Della comprensione. Compendio di mitografia contemporanea 8815107703, 9788815107701


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Della comprensione. Compendio di mitografia contemporanea
 8815107703, 9788815107701

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PERCORSI

RICCARDO CAMPA

DELLA COMPRENSIONE Compendio di mitografia contemporanea

SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO

Questo volume è promosso dall'Istituto !taio-Latino Americano

ISBN

88-15-10770-3

Copyright © 2005 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tuui i diritti sono riservati. Nessuna parte d i questa pubblicazione può essere fotoco­ piata, riprodotta, archi\'iata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo - elettronico, m eccanico, reprografico, digitale - se 1�o1! nd termini previsti dalla legge che uncla i l Diritto d'Autore. Per alt re mtormazioni si veda i l sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie

INDICE

Prefazione

p.

7

PARTE PRIMA 13

I.

L'ascesi e l'esperienza

Il.

La discrezionalità e la saggezza

109

III.

La trascendenza e la mondanità

18 1

IV.

La peregrinazione e la preveggenza

245

v.

Il presagio e la meraviglia

283

VI.

La maschera e il simulacro

377

VII.

La dilemmaticità e l'ostinazione

419

VIII.

La diversità culturale e l' omogeneizzazione sociale

451

PARTE SECONDA

IX.

La conoscenza per immagini

497

X.

L'ecchimosi della memoria

529

XI.

L'atmosfera verbale

557

XII.

Le convinzioni e le congetture

593

XIII.

La dinamica globalizzante

63 1 5

XlV.

L1 previsionétlità e l'esibizionismo

XV.

L 'apol ogetica dello sm a rrim ento

XVI.

L'evidenza

XVII.

L'interpretazione Jdhl reélltà

743

XVIII.

La prcca rietà e la regolamentazione

77 1

XIX.

La test i monianz a e la t raduz i o n e

801

XX.

L'arbitrarietà e la tirannia

833

c

l'occasionalità

p.

663 689 717

P ARTE TERZA

XXI.

Il presagio tecnologico

867

XXII.

Il l aboratorio della modernità

899

XXIII.

L a postolat o della disperazione

929

XXIV.

La dinamica rappresentativa

957

XXV.

La configurazione degli evemi

989

XXVI.

La fantastica evanescenza

'

1019

XXVII. Gli stereotipi dell'informazione

1045

XXVIII. La memorazione e l'oblio

1075

XXIX.

L'invarianza

Indice dei nomi

6

c

la discontinuità

1105

1133

PREFAZIONE

Il regime delhi tecnica ha modific/. Gli avveni­ mentì, che suscitano le rìvisitazioni storiche, sono implacabil­ mente edificanti e quin d i difficiL11ente convertibili in vere e proprie spinte morali. La perizia, con la quale si descrivono i cambiamenti sociali nel pianeta, non compensa l'irrefrenabile irrisolutezza di quanti vi operano. Il vodo diffuso e l'apprensio­ ne per l'inedito della creazione sgominano le certezze borghesi e contemperano l'instabilità emotiva, terreno di cultura dei con­ vincimenti e delle fruizioni di massa. Questo libro compendia una serie di voci - di categorie e di congetture mentali - quali premesse di una sintesi, che è an­ cora lontana dal configurar si come pl ausibile. E, tuttavia, un appannaggio critico nei riguardi di alcune formulazioni conosci­ tive si evidenzia quanto meno nel variegato scenario della cul­ tura occidentale. La sensazione che il pensiero si dibatta fra l'orticaria della problematicità e I'enfiteusi della dilemmaticità ul tim at iva e dogmatica genera un'imperiosa esigenza di sistema­ tica concettuale per l'individuazione di un percorso con osc itivo , la cui evidenza si coni ughi con gli esiti compromissori ed edifi­ canti, che la tradizione considera irrinunciabili.

R. C. Roma, aprile 2005

2 Ibidem, pp. 92-93.

10

PARTE PRJMA

CAPITOLO PRIMO

L'ASCESI E L'ESPERIENZA

L'insoddisfazione costituisce il monito, con il quale le gene­ razioni si arroventano nella e contro la natura, e con il quale s'interconnettono fra loro, nell'intento di aggiudicarsi, con una parte delJo spazio-tempo vitale, un criterio di giudizio, che compensi il disagio di vivere e premi l'impresa di connotarlo di un significato (mitico, religioso, razionale). La profezia inaugura il percorso della conoscenza magnificando il futuro e accordan­ do un credito all'accidentato passato quale preludio della sta­ gione della luce, dell'evidenza e quindi della soddisfazione. La profezia contrasta il capriccio degli dei e instaura un rapporto personale che prescinda dai fastigi delle improbabili glorie degli esseri paradigmatici e tentacolari. La profezia disciplina il pen­ siero e lo rende retrattile a ogni suggestione che lo stemperi nel presente manifesto e lo volgarizzi nel linguaggio quotidiano: quasi una sfida al buon senso e alla comune accezione dei fasti e delle debolezze dei mortali, sia pure illustri e memorabili. L'oracolarità persevera nell'esercizio del convincimento, nel­ la rilevazione dei fatti dell'esperienza come prove di un modo di interpretare il disegno dell'universo. L'eterogeneità dei fini paventa l'omogeneità dell'esperienza e genera il principio del­ l'equivalenza e successivamente (con l'aritmetica e la geometria) dell'eguaglianza. L'oracolarità genera il pensiero metafisica: ren­ de comprensibili le parole che non fanno esclusivo riferimento agli oggetti, ma alle loro relazioni e ai loro condizionamenti. La prima parola oracolare è lo zero, l'ente di separazione di due classi contigue di numeri reali. La veggenza comporta l'oracola­ rità, che assume così la forma dell'esplicazione della misterioso­ fica postulazione concettuale, dell'avvertimento e della protezio­ ne nei casi in cui il pericolo e la sfida s'immanentizzano nella loro perentorietà. La predizione nel significato di enunciazione precede l'argomentazione, la spiegazione razionale dei fenome­ ni, la cui dinamica causa talvolta lo sconcerto e genera lo sgo­ mento (come accade a Immanuel Kant quando volge lo sguar­

do al cielo stellaro e s'immedesima dell'imperativo morale den-

13

tro di sé: reso cogen te dall esperienza del tempo remoto, quan­ do gli esseri umani non parlano eppure agiscono secondo fina­ lità, delle quali il presente costituisce la rappresentazione). La predizione è il disvelamento di alcune facoltà percettive, intuitive, razionali degli esseri um ani di fronte al linguaggio ci­ frato dell'universo. Michelangelo Buonarroti afferma, infatti, di limitarsi a disvelare le figure che sono già nel marmo. Il g i udi­ zio universale della Cappella Sistina in Vaticano è il compendio delle credenze operate dalla predizione e ancor prima dalla profezia. L'artista rigenera le figure e rivitalizza il linguaggio, con il quale si presagisce che s'immedesimi dei suoi pensieri, nel proposito di conferire al presente una funzione cognitiva, equivalente a un pote n ziale energetico in grado di garantirne la permanenza nell'effettualità e la sopravvivenza nell'eternità. L'interpretazione dei segni e dei presagi facilita l'afferma­ zione della fede e patrocina la riflessione e il ragion am ento. La facoltà di discernere il bene dal male, il lecito dall'illecito e perfino la morale dall'immoralità è conseguente al tacito connu­ bio dell ardimento con la cautela, dell'intrepida esigenza di var­ care le soglie del consentito con la provvidenz iale benemerenza. La consapevolezza che, mediante le formulazioni concettuali e le strumentalizzazioni materiche, sia possibile estorcere alla na­ tura il c onsenso a utilizzarla in gloria o a dispetto del suo Crea­ tore, concerne la vicenda del genere umano nelle varie stagioni della sua impresa leggenda ria storica (con le appendici, irrive­ renti, canzonatorie, clissacratrici). La profezia comprende anche il passato, pervaso dall'incapacità di coglierne le is ta nze che la tragedia (come rileva Frieclrich N ietzsche ) testimonia con dram­ matica episodicità. La fertile proposizione dei poeti riguarda il tra cciato dell'operosità, sia bellica, sia pacifica, secondo dei cor­ rettivi etici, istituzionali, politici (com'è nei poemi omerici), in g rado di adombrare un regno dei fini, sempre prossimo all'at­ tuazione, sempre lontano dalla fruizione. La fede prelude alla responsabilità di fronte alle azioni, che si compiono in un co­ sternato atteggiamento d'insoddisfazione. Gli esseri umani ritro­ vano e riconoscono nella fatica e nel lavoro, necessari per il soddisfacimento delle loro necessità, una condanna, contro la quale reagiscono, sfidando la loro stessa natura e contraddicen­ dosi con cog n izione di causa. L'impellenza del bisogno suggeri­ sce la conflittualità, che fomenta le ambizioni individuali oltre il limite della sofferta necessità. L'incipiente ragionevolezza accre'

,

'

,

,

14

dita l 'impressione dell'incontinenza umana secondo una «misu­ ra» della sussistenza screziata dall'arroganza, dal vizio o dal ti­ more, dalla esiguità della resistenza, dal rimpianto dell'Eden terreste. Il monoteismo etico genera ii mistero: affida a un'entità im­ perscrutabile la risoluzione dei dubbi, delle incertezze e delle idiosincrasie del genere umano nelle successive fasi d 'insedia­ mento nel pianeta e nelle varie condizioni della consapevolezza e dell'appoderamento (dei beni spontanei e di quelli coltivati) . L'agricoltura salda la profezia a11'azione; rende il necessarismo vitale la costante del rapporto fra gli esseri, che affrontano le sfide della soprawivenza alle stesse turbative naturali . L'idola­ tria e la blasfemia sono condannate perché contrarie al ragiona­ mento unitario, alle categorie della logica conseguenziale e del­ l 'uriJirà. La relazione fondata sul reciproco rispetto dei membri delle comunità umane instaura un'alleanza con Dio, che si per­ cepisce nel rispetto della legge (delle norme della pacifica con­ vivenza). La fedeltà alla legge compendia il disegno di Dio. Se si ottenebrano i suoi dettami, si paventano il disordine, l'insta­ bilità emotiva e razionale, e si profilano come inevitabili la lotta fratricida e la persecuzione di tutti contro tutti. L 'indefettibilità del male risiede nell'indisciplina individuale, nell'incostanza del­ la ragione, nella blandizie del desiderio inevaso, nella vacuità e nell'insensatezza. L'obbedienza diventa una milizia suffragata dal premio della probità umana e della beatificazione divina. La coesiva funzione de!Ja profezia si coniuga con la serafica versificazione poetica, volta a dare consistenza fonica e persi­ stenza generazionale alla precettistica. L' awersione per le disto­ nie, le discrasie, le perversioni e le deformazioni del pensiero e del comportamento implica l'applicazione di un rigore, che può essere temperato soltanto dalla volontà di Dio. Il rispetto per le norme inaugura la storia dell 'umanità. La scrittura corrobora il significato della memorazione dei fatti e degli eventi, deputati a far parte del patrimonio conoscitivo del genere umano e, per converso, è asseverativa nei riguardi dell'oblio. La dimenticanza non ha aggettivi, non ha attenuanti: è un ordinamento mentale talmente imperscrutabile da essere perentorio.

L'irrefrenabilità del bene non vanifica l'insidia del Male. Tale sconcertante constatazione non contrasta con l'ordinamento divi­ no, che, proprio in quanto elegiacamente rappresentato, non ri­ sponde appieno alle categorie investigative e interpretative del15

l'osservatore della realtà. Lo smarrimento dell'uomo di fronte ai corpi celesti è indice della coscienza operante, della consapevo­ lezza conseguita mediante l'esperienza sempre più sofisticata (fino a raggiungere i paradigmi contemporanei). Il dubbio, che affligge l'osservatore, genera la sofferenza del pietoso interprete della volontà divina. L'ammissione del Male suscita l'entusiasmo degli scettici e il biasimo dei credenti: il biasimo di chi non riesce a intendere il disegno divino senza confutarlo (come fa Giobbe nella descrizione del Vecchio Testt�mento). L'obbedienza, infatti, comporta l'affiliazione alla religione senza che essa comporti una adeguata adesione alla teleologia, che la compenetra. La religione degli inizi induce alla riflessione e alla contraddizione permanen­ do secondo un ordine mentale considerato proclive al bene e quindi al premio celeste. La sofferenza e la fortuna sembrano parteggiare per gli uni piuttosto che per gli altri, secondo una perspicacia difficilmente comprensibile dai mortali. Essi s'inter­ rogano sulla finalità dell'esistenza terrena, sulla possibile trasmi­ grazione, reincarnazione, sublimazione delle risorse energetiche agglutinate e indirizzate verso la conoscenza. La punizione e la ricompensa ltgevolano, rispettivamente, la rinunzia e l'accettazio­ ne delle cosiddette condizioni oggettive, destinate nel tempo a configurarsi come vere e proprie barriere naturali e poi degli steccati ideologici, creati dagli stessi esseri umani per soddisfare le loro bramosie o per irridervi redimendosi dall'ingordigia. L'ar­ roganza è il peccato che ab'ilita all'intolleranza, alla superfetazio­ ne della forza, all'incontinenza. L'età del malessere accompagna come in un sottofondo ideale le esasperate affezioni terrene, le smodate passioni e le irruenze emotive. Nel retroscenario del mondo s'annida l'irruenza ferina che, di tanto in tanto, si abbatte sulle stesse persone intenzionate a custodirla in segreto pur di ir­ rompere, furenti, nella disamina generale. L'ordine, figma cate­ goriale della religione, si riflette nella cognizione della realtà ef­ fettuale. La transizione dall'entropia all'ordine segna r egemonia della ragione, che si serve di alcuni modelli intellettivi per argina­ re l'imperiosa esigenza di libertà e di benessere. La scoperta da parte dell'intelletto agente della «misura» surroga con diversi gradi di differenziazione la credenza religiosa ed esonera i fedeli dalla tetragona osservanza delle ingiunzioni. Le congetture men­ tali non sostituiscono le affezioni emotive, ma ne attenuano l'ltsperità. Ogni giudizio di valore soggiace, con l'avvento della ragione, alla prova dei fatti, al vaglio della comunità e della col-

16

lettività dalla quale riceve la verifica. La fase di transizione dalle religioni paniche alle credenze monoteistiche è realizzata dalla ragione. L'ordine del mondo ispira la gestione uninominale della creazione. La natura è il terrapieno di Dio, affidato aUe cure dei mortali. La ragione s'identifica con la ricognizione del senso del­ le cose. La verifica è un atto dovuto al Creatore, che diventa un intedocutore della ragione dell' uomo e forse della natura nella sua pervasiva committenza con la realtà rivelata e rilevata dagli esegeti della sua presenza nei pensieri, nei gesti e negli atti di tut­ ti gli esseri e gli enti che la popolano. «Gli antichi ed eclettici !o­ nici», scrive Daniel]. Boorstin: sulle isole e sulle coste della parte occidentale dell'Asia Minore intor­ no al mar Egeo come sulle coste orientali della Grecia, mettono a dura prova la nostra immaginazione. Dobbiamo alle due rivoluzioni ioniche le origini della filosofia e della scienza dell'Occidente. È altre­ sì sbalorditivo che queste successive acquisizioni della Grecia classica non solo siano opposte ai modi di pensiero più arcaici dei G reci, ma anche contraria l'una all'altra1.

L'awento della ragione si evince dalla scomposta elegia degli dei. La perturbazione sociale da essi provocata dirime il control­ lo emotivo dei primi pensatori occidentali, che si rivolgono alla natura per carpirne le norme e la composizione, utile per ingenti­ lire e responsabilizzare il genere u mano. La ricerca deUe sostanze permanenti e delle cause generali, correlata all'intercettazione con le componenti evanescenti, influenza le prime fasi della co­ noscenza occidentale. Un altro concetto, fondamentale quanto longevo, venne fornito da Pitagora, che dall'isola greca di Samo si era trasferito nell'Italia meri­ dionale (circa il 530 a.C.). Concepì un Cosmo fatto di numeri. I pita­ gorici affascinavano con la loro concezione misticheggiante di un uni­ verso vivente che respira, una concezione che include la teoria della trasmigrazione delle anime e la loro cosmologia fondata sull'armonia musicale. Giunsero con

Wl

gran balzo dal capriccioso mondo mitolo­

gico di Esiodo a un ordinato universo di cause. In questo modo con­ tribuirono a produrre un rudimentale vocabolario della scienza2. 1 Daniel T. Boorstin, L'avveni t/l'li della ricerca. Dtl Socmte a Einstein. Storia degli z�omini cbe banno inventato il mondo, Milano, Raffaello Corti­

na, 2002, p. 45. 2 Ibidem, p. 46.

17

Il numero riflette le caratteristiche dell 'affabulazione mitica e la configurazione spazio-temporale dell'esperienza nella sua mol­ teplice e talvolta angosciosa estrinsecazione. L'interrogazione e la dialogazione socratiche contribuiscono a delineare una metodologia della conoscenza, che contemperi l'elaborazione intellettuale e le valutazioni dell 'esperienz;l. La quotidianità diventa la prima fonte d 'ispirazione conoscitiva per la sua propellenza all'approfondimento e al miglioramento delle condizioni oggettive. L'interlocuzione consente la verifica delle goethiane affinità elettive o delle disparità connotative, spesso dovute all'estrazione economica, comportamentale. Il costume influenza il pensiero e lo induce a svolgere la sua azione in am­ biti prima preclusi dal fideismo religioso alla conoscenza. Il sa­ pere appare come un'ancora di salvataggio per quanti s'interro­ gano sulle ragioni deli' esistenza, una volta che si offuscano gli anditi degli dei e si declinano negativamente le odi e le invoca­ zioni loro rivolte dalle coscienze smarrite nell'incertezza e nella precarietà dello scenario sociale e istituzionale. La rappresenta­ zione degli eventi accredita alla parola l'efficacia del gesto che la compenetra. L'interpretazione degli accadimenti tende a giu­ stificarli razionalmente fino a considerarli gli effetti della creati­ vità umana. S'inaugura così una sorta di competizione fra i mortali e gli dei nella speranza di contrastarne il potere. La sal­ vaguardia degli eventi naturali a cura dell 'osservatore si giustifi­ ca con la sua vocazione alla permanenza e contestualmente alla sua progressiva autonomizzazione. Egli si convince con sempre maggiore approssimazione che il teatro della sua azione coinci­ de con quello che, per tradizione, è riservato agli dei, alle po­ tenze occulte, all'ordine o al disordine degli elementi. L'impe­ gno dell 'osservatore si rivolge alla natura per captarne gli aspet­ ti evidenti e quelli meno evidenti, spesso schermati dalla stessa metodologia conoscitiva. I fronti sui quali si riverbera il sapere umano sono quello naturale e quello per così dire artificiale, cioè dipendente dalla propensione a sussidiare l'attività intellet­ tuale e manuale con le strumentazioni, realizzate con le risorse esistenti nella natura allo stato silente e allo stato attivo. La consapevolezza di poter affrontare la natura dipende dall' accor­ tezza con la quale reagisce l'intelletto, che ambisce al consenso e alla legittimazione. Il dialogo socratico adombra la prova di forza, con la quale l'osservatore della realtà riesce a introiettarla per renderl, è interconnessa con le parole. Se l'espres­ sione non si armonizzasse con il suono, il gesto e la visione, sa­ rebbe improponibile come circuito d 'interazione collettiva. Di fatto, nella parola risiede la dimensione divina e demoniaca del­ la vicenda umana. Con le parole si può lodare e offendere Dio senza che - in apparenza - siano condannate le espressioni di stravaganti esaltazioni o di lesa maestà. La costanza della loro presenza nell'argomentazione le convalida alla dialettica che s'instaura fra due modi di esprimere la stessa cosa. Da Socrate in poi , l'ordito della frase può essere inficiato soltanto dall'uso scriteriato del senso delle parole. Esse riflettono il Verbo e lo magnificano significando i più flebili avvenimenti e le occasioni non falsificabili della realtà. L'omeostasi delle parole è nel loro significato, anagraficamente neutro, ma politicamente deforma­ bile e controvertibile. La loro vulnerabilità è nell'uso della forza scomposta del convincimento che le compenetra. Quando l'ideai­ tipico si arroventa per il venir meno della strategia conoscitiva, il senso delle parole si depaupera senza perdere completamente il suo accredito testimoniale. Una forza rigenerativa può riatti-

>

20

Platone, Apologia di Socmle, 31 c-d.

varie e vivificarle con l'acredine della testimonianza o la blandi­ zie dell'evocazione. L'enigmatica presenza vociante degli dei si confonde nell'inconsapevolezza dell'età pregressa. L'arcaismo del mondo ha inizio con l'Apologia di Socrate\ con l'esaltante figurazione di una nuova realtà, resa evidente dall'intrepida in­ gerenza nelle sue componenti espressive di un esegeta delle pa­ role e dei loro significati nell 'Atene del V secolo, nella polis per antonomasia, ricettacolo delle afflizioni e delle esaltazioni di una stagione dell'umanità. La pretesa e in parte il successo di SoCl·ate consistono nella modificazione - per semplice verifica delle coordinate men tali degli individui che, nei quadrivi e ne­ gli angiporti, s'intrattengono sconsideratamente con se stessi. Il pensatore, che sostiene come un comprimario la scena della conversione degli uomini in testimoni oculari di un 'epoca, si li­ mita a constatare un fenomeno degno di essere fonematicamen­ te acclarato. Platone lo trascrive a conforto di quanti, nelle si­ derali campate del tempo, ritengano di farvi mentalmente ricor­ so per rispondere con cognizione di cause alle istanze della contemporaneità. La retorica e l'oratoria - al cui insegnamento si dedica in prima istanza Protagora, propulsore del motto «L'uomo è mi­ sura di tutte le cose» - concorrono a esaltare in una certa mi­ sura esperienze e manifestazioni comuni come epigrammatiche. L'enfatizzazione degli atti commessi dai mortali contribuisce a rendere credibile l'ordinamento artificiale, realizzato dai singoli individui nel loro impegno a confabulare fra loro e nel proposi­ to di trame vantaggio: nel rendere più increscioso e deprimente il conflitto fra simili; nello sperimentare una lm·vale divisione delle competenze e del lavoro in vista eli benefici equamente distribuibili fra tutti i gruppi socialmente operanti. Il supera­ mento del dissoluto individualismo nel variegato collettivismo agevola l'intesa fra i soggetti di diritto e ne acuisce l'impegno solidaristico e consuetudinario. La retorica e l'oratoria esaltano e condannano l'estremismo, senza riuscire a contenere il fanatismo. L'entusiasmo può pro­ vocare infuocate espressioni di giubilo e p uò esortare al marti­ rologio e al tirannicidio. Esso concerne le condizioni liminari della vicenda umana; e si propaga come un flusso energetico, -

4 Ibidem, 2 1 b-e.

21

apparentemente benefico e prop1z1atorio. Ma il risultato, al quale approda, è sempre smisurato rispetto alla portata dei convincimenti, alla norma espositiva elaborata perché gli eser­ centi s'intendano. Paradossalmente, nelle fasi più accalorate dell'esposizione retorica o oratoria e talvolta omilitica, l'argo­ mentazione assume connotati poco convincenti seppure asseve­ rativi. Perché si passi - come si dice - dalle parole ai fatti si rende necessaria una ulteriore sottolineatura enfatica alla predi­ ca ritualistica anche se ritenuta eccessiva, non rispondente al comune sentire e alle aspettative veicolate con la consolidata terminologia. L'irrefrenabilità della polemica s'identifica con il più pernicioso malessere sociale perché detonifica l'intesa, che pure si presagisce operante fra persone di diverso avviso in me­ rito all'applicazione della norma ma non sull'esistenza e sull'ef­ ficacia della stessa. La (benevola) accoglienza del dissenso è l'indizio della possibile intesa fra i membri di un sodalizio so­ ciale, impegnato a riconoscersi nelle leggi poste in essere per dare contezza storica alla sua conformazione civile e culturale. Le leggi5 sono la proiezione storica delle comunità umane, che ambiscono affidare all'egemonia del tempo la loro inquietudine conoscitiva. «Alfred North Whitehead non è il solo a descrive­ re la tradizione della filosofia europea come " una serie di note a piè di pagina a Platone "»6 . Il senso di tale asserzione è da ri­ cercarsi nel fluido magnetico. con il quale i fatti quotidiani spesso sconcertanti - si coniugano con le manifestazioni natura­ li, con le ere, gli eoni, i millenni, i secoli, gli anni, i mesi e i giorni della conflagrazione degli ideali, dei pensieri, degli atti, che, con miracolistica rispondenza si ribaltano nella palese, contemporanea simultaneità. Il rivolgimento provocato dai fe­ nomeni naturali trova riscontro nella processualità espressiva senza che questa disamina di fattori eterogenei interrompa la scabra ma fortunosa intesa intercorrente fra i membri dei soda­ lizi comunitari dall'Atene del V secolo all'età contemporanea. L'apparenza, che la tradizione riserva agli dei, diventa ap­ pannaggio dei mortali. E mentre si esalta la parola parlata per­ ché ritenuta più ricettiva e più reattiva di quella scritta, di fatto è dalla demoniaca invenzione della scrittura da parte del re-dio



6

22

Platone, C·itone, 54 b-e. Daniel ]. Boorstin, op. ci!. , p. 6 1 .

egiziano Theuth che ha inizio la esplicita e subliminale solvibili­ tà sociale. L'apparenza non è l'emisfero della finzione, che può assumere talvolta una funzionalità commendevole, ma lo spazio risetvato alle interazioni individuali, al ring, nel quale le con­ tt·apposizioni fisiche si sublimano in quelle allusive. Le catego­ rie socialmente ammesse sono moralmente derivate da stilemi concettuali di ordine religioso, quindi p rofondamente incasto­ nati nel remoto passato, nella (cosiddetta) notte dei tempi. II lento declino della mnemotecnica e del rituale canoro coincide con l'affermazione del segno, che egemonizza il papiro e la car­ ta e genera un più acuminato senso dell'accettazione e della confutabilità delle proposizioni a beneficio o a m aleficio privato o pubblico. L'apparenza nasconde il profilo degli enti e delle cose per renderlo più pervasivo nell'immaginazione e nel con­ vincimento. Le interazioni individuali realizzano una trama di propositi, che possono o meno trovare attuazione nell'ordina­ mento istituzionale. L'ufficialità è l'aspetto più emolliente della parvenza perché denunzia la propria enfatic:ità come posticcia rispetto ai saldi princìpi che intende perseguire. Questa tenden­ za a rendere spettacolari le occasioni pubbliche si giustifica con l'intento di non sacrificare l ' individualità dei soggetti socialmen­ te motivati e tuttavia incapaci di identificarsi con l'ordinamen­ to, che pure concorrono a determinare in quanto ritenuto ne­ cessario per assicurare il benessere collettivo. La soggettività e la collettività si amalgamano nella rappresentazione scenica, nel­ l'ambito artificiale, nel quale il pregiudizio, l'efficienza e la leal­ tà assumono connotazioni eugenetiche: rispondono cioè a crite­ ri di coerenza, che non possono essere disattesi senza compro­ mettere l 'intera impalcatura giuridica, sociale, istituzionale. La parvenza è un atto della persuasione: di un mezzo al­ quanto subdolo e mai completamente inefficace, che consente agli individui di riflettersi per quella parte di se stessi meridia­ namente considerata impenetrabile. L'apparenza, infatti, non è mai convincente, ma è sempre considerata un condotto d'ime­ razione con la mentalità corrente o addirittura con le consolida­ te idiosincrasie. Gli esseri, che vi si specchiano, fanno in modo di nascondere qualche loro virtù o qualche loro difetto senza che il prossimo se ne accorga. La funzione sociale dell'apparen­ za è che legittima la trasparenza, la legittimazione e al tempo stesso santifica tutte le riserve mentali, che lascia fluire lenta­ mente nell'immaginario collettivo. La diffidenza non esercita al-

cuna significativa influenza sulla mistificazione della realtà per­ ché priva degli agganci emotivi, propri dell'apparenza. La parvenza si delinea sempre più come la più fertile disciplina del

pensiero nelle sue manifestazioni illusive, allusive, declamatorie,

esemplificative e assertive. In sintesi, la parvenza è una proposi­ zione predittiva, volta, per la sua stessa conformazione concet­ tuale, alla vanificazione. Ma, nel transito fra l'illusorietà e la va­ nificazione, essa opera una benefica influenza sul tessuto con­ nettivo dell'argomentolzione. La logica, che la convalida, è per­ tanto una logica postulativa, con una serie di variabili, di cui al­ cune soltanto destinate alla convalida dell'esperienza. Quanto viene dimenticato e quanto confutato fa parte di una voce ver­ bale ancora in itinere e tuttavia tale da suscitare la curiosità e la permalosità di quanti si sentono esaltati o funestati dalla loro improbabile esistenza. Il «non detto» e il «non ancora rappre­ sentato» sono gli aspetti di un modo d 'intendere la realtà, che si propone alla verifica con tutti gli strumenti più idonei e meno confacenti codificati dalla conoscenza. L'improponibilità dell'assurdo è una categoria espressiva, che trova in ogni epoca dei sostenitori e perfino dei proseliti, generalmente di ispirazio­ ne fideistica e antropologicamente condizionati dai miti, dalle fantasie e dalle testimonianze del ( remoto) passato. L'animosità e la perversione sono atteggiamenti dissoluti, che non rispondo­ no alle sfide della ragionevolezza, nella quale si compendia er­ meneuticamente la modernità. La vis polemica sostituisce la vis destruem nel tentativo, non sempre efficace e riuscito, di rap­ presentare la disamina concettuale come la sublimazione del confronto e del conflitto reali. L'impedimento più consistente allo scontro degli interessi può essere il ricorso retorico al di­ battito, che connota l a spietatezza del dialogo fino alle estreme - inusitate, previste, attese, paventate - conseguenze. L'inesora­ bilità dello scontro condiziona le parole ai significati che le compromettono con le risoluzioni e le tonificano con un'ener­ gia esordiente e potenzialmente innovativa. U dibattito scevera l'argomentazione nelle sue componenti endemiche ed esterne, nell'intento di diversificarne il significato al limite della recipro­ ca intransigenza (e conseguente intraducibilità) . L'incompren­ sione è una variabile della lotta intestina agli esordienti del dia­ logo, che si smorza nell'acre significanza del gesto. Tanto più incessante è lo stridore fra le parti in contesa, quanto più effi­ mero è il senso delle loro rivendicazioni. Le stremate istanze 24

conventuali («Fratello, ricordati che devi morire») sono il preci­ pitato storico della dialettica iconoclastica nelle sue forme di diversificazione. Il ricorso alla metafora come espediente retori­ co consiste nel rendere evidente un concetto per immagini. La metafora della caverna nella Repubblica di Platone indennizza l'ingenuità dell'espressione con un complesso sistema di dedu­ zioni dalla semplice constatazione della realtà. L'effettività del­ l 'esperienza sembra non avere un particolare accesso alla cono­ scenza in quanto istantanea esegesi dell'acquisizione comporta­ mentale: «Sono e quindi penso». Ma è proprio una constatazio­ ne del genere a indurre il pensiero a scaglionare negli atti gesti inconsapevoli o nei gesti inconsulti un nesso, che li disciplini e li renda esplicitamente dei condotti sedimentari delle impressio­ ni e delle convinzioni. Per aver ragione dello scetticismo, che sopravanza qualsiasi deduzione, è necessario comprendere le matrici concettuéÙi dell'induzione e assumerne il portato cono­ scitivo in termini problematici (e quindi conflittuali). Il sapere tratto dall'esperienza è il risultato dell'impresa metaforica ope­ rata dai sensi perché sia operante nella convivenza. L'intelletto agente svolge una funzione ecumenica: riconosce validi i dati dell'esperienza e concorda con la sistematica esplicativa della ragione. La dottrina del consenso si fonda sull'uso condizionato da fattori esogeni della metafora. I promotori della legittimazione di un ordinamento politico scandagliano nella mentalità corren­ te e, utilizzando un apparato mediatico, cercano di avvalorarlo facendo ricorso a immagini e figurazioni salvifiche connesse con le esacerbate e deluse aspettative del passato. L'iconoclastia serve ad attutire i goyani disastri del conflitto, che s'inasprisce ogni volta che il martirologio di alcuni viene utilizzato per il soddisfacimento dei propositi di altri. La metafora riflette le pretese di una stagione dell 'umanità. Essa può convenire o meno alla richiesta di adesione, che la metafora comporta, ma non esclude il proposito di affrontarla, sia per beneficiarne, sia per emendarsene. La meraviglia è l 'esegesi critica della metafora. Essa inter­ rompe il giudizio e consente la sospensione delle attitudini co­ gnitive generando la contemplazione, l'attrattiva della realtà sui sensi e sulla ragione. La consapevolezza di essere soggiogati dalla spettacolarità della natura contrasta con l'apprensione e il desiderio, rispettivamente per il numinoso e per il consueto 25

corso delle cose. La quotidianità, gravata della reiterazione, è anch 'essa una metafora dell'esistenza in quanto si riferisce a una serie di eventi che si svolgono nella teoria dei giorni consi­ derati (uguali) privi di rilevanti differenziazioni. Il carattere compositivo de Le opere e i giorni di Esiodo si ripercuote con pacata lungimiranza sulla successione degli eventi destinati a configurarsi come la tela di fondo della vicenda del genere umano. La quotidianità adombra il tempo tacito e sonnacchio­ so dell'inerzia del mondo, mentre l'evenienza segna i sobbalzi del geoide, nell�1 fase incandescente e sieroterapica della dina­ mica sociale. L\1zione si profila come l'anatomica compulsione dei singoli individui nel concerto comunitario e istituzionale. L'aspetto meno inquietante della quotidianità è rappresentato dal senso comune, che oltre a compendiare il sapere nelle sue evanescenti forme di adattamento al fluire dei tempi, nasconde miracolosamente il disagio di quanti lo praticano nei confronti dell 'irresolutezza e della perspicacia introspettiva. Il senso co­ mune è l 'ordito dei fattori che concernono la difettività dell'im­ presa conoscitiva. Il senso comune può essere paragonato al­ l'epifania dell'idea della convergenza, dell'analogia, dell'affinità a cura dei soggetti, che s'interpellano e s'interpretano secondo le istanze in grado di determinare e della connotazione oggetti­ va. Paradossalmente, gli empiristi che s'ispirano ad Aristotele, ritengono che la veridicità dell'assunto oggettivo è il riflesso condizionato delle istanze operate da ognuno dei membri della comunità che lo esprime e lo rafforza assiomaticamente nelle norme comportamentali o nelle leggi dal vigore fondativo e co­

stituzionale. Il senso comune e lo stupore concorrono a conferire effica­ cia alla conoscenza. L'intenzionalità è quasi sempre sopraffatta dall'evidenza, che suscita l'entusiasmo di quanti ambiscono rin­ venire nella realtà il frammento di un disegno divino afflitto dalle scomposte inferenze demoniache. Lo stupore non condivi­ de con l'incertezza l 'incapacità di agire per m�mcanza di nozio­ ni adeguate all'impresa. Al contrario, esso è fomite del compia­ cimento di chi si appresta a compiere un'azione, che concerne i pensieri e i propositi della comunità nella quale si palesano come patrimonio conoscitivo, tradizionalmente tradotto in im­ pressioni , in motti di spirito, in p roverbi. Lo stupore anima l'asseveratività con un 'economia di modi di dire. Esso predilige l'astrazione alla complementarietà argomentativa: il monologo 26

sovrinte11de al dialogo e lo rende perspicuo alle finalità del convincimento. Lo stupore si manifesta di fronte alla costanza dell'universo e al suo cambiamento. Esso riconosce le sconcer­ tanti coordinate dell'universo e l 'appartenenza delle stesse ai suoi particolari, alle minute campate dell'esistente. «La visione generale del quadro storico>> scrive Hermann Bengtson : affonda le sue radici in una concezione del mondo che è sottoposta, da parte sua, a cambiamenti a opera di esperienze di vita esterne e in­ terne. Una scienza «senza pregiudizi», quindi, nel campo delle scienze umane non esiste, e non può esistere - almeno nella percezione e nel­ la spiegazione degli eventi storici. Comprendere il condizionamento della conoscenza umana obbliga lo storico a mettere alla prova spas­ sionatamente e incessantemente i presupposti e i fondamenti delle proprie ricerche, in modo da t·aggiungere una conoscenza più profon­ da e meglio fondata delle relazioni storiche7.

Lo stupore storico s'identifica con l'analogia: con le cause che, in tempi diversi, determinano eventi dall'affinità di notevo­ le rilevanza. L'analogia non comporta la similitudine, ma il ri­ lievo che assumono alcuni fatti nei contesti socialmente ed eco­ nomicamente differenziati, concettualmente omologabili in una stessa osmosi della storia. L'intermediazione di alcuni elementi naturali (il mare e le rotte nautiche; i camminamenti e le strade di ordinanza) conferisce all'analogia la spettacolarità che genera lo stupore. Non sul piano politico ma sul terreno della civiltà si è re ali zzata , almeno in parte, l'idea di unità del mondo antico; e ciò è awenuto proprio con l'ellenismo, che, favorito dalla marcia trionfale di Alessan­ dro Magno, ha promosso in modo decisivo l'unificazione del mondo antico. E l'ellenismo è stato il precursore spirituale del cristianesimo, le cui comunità si estendevano alla fine dell'antichità sullo spazio che andava dall'Irlanda all'India. L'unità spirituale dd mondo antico ha posto le fondamenta della civiltà occidentale, come a dire i contenuti vitali del mondo d'oggi8. ,

La contemperanza di alcuni fattori conoscitivi (il progresso antropologico, la dinamica acquisitiva, la mondanizzazione del7 Hcrmann Bengtson, Introduzione alla storia antica, Bologna, Il Muli no, 2003 , p. 10. 8 lbtdem,

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p. I l .

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l'esperienza), sia pure a diversa intensità di manifestazione, è il sintomo più evidente della civiltà. La permanenza attraverso il cambiamento costituisce l '«essenza>� della cultura occidentale, che dalla Grecia arcaica raggiunge le scogliere di Dover e si estende, nel flusso delle lingue, fino agli estremi confini del­ l'Occidente, multietnico e (tecnologicamente) avveniristico. Ma è proprio la spettacolarità dell'universo a infliggere agli spettatori il senso della variabile permanenza dell'essere e del suo «eterno ritorno». Lo stupore e lo smarrimento concernono lo sgomento, con il quale il filosofo di Mileto e il tecnico ciber­ netico dell'attualità si interrogano sui limiti temporali, imposti improvvidamente dalla natura agli esseri pensanti (in quanto capaci di argomentare, rappresentare e formalizzare l 'esperien­ za). «Il problema del tempo in origine» sostiene Jeane Hersch «non fu posto in maniera diretta, ma in correlazione con i cicli dell'universo, un 'idea di origine orientale che antichi filosofi collegarono a quella dell'eterno ritorno>>9 . Lo stupore è affine al timore in form;l allegorica. La sua manifestazione inerisce tutti i fenomeni (naturali e artificiali) che connotano una inesplicabile singolarità. Ed è proprio questa defezione da parte dell'intellet­ to agente a rimettere completamente all'immaginazione il com­ pito di propendere per una spiegazione della realtà priva di giustificazioni concettuali. L'emozione segna il perielio della mente indagatrice, che si smarrisce nelle volute dell'universo. Il sofisma e il paradosso conr.ribuiscono a entusiasmare quanti sono depressi per l'esito, tutt'altro che esaltante, delle loro elucubrazioni. Il linguaggio serve anche per distogliere la mente dagli impegni morali e dalle caustiche considerazioni in merito ai mezzi impiegati per farvi fronte. Le peregrinazioni linguistiche degli osservatori della realtà non trovano nella con­ venzionata sintassi dell'espressione un attenuativo alla loro an­ gosciosa smani�t di evasione (dalla terra verso il cielo). L'incur­ sione del sofisma e del paradosso nelle allucinate considerazioni di chi riconosce nell'universo l'immensa prigione dell'essere, contraddistinta, come tutti i labirinti della fantasia intuitiva e descrittiva, dall'inanità degli sforzi compiuti dagli esseri per darsi una ragione. In effetti, pur essendo incommensurabile,

9 Jeanne Hersch, Storia della /iloro/ia come stupore, Milano, Bruno Mondadori, 2002, p. 6. 28

l'universo si configu ra come un luogo chiuso, mentre gli esseri umani s'illudono di essere destinati - ecumenicamente - a una condizione edenica, dalla quale osservare il cosmo con l 'ango­ scia di non essere in grado di dare un nome all 'inutilità. Il sofi­ sma e il paradosso fanno parte dell'arte dell'illusione e assecon­ dano il desiderio degli umani di erigersi a interpreti di Dio per tema di autocondannarsi alla disperazione. Il concorso di circo­ stanze induce il pensiero e la riflessione a interdire il timore an­ cestrale con la gioiosa configurazione atomica della realtà. Le infìnitesime dimensioni della materia (che, nella scienza moder­ na, si trasformano in energia e viceversa) si con figurano come la frammentazione delle sbarre della prigione cosmica. «Le di­ scussioni contemporanee sull'atomo dimostrano tuttavia che la sua natura resta problematica. A Heisenberg che gli aveva chie­ sto: "Ma l 'atomo, che cos'è esattamente? " , Niels Bohr rispose: "Forse un giorno lo capiremo. Ma allora cominceremo a capire che cosa vuol dire capire " » 1 0• Il paradosso sembra essere d'ob­ bligo nelle estreme figurazioni dell'essere e per le immagini li­ minari della mente, che si arroventa intorno ai dilemmi dell 'esi­ stenza, divisa fra l'abbandono al godimento della vista e gli struggimenti della riflessione sulle caratteristiche e sulle finalità del!' esistente. La perplessità contribuisce a rendere la cognizione del­ l'esperienza, a tratti gioiosa, a tratti drammatica. Il primato del­ la consapevolezza si evince da una presa di posizione fra le controversie, che si contendono le discrasie della conseguenzia­ lità. L'intemperanza, con la quale si catalogano le contraddizio­ ni del pensiero, è foriera di compromessi, di propensioni azzar­ date e comunque ingiustificabili sul piano della cognizione og­ gettiva. Talvolta l'indecisione genera l'assunzione di responsabi­ lità in merito alle scelte, che la ragione sottopone a valutazione, al fine di giustificarle come inevitabili o confutarle come inutili. L'azzardo mentale è surrogatorio del mancato accorgimento, mediante il quale alcuni aspetti della conoscenza possono evin ­ cersi da u n iniziale scatto d 'incomprensione dei fattori che la pongono in essere. L 'intuizione (l 'ipotesi, il postulato) introdu­ ce nel ragionamento una notazione non coerente con il patri­ monio conoscitivo e tuttavia idonea a salvaguardarlo, rafforzanIO

Ibidem, p. 15. 29

dolo. La «mutazione» (sia sotto il profilo scientifico, si�• sotto il profilo umanistico) conferisce alla continuità e alla congruenza conoscitiva un «salto quantico», difficilmente omologabile nel lessico consolidato. L' «ironia socratica» anticipa l 'influenza del­ l'intuizione e quindi della mutazione nell'ordito del ragiona­ mento e nella fase rappresentativa dello stesso. Il concetto so­ cratico è un «salto quantico» dell'intelligenza giacché si evince dalla necessità non ancora realizzata di rendere evidente la for­ male interrelazione esistente fra i membri di una comunità. La maieutica socratica inaugura il corso del pensiero occidentale consentendo alle esperienze individuali di saldarsi, complemen­ tandosi, intorno al significato di parole-chiave, destinate a tra­ sformarsi in categorie espressive. L'avventura mentale impressa all 'Occidente da Socrate consiste nel rendere collettiva e conse­ guente l 'esperienza individuale. La comunità si avvale degli ap­ porti individuali secondo categorie interpretative, che costitui­ scono gli enunciati, i princìpi fondativi della cultura occidenta­ le: princìpi costantemente utilizzati dal pensiero nelle sue fasi speculative, esperimentali, connotative, disquisitive, normative, istituzionali. L'arbitrarietà è in tutte le cose e quindi pervade più o meno affabilmente anche il pensiero. Essa si riflette nella nu­ merazione (il numero zero) e nella figurazione (la similitudine dei triangoli) in modo da consentire all'elaborazione intellettua­ le di utilizzarla come metro di misura e come mezzo per allu­ dere alla libera determinazione degli esseri pensanti e agenti nel mondo. L'approssimazione è una categoria di particolare rile­ vanza nel ragionamento e quindi negli apporti conoscitivi, assi­ curati dallo stesso nel corso della sua peregrinazione sistematica e stravagante. Anche l'estemporaneità e le sconnessioni concet­ tuali sono oggetto di peculiare decodificazione nel proposito di inventariarle come tali e quindi di accogliere le loro configura­ zioni conoscitive con le dovute riserve mentali. L'errore non pregiudica la proposizione esplicativa di un fenomeno giacché è rilevato come un a contrario, come una notazione senza effetti dimostrativi ma con determinanti compulsioni diagnostiche. Il peccato, come l'errore, pregiudica l 'attore, non l'oggetto della compromissione moralmente sanzionabile. La probabilità costi­ tuisce il sistema dell'affiliazione degli interlocutori, degli inter­ preti e dei divulgatori degli effetti pratici, conseguiti con l' ap­ plicazione dei princìpi, che attualizzano le categorie mentali, 30

con le quali si designano i fenomeni. La delineazione dei crite­ ri, con i quali attingere dall'esperienza ed elargire i dati raccolti dalla stessa, comporta l'attivazione di meccanismi mentali dediti alla conciliazione non tanto dei fattori oppositivi quanto degli effetti discratici. La saggezza non consiste, infatti, nell'acquisi­ zione della verità, ma nell'ammissione di una sua esistenza vir­ tuale nella formulazione dei programmi di attività, alla realizza­ zione dei quali è indispensabile un considerevole numero di in­ dividui in parte motivato. Il ricorso all'amplificazione degli ef­ fetti di una determinata azione - l 'attuale propaganda - presen­ ta degli inconvenienti, ma anche dei vantaggi in quanto, rispet­ tivamente, esonera dalla piena responsabilizzazione e recluta forze altrimenti soggiogare dall'incostanza e dall'inerzia. n dialogo e l'argomentazione costituiscono pertanto i mezzi mediante i quali i membri di una comunità culturale s 'interro­ gano, non soltanto sulle fonti del Bene e del Male, ma anche sull'opportunità di operare singolarmente e collettivamente per conseguire un determinato obiettivo. Questo obiettivo, infatti, è il tertius non datur di ogni argomentazione, che non si propon­ ga di ottenere il consenso del sodalizio comunitario e quindi di essere assicurato nella vicenda consuetudinaria. La strumentaliz­ zazione del dialogo non depotenzia il significato e il valore de­ gli esiti conosciuti, ma anzi li rende fruibili con il concorso del­ la pratica comunitaria. Naturalmente, ogni decisione in ordine all'opportunità o meno di agire in coerenza con i propositi ar­ gomentativi soggiace a ulteriori valutazioni, quali ineludibili scansioni della dinamica conoscitiva. La stabilità e, per converso, l'instabilità dello Stato dipen­ dono dalla consapevolezza dei cittadini che lo animano con le loro aspettative e con le garanzie necessarie per renderle effetti­ ve. L'ordinamento giuridico pertanto è il sistema nel quale si rispecchia il convincimento, più diffuso e più consolidato, sia sotto il profilo consuetudinario, sia sotto il profilo virtualmente o prospetticamente innovativo. La morale si configura così come l 'ordinamento privo di norme, la cui applicazione sia per­ seguibile dalle istituzioni dello Stato. Per questa ragione, la leg­ ge vige nel sodalizio comunitario; esso potenzialmente si deli­ nea come un sistema consolidato dalla tradizione, dal costume, dalle credenze e dalle lingue. L'espressione realizza un ruolo di particolare rilievo in quanto rappresenta, con le variabili spazia­ li e temporali, le categorie cognitive (sensitive e intellettive), 31

con le quali i membri del sodalizio comunitario s'identificano. Le manifestazioni congeneri con il costume e con la tradizione sono le forme di governo. In effetti, le variazioni che esse com­ portano nella dinamica sociale esimono gli osservatori dal con­ ferirle apprezzamenti diversi da quelli rivolti a un sistema di norme rispondenti a determinate finalità ( pacifiche o belliche). La rotazione delle forme di governo riflette la \'(/eltanshauung di un 'epoca, contrassegnata da una dialettica declamatoria e dalla dinamica sociale, modificatrice, per esempio, dei criteri della suddivisione del lavoro e della ( re)distribuzione della ric­ chezza 1 1 . La genesi della vita associata - la politica - si evince dall'accorgimento, con il quale le comunità sociali si adeguano alle necessità oggettive e cercano di farvi fronte. Il rapporto, che s'instaura fra i membri dei sodalizi comunitari, è al tempo stesso necessitato e volontario. La componente normativa funge da fattore stabilizzante in un ordinamento culturale e sociale presupposto come mutevole e circostanziale. L'autonomia co­ munitaria richiama alla mente l'essenza (la sostanza) delle varia­ bili sociali che caratterizzano il pianeta. Il territorio e il culto contribuiscono a configurare la sovranità. L'egemonia, anche se le città più forti cercano di esercitarla nel bacino del Mediterra­ neo, fin dal VI secolo a.C. sui territori circostanti, è sempre causa di resistenza e di avversità. Il sodalizio sociale si ricono­ sce il diritto alla perseveranza secondo i propri canoni vitali e condanna ogni interferenza esterna. La cultura occidentale è cultura d'insediamento ed è indotta a contrastare nel suo stesso ambito le pulsioni di primaria, elementare, istanza, a espandersi con la forza nelle direzioni ritenute meno resistenti o più retri­ ve. Il malinteso può provocare una patologia sociale, che la norma è tenuta a contenere, per tema che l'eidos, quale collante del consenso collettivo, venga meno. L'armonia istituzionale risponde a esigenze ontologiche, che da Aristotele in poi convergono nel pensiero occidentale, per adeguarlo all'intento cognitivo con tutte le risorse delle quali l' «essere» è dotato nelle manifestazioni della materia e della forma.

I I Cfr . Jacques Brunschwig e Geoffrey Lloyd, Le savoir grec, Paris, Flammarion, 1 996, pp. 379-399; Monique Canto-Sperbcr, Pbilosophie grec­ que, Paris, Presses Universitaires de France, 1 997 , pp. 673-693 . 32

Aristotele sviluppa una concezione dinamica e finalistica della natu­ La natura tende a, desidera, è animata dall'Eros. Eros significa amore, desiderio. Nella natura è all'opera una specie di arte, una spe­ cie di capacità tecnica, orientata, finalizzata che lavora la materia dal­ l'interno. La natura, a dire il vero, è proprio questo. Essa appartiene allo stesso ordine di cose dell 'intelligenza. Tra natura e intelligenza, non c'è rottura1 2 . l'tl.

La natura che si riflette nell'intelligenza umana costituisce uno stadio della sua rappresentazione. La filogenesi è tale in quanto l'intelligenza umana è in grado di assecondarla, di ma­ nifestarla e di interpretarla secondo le quattro cause aristoteli­ che (materiale, formale, efficiente, finale). Le variazioni del pensiero dipendono dalle variabili dell'intendimento umano, che si prefigge un terminale dell'azione non necessariamente precostituito dal metabolismo universale. L'abilità predittiva e operativa dell'individuo trova la sua giustificazione nelle modifi­ cazioni che il milieu c:ulturale subisce nel tempo, fermo restan­ do il proposito dello stesso di assicurare la sopravvivenza al ge­ nere umano. La metafisica aristotelica, antefatto logico di quella moderna, è l'incertezza, regolata dal regno dei fini, proprio del­ la condizione umana. La gerarchia delle funzioni e la gerarchia degli organi che le attivano determinano l'anima. In tutta la gerarchia degli esseri viventi, noi troviamo a ogni grado ascendente sempre meno essere in potenza e sempre più essere in atto. Questa scala è quindi finalizzata a una sempre maggiore autono­ mia. Più il grado di organizzazione è elevato - quindi: più grande è l'unità della pluralità - e più l 'anima agisce con forza. La forma s'im­ possessa della materia respingendo l'indeterminazionen.

Questo atteggiamento è virtualmente blasfemo perché non riconosce all'azione pwvvidenziale la regia di un tutore dell'or­ dine cosmico. Ammesso che l'anima si configuri in una energia collettiva, che si esplica nei singoli individui e si edissa per così dire nel tempo, la tragedia, nella sua manifestazione catartica, denuncia il dramma dell'esistenza e ne benefica idealizzandolo in una sorta di Golgota per un'umanità non ancora pervasa dal monito rigeneratore. L'immanenza e la trascenclenza - compie12 Jeanne Hersch, op. ci!. , pp. 42-43. 1 3 Ibidem, p. 43. 33

mentari nella concezione aristotelica del primo motore, dal qua­ le si evince la dinamica impressa in tutti gli esseri e gli enti costituiscono le tematiche, all'interno delle quali il pensiero oc­ cidentale si destreggia con l'intento di rinvenirvi la spiegazione della realtà, che non degradi l'interesse per l'esistenza e non at­ tenui il godimento, il desiderio, l'attaccamento per la stessa, nelle forme costanti e diversificate con le quali si manifesta nel­ le varie stagioni del genere umano. La conseguenza della aristo­ telica giusta misura, intesa come la maniera umana con la quale destreggiarsi nell'universo, è l'estremizzazione delle due compo­ nenti del suo pensiero: l'affiliazione alla natura; l'attaccamento nevrotico alla stessa. Al declino dell'Atene del V secolo, al fallimento delle Le­ ghe Achee e alla diaspora ellenica nelle regioni dell 'Italia meri­ dionale, fanno riscontro due scuole di pensiero, l'epicureismo e lo stoicismo, quali correttivi degli impianti concettuali platonico e aristotelico mediante l'attualizzazione anfizionica, simpatetica, universalizzante. Le dottrine dell'impegno e del disimpegno adombrano, rispettivamente, una risposta agli assetti politici e sociali disancorati dalle norme di salvaguardia individuale e contrassegnati dal conformismo plebiscitario, e un rifiuto al­ quanto enfatizzato per un sistema politico e sociale in grado di rispecchiare l 'ordine naturale ( ammesso che sia possibile alla conoscenza di non transigere sulle inevitabili approssimazioni di un impegno del genere). L'insicurezza sociale costituisce, per queste correnti di pensiero, un surrogato della loro ragion d'es­ sere: il fattore esponenziale di una difesa d'ufficio di un 'onta epocale. La ricerca della serenità, dell'atarassia, è considerata dagli epicurei un impegno, che condanna all'inattendibilità ogni proposito propiziatorio di alternative morali impegnate nel­ l'azione. L'epicureismo considera l 'attività umana come un ca­ stigo, al quale occorre porre rimedio riducendola all'indispensa­ bile. A onta dell'opinione diffusa, il godimento epicureo consi­ ste nell'economicità dell'impresa attuativa, nella felicità riflessa nell'essenziale. La condanna di ogni asservimento ha l 'implaca­ bilità dell'anelito di libertà. L'atomismo ( ripreso nel I secolo d.C. da Lucrezio nel De rerum natura) assicura sull'inespugna­ bilità dell'essere da parte delle formulazioni creative: gli enti sono casualmente l'effetto dell'assemblamento atomico (da Lu­ crezio reso interattivo dal clinamen) . La realtà epicurea è una variabile di se stessa e l'eternità è una partita di giro delle com34

ponenti in divisibili (nella concezione dell'epoca, il III secolo a.C., l 'atomo è la parte liminare della materia) della realtà, de­ stinate a ricompattarsi secondo gli imperscrutabili disegni del­ l 'universo. La conoscenza umana è possibile grazie ai simulacri, alle emanazioni dei corpi più consistenti captate dagli organi di senso. Il timore degli dei e della morte può essere vinto dalla consuetudine con la finzione della realtà, con gli aspetti meno jmpellenti della stessa. Le caratteristiche illusive della pratica corrente ne depotenziano il tenore computistico e afflittivo. Il tempo immaginario sostituisce quello reale e si adegua alla fan­ tasia predittiva, compulsiva ed evocativa dei mortali. L'indiffe­ renza epicurea per i piaceri consiste in un'ascesi senza privazio­ ni, in un accorgimento tale da indurre il pensiero a ritrarsi dal­ le pretese difficilmente realizzabili per affidarsi agli eventi, sia pure necessariamente (meccanicisticamente) determinati. La morale epicurea s'identifica con una precettistica dalla con­ gruenza concettuale. Il convincimento sul potenziale energetico dell'universo è talmente esplicito da non ammettere alcuna pre­ tesa umana in senso alternativo. Le variabili del desiderio sono nefaste in un sistema organato in modo da soddisfare quelle che appaiono ineludibili e necessarie. Lo stoicismo (III secolo a.C.) presenta delle affinità con l'epicureismo per quanto concerne il condizionamento da parte della concezione cosmica nell'esistenza dei mortali. L'idea che il portico, all'interno del quale s'instaura la scuola, possa costitui­ te lo speculo dell'universo, è significativa del rilievo che assume la visione della realtà naturale nell'elaborazione dei criteri di comportamento individuale e collettivo. L'evidenza influisce sul circuito cognitivo in modo da conferirgli una visone generale delle cose, che l'analisi settoriale non consentirebbe di raggiun­ gere. La rispondenza della ragione alle percezioni sensibili per­ mette di stabilire con immediatezza una correlazione fra gli enti concreti della realtà e il tenore cognitivo degli esseri viventi. L'universale - per gli stoici è insito nella conoscenza sensibile attuata dai singoli individui: la ragione divina o l'anima del mondo conquide gli esseri e gli enti e li rende reciprocamente pervasivi. La presenza di Dio nel mondo rassicura sulle finalità della condizione umana. Al contrario dell'epicureismo, nel qua­ le il caso è una funzione del disordine, nello stoicismo l 'ordine divino assicura sull'esito della realtà effettuale. La libera deter­ minazione individuale si esplica pertanto nell'ambito di una ne-

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cessità assoluta. La panteistica concezione della natura s'identi­ fica con la storia: con le testimonianze di personalità della cul­ tura (Posidonio, Cicerone, Seneca, Epitteto, Marc'Aurelio) che nel tempo professano la filosofia stoica in contemperanza con il giudizio critico, in quasi tutte soffuso di malinconia. L' armoniz­ zazione delle aspirazioni individuali con la ragione universale giustifica la morale corrente, il metodo con il quale i sodalizi umani si assiepano nel peristilio dell'eternità. Al privatismo epi­ cureo gli stoici oppongono la partecipazione pubblica, una sor­ ta di missione evangelica secondo i canoni interpretativi dell'in­ fluenza dei mortali sul loro stato di grazia, garantito ma non concretizzato, dal tutore divino, impegnato a perpetuare il mondo fino al compimento delle sue aspettative. La trascen­ denza stoica rinfocola l'aspirazione per la sopravvivenza da par­ te delle creature imperfette e tuttavia speranzose nella bontà di­ vina. L'occlusione dei desideri nelle forme vaticinate dalla ri­ nunzia costituisce una forma d'iniziazione, confortata dalla fi­ ducia nella committenza celeste. La vocazione verso l'alto impronta il pensiero occidentale a partire dalle istanze ellenistiche: il cosmo, il tempo e l'eternità dominano il dibattito conoscitivo dall'avvento dell'impero ro­ mano fino all'Umanesimo e al Rinascimento italiani. Il movi­ mento ideale che traccia una linea di separazione fra l'antichità e la modernità, intesa in senso esegetico di conoscenza delle cause che determinano le decisioni e le prese di posizione nel mondo, è il cristianesimo. «l primi cristiani non avevano messo

per iscritto dei Vangeli, ma li univano la tradizione orale, lo

Spirito Santo e la fede nel loro Salvatore. I Vangeli scritti ri­ spondevano alla necessità di una comunità di fedeli in crescita e a un 'importantissima nuova istituzione di cercatori: la Chie­ sa» 14 . La salvaguardia spirituale e temporale del popolo di Dio è assicurata dalle testimonianze, prima propalate per via orale e, successivamente, diffuse con la scrittura. La documentazione scritta convalida le dichiarazioni orali e testimonia l'impegno dell'amanuense, che si esplica dall'intelletto al braccio, alla mano. La scrittura è la radiografia dei mortali: la manifestazio­ ne genetica dei loro propositi, dei loro convincimenti, delle loro azioni. L'evangelizzazione cristiana del mondo si manifesta

14 Daniel J. Boorstin, op. cit., 36

p. 1 07 .

oralmente, ma fa riferimento a un ordine mentale custodito nel Libro. Per il cristianesimo, la parola è il Verbo; e il Verbo è la scrittura. Alla tradizione orale, che gli evangelisti perseverano, fa riscontro il riferimento testuale. Le dichiarazioni, le affabula­ zioni, raccolte dagli evangelisti; surrogano l'elaborazione esege- · tica, che di fatto costituisce il travaglio della Chiesa docente. La scrittura induce a una lealtà più problematica di quella genera­ ta dalla locuzione orale, ma più coerente con le prospettive sal­ vifiche del genere umano. Gli enunciati, sui quali il cristianesi­ mo si fonda, non possono essere facilmente abrasi dal parlato e quindi designano una continuità molto affine a quella che arri­ de al Regno Celeste. La peculiarità del cristianesimo consiste nella sua concezio­ ne dogmatica soggetta all'interpretazione, nella quale si estrinse­ ca la decisionalità dei fedeli. Il libero arbitrio è una concessione divina perché i credenti si allietino di condividere con il Crea­ tore la consapevolezza di sopravanzare le leggi che regolano l'universo. ·

Dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme (587 a.C.) e la cattività babilonese, le comunità ebraiche si organizzarono intorno a sinagoghe, dove i rabbini insegnavano e interpretavano la Legge che era stata data al loro popolo. Anche l'induismo era una religione etni­ ca di persone non libere di rifiutarne le regole; qui il sacerdozio veni­ va ereditato dalla casta dei bramini. Comunque, mentre l'ebraismo era la religione del Popolo Eletto, il cristianesimo sarebbe stato una reli­ gione scelta. Considerato che non sussistevano barriere di nascita, ca­ sta o sangue, il cristianesimo avrebbe potuto sperare di diventare uni­ versale; e la regola del celibato per i sacerdoti cristiani, in aggiunta agli altri vantaggi, avrebbe assicurato la non trasmissibilità del sacer­ dozio per via ereditaria15.

La struttura gerarchica piramidale conferisce alla Chiesa romana l'immagine dell'ascesi, che però si esercita, fino all'epo­ ca moderna, nella temporalità con il sussidio del braccio seco­ lare. La forza d'animo e il senso di commiserazione si coniuga­ no nella didattica cristiana. La pietas sorregge il senso di esi­ guità e di precarietà dell'esistenza di un crescente numero di in di vidui soggiogati dal proposi to di espiazione dei mali del ,

1 5 Ibidem, pp. 107- 1 08. 37

mondo in favore di un perenne beneficio da godere nella ago­ stiniana Città di Dio. La sottovalutazione teologica della crea­ zione mondana rispetto alla beatitudine celeste consente alla Chiesa istituzionale di arbitrare la condotta politica dei prìncipi e dei condottieri che, da Costantino in poi, si servono della fede dei popoli per gratificare il loro potere politico. Il segno distintivo di questa tendenza, che sfocia nel cesaropapismo di matrice medievale, secondo Eusebio di Cesarea, è rappresenta­ to dalla scritta In hoc signa vinces, che induce Costantino (nel 312 d.C.) a farsi promotore, nella lotta contro Massenzio, del cristianesimo quale religione di Stato. L'astuzia del politico è mitigata, agli occhi dei semplici, dalla religione dei reietti, di coloro ai quali sono spalancate le porte dei Cieli. Il proseliti­ smo politico si serve dell'affiliazione religiosa per consentire alle strutture dello Stato di rinsaldarsi in ordine ai princìpi del­ la sudditanza e della lealtà. La natura dello Stato è una condi­ zione derivata perché soggetta alla sovranità della Chiesa. Boni­ facio VIII sancisce con I ' Unam Sanctam I'Omnis potestas a Dea, con la quale elargisce il potere di amministrare il pianeta a quanti si professano depositari della testimonianza ecclesiale e della salvaguardia dell'ortodossia religiosa contro tutte le ma­ nifestazioni dogmaticamente ereticali e socialmente trasgressive. Il rispetto delle norme laicali è considerato ineludibile perché è a onore e gloria della Chiesa imperante. La più clamorosa con­ danna, a opera del Concilio Ecumenico di Nicea del 325, è quella nei confronti di Ario, l'autore di Thalia W banchetto), secondo i l quale Gesù è i l figlio adottivo di Dio. I l primo con­ sesso vescovile (trecentodiciotto delegati, compresi quelli del­ l'Armenia e della Scizia, regioni esterne all'impero) inaugura la lunga serie di controversie religiose, che la Chiesa cattolica ro­ mana alimenta e dirime con pacata e appassionata costanza nell 'arco dei secoli. L'inesorabile declino del paganesimo e la sempre più evi­ dente ostilità idolatrica inaugurano una fase di silente rielabora­ zione del cristianesimo catacombale, delle origini, in grado di immedesimarsi delle inquietudini terrene dei semplici in aperto o sottaciuto contrasto con la Chiesa trionfante fino all'avvento della Riforma e della piena laicizzazione della società politica e civile. Il monastero diventa il luogo negletto dalla turbolenza ideologica e politica, che assicura al Medioevo squarci di fulgo­ re critico, inventivo. Il monachesimo s'identifica con la milizia 38

di quanti si prefiggono di affidare alla povertà delle aspettative mondane il premio della gratificazione celeste. Esso non è sol­ tanto un monito morale per un più criteriato sistema di autore­ golamentazione, ma anche un tribunale, neppure tanto silenzio­ so, contro lo strapotere della Chiesa istituzionale, sia sotto il profilo dell'attività docente, sia sotto il profilo dell'attività poli­ tica. n monachesimo, inalberando il trofeo della povertà, ese­ crando tutte le ipertrofiche condiscendenze dell'io, s'impone una regola, mediante la quale dimostra di essere un'efficace fu­ cina di operosità e un apparato produttivo di istanza paleo e anticapitalista. L'economica della vita spirituale è uno scritto dei primi decenni del XX secolo del cardinale Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano e interlocutore di Benito Mussolini nella drammatica stagione della Repubblica di Salò. Il monachesimo compendia il significato dell'azione umana al fine della sua stes­ sa sussistenza nel regno dei fini e quindi dell'inventiva e del­ l'imprenditorialità. L'economica della vita spirituale è il magi­ stero civile imposto dalle necessità obiettive alle imprese indivi­ duali (sia teoriche, sia pratiche). Quei monasteri che avrebbero modellato la vita del cnsuano in Europa nel Medioevo traggono la loro improbabile origine nienteme­ no che dal deserto d'Egitto. La Chiesa, che, come si è visto, si era or­ mai strutturata, conferendo potere ai suoi fedeli , creò un nuovo biso­ gno di fuga: fuga dagli opprimenti legami comunitari verso una sorta di autosacrificio a immagine di Cristo, una fuga comunque dal peso del mondo materiale. Fu così che lo spirito ascetico prese la forma del monachesimo16.

L'ascetismo rafforza le difese organiche e consente il mono­ logo interiore come l'esercizio della volontà incastonato negli interludi delle raffinatezze mondane. Il deserto diventa il labo­ ratorio dell'anima: in esso si provano le forti tempre dei cre­ denti contro le insidie demoniache, le strambotiche evanescenze del caso. La sabbia è lo specchio del cielo; il suo fondale è il mare evaporato: l 'anfiteatro del mondo, nel quale si ripete, con il pretesto dell'afflizione silente, l'impossibile proposito di evasio­ ne. Il deserto è il carcere senza sbarre delle anime che si pre-

16 Ibidem, p. 120. 39

figgono di scontare una pena per i peccati commessi m contu­ macia. «La contesa di sant'Antonio» d'Egitto (250-355) , leggen­ dario fondatore del monachesimo cristiano «con la tentazione avrebbe però arricchito l'arte dell'Occidente con Ie visioni di Hieronymus Bosch, di Matthias Gri.i newald e di Max Ernst» 1 7 . La rappresentazione delle immagini si enuclea dai pensieri «dis­ soluti», dai quozienti mentali dominati dal dogma, dalla convin­ zione radicale. L'ascetismo è una prova di forza con le debolez­ ze e le risorse energetiche di quanti si attendono, anche duran­ te la loro permanenza terrena, di costruire dei paradigmi, utili per le conversioni e per la pragmatica confutazione dell'effera­ tezza degli arroganti, della condiscendenza degli esibizionisti e dei semplici di spirito. Il piacere della sofferenza è il risultato più promettente del monachesim o , dell'isolazionismo, connesso con la condotta di singoli individui, che si dibattono con le lu­ singhe del mondo. E il mondo li ripaga con la carità. Essi attin­ gono al benessere mondano in maniera così castigata da appa­ rire socialmente insolventi. E, invece, la loro presenza nella lunga strategia della trasformazione del mondo (sotto il profi­ lo antropologico, economico, istituzionale) comporta la rispo­ sta alla sfida che, nell'epoca moderna, l ' um anità è costretta ad affrontare: l'avvento della tecnica induce al consumo di arte­ fatti in serie e progressivamente biodegradabili, che modifica­ no le coordinate mentali degli abitanti del pianeta, sedotti e sequestrati dalla catena di montaggio, deputata ad abbellire fino all'in utilità le celle delle masse vocianti, che assordano gli spalti delle metropoli e gli angusti dirupi delle riviere. Il mo­ naco moderno è il navigatore solitario, che slaccia gli ormeggi dalla città incandescente e s'avventura nel m are aperto alla ri­ cerca di un 'ara della libertà. Benedetto da Norcia fonda con la Regola il movimento benedettino, che si diffonde in tutto l 'Occidente. «La Regola benedettina era in realtà un ispirato trattato di fede ultraterrena mediato però con le richieste di questo mondo. Un patto tra ascetismo e senso comune, ben lontano dallo stile di quegli eremiti che amavano tlagellarsi nel deserto d'Egitto» 18 • La moderazione nella sofferenza indu­ ce a pensare all 'equilibrio esistente fra la serenità d 'animo de-

1 7 Ibidem,

18

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pp. 1 2 1 - 122.

Ibidem, p. 1 27.

gli esseri viventi e Je traversie dell'esistenza. La preghiera e il lavoro costituiscono il senso della collegialità. Le lodi del Si­ gnore non ottenebrano le frugali esigenze della vita associata. L'inibizione è vietata: il riconoscimento delle naturali inclina­ zioni dell'umanità costituisce la premessa di un'autentica voca­ zione religiosa. La Regola è un insieme di norme, che riguarda­ no il comportamento individuale nella comunità e gli adempi­ menti, ai quali i monaci sono chiamati per assicurare l'autosuf­ ficienza conventuale. La norma è dirimente in fatto di ricono­ scimento delle attitudini individuali nel quadro delle necessità collettive. Il figlio dell'Uomo è anche figlio di Dio e pertanto è garantito nelle sue decisioni dai loro effetti edificanti. Il cavaliere cristiano rappresenta la versione secolare del monaco: la sua missione nel mondo adombra il braccio armato della Chiesa in difesa dei poveri e dei bisognosi. I derelitti sono considerati con un certa indulgenza, ma al riparo dei favori uf­ ficiali perché ritenuti renitenti a ogni regola: il loro reclutamen­ to non s'inscrive nel libro delle nobili azioni, ma di quelle pie­ tose e confabulatrici. Il chiaroscuro della cavalleria è leggenda­ riamente rappresentato da Don Chisciotte di Miguel de Cervan­ tes y Saavedra: in un'opera dal temperamento quasi liturgico e iconoclasta insieme, nella quale il mordente polemico svolge un ruolo spesso surrogato dall'ironia. In un posto della Mancha, che Cervantes non vuole ricordare, un evocatore di memorie e di illusioni si ripromette di rianimare un esercizio e una disci­ plina, che le cronache del passato simulano con spietatezza come congeneri con una stagione dell'umanità, timorata di Dio e implacabile esecutrice dei suoi improbabili giudizi e delle sue inquietanti condanne. L'epopea del!'illusione è rivisitata in tutta la sua sconcertante vaghezza e implacabile complicità. Il cava­ liere dalla triste figura e il suo scudiero Sancio Panza divagano nelle caligini e nel freddo della Spagna, che con fatica si redi­ me dal sonnambulismo medievale per accedere, con tempera­ mento in apparenza remissivo, nei percorsi della modernità. E quando l'illusione cavalleresca si eclissa nella ragionevolezza della reminiscenza di Don Chisciotte, lo scudiero Sancio, capar­ bio interprete dell'attaccamento alla terra e alla sua concretez­ za, declina il suo desiderio nell'evasione mentale, quale conten­ zioso, tutto effetti scenici, dell'arretratezza di una stagione di una parte dell'umanità al confronto con la contemporanea sta­ gione di un'altra parte dell'umanità più sensibile alle lusinghe 41

del benessere economico come premessa per un più equo som­ movimento ideale di tutti gli abitanti del pianeta1 9 • Non diversamente dall'eremita del deserto anche il cavaliere si consacrava a combattere il Diavolo, che ora vedeva incarnato nell'In­ fedele e nell'Eretico. Con i suoi voti, il cavaliere prendeva su di sé la Croce. Dal Canone cristiano adottava umiltà e obbedienza, ma alle consuete virtù cristiane aggiungeva valore e generosità. Per altro, i ca­ valieri solitamente erano amanti di donne o erano uomini sposati, sic­ ché la virtù monacale della castità era peculiarmente sostituita dall'idea­ le dell'«amor cortese». Per esempio, nel ciclo di Artù, Galahad (Gale­ otto) poteva avere la forza di dieci uomini, perché il suo cuore era puro. I cavalieri peccatori finivano monaci. Infine, Templari e Ospita­ lieri erano soliti fare voto di celibato20.

Padre Cristoforo dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni è l'epigone di una genia, che, dopo aver commesso un atto de­ littuoso, si affida alla clemenza divina e s'immola al magistero del perdono. Sia il monaco, sia il cavaliere, anche nelle manife­ stazioni declamatorie dei secoli a ridosso della modernità, in­ carnano l'ascetismo di maniera, trionfalistico e predicatorio. La loro opera redentoristica è falsamente oggettiva. Essi espiano una colpa loro e la rinfacciano con studiata umiltà a tutti i semplici e gli indifesi, con i quali vengono in contatto. Sebbene il loro atteggiamento non sia esplicitamente rivendicazionista, la loro faconda intransigenza li rende popolari e sospetti. L'impe­ gno, che assolvono con spietata dedizione, trascende spesso le cause che Io determinano e finiscono con l'essere, anche se non sempre per apparire, com'è il caso di fra Cristoforo, un messo di Dio sottoposto alla prova dei fatti, nel vagito dell'esistenza. 1 9 Miguel de Cervaiues y Saavedra, l'autore di Don Cbisciol/e della Mancia, ripropone in chiave allegorica le idiosincrasie dell'epoca di transi­

zione dall'antichità alla modernità. Il processo di assuefazione alla nuova concezione del mondo è icasticamente delineato come un dramma epoca­ le, valido per tutte le stagioni dell'umanità. Il viaggio nell'illusione sembra il sortilegio del nuovo messaggero dell'azione, al quale egli si affida per rendere meno increscioso e dolente l'accesso alla nuova realtà. Il poeta dell'illusione professa la sua estraneità a ogni forma di inibizione conosci­ tiva, suggerendo alla condizione umana un esercizio della mente in grado di garantirle un tipo di convincimento responsabile e coerente con il nuo­ vo ordinamento mondiale. 2 0 Daniel J. Boorstin, op. cit., p. 13 l .

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L'insofferenza per il compromesso e la presunta rigidità istinti­ va congiurano conrro la sua affidabilità. Ma è indubbio il loro ascendente sulla povera gente, che per essere tale si considera quanto meno gravata da un verdetto divino, dal quale può es­ sere alleviata mediante l'affiliazione all'apostolato terreno nel­ l'itinerario verso la glorificazione. I cavalieri sono responsabili della pratica della protezione (dei pellegrini diretti in Terra Santa, delle vedove, degli orfani e dei cultori di belle lettere e dei camuffati, bizzarri loro denigratori). Essi non compendiano un'epoca, ma la aprono a tutti gli stilemi e le configurazioni della modernità. La loro rutilante ingerenza nelle vicende dei sottomessi e degli sfortunati assume inizialmente le caratteristi­ che della rivelazione degli angeli custodi, dei messi divini, im­ pegnati a tamponare il male necessario, serpeggiante nel mon­ do. Le masse dei fedeli non riconoscono loro alcuna virtù libe­ ratrice; e senza volerlo li mettono alla prova per deriderli e umiliarli definitivamente. Con l'avvento di una più equa riparti­ zione delle risorse, conseguente alla laicizzazione della proprie­ tà, la loro presenza inquietante sc�1de nell'in trattenimento e nel­ la distratta evocazione da parte degli inevitabili cantori temporis aeti. Il cavaliere si disperde nel dibattito pre-rinascimentale, con­ traddistinto dalla creazione delle Università (Parigi e Bologna), dalle corporazioni culturali e dei mestieri. La secolarizzazione dell'esistenza si evince dalla necessità di rendere operante l'uni­ versalismo fideistico nella congerie quotidiana. Il cosmopoliti­ smo culturale contribuisce a dare rilievo alla diversità degli ap­ porti conoscitivi, in prima istanza in Europa, e successivamenre negli altri contesti geopolitici. Il sapere diventa, non soltanto dominio di tutti, ma anche il principio di attuazione di un nuo­ vo ordine mondiale. Tuttavia, l'attenuazione della trascendenza non è l'effetto della secolarizzazione, ma del regime dell'attua­ zione. Il popolo di Dio rinviene nell'operosità il suo criterio di giudizio, che non considera discosto dai canoni evangelici. Il la­ voro nobilita il pensiero e lo rende consegucnziale. L'esperienza concede all'umanità, impegnata a migliorare le proprie condi­ zioni oggettive, il suffragio della soddisfazione, una sorca di be­ nedizione dall'alto, in acconto delle più copiose elargizioni divi­ ne. Dalla Scolastica, in successione concettuale, il dogmatismo medievale perde di vigore perché difficilmente armonizzabilc con il riscontro pratico. L'attuazione dei princìpi fondativi delle 43

fedi e delle corporazioni soggiace all'erosione dell'esperienza: un'abrasione, che si denota già con la costituzione e la diffusio­ ne della conoscenza (agli inizi prevalentemente a sfondo teolo­ gico e professionale: per abilitare alla giurisprudenza e al nota­ riato ) . All'apologetica si oppone con sempre maggiore evidenza la sistematica concettuale. Il tomismo rappresenta l'ente di transizione dal dogmatismo al razionalismo, seppure secondo schemi precostituiti di didascalica efficacia. Come afferma, in­ fatti, Bertrand Russell, san Tommaso risolve tutte le quaestiones con l'ausilio della ragione e, dove la ragione non soccorre l'in­ terlocutore, con il ricorso alla rivelazione. Il sofisma di Russell, tuttavia, non si giustifica con le esigenze della fede e della ra­ gione dell'epoca di transizione, dominata da san Tommaso, il cui magistero culturale costituisce un permanente punto di rife­ rimento. La rivelazione divina viene esaminllta sotto il profilo della verità esplicabite con gli strumenti deHa disquisizione e del di­ battito. La metodologia, impiegata per dare rilevanza esegetica all'indagine speculativa, rappresenta una novità rispetto alla consolidata tendenza asseverativa, pregiudiziale di ogni devian­ za concettuale. La nuova epistemologin parte dal presupposto che non si possa considerare con favore un enunciato che non sia logicamente comprensibile. La controversia (religiosa, giuri­ dica, ideologica) rappresenta un ente di congiunzione fra la de­ vozione altomedievale e la fede bassomedievale, cioè più vicina alle istanze di natura conoscitiva presenti nella travagliata sta­ gione, che precede l'Umanesimo. La santità mondana è presen­ te nelle opere: da Francesco d'Assisi a Domenico di Guzman, a Tommaso d'Aquino, a Erasmo da Rotterdam, il pensiero teolo­ gico è teso alla ricerca di un potenziale esplicativo che lo rac­ cordi con la sistematica concettuale e conoscitiva. La configura­ zione del mondo si apparenta sempre più con le propensioni interpretative di quanti lo popolano. Le affermazioni di princi­ pio si prefiggono il compito di stigmatizzare concetti contra­ stanti, inaugurando l'enfasi e l'arroganza pedantesca, che nel­ l'epoca moderna appaiono tali, ma che, nell'età della transizio­ ne dal Medioevo alla modernità, si configurano come strumenti di efficacia comunicativa. Il virtuosismo verbale serve per ecci­ tare le menti, per suggestionarle e include ad affrontare remati­ che connesse con l'intim.a consapevolezza individuale-. quella ri­ vendicata dai dottrinaristi religiosi e dai riformatori sociali. Il 44

dibattito si concentra sulla perfezione di Dio e sull'esiguità del­ le creature; e, all'interno di tale disamina, la riflessione si con­ nota del mordente contenutistico (della perfezione divina ri­ spetto all'imperfezione umana) . Il tono dibattimentale si accen­ tua quando le creature rivendicano l'affinità divina in contrasto con J 'irresolutezza della ragione. La grazia gratifica la ragione per conferirle la potenzialità conoscitiva, che altrimenti sarebbe fallace o addirittura improvvida. Rimane controversa la conside­ razione se, in assenza della grazia, la ragione possa assumere at­ teggiamenti eversivi e dissacranti. La fede considera il libero arbitrio una prerogativa della persona, che però condanna quando viene impiegato per rinne­ gare la grazia. La controversia costituisce il punctum dolen.r di tutte le elaborazioni teoriche, che connotano l'epoca laica e mondana per eccellenza, qual è il Rinascimento. L'acutizzarsi della frizione fra quanti sostengono la lungimiranza divina e quanti le imputano l'inefficacia della ricusazione talvolta sanzio­ natoria si estende fino all'epoca contemporanea, che pregiudi­ zialmente la sottace inseguendone gli effetti immediati, riassu­ mibili nella concordia sociale, nella civile convivenza fra i po­ poli e le nazioni, secondo il doppio binario della competitività e della socializzazione (talvolta forzate, rispettivamente, nei re­ gimi ]iberisti e nei regimi totalitari di destra e di sinistra) . L'in­ cresciosa vicenda dell'emancipazione razionale del genere uma­ no compendia tutta la ttaversia ideologica, che per un verso propende per l'affermazione dei diritti positivi facendo astrazio­ ne dei condizionamenti religiosi, e che per un altro verso impo­ ne una conciliazione fra le pretese temporali e le aspettative trascendentali, che non possono essere sottaciute nel transito terreno. All a causalità del mondo antico fra riscontro la casuali­ tà del mondo moderno (con l'introduzione da parte di Niccolò Machiavelli dell'idea di fortuna) e del mondo contemporaneo (con la elaborazione dell'influenza del caos, rigenerando l'antica dottrina greco-ellenistica dell'entropia operante nell'universo) . La mediazione fra queste due tendenze concettuali rimane quella tomistica. Per questo la Chiesa cattolica afferma che la grazia non contrad­ dice, ma corona la ragione: gmtia pt!l/icit rationem. Fin dove è possi­ bile, bisogna quindi servirsi della propria ragione, e nella misura in cui se ne fa buon uso, l'uso è legittimo. Bisogna però S di Parigi del mese di feb­ braio del 1 909 rappresenta un invito alla trasgressione, si rico50

Ibidem,

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nosce il compito di sollecitare le masse ad abbracciare il mito della modernità facendo astrazione dei passaggi intermedi fra le epoche antiche e l ' immanenza quotidiana. L'invito a distruggere i musei e a disattendere la grammatica e la sintassi in funzione delle parole in libertà si concilia con l'apoteosi della bicicletta «più bella della Vittoria di Samotracia». La fucina, il ferro ro­ vente, la ruota, il motore, il movimento, l'accelerazione, sono le categorie concrete e concettuali, nelle quali s'inabissa il moder­ nismo, la ricognizione di ciò che avverrà sulla base delle mace­ rie del passato. L'archeologia del sapere è finora di esclusiva competenza di pochi eletti, designati dal Signore (e dalle condi­ zioni economiche e sociali) a svolgere un ruolo di rilievo e spesso di natura esemplare o emblematica. L'avvento di una fi­ gura simbolica, che impersonifichi il movimento, assume una connotazione salvifica e circostanziale. La rappresentazione ectoplasmatica delle ttu-be collettive e la reazione sistematica dei singoli soggetti alle presunte avversità dell'esistenza induco­ no le masse ad assumere una consistenza genetica, quale depo­ sitaria di un benessere mondano difficilmente congetturabile dal pensiero occidentale. La connotazione ieratica del despota sembra assecondare un' inconfessabile propensione collettiva, che si estenua nella malinconica caduta degli dei. Il sommovimento rellurico di Marinetti trova rispondenza nell'Europa continentale e iberica. Nel Nuovo Mondo il futuri­ smo s' incrocia con le filosofie dell'esperienza, con le dottrine dell'iniziazione agli spazi aperti e alle ipertrofiche esigenze del­ l'io singolare e plurale. William James ( 1 862 - 1 910) conferisce all'esperienza una conformazione ecumenica tale da rendere ir­ resistibile la fascinazione con la quale si accredita nelle estancias dei pionieri, nelle avenidas degli rowida circostanza che il potere politico sacrifichi il salario agli interessi dei gruppi economici impegnati a vincere la concorren za nello scenario internazionale. La mentalità a lun­ go termine (intesa come garanzia del posto di lavoro) si sostitui­ sce progressivamente e non senza modifiche strutturali in men­ talità a breve termine. Il lavoro non ha la stabilità del passato e conseguentemente anche la preparazione da pane delle giovani generazioni per affrontarlo ha un coefficiente di variabilità, che consente di divincolarsi da un impegno per assumerne un altro senza che questo influisca nell'equilibrio mentale. Secondo la parabola di Geert van der Laan, il lavoro si trasforma progres­ sivamente in una specie di sport e lo sport in un duro lavoro. La competizione, tuttavia, li apparenta in un ordine di princìpi, che prevede Ja banalizzazione delle formule credenziali, con le quali, nel remoto e nel recente passato, si difendono le organiz­ zazioni, i sodalizi comunitari e le istituzioni statali e regionali. La peculiarità di questo modello di applicazione delle risorse intellettuali e materiali degli ind ividui occupati in un settore produttivo è data dalla frenesia, dalla presa diretta, con le quali ogni progetto si realizza. È come se la precarietà dell'esistenza dei prodotti in serie modificasse il modo d 'intendere la resi­ stenza individuale di fronte alle cose. La realtà non ha un volto precostituito o predatato rispetto a quello che ogni attore socia­ le è indotto a intravedere nella trama delle molteplici iniziative che vengono realizzate, modificate, vanificate secondo un calco­ lo difficilmente convertibile nel risparmio e nell'evocazione. Il sentimento di lealtà viene meno perché non percepito come ne­ cessario. La coerenza e la conseguenzialità dei propositi e delle iniziative soggiacciono a tutti i cambiamenti che il processo produttivo impone come inevitabili. Il «pensiero debole» sor­ regge i «legami deboli», che sono quelli occasionali, panteistica­ mente considerati più prowidi di quelli a lungo termine. La rivoluzione tecnologica - con il suo stadio applicativo nella robotizzazione - si attua con un numero sempre minore 903

di addetti. La forza-lavoro è sostituita progressivamente dalle energie esistenti nel pianeta. Il sistema di sfruttamento delle stesse è legato alla sofisticazione dei meccanismi utilizzati per assicurare una sempre maggiore efficienza tecnologica. L'ope­ raio è sostituito dal tecnico e questo dal progettista-conduttore; che regola il suo impegno secondo scansioni inedite nel passa­ to. La trama delle comunicazioni internazionalizza qualsiasi ini­ ziativa che si proponga di affrontare e sostenere il mercato, che assume caratteristiche sopranazionali o addirittura extraterrito­ riali. La dinamica sociale è soggiogata dalla velocità del capita­ le, in continua. affannosa, ricerca delle condizioni ottimali per concretizzarsi in progetti operativi. Il profitto è diventato una categoria affettiva: ogni paese, che lo assicura al capitale finan' ziario, può contare su un occhio di riguardo, utile anche ai fini della stabilità interna. La furtiva invadenza del caso (quale estrinsecazione dei si­ stemi conoscidvi dell'infinitamente piccolo) nella contrattazione economica influenza il risparmio e di conseguenza i modelli comportamentali delle generazioni impegnate a salvaguardare i loro profitti. La stretta correlazione fra la ricchezza di alcuni gruppi sociali e di alcuni paesi e la povertà di alcuni altri grup· pi sociali e dei paesi arretrati non può essere modificata da un semplice cambiamento di rotta, del resto osteggiata da quanti non rinunziano ai benefici conseguiti neppure in nome della solidarietà o della pietà umane. Tant'è vero che il terrorismo, che insanguina diverse regioni del pianeta, è la conseguenza della mancata intesa fra paesi economicamente egemoni e paesi limitrofi o secondari rispetto alla centralità decisionale e opera· tiva. Lo sfruttamento dei depositi energetici naturali (carbone, petrolio, materiale fissile) esistenti nelle varie regioni del piane· ta da parte dei paesi industrializzati condanna questi ultimi a una disamina dottrinariamente inquadrata nel circuito proposi· tivo tradizionale. Il giusnaturalismo classico giustifica la pretesa di quanti insistono tradizionalmente sul terreno nelle cui pro· fondità si nascondono le risorse energetiche impiegate dai paesi industrializzati per attivare il loro apparato produttivo, destina· to paradossalmente anche ai fornitori delle materie prime. n tratto dilacerante dell'universo politico moderno è rappresenta· to da paesi ricchi in risorse naturali e scarsamente dotati dei mezzi tecnici per utilizzarle e paesi tecnologicamente avanzati, che necessitano delle materie prime altrui per mantenere il li904

vello produttivo, che garantisce loro un diritto di prelazione mediante l'allestimento di un apparato amministrativo e di un arsenale bellico, in grado di dare esecuzione alle aspettative dei gruppi economici e di assecondare le aspirazioni delle comunità ideologicamente cauterizzate e comportamentalmente influenza­ te in senso omogeneizzante. Un ordine agonistico abbacina le coscienze e le rende re­ trattili a ogni manifestazione di coerenza, che implichi un grado di responsabilità oggettivamente rilevabile. L'anonimato è la parvenza della generalità e rappresenta lo schermo dietro il quale il singolo individuo s'industria di mettere a frutto la sua astuzia luciferina e il suo senso di adattabilità e flessibilità. Gioverà ricordare che il concetto di «globalizzazione» è stato co­ niato per sostituire il precedente concetto di «tmiversalizzazione» nel momento in cui è divenuto chiaro che l'affermarsi di collegamenti c reti globali non aveva alcunché della natura intenzionale e controllata implicita nel vecchio concetto. La globalizzazione indica processi do­ tati di moto proprio, spontanei e imprevedibili, privi di postazioni di controllo e di addetti alla pianificazione, per non parlare dci responsa­ bili dei risultati complessivi. Possiamo dire senza esagerare molto che il termine «globalizzazione» definisce la natura disordinata dei proces­ si che hanno l uogo al disopra del territorio «coordinato primariamen­ te» dai