 28 luglio 1981, n. 4845, in Giust. civ. Mass., 1981, p. 1726. 79 A parte il rilievo semantico (“potestà” in luogo della oggi vigente “responsabilità” genitoriale) la norma viene interpretata nel senso che è sufficiente la sottoscrizione di uno solo dei genitori, in quanto l’atto di tesseramento – prodromico alla cessione del contratto – deve essere considerato un atto patrimonialmente neutro. Non è quindi richiesta alcuna autorizzazione da parte del giudice tutelare, ai sensi dell’art. 320, comma 3, c.c. Cfr. Corte Federale di Appello FIGC, 22 giugno 2015, in Com. uff. n. 9/CFA.

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(ad esempio, il raggiungimento di un certo numero di presenze in campo nel corso della stagione di prestito). Al fine di neutralizzare gli effetti del diritto/obbligo di riscatto, l’autonomia negoziale ha elaborato la c.d. clausola di recompra – mutuata dall’esperienza iberica – che consiste in una contro-opzione efficace “a cascata” dopo l’esercizio della prima opzione (e per un corrispettivo generalmente più elevato) 80. La suddetta clausola viene apprezzata tanto dalle società più blasonate, quanto dai piccoli club di provincia. Infatti, le big della Serie A possono cedere alcuni giocatori, monetizzando subito il cartellino e senza la preoccupazione di aver perso definitivamente un possibile talento. Le cosiddette piccole, da parte loro, riescono a garantirsi le prestazioni sportive di giovani promesse, mettendo all’attivo di bilancio una futura plusvalenza in caso di cessione. È consentita, inoltre, la stipulazione di contratti preliminari ad efficacia differita, aventi ad oggetto trasferimenti, nuovi contratti o rinnovi. Benché, in costanza di rapporto, l’accordo preliminare di rinnovo tra la società ed il calciatore di sua appartenenza sia sempre consentito, gli accordi preliminari (c.d. pre-contratti) riguardanti nuovi rapporti possono essere validamente conclusi solo nell’arco dei sei mesi antecedenti alla naturale scadenza del contratto con l’attuale club. In ogni caso, per la validità di tali clausole è richiesto il consenso espresso e preventivo del calciatore, al fine di preservarne la libertà contrattuale, impedendo la “rinascita” di un vincolo sportivo de facto.

9. Il trattamento contrattuale dello sportivo non professionista (cenni). Il dilettantismo viene da sempre definito attraverso un procedimento a contrario, abbracciando tutto ciò che non rientra nell’ambito del professionismo. Pertanto, l’atleta dilettante (o, meglio, non professionista) di solito possiede gli stessi requisiti di cui all’art. 2, l. n. 91/1981, ma è tesserato 80 Il massiccio ricorso alla clausola di recompra nasce soprattutto dall’abolizione, a partire dalla stagione 2014-2015, degli accordi di compartecipazione tra società sportive (c.d. comproprietà), stante il potenziale conflitto d’interessi in cui versava il calciatore nel disputare gli incontri tra le squadre contitolari del c.d. cartellino.

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per una Federazione che non contempla il settore professionistico oppure svolge attività sportiva per un ente non societario o in una competizione di rango dilettantistico. Il rapporto si costituisce in modo informale, in quanto si è al di fuori dell’ambito applicativo della legge sul professionismo. Inoltre, al dilettante è fatto divieto di prestare la propria attività in favore di altri soggetti affiliati, alla luce del vincolo sportivo che lo lega al sodalizio di appartenenza. In ambito FIGC, il suddetto vincolo perdura sino al compimento del venticinquesimo anno di età, salvo casi di estinzione anticipata (art. 32 NOIF). Sotto il profilo della tutela del diritto all’integrità fisica, la l. 27 dicembre 2002, n. 289, ha esteso l’obbligo assicurativo di cui all’art. 8 della legge sul professionismo sportivo anche all’atleta dilettante. In termini di trattamento economico, in difetto di un autentico contratto di lavoro, si è in presenza di una scarna normativa, incentrata sul tema delle imposte sui redditi. La l. 21 novembre 2000, n. 342 – come modificata dalla legge finanziaria 2018 – ha approntato un regime fiscale particolarmente vantaggioso in relazione ai rimborsi, compensi e premi percepiti dall’atleta dilettante. Infatti, è prevista una soglia di esclusione dalla tassazione ai fini IRPEF (no tax area) dei suddetti proventi sino al limite di euro 10.000,00; mentre l’ammontare massimo percepibile di tali redditi – soggetti a tassazione con aliquota agevolata al 23%, oltre all’addizionale regionale IRPEF – è stato fissato ad euro 30.158,27 81. Come già esposto, la riforma dello sport (art. 2 e 25 ss., d.lgs. n. 36/2021) ha gettato le basi per la sostanziale equiparazione tra sportivo professionista e dilettante (purché non semplice amatore), i quali confluiranno nella categoria unitaria del “lavoratore sportivo”.

9.1. Il professionismo di fatto e l’evoluzione dello sport femminile. Il professionista di fatto si differenzia dal semplice atleta “dilettante” in quanto svolge un’attività caratterizzata dai requisiti di continuità e onerosità, del tutto sovrapponibile a quella praticata da un atleta professionista. Come detto, la l. n. 91/1981, disciplina esclusivamente i rapporti tra so81

Per ulteriori approfondimenti si rinvia alla Risoluzione n. 34/E emanata dalla Agenzia delle Entrate in data 26 marzo 2001.

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cietà e sportivi professionisti, nell’ambito delle Federazioni sportive nazionali che hanno optato per il professionismo. Tuttavia, il settore professionistico è tuttora esclusivo appannaggio dello sport praticato da uomini, mentre le atlete di sesso femminile vengono qualificate dilettanti. Pertanto, non sussiste un contratto di lavoro ad hoc, bensì singoli accordi informali, cui si collega una retribuzione forfettaria – sotto forma di rimborso spese; il che comporta l’inevitabile ricorso alla giustizia ordinaria per il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato “standard”, risultando inapplicabile la l. n. 91/1981 per difetto di requisito soggettivo 82. Si parla, a tal proposito, di una forma di dilettantismo “imposto” dal vigente ordinamento sportivo, in violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. e confermato da una serie di norme di diritto internazionale, tutte peraltro ratificate dall’Italia 83. Relativamente al versante calcistico, a partire dal 2018 si è assistito ad una querelle che ha visto contrapposte, da un lato, la FIGC e le società di calcio femminile di Serie A e Serie B, e dall’altro lato la LND (Lega Nazionale Dilettanti). Il motivo scatenante si è incentrato sul passaggio della Divisione Calcio Femminile sotto il controllo diretto della FIGC, lasciando alla LND l’organizzazione delle competizioni interregionali. La contesa è giunta dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI che ha confermato la legittimità dell’operazione. In particolare, il giudicante ha espresso apprezzamento per la scelta assunta che, a suo giudizio, «[…] si pone nell’ottica di accordare alla Divisione Calcio Femminile e al calcio femminile nel suo complesso un nuovo e più compiuto sviluppo, conferendogli nuova linfa vitale e migliorandone l’assetto, sia sotto il profilo squisitamente agonistico delle atlete, sia per l’impatto positivo che ne deriva in termini economici» 84. Il quadro in esame è destinato a mutare per effetto della c.d. Riforma del 2019 che mira ad agevolare il passaggio al professionismo femminile e l’inserimento delle donne «nei ruoli di gestione e di responsabilità delle 82 Sotto tale profilo, è interessante la pronuncia di Trib. Roma, 12 aprile 2007, n. 13406 che ha attribuito natura subordinata ad una serie di rapporti lavorativi riguardanti una associazione sportiva dilettantistica e le sue calciatrici. 83 Una ricostruzione storica e critica del fenomeno sportivo femminile, cfr. M. PITTALIS, Sport e diritto. L’attività sportiva fra performance e vita quotidiana, cit., p. 203 ss. 84 Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., 7 settembre 2018, n. 77.

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organizzazioni sportive e anche al proprio interno» (cfr. art. 40, d.lgs. n. 36/2021). Si segnala che, di recente, il Consiglio Federale della FIGC ha ufficialmente deliberato l’introduzione del professionismo sportivo nel calcio femminile a partire dalla stagione sportiva 2022/2023, da ultimo predisponendo i modelli-tipo per la rimodulazione degli accordi economici pluriennali già sottoscritti 85.

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Cfr. CU n. 116/A del 12 novembre 2020 e CU n. 5/A del 5 luglio 2021.

CAPITOLO QUARTO

IL PROCURATORE (O AGENTE) SPORTIVO di Gaetanino Rajani

SOMMARIO 1. La figura dell’agente. Dagli albori del fenomeno alla deregulation. – 2. La riforma del 2017 e il nuovo Regolamento CONI degli Agenti Sportivi. – 2.1. La riforma del 2019. – 3. Il contratto di incarico: natura, struttura ed effetti. – 4. Una professione delicata: il divieto di conflitto di interessi. La compatibilità con l’attività di avvocato.

1. La figura dell’agente. Dagli albori del fenomeno alla deregulation. Per agente o procuratore sportivo si intende la persona fisica o giuridica, di cittadinanza italiana o europea, che agisce nell’interesse dei tesserati o affiliati, allo scopo di agevolare la stipulazione di negozi giuridici rilevanti per l’ordinamento sportivo. Benché negli ultimi anni il ruolo dell’agente sportivo si sia accresciuto, solo alcune Federazioni sportive nazionali (FIGC, FIP e FIDAL su tutte) prendono in considerazione tale figura promuovendone il carattere professionale e definendola tanto quale “agente”, quanto “procuratore”. Solo nella disciplina della FIDAL (atletica leggera) si parla di “assistente degli atleti”. In ogni caso, si tratta di un soggetto generalmente non tesserato, ma che è comunque tenuto al rispetto della normativa internazionale, nazionale e federale. Pertanto, si suole parlare di soggettività sportiva c.d. riflessa 1, in 1

G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, Giuffrè, Milano, 2016, p. 83.

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quanto, pur non essendo formalmente soggetto a tesseramento, il procuratore assume obblighi analoghi a quelli assunti dal tesserato. L’agente è qualificato generalmente come un libero professionista, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2229 c.c., esegue una prestazione d’opera professionale, che esige il rispetto del parametro della diligenza (ragguagliato, ai sensi dell’art. 2236 c.c., alla complessità della prestazione), inquadrabile nel genus delle obbligazioni “di mezzi” 2. Un importante riconoscimento della figura si è avuto nel settore calcistico a partire dal Regolamento Agenti istituito nel 2001, successivamente modificato. In particolare si è assistito ad una “stretta” sul tema del conflitto di interessi, in modo da incentivare la pari opportunità degli agenti attivi sul mercato. Per tale via, si cercò di ovviare alla problematica inerente alla presenza di imprese in posizione di preminenza attraverso il divieto per gli agenti di ricoprire, anche per interposta persona, incarichi di funzionario o dipendente di un ente collegato alla FIGC ovvero ad organizzazioni sovranazionali; del pari, fu abolito il servizio di consulenza e rappresentanza da parte delle persone giuridiche. Venne riconosciuto, inoltre, il divieto di “clausole leganti” o di esclusiva che prevedessero, a carico dell’assistito, obblighi in tal senso; correlativamente si impose il divieto di contattare potenziali clienti per indurli a cambiare agente. Infine, venne fissato l’obbligo di possedere una licenza, ottenibile solo ad avvenuto superamento di una procedura d’esame, incentrato prevalentemente sulle norme FIFA. A partire dal Regolamento Agenti del 2015 la FIGC ha accolto le istanze di liberalizzazione della professione, provenienti da parte dalla FIFA, senza disdegnare gli aspetti critici presenti sotto il profilo della disciplina della concorrenza. In particolare, si è assistito al completamento del processo di eliminazione dei vincoli all’accesso alla professione. Infatti, l’iscrizione all’elenco degli agenti – scelta semantica differente da “registro”, in aderenza col mutato orientamento – è stata consentita su semplice domanda, corredata dal versamento dei relativi diritti di segreteria.

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P. MAIETTA, Il procuratore sportivo di calcio, in Lineamenti di diritto sportivo, Giappichelli, Torino, 2016, p. 69 ss.

Capitolo Quarto – Il procuratore (o agente) sportivo

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2. La riforma del 2017 e il nuovo Regolamento CONI degli Agenti Sportivi. L’art. 1, comma 373 della l. 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio per l’anno 2018), cui ha fatto seguito l’art. 1 del DPCM 23 marzo 2018, ha istituito presso il CONI il Registro Nazionale degli Agenti Sportivi «[…] al quale deve essere iscritto, dietro pagamento di un’imposta di bollo annuale di 250 euro, il soggetto che, in forza di un incarico redatto in forma scritta, mette in relazione due o più soggetti operanti nell’ambito di una disciplina sportiva riconosciuta dal CONI» ai fini (a) della “conclusione” di un contratto di prestazione sportiva di natura professionistica, (b) del “trasferimento” di una prestazione sportiva o (c) del “tesseramento” presso una federazione sportiva professionistica». Successivamente, con deliberazione della Giunta Nazionale 14 maggio 2020, n. 127, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano ha emanato un apposito “Regolamento agenti sportivi” secondo cui l’agente viene definito come «il soggetto che in forza di un incarico redatto in forma scritta mette in relazione due o più parti» ai fini: i) della costituzione, della modificazione o della estinzione di un rapporto avente per oggetto una prestazione sportiva professionistica; ii) del tesseramento presso una Federazione sportiva nazionale professionistica. La più importante novità rispetto al passato attiene alla disciplina dei cc.dd. agenti stranieri, abilitati a svolgere la professione presso le Federazioni estere. In particolare, viene tracciata una linea di demarcazione tra agente sportivo “stabilito” – abilitato presso un Paese dell’Unione europea a seguito di un esame equipollente a quello italiano – e agente sportivo “domiciliato” 3. Alla prima categoria viene rilasciato un titolo abilitativo unionale equipollente, stante l’equivalenza delle prove d’esame sostenute presso la Federazione del Paese estero, e viene concessa l’iscrizione all’elenco nazionale nell’apposita sezione dedicata agli agenti sportivi “stabiliti”. Alla seconda categoria, invece, si impongono l’adozione di “misure compensative”, considerato il mancato superamento di prove equipollenti, e la domiciliazione annuale per poter svolgere l’attività in Italia (art. 21, comma 11). Simile trattamento è riservato agli operatori provenienti da 3

La terminologia adoperata ricalca il disposto dell’art. 2 rubricato “Definizioni” del Regolamento agenti sportivi della FIGC.

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Paesi extra UE, a prescindere dal regime dell’esame abilitativo vigente nel Paese di provenienza. Per quanto attiene al regime dei doveri etico-professionali, il Regolamento CONI è chiaro nel definire che «gli agenti sportivi operano nel rispetto dei principi di lealtà, correttezza, probità, dignità, diligenza, trasparenza e competenza» (art. 17, comma 2); inoltre, essi devono svolgere «la loro attività con autonomia, trasparenza e indipendenza», nel rispetto della normativa legislativa e regolamentare, nazionale e sovranazionale (art. 17, comma 1). Il titolo abilitativo, che si ottiene al superamento di un esame articolato su due prove: l’una c.d. generale – scritta e orale – tenuta a cura e sotto la direzione del CONI, e l’altra c.d. speciale, da svolgersi presso le Federazioni sportive nazionali 4. Per quanto attiene alla FIGC, è stabilito 5 che l’esercizio dell’attività di agente sportivo da parte di soggetti non iscritti al Registro Nazionale, fatte salve le competenze professionali riconosciute per legge e salvo il disposto dell’art. 348 c.p. (esercizio abusivo di una professione), è causa di nullità dei contratti. Inoltre, l’attività può essere svolta anche in forma societaria purché la sede sia ubicata in un Paese UE e la maggioranza del capitale sociale, unitamente al potere gestorio e di rappresentanza legale, spetti ad agenti abilitati. Per salvaguardare l’indipendenza degli operatori, è vietato il possesso, diretto o indiretto, di partecipazioni in altre società analoghe. Sulla corretta applicazione dei principi deontologici, nonché sul rispetto della normativa emanata dalla FIGC, vigila un organo preposto – la Commissione Federale Agenti Sportivi (CFAS) – che è dotato di poteri sanzionatori di natura prettamente inibitoria (sospensione, cancellazione e inibizione da ogni successiva iscrizione nel registro). Alla CFAS sono altresì demandati i compiti di tenuta del registro, l’organizzazione delle sessioni d’esame federale e l’aggiornamento professionale degli iscritti. Sul versante del diritto alla provvigione per l’espletamento dell’incarico, quest’ultimo deve specificare l’ammontare della remunerazione pattuita, 4

Il giudizio di idoneità della prova generale ha una durata biennale e, decorso tale termine in assenza del superamento della prova speciale presso una Federazione sportiva nazionale professionistica, è necessario ripetere l’intero iter d’esame. 5 La FIGC è intervenuta, da ultimo, col Comunicato Ufficiale 4 dicembre 2020, n. 125A per dare piena attuazione federale ai principi emanati dal CONI.

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che può essere stabilita in una somma forfettaria ovvero in una percentuale calcolata sul reddito complessivo lordo del calciatore (o sui valori della transazione). Di norma, la remunerazione è calcolata in percentuale e il regolamento precisa taluni criteri di determinazione, tuttavia non vincolanti per le parti. Tuttavia, è bene ricordare che l’attività dell’agente è inderogabilmente gratuita se prestata in favore di calciatori minori d’età o se riguarda un contratto di prestazione sportiva ai minimi federali.

2.1. La riforma del 2019. In attuazione dell’art. 6 della l. 8 agosto 2019, n. 86, il d.lgs. 28 febbraio 2021, n. 37 di riforma in materia di accesso ed esercizio della professione di agente sportivo – in vigore a partire dal 31 dicembre 2023 – prevede un sostanziale ampliamento delle prerogative dell’agente, il quale è abilitato a rendere i suoi servizi in seno a tutte le Federazioni sportive nazionali, su incarico anche dei sodalizi dilettantistici e in favore della nuova categoria dei “lavoratori sportivi”. Di contro, tuttavia, si registra un ritorno al passato in materia di conflitto di interessi e relativamente al diritto al compenso, rivolto nei confronti del solo club, per l’attività resa in occasione della stipulazione di contratti conclusi da atleti minori d’età. Ulteriore punto l’introduzione di un sistema di parametri per la determinazione dei compensi (art. 8, comma 5), nell’ottica di un (presumibile) contenimento dei costi delle transazioni. Da ultimo, è d’uopo il richiamo alla clausola di salvezza delle competenze professionali riconosciute per legge in favore degli avvocati, regolarmente iscritti all’albo circondariale, in materia di consulenza e assistenza legale stragiudiziale resa in favore dei lavoratori e sodalizi sportivi. Il tenore letterale dell’art. 3, comma 3 del d.lgs. n. 37/2021, lungi dal prevedere un’equiparazione tra la professione di agente sportivo e quella di avvocato, abilita quest’ultimo a prestare la propria opera intellettuale in ordine agli aspetti prettamente giuridici dell’accordo di prestazione sportiva, maturando così il diritto al compenso professionale.

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3. Il contratto di incarico: natura, struttura ed effetti. La natura giuridica dell’incarico di agente sportivo pone delle questioni di particolare rilevanza che meritano adeguato approfondimento. Preliminarmente bisogna attenuare il peso specifico della terminologia endofederale, anche alla luce della scarsa dimestichezza con il tecnicismo giuridico. Basti pensare alla totale sovrapposizione tra le figura del mandato con e senza rappresentanza, che si può scorgere in talune carte federali. Tra le molteplici ipotesi interpretative è da respingere quella che richiama la disciplina dettata dagli artt. 1742 ss. c.c. in materia di contratto di agenzia 6 nonostante la prassi terminologica non sia d’aiuto: si pensi alla confusione ingenerata dalla qualifica di “agente” con riferimento all’attività svolta dal mediatore, ai sensi dell’art. 1754 c.c. Tuttavia, pure la ricostruzione in termini di mediazione non soddisfa completamente l’interprete, in quanto l’agente di norma agisce nell’interesse di una sola delle parti e ha diritto a ricevere una provvigione da questa solamente. Si ritiene preferibile inquadrare il contratto in esame nell’alveo del mandato, disciplinato dagli artt. 1703 ss. c.c., come il contratto con il quale una parte – detta mandante – incarica un’altra parte – chiamata mandatario – ad assumere l’obbligo di compiere uno o più atti giuridici per conto della prima. La principale motivazione che sorregge tale ricostruzione consiste nella circostanza per cui l’agente sportivo non si limita a favorire la conclusione del contratto, bensì partecipa egli stesso alla fase delle trattative 7. Riprova ne è il fatto che il contratto deve recare il nominativo, corredato dal numero di iscrizione nel registro, del procuratore intervenuto alla stipulazione. Questo elemento rappresenta la giustificazione esterna del diritto alla percezione della provvigione da parte del soggetto assistito. Nonostante l’ambiguità delle normative federali, si ritiene che il mandato concluso dall’agente sia ordinariamente privo di potere rappresentativo (senza rappresentanza, ex art. 1705 c.c.). La spiegazione di ciò si può rintracciare nell’assenza di un autonomo, ma collegato negozio unilaterale di procura, sebbene si parli di “contratto di rappresentanza” dello sportivo. Infatti, i regolamenti federali – in primis, quello della FIGC – prevedono la 6 L’agente propriamente detto assume, invero, un incarico stabile di promozione degli affari del preponente assumendo un vincolo di collaborazione, mentre l’incarico conferito all’agente sportivo si limita ad un numero limitato di affari. 7 Cfr. G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 116.

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necessaria partecipazione dell’assistito-mandante, attraverso l’apposizione della sua firma, alla stipulazione del contratto per il quale ci si è avvalsi dell’opera del procuratore sportivo. Quanto alla disciplina, è necessario che il mandato – redatto in forma scritta – riporti chiaramente il termine di durata e l’importo del corrispettivo dovuto. In relazione al primo elemento, in ambito calcistico la durata massima consentita è fissata a due anni, eventualmente rinnovabile, purché in forma espressa; mentre, in relazione alla provvigione, occorre l’indicazione del soggetto obbligato – anche diverso dal mandante – dei termini e dei mezzi di pagamento della stessa, purché conformi alla normativa antiriciclaggio (principalmente mediante bonifico bancario). Occorre prestare attenzione alla facoltà per le parti di pattuire ab origine una clausola di risoluzione anticipata del rapporto, eventualmente corredata da una clausola penale. Osservando la prassi delle negoziazioni, si può affermare che si tratti di una clausola “di stile”, prevista nella quasi totalità dei mandati professionali, finalizzata a neutralizzare gli effetti di un recesso anticipato dal contratto (di norma esercitato dal calciatore mosso dall’intento di cambiare procuratore per raggiungere migliori posizioni di carriera).

4. Una professione delicata: il divieto di conflitto di interessi. La compatibilità con l’attività di avvocato. L’art. 18 del Regolamento CONI degli Agenti Sportivi stabilisce che gli operatori in questione «non possono essere amministratori o dipendenti di soggetti pubblici, né ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura, ivi compresi gli incarichi elettivi o di rappresentanza nei partiti politici». Al fine di preservarne l’indipendenza, è necessario che gli agenti sportivi non possiedano interessi diretti o indiretti in imprese o enti privi di finalità lucrative che operano nel settore sportivo. La normativa generale si completa con un dettagliato catalogo di incompatibilità con cariche pubbliche o private, anche federali, ed è «in ogni caso fatto divieto di instaurare o mantenere rapporti, di qualsiasi altro genere, anche di fatto, che comportino un’influenza rilevante sulle associazioni o società sportive, italiane o estere, operanti nel settore sportivo per il quale abbia conseguito il titolo abilitativo».

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Allo scopo di prevenire l’insorgenza di conflitti di interesse “latenti”, fondati su vincoli parentali o affettivi, il Regolamento CONI è perentorio nel vietare l’avvio di trattative o la stipulazione di contratti con società di cui il coniuge, un parente o affine entro il secondo grado detenga partecipazioni anche indirettamente, ricopra cariche sociali, incarichi dirigenziali o tecnico‐sportivi. Dopo anni di interpretazioni ondivaghe e di soluzioni provvisorie, si è giunti (forse) a mettere un punto fermo in ordine al problema di compatibilità tra esercizio della professione forense e attività di agente/procuratore. Con apposito quesito, infatti, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Frosinone ha interrogato il Consiglio Nazionale Forense al fine di conoscere se l’avvocato iscritto ad un albo territoriale possa essere o meno contemporaneamente iscritto anche nell’istituito registro degli agenti sportivi ed, eventualmente, se la simultanea iscrizione sia compatibile con l’esercizio della professione. Con parere del 13 febbraio 2019, il Consiglio Nazionale Forense ha risposto che nulla osta «[…] alla contemporanea iscrizione dell’avvocato iscritto all’Albo nel registro degli agenti sportivi, a condizione che l’attività svolta non rivesta il carattere della continuità e della professionalità». Tali considerazioni rilevano per almeno due ragioni. In primo luogo, rappresentano un’ulteriore conferma dell’assoluta compatibilità tra la professione di avvocato e quella di procuratore. In secondo luogo, fissano il “limite deontologico” dell’attività svolta dal legale in seno all’ordinamento sportivo con riguardo alle sole modalità del suo svolgimento e cioè nella necessità che l’attività forense rimanga del tutto prevalente rispetto a quella specifica dell’agente. In altri termini, rappresenterebbe una violazione deontologica la circostanza per cui un avvocato – pur iscritto all’Albo forense (ad esempio, per sottrarsi all’obbligo di sostenere l’esame abilitativo presso CONI e Federazioni) – si limitasse a fare unicamente (o anche solo prevalentemente) il procuratore.

CAPITOLO QUINTO

CONTRATTI COMMERCIALI E SFRUTTAMENTO DELL’IMMAGINE di Ettore Battelli

SOMMARIO 1. I contratti commerciali di comunicazione e sfruttamento dell’immagine: sponsorizzazione e pubblicità. Inquadramento generale. – 1.1. I contratti di pubblicità. – 1.2. Sponsorizzazione e diritto all’immagine. – 1.3. Sponsorizzazione e contratti di pubblicità a confronto. – 1.4. Sponsorizzazione e figure affini. – 1.5. I contratti di sponsorizzazione sportiva: i diversi modelli contrattuali. – 1.6. La disciplina e gli elementi tipici dei contratti di sponsorizzazione sportiva. – 1.7. Le clausole più ricorrenti nella prassi: clausola di esclusiva, diritto di prelazione e la previa approvazione delle campagne marketing dello sponsor. – 1.8. (Segue) Il problema delle morality clauses. – 1.9. La risoluzione per inadempimento. Clausola risolutiva espressa e clausola penale. – 1.10. La responsabilità dello sponsor. – 2. Il merchandising. – 2.1. Inquadramento e natura giuridica. – 2.2. La disciplina e gli elementi tipici dei contratti di merchandising. – 2.3. Il merchandising in ambito sportivo. – 2.4. Il merchandising e figure affini: il licensing.

1. I contratti commerciali di comunicazione e sfruttamento dell’immagine: sponsorizzazione e pubblicità. Inquadramento generale. Nell’ambito delle relazioni commerciali e dei contratti sportivi, centrale risulta il fenomeno sponsorizzazione 1. 1

M.V. DE GIORGI, Sponsorizzazione e mecenatismo, Cedam, Padova, 1988; C. VERDE, Il contratto di sponsorizzazione, ESI, Napoli,1989; C.M. BIANCA, voce Sponsorizzazione, in Dig. disc. priv. Sez. Comm., Vol. XV, Utet, Torino, 1998, p. 134 ss.; A. FRIGNANI, La sponsorizzazione, Utet, Torino, 1993; R. ROSSOTTO-C. ELESTICI, I contratti di pubblicità: il con-

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Numerose sono le implicazioni giuridiche ed economiche ad esso sottese, anche tenuto conto della costante evoluzione della prassi negoziale che, negli anni, ha posto all’attenzione degli interpreti e degli operatori questioni strettamente giuridiche e clausole contrattuali di peculiare interesse. Occorre, innanzitutto, dire che il contratto di sponsorizzazione 2, dal punto di vista giuridico si pone come negozio commerciale, mentre da quello aziendale come strumento di comunicazione pubblicitaria. In tale ottica esso si inserisce nella ben più ampia fenomenologia, propria della società industriale e consumeristica (che spesso privilegia l’immagine stessa dei beni e servizi commercializzati a scapito della loro effettiva qualità) 3, della c.d. “pubblicità commerciale” 4 che, come è noto, si caratterizza per tratto di agenzia, il contratto di sponsorizzazione, Giuffrè, Milano, 1994, p. 188 ss.; A. MOIl contratto di sponsorizzazione approda in Cassazione: un fortunato episodio o solo un’occasione perduta, nota a Cass. civ., 11 ottobre 1997, n. 9880, in Riv. dir. sport., 1997, pp. 743-747; M. CAVADINI, Merchandising di marchio: problematiche giuridiche e opportunità commerciali, in Riv. dir. sport., 1999, pp. 17-23; H. PETER, Ius sponsoring in ottica comparatistica, in Riv. dir. sport., 1998, pp. 40-69 ss.; I. MAGNI, Il contratto di sponsorizzazione, in P. CENDON (a cura di), I nuovi contratti nella prassi civile e commerciale, Vol. XVIII, Utet, Torino, 2003, p. 270 ss.; L. CANTAMESSA-G.M. RICCIO-G. SCIANCALEPORE, Lineamenti di diritto sportivo, Giuffrè, Milano, 2008, p. 510 ss.; V. BRIANTE-G. SAVORANI, Il fenomeno «sponsorizzazione» nella dottrina, nella giurisprudenza e nella contrattualistica, in Dir. inf., 1990, p. 633 ss.; L. COLANTUONI, Diritto sportivo, Giappichelli, Torino, 2009, p. 217 ss.; G. BRUNO, Autonomia sportiva e fenomeni negoziali, ESI, Napoli, 2012, spec. p. 256 ss.; V. FALCE, I contratti di sponsorizzazione, in A.M. GAMBINO (a cura di), I contratti di pubblicità e di sponsorizzazione, in Trattato di Diritto Commerciale, fondato da V. Buonocore, diretto da R. Costi, Giappichelli, Torino, 2012, Sez. II, t. 3, p. 47 ss.; G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di Diritto Sportivo, Giuffrè, Milano, 2016, p. 181 ss.; M. CIMMINO, Contratti di sponsorizzazione, merchandising e licensing, in G. CASSANO-A. CATRICALÀ, Diritto dello sport, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2020, p. 229 ss. LITERNI,

2 Ex multis si segnalano i seguenti contributi che pur esulando dalla sponsorizzazione sportiva in senso stretto occorre tenere presenti: B. INZITARI, Sponsorizzazione, in Contr. e impr., 1985, p. 248 ss.; ID., Sponsorizzazione, in I contratti del commercio, dell’industria e del mercato finanziario, in Trattato dir. da F. Galgano, Torino, t. III, 1995, p. 1957 ss.; V M. FUSI-P. TESTA, I contratti di sponsorizzazione, in Dir. inform., 1985, p. 445 ss.; V. FRANCESCHELLI, I contratti di sponsorizzazione, in Giur. comm., 1987, I, p. 288 ss.; P. TESTA, Osservazioni in margine a due sentenze della Cassazione sul contratto di sponsorizzazione, in Dir. inf., 1998, p. 961 ss.; E.V. NAPOLI (a cura di), La sponsorizzazione. Nuovi modelli contrattuali, Giuffrè, Milano, 1998; G. VIDIRI, Il contratto di sponsorizzazione: natura e disciplina, 2001, in Giust. civ., p. 3 ss. 3 L. COLANTUONI, op. cit., p. 220. 4 S. GATTI, Sponsorizzazione e pubblicità sponsorizzata, in Riv. dir. comm., 1985, I, p. 149 ss.

Capitolo Quinto – Contratti commerciali e sfruttamento dell’immagine

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la prevalente finalità di promuovere la vendita e la prestazione di opere e servizi 5. La funzione promozionale, propria del fenomeno pubblicitario, permea difatti, profondamente, l’operazione economico-giuridica che prende il nome di contratto di sponsorizzazione. I c.d. contenuti comunicativi costituiscono elemento peculiare di tale fattispecie negoziale con la finalità ad essi propria di rivolgersi al potenziale acquirente allo scopo di persuaderlo circa la convenienza di un eventuale acquisto di beni o servizi. Alla base vi è quella situazione giuridica tipicamente definita come dolus bonus venditoris, da intendersi quale esaltazione dei pregi del bene o servizio offerto dal “mercante”. La complessità e la varietà del fenomeno, per come oggi configurato, è invece frutto di quella evoluzione sociale, economica e giuridica, meglio conosciuta come rivoluzione industriale, che – già agli inizi del XIX secolo – produsse un radicale mutamento nei rapporti negoziali, riservando alla comunicazione commerciale un ruolo sempre più rilevante. È però nel XX secolo, anche tramite la diffusione dei primi mass media (in particolare la radio, ancor prima della televisione), che si avverte maggiormente l’esigenza di persuadere gli acquirenti al compimento di una determinata operazione negoziale; avendo riguardo (come meglio sarà definitivo dalle normative di fine novecento) che il messaggio veicolato risulti in qualche modo non pregiudizievole per i “consumatori”, ma con l’obiettivo dichiarato di incrementare i guadagni del venditore-produttore-fornitore di beni e/o servizi. La differenziazione dei prodotti da un lato, la fidelizzazione dei consumatori dall’altro, diventano obiettivi che la pubblicità persegue, richiedendo l’investimento di risorse economiche sempre maggiori. Per altro verso le economie di scala si sono rivelate un impulso non indifferente nelle scelte degli operatori d’impresa che hanno individuato nella pubblicità quello strumento tipico (“di informazione”) che permette ai produttori di segnalare la propria presenza nel mercato e, al contempo, consente ai consumatori di conoscere le diverse possibilità di acquisto. 5 Di seguito alcuni riferimenti bibliografici. In campo economico, W. TAPLIN, Advertising, Hutchinson & Co. LTD, London, 1960, trad. italiana a cura di O. PEDUZZI, La pubblicità, Feltrinelli, Milano, 1961; nell’ambito degli studi sociologici italiani, G. FABRIS, La pubblicità. Teorie e prassi, 3a ed., Franco Angeli, Milano, 1994; nonché l’interessante scritto di B. BALLARDINI, La morte della pubblicità, 2a ed., Castelvecchi, Roma, 1995.

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Ettore Battelli

L’influenza del marketing, con l’impiego di sofisticate tecnologie (si pensi alla profilazione algoritmica della clientela) e raffinate tecniche di persuasione, ha infine determinato la necessità di specifiche regole contrattuali (ma non solo) volte a disciplinare il complesso delle relazioni giuridico-economiche al centro del fenomeno pubblicitario. Le suddette relazioni comprendono sia i contratti di pubblicità sia, più propriamente, i contratti commerciali di sfruttamento dell’immagine 6, meglio noti come sponsorizzazione 7 e merchandising 8.

1.1. I contratti di pubblicità. Per “contratti di pubblicità” si intendono gli accordi con i quali le imprese, che a vario titolo operano nel settore pubblicitario, si obbligano, dietro corrispettivo, a predisporre messaggi promozionali finalizzati all’incremento delle vendite di beni e servizi 9. Si differenzia da essi il “contratto di diffusione pubblicitaria” che ha ad oggetto la promozione del messaggio pubblicitario con forma e contenuti predeterminati, attraverso mezzi quali la stampa, la cartellonistica, la radio, le sale cinematografiche, la televisione e oggi Internet e i social media. Il contratto di diffusione riguarda pertanto il mezzo, cioè “lo strumento” comunicativo dedicato alla diffusione del “messaggio pubblicitario” (advertising), individuando quello capace di meglio amplificare gli effetti della comunicazione commerciale. È tramite tale contratto che lo stesso istituto della pubblicità si sviluppa, caratterizzandosi per il passaggio dal semplice contratto di “acquisto” di spazi pubblicitari o dal contratto di predisposizione del contenuto del 6 A. MAIETTA, Lineamenti di diritto nello sport, Giappichelli, Torino, 2016, p. 114 ss.; P.A. ROSSETTI, L’evoluzione del concetto di “immagine” e delle sue forme di tutela nello sport: tra leggi antiche e social network, in Diritto24, 2017. 7

A.M. GAMBINO, I contratti di pubblicità e di sponsorizzazione, cit., p. 104 ss. Per tutti si veda: M. RICOLFI, Il contratto di merchandising nel diritto dei segni distintivi, Giuffrè, Milano, 1991, passim. Successivo e di interesse ai fini che qui rilevano: A. FRIGNANI-A. DESSI-M. INTROVIGNE, Sponsorizzazione, merchandising, pubblicità, Utet, Torino, 1993, passim; G. BRUNO, op. cit., p. 283 ss. 9 Cfr. M. FUSI, I contratti della pubblicità, Utet, Torino, 1999, p. 145; M.C. BRUNO, I contratti di pubblicità, in R. BOCCHINI (a cura di), I contratti di somministrazione di servizi, Giappichelli, Torino, 2006, p. 962 ss. 8

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“messaggio promozionale” 10 ad un contratto che abbia ad oggetto anche la strategia commerciale di una comunicazione diretta al pubblico dei potenziali clienti, con precise modalità e secondo specifiche valutazioni di impatto socio-economico 11. Si tratta di accordi stipulati tra imprese produttrici/fornitrici o semplicemente venditrici di beni e/o servizi e “uffici tecnici” specializzati che, nel corso del tempo, hanno assunto una rilevanza sempre maggiore, al punto da divenire le attuali agenzie di pubblicità e comunicazione (advertising agencies). Si parla più correttamente, oggi, proprio di “contratti di agenzia pubblicitaria”. Nella pratica corrente dei contratti di diffusione pubblicitaria, l’accordo intercorre, nella quasi totalità dei casi, fra la stessa impresa “cliente” (che in questo caso prendere il nome di “inserzionista”) e un intermediario o la concessionaria di pubblicità. Tale ultimo modello contrattuale trova spesso luogo quando il proprietario del mass media ritiene profittevole per i propri interessi separare dall’attività di diffusione, strettamente intesa, quella di gestione dei servizi di comunicazione pubblicitaria, che risulta in questa ipotesi assumere carattere secondario ma non per questo fonte di finanziamento principale, inferiore alla prima 12. Accade così che l’imprenditore commerciale o industriale che voglia accedere ai mezzi di comunicazione di massa si rivolga a detta impresa “concessionaria pubblicitaria”, la quale gestisce gli spazi pubblicitari messi a disposizione dai soggetti titolari dei media, occupandosi tanto dell’acquisizione degli ordini di pubblicità quanto dei rapporti con i clienti anche ai fini della migliore strategia di veicolazione del messaggio promozionale 13. L’imprenditore si rivolgerà, pertanto, all’agenzia pubblicitaria per l’ideazione e la predisposizione della campagna promozionale e alla concessio10 Si adopera in questi casi l’espressione “opera pubblicitaria”, intendendo in senso lato un genus assai ampio di prodotti utilizzabili nella comunicazione d’impresa. Cfr.: L. SORDELLI, Contratto d’opera e creazione di opera dell’ingegno, in Riv. dir. ind., 1955, II, p. 308 ss. 11 L. SALAMONE, Agenzia. Contratti della distribuzione. Sponsorizzazione. Contratti di pubblicità. Merchandising, Giuffrè, Milano, 2005. 12 La concessione pubblicitaria consente all’impresa concedente gli spazi di perseguire lo scopo di sfruttare, attraverso l’operato di una impresa specializzata, tutte le potenzialità economiche del mezzo in suo possesso. Si rinvia in materia a: M. FUSI, I contratti nuovi. Pubblicità commerciale. Tecnica, modelli, tipi contrattuali, cit., p. 107; L. SALAMONE, I contratti di pubblicità, in AA.VV., Diritto civile, diretto da N. LIPARI-P. RESCIGNO, Vol. III, Obbligazioni, t. III, I contratti, Giuffrè, Milano, 2009, p. 860. 13 Sul tema, cfr. ancora M. FUSI, I contratti della pubblicità, cit., p. 147.

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naria pubblicitaria per la programmazione sui mezzi di comunicazione di massa 14. Tuttavia, di recente, sempre di più, si prende atto della forza contrattuale delle agenzie pubblicitarie “indipendenti” (non collegate cioè ai proprietari dei mezzi di comunicazione) e dei “centri media” che risultano spesso determinanti per il successo delle campagne, in quanto essi, gestendo il portafoglio di un numero significativo di clienti (e i loro budget di spesa) e occupandosi della pianificazione e dell’acquisto di spazi pubblicitari, sono in grado di negoziare con i mass media il prezzo degli spazi messi a disposizione dal titolare del mezzo di comunicazione di massa, ottenendo condizioni più vantaggiose 15. Tali soggetti offrono un servizio più articolato che va dall’attività di consulenza, finalizzata alla migliore distribuzione dell’investimento pubblicitario, “confezionato” su misura del cliente, tenendo conto delle opportunità offerte dai diversi media (oggi più propriamente dalle diverse “piattaforme di comunicazione”), fino al “tradizionale” acquisto di spazi pubblicitari, facendosi carico di una vera e propria attività di negoziazione, comprensiva della gestione delle fatture. Peculiare di queste agenzie è la capacità di aggregare la domanda di una pluralità di clienti nei rapporti con la concessionarie di pubblicità alla ricerca della formula più profittevole ed efficace 16. Si arriva così a rapporti negoziali collegati di natura trilaterale, se non persino quadrilaterale. 14 L’agente pubblicitario progetta e realizza la campagna pubblicitaria dietro un corrispettivo da parte del cliente. Le attività dell’agenzia vanno dallo studio del mercato all’ideazione del tema della campagna, alla scelta dei mezzi e dei fornitori, fino alla stipulazione dei contratti con i mass media, al controllo contabile dell’intera operazione. Cfr. E. DA MOLO, I contratti di pubblicità, in Nuova giur. civ. comm., 1990, II, p. 271. 15 Anche per tale motivo, le imprese che si rivolgono alle concessionarie sono sempre meno mentre la gran parte della domanda di pubblicità risulta intermediata da agenzie indipendenti e “centri media” il cui ruolo principale concerne, appunto, la gestione del budget pubblicitario del cliente mediante strategie di marketing basate spesso su di un mix di canali di promozione (c.d. “media mix”), al fine di massimizzare l’efficacia della campagna. 16 Sotto il profilo economico, pertanto, l’agenzia media svolge – attraverso la negoziazione e l’acquisto di spazi pubblicitari in nome e per conto del cliente – una funzione di riduzione dei costi di transazione (di ricerca, contatto e negoziazione) propria del ruolo degli intermediari nell’ambito di settori caratterizzati da numerosi operatori attivi dal lato della domanda (imprese clienti) e da quello dell’offerta (mezzi di comunicazione/concessionarie). Peculiare, in tale attività, è anche quella di riduzione di quella asimmetria informativa che sussiste tra domanda e offerta di pubblicità in virtù della pluralità di mezzi di comunicazione e di operatori presenti sul mercato, nonché della complessità del fenomeno frutto anche della recente evoluzione tecnologica e del diffondersi delle piattaforme di

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Si precisa che, mentre le obbligazioni delle agenzie e centri media sono da ricomprendersi nello schema della promessa del fatto del terzo (il titolare del mezzo) nei confronti dell’impresa cliente, ai sensi dell’art. 1381 c.c. 17, le obbligazioni dei concessionari pubblicitari sono sussumibili nello schema del contratto a favore del terzo ex artt. 1411 ss. c.c. 18. Si tratta, in effetti, di due distinti rapporti negoziali che caratterizzano l’attività dell’agenzia rispettivamente verso l’impresa cliente e nei confronti della concessionaria o soggetto titolare della proprietà del media. La natura di contratto a favore del terzo consente all’imprenditore cliente di esigere le prestazioni di diffusione del messaggio promozionale tanto verso la concessionaria quanto verso il titolare del mezzo, che sulla base del rapporto con la concessionaria si obbliga a dar esecuzione agli ordini di pubblicità trasmessi da quest’ultima 19. Chiarita la natura delle diverse tipologie 20 nelle quali si manifesta il rapporto negoziale di pubblicità, o più semplicemente di diffusione della comunicazione (o meglio del messaggio promozionale) in senso stretto, si potrà comprendere meglio la complessità del contratto che prende il nome di “sponsorizzazione” 21, nonché del contratto di “merchandising” 22.

1.2. Sponsorizzazione e diritto all’immagine. Nell’ambito del fenomeno sportivo, sponsor è colui che a scopi “promozionali” (leggasi anche “pubblicitari”) finanzia un atleta, una squadra, un’attività sportiva, un evento o manifestazione sportiva. Il termine, come comunicazione digitali. Cfr. altresì: M. FUSI-P. TESTA, Diritto e pubblicità, Lupetti, Milano, 2006, p. 401. 17 E. BATTELLI, Promessa del fatto del terzo, in V. CUFFARO (a cura di), La fideiussione e le altre garanzie personali, Zanichelli, Bologna, 2014, p. 387 ss. 18 Cfr.: M. FUSI, La pubblicità: strumenti e pratiche contrattuali: guida operativa alla comprensione ed applicazione dei contratti della pubblicità, Ipsoa, Milano, 2003, p. 18 ss. 19 M. FUSI, I contratti della pubblicità, cit., p. 148. 20 M. FUSI, I contratti nuovi. Pubblicità commerciale. Tecnica, modelli, tipi contrattuali, in Tratt. dir. priv., dir. da M. BESSONE, Vol. XV, Giappichelli, Torino, 2007, 2a ed., p. 63 s. 21 L. COLANTUONI, op. cit., p. 220. 22 Ex multis: G. SAVORANI, La notorietà della persona da interesse protetto a bene giuridico, Padova, 2000, passim; M. FUSI, I contratti nuovi. Pubblicità commerciale. Tecnica, modelli, tipi contrattuali, cit., p. 232 ss.

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noto, è di origine latina “sponsŏr, sponsoris” cioè “garante, mallevadore” ma anche “chi fa una promessa” 23. La sponsorizzazione, nel suo schema “tipico”, consiste in una attività di diffusione di un messaggio promozionale, di natura commerciale, avente ad oggetto o come tratto caratterizzante il segno distintivo di un’impresa, attraverso l’utilizzazione a fini direttamente o indirettamente pubblicitari, del nome o dell’immagine altrui (persona fisica od organizzazione collettiva, quali l’atleta, la squadra sportiva, ecc.; c.d. “sponsee” o “soggetto sponsorizzato” o semplicemente “sponsorizzato”), sfruttandone la notorietà (in ambito sportivo) 24. La stessa finalità può essere perseguita attraverso la realizzazione di un evento (o serie di eventi) dei quali può essere partecipe anche il soggetto che veicola il messaggio (sponsee). Sebbene il contratto di sponsorizzazione ha avuto di recente una grande diffusione, si tratta di una fattispecie negoziale nota sin dai tempi antichi secondo modalità che, nel corso del tempo, sono andate modificandosi e differenziandosi in una molteplicità di modelli 25. Mentre il contratto di sponsorizzazione non solo non è disciplinato dal Codice civile ma non ha trovato sin qui nessuna collocazione normativa adeguata (si pensi al richiamo contenuto nel Codice dei beni culturali e nella disciplina del sistema radiotelevisivo) 26, anche a causa della continua evoluzione dell’istituto, occorre invece chiarire che il diritto all’immagine, ai sensi dell’art. 10 c.c. (quale diritto della personalità) e degli artt. 96-97 23

C.M. BIANCA, op. cit., p. 12. Tra le sentenze che hanno inquadrato correttamente il fenomeno si richiama Cass., 11 ottobre 1997, n. 9880 (c.d. sentenza “Vialli”), in Nuova giur. civ. comm., 1998, I, p. 625 ss., con commento di E. Poddighe. La sentenza n. 9880/1997 riconobbe peraltro che «l’obbligazione assunta dallo sponsorizzato ha piena natura patrimoniale ai sensi dell’art. 1174 c.c. e corrisponde all’affermarsi nel costume sociale della commercializzazione del nome e dell’immagine personali». 25 C. D’ORTA-F. FIORENTINO, Riflessioni civilistiche sul contratto di sponsorizzazione sportiva, in Comparazione e diritto civile, 2014, p. 1 ss. 26 M. CIMMINO, Contratti di sponsorizzazione, merchandising e licensing, cit., p. 231, nota come i richiami contenuti nella l. n. 223/1990 (Legge Mammì), che all’art. 8, comma 12 e ss. (poi abrogati dal d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177) non consentono di considerare il contratto di sponsorizzazione come legalmente tipico. L’art. 8, in particolare, stabilisce che per sponsorizzazione si intende “per sponsorizzazione si intende ogni contributo di un’impresa pubblica o privata, non impegnata in attività televisive o radiofoniche o di produzione di opere audiovisive o radiofoniche, al finanziamento di programmi, allo scopo di promuovere il suo nome, il suo marchio, la sua immagine, le sue attività o i suoi prodotti». 24

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della l. 22 aprile 1941, n. 633 (e successive modifiche) sulla protezione del diritto d’autore, risulta tutelato da una disciplina che ne vieta l’utilizzo senza il consenso della persona ritratta, purché la sua riproduzione non sia giustificata dalla notorietà o dal ruolo pubblico o ufficio ricoperto, da finalità scientifiche, didattiche o culturali, nonché regole di ordine pubblico, giustizia o polizia, e sempre che non si arrechi danno o pregiudizio alla reputazione o al decoro della persona stessa 27. La manifestazione del suo consenso è, pertanto, presupposto dell’efficacia del contratto di sponsorizzazione. Alla base del contratto di sponsorizzazione vi è, quindi, il riconoscimento del diritto di ciascun soggetto (persona fisica o giuridica) allo sfruttamento (commerciale) della propria immagine 28. D’altronde, l’abbinamento dell’immagine dello sportivo (di un atleta, di un team, ecc.) ad un prodotto commerciale può produrre l’effetto di indurre il tifoso/fan (in definitiva il consumatore) a scegliere, nel momento dell’acquisto (in certi casi producendone anche il bisogno) un determinato prodotto al posto di un altro, proprio in quanto bene di consumo preferito dall’atleta (singolo, ma anche squadra, scuderia, ecc.) stimato per le sue qualità in ambito sportivo 29. Accade, quindi, che l’atleta che lega la sua immagine ad un bene risulta il parametro 30 in base al quale il consumatore compie una valutazione (anche “irrazionale” e meramente empatica) più o meno favorevole del prodotto acquistandolo 31 (per non dire del ruolo svolto dallo sportivo che nello spot pubblicitario faccia direttamente uso di un prodotto o di un servizio avvalorandone la qualità con la sua immagine “abbinata”) 32. 27

G. FACCI, Il diritto all’immagine dei calciatori, in Contr. e impr., 2014, p. 1102. Cfr. M.P. PIGNALOSA, Lo sfruttamento economico dell’immagine degli sportivi, in Riv. dir. sportivo, 2016, p. 126 ss. 29 S. MULLICK-S. NARNAULIA, Protecting Celebrity Rights Through Intellectual Property Conceptions, in Nujs Law Review, 2008, p. 624 ss. 30 Sul tema, si rinvia a: A.M. GAMBINO-E. MAGGIO, Il contratto di Endorsement, in R. BOCCHINI-A.M. GAMBINO (a cura di), Trattato dei contratti: I contratti di somministrazione e distribuzione, Utet, Torino, 2011, passim. 31 Il fenomeno ai fini che qui rilevano, riguarda i c.d. “campioni” o personaggi celebri del mondo dello sport (ma il discorso vale per il mondo dell’arte e dello spettacolo), che dal loro successo sportivo e dalla popolarità acquisita ricavano tramite le sponsorizzazioni ulteriori guadagni. Cfr.. L. HETHERINGTON, Direct Commercial Exploitation of Identity: A New Age for the Right to Publicity, in Columbia Journal Of Law And The Arts, 1992, p. 117 ss. 32 Cfr. C. LEMA DEVESA, La pubblicità testimoniale (le testimonianze nel messaggio pubblicitario: nozione e disciplina giuridica), in Riv. dir. ind., 1985, I, p. 164 ss.; in genere sugli 28

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Il diritto all’immagine è riconosciuto in capo a tutte le persone fisiche o giuridiche, mentre il “right of publicity” 33 è tutelato solo in capo alle persone celebri, proprio in quanto titolari di una specifica immagine “pubblica” alla quale si riconosce una specifica valenza anche sotto il profilo economico 34. Da quanto detto deriva che la lesione del diritto di immagine o l’abusivo sfruttamento del right of publicity o, più semplicemente, lo sfruttamento non autorizzato (o contrattualmente concesso) della notorietà, configurano specifiche ipotesi di danno. Tale danno va commisurato sulla base di due precisi criteri: il prezzo del consenso prestato dal soggetto celebre per la riproduzione della sua immagine (in contesti similari) e i proventi conseguiti a seguito o per tramite della condotta illecita. Proprio in relazione a ciò, si comprende meglio la ratio del contratto di sponsorizzazione, che persegue finalità di comunicazione aziendale a carattere promozionale, nella quale l’oggetto del messaggio si sostanzia nei segni distintivi dell’impresa.

1.3. Sponsorizzazione e contratti di pubblicità a confronto. Il contratto di sponsorizzazione, pur nella sua atipicità, risulta riconducibile nella più vasta categoria dei contratti di pubblicità dai quali però si differenzia. Le differenze che sussistono tra il contratto di sponsorizzazione e i contratti di pubblicità globalmente intesi (come sopra descritti) risultano a dir poco evidenti; mentre i rapporti negoziali pubblicitari hanno come obiettivo la promozione presso il pubblico dei consumatori dell’acquisto di un bene o servizio; invece, la sponsorizzazione di per sé ha come scopo il finanziamento di una specifico soggetto o attività, dal cui godimento il tifoso/spettatore/consumatore può acquisire la conoscenza o trarre apprezzaattributi dei diritti della personalità si vedano: C. SCOGNAMIGLIO, Il diritto all’utilizzazione economica del nome e dell’immagine delle persone celebri, in Dir. inf., 1988, p. 32 ss.; G. VISINTINI, Il diritto all’immagine, in G. ALPA-M. BESSONE-L. BONESCHI-G. CAIAZZA (a cura di), L’informazione e i diritti della persona, Jovene, Napoli, 1983, p. 57. 33 G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 182. 34 M. PROTO, Il diritto e l’immagine. Tutela giuridica del riserbo e dell’icona personale, Giuffrè, Milano, 2012.

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mento del soggetto/impresa promotore e, dunque, può (solo) indirettamente essere indotto (dalla divulgazione del segno distintivo dello sponsor) all’acquisto di beni o servizi ad essa collegati (attività ben diversa dall’esaltazione della qualità del prodotto o del servizio di un’impresa). Si sostiene che lo sponsor non paga per avere, ma paga per essere, al punto che la sponsorizzazione è definita come “l’arte del far parlar di sé parlando d’altro” 35. In tal senso, la sponsorizzazione è considerata una delle forme di “propaganda pubblicitaria” fra le più evolute, facendo “appello” alle passioni, ai sentimenti, nonché all’emotività dei consumatori, più di quanto non avvenga con la pubblicità tradizionale. La potenzialità di attrarre l’attenzione del pubblico è più elevata nella sponsorizzazione rispetto alle tradizionali tecniche pubblicitarie, proprio in quanto i destinatari del messaggio (cioè i potenziali consumatori) sono per un verso attratti dal “veicolo” (atleta, squadra, evento, ecc.) e per altro verso sono ben consapevoli dell’importanza del ruolo finanziario dello sponsor. Si parla in proposito del c.d. “effetto di ritorno” frutto proprio della notorietà, diretta e indiretta, acquisita dallo sponsor. Giova ricordare anche che nel caso di eventi/manifestazioni, a differenza degli spot televisivi tradizionali, la sponsorizzazione “non interrompe” 36 lo “spettacolo” sportivo e ciò contribuisce a renderla strumento più gradito e “apparentemente” meno invasivo. Altra differenza tra sponsorizzazione e pubblicità è individuabile nella peculiarità di quest’ultima di essere attuata tramite messaggi/comunicazioni di breve durata, spesso predisposti autonomamente dall’impresa da appositi soggetti specializzati (dei quali sopra si è dato conto), che rientrano sempre nella disponibilità dell’impresa che sceglie di promuovere suoi prodotti o servizi. La sponsorizzazione, diversamente, si concretizza in comunicazioni di più lunga durata, il cui oggetto principale non è uno specifico bene (prodotto o servizio) ma i segni distintivi e l’attività stessa dell’impresa. Differenti sono dunque la durata, la frequenza e l’intensità del messaggio promozionale a seconda che sia veicolato tramite contratti di pubblicità o di sponsorizzazione. Mentre nella prima fattispecie negoziale esse dipendono in modo pres35 36

G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 183. L. COLANTUONI, op. cit., p. 223.

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soché esclusivo dalla volontà (e dall’investimento economico prescelto) del soggetto committente/impresa cliente, nel secondo caso, l’efficacia della comunicazione è correlata alla sorte delle attività/evento cui la sponsorizzazione è legata e, quindi, a fattori estranei al controllo del soggetto sponsor (si pensi al successo o flop della squadra sportiva o dell’evento di sport). In generale, poi, diversa è l’“alea” nelle due fattispecie. Mentre l’attenzione dei consumatori al messaggio promozionale veicolato nell’ipotesi di sponsorizzazione è certamente fattore non preventivabile, giacché dipende dalla scelta di seguire l’evento sportivo (l’atleta, la squadra) da parte dell’utente che nutra per esso un interesse assolutamente non ponderabile con parametri certi (si pensi al successo di una squadra, alla rilevanza di una partita di campionato o al rendimento di un giocatore in corso di anno); nel caso della pubblicità tradizionale il rischio consiste nel fatto che essa può colpire indistintamente, per sua stessa natura, una platea potenziale di consumatori anche “non interessata”. Tra le varie forme di sponsorizzazione più vicine al modello “pubblicitario” peculiare interesse riveste la sponsorizzazione televisiva. La sponsorizzazione radiotelevisiva, nota con il termine “bartering”, consiste nel finanziamento da parte di un’impresa di programmi radio/tv, al fine di promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività, i prodotti dell’impresa stessa. Essa è considerata una forma di pubblicità “indiretta” rispetto ai tradizionali “spot” a pagamento che vengono trasmessi all’interno di programmi o nelle pause (pubblicità “diretta”) 37. La sponsorizzazione radiotelevisiva è la tipologia che più si avvicina al contratto di diffusione pubblicitaria, trattandosi in definitiva dell’abbinamento del nome di un prodotto o azienda ad un programma tv o radiofonico 38. In generale, differenti sono poi i livelli di intervento in una strategia di 37 L’art. 8, comma 14, l. n. 223/1990, che ha vietato la sponsorizzazione dei programmi televisivi da parte di persone fisiche o giuridiche la cui attività principale consista nella fabbricazione o nella vendita di alcuni prodotti pericolosi per la salute o che possono diventarlo, quali tabacco in genere, superalcolici, medicinali, ecc., si è ritenuto applicabile anche alle sponsorizzazioni artistiche e sportive in considerazione del fatto che specialmente gli eventi sportivi di grande importanza costituiscono oggetto di riprese televisive. 38 La sponsorizzazione televisiva differisce però dalla pubblicità tradizionale per le modalità di diffusione del messaggio che viene, di regola, inserito in un programma riguardante attività estranee a quella dello sponsor, ed è condizionato nella sua efficacia dallo svolgimento del programma stesso e dalle capacità comunicative del conduttore.

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sponsorizzazione, allorché si consideri che se la figura dello sponsor unico consente di sostanzialmente fondere l’immagine dello sponsor con quello dello sponsee, non sono pochi i casi di c.d. “main sponsor” nei quali un soggetto si impegna a contribuire rispetto ad altri sponsor in misura economicamente maggiore. Gli altri sponsor coinvolti godranno, ad esempio, di minori spazi e opportunità ma sarà loro richiesto anche un investimento economico minore (c.d. “sponsor secondario”) 39.

1.4. Sponsorizzazione e figure affini. La sponsorizzazione deve essere tenuta distinta da altre figure negoziali 40: a) Mecenatismo: è la fattispecie negoziale nella quale un soggetto (pubblico o privato), finanzia un dato evento, una attività, senza fini pubblicitari. A fronte del finanziamento, non vi è, difatti, alcuna obbligazione a carico del beneficiato. Esso rientra negli atti di liberalità di un c.d. mecenate che è mosso dall’intento di accrescere, attraverso finanziamenti, la diffusione dello sport (così come avviene per l’arte e la cultura in genere) 41. b) Patrocinio: è la concessione a titolo gratuito, da parte di un soggetto (patrocinante) dell’uso del proprio marchio, nome, denominazione, per lo svolgimento di un determinato evento o attività. In taluni casi, sussiste a carico del patrocinante anche un finanziamento, finalizzato a sostenere le spese dell’evento o iniziativa, più spesso di carattere artistico o culturale, spesso promossa da enti o fondazioni senza scopo di lucro. Essa si distingue dalla sponsorizzazione, innanzitutto, per il fatto che il patrocinante non ne trae un vantaggio economico né diretto né indiretto, al punto che si sostiene la natura del patrocinio quale donazione modale, in quanto chi riceve il patrocinio «è tenuto all’adempimento» dell’onere (art. 793 c.c.). c) Pubblicità testimoniale: è una particolare tipologia di pubblicità che si caratterizza per l’uso dell’immagine o del nome di un soggetto “celebre”: il c.d. testimonial, che svolge un’attività di richiamo di tipo promozionale a beneficio di una determinata impresa (si pensi a Del Piero per l’acqua Uliveto), spesso abbinato all’uscita sul mercato di uno specifico bene o servi39

L. COLANTUONI, op. cit., p. 227. G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 184. 41 S. PICCININI, Il mecenatismo nelle riflessioni della dottrina più recente, in Riv. critica dir. priv., 1994, p. 281 ss. 40

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zio. Si tratta, a tutti gli effetti, di una prestazione di “promozione” pubblicitaria. d) Product placement: è una operazione negoziale che si differenzia dalla precedente per il fatto che trattasi della “promozione” specifica di un determinato bene o servizio nell’ambito di uno spettacolo in virtù di uno specifico accordo negoziale tra organizzatore dello spettacolo e il produttore/distributore del bene o servizio. Lo scopo perseguito è anche in questo caso di carattere pubblicitario: si pensi alla presentazione del prodotto e relativi gadget a margine di un evento sportivo. e) Merchandising: è un contratto, tra i più importanti e diffusi (e per questo lo si esaminerà meglio dopo separatamente), che consiste nella cessione a titolo oneroso, da parte di una società (o associazione) sportiva, dell’utilizzo del proprio marchio in favore di un’impresa che valuta commercialmente utile apporlo su determinati propri prodotti o servizi ai fini di una migliore loro promozione sul mercato (basti pensare agli orologi di una squadra di calcio o, a titolo di esempio, alla linea di abbigliamento con il logo della Ferrari). f) Partnership: è una operazione negoziale, molto simile alla sponsorizzazione, che intercorre tra un’impresa e una società sportiva, diretta all’utilizzazione a scopo pubblicitario, a titolo oneroso, di spazi o attività della società sportiva, senza il coinvolgimento degli atleti tesserati.

1.5. I contratti di sponsorizzazione sportiva: i diversi modelli contrattuali. Usualmente si discorre di contratto di sponsorizzazione come fattispecie unitaria. La prassi negoziale, tuttavia, conosce una molteplicità di modelli contrattuali che (a differenza di quelli brevemente esaminati in precedenza), più propriamente, sono da ricomprendersi all’interno della (sub)categoria dei contratti di sponsorizzazione sportiva 42. Si tratta di figure contrattuali diverse ma tutte ugualmente riconducibili allo schema “tipico” della sponsorizzazione, che fra loro si distinguono per un’ampia gamma di contenuti 43, tecniche e “veicoli di diffusione” che consentono di individuare specifiche distinte tipologie negoziali:

42 43

G. BRUNO, op. cit., p. 256 ss. G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 190.

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a) Abbinamento; b) Sponsorizzazione di club, squadra o scuderia; c) Sponsorizzazione del singolo atleta; d) Sponsorizzazione di evento o manifestazione sportiva; e) Sponsorizzazione tecnica o interna; f) Impianto sportivo; g) Pool (sponsorizzazioni di tipo associativo); h) Intrapresa sportiva; i) Virtual sponsorship; j) Web sites sponsorship; k) Videogame sponsorship. L’attenzione deve soffermarsi, in particolare, su alcune di esse. L’abbinamento (A), quale fattispecie tradizionale, in effetti presenta la particolarità che la veicolazione del segno distintivo dello sponsor avviene, non solo con la tradizionale modalità di stampigliatura di esso sugli strumenti e materiali sportivi utilizzati dallo sponsee, ma anche mediante l’utilizzo del nome stesso dello sponsor accanto al nome dello sponsee abbinato 44. Dietro corrispettivo, attraverso l’abbinamento si persegue una più efficace finalità promozionale, perché il segno distintivo è portato direttamente all’attenzione non solo del pubblico degli spettatori che segue la squadra o assiste all’evento sportivo cui è impegnato lo sponsee, ma anche indirettamente ad un pubblico eterogeneo di consumatori, sportivi e non, che ne hanno notizia tramite i media e le semplici notizie di cronaca 45. Assai più diffuso e certamente il più noto risulta essere il contratto di sponsorizzazione di un club, una squadra o di una scuderia (B) nel quale questi soggetti, in cambio del versamento di un corrispettivo, si obbligano a promuovere e diffondere un determinato messaggio pubblicitario apponendo scritte (denominazione d’impresa o prodotto/servizio) o altri simboli (loghi/brand) sull’abbigliamento di atleti, di tecnici, di accompagnatori o sui veicoli di gara, nella cartellonistica a bordo campo (i c.d. rotor) e sulle tettoie delle panchine. Lo sponsor ottiene anche il diritto di utilizzare le relative immagini a scopi pubblicitari. Non è da dimenticare la veicolazio44 A. FRIGNANI-W. CARRARO-G. D’AMICO, La comunicazione pubblicitaria d’impresa. Manuale giuridico teorico e pratico, Giuffrè, Milano, 2009, p. 141. 45 S. CHERUBINI, Marketing e management dello sport, Analisi, strategie ed azioni, Franco Angeli, Milano, 2015, p. 282 s.

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ne indiretta tramite riprese video, televisive, foto su poster, quotidiani e siti web. A tacer del fatto che la divisa della squadra “del cuore”, rappresentando spesso motivo di affezione e in taluni casi oggetto di “culto” 46, viene talora indossata non solo in luoghi e occasioni sportive ma anche nei più svariati momenti di vita quotidiana con un indotto pubblicitario efficacissimo 47. Rientra, invece, nella tipologia dell’“abbinamento” l’ipotesi in cui il team/squadra si obblighi a modificare la stessa propria denominazione originaria aggiungendo quella dello sponsor o del suo marchio. Si tratta di un fenomeno diffuso soprattutto in alcuni sport come il basket, il ciclismo e la pallavolo dove maggiore è, di fatto, l’identificazione tra club e sponsor. Giuridicamente più complesso e con problematiche sue peculiari si presenta, invece, il contratto di sponsorizzazione di singoli atleti (C). Si tratta di una tipologia di sponsorizzazione che ricorre, soprattutto, negli sport più popolari nei quali lo sponsor individua gli atleti più conosciuti al grande pubblico proponendo di divenire essi stessi “veicolo” di promozione pubblicitaria e “testimonial”. In taluni casi, viene anche fornito loro materiale o attrezzatura sportiva (persino personalizzata) allo scopo di incrementare la diffusione del logo/brand 48. I compensi ai quali lo sponsor si obbliga sono tanto maggiori quanto più sono elevati la notorietà e il prestigio dello sponsee. I limiti principali a tali pattuizioni riguardano i tempi e le esigenze connesse allo svolgimento delle prestazioni sportive e preparatorie, nonché l’obbligo di non danneggiare la società di appartenenza, dovendo rispettare i rapporti di sponsorizzazione di quest’ultima. Importante sottolineare in queste prime tre tipologie contrattuali esaminate l’inserimento di clausole di rinnovo così come di risoluzione del rapporto negoziale subordinato rispettivamente al raggiungimento di determinati obiettivi sportivi o, viceversa, di retrocessioni e simili. Di frequente utilizzo sono anche clausole che condizionano sospensivamente l’efficacia del contratto alla ratifica/verifica/controllo/nulla osta da parte degli organismi sportivi di appartenenza (Federazioni/Leghe). Assai simile alle fattispecie appena illustrate è l’ipotesi nella quale lo 46

D. COSTANTINI, La storia degli sponsor sulle maglie italiane: dal Lanerossi Vicenza agli anni ‘80, in Soccerstyle 24, 12 aprile 2013. 47 A.M. GAMBINO, I contratti di pubblicità e di sponsorizzazione, cit., p. 70 ss. 48 A. FRIGNANI-W. CARRARO-G. D’AMICO, op. cit., p. 406 s.

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sponsor ottiene di essere riconosciuto come partner ufficiale di un’intera Federazione, con la possibilità di avvalersi di tale qualifica per fini pubblicitari, comprese anche le occasioni nelle quali gli atleti e le squadre della Federazione sono chiamate a competere a livello internazionale (campionati europei, mondiali, olimpiadi, ecc.) 49. Diversa è la fattispecie della sponsorizzazione di una manifestazione sportiva (D) sia che si tratti di un evento che si esaurisce in un breve spazio di tempo (ad es. una partita di calcio) sia nell’ipotesi di una manifestazione sportiva di più lunga durata 50 (ad es. un campionato a squadre) o di particolare risonanza 51 (competizione internazionale). La prima ipotesi è quella nella quale lo sponsor contribuisce ai costi di organizzazione di una gara, generalmente in cambio del diritto di abbinare il proprio nome all’evento nonché riservandosi di utilizzare cartelloni, maxischermi e annunci sonori vari, per promuoversi in occasione dell’evento (c.d. “Match Sponsor”). Lo stesso avviene anche per manifestazioni più importanti e di lunga durata (si pensi a interi campionati, es. “Serie A TIM”), il cui vantaggio consiste nel ridurre i rischi tipici di una sponsorizzazione legata al rendimento di un singolo atleta o di una sola squadra (si vedano le fattispecie A, B e C). Non sono rari, poi, i casi nei quali a questo tipo di sponsorizzazione si accompagna anche un accordo di licensing per il quale allo sponsor viene concesso di usare, nella propria pubblicità o nei propri prodotti, i marchi ufficiali della manifestazione accompagnati dall’indicazione “fornitore ufficiale” o “sponsor ufficiale”. Il rapporto di sponsorizzazione che consiste nella fornitura di beni o di servizi oggettivamente collegabili all’attività sponsorizzata, al fine di promuovere un interesse di determinate fasce di pubblico nei confronti di alcune peculiarità tecnico-qualitative dei beni/servizi forniti, prende il nome di sponsorizzazione tecnica (E). Si parla di “sponsorizzazione tecnica” quando l’oggetto è rappresentato dalla fornitura, da parte dello sponsor, di prodotti (tute, borse, magliette) e attrezzature (palloni, racchette, mazze da baseball, ecc.) strettamente inerenti allo svolgimento dell’attività sportiva o delle manifestazioni sponso49

L. COLANTUONI, op. cit., p. 225. A.M. GAMBINO, I contratti di pubblicità e di sponsorizzazione, cit., p. 72. 51 C. D’ORTA-F. FIORENTINO, op. cit., p. 11. 50

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rizzate (si pensi nelle gare automobilistiche alla fornitura di carburanti, di pezzi di ricambio, di pneumatici, ecc.) 52. La “fornitura ufficiale” – c.d. official supplier – ha invece ad oggetto beni o servizi più generici, utilizzati in occasione dell’evento o dell’attività sportiva (ad es. generi alimentari, bevande, servizi bancari/assicurativi, ecc.), godendo dell’esclusività nella propria categoria merceologica e, usualmente, non presenta un legame particolare con l’attività sportiva sponsorizzata (per non dire di produttori di articoli da fumo o di alcolici la cui pubblicità risulta espressamente vietata dall’art. 8, comma 14, l. n. 223/1990). Per quanto riguarda il caso della fornitura tecnica dell’atleta, quest’ultimo assume l’obbligo di usare quelle determinate attrezzature, quel determinato abbigliamento o i prodotti forniti dallo sponsor, in tutte le sue pubbliche apparizioni e, talora, anche nella vita privata, dichiarando di farne uso e di esserne soddisfatto 53. La sponsorizzazione di impianti sportivi (F), assai nota nei Paesi anglosassoni, invece si caratterizza per l’abbinamento del nome dello sponsor a quello dell’impianto sportivo, specie allorché quest’ultimo sia di proprietà delle stesse squadre sportive che hanno interesse ad ottenere ulteriori introiti dallo sfruttamento dei propri impianti (si pensi allo stadio di proprietà delle proprietà di calcio), peraltro con indubbi vantaggi di gestione 54. Di grande interesse è anche il pool (G) che si caratterizza per una sponsorizzazione di tipo “associativo” che si realizza mediante un consorzio di imprese, allo scopo di finanziare, con finalità promozionale dei propri rispettivi marchi, attività che richiedono una complessa attività organizzativa con considerevoli costi di realizzazione (si pensi ai campionati europei e internazionali oppure a manifestazioni quali la Champions league di calcio e la Coppa America di vela) 55. L’attenzione del potenziale cliente consumatore, nel caso del pool, non è quindi diretta alla singola impresa, o prodotto, o servizio specifico, bensì ad un gruppo di soggetti economici che si presentano unitariamente, con vantaggi significativi anche nella gestione dei diritti 56. 52

G. FARIELLO, Associazioni sportive. Manuale pratico per dirigenti, amministratori e consulenti, 2a ed., Giuffrè, Milano, 2007, p. 342. 53 G. FACCI, La sponsorizzazione sportiva e la violazione della buona fede: questioni vecchie e nuove, in Responsabilità civile e previdenza, Giuffrè, Milano, 2011, p. 527. 54 L. COLANTUONI, op. cit., p. 226. 55 G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 191. 56 A. FRIGNANI-A. DESSI-M. INTROVIGNE, op. cit., p. 56.

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Una menzione separata meritano i comitati e consorzi per le sponsorizzazioni di “intraprese” sportive (H) agonistiche ma anche di viaggi “avventurosi” in senso lato. Essi nascono per offrire il proprio sostegno tecnico e più spesso economico ad una determinata “impresa” sportiva: per mare aperto/oceano; in montagna; nel deserto o in impenetrabili foreste, ecc. Il sostegno economico può essere limitato al versamento dei costi di iscrizione e partecipazione ad una gara così come alla copertura parziale o totale del budget necessario alla realizzazione della c.d. “eroica avventura” resa possibile proprio per l’intervento di sponsor. Da ultimo si segnalano nuove forme di sponsorizzazione sportiva che, sotto l’impulso dell’evoluzione tecnologica, insieme con l’individuazione di strategie di comunicazioni più dirette ed efficaci, trovano sempre più diffusione. Ci si riferisce, innanzitutto, alla c.d. “virtual sponsorship” (I) che consiste nel far apparire, in occasione di trasmissione tv di eventi di sport o manifestazioni sportive in genere, sullo schermo televisivo e quindi alla vista dei telespettatori, messaggi pubblicitari e beni, strutture, ecc. non realmente presenti sul luogo di ripresa televisiva, con presenza dinamica e talora tridimensionale dei marchi e loghi dello sponsor. Simile risulta la c.d. “web sites sponsorship” (J) che attraverso i banner (sostanzialmente manifesti elettronici) che appaiono nelle pagine web delle squadre, delle Federazioni e dei siti sportivi in genere, sono in grado di guidare l’utente alla consultazione del proprio spazio web dove è possibile accedere (tramite il “click through” operato con il mouse) ad ulteriori informazioni sui beni e servizi offerti dallo sponsor. Infine, per mera completezza, si deve citare la “sport videogame sponsorship” (K) fattispecie nata dall’interesse dei grandi sponsor per la riproduzione dei propri marchi all’interno dei videogiochi sportivi, sfruttati alla stregua di mezzi di promozione pubblicitaria.

1.6. La disciplina e gli elementi tipici dei contratti di sponsorizzazione sportiva. Il contratto di sponsorizzazione sportiva, pur nella sua atipicità 57 e 57

E. GIACOBBE, Atipicità del contratto di sponsorizzazione, in Riv. dir. civ., II, 1991, p. 399 ss.

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molteplicità di modelli 58, presenta degli elementi che risultano tendenzialmente comuni e uniformi sia nell’ambito nazionale sia in quello internazionale 59. Il contratto di sponsorizzazione si presenta come un negozio bilaterale a prestazioni corrispettive, con obblighi gravanti su entrambe le parti (sponsor e sponsee). L’obbligo principale a carico dello sponsor consiste nel pagamento di una somma di denaro che, qualora non fissata nel suo esatto ammontare, può essere determinata ai sensi dell’art. 2225 c.c. (in tema di contratto d’opera), il quale stabilisce che «il corrispettivo, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe professionali o gli usi, è stabilito dal giudice in relazione al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo». Non sono rari i casi nei quali, insieme con il corrispettivo in denaro, sono messi a disposizione dello sponsorizzato “in godimento temporaneo” beni strettamente collegati all’esercizio dell’attività sportiva (in taluni casi a titolo di comodato d’uso, in altri di veri e propri contratti di locazione e suoi derivati); si pensi ai capi di abbigliamento sportivo o alle attrezzature tecniche (“sponsorizzazione interna”) 60. Altrettanto comuni sono poi le ipotesi di contratti di sponsorizzazione che riguardano oltre il corrispettivo la cessione di beni di consumo di massa, i più disparati, in alcun modo connessi all’attività sportiva svolta, per non dire dei servizi, siano essi di pagamento, di viaggio e/o trasporto, ecc. Permane comunque in capo all’atleta o alla squadra sponsorizzata l’impegno a svolgere la funzione di veicolo di messaggio pubblicitario di beni e servizi, rispettivamente, prodotti e forniti dallo sponsor, gratuitamente o a condizioni particolarmente vantaggiose. Si prosegue adesso con l’esame della struttura “tipica” del contratto di sponsorizzazione. L’accordo e le parti. – L’accordo tra le parti rappresenta il momento finale di una trattativa che, nei contratti di sponsorizzazione più complessi, 58

G. BRUNO, op. cit., p. 256 ss. G. NICOLELLA, Diritto dello sport. Ordinamento, giustizia e previdenza, Altalex, Milano, 2011, p. 253. 60 D. BEZZI-R. PETRASSI-G. SANVITI, Accordi di collaborazione e contratti di sponsorizzazione. Problemi e casi pratici. Formulario, Giuffrè, Milano, 1998. 59

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può aver condotto le parti a concludere previamente una lettera di intenti o un contratto preliminare. Se, specialmente nella forma del mecenatismo, il contratto di sponsorizzazione assumeva una struttura sostanzialmente unilaterale di tipo donativo (in virtù del fatto che alla prestazione del “mecenate” non corrispondeva alcuna specifica prestazione o obbligo a carico della controparte “beneficiata” dall’elargizione), fondato sullo spirito di liberalità, quest’ultimo risulta sempre più sfumato e persino assente nelle ipotesi che nella stragrande maggioranza dei casi vengono oggi ricondotte allo schema della “sponsorizzazione” tout court 61. Il contratto di sponsorizzazione sportiva rappresenta nella sua struttura di riferimento un negozio bilaterale le cui parti prendono il nome di sponsor e sponsee. Con riguardo alla natura delle parti, si dibatte se un ente di diritto pubblico possa o meno assumere la veste di sponsor, obiettandosi che ciò dovrebbe essergli precluso dal fatto che quest’ultimo dovrebbe prendersi cura di interessi generali e non dovrebbe perseguire interessi di natura imprenditoriale. Deve invece evidenziarsi, anche in questo ambito, come tale possibilità rientri pienamente, salvo eventuali limitazioni (eccezionali) che fossero espressamente previste dalla legge, nella sua piena capacità di diritto privato, purché conformi alle finalità istituzionali che gli sono proprie 62. Si rappresenta, tuttavia, che in alcuni sport la Federazione si sostituisce allo sponsee sottoscrivendo il contratto con lo sponsor e riversando poi il compenso integralmente all’atleta 63. Di grande interesse risulta anche la questione se la qualità del contraente, e specificamente, quella di sponsee, possa essere assunta da un minore 64. Tuttavia, così come per l’atto di tesseramento del minore, l’attenzione dell’interprete (e nel caso anche del giudice tutelare) deve concentrarsi sugli obblighi oggetto della prestazione e sulla loro natura economica. 61 S. CHERUBINI, Marketing e management dello sport, Analisi, strategie ed azioni, Franco Angeli, Milano, 2015, p. 280. 62 A. FERRETTI, Le Sponsorizzazioni Pubbliche. Struttura e tipologia. Casi pratici. Formulario, Giuffrè, Milano, 2009. 63 Tale scelta di controllo sostanziale dell’autonomia privata dell’atleta ha anche lo scopo di evitare contrasti di tipo merceologico con uno degli sponsor federali. Così G. NICOLELLA, op. cit., p. 253. 64 G. MARTINELLI-M. ROGOLINO, Il minore nello sport: problemi di rappresentanza e amministrazione, in Riv. dir. sport., 1997, p. 691 ss.

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Sul punto, risulta consolidato l’orientamento secondo il quale la sottoscrizione di un contratto di sponsorizzazione riguardante un minore di età è da far rientrare negli atti di ordinaria amministrazione che possono essere compiuti, ai sensi dell’art. 320, comma 1, c.c., anche disgiuntamente da ciascun genitore o da chi ne abbia la responsabilità genitoriale 65. Solo laddove gli obblighi assunti dal minore si ponessero al di là del normale svolgimento di una ordinaria attività fisica, anche di carattere competitivo, impegnativa (anche se non lavorativa) per la sua giovane età, dovrebbe propendersi per la qualificazione della stipula di un contratto di sponsorizzazione alla stregua di atto di straordinaria amministrazione, richiedendo, quindi, oltre al consenso di entrambi i genitori esercenti la responsabilità genitoriale anche l’autorizzazione del giudice tutelare, assumendo in ogni caso come parametro il superiore interesse del minore 66. Facendo seguito a quanto sopra esposto, infine, si precisa che l’eventuale carattere associativo dello sponsor, come accade nel pool, in nulla inficia la natura del contratto in esame. La causa. – Sotto il profilo della qualificazione causale il contratto di sponsorizzazione rientra, come sopra accennato, nei c.d. contratti “atipici”, perché non espressamente disciplinato dalla legge, ma la sua regolamentazione, discendente dall’autonomia dei privati, cioè dal potere dei privati di stipulare contratti non appartenenti ai tipi previsti dalla legge, è da considerarsi socialmente tipica anche in considerazione della sua diffusione nella prassi negoziale sopra descritta nelle sue diverse sfumature e tipologie 67. La funzione causale svolta dal contratto di sponsorizzazione è rappresentata dal perseguimento di finalità pubblicitarie – di veicolazione del marchio/brand – proprie dello sponsor, che a questo scopo versa un corrispettivo allo sponsee 68. A meri fini di completezza si deve dare comunque atto di un orientamento minoritario che ritiene il contratto di sponsorizzazione sussumibile 65

Cfr. M. SANINO-F. VERDE, Il diritto sportivo, Cedam, Padova, 2015, p. 321. P. VINELLA, Sponsorizzazione e sfruttamento del diritto all’immagine del minore nello sport, in Persona e danno, 11 Novembre 2012. 67 G. BRUNO, op. cit., p. 260 ss. 68 G. BERTI DE MARINIS, Causa del contratto di sponsorizzazione ed inadempimento imputabile allo “sponsee”, in Rass. dir. econ. sport, 2015, p. 1 ss. 66

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nello schema di contratti tipici, quali, in particolare, l’appalto 69, o il contratto d’opera 70. Quantunque sia condivisibile ritenere che questi tipi contrattuali (appalto e contratto d’opera ai sensi dell’art. 2222 c.c.) presentino elementi causali comuni 71 con il contratto di sponsorizzazione, quale certamente è l’obbligazione di realizzare una data attività dietro corrispettivo, deve rilevarsi come tale aspetto non sia sempre dirimente. In merito occorre evidenziare che, mentre l’obbligazione propria dei contratti di appalto/d’opera risulta adempiuta solo a seguito della realizzazione dell’opera/servizio cui l’attività dell’appaltatore o prestatore è finalizzata quale tipica obbligazione di risultato e l’appaltatore necessariamente è un soggetto organizzato in forma d’impresa, invece, oggetto del contratto di sponsorizzazione è una obbligazione di mezzi nella quale il soggetto obbligato, cui “spetta” la diffusione/veicolazione del marchio/denominazione dello sponsor, non garantisce alcun risultato (né sportivo né commerciale) ed inoltre non è (salvo taluni casi importanti nell’ambito del fenomeno sportivo globalmente considerato, ma non certo sul piano numerico/quantitativo) un imprenditore 72. Non può, peraltro, non richiamarsi quell’orientamento dottrinario che individua nel contratto di sponsorizzazione un negozio che, in quanto pensato e scritto sulla base di un modello diverso dal diritto italiano, e cioè un modello di common law, dovrebbe meglio qualificarsi come contratto “alieno”, frutto di schemi imposti, per lo più, da imprese sponsorizzatrici internazionali 73. Lo sponsor è ben consapevole che il conseguimento di un traguardo sportivo e lo stesso ritorno pubblicitario possano essere considerati solo alla stregua di obiettivi “sperati” e condizionati da una serie di fattori, per certo non nella mera disponibilità dello sponsee. Il soggetto sponsorizzato, poi, rimane sempre titolare in via esclusiva della sua attività, senza alcuna possibile ingerenza da parte dello sponsor 69

A. PASCERINI, L’abbinamento delle associazioni sportive a scopo pubblicitario, Il Mulino, Bologna, 1979, p. 68 ss. ravvisa nel contratto di sponsorizzazione elementi propri del contratto di appalto di servizi. 70 M.V. DE GIORGI, op. cit., p. 104. 71 Contra A. FRIGNANI-W. CARRARO-G. D’AMICO, op. cit., p. 148 s. 72 Più diffusamente G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 195. 73 G. DE NOVA, Il contratto alieno, Giappichelli, Torino, 2008, p. 48 ss.

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neanche sui tempi o sulle modalità di svolgimento dell’attività sportiva (salvo quanto si dirà in tema di risoluzione). D’altronde, il soggetto sponsorizzato agisce per il perseguimento di finalità proprie (come ad es. la vittoria in una gara o competizione sportiva) che nulla hanno a che fare con i servizi prestati allo sponsor (salvo i “premi” collegati ad eventuali “risultati” conseguiti). L’oggetto. – Con riguardo all’oggetto, il contratto può presentare un contenuto diverso, a seconda che la sponsorizzazione venga realizzata da un singolo atleta oppure da un gruppo di atleti (una squadra), o ancora si tratti di un evento sportivo. La prestazione sportiva che forma oggetto dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e corrispondere ad un interesse del creditore ai sensi dell’art. 1174 c.c. 74. Il fenomeno delle sponsorizzazioni dimostra come sia definitivamente acquisito il carattere patrimoniale della “commercializzazione” del nome o dell’immagine 75. Si segnala sin d’ora che con riguardo al contenuto del contratto di sponsorizzazione, nell’ambito del rapporto sinallagmatico, la prassi conosce l’inserimento di clausole accessorie, innanzitutto quelle di risoluzione espressa e compromissoria, che caratterizzano la disciplina al pari della clausola di esclusiva 76. La forma. – In materia di forma si segnala che essa è, di regola, scritta 77, ma non vi è alcuna prescrizione di legge in tal senso né a fini di validità (“ad substantiam”) né a fini di prova (“ad probationem”); ciò in conformità con il principio della libertà di forma, vigente nell’ordinamento di diritto 74

P. RAIMONDO, Elementi di diritto privato sportivo, Giraldi Editore, Bologna, 2013, p.

165. 75

Cass. civ., 11 ottobre 1997, n. 9880, cit. In proposito la Corte ha osservato che l’obbligazione dello sponsee, consistente nel consentire ad altri l’uso della propria immagine pubblica ed il proprio nome per promuovere un marchio o un prodotto, ha la caratteristica della patrimonialità ai sensi dell’art 1174 c.c., perché una tale commercializzazione del nome e dell’immagine personale si è affermata nel costume sociale, fino a divenire una possibilità commerciale del tutto normale. A conferma si consideri che i compensi di tale attività di sponsorizzazione, ai fini fiscali, compongono l’imponibile di una società sportiva. 76 P. RAIMONDO, op. cit., p. 175. 77 C. D’ORTA-F. FIORENTINO, op. cit., p. 41.

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interno, per cui le parti sono libere di adottare la forma che ritengano più opportuna a tutela dei propri interessi, salvo ovviamente i casi nei quali sia la stessa legge a prescriverla o siano le stesse parti ad aver stabilito diversamente 78. Da quanto sin qui esposto, risulta evidente la qualifica del contratto di sponsorizzazione come contratto legalmente atipico ma socialmente diffuso, di durata, a titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive, di natura fiduciaria ma non aleatorio, la cui causa consiste nell’utilizzazione (sfruttamento), a fini indirettamente o direttamente promozionali/pubblicitari (commerciali), del nome, dell’immagine, del marchio e/o di tutti i propri segni distintivi dello sponsor in abbinamento alla prestazione “sportiva” dell’atleta, della squadra o semplicemente ad un certo evento e/o manifestazione di carattere sportivo, in cambio di un corrispettivo in denaro o nella fornitura di materiale o altri beni e servizi 79.

1.7. Le clausole più ricorrenti nella prassi: clausola di esclusiva, diritto di prelazione e la previa approvazione delle campagne marketing dello sponsor. Tra le clausole più ricorrenti nella prassi, che meritano di essere prese in considerazione, deve essere doverosamente richiamata la c.d. “clausola di esclusiva”, che ha il compito di limitare il potere di una o entrambe le parti di concludere contratti di sponsorizzazione con soggetti terzi per un determinato periodo 80. Essa, generalmente, è pattuita nell’interesse dello sponsor; tuttavia, non è trascurabile la presenza anche di un interesse dello sponsee 81. Essa rappresenta una delle clausole più frequentemente pretese dagli 78

G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 198. Cons. Stato, Sez. VI, 31 luglio 2013, n. 4034, afferma che la sponsorizzazione è da ritenere corrispondente ad un contratto atipico, in cui un soggetto (sponsee o sponsorizzato) assume, dietro corrispettivo, l’obbligo di associare alla propria attività il nome o il segno distintivo di un altro soggetto (sponsor o sponsorizzatore) quale forma di pubblicità indiretta. 80 Nella prassi la clausola di esclusiva ha “valore” senza distinzione di luogo/Paese del mondo e solo raramente è pattuita con efficacia limitata allo Stato dove lo sponsor ha la sede o rappresentanza legale oppure dove lo sponsee ha la residenza o esercita l’attività sportiva. 81 P. RAIMONDO, op. cit., p. 175; G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 197. 79

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sponsor, poiché per suo tramite quest’ultimo esige che lo sponsee non conceda diritti analoghi anche ad altri soggetti 82. Si segnala, poi, la “clausola compromissoria”, che consiste in una pattuizione mediante la quale le eventuali controversie che dovessero nascere in dipendenza e sotto la vigenza del contratto di sponsorizzazione vengono devolute al giudizio di un soggetto o organo privato deputato a risolvere la lite. La clausola regolante il “diritto di prelazione” è altrettanto peculiare di questa tipologia contrattuale e consiste nell’obbligo in capo allo sponsee di trasmettere (in originale o in copia) allo sponsor eventuali offerte che dovessero pervenire durante il periodo di vigenza del contratto (in taluni casi anche per un arco di tempo successivo), da parte di un soggetto concorrente (spesso anche solo indirettamente). Ciò consente allo sponsor di intervenire con una offerta equivalente o superiore di quella concorrente, salvaguardando anche dopo il termine del rapporto negoziale in atto il legame con l’atleta/squadra/competizione/evento. Solo nel caso in cui lo sponsor non “pareggi” l’offerta ricevuta dallo sponsee, quest’ultimo sarà legittimato a stipulare un contratto di sponsorizzazione con il “nuovo” sponsor. Di estremo interesse è, poi, la clausola di “previa approvazione delle campagne marketing” dello sponsor. Infatti, tramite questa clausola lo sponsee si riserva di accettare la campagna di promozione pubblicitaria che lo veda coinvolto (a prescindere dal mezzo di diffusione). Lo sponsee dovrà quindi essere previamente informato, ogni qualvolta lo sponsor intenda acquisire foto, audio, video, o quant’altro inerisca la propria immagine e dovrà, successivamente, fornire il proprio consenso all’utilizzo delle stesse 83. Connaturata a questo contratto è anche la “clausola di durata”, specie di quelle sponsorizzazioni collegate a una manifestazione sportiva, sia essa una singola gara, un campionato, un torneo. Al tema della durata è da ricollegare la clausola di scioglimento del vincolo, specie se anticipato al verificarsi di talune evenienze, che possono riguardare sia lo sponsor sia lo sponsee 84. 82

C. D’ORTA-F. FIORENTINO, op. cit., p. 42. Consenso che può negare, in genere, esclusivamente, per motivi seri e documentati, entro un breve periodo dal ricevimento della proposta di comunicazione (campagna promo-pubblicitaria), anche sui “semplici” canali social (G. NICOLELLA, op. cit., p. 261). 84 M. CIMMINO, Contratti di sponsorizzazione, merchandising e licensing, cit., p. 242. 83

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Talora, peraltro, ci sono clausole che prevedono impegni che incidono sulle scelte quotidiane e sullo stile di vita dello sponsorizzato (basti pensare a quelle clausole che, per esempio, pongono a carico dell’atleta l’obbligo di nutrirsi in maniera esclusiva con taluni cibi o prodotti “fitness”, usualmente messi a disposizione dallo stesso sponsor) della cui validità talvolta si dubita a seconda degli specifici casi. Devono ritenersi, però, per certo valide quelle che fanno divieto all’atleta di esercitare attività sportive che potrebbero risultare pericolose per la sua stessa salute o incolumità fisica, fondamento imprescindibile ai fini dello svolgimento di un’attività sportiva.

1.8. (Segue) Il problema delle morality clauses. Le c.d. morality clauses, diffuse inizialmente nell’esperienza statunitense, sono clausole di precostituzione dell’inadempimento, spesso accompagnate da correlative clausole risolutive e penali, riguardanti la condotta e i comportamenti dello sponsee e non la prestazione sportiva strettamente intesa. La prassi conosce morality clauses aventi ad oggetto ipotesi di doping o più generalmente di condotte antisportive, ma anche di condanne o procedimenti penali, uso di sostanze stupefacenti, illeciti sportivi, frode sportiva, comprese condotte anche “private”, pur di nessun rilevanza strettamente sportiva o penale, che possano comunque ledere l’immagine dello sponsor in quanto motivo di imbarazzo, scandalo o senso del ridicolo 85. Si segnalano morality clauses con le quali lo sponsor si riserva il diritto di risolvere unilateralmente il contratto 86 e/o comunque di ridurre il corrispettivo pattuito in caso di dichiarazioni o eventi ritenuti, a parere dello sponsor, obiettivamente pregiudizievoli e/o solo potenzialmente lesivi/e della reputazione e dell’immagine ed in definitiva per gli affari dello sponsor 87. Deve evidenziarsi come questa clausola rappresenti sul piano negoziale il riflesso del più alto principio di moralità nello sport che, a prescindere 85

G. NICOLELLA, op. cit., p. 262. Celebre è il caso rescissione del contratto da parte della Nike in virtù della disdicevole condotta tenuta dal capitano della A.S. Roma Francesco Totti ai campionati europei di calcio nel 2004 in cui con uno sputo colpì il calciatore danese Poulsen. 87 L. COLANTUONI, op. cit., p. 236. 86

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dalla professionalità del singolo o della squadra, impegna ciascuno sportivo a tenere comportamenti corretti e assumere condotte leali e rispettose degli elevati principi etici che caratterizzano il fenomeno sportivo. Non mancano dubbi sulla validità di tali pattuizioni, considerata anche la loro indeterminatezza. In effetti: «l’impegno che assume lo sportivo a comportarsi per la durata del contratto con correttezza e con lealtà e nel rispetto di elevati principi etici senza causare alcun danno alla sua immagine/reputazione, deve ritenersi riferito principalmente al suo ambito professionale» 88; per converso, non sono da reputarsi rilevanti ai presenti fini le scelte attinenti alla sfera privata, all’orientamento sessuale, alla fede religiosa e alle idee politiche, a prescindere dall’eventualità che il pubblico possa condividerle o meno. Si distinguono, di recente, le c.d. clausole sul “fair play” che sanzionano e mirano a scoraggiare comportamenti razzistici diretti o indiretti (si pensi a taluni cori incivili delle tifoserie di una squadra rispetto ai quali lo sponsor intende tutelare la propria immagine) 89.

1.9. La risoluzione per inadempimento. Clausola risolutiva espressa e clausola penale. Il contratto di sponsorizzazione, come più volte sottolineato, nelle sue diverse varianti, ha quale sua peculiarità quello di essere un negozio a prestazioni corrispettive. Si tratta, quindi, di un rapporto contrattuale soggetto a domanda di risoluzione laddove non vengano adempiute le prestazioni che sono oggetto del contratto e, semplificando, a carico dello sponsee, quella di veicolazione del marchio/denominazione dello sponsor e a carico di quest’ultimo quella di corresponsione del compenso pattuito. In un contratto come quello di sponsorizzazione, tenuto conto della complessità dei modelli sopra esaminati, l’inesatto adempimento o l’inadempimento di una singola obbligazione può inficiare l’intero rapporto negoziale, al punto da legittimare la risoluzione nell’ipotesi in cui la presta88

Si veda Trib. Milano, 9 febbraio 2015, che ha evidenziato come la rottura del sinallagma contrattuale non possa basarsi su presunti fatti che siano contrari a regole di etica e morale che non comportino violazione di obblighi dello sponsee o che attengano meramente al piano della vita privata e non al profilo professionale; ciò quantunque il contratto di sponsorizzazione si configuri come basato sul c.d. “intuitu personae”. 89 L. COLANTUONI, op. cit., p. 243.

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zione non adempiuta rivesta un ruolo centrale nell’economia del contratto o quando la sua rilevanza sia tale da modificare il valore stesso dell’utilità della prestazione principale. Ciò spiega perché gli obblighi dello sponsorizzato, che un tempo erano alquanto generici, nell’odierna prassi siano oggetto di una descrizione dettagliata. Naturalmente, come accennato, determinante risulta la tipologia di sponsorizzazione, a seconda che si tratti di un atleta tenuto a mostrare (ad esempio sulla propria divisa) un prodotto o il marchio di un’impresa durante lo svolgimento della propria attività sportiva oppure, nel caso di gare o altri eventi sportivi, la diffusione/promozione nelle modalità ritenute più opportune (dagli inviti ai biglietti di ingresso di una manifestazione sportiva). Peraltro, proprio in virtù della immedesimazione che si realizza tra gli interessi dello sponsee e quelli dello sponsor, la condotta dello sponsee nello svolgimento della propria attività produce riflessi nella sfera giuridica dello sponsor. Ciò detto, se è da escludere che lo sponsor possa avanzare pretese nei confronti dello sponsee per cattivo rendimento nell’esercizio della sua attività sportiva 90, diversa è l’ipotesi nella quale il rendimento dello sponsee sia talmente sotto il proprio livello standard di prestazione da ledere l’immagine dello sponsor 91. Vale naturalmente anche l’inverso. Non deve, però, sorprendere che sia da escludersi in capo allo sponsor la legittimazione ad impugnare davanti agli organi di giustizia sportiva i provvedimenti disciplinari. Difatti, deve ribadirsi che l’obbligazione dello sponsorizzato è un’obbligazione di mezzi e non di risultato, in quanto lo sponsee è tenuto a svolgere solamente quelle attività previste dal contratto ma non è tenuto in alcun modo a garantire un ritorno pubblicitario allo sponsor. D’altro canto, se è vero che la mancata realizzazione delle aspettative dello sponsor non può giustificare di per se stessa la risoluzione del contratto o tantomeno costituire fondamento di pretesa risarcitoria nei confronti dello sponsee, è altrettanto vero che, trattandosi di obbligazione di mezzi, lo sponsee è tenuto ad adempiere in buona fede ad un impegno tecnico e volitivo idoneo rispetto all’obbligazione assunta. Si pensi all’adozione, in capo ad ogni sog90 91

G. FACCI, La sponsorizzazione sportiva e la violazione della buona fede, cit., p. 532. A. FRIGNANI-W. CARRARO-G. D’AMICO, op. cit., p. 146.

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getto sportivo in generale, di quell’insieme di cautele ritenute normalmente necessarie per evitare ogni pregiudizio fisico o “d’immagine”. Non è, quindi, infrequente che l’adempimento dell’obbligazione e l’esecuzione del contratto siano valutate, in concreto, proprio secondo i criteri di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., per accertare eventuali responsabilità e legittimare le specifiche azioni di tutela fino allo scioglimento (risoluzione) del contratto 92. Centrale risulta, quindi, nella prassi contrattuale, proprio per risolvere in via preventiva eventuali contestazioni, in punto ad esempio di prova del danno, l’introduzione tanto di clausole di predeterminazione del risarcimento quanto di risoluzione espressa del contratto 93. Si tratta di c.d. “forme precostituite di inadempimento” aventi lo scopo di individuare quelle obbligazioni che sono da considerarsi a tal punto rilevanti nel sinallagma contrattuale da derivarne, in caso di violazione, lo scioglimento del rapporto contrattuale. L’inserimento della “clausola penale” (di cui all’art. 1382 c.c.), in particolare, svolge una funzione da un lato di tipo risarcitorio, poiché predetermina in via anticipata, prescindendo dalla prova del danno prodotto (spesso di non facile quantificazione), il risarcimento dovuto in ipotesi di inadempimento o ritardo nell’adempimento (nel conseguimento degli obiettivi sportivi prefigurati), dall’altro di coercizione indiretta all’adempimento ovvero al rispetto degli obblighi contrattualmente assunti, talora compreso l’impegno a svolgere alcune attività sportive prodromiche (allenamenti, ecc.) al conseguimento dei risultati prefissati. La “clausola risolutiva espressa” (di cui all’art. 1456 c.c.), invece, consente alle parti di contenere l’alea propria del contratto di sponsorizzazione, tanto più ove il rapporto negoziale sia di durata, come nell’ipotesi classica di sponsorizzazione di una squadra per l’intero svolgimento di uno o più campionati. A titolo di esempio si possono richiamare clausole di risoluzione espressa a tutela dello sponsor in relazione a violazioni di obblighi da parte dello sponsee: il non utilizzo di un capo di abbigliamento durante la gara o il non uso di determinate attrezzature in allenamento; l’alterazione o camuffamento del logo dello sponsor apposto su abbigliamento o materiale tecnico; il mancato rispetto del diritto di esclusiva; assenza ad eventi o manifestazioni 92 93

G. FACCI, La sponsorizzazione sportiva e la violazione della buona fede, cit., p. 525. G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 197 s.

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promozionali contrattualmente previste dallo sponsor; comportamenti o dichiarazioni lesive dell’immagine dello sponsor (v. sopra le morality clauses); la squalifica per doping o altro provvedimento sportivo sanzionatorio di particolare gravità, nonché il ritiro dalle gare e dalle competizioni. Allo stesso modo, a tutela dello sponsee risultano diffuse le clausole di risoluzione espressa che precostituiscano ipotesi di scioglimento del contratto allorché sia lo sponsor a: non versare il compenso pattuito in modo non occasionale; rilasciare dichiarazioni o tenere comportamenti gravemente lesivi dell’immagine dello sponsee; violare la clausola di previa approvazione delle campagne di promozione pubblicitaria; fino all’ipotesi di fallimento o altre procedure concorsuali di crisi dell’impresa sponsor.

1.10. La responsabilità dello sponsor. Lo sponsor viene spesso chiamato a rispondere per i danni subiti dallo sponsee o da terzi, in occasione dello svolgimento dell’attività sportiva svolta da parte dello stesso sponsee. Ci si riferisce, in particolare, alle ipotesi che riguardano le sanzioni sportive comminate allo sponsee in caso di violazione, da parte di quest’ultimo, di norme federali 94. Il caso tipico è quello in cui sia lo stesso contenuto del contratto di sponsorizzazione a violare norme federali, come nel caso del contratto che preveda l’apposizione sulla maglia di un logo di misura superiore a quella prevista nei regolamenti federali o, altra ipotesi, della mancata fornitura di attrezzatura tecnica, o ancora nella messa a disposizione di materiale difettoso con modalità e tempi tali da rendere impossibile o, comunque, particolarmente difficoltoso per lo sponsee l’approvvigionamento di materiale conforme alle prescrizioni 95. Per quanto concerne, poi, i possibili danni cagionati ai terzi dallo sponsee nello svolgimento dell’attività sportiva, deve escludersi ogni responsabilità contrattuale od extracontrattuale dello sponsor, potendosi configurare, in pur rare ipotesi, solo una sua responsabilità in solido con lo sponsee nella determinazione del fatto fonte di danno. Diversamente, allorché i danni siano cagionati ad eventuali terzi o allo stesso sponsee a causa dell’utilizzo di beni o non corretto funzionamento di 94 95

G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 200. L. CANTAMESSA-G.M. RICCIO-G. SCIANCALEPORE, op. cit., p. 512 s.

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attrezzatura o altri materiali messi a disposizione dallo sponsor, semplificando, si configura a carico di quest’ultimo una responsabilità contrattuale nel caso in cui il danneggiato sia lo sponsee parte del contratto di sponsorizzazione oppure extracontrattuale nel caso di un soggetto terzo.

2. Il merchandising. Il merchandising è un contratto nel quale un soggetto (merchandisor) titolare di un diritto di proprietà intellettuale (come un marchio/brand) o di un diritto della personalità (come nome o immagine), che abbia acquisito notorietà presso il pubblico, attribuisce ad altri soggetti (merchandisee), dietro corrispettivo, la licenza di utilizzo di quel segno distintivo per contrassegnare servizi o prodotti appartenenti a molteplici e differenti settori di mercato 96. Il merchandising in ambito sportivo consiste, quindi, nello sfruttamento del valore suggestivo acquisito da nomi, figure, loghi, simboli o insieme di segni distintivi (di seguito, per semplicità, si ricorrerà descrittivamente, soprattutto, ai termini generici “marchio/brand”) dotati di valore attrattivo (ai nostri fini nel mondo dello sport), allo scopo di promuovere la conoscenza e la vendita di prodotti eterogenei 97. Come la sponsorizzazione, anche il contratto di merchandising assolve una funzione pubblicitaria, in quanto il merchandisee che si avvale del marchio celebre persegue l’obiettivo di sfruttare l’effetto trainante del brand notorio apponendolo al proprio prodotto, al fine di migliorarne l’immagine complessiva, rendendolo di maggiore interesse per i consumatori, in cambio di un corrispettivo economico 98. Particolarmente importanti in ambito sportivo sono le forme di c.d. personality (o character) 99 merchandising, nelle quali il brand è rappresentato 96

Amplius M. RICOLFI, op. cit. G. BRUNO, op. cit., p. 283 ss. 98 Il valore attrattivo del brand oggetto del merchandising, dipende dalla sua notorietà (c.d. popularity properties) o dal suo essere evocativo di stili di vita idonei a catturare l’attenzione e l’immaginario del pubblico dei consumatori (c.d. status properties e personification properties); così G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 201. 99 A. FRIGNANI-A. DESSI-M. INTROVIGNE, op. cit., p. 115. 97

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da nomi e/o immagini di atleti, che abbiano acquisito una considerevole celebrità in campo sportivo (ma lo stesso potrebbe dirsi per il campo artistico e dello spettacolo); basti pensare, a titolo di esempio, al marchio CR7 che dà il nome a prodotti che richiamano Cristiano Ronaldo e il suo numero di maglia “7”. Per quanto riguarda le differenze tra merchandising e sponsorizzazio100 ne , dal punto di vista economico le posizioni del titolare del diritto sono antitetiche. Infatti, mentre nella sponsorizzazione è colui che dispone del marchio che spera in un ritorno pubblicitario, investendo sull’immagine dello sponsee per incrementarne la notorietà, versando il relativo corrispettivo, nel contratto di merchandising è il merchandisee, cioè chi riceve il marchio notorio, apponendolo ad un proprio prodotto, a dover corrispondere al titolare del brand una somma di denaro. Per fare un esempio che sia di semplice comprensione, si pensi ad un marchio di indubbia notorietà come la Coca-Cola che se apposto su una tazza o una maglietta (qualsiasi) presuppone la sussistenza di un apposito contratto di merchandising, mentre si configura certamente un contratto di sponsorizzazione allorché invece il marchio appaia sulle maglie (divise) di una squadra sportiva 101. Si ritiene 102, quindi, che nel merchandising sportivo (ma il discorso ha una valenza generale) si trasforma una persona (atleta) o gruppo di persone (squadra, club), un avvenimento (evento o manifestazione sportiva), in un’immagine di successo idonea a conferire credibilità al bene immesso sul mercato, migliorandone la percezione presso il pubblico e incrementandone in definitiva le vendite.

2.1. Inquadramento e natura giuridica. Il merchandising è, come la sponsorizzazione, un contratto socialmente tipico ma legalmente “atipico”, in quanto la disciplina non ha fonte nella legge ma nell’autonomia privata 103. L’operazione negoziale che prende il nome di merchandising si caratte100

C. D’ORTA-F. FIORENTINO, op. cit., p. 11. L. COLANTUONI, op. cit., p. 251. 102 A.M. GAMBINO, I contratti di pubblicità e di sponsorizzazione, cit., p. 104 ss. 103 S. D’INNOCENZO, Il merchandising come contratto sportivo, Cedam, Padova, 2010. 101

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rizza per una duplice utilizzazione di uno stesso brand da parte di due soggetti differenti che sono parti del contratto: il “concedente” (merchandisor) e il “licenziatario” (merchandisee). Il contratto di merchandising è un rapporto negoziale a titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive. Il compenso consiste, generalmente, nel versamento, a carico del merchandisee, di una somma equivalente a una quota-parte del fatturato (c.d. royalties) ottenuta dalla vendita dei prodotti recanti il brand oggetto del contratto di merchandising 104. Con il contratto di merchandising sportivo si vuole, nello specifico, sfruttare una tecnica di promozione pubblicitaria particolarmente efficace, consistente nell’abbinare un prodotto o un servizio ad una data “fonte” di notorietà e simpatia tale da conferire al bene una maggiore appetibilità sul mercato oltre ad una certa affidabilità 105. La causa del contratto di merchandising, in sintesi, consiste quindi nel trasferimento del diritto d’uso del brand di cui il merchandisor è titolare in favore del merchandisee, perché questi lo apponga ai propri prodotti al fine dell’incremento delle vendite. Ciascuna delle due parti ha l’utilizzo dello stesso brand sebbene nel caso del primo (il titolare) si parla più correttamente di “utilizzazione primaria”, nel caso del secondo si tratta di una “utilizzazione secondaria”, il cui esercizio si fonda sul contratto posto in essere che è fonte di legittimazione dello sfruttamento di notorietà. L’utilizzazione c.d. “secondaria” è attuata dalla controparte (merchandisee) in un settore di mercato o in più ambiti eterogenei differenti dal primo, nei quali la funzione promozionale propria del merchandising viene a realizzarsi. In ogni caso, il contratto di merchandising risulta assolutamente idoneo a soddisfare equamente le esigenze commerciali e di marketing tanto del merchandisor quanto del merchandisee, considerato che l’interesse del primo è quello di ottenere un guadagno dallo sfruttamento del brand di cui ha la titolarità e l’obiettivo del secondo consiste nel promuovere i propri beni 104

Cfr. M. CAVADINI, Considerazioni sul contratto di merchandising di marchio, in Riv. dir. sport., 1998, p. 351 ss. Talora è previsto anche un corrispettivo fisso minimo garantito, indipendentemente dal fatturato prodotto dal merchandisee (c.d. flat fee), nonché forme di premialità riconosciute al merchandisor in relazione al raggiungimento di certi livelli di fatturato. Vedi G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 209. 105 L. COLANTUONI, op. cit., p. 249.

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o servizi, migliorandone l’immagine, avvalendosi della notorietà acquisita dal primo massimizzandone il valore pubblicitario e l’eventuale immagine di successo (c.d. image transfer) 106. Come noto, infatti, il merchandising consente di trasformare un prodotto o un servizio che non siano di eccelso valore intrinseco in un bene che possa essere percepito dai potenziali acquirenti come di un certo livello 107. Le modalità attraverso le quali tale funzione viene realizzata, pur nell’ambito dello schema unitario del merchandising sportivo, sono diverse e le più comuni oltre alla (1) licenza d’uso (licensing), sono la (2) cessione, anche parziale, del marchio, e (3) l’autorizzazione all’altrui uso o all’altrui registrazione. Detto ciò sotto l’aspetto dei soggetti e della causa, l’attenzione deve soffermarsi sull’oggetto che, come già illustrato per il contratto di sponsorizzazione, è un “bene immateriale” (si parla sotto il profilo economicoaziendale di “asset immateriale”) che può avere diversa natura e consistere in denominazioni, figure, immagini, creazioni protette dal diritto d’autore o segni distintivi d’impresa e marchi che devono essere tutelati. I c.d. intangible assets costituiscono oggi a tutti gli effetti beni immateriali di significativo valore economico, il cui sfruttamento riveste un ruolo sempre più importante 108, specialmente nei sodalizi di grandi dimensioni, «confermando quanto l’oggetto sociale di tali enti sia diventato molto complesso, non esaurendosi nella pratica di sport ad elevato livello e nella connessa offerta di prestazioni di spettacolo al pubblico, ma si articola anche nell’offerta di servizi accessori e nella commercializzazione di prodotti connessi, sia in occasione dell’evento che fuori» 109. Tale eterogeneità sull’oggetto dei contratti di merchandising si traduce in molteplici schemi negoziali. Ove l’oggetto sia rappresentato da una creazione intellettuale, tutelata dal diritto d’autore, il contratto di merchandising si fonda su un modello c.d. “di autorizzazione”, diretta a con106

È il caso del celebre marchio “Air Jordan”, lanciato nel 1985 per contraddistinguere una specifica linea di calzature sportive ispirata a Michael Jordan, celebre campione di pallacanestro NBA. 107 L. COLANTUONI, op. cit., p. 249. 108 E. BATTELLI, Il pegno sui beni immateriali. Contributo allo studio del pegno non possessorio sugli intangible assets, Giuffrè, Milano, 2021. 109 M. CIMMINO, Contratti di sponsorizzazione, merchandising e licensing, cit., p. 253.

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sentire alla parte licenziataria di fare un uso del segno, provvedendo se necessario essa stessa alla registrazione. Tutti gli schemi contrattuali sopra citati (licenza d’uso, cessione o autorizzazione) trovano riconoscimento indiretto nel “Codice della Proprietà Industriale” (d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 e successive modifiche, che ha sostanzialmente abrogato la c.d. “Legge Marchi” d.lgs. n. 480/1992). Nell’art. 8, comma 3 110, del d.lgs. n. 30/2005 si detta la regola secondo la quale i nomi, i segni, le denominazioni, le sigle e gli emblemi caratteristici, se notori, possono essere registrati come marchio dal titolare avente diritto, che ne disporrà mediante lo schema della licenza o della cessione, o comunque tutelati con il consenso di quest’ultimo, che si manifesterà tramite l’autorizzazione all’altrui registrazione 111. A tal riguardo, si rileva che il contratto di merchandising deve indicare l’area geografica nella quale il diritto in capo al merchandisee può essere esercitato oppure i canali di vendita specifici (es. e-commerce). Il concedente può anche decidere di privarsi di concedere ad altri licenziatari un’autorizzazione per le stesse finalità (c.d. clausola di “esclusiva” che può assumere diverse connotazioni). La diffusione nell’ordinamento italiano del contratto di merchandising (e di quello di licensing del quale si dirà dopo) si è realizzata con l’introduzione del d.lgs. n. 480/1992 di attuazione della direttiva 89/104/CE, modificando tra l’altro l’art. 2573 c.c., che nel testo attualmente vigente stabilisce che il marchio può essere trasferito o ceduto in uso «per la totalità o per una parte dei prodotti per i quali è stato registrato, purché in ogni caso (…) non [ne] derivi un inganno» con riguardo a caratteristiche che siano essenziali per il potenziale apprezzamento del pubblico degli acquirenti/consumatori 112. In particolare, su impulso del legislatore europeo, da un lato, si è rico110 Art. 8 «Ritratti di persone, nomi e segni notori»: «[…] 3. Se notori, possono essere registrati come marchio solo dall’avente diritto, o con il consenso di questi, o dei soggetti di cui al comma 1: i nomi di persona, i segni usati in campo artistico, letterario, scientifico, politico o sportivo, le denominazioni e sigle di manifestazioni e quelli di enti ed associazioni non aventi finalità economiche, nonché gli emblemi caratteristici di questi». 111 G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 210. 112 Sulla legittimità del contratto di merchandising prima della riforma della legge marchi del d.lgs. n. 480/1992 e quella successiva del d.lgs. n. 198/1996, si veda F. GALGANO, Il marchio nei sistemi produttivi integrati: sub-forniture, gruppi di società, licenze, “merchandising”, in Contr. e impr., 1987, p. 190 ss.

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nosciuto implicitamente il valore di scambio del marchio c.d. “celebre” e, dall’altro, viene prevista la possibilità che l’uso di tale marchio venga ceduto mediante espresso consenso del titolare, legittimando la prassi del merchandising e come si vedrà anche del licensing. Riguardo alla forma, infine, si rileva che non sussiste alcuna prescrizione di forma scritta, né a fini di validità né a fini probatori, nel pieno rispetto del principio di libertà della forma. Non si esclude, pertanto, un accordo negoziale di merchandising orale, anche se è raro nella prassi che esso non venga formalizzato per iscritto 113.

2.2. La disciplina e gli elementi tipici dei contratti di merchandising. Il merchandising è un contratto di durata, alla scadenza del quale esso si intende tacitamente rinnovato tra le parti o risolto. Inoltre è prassi prevedere nel contratto un termine, successivo alla data di scadenza (c.d. sell off), durante il quale sia ancora consentito al merchandisee di immettere sul mercato i prodotti recanti il brand del concedente al fine di esaurire le scorte in magazzino. Peraltro, al fine di evitare che i prodotti, rimasti invenduti alla scadenza del contratto, possano venire invece svenduti dopo la scadenza del contratto con danni alla reputazione del merchandisor, nel contratto si inserisce un’opzione di compravendita ad un prezzo prestabilito in favore del concedente stesso. Altrettanto caratteristica è la clausola che disciplina la possibilità o meno in capo al merchandisee, in virtù del carattere fiduciario proprio del contratto di merchandising, di sub-licenza del diritto d’uso del marchio 114. Sono altrettanto frequenti casi nei quali il contratto di merchandising prescrive una serie di accortezze per il merchandisee al fine di garantire che i beni immessi sul mercato siano conformi a determinati parametri indicati dal concedente, come materiali, abbinamenti cromatici, arredamenti nelle attività commerciali, standard di qualità vari, tempi e modalità di vendita, ecc. 115. Sono previste in taluni casi ispezioni di magazzino, verifiche sulla contabilità, ecc. 113

G. NICOLELLA, op. cit., p. 285. I. MAGNI, Merchandising e sponsorizzazione: nuovi contratti per lo sfruttamento e la promozione dell’immagine, Cedam, Padova, 2002, p. 11. 115 A. DE SILVESTRI, Le operazioni di sponsorizzazione ed il merchandising delle società sportive, in Riv. dir. sport., 1983, p. 134; L. COLANTUONI, op. cit., p. 253. 114

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Si prevede talora anche una preventiva approvazione dei prodotti al fine di assicurare quelle caratteristiche e qualità che il consumatore si attende dal quel brand 116. Non manca poi, a tutela del merchandisor, la previsione, in caso di gravi inadempienze da parte del merchandisee, di una clausola risolutiva espressa che regoli ipotesi quali la contraffazione del marchio, o la presentazione di rendiconti finanziari non veritieri, o l’acquisizione del controllo azionario da parte di un diretto concorrente 117. Ipotesi di clausole risolutive espresse sono parimenti previste a tutela del merchandisee in casi di inadempienze ugualmente gravi da parte del merchandisor, compresa l’ipotesi di apertura di procedure concorsuali 118. Di recente, infine, è sorta la prassi di prevedere che il concedente possa avere la possibilità di controllare il merchandisee al momento dell’immissione sul mercato di determinati prodotti sulla base di determinate campagne di comunicazione o strategie di marketing, che in taluni casi devono ricevere una preventiva approvazione dallo stesso merchandisor 119.

2.3. Il merchandising in ambito sportivo. In Italia, in ambito sportivo, il merchandising ha avuto inizio tra gli anni ’80 e ’90 120, anche se negli USA il fenomeno era già presente da tempo. In effetti, nella prassi, solamente dal Campionato di calcio 1995/1996 si è stabilito che le società calcistiche di Serie A e B fissassero preventivamente e in maniera fissa la numerazione delle maglie dei giocatori, con l’inserimento del nome degli stessi. Solo da tale momento il merchandising collegato ai nomi e alle maglie dei giocatori preferiti e della squadra “del cuore” ha trovato un pubblico di tifosi interessati. I fans degli atleti/giocatori, per un verso, e i tifosi dei club/team/squadre e scuderie, dall’altro, difatti, rappresentano oggi un pubblico significativo di consumatori con un grado di fidelizzazione che non ha pari in altri ambiti, essendo fondato sul fatto che, con le comprensibili variazioni di in116

G. NICOLELLA, op. cit., p. 296. G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 211. 118 L. COLANTUONI, op. cit., p. 254 119 G. NICOLELLA, op. cit., p. 296. 120 L. COLANTUONI, op. cit., p. 260. 117

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tensità e partecipazione, un tifoso/fan resta “fedele” alla propria squadra preferita per tutta la vita, persino a prescindere dagli investimenti effettuati e dai risultati sportivi conseguiti. Si rileva come in ambito sportivo sia particolarmente avvertita la possibilità di riconoscere come marchi le denominazioni delle società sportive che rappresentano toponimi (si pensi alla quasi totalità delle squadre di calcio). Il Codice della Proprietà Industriale, in effetti, stabiliva l’esclusione della possibilità di registrare come marchi d’impresa i segni privi di carattere distintivo ed in particolare quelli che designavano solo la provenienza geografica. Tuttavia, ciò non ha impedito che laddove un toponimo potesse avere una capacità distintiva, in ragione dell’uso fatto da un soggetto, a quest’ultimo potesse riconoscersi il diritto ad esserne titolare. Ciò tanto più quando concorrano i seguenti tre elementi: una durata adeguata dell’utilizzo del marchio, una determinata estensione geografica dell’uso stesso, una data intensità dell’uso e dei mezzi pubblicitari idonei a consentire al pubblico dei consumatori di individuare il segno usato come marchio 121. Problema simile è quello che si è verificato con riguardo all’ammissibilità della registrazione come marchi d’impresa dei colori sociali delle squadre sportive (es: “bianconeri”, “giallorossi”, “biancoazzurri”, “rossoneri”, fino ai “viola”, ecc.). L’art. 7 del Codice della Proprietà Industriale riconosce, infatti, la possibilità di registrare combinazioni di colori e tonalità cromatiche, purché siano idonee a distinguere i beni/servizi di un’impresa da quelli di altre imprese 122. In entrambi gli esempi qui accennati, si è ritenuta superata la questione preliminare se una associazione sportiva potesse essere considerata soggetto idoneo alla registrazione di un marchio, ecc., considerato che non si dubita più che la norma trovi applicazione non soltanto nei riguardi di soggetti che rivestono la qualifica di imprenditori 123. 121

G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 208. Celebre il caso Arsenal che ha dato luogo alla pronuncia della Corte di giustizia CE, 12 novembre 2002, C-206/01, avente ad oggetto emblemi e colori corrispondenti a quelli sociali, registrati come marchi, di una società calcistica (appunto l’Arsenal), tale per cui ne deriva «la possibilità di tutelarli contro l’uso su prodotti di merchandising per beni corrispondenti a quelli per cui i marchi erano stati registrati ed usati» (così L. COLANTUONI, op. cit., p. 260). Cfr. C. GALLI, Estensione e limiti dell’esclusiva sui nomi e sui segni distintivi nello sport tra merchandising e free riders, in AIDA, Giuffrè, Milano, 2003, p. 231 ss. 123 G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 212. 122

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2.4. Il merchandising e figure affini: il licensing. Per i club professionistici (e dilettantistici) e per molti atleti, il merchandising, insieme con il licensing, rappresenta una delle principali fonti di reddito, fondato sullo sfruttamento economico di beni immateriali quali nome, marchio, colori sociali, ecc. Il licensing è un contratto che richiama il merchandising presentando alcune caratteristiche comuni con quest’ultimo 124. Per licensing si intende il contratto di licenza d’uso del marchio, concessa da parte del suo titolare (licenziante) ad un altro soggetto (licenziatario) affinché questi apponga il marchio su prodotti o servizi identici o simili a quelli del bene o servizio per cui è stato creato 125. Mentre nel merchandising, il segno viene ceduto per essere apposto su prodotti o servizi diversi per natura da quello per cui il brand è stato creato da colui che ne è titolare, invece nel licensing i prodotti o servizi del licenziatario sono simili o identici a quelli del licenziante 126. Ne deriva che, mentre la funzione in astratto dei due contratti è la stessa ed è rappresentata dalla finalità di incrementare la conoscenza di un bene o servizio presso il pubblico dei potenziali consumatori, in concreto la funzione del merchandising è di promuovere la diffusione e vendita di prodotti estranei al settore di appartenenza del prodotto il cui brand viene ceduto, mentre la concreta ragione giuridico-economica del licensing sta nell’incrementare il livello di conoscenza del marchio e auspicabilmente aumentarne le vendite all’interno dello stesso settore di attività del titolare del marchio stesso 127. La nascita e la diffusione nella prassi commerciale dei contratti di licensing e merchandising sono correlate all’evoluzione della disciplina legislati124

C. COSTA-M.C. BALDINI-R. PLEBANI, Marchi, know-how, brevetti e licensing, 5a ed., Studio Torta, Torino, 2011. 125 M. FRANZOSI-G. RIZZO, Licensing, Sperling & Kupfer, Milano, 1999. 126 Cfr. G. GHIDINI-E. GIRINO, Countertrade: profili giuridici della tecnica contrattuale, in Foro padano, 1988, pt. 2, p. 84 ss. 127 C. VECCHIATO-C. SOTTORIVA, Le problematiche di rilevazione contabile degli “sponsoring agreements” nell’attuale contesto evolutivo del calcio professionistico, in Riv. dir. econ. sport, 2015, 1, p.. 37 ss., che concentrano l’attenzione sui profili contabili dei contratti di sponsorizzazione e sulla connessa questione della determinazione del loro “fair value” nell’ambito dell’applicazione delle regole europee in tema di “Financial Fair Play” (FFP).

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va in materia di marchi registrati 128. Infatti, la legge accorda il diritto esclusivo all’uso del marchio, sempre che risponda ai requisiti previsti dalla legge stessa (liceità, non decettività, capacità distintiva e novità), a colui che effettui per primo la registrazione nelle forme stabilite (art. 2569 c.c., artt. 15 e 16, Codice della Proprietà Industriale). Dopo che sia stata presentata la domanda di registrazione, difatti, l’uso di un marchio uguale o simile da parte di terzi è considerato illecito, e può essere inibito tramite l’azione c.d. di contraffazione, oltre all’applicazione di sanzioni penali e amministrative. Tale tutela è peraltro riconosciuta senza limiti di utilizzo nei diversi settori merceologici e ciò risulta determinante per la diffusione del licensing e del merchandising 129.

128 M.I. LEONE, Intellectual property and open innovation: unlocking the value of patents through licensing, McGraw-Hill education, Milano, 2016. 129 G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 203.

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CAPITOLO SESTO

GLI ALTRI CONTRATTI E FENOMENI SPORTIVI di Pierluigi Dodaro

SOMMARIO 1. Ambush Marketing. – 1.1. Gli strumenti generali di private enforcement. – 1.2. Le misure di public enforcement e gli interventi legislativi ad hoc. – 1.3. Cos’è in concreto l’ambush marketing? – 1.4. L’ambush marketing nella giurisprudenza italiana. – 2. Il ticketing. – 2.1. Repressione della violenza negli stadi. Storia ed evoluzione della tessera del tifoso. – 3. I diritti audiovisivi sugli eventi sportivi. – 3.1. Inquadramento del diritto alla diffusione audiovisiva. – 3.2. Il mercato dei diritti audiovisivi. – 3.3. La vendita dei diritti audiovisivi: modelli di negoziazione ed evoluzione normativa. – 3.4. La l. 19 luglio 2007, n. 106 e il d.lgs. 9 gennaio 2008, n. 9. – 3.5. Nuovi scenari e possibili sviluppi del mercato dei diritti audiovisivi.

1. Ambush Marketing. Esaminando il panorama dei contratti in ambito sportivo, merita particolare attenzione il tema dell’ambush marketing, specie in considerazione delle numerose implicazioni giuridiche ed economiche ad esso sottese. Coniata per la prima volta da John Welsh negli anni ’80 1, la locuzione ambush marketing designa qualunque iniziativa o strategia commerciale che concreti una forma di agganciamento parassitario ed abusivo di un 1

Cfr. J. WELSH, Ambush Marketing, What is, what it isn’t, disponibile al link https:// jcwelsh.wordpress.com/2010/03/11/ambush-marketing-what-it-is-what-it-isn’t/.

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marchio, un prodotto o un’impresa ad un evento (generalmente sportivo) dotato di elevato interesse e notevole risonanza mediatica, in assenza di un corrispettivo e senza il consenso degli organizzatori dell’evento medesimo 2. Tale definizione pone volutamente dei confini alquanto ampi e laschi per delineare un fenomeno multiforme, che si manifesta attraverso pratiche ed iniziative sempre nuove ed eterogenee. Procedendo ad una ricognizione necessariamente sommaria delle varie fattispecie individuate dagli studi specialistici, vengono in rilievo innanzitutto le strategie commerciali più intrusive, dette di Predatory ambushing, che sono tese ad ingenerare nel pubblico l’erroneo convincimento che una data impresa o prodotto sia sponsor ufficiale di un evento o di una competizione. Queste pratiche più aggressive mirano ad attaccare il monopolio esclusivo detenuto dall’effettivo titolare del contratto di sponsorizzazione, generalmente un diretto concorrente dell’ambusher, sovente facendo ricorso a riferimenti più o meno espliciti ai segni distintivi dell’evento o competizione in questione 3. Si parla invece di Coat – Tail ambushing per indicare tutte le strategie attraverso le quali un’impresa, pur senza rivendicare lo status di sponsor ufficiale, riesce comunque ad associare proditoriamente il proprio marchio o prodotto ad un evento, avvalendosi di differenti strumenti e iniziative commerciali che, esaminati isolatamente, potrebbero apparire leciti. A tal proposito, sono noti i casi di atleti che, in concomitanza con lo svolgimento di 2

Sull’argomento, per la dottrina italiana cfr., ex multis, V. FORTI-A. GENTILONI SILVEFIGUS DIAZ-F. MEZZANOTTE, Ambush Marketing: una ricerca interdisciplinare sulle tutele, in Riv. dir. econ. sport, 2009, pp. 13-54, G. SIMONI, “Ambush marketing”: fenomeno e sua rilevanza nel mondo sportivo, in Riv. dir. sport., 2018, pp. 90-103, AA.VV., Ambush Marketing. Inquadramento e casistica, in AA.VV., I contratti sportivi e il sistema di risoluzione delle controversie nello sport, Altalex, Assago, 2017, pp. 309-318; S. D’INNOCENZO, Le attività in grado di generare valore nella gestione di impianti sportivi, in Contratti e comunicazione nello sport, Sistemi Editoriali, Napoli, 2005, S. LAPORTA, Il fenomeno dell’ambush marketing nel mercato delle sponsorizzazioni sportive, in L. CANTAMESSA-G.M. RICCIO-G. SCIANCALEPORE (a cura di), Lineamenti di diritto sportivo, Giuffrè, Milano, 2008, p. 569 ss. 3 Cfr., P.R. SHARM, Ambush Marketing-The Concept, in International Multidisciplinary Research Journal, Vol. 2, Issue-4, April 2015, disponibile al link http://rhimrj.com/admin/ upload/APR15020406.pdf, menziona la condotta della società di scommesse Unibet che, in concomitanza con lo svolgimento dei Campionati Europei di calcio UEFA del 2008, avviò una campagna pubblicitaria editoriale su un giornale polacco, facendo espressamente uso dei termini “Euro 2008” nelle proprie comunicazioni promozionali. RI-J.

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un incontro o gara sportiva, hanno variamente sfoggiato gadget di brand concorrenti rispetto agli sponsor ufficiali dell’evento medesimo 4, o sono divenuti essi stessi “veicolo” di comunicazione promozionale 5. Altre pratiche frequenti possono consistere nel ricoprire di manifesti pubblicitari gli spazi immediatamente antistanti gli impianti sportivi 6; nella sponsorizzazione non dell’evento sportivo ma della città ospitante; nell’acquisto degli spazi pubblicitari sui canali televisivi o radiofonici che trasmettono l’evento; nonché nelle irruzioni inaspettate dell’ambusher durante lo svolgimento della manifestazione sportiva con espedienti idonei a catalizzare l’attenzione sul proprio brand o prodotto. In una prospettiva economica generale, può affermarsi che lo sfruttamento commerciale abusivo delle potenzialità attrattive di una manifestazione sportiva o di uno spettacolo si risolve in una forma di free riding, che determina un duplice pregiudizio. In primo luogo, infatti, risultano danneggiati gli sponsor ufficiali della competizione i quali, pur avendo investito notevoli somme nell’evento, perdono di fatto l’esclusiva, vedendo offuscata almeno in parte quella visibilità che il contratto di sponsorizzazione mirerebbe a garantire. Secondariamente, la stessa potenziale aggredibilità degli spazi mediatici dell’evento sportivo attraverso tecniche di marketing surrettizie concorre a diminuire l’appetibilità dei contratti di sponsorizzazione, disincentivando le imprese ad investire negli eventi sportivi, e potendo pregiudicare, in ultima analisi, la stessa organizzazione degli eventi medesimi 7. Infine, talune pratiche di “imboscata” pubblicitaria possono risultare ingannevoli per i consumatori, nella misura in cui questi ultimi siano indotti in confusione circa la effettiva qualità di sponsor ufficiale del soggetto.

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In occasione delle Olimpiadi di Londra 2012, il produttore e rapper Dr. Dre ha regalato migliaia di cuffie del proprio marchio Beats agli atleti partecipanti, nonostante lo sponsor principale della manifestazione fosse Panasonic, https://www.theguardian.com/media/ 2012/jul/31/dr-dre-beats-olympic-brand-police. 5 Sono pressoché innumerevoli i casi di atleti che sfoggiano tatuaggi recanti i marchi e loghi di note aziende. Il fenomeno è diventato così esteso da indurre la Lega NBA a vietare ai propri tesserati di mostrare segni commerciali sul proprio corpo o sui capelli. 6 Come fece la Nike alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996. Cfr. C. PINA-A. GIL ROBLES, Sponsorship of sports events and ambush marketing, in European Intellectual Property Review, 2005, p. 93. 7 AA.VV., Ambush Marketing: una ricerca interdisciplinare sulle tutele, cit., p. 16.

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1.1. Gli strumenti generali di private enforcement. Sebbene numerose istanze spingano per una tutela quanto più ampia e repressiva possibile, nondimeno nella prassi si riscontrano notevoli difficoltà nella disciplina del fenomeno di ambush marketing. A fronte di una casistica così variegata, infatti, diviene essenziale determinare quale sia la soglia di liceità-illiceità di tali condotte, nonché quali siano gli strumenti approntati dagli ordinamenti nazionali e internazionali per la protezione dei diritti interessati. A tal proposito, può osservarsi innanzitutto che i rimedi generali offerti dal diritto industriale, sub specie le norme a protezione dei marchi e segni distintivi, si rivelano scarsamente efficaci. Invero, sebbene potrebbe sembrare ovvia e consolidata la soluzione di registrare come marchi tutti i loghi e i segni verbali e figurativi utilizzati dagli organizzatori degli eventi sportivi, in modo da inibirne l’uso non autorizzato ai terzi, tuttavia, questa forma di prevenzione risulta non sempre praticabile, in quanto la maggior parte dei simboli che sono più facilmente associabili all’evento non posseggono il carattere distintivo necessario per ottenere la registrazione (si pensi alle palle da gioco, al campo sportivo, ovvero al nome della città ospitante) 8. In ogni caso, la registrazione costituisce una valida tutela solo rispetto alle ipotesi più evidenti di appropriazione contraffattiva del marchio, mentre si è visto che l’agganciamento parassitario degli ambusher è sovente attuato mediante tecniche di marketing più sofisticate, potendo consistere nelle pratiche di associazione indiretta o nelle attività di intrusione nell’evento medesimo. Maggiormente efficace risulta la tutela offerta dall’art. 2598 ss. c.c., che sanziona le diverse ipotesi di atti confusori, di iniziative finalizzate all’indebita attribuzione di pregi e qualità del concorrente (tra le quali può, in una certa misura, essere ricompreso lo status di sponsor ufficiale dell’evento sportivo), nonché – con norma a fattispecie aperta – tutte le altre condotte contrarie alla correttezza professionale ed idonee a danneggiare l’altrui azienda. L’ordinamento italiano prevede, in tali circostanze, il diritto ad ottenere sia la cessazione immediata della condotta altrui (il rimedio inibitorio) sia il risarcimento dei danni subiti, in caso di dolo o colpa dell’autore della violazione (che si presume ai sensi dell’art. 2600 c.c.). 8

Sul punto, cfr. AA.VV., Ambush Marketing, una ricerca interdisciplinare sulle tutele, cit., p. 17; AA.VV., Ambush Marketing. Inquadramento e casistica, cit., pp. 312-313.

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Senonché, la norma sulla concorrenza sleale – che peraltro non è presente nella legislazione di tutti i Paesi del mondo con la stessa formula ampia e onnicomprensiva dettata dall’ordinamento italiano – richiede in primis il necessario ed imprescindibile accertamento del rapporto di concorrenza, diretta o indiretta, intercorrente tra l’autore della violazione ed il soggetto leso. Ciò limita la legittimazione attiva ad esperire l’azione di concorrenza sleale ai soli sponsor che promuovono prodotti o servizi affini a quelli dell’ambusher o che, comunque, si rivolgono alla medesima platea di consumatori. Risulta più arduo, invece, accedere a tale rimedio sia per gli sponsor che operano in un diverso ambito commerciale, sia, soprattutto, per gli stessi organizzatori dell’evento. In via residuale, poi, può farsi appello alla tutela risarcitoria generale prevista per l’illecito extracontrattuale, che si rivela tuttavia uno strumento poco efficace perché necessariamente tardigrado, presupponendo che la condotta parassitaria abbia già esaurito i suoi effetti.

1.2. Le misure di public enforcement e gli interventi legislativi ad hoc. Passando all’esame degli strumenti di tutela pubblicistici, deve osservarsi innanzitutto che è pressoché impossibile inquadrare esaustivamente il fenomeno di ambush marketing sotto la lente del diritto penale. Il principio di tipicità della fattispecie, attorno al quale ruota imprescindibilmente l’ordinamento penale, risulta inconciliabile con il carattere mutevole ed eterogeneo con cui si realizzano le iniziative promozionali parassitarie 9. Più pertinenti appaiono invece le forme di tutela amministrativa. Sul punto, merita un cenno, innanzitutto, la normativa prevista in materia di pratiche commerciali sleali e di pubblicità ingannevole e comparativa. In recepimento della direttiva 2005/29/CE, il legislatore italiano ha infatti previsto, a tutela della categoria dei consumatori, il divieto di qualsiasi pratica commerciale ingannevole che «induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi: (…) f) la natura, le qualifiche e i diritti del professionista (…), quali l’identità, (…) lo status, il riconoscimento, l’affiliazione o i collegamenti e i diritti 9

Per uno studio approfondito sul tema, cfr. AA.VV., Ambush Marketing: una ricerca interdisciplinare sulle tutele, cit., pp. 23-32.

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di proprietà industriale, commerciale o intellettuale» (art. 28, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206). Analogamente, il riferimento ingannevole all’affiliazione commerciale o ai diritti di proprietà industriale (altrui) è stato espressamente sanzionato come illegittimo dal d.lgs. 2 agosto 2007, n. 145 in materia di pubblicità ingannevole, che ha ricompreso nella nozione di pubblicità qualsiasi forma di messaggio in qualunque modo diffuso, a scopo promozionale. L’AGCM vigila sull’effettiva osservanza dei due divieti in parola, potendo ingiungere al trasgressore la cessazione della condotta nonché, per le violazioni più gravi e reiterate, irrogare sanzioni pecuniarie amministrative. In ogni caso, si tratta di norme finalizzate primariamente all’interesse pubblico di corretta informazione, la cui concreta operatività è condizionata e circoscritta al rischio (quantomeno potenziale) che il consumatore sia effettivamente indotto in errore circa la qualità del prodotto o dell’impresa oggetto della comunicazione promozionale; rischio che, invece, non si riscontra in tutte le forme di agganciamento proditorio. Se, dunque, i rimedi giuridici generali si svelano nel complesso insufficienti ad arginare il fenomeno di ambush marketing, negli ultimi anni si è sviluppata la tendenza dei legislatori nazionali ad introdurre delle discipline ad hoc per la tutela dell’evento o manifestazione di volta in volta ospitata. Queste iniziative sono fortemente incentivate dagli enti organizzatori internazionali delle manifestazioni, quali la FIFA per i Campionati Mondiali di Calcio e, soprattutto, il Comitato Olimpico Internazionale, che ha da tempo emanato – e provvede ad aggiornare periodicamente – le linee guida da seguire per la prevenzione delle condotte abusive durante i Giochi Olimpici (Technical Manual on Brand Protection – Ch. 2 Ambush Marketing Prevention). Così, ad esempio, già in passato il legislatore italiano, in concomitanza con l’edizione delle Olimpiadi Invernali di Torino 2006, aveva introdotto, con la l. 17 agosto 2005, n. 167, alcune norme a carattere temporaneo, destinate a rimanere in vigore fino alla conclusione della manifestazione. Più recentemente, in vista dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali del 2026 e delle Finali ATP di tennis 2021-2025, organizzate ed ospitate dall’Italia, il legislatore ha predisposto una più organica riforma della materia, con il d.l. 11 marzo 2020, n. 16 (convertito con l. 8 maggio 2020, n. 31) intervenendo su un duplice livello. Sono stata adottate (art. 5-bis) delle disposizioni ad hoc per la tutela delle “proprietà olimpiche” legate alle Olimpiadi Invernali di Milano-Cortina

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2026 10 e, allo stesso tempo, sono state predisposte delle norme di ampio respiro, suscettibili di applicazione generale a tutti i futuri eventi e manifestazioni di grande interesse. Infatti, ai sensi dell’art. 10, comma 1, risultano «vietate le attività di pubblicizzazione e commercializzazione parassitarie, fraudolente, ingannevoli o fuorvianti poste in essere in relazione all’organizzazione di eventi sportivi o fieristici di rilevanza nazionale o internazionale non autorizzate dai soggetti organizzatori e aventi la finalità di ricavare un vantaggio economico o concorrenziale». Il comma 2 del medesimo art. 10 enuclea una lista di iniziative parassitarie vietate, tra cui sono ricomprese: a) la creazione di un collegamento anche indiretto fra un marchio o altro segno distintivo e l’evento, idoneo a indurre in errore il pubblico sull’identità degli sponsor ufficiali; b) la falsa rappresentazione o dichiarazione nella propria pubblicità di essere sponsor ufficiale dell’evento; c) la promozione del proprio marchio o altro segno distintivo tramite azioni, non autorizzate dall’organizzatore, idonee ad attirare l’attenzione del pubblico e a creare l’impressione che l’ambusher sia lo sponsor dell’evento; d) la vendita e pubblicizzazione di prodotti o servizi abusivamente contraddistinti, anche solo in parte, da loghi dell’evento o altri segni distintivi idonei ad indurre in errore il pubblico. Al fine di scongiurare eventuali equivoci o conflitti nell’interpretazione 10

L’art. 5 bis del d.l. n. 16/2020 individua al comma 1 tra le proprietà olimpiche «il simbolo olimpico, la bandiera, il motto, gli emblemi, l’inno, le espressioni identificative dei Giochi, le designazioni e le fiamme, come definiti dagli articoli da 8 a 14 della Carta Olimpica». Il successivo comma 2 sancisce che «l’uso delle proprietà olimpiche è riservato esclusivamente al Comitato olimpico internazionale, al Comitato olimpico nazionale italiano, al Comitato organizzatore, alla Società di cui all’articolo 3, nonché ai soggetti espressamente autorizzati in forma scritta dal Comitato olimpico internazionale». Inoltre, ai sensi dei commi 3 e 4, è vietato registrare come marchio: i) il «simbolo olimpico», ii) «i segni che contengono, in qualsiasi lingua, parole o riferimenti diretti comunque a richiamare il simbolo olimpico, i Giochi olimpici e i relativi eventi che, per le loro caratteristiche oggettive, possano indicare un collegamento con l’organizzazione o lo svolgimento delle manifestazioni olimpiche»; iii) In ogni caso, le parole «olimpico» e «olimpiade», in qualsiasi desinenza e lingua, nonché «Milano Cortina», anche nella forma estesa «Cortina d’Ampezzo», in combinazione con l’anno 2026, ivi comprese le varianti «venti ventisei» e «duemilaventisei».

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e applicazione della normativa, il legislatore ha altresì contemplato un’ipotesi esplicita di esenzione, riconoscendo che «non costituiscono attività di pubblicizzazione parassitaria le condotte poste in essere in esecuzione di contratti di sponsorizzazione conclusi con singoli atleti, squadre, artisti o partecipanti autorizzati a uno degli eventi». In questo modo, si è voluta garantire la libertà negoziale e commerciale dei singoli atleti o artisti, di sfruttare la propria immagine in via parallela ed indipendente rispetto agli accordi di sponsorizzazione conclusi dall’organizzatore dell’evento. Ai sensi dell’art. 12 l’autorità competente per l’accertamento delle violazioni di ambush marketing è l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che può irrogare sanzioni amministrative fino a 2,5 milioni di euro, potendo altresì disporre il sequestro, nel corso dell’evento sportivo o fieristico, di tutti i prodotti, materiali o contenuti realizzati, commercializzati o diffusi dall’ambusher. Da ultimo, l’art. 13 fa salva l’applicabilità delle altre previsioni di legge (generali) per la tutela diretta dei soggetti danneggiati (si pensi ancora all’art. 2598 ss. c.c. sugli «Atti di concorrenza sleale»).

1.3. Cos’è in concreto l’ambush marketing? A monte degli strumenti di tutela sin qui richiamati, è opportuno interrogarsi su quale sia l’effettivo discrimen tra liceità ed illiceità della pratica di agganciamento. L’attività pubblicitaria, infatti, come qualsiasi altro atto di comunicazione diretto al pubblico, prende spunto e richiama inevitabilmente gli avvenimenti di attualità che suscitano maggiore interesse generale. In tale contesto, quindi, è stato opportunamente osservato che l’acquisto di diritti di privativa invocabili erga omnes sul valore di un evento può concernere l’uso di un marchio o segno distintivo o lo sfruttamento di canali per la visibilità mediatica, non potendo invece spingersi al punto di estromettere lo sfruttamento anche commerciale di qualsiasi spazio o risorsa che abbia una qualche attinenza con l’evento medesimo, o addirittura di rendere quest’ultimo un tema tabù 11. In conclusione, dunque, può sostenersi che lo scrutinio sulla liceitàilliceità delle condotte di ambush marketing dovrebbe essere condotto sulla base dei seguenti criteri: 11

Cfr. J. WELSH, op. cit.

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1. la “portata ingannevole” della iniziativa promozionale: si dovrebbe valutare se la presentazione commerciale è idonea ad ingenerare confusione tra i consumatori circa la qualità di sponsor ufficiale dell’evento di una data impresa o marchio (eventualmente a scapito di un concorrente); 2. la “portata intrusiva” della pratica commerciale rispetto all’evento: dovrebbero essere represse solo le iniziative promozionali che intervengono, direttamente o indirettamente, nello svolgimento dell’evento, o che comunque sottraggono o invadono abusivamente le aree e gli accessi di esposizione mediatica dell’evento; 3. la “continenza” dell’iniziativa promozionale rispetto al contesto generale dell’evento o manifestazione. L’ultimo dei criteri risulta chiaramente quello più esposto ad un più ampio margine di discrezionalità nel giudizio, ma rimane in ogni caso imprescindibile tanto per discernere le pratiche legittime da quelle illegittime, quanto soprattutto per valutare la gravità di ciascuna ipotesi di violazione.

1.4. L’ambush marketing nella giurisprudenza italiana. Nella giurisprudenza italiana, prima dell’introduzione del citato d.l. n. 16/2020, le pratiche di associazione parassitaria sono state vagliate per lo più sotto il profilo della concorrenza sleale, in ragione della fattispecie aperta delineata dall’art. 2598 c.c. Così, ad esempio, il Tribunale di Milano, con sentenza del 30 luglio 2010, ha ritenuto illegittima l’attività commerciale posta in essere dalla società Topps Europe, la quale, nell’imminenza dei Mondiali di calcio FIFA 2010, aveva lanciato sul mercato una serie di card rappresentative dei giocatori che avrebbero preso parte alla competizione, ponendosi in diretta concorrenza con la Panini, che aveva invece ottenuto espressa licenza dalla FIFA per la distribuzione di prodotti pressoché identici. Sebbene le carte della Topps Europe non riproducessero né i marchi o i loghi FIFA, né le divise ufficiali delle nazionali, il Tribunale di Milano ha riscontrato i presupposti per l’agganciamento parassitario, sulla scorta delle modalità di lancio del prodotto dell’ambusher, che contenevano riferimenti inequivoci al torneo internazionale, concorrendo così ad attaccare indebitamente la posizione esclusiva ottenuta dalla Panini in forza della licenza ufficiale FIFA. Per converso, il Tribunale di Torino, con la pronuncia dell’8 luglio

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2014, ha rigettato la domanda proposta dall’azienda alimentare italiana San Carlo nei confronti della concorrente Pepsico (distributrice delle patatine a marchio Lay’s). La San Carlo, sponsor ufficiale della Nazionale Italiana di Calcio nel 2014, lamentava la portata imitativa e confusoria della campagna promozionale di Pepsico, a cui aveva partecipato l’ex calciatore Fabio Cannavaro. A giudizio del Tribunale di Torino, tuttavia, non poteva ravvisarsi la natura parassitaria del messaggio promozionale, poiché il testimonial dello spot non faceva più parte della Nazionale, avendo terminato la propria carriera agonistica, e non indossava la maglia ufficiale della Nazionale, bensì solo una maglia azzurra. Escluso quindi il rischio confusorio, in sostanza fu riconosciuta la liceità di una comunicazione pubblicitaria il cui contenuto fosse attinente ad un evento sportivo, pur in assenza di alcuna specifica autorizzazione o affiliazione con gli organizzatori o i soggetti partecipanti all’evento medesimo.

2. Il ticketing. Una delle principali fonti di ricavo delle società sportive è costituita dalla vendita al pubblico dei titoli di accesso per assistere ad un evento. Tale attività richiede la predisposizione e la messa in opera di una composita strategia economico-commerciale, che parte dallo studio del mercato e delle caratteristiche della domanda e si esplica in un insieme di azioni, quali la determinazione del prezzo e la differenziazione del prodotto d’offerta (pricing), la promozione e la distribuzione dei biglietti attraverso diversi canali di vendita, fisici e online, il monitoraggio d’incasso e la consegna dei biglietti. L’attività di ticketing coinvolge solitamente numerosi soggetti e tra essi, in particolare, l’organizzatore dell’evento, il quale risponde direttamente di tutti gli obblighi pubblicistici connessi all’emissione dei titoli di accesso. Sovente l’organizzatore dell’evento si avvale di una o più ticket agencies, ovvero di società specializzate nella offerta e distribuzione di biglietti per grandi eventi, dotata di una rete di intermediari diffusi sul territorio per agevolare l’acquisto e la consegna dei ticket, e in grado di fornire servizi di assistenza agli utenti interessati (attraverso piattaforme online, call center e box office fisici).

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2.1. Repressione della violenza negli stadi. Storia ed evoluzione della tessera del tifoso. L’esercizio dell’attività di ticketing presuppone l’assolvimento di una serie di obblighi pubblicistici posti a presidio della sicurezza degli impianti e dell’incolumità degli spettatori. Infatti, sono tristemente noti gli episodi di violenza negli stadi susseguitisi negli ultimi anni, a fronte dei quali il legislatore ha introdotto misure preventive per arginare (peraltro con alterne fortune) le derive più estreme del tifo ultras. A tal proposito, può anzitutto richiamarsi il Decreto del Ministero degli Interni del 6 giugno 2005, recante disposizioni sulle «Modalità per l’emissione, distribuzione e vendita dei titoli di accesso agli impianti sportivi di capienza superiore alle diecimila unità, in occasione di competizioni sportive riguardanti il gioco del calcio». Tale decreto ha sancito il principio di generale responsabilità delle società organizzatrici per la emissione, distribuzione, vendita e cessione dei titoli di accesso agli impianti sportivi teatro degli incontri calcistici. Con il decreto è stata inoltre introdotta l’emissione di ticket numerati, ciascuno associato ad uno specifico settore, fila e posto a sedere, e nominativi, indicanti cioè le generalità dell’utilizzatore (acquirente o cessionario). Inoltre, è stato introdotto un limite massimo alle unità di ticket acquistabili da ciascuna persona (oggi non più di quattro). Infine, è stata prevista l’obbligatoria adozione, da parte della società ospite dell’evento, di un regolamento d’uso dell’impianto, la cui accettazione costituisce condizione necessaria ed implicita per l’acquisto del titolo e la fruizione dell’evento. Successivamente, con l’entrata in vigore del d.l. 8 febbraio 2007, n. 8, è stato espressamente vietato (all’art. 9) alle società organizzatrici dell’evento, pena l’irrogazione di una sanzione amministrativa da 20.000 a 100.000 euro, di rilasciare biglietti d’ingresso in favore di soggetti destinatari di provvedimento DASPO ovvero di condanna per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive. Per garantire l’attuazione del citato obbligo, le società calcistiche hanno iniziato a introdurre la «tessera del tifoso», uno strumento di fidelizzazione consistente in una scheda elettronica su cui sono registrati i dati identificativi dell’utente, attraverso cui verificare l’esistenza di eventuali pendenze penali o provvedimenti DASPO ostativi al rilascio del ticket d’accesso allo stadio.

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Negli anni seguenti si è assistito ad un ulteriore inasprimento del regime preventivo di controllo, con l’entrata in vigore di due provvedimenti contestuali a firma del Ministro dell’Interno, la direttiva del 14 agosto 2009 e il D.M. del 15 agosto 2009. Il primo provvedimento prevedeva, innanzitutto, la sottoscrizione obbligatoria della tessera del tifoso quale condicio sine qua non per a) ottenere l’abbonamento allo stadio, nonché per b) acquistare i tagliandi d’accesso ai settori dello stadio riservati alla tifoseria ospite (per poter seguire in trasferta la propria squadra). Il D.M. disponeva inoltre che l’emissione dei ticket, ovvero la sostituzione del nominativo del beneficiario del titolo d’accesso, fosse subordinata alla previa trasmissione telematica dei dati anagrafici del soggetto richiedente alla Questura, per verificare in tempo reale l’esistenza di provvedimenti individuali (DASPO pendente ovvero condanna anche non definitiva per reati da stadio, fino al compimento di 5 anni successivi alla condanna medesima) ostativi al rilascio del biglietto medesimo. L’introduzione di tale rigido sistema di controllo ha scatenato veementi proteste da parte di numerose frange del tifo organizzato, che hanno trovato sponda anche nelle critiche sollevate dagli esponenti del mondo dello sport e della politica in merito alla effettiva compromissione della libertà di scelta e del diritto alla privacy dei supporters 12. Nel lungo periodo, inoltre, tale strumento – unitamente ad altre misure repressive, come l’introduzione di barriere negli spazi dedicati alle tifoserie, che hanno alimentato il clima di tensione nella gestione degli eventi sportivi – si è rivelato controproducente, allontanando le famiglie e i più giovani dallo stadio, con una ripercussione anche sulla presenza e partecipazione di spettatori agli incontri. Si è giunti, così, alla emanazione di un Protocollo di Intesa, sottoscritto in data 4 agosto 2017 dai Ministri dell’Interno e dello Sport e dai Presidenti del CONI, della FIGC, delle Leghe A, B, Lega Pro, Dilettanti e delle associazioni rappresentative dei calciatori, allenatori ed arbitri, per varare una nuova e complessiva riforma delle modalità di fruizione degli stadi. Si è quindi prevista la progressiva evoluzione della tessera del tifoso in uno strumento di fidelizzazione con mera finalità di marketing, disponendo al contempo la generale liberalizzazione dell’acquisto dei biglietti. Infatti, a partire dalla stagione 2018/2019 il requisito del possesso di fidelity 12

Cfr. P. GARRAFFA, Una tormentata vicenda: la tessera del tifoso, in Riv. dir. econ. sport, 2011, p. 107 ss.

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card non è più necessario né per la sottoscrizione di un abbonamento allo stadio, né per l’accesso ai settori riservati alle tifoserie delle squadre in trasferta, fatta eccezione per i soli incontri individuati dall’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive come partite ad alto rischio.

3. I diritti audiovisivi sugli eventi sportivi. Negli ultimi decenni si è assistito ad una crescita esponenziale della dimensione mediatica e commerciale del fenomeno sportivo, al punto che, in effetti, il mondo dello sport e quello del broadcasting costituiscono due vere e proprie “industrie” legate da un vincolo di reciproca interdipendenza. Da un lato, è indubbio che, nel mercato dei diritti audiovisivi, gli eventi sportivi assumono un’importanza preminente, in termini di audience, appetibilità e conseguente valore economico. Per converso, il peso dei ricavi derivanti dalla commercializzazione dei diritti audiovisivi nell’economia di bilancio delle società sportive (specie quelle italiane) e delle Federazioni che presiedono e organizzano le competizioni nazionali e internazionali si è rivelato preponderante, per usare un eufemismo 13. In tale contesto, è emersa l’attualità del concetto di “evento sportivo” quale peculiare e pregiato prodotto dello spettacolo, rendendosi necessaria la disciplina di tutti i profili giuridici ad esso correlati: dal riconoscimento e dalla tutela dei diritti esclusivi sulla trasmissione dell’evento, alla predisposizione di un apparato di norme antitrust ad hoc per garantire a broadcaster e club sportivi di partecipare al mercato di trasmissione degli eventi sportivi in condizioni il più possibile eque e concorrenziali, fino alla tutela del pubblico dei consumatori interessati alla fruizione degli eventi medesimi 14. 13 Per un’approfondita analisi sull’impatto dei ricavi dai diritti TV sull’economia dei club calcistici, cfr. M. PIERINI, Diritti TV e Competitive Balance nel calcio professionistico italiano, in Riv. dir. econ. sport, 2011, pp. 87-110. 14 In materia di diritti audiovisivi sportivi, cfr., ex multis, AL. DI MAJO, I diritti audiovisivi nello sport. La normativa e il mercato in Italia e in Europa, Giappichelli, Torino, 2019; G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, Giuffrè, Milano, 2014, p. 212 ss.; F. CERIO, I diritti audiovisivi sulle manifestazioni sportive (in particolare calcistiche), in AA.VV., Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Utet, Torino, 2010, pp. 449-471; L. COLANTUONI, I diritti televisivi nello sport, in ID., Diritto sportivo, Giappichelli, Torino, 2009, p. 298

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3.1. Inquadramento del diritto alla diffusione audiovisiva. La nozione di diffusione si è evoluta nel tempo, estendendosi dalle attività di trasmissione televisiva variamente intese (tra cui quelle via cavo, via etere, via satellite) a tutte le forme di comunicazione anche attraverso la rete internet. Invero, le piattaforme digitali e social hanno già fatto ingresso nel mercato della distribuzione degli eventi sportivi, acquisendo in breve tempo un ruolo di primo piano 15. Non è per caso, dunque, che il legislatore italiano ha adottato l’ampia locuzione di «mercato dei diritti di trasmissione, comunicazione e messa a disposizione al pubblico, in sede radiotelevisiva e su altre reti di comunicazione elettronica» (l. 19 luglio 2007, n. 106). Atteso l’indubbio e crescente rilievo economico dell’attività di trasmissione delle competizioni agonistiche, ci si è interrogati sul presupposto giuridico per la tutela dell’evento sportivo quale bene “immateriale” e sulla conseguente individuazione del titolare dei relativi diritti esclusivi 16. Salvo qualche isolata ricostruzione difforme 17, la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie non hanno mai posto in dubbio che la titolarità dei diritti esclusivi sulla riproduzione e trasmissione delle immagini spettasse all’organizzatore dell’evento sportivo. Ciò in quanto l’organizzatore dell’evento sportivo è sostanzialmente un imprenditore e ai sensi dell’art. 2195 c.c., il risultato finale della sua attività ed organizzazione di mezzi e persone si sostanzia sia nella produzione di beni, quali sono indubbiamente gli spettacoli sportivi 18. L’evento sportivo, pertanto, costituisce il prodotto dell’attività imprenditoriale dell’organizzatore, essendovi ricompresi anche i diritti di registrazione e diffusione audiovisiva, quale pregnante forma di sfruttamento economico. ss.; A. DE MARTINI, La disciplina dei diritti televisivi nello sport, in Riv. dir. econ. sport, 2011, pp. 31-44. 15 Basti pensare agli accordi stipulati dai titolari dei noti social network twitter e facebook, per la trasmissione in diretta di incontri di NFL (cfr. AL. DI MAJO, op. cit., pp. 12-13), nonché, soprattutto, l’assegnazione ottenuta dalle piattaforme di streaming quali DAZN e Amazon, dei diritti di trasmissione degli incontri di Serie A e UEFA Champions league. 16 Per una dettagliata ricostruzione dei vari orientamenti ed indirizzi susseguitisi in dottrina e giurisprudenza, cfr. AL. DI MAJO, op. cit., pp. 18-30 e F. CERIO, op. cit., p. 457 ss. 17 Cfr. M. STELLA, Sul diritto di riproduzione degli spettacoli sportivi, in Riv. dir. comm., II, 1990, p. 251. ss. 18 E. SANTORO, Manifestazioni sportive e cronaca televisiva, in Riv. dir. sport., 1979, p. 48. Nello stesso senso, COLANTUONI, op. cit., p. 300; AL. DI MAJO, op. cit., p. 29.

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Individuato nell’organizzatore il soggetto titolare dei diritti di sfruttamento audiovisivo, resta tuttavia da inquadrare sul piano giuridico l’oggetto di tali diritti. Sul punto, malgrado l’intuitivo e naturale accostamento degli eventi sportivi con lo svolgimento di altre opere dello spettacolo 19, la giurisprudenza e la dottrina si sono mostrate a lungo restie a qualificare le manifestazioni sportive quali vere e proprie opere dell’ingegno, non potendovi ravvisare i presupposti essenziali di creatività ed originalità richiesti dalla legge sul diritto d’autore (l.d.a.) 20. La questione è stata definitivamente risolta dal legislatore italiano con l’introduzione dell’art. 78-quater l.d.a., disponendo che «ai diritti audiovisivi sportivi di cui alla l. 19 luglio 2007, n. 106, e relativi decreti legislativi attuativi si applicano le disposizioni della presente legge, in quanto compatibili». Con tale norma il legislatore, pur non qualificando l’evento sportivo come opera dell’ingegno, tuttavia ha riconosciuto ai soggetti organizzatori degli eventi sportivi un novero di diritti esclusivi assimilabili ai diritti d’autore veri e propri (ed inseriti, pertanto nella stessa l.d.a., al Titolo II, dedicato ai c.d. «diritti connessi»). Da ciò si ricava che l’organizzatore dell’evento sportivo ha un diritto a: (i) la fissazione e/o riproduzione, diretta o indiretta, temporanea o permanente, dell’immagini dell’evento; (ii) la comunicazione e/o messa a disposizione al pubblico delle riprese, in qualunque modo, su reti di comunicazione elettronica; (iii) la distribuzione, il noleggio e il prestito dell’originale e delle copie delle fissazioni dell’evento; (iv) l’utilizzazione delle immagini dell’evento per finalità promozionali, nonché (v) la conservazione delle registrazioni a fini di archivio 21. Tali diritti esclusivi hanno durata di 50 anni a partire dalla data dell’evento 22. 19

Pret. Roma, 18 settembre 1987, in Dir. inf., 1988, p. 132. Cfr. L. NIVARRA, I “diritti esclusivi di trasmissione di eventi”, in AIDA, 2008, p. 33 ss.; v. Z. ZENCOVICH, La statalizzazione dei “diritti televisivi sportivi, in Dir. inf., 2008, 6, p. 706 ss. Da ultimo E. BATTELLI, Le opere televisive, in ID. (a cura di), Diritto Privato dello Spettacolo, Giappichelli, Torino, 2020, pp. 167-204. 21 Per un elencazione completa dei diritti connessi all’evento sportivo, v. d.lgs. n. 9/2008, art. 2, lett. o), nn. 1-7. 22 Per completezza, si segnala che a livello europeo non esiste ancora un corpus di norme che definisca un livello di armonizzazione minimo di tutela degli eventi sportivi come beni immateriali. A tal proposito, la Corte di giustizia dell’UE, con sentenza 4 ottobre 2011, cause riunite C-403/2008 e C-429/2008 ha precisato che «gli incontri di calcio non 20

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3.2. Il mercato dei diritti audiovisivi. Il mercato dei diritti audiovisivi sugli eventi sportivi presenta numerose peculiarità, rappresentate in primis dal prodotto oggetto di contrattazione: i diritti di diffusione di ciascuna competizione sportiva. Questi ultimi, difatti, si caratterizzano per la loro elevata appetibilità, cui corrisponde tuttavia un rapidissimo grado di obsolescenza-caducità: basti pensare alla differenza, in termini di audience, che intercorre tra la trasmissione di un evento sportivo live e la replica in differita della medesima gara. Inoltre, l’infungibilità dell’evento sportivo, nonché gli elevati costi di ingresso nel settore del broadcasting contribuiscono a creare i presupposti per uno scenario tendenzialmente monopolistico, tanto dal lato dell’offerta (gli organizzatori dell’evento) quanto da quello della domanda (i broadcaster). Per semplicità, la struttura del mercato può essere tripartita. (1) A monte vi sono gli organizzatori dell’evento sportivo, che detengono la titolarità esclusiva dei diritti audiovisivi. Tali sono i soggetti che si occupano della produzione dell’evento: può trattarsi delle società che allestiscono gli incontri “in casa”, da sole o in contitolarità con la lega o federazione organizzatrice del torneo in cui si inserisce la singola competizione. Per alcuni eventi, talvolta vi possono essere dei singoli organizzatori, pubblici o privati: è il caso della Société Tour De France e il gruppo editoriale RCS, che gestiscono rispettivamente il Tour de France e il Giro d’Italia. (2) Al secondo livello troviamo invece le emittenti audiovisive, che detengono spazi e piattaforme di diffusione su segnale digitale, satellitare (in chiaro o criptato) o avvalendosi della rete internet. I broadcaster acquistano i diritti di trasmissione dagli organizzatori degli eventi e creano il “prodotto televisivo” a carattere sportivo destinato agli possono essere qualificati come opere protette dal diritto d’autore. Il diritto UE non li tutela ad alcun altro titolo nell’ambito della proprietà intellettuale. Ogni Stato Membro può tuttavia legittimamente tutelare gli incontri sportivi, eventualmente a titolo della proprietà intellettuale, istituendo una normativa nazionale specifica». Da ultimo, nella nuova direttiva UE 2019/790 in materia di copyright è stata inserita una dichiarazione dal valore meramente programmatico: «La Commissione riconosce l’importanza degli organizzatori di manifestazioni sportive e il loro ruolo nel finanziamento delle attività sportive nell’Unione. In considerazione della dimensione sociale ed economica dello sport nell’Unione, la Commissione valuterà le sfide degli organizzatori di eventi sportivi nell’ambiente digitale, in particolare le questioni relative alla diffusione illegale online di trasmissioni sportive» (cfr. Allegato alla direttiva UE 2019/790).

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utenti. A tal proposito, tuttavia, è opportuno precisare che la produzione delle immagini televisive può essere talvolta gestita dallo stesso soggetto organizzatore dell’evento sportivo. In tal caso, il broadcaster acquista semplicemente i diritti di trasmissione delle immagini prodotte, potendo ovviamente “confezionare” le stesse con elementi aggiuntivi (telecronaca, talk show, inserimenti pubblicitari nell’intervallo, ecc.). Questo secondo livello è oggetto delle maggiori attenzioni da parte delle autorità antitrust, in quanto la stipulazione di intese orizzontali tra operatori concorrenti finalizzate alla spartizione del mercato dei diritti e/o al raggiungimento di una posizione predominante nell’area di riferimento è idonea ad alterare l’equilibrio concorrenziale, potendo nuocere anche ai consumatori. Sono invece considerati legittimi, previa approvazione della Commissione Europea e/o dell’Autorità Antitrust nazionale, gli accordi conclusi tra emittenti che hanno già acquisito i diritti di trasmissione e decidono di cooperare successivamente, nella misura in cui tali intese siano finalizzate ad un miglioramento del prodotto o dell’offerta a disposizione dei consumatori. (3) All’ultimo gradino della filiera del mercato viene in rilievo la vasta platea di consumatori-spettatori che fruiscono del prodotto audiovisivo finale.

3.3. La vendita dei diritti audiovisivi: modelli di negoziazione ed evoluzione normativa. Fin dalla nascita delle prime emittenti televisive satellitari in Italia, risalente al 1993, la contrattazione dei diritti audiovisivi sportivi, e in particolare di quelli calcistici, ha costituito materia di intensi dibattiti tra giuristi, esperti del settore e parti coinvolte. La Lega Calcio, che in passato aveva contrattato collettivamente la cessione dei diritti audiovisivi con la sola Rai quale unico soggetto acquirente, per la prima volta concluse nel 1993 un accordo di durata triennale con l’emittente privata Telepiù per la trasmissione, in diretta e su segnale criptato, degli incontri di Serie A e B per ciascuna stagione. La possibilità di offrire una copertura significativa degli incontri di calendario dei tornei calcistici su segnale criptato fece proliferare un nuovo mercato, al contempo inducendo le società calcistiche a rivendicare per sé il potere di disporre autonomamente dei diritti di trasmissione degli incontri da loro organiz-

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zati (le partite in casa). Sollecitato anche dall’AGCM, che in diversi provvedimenti 23 aveva individuato la titolarità di ogni gara in capo al singolo club ospitante e non alla Lega Calcio, il legislatore italiano intervenne per la prima volta con il d.l. 30 gennaio 1999, n. 15, istituendo il regime di negoziazione individuale dei diritti: a ciascuna società spettava il diritto di cedere i diritti di trasmissione televisiva in forma codificata. All’epoca, si era sostenuto che la vendita decentralizzata fosse l’unico strumento per consentire alle varie emittenti interessate di accedere al mercato, scongiurando il rischio di un possibile monopolio nel caso di un unico aggiudicatario dei diritti sull’intero campionato 24. In realtà, l’adozione dell’assetto di vendita decentrata era stato caldeggiato principalmente dai club calcistici più blasonati, i quali, attraverso la negoziazione individuale, avrebbero potuto far leva sul maggior seguito di cui essi godevano presso gli appassionati di calcio per ottenere ricavi maggiori dai network televisivi. Fu così che, proprio negli anni immediatamente successivi all’entrata in vigore del regime decentralizzato, e con il successivo ingresso sul mercato di nuove emittenti private, il valore assoluto dei diritti televisivi crebbe esponenzialmente, ma di tale incremento poterono giovarsi unicamente le società sportive più importanti. I club minori, invece, ottennero dei ricavi sensibilmente inferiori, vedendo così ampliarsi a dismisura la forbice di risorse e di competitività con le società di vertice 25. Nel tentativo di favorire una ripartizione più equa dei diritti TV tra le società partecipanti, si fece strada l’idea di ripristinare in Italia il modello di negoziazione centralizzata, seguendo la tendenza degli altri campionati europei, e anche sull’onda delle varie decisioni della Commissione Europea con le quali, nel frattempo, soddisfatte certe condizioni, fu ammessa la vendita collettiva dei diritti audiovisivi sportivi 26. Il principio enucleato in tali pronunce era che la negoziazione centralizzata fosse ammissibile se attuata con modalità idonee a scongiurare la concentrazione monopolistica 23

Decisioni 3 dicembre 1998, nn. 6633 e 6662 avverso Rai, Mediaset e Telemontecarlo, e 14 giugno 2000, n. 8386 contro Stream/Telepiù. 24 Sul punto, cfr., A. DE MARTINI, La disciplina dei diritti televisivi nello sport, cit., p. 33; AL. DI MAJO, op. cit., p. 83. Tuttavia, in senso critico, cfr. D. SARTI, Gestione individuale e collettiva dei diritti su eventi sportivi, in AIDA, 2008, p. 121 s. 25 A. DE MARTINI, op. cit., p. 34. 26 Si allude alle decisioni sulla vendita dei diritti della UEFA Champions League nel 2003, della Bundesliga nel 2004 e sulla Premier League nel 2006.

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in capo ad un solo broadcaster: ad esempio, attraverso la scomposizione dei diritti audiovisivi in diversi pacchetti d’offerta e la fissazione di un limite temporale alla durata di ciascun contratto.

3.4. La l. 19 luglio 2007, n. 106 e il d.lgs. 9 gennaio 2008, n. 9. Si è giunti, così, ad un nuovo intervento del legislatore, con la l. delega 19 luglio 2007, n. 106 e il d.lgs. 9 gennaio 2008, n. 9, teso al riassetto complessivo della normativa in materia di titolarità e commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi e relativa ripartizione delle risorse. Sul punto, innanzitutto, si nota che i nuovi testi legislativi hanno una portata più ampia, giacché concernono non già il settore calcistico, bensì tutti gli eventi sportivi in generale. La l. n. 106/2007 individua i principi direttivi della riforma, tra cui si segnalano: 1) l’individuazione in capo all’organizzatore della competizione e ai soggetti ad essa partecipanti della «contitolarità» del diritto di sfruttamento economico delle competizioni stesse; 2) la previsione di un sistema di vendita «in forma centralizzata», attraverso «procedure di commercializzazione strutturate per consentire la libertà di concorrenza e l’efficienza del sistema di offerta di tali contenuti»; 3) la garanzia del diritto di cronaca; 4) la ripartizione dei proventi derivanti dalla vendita dei diritti audiovisivi secondo equità, con destinazione di una quota «a fini di mutualità generale del sistema». La novità più importante è rappresentata dalla reintroduzione del meccanismo di negoziazione centralizzata: riconosciuta in via di principio la contitolarità dei diritti audiovisivi all’organizzatore del singolo evento (i club) e all’organizzatore della competizione, si stabilisce tuttavia la legittimazione esclusiva di quest’ultimo, in forza di una sorta di mandato ex lege, a negoziare la cessione dei diritti in via unitaria, sul mercato nazionale ed internazionale. La vendita centralizzata è concepita come strettamente funzionale ad una ripartizione più equa dei proventi realizzati. A tal riguardo, il d.lgs. n. 9/2008 dispone che gli introiti ottenuti dalla vendita dei diritti debbano essere distribuiti in base ad una risoluzione approvata dall’assemblea di ca-

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tegoria dell’organizzatore della competizione, con maggioranza pari ad almeno tre quarti degli aventi diritto al voto. In ogni caso, in sede di distribuzione devono essere osservati i seguenti criteri: – una quota non inferiore al 4% deve essere destinata allo sviluppo dei settori giovanili delle società professionistiche, al sostegno degli investimenti per la sicurezza, anche infrastrutturale, degli impianti sportivi e per le discipline sportive diverse da quelle calcistiche (art. 23); – una quota prevalente, non inferiore al 40% deve essere ripartita in parti uguali tra le società partecipanti (art. 25, commi 1 e 2); – le restanti quote devono essere assegnate in base al bacino d’utenza e ai risultati sportivi conseguiti da ciascun partecipante 27. Sebbene questo assetto costituisca sicuramente un passo in avanti rispetto al precedente regime di vendita individuale, non sono mancati i rilievi critici. Si pensi alla stessa nozione di bacino di utenza che ha dato adito in passato a vere e proprie controversie tra i club coinvolti, dal momento che la scelta del criterio per la determinazione dei numero dei supporter di un dato club (indici Auditel, indagini demoscopiche, numero di residenti del comune di riferimento di ciascuna squadra) comporta notevoli conseguenze sul piano economico. Con specifico riguardo alle modalità di commercializzazione dei diritti audiovisivi, il d.lgs. n. 9/2008 ha previsto una serie di requisiti e regole finalizzate a garantire la trasparenza e la concorrenza nel mercato, come ad esempio: – l’obbligatoria istituzione di distinte procedure competitive per i diritti di trasmissione sul mercato nazionale, sul mercato internazionale e sulla piattaforma radiofonica (art. 7); – la formazione di diversi pacchetti tra loro equilibrati, ciascuno dei quali contenga eventi della competizione di elevato interesse per gli utenti (art. 8); – il divieto per ciascun operatore di acquistare tutti i pacchetti messi in palio (art. 9, comma 4); 27

Con specifico riguardo agli introiti generati dalla commercializzazione dei diritti audiovisivi del campionato di serie A, l’art. 23 del decreto precisa inoltre che una quota annua non inferiore al 6% per cento deve essere riservata alle società sportive delle categorie professionistiche inferiori.

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– il limite massimo di durata triennale dei contratti (art. 10). Soprattutto, l’art. 6, d.lgs. n. 9/2008 obbliga l’organizzatore a predisporre, con congruo anticipo rispetto all’indizione dell’asta, le linee guida per la disciplina dell’offerta e l’assegnazione dei diritti audiovisivi a condizioni di assoluta equità, indicando peraltro i criteri adottati per la formazione dei relativi pacchetti. Le linee guida sono soggette al vaglio preliminare di legittimità di AGCOM e AGCM.

3.5. Nuovi scenari e possibili sviluppi del mercato dei diritti audiovisivi. L’emergenza sanitaria globale da Covid-19 ha colpito duramente il mondo dello sport e, in particolare, il settore calcistico. La sospensione temporanea delle competizioni e la conseguente forte contrazione dei ricavi hanno avuto un impatto devastante sulla già precaria salute finanziaria dei club 28, gettando luce sulla necessità di intraprendere nuove strade per garantire un più efficiente e duraturo sostentamento dell’industria calcistica e sportiva 29. Si sono così susseguite proposte ed iniziative tese a ridefinire gli orizzonti economico-giuridici non solo del mercato dei diritti audiovisivi, ma di tutto il sistema istituzionale calcistico. Un primo tentativo di riforma è stato rappresentato dal possibile ingresso dei fondi di private equity nella Serie A italiana. L’idea alla base prevede(va) la costituzione, da parte della Lega Calcio, di una media-company, attraverso la quale provvedere in via diretta alla gestione, produzione e distribuzione dei contenuti del campionato italiano, ivi compresa la negoziazione dei diritti audiovisivi sugli incontri. L’avvio delle attività sarebbe stato finanziato grazie all’intervento di grossi investitori istituzionali, che avrebbero acquistato una quota minoritaria della neonata company. 28 Secondo il Football Money League, report annuale sulla situazione finanziaria del settore calcio curato da Deloitte (https://www2.deloitte.com/it/it/pages/consumer-business/ articles/deloitte-football-money-league-2021---deloitte-italy---consumer.html), nel corso della stagione sportiva 2020-2021 i venti maggiori club europei avrebbero registrato perdite per circa 2 miliardi di euro. 29 Sul tema, cfr. M. COLUCCI-A. CONI-S. COTTRELL-R. SETHNA, The impact of Covid on football, in Riv. dir. econ. sport., 2020, p. 53 ss.

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Sebbene nel mese di novembre 2020 la proposta proveniente da un consorzio di fondi di investimento avesse ricevuto l’iniziale (ma non vincolante) approvazione da parte dell’assemblea di Lega, il progetto si è arrestato a causa delle perplessità e riserve in seguito sollevate da alcuni club di Serie A, più propensi ad adottare modelli di gestione alternativi. In questo quadro instabile, l’assegnazione dei diritti audiovisivi del campionato italiano di Serie A per il triennio 2021-2024 ha registrato alcune novità: – ai fini dell’assegnazione dei diritti, si è oramai consolidata la piena equiparazione tra emittenti televisive tradizionali e piattaforme che trasmettono con modalità di streaming online; – a differenza di quanto accaduto nel recente passato, è stata concessa ad un singolo operatore la possibilità di trasmettere tutti gli incontri del campionato: una buona parte di questi in esclusiva, mentre una quota più ridotta in co-esclusiva insieme ad un emittente concorrente. Partendo da quest’ultimo aspetto, all’esito dell’assegnazione, era stata sollevata, da parte di uno degli operatori usciti “sconfitti” dalla procedura di gara, una doglianza in ordine alla violazione della “no-single buyer rule”, la regola desumibile dall’art. 9, comma 4 del d.lgs. n. 9/2008. La questione è stata poi risolta in via bonaria, con l’assegnazione dei diritti su alcune delle gare in calendario in co-esclusiva all’emittente interessata, a fronte della rinuncia di quest’ultima all’azione giudiziaria incardinata. Infine, il 19 aprile 2021 è giunto il clamoroso annuncio della imminente creazione della “Superlega”. Dodici società di calcio europee, tra cui tre italiane, hanno reso nota la volontà di creare una lega indipendente dalla UEFA, attraverso cui organizzare un nuovo torneo che avrebbe visto la partecipazione fissa di alcune squadre (i c.d. club “fondatori”) ed una quota di 5 posti riservati invece all’accesso per gli altri club, selezionati ogni anno in base ai risultati raggiunti nei campionati nazionali 30. Questa iniziativa, che si pone(va) in dirompente discontinuità rispetto alla intelaiatura di federazioni ed enti istituzionali precostituite, trae(va) origine dalla necessità di: – massimizzare gli introiti dei diritti audiovisivi; – riformare il meccanismo di ripartizione dei ricavi generati; – garantire un 30

Le informazioni sul progetto, i criteri di partecipazione e le regole sullo svolgimento degli incontri sono state preannunciate dagli stessi club sul sito ufficiale creato ad hoc www.thesuperleague.it.

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più stabile finanziamento delle società più blasonate, grazie alla loro partecipazione fissa al nuovo torneo 31. Il lancio di questa iniziativa ha causato una spaccatura profonda nel sistema calcistico europeo e al di là delle diverse posizioni sulla condivisibilità del progetto, ciò che si coglie è il sempre più fitto nesso di interdipendenza che lega i programmi di riforma delle competizioni sportive e le prospettive di commercializzazione dei diritti di trasmissione degli incontri. La struttura del torneo di Superlega, il calendario delle partite e il meccanismo di accesso sono stati concepiti in funzione di una migliore ottimizzazione dei diritti di diffusione audiovisiva, secondo uno schema capace di accrescere l’engagement degli spettatori e, con esso, il valore del prodotto “sportivo”. Invero, malgrado il nuovo torneo fosse stato strutturato secondo un calendario in astratto compatibile con la prosecuzione dei campionati nazionali, tali campionati rischiavano di perdere molta della propria attrattiva, vuoi per la maggiore attenzione rivolta alla Superlega, vuoi per lo scarso significato residuo attribuibile alla lotta per i primi posti nelle classifiche nazionali, da cui non sarebbe più dipesa la qualificazione alle competizioni continentali. A seguito del ritiro dell’adesione da parte di nove dei dodici club fondatori, il progetto Superlega è stato sospeso, sebbene non del tutto tramontato. Peraltro, allo stato attuale risulta difficile prevedere quali potranno essere i prossimi sviluppi della vicenda, dal momento che la questione è stata devoluta alla Corte di giustizia dell’UE, contestando proprio alla UEFA la possibile violazione della normativa europea in materia di concorrenza e abuso di posizione dominante. Non può escludersi che, similmente a quanto avvenuto con la storica sentenza sul caso Bosmann (causa C-415/93), la CGUE possa imprimere una nuova e radicale svolta nell’assetto complessivo del sistema sportivo d’Europa. Quel che è certo, considerate anche le misure che la stessa UEFA intenderebbe adottare per impedire il sorgere di questo e di progetti analoghi, emerge un quadro molto confuso e frastagliato, caratterizzato dalla netta (e non di rado, traumatica) collisione di interessi divergenti facenti capo a società sportive, broadcaster, investitori terzi ed enti istituzionali. Un groviglio di conflitti e battaglie il cui esito è ancora da scrivere.

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A. CINQUE, Il caso della ‘Superlega’. Note a prima lettura, in Riv. dir. sportivo, 2021.

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PARTE SECONDA

LA RESPONSABILITÀ CIVILE IN AMBITO SPORTIVO Cap. VII. La responsabilità in ambito sportivo: profili generali (E. BATTELLI e V. ROSSI) Cap. VIII. La responsabilità civile dell’atleta, degli insegnanti e degli istruttori (C.A. VALENZA) Cap. IX. La responsabilità dell’organizzatore di eventi e del gestore degli impianti sportivi (G. DI MARTINO) Cap. X. La responsabilità degli enti e dei soggetti coinvolti a latere nell’attività sportiva (G. DI MARTINO)

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Capitolo Settimo – La responsabilità in ambito sportivo: profili generali

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CAPITOLO SETTIMO

LA RESPONSABILITÀ IN AMBITO SPORTIVO: PROFILI GENERALI di Ettore Battelli e Vincenzo Rossi *

SOMMARIO 1. Premessa: responsabilità civile e responsabilità sportiva. – 2. L’illecito sportivo. – 3. L’illecito civile in ambito sportivo. – 4. La scriminante sportiva: tra regole tecniche e accettazione del rischio. – 4.1. La differenziazione del rischio nelle varie categorie di sport e fra le diverse tipologie di danneggiati. – 5. La responsabilità degli altri soggetti coinvolti nell’attività sportiva.

1. Premessa: responsabilità civile e responsabilità sportiva. Al momento della redazione del Codice civile, la responsabilità extracontrattuale rivestiva un ruolo non certamente primario, rispetto a quello ricoperto dall’istituto del contratto. Una dimostrazione di ciò la si può ravvisare guardando alla collocazione topografica scelta dal legislatore per i due istituti, l’uno – il contratto – in posizione centrale all’interno del Libro IV, l’altro – la responsabilità extracontrattuale – posto a chiusura del medesimo Libro, quale completamento della disciplina delle obbligazioni nell’ordinamento civile italiano. Nel corso degli anni, tuttavia, si è assistito ad un totale mutamento di prospettiva, percepibile sotto diversi aspetti. Di tale cambiamento risultano espressione, da un lato, gli stili di vita condotti da ciascun consociato e, dall’altro, il passaggio da un sistema economico ancora in parte di tipo artigianale, a favore di un sistema totalmente industrializzato, caratterizzato –

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specie in tempi attuali – da un costante progresso scientifico e tecnologico. Si vive, com’è stato scritto, nella “società del rischio” 1 in cui le cause di pregiudizio si sono moltiplicate al punto da generare, talora, anche fenomeni di massificazione dei danni 2. Ciò ha concorso ad attribuire un’assoluta centralità alla responsabilità civile nel contesto economico-sociale attuale, come emerge chiaramente dall’aumento esponenziale del contenzioso in materia, tale da aver indotto, in tempi recenti, a ragionare di responsabilità civile in termini di “fatturato” 3. L’istituto della responsabilità civile, infatti, risulta essere uno di quelli che, più di tutti, è davvero capace di orientare il comportamento e le decisioni degli operatori 4; ciò, in alcuni casi, è risultato così evidente da aver imposto al legislatore di intervenire con normative ad hoc, fino – in alcuni casi – a configurare veri e propri sottosistemi, speciali rispetto a quello proprio del Codice civile (si pensi, in questo senso, alla responsabilità per danno da prodotti difettosi o, ancora, alla responsabilità sanitaria). Da questo proliferare di eventi pregiudizievoli non è andato esente il mondo dello sport che, per le sue caratteristiche si presta ad essere teatro di fatti suscettibili di cagionare danni nei confronti di tutti quei soggetti che, per competere o per assistere, prendono parte (in senso lato) all’evento sportivo 5. Gli scontri di gioco, il contatto fisico tra gareggianti, ma anche l’uso di particolari attrezzature tecniche risultano essere fonti generatrici di danni. Non è un caso, d’altronde, se proprio nell’ambito dell’attività sportiva è stato ritenuto necessario teorizzare un’apposita scriminan* Il capitolo è frutto del lavoro comune dei due Autori. Si debbono però in particolare a Ettore Battelli i §§ 1-3 e a Vincenzo Rossi i §§ 4-5. 1 U. BECK, La società del rischio, Carocci Editore, Roma, 1986 (trad. it. 2000). 2 Sul punto, cfr., ex multis, G. PONZANELLI, Mass tort nel diritto italiano, in Resp. civ. prev., 2, 1994, 173 ss.; E. PODDIGHE, I “mass torts” nel sistema della responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 2008. 3

M. FRANZONI, Il PIL della responsabilità civile, in Danno resp., 2020, p. 681 ss. P.G. MONATERI, La RC oltre il punto di non ritorno?, in Danno resp., 2020, p. 557 ss. 5 Per delle trattazioni generali si vedano M. PITTALIS, Sport e diritto. L’attività sportiva tra performance e vita quotidiana, Cedam, Padova, 2019, p. 339 ss.; G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo4, Giuffrè, Milano, 2018, p. 258 ss.; M. SANINO-L. VERDE, Il diritto sportivo4, Cedam, Padova, 2015, p. 471 ss.; A. LEPORE, La responsabilità nell’esercizio e nell’organizzazione delle attività sportive, in L. DI NELLA (a cura di), Manuale di diritto dello sport, ESI, Napoli, 2021, p. 355 ss. 4

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te che, privando del carattere dell’antigiuridicità una serie di tali fatti, ha escluso che essi potessero essere qualificati come illeciti da parte dell’ordinamento civile, contemperando le esigenze individuali degli atleti di tutela dell’incolumità fisica all’interesse dello Stato a promuovere la diffusione dello sport. Peraltro, nonostante l’atleta rimanga il soggetto privilegiato dell’indagine, egli non è certo l’unico che agisce ed opera nel mondo dello sport, in cui al contrario, è dato rinvenirsi una serie di soggetti (fisici e non) in capo ai quali, in ragione della posizione che rivestono, ben è possibile individuare profili di responsabilità. A ciò si aggiunga il fatto che la giurisprudenza, per riparare i danni che si verificano nel corso dell’attività sportiva, non si avvale unicamente dell’art. 2043 c.c., ma, proprio in virtù delle posizioni di controllo, garanzia e vigilanza, che una larga parte di questi soggetti occupa all’interno dello sport, fa pieno uso anche dei c.d. illeciti speciali di cui agli artt. 2047 ss. c.c. Tutto ciò prospetta al giurista un panorama estremamente vasto ed eterogeneo nel quale tracciare le linee generali ed i confini della responsabilità civile in ambito sportivo significa allargare ulteriormente lo sguardo per includervi anche alcuni aspetti relativi alla responsabilità disciplinare e, dunque, inerenti alla responsabilità sportiva in senso stretto. Il rapporto tra ordinamento giuridico statale e ordinamento giuridico sportivo si riflette, infatti, anche nella dicotomia responsabilità civile-responsabilità sportiva e, dunque, nella contrapposizione tra illecito civile e illecito sportivo 6. Nell’ottica di evitare, sin da subito, ambiguità concettuali e fermo restando il maggiore approfondimento che a questi istituti verrà dedicato nelle pagine successive, vale precisare come si abbia responsabilità sportiva – e dunque illecito sportivo – in caso di violazione, da parte di un singolo associato o di un sodalizio sportivo, di una norma dello statuto, del rego6

Là dove si afferma esservi una divergenza di qualificazioni nel senso che lo stesso fatto sarebbe lecito per l’“ordinamento sportivo” e illecito per quello statale, in realtà si ha liceità delle pratiche sportive fondata sulle norme di quest’ultimo. L’ipotesi di medesima qualificazione nei due ordinamenti, dalla quale discendono però conseguenze diverse, rappresenta semplicemente la pluriqualificazione di un fatto, al quale due regole possono assegnare funzioni ed effetti differenti (P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, 3a ed., Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2006, p. 602 s., il quale afferma che allo «stesso fatto storico il diritto può attribuire una pluralità di qualificazioni prendendolo in considerazione in più norme e a diversi fini»).

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lamento federale, o altra disposizione che l’ordinamento punisce mediante l’irrogazione di una sanzione disciplinare. Diversamente, la responsabilità extracontrattuale 7 (art. 2043 ss. c.c.), sorge ogniqualvolta un soggetto subisca una lesione di un proprio interesse giuridicamente rilevante che, determinando un pregiudizio di carattere patrimoniale o non patrimoniale nella propria sfera giuridica, obbliga l’autore del fatto illecito – ovvero un altro soggetto individuato dall’ordinamento (il genitore, il datore di lavoro, il custode, ecc.) – a risarcire il danno.

2. L’illecito sportivo. Si configura un illecito sportivo ogni volta che il singolo associato ponga in essere un fatto che viola una norma dello statuto, o del regolamento federale, o altra disposizione a cui l’ordinamento sportivo ricollega una sanzione di carattere disciplinare 8. In linea di principio, vi è un’autonomia totale dell’ordinamento sportivo in merito alle questioni disciplinari, le quali restano del tutto irrilevanti per lo Stato. Si tratta, d’altronde, di norme che sono volte a garantire il buon funzionamento delle federazioni e delle organizzazioni sportive (es. requisiti per l’iscrizione, contributi, rapporti con gli altri associati, ecc.), nonché a disciplinare lo svolgimento delle competizioni (es., il calendario, le divise dei giocatori, la designazione degli arbitri, ecc.). Per questa ragione, al sistema delle sanzioni disciplinari è connaturato il c.d. vincolo di giustizia, in forza del quale soltanto gli organi della giustizia sportiva sono muniti della potestà di irrogarle, con esclusione di qualsiasi possibilità di intervento o controllo da parte della giurisdizione statale. Le sanzioni disciplinari svolgono all’interno dell’ordinamento sportivo, una funzione repressivo-sanzionatoria e si pongono a garanzia del rispetto delle norme federali da parte di tutti gli associati. 7

C.M. BIANCA, Diritto civile, 5. La responsabilità, Giuffrè, Milano, 2021, p. 517 ss. Così R. FRASCAROLI, voce Sport (dir. pubbl. e dir. priv.), in Enc. dir., Vol. XLIII, Giuffrè, Milano, 1990, p. 532 s. Si precisa che questa nozione utilizzata dalla dottrina è nettamente più ampia di quella contenuta nel Codice di Giustizia Sportiva della FIGC, ove per «illecito sportivo» si intende il compimento di «atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica». 8

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Queste possono consistere tanto in provvedimenti inerenti alla competizione sportiva di riferimento (es. la squalifica per l’atleta, la penalizzazione in classifica o la retrocessione di categoria per la società), quanto in condanne al pagamento di somme di denaro. Peraltro, un tratto caratteristico che si rinviene nel sistema dell’illecito sportivo è rappresentato dalla particolare rilevanza rivestita dalla c.d. responsabilità oggettiva 9. Infatti, dal punto di vista della responsabilità sportiva, mentre gli associati-persone fisiche rispondono delle proprie condotte contrarie alle normativa federale soltanto se queste siano loro imputabili anche sotto il profilo della colpevolezza (a titolo doloso o colposo: cfr. art. 3, Codice di Giustizia sportiva FIGC), i sodalizi sportivi sono automaticamente responsabili a prescindere da qualsiasi margine di rimproverabilità. Si tratta di uno schema di imputazione che si fonda sul principio “cuius commoda eius et incommoda” e che, pertanto, sembra richiamare quello di cui all’art. 2049 c.c., a mente del quale «i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti» 10. In realtà, c’è da precisare che la responsabilità oggettiva assume, in ambito sportivo, una connotazione ancor più rigorosa rispetto alla fattispecie di responsabilità prevista all’art. 2049 c.c., atteso che il sodalizio è sempre e comunque tenuto a rispondere per le condotte poste in essere da determinati soggetti (dirigenti, tesserati, sostenitori, ecc.). Diversamente, in ambito civilistico, la responsabilità è esclusa qualora risulti mancante il c.d. nesso di occasionalità necessaria, ossia quando la volontà del preposto, da cui scaturisce la condotta commissiva od omissiva, non sia diretta alle finalità proprie del datore di lavoro, ma piuttosto al compimento di scopi particolari del dipendente stesso; in particolare l’attività del preposto può ritenersi “privata” solo nel momento in cui essa si ponga all’esterno della sfera di controllo del proponente, e quindi, fuori dall’area del rischio tipico connesso all’attività dell’impresa 11. Questo regime di responsabilità sportiva ha suscitato un ampio dibattito in merito alla sua legittimità. 9

A. MANFREDI, Considerazioni in tema di responsabilità oggettiva e sua compatibilità con l’ordinamento giuridico generale, in Riv. dir. sport., 1980, p. 55 ss. 10 Su questa disposizione si veda F. FRIGIDA, in P. FAVA (a cura di), Responsabilità civile2, Giuffrè, Milano, 2018, p. 1809 ss. 11 F. FRIGIDA, op. cit., p. 1813 s.

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L’ordinamento sportivo, infatti, non può contraddire i princìpi fondamentali della Costituzione, tra cui vi rientra, secondo la giurisprudenza costituzionale, anche il principio di personalità della responsabilità 12. Questo è assolutamente inderogabile in materia penale (v. art. 27 Cost.), mentre in altri settori può subire delle deroghe soltanto ove ciò risulti strettamente necessario per il soddisfacimento di interessi di pari livello 13. Si ritiene comunemente che la giustificazione di questa forma di responsabilità poggi sulla duplice garanzia del celere e regolare svolgimento delle competizioni sportive, da un lato, e dell’ordine e della sicurezza pubblica, dall’altro 14. In ogni caso l’evoluzione della giustizia sportiva sta andando nel senso di attenuare il rigore dell’operatività della c.d. responsabilità oggettiva. Si è in particolare valorizzato il comportamento del sodalizio teso a prevenire il verificarsi dei fatti illeciti, al fine non di escludere la responsabilità – poiché ciò implicherebbe uno stravolgimento del sistema che dovrebbe esser deciso a livello “politico” – bensì di ridurre la sanzione applicabile. In tal senso, emblematicamente, si è affermato che «il principio della responsabilità oggettiva necessita di temperamenti, sia pure rigorosamente interpretati, avuto riguardo ad un esame non formalistico, ma sostanziale dell’effettivo legame tra il fatto avvenuto e le specifiche responsabilità della società» 15.

3. L’illecito civile in ambito sportivo. In generale, l’illecito civile si può definire come il fatto lesivo di interessi giuridicamente tutelati nella vita di relazione 16. L’art. 2043 c.c. sancisce che «qualunque fatto doloso o colposo, che ca12 Per tutte, la storica sentenza Corte cost. 24 marzo 1998, n. 364, in Foro it., 1988, c. 1385 ss., con nota di G. FIANDACA, Principio di colpevolezza ed ignoranza scusabile della legge penale: “prima lettura” della sentenza n. 364/88. 13 A. BLANDINI-P. DEL VECCHIO-A. LEPORE-U. MAIELLO (a cura di), Codice di Giustizia Sportiva F.I.G.C. annotato con la dottrina e la giurisprudenza, sub art. 4, ESI, Napoli, 2016, p. 87 ss. 14 B. MANZELLA, La responsabilità oggettiva, in Riv. dir. sport., 1980, p. 153 ss. 15 App. fed., in C.u. F.I.G.C., 19 gennaio 2015, n. 21/CFA. 16 Così testualmente C.M. BIANCA, op. cit., p. 544.

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giona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno». La responsabilità extracontrattuale poggia sull’idea per la quale il danneggiante è obbligato al risarcimento, nell’ottica di ripristinare lo status quo ante del soggetto danneggiato, ossia di rimetterlo nella medesima situazione in cui si sarebbe trovato se l’evento lesivo non si fosse verificato. Orbene, può accadere che la lesione di un interesse giuridicamente protetto si produca nell’esercizio dell’attività sportiva, dando così luogo alla c.d. responsabilità civile in ambito sportivo 17; è possibile cioè che il fatto illecito, produttivo di un danno ingiusto (lesivo di un interesse protetto rilevante per l’ordinamento statale, come la vita, l’integrità fisica e la salute), si verifichi in occasione della pratica di uno sport. In questi casi, alla luce della rilevanza che tale lesione acquista e riveste nell’ordinamento statale, non vi è ragione alcuna per negare l’applicabilità del sistema e delle regole della responsabilità civile proprie del nostro ordinamento 18. D’altra parte non potrebbe essere diversamente, soprattutto allorquando il fenomeno sportivo, specie a certi livelli, non ha più una connotazione prettamente ludico-ricreativa, ma finisce per coinvolgere interessi economici di notevoli dimensioni 19. Sul punto si è posta la questione della difficoltà di delimitare i confini della c.d. responsabilità civile sportiva 20. Chiaramente, ai fini dell’insorgenza della responsabilità civile, non è sufficiente la produzione di un danno qualsiasi 21, ma è necessario che tale 17

G. STIPO, La responsabilità civile nell’esercizio dello sport, in Riv. dir. sport., 1961, p. 15 ss. 18 Contra, A SCIALOJA, voce Responsabilità sportiva, in Dig. disc. priv. sez. civ., Vol. XVII, Utet, Torino, 1998, p. 409 ss. Per l’A. la peculiarità del fenomeno sportivo dovrebbe escludere l’applicazione delle regole generali in tema di responsabilità, al fine di dare piena attuazione ai principi generali informatori dell’ordinamento sportivo, alle quali vanno ricondotte tutte le attività connesse al mondo dello sport in cui trovano «la loro ragion d’essere». In quest’ottica, secondo M. BONA-A. CASTELNUOVO-P.G. MONATERI, La responsabilità civile nello sport, Giuffrè, Milano, 2002, p. 4, non sarebbe neppure corretto discorrere di responsabilità civile sportiva, mentre sarebbe preferibile parlare di “responsabilità civili sportive”, in quanto il regime giuridico varierebbe in base alle regole di ciascuno sport. 19 M. CONTE, Il risarcimento del danno nello sport, Giappichelli, Torino, 2004, p. 4. 20 G. ALPA, La responsabilità civile in generale e nell’attività sportiva, in Riv. dir. sport., 1984, p. 472 ss. 21 Sul punto in una letteratura estremamente vasta, per tutti si veda: A. DI MAJO, Profili della responsabilità civile, Giappichelli, Torino, 2010, p. 19 ss.; ID., La tutela civile dei diritti4, Giuffrè, Milano, 2003, p. 176 ss.

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danno sia contra ius, e dunque leda un interesse meritevole di protezione giuridica, e non iure, ossia sia compiuto in assenza di una valida causa di giustificazione da parte dell’ordinamento. È altresì necessario che la condotta anti-doverosa sia imputabile al soggetto che l’ha posta in essere, secondo uno dei criteri previsti dall’ordinamento 22. Sotto entrambi i profili, il giudizio di responsabilità non può esimersi dal prendere in considerazione l’essenza del fenomeno sportivo, che necessariamente comporta una dose più o meno elevata di rischio per l’incolumità fisica degli atleti 23. Ragionando diversamente si giungerebbe a bloccare l’attività sportiva, giacché nessuno sarebbe verosimilmente disposto a intraprenderla a fronte della concreta ed elevata possibilità di dover risarcire i danni che da essa deriverebbero. Senonché, in questo modo, si perverrebbe ad un risultato difficilmente accettabile, in ragione del richiamato fondamento costituzionale e sovranazionale dello sport.

4. La scriminante sportiva: tra regole tecniche e accettazione del rischio. Nella prospettiva da ultimo evidenziata, si è indagato quale potesse essere il fondamento normativo della responsabilità di una condotta posta in essere nell’esercizio dell’attività sportiva “lecita”, che sarebbe stata altrimenti “illecita” 24. In un primo momento, si è ritenuto potesse trovare applicazione l’art. 50 c.p., in virtù del quale «non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne». 22 Per entrambi i profili può rimandarsi a C. SALVI, La responsabilità civile2, in Tratt. Iudica-Zatti, Giuffrè, Milano, 2005, p. 47 ss. 23 Come puntualmente rilevato, fra gli altri, da F. ALBEGGIANI, voce Sport (dir. pen.), in Enc. dir., Vol. XLIII, Giuffrè, Milano, 1990, p. 544, il quale sottolinea altresì come «i criteri di determinazione della responsabilità colposa nel campo delle attività sportive […] presentano caratteristiche comuni a quelli propri di tutte le attività che, pur comportando un margine di pericolosità ineliminabile, sono autorizzate e disciplinate dall’ordinamento per la loro riconosciuta utilità sociale». 24 Cfr. M. PITTALIS, La responsabilità sportiva. Princìpi generali e regole tecniche a confronto, Giuffrè, Milano, 2013, p. 24 ss.

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In questa prospettiva, il partecipante ad una competizione sportiva presterebbe il proprio consenso a subire offese alla propria integrità fisica, nella misura necessaria alla natura dell’attività praticata. Questa tesi incontra però un notevole limite tutte le volte in cui i diritti presentino il carattere dell’indisponibilità: in queste ipotesi, infatti, il consenso prestato risulta essere giuridicamente senza effetto; d’altronde è per queste ragioni che il legislatore punisce l’omicidio del consenziente (art. 579 c.p.) e vieta gli atti di disposizione del corpo «quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica» (art. 5 c.c.) 25. Secondo una diversa ricostruzione, l’esclusione della responsabilità per i danni cagionati nell’esercizio dell’attività sportiva potrebbe fondarsi sull’art. 51 c.p., in forza del quale «l’esercizio di un diritto […] esclude la punibilità». Stante il principio fondamentale di non contraddizione dell’ordinamento (che non può, al tempo stesso, autorizzare e punire una medesima condotta) e dal momento che la pratica dello sport è garantita tanto a livello costituzionale quanto a livello sovranazionale, allora gli effetti collaterali che ne derivano devono ritenersi accettati o tollerati, non potendo essere posti a carico di chi li ha causati. Tuttavia, anche questa teoria è stata criticata alla luce delle disparità di trattamento alle quali finisce per dar luogo: valorizzando una rilevanza immediata delle regole sportive nell’ordinamento statale, la scriminante opererebbe soltanto per l’attività sportiva svolta in competizioni ufficiali e non anche per quelle libere 26. Per tutte queste ragioni, dunque, l’opinione più accreditata è che ci si trovi in presenza di una scriminante non codificata, che si focalizza non tanto sulla posizione soggettiva del danneggiato o del danneggiante, quanto piuttosto sull’interesse dello Stato alla diffusione del fenomeno sportivo. Siffatta diffusione non sarebbe possibile senza un’adesione, da parte dei praticanti, alle regole tecniche che governano il singolo sport. Deve precisarsi che, secondo la ricostruzione teorica preferibile, le regole tecniche debbono distinguersi in due differenti categorie: a) regole tecniche di gioco e di gara, le quali disciplinano lo svolgimento della competizione con specifico riguardo alla corretta esecuzione dell’azione di gioco 25 Per questi rilievi v. R. FRAU, La responsabilità civile sportiva nella giurisprudenza. Profili generali, in Resp. civ. prev., 2006, p. 1032 s. 26 Sul punto, ancora, R. FRAU, op. cit., p. 1032.

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da parte del praticante o, più in generale, alla leale condotta del gioco nel suo insieme; b) regole tecniche di organizzazione, che riguardano viceversa il rapporto associativo tra i soggetti dell’ordinamento sportivo, nonché il funzionamento delle istituzioni e degli organi preposti alle diverse discipline sportive 27. In linea di principio, sono le regole tecniche del primo tipo a venire in rilievo quando si tratta di valutare la rimproverabilità o meno di una condotta che abbia causato un evento pregiudizievole. D’altro canto, le stesse regole tecniche di gioco e di gara non svolgono tutte la medesima funzione. Come chiarito dalla giurisprudenza vi sono norme di regolamento dettate al fine di salvaguardare l’incolumità dei partecipanti e norme che, diversamente, mirano a salvaguardare la natura di quel determinato sport (come ad esempio nel gioco del calcio le regole sul fallo di mano o sul fuorigioco), «la cui violazione solo fortuitamente potrebbe in ipotesi essere causa di lesioni» 28. In merito al rapporto fra giudizio di responsabilità e regole tecniche si sono sviluppati tre diversi orientamenti interpretativi. Secondo una prima lettura, vi sarebbe un rapporto di sovrapposizione: in caso di violazione della regola sportiva, sussiste anche la responsabilità civile; in caso di rispetto della regola sportiva, non residua alcun profilo di responsabilità. D’altro canto, il danneggiante non potrebbe ritenersi in colpa, vista la non esigibilità di una condotta più diligente di quella che ha tenuto rispettando le regole tecniche 29. In altri termini, non vi sarebbe il danno allorquando lo Stato autorizza la condotta lesiva attraverso il riconoscimento dell’autonomia dell’ordinamento sportivo. Secondo una diversa prospettiva, il rispetto delle norme tecniche non esclude automaticamente la responsabilità civile, poiché l’atleta sarebbe anche tenuto a fare tutto ciò che gli è possibile per salvaguardare l’incolumità fisica degli avversari e dei terzi. In tale ottica, il rispetto delle norme tecniche escluderebbe la colpa specifica, ma residuerebbe, comunque, un margine per la sussistenza della colpa generica. 27

Così testualmente G. LIOTTA-L. SANTORO, op. cit., p. 260. Cass. pen., Sez. V, 30 aprile 1992, in Riv. dir. sport., 1992, p. 324 ss. 29 L. CRUGNOLA, La violenza sportiva, in Riv. dir. sport., 1960, p. 53 ss. 28

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Nel 1950 la giurisprudenza di legittimità aveva statuito, in un caso di lesioni cagionate da una “carica al portiere” durante un incontro calcistico, che fosse possibile ritenere «responsabile di colpa penale l’atleta, il quale, nella lotta contro il suo avversario, non mantenga siffatto controllo sulla propria azione, pur seguendo fedelmente tutte le regole stabilite per una data attività sportiva» 30. Questa impostazione, tuttavia, fu criticata affermandosi emblematicamente che «se si vuole eliminare il pericolo, non v’è altro da fare che questo: sopprimere il giuoco sportivo» 31. Una posizione diametralmente opposta rispetto alla precedente opta, invece, per l’irrisarcibilità dei danni che siano stati cagionati nel rispetto delle regole tecniche 32 e sostiene che la violazione della norma sportiva non faccia sorgere automaticamente una responsabilità: qualora vi sia un collegamento funzionale fra tale violazione e la finalità di gioco, i danni che ne derivano devono considerarsi la concretizzazione di un rischio consentito e non possono pertanto essere risarciti 33. Ad esempio, in ambito calcistico, la giurisprudenza ha chiarito che il calciatore «è conscio della possibilità, o addirittura della probabilità, di essere irregolarmente atterrato con uno sgambetto, o con una spinta che superi i limiti regolamentari, e partecipando al gioco tacitamente consente al rischio di subire in conseguenza di ciò lesioni» 34. La scriminante sportiva, dunque, opera non solo quando siano rispettate le regole tecniche, ma anche qualora, pur a fronte della violazione di 30

Cass. pen., Sez. II, 9 ottobre 1950, in Riv. dir. sport., 1950, p. 107. O. CECCHI, Lesioni colpose nelle partite di calcio, in Resp. civ. prev., 1951, p. 55. 32 Cfr. F. AGNINO, La limitata risarcibilità delle lesioni da fallo di gioco, in Riv. dir. sport., 2000, p. 196: «il rispetto delle regole tecniche della gara e delle norme di comportamento si pone quale criterio valutativo della mancata responsabilità della condotta agonistica; i normali princìpi, in tema di responsabilità, trovano applicazione tutte le volte in cui la condotta lesiva dell’atleta esuli dalle regole dello sport praticato, integrando gli estremi dell’intenzionalità della colpa grave, ovvero quando manca un nesso di funzionalità tra la condotta lesiva e lo svolgimento della competizione». 33 Sul punto V. FRATTAROLO, La responsabilità civile per le attività sportive, Giuffrè, Milano, 1984, p. 56 ss. 34 Cass. pen., Sez. V, 30 aprile 1992, cit., la quale puntualizza anche come il limite del rischio consentito deve ritenersi superato solo «quando il fallo, oltre che essere volontario, sia di tale durezza da comportare la prevedibilità di pericolo serio dell’evento lesivo a carico dell’avversario, che in tal caso viene esposto ad un rischio superiore a quello accettabile dal partecipante medio». 31

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queste ultime, si siano osservati i princìpi di lealtà e correttezza, permanendo nell’area del rischio tollerabile. La Cassazione, in materia di lesioni personali derivanti dalla pratica dello sport, ha statuito che le elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali «hanno, da tempo, definito i contorni della nozione di illecito sportivo», la quale ricomprende tutti quei comportamenti che, pur sostanziando infrazioni delle regole che governano lo svolgimento di una certa disciplina agonistica, non sono penalmente perseguibili, neppure quando risultano pregiudizievoli per l’integrità fisica di un giocatore avversario, in quanto non superano la soglia del c.d. rischio consentito 35. Secondo la Corte, infatti, si versa all’interno di un’area di non punibilità, «la cui giustificazione teorica non può che essere individuata nella dinamica di una condizione scriminante». In definitiva, la questione se l’esimente sportiva debba essere ricondotta al paradigma del consenso dell’avente diritto (di cui all’art. 50 c.p.) o dell’esercizio di un diritto (art. 51 c.p.), e dunque nell’ambito concettuale di una tipica causa di giustificazione prevista dal sistema positivo oppure all’area delle cause di giustificazione c.d. non codificate e in specie del “rischio consentito”, è stata risolta dalla giurisprudenza in quest’ultimo senso, in considerazione dell’interesse primario che l’ordinamento statuale riconnette alla pratica dello sport. Ciò sia alla luce del fatto che la riconducibilità ad una causa di giustificazione tipica comporterebbe non trascurabili problemi di coordinamento con il generale principio della non disponibilità di beni giuridici fondamentali, dotati di valenza costituzionale, sia perché «alla pratica sportiva l’ordinamento giuridico assegna un ruolo di assoluto rilievo» 36.

4.1. La differenziazione del rischio nelle varie categorie di sport e fra le diverse tipologie di danneggiati. L’area del rischio consentito o tollerato non può, tuttavia, considerarsi fissa, immutabile e determinabile a priori. 35 Cass. pen., Sez. V, 23 maggio 2005, n. 19473, in Resp. civ. prev., 2005, p. 1034 ss., con nota di G. FACCI, La responsabilità del partecipante ad una competizione sportiva. 36 Cass. pen., n. 19473/2005, cit.

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Al contrario, essa varia – anche notevolmente – a seconda del tipo di sport praticato e della situazione soggettiva dei danneggiati 37. Per questo, sotto il primo profilo, a seconda della propensione al rischio di subire menomazioni dell’integrità fisica, si conviene di dover catalogare gli sport in quattro categorie: (a) sport estremi o pericolosi 38; (b) sport “a contatto necessario”; (c) sport “a contatto eventuale”; (d) sport “a contatto vietato” (o a rischiosità nulla) 39. Chi pratica uno sport (d) “a contatto vietato” (es. tennis, squash) è completamente avverso al rischio, ragion per cui sarà tenuto a sopportare soltanto quei danni che derivino da possibili errori di esecuzione. Coloro che praticano uno sport (c) “a contatto eventuale” (es. calcio, pallacanestro), sebbene non siano, di base, propensi a subire dei danni, invece, devono comunque considerare la possibilità che ciò accada, nei fisiologici limiti derivanti dall’impeto delle azioni di gioco. Infine, chiunque pratica uno sport (a) estremo o pericoloso (es. arrampicata su giacchio, paracadutismo) oppure uno sport (b) a contatto necessario (es. pugilato, arti marziali) deve mettere necessariamente in conto l’alta probabilità di subire delle lesioni e non potrà successivamente lamentarsene. In particolare, nelle categorie degli sport estremi o pericolosi e degli sport a contatto necessario, il rispetto delle regole tecniche si rivela fondamentale, dal momento che il rischio di subire lesioni è fisiologico (mentre in altri sport è patologico) e tali regole demarcano nettamente il confine fra rischio consentito e rischio non consentito. In uno sport da combattimento (come in qualsiasi altro sport in cui sia connaturato un rischio), la foga agonistica non può giustificare una violazione delle norme di gioco, perché l’atleta è ben consapevole del pericolo che siffatta violazione verosimilmente comporterà una menomazione dell’integrità fisica dell’avversario superiore a quella accettata 40. Negli altri sport, invece, l’infrazione delle regole tecniche può avere un margine di tollerabilità più ampio, anche in considerazione del fatto che, 37

Cfr. R. FRAU, op. cit., p. 1038 ss. Su cui in particolare v. L. SANTORO, Sport estremi e responsabilità, Giuffrè, Milano, 2008. 39 M. PITTALIS, Fatti lesivi e attività sportiva, Cedam, Padova, 2016, p. 1 ss., anche per riferimenti bibliografici. 40 G. AGRIFOGLIO, Pugilato e sport da combattimento. Divieto di disporre del proprio corpo o libertà di scegliere il proprio modo di vivere?, in Eur. dir. priv., 2018, p. 753 ss. 38

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spesso, tali regole non sono direttamente finalizzate a garantire l’incolumità fisica degli altri partecipanti, bensì a regolare lo svolgimento dell’incontro. Per quanto riguarda il secondo profilo, relativo alla situazione soggettiva dei danneggiati, la giurisprudenza di legittimità ha convenuto che il rischio accettabile varia a seconda che la competizione sia svolta fra professionisti o fra dilettanti, ovvero nel caso di semplice allenamento, o di gara amichevole, «fino a dover diventare minimo nel caso di incontri fra squadre di ragazzi» 41. Ne discende che, nelle ipotesi in cui potrebbe astrattamente ammettersi un’esclusione della responsabilità pur in presenza di rispetto delle regole tecniche, questa non potrà essere concretamente riconosciuta qualora la carica agonistica risulti del tutto sproporzionata rispetto all’importanza della competizione 42.

5. La responsabilità degli altri soggetti coinvolti nell’attività sportiva. Nella complessa organizzazione della società moderna, le competizioni sportive non prevedono soltanto il coinvolgimento degli atleti che le disputano, bensì anche di tutta una serie di soggetti che sono coinvolti a latere nella loro organizzazione (intesa in senso ampio) 43. In tutte queste ipotesi possono venire in rilievo diversi titoli di responsabilità, alcuni dei quali sviluppatisi ampiamente, alla luce dell’evoluzione del sistema economico 44. È stata al contempo soppiantata la centralità della colpevolezza quale criterio di imputazione della responsabilità civile, ritenendo che il rischio possa considerarsi un criterio concorrente quantomeno di pari dignità. 41

Cass. pen., Sez. V, 30 aprile 1992, cit. Cfr. M. PITTALIS, Sport e diritto, cit., p. 416 s. la quale, schematizzando il risultato di un’approfondita indagine circa le varie ipotesi in cui viene cagionato un danno dall’atleta all’avversario, sottolinea che la giurisprudenza «tende a considerare ridotta, quando non addirittura nulla, la soglia di rischio sportivo “consentito”, e a considerare, di contro, gravemente colposa la condotta lesiva che oltrepassi tale soglia» nei contesti sportivi dai quali deve attendersi una ridotta carica agonistica. 43 Cfr. G. LIOTTA, La responsabilità civile dell’organizzatore sportivo: ordinamento statale e regole tecniche internazionali, in Eur. dir. priv., 1999, p. 1137 ss. 44 Cfr., C.M. BIANCA, op. cit., p. 687 ss. 42

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Vi sono diverse attività caratterizzate da un’alta probabilità di causazione di danni e che tuttavia l’ordinamento giuridico consente di praticare in quanto ritenute socialmente utili. La responsabilità in questi casi, tuttavia, grava su quei soggetti che più direttamente traggono profitto da tali attività, di modo che essi non ne abusino, ma le pongano in essere soltanto ove valutino che il rapporto costi-benefici risulterà verosimilmente positivo (riducendo così il più possibile le esternalità negative) 45. Occorre, quindi, approfondire i profili di responsabilità in base ai quali sono chiamati a rispondere tali soggetti. Tra le fattispecie che più comunemente vengono in considerazione da questo punto di vista, innanzitutto, deve rammentarsi quella degli insegnanti e degli istruttori sportivi, responsabili tanto per i danni che i propri allievi cagionino ad altri allievi o a terzi, quanto per i danni che gli allievi si siano auto-provocati 46. Nel primo caso, la responsabilità è basata sull’art. 2048 c.c. 47, mentre nel secondo la giurisprudenza è ferma nell’affermare la responsabilità dell’istruttore ex art. 1218 c.c., richiamando la teoria del c.d. contatto sociale qualificato 48. I sodalizi sportivi possono inoltre essere chiamati a rispondere per il fatto dei loro preposti ai sensi dell’art. 2049 c.c. 49. Deve poi prendersi in considerazione l’ipotesi della responsabilità da animali (art. 2052 c.c.), tutte le volte in cui questi siano coinvolti nell’attività sportiva: la fattispecie più ricorrente in quest’ambito è senz’altro quella dell’equitazione e della figura del gestore del maneggio, ove peraltro i confini con la responsabilità per l’esercizio di un’attività pericolosa si presentano sensibilmente sfumati. Non meno rilevante appare anche la possibilità di una responsabilità da 45

Per approfondite trattazioni sul tema, si rimanda a P. TRIMARCHI, La responsabilità civile: atti illeciti, rischio, danno, Giuffrè, Milano, 2017; ID., Rischio e responsabilità oggettiva, Giuffrè, Milano, 1961. 46 Sul punto, cfr. S. PATTI, Insegnamento dello sport e responsabilità civile, in Resp. civ. prev., 1992, p. 508 ss. 47 C. BALDASSARRE, La responsabilità degli insegnanti di una disciplina sportiva, in Danno resp., 2010, p. 602 ss. 48 Sul quale, C. CASTRONOVO, Responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 2018, p. 572 ss. 49 Già R. SCOGNAMIGLIO, In tema di responsabilità delle società sportive ex art. 2049 c.c. per l’illecito del calciatore, in Dir. giur., 1963, p. 87 ss.

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Ettore Battelli e Vincenzo Rossi

cose in custodia (art. 2051 c.c.), che è stata spesso invocata in relazione alla gestione di impianti sportivi, soprattutto sciistici, ma anche di altra natura (si pensi alle piscine, alle piste di go-kart, alle palestre, ai centri sportivi, ai palazzetti dello sport, agli impianti di rafting, ecc.). Nel discorso in esame, assume un particolare rilievo la responsabilità per l’esercizio di attività pericolose (art. 2050 c.c.), alla quale talvolta la giurisprudenza ha ricondotto la fattispecie di organizzazione delle attività sportive, sia quando queste presentino un intrinseco tasso di rischiosità (es. l’organizzazione di gare motoristiche), sia quando tale tasso derivi da talune circostanze concrete (es. l’organizzazione di una manifestazione calcistica non sarebbe di per sé pericolosa, ma lo diventa nel momento in cui, specie a certi livelli, vengono coinvolte migliaia di persone). Questa responsabilità acquisisce un’importanza fondamentale in relazione al rischio cui sono esposti i terzi non partecipanti alle competizioni sportive (si pensi, in particolare, agli spettatori) 50. Appare pacifico che questi terzi non accettano alcun rischio nella benché minima misura e in nessuna situazione, nemmeno se pericolosa. La giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che «l’assistere volontariamente negli spazi opportunamente destinati al pubblico o, comunque, al di fuori del campo di gara, ad una manifestazione sportiva permeata di pericolosità […] non implica per lo spettatore l’accettazione di una situazione di rischio» 51. Peraltro, qualora la responsabilità per i danni ai terzi ricadesse sugli atleti, questo costituirebbe un non indifferente freno all’attività sportiva, giacché l’atleta medio verosimilmente non è disposto ad esporsi all’alea di dover risarcire questi danni. Pertanto, nella prassi, tale responsabilità è posta in capo all’organizzatore, il quale è tenuto a garantire l’incolumità dei terzi contro qualsiasi fonte di rischio, ivi comprese eventuali negligenze, imperizie o imprudenze da parte degli atleti nell’esecuzione dei gesti tecnici 52.

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Sul punto ancora R. FRAU, op. cit., p. 1040. Cass. pen., Sez. IV, 12 aprile 1973, in Riv. dir. sport., 1975, p. 183. 52 Cfr. Trib. Rovereto, 5 dicembre 1989, in Riv. dir. sport., 1990, p. 498. 51

CAPITOLO OTTAVO

LA RESPONSABILITÀ CIVILE DELL’ATLETA, DEGLI INSEGNANTI E DEGLI ISTRUTTORI di Calogero Alberto Valenza

SOMMARIO 1. La responsabilità civile dell’atleta. – 1.1. La responsabilità dell’atleta per i danni arrecati ai terzi. – 1.2. Orientamenti giurisprudenziali nelle principali attività sportive. Gli sport “a contatto necessario”. – 1.2.1. (Segue) Gli sport “a contatto eventuale”. – 1.2.2. (Segue) Gli sport “a contatto proibito”. – 1.2.3. (Segue) Le attività sportive pericolose. – 2. La responsabilità degli insegnanti e degli istruttori sportivi. Il danno ad altri allievi e a terzi. – 2.1. Il danno provocato dall’allievo maggiorenne. – 2.2. Danni cagionati ad altri allievi e a terzi. Casistica. – 2.3. Il caso di danno auto-procurato.

1. La responsabilità civile dell’atleta. Tra le ipotesi più significative di responsabilità civile in ambito sportivo riveste particolare rilievo quella degli atleti per i danni reciprocamente cagionati durante lo svolgimento della gara. Tradizionalmente, si sostiene che l’atleta che partecipa ad una manifestazione sportiva, professionalmente o anche solo in modo amatoriale, si espone consapevolmente a quegli incidenti di cui è prevedibile la verificazione e, in relazione a questi, accetta il rischio di subire lesioni alla propria incolumità fisica, finanche alla stessa vita 1. Si delinea in questi termini la figura del rischio sportivo consentito, la 1

V. R. FRAU, La responsabilità civile sportiva nella giurisprudenza. Profili generali, in Resp. civ. prev., 2006, p. 1036 ss.

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quale si pone a fondamento della c.d. “scriminante sportiva”, che permette di considerare “leciti” pregiudizi altrimenti illeciti, escludendo il risarcimento dei danni rientranti nell’alea normale della disciplina sportiva 2. Per delineare i confini della responsabilità civile dell’atleta, occorre fare specifico riferimento alle regole che governano l’attività sportiva e che sono poste a presidio dell’altrui incolumità. L’atleta, in primo luogo, è tenuto a rispettare le regole tecniche del gioco e della gara, ossia le specifiche prescrizioni che concernono le singole discipline 3; chiaramente, stante l’impossibilità di considerare del tutto esaustivi i regolamenti tecnici, egli deve, comunque, ispirare la propria condotta ai criteri di prudenza, diligenza e perizia, nel rispetto del generale principio del neminem laedere 4. Un’eventuale lesione all’integrità fisica che derivi da una condotta dell’atleta priva di gravità potrà comportare – se in violazione delle regole della gara – esclusivamente l’irrogazione delle sanzioni disciplinari proprie dell’ordinamento sportivo, dover pertanto considerarsi rientrante nell’ambito del rischio consentito 5. Diversamente – e indipendentemente dalla circostanza per cui ad essere violate siano specifiche regole della gara o il principio generale del neminem laedere – si configurerà un illecito civile qualora il pregiudizio arrecato derivi da una condotta dell’atleta talmente grave da porre la lesione al di là del rischio di infortuni accettabile in relazione allo sport praticato. In ambito sportivo, pertanto, l’antigiuridicità del fatto lesivo risulta strettamente correlata alla presenza di una particolare connotazione della con2

In arg. G. FACCI, La responsabilità civile nello sport, in Resp. civ., 2005, p. 646 ss.; C. GRANELLI, La responsabilità civile nell’esercizio di attività sportive: l’esperienza italiana, in Resp. civ., 2012, p. 407 ss.; M. PITTALIS, La responsabilità sportiva. Principi generali e regole tecniche a confronto, Giuffrè, Milano, 2013, p. 24 ss. 3

Nell’ambito delle c.d. “regole tecniche” si è soliti distinguere le regole c.d. “di gioco”, concernenti la specifica disciplina sportiva e la corretta esecuzione del gioco da parte dei singoli giocatori (es. il fuorigioco o il fallo di mano nel gioco del calcio), dalle regole c.d. “di gara”, le quali disciplinano le modalità di corretto svolgimento della singola competizione nel suo complesso ed affermano i principi di lealtà e correttezza dell’attività sportiva. È in quest’ultima tipologia di regole che, normalmente, si rinvengono misure volte alla prevenzione dei possibili danni tra atleti sul campo di gioco (es. il divieto della “carica sul portiere” nel gioco del calcio). 4 Sul punto G. CAPILLI, L’organizzazione dell’attività sportiva, in M. BESSONE, Casi e questioni di diritto privato, Vol. XX, La responsabilità nello sport, Giuffrè, Milano, 2002, p. 94. 5

G. PONZANELLI, Responsabilità civile e attività sportiva, in Danno resp., 2009, p. 603 ss.

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dotta offensiva e cioè alla sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa grave, la cui valutazione andrà effettuata in considerazione della specificità del caso concreto 6. Così, se da un lato il rispetto delle regole della gara non può dirsi sufficiente al fine di escludere l’applicabilità dell’art. 2043 c.c., dall’altro la mera inosservanza delle stesse non costituisce necessariamente un illecito civile, se non quando l’atleta si esponga ad un rischio eccedente rispetto a quello prevedibile. In questo senso, ad esempio, si ritiene che debbano considerarsi consentite le lesioni derivanti da un generico “fallo” di gioco, a meno che quest’ultimo non fuoriesca dalla normale alea dello sport praticato. Il criterio individuato dalla giurisprudenza per determinare quali siano le condotte in concreto sanzionabili mediante risarcimento è quello del c.d. “nesso funzionale” fra il contesto di gioco e la lesione, di modo che la responsabilità dell’atleta possa essere esclusa allorché vi sia uno stretto collegamento tra l’offesa e l’agonismo, e ciò anche qualora siano state violate le regole del gioco 7. Tale nesso, tuttavia, si interrompe laddove si riscontri «un grado di violenza o di irruenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel quale l’attività si svolge in concreto, o con la qualità delle persone che vi partecipano» 8. In ogni caso, sono sempre fonte di responsabilità i danni cagionati con intenzionalità lesiva, e cioè derivanti da atti aventi lo specifico scopo di nuocere: comportamenti di questo tipo, infatti, si pongono al di fuori dell’attività sportiva, costituendo la gara, o lo stesso fallo di gioco, solamente l’occasione per ledere. In sintesi, l’azione scorretta posta in essere durante lo svolgimento dell’attività agonistica dovrà considerarsi inammissibile qualora sia totalmente estranea alle esigenze della gara, e consentita, invece, laddove sia funzionale alle dinamiche del gioco, sempre che non sia caratterizzata da una qualificata slealtà che mal si concilia con lo spirito sportivo 9.

6 F.D. BUSNELLI-G. PONZANELLI, Rischio sportivo e responsabilità civile, in Resp. civ. prev., 1984, p. 284; G. PONZANELLI, op. cit., p. 603. 7 Ex multis: Cass., Sez. III, 8 agosto 2002, n. 12012, in Danno resp., 2003, p. 29; più di recente, Cass., Sez. III, 30 marzo 2011, n. 7247, in Resp. civ. prev., 2011, p. 2250. 8 Cass. n. 12012/2002, cit. 9 Cfr. Trib. Arezzo, 17 aprile 2018, in Pluris.

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1.1. La responsabilità dell’atleta per i danni arrecati ai terzi. I princìpi fin qui ricordati sono stati elaborati con riferimento all’ipotesi in cui la condotta di chi pratica un’attività sportiva abbia cagionato un danno ad altri partecipanti alla medesima attività. Tali criteri, tuttavia, possono trovare analoga applicazione nelle ipotesi in cui il danno provocato dall’atleta abbia riguardato non già un altro partecipante, ma quanti – come gli arbitri, i guardalinee, i meccanici, i tecnici, i raccattapalle, ecc. – sono posti al centro o ai limiti del campo di gara, per compiere una funzione indispensabile allo svolgimento della competizione, che ne assicuri il buon andamento, il rispetto delle regole, la correttezza di comportamenti e la trasparenza 10. Pertanto, se è possibile escludere la responsabilità dell’atleta per i danni occorsi a quei soggetti che, per via del lavoro svolto durante la manifestazione sportiva, si siano esposti al rischio di lesioni, sempre che queste ricadano nell’alea normale della disciplina praticata 11; diversamente, non sembra possibile esonerare da responsabilità gli atleti per le eventuali lesioni provocate agli spettatori nonché a terzi completamente estranei all’attività sportiva. Rispetto a questi ultimi, infatti, non può predicarsi l’accettazione del rischio sportivo, dovendosi piuttosto sostenere il loro assoluto interesse al rispetto dell’integrità fisica, che dovrà essere tutelato mediante la predisposizione di tutte le cautele del caso 12. In tali circostanze vigono le normali regole di responsabilità civile (e penale), potendo costituire causa di esonero soltanto il caso fortuito e la forza maggiore. Per queste ragioni, è stata criticata 13 la decisione con cui il Tribunale di Milano ha escluso la responsabilità del giocatore di squash che, nel corso di una partita amichevole, per imperizia, aveva lanciato la palla oltre la parete di fondo, andando a colpire uno spettatore seduto in tribuna, causandogli lesioni ad un occhio 14. 10 Così Cass., Sez. III, 27 ottobre 2005, n. 20908, in Foro it., 2006, I, c. 1465 ss., con riferimento al sinistro occorso, in occasione di una regolamentare gara di sci, ad un “guardiaporte” investito e colpito al volto da un concorrente uscito di pista ad alta velocità. 11 C. GRANELLI, op. cit., p. 410 ss. 12 Cass., Sez. III, 16 gennaio 1985, n. 97, in Riv. dir. sport., 1985, p. 214 ss. In senso conforme, Trib. Rovereto, 5 dicembre 1989, in Riv. dir. sport., 1990, p. 498 ss. 13 C. GRANELLI, op. cit., p. 411. 14 Trib. Milano, 12 novembre 1992, in Riv. dir. sport., 1993, p. 499 ss.

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Parimenti, ha suscitato qualche perplessità 15 la pronuncia con cui il Tribunale di Roma ha mandato esente da responsabilità il giocatore di golf che aveva lanciato la pallina oltre la recinzione dell’impianto, andando a colpire un veicolo in transito sulla strada adiacente, facendolo sbandare ed uscire di strada 16. In tali occasioni, la responsabilità per le lesioni provocate, però, è stata riversata sugli organizzatori, quali soggetti gravati dall’obbligo di tutelare i terzi, non soltanto attraverso il rispetto delle prescrizioni di legge, ma anche osservando la regola generale di cautela e prudenza.

1.2. Orientamenti giurisprudenziali nelle principali attività sportive. Gli sport “a contatto necessario”. Il problema della responsabilità civile connessa allo svolgimento di attività sportive viene tradizionalmente affrontato differenziando le varie discipline a seconda del grado di “violenza” (rectius, di “contatto”) ad esse connaturato e, dunque, alla maggiore o minore probabilità che si verifichi un evento lesivo. A fianco della categoria degli sport (a) estremi o pericolosi si distinguono, (b) sport “a contatto necessario”, (c) sport “a contatto eventuale” e (d) sport a “a contatto proibito” o “nullo”. Tale classificazione risulta di particolare rilievo poiché, in relazione alla disciplina praticata, il contenuto di violenza e, specularmente, il rischio consentito assumono gradazioni notevolmente differenziate. Secondo questa impostazione, rientrano negli sport “a contatto necessario” tutti gli sport, come la boxe o le arti marziali, nei quali la forza fisica diretta contro l’avversario costituisce parte integrante del gioco. In tali discipline, pertanto, il livello di rischio consentito è quanto mai elevato e vi è maggiore tolleranza nei confronti dei danni occorsi agli atleti. Eventuali lesioni, infatti, si ritengono giustificate dall’ordinamento in considerazione dell’utilità sociale che riveste la pratica sportiva 17, la quale, seppur violenta, è diretta al miglioramento del benessere psicofisico degli atleti e trova 15

C. GRANELLI, op. cit., p. 411. Trib. Roma, 29 gennaio 2003, in Arch. circ., 2004, p. 186 s. 17 Trib. Milano, 14 gennaio 1985, in Riv. dir. sport., 1985, p. 40 (c.d. caso Lupino). 16

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ancoraggio costituzionale nell’art. 32 Cost., oltreché nell’art. 2 Cost., in quanto attività funzionale alla realizzazione della propria persona 18. Negli sport di questo tipo, il pregiudizio subìto dall’atleta nel corso della competizione può dar luogo ad un illecito, civile e penale, soltanto nel caso in cui si rinvenga un abuso della violenza consentita, il che accade qualora siano state violate le regole del gioco deputate a tutelare in via preventiva la salute dei partecipanti e dei terzi 19. Il comportamento degli atleti, peraltro, dovrà essere rispettoso non soltanto delle specifiche regole di comportamento contenute nei regolamenti sportivi – evitando dunque i colpi proibiti – ma anche del c.d. principio di lealtà, che si rinviene nell’incipit di tutti gli statuti federali 20. Tale principio impone all’atleta di esprimere la propria combattività in osservanza dei diritti fondamentali dell’avversario e comporta, ad esempio, l’obbligo di fermarsi per il pugile che riesca a sovrastare il contendente non appena percepisca che questi abbia smesso di difendersi. Così, avrebbe dovuto interrompere la raffica di pugni il noto pugile che, durante una gara valida per il titolo mondiale, provocò la morte dell’avversario sferrandogli ben ventinove colpi in testa nonostante quest’ultimo si trovasse nell’impossibilità di difendersi 21. Nondimeno, la tolleranza dell’ordinamento per i danni che si verificano durante la pratica degli sport da combattimento varia in relazione al contesto nel quale la disciplina sportiva si svolge e in considerazione delle qualità delle persone che vi partecipano. Essa, infatti, sarà minore nel caso di lesioni occorse durante l’allenamento ovvero nelle ipotesi di competizioni tra dilettanti o minori. In tali circostanze, non potendosi esigere lo scrupoloso rispetto delle norme tecniche e di gara, rivestono un ruolo centrale per l’accertamento di una eventuale responsabilità le regole sociali di diligenza, prudenza e perizia 22. Sulla scorta di queste considerazioni, la Suprema Corte ha di recente condannato al risarcimento l’allievo di una scuola di arti marziali che, du18

F.D. BUSNELLI-G. PONZANELLI, op. cit., p. 284. Cfr. anche G. AGRIFOGLIO, Pugilato e sport da combattimento. Divieto di disporre del proprio corpo o libertà di scegliere il proprio modo di vivere?, in Eur. dir. priv., 2018, p. 783 ss. 19 Trib. Milano, 14 gennaio 1985, cit. 20 G. AGRIFOGLIO, op. cit., p. 797. 21 Si fa riferimento al celebre match tra Emile Griffith e Benny Paret. 22 M. PITTALIS, La responsabilità sportiva, cit., p. 158 ss.

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rante un allenamento, aveva colpito un allievo minorenne con un calcio circolare, procurandogli lesioni con postumi invalidanti. Infatti, sebbene il colpo fosse stato sferrato «nel rispetto delle regole tecniche», è stato riscontrato «un grado di violenza e irruenza del tutto incompatibile con le peculiari finalità di allenamento», tanto più che il colpo era stato inferto da un allievo “cintura nera” di 32 anni nei confronti di un principiante di soli 16 anni 23. 1.2.1. (Segue) Gli sport “a contatto eventuale”. Si definiscono “a contatto eventuale” gli sport in cui, nonostante sia proibita la violenza, è più che probabile che si verifichi un contatto fisico fra i competitori (ad es. calcio, calcetto, basket, ecc.). Proprio in ragione della risonanza che riveste nella nostra società, la disciplina calcistica costituisce un punto di osservazione privilegiato per l’approfondimento di alcuni tratti peculiari della responsabilità dell’atleta negli sport a contatto eventuale. In più occasioni, si è sostenuto in giurisprudenza che il rispetto della norma tecnica sarebbe di per sé sufficiente ad escludere la responsabilità per le lesioni eventualmente cagionate nell’ambito di una contesa sportiva 24. Per tale orientamento, ulteriori richiami all’osservanza delle norme di prudenza e diligenza avrebbero il solo scopo di rafforzare la generale esigenza di rispetto delle regole sportive 25. Tuttavia, già in passato, la Corte di Cassazione ha segnalato come il regolamento sportivo non sia di per sé idoneo a prevenire compiutamente tutte le possibili violazioni dell’integrità fisica dell’avversario 26. In ogni caso, vi è assoluta convergenza nel ritenere sempre perseguibili, sia sul versante sportivo che su quello civile – ed eventualmente penale –, i comportamenti lesivi che, sebbene compiuti nell’ambito di un incontro calcistico, risultino totalmente avulsi dalle esigenze di gara (si pensi al “fallo di reazione” ovvero al fallo a gioco fermo o a “palla lontana”). Così, ad 23

Cass., Sez. III, 20 agosto 2015, n. 17038, in Pluris. Cass. n. 7247/2011, cit.; in questo senso anche Trib. Piacenza, 1° giugno 2010, in Foro it., I, 2010, c. 2219. 25 Così G. DE MARZO, Accettazione del rischio e responsabilità sportiva, in Riv. dir. sport., 1992, p. 10 ss.; M. SFERRAZZA, La scriminante sportiva nel gioco del calcio, in Riv. dir. econ. sport, 2008, p. 53 ss. 26 Cass. pen., Sez. II, 9 ottobre 1950, in Riv. dir. sport., 1950, p. 107 ss. 24

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esempio, la stessa Cassazione ha escluso la sussistenza di apprezzabili cause di giustificazione in relazione alla condotta del calciatore che aveva colpito volontariamente al volto l’avversario appena andato in rete 27. Sulla base di quanto detto finora, la responsabilità di chi pratica uno sport “a contatto eventuale” sembra delinearsi come segue: nel caso in cui venga infranto il regolamento di gioco, ma il gesto non sia intenzionalmente violento, si ricadrà nell’ambito del rischio consentito e potrà configurarsi un illecito meramente sportivo (responsabilità sportiva); differentemente, qualora il comportamento che viola il regolamento sia intenzionalmente violento, ovvero, se pur lo stesso, non violando il regolamento, oltrepassi le finalità del gioco o fuoriesca dal rischio consentito, si ricadrà nell’ambito dell’illiceità (responsabilità) civile e penale 28. 1.2.2. (Segue) Gli sport “a contatto proibito”. Negli sport “a contatto proibito” o “a rischiosità nulla” (es. tennis, atletica leggera, nuoto, golf, ecc.) ogni possibilità di contatto fisico o di utilizzo di violenza contro gli avversari è esclusa alla radice dalle regole del gioco. Pertanto, il gesto particolarmente violento che, durante la pratica di tali discipline, comporti una lesione ad altri viene può essere sanzionato, sussistendo tutti i presupposti di cui al Codice civile, con il risarcimento del danno. 1.2.3. (Segue) Le attività sportive pericolose. La categoria (a) delle attività sportive pericolose e degli sport estremi comprende quegli sport nei quali il rischio di subire lesioni non dipende dal possibile contatto fisico tra gli avversari, ma è intrinseco alla disciplina stessa ovvero ai mezzi o agli strumenti utilizzati nell’esercizio della pratica sportiva (es. paracadutismo, arrampicata, gare motoristiche, caccia, sci e sport sulla neve in genere, ciclismo su strada, ecc.). Nel caso di gare automobilistiche e motociclistiche disputate su circuito chiuso o in strade non aperte al traffico, la giurisprudenza ha ritenuto che non possano trovare applicazione le ordinarie norme di comportamento prescritte ai conducenti di veicoli nella circolazione stradale 29; resta fermo, 27

Cass. pen., Sez. V, 21 settembre 2005, n. 45210, in Pluris. M. PITTALIS, Fatti lesivi e attività sportiva, Cedam, Padova, 2016, p. 10; in giurisprudenza, v. Cass. pen., Sez. IV, 1° giugno 2010, n. 20595, in Foro it., II, 2010, c. 361. 29 Cass., Sez. III, 6 maggio 2008, n. 11040, in Giust. civ., I, 2008, p. 2136; Cass. pen., Sez. IV, 29 gennaio 1988, n. 1021, in Riv. dir. sport., 1989, p. 66. 28

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comunque, il dovere dei conducenti di osservare i regolamenti sportivi e organizzativi e di improntare la loro condotta alla massima perizia al fine di tutelare l’integrità dei terzi spettatori e degli avversari 30. Pare evidente, poi, che la valutazione circa un’eventuale responsabilità del concorrente non possa fondarsi sui normali criteri di comportamento ma deve tener conto delle peculiarità delle competizioni sportive e dell’alto livello di audacia che inevitabilmente le caratterizza 31. Diversamente, qualora la competizione si svolga su strada aperta al traffico, grava sui conducenti l’obbligo di rispettare tutte le norme riguardanti la circolazione stradale (limiti di velocità, segnaletica, ecc.), dovendosi garantire in ogni caso la sicurezza degli altri utenti, anche a scapito delle finalità agonistiche. In tale contesto, pertanto, un’eventuale responsabilità dei concorrenti deve essere valutata alla stregua dell’art. 2054 c.c., che prevede un’inversione dell’onere della prova, incombendo sul danneggiante la dimostrazione di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno 32. Fino a prova contraria, inoltre, i conducenti dei veicoli che si siano tra loro scontrati si presumono corresponsabili. Le considerazioni appena svolte possono essere richiamate nel ciclismo su strada con riferimento alla responsabilità dei corridori per i danni cagionati in occasione di competizioni ciclistiche. Anche in questo caso, infatti, bisogna distinguere le ipotesi in cui la gara si sia disputata su circuiti chiusi da quelle in cui sia avvenuta su strade aperte al traffico 33. Nondimeno, in base all’art. 19 della l. 24 dicembre 2003, n. 363, recante 30

Cass., Sez. VI-3, 2 febbraio 2017, n. 2857, in Pluris; Cass. n. 11040/2008, cit.; Cass. pen. n. 1021/1988, cit., p. 66; Cass., Sez. III, 14 giugno 1950, n. 1511, in Riv. dir. sport., 1953, p. 31 ss.; nello stesso senso anche App. Trento, 31 luglio 1982, in Riv. dir. sport., 1983, p. 413 ss. 31 Trib. Perugia, 1° dicembre 1987, in Nuova giur. civ. comm., I, 1988, p. 242; sul punto, v. da ultimo le considerazioni svolte a margine della sentenza del Trib. Bologna, 17 settembre 2019, di V. BRIZZOLARI, Morte del pilota nella gara automobilistica e responsabilità dell’organizzatore, in Danno resp., 4, 2020, 512 ss. 32 Cass., Sez. V, 18 dicembre 1975, n. 12273, in Riv. dir. sport., 1976, p. 50. Al riguardo v. R. FRAU, La responsabilità civile sportiva nella giurisprudenza. Gare automobilistiche e motoristiche, in Resp. civ. prev., 2008, p. 1730 ss. 33 La condotta del corridore non conforme alle norme della circolazione, ma giustificata dalle esigenze di gara, è stata talvolta consentita in virtù della presenza di un adeguato servizio di vigilanza e di segnalazione della corsa agli utenti della strada (Trib. Verona, 20 marzo 1995, in Riv. dir. sport., 1996, p. 94 ss.; Cass., Sez. II, 3 aprile 1981, n. 1896, ivi, 1982, p. 62 ss.).

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«Norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo», la regola della presunzione fino a prova contraria dell’uguale concorso alla produzione del danno si applica anche allo scontro tra sciatori non impegnati in gara e che pratichino lo sci a livello amatoriale 34. Tale norma, invero, ha funzione sussidiaria, operando soltanto nel caso in cui le risultanze probatorie non consentano di accertare in modo concreto in quale misura la condotta dei due sciatori abbia cagionato l’evento dannoso. La disposizione in esame, riproducendo pedissequamente l’art. 2054, comma 2, c.c., ha permesso di superare i problemi che si erano posti in precedenza, soprattutto nello sci amatoriale, stante la difficoltà di considerare gli sci alla stregua dei veicoli 35. Va però detto che nello sci praticato in contesti agonistici il verificarsi di incidenti tra i gareggianti è assai raro. Quando ciò accade, poi, è molto probabile che le lesioni ricadano nell’ambito del rischio consentito, con conseguente esonero del danneggiante da responsabilità. Quanto all’attività venatoria, essa va inquadrata nell’ambito delle attività pericolose ex art. 2050 c.c., in ragione degli strumenti utilizzati 36. Pertanto, chiunque cagioni un danno nell’esercizio di tale attività sarà tenuto a risarcimento, salvo che non provi di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare l’evento lesivo. Così, facendo applicazione della disposizione appena richiamata, il giudice di merito ha condannato al risarcimento il cacciatore che, con un colpo d’arma, aveva provocato la perdita di un occhio al compagno di caccia 37. Anche per questa ragione l’art. 12, comma 8, l. 11 febbraio 1992, n. 157 ha disposto che la caccia possa essere praticata solo da soggetti maggio34 Per un’applicazione di tale presunzione agli sport invernali v. Trib. Avezzano, 25 aprile 2009, in Giur. merito, 2009, p. 2146. 35 Sul punto v. R. CAMPIONE, La responsabilità dei gestori e degli utenti delle aree destinate alla pratica degli sport invernali, in Resp. civ., 2005, p. 79 ss.; in ogni caso, si può segnalare come talvolta sia stata applicata al caso di scontro tra sciatori la disciplina dell’art. 2050 c.c. (Pret. Porretta Terme, 20 giugno 1968, n. 46, in Resp. civ. prev., 1968, p. 495 ss.; contra App. Bologna, 26 febbraio 1972, in Giur. it., I, 1973, p. 964 ss.); in altri si è applicata la disciplina prevista in materia di circolazione stradale (Trib. Torino, 11 novembre 1983, n. 5199, in Arch. giur. circolaz., 1985, p. 124 ss.; contra Cass., Sez. III, 1 aprile 1980, n. 2111, in Riv. dir. sport., 1980, p. 354 ss.; Cass., Sez. III, 30 luglio 1987, n. 6603, in Riv. dir. sport., 1988, p. 394 ss.) ed in particolare l’art. 2054, comma 2, c.c. (Trib. Bolzano, 5 aprile 1975, in Resp. civ. prev., 1976, p. 452 ss.). 36 Cass., Sez. III, 19 agosto 2003, n. 12109, in Giust. civ. mass., 2003, p. 7-8. 37 Trib. Pisa, 20 febbraio 1991, in Arch. civ., 1991, p. 1036 ss.

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renni, in possesso di valida licenza di porto di fucile per uso di caccia e titolari di una polizza assicurativa per la responsabilità civile verso terzi derivante dall’uso delle armi o degli arnesi utili all’attività venatoria. Nel novero delle discipline “pericolose” implicanti l’utilizzo delle armi è discusso se rientri anche la scherma. Al riguardo, si segnala la decisione con cui il Tribunale di Roma, dando rilievo al contesto ambientale in cui si era svolta l’attività sportiva, ha valutato in modo assai rigoroso la responsabilità dell’animatore turistico che, nell’ambito di un incontro di scherma svoltosi presso un villaggio vacanze «dal carattere di mera esibizione», aveva provocato lesioni gravissime all’avversario inesperto. Il giudice, evidenziando l’obbligo di non trascendere i limiti di quello che doveva restare un incontro dimostrativo, ha qualificato come illeciti “affondi” che, con ogni probabilità, sarebbero stati consentiti in sede agonistica 38.

2. La responsabilità degli insegnanti e degli istruttori sportivi. Il danno ad altri allievi e a terzi. Un’ulteriore ipotesi di responsabilità civile in ambito sportivo è configurabile in capo agli istruttori, i quali possono essere chiamati a rispondere per i danni provocati dagli allievi nell’esercizio della pratica sportiva. Al riguardo, è necessario distinguere le ipotesi di danno auto-procurato, nelle quali lo stesso allievo risulta essere il soggetto danneggiato, da quelle di danno cagionato da quest’ultimo a terzi (siano essi altri allievi, spettatori, o soggetti totalmente estranei alla manifestazione sportiva). Nel primo caso la relazione tra istruttore e allievo assumerà una rilevanza meramente interna, nel secondo, invece, anche esterna 39. In caso di danno a terzi, la responsabilità degli istruttori si fonda sull’art. 2048 c.c., dettato in materia di responsabilità dei «precettori» per il «il danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi (…) nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza». Infatti, a fronte della scomparsa dell’arcaica figura del “precettore” (al 38

Trib. Roma, 4 aprile 1996, in Resp. civ. prev., 1996, p. 1247 ss. Per la distinzione tra aspetti interni ed esterni della responsabilità dell’istruttore sportivo v. S. PATTI, Insegnamento dello sport e responsabilità civile, in Resp. civ. prev., 1992, p. 510 ss. 39

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quale era affidata l’istruzione dei giovani rampolli delle famiglie signorili) 40, tanto la dottrina quanto la giurisprudenza hanno fornito un’interpretazione della norma, riferendola a tutti i soggetti che svolgono un’attività di insegnamento che implichi un potere di direzione, controllo e sorveglianza sulla condotta degli allievi, ivi inclusi gli istruttori sportivi 41. Nessun dubbio, poi, è sorto in merito alla possibilità di assoggettare alla medesima disciplina gli insegnanti scolastici e, in particolare, i docenti di educazione fisica, il cui ruolo comporta un’attività di vigilanza particolarmente pregnante. Si evince, dunque, che il rilievo attribuito alla relazione allievo-insegnante è tale da prevalere sullo specifico contesto nel quale l’attività di formazione o preparazione viene svolta 42. La responsabilità dei precettori viene comunemente considerata un’ipotesi di responsabilità indiretta per colpa propria. Essi, cioè, risponderebbero per il fatto commesso da altri (gli allievi) ma a titolo personale, per aver violato il loro dovere di vigilanza. Per di più, ai sensi dell’art. 2048, comma 3, c.c., la colpa del precettore (c.d. culpa in vigilando) è sempre presunta, salvo che questi dimostri di non aver potuto impedire il fatto. La giurisprudenza, invero, ha reso ben più difficile il compito di chi è chiamato a fornire la prova liberatoria, non accontentandosi della prova negativa di non aver potuto materialmente impedire l’evento per il suo carattere imprevedibile, ma pretendendo anche la dimostrazione positiva di aver adottato, in via preventiva, tutte le misure organizzative o disciplinari idonee ad evitare la situazione di pericolo 43. Ciò detto, il dovere di vigilanza cui sono tenuti i precettori non ha carattere assoluto, ma relativo, dovendo commisurarsi all’età e al grado di maturazione degli allievi, tenuto conto del caso concreto 44: pertanto, la condotta di chi svolge il ruolo di avviare allo sport i principianti dovrà es40

R. SETTESOLDI, La responsabilità civile dei precettori e dei maestri d’arte: i consolidati orientamenti giurisprudenziali e quelli in via di emersione, in Resp. civ. prev., 1999, p. 958 ss. 41 Cass., Sez. III, 18 luglio 2003, n. 11241, in Arch. civ., 2004, p. 684 ss. 42 F. MONCALVO, Sulla responsabilità civile degli insegnanti di educazione fisica e degli istruttori sportivi, in Resp. civ. prev., 2006, p. 1852 s. 43 V. Cass., Sez. III, 22 aprile 2009, n. 9542, in Giust. civ. mass., 2009, p. 663 ss. In argomento cfr. L. ROSSI CARLEO, La responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c., in Riv. dir. civ., II, 1979, p. 148 ss.; R. SCOGNAMIGLIO, voce Responsabilità per fatto altrui, in Noviss. Dig. It., Vol. XV, Utet, Torino, 1968, p. 691 ss. 44 Ex multis Cass., Sez. III, 4 febbraio 2005, n. 2272, in Resp. risarc., 2005, p. 10 ss.

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sere tanto più prudente quanto maggiore è la pericolosità della disciplina e quanto minori sono le capacità e le facoltà di apprendimento dell’allievo 45. In ogni caso, la responsabilità del precettore non esclude quella dell’allievo ex art. 2043 c.c., se questi, al momento del fatto, era capace di intendere e di volere; in tale ipotesi, infatti, allievo ed istruttore sono solidalmente responsabili, ex art. 2055 c.c. Non è escluso, inoltre, che nel caso di allievo minorenne la responsabilità dell’istruttore potrà concorrere con quella dei genitori per culpa in educando, laddove venga accertata l’inadeguata educazione del minore alla vita di relazione 46. Così come potrebbe accadere che, una volta accertata la responsabilità dell’istruttore ex art. 2048, comma 2, c.c., venga chiamata a rispondere, in virtù dell’art. 2049 c.c., anche l’organizzazione sportiva alle cui dipendenze l’istruttore presta la propria attività, ampliando, in questo modo, la tutela del danneggiato in ordine al risarcimento per il pregiudizio subíto 47. Qualora venisse rilevata dal giudice l’incapacità di intendere o di volere dell’allievo danneggiante, si potrebbe anche far ricorso all’art. 2047 c.c.; ciò specialmente se si considera la tenera età in cui i bambini incominciano ad esercitare l’attività sportiva 48. In tal caso, in virtù dell’esonero da responsabilità di cui gode l’incapace (art. 2046 c.c.), del danno ai terzi risponderebbe esclusivamente l’istruttore. Soltanto ove quest’ultimo riuscisse a dimostrare di aver fatto tutto il possibile per impedire il fatto illecito, potrebbe condannarsi l’incapace al pagamento di un’equa indennità.

2.1. Il danno provocato dall’allievo maggiorenne. Non è pacifico se si possa invocare la responsabilità degli istruttori anche nel caso in cui il fatto illecito sia stato commesso da un allievo maggiorenne. Infatti, mentre la giurisprudenza tende ad interpretare restrittiva45

In questi termini V. FRATTAROLO, La responsabilità civile per le attività sportive, Giuffrè, Milano, 1984, p. 97. 46 E. BATTELLI (a cura di), Diritto privato delle persone di età, Giappichelli, Torino, 2021, p. 34 ss. (in relazione al diritto del minore all’educazione) e p. 43 ss. (con riguardo alla responsabilità genitoriale). 47 Trib. Monza, 13 settembre 1988, in Resp. civ. prev., 1989, p. 1206, con nota di A. DASSI. 48 S. PATTI, op. cit., p. 510.

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mente l’art. 2048, comma 2, c.c., ritenendo che tale disposizione postuli la minore età del danneggiante 49, in dottrina la questione risulta fortemente controversa 50. A sostegno del primo indirizzo si invoca il fatto che l’estensione della presunzione di colpa a carico degli istruttori oltre la minore età determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla presunzione di colpa prevista, a carico dei genitori, dal comma 1 dell’art. 2048 c.c. 51. In senso opposto 52, invece, viene evidenziato come non vi siano nell’art. 2048, comma 2, c.c. elementi testuali che riferiscano agli allievi ed apprendisti il requisito della minore età. Inoltre, a ben vedere, la stessa ratio della disposizione in esame non sembra supportare l’interpretazione restrittiva. Il fondamento della responsabilità aggravata sancita dalla norma, infatti, deve rinvenirsi nel rilievo riconosciuto dal legislatore all’attività formativa impartita dal maestro rispetto alla quale l’età anagrafica dell’allievo non assume alcuna rilevanza. D’altronde, in ambito sportivo, un’attività di sorveglianza dell’insegnante si rende necessaria anche con riferimento agli allievi adulti, specie nel caso in cui questi siano alle prime armi o comunque inesperti e impreparati. Tale ultimo orientamento ha trovato conferma in una recente pronuncia di legittimità relativa alla possibilità di attribuire all’insegnante di educazione fisica la responsabilità per le lesioni riportate da una studentessa maggiorenne a seguito delle spinte subite da alcuni compagni di classe, anch’essi maggiorenni 53. In questa occasione, la Cassazione ha espressamente affermato che la vigilanza sul comportamento degli studenti non è legata alla minore o maggiore età degli stessi, ma è connessa all’attività di insegnamento. Ciò, tuttavia, non significa che la maggiore età dell’allievo sia del tutto ininfluente ai fini dell’accertamento della responsabilità ex art. 2048 c.c. del maestro. Infatti, l’obbligo di vigilanza sugli studenti si riduce progressivamente in base alla loro età e le stesse misure disciplinari e organizzative 49

Cass., Sez. III, 30 maggio 2001, n. 7387, in Studium Juris, 2001, p. 1377; per la giurisprudenza di merito v. Trib. Prato, 27 settembre 2011, n. 1000, in www.personaedanno.it, con nota di L. SANTORO. 50 Per un’analisi delle diverse opinioni in dottrina, v. R. SETTESOLDI, op. cit., p. 958 ss. 51 V. Cass. n. 7387/2001, cit. 52 Cfr. F. MONCALVO, op. cit., p. 1839 ss. 53 Cass., Sez. III, 31 gennaio 2018, n. 2334, in Foro it., 2018, I, p. 1266 ss.

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che si richiedono all’istruttore al fine di evitare situazioni di pericolo devono essere «commisurate all’età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi». Secondo la sentenza richiamata, la maggiore età finisce per incidere sul contenuto dell’onere probatorio dell’insegnante, costituendo un prezioso indice per la configurabilità, a suo favore, del caso fortuito. A questi, infatti, non potrà essere contestata alcuna violazione del dovere di vigilanza tutte le volte in cui la condotta dell’allievo sia in concreto imprevedibile, ovvero non corrispondente al livello di maturità e alla capacità di discernimento dallo stesso raggiunta.

2.2. Danni cagionati ad altri allievi e a terzi. Casistica. L’analisi della giurisprudenza in tema di responsabilità dell’istruttore sportivo per il danno cagionato dall’allievo ad altri soggetti offre una casistica piuttosto ampia, specie con riguardo alle lesioni provocate ad altri allievi. Con riferimento al tennis, ad esempio, si è affermata la responsabilità dell’istruttore per i danni subìti da un allievo, colpito da una pallina lanciata violentemente da un altro dei partecipanti al corso, mentre si stava esercitando nel servizio. In tale occasione, peraltro, è stato condannato (solidalmente) al risarcimento anche il centro sportivo, ritenuto responsabile del fatto illecito del proprio dipendente, ai sensi dell’art. 2049 c.c. 54. La responsabilità dell’istruttore sportivo è stata invece esclusa, dalla Cassazione, in relazione all’infortunio subìto da un minore nel corso di un allenamento di calcio, a causa di una violenta pallonata scagliata da un altro bambino. Nel caso di specie i giudici hanno evidenziato come la lesione fosse derivata da un comportamento inevitabile e normalmente praticato nel corso di una partita, rilevando, peraltro, l’assoluta diligenza dell’istruttore, che aveva formato gruppi di allievi della medesima età e di non differente costituzione fisica 55. C’è da segnalare, inoltre, una pronuncia ormai risalente, con cui la Suprema Corte ha stabilito l’assoggettabilità degli istruttori di nuoto alla disciplina di cui all’art. 2048, comma 2, c.c., traendo spunto dall’incidente 54 55

Trib. Monza, 13 settembre 1988, cit. Cass., Sez. III, 22 settembre 2016, n. 18600, in Danno resp., 2017, p. 193 ss.

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occorso ad uno dei partecipanti ad un corso di nuoto in piscina. Nel definire la controversia, i giudici hanno avuto modo di precisare le circostanze su cui debba vertere la prova liberatoria consistente nell’impossibilità di impedire il fatto, evidenziando come non sia sufficiente la dimostrazione di non essere stati in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l’inizio della serie causale che ha provocato il danno, in mancanza della prova dell’adozione delle misure preventive ed organizzative idonee ad evitare la situazione di pericolo 56. Il precetto di cui al comma 2 dell’art. 2048 c.c. ha, infine, trovato applicazione nel caso di un incidente verificatosi durante la fase di riscaldamento precedente ad una partita di hockey sul prato. Un giocatore, nel tentativo di effettuare un pericoloso colpo denominato “drive”, aveva colpito in pieno volto, con la mazza, un proprio compagno di squadra. La giurisprudenza, questa volta, ha richiamato la disposizione in esame per affermare la responsabilità dell’associazione sportiva di cui facevano parte entrambi i giocatori coinvolti nell’episodio, per non aver imposto agli atleti, tramite i propri allenatori presenti sul posto, il rispetto delle distanze di sicurezza 57.

2.3. Il caso di danno auto-procurato. Da ultimo, occorre analizzare gli aspetti “interni” relativi ai rapporti tra insegnante e allievo, al fine di accertare un’eventuale responsabilità del primo per il danno che il secondo abbia procurato a se stesso durante il periodo di affidamento. Da questo punto di vista viene in rilievo l’ipotesi del c.d. danno autoprocurato, in relazione alla quale sembra doversi escludere l’applicabilità dell’art. 2048 c.c., posto che, stando al tenore letterale, la norma si riferisce esclusivamente ai rapporti con i terzi. La presunzione di responsabilità dell’istruttore opererebbe, quindi, per i soli danni che gli allievi abbiano cagionato ad altri allievi o a soggetti estranei alla pratica sportiva. In passato, invero, non sono mancate opinioni differenti – inizialmente condivise anche da una parte della giurisprudenza di legittimità 58 – che so56

Cass., Sez. III, 27 marzo 1984, n. 2027, in Dir. prat. assic., 1985, p. 303 ss. Cass., Sez. III, 6 marzo 1998, n. 2486, in Resp. civ. prev., 1998, p. 1099 ss., con nota di R. FRAU. 58 Sul punto, v. Cass., Sez. Un., 11 agosto 1997, n. 7454, in Resp. civ. prev., 1998, p. 1071 ss., ove si afferma che «la Corte di cassazione ha più volte deciso, con riferimento 57

Capitolo Ottavo – La responsabilità civile dell’atleta

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stenevano la possibilità di applicare estensivamente l’art. 2048 c.c. anche al caso in esame 59. In altre decisioni, per contro, la Cassazione ha escluso il ricorso alla presunzione di cui al suddetto articolo, sostenendo che l’eventuale responsabilità del precettore per la condotta “autolesiva” dell’allievo potesse essere affermata solamente sulla base della regola generale sancita dall’art. 2043 c.c. e che, dunque, spettasse all’attore dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi costituivi dell’illecito aquiliano 60. A dirimere il contrasto giurisprudenziale venutosi a creare sono, quindi, intervenute le Sezioni Unite chiamate a pronunciarsi relativamente all’infortunio occorso ad una ragazza minorenne che, durante una lezione di educazione fisica in classe, era scivolata a terra riportando la rottura di due denti. La Cassazione non solo ha espressamente escluso la possibilità di invocare l’art. 2048 c.c. nei casi di danno auto-provocato, ma ha anche individuato nella responsabilità contrattuale di cui all’art. 1218 c.c. la fattispecie normativa su cui fondare la responsabilità del precettore per tale specifica ipotesi, escludendo l’applicabilità dell’art. 2043 c.c. In questo modo viene affermata la natura contrattuale della responsabilità dell’insegnante, alla quale, peraltro, si affianca quella dell’istituto scolastico, anch’essa contrattuale sulla base del vincolo negoziale sorto al momento dell’iscrizione. Per i giudici, infatti, pur in assenza di un contratto, sussiste comunque tra l’allievo e il maestro un rapporto giuridico in forza del quale quest’ultimo è tenuto a uno specifico obbligo di controllo e vigilanza al fine di evitare che l’allievo si procuri da solo un danno. La Corte giunge a tale conclusione richiamando la teoria del c.d. contatto sociale, secondo cui l’affidamento che si ripone in un soggetto in virtù della sua qualifica professionale e delle particolari competenze tecniche dà origine, sulla base del generale precetto di buona fede, a specifici obblighi di protezione. all’ipotesi di responsabilità sancita dall’art. 2048 del codice civile, che la colpa può riguardare il danno procurato dall’allievo a se stesso con la sua condotta, perché l’obbligo di vigilanza dell’insegnante è imposto anche a tutela degli allievi a lui affidati». 59 M. COMPORTI, Fatti illeciti: le responsabilità presunte, in Comm. Schlesinger, sub artt. 2044-2048 c.c., Giuffrè, Milano, 2002, p. 302. 60 Ex multis Cass., Sez. III, 10 luglio 1958, n. 2485, in Mass. giur. it., 1958, c. 561; Cass., Sez. III, 12 luglio 1974, n. 2110, in Giur. it., I, 1975, c. 70 ss.; Cass., Sez. III, 13 maggio 1995, n. 5268, in Nuova giur. civ. comm., 1996, p. 239 ss.

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La configurazione in termini contrattuali della responsabilità del precettore per le condotte “autolesive” dell’allievo ha immediato rilievo sotto il profilo dell’onere probatorio. Il danneggiato, infatti, dovrà provare solamente che il danno si sia verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre spetterà al precettore dimostrare che l’evento dannoso sia stato determinato da causa a lui non imputabile. In modo analogo a quanto sin qui esposto, numerose pronunce hanno ricondotto sotto l’ambito applicativo dell’art. 1218 c.c. anche la responsabilità degli allenatori per gli infortuni occorsi agli atleti durante lo svolgimento, sotto la loro guida, dell’attività sportiva presso appositi centri o palestre. Pure in questi casi, infatti, il contatto sociale tra l’allievo e l’istruttore giustifica la qualificazione in senso contrattuale del rapporto, nonostante la mancanza di uno specifico contratto. A titolo di esempio, è stata declinata in termini contrattuali la responsabilità dell’istruttore per l’infortuno riportato da un allievo di atletica, nel corso di un allenamento in palestra, in seguito a una caduta causata dallo spostamento di un materassino, non correttamente allineato, che componeva la pedana degli atleti 61. Ancora, si è fatta applicazione dell’art. 1218 c.c. in relazione ad un caso di infortunio che aveva riguardato un bambino, caduto malamente durante un corso di sci, con conseguente rottura della tibia. L’insegnante, in tale occasione, è stato ritenuto responsabile per aver fatto affrontare al piccolo allievo una pista complicata, in un giorno in cui la neve era in pessime condizioni 62. Va, comunque, segnalato come, in tutti questi casi, residui pur sempre un’area di infortuni rientranti nel rischio normale dell’attività sportiva praticata, in relazione ai quali l’istruttore deve ritenersi esente da responsabilità.

61 62

Cass., Sez. VI, 11 luglio 2017, n. 29621, in DeJure. Cass., Sez. III, 11 giugno 2012, n. 9437, in Dir. giust., 2012.

CAPITOLO NONO

LA RESPONSABILITÀ DELL’ORGANIZZATORE DI EVENTI E DEL GESTORE DEGLI IMPIANTI SPORTIVI di Gennaro Di Martino

SOMMARIO 1. La responsabilità civile dell’organizzatore di eventi. – 2. Titoli di responsabilità. – 2.1. Responsabilità verso gli spettatori. – 2.2. Responsabilità dell’organizzatore nei confronti degli atleti. – 3. L’organizzazione di eventi come attività pericolosa (art. 2050 c.c.). – 3.1. La responsabilità delle società calcistiche. – 4. La responsabilità del gestore di impianti. – 4.1. Giurisprudenza in materia di responsabilità del gestore di impianti.

1. La responsabilità civile dell’organizzatore di eventi. Nello studio della responsabilità civile in ambito sportivo specifica rilevanza assumono le fattispecie della responsabilità dell’organizzatore di eventi e del gestore degli impianti. Per organizzatore di eventi deve intendersi qualunque soggetto di diritto (persona fisica o giuridica) che promuove «l’incontro di uno o più atleti con lo scopo di raggiungere un risultato in una o più discipline sportive, indipendentemente dalla presenza o meno di spettatori», assumendosi tutte le responsabilità previste dall’ordinamento giuridico (civile, penale ed amministrativa) 1. 1

P. DINI, L’organizzatore e le competizioni: limiti della responsabilità, in Riv. dir. sport., 1971, p. 418.

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La qualifica di “organizzatore di eventi sportivi” non è legata alla sua posizione sportiva e, dunque, non è subordinata all’adesione ad una Federazione che appartenga agli organismi sportivi riconosciuti. Da quest’ultimo punto di vista, certamente, si possono distinguere organizzatori di diritto ed organizzatori di fatto: i primi appartengono ad una federazione e sono regolarmente autorizzati ad organizzare manifestazioni sportive; i secondi, invece sono soggetti non federati o non autorizzati. A questi si aggiungono, peraltro, gli organizzatori pro tempore, i quali risultano essere non federati, ma regolarmente autorizzati ad organizzare eventi 2. Tuttavia, bisogna precisare come tale distinzione rilevi esclusivamente ai fini dell’omologazione dei risultati delle gare, non anche dal punto di vista dell’ordinamento giuridico generale. Qualsiasi organizzatore (di diritto o di fatto) che mediante la propria condotta violi una norma giuridica, infatti, risponderà del suo operato davanti all’autorità giudiziaria, indipendentemente dalla sua posizione sportiva 3. Occorre, inoltre, precisare come nel concetto di “evento” rientrino tanto le competizioni sportive, quanto le manifestazioni sportive. La “competizione sportiva” è quell’incontro individuale – anche quando svolta da un unico atleta (es. tentativo del record assoluto di velocità per autovetture) – o a squadre in cui il risultato si raggiunge in una sola e determinata disciplina sportiva (es.: una partita di calcio). La “manifestazione sportiva”, invece, consiste in un insieme di competizioni, ciascuna con propria autonomia ed individualità, che si svolgono all’interno di un medesimo contesto (es. gare automobilistiche aperte a più classi di vetture o gare di sci di diverse specialità) 4. Tutto ciò dimostra come la categoria dell’organizzatore di eventi sia davvero ampia ed eterogenea e non si caratterizza tanto sotto il profilo della natura o della forma giuridica, quanto piuttosto dal fine perseguito 5, 2

P. DINI, op. cit., p. 419. S. GALLIGANI-A. PISCINI, Riflessioni per un quadro generale della responsabilità civile nell’organizzazione di un evento sportivo, in Riv. dir. econ. sport, 2007, p. 122. 4 P. DINI, op. cit., p. 418. L’A. rileva come, sebbene la distinzione possa sembrare meramente teorica, in realtà, finisce per avere importanti risvolti pratici, dal momento che «quanto più è complessa l’opera dell’organizzatore più complesse sono le sue responsabilità». 5 F. DI CIOMMO-V. VITI, La responsabilità civile in ambito sportivo, in L. CANTAMESSAG.M. RICCIO-G. SCIANCALEPORE (a cura di), Lineamenti di diritto sportivo, Giuffrè, Milano, 2008, p. 290. 3

Capitolo Nono – La responsabilità dell’organizzatore di eventi

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rappresentato dalla promozione della competizione e dal potere di controllo e di direzione della stessa 6. Per questa ragione, l’organizzatore ha sempre il compito di garantire la tutela dell’ordine pubblico. A tal fine è prevista la presenza all’evento delle forze dell’ordine che devono essere allertate dall’organizzatore, il quale in caso contrario verserà in re illicita e potrà essere chiamato a risponderne 7. Le forze dell’ordine, d’altra parte, non hanno il potere di interferire con l’organizzazione ed i relativi aspetti tecnici, quando non siano violati i precetti dell’autorità amministrativa; al contrario, devono intervenire laddove l’organizzatore non sia in grado di tutelare diversamente la pubblica incolumità e assicurare la regolarità della competizione 8. Nel vigilare sulla sicurezza dei luoghi in cui l’evento si svolge l’organizzatore deve predisporre ogni cautela necessaria a evitare un pericolo nei confronti dei partecipanti: ciò può concretarsi nell’affissione di cartelli o manifesti segnalatori, nel transennamento di determinate aree o ancora nella predisposizione di un servizio di sorveglianza 9. Il grado di prudenza e diligenza dipenderà, peraltro, dalle circostanze del caso concreto. Di particolare rilevanza risulta la rigorosa osservanza delle norme in materia di pubblica sicurezza, nonché il rispetto delle regole federali, delle circolari e di tutte quelle disposizioni emesse dalla autorità governativa competente a tutela degli interessi della collettività, tenuto conto, altresì, dello specifico tasso di pericolosità che si accompagna a ciascuna attività sportiva 10.

6

M. PITTALIS, La responsabilità contrattuale ed aquiliana dell’organizzatore di eventi sportivi, in Contr. e impr., 2011, p. 151 ss. 7 M. PITTALIS, La responsabilità contrattuale ed aquiliana, cit., p. 157. 8 P. DINI, op. cit., p. 423. 9 G. VIDIRI, La responsabilità civile nell’esercizio delle attività sportive, in Giust. civ., II, 1994, p. 202 ss. 10 G. VIDIRI, La responsabilità civile, cit., p. 203.

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2. Titoli di responsabilità. 2.1. Responsabilità verso gli spettatori. La responsabilità dell’organizzatore nei confronti degli spettatori si fonda su un diverso titolo a seconda che si tratti di spettatore pagante o non pagante. Nei confronti degli spettatori paganti, l’organizzatore può risultare responsabile tanto a titolo contrattuale, quanto extracontrattuale. Ciò in quanto si ritiene che, con la vendita del biglietto, l’organizzatore si obbliga a garantire allo spettatore il godimento dello spettacolo comprendendo tale obbligo anche quello di adottare tutte le misure idonee ad assicurare l’incolumità del pubblico 11. Lo spettatore pagante, dunque, ha a disposizione nei confronti dell’organizzatore tanto l’azione contrattuale quanto quella extracontrattuale: le due azioni, infatti, non sono alternative fra di loro, ma sono suscettibili di cumulo. Da lungo tempo, d’altronde, la giurisprudenza ammette che il cumulo dei due tipi di responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale) sia «legittimamente invocabile quando uno stesso fatto autonomamente generatore di danno integri gli estremi tanto dell’inadempimento contrattuale, quanto del torto aquiliano» 12 e, dunque, quando «in capo ad una stessa persona danneggiata sussiste una molteplicità di situazioni protette, in relazione sia ad un precedente obbligo relativo, sia a divieti generali ed assoluti» 13. 11 G. STIPO, La responsabilità civile nell’esercizio dello sport, in Riv. dir. sport., 1961, p. 43 ss.; G. GIANNINI, La responsabilità civile degli organizzatori di manifestazioni sportive, in Riv. dir. sport., 1986, p. 277 ss.; G. CONRADO, Ordinamento giuridico sportivo e responsabilità dell’organizzatore di una manifestazione sportiva, in Riv. dir. sport., 1991, p. 3 ss. In giurisprudenza, v. App. Milano, 30 marzo 1990, in Riv. dir. sport., 1990, p. 495 ss. 12 Cass., Sez. III, 25 luglio 2006, n. 16937, in Contr., 2007, p. 550 ss. 13 Cass., Sez. I, 6 marzo 1995, n. 2577, in Pluris, e Cass., Sez. I, 21 giugno 1999, n. 6233, in Pluris; più recentemente queste conclusioni sono state richiamate da Cass., Sez. III, 30 ottobre 2018, n. 27461, in Foro it., 2019, c. 522. Tale orientamento affonda le radici in una nota pronuncia con la quale la Cassazione ha affermato che: «la responsabilità contrattuale e quella extracontrattuale possono concorrere allorché un unico comportamento risalente al medesimo autore, e quindi un evento dannoso unico nella sua genesi soggettiva, appaia di per sé lesivo non solo di specifici diritti derivanti al contraente dalle clausole contrattuali, ma anche dei diritti assoluti che alla persona offesa spettano di non subire pregiudizi all’onore, alla propria incolumità personale ed alla proprietà di cui è titolare» (Cass., Sez. Lav., 7 agosto 1982, n. 4437, in Resp. civ. prev., 1984, p. 78 ss.).

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In definitiva, qualora lo spettatore subisca un danno all’interno dell’evento sportivo potrà scegliere di agire in via contrattuale, con indubbi vantaggi sul piano probatorio e di prescrizione, ovvero in via extracontrattuale con un maggiore onere probatorio ed un termine prescrizionale più breve, ma con la possibilità di ottenere anche il risarcimento dei danni non prevedibili 14. Diversa è, invece, l’ipotesi dello spettatore non pagante (o soggetti estranei all’evento, o abusivi), nei cui confronti l’organizzatore risponde esclusivamente a titolo extracontrattuale.

2.2. Responsabilità dell’organizzatore nei confronti degli atleti. La responsabilità dell’organizzatore di eventi sportivi nei confronti degli atleti discende dalla violazione di determinati obblighi di controllo di cui egli risulta destinatario 15. In primo luogo, l’organizzatore risponde per la sicurezza e l’idoneità degli impianti utilizzati e dei luoghi in cui si svolge l’evento 16. A tal fine è previsto che, ai sensi degli artt. 68 e 71, r.d. 18 giugno 1931, n. 773, chi organizza un evento sportivo a pagamento in un luogo pubblico, o aperto al pubblico, sia tenuto a richiedere l’apposita licenza alla questura; diversamente, quando l’evento sia sprovvisto di una finalità di lucro, l’organizzatore è tenuto unicamente ad avvisare (con almeno tre giorni di anticipo) l’autorità locale dello svolgimento dello stesso, salva la facoltà per l’autorità stessa di invitare ugualmente l’organizzatore a munirsi della suddetta licenza e ad informare la questura, nel caso in cui l’evento possa assumere i caratteri dello spettacolo pubblico ai sensi dell’art. 123, r.d. 6 maggio 1940, n. 635 17. Il rilascio della licenza, ai sensi dell’art. 119, r.d. n. 635/1940, viene subordinato all’apprestamento di ripari materiali per il pubblico e alla fornitura di assistenza sanitaria in caso di infortuni 18. 14

S. GALLIGANI-A. PISCINI, op. cit., p. 122; M. PITTALIS, La responsabilità contrattuale ed aquiliana, cit., p. 175 s. 15 P. DINI, op. cit., p. 424; M. PITTALIS, La responsabilità contrattuale ed aquiliana, cit., p. 157 s. 16 B. BERTINI, La responsabilità sportiva, Giuffrè, Milano, 2002, p. 122. 17 M. PITTALIS, La responsabilità contrattuale ed aquiliana, cit., p. 160. 18 B. BERTINI, op. cit., p. 123.

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Inoltre, nella verifica dell’idoneità dei luoghi, l’organizzatore deve conformarsi non solo alle disposizioni emanate dall’autorità locale, ma anche agli specifici controlli che le singole discipline sportive implicano (come ad esempio accade per le gare su strada o per l’alpinismo). Nell’adempimento di tali obblighi, infine, l’organizzatore è tenuto a rispettare le norme generali di prudenza e diligenza 19. Un secondo obbligo di controllo gravante sull’organizzatore attiene alla verifica circa l’idoneità e la sicurezza dei mezzi tecnici utilizzati dagli atleti, indipendentemente dal soggetto che li fornisce. Quando gli atleti, per gareggiare, debbano fare ricorso a determinati strumenti, c.d. mezzi tecnici (es. martello, giavellotto, peso, disco, ecc.), l’organizzatore è tenuto ad assicurarne l’idoneità e la sicurezza. Ciò, in concreto, avviene mediante l’adeguamento degli stessi ai requisiti previsti dai regolamenti federali e tramite l’adozione di misure per evitare il verificarsi di fatti dannosi, come ad esempio, con riferimento all’atleta, la buca di caduta per il salto con l’asta e con riferimento al pubblico, la rete metallica di protezione della pedana per il lancio del martello 20. La verifica dell’idoneità dei mezzi tecnici è prevista anche quando si tratti di mezzi “propri” dell’atleta (es. i guantoni da boxe). L’organizzatore, dunque, risponde nel caso in cui abbia omesso il controllo di tali mezzi, mentre va esente da responsabilità qualora l’atleta si sia dolosamente sottratto a tale controllo 21. Un ultimo profilo di responsabilità dell’organizzatore nei confronti degli atleti riguarda l’accertamento dell’idoneità psico-fisica di questi ultimi. L’organizzatore, infatti, deve assicurarsi che l’atleta sia in grado di sostenere gli sforzi richiesti da una gara agonistica. In via generale tale obbligo si considera assolto nel momento in cui ci si attenga agli esami sanitari a cui le federazioni sottopongono gli atleti. Tuttavia, quando tali diagnosi manchino o allorché sussistano determinati elementi che facciano dubitare della validità delle stesse, l’organizza19

V. FRATTAROLO, La responsabilità civile per le attività sportive, Giuffrè, Milano, 1984, p. 118; M. PITTALIS, La responsabilità contrattuale ed aquiliana, cit., p. 161 s.; in giurisprudenza, v. Cass. pen., Sez. IV, 6 settembre 2010, n. 32697, in Resp. civ., 2010, p. 791 ss.; contra, B. BERTINI, op. cit., p. 132 ss.; R. FRAU, La responsabilità sportiva, in P. Cendon (a cura di), Il diritto privato nella giurisprudenza, Vol. X, Utet, Torino, 1998, p. 358 ss. 20 B. BERTINI, op. cit., p. 121. 21 P. DINI, op. cit., p. 426; V. FRATTAROLO, op. cit., p. 125.

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tore deve provvedere alla verifica delle reali condizioni psico-fisiche dell’atleta 22. Ciò spiega perché, di norma, sia prevista la presenza ai bordi del terreno di gioco di un medico sportivo, il quale in qualunque momento della gara è in grado di assicurare un intervento immediato in caso di incidente. Nell’effettuare tutte le verifiche e i controlli sinora esposti, l’organizzatore si avvale, generalmente, di propri ausiliari e collaboratori, del cui operato sarà chiamato a rispondere ai sensi degli artt. 1228 e 2049 c.c. 23. Il limite posto alla responsabilità dell’organizzatore nei confronti degli atleti è rappresentato dal rischio consentito nelle singole attività sportive. Come, infatti, ha chiarito la giurisprudenza, l’attività sportiva implica l’accettazione del rischio ad essa inerente da parte di tutti coloro che vi partecipano (includendo in tale categoria non solo gli atleti, ma anche gli altri soggetti che si pongono nel campo di gara o ai suoi limiti, come ad es. direttori di gara, tecnici, ecc.); pertanto, quando un gareggiante subisca un danno rientrante nell’alea normale, questo ricadrà su di esso, e all’organizzatore, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, basterà dimostrare di aver predisposto le normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi 24.

3. L’organizzazione di eventi come attività pericolosa (art. 2050 c.c.). L’art. 2050 c.c., rubricato «responsabilità per l’esercizio di attività pericolose», stabilisce che «chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno». La norma sottrae all’art. 2043 c.c. il fenomeno delle attività pericolose, assoggettandole a un regime di responsabilità particolarmente gravoso per l’esercente. 22

B. BERTINI, op. cit., p. 128. M. PITTALIS, La responsabilità contrattuale ed aquiliana, cit., p. 158. 24 Cass., Sez. III, 27 ottobre 2005, n. 20908, in Danno resp., 2006, p. 633 ss., con nota di M. FERRARI, Rischio sportivo e responsabilità sciistica: spunti comparatistici da Francia e Stati Uniti. 23

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Poiché, in astratto, tutte le attività umane possono essere pericolose, è chiaro che la norma si dirige nei confronti di quelle attività che contengano in sé non una mera possibilità, bensì un’alta probabilità di produrre danni a terzi 25: si parla, infatti, di attività pericolose con riferimento a quella serie di atti in cui la pericolosità rappresenta un dato tipico e immanente all’attività considerata, e cioè consista in una potenzialità lesiva di grado superiore al normale 26. Da ciò ne discende che la nozione di attività pericolosa non può essere circoscritta alle sole attività così qualificate dalla legge (c.d. attività tipiche, come quelle individuate dalla legge di pubblica sicurezza), ma dev’essere estesa a tutte quelle attività che, per loro natura o per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comportino una rilevante possibilità del verificarsi di un danno (c.d. attività atipiche) 27. Alla luce di tali criteri, la giurisprudenza ha stabilito che l’organizzazione di una gara sportiva non può essere considerata “attività pericolosa” relativamente ai danni subiti dagli atleti, dei quali è prevedibile la verificazione, in quanto provocati dagli inevitabili errori del gesto sportivo degli atleti impegnati nella gara. Nondimeno, la medesima attività è suscettibile di rientrare nella suddetta nozione se, in conseguenza di essa, gli atleti sono stati esposti a conseguenze più gravi di quelle che potevano essere determinate dai predetti errori 28. Il requisito della pericolosità, infatti, dev’essere accertato con valutazione svolta caso per caso, tenendo presente che anche un’attività per natura non pericolosa può diventarla in ragione delle modalità con cui viene esercitata o dei mezzi impiegati per espletarla. L’indagine fattuale deve essere svolta seguendo il criterio della prognosi postuma, in base alle circostanze esistenti al momento dell’esercizio dell’attività 29. 25

M. COMPORTI, Fatti illeciti: le responsabilità oggettive: sub art. 2050 c.c., in Cod. civ. Commentario Schlesinger-Busnelli, Giuffrè, Milano, 2009, p. 186 ss. 26 M. BONA-A. CASTELNUOVO-P. MONATERI, La responsabilità civile nello sport, Ipsoa, Milano, 2002, p. 34 ss. 27 E. BONVICINI, La responsabilità civile per fatto altrui, Giuffrè, Milano, 1976, p. 191; M. PITTALIS, La responsabilità contrattuale ed aquiliana, cit., p. 177; M. FRANZONI, La responsabilità civile nell’esercizio di attività sportive, in Resp. civ., 2009, p. 923 ss. 28 Cass., Sez. III, 13 febbraio 2009, n. 3528, in Nuova giur. civ. comm., 2009, p. 764 ss., con nota di L. FRATA, La responsabilità per attività pericolosa del gestore di ippodromo e degli organizzatori di attività agonistiche: due recenti pronunce della Cassazione. 29 Ex multis, Cass., Sez. III, 19 luglio 2018, n. 19180, in Pluris; Cass., Sez. III, 29 luglio

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Sulla scorta di quanto sinora esposto, la giurisprudenza ha escluso la possibilità di qualificare come pericolosa l’attività ginnica prevista nel programma di educazione fisica delle scuole medie inferiori che si svolga mediante esercizi a corpo libero senza impiego di strumenti particolari 30. Al contrario, ritiene sistematicamente che l’organizzazione di una gara di rafting 31 o di gare motoristiche 32, debba qualificarsi come “attività pericolosa”. In particolare per queste ultime, l’art. 9 del codice della strada subordina lo svolgimento di competizioni sportive con veicoli a motore al rilascio dell’autorizzazione comunale del luogo in cui si svolge la gara, «sentite le federazioni nazionali sportive competenti e dandone tempestiva informazione all’autorità di pubblica sicurezza»; inoltre, ai sensi dell’art. 124 cod. ass. priv., le competizioni sportive di qualsiasi genere di veicoli a motore «non possono essere autorizzate, anche se in circuiti chiusi, se l’organizzatore non abbia provveduto a contrarre assicurazione per la responsabilità civile». Del pari, la giurisprudenza annovera tra le attività sportive pericolose la caccia, in ragione della natura dei mezzi adoperati, ossia delle armi da fuoco, che naturalmente risultano essere mezzi destinati all’offesa, e come tali, pericolosi per l’incolumità pubblica 33.

2015, n. 16052, in Danno resp., 2016, p. 155 ss., con nota di M. TOPI, Attività pericolose “atipiche” ex art. 2050 c.c.; Cass., Sez. III, 6 aprile 2006, n. 8095, in Pluris; Cass., Sez. III, 29 maggio 1998, n. 5341, in Giur. it., 1999, p. 707 ss. 30 Cass. n. 8095/2006, cit. 31 Cass., Sez. VI-3, ord. 28 luglio 2017, n. 18903, in Pluris. Nell’ordinanza, si è altresì affermato che in questo tipo di attività sportive pericolose, in cui il rischio che un partecipante si procuri un danno è più elevato della media, l’organizzatore deve «nell’ambito della diligenza richiesta per l’esecuzione della propria obbligazione contrattuale, illustrare la difficoltà dell’attività o del relativo passaggio e predisporre cautele adeguate affinché gli stessi, se affrontati, possano essere svolti da tutti i partecipanti in condizioni di sicurezza». 32 Relativamente all’organizzazione di una gara motociclistica su circuito aperto al pubblico, si veda: Cass., Sez. III, 24 gennaio 2000, n. 749, in Foro it., I, 2000, c. 2861 ss. Recentemente, ha confermato tale indirizzo Trib. Bologna, 17 settembre 2019, in Danno resp., 4, 2020, p. 505 ss., con nota di V. BRIZZOLARI, Morte del pilota nella gara automobilistica e responsabilità dell’organizzatore. 33 Cass., Sez. III, 30 novembre 1977, n. 5222, in Riv. inf. malatt. profess., 2, 1978, p. 85 ss.; Cass., Sez. III, 7 novembre 2013, n. 25058, in Pluris, peraltro ha precisato che: «la presunzione di colpa opera anche se all’attività pericolosa partecipi chi patisce danno dall’esercizio dell’attività, salva la graduazione dell’efficienza causale delle azioni rispettivamente compiute dai vari partecipi».

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3.1. La responsabilità delle società calcistiche. L’organizzazione di eventi in termini di attività pericolosa è stata approfondita dalla giurisprudenza soprattutto con riguardo allo sport del calcio praticato a livello professionistico. A tal proposito è necessario, in via preliminare, distinguere tra pericolosità della disciplina sportiva e pericolosità della relativa organizzazione. Con riferimento all’attività sportiva, la giurisprudenza tende a escludere che il calcio (inteso come sport) possa essere ricondotto nel novero delle attività pericolose, trattandosi di una disciplina che privilegia l’aspetto ludico-motorio, tanto da essere normalmente praticata anche nelle scuole «come attività di agonismo non programmatico finalizzato a dare esecuzione ad un determinato esercizio fisico» 34. Discorso diverso è quello relativo all’organizzazione di incontri di calcio professionistici, il cui inquadramento nel novero delle attività di cui all’art. 2050 c.c. è frutto di un lungo processo interpretativo. Infatti, se fino alla fine degli anni ’80 si tendeva a negare la qualifica di attività pericolosa al calcio professionistico, in un successivo momento l’orientamento è progressivamente mutato, sino ad attestarsi su posizioni diametralmente opposte. Tra le cause principali che hanno portato a questo mutamento di indirizzo rientrano, certamente, il forte incremento di popolarità di tale sport – con conseguente crescita di spettatori diretti e, quindi, del verificarsi di episodi lesivi – e l’inasprirsi della violenza negli stadi, fenomeno che ha necessitato anche di più interventi legislativi a fini preventivi e repressivi 35. La prima normativa che si è avuta in tal senso è rappresentata dalla l. 13 dicembre 1989, n. 401, recante «Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento delle manifestazioni sportive», modificata dal d.l. 22 dicembre 1994, n. 717, conv. modif. in l. 24 febbraio 1995, n. 45 (“Misure urgenti per prevenire fenomeni di violenza in occasione di competizioni agonistiche”) e dalle successive “Disposizioni urgenti per contrastare i fenomeni di violenza in

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Cfr., in questo senso, Cass., Sez. III, 8 aprile 2016, n. 6844, in Foro it., 2016, c. 3206; Cass., Sez. III, 11 gennaio 2007, n. 1197, in Corr. giur., 2007, p. 489, con nota di G. VIDIRI, Lo sport del calcio è un’attività pericolosa?; Cass., Sez. III, 27 novembre 2012, n. 20982, in Pluris. 35 M. PITTALIS, La responsabilità contrattuale ed aquiliana, cit., p. 182 ss.

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occasione di competizioni sportive” di cui al d.l. 20 agosto 2001, n. 336, conv. modif. l. 19 ottobre 2001, n. 377, e dal d.l. 24 febbraio 2003, n. 28 conv. modif. l. 24 aprile 2003, n. 88. Si segnalano pure il d.l. 17 agosto 2005, n. 162 (Ulteriori misure per contrastare i fenomeni di violenza in occasione di competizioni sportive), conv. l. 17 ottobre 2005, n. 210, e il d.l. 8 febbraio 2007, n. 8, conv. in l. 4 aprile 2007, n. 41 (Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche, nonché norme a sostegno della diffusione dello sport e della partecipazione gratuita dei minori alle manifestazioni sportive); quest’ultimo d.l., in particolare, fu emanato nei giorni immediatamente successivi all’omicidio dell’agente Raciti al termine di una partita di Serie A tra Catania e Palermo. Nella prima pronuncia che ha ricondotto la responsabilità della società calcistica all’art. 2050 c.c., il Tribunale di Ascoli condannò la Sambenedettese per i danni provocati da un incendio scoppiato sugli spalti nel corso della gara dovuto a un grande quantitativo di materiale infiammabile introdotto nello stadio da alcuni tifosi. Nel riconoscere tale responsabilità alla società, il Tribunale fece leva, in particolare, sui pericoli per la pubblica incolumità che normalmente comporta l’organizzazione di competizioni calcistiche 36. In una successiva pronuncia di merito è stato sottolineato come il ricorrere dei conflitti tra tifoserie – che hanno imposto l’adozione di misure sempre più severe al fine di prevenirne le conseguenze lesive – «è purtroppo talmente scontat[o] da doversi ritenere altamente prevedibile» 37. Nel caso di specie era accaduto che, durante l’incontro tra Milan e Sampdoria, un tifoso della squadra ospite subisse una sensibile perdita della vista a causa di un oggetto lanciato oltre la barriera divisoria dei settori da un tifoso avversario 38. In entrambi i gradi i giudici di merito hanno ritenuto, da un lato, che l’organizzazione di un incontro di calcio professionistico sia da ricondurre al concetto di attività pericolosa di cui all’art. 2050 c.c., sia per la particolare attenzione dedicata dal legislatore in mate36 Trib. pen. Ascoli Piceno, 13 maggio 1989, n. 26, in Riv. dir. sport., 1989, p. 496 ss., con nota di A. MANFREDI, Responsabilità del Presidente della Società sportiva e dei dipendenti della società stessa per danni subiti da alcuni spettatori a causa della condotta illecita di altri tifosi. 37 App. Milano, 18 maggio 2001, in Foro pad., 2002, p. 205 ss. 38 Trib. Milano, 21 settembre 1998, in Danno resp., 1999, p. 234 ss., con nota di G. DE MARZO, Organizzazione di partite di calcio e attività pericolosa.

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ria di norme di sicurezza degli impianti, sia per la notoria frequenza statistica del fenomeno della violenza negli stadi; dall’altro hanno convenuto che non vale quale prova liberatoria della società invocare il fatto del terzo ovvero il caso fortuito dal momento che, ove le cautele adottate fossero state davvero incisive, l’eventuale lancio di oggetti non avrebbe raggiunto i tifosi avversari. In un caso analogo, verificatosi durante una partita tra Juventus e Roma, un tifoso romanista rimase vittima di un’esplosione di un fumogeno, lanciato dai tifosi di casa, riportando gravi lesioni ad una mano 39. Anche in questo caso, il Tribunale di Torino, constatata «l’abitualità» degli atti di teppismo nelle partite di calcio professionistico, nonché il particolare rischio presentato dalla partita in questione, ha ricondotto la responsabilità della società calcistica alla previsione di cui all’art. 2050 c.c. Infatti, malgrado il rispetto delle prescrizioni normative e dell’autorità di polizia, nonché l’aver agito con prudenza richiedendo le apposite autorizzazioni pubbliche e avvalendosi anche di un proprio servizio d’ordine, la Società «avrebbe potuto e dovuto, in una partita così a rischio, (…) ricorrere ad una struttura diversa dallo Stadio delle Alpi, la quale (…) era una “struttura oggettivamente priva di sufficienti caratteristiche di sicurezza”». La responsabilità delle società calcistiche ex art. 2050 c.c., infine, è stata prospettata in dottrina anche con riferimento ai danni subiti dagli atleti. L’occasione che ha rappresentato lo spunto per il relativo dibattito riguardava la vicenda del calciatore Domenico Giampà 40, il quale durante la partita Messina-Lecce, nel corso di un’azione di gioco, finì per scontrarsi con un cartellone pubblicitario posizionato a bordocampo, procurandosi una lesione personale medicata con 147 punti di sutura. Sebbene fosse stato accertato il rispetto, da parte della società, della distanza dei cartelli pubblicitari dal terreno di gioco, prevista dal regolamento F.I.G.C., si è ritenuto che la società potesse ritenersi responsabile per non aver vigilato sul corretto posizionamento del cartellone, nonché per non aver adottato le misure di sicurezza necessarie a rendere visibile ed evitabile la parte di ferro sporgente dal cartello pubblicitario 41. 39

Trib. Torino, 11 novembre 2004, in Danno resp., 2006, p. 767 ss., con nota di A. MAIETTA, Responsabilità dell’organizzatore sportivo per lancio di fumogeni. 40 Sul punto, v. A MAIETTA, Cartelli pubblicitari nello stadio e responsabilità delle società sportive: il caso Giampà, in Danno resp., 2005, p. 337 ss. 41 A MAIETTA, op. cit., p. 339.

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4. La responsabilità del gestore di impianti. Il gestore di impianti sportivi è colui che mette a disposizione degli utenti spazi e attrezzature necessari allo svolgimento di un’attività sportiva, si occupa della sicurezza e dell’idoneità dei luoghi, nonché dell’incolumità di coloro che vi accedono nel corso dell’evento. La figura del gestore di impianti sportivi, talvolta, può coincidere con quella dell’organizzatore, ma tale sovrapposizione soggettiva non è certo automatica. È chiaro che, quando i due soggetti coincidano, il gestore dell’impianto sarà destinatario di tutte le regole di condotta ora viste con riferimento all’organizzatore di eventi. Diversamente, quando le due figure restano distinte, il gestore ha lo specifico obbligo di garantire la sicurezza e l’incolumità di chi accede all’impianto. Da ciò ne discendono gli obblighi del gestore di provvedere a una periodica manutenzione dell’impianto, di assicurarsi che il numero di spettatori non ecceda i limiti di capienza 42 e di predisporre opportune delimitazioni per evitare lo spostamento degli spettatori da un settore all’altro 43. La figura del gestore di impianti sportivi può essere distinta anche da quella del proprietario dell’impianto. Non è detto, infatti, che le due figure coincidano, potendo il gestore utilizzare l’impianto sulla base di un contratto (locazione, comodato, usufrutto) 44. Come si vedrà nel paragrafo successivo, la giurisprudenza è solita ricondurre la responsabilità del gestore per danni arrecati a terzi agli artt. 2043 o 2050 c.c., a seconda del tipo di impianto e di sport praticato. Peraltro, quando il danno sia causato da una inadeguata manutenzione dell’impianto e la figura del gestore sia distinta da quella del proprietario, parte della dottrina non ha escluso la possibilità di distinguere la responsabilità del gestore da quella del proprietario dell’impianto. Infatti, mentre il proprietario risponde ai sensi dell’art. 2053 c.c. – dal momento che egli conserva la proprietà dell’immobile –, il conduttore ri42

Cass., Sez. III, 31 marzo 1966, n. 363, in Riv. dir. sport., 1966, p. 112 ss. R. FRAU, op. cit., p. 364. Con riferimento all’imputabilità di un fatto illecito al gestore ovvero all’agente, alla luce delle sue particolari abilità nell’esercizio dell’attività sportiva, v. Cass., Sez. III, 18 febbraio 2020, n. 3997, con nota di M. CIMMINO, in Jus Civile, 2021, p. 210 ss. 44 B. BERTINI, op. cit., p. 145 s. 43

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sponde ai sensi dell’art. 2051 c.c., per i danni arrecati a terzi dagli accessori e dalle altre parti del bene locato, giacché è lui ad averne la disponibilità materiale, con l’obbligo di intervenire onde evitare pregiudizi ad altri 45.

4.1. Giurisprudenza in materia di responsabilità del gestore di impianti. All’interno del dibattito sulla responsabilità del gestore di impianti, una delle fattispecie che merita particolare attenzione è quella che attiene alla gestione di impianti e delle piste da sci 46. La fattispecie è stata peraltro oggetto di apposita disciplina da parte del legislatore che, con l. 24 dicembre 2003, n. 363, ha predisposto una serie di norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali da discesa e da fondo, dettando una serie di specifici obblighi che il gestore delle aree sciabili deve osservare per garantire la protezione degli utenti e la sicurezza degli spazi. In particolare, ai sensi degli artt. 3 ss., il gestore ha l’obbligo di mettere in sicurezza le piste, mediante la rimozione degli ostacoli e la segnalazione delle situazioni di pericolo (art. 3, comma 1); inoltre, deve garantire il soccorso e il trasporto degli infortunati lungo le piste ai più vicini centri di assistenza sanitaria (art. 3, comma 2). Nel caso in cui la pista presenti cattive condizioni il gestore ha l’obbligo di segnalarlo, nonché, nel caso di particolari pericoli, di procedere alla loro rimozione, o alla chiusura della pista (art. 7). In generale, infine, l’art. 7, comma 1, impone al gestore una serie di obblighi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle aree attrezzate. Dal quadro ora prospettato emergono specifici obblighi in capo ai gestori delle aree sciabili, i quali rispondono della regolarità e della sicurezza 45

B. BERTINI, op. cit., p. 146; Cass., Sez. III, 9 giugno 2016, n. 11815, in Pluris; Cass., Sez. III, 27 ottobre 2015, n. 21788, in Imm. propr., 2016, p. 52 ss.; Cass., Sez. II, 9 giugno 2010, n. 13881, in Resp. civ., 2010, p. 629 ss. 46 M. PITTALIS, La responsabilità sportiva. Principi generali e regole tecniche a confronto, Giuffrè, Milano, 2013, p. 263 ss.; ID., La responsabilità in ambito sciistico, in Riv. dir. sport., 2015, p. 373 ss.; B. SIEFF, La responsabilità civile del gestore di impianti e piste da sci, in U. IZZO-G. PASCUZZI (a cura di), La responsabilità sciistica. Analisi giurisprudenziale e prospettive dalla comparazione, Giappichelli, Torino, 2006, p. 83 ss.; U. GIUDICEANDREA, La responsabilità civile e penale del gestore degli impianti di risalita, in Riv. dir. sport., 1982, p. 306 ss.

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delle piste non solo durante la fase di risalita, ma anche nella fase di discesa, e ciò tanto a titolo contrattuale quanto extracontrattuale. Quest’ultima previsione rappresenta il frutto di un lungo dibattito sul punto, giacché nel discutere sulla responsabilità dei gestori per i danni occorsi agli sciatori durante la discesa, si è sempre fatto riferimento alla responsabilità extracontrattuale. Infatti, dal momento che non necessariamente potevano coincidere i soggetti dell’esercente dell’impianto di risalita e del gestore della pista di discesa e dal momento che l’utente si trovava a dover stipulare un contratto solo con il primo, ma non anche col secondo, nei confronti di quest’ultimo non era ravvisabile alcuna ipotesi di responsabilità contrattuale e pertanto rispondeva dei danni occorsi agli utenti nella fase di discesa solo a titolo extracontrattuale 47. D’altra parte la dottrina, ponendo in luce un rapporto quasi inscindibile tra impianto di risalita e pista di discesa, ha affermato come l’utilizzo delle piste costituisca lo scopo ultimo che spinge gli utenti a stipulare un contratto col gestore dell’impianto di risalita 48. Anche il legislatore, in effetti, sembra aver accolto tale impostazione, dal momento che l’art. 2, l. n. 363/2003, occupandosi della “gestione di aree sciabili attrezzate”, definisce tali aree come «le superfici innevate, anche artificialmente, aperte al pubblico e comprendenti piste, impianti di risalita e di innevamento, abitualmente riservate alla pratica degli sport sulla neve». La norma individua quale oggetto della prestazione di gestione le “aree sciabili attrezzate” nel loro complesso, includendovi tanto le piste quanto gli impianti di risalita. Dunque, appare evidente che la manutenzione della pista rientra nelle obbligazioni che il gestore si assume con il contratto stipulato con l’utente, risultando così inadempiente qualora quest’ultimo subisca un danno dovuto ad una cattiva gestione della pista. A tale impostazione si è conformata anche la giurisprudenza che, nel riconoscere il risarcimento del danno patito da uno sciatore durante la fase di discesa, ha convenuto che il gestore dell’impianto di risalita riveste anche il ruolo di gestore delle piste e, pertanto, in quanto obbligato alla mes47 M. PITTALIS, Sport e diritto. L’attività sportiva fra performance e vita quotidiana, Cedam, Padova, 2019, p. 486 ss. 48 G. CHINÉ, «Con la neve alta così»: di sci, impianti di risalita e responsabilità civile, in Riv. dir. sport., 1995, p. 551 ss.

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sa in sicurezza della pista, egli risponderà dei danni causati dalla cattiva manutenzione ai soggetti che con esso hanno stipulato il contratto di skipass, sulla base delle norme che governano la responsabilità per inadempimento 49. Per quanto riguarda la responsabilità extracontrattuale del gestore di impianti sciistici, questa viene prevalentemente affermata sulla base degli artt. 2043 e 2049 c.c., mentre è stata tendenzialmente esclusa l’applicabilità dell’art. 2050 c.c. La Cassazione, infatti, ha negato che l’uso di una sciovia rientri tra le attività pericolose, poiché la presenza di superfici ghiacciate è fenomeno connaturato a tutti i pendii nevosi, inclusi quelli adibiti alla pratica dello sci, nella quale è frequente l’attraversamento di tratti ghiacciati ed in cui l’uso della sciovia costituisce manovra assolutamente elementare 50. Passando all’esame della responsabilità del gestore di una piscina, questa viene affermata prevalentemente sulla base dell’art. 2043 c.c. In tale ipotesi la giurisprudenza tende a escludere l’applicazione dell’art. 2050 c.c. dal momento che la gestione di tale impianto non rientra tra le attività pericolose ex lege, ragion per cui la prova della pericolosità va fornita – da parte del danneggiato – sulla base del criterio della prognosi postuma “ex ante”, ossia sulla base delle circostanze di fatto esistenti al momento dell’evento 51. Diversamente, è stata qualificata come attività pericolosa quella svolta dal gestore di un impianto di scivolo veloce in piscina, ma nel caso di specie il gestore non è stato ritenuto responsabile in quanto il comportamento tenuto dall’utente-danneggiato nel tuffarsi integrava i requisiti del caso fortuito, risultando una causa efficiente sopravvenuta, come tale idonea a recidere il nesso causale tra l’attività pericolosa e l’evento 52. All’interno della casistica relativa alla responsabilità del gestore, una ipotesi peculiare è rappresentata dallo sport dell’equitazione, avuto riguar49

Cass., Sez. III, 6 febbraio 2007, n. 2563, in Giust. civ., I, 2007, p. 1344 ss. Cass., Sez. III, 10 maggio 2000, n. 5953, in Pluris. 51 Cass., Sez. III, 12 maggio 2005, n. 10027, in Mass. giur. it., 2005, c. 703. 52 Cass., Sez. III, 13 marzo 2007, n. 5839, in Mass. giur. it., 2007, c. 1151, nel caso di specie la Cassazione ha confermato la pronuncia di merito che, sulla base delle lesioni subite e degli elementi emersi dall’istruzione probatoria, aveva ritenuto causa esclusiva dell’evento dannoso il comportamento del danneggiato il quale, anziché lasciarsi scivolare in piscina planandovi sul materassino, si era alzato in piedi e tuffato di testa, inarcando la schiena. 50

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do del fatto che esso si pratica mediante animali e, dunque, consente in astratto l’applicabilità dell’art. 2052 c.c. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la gestione di un ippodromo non costituisce necessariamente un’attività pericolosa, ma può diventarlo in determinati casi, come nell’ipotesi in cui sia funzionale all’esercizio di scuole di equitazione o all’organizzazione di gare ippiche 53. A tal proposito, costituisce orientamento ormai consolidato quello che riconduce la responsabilità del gestore del maneggio all’art. 2050 c.c. quando i partecipanti danneggiati siano allievi principianti 54; diversamente, nel caso di allievi più esperti, l’attività di maneggio non deve considerarsi pericolosa e il gestore è soggetto al regime di responsabilità di cui all’art. 2052 c.c., con la conseguenza che spetta ad esso, o all’utilizzatore dell’animale che ha causato il danno, fornire non soltanto la prova della propria assenza di colpa, ma anche quella che il danno è stato causato da un evento fortuito 55. Sull’art. 2051 c.c. è stata fondata la responsabilità del gestore di una palestra, a seguito di un danno subito da un utente nel corso dell’attività ginnica. In tale vicenda, il danno era derivato a seguito dello sganciamento del fermo del sellino di una cyclette. La responsabilità del gestore è stata ricondotta a quella per danno da cose in custodia in virtù del fatto che deve qualificarsi quale custode della cosa – che possa presentare pericolo per chi la usa o ne viene in contatto – colui che esercita un potere di fatto su di essa 56, situazione che doveva ritenersi sussistente relativamente al potere di fatto che il gestore della palestra esercita sui propri attrezzi. L’art. 2051 c.c. è stato richiamato dalla giurisprudenza anche per affermare la responsabilità del gestore di un impianto di tennis. Nel caso di specie la Cassazione ha condannato il gestore al risarcimento del danno subito dall’utente a causa di una buca presente sul terreno di gioco, dovuta a una inadeguata manutenzione da parte del gestore 57. 53 Cass., Sez. III, 30 gennaio 2009, n. 2482, in Nuova giur. civ. comm., 2009, p. 764 ss., con nota di L. FRATA, op. cit. 54 Cass., Sez. III, 8 marzo 2019, n. 6337, in Giust. civ. mass., 2019; Cass., Sez. III, 27 novembre 2015, n. 24211, in Danno resp., 2016, p. 366 s.; Cass., Sez. III, 1 aprile 2005, n. 6888, in Danno resp., 2005, p. 791 s. 55 Cass., Sez. III, 19 giugno 2008, n. 16637, in Giur. it., 2009, p. 867 ss.; Cass., Sez. III, 4 dicembre 1998, n. 12307, in Riv. dir. sport., 1998, p. 450 ss. 56 Cass., Sez. III, 17 gennaio 2008, n. 858, in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 979 ss. 57 Cass., Sez. III, 28 ottobre 1995, n. 11264, in Riv. dir. sport., 1996, p. 87 ss., con commento di P. LAGHEZZA, Caviglia del tennista e responsabilità (per buca nel campo) della società sportiva.

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I giudici di merito avevano negato tale responsabilità alla luce della strutturale inidoneità di un campo da tennis a produrre danni alla persona, che escludeva stringenti doveri di vigilanza del gestore, tanto più che si trattava di un modesto impianto sportivo e che l’evento dannoso era da ascrivere alla imprudenza ed alla negligenza del tennista. La Cassazione, invece, ribaltando tali conclusioni ha ritenuto sussistente il dovere di controllo e di custodia, posto dall’art. 2051 c.c., anche in relazione alle cose prive di un dinamismo proprio ma che, nondimeno, sono suscettibili di cagionare danni.

CAPITOLO DECIMO

LA RESPONSABILITÀ DEGLI ENTI E DEI SOGGETTI COINVOLTI A LATERE NELL’ATTIVITÀ SPORTIVA di Gennaro Di Martino

SOMMARIO 1. La responsabilità delle Istituzioni e delle Federazioni. – 2. La responsabilità dei sodalizi sportivi. – 2.1. La responsabilità dei sodalizi in caso di condotte negligenti in campo medico-sportivo. – 3. Le responsabilità dirette dei medici sportivi. – 4. Le responsabilità dei direttori di gara: giudici, arbitri e commissari. Il ruolo del referto arbitrale.

1. La responsabilità delle Istituzioni e delle Federazioni. La sempre maggiore articolazione della società moderna ha implicato l’estensione del dibattito sulla responsabilità civile sportiva a tutti quei soggetti coinvolti a latere nell’organizzazione di tali attività. Da questo punto di vista vengono in rilievo, innanzitutto, il CONI e le Federazioni Sportive Nazionali. Il CONI, quale soggetto con personalità giuridica di diritto pubblico, «detta i principi fondamentali per la disciplina delle attività sportive e per la tutela della salute degli atleti, anche al fine di garantire il regolare e corretto svolgimento delle gare, delle competizioni e dei campionati» (art. 2, Statuto CONI). Il CONI ha, dunque, un potere di regolamentazione e controllo delle discipline sportive a livello generale; mentre i poteri ispettivi di controllo

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sulle singole discipline e sulle rispettive competizioni sono attribuiti alle singole Federazioni Sportive Nazionali 1. Queste ultime sono associazioni senza fini di lucro con personalità giuridica di diritto privato (art. 20 Statuto CONI) che «svolgono l’attività sportiva in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del CIO, delle Federazioni internazionali e del CONI, anche in considerazione della valenza pubblicistica di specifiche tipologie di attività individuate nello Statuto del CONI» (art. 15, comma 1, d.lgs. n. 242/1999). Com’è stato prospettato dalle Sezioni Unite del 1986 2, con una tesi poi accolta dal legislatore con l’art. 15, d.lgs. n. 242/1999, le Federazioni Sportive Nazionali hanno una natura mista di diritto pubblico e privato: queste nascono come associazioni non riconosciute soggette, «per quanto non espressamente previsto nel presente decreto, alla disciplina del codice civile e delle relative disposizioni di attuazione» (art. 15, comma 2, d.lgs. n. 242/1999), ma al contempo, devono svolgere la loro attività in armonia con il CIO, il CONI e le Federazioni internazionali, esercitando così, un’attività «a valenza pubblicistica, sulla base di poteri pubblicistici e mediante l’adozione di atti amministrativi» 3. In considerazione della “doppia natura” giuridica delle Federazioni, dunque, è stato prospettato un possibile criterio di riparto delle responsabilità tra il CONI e le Federazioni, facente leva sull’attività in concreto svolta dalla Federazione: quando la Federazione svolga un’attività pubblicistica, e dunque persegua fini istituzionali propri del CONI, sarà quest’ultimo responsabile nei limiti dei poteri e delle funzioni di cui è titolare; al contrario, andrà affermata la responsabilità della Federazione quando essa svolga un’attività privatistica, che rientri nella sua autonomia tecnicoorganizzativa 4. Tale criterio, in effetti, ha trovato conforto nella giurisprudenza che, nel caso di un incontro di basket in cui un giocatore, a seguito di un urto contro una porta a vetri riportava diverse ferite da taglio, ha ritenuto responsabile, ai sensi dell’art. 2043 c.c., la sola Federazione Italiana Pallacanestro, 1 M. PITTALIS, La responsabilità sportiva. Principi generali e regole tecniche a confronto, Giuffrè, Milano, 2013, p. 181. 2 Cass., Sez. Un., 9 maggio 1986, n. 3092, in Riv. dir. sport., 1986, p. 185 ss. 3 Cass., Sez. Un., 23 marzo 2004, n. 5775, in Giust. civ., I, 2005, p. 1625 ss., con nota di G. VIDIRI, Le controversie sportive e il riparto della giurisdizione. 4 M. PITTALIS, La responsabilità sportiva, cit., p. 183 ss.

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dal momento che quale titolare dell’attività ispettiva e di controllo, aveva tra i proprio compiti anche quello di omologare il campo da gioco 5. In un’altra occasione, la responsabilità extracontrattuale della FIGC fu dichiarata ex art. 2049 c.c., a seguito della condotta colposa di un medico che aveva causato il decesso di un atleta 6. Il criterio è stato ribadito dalla Cassazione nel 2017 con riferimento a un sinistro stradale verificatosi nel corso di una gara ciclistica, in cui un operatore televisivo, nell’effettuare le riprese a bordo di una moto, aveva subito un danno a causa di un incidente con un’automobile e aveva proposto l’azione risarcitoria anche nei confronti del CONI, ritenendolo organizzatore della gara. In realtà, la responsabilità fu riconosciuta in capo al conducente del veicolo, al proprietario e alla compagnia di assicurazione del veicolo antagonista, mentre fu esclusa nei confronti del CONI. La Cassazione, nel disattendere la pretesa del danneggiato, ha fatto leva proprio sulla natura mista delle Federazioni, affermando che queste ultime sono titolari di autonomia tecnica, organizzativa e di gestione nei rapporti con il CONI, tale per cui le attività privatistiche da esse svolte sono del tutto autonome e separate da quelle proprie del CONI. La Corte ha altresì chiarito che, non avendo il CONI alcuna competenza nella organizzazione delle singole gare sportive, tale attività rientra esclusivamente nella autonomia tecnico-organizzativa delle singole Federazioni; pertanto, nei confronti del CONI i profili di responsabilità sono riferibili «soltanto alle funzioni istituzionalmente ad esso demandate, quali la regolamentazione, il controllo ed il coordinamento delle gare» in generale, che rappresentano compiti ben diversi venuti in rilievo nel caso in esame «in cui, oltretutto, la gara ciclistica è risultata unicamente una mera occasione del sinistro» 7. La pronuncia, peraltro, ha destato interesse perché nella sua argomentazione richiama due precedenti giurisprudenziali in cui, sempre in ossequio al suddetto criterio, era stata esclusa la responsabilità della Federazione e dichiarata quella del CONI. In entrambi i precedenti, la Cassazione ha statuito che l’omologazione 5

Trib. Milano, 23 febbraio 2009, n. 2430, in Rass. dir. econ. sport, 2010, p. 160 ss., con nota di B. AGOSTINIS, Brevi note in materia di responsabilità dell’organizzatore di competizioni sportive e della Federazione per gli infortuni subiti dagli atleti. 6 Cass. pen., Sez. IV, 29 settembre 2009, n. 38154, in Resp. civ. prev., 2010, p. 1074 ss. 7 Cass., Sez. III, 18 aprile 2019, n. 10820, in Pluris.

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di una pista da sci, collaudata per cinque anni, compiuta dalla FISI per accertarne, attraverso un proprio tecnico, la conformità alla regolamentazione tecnica dalla stessa dettata per le gare di sci, è direttamente imputabile al CONI, dal momento che ad esso sono demandate le funzioni di regolamentazione, controllo e coordinamento delle varie attività sportive che si svolgono in Italia, e che esso esercita attraverso le Federazioni Nazionali, le quali svolgono in questo caso un’attività avente natura pubblicistica. La questione non appare, quindi, definitivamente risolta 8.

2. La responsabilità dei sodalizi sportivi. L’appartenenza dell’atleta ad un sodalizio sportivo comporta la possibilità, per questi ultimi, di risultare responsabili ai sensi dell’art. 2049 c.c. per i danni cagionati dagli atleti nei confronti di altri atleti o terzi. In realtà, l’applicabilità dell’art. 2049 c.c. a tale fattispecie non è stata sempre pacifica, ma è frutto di un lungo dibattito che ha portato al riconoscimento di un vero e proprio rapporto di dipendenza tra il sodalizio e l’atleta. La giurisprudenza di merito più risalente negava la possibilità di ravvisare una responsabilità ex art. 2049 c.c. dell’ente sportivo dilettantistico, dal momento che nel corso dell’incontro il giocatore «esercita un’attività agonistica (…) nell’interesse del proprio prestigio» tale da far affievolire sensibilmente il carattere di dipendenza con la società 9. Parte della dottrina condivideva tale ragionamento, escludendo la responsabilità della società in quanto «le prestazioni dell’atleta hanno una estrinsecazione individuale (ricerca dell’affermazione) che non è in rapporto causale con l’attività» dell’ente 10. 8

Le due sentenze a cui si fa riferimento sono, Cass., Sez. III, 23 giugno 1999, n. 6400, in Riv. dir. sport., 1999, p. 521 ss., con nota di L. LAMBO, Ancora molte incertezze sui rapporti tra Coni e Federazioni sportive; e Cass., Sez. III, 18 agosto 2011, n. 17343, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, p. 749 ss., con nota di M. PITTALIS, Gara di sci e omologazione della pista: responsabilità del Coni? 9 Trib. Bari, 10 giugno 1960, in Dir. giur., 1963, p. 81 ss., con nota di R. SCOGNAMIGLIO, In tema di responsabilità delle società sportive ex a. 2049 c.c. per l’illecito del calciatore. 10 G. GIANNINI, La responsabilità civile degli organizzatori di manifestazioni sportive, in Riv. dir. sport., 1986, p. 279.

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A questa impostazione se ne è contrapposta un’altra in base alla quale il vincolo di soggezione dell’atleta alla società è tale da riconoscere in capo a queste ultime la responsabilità per i danni che l’atleta provochi nei confronti degli avversari 11. Tale tesi è stata, successivamente, condivisa da una sentenza di merito che ha riconosciuto la responsabilità dell’ente sportivo dilettantistico per una condotta lesiva posta in essere da un atleta nei confronti di un avversario 12. D’altra parte, con il tesseramento l’atleta si lega contrattualmente all’ente sportivo ed accetta le clausole statutarie e regolamentari della relativa federazione 13, le quali prevedono un potere di direzione del sodalizio, a cui corrisponde un dovere di “obbedienza” da parte dell’atleta 14. La natura subordinata dei rapporti tra società sportive e professionisti è stata poi espressamente riconosciuta dall’art. 3, l. 23 marzo 1981, n. 91, con riferimento a qualsiasi tipo di prestazione a titolo oneroso dell’atleta; solo nei casi previsti dal secondo comma la prestazione costituisce oggetto di contratto di lavoro autonomo. Alla luce del chiaro dato normativo, ormai, non si dubita più che per questi rapporti le società sportive possano essere chiamate a rispondere dei danni cagionati dai propri atleti nell’esercizio dell’attività sportiva. Tale conclusione sembra potersi estendere a tutti i casi in cui sia ravvisabile un potere di direzione e sorveglianza della società nei confronti dell’atleta 15 e, dunque, anche allo sport dilettantistico, in cui la mancanza di categorie contrattuali ben definite, o la loro assenza, rende più complessa l’individuazione della natura subordinata del rapporto 16.

11

R. SCOGNAMIGLIO, op. cit., p. 88 s. Trib. Monza, 5 giugno 1997, in Riv. dir. sport., 1997, p. 758 ss. 13 R. CARMINA, Valutazioni dottrinali in materia di responsabilità dei sodalizi sportivi dilettantistici, in Resp. civ. prev., 2016, p. 1382; P. MORO, Natura e limiti del vincolo sportivo, in Riv. dir. econ. sport, 2002, p. 69. 14 In giurisprudenza, v. Cass., Sez. Lav., 1 agosto 2003, n. 11751, in Pluris. 15 B. BERTINI, La responsabilità sportiva, Giuffrè, Milano, 2002, p. 200 s. 16 R. CARMINA, op. cit., p. 1380. 12

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2.1. La responsabilità dei sodalizi in caso di condotte negligenti in campo medico-sportivo. La responsabilità dei sodalizi sportivi non si esaurisce nell’ambito dei casi sinora prospettati, ma si configura anche nel caso di danno alla salute degli atleti, cagionato dal medico sociale, dal momento che costui fa parte della società in cui l’atleta milita. È stato, infatti, osservato come la responsabilità del medico si rifletta anche sulla società di appartenenza dell’atleta, sia ai sensi dell’art. 1228 c.c. che dell’art. 2049 c.c. 17. In un caso risalente ad alcuni anni fa, la Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da un’associazione sportiva – condannata in relazione al decesso di un atleta per malattia cardiaca già preesistente al momento dell’inizio della competizione – per non aver inserito nel regolamento di un torneo calcistico dilettantistico l’obbligo preventivo di visita medica. La Corte ha affermato che nell’esercizio di attività sportiva «le società sportive sono tenute a tutelare la salute degli atleti sia attraverso la prevenzione degli eventi pregiudizievoli della loro integrità psico-fisica, sia attraverso la cura degli infortuni e delle malattie, potendo essere chiamate a rispondere in base all’art. 2049 c.c. dell’operato dei propri medici sportivi e del personale» 18. Con riferimento a siffatto profilo di responsabilità dei sodalizi in ambito professionistico si può richiamare la vicenda del calciatore del Novara Filippo Rotolo 19 il quale, nel corso della carriera, aveva subito due fratture al quinto metatarso destro che lo avevano obbligato a sottoporsi ad operazione di osteosintesi con inserimento di una vite metallica. Nella rimozione della vite, una rondella metallica rimaneva sotto la cute, senonché l’Istituto di medicina dello sport di Torino certificava la sua idoneità per la ripresa degli allenamenti. Trascorse due settimane, nel corso di un allenamento, il calciatore riportava la terza frattura consecutiva nello stesso punto e da ciò ne era derivata una inabilità permanente del 12%. A fronte della impossibilità del giocatore di proseguire la carriera, il 17

B. BERTINI, op. cit., p. 183 s. Cass., Sez. III, 13 luglio 2011, n. 15394, in Nuova giur. civ. comm., 2012, p. 158 ss., con nota di M. GRONDONA, La responsabilità dell’associazione sportiva per morte del giocatore. 19 Cass., Sez. Lav., 8 gennaio 2003, n. 85, in Resp. civ. prev., 2003, p. 765 ss., con nota di F. GHERARDI, Responsabilità contrattuale delle società calcistiche a livello professionistico per infortuni subiti dai calciatori. 18

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Novara aveva ottenuto dalla Lega professionisti di Serie C la risoluzione del contratto. La Cassazione, confermando la sentenza del Tribunale di Novara, dichiarò la responsabilità della società sportiva sia perché, pur a conoscenza dell’esatta storia clinica del calciatore, non ne aveva messo al corrente l’Istituto di medicina, sia perché, in ragione della delicatezza dell’intervento subito e dei rischi che la ripresa dell’attività agonistica poteva comportare, non ha predisposto una continuità di controlli volti a prevenire rischi di nuovi infortuni o ricadute delle precedenti lesioni 20.

3. Le responsabilità dirette dei medici sportivi. Il tema della tutela sanitaria delle attività sportive risulta essere particolarmente delicato 21, al punto da aver richiesto, a più riprese, l’intervento del legislatore; sicché, ad oggi, all’interprete si presenta un quadro normativo piuttosto articolato. Ai sensi dell’art. 2, l. 26 ottobre 1971, n. 1099, la tutela sanitaria delle attività sportive «si esplica mediante l’accertamento obbligatorio, con visite mediche di selezione e di controllo periodico, dell’idoneità generica e della attitudine di chi intende svolgere o svolge attività agonistico sportive». Inoltre, ai fini dell’accesso alle singole attività sportive agonistiche, il d.m. 18 febbraio 1982, prescrive agli atleti la sottoposizione periodica agli accertamenti previsti nelle tabelle relative alle singole discipline, il cui superamento positivo consente di ottenere il certificato medico indispensabile per la partecipazione all’attività agonistica. Con riferimento all’attività sportiva non agonistica, il d.m. 24 aprile 2013 (che ha abrogato il d.m. 28 febbraio 1983) prevede l’obbligo di sottoporsi annualmente ai controlli medici volti al rilascio della certificazione di idoneità all’attività sportiva nei confronti degli «a) alunni che svolgono attività fisico-sportive organizzate dagli organi scolastici nell’ambito delle attività parascolastiche; b) di coloro che svolgono attività organizzate dal CONI, da società sportive affiliate alle Federazioni sportive nazionali, alle 20

Cass. n. 85/2003, cit. Sul tema, più in generale, v. G. AGRIFOGLIO, La responsabilità del medico sportivo, Giappichelli, Torino, 2010. 21

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Discipline associate, agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, che non siano considerati atleti agonisti ai sensi del d.m. 18 febbraio 1982; c) di coloro che partecipano ai giochi sportivi studenteschi nelle fasi precedenti a quella nazionale» (art. 3). In relazione alla tutela sanitaria delle attività sportive a livello professionistico, vengono in rilievo in particolar modo l’art. 7 l. n. 91/1981 e il d.m. 13 marzo 1995, che ha dato attuazione al citato art. 7. In base al combinato disposto dell’art. 7 e dell’art. 1 del decreto ministeriale, i controlli medici svolti per l’attività professionistica sono necessari per la predisposizione della scheda sanitaria di ciascun professionista, che è indispensabile ai fini del rilascio dell’autorizzazione allo svolgimento dell’attività sportiva. Questa dev’essere aggiornata con periodicità almeno semestrale dal medico sociale, il quale è responsabile per la sua custodia. In base all’art. 6, d.m. 13 marzo 1995, il medico sociale è uno specialista in medicina dello sport ed è il responsabile sanitario della società sportiva professionistica che deve essere iscritto in apposito elenco presso la federazione sportiva di appartenenza. Il medico sociale è responsabile della tutela della salute degli atleti professionisti legati da rapporto di lavoro subordinato con la società sportiva. Egli deve assolvere a tutti gli adempimenti sanitari previsti dalle norme vigenti; in particolare il medico deve verificare costantemente lo stato di salute dell’atleta, in relazione all’esistenza di eventuali controindicazioni, anche temporanee, alla pratica dell’attività professionale. Inoltre, è tenuto a compilare ed aggiornare costantemente la scheda sanitaria personale di ciascun atleta, sulla base delle risultanze degli accertamenti eseguiti alle scadenze stabilite ed in ogni altro momento si verifichi un rilevante mutamento delle condizioni di salute dell’atleta. Ai fini degli accertamenti clinici necessari, nonché di quelli che egli ritenga opportuno, può avvalersi dei centri di medicina dello sport pubblici o privati autorizzati e accreditati dalle regioni o dalle province autonome. Proprio in ragione della sua peculiare specializzazione e della necessità di adeguare i suoi interventi alla natura e al livello di pericolosità dell’attività sportiva stessa, dunque, la giurisprudenza ha ritenuto che la condotta del medico sportivo (che nella specie si trattava di un medico di una società calcistica professionistica) debba essere valutata con maggiore rigore rispetto a quella del medico generico, ai fini della configurabilità di una eventuale responsabilità professionale. In particolare, egli ha l’obbligo di

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valutare continuamente le condizioni di salute del giocatore, anche durante gli allenamenti o nel ritiro pre-campionato, anche sulla base delle informazioni fornite dagli atleti o dagli allenatori, al fine di poter individuare altresì l’eventuale dissimulazione da parte dell’atleta dell’esistenza di condizioni di rischio per la propria salute 22. Ulteriori profili di complessità sorgono, peraltro, con riferimento alla tutela sanitaria degli atleti che pratichino sport “a contatto necessario”, in cui inevitabilmente risultano più sfumati i confini entro cui valutare la responsabilità del medico sportivo, e ciò anche in considerazione della possibilità che le lesioni riportate dall’atleta nel corso della gara non si manifestino immediatamente, ma siano accertabili solo in un secondo momento 23. Alla luce del presente quadro normativo e della amplissima varietà di situazioni che possono configurarsi con riferimento ad ogni singola disciplina sportiva, molteplici risultano essere i profili di responsabilità che possono ricondursi al medico sportivo. Una prima ipotesi di responsabilità che può individuarsi con riguardo al medico sportivo attiene alla erronea valutazione dell’idoneità dell’atleta a svolgere l’attività sportiva agonistica. Da questo punto di vista, un medico sportivo potrà risultare responsabile tanto nel caso di un errato accertamento diagnostico del paziente (anamnesi, rilievi critici, accertamenti, eventuali indagini di approfondimento), quanto nel caso di errori relativi alla valutazione critica dei risultati acquisiti, con la quale si esprime il giudizio di idoneità o meno 24. Sotto questo aspetto, si richiama una pronuncia di legittimità con cui un medico sportivo è stato condannato per omicidio colposo, per aver rilasciato un certificato di idoneità sportiva agonistica ad un atleta minore, deceduto nel corso di una partita, malgrado questi, già in passato, avesse manifestato patologie cardiache, emerse anche nel corso della visita cardiologia eseguita in occasione della certificazione. La Cassazione, facendo proprie le risultanze dei giudici del merito, ha ritenuto che il medico sportivo non avrebbe dovuto rilasciare il certificato senza un approfondimento diagnostico e, in particolare, «senza disporre l’esecuzione di un ecocardio22

Cass. n. 85/2003, cit. M. PITTALIS, Sport e diritto. L’attività sportiva fra performance e vita quotidiana, Cedam, Padova, 2019, p. 616. 24 M. PITTALIS, Sport e diritto, cit., p. 605. 23

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gramma che avrebbe certamente evidenziato l’esistenza della patologia di cui è stata ritenuta l’efficienza causale nel verificarsi del decesso» 25. Al profilo di responsabilità ora esaminato se ne affianca un secondo, concernente il rilascio della certificazione medica ai fini della pratica non agonistica 26. Ai sensi del d.m. 24 aprile 2013, infatti, è fatto obbligo in capo ai soggetti che intendano praticare un’attività sportiva a livello non agonistico di sottoporsi «a controllo medico annuale che determina l’idoneità a tale pratica sportiva» (art. 3). Ai fini del rilascio è obbligatoria la preventiva misurazione della pressione arteriosa e l’effettuazione di un elettrocardiogramma a riposo, refertato secondo gli standard professionali esistenti; inoltre, in caso di sospetto diagnostico o in presenza di patologie croniche e conclamate, l’art. 3, comma 4 raccomanda al medico certificatore «di avvalersi della consulenza del medico specialista in medicina dello sport e, secondo il giudizio clinico, dello specialista di branca». In questo senso, la Cassazione ha affermato la responsabilità del medico, per violazione dell’obbligo di diligenza di cui all’art. 1176, comma 2, c.c. e del dovere di “protezione” che grava su di esso, nel caso di rilascio di un certificato di buona salute, potenzialmente utilizzabile per un numero indeterminato di attività, a seguito di una valutazione della documentazione attestante l’esistenza di una grave patologia del paziente risultata inadeguata, fornendo in tal modo un contributo causale al verificarsi di un danno alla salute del paziente medesimo 27. Nel caso di specie era accaduto che un calciatore minorenne, durante gli allenamenti, veniva colto da malore e, all’esito di arresto cardiocircolatorio, riportava postumi da grave cerebropatia con paraparesi spastica generalizzata, afasia motoria, turbe della deglutizione, sindrome anamnestica ed alterazioni dello stato di vigilanza. Il medico aveva rilasciato al minore un certificato di buona salute per sport non agonistici, pur in possesso del referto di un cardiologo, nel quale veniva diagnosticata una “cardiomiopatia ipertrofica non ostruttiva” con controindicazione all’attività sportiva, nonché al sollevamento di pesi importanti. Un ultimo profilo di responsabilità del medico sportivo attiene alle le25

Cass. pen., 17 agosto 2011, n. 32154, in Giur. it., 2012, p. 1405 ss., con nota di G. DEBERNARDI. 26 M. PITTALIS, Sport e diritto, cit., p. 614. 27 Cass., Sez. III, 12 febbraio 2010, n. 3353, in Contratti, 2010, p. 500 ss.

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sioni all’integrità psicofisica dell’atleta, derivanti dalla somministrazione ad esso di sostanze proibite, per ottenere un miglioramento delle prestazioni sportive, arrecando danni all’organismo a causa della prolungata assunzione. La somministrazione di sostanze dopanti è risultata essere una prassi adottata frequentemente dalle società sportive, nell’ottica di migliorare le prestazioni degli atleti e pertanto con la complicità dei dirigenti e degli atleti; per questo si conviene che, nel valutare la responsabilità del medico, sia ipotizzabile un concorso di colpa ex art. 1227 c.c. con la società 28.

4. Le responsabilità dei direttori di gara: giudici, arbitri e commissari. Il ruolo del referto arbitrale. Nel corso di ogni competizione sportiva, l’osservanza delle regole tecniche è affidata ad uno o più giudici di gara. Il direttore di gara è il soggetto che dirige la competizione sportiva, assicurandosi che essa si svolga nella piena regolarità, ed esercita il potere disciplinare nei confronti degli atleti, potendo applicare nei loro confronti le norme stabilite dai vari regolamenti federali 29. In primo luogo, l’arbitro deve verificare la conformità alle norme regolamentari degli attrezzi utilizzati dagli atleti, del loro abbigliamento e delle strutture in cui la competizione si svolge (es. verifica delle armi degli schermidori, o dei tacchetti delle scarpe dei calciatori, o dei guantoni dei pugili, ecc.) 30. Inoltre, nel corso della gara, può infliggere agli atleti sanzioni disciplinari individuali per reprimerne eventuali comportamenti scorretti (ammonizioni, richiami, ecc.). Da ultimo il direttore ha il potere di sospendere o interrompere la gara ogni volta che si verifichino eventi tali da mettere in pericolo l’incolumità degli atleti. Dal fascio dei poteri così delineati in capo al direttore di gara si deduce che egli ha, tra l’altro, il dovere di osservare e far osservare ai gareggianti 28

M. PITTALIS, Sport e diritto, cit., p. 618 ss. V. FRATTAROLO, La responsabilità civile per le attività sportive, Giuffrè, Milano, 1984, p. 102. 30 B. BERTINI, op. cit., p. 169. 29

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tutte le norme regolamentari affinché lo sport resti all’interno dei confini che lo rendono gara e non lo trasformino in violenza 31. In questo contesto, relativo alla direzione e alla disciplina della competizione, occorre stabilire se una eventuale condotta colposa dell’arbitro – concretantesi nell’inosservanza delle regole di cui egli è destinatario – possa costituire fonte di responsabilità per eventi lesivi verificatisi nel corso della gara 32. In effetti, è difficile che in concreto si realizzi tale ipotesi di responsabilità, in virtù dell’ampia discrezionalità tecnica attribuita all’arbitro nell’esercizio dei suoi poteri; d’altra parte il danno che può verificarsi in capo a un gareggiante nel corso della gara di norma sarà frutto di una condotta colposa dell’atleta stesso o di un altro atleta 33. Più plausibile l’ipotesi di una responsabilità dell’arbitro a titolo di colpa concorrente quando non si sia conformato alle prescrizioni che i regolamenti sportivi gli imponevano in quel caso e ciò abbia contribuito al verificarsi dell’evento dannoso 34. In questo senso, allora, appare agevole scorgere un profilo di responsabilità del direttore di gara quando l’evento dannoso sia stato causato da un’attrezzatura inidonea dell’atleta, che egli aveva il compito di controllare. Al contrario non sembra realisticamente possibile ritenere responsabile l’arbitro che non abbia sanzionato un atleta nel corso della gara, per via di un reiterato comportamento falloso 35, anche a causa della impossibilità di individuare un nesso di causalità tra comportamento omissivo dell’arbitro e successivo evento lesivo 36. Sicuramente più complessa appare la situazione negli sport “a contatto necessario”, come le arti marziali o la boxe, dove l’arbitro svolge un ruolo più delicato, volto alla salvaguardia dell’integrità psicofisica degli atleti 37. Ad esempio, nella MMA, il Regolamento ufficiale prevede che l’arbitro sia responsabile dell’ordinato svolgimento dell’incontro (art. 28). Egli deve interrompere l’incontro «se un atleta perde sangue o altre sostanze corpo31

L. RINELLA, Le responsabilità penali dei giudici di gara per la morte o le lesioni procurate ad atleti nel corso di manifestazioni sportive, in Riv. dir. sport., 1988, p. 377 ss. 32 B. BERTINI, op. cit., p. 170. 33 V. FRATTAROLO, op. cit., p. 102. 34 L. RINELLA, op. cit., p. 377. 35 L. RINELLA, op. cit., p. 377. 36 B. BERTINI, op. cit., p. 171. 37 M. PITTALIS, La responsabilità sportiva, cit., p. 548.

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ree o se si è infortunato a causa di un’azione illegale dell’avversario» (art. 18), ovvero nel caso in cui perda conoscenza (art. 28). Nei casi di interruzione di un incontro per KO o KO tecnico ha il dovere di chiedere anche l’intervento del medico (art. 17). Nel karate, l’arbitro ha il potere di «interrompere il combattimento quando si nota un infortunio, un malore, o che l’atleta non è in grado di continuare il combattimento» (art. 12, Regolamento d’arbitraggio per le gare di karate World Karate Federation integrato con il Regolamento Filjkam). Anche nella boxe, il Regolamento ufficiale della Federazione Pugilistica Italiana prevede il dovere per l’arbitro di interrompere l’incontro qualora ritenga che uno dei pugili si trovi in stato di evidente inferiorità fisica o tecnica, tale da non consentirgli di proseguire l’incontro 38. È proprio con riferimento alla boxe che è possibile analizzare un caso che, sebbene non più recente, risulta tuttora esemplificativo per la complessità di individuare una responsabilità dell’arbitro per eventi lesivi accaduti nel corso della gara. A seguito di un incontro valevole per il titolo europeo dei pesi medi, il pugile Angelo Jacopucci era deceduto «per “ematoma sottodurale frontoparietale destro ed edema cerebrale diffuso”» 39. Tra i vari imputati, figurava anche il direttore di gara perché, «quale arbitro dell’incontro, per negligenza, imprudenza ed imperizia ed in violazione delle norme del regolamento pugilistico europeo che impongono all’arbitro di interrompere la gara quando uno dei pugili è surclassato e si trova nell’incapacità di difendersi, non interveniva tempestivamente per arrestare l’incontro nel momento in cui lo Jacopucci, ormai sottoposto al soverchiante dominio di Minter, veniva tempestato di colpi durissimi al capo» 40. Cionondimeno, l’arbitro fu assolto in primo grado in quanto avrebbe sì dovuto interrompere il match prima del KO, ma non si poteva stabilire con certezza se la morte del pugile fosse stata causata da colpi precedenti o successivi alla ripresa in cui si era verificato l’atterramento, e che dunque vi era «dubbio sul nesso di causalità tra la colpa dei prevenuti e l’evento, non potendosi affermare in modo sicuro che l’interruzione del combattimento 38

Più precisamente, v. gli artt. 81 e 83 per il pugilato professionistico e gli artt. 38-39 per il pugilato dilettantistico. 39 App. pen. Bologna, 29 marzo 1985, n. 528, in Riv. dir. sport., 1985, p. 31 ss. 40 App. pen. Bologna, 29 marzo 1985, n. 528, cit., p. 33.

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al momento suindicato avrebbe evitato la lesione cerebrale». L’assoluzione fu confermata in appello, poiché la Corte riconobbe allo stesso di essere intervenuto tempestivamente 41. L’indagine sulla responsabilità dei direttori di gara si completa con l’esame della responsabilità per i danni cagionati col referto arbitrale. Nell’esercizio della sua funzione, infatti, l’arbitro dirige e controlla le gare, essendo chiamato ad assicurarne, a tutti gli effetti, il corretto svolgimento nell’osservanza del regolamento della relativa disciplina. In tale contesto, la compilazione del referto di gara costituisce un elemento fondamentale, in quanto è il documento ufficiale che contiene non solo i risultati e i dati che il regolamento di ogni disciplina richiede, ma anche i provvedimenti disciplinari adottati nei confronti dei tesserati e la descrizione di determinati episodi verificatisi nel corso della gara (ad esempio, episodi di violenza, in campo e/o sugli spalti) 42. Pertanto ci si è chiesti se sia possibile configurare una responsabilità in capo all’arbitro che, mediante una compilazione non veritiera del referto di gara, arrechi un danno all’atleta. A tal proposito la giurisprudenza ha convenuto che, quando la non veridicità dei fatti riportati nel referto sia dovuta a una falsa rappresentazione della realtà, e in particolare a un errore scusabile, l’arbitro non è tenuto al risarcimento dei danni 43. È necessaria, dunque, la dimostrazione del dolo o della colpa dell’arbitro nella falsa compilazione del referto di gara, mancanti i quali non è possibile chiedere il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2043 c.c. 44.

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App. pen. Bologna, 29 marzo 1985, n. 528, cit., p. 39 s. M. PITTALIS, Sport e diritto, cit., p. 625. Sulla base di tali considerazioni, peraltro, la giurisprudenza ha stabilito che l’arbitro, sebbene non possa qualificarsi come “pubblico ufficiale” è di fatto «investito di un’attività avente connotazioni e finalità pubblicistiche, in quanto inserito, a pieno titolo, nell’apparato organizzativo e nel procedimento di gestione dei concorsi pronostici da parte del CONI, con il connesso impiego di risorse pubbliche», così Cass., Sez. Un., 9 gennaio 2019, n. 328, in Giur. it., 2019, p. 397 ss. con nota di S. PAPA, Arbitro di calcio, natura giuridica delle federazioni sportive e danno erariale. 43 V. FRATTAROLO, op. cit., p. 104. 44 Trib. Milano 17 luglio 1967, in Monit. trib., 1967, p. 1300 ss. 42

PARTE TERZA

GIUSTIZIA E ADR NELLO SPORT Cap. XI – Giustizia sportiva e ADR (A. CINQUE) Cap. XII – Il sistema di giustizia sportiva (A. CINQUE) Cap. XIII – L’arbitrato sportivo (A. CINQUE)

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CAPITOLO UNDICESIMO

GIUSTIZIA SPORTIVA E ADR di Alberto Cinque

SOMMARIO 1. La giustizia sportiva nel quadro dei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale. – 2. Il riparto di giurisdizione tra giudice sportivo e giudice dello Stato. – 3. Il vincolo di giustizia sportiva. – 3.1. (Segue) La c.d. “pregiudiziale sportiva”. – 4. Le ADR in ambito sportivo.

1. La giustizia sportiva nel quadro dei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale. Il tema dei rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale assume una particolare rilevanza anche ai fini della giustizia sportiva. Anzi, si potrebbe dire che l’attuale conformazione normativa dei rapporti tra ordinamenti è disciplinata “in funzione” della giustizia sportiva e del riparto delle controversie tra questa e la giurisdizione statale. L’autonomia dell’ordinamento sportivo rispetto all’ordinamento dello Stato è infatti riconosciuta dall’art. 1, l. 17 ottobre 2003, n. 280 (che ha convertito in legge, con modificazioni, il d.l. 19 agosto 2003, n. 220, recante appunto «Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva»). Al fine di comprendere i temi della giustizia sportiva e del riparto di giurisdizione tra giudice sportivo e giudice dello Stato, occorre operare sin d’ora un’importante precisazione: il concetto di “autonomia” non coincide con quello di “sovranità” 1. Pertanto, le situazioni giuridiche facenti capo ai 1

Si veda quanto affermato da Collegio di Garanzia dello Sport, Sezione Consultiva, pa-

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soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo devono essere valutate anche in correlazione alle norme dell’ordinamento statale. Inoltre, qualora queste ultime stabiliscano dei principi espressione di interessi che permeano anche l’ordinamento settoriale, quest’ultimo deve necessariamente recepirli e adattarli al proprio diritto positivo 2. Il legislatore, infatti, al citato art. 1, l. 17 ottobre 2003, n. 280, fa salvi «i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo». In altri termini, pur riconoscendo l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale in quanto articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale, stabilisce anche che essa possa esplicarsi liberamente solo con riferimento a interessi a carattere esclusivamente sportivo. Laddove invece, nello svolgimento dell’attività sportiva, vengano in rilievo interessi che assumono giuridica rilevanza anche per l’ordinamento statale, l’autonomia trova un espresso limite 3. Queste considerazioni sulla possibile rilevanza, “anche” per l’ordinamento statale, di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo, appaiono particolarmente utili per introdurre il discorso sulla giustizia sportiva. Dall’autonomia dell’ordinamento sportivo – espressamente riconosciuta oggi, come visto, dall’art. 1 della l. n. 280/2003 – discende infatti non solo un’autonoma potestà normativa di dettare le regole che disciplinano l’organizzazione e il funzionamento dei propri apparati e, in particolare, che regolano lo svolgimento delle gare, con la correlata possibilità di imporre ai propri soggetti l’osservanza di determinate condotte. Da essa discende anche un’altra delle caratteristiche dell’ordinamento rere 17 luglio 2017, n. 4, massimato in A. PIAZZA-A. ZIMATORE, Repertorio ragionato del Collegio di Garanzia dello Sport, Dike, Roma, 2019, p. 262, secondo cui «L’art. 1 della legge 17 ottobre 2003, n. 280 riconosce e garantisce il principio di autonomia dell’ordinamento sportivo in applicazione del quale al legislatore sportivo, pur sempre nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento statale e, dunque, in una dimensione di autonomia e non di sovranità, è riservato il potere di definire quelle regole che siano meglio in grado di assicurare il funzionamento di un ordinamento settoriale così peculiare». 2 Cfr., sul punto, M. SANINO-F. VERDE, Il diritto sportivo, Cedam, Padova, 2015, p. 509. 3 In tal senso si è pronunciata anche la giurisprudenza ordinaria e amministrativa. Si veda Cass., Sez. I, 3 aprile 1987, n. 3218, in Giust. civ., 1987, p. 1678; e in Riv. dir. sport., 1988, p. 85; cfr. inoltre, da ultimo, Cons. St., Sez. VI, 20 novembre 2013, n. 5514, in Foro amm. CDS, 2013, p. 3164.

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sportivo, cioè la c.d. “autodichia”, per tale intendendosi quel potere di conoscere e risolvere, attraverso propri organi, i contrasti attinenti all’interpretazione e all’applicazione delle regole sportive. Viene così a delinearsi un autonomo sistema di giustizia che prende il nome di “giustizia sportiva”, per tale intendendosi il complesso di organi previsti dagli statuti e dai regolamenti delle federazioni e del CONI, finalizzati alla composizione delle controversie che sorgono tra federazioni, società e associazioni sportive e singoli atleti 4. L’autodichia dell’ordinamento sportivo comporta quindi, in primo luogo, che le situazioni rilevanti per l’ordinamento sportivo – sempre che non abbiano rilevanza anche per l’ordinamento statale – debbano trovare tutela all’interno dell’ordinamento sportivo medesimo.

2. Il riparto di giurisdizione tra giudice sportivo e giudice dello Stato. L’art. 1 della l. 17 ottobre 2003, n. 280, nel fare salvi «i casi di rilevanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordinamento sportivo», ha posto il delicato problema di individuare quali vicende suscettibili di contenzioso attengono esclusivamente all’attività sportiva – che, come tali, possono trovare integrale disciplina nell’ambito dell’ordinamento sportivo – e quali aspetti, invece, assumono anche rilevanza “esterna” per l’ordinamento statale. Al riguardo la dottrina e la giurisprudenza hanno evidenziato la seguente suddivisione delle possibili questioni che possono formare oggetto di controversia e che possono interessare gli organi della giustizia sportiva 5: a) questioni di carattere tecnico, relative cioè all’organizzazione delle gare e al loro regolare svolgimento; b) questioni di carattere disciplinare, aventi ad oggetto i comportamenti posti in essere in contrasto con le norme che regolano l’attività sportiva e, più in generale, con i principi di lealtà e correttezza che ne connotano lo svolgimento; 4

M. SANINO, op. cit., p. 28. Cass., Sez. Un., 23 marzo 2004, n. 5775, in Giust. civ., 2005, p. 1625, con nota di G. VIDIRI. Si veda inoltre l’analisi svolta da E. LUBRANO, L’ordinamento giuridico del giuoco calcio, IERI, Roma, 2004, p. 63 ss. 5

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c) questioni di carattere patrimoniale o economico; d) questioni di carattere amministrativo, che sorgono in relazione a quei provvedimenti adottati dalle federazioni nell’espletamento della loro attività a valenza pubblicistica (si pensi, ad esempio, ai provvedimenti di decadenza dall’affiliazione o di esclusione dal campionato). Con la l. 17 ottobre 2003, n. 280, il legislatore ha espressamente recepito questa quadripartizione e ha attribuito in via esclusiva all’ambito della giustizia sportiva le questioni aventi ad oggetto «a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive» (art. 2). La legge medesima prevede inoltre che «esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato Olimpico Nazionale Italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ai sensi dell’art. 2, è disciplinata dal codice del processo amministrativo» (art. 3) 6. Il sistema così delineato, pertanto, attribuisce alla giustizia sportiva le controversie relative a questioni di carattere tecnico o disciplinare (lett. a e b), specificamente riconosciute come materia oggetto di riserva in favore dell’ordinamento sportivo 7. Per quanto riguarda le altre questioni – quelle 6 La disposizione è stata così modificata dall’art. 3, comma 13, all. 4 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo). Il testo originario prevedeva, invece, che ogni altra controversia fosse «devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo». Come è stato sottolineato dalla dottrina (cfr., sul punto, M. SANINO, op. cit., p. 32) la modifica non ha particolare valore sostanziale, atteso che è proprio nel Codice del processo amministrativo che è contenuto l’elenco delle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra cui rientrano, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. z), «le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti». 11 Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza 23 marzo 2004, n. 5775, cit., hanno precisato che le questioni che la l. 17 ottobre 2003, n. 280 riserva al sistema di giustizia sportiva concernono l’osservanza di norme che sono espressione dell’autonomia normativa interna delle federazioni, non hanno rilevanza nell’ordinamento giuridico generale e le decisioni adottate in base ad esse sono collocate in un’area di non rilevanza (o

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non riservate ai sensi dell’art. 2 agli organi dell’ordinamento sportivo (lett. c e d) – la giurisdizione è attribuita, in via principale, agli organi della giustizia sportiva e, in via sussidiaria, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 8, fatta eccezione per i rapporti patrimoniali, devoluti invece alla giurisdizione ordinaria 9. Sono pertanto devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le materie diverse da quelle tecnico-disciplinari (oggetto di riserva in favore degli organi di giustizia sportiva) e patrimoniali (devolute invece alla giurisdizione del giudice ordinario). Va peraltro rilevato, da ultimo, che la l. 30 dicembre 2018, n. 145, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021» ha previsto, al comma 647, una nuova ipotesi di giurisdizione esclusiva e di competenza funzionale inderogabile del T.A.R. del Lazio, con sede in Roma, relativa alle controversie aventi ad oggetto i provvedimenti di ammissione ed esclusione dalle competizioni professionistiche delle società o associazioni sportive professionistiche, o comunque incidenti sulla partecipazione a competizioni professionistiche. Alla luce dei rilievi svolti si ritiene quindi che i provvedimenti emanati d’indifferenza) per l’ordinamento statale, senza che possano essere considerate come espressione di potestà pubbliche e assumere la valenza di decisioni amministrative. La generale irrilevanza per l’ordinamento statale di tali norme e della loro violazione conduce pertanto all’assenza di una tutela giurisdizionale statale; tuttavia – precisano le Sezioni Unite – ciò non significa assenza totale di tutela, ma garanzia di una giustizia di tipo associativo che funziona secondo gli schemi del diritto privato. 8 Occorre infatti ricordare che accanto alla giurisdizione generale sugli interessi legittimi, in alcuni casi è assegnata al giudice amministrativo una giurisdizione anche sui diritti soggettivi, che prende il nome di “giurisdizione esclusiva”. In alcune particolari materie individuate dalla legge, il cui elenco è oggi contenuto nell’art. 133 del Codice del processo amministrativo, il cittadino può agire davanti al giudice amministrativo non solo per tutelare i suoi interessi legittimi o per ottenere il risarcimento dei danni cagionati a tali interessi, ma anche, più in generale, per tutelare i diritti soggettivi che egli vanti nei confronti di un’amministrazione. Si tratta di materie in cui interessi legittimi e diritti soggettivi risultano strettamente correlati e, pertanto, attesa l’insufficienza e la difficile applicabilità del criterio di riparto fondato sulla natura delle posizioni soggettive, il legislatore opta per un riparto fondato sul criterio della riconduzione della vertenza a una determinata materia. Cfr., sul punto, A. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Giappichelli, Torino, 2014, p. 175 ss.; M. CLARICH, La giurisdizione esclusiva e la regolamentazione dell’economia, in Foro amm. TAR, 2003, p. 3133 ss. 9 Sul tema si veda P. SANDULLI-M. SFERRAZZA, Il giusto processo sportivo, Giuffrè, Milano, 2015.

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dagli organi dell’ordinamento sportivo non siano sindacabili da parte del giudice dello Stato solo quando essi attengano ad interessi meramente sportivi dei tesserati. Tuttavia, qualora gli interessi dei tesserati siano giuridicamente rilevanti anche per l’ordinamento statale, quali posizioni giuridiche soggettive qualificabili in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo, la relativa controversia può essere portata innanzi alla giurisdizione statale, del giudice ordinario ove si tratti questioni patrimoniali o economiche ovvero, in tutti gli altri casi, del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva. Ciò in quanto taluni provvedimenti emanati in ambito federale, infatti, possono ledere posizioni giuridiche soggettive rilevanti anche per l’ordinamento statale. Con riferimento a tale ultimo aspetto – della rilevanza, anche per l’ordinamento statale, di provvedimenti emanati dalle federazioni – occorre operare una precisazione che completa il quadro relativo al riparto di giurisdizione tra giudice sportivo e giudice dello Stato. Si è posto infatti il problema se si possa continuare ad affermare la giurisdizione esclusiva del giudice sportivo per «tutti i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive», come risulta dal tenore letterale dell’art. 2, comma 1, lett. b, anche quando i loro effetti superino l’ambito dell’ordinamento sportivo e incidano su situazioni giuridiche soggettive qualificabili in termini di diritto soggettivo o interesse legittimo (in quanto tali, rilevanti anche per l’ordinamento statale). Può accadere, infatti, che le sanzioni disciplinari inflitte ad atleti, tesserati, società e associazioni sportive non esauriscano i loro effetti in ambito meramente interno, ma li esplichino anche rispetto all’ordinamento generale, atteso che i provvedimenti di modifica dello status di tesserato o affiliato sono suscettibili di incidere sulla sfera giuridica dei soggetti dell’ordinamento sportivo sia sul piano morale che su quello patrimoniale 10. Con riferimento a tali situazioni il legislatore, nel demandare alla sola giustizia sportiva la cognizione sui comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e sulle conseguenti sanzioni, sembrerebbe non aver attribuito importanza al fatto che queste ultime possano anche produrre effetti sulla sfera giuridica patrimoniale e non patrimoniale del destinatario del provvedimento. Tuttavia, in base a tale impostazione, che non consente in al10

Cfr. quanto osservato da V. PESCATORE, Sanzione sportiva, responsabilità civile e arbitrato, in Nuova giur. civ. comm., 2010, p. 467 ss.

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cun modo l’intervento del giudice dello Stato nelle materie oggetto di riserva in favore del giudice sportivo (come quella disciplinare), neanche in ordine ai profili risarcitori, l’autonomia dell’ordinamento sportivo riceverebbe una tutela incondizionata. Tale lettura risulterebbe però in contrasto con l’art. 24 Cost., che sancisce il diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, in quanto le controversie aventi ad oggetto le sanzioni disciplinari sarebbero in ogni caso sottratte al sindacato del giudice dello Stato, nonostante dette sanzioni, incidendo su diritti soggettivi e interessi legittimi dei tesserati o affiliati, abbiano prodotto effetti rilevanti anche sul piano dell’ordinamento statale. La Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della norma in esame, fornendone una chiave di lettura costituzionalmente orientata 11. La disciplina configurata dal legislatore sul riparto di giurisdizione tra giudice sportivo e giudice dello Stato va quindi interpretata nel senso che «laddove il provvedimento adottato dalle Federazioni sportive o dal CONI abbia incidenza anche su situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento giuridico statale, la domanda volta ad ottenere non la caducazione dell’atto, ma il conseguente risarcimento del danno, debba essere proposta innanzi al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva, non operando alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla quale la pretesa risarcitoria nemmeno può essere fatta valere». Ne consegue che «Il Giudice amministrativo può, quindi, conoscere, nonostante la riserva a favore della “giustizia sportiva”, delle sanzioni disciplinari inflitte a società, associazioni ed atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione» 12. Pertanto, qualora la situazione soggettiva assuma nell’ordinamento statale la configurazione di diritto soggettivo o di interesse legittimo, è riconosciuta la tutela risarcitoria, da farsi valere innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, secondo quanto previsto dall’art. 133, comma 1, lett. z), d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Codice del processo amministrativo). In tali fattispecie deve, quindi, ritenersi che l’esplicita 11 Il riferimento è a Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, in Giust. civ., 2012, p. 2519, con nota di G. SANTAGADA. 12 Tali affermazioni erano già contenute in Cons. St., 25 novembre 2008, n. 5782, in Foro it., 2009, p. 195 ss.

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esclusione – operata dalla l. 17 ottobre 2003, n. 280 in funzione della tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo – della giurisdizione statale sugli atti attraverso i quali sono state irrogate le sanzioni disciplinari non consente che sia altresì esclusa la possibilità, per chi lamenti la lesione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in giudizio per ottenere il conseguente risarcimento del danno. Non è ammesso, invece, un potere di annullamento da parte del giudice amministrativo dei provvedimenti emanati dagli organi dell’ordinamento sportivo, ivi compresi gli organi di giustizia sportiva, nell’ambito delle controversie aventi natura tecnica o disciplinare. Il quadro normativo attualmente vigente, infatti, secondo la chiave di lettura “costituzionalmente orientata” offerta dalla Corte Costituzionale, limita l’intervento del giudice dello Stato alla sola tutela risarcitoria, escludendo invece «la possibilità dell’intervento giurisdizionale maggiormente incidente sull’autonomia dell’ordinamento sportivo», cioè una tutela caducatoria 13.

3. Il vincolo di giustizia sportiva. Nell’individuazione delle materie in cui trovano applicazione le sole regole tecnico-sportive e che, pertanto, formano oggetto di riserva in favore degli organi della giustizia sportiva per la risoluzione delle corrispondenti controversie, si è osservato nei paragrafi precedenti che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, l. 17 ottobre 2003, n. 280, all’ordinamento sportivo è riservata la disciplina delle questioni aventi ad oggetto: a) l’osservanza e l’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell’ordinamento sportivo medesimo e delle sue articolazioni, al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive; 13

Questa scelta interpretativa è stata peraltro da ultimo confermata da Corte cost., 25 giugno 2019, n. 160, in Guida al dir., 2019, p. 78 ss. In tale pronuncia la Corte Costituzionale ha precisato che l’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina attualmente vigente si fonda su una valutazione di non irragionevolezza del bilanciamento effettuato dal legislatore, che ha escluso l’esperibilità di una tutela caducatoria e limitato l’intervento del giudice dello Stato alla sola tutela per equivalente di situazioni soggettive coinvolte in questioni nelle quali i profili tecnici e disciplinari assumono un rilievo preminente. Ne consegue che la loro autonomia rispetto all’ordinamento statale va tutelata anche attraverso l’esclusione di un potere di annullamento dei relativi provvedimenti da parte del giudice amministrativo.

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b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione e applicazione delle sanzioni disciplinari sportive. Si è anche osservato che la riserva agli organi della giustizia sportiva delle controversie vertenti in dette materie, in cui vengono in rilievo particolari profili tecnico-disciplinari, risponde a un’esigenza di tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, espressamente riconosciuta dal legislatore all’art. 1 della medesima legge. L’art. 2, comma 2 stabilisce poi che nelle indicate materie (cioè quelle concernenti questioni tecniche e disciplinari) le società, le associazioni, gli affiliati e i tesserati sono tenuti ad adire, secondo le previsioni degli statuti e regolamenti del CONI e delle federazioni sportive nazionali, gli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo. Si parla, in tal caso, di “vincolo di giustizia sportiva”, il quale costituisce uno dei principali effetti dell’adesione di un soggetto ai modelli organizzativi propri dell’ordinamento sportivo, mediante il tesseramento o l’affiliazione. Esso può essere quindi definito come l’obbligo per i tesserati e gli affiliati di adire gli organi della giustizia sportiva ai fini della risoluzione delle controversie nelle materie aventi rilevanza esclusivamente interna all’ordinamento sportivo e che, in quanto tali, non possono formare oggetto di sindacato da parte del giudice dello Stato. Il vincolo di giustizia sportiva non va confuso con un altro effetto derivante dal tesseramento o dall’affiliazione, il c.d. “vincolo sportivo”. Quest’ultimo, infatti, consiste nell’impegno di svolgere l’attività sportiva esclusivamente con la società di appartenenza, con esclusione della possibilità di tesserarsi con altra società affiliata presso la stessa federazione per tutta la durata del vincolo medesimo 14. Per comprendere la qualificazione del vincolo di giustizia sportiva in termini di effetto derivante dal tesseramento o dall’affiliazione, si deve 14

In altri termini, l’atleta tesserato presso una società sportiva non può trasferirsi ad altra società o associazione che operi nello stesso settore di disciplina sportiva. Il vincolo sportivo è stato definitivamente abolito per gli atleti professionisti con il d.l. 20 settembre 1996, n. 485 (c.d. “decreto Bosman”), convertito nella l. 18 novembre 1996, n. 586. Detta modifica normativa è stata adottata per conformare la disciplina interna alle statuizioni della Corte di giustizia dell’UE contenute nella sentenza c.d. “Bosman” (Corte giust. UE, 15 dicembre 1995, C-415/93). Per gli atleti dilettanti, invece, rimane inalterato il regime anteriore alla riforma, con la conseguenza che per essi permane il vincolo sportivo ed è, pertanto, precluso il tesseramento con un’altra società affiliata presso la medesima federazione, a meno che la società di appartenenza non rilasci loro il nulla osta al trasferimento, che deve rivestire la forma scritta ad substantiam.

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considerare che le norme dell’ordinamento sportivo non trovano applicazione nei confronti della generalità dei consociati, ma, in ragione dei caratteri dell’autonomia e della settorialità di detto ordinamento, è necessario che sussista un particolare rapporto, anche mediato, tra il destinatario della previsione e una federazione sportiva nazionale, una disciplina sportiva associata o un ente di promozione sportiva. Tale rapporto nasce per effetto di un atto di adesione negoziale a determinati modelli organizzativi di tipo associativo dell’ordinamento sportivo, che prende il nome, a seconda dei casi, di tesseramento o di affiliazione 15 e che comporta l’assoggettamento alle regole di tale ordinamento. In altri termini, se le federazioni sono qualificabili come associazioni di diritto privato, i tesserati e gli affiliati, aderendo ad una di esse, si impegnano anche a rispettarne lo statuto e i regolamenti interni, nonché ad adire esclusivamente gli organi della giustizia sportiva per la risoluzione delle controversie che dovessero insorgere in relazione all’esercizio dell’attività sportiva e ad accettarne le decisioni 16. Pertanto, in un’ottica di tutela dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, nelle materie devolute alla giurisdizione degli organi di giustizia sportiva e sottratte alla giurisdizione statale in ragione dell’indifferenza dello Stato rispetto ad esse, per effetto del tesseramento e dell’affiliazione gli atleti, le società e le associazioni sportive si sottopongono all’osservanza dello statuto e del regolamento delle rispettive federazioni, accettando anche che, in caso di violazioni delle norme ivi previste, tutti gli atti e i fatti riguardanti l’esercizio dell’attività agonistica vengano accertati e giudicati dagli organi della giustizia sportiva 17. 15

Occorre ricordare che l’acquisto dello status di soggetto dell’ordinamento sportivo può derivare dal tesseramento o dall’affiliazione. Il primo riguarda le persone fisiche (non solo gli atleti, ma anche i dirigenti, i tecnici, gli ufficiali di gara, i medici sportivi) e si effettua mediante l’iscrizione della persona stessa ad una società o associazione sportiva, che a sua volta provvede ad iscriverla presso la federazione cui è affiliata. L’affiliazione, invece, riguarda gli enti, cioè società e associazioni sportive, e consiste nell’atto di riconoscimento, a fini sportivi, di una società o un’associazione che ha come scopo statutario lo svolgimento di un’attività sportiva rientrante tra quelle riconosciute dal CONI. 16 Cfr., in tal senso, Collegio di Garanzia dello Sport, Sezione Consultiva, parere 23 febbraio 2015, n. 3, massimato in A. PIAZZA-A. ZIMATORE, Repertorio ragionato del Collegio di Garanzia dello Sport, cit., p. 10, secondo cui «le Federazioni sono qualificabili come associazioni multilivello di diritto privato, con la conseguenza che il tesserato, entrando a far parte della Federazione, si sottopone all’osservanza dei relativi regolamenti interni, accettando anche che tutti gli atti e i fatti relativi all’esercizio dell’attività sportiva vengano accertati e giudicati dagli organi federali». 17 Così M. SANINO, op. cit., p. 31.

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Va comunque precisato che, come più volte affermato dalla giurisprudenza 18, il vincolo di giustizia sportiva, data la sua natura negoziale, può liberamente operare solo nell’ambito strettamente tecnico-sportivo – irrilevante per l’ordinamento dello Stato – ovvero nell’ambito dei diritti disponibili 19. Esso infatti non può trovare applicazione nei confronti dei diritti indisponibili né può spiegare efficacia nell’ambito degli interessi legittimi, i quali, in considerazione del loro intrinseco collegamento con un interesse pubblico e in forza dei princìpi sanciti dall’art. 113 Cost., non sono suscettibili di formare oggetto di una rinunzia preventiva, generale e temporalmente illimitata alla tutela giurisdizionale 20. Quindi, per effetto del vincolo di giustizia sportiva non potrebbe discendere alcuna preclusione, per i soggetti dell’ordinamento sportivo, di adire il giudice statale ogniqualvolta si lamenti la lesione di un diritto soggettivo indisponibile ovvero si contesti il non corretto esercizio di un potere pubblicistico in relazione al quale sia configurabile una posizione di interesse legittimo.

3.1. (Segue) La c.d. “pregiudiziale sportiva”. Il vincolo di giustizia sportiva – inteso quale obbligo di adire gli organi della giustizia sportiva ai fini della composizione di determinate controversie – opera, come si è avuto modo di osservare, unicamente con riferimento alle questioni tecnico-disciplinari, che si connotano appunto per la loro irrilevanza rispetto all’ordinamento statale. Per tutte le altre controversie – tutte quelle, cioè, non riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo – la l. 17 ottobre 2003, n. 280 prevede un diverso regime. L’art. 3 dispone infatti, attraverso l’inciso «esauriti i gradi della giustizia 18

Cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, ord. 9 ottobre 1993, n. 536, in Foro it., 1994, p. 511 ss., con nota di G. VIDIRI. 19 Va precisato sin d’ora che il vincolo di giustizia sportiva si distingue dalla c.d. “clausola compromissoria”, in forza della quale le parti devolvono la risoluzione della controversia a un collegio arbitrale, sottraendola al giudice dello Stato. In argomento, si veda più ampiamente infra, cap. X, § 2, ove si avrà modo di osservare anche che i due istituti hanno un diverso ambito di applicazione, l’uno – il vincolo di giustizia – operante solo con riferimento alle materie riservate al giudice sportivo, mentre l’altro – la clausola compromissoria, in quanto volta a sottrarre al giudice dello Stato la risoluzione delle controversie che ne formano oggetto – applicabile alle materie rilevanti anche per l’ordinamento statale. 20 In questi termini, M. SANINO, op. cit., p. 208.

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sportiva», che è possibile adire il giudice dello Stato solo allorché il giudizio sia stato previamente promosso innanzi agli organi della giustizia sportiva. Tale necessità di previo esperimento, da parte del privato, di tutti i gradi della giustizia sportiva prima di poter sottoporre la controversia al vaglio degli organi giurisdizionali dello Stato prende il nome di “pregiudiziale sportiva”. È evidente, allora, la differenza tra i due istituti: la pregiudiziale sportiva consiste nell’obbligo in forza del quale i tesserati e gli affiliati, pur non rinunciando alla giurisdizione statale (ordinaria o amministrativa), sono tenuti ad adire in via prioritaria il giudice sportivo. Diversamente, il vincolo di giustizia attiene alle questioni che l’art. 2, comma 1 riserva espressamente agli organi di giustizia sportiva e che risultano irrilevanti per l’ordinamento statale. In quest’ultima ipotesi, pertanto, la tutela giurisdizionale coincide con la sola giustizia di tipo associativo, che in tal modo rappresenta l’unica tutela giurisdizionale riconosciuta al singolo 21. Ne consegue che, mentre nelle materie in cui vige il vincolo di giustizia sportiva il privato non può in alcun modo rivolgersi al giudice dello Stato, attesa l’indifferenza dell’ordinamento statale per le questioni oggetto della controversia, nei casi di pregiudizialità sportiva il legislatore ha previsto solamente l’obbligo per i soggetti dell’ordinamento sportivo di esaurire previamente tutti i gradi della giustizia sportiva. Discusse sono le conseguenze sul piano sostanziale e processuale dell’inadempimento di tale obbligo. Dal punto di vista dell’ordinamento sportivo, si ritiene che il tesserato che non rispetta la pregiudiziale sportiva si renda inadempiente al vincolo assunto mediante l’adesione all’ordinamento settoriale e che possa quindi essere sanzionato sul piano disciplinare dalla federazione di appartenenza 22. Dal punto di vista dell’ordinamento statale, invece, si discute se, sul piano processuale, si tratti di un’ipotesi di inammissibilità della domanda 23 ovvero ne rappresenti una condizione di procedibilità 24. 21

Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 30 marzo 2015, n. 8, in A. PIAZZA-A. ZIMARepertorio ragionato, cit., pp. 649-650, in cui si precisa altresì che nelle ipotesi di pregiudizialità sportiva le decisioni assunte nei vari gradi di giustizia sportiva non limitano il giudice statale, né lo devono influenzare, rispetto alla decisione del merito della controversia. 22 Cfr. Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 30 marzo 2015, n. 8, cit. 23 In questi termini, Cons. St., 31 maggio 2013, n. 3002, in cui si afferma che «il mancato previo esperimento dei gradi della giustizia sportiva endofederale comporta l’inammissibilità dell’impugnazione in sede giurisdizionale dell’atto di formazione del campionato di calcio». 24 Per questo orientamento, si veda P. SANDULLI, Ancora qualche riflessione sull’autonomia della giustizia sportiva e sul vincolo di giustizia, in Riv. dir. econ. sport, 2017, p. 23 ss. TORE,

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La dottrina e la giurisprudenza si sono inoltre interrogate sul significato da attribuire all’espressione «tutti i gradi della giustizia sportiva», tra cui – secondo un orientamento ormai consolidato – andrebbero ricompresi non solo gli organi della giustizia c.d. endofederale, ma anche il Collegio di Garanzia dello Sport, istituito presso il CONI quale organo di ultima istanza competente a conoscere delle controversie non altrimenti impugnabili nell’ambito dell’ordinamento federale, in virtù della funzione di garanzia e di chiusura dell’ordinamento sportivo attribuitagli dallo Statuto del CONI (art. 12-bis) e dal Codice della Giustizia Sportiva (art. 54 ss.) 25. La previsione in esame, in ogni caso, è stata ritenuta conforme ai princìpi affermati dalla Corte Costituzionale in tema di legittimità delle ipotesi di c.d. “giurisdizione condizionata” 26. La pregiudiziale sportiva, infatti, non importa una integrale rinunzia alla tutela giurisdizionale, in contrasto con l’art. 24 Cost., ma si limita ad imporre il previo esaurimento dei rimedi interni all’ordinamento sportivo, consentendo a quest’ultimo, nel rispetto dell’autonomia che è ad esso riconosciuta dal legislatore, la previa composizione interna delle controversie 27.

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Sul tema, si veda l’orientamento consolidato della giurisprudenza del Collegio di Garanzia dello Sport. Si segnalano, ex multis, Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 25 settembre 2018, n. 62; Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 24 aprile 2018, n. 22; Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 4 luglio 2017, n. 47; Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 27 marzo 2017, n. 22. 26 Sul punto, l’orientamento della Corte Costituzionale ritiene ammissibile il ricorso alla giurisdizione c.d. condizionata, in quanto «l’art. 24 della Costituzione, laddove tutela il diritto di azione, non comporta l’assoluta immediatezza del suo esperimento, ben potendo la legge imporre oneri finalizzati a salvaguardare “interessi generali” con le dilazioni conseguenti». Cfr. Corte cost., 13 luglio 2000, n. 276, in Riv. dir. proc., 2000, p. 1219 ss., con nota di R. CONTE; e in Mass. giur. lav., 2000, p. 1104 ss., con nota di R. TISCINI. Pertanto, si ritiene che il condizionamento del diritto di azione possa considerarsi legittimo, laddove sia volto a soddisfare un interesse pubblico, connesso al miglioramento del sistema giudiziario o della funzionalità del processo, e sia tale da non rendere troppo gravoso o impossibile l’esercizio del diritto di azione. 27 Cfr. quanto affermato, incidentalmente, da Corte Cost., 11 febbraio 2011, n. 49, cit., secondo cui la pregiudiziale sportiva rappresenterebbe la «corretta e logica conseguenza della riconosciuta autonomia dell’ordinamento sportivo».

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4. Le ADR in ambito sportivo. Negli ultimi decenni si è registrata in Italia e in altri sistemi giuridici europei, nell’intento di ridurre il ricorso al giudice dello Stato, analogamente a quanto avvenuto negli ordinamenti di common law, una forte spinta culturale – recepita poi dal legislatore – verso metodi di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione statale (c.d. Alternative Dispute Resolution o ADR) 28. Tale locuzione è suscettibile di ricomprendere, quindi, tutti quegli istituti finalizzati alla composizione autonoma o eteronoma di una controversia senza l’intervento dell’Autorità giudiziaria. Essi possono avere natura decisionale, come l’arbitrato, ovvero natura negoziale, come la conciliazione, che si caratterizza per la presenza di un accordo volto alla (ri)composizione degli interessi delle parti. All’interno della categoria delle ADR sono state prospettate nel corso degli anni, anche dietro l’impulso della dottrina statunitense, molteplici classificazioni 29. Ai fini che qui interessano, basti rilevare che, secondo la distinzione più ricorrente, i sistemi ADR si dividono in procedure “aggiudicative”, che mirano a una risoluzione della controversia mediante una decisione vincolante resa da un terzo in virtù dei poteri ad esso conferiti dalle parti, e procedure “facilitative”, le quali mirano invece a una risoluzione della controversia realizzata mediante un accordo tra le parti facilitato dall’intervento mediatorio di un terzo 30. Le più significative tipologie di ADR che rilevano nell’ambito del diritto sportivo sono l’arbitrato, la conciliazione e la mediazione. L’arbitrato, disciplinato dal codice di procedura civile agli artt. 806 ss., costituisce un metodo eteronomo di risoluzione non giurisdizionale delle controversie in cui la composizione della lite è demandata non al giudice 28 Si vedano, sul punto, i rilievi svolti da L. COLANTUONI, Arbitrato e conciliazione nello sport, in G. ALPA-V. VIGORITI (a cura di), Arbitrato. Profili di diritto sostanziale e di diritto processuale, Utet, Torino, 2013, p. 1346 ss. 29 Per i necessari richiami alla dottrina e alla giurisprudenza statunitense, cfr. F. SANTAGADA, La conciliazione delle controversie civili, Cacucci Editore, Bari, 2008, p. 101 ss. 30 Cfr. R. MARTINO, La mediazione come attività «procedimentalizzata»: una via effettiva per la conciliazione della lite?, in R. MARTINO (a cura di), Materiali e commenti sulla mediazione civile e commerciale, Cacucci Editore, Bari, 2011, p. 15. Per ulteriori riferimenti in ordine ai sistemi ADR e alle loro classificazioni, cfr. G. DINACCI, Le procedure ADR nell’ordinamento italiano, ivi, p. 29 ss.

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dello Stato, che esercita l’attività giurisdizionale in forza di un potere autoritativo-pubblicistico, ma a un soggetto privato – l’arbitro – il cui potere decisionale trova la propria fonte nella volontà di tutti i soggetti destinatari della decisione arbitrale 31. La natura aggiudicativa dell’arbitrato emerge dalla principale caratteristica che connota tale tipo di soluzione eteronoma: la decisione è presa dall’arbitro sulla base di una valutazione di fondatezza delle pretese avanzate dalle parti, nel rispetto del principio del contraddittorio e del diritto di difesa. Pertanto tale metodo di soluzione dei conflitti, pur presentando, rispetto al processo davanti al giudice dello Stato, indubbi vantaggi legati alla rapidità e alla riservatezza della procedura, opera sempre secondo il binomio – proprio della logica aggiudicativa – “accoglimento” e “rigetto” delle domande ed eccezioni formulate dalle parti. Diversamente, con la conciliazione le parti non devolvono la decisione della lite a un terzo, ma risolvono il conflitto mediante un accordo in cui le pretese delle parti trovano una composizione 32. La conciliazione può aversi mediante un negoziato diretto tra le parti ovvero con l’intervento di un terzo imparziale. In quest’ultimo caso si parla comunemente di “mediazione”, anche se tale termine designa più propriamente il procedimento di negoziazione assistita tramite il quale le parti tentano di pervenire alla conciliazione della controversia. Si noti, infatti, che d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, dettato in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, in attuazione della direttiva 2008/52/CE, definisce la mediazione come «l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa». La principale caratteristica della mediazione, che vale a distinguerla dagli altri strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, pertanto, è la 31 Sottolinea F.P. LUISO, Diritto processuale civile, Vol. V, Giuffrè, Milano, 2015, p. 110, che «il processo giurisdizionale si fonda sull’autorità, mentre il processo arbitrale si fonda sul consenso». 32 Come è stato efficacemente osservato, arbitrato e conciliazione consistono in «fenomeni tra loro eterogenei», che si differenziano per il fatto che «la decisione è nel primo caso imposta da un terzo (eteronoma), nel secondo caso è frutto diretto delle parti (autonoma)». Si veda, in questi termini, E. ZUCCONI GALLI FONSECA, La nuova mediazione nella prospettiva europea: note a prima lettura, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, p. 653.

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presenza del mediatore, un soggetto terzo e imparziale cui è demandata la funzione di aiutare le parti a giungere a un accordo conciliativo 33. Appare chiara, allora, la differenza tra conciliazione e mediazione, anche alla luce della scelta operata dal legislatore europeo nella richiamata direttiva e fatta propria dal legislatore italiano nel d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28: la mediazione si riferisce all’attività svolta, mentre la conciliazione all’accordo raggiunto a seguito dell’esito positivo della mediazione 34. Alla luce delle osservazioni svolte emerge come si sia avuto un ricorso sempre più frequente a tali metodi alternativi di risoluzione delle controversie, i quali, in ragione della loro informalità, celerità ed economicità, sono risultati spesso più efficaci rispetto alla giurisdizione statale, che versa attualmente in uno stato di crisi legata a diversi fattori, tra i quali rientra l’aumento esponenziale del contenzioso registratosi negli ultimi anni. L’esigenza di ridurre l’intervento del giudice dello Stato nelle controversie che insorgono tra i propri soggetti è particolarmente avvertita dall’ordinamento sportivo, all’interno del quale è istituito a tal fine un sistema di giustizia sportiva cui è demandata la cognizione delle questioni tecniche, disciplinari, economiche e amministrative. Tuttavia, come si è avuto modo di osservare, il riparto di giurisdizione tra giudice sportivo e giudice statale delineato nella l. 17 ottobre 2003, n. 280 opera una riserva in via esclusiva in favore del giudice sportivo solo con riferimento alle controversie di natura tecnico-disciplinare, irrilevanti per l’ordinamento statale. Per gli altri tipi di controversie, invece, il ricorso al giudice dello Stato non è precluso in via assoluta, ma è solo subordinato al previo esaurimento di «tutti i gradi della giustizia sportiva» 35. Pertanto, al fine di sottrarre anche tali ultime controversie alla cognizione del giudice statale, è stata ritenuta opportuna la predisposizione, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, di adeguati strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, in un’ottica di maggiore tutela dell’autonomia dell’ordinamento settoriale rispetto all’ordinamento generale. Tra questi va menzionato, in primo luogo, l’arbitrato, attraverso il quale i tesserati e gli affiliati devolvono a uno o più soggetti privati la composi33

Cfr. G. DINACCI, op. cit., p. 31. Così F.P. LUISO, op. cit., p. 25. Cfr., sul punto, la formulazione dell’art. 1, comma 1, lett. c), d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, in cui la conciliazione è definita come «la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione». 35 Su cui v. supra, § 2. 34

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zione di una lite già insorta tra loro ovvero le eventuali controversie future vertenti in materia di diritti disponibili. A livello internazionale, il modello più significativo di procedura arbitrale è rappresentato dall’esperienza del Tribunale Arbitrale dello Sport, c.d. TAS (secondo la denominazione francese, Tribunal Arbitral du Sport) o CAS (secondo la denominazione inglese, Court of Arbitration for Sport), con sede a Losanna 36. La nostra analisi si concentrerà, in particolare, dapprima sul sistema di giustizia sportiva e, successivamente, sull’arbitrato sportivo nazionale. Con riferimento a quest’ultimo profilo va rilevato che, nell’ambito del vigente quadro normativo, improntato ad un accentramento della funzione giurisdizionale di ultimo grado non già in un organo arbitrale ma nel Collegio di Garanzia dello Sport istituito presso il CONI, le procedure arbitrali sono limitate essenzialmente alle controversie economiche o patrimoniali e trovano la propria fonte in clausole compromissorie contenute negli statuti e nei regolamenti federali o nei contratti di lavoro subordinato sportivo, disciplinati dalla l. 23 marzo 1981, n. 91. Nella richiamata prospettiva di ridurre il rischio di conflitto tra la giustizia sportiva e l’ordinamento dello Stato vengono poi predisposti gli altri strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giustizia sportiva e all’arbitrato, tra i quali figura la conciliazione, di cui taluni regolamenti federali, come si vedrà, richiedono l’esperimento obbligatorio prima dell’inizio della procedura arbitrale.

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In argomento si veda, per tutti, A. MERONE, Il tribunale arbitrale dello sport, Giappichelli, Torino, 2009.

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CAPITOLO DODICESIMO

IL SISTEMA DI GIUSTIZIA SPORTIVA di Alberto Cinque

SOMMARIO 1. L’organizzazione della giustizia sportiva. – 2. Il Codice della Giustizia Sportiva e il processo sportivo. – 3. La giustizia endofederale. – 3.1. Giudici sportivi nazionali e territoriali. – 3.2. La Corte sportiva di appello. – 3.3. Il Tribunale federale. – 3.4. La Corte di appello federale. – 4. La Procura federale. – 5. La Procura generale dello Sport. – 6. Il Collegio di Garanzia dello Sport. – 6.1. Il sindacato di legittimità.

1. L’organizzazione della giustizia sportiva. L’espressione “giustizia sportiva” designa quel complesso di organi facenti capo a una singola Federazione o al CONI, deputati alla risoluzione delle controversie che insorgono nell’ambito dell’ordinamento sportivo 1. Per comprendere l’estensione del sistema della giustizia sportiva vanno anzitutto tracciati i relativi confini, da un lato rispetto alla giurisdizione statale e, dall’altro, rispetto alle forme di giustizia alternativa (c.d. ADR) 2. A 1

Sulla giustizia sportiva cfr. il primo lavoro monografico in materia di F.P. LUISO, La giustizia sportiva, Giuffrè, Milano, 1975; nonché, più di recente, F. GOISIS, La giustizia sportiva tra funzione amministrativa ed arbitrato, Giuffrè, Milano, 2007; P. SANDULLI-M. SFERRAZZA, Il giusto processo sportivo, Giuffrè, Milano, 2015; e M. SANINO, Giustizia sportiva, Cedam, Padova, 2016. 2 I confini della giustizia sportiva, specie rispetto alla giurisdizione statale, discendono in via diretta dal sistema disegnato dalla l. 17 ottobre 2003, n. 280, dal quale emergono tre aree principali: a) quella relativa alle questioni tecnico-disciplinari, che riguarda l’applicazione delle regole tecniche della singola disciplina sportiva e delle sanzioni in caso di illeci-

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tal fine pare opportuno richiamare brevemente i concetti, anticipati al capitolo precedente, di “vincolo di giustizia sportiva”, di “pregiudiziale sportiva” e di “ADR”. Il vincolo di giustizia sportiva è stato definito come l’obbligo, sussistente in capo ai tesserati e agli affiliati, di adire gli organi della giustizia sportiva ai fini della risoluzione delle controversie per le materie tecnico-disciplinari, che rilevano per il solo ordinamento sportivo e che, pertanto, non possono formare oggetto di sindacato da parte del giudice dello Stato. Esso risponde all’esigenza di assicurare una tutela, sia pure di tipo associativo e in via esclusivamente “interna”, a quelle situazioni irrilevanti per l’ordinamento statale. La pregiudiziale sportiva indica invece l’obbligo dei soggetti dell’ordinamento sportivo di adire in via prioritaria gli organi di giustizia “interna”, senza che ciò implichi, però, una rinunzia alla giurisdizione statale. Essa opera dunque con riferimento a quelle materie non riservate in via esclusiva alla giustizia sportiva, le quali presentano profili di rilevanza anche per l’ordinamento statale (perché involgono posizioni giuridiche soggettive qualificabili in termini di diritto soggettivo o interesse legittimo). Da ciò consegue che la pregiudiziale sportiva, diversamente dal vincolo di giustizia, risponde all’esigenza di consentire all’ordinamento sportivo, in ragione della sua autonomia, una previa composizione interna delle controversie che dovessero insorgere nell’ambito di materie rilevanti anche per l’ordinamento statale 3. Ancora diverse sono le forme di giustizia alternativa che ricorrono sotto il nome di “ADR” (cioè Alternative Dispute Resolution). L’espressione, come noto, indica quelle forme di risoluzione delle controversie alternative rispetto alla giurisdizione statale. ti disciplinari, riservata in via esclusiva alla giustizia sportiva; b) quella relativa alla giurisdizione esclusiva amministrativa residuale, per ogni controversia avente ad oggetto atti del CONI o delle Federazioni sportive “non riservata agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo”; c) infine, quella relativa alla giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni ed atleti, la quale costituisce, come si vedrà, l’àmbito elettivo di operatività dell’arbitrato sportivo. Per ulteriori riferimenti cfr. M. SANINO-F. VERDE, Il diritto sportivo, Cedam, Padova, 2015, p. 443 ss., spec. p. 451, nt. 9. 3 Come già detto, la stessa Corte Costituzionale ha osservato che la pregiudiziale sportiva rappresenterebbe la «corretta e logica conseguenza della riconosciuta autonomia dell’ordinamento sportivo». Cfr. in tal senso la richiamata sentenza Corte Cost., 11 febbraio 2011, n. 49, cit.

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La giustizia sportiva, quindi, si estende in un àmbito che va dalle questioni di natura tecnico-disciplinare a quelle “residuali” di natura amministrativa soggette alla pregiudiziale sportiva. Non copre, invece, le materie che formano oggetto di cognizione da parte degli strumenti ADR. Questi, infatti, sono “alternativi” rispetto alla giurisdizione statale e pertanto il loro àmbito applicativo coincide integralmente con le materie rilevanti per l’ordinamento statale. Materie in cui, come si è visto, certamente non rientrano quelle attinenti alle questioni tecniche e disciplinari, rilevanti solo per l’ordinamento sportivo. Entro i confini appena tracciati va dunque collocato il sistema della giustizia sportiva, la cui attuale conformazione costituisce l’esito di diverse riforme, l’ultima delle quali intervenuta nel 2014. Con tale riforma è stato istituito, presso il CONI, il Collegio di Garanzia dello Sport quale organo di vertice del sistema. Esso ha sostituito l’Alta Corte di giustizia e il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport (TNAS), istituiti in attuazione della riforma del 2008 che a sua volta aveva disposto la soppressione della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport. La riforma del 2014 ha anche il merito di aver uniformato i diversi sistemi di giustizia di tipo associativo facenti capo a ogni Federazione (c.d. giustizia endofederale). Prima di tale riforma, infatti, una delle principali criticità che venivano segnalate con riferimento all’organizzazione della giustizia sportiva era la non perfetta omogeneità tra la giustizia endofederale e quella facente capo al CONI 4. Oggi, invece, nell’attuale conformazione della giustizia sportiva vi sono tanti sistemi quante sono le Federazioni sportive nazionali. Ognuna di esse ha, infatti, il proprio sistema di giustizia interno con i propri organi (suddivisi a loro volta in Giudici sportivi territoriali e nazionali, Corte sportiva di appello, Tribunale federale e Corte di appello federale). Al vertice, quale unico organo di ultimo grado con funzioni di giudice di legittimità, vi è il Collegio di Garanzia dello Sport, istituito presso il CONI, dinanzi al quale vanno promossi i ricorsi avverso le decisioni emesse dagli organi di giustizia di qualsiasi sistema endofederale.

4 Si vedano, ad es., M. SANINO-F. VERDE, Il diritto sportivo, cit., p. 519 s., i quali osservano che il processo davanti agli organi di giustizia federali rischiava di costituire un mero “passaggio procedimentale” in attesa della decisione definitiva proveniente da un organo del CONI.

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2. Il Codice della Giustizia Sportiva e il processo sportivo. La riforma del 2014 merita di essere segnalata, inoltre, per l’approvazione del Codice della Giustizia Sportiva. Si tratta di un intervento normativo da parte del CONI di particolare importanza, dal momento che impone, per la prima volta, delle regole procedurali uniformi cui sono tenuti a conformarsi anche gli organi di giustizia appartenenti alle singole Federazioni 5. Il Codice della Giustizia Sportiva dedica, infatti, il Titolo I alle “Norme generali del processo sportivo” e, al suo interno, il Capo I ai “Principi del processo sportivo”. Tra questi rientrano, in particolare, il principio di parità delle parti, quello del contraddittorio, la ragionevole durata del processo, l’obbligo di motivazione di ogni decisione e gli altri principi del giusto processo 6. A partire dalla formulazione della norma contenuta nell’art. 2, comma 2 del Codice, che menziona in via generica gli “altri” principi del giusto processo, la dottrina ha parlato di un “catalogo aperto” 7, composto ora da principi espressamente fissati, ora da altri desumibili da regole particolari 8. L’art. 2, comma 6 opera inoltre un rinvio alle norme e ai principi che regolano il processo civile per tutto quanto non disciplinato dal Codice della Giustizia Sportiva e, in ogni caso, nei limiti di compatibilità con il necessario carattere di informalità che connota il processo dinanzi agli organi di giustizia sportiva. Vi sono infatti, nel processo sportivo, esigenze di informalità e celerità della procedura di cui le norme generali del processo 5 Sul tema dell’uniformità delle regole procedurali introdotte con il Codice della Giustizia Sportiva cfr. L. FERRARA-F. ORSO, Il Codice di giustizia del CONI tra omogeneizzazione procedurale e autonomia federale, in Riv. dir. sport., 2015, p. 5 ss. 6 Su cui si vedano in particolare le riflessioni di A. PANZAROLA, Sui principi del processo sportivo (riflessioni a margine dell’art. 2 del codice di giustizia sportiva), in Riv. dir. sport., 2015, p. 32 ss.; con specifico riferimento al giudizio dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport cfr. anche E. LUBRANO, Il giusto processo sportivo innanzi al Collegio di Garanzia dello Sport, in Riv. dir. sport., 2020, p. 437 ss. 7 A. PANZAROLA, op. ult. cit., p. 32; p. 40. 8 Si pensi, ad esempio, alla norma che prevede espressamente il diritto di agire in giudizio innanzi agli organi di giustizia (art. 4, comma 2), dalla quale sarebbe desumibile il principio di cui all’art. 24, comma 1, Cost., che stabilisce, come noto, il diritto di agire per la tutela dei diritti ed interessi protetti; o, ancora, alla garanzia di autonomia e indipendenza degli organi di giustizia (art. 2, comma 3), da cui si desume anche la garanzia di imparzialità del giudicante.

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civile non necessariamente tengono conto: si pensi, ad esempio, a quelle esigenze – peculiari al solo ordinamento sportivo – che impongono la conclusione di un procedimento disciplinare a carico di un atleta in tempi rapidi, perché dall’esito dello stesso dipende la partecipazione (o la squalifica) dell’atleta alla gara successiva 9; o, ancora, si pensi a un procedimento in materia di iscrizione ai campionati, in cui le esigenze di certezza e celerità sono dettate anche dalla presenza di controinteressati; oppure ai procedimenti in materia di tesseramento o affiliazione, in cui è in questione la stessa qualità di soggetto dell’ordinamento sportivo di una delle parti. Il Codice della Giustizia Sportiva, dopo aver dettato i principi del processo sportivo, si occupa delle norme generali sul procedimento, le quali ricomprendono la disciplina dei poteri degli organi di giustizia, della comunicazione degli atti a mezzo PEC, oltre alla previsione, in caso di lite temeraria, di una condanna della parte soccombente al pagamento di una somma pari al triplo delle spese sostenute per l’avvio della procedura.

3. La giustizia endofederale. Il Codice si occupa poi di disciplinare i diversi organi che compongono il sistema della giustizia sportiva e le rispettive competenze, a partire dagli organi di giustizia facenti capo alle singole Federazioni. Come già osservato ogni Federazione ha, al proprio interno, un “sottosistema” di giustizia che da un lato si adatta alle caratteristiche proprie della disciplina sportiva di riferimento 10 e, dall’altro, presenta elementi di 9

Da queste esigenze di certezza e celerità della procedura deriva anche la natura perentoria dei termini del procedimento disciplinare (sia quelli stabiliti per l’esercizio dell’azione disciplinare, sia quelli per la conclusione del procedimento). Si veda, in questo senso, Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 8 marzo 2018, n. 11, massimata in A. PIAZZA-A. ZIMATORE, Repertorio ragionato del Collegio di Garanzia dello Sport, Dike, Roma, 2019, p. 442, in cui si osserva che sussiste, in capo alla Procura federale, «un obbligo di avviare tempestivamente e portare celermente a compimento l’azione disciplinare non appena avuto notizia di fatti disciplinarmente rilevanti»; nonché Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 8 marzo 2018, n. 10, ivi, p. 443, ove si afferma che il termine di novanta giorni per la pronuncia della decisione di primo grado, decorrente dalla data di esercizio dell’azione disciplinare, ha natura perentoria, in omaggio al principio di ragionevole durata delle controversie sportive. 10 Ad esempio la previsione dello svolgimento dell’attività sportiva in forma professio-

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omogeneità rispetto agli altri sistemi di giustizia appartenenti ad altre Federazioni, specie con riferimento alle modalità di scelta dei giudici, alla competenza, ai poteri degli organi giudicanti, all’efficacia delle decisioni e all’appellabilità delle stesse. Ciò è reso possibile dalle regole uniformi dettate in via generale dal Codice della Giustizia Sportiva. Quella endofederale consiste in una giustizia di tipo associativo, legata cioè all’organizzazione dell’ordinamento sportivo in una pluralità di associazioni con personalità giuridica di diritto privato (le Federazioni, appunto), che sono soggette a riconoscimento da parte del CONI. La possibilità che le Federazioni abbiano un proprio sistema di giustizia interna è strettamente correlata a quel particolare effetto che discende dall’adesione all’ordinamento sportivo e che prende il nome di “vincolo di giustizia sportiva”. In altri termini, se le Federazioni sono qualificabili come associazioni non riconosciute di diritto privato, i tesserati e gli affiliati, aderendo a una di esse, si impegnano anche a rispettarne lo Statuto e i regolamenti interni, nonché ad adire esclusivamente gli organi della giustizia sportiva per la risoluzione delle controversie che dovessero insorgere in relazione all’esercizio dell’attività sportiva 11. Occorre adesso passare ad analizzare singolarmente gli organi che compongono il sistema di giustizia endofederale, i quali sono così suddivisi: da un lato, troviamo il Giudice sportivo nazionale, i Giudici sportivi territoriali e la Corte sportiva di appello; e, dall’altro, il Tribunale federale e la Corte di appello federale.

nistica o solo dilettantistica, il numero di tesserati e affiliati presenti nella Federazione, ecc. Cfr., in tal senso, G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, Milano, 2016, p. 289. 11 Il punto è pacifico anche nella giurisprudenza sportiva. Si veda, ex multis, Collegio di Garanzia dello Sport, Sezione Consultiva, parere 23 febbraio 2015, n. 3, massimato in A. PIAZZA-A. ZIMATORE, Repertorio ragionato del Collegio di Garanzia dello Sport, cit., p. 10: «Applicando le categorie civilistiche, può essere affermato che il tesseramento e l’affiliazione risultano qualificabili come atti di adesione ad un contratto plurilaterale con comunione di scopo. Il tesserato, aderendo allo statuto della Federazione, si impegna a rispettarne le regole statutarie. Le Federazioni sono qualificabili come associazioni multilivello di diritto privato, con la conseguenza che il tesserato, entrando a far parte della Federazione, si sottopone all’osservanza dei relativi regolamenti interni, accettando anche che tutti gli atti e i fatti relativi all’esercizio dell’attività sportiva vengano accertati e giudicati dagli organi federali».

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3.1. Giudici sportivi nazionali e territoriali. Il Titolo II del Codice della Giustizia Sportiva disciplina le funzioni e le competenze dei giudici sportivi, i quali devono essere quindi tenuti distinti dai giudici federali. I giudici sportivi si distinguono in Giudice sportivo nazionale, Giudici sportivi territoriali e Corte sportiva di appello. Nell’ambito del giudizio di primo grado, il Giudice sportivo nazionale è competente per tutti i campionati e le competizioni, mentre i Giudici sportivi territoriali, se istituiti, sono competenti esclusivamente per i campionati e le competizioni di ambito territoriale. Ciò significa che è lasciato alla singola Federazione, in considerazione delle peculiarità della disciplina sportiva praticata e della sua articolazione solo su base nazionale ovvero anche territoriale, decidere se istituire, accanto a un Giudice sportivo nazionale, anche i Giudici sportivi territoriali 12. Entrambi si pronunciano in prima istanza, in composizione monocratica, senza udienza e con immediatezza, su tutte le questioni sostanzialmente connesse allo svolgimento della gara. In particolare, giudicano sulle questioni relative: alla regolarità delle gare e all’omologazione dei relativi risultati; alla regolarità dei campi o degli impianti e delle relative attrezzature in occasione della gara; alla regolarità dello status e della posizione di atleti, tecnici o altri partecipanti alla gara; ai comportamenti di atleti, tecnici o altri tesserati in occasione o nel corso della gara; e, infine, in ordine a ogni altro fatto rilevante per l’ordinamento sportivo avvenuto in occasione della gara. Il procedimento può essere instaurato d’ufficio, a seguito dell’acquisizione dei documenti ufficiali relativi alla gara o sulla base di un’eventuale segnalazione da parte del Procuratore federale; l’instaurazione del procedimento può avvenire anche su istanza del soggetto interessato, cioè del titolare di una situazione giuridicamente protetta nell’ordinamento federale. L’istanza deve essere proposta entro il termine stabilito da ciascuna Federazione e, in assenza di un’apposita previsione, entro tre giorni dal compimento dell’evento. Il Giudice fissa poi la data in cui verrà assunta la de12 Così G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 311. Va precisato altresì che l’inciso «se istituiti» non era presente nel testo originario dell’art. 15 del Codice della Giustizia Sportiva ma è frutto di un’aggiunta successiva, la quale si era resa necessaria perché era stato da più parti rilevato che non tutte le Federazioni nazionali avevano un’articolazione dell’attività sportiva anche su base territoriale.

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cisione e le parti possono far pervenire memorie e documenti entro due giorni prima di quello fissato per la pronuncia. Emerge, quindi, con evidenza il carattere di massima celerità cui è improntato il procedimento appena descritto, pur nel rispetto del principio del contraddittorio e di parità delle parti 13.

3.2. La Corte sportiva di appello. Le decisioni del Giudice sportivo nazionale e dei Giudici sportivi territoriali possono essere impugnate con reclamo davanti alla Corte sportiva di appello, che giudica in composizione collegiale. Il collegio è composto da tre componenti, nominati dal Consiglio federale su proposta del Presidente. Il reclamo può essere promosso dalla parte interessata o dalla Procura federale, entro il termine fissato da ciascuna Federazione e, in difetto, entro sette giorni decorrenti dalla data di pubblicazione della pronuncia impugnata. Va in ogni caso precisato che la proposizione del reclamo non sospende l’esecuzione della decisione impugnata, salva la possibilità del collegio giudicante di adottare, su istanza del reclamante, «ogni provvedimento idoneo a preservarne provvisoriamente gli interessi» (art. 23, comma 2, Codice della Giustizia Sportiva). Anche nel giudizio di secondo grado si riscontrano i medesimi caratteri di celerità della procedura precedentemente richiamati. Il Presidente della Corte sportiva di appello è tenuto a fissare l’udienza in camera di consiglio con provvedimento comunicato senza indugio agli interessati, i quali devono costituirsi in giudizio entro due giorni prima dell’udienza con memoria difensiva depositata o fatta pervenire alla Corte sportiva di appello. Entro lo stesso termine è ammesso l’intervento di altri eventuali interessati. La Corte sportiva di appello può riformare in tutto o in parte la decisione impugnata. Se rileva motivi di improponibilità o di improcedibilità dell’istanza proposta in primo grado, annulla la pronuncia impugnata. In ogni altro caso in cui non debba dichiarare l’inammissibilità del reclamo decide nel merito.

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M. SANINO-F. VERDE, Il diritto sportivo, cit., p. 536.

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3.3. Il Tribunale federale. Accanto ai giudici sportivi, nell’ambito di ciascuna Federazione sono istituiti i giudici federali: il Tribunale federale in primo grado e la Corte di appello federale in secondo grado. Se la competenza dei giudici sportivi riguarda le controversie di natura tecnico-sportiva connesse allo svolgimento e alla regolarità delle gare, i giudici federali giudicano «su tutti i fatti rilevanti per l’ordinamento sportivo in relazione ai quali non sia stato instaurato né risulti pendente un procedimento dinanzi ai Giudici sportivi nazionali o territoriali» (art. 25, comma 1, Codice della Giustizia Sportiva). L’art. 31 del Codice prevede inoltre due specifiche ipotesi di competenza del Tribunale federale in materia di annullamento degli atti delle Federazioni. Possono essere annullate, infatti, le deliberazioni dell’Assemblea contrarie alla legge, allo Statuto del CONI e ai principi fondamentali del CONI, allo Statuto e ai regolamenti della Federazione, su ricorso di organi della Federazione, del Procuratore federale, e di tesserati o affiliati titolari di una situazione giuridicamente protetta nell’ordinamento federale che abbiano subito un pregiudizio diretto e immediato da dette deliberazioni. E, inoltre, ai sensi del comma 2, possono essere annullate per i medesimi motivi le deliberazioni del Consiglio federale su ricorso di un componente, assente o dissenziente, del Consiglio federale o del Collegio dei revisori dei conti. Il procedimento davanti al Tribunale federale è instaurato con atto di deferimento del Procuratore federale oppure con ricorso della parte interessata titolare di una situazione giuridicamente protetta nell’ordinamento federale. La disciplina contenuta nel Codice della Giustizia Sportiva è diversa per l’una e per l’altra modalità di inizio del procedimento. Nel primo caso, cioè quello dell’instaurazione del procedimento mediante atto di deferimento, il Presidente entro dieci giorni provvede a fissare l’udienza di discussione e la comunica all’incolpato, alla Procura federale e agli altri soggetti interessati. Fino a tre giorni prima dell’udienza è previsto il deposito di memorie e documenti e l’indicazione dei mezzi di prova. L’art. 28 del Codice della Giustizia Sportiva disciplina poi l’ipotesi di “applicazione della pena su richiesta”, cioè una forma di “patteggiamento” analoga a quella prevista dagli artt. 444 ss. c.p.p. 14. Nel testo ora vigente l’art. 28 14

Discorrono di “patteggiamento anticipato” M. SANINO-F. VERDE, Il diritto sportivo, cit., p. 538.

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prevede che, anteriormente allo svolgimento della prima udienza dinanzi al Tribunale federale 15, gli incolpati possono convenire con il Procuratore federale l’applicazione di una sanzione, indicandone il tipo e la misura. L’accordo è poi trasmesso al collegio giudicante 16, il quale, se reputa corretta la qualificazione dei fatti contestati in giudizio e congrui la sanzione o gli impegni indicati, ne dichiara anche fuori udienza la efficacia con apposita decisione 17. La decisione comporta, a ogni effetto, la definizione del procedimento. Come già accennato, il procedimento davanti al Tribunale federale può essere instaurato, oltre che per atto di deferimento del Procuratore federale, anche su ricorso della parte interessata. In tal caso il ricorso deve essere depositato entro trenta giorni da quando il ricorrente ha avuto piena conoscenza dell’atto o del fatto e, comunque, non oltre un anno dall’accadimento. Decorsi tali termini, i medesimi atti o fatti non possono costituire causa di azione innanzi al Tribunale federale, se non per atto di deferimento del Procuratore federale. Entro dieci giorni dal deposito del ricorso, il Presidente del Tribunale fissa l’udienza di discussione, trasmettendo il ricorso ai soggetti nei cui confronti esso è proposto o comunque interessati e agli altri eventualmente indicati dal regolamento di ciascuna Federazione, nonché comunicando, anche al ricorrente, la data dell’udienza. Inoltre, fino a cinque giorni prima di quello fissato per l’udienza costoro, oltre che il ricorrente, possono depositare memorie, indicare i mezzi di prova di cui intendono valersi e produrre documenti. Il procedimento dinanzi al Tribunale federale si svolge in camera di consiglio e le parti hanno facoltà di essere sentite. La trattazione è orale ed è regolata con modalità tali da assicurare alle parti, e in particolare all’incolpato, l’esercizio del diritto di difesa 18. La decisione del Tribunale è comunicata alle parti e pubblicata senza indugio. 15 Prima della modifica della norma il patteggiamento poteva essere convenuto fino alla conclusione del procedimento dinanzi al Tribunale federale. 16 Nella nuova formulazione della norma resta esclusa, dal novero dei soggetti coinvolti nel procedimento di vaglio dell’accordo di patteggiamento, la Procura generale. 17 Va in ogni caso precisato che, ai sensi del comma 3 dell’art. 28, l’istituto dell’applicazione della pena su richiesta non può trovare applicazione per i casi di recidiva, per i fatti commessi con violenza che abbiano comportato lesioni gravi della persona nonché per i fatti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione ovvero ad assicurare a chiunque un vantaggio in classifica. 18 Ad esempio, l’art. 35, comma 4 del Codice prevede che nei giudizi disciplinari «l’incolpato ha sempre il diritto di prendere la parola dopo il rappresentante del Procuratore federale».

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3.4. La Corte di appello federale. Le decisioni del Tribunale federale sono impugnabili mediante reclamo della parte interessata innanzi alla Corte di appello federale. Il reclamo deve essere depositato presso tale organo entro il termine di quindici giorni decorrenti dalla data di pubblicazione della decisione impugnata e non ne sospende l’esecuzione. Col reclamo la controversia è devoluta alla Corte nei limiti delle domande e delle eccezioni non rinunciate o altrimenti precluse. La trattazione è orale e assicura alle parti equivalenti possibilità di difesa, consentendo a ciascuna il deposito di almeno un atto scritto o di una memoria. Il collegio giudicante può, anche d’ufficio, rinnovare l’assunzione delle prove o assumere nuove prove. Esso definisce il giudizio confermando o riformando, in tutto o in parte, la pronuncia di primo grado. Non è consentita la rimessione al primo giudice. Quando definisce il giudizio, il presidente del collegio dà lettura del dispositivo e, se la particolare complessità della controversia non consente il deposito contestuale della motivazione, fissa un termine non superiore a dieci giorni per il deposito della sola motivazione. In quest’ultimo caso, non è comunque impedita l’esecuzione della decisione e il ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport, ove ammesso, rimane improponibile fino alla pubblicazione della motivazione.

4. La Procura federale. Occorre ora passare all’esame della figura del Procuratore federale, che esercita funzioni inquirenti e requirenti ed è il titolare dell’azione disciplinare nei confronti di tesserati e affiliati secondo le norme di ciascun ordinamento federale. Il Procuratore federale, ricevuta la notizia della commissione di un illecito disciplinare 19, conduce la propria attività di indagine e, una volta terminata, può deferire il soggetto interessato oppure procedere con l’archiviazione. 19 Il Procuratore federale prende notizia degli illeciti di propria iniziativa e riceve le notizie presentate o comunque a lui pervenute. L’azione disciplinare è esercitata d’ufficio e il suo esercizio non può essere sospeso né interrotto, salvo che sia diversamente stabilito.

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L’archiviazione è disposta se la notizia di illecito sportivo è infondata oppure quando, entro il termine di conclusione delle indagini, gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio, l’illecito è estinto, il fatto non costituisce illecito disciplinare ovvero ne è rimasto ignoto l’autore. Quando, invece, non ritiene di disporre l’archiviazione, il Procuratore federale informa l’interessato dell’intenzione di procedere al deferimento e gli comunica gli elementi che lo giustificano, assegnandogli un termine per presentare una memoria ovvero per chiedere di essere sentito. Qualora il Procuratore federale ritenga di dover confermare la propria intenzione, esercita l’azione disciplinare formulando l’incolpazione mediante atto di deferimento a giudizio comunicato all’incolpato, al giudice e agli ulteriori soggetti eventualmente indicati dal regolamento di ciascuna Federazione. Il potere del Procuratore federale di esercitare l’azione disciplinare è soggetto a precisi limiti temporali. La durata delle indagini non può superare il termine previsto da ciascuna Federazione e, comunque, non superiore a sessanta giorni dall’iscrizione nel registro del fatto o dell’atto rilevante 20, salva la possibilità per la Procura generale dello Sport di autorizzare una proroga del termine in ragione, ad esempio, della particolare complessità delle indagini 21. Diversamente, il termine previsto per il deferimento a giudizio dopo l’audizione dell’incolpando e quello per la conclusione del procedimento disciplinare, come ha chiarito la giurisprudenza, hanno natura perentoria 22, alla luce del diritto del tesserato o dell’affiliato di non restare in una situazione di incertezza e di vedere definita la propria posizione entro un termine predeterminato. A tal fine vengono in rilievo i principi di certezza e di ragionevole durata dei tempi di definizione dei procedimenti disciplinari, espressamente riconosciuti dall’art. 2, comma 3 del Codice della Giustizia Sportiva 23. 20 Il termine previsto nella versione precedente dell’art. 47, comma 3 del Codice era di quaranta giorni. 21

Sul punto cfr. Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 10 agosto 2015, n. 35, massimata in A. PIAZZA-A. ZIMATORE, Repertorio ragionato del Collegio di Garanzia dello Sport, cit., p. 449. 22

In tema di perentorietà del termine per provvedere al deferimento, si veda quanto affermato di recente dal Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 10 febbraio 2021, n. 13. 23 In questi termini Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 8 marzo 2018, n. 10, cit. In senso conforme, ex multis, Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 21 novembre 2016, n. 58, ivi, p. 446.

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L’esercizio dell’azione disciplinare da parte del Procuratore federale è inoltre soggetto a un termine di prescrizione, che inizia a decorrere dal giorno in cui si è verificato il fatto disciplinarmente rilevante 24. La sopravvenuta estraneità di un soggetto all’ordinamento sportivo non impedisce l’esercizio dell’azione disciplinare. Il momento rilevante ai fini dell’assoggettabilità alle norme dell’ordinamento sportivo e, quindi, alle sanzioni ivi previste, è infatti quello della commissione dell’illecito, anche laddove il tesseramento sia in seguito venuto meno 25. Si parla, in tal caso, di “ultrattività” del vincolo 26 derivante dal tesseramento o dall’affiliazione, che lega un soggetto a una determinata Federazione. Ciò che l’art. 45, comma 5 prevede è, semplicemente, la sospensione del termine di prescrizione dell’azione finché l’autore dell’illecito non assuma nuovamente una posizione rilevante all’interno dell’ordinamento sportivo 27. 24 L’indicazione dei termini di prescrizione, ognuno dei quali avente un proprio dies ad quem, è contenuta nell’art. 45, comma 3, Codice della Giustizia Sportiva, cui si rinvia per la disciplina di dettaglio. 25 Si veda, ad es., Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 8 marzo 2018, n. 11, cit., per cui «I tesserati con le Federazioni Sportive sono soggetti alla “giurisdizione” degli organi della giustizia sportiva, per fatti verificatisi quando erano tesserati ed anche nel caso in cui il tesseramento è venuto meno nel corso dell’azione disciplinare e del conseguente giudizio. Rileva, infatti, ai fini dell’assoggettamento alla giustizia sportiva, la posizione rivestita al momento della commissione delle violazioni contestate». 26 A partire dalla quale si ammette che le norme dell’ordinamento sportivo – applicabili, in via generale, ai soli soggetti che di tale ordinamento fanno parte – possano operare anche per il tempo successivo alla cessazione del tesseramento (o dell’affiliazione) ove riguardino vicende ad esso attenenti. In giurisprudenza si vedano, ad es., Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 12 luglio 2017, n. 51; Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 30 gennaio 2017, n. 10; Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 18 ottobre 2016, n. 49; Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 23 febbraio 2015, n. 5. Nelle richiamate decisioni, è stato costantemente statuito che «Le previsioni statutarie e regolamentari, cui l’associato soggiace per effetto del tesseramento, possono operare anche per il tempo successivo alla cessazione del vincolo associativo, purché riguardino vicende attinenti a quel vincolo e con effetti limitati ad esso». In senso conforme, si veda anche Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 22 marzo 2016, n. 13, ove si afferma che «L’esercizio dell’azione disciplinare non è impedito dalla sopravvenuta estraneità all’ordinamento federale del soggetto che abbia commesso la violazione contestata». 27 Vi sono però dei casi in cui la sussistenza di un valido rapporto di tesseramento e, quindi, la permanenza del soggetto passivo del provvedimento sanzionatorio all’interno dell’ordinamento sportivo rappresentano un presupposto indispensabile ai fini dell’effettività della sanzione. Ci si riferisce, in particolare, alle sanzioni non istantanee, che presuppongono appunto, per la loro esecuzione, la qualità di soggetto dell’ordinamento sportivo (si pensi, ad esempio, alla sanzione della sospensione del rapporto di tesseramento). In tale

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Della possibilità, prevista dall’art. 48 del Codice, che l’incolpato e il Procuratore federale addivengano, prima della conclusione delle indagini, a un accordo per l’applicazione della sanzione su richiesta (c.d. “patteggiamento”), si è già detto precedentemente 28. Va in ogni caso precisato che tale accordo, che si inserisce in una fase, come quella delle indagini, da cui può scaturire o meno il deferimento, una volta definitivo impedisce la stessa proponibilità dell’azione disciplinare 29.

5. La Procura generale dello Sport. Una delle innovazioni più significative introdotte con il Codice della Giustizia Sportiva è rappresentata dall’istituzione della Procura generale dello Sport 30. L’art. 12-ter dello Statuto del CONI stabilisce, al primo comma, che «allo scopo di tutelare la legalità dell’ordinamento sportivo, è istituita, presso il CONI, in posizione di autonomia e indipendenza, la Procura generale dello sport con il compito di coordinare e vigilare le attività inquirenti e requirenti svolte dalle procure federali». A partire dal tenore letterale di questa disposizione già si comprende quale sia il compito principale che l’ordinamento sportivo assegna alla Procura generale dello Sport. Tale organo, composto dal Procuratore generale dello Sport e dai Procuratori nazionali dello Sport, nell’esercizio delle funzioni di coordinamento e vigilanza delle Procure federali può invitare, anche su segnalazione di singoli tesserati e affiliati, il capo della Procura federale ad aprire un fascicolo di indagine su uno o più fatti specifici. Può, inoltre, avocare a sé l’attività inquirente in caso di superamento dei termini per la conclusione delle indagini, di richiesta di proroga degli stessi, di omissione di attività di indagine tale da pregiudicare l’azione disciplievenienza soccorre l’art. 12 dei Principi Generali del CONI, che prevede il divieto di far parte dell’ordinamento sportivo per dieci anni per coloro che, con le proprie dimissioni o non rinnovando il tesseramento, si sottraggano volontariamente all’esecuzione delle sanzioni loro irrogate. 28 V. supra, § 3.3 relativo al procedimento dinanzi al Tribunale federale. 29 A tal proposito l’art. 48 parla di “improponibilità assoluta” dell’azione disciplinare in relazione ai fatti relativamente ai quali è stato convenuto l’accordo. 30 Accanto all’abolizione del TNAS e dell’Alta Corte di Giustizia Sportiva, sostituiti dal Collegio di Garanzia dello Sport, di cui si dirà in seguito.

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nare e nei casi in cui l’intenzione di procedere all’archiviazione sia ritenuta irragionevole. Con Procura generale dello Sport non solo è stato istituito, dunque, un organo che opera «in piena autonomia e indipendenza», nel senso che non è subordinato ad alcun organo del CONI, ma è stato anche ridisegnato il ruolo fino a quel momento riservato alle Procure federali. Tale ruolo oggi non può più essere pensato, infatti, se non tenendo conto del rapporto di complementarietà (e, secondo alcuni, di subordinazione) esistente tra l’attività delle Procure federali e quella svolta dalla Procura generale dello Sport 31. Oltre a quello di avocazione dell’attività di indagine e di invito ad aprire un fascicolo su uno o più fatti specifici, tra i poteri assegnati all’organo in esame, in cui si estrinseca la relativa funzione di coordinamento e vigilanza, meritano di essere segnalati: quello di adottare linee guida per prevenire impedimenti o difficoltà nell’attività di indagine dei Procuratori federali; quello di riunire i Procuratori federali interessati al fine di rendere effettivo il rispettivo potere di promuovere la repressione degli illeciti; quello di autorizzare l’astensione del Procuratore federale; e, infine, quello di svolgere attività di raccordo tra Procura federale e Procura Antidoping del CONI in caso di conflitti di competenza. La Procura generale dello Sport possiede, poi, specifiche funzioni requirenti in relazione al giudizio dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport. Essa ha, infatti, il potere di proporre ricorso al Collegio di Garanzia per i motivi tassativamente elencati dall’art. 54 del Codice della Giustizia Sportiva, nonché di intervenire, parallelamente alla Federazione interessata 32, in ogni udienza fissata per la discussione di questioni di cui è investito il Collegio di Garanzia dello Sport. Di tale organo occorre ora occuparsi.

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Cfr. i rilievi operati da M. SANINO, Giustizia sportiva, cit., p. 295 ss., spec. p. 299 e p. 307 ss. Nonché M. SANINO-F. VERDE, Il diritto sportivo, cit., p. 551, in cui gli Autori rilevano una vera e propria resistenza o “disappunto” di alcune Federazioni di fronte all’introduzione della Procura generale dello Sport. 32 Cfr. Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 21 aprile 2018, n. 21, in cui si afferma che la Procura generale ha altresì facoltà di proporre ricorso dinanzi al Collegio di Garanzia non solo in modo congiunto con le Procure federali, ma anche autonomamente e, quindi, anche a prescindere dall’eventuale ricorso proposto dalla Procura federale, quando la stessa è risultata soccombente (anche solo in parte) nel giudizio endofederale.

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6. Il Collegio di Garanzia dello Sport. La riforma del 2014 ha istituito, quale organo di vertice del sistema di giustizia sportiva, il Collegio di Garanzia dello Sport. L’organo in esame è collocato al di fuori dei singoli sistemi di giustizia endofederale facenti capo, come visto, a ogni Federazione sportiva. Si parla piuttosto, in tal caso, di giustizia “esofederale”, per indicare un organo unico, esterno alle Federazioni e istituito presso il CONI, dinanzi al quale sono impugnabili in ultimo grado le decisioni assunte dagli organi di giustizia federali. Il Collegio di Garanzia dello Sport è costituito in sezioni, con competenza diversificata per materia. Vi sono, in particolare, quattro sezioni giudicanti e una sezione consultiva, alle quali si è aggiunta, più di recente, una sezione specializzata in materia di ammissione e iscrizione ai campionati sportivi professionistici. A ciascuna sezione è preposto un Presidente di sezione e le decisioni sono assunte da un collegio giudicante composto da cinque membri. Alle quattro sezioni giudicanti sono assegnate, rispettivamente, le controversie inerenti a questioni tecnico-sportive, questioni disciplinari, questioni amministrative, questioni patrimoniali 33. Il Collegio di Garanzia dello Sport svolge anche funzioni consultive per il CONI e per le singole Federazioni sportive. Il Presidente del Collegio di Garanzia, anche su proposta del Presidente di una sezione, può stabilire che una determinata questione, per i profili di rilevanza e di principio che essa riveste, debba essere decisa dalle Sezioni unite. Tale composizione è costituita dal Presidente del Collegio, che la presiede, e dai Presidenti delle sezioni giudicanti. Il ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport è soggetto a precisi limiti, stabiliti dal Codice della Giustizia Sportiva. In particolare, l’art. 54 prevede che «Avverso tutte le decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito 33 Sottolineano G. LIOTTA-L. SANTORO, Lezioni di diritto sportivo, cit., p. 320, che tale riparto di competenza per materia tra le quattro sezioni giudicanti non è da considerarsi tassativo. Tant’è vero che nel 2015 lo stesso Codice della Giustizia Sportiva (art. 57, comma 2, lett. c) è stato modificato nel senso che il Presidente assegna ciascuna controversia alla sezione di competenza o, in caso di sovraccarico, ad altra sezione ovvero alle Sezioni unite. Ciò si è verificato con frequenza relativamente alle controversie disciplinari, assegnate anche alla Quarta Sezione, competente invece per le controversie di natura economica, normalmente meno frequenti perché spesso devolute a collegi arbitrali.

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dell’ordinamento federale ed emesse dai relativi organi di giustizia, ad esclusione di quelle in materia di doping e di quelle che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di durata inferiore a novanta giorni o pecuniarie fino a 10.000 euro, è proponibile ricorso al Collegio di Garanzia dello Sport, di cui all’art. 12-bis dello Statuto del Coni. Il ricorso è ammesso esclusivamente per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti» 34. La giurisprudenza del Collegio di Garanzia ha chiarito che la ratio della norma è quella di evitare che l’organo di vertice del sistema di giustizia sportiva si occupi di controversie c.d. bagatellari. Perché la controversia abbia il connotato della gravità non è necessario, tuttavia, che all’esito del giudizio di secondo grado sia stata irrogata una sanzione superiore a novanta giorni o 10.000 euro. È sufficiente, invece, che ciò sia avvenuto in uno dei gradi del giudizio endofederale. Ne consegue che sussiste la competenza del Collegio anche nei casi in cui in primo grado sia stata irrogata una sanzione superiore ai minimi edittali di cui all’art. 54 del Codice, ma tale sanzione sia stata successivamente ridotta al di sotto dei limiti in grado di appello 35. Inoltre, valorizzando l’incipit della disposizione ora richiamata, secondo cui il Collegio di Garanzia giudica in ultimo grado sulle decisioni «non altrimenti impugnabili» emesse dagli organi di giustizia federali, la giurisprudenza ha ammesso la competenza del Collegio a conoscere dei ricorsi avverso tutte quelle pronunce, ancorché non decise in via definitiva, che tuttavia non potrebbero essere contestate innanzi ad altri organi della giustizia sportiva 36. È stato valorizzato, in altri termini, il profilo dell’impossibilità di rivolgersi ad altri organi giurisdizionali dell’ordinamento sportivo per vedere tutelate le proprie istanze. Ciò anche a fronte di decisioni non definitive, le quali a rigore esulerebbero dai limiti stabiliti dall’art. 54 del Codice. 34

L’art. 12-bis dello Statuto del CONI ricalca questa disposizione. Cfr. Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 18 gennaio 2016, n. 3, in cui si legge in motivazione che non può essere l’esito del giudizio di secondo grado a radicare la competenza del Collegio di Garanzia perché, se così fosse, il sistema avrebbe introdotto una regola di non ricorribilità delle decisioni favorevoli all’incolpato. Una regola, questa, che esplicitamente, e non in via interpretativa, dovrebbe essere stabilita dalle norme e della quale invece non vi è traccia. 36 Così Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 27 marzo 2017, n. 22, in A. PIAZZAA. ZIMATORE, Repertorio ragionato del Collegio di Garanzia dello Sport, cit., p. 111. 35

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Il procedimento dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport è introdotto con ricorso, che deve essere proposto, mediante deposito dell’atto e della relativa documentazione, entro trenta giorni dalla pubblicazione della decisione impugnata. È prevista altresì la possibilità di impugnazione incidentale della parte intimata e delle altre eventuali destinatarie del ricorso, che possono presentare, non oltre dieci giorni prima dell’udienza, l’eventuale impugnazione da cui non siano già decadute. Nel termine di dieci giorni prima dell’udienza, fermo quanto appena detto per l’impugnazione incidentale, le parti possono presentare memorie contenenti le conclusioni o le istanze di cui, nei limiti di quelle già proposte, domandano l’accoglimento. Le parti non possono stare in giudizio se non con il ministero di un difensore, munito di apposita procura. È prevista in ogni caso la possibilità di avvalersi dell’istituto del gratuito patrocinio 37. Il procedimento deve essere definito entro sessanta giorni dal deposito del ricorso. Ciò risulta in linea con le esigenze di celerità del giudizio già richiamate per i procedimenti dinanzi agli organi di giustizia federali. Le decisioni sono adottate in camera di consiglio, previa pubblica udienza. Quando il Collegio di Garanzia riforma la decisione impugnata decide, in tutto o in parte, la controversia se non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto o le parti ne hanno fatto concorde richiesta entro il termine di chiusura della discussione orale; in tutti gli altri casi, rinvia la decisione all’organo di giustizia federale competente che, in diversa composizione, dovrà pronunciarsi definitivamente entro sessanta giorni applicando il principio di diritto enunciato dal Collegio. In tal caso non è ammesso nuovo ricorso salvo che per la violazione del principio di diritto.

6.1. Il sindacato di legittimità. Merita, infine, un accenno la parte finale dell’art. 54 del Codice della Giustizia Sportiva, in base alla quale «Il ricorso è ammesso esclusivamente per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti». 37

Art. 57 del Codice, integrato dall’art. 4 del Regolamento di organizzazione e funzionamento del Collegio.

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Dalla disposizione richiamata si desume che dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport non è deducibile qualsiasi motivo di ricorso, ma è ammesso un sindacato limitato ai soli motivi di legittimità. Ne consegue che il ricorso al Collegio di Garanzia va qualificato, in maniera non dissimile al ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., di cui l’art. 54 riecheggia i termini, come un mezzo di impugnazione a critica vincolata. Esso introduce un giudizio dal quale rimane estranea la possibilità di rivalutare eccezioni, argomentazioni e risultanze istruttorie acquisite nella fase di merito 38. Non sorgono particolari problemi interpretativi riguardo al vizio di “violazione di legge”, pacificamente assimilato all’analoga previsione del codice di rito. Ciò che ha creato maggiori contrasti è stato, invece, il riferimento che l’art. 54 fa alla «omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti». Come emerge dalla semplice lettura della disposizione, il legislatore sportivo ha adottato una formulazione più ampia rispetto a quella di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., che circoscrive invece la censura, nel testo risultante dopo la riforma del 2012, all’«omesso esame circa un fatto decisivo». La scelta operata nel processo sportivo non sembra essere casuale e, pertanto, ci si è interrogati, sin dall’entrata in vigore del Codice della Giustizia Sportiva, sulla corretta interpretazione dell’art. 54. A tali fini particolarmente utile è risultata l’opera ermeneutica effettuata dal Collegio di Garanzia, che in varie occasioni si è pronunciato sulla portata applicativa del “vizio di motivazione”, individuandone le differenze rispetto alla previsione (apparentemente analoga) contenuta codice di procedura civile. Secondo l’orientamento della giurisprudenza sportiva sarebbe ravvisabile un difetto o un’insufficienza della motivazione quando dal percorso argomentativo del giudice emerga l’omesso esame di elementi che avrebbero potuto condurre a una diversa decisione, ovvero nei casi di mancata esposizione del procedimento logico o motivazionale seguito dal giudice 39. Al difetto di motivazione è equiparata la motivazione meramente apparente, che ricorre nei casi in cui la motivazione, benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione perché reca, ad 38 Cfr. in questo senso, ex multis, Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 19 dicembre 2017, n. 93; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 1 aprile 2016, n. 16; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 3 dicembre 2015, n. 63. 39 Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 7 marzo 2017, n. 19.

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esempio, argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice 40. Inoltre, la più ampia formulazione adottata dal legislatore sportivo rispetto all’art. 360 c.p.c. consente al Collegio non soltanto di verificare che non sia stato omesso l’esame di un fatto decisivo, ma anche di sindacare la motivazione sotto il profilo della “sufficienza”. Le Sezioni Unite del Collegio di Garanzia hanno precisato che tale requisito non può essere apprezzato su un piano meramente quantitativo, cioè in relazione al numero degli argomenti posti alla base della decisione, ma deve necessariamente essere verificato anche sul piano qualitativo. La verifica della sufficienza della motivazione, in altri termini, comporta una verifica della congruità e adeguatezza del procedimento logico-motivazionale 41. Non è invece richiamato, nell’art. 54 del Codice della Giustizia Sportiva, il vizio di “contraddittorietà” della motivazione, che invece era menzionato nella precedente formulazione dell’art. 360, n. 5, c.p.c. («omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione»). Tuttavia, la giurisprudenza sportiva ha affermato che anche la contraddittorietà della motivazione, che cioè l’incompatibilità logica tra gli argomenti posti dal giudice di merito a sostegno della decisione, può denotare un’insufficienza della motivazione. Pertanto, secondo l’orientamento appena richiamato, anche il vizio di contraddittorietà della motivazione, sebbene non contemplato esplicitamente dall’art. 54 del Codice, è deducibile dinanzi al Collegio di Garanzia dello Sport 42.

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Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 4 luglio 2017, n. 47. Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 13 giugno 2017, n. 44. 42 Collegio di Garanzia dello Sport, Quarta Sezione, decisione 12 ottobre 2017, n. 75 e, in senso conforme, ex multis, Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 13 giugno 2017, n. 44, cit.; Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 12 maggio 2017, n. 39; Collegio di Garanzia dello Sport, decisione 29 dicembre 2016, n. 63; Collegio di Garanzia dello Sport, Sez. Un., decisione 22 gennaio 2016, n. 4. 41

CAPITOLO TREDICESIMO

L’ARBITRATO SPORTIVO di Alberto Cinque

SOMMARIO 1. L’arbitrato sportivo: inquadramento generale. – 2. La clausola compromissoria. – 3. L’ambito di applicazione dell’arbitrato sportivo. – 4. L’arbitrato nelle controversie di lavoro sportivo. – 4.1. Profili generali. – 4.2. L’arbitrato di lavoro sportivo nel calcio professionistico. – 5. L’arbitrato sportivo federale. – 5.1. La Camera arbitrale per le vertenze economiche nel nuovo Codice di Giustizia sportiva della FIGC. – 5.2. La Commissione Accordi Economici presso la Lega Nazionale Dilettanti. – 5.3. L’arbitrato federale presso la Federazione Italiana Nuoto. – 6. Il Collegio di Garanzia dello Sport con funzioni di organo arbitrale. – 7. Le altre forme di ADR nello sport: conciliazione e mediazione.

1. L’arbitrato sportivo: inquadramento generale. L’arbitrato è uno strumento per la risoluzione delle controversie alternativo alla giurisdizione statale mediante il quale le parti demandano ad uno o più soggetti privati – attraverso un apposito patto, detto “convenzione di arbitrato” – la composizione della lite già insorta tra loro o delle eventuali liti che possono insorgere 1. La convenzione di arbitrato può ricorrere sotto forma di compromesso (art. 807 c.p.c.), avente ad oggetto una o più controversie già insorte tra le parti, ovvero sotto forma di clausola compromissoria (artt. 808 e 808-bis c.p.c.), relativa a controversie future, non ancora sorte al momento della stipulazione di detta convenzione. 1

Sulla configurazione della convenzione d’arbitrato come un patto di deroga alla giurisdizione si veda Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000, n. 527, in Corr. giur., 2001, p. 51 ss.; in Riv. arb., 2000, p. 699 ss., con nota di E. FAZZALARI; e in Foro it., 2001, p. 839 ss.

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Anche nell’ambito dell’ordinamento sportivo può accadere che la soluzione delle controversie insorte tra i soggetti appartenenti a tale ordinamento sia devoluta a uno o più arbitri. Si parla, in tal caso, di “arbitrato sportivo”. Tale espressione viene spesso utilizzata, in maniera del tutto atecnica e impropria, per indicare in generale l’intero sistema della giustizia sportiva, comprensivo di tutti gli strumenti di risoluzione dei conflitti che possono sorgere nell’ambito dei rapporti tra Federazioni sportive (cui vanno equiparati le Discipline sportive associate e gli Enti di promozione sportiva), società e associazioni affiliate, e tesserati. Pertanto, al fine di evitare di incorrere in fuorvianti sovrapposizioni tra istituti fra loro diversi quanto a natura e presupposti applicativi, occorre procedere con l’esame dei caratteri principali dell’arbitrato sportivo e delle sue differenze con il sistema di giustizia sportiva, con particolare riguardo alla fonte di legittimazione e ai rispettivi ambiti di applicazione. L’arbitrato sportivo partecipa, anzitutto, dei caratteri propri di ogni arbitrato: esso si connota, infatti, per la natura volontaria della devoluzione agli arbitri della controversia e per la disponibilità del diritto oggetto della controversia medesima. A questi devono poi aggiungersi l’indipendenza e la terzietà dell’arbitro e il rispetto del principio del contraddittorio 2. Per quanto riguarda la natura giuridica dell’arbitrato sportivo, l’opinione prevalente della dottrina e della giurisprudenza propende per la qualificazione dello stesso come arbitrato di tipo irrituale. La scelta tra arbitrato rituale o irrituale non è priva di rilevanza pratica: basti considerare, infatti, che il lodo pronunciato a conclusione di un arbitrato rituale produce gli stessi effetti della sentenza emessa dall’autorità giudiziaria e la parte vittoriosa può depositarlo, ai sensi dell’art. 825 c.p.c., nella cancelleria del tribunale nel cui circondario si trova la sede dell’arbitrato al fine di ottenere, con decreto del giudice, la dichiarazione di esecutività dello stesso (c.d. exequatur); diversamente, il lodo irrituale costituisce, ai sensi dell’art. 808-ter c.p.c., uno strumento di definizione arbitrale della controversia mediante determinazione contrattuale, per il quale la legge esclude espressamente sia l’idoneità a produrre i medesimi effetti della sentenza che la possibilità di essere dichiarato esecutivo. Diverso è anche il regime di impugnazione che il codice di rito prevede 2

Si veda, in questi termini, F. ZERBONI, L’arbitrato sportivo, in C. PUNZI (a cura di), Disegno sistematico dell’arbitrato, Vol. III, Cedam, Padova, 2012, p. 329.

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per il lodo rituale e il lodo irrituale: infatti, mentre il primo è soggetto ai mezzi di impugnazione previsti dall’art. 827 c.p.c. (impugnazione per nullità, revocazione c.d. straordinaria e opposizione di terzo), il lodo contrattuale può essere impugnato per i motivi di annullabilità elencati dall’art. 808-ter, comma 2, c.p.c. e, deve ritenersi, anche per i vizi che possono inficiare le dichiarazioni negoziali 3. Va poi precisato che a partire dalla riforma del 2006, che ha modificato la disciplina dell’arbitrato, la scelta delle parti per l’arbitrato irrituale deve formare oggetto di espressa pattuizione scritta, applicandosi, in assenza di questa, le norme dettate per l’arbitrato rituale (art. 808-ter, comma 1, c.p.c.). L’introduzione di tale principio, espresso efficacemente nella formula «in dubio pro arbitrato rituale», ha indotto le Federazioni sportive a qualificare espressamente, nei propri statuti e regolamenti, l’arbitrato sportivo federale come «libero o irrituale». Del resto, anche la giurisprudenza si è pronunciata in senso favorevole alla natura irrituale dell’arbitrato sportivo, in quanto «più funzionale alle esigenze dell’ordinamento sportivo in ragione della maggiore stabilità del lodo irrituale (stante la più estesa impugnabilità del loro rituale) e del fatto che un sistema di risoluzione di controversie, improntato a libertà di forme, svincolato dalla stretta osservanza di norme processuali e suscettibile di definitività in tempi relativamente brevi, si presenta maggiormente adeguato all’attività agonistica cadenzata su eventi susseguentisi in ristretti spazi temporali (partite di campionato, impegni all’estero)» 4. Dalla natura irrituale del lodo discendono ulteriori conseguenze, prima fra tutte quella per cui la mancata o ritardata esecuzione degli obblighi ivi previsti a carico della parte soccombente costituisce un inadempimento contrattuale, suscettibile di dar luogo, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, a una sanzione di carattere disciplinare. 3

Per ulteriori riferimenti all’arbitrato irrituale, si veda, per tutti, G. ALPA, L’arbitrato irrituale, in G. ALPA-V. VIGORITI, Arbitrato. Profili di diritto sostanziale e di diritto processuale, Utet, Torino, 2013, p. 321 ss. 4 Così, Cass., Sez. Lav., 1 agosto 2003, n. 11751, in Foro it., Rep. 2003, voce Sport, n. 79. Cfr., in argomento, P. SANDULLI, Questioni in tema di impugnazione ed esecutorietà del lodo irrituale in materia di giustizia sportiva, in Riv. dir. proc., 2014, p. 769; in senso critico nei confronti di un’opzione incondizionata a favore dell’arbitrato irrituale, «più ideologica che motivata da vantaggi concreti», E. ZUCCONI GALLI FONSECA, Arbitrato dello sport: una better alternative, in Riv. dir. sport, p. 297, in cui parla di «falsi miti dell’arbitrato irrituale».

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Altra caratteristica dell’arbitrato sportivo è quella di essere in genere un arbitrato c.d. “amministrato”, per tale intendendosi quella tipologia di arbitrato che, a differenza dell’arbitrato c.d. ad hoc, si svolge secondo regole “preconfezionate” da un’istituzione, quale la Federazione sportiva di appartenenza dei soggetti in lite, che predispone un apposito regolamento arbitrale contenente le norme della procedura. In tale arbitrato i collegi sono composti da persone fisiche predeterminate sulla base di appositi elenchi messi a disposizione dall’istituzione medesima. Va osservato, in proposito, che l’arbitrato amministrato presenta il vantaggio di assicurare la celerità e l’efficienza dei procedimenti e un’elevata competenza dei soggetti chiamati a svolgere le funzioni di arbitro 5. Un’importante regola in tema di arbitrato amministrato, volta a garantire l’equidistanza dell’arbitro dagli interessi in conflitto, è dettata dall’art. 832, comma 4, c.p.c., secondo cui le istituzioni di carattere associativo (fra le quali rientrano, appunto, le Federazioni sportive) non possono nominare arbitri nelle controversie che contrappongono i propri associati a terzi 6. Come si avrà modo di osservare nell’analisi delle varie ipotesi di arbitrato sportivo, tale disposizione non risulta violata, atteso che il divieto riguarda le sole controversie tra associati e terzi, non anche quelle che vedono contrapposti i soli associati, come avviene nelle controversie tra soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo. In questo caso, infatti, l’istituzione è da considerarsi comunque equidistante in quanto egualmente vicina agli interessi in conflitto.

5 Sull’arbitrato amministrato o istituzionale, cfr. C. PUNZI, Brevi note sull’arbitrato amministrato, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, p. 1325 ss. 6 È questa un’ipotesi in cui la terzietà dell’arbitro è garantita dalla terzietà del soggetto chiamato a nominarlo. Il problema della terzietà dell’arbitro si pone anche in ordinamenti sportivi diversi da quello italiano. Per l’analisi delle questioni che si pongono nell’ambito dell’arbitrato sportivo statunitense, si veda A. PANZAROLA, L’arbitrato sportivo statunitense nelle leghe professionistiche («Big Four leagues»). Sul problema dell’imparzialità del «Commissioner» della NFL («National Football League») nel procedimento arbitrale in materia di sanzioni disciplinari, in Riv. arb., 2015, p. 16 ss.

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2. La clausola compromissoria. Alla luce di quanto sinora osservato, l’elemento caratterizzante l’arbitrato sportivo – e l’arbitrato in generale – è la sua natura negoziale, in quanto esso si fonda su un accordo in forza del quale le parti rimettono ad arbitri la risoluzione della controversia insorta. Tale accordo prende il nome di “clausola compromissoria”, la quale costituisce una species del genus “convenzione d’arbitrato” ed è, pertanto, uno degli strumenti mediante i quali le parti sottraggono al giudice la cognizione di una controversia e la affidano alla decisione degli arbitri 7. La clausola compromissoria rappresenta la fonte dell’arbitrato sportivo, alla quale i soggetti aderiscono al momento in cui entrano a far parte dell’ordinamento sportivo mediante il tesseramento o l’affiliazione, ovvero al momento della conclusione di un contratto individuale di lavoro subordinato. Infatti, come si vedrà, la clausola in esame può essere prevista sia negli statuti e nei regolamenti federali, sia negli accordi collettivi conclusi dalle rappresentanze di categoria dei lavoratori sportivi professionisti. La clausola compromissoria prevista negli statuti e nei regolamenti federali va tenuta distinta dal c.d. vincolo di giustizia sportiva. Questo, come già illustrato, consiste nell’obbligo per i tesserati e gli affiliati di adire gli organi della giustizia sportiva ai fini della risoluzione delle controversie di carattere tecnico e disciplinare, le quali hanno rilevanza esclusiva nell’ambito dell’ordinamento sportivo e, in quanto tali, non possono formare oggetto di sindacato da parte del giudice dello Stato . L’adesione ad una Federazione sportiva comporta, inoltre, la necessaria accettazione dell’efficacia dei provvedimenti adottati dagli organi della giustizia sportiva nelle materie ora indicate. È chiara, allora, la distinzione tra i due istituti: mentre il vincolo di giustizia sportiva opera con riferimento a quelle materie che il legislatore ha riservato in via esclusiva al giudice sportivo (in quanto vengono in rilievo particolari profili tecnico-disciplinari), la clausola compromissoria attiene 7

Sull’inquadramento in questi termini della clausola compromissoria si veda M. CONFORTINI, La clausola compromissoria, in G. ALPA-V. VIGORITI (a cura di), Arbitrato, cit., p. 671 ss.; cfr. anche N. IRTI, Compromesso e clausola compromissoria nella nuova legge sull’arbitrato, in Riv. arb., 1995, p. 654 ss.; G. ALPA, Compromesso e clausola compromissoria, in G. ALPA-T. GALLETTO (a cura di), La nuova giurisprudenza civile commentata – Casi scelti in tema di arbitrato nel diritto italiano e comparato, Cedam, Padova, 1994, pp. 102-103.

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invece all’obbligo assunto convenzionalmente dagli associati di sottrarre la cognizione di determinate controversie al giudice dello Stato per devolverla ad arbitri 8. Pertanto le controversie che possono formare oggetto di clausola compromissoria, contrariamente a quelle ricomprese nel vincolo di giustizia sportiva, possono essere conosciute dall’autorità giudiziaria in quanto rilevanti anche per l’ordinamento statale. In altri termini, la clausola compromissoria opera laddove il vincolo di giustizia non può operare. Un’ulteriore differenza tra vincolo di giustizia e forme di giustizia arbitrale consiste nel fatto che il lodo, sia rituale che irrituale, può essere impugnato, secondo i diversi regimi sopra illustrati, davanti al giudice dello Stato, mentre per le decisioni tecnico-disciplinari dei giudici sportivi non è prevista alcuna forma di tutela caducatoria innanzi agli organi giurisdizionali statali. Va inoltre precisata la distinzione tra arbitrato sportivo e c.d. pregiudiziale sportiva, la quale consiste, come già illustrato in precedenza, nell’obbligo in forza del quale i tesserati e gli affiliati, pur non rinunciando alla giurisdizione statale, sono tenuti al previo esperimento di tutti i gradi della giustizia sportiva 9. In tal caso, proprio perché si tratta di una “pregiudiziale”, la via giurisdizionale non è preclusa tout court, mentre nella diversa ipotesi dell’arbitrato le parti scelgono un rimedio alternativo e, secondo alcuni Autori, pienamente fungibile con la giurisdizione statale 10. Attesa la diversità dei caratteri e degli ambiti di applicazione dei due istituti, l’arbitrato sportivo rappresenta quindi un ulteriore strumento predisposto dai singoli ordinamenti federali per tutelare la propria autonomia dai possibili interventi del giudice dello Stato nelle questioni che esulano dalla competenza degli organi della giustizia sportiva.

8 Sulla distinzione tra arbitrato sportivo e vincolo di giustizia sportiva si vedano, in particolare C. RASIA, Arbitrato sportivo, in F. CARPI (a cura di), Arbitrati speciali, Zanichelli, Bologna, 2016, p. 529 ss.; F. ZERBONI, op. cit., p. 330 ss. 9 Va ricordato che la pregiudiziale sportiva non coincide con il vincolo di giustizia sportiva. 10 Di questa opinione è E. ZUCCONI GALLI FONSECA, op. cit., p. 281 ss.

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3. L’ambito di applicazione dell’arbitrato sportivo. Delineati i rapporti tra l’arbitrato e il sistema della giustizia sportiva, devono ora essere analizzati gli aspetti relativi all’ambito applicativo riservato alla soluzione arbitrale delle controversie sportive. A tale riguardo va distinto l’ambito soggettivo di applicazione da quello oggettivo. L’arbitrato sportivo è suscettibile di coinvolgere una pluralità di soggetti, quali gli atleti tesserati, i c.d. ausiliari sportivi (tecnici istruttori, allenatori, maestri, dirigenti, arbitri, procuratori sportivi), le società e le associazioni sportive affiliate, le Federazioni (cui vanno equiparati le Discipline sportive associate e gli Enti di promozione sportiva) e il CONI; si annoverano, inoltre, tra i soggetti che potenzialmente possono assumere la posizione di parti nel giudizio arbitrale, anche i gestori degli impianti sportivi e gli allenatori di cavalli 11. L’instaurazione della procedura arbitrale è subordinata, ovviamente, alla prestazione da parte di tali soggetti del consenso compromissorio, che può avvenire sia in via esplicita, mediante la sottoscrizione di apposita clausola arbitrale, sia per relationem, mediante il rinvio a documenti che la prevedono. Va in proposito tenuto presente che i tesserati e gli affiliati prestano il proprio consenso all’arbitrato già all’atto del tesseramento o dell’affiliazione, mediante il quale aderiscono ad una Federazione, accettandone le regole statutarie e regolamentari, ivi compresa la clausola compromissoria. Da tale modalità di prestazione del consenso compromissorio in sede di adesione all’ordinamento sportivo derivano alcune questioni problematiche sono state affrontate dalla dottrina e dalla giurisprudenza, anche sportiva. Primo fra tutti, il tema della qualificazione o meno della clausola compromissoria statutaria come condizione generale di contratto, ai sensi dell’art. 1341 c.c., e della conseguente necessità o meno della doppia sottoscrizione. Sul punto la giurisprudenza ha escluso che ricorra un’ipotesi di contratto standard predisposto da uno solo dei contraenti, vertendosi piuttosto in un’ipotesi di adesione a un contratto plurilaterale con comunione

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Cfr., sul punto, E. ZUCCONI GALLI FONSECA, op. cit., pp. 285-286.

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di scopo, quale può definirsi l’atto costitutivo della Federazione (che, come è noto, è un’associazione non riconosciuta di diritto privato) 12. Si è posto poi il problema della legittimità del consenso espresso per relationem, su cui la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto necessario che dal rinvio al documento contenente la clausola compromissoria emerga la consapevolezza della presenza della stessa 13. Infine, con riferimento alla clausola compromissoria per le controversie di lavoro sportivo, il problema dell’effettiva prestazione del consenso all’opzione arbitrale si pone in quanto i contratti individuali di lavoro sportivo di cui alla l. 23 marzo 1981, n. 91 devono conformarsi necessariamente, a pena di nullità, al contratto-tipo stipulato ogni tre anni dalla Federazione con le rappresentanze di categoria 14. Tuttavia, come si vedrà più avanti, la questione non assume particolare rilevanza in quanto nelle controversie di lavoro l’art. 412-quater, comma 1, c.p.c. consente comunque, pur in presenza di una clausola compromissoria, di adire il giudice ordinario (c.d. “doppio binario”) 15. Quanto all’ambito oggettivo di applicazione dell’arbitrato sportivo, si è già osservato che esso opera con riferimento alle sole materie che possono essere devolute alla giurisdizione statale, in uno spazio, quindi, residuale rispetto a quello interessato dal vincolo di giustizia sportiva 16. Nel novero delle materie non riservate in via esclusiva al giudice sportivo, vanno enucleate quelle che possono formare oggetto di una convenzione di arbitrato sportivo. Si tratta, in primo luogo, delle controversie aventi ad oggetto diritti disponibili, essendo altrimenti preclusa la via arbitrale in virtù del principio generale espresso dall’art. 806 c.p.c. Nessun dubbio si pone, pertanto, con riferimento alle controversie devolute al giudice ordinario di natura patrimoniale, rispetto alle quali le parti potranno fare liberamente ricorso all’arbitrato. 12

Così, Cass., Sez. Lav., 1 agosto 2003, n. 11751, cit.; si veda, inoltre, Collegio di Garanzia dello Sport, Sezione Consultiva, parere 23 febbraio 2015, n. 3. 13 Cass., Sez. I, 13 maggio 1989, n. 2198, in Giust. civ., 1989, c. 2395. 14 Sulla distinzione tra contratto-tipo e contratto collettivo si veda, per tutti, E. BATTELLI, I contratti-tipo. Modelli negoziali per la regolazione del mercato: natura, effetti e limiti, Jovene, Napoli, 2017, spec. p. 68 ss. e, con particolare riferimento al contratto-tipo nel diritto sportivo, p. 190 ss. 15 La questione sarà approfondita infra, § 4.1. 16 Trattasi delle controversie aventi ad oggetto questioni tecnico-disciplinari, riservate in via esclusiva al giudice sportivo.

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Entro tali confini si pongono, infatti, le previsioni degli statuti e dei regolamenti federali, i quali consentono (e, in alcuni casi, impongono) di adire un organo arbitrale ai fini della risoluzione delle liti concernenti rapporti patrimoniali 17. Resta aperto, invece, il problema della compromettibilità in arbitri delle questioni c.d. amministrative, in cui vengono in rilievo anche posizioni giuridiche soggettive di interesse legittimo. Sul punto si registra una divergenza di orientamenti sia in dottrina che in giurisprudenza, che involge il più generale dibattito intorno all’arbitrabilità degli interessi legittimi. A fronte della posizione contraria della giurisprudenza 18, vi sono tuttavia in dottrina anche orientamenti favorevoli. In alcuni casi, infatti, il margine di discrezionalità dell’azione amministrativa si presenta fortemente ridotto, al punto che si ammette da più parti il ricorso alla via arbitrale 19. Come ulteriore argomento a sostegno della tesi favorevole, si afferma che, sebbene il potere amministrativo sia in astratto indisponibile, non lo è nel momento del suo esercizio 20. Va tuttavia rilevato che, nell’ambito dell’ordinamento sportivo, nel senso della sola patrimonialità delle controversie sportive arbitrabili sembra orientarsi il Codice della giustizia sportiva del CONI, il quale stabilisce, 17 Si considerino, a titolo esemplificativo, quanto alla natura obbligatoria o facoltativa dell’arbitrato federale, le previsioni di cui agli Statuti FIT e FIR. L’art. 60 dello Statuto FIT prevede infatti che «Gli affiliati e i tesserati della Federazione si impegnano a rimettere a un giudizio arbitrale definitivo la risoluzione di controversie interindividuali di natura meramente patrimoniale ai sensi dell’articolo 806 e seguenti del Codice di procedura civile, che siano originate dalla loro attività sportiva od associativa»; più di recente, invece, il nuovo Statuto FIR, approvato nel maggio 2019, all’art. 52 dispone che «Gli affiliati e i tesserati della Federazione possono rimettere a un giudizio arbitrale definitivo la risoluzione di controversie interindividuali di natura meramente patrimoniale ai sensi dell’articolo 808 ter e seguenti del Codice di procedura civile». Si veda più ampiamente quanto si dirà infra, § 5. 18 Cfr., sul punto, Cons. Stato, Sez. VI, 9 febbraio 2006, n. 527, in Foro amm. CDS 2006, p. 521: «Gli interessi legittimi sono esclusivamente nella disponibilità dell’amministrazione, solo l’attività amministrativa li fa sorgere e ne determina l’entità, essi sono anche indisponibili in relazione all’indisponibilità del potere amministrativo, di per sé inesauribile ed irrinunciabile». 19 Per una ricostruzione delle diverse posizioni prospettate in dottrina e degli orientamenti giurisprudenziali, si veda, per tutti, F. GOISIS, La giustizia sportiva fra funzione amministrativa ed arbitrato, Giuffrè, Milano, 2007, p. 233. 20 Così E. ZUCCONI GALLI FONSECA, Quel che resta dell’arbitrato sportivo (dopo il nuovo codice della giustizia sportiva 2014), in Riv. dir. sport., 2015, p. 62.

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all’art. 4, comma 3, che «Gli Statuti e i regolamenti federali possono prevedere il deferimento delle controversie su rapporti meramente patrimoniali a commissioni e collegi arbitrali». In questa linea di tendenza si inseriscono, poi, anche le più recenti novità normative federali, prima fra tutte il nuovo Codice di giustizia sportiva della FIGC, approvato nel giugno 2019 21. In base all’art. 3, l. 17 ottobre 2003, n. 280, possono enuclearsi due diverse tipologie di arbitrato sportivo. La disposizione, dopo aver individuato le controversie riservate al giudice sportivo e quelle devolute al giudice dello Stato (esauriti tutti i gradi della giustizia sportiva), fa salve le clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del CONI e delle Federazioni sportive, nonché quelle inserite nei contratti di cui all’art. 4, l. 23 marzo 1981, n. 91. Dalla lettura del testo della norma emerge la bipartizione operata dal legislatore tra arbitrato nelle controversie di lavoro sportivo e arbitrato previsto negli statuti e regolamenti federali.

4. L’arbitrato nelle controversie di lavoro sportivo. 4.1. Profili generali. Il tema dell’arbitrato per le controversie di lavoro sportivo impone di considerare, in via preliminare, l’attuale quadro normativo sulla compromettibilità in arbitri delle controversie in materia di lavoro 22. Per questa tipologia di liti, infatti, l’arbitrato non ha sempre rappresentato un ammissibile strumento di risoluzione dei conflitti 23. Solo con la l. 11 agosto 1973, n. 533 è stato introdotto, all’art. 5, l’arbitrato irrituale per le controversie di cui all’art. 409 c.p.c., oggi «arbitrabili» anche in via rituale in base alla nuova formulazione dell’art. 806, comma 2, c.p.c. Attualmente per le controversie individuali di lavoro si deve quindi ri21

Su cui infra, § 5. Sul tema, si veda L. PICCININNI, L’arbitrato per le controversie di lavoro sportivo, in C. PUNZI (a cura di), Disegno sistematico dell’arbitrato, cit., p. 391 ss., spec. pp. 392-393 e l’ampia bibliografia ivi riportata. 23 Per ulteriori approfondimenti, si veda la ricostruzione operata da C. PUNZI, L’arbitrato per la soluzione delle controversie di lavoro, in Riv. dir. proc., 2011, p. 1 ss. 22

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tenere ammissibile l’arbitrato sia rituale che irrituale, sempre che esse abbiano ad oggetto diritti disponibili e che tale opzione sia espressamente prevista dalla legge o dai contratti e accordi collettivi di lavoro. In entrambi i casi, poi, la volontà compromissoria delle parti si deve manifestare in un accordo, non essendo consentita alcuna forma di imposizione eteronoma dell’arbitrato 24. Le aperture contenute nella legge o negli accordi collettivi in favore dell’arbitrato nelle materie lavoristiche devono intendersi, infatti, come semplici autorizzazioni alla compromissione della lite dietro apposita convenzione delle parti interessate, salva, in ogni caso, la facoltà di adire alternativamente l’autorità giudiziaria statale 25. Va precisato, tuttavia, che in base alla normativa vigente non sembra ammissibile la devoluzione ad arbitri delle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie. Depongono in tal senso sia l’art. 147 disp. att. c.p.c. sia la circostanza che il legislatore, in sede di modifica dell’art. 806 c.p.c., abbia esplicitamente ammesso l’arbitrato per le controversie di cui all’art. 409 c.p.c. (originariamente assoggettate ad analogo divieto di arbitrabilità), senza però menzionare le controversie previdenziali di cui all’art. 442 c.p.c. Operate tali premesse in ordine alla compromettibilità in arbitri delle controversie di lavoro, va osservato che anche in ambito sportivo esse, riguardando diritti soggettivi, si caratterizzano per la loro connaturale rilevanza anche per l’ordinamento statale. Tale materia, pertanto, non può essere riservata ai sistemi di risoluzione interna del contenzioso sportivo, come avviene per le controversie tecniche o disciplinari, verso le quali lo Stato rimane in linea di massima indifferente 26. La scelta delle federazioni, oltre che di dotarsi di un proprio sistema di giustizia sportiva, di prevedere la costituzione di collegi arbitrali cui sono devolute le controversie relative ai rapporti patrimoniali – e, in particolare, ai rapporti di lavoro – si giustifica quindi nell’ottica di una maggiore tutela dell’autonomia e dell’autodichia dell’ordinamento sportivo. Infatti, atteso che le questioni patrimoniali assumono una rilevanza esterna e non posso24 Sull’illegittimità dell’arbitrato obbligatorio cfr. Corte Cost., 8 giugno 2005, n. 221, in Riv. arbitrato, 2005, p. 515 ss. 25 Così L. PICCININNI, op. cit., p. 394. 26 Diverso è il caso in cui da un provvedimento di natura tecnico-disciplinare discenda la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi. In tal caso, infatti, è ammessa la tutela risarcitoria (non anche quella caducatoria) dinanzi al giudice dello Stato. Cfr. Corte cost., 11 febbraio 2011, n. 49, cit.; Corte Cost., 25 giugno 2019, n. 160, cit.

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no formare oggetto di riserva esclusiva in favore del giudice sportivo, la possibilità di una loro devoluzione ad un collegio arbitrale, estraneo al sistema di giustizia federale ma, al contempo, alternativo rispetto alla giurisdizione statale, consente di mantenere la risoluzione delle liti comunque all’interno dell’ordinamento sportivo. L’arbitrato in materia di lavoro sportivo è soggetto ai limiti legislativi ora individuati con riferimento all’arbitrabilità delle controversie lavoristiche in generale. Pertanto si ritiene che, conformemente al disposto dell’art. 806, comma 2, c.p.c. e dell’art. 5, l. 11 agosto 1973, n. 533, la compromissione delle controversie di cui all’art. 409 c.p.c. di origine sportiva deve essere autorizzata dalla legge o dai contratti collettivi. Una siffatta autorizzazione è contenuta nella l. 23 marzo 1981, n. 91, il cui art. 4, rubricato «Disciplina del lavoro subordinato sportivo», prevede, al comma 5, che nel contratto individuale di lavoro tra lo sportivo e la società di appartenenza, predisposto secondo il modello-tipo in conformità agli accordi collettivi, «potrà essere prevista una clausola compromissoria con la quale le controversie concernenti l’attuazione del contratto e insorte fra la società sportiva e lo sportivo sono deferite ad un collegio arbitrale». È evidente nella formulazione della norma il rispetto per la scelta volontaria delle parti, la quale deve trovare espressione in una specifica convenzione arbitrale, nelle forme di una clausola compromissoria che acceda al contratto individuale tra la società e il lavoratore sportivo, mentre resta rimessa al contratto-tipo la scelta in ordine alla natura rituale o irrituale dell’arbitrato. Va tuttavia rilevato che, nonostante la clausola compromissoria disciplinata dall’art. 4 cit. sia, a rigore, meramente facoltativa, essendo rimessa alla libertà delle parti scegliere se inserirla o meno nel contratto individuale di lavoro sportivo, nella prassi accade che, per ragioni di uniformità, la clausola viene prevista già in sede di contrattazione collettiva e viene inserita nel contratto-tipo allegato all’accordo collettivo, cui devono conformarsi, a pena di nullità, i contratti individuali 27. In tal modo, viene 27

Sul contratto-tipo di lavoro sportivo, si veda, per tutti, E. BATTELLI, I contratti-tipo, cit., p. 190 ss. In ordine alla sanzione della nullità prevista dall’art. 4, l. 23 marzo 1981, n. 91, l’Autore rileva che essa sarebbe da circoscrivere alla sola mancanza della forma scritta del contratto di lavoro sportivo subordinato individuale, mentre dalla mancata utilizzazione del contratto-tipo collettivo o dalla difformità del contratto individuale rispetto al contratto-tipo discenderebbero effetti sanzionatori unicamente all’interno dell’ordinamento sportivo.

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di fatto “aggirata” la natura facoltativa dell’inserimento della clausola compromissoria nei contratti di lavoro 28. Occorre comunque precisare che, nonostante la clausola compromissoria sia sempre prevista nei contratti individuali in virtù della necessaria conformità di questi ai contratti-tipo, resta applicabile anche all’arbitrato di lavoro sportivo il c.d. principio del “doppio binario”, previsto in via generale per tutte le controversie di lavoro dall’art. 412-quater, comma 1, c.p.c. in ragione delle particolari cautele che circondano la materia lavoristica. Detto principio consente infatti, pur in presenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, una libertà di scelta tra le due modalità di risoluzione della lite, potendo quindi la parte adire il giudice ordinario (in funzione di giudice del lavoro) in luogo della compromissione in arbitri della controversia 29. L’alternatività delle tutele è garantita inoltre a prescindere dalle eventuali responsabilità disciplinari – rilevanti solo in ambito sportivo – in cui può incorrere il tesserato per violazione della clausola compromissoria. La generale ammissibilità di un arbitrato per le controversie di lavoro sportivo ha trovato conferma anche nel sistema delineato dalla l. 17 ottobre 2003, n. 280. Come si è visto, infatti, l’art. 3, dopo aver stabilito che ogni controversia diversa da quelle tecnico-disciplinari è devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, dietro pregiudiziale esaurimento di tutti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie in materia di rapporti patrimoniali, prevede che è fatto salvo in ogni caso quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del CONI e delle Federazioni sportive, nonché dalle clausole «inserite nei contratti di cui all’articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91». Va poi aggiunto che l’arbitrato per le controversie di lavoro sportivo, conformemente a quanto stabilito dall’art. 806, comma 2, c.p.c. e dall’art. 5, l. 11 agosto 1973, n. 533, può trovare fondamento non solo in una norma di legge, ma anche nelle previsioni contenute negli accordi collettivi tra le singole federazioni e le associazioni di categoria rappresentative degli sportivi che vi appartengono. E, difatti, gli accordi collettivi di categoria 28 Cfr., in tal senso, M. VENEZIA, L’arbitrato sportivo, in G. CAPO-G. CASSANO-F. FRE(a cura di), L’arbitrato, Giuffrè, Milano, 2018, p. 903. 29 Si veda, per tutte, Cass., Sez. Lav., 27 gennaio 2011, n. 1937, in Mass. Giust. civ., 2011, p. 128.

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prevedono disposizioni che devolvono ad arbitri la risoluzione delle eventuali controversie inerenti al rapporto di lavoro tra la società e lo sportivo che per essa svolge la prestazione. Tali previsioni di fonte contrattuale collettiva potrebbero sembrare, prima facie, prive di un autonomo spazio operativo, atteso che già la l. 23 marzo 1981, n. 91 autorizza l’arbitrato per le controversie di lavoro sportivo. A ben vedere, però, i rispettivi ambiti di applicazione potrebbero non coincidere e, in tal caso, gli accordi collettivi permetterebbero l’arbitrabilità di un novero più ampio di liti riguardanti i rapporti di lavoro sportivo, anche al di là della portata autorizzativa della previsione ex lege della clausola compromissoria 30. In ogni caso, deve segnalarsi che nella maggior parte dei casi la previsione della compromettibilità in arbitri delle controversie di lavoro sportivo inserita nella contrattazione collettiva non si pone come autonoma fonte autorizzativa dell’arbitrato, ma opera in via integrativa della norma di legge che ne costituisce il fondamento (segnatamente, l’art. 4 della l. 23 marzo 1981, n. 91). Le disposizioni degli accordi collettivi, infatti, contengono, rispetto alla norma primaria di riferimento, previsioni più dettagliate in ordine alla natura giuridica dell’arbitrato e allo svolgimento della procedura, andando quindi a integrare quanto disposto dalla legge. Pertanto, poiché gli accordi collettivi non ne costituiscono un’autonoma fonte, l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione dell’arbitrato di lavoro sportivo coincide con quello della l. 23 marzo 1981, n. 91. Ci si è chiesti, al riguardo, se la clausola arbitrale prevista dall’art. 4, l. cit., sia applicabile ai soli rapporti di lavoro subordinato, come sembrerebbe suggerire la rubrica della disposizione, ovvero possa valere anche per i rapporti di lavoro parasubordinato o autonomo; nonché, dal punto di vista soggettivo, se la norma medesima possa trovare applicazione anche ai conflitti tra una società sportiva e professionisti diversi dagli atleti. Con riferimento alla prima questione, sembrerebbe doversi propendere per l’arbitrabilità delle controversie inerenti anche ai rapporti di lavoro sportivo diversi da quello subordinato, atteso che il testo dell’art. 4 fa riferimento ai «rapporti di prestazione sportiva a titolo oneroso» e che, al di là 30 Lo rileva L. PICCININNI, op. cit., p. 402, il quale osserva, a titolo esemplificativo, con riferimento alla portata applicativa dell’arbitrato previsto dalla l. 23 marzo 1981, n. 91, che «è quanto meno incerta l’estensione dell’arbitrato ivi previsto ai rapporti di lavoro parasubordinato».

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della materia sportiva, la legge consente l’arbitrato, sia rituale che irrituale, per le controversie individuali di cui all’art. 409 c.p.c., nel cui ambito rientrano sia i rapporti di subordinazione che di parasubordinazione (rispettivamente, nn. 1 e 3) 31. Con riferimento all’applicabilità dell’arbitrato sportivo anche a professionisti diversi dagli atleti, prevale l’opinione per cui l’art. 4 si applichi ai rapporti intercorrenti tra le società e lo «sportivo» non altrimenti qualificato, per tale intendendosi qualsiasi soggetto appartenente alle categorie di professionisti sportivi tassativamente elencate dall’art. 2, l. cit., senza attribuire rilevanza esclusiva alla qualifica di «atleta» 32. Va rilevato, in ogni caso, che l’ambito di applicazione dell’art. 4 non può estendersi oltre il novero di dette figure di professionisti sportivi. Quindi, per gli altri soggetti non inclusi nell’elenco contenuto nell’art. 2, l. cit., non sarebbe ammissibile la devoluzione ad arbitri delle controversie che possono eventualmente insorgere tra questi e le società; ciò in quanto manca un’espressa previsione autorizzativa contenuta nella legge o in un contratto collettivo, secondo i richiamati criteri generali che regolano l’arbitrabilità delle liti in materia di rapporti di lavoro.

4.2. L’arbitrato di lavoro sportivo nel calcio professionistico. L’arbitrato per le controversie concernenti i rapporti di lavoro sportivo rappresenta la forma di arbitrato sportivo più ricorrente e diffusa nella pratica. In molti sistemi federali, infatti, sono state inserite nei contrattitipo – redatti sulla base degli accordi collettivi intervenuti tra le federazioni e i rappresentanti delle categorie interessate – delle clausole compromissorie volte a devolvere la risoluzione delle controversie di lavoro sportivo a un collegio arbitrale 33. Tra questi sistemi occorre ora soffermarsi sulla procedura arbitrale prevista dagli accordi collettivi intervenuti tra la FIGC, le Leghe nazionali e l’Associazione Italiana Calciatori (A.I.C.), cui sono annessi sia i contratti31

Opinione condivisa da Cass., 7 ottobre 2010, n. 20800, in Rep. Foro it., 2010, voce Sport, n. 91. Cfr., in senso conforme, anche C. RASIA, op. cit., p. 558. 32 Cfr., in tal senso, Cass., 11 aprile 2008, n. 9551, in Foro it., 2008, p. 3641. 33 Sul contratto-tipo nel diritto sportivo si rinvia a E. BATTELLI, I contratti-tipo, cit., p. 190 ss.

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tipo predisposti dalla Federazione e dalle organizzazioni di categoria, sia i regolamenti dei collegi arbitrali. L’Accordo Collettivo stipulato tra la FIGC, la Lega Nazionale Professionisti di Serie A (L.N.P.A.) e l’A.I.C., regolante il trattamento economico e normativo dei rapporti tra società e calciatori professionisti, prevede all’art. 21, comma 1, l’obbligo di inserire nei contratti individuali di lavoro sportivo una clausola compromissoria «in forza della quale la soluzione di tutte le controversie aventi ad oggetto l’interpretazione, l’esecuzione o la risoluzione di detto contratto ovvero comunque riconducibili alle vicende del rapporto di lavoro da esso nascente» sia deferita alla determinazione di un collegio arbitrale. Tale riferimento si rinviene anche nel contratto-tipo individuale di lavoro sportivo allegato all’Accordo Collettivo, in cui si prevede che la soluzione di tutte le controversie relative al rapporto contrattuale tra la società e il calciatore sarà deferita ad un collegio arbitrale, «che si pronuncerà nei modi, nei tempi e secondo le previsioni del relativo regolamento». Tale arbitrato è qualificato, per espressa previsione della contrattazione collettiva e dei regolamenti che ne disciplinano il rito, quale arbitrato irrituale e, pertanto, le relative decisioni pronunciate dal collegio a conclusione del procedimento hanno natura di determinazione contrattuale. Un’analoga disposizione è contenuta anche negli accordi collettivi riferiti alla Lega Nazionale Professionisti Serie B (L.N.P.B.) e alla Lega Pro. Quanto alle ipotesi più ricorrenti sottoposte al vaglio dei collegi arbitrali, vanno segnalate le controversie legate all’esecuzione del contratto di lavoro, fra cui rientrano i ricorsi promossi dai calciatori contro le società di appartenenza per inadempimenti contrattuali: si pensi, a titolo esemplificativo, ai casi di omesso o ritardato pagamento, alle controversie relative alla parte variabile della retribuzione, all’esclusione del calciatore professionista dagli allenamenti, anche in fase precampionato, nonché alla pretesa di corresponsione del c.d. “equo indennizzo” nelle ipotesi in cui la FIGC, per fatto non imputabile al calciatore o al suo procuratore, non abbia approvato il contratto di lavoro tra il calciatore e la società di appartenenza 34. Va inoltre precisato che non rientrano nella cognizione del collegio arbitrale le c.d. “questioni istituzionali”, per tali intendendosi sia quelle relative all’ordinamento sportivo, quali ad esempio le controversie aventi ad oggetto vizi del contratto suscettibili di incidere sullo status di affiliato o di 34

Cfr., per questo elenco esemplificativo, M. VENEZIA, op. cit., p. 904.

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tesserato, devolute inderogabilmente alla sezione tesseramenti del Tribunale federale nazionale, sia le questioni esterne ad esso, come ad esempio quelle a carattere fiscale, rientranti nella giurisdizione esclusiva delle commissioni tributarie. Il funzionamento di ciascun collegio arbitrale è disciplinato da un apposito regolamento allegato all’accordo collettivo di categoria, il quale prevede le norme sulla costituzione del collegio arbitrale, sulle modalità di avvio della procedura e di attuazione del contraddittorio, sulle formalità riguardanti l’assunzione dei mezzi istruttori e sul termine per la pronuncia delle decisioni. Occorre sin da ora precisare che le norme contenute nel Codice di Giustizia Sportiva della FIGC che disciplinano il procedimento dinanzi agli organi di giustizia sportiva non trovano applicazione al procedimento arbitrale, il quale è disciplinato esclusivamente dalle norme contenute nei rispettivi regolamenti e, in via sussidiaria, da quelle del codice di procedura civile. In tal senso dispongono, infatti, sia l’art. 1, comma 5, che l’art. 8, comma 2 del Regolamento per il collegio arbitrale relativo alla Lega di Serie A. Una conferma della volontà del legislatore sportivo di escludere l’applicazione delle norme che regolano il funzionamento degli organi di giustizia sportiva si rinviene anche nel nuovo Codice della Giustizia Sportiva della FIGC approvato dalla Giunta Nazionale del CONI nel giugno 2019. All’art. 135, nel disciplinare il procedimento innanzi alla Camera arbitrale per le vertenze economiche 35, il Codice prevede che questo debba svolgersi «nei termini e nelle modalità previste dal Regolamento della Camera arbitrale» e che, per quanto non espressamente previsto in tale Regolamento, «si applicano le disposizioni di cui agli artt. 806 e ss. del Codice di procedura civile», facendo in ogni caso salva l’attuazione dei principi del contraddittorio, di imparzialità, parità di trattamento e speditezza della procedura. Quanto alle regole procedimentali e istruttorie, l’art. 5, comma 1 del Regolamento della Camera arbitrale della Lega di Serie A dispone che, nel silenzio del Regolamento medesimo, esse siano determinate dal collegio arbitrale «liberamente», e non dalle parti, in virtù dell’esigenza di celerità, speditezza e informalità cui sono improntati i procedimenti dinanzi agli 35

Sulla natura di tale organo di recente istituzione e sulle materie demandate alla sua cognizione, v. infra, § 5.1.

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organi della giustizia sportiva, compresi quelli arbitrali, ferma restando l’osservanza del principio del contraddittorio e del diritto di difesa. I tre Regolamenti (Lega di Serie A, Lega di Serie B e Lega Pro) qualificano espressamente l’arbitrato come irrituale. La decisione pronunciata dal collegio, pertanto, avrà natura negoziale e produrrà gli effetti di cui agli artt. 1372 e 2113 c.c. La scelta in favore dell’arbitrato irrituale è infatti in linea con le esigenze di riservatezza sottese alle controversie di lavoro sportivo e con l’interesse delle parti a ottenere decisioni entro un breve periodo di tempo. Il Regolamento per l’arbitrato relativo alla Lega di Serie A prevede la devoluzione delle controversie a collegi composti da tre arbitri (salva specifica opzione per un arbitro unico). Il principio alla base della composizione del collegio è quello di libertà delle nomine: ne consegue che le parti non sono tenute a scegliere gli arbitri in base a liste o ad elenchi preconfezionati. La disciplina della nomina degli arbitri si conforma ai principi dettati dal codice di procedura civile all’art. 810 c.p.c., primo fra tutti il c.d. “meccanismo binario” (o “clausola binaria”), in forza del quale le parti nominano un numero eguale di arbitri e, laddove una di esse non provveda, l’altra può rivolgersi al presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato affinché vi provveda in sostituzione della parte rimasta inerte. Il presidente del collegio viene poi scelto di comune accordo dalle parti o, più spesso, dagli arbitri nominati dalle parti. Qualora questi non vi provvedano, in conformità alla disciplina del codice di rito, la nomina del presidente del collegio è fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato. Pertanto, nel caso del collegio composto da tre arbitri, ciascuna parte nomina un arbitro, mentre il terzo componente, presidente del collegio arbitrale, è scelto dai primi due. Diversamente, il Regolamento relativo alla Lega di Serie B prevede che le parti debbano nominare i propri arbitri scegliendoli tra avvocati iscritti all’Albo o fra magistrati a riposo. Il presidente del collegio è nominato dagli arbitri di parte fra quattro arbitri compresi in un elenco condiviso fra Lega di Serie B e A.I.C., con la previsione che in difetto di accordo si procederà per sorteggio. Il regolamento di arbitrato della Lega Pro impone di scegliere gli arbitri di parte all’interno di elenchi predisposti dalle associazioni di categoria interessate, mentre i presidenti dei collegi sono sorteggiati fra soggetti inseriti in altro apposito elenco.

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I procedimenti arbitrali relativi alla Lega Nazionale Professionisti di A e B si svolgono a Milano (con la precisazione che, nell’ambito della Lega di Serie A, per le controversie di valore inferiore ad euro 50.000 la sede dell’arbitrato è a Roma), e a Firenze per la Lega Pro. Il collegio competente è determinato, conformemente al principio generale dettato dall’art. 5 c.p.c., in base alla Lega di appartenenza della società al momento in cui la domanda è proposta. Ne consegue che resta ferma la competenza di un determinato collegio per le controversie già instauratesi, a prescindere dal fatto che la società sia in seguito retrocessa o sia stata esclusa dal campionato. L’atto introduttivo del procedimento arbitrale prende il nome di “domanda”, la quale deve contenere, a pena di improcedibilità, le generalità della parte, la nomina di un difensore iscritto all’Albo degli avvocati 36, l’indicazione dell’oggetto della domanda e la descrizione della controversia, con indicazione, anche sommaria, delle ragioni in fatto e diritto a sostegno della domanda; si prevede, poi, che la stessa domanda debba indicare, a pena di inammissibilità, la nomina dell’arbitro di competenza, l’accettazione espressa ed incondizionata del regolamento, l’eventuale indicazione di mezzi di prova, la produzione di documenti, le richieste conclusive e debba inoltre recare la sottoscrizione della parte o del difensore munito di procura estesa anche alla nomina dell’arbitro. L’atto con cui la parte convenuta si costituisce nel procedimento arbitrale prende il nome di “risposta”. Essa deve contenere gli stessi elementi previsti per la domanda introduttiva e l’eventuale domanda riconvenzionale. Il Regolamento di Serie A prevede due diverse tipologie di procedimento: quello ordinario (art. 5) e quello accelerato (art. 6). Quanto al procedimento ordinario è previsto che, in assenza di una norma dettata nel Regolamento medesimo, le regole procedimentali e istruttorie sono determinate liberamente dal collegio arbitrale. Preliminarmente il collegio deve procedere a un tentativo di conciliazione della lite tra le parti e, in caso di esito positivo, pronuncia un lodo conforme vincolante per le stesse. In caso di esito negativo si procederà agli adempimenti della fase istruttoria. Il procedimento accelerato è invece previsto, su istanza di parte, per i ricorsi – di natura quasi esclusivamente documentale e che non necessita36

Sottolinea M. VENEZIA, op. cit., p. 912 che la presenza obbligatoria di un avvocato sembra essere prevista dal solo rito arbitrale relativo alla Lega di Serie A.

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no, quindi, di un’articolata fase istruttoria – relativi a talune tipologie di sanzioni pecuniarie (elencate dall’art. 6 Reg. arbitrale per la Lega di Serie A), nonché in ogni altro caso in cui si ravvisi la sussistenza del «pericolo di un grave pregiudizio» per una o entrambe le parti nel tempo necessario allo svolgimento e alla definizione del procedimento ordinario. Tale procedura accelerata si differenzia da quella ordinaria solo per i termini previsti per il suo svolgimento, che sono ridotti alla metà, mentre l’accertamento dei fatti avviene attraverso le modalità ordinarie e non secondo quelle proprie della cognizione sommaria. La decisione, che prende il nome di “lodo”, è pronunciata secondo diritto, e non è prevista la possibilità di pronunciare decisioni secondo equità. L’art. 8 del Regolamento per la Serie A – ma un’analoga previsione è contenuta nell’art. 6, comma 13, Reg. arbitrale per la Serie B – prevede infatti che il Collegio arbitrale «decide la controversia applicando in primo luogo le norme del contratto individuale, quelle dell’Accordo Collettivo e quelle dei Regolamenti sportivi» e, sussidiariamente, «le norme del codice civile e quelle delle altre leggi dello Stato» 37. Nel lodo devono essere indicate le ragioni di fatto e di diritto poste alla base della decisione. L’enunciazione della motivazione consente infatti, sotto il profilo sostanziale, di valutare la diligenza impiegata dagli arbitri nell’esecuzione dell’incarico e, dal punto di vista processuale, di ricostruire l’iter logico e giuridico seguito nella definizione della controversia 38. L’art. 5, comma 4, Reg. arbitrale per la Lega di Serie A e l’art. 9, comma 6, Reg. arbitrale per la Lega di Serie B, fissano quale termine per la pronuncia del lodo-contratto sessanta giorni decorrenti dalla costituzione del collegio arbitrale, prorogabili di trenta giorni (ovvero sessanta giorni, nell’arbitrato relativo alla Lega di Serie B) nel caso in cui si debba procedere all’assunzione di prove o all’espletamento di consulenze tecniche d’ufficio. L’art. 8 Reg. arbitrale per la Lega Pro fissa, invece, un termine di trenta giorni – decorrenti dalla riunione in cui si è trattenuta la causa in decisione – per il deposito del dispositivo e un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito della motivazione. Il lodo è immediatamente vincolante fra le parti e può essere dichiarato 37 Da condividersi è l’opinione di C. RASIA, op. cit., p. 570, secondo cui le norme del contratto e quelle dell’accordo collettivo costituiscono, nell’ambito delle controversie poste allo scrutinio del collegio arbitrale, «lex specialis sportiva». 38 Cfr., in tal senso, M. VENEZIA, op. cit., p. 916.

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esecutivo ai sensi dell’art. 412-quater, comma 10, c.p.c. dal giudice ordinario. Si noti che l’art. 136 del nuovo Codice di Giustizia sportiva della FIGC dispone, al primo comma, che «La Federazione riconosce pieno effetto alle decisioni pronunciate dai Collegi arbitrali […] costituiti sulla base degli accordi collettivi per la risoluzione delle controversie fra sportivi professionisti e società di appartenenza»; prosegue, poi, al comma 2, che in caso di inadempimento del lodo il Consiglio federale può, su richiesta dell’altra parte, dichiarare lo stato di morosità della parte obbligata e adottare ogni provvedimento idoneo a garantire l’esecuzione del lodo. Tale provvedimento di dichiarazione di morosità adottato dal Consiglio federale nei confronti delle affiliate o dei tesserati che siano risultati soccombenti e non abbiano adempiuto alle disposizioni contenute nel lodo è trasmesso alla Procura federale per gli adempimenti di competenza dinanzi alla Sezione Disciplinare del Tribunale Federale Nazionale, ai fini dell’eventuale irrogazione di una sanzione disciplinare 39. Il lodo può essere impugnato per i motivi di cui all’art. 808-ter c.p.c. e sul ricorso proposto decide in unico grado il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato 40. A tali motivi di impugnazione del lodo irrituale devono poi aggiungersi, secondo l’opinione preferibile, anche quelli relativi ai vizi che possono inficiare ogni manifestazione di volontà negoziale, quali l’errore, la violenza, il dolo e l’incapacità, nonché i vizi di invalidità del lodo derivanti da inarbitrabilità della controversia ovvero dalla contrarietà del lodo medesimo a norme di legge e dei contratti o accordi collettivi di lavoro 41. Quanto al profilo dell’impugnazione del lodo-contratto per errore, va tuttavia precisato che la rilevanza dell’errore nella pronuncia degli arbitri è limitata al solo profilo della alterata percezione o falsa rappresentazione dei fatti (c.d. errori di fatto), mentre non può riguardare le valutazioni af39

L’inadempimento del lodo-contratto rappresenta, infatti, una violazione disciplinare. Sul punto si veda quanto già osservato supra, § 1. 40 La giurisprudenza è orientata nel senso di ammettere il regime di cui all’art. 410 quater, comma 10, c.p.c. quale unico regime di impugnazione previsto per il lodo irrituale di lavoro sportivo. Si veda sul punto Cass., Sez. Lav., 2 febbraio 2009, n. 2576, in Mass. Giust. civ., 2009, p. 161. 41 Tra i vizi derivanti dalla violazione di norme inderogabili di legge figura, in primo luogo, la lesione del diritto di difesa. Cfr., in tal senso, Cass., Sez. Lav., 17 ottobre 2016, n. 20968, cit.

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fidate alla discrezionalità degli arbitri stessi, quali quelle relative al materiale probatorio ovvero alle scelte operate per comporre la controversia (c.d. errori in diritto o di giudizio) 42. L’impugnazione per errore è limitata dunque al solo errore sostanziale, sempre che si tratti di errore essenziale e riconoscibile (art. 1428 c.c.).

5. L’arbitrato sportivo federale. Come si è avuto modo di osservare, l’art. 3, l. 17 ottobre 2003, n. 280, nel delineare il sistema di riparto di giurisdizione tra organi della giustizia sportiva e giudice dello Stato (ordinario o amministrativo) 43, fa salve non solo le clausole compromissorie inserite nei contratti di lavoro sportivo di cui alla l. 23 marzo 1981, n. 91, ma anche quelle «previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive». Tale disposizione era stata in origine pensata per permettere di esperire in sede esofederale i ricorsi avverso le decisioni degli organi di giustizia endofederali, cioè innanzi alla Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport, istituita presso il CONI. Anche a seguito della soppressione di tale organo, avvenuta con la riforma del 2008, la disposizione in esame conservava un ampio spazio di operatività, atteso che il «Sistema di giustizia e di arbitrato per lo sport», delineato dagli artt. 12 ss. del previgente Statuto del CONI, era articolato sulla suddivisione delle funzioni tra l’Alta Corte di Giustizia Sportiva e il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport (TNAS) 44. In particolare, l’Alta Corte di Giustizia Sportiva costituiva l’ultimo grado della giustizia sportiva per le controversie per le quali le parti non avessero pattuito la competenza arbitrale. Il TNAS, invece, aveva competenza arbitrale sulle controversie aventi ad oggetto diritti disponibili insorte tra 42 Per questo orientamento, cfr., ex multis, Cass., Sez. Un., 1 dicembre 2009, n. 25253, in Mass. Giust. civ., 2009, p. 1652; Cass., Sez. Lav., 2 febbraio 2009, n. 2576, cit.; Cass., Sez. Lav., 23 febbraio 2006, n. 4025, in Foro it., 2007, p. 2218. 43 Sul punto, v. supra, cap. IX, § 2. 44 Occorre ricordare infatti che, con la soppressione della Camera di conciliazione e arbitrato per lo sport, le sue funzioni sono state suddivise fra l’Alta Corte di Giustizia Sportiva e il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, sempre istituiti presso il CONI.

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una Federazione sportiva nazionale e soggetti affiliati, tesserati o licenziati, a condizione che fossero stati previamente esauriti i ricorsi interni alla Federazione ovvero si trattasse di decisioni non altrimenti impugnabili nell’ambito della giustizia federale. Rimanevano escluse dalla competenza di detto organo le controversie che avessero comportato l’irrogazione di sanzioni inferiori a centoventi giorni, a 10.000 euro di multa o di ammenda e le controversie in materia di doping. Il TNAS si pronunciava con decisione che aveva natura di lodo arbitrale rituale ed era soggetta all’impugnazione per nullità ai sensi dell’art. 828 c.p.c. È evidente come tale sistema di accesso alternativo all’Alta Corte ovvero, in caso di espressa pattuizione, al TNAS, garantisse la piena realizzazione dell’art. 3, l. n. 280/2003, nella parte in cui fa salve le clausole compromissorie contenute negli statuti e nei regolamenti del CONI e delle Federazioni 45. A seguito della riforma della giustizia sportiva del 2014, che ha soppresso l’Alta Corte di Giustizia Sportiva e il TNAS e ha, al contempo, istituito il Collegio di Garanzia dello Sport, non sembra residuare nell’attuale sistema delineato dall’art. 12 dello Statuto del CONI alcuno spazio per la soluzione arbitrale in sede esofederale 46. Si è affermato, in proposito, che «il CONI ha rinunciato, in buona sostanza, alla tecnica arbitrale per l’amministrazione delle controversie nell’“ultimo grado” dell’ordinamento particolare che le ospita» 47, cioè l’ordinamento sportivo. In altri termini, il sistema di giustizia sportiva delineato dalla riforma dello Statuto del CONI e dal nuovo Codice della Giustizia sportiva è improntato a una forte matrice pubblicistica, nella misura in cui assegna a un organo istituito presso un soggetto pubblico, qual è il Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI, la funzione di organo di giustizia di ultimo grado e di chiusura del sistema, riducendo lo spazio riservato alla tecnica arbitrale. Oggi, infatti, il Codice della giustizia sportiva del CONI concede una limitata operatività ai soli arbitrati endofederali, stabilendo, all’art. 4, comma 3, che «Gli Statuti e i regolamenti federali possono prevedere il deferi45

Lo rileva F. AULETTA, Il tramonto dell’arbitrato nel nuovo orizzonte della giustizia sportiva, in Riv. arb., 2014, p. 641 ss. 46 Si veda, sul punto, E. ZUCCONI GALLI FONSECA, Quel che resta dell’arbitrato sportivo, cit., p. 51 ss. 47 In questi termini F. AULETTA, op. cit., p. 647.

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mento delle controversie su rapporti meramente patrimoniali a commissioni e collegi arbitrali». Va anzitutto rilevato che gli statuti e i regolamenti federali si sono allineati alla scelta della sola patrimonialità. Si pensi, ad esempio, allo Statuto FIT, che all’art. 60 prevede che «Gli affiliati e i tesserati della Federazione si impegnano a rimettere a un giudizio arbitrale definitivo la risoluzione di controversie interindividuali di natura meramente patrimoniale ai sensi dell’articolo 806 e seguenti del Codice di procedura civile, che siano originate dalla loro attività sportiva od associativa»; o, più di recente, al nuovo Statuto FIR, approvato nel maggio 2019, il cui art. 52 dispone che «Gli affiliati e i tesserati della Federazione possono rimettere a un giudizio arbitrale definitivo la risoluzione di controversie interindividuali di natura meramente patrimoniale ai sensi dell’articolo 808 ter e seguenti del Codice di procedura civile». Ulteriori novità normative confermano, poi, che la scelta del legislatore sportivo sia stata nel senso di limitare la possibilità di un lodo arbitrale ai soli «rapporti meramente patrimoniali» tra soggetti appartenenti a una medesima Federazione. Il nuovo Codice di Giustizia sportiva della FIGC ha istituito, infatti, un organo denominato «Camera arbitrale per le vertenze economiche» che, come si avrà modo di osservare, è competente a decidere sulle controversie di natura economica tra società professionistiche, sulle controversie a carattere meramente patrimoniale tra queste ultime e i tesserati professionisti, laddove siano originate dalla loro attività sportiva o associativa e non siano soggette ad accordi collettivi, nonché su quelle relative alle pretese risarcitorie di tesserati nei confronti di società diverse da quelle di appartenenza nei casi in cui la responsabilità delle stesse sia stata riconosciuta in sede disciplinare sportiva. Appare chiaro, quindi, come l’ordinamento sportivo e, in particolare, i singoli ordinamenti federali predispongono un sistema di risoluzione delle controversie patrimoniali alternativo alla giurisdizione statale, a tutela della propria autonomia dalle possibili ingerenze del giudice dello Stato nelle questioni inerenti ai rapporti patrimoniali tra tesserati e affiliati di una stessa Federazione. In quest’ottica, come già osservato, la scelta compiuta da molti Statuti e regolamenti federali di assegnare espressamente natura irrituale all’arbitrato in esame consente più agevolmente di mantenere all’interno dell’ordina-

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mento sportivo la produzione degli effetti e l’esecutività del lodo 48. Si noti, infatti, che il lodo irrituale equivale a una determinazione contrattuale e le parti ne accettano la vincolatività sin dal momento in cui aderiscono all’ordinamento sportivo mediante il tesseramento o l’affiliazione presso una Federazione, di cui sono tenute a osservare lo Statuto e i regolamenti. La mancata esecuzione del lodo irrituale, allora, comporta una violazione delle regole proprie dell’ordinamento sportivo e, conseguentemente, l’irrogazione di una sanzione disciplinare 49. Esaurita la trattazione dei profili generali dell’arbitrato sportivo federale, occorre ora procedere all’analisi di alcune ipotesi particolari dell’istituto in esame.

5.1. La Camera arbitrale per le vertenze economiche nel nuovo Codice di Giustizia sportiva della FIGC. Il nuovo Codice di Giustizia sportiva della FIGC, approvato dalla Giunta Nazionale del CONI con deliberazione n. 258 dell’11 giugno 2019, contiene nel Titolo VI della Parte II, relativa al «Processo sportivo», la disciplina dei «Procedimenti arbitrali», nell’ambito della quale figura l’istituzione di un nuovo organo arbitrale, denominato «Camera arbitrale per le vertenze economiche». Gli artt. 134 ss. del Codice dettano le norme che ne regolano la composizione, le competenze, il procedimento e l’esecutività delle relative decisioni. Si prevede, in primo luogo, che tale organo è composto da trenta componenti (compresi il presidente e il vicepresidente), nominati dal Consiglio federale tra magistrati, anche a riposo, professori universitari in materie giuridiche, avvocati o esperti in materia giuridico-sportiva. Il comma 2 dell’art. 134 disciplina le competenze della Camera arbitrale per le vertenze economiche, statuendo che essa giudica: a) sulle controversie di natura economica tra società professionistiche, comprese quelle relative al risarcimento dei danni per i fatti di cui all’art. 26; b) sulle controversie tra società professionistiche e tesserati professioni48 49

Cfr., in senso analogo, C. RASIA, op. cit., p. 552. Così, M. SANINO-F. VERDE, Il diritto sportivo, Cedam, Padova, 2015, p. 668.

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sti che siano originate dalla loro attività sportiva o associativa e abbiano carattere meramente patrimoniale non soggette ad accordi collettivi, ove le norme dell’ordinamento statale non escludano la compromettibilità in arbitri; c) sulle controversie relative alle pretese risarcitorie di tesserati nei confronti di società diverse da quelle di appartenenza nei casi in cui la responsabilità delle stesse sia stata riconosciuta in sede disciplinare sportiva. Dalla lettura del testo dell’art. 134, comma 2, Codice di Giustizia sportiva FIGC emerge che nell’ambito oggettivo di applicazione dell’arbitrato in esame rientrano, in primo luogo, le controversie di natura economica insorte tra società professionistiche, quali, ad esempio, quelle concernenti il mancato pagamento del corrispettivo del trasferimento del c.d. cartellino; tra queste, per espressa disposizione, sono comprese anche quelle relative al «risarcimento dei danni per i fatti di cui all’art. 26». Si tratta, in particolare, dei fatti violenti commessi in occasione della gara – sia all’interno dell’impianto sportivo, sia nelle aree esterne immediatamente adiacenti – da uno o più sostenitori, in ordine ai quali l’art. 26 prevede che ne rispondono le società se dal fatto derivi un pericolo per l’incolumità pubblica o un danno grave all’incolumità fisica di una o più persone . Quanto alle controversie indicate sub b), occorre rilevare che esse, oltre a rivestire carattere meramente patrimoniale, sono attribuite alla cognizione della Camera arbitrale solo in quanto non siano già devolute alla competenza dell’arbitrato di lavoro sportivo per effetto di una clausola compromissoria inserita nel contratto individuale di lavoro in virtù della contrattazione collettiva (e, deve ritenersi, a fortiori, anche in virtù di un’espressa disposizione di legge, quale l’art. 4, l. 23 marzo 1981, n. 91) 50. In questo ambito alla Camera arbitrale è attribuita quindi una competenza residuale rispetto a quella propria dell’arbitrato concernente i rapporti di lavoro sportivo professionistico. In tal modo l’ordinamento federale persegue la finalità di sottrarre al sindacato giurisdizionale del giudice dello Stato anche quelle controversie che, per assenza di una clausola compromissoria nel contratto-tipo, redatto sulla base dei contratti collettivi, non erano soggette all’arbitrato di lavoro sportivo.

50

Sull’arbitrato di lavoro sportivo e sulle clausole compromissorie inserite in applicazione delle norme dei contratti collettivi o dell’art. 4, l. 23 marzo 1981, n. 91, v. supra, § 4.1.

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La Camera arbitrale per le vertenze economiche è altresì competente a giudicare, ai sensi dell’art. 134, comma 2, lett. c), sulle controversie in ordine alle pretese risarcitorie che i tesserati vantano nei confronti di società diverse da quelle di appartenenza, laddove vi sia stato un previo accertamento, da parte dei competenti organi della giustizia endofederale, della responsabilità disciplinare delle stesse. Come si è avuto modo di osservare, infatti, un comportamento rilevante sul piano disciplinare – posto in essere, in questo caso, da una società sportiva – è suscettibile di spiegare effetti anche sulla sfera morale o patrimoniale dei tesserati e di ledere posizioni giuridiche soggettive aventi rilevanza anche per l’ordinamento statale. La domanda per ottenere il risarcimento del danno va proposta, secondo l’orientamento fatto proprio anche dalla Corte Costituzionale, innanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, atteso che nella materia in esame non opera alcuna riserva a favore degli organi della giustizia sportiva, innanzi ai quali la pretesa risarcitoria non può essere fatta valere 51. La previsione di cui alla lett. c) conferma, quindi, quanto già affermato in relazione all’ambito oggettivo di applicazione dell’arbitrato sportivo: esso rappresenta una modalità di risoluzione delle controversie non riservate in via esclusiva al giudice sportivo ma rilevanti anche per l’ordinamento statale. Pertanto si pone come alternativa alla giurisdizione del giudice dello Stato (ordinario o amministrativo) 52. L’art. 134, comma 3, Codice di Giustizia sportiva FIGC consente poi che anche altre tipologie di controversie di natura economica che dovessero eventualmente insorgere tra le «parti affiliate alla FIGC» – in cui vanno ricomprese, a rigore, le sole associazioni sportive e le società, anche non professionistiche 53 – possano essere devolute alla competenza della Came51

Cfr., sul punto, quanto affermato da Corte Cost., 11 febbraio 2011, n. 49, cit. In argomento, per ulteriori approfondimenti, v. supra, cap. IX, § 2. 52 V. supra, § 2. 53 Basti qui ricordare che per affiliazione si intende l’atto con cui le società e le associazioni sportive, mediante l’adesione a una Federazione sportiva nazionale, a una Disciplina sportiva associata o a un Ente di promozione sportiva, divengono soggetti dell’ordinamento sportivo. Essa consiste, in particolare, nell’atto di riconoscimento, a fini sportivi, di una società o un’associazione che ha come scopo statutario lo svolgimento di un’attività sportiva rientrante tra quelle riconosciute dal CONI. Va inoltre precisato che l’acquisto dello status di soggetto dell’ordinamento sportivo può derivare anche dal tesseramento, che, a differenza dell’affiliazione, riguarda le sole persone fisiche.

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ra arbitrale. Restano in ogni caso escluse da quest’ultima previsione, da un lato, le controversie di cui alle richiamate lettere a), b) e c), per le quali, ai fini della compromettibilità in arbitri, si richiede che parte del rapporto controverso sia necessariamente una società professionistica; e, dall’altro, quelle previste dall’art. 30 dello Statuto della FIGC, il cui comma 3 dispone che esse sono devolute «unicamente alla cognizione del Collegio di Garanzia dello Sport presso il CONI». Quanto alla composizione del collegio arbitrale chiamato a pronunciarsi sulle questioni sottoposte al suo scrutinio, il comma 4 prevede che questo debba essere composto da tre arbitri scelti tra i componenti della Camera arbitrale e che, su accordo delle parti, la controversia possa essere decisa da un arbitro unico – scelto sempre fra i componenti della Camera arbitrale – quando, alternativamente, le parti lo abbiano congiuntamente nominato ovvero ne abbiano richiesto la nomina alla Camera arbitrale. La disciplina sul funzionamento della procedura è demandata dall’art. 135 al Regolamento predisposto dalla Camera arbitrale. Ne deriva che l’arbitrato in esame rappresenta un’ipotesi di c.d. “arbitrato amministrato”. Si precisa inoltre che, per quanto non espressamente previsto, si applicano le disposizioni dettate dal codice di procedura civile in materia di arbitrato e che sono in ogni caso attuati i principi del contraddittorio, imparzialità, parità di trattamento e speditezza. Per espressa previsione dell’art. 135, la decisione pronunciata all’esito della procedura è secondo diritto e non secondo equità, atteso che il collegio arbitrale «decide secondo lo Statuto, il Codice, le NOIF e le altre norme federali nonché secondo le norme e gli usi dell’ordinamento sportivo nazionale e internazionale». Quanto ai profili dell’efficacia e dell’esecutività del lodo, l’art. 136 dispone che «La Federazione riconosce pieno effetto alle decisioni pronunciate dai Collegi arbitrali della Camera arbitrale». Ne consegue che, in caso di mancata esecuzione del lodo da parte del soggetto soccombente, si configura a carico di questo una violazione disciplinare. Ciò in quanto i tesserati e gli affiliati, in forza dell’atto di adesione a una Federazione sportiva, sono tenuti ad osservarne lo Statuto e i regolamenti, ivi comprese le norme che prevedono l’efficacia vincolante delle decisioni dei collegi arbitrali. Pertanto, nell’ipotesi di inadempimento del lodo, il Consiglio federale può, su richiesta dell’altra parte, dichiarare lo stato di morosità della parte obbligata con un provvedimento che viene trasmesso alla Procura federale

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per i necessari adempimenti innanzi al Tribunale Federale Nazionale, Sezione Disciplinare, ai fini dell’eventuale irrogazione di una sanzione.

5.2. La Commissione Accordi Economici presso la Lega Nazionale Dilettanti. La l. 23 marzo 1981, n. 91 trova applicazione unicamente nei confronti degli sportivi professionisti, i soli ammessi a concludere un contratto di lavoro subordinato con le società di appartenenza. Diversamente, per gli atleti dilettanti l’art. 94-ter, comma 1, N.O.I.F. della FIGC, dispone che «Per i calciatori/calciatrici tesserati/e con società partecipanti ai Campionati Nazionali della Lega Nazionale Dilettanti, è esclusa, come per tutti i calciatori/calciatrici “non professionisti”, ogni forma di lavoro autonomo o subordinato». Essi, pertanto, non possono stipulare un contratto di lavoro con le società presso le quali sono tesserati. Si ritiene, infatti, che gli atleti dilettanti non eseguano una prestazione sportiva nei confronti di un datore di lavoro dietro la corresponsione di una retribuzione, ma svolgano un’attività sportiva a fini ludico-ricreativi. Essi, tuttavia, hanno diritto al rimborso delle spese sostenute e, a tal fine, possono sottoscrivere, secondo un apposito modulo, degli “accordi economici” con le società o associazioni sportive di appartenenza. Tali accordi hanno durata annuale e contengono la disciplina delle somme da corrispondersi a titolo di indennità di trasferta, rimborsi forfettari di spesa e voci premiali. L’art. 94-ter, comma 2 consente anche che tali accordi possano prevedere, in via alternativa e non concorrente, l’erogazione di una somma lorda annuale da corrispondersi in dieci rate mensili di uguale importo, nel rispetto della legislazione fiscale vigente. Gli accordi economici dilettantistici in esame rappresentano, secondo l’opinione preferibile, contratti atipici ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c. 54, rispetto ai quali la meritevolezza di tutela degli interessi perseguiti si rinviene nella rilevanza, anche economica, dell’attività sportiva praticata dagli atleti non professionisti, come peraltro riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE 55. 54

Cfr., in questo senso, M. VENEZIA, op. cit., p. 924. Si vedano, ex multiis, Van Dujn c. Home Office, 4 dicembre 1974, C-41/74; LawrieBlum c. Land Baden-Württemberg, 3 luglio 1986, C-66/85; Deliège v Ligue francophone 55

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Dalla lettura degli artt. 29, comma 3, e 94-ter, comma 2, N.O.I.F. della FIGC emerge che la sottoscrizione degli accordi economici in esame è ammessa per i soli calciatori dilettanti tesserati presso società partecipanti ai campionati dilettantistici nazionali, mentre tale possibilità deve ritenersi preclusa per i tesserati presso società militanti nei campionati dilettantistici regionali e provinciali. L’eventuale sottoscrizione da parte di questi ultimi di un accordo economico integra, pertanto, una violazione disciplinare, per contrasto con il divieto posto dalle N.O.I.F. In caso di inadempimento delle società all’obbligo di corresponsione delle somme previste dagli accordi economici, i calciatori dilettanti, ai sensi dell’art. 94-ter, comma 10, N.O.I.F., possono far valere le proprie pretese, per l’accertamento delle somme dovute, innanzi alla Commissione Accordi Economici (C.A.E.) della Lega Nazionale Dilettanti 56. Si tratta di una forma di tutela endoassociativa integrante un’ipotesi di arbitrato federale, che trova la propria fonte nell’accettazione, da parte dei calciatori all’atto del tesseramento, di sottoporsi alle regole della Federazione, ivi comprese quelle relative alla devoluzione ad un collegio arbitrale delle controversie nascenti dagli accordi economici sottoscritti con le società e associazioni sportive di appartenenza. A differenza di quanto previsto per gli arbitrati sportivi in ambito professionistico, in cui opera il c.d. meccanismo binario, in forza del quale ciascuna parte nomina il proprio arbitro (talvolta attingendo da appositi albi o elenchi) e il presidente del collegio viene poi nominato di comune accordo dagli arbitri di parte, in ambito dilettantistico si è optato, invece, per il modello dell’arbitrato c.d. istituzionale o amministrato. La risoluzione delde judo et disciplines associées ASBL, Ligue belge de judo ASBL, Union européenne de judo e François Pacquée, 11 aprile 2000, C-51/96 e C-191/97. Una conferma della rilevanza anche esterna di detti accordi economici, quali contratti atipici che perseguono interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, si rinviene all’interno dello stesso ordinamento sportivo. L’art. 94, comma 2, secondo periodo, N.O.I.F. della FIGC, prevede espressamente che i tesserati – ivi compresi, quindi, i calciatori dilettanti – possano adire l’autorità giudiziaria ordinaria a tutela dei loro diritti derivanti dagli accordi relativi a compensi, premi o indennità in contrasto con le norme regolamentari, non rientrando tali azioni tra quelle vincolate dalla clausola compromissoria. 56 Va tuttavia precisato che il mancato pagamento da parte delle società delle somme dovute ai calciatori dilettanti integra, secondo l’opinione preferibile, un inadempimento contrattuale e non già un illecito rilevante in sede disciplinare. Cfr. in tal senso, il Comunicato Ufficiale 28 ottobre 2013, n. 30 emesso dalla Commissione Disciplinare Nazionale della FIGC.

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le controversie è infatti devoluta a un organo a carattere permanente, la Commissione Accordi Economici, i cui membri sono nominati dal presidente della Lega Nazionale Dilettanti e restano in carica per due stagioni sportive (art. 25-bis, comma 1, Reg. L.N.D.). Va precisato che la C.A.E. rappresenta un organo interno alla sola L.N.D. ed estraneo al sistema della giustizia sportiva federale. Ne consegue che le norme del Codice di Giustizia sportiva non trovano applicazione nel procedimento davanti alla C.A.E., regolato esclusivamente dall’art. 25-bis Reg. L.N.D., il quale prevede norme autosufficienti in tema di composizione, competenza, oggetto, modalità di funzionamento e svolgimento della procedura 57. Il procedimento è instaurato su reclamo sottoscritto dal calciatore/calciatrice ovvero dal collaboratore della gestione sportiva, contenente la quantificazione delle somme di cui si chiede l’accertamento e l’indicazione dei titoli su cui si fondano le pretese fatte valere. Il rito ha natura strettamente documentale, come dimostrato dal fatto che al reclamo va allegata copia dell’accordo economico, nonché ogni altra documentazione rilevante ai fini della decisione, mentre le prove testimoniali possono essere ammesse soltanto «in via eccezionale» 58. Le decisioni pronunciate dalla C.A.E. devono essere depositate nel termine di trenta giorni dalla data fissata per la discussione, sono comunicate alle parti e pubblicate sul sito della L.N.D. Ai sensi dell’art. 94-ter, comma 11, N.O.I.F., avverso tali decisioni le parti possono proporre gravame innanzi al Tribunale federale nazionale, Sezione vertenze economiche, entro sette giorni dalla comunicazione delle stesse.

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Lo rileva M. VENEZIA, op. cit., p. 931. L’art. 25-bis, comma 6, Reg. L.N.D. regola, inoltre, la prova dei pagamenti, prevedendo che questa debba avvenire «mediante apposita quietanza, firmata e datata, nonché recante la causale specifica del versamento ed il periodo cui questo si riferisce». Si è pertanto affermato che «la quietanza di pagamento costituisce in realtà il vero cuore, dal punto di vista istruttorio, del procedimento, poiché solo attraverso la sua produzione la società convenuta può dimostrare di avere adempiuto le obbligazioni su di essa gravanti in virtù dell’accordo economico azionato dal creditore». Cfr., in questi termini, anche in senso critico in ordine alla eccessiva rigidità del mezzo di prova richiesto, M. VENEZIA, op. cit., pp. 934-935. 58

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5.3. L’arbitrato federale presso la Federazione Italiana Nuoto. Come già osservato, in applicazione dell’art. 3, l. 17 ottobre 2003, n. 280 e dell’art. 4, comma 3, Codice della giustizia sportiva del CONI, molti ordinamenti federali prevedono, nei loro statuti, la possibilità per i tesserati e gli affiliati di una Federazione di devolvere la risoluzione delle controversie di carattere meramente patrimoniale ad un collegio arbitrale. Tra i vari sistemi va menzionato, in particolare, quello della Federazione Italiana Nuoto (FIN), anche in ragione delle analogie che presenta con gli arbitrati sportivi previsti dalle altre federazioni dilettantistiche 59. L’art. 31 dello Statuto FIN, infatti, sancisce che «Gli affiliati e i tesserati della Federazione possono rimettere a un giudizio arbitrale definitivo la risoluzione di controversie interindividuali a contenuto strettamente patrimoniale ai sensi dell’art. 806 ss. del Codice di Procedura Civile, che siano originate dalla loro attività sportiva od associativa, qualora non rientrino nella competenza degli Organi di Giustizia federali» ovvero nelle ipotesi in cui è prevista la competenza inderogabile del Collegio di Garanzia dello Sport. Dal carattere meramente patrimoniale delle controversie che possono essere demandate alla cognizione del collegio arbitrale discende che il contenzioso pendente innanzi all’arbitrato FIN (ma il discorso può essere esteso anche ad altri sistemi federali) ha ad oggetto prevalentemente ipotesi di mancato pagamento dei rimborsi spese degli atleti. Il collegio arbitrale è formato da tre componenti, due arbitri di parte e il presidente, nominato di comune accordo dagli arbitri di parte. Per espressa disposizione dell’art. 5, Reg. arb., l’arbitrato è irrituale e, pertanto, il lodo pronunciato dal collegio arbitrale a maggioranza dei componenti ha natura di determinazione contrattuale. Esso ha efficacia vincolante tra le parti e indica nel dispositivo il termine, non superiore a 90 giorni, entro cui la parte soccombente deve adempiere. L’inadempimento del lodo integra, come osservato in relazione ad altre ipotesi di arbitrato sportivo, un illecito disciplinare (art. 31, comma 5, Statuto FIN). Pertanto, in caso di omessa o ritardata esecuzione delle prescrizioni ivi contenute, la parte interessata provvede a comunicare l’inadempimento alla Segreteria federale, la quale a sua volta lo comunica alla Procura federale. 59

Si vedano, a titolo esemplificativo, le norme degli Statuti FIT e FIR – riportate supra, § 5 – relative all’arbitrabilità delle controversie patrimoniali.

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6. Il Collegio di Garanzia dello Sport con funzioni di organo arbitrale. Nell’attuazione della riforma del sistema della giustizia sportiva, lo Statuto adottato dal Consiglio Nazionale del CONI nel giugno 2014 ha disposto la soppressione dell’Alta Corte di Giustizia e del TNAS e ha istituito il Collegio di Garanzia dello Sport. Delle funzioni ad esso demandate, quale «organo di ultimo grado della giustizia sportiva», si è già detto nel capitolo precedente. Occorre tuttavia precisare che, oltre che quale organo di legittimità e di chiusura del sistema della giustizia sportiva, il Collegio può operare altresì quale organo arbitrale. Infatti, con la deliberazione 4 maggio 2016, n. 1550 del Consiglio Nazionale del CONI è stato adottato il «Codice del Collegio di Garanzia per procedimenti arbitrali in materia di licenze UEFA», che devolve al Collegio di Garanzia dello Sport la risoluzione, mediante procedimento arbitrale, delle «controversie tra la FIGC e una società cui sia stata negata o revocata la Licenza UEFA a seguito della pronuncia della Commissione di secondo grado delle Licenze UEFA istituita presso la FIGC». Il Collegio, in funzione di organo arbitrale, è composto da tre membri, due dei quali scelti dalle parti tra i componenti delle sezioni del Collegio di Garanzia dello Sport e il terzo, con funzioni di presidente del collegio arbitrale, designato tra i Presidenti di sezione del Collegio di Garanzia dello Sport dal Presidente del medesimo Collegio, il quale può anche designare se stesso. In relazione allo svolgimento di funzioni arbitrali da parte del Collegio di Garanzia dello Sport, potrebbe porsi il problema dell’attuazione – nell’ambito dell’arbitrato di cui all’art. 832 c.p.c., c.d. “arbitrato amministrato” – del principio di terzietà degli arbitri 60. L’art. 832, comma 4, c.p.c., infatti, dispone che «Le istituzioni di carattere associativo e quelle costituite per la rappresentanza degli interessi di categorie professionali non possono nominare arbitri nelle controversie che contrappongono i propri associati o appartenenti alla categoria professionale a terzi». Tuttavia, come già osservato in relazione all’arbitrato federale amministrato 61, nemmeno in tale materia sembrerebbe configurabile una violazio60 Secondo l’orientamento della giurisprudenza, il principio di terzietà dell’arbitro – e, più in generale, del giudicante – deve considerarsi di ordine pubblico. Cfr. Cass., Sez. I, 18 marzo 2008, n. 7262, in Riv. arb., 2008, p. 529 ss. 61 Si veda, sul punto, supra, § 1.

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ne della norma in esame, atteso che i soggetti contrapposti – la FIGC e una società ad essa affiliata – non sono “terzi” rispetto all’ordinamento del CONI. Inoltre, le particolari qualifiche rivestite dai membri del Collegio di Garanzia e le modalità di nomina degli stessi (per la quale si richiede la maggioranza di tre quarti dei membri del Consiglio Nazionale del CONI) costituiscono sufficiente garanzia di terzietà del collegio arbitrale competente a giudicare sulle controversie in materia di licenze UEFA. Il procedimento arbitrale è disciplinato da un regolamento ad hoc deliberato dal Consiglio Nazionale del CONI ed è caratterizzato da brevi termini perentori (due giorni dalla data di conoscenza dell’atto che si intende impugnare per il deposito del ricorso e due giorni per la costituzione della parte intimata), in linea con le esigenze di celerità e speditezza che informano la materia in esame. Va precisato inoltre che il regolamento arbitrale prevede, quale condizione di procedibilità della domanda, il previo esperimento dei rimedi interni resi disponibili dalla FIGC.

7. Le altre forme di ADR nello sport: conciliazione e mediazione. A conclusione della trattazione sull’arbitrato sportivo quale principale modalità di risoluzione delle controversie alternativa sia alla giustizia sportiva che alla giurisdizione statale, occorre ora soffermarsi sulle altre possibili forme di ADR che possono trovare applicazione in ambito sportivo. Tra i vari modelli utilizzabili, riveste particolare interesse quello della conciliazione. Il fenomeno conciliativo, come si è osservato, ricorre ogniqualvolta due o più soggetti tentano, in presenza o meno di un soggetto terzo e imparziale, di raggiungere una soluzione concordata della controversia insorta tra loro (c.d. “accordo conciliativo”). Se una siffatta composizione negoziale e volontaria della lite non è raggiunta, le parti possono sempre devolvere la controversia all’Autorità giudiziaria ovvero a un arbitro. In passato l’esempio più importante di conciliazione nell’ambito dell’ordinamento sportivo italiano è stato rappresentato dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport. Si consideri che, quanto alle funzioni conciliative svolte da tale organo, il relativo regolamento prevedeva che la

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conciliazione poteva essere chiesta da una o da entrambe le parti, mediante apposita istanza contenente le informazioni necessarie per la comprensione del caso, come una breve descrizione della vicenda e delle richieste, con eventuale documentazione allegata, l’indicazione delle norme statutarie o delle clausole contrattuali che consentono il ricorso alla conciliazione e la documentazione comprovante l’avvenuta comunicazione alla controparte. Il presidente della Camera provvedeva a nominare il conciliatore scegliendolo tra i componenti dell’elenco di esperti in materia giuridico-sportiva previsto dallo Statuto del Coni. La conciliazione rappresentava un procedimento riservato, il cui esito non era destinato a essere divulgato. Non era inoltre prevista una disciplina analoga all’art. 185 c.p.c.; pertanto, il verbale di conciliazione non poteva considerarsi titolo esecutivo, diversamente da quello formato a seguito dell’esito positivo del tentativo di conciliazione esperito dal giudice nella fase istruttoria 62. Con la riforma dello Statuto del CONI del 2008 la Camera è stata soppressa e sostituita dall’Alta Corte di Giustizia Sportiva e dal Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, le cui funzioni sono a loro volta confluite nel Collegio di Garanzia dello Sport. Tale ultimo organo, tuttavia, non svolge funzioni di tipo conciliativo, ma solamente decisionali. Resta pertanto da verificare quale sia lo spazio riservato alla conciliazione nell’attuale sistema di giustizia sportiva, successivo alla riforma del 2014. Attesa la natura negoziale dell’istituto, si può in ogni caso ancora affermare che la conciliazione si colloca, nel quadro degli strumenti di risoluzione delle controversie sportive, in una posizione alternativa alle modalità “decisionali” o “definitorie” della lite. Essa ricorre, infatti, con riferimento a quelle controversie intercorrenti tra le Federazioni, le società o associazioni sportive affiliate e i tesserati per questioni relative ai rapporti contrattuali o, più in generale, di natura patrimoniale. In tali ambiti diversi regolamenti arbitrali federali prevedono l’esperimento di un tentativo obbligatorio di conciliazione ad opera del collegio prima dell’inizio della procedura. Si consideri, a titolo esemplificativo, quanto disposto dall’art. 6, comma 1, Reg. arb. FIN, il quale prevede che «Il Collegio è tenuto ad esperire, prima dell’inizio del procedimento arbi62

RITI

Lo rileva L. COLANTUONI, Arbitrato e conciliazione nello sport, in G. ALPA-V. VIGO(a cura di), Arbitrato, cit., p. 1456.

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trale, un tentativo di conciliazione tra le parti. Dell’esito negativo del tentativo di conciliazione si deve dare atto nel verbale di udienza». Vi sono inoltre casi in cui le parti pervengono alla conciliazione della lite in sede di udienza di discussione innanzi al giudice sportivo chiamato a conoscere e a pronunciarsi in via “decisionale” sulla controversia. In tali ipotesi, allora, il giudice deve prendere atto nel verbale d’udienza dell’accordo conciliativo raggiunto dalle parti e, conseguentemente, dichiarare cessata la materia del contendere 63. Quanto alla mediazione, va rilevato che non esiste, allo stato, un sistema di devoluzione delle controversie sportive a soggetti specializzati quali gli organismi di mediazione di cui al d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, cui è demandato lo svolgimento di un’attività finalizzata ad assistere le parti nella ricerca di un accordo per la composizione della controversia tra loro insorta, eventualmente con formulazione di una proposta e senza il potere di pronunciare decisioni vincolanti per le parti medesime 64. Nonostante il limitato spazio applicativo riservato alle ADR nell’attuale sistema di giustizia sportiva, l’istituzione di metodi alternativi di risoluzione delle controversie arrecherebbe indubbi vantaggi all’ordinamento sportivo nel suo complesso, anche in ragione della funzione preventiva e deflattiva del contenzioso che rivestono gli istituti della conciliazione e della mediazione. La loro natura non decisionale, infatti, consentirebbe di pervenire a soluzioni dei conflitti maggiormente improntate ai valori di lealtà, correttezza e fair play che permeano l’attività sportiva, senza tuttavia precludere che, in caso di mancato raggiungimento di un accordo, la controversia possa sfociare innanzi agli organi competenti (della giustizia sportiva ovvero di quella statale) perché venga decisa in via eteronoma. È il caso del modello di conciliazione adottato in Francia già dall’art. 19, loi n. 84-610 del 16 luglio 1984 (oggi abrogato e confluito nell’art. L141-4 del Code du sport), in cui si prevede l’istituzione presso il Comi63 È il caso oggetto della decisione 11 agosto 2015, n. 36 del Collegio di Garanzia dello Sport, con cui si è dichiarata la cessazione della materia del contendere e l’improcedibilità del ricorso a seguito dell’accordo raggiunto dalle parti – e riportato nel verbale di conciliazione sottoscritto in sede di udienza di discussione – relativamente all’ammissione in sovrannumero al campionato della LND. 64 Si veda, ad esempio, L. COLANTUONI, op. cit., p. 1462, il quale auspica la nascita di sezioni specializzate in materia sportiva all’interno dei soggetti costituiti presso enti pubblici o privati e iscritti nell’apposito registro ai sensi del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.

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tato Olimpico Francese di un meccanismo conciliativo preliminare rispetto all’instaurazione della controversia tra tesserati, agenti sportivi, società, associazioni sportive e Federazioni innanzi al competente giudice statale.

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Finito di stampare nel mese di novembre 2021 nella Stampatre s.r.l. di Torino Via Bologna, 220

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