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Italian Pages 334 [346] Year 1965
COMPENDIO DI STORIA DELLA LETTERA TURA ITALIANA
NATALINO SAPEGNO
COMPENDIO DI STORIA DELLA
LETTERATURA ITALIANA VOLUME I
Dalle origini alla fine del Quattrocento
« LA NUOVA ITALIA» EDITRICE FIRENZE
1• edizione: luglio 1936 Nuova edizione riveduta e aggiornata: novembre 1963 3• ristampa: novembre 1965
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
Printed in Italy
Cl Copyright 1936 & 1963 by « La Nuova Italia» Editrice, Firenze
AWERTENZA Preparando questa nuova edizione del mio Compendio, che non poteva essere ulteriormente rimandata ( è passato ormai piu di un quarto di secolo dall'uscita del primo volume), ho corretto alcuni errori, precisato meglio qualche particolare, aggiornato sistematicamente le bibliografie, ma non ho inteso modificare la sostanza e lo spirito del libro. Cosi com'è, esso è stato, e forse può riuscire tuttora, non inutile. Nella quale opinione mi conforta la sua ormai lunga fortuna, di cui sono grato alla benevolenza dei colleghi di ogni ordine di scuola.
N. S. Aprile 1963.
CAPITOLO I
LE ORIGINI
1. Storia della letteratura e storia della poesia. Sebbene accada di vedere non di rado confusi i due concetti di poesia e di letteratura, e considerati fra loro quasi equivalenti, pur tuttavia essi ·debbono essere distinti alla stregua di un'indagine piu rigorosa. Il concetto di letteratura è piu ampio, e pertanto piu generico: accanto ai testi piu propriamente poetici (lirici, narrativi e drammatici) - che sembrano caratterizzarsi per la loro natura di contemplazione disinteressata della realtà, vale a dire non ordinata immediatamente ad un fine di interpretazione razionale o -di operazione pratica - , essa ne comprende altri che nascono da un proposito di ragionamento e di riflessione (filosofici, scientifici, storici) ovvero da un bisogno di persuadere, commuovere, esortare, satireggiare (oratori) o anche infine da una istintiva esigenza di sfogo personale (confessioni, diari, autobiografie). Oltre gli scrittori che appartengono in senso stretto alla storia della poesia (Dante, Ariosto, Leopardi ecc.), la storia della letteratura considera alcuni tra quelli che per il contenuto delle loro opere sembrano piuttosto di pertinenza dello storico della filosofia, della scienza, delle dottrine politiche, della storiografia (Leonardo, Machiavelli, Galileo, Bruno, Vico, e via discorrendo). Il concetto di storia della letteratura tende insomma a risolversi in quello, ancor piu generico, di storia della cultura; e se rie differenzia solo in quanto, nella considerazione di un materiale che appare a prima vista alquanto eterogeneo, la storia letteraria delimita l'ambito della sua competenza rivolgendosi ad esaminare, 1
I. LE ORIGINI
non tanto il contenuto teorico o pratico o autobiografico dei testi extra-poetici, quanto piuttosto il loro aspetto formale, lo strumento espressivo che li accomuna, sia pur solo parzialmente, alle opere di poesia. L'elemento comune è costituito dunque dal linguaggio, che assume bensi diverse connotazioni a seconda che lo si consideri come strumento della conversazione quotidiana, della scienza, dell'oratoria o infine della poesia, ma resta pur sempre il medesimo nella sua qualità e nella sua funzione di mezzo espressivo, come repertorio indifferenziato di vocaboli, che si organizzano o tendòno ad organizzarsi secondo norme grammaticali, strutture sintattiche, procedimenti stilistici. Altro è senza dubbio il lingu~ggio parlato, che si avvale di modi approssimativi ed estemporanei, da quello scritto, che sempre tende a realizzare un esemplare di ordine e di decoro meditato; altro il linguaggio dello scienziato e del filosofo, che aspira alla precisione astratta della terminologia, da quello del poeta, in cui ogni vocabolo si arricchisce di valori analogici in una fitta rete di associazioni di concetti, di immagini e persino di suoni; ciò non toglie che fra i diversi piani dell'uso linguistico non si attui un continuo scambio, e che tutti non si richiamino ad un fondo comune, senza il quale verrebbe meno la possibilità stessa della reciproca comprensione e comunicazione. Appunto nello studio delle modificazioni e dello svolgimento del linguaggio, in quanto esso si determina di volta in volta in un sistema di forme, in un complesso di procedimenti tecnici, in un peculiare atteggiamento del gusto e si riflette in una retorica e in una concezione, esplicita o implicita, dell'arte (la poetica rinascimentale, quella barocca, quella romantica, ecc.), la storia letteraria riconosce il suo oggetto specifico, che viene pertanto a coincidere in parte con qùello della filologia, della storia della lingua, della storia delle poetiche, della stilistica, scienze che essa considera in quanto, oltre la loro funzione autonoma, ne esercitano una secondaria e sussidiaria rispetto al fine che essa si propone. E si capisce che essa attinge il suo pieno significato e il suo valore solo in quanto, caso per caso, si risolve in storia individualizzante delle singole opere letterarie, e piu specialmente di quelle in stretto senso poetiche. 2
1. STORIA DELLA LETTERATURA E STORIA DELLA POESIA
Queste ultime per altro richiedono, ad essere· veramente intese, di essere analizzate nei loro elementi formali, riportate nel quadro di una tradizione di istituti linguistici e retorici, e piu in generale in un clima storico chiaramente definito di èultura. Tutte le opere poetiche, e tanto piu quelle piu grandi e significative in cui sembra riassumersi la coscienza profonda di un'epoca (la Commedia, le Rime, l'Orlando, i Promessi Sposi, i Canti), non si capiscono se, non in rapporto con la cultura - con quella formale e letteraria anzitutto, ma anche con quella politica, filosofi.ca, religi~sa - del loro tempo. Anche i fatti artistici insomma, come del re1,to tutti i fatti in ·cui si esplica la dialettica della vita· spirituale, non costituiscono nella realtà una serie autonoma, con un suo svolgimento indipendente, ma . vivono e si evolvono nella totalità del processo storico. E perciò la storia letteraria si richiama necessariamente e di continuo a tutta la· storia, anzi è essa stessa storia della civiltà umana nel suo complesso, sebbene determinata, come è proprio di ogni ricerca storica, secondo una particolare prospettiva e sulla base di una serie specifica e circoscritta di documenti. BIBLIOGRAFIA Per una riflessione sui .problemi dell'estetica, della critica, della metodologia della storia letteraria, lo studente italiano partirà naturalmente dalla lettura delle opere di BENEDETTO CROCE, particolarmente dell'Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale, Bari 1950°, dei Problemi di estetica, ivi 19494, dei Nuovi saggi d'estetica, ivi 1948", de La poesia, ivi 1946': Posizioni teoriche diverse da q~ella crociana si riflettdno nei libri di G. CALOGERO, Estetica Semantica !storica, Torino 1947; L. PAREYSON, Estetica, ivi 1954; G. DELLA VoLPE, Critica del gusto, Milano 1960; A. BANFI, I problemi di un'estetica filoso.fica, ivi 1962; notizie sulla speculazione estetica. fuori d'Italia, in A. PLEBE, Processo all'estetica, Firenze 1959. Utile per un orientamento generale, il manuale di R. WELLEK e A. WARREN, Teoria della letteratura e metodologia dello studio letterario, trad. ital. di P. L. Contessi, Bologna 1956. - Qualche esempio di nuove tecniche interpretative, tra i piu accessibili al lettore italiano: per la critica stilistica, L. SPITZER, Critica stilistica e storia del linguaggio; saggi raccolti da A. Schiaffini, Bari 1954; E. AuERBACH, Mimesis, trad. ital. con introd. di A. Roncaglia, Torino 1956; Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel medioevo, trad. ital. di F. Codino, Milano 1960, oltre i saggi che citeremo piu avanti di Terracini, Schiaffini, Devoto, Pagliaro, Fubini, Contini; per una metodologia storicistica, A. GRAMSCI, Letteratura e vita nazionale, Torino 1950; G. LuKAcs, Saggi sul realismo, Torino 1950.. Per la di-
1. •
SAPEGNO,
Compendio di st~ria della lett. il.
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I. LE ORIGINI
scussione dei temi piu dibattuti nel campo della moderna metodologia, si ricorrerà utilmente a M. FuBINI, Critica e poesia, Bari 1956; e si veda anche N. SAPEGNO, Prospettive della storiografia letteraria, in Ritratto del Manzoni e altri saggi, Bari 1961. - Tra i vari manuali propedeutici allo studio specifico della nostra letteratura, ricorderemo: G. MAZZONI, Avviamento allo studio critico delle lettere italiane, 4" ediz. aggiornata da C. Iannaco, Firenze 1951; L. CARETTI, Avviamento allo studio della letteratura italiana, ivi 1953; M. PuPPO, Manuale bibliografico-critico per lo studio della letteratura italiana, Genova 1954. Molto utili sono anche i Problemi e orientamenti critici di lingua e letteratura italiana, pubbl. sotto la direzione di A. MoMIGLIANO, 4 voll., Milano 1948-49; e I classici italiani nella storia della critica, a cura di W. BrNNI, Firenze 1954-62 2 • Buona l'Antologia della critica letteraria, a cura di M. FuBINI e E. BoNORA, Torino 1952 ss. (4 voll.). - Fra le piu recenti storie della letteratura italiana, sono da consultare: V. Rossr, Storia della letteratura italiana, nuova ed. aggiornata da U. Bosco, Milano 1943; A. MoMIGLIANo, Storia della letteratura italiana, ivi 1950'; F. FLORA, Storia della letteratura italiana, Milano 1953; A. PoMPEATI, Storia della letteratura italiana, Torino 1945-49. - Su tutto lo svolgimento della nostra storiografia letteraria, G. GETTO, Storia delle storie letterarie, Milano 19462 • Ma è d'obbligo il ricorso almeno alla classica Storia della letteratura italiana (1870-71) di F. DE SANCTIS (l'edizione migliore commentata è quella a cura di N. Gallo, con introd. di N. Sapegno, Torino 1958). - G. PREZZOLINI, Repertorio bibliografico della storia e della critica della letteratura italiana: voll. 1-2 (per gli anni 1902-32), Roma 1936; voll. 3-4 (per gli anni 1932-42), New York 1946-48; Repertorio bibliografico della letteratura italiana, a cura della Facoltà di Magistero di Roma; vol. I (anni 1948-9), Firenze 1954; vol. II (1950-53), ivi 1959.
2. Le origini della lingua italiana. I primi documenti di qualche importanza nella nostra storia letteraria - importanza, s'intende, culturale e non poetica - si incontrano soltanto nel secolo xm. Ma già parecchio tempo prima era ·sorto e entrato nell'uso delle classi meno colte quell'idioma volgare, che 'della nuova letteratura doveva diventare poi lo strumento, elevandosi cosf grado a grado fino ad esser propriamente lingua, e cioè lucida e opportuna maniera d'espressione degli affetti e dei pensieri di tutto un popolo. Non senza commossa curiosità i glottologi han ficcato il loro sguardo cauto e paziente nel povero latino delle antiche carte notarili, per scoprirvi le prime tracce del linguaggio nuovo, che le plebi venivano lentamente elaborando, in margine alla dotta loquela tramandata dai padri e sempre meno viva nell'uso e nella coscienza dei parlanti. Già nei documenti del vn e dell'vm secolo appaiono denominazioni di 4
2.
LE ORIGINI DE.LLA LlNGUA ITALIANA
luoghi e forme sintattiche prettamente volgari. Del principio del secolo seguente è un indovinello allusivo all'arte dello scrivere, che è forse il piu antico discorso verseggiato giunto fino a noi in un idioma romanzo: « Se pareba boves, alba pratalia araba, I albo versorio teneba, negro semen seminaba » In un placito capuano del 960 è riprodotta la formula pronunciata dai testimoni in una lite di confini tra il monastero di Montecassino e tal Rodelgrino d'Aquino: « Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti »; e formule consimili s'incontrano in altre carte campane di poco posteriori. Fra i documenti piu tardi, ricorderemo le frasi in volgare che si leggono sotto le pitture scoperte fra i ruderi della basilica inferiore di San Clemente a Roma, un privilegio sardo e una formula di confessione umbra o marchigiana, tutti del secolo x1; nel xn una carta calabrese, una fabrianese; e al principio del XIII secolo i frammenti d'un libro di banchieri fiorentini, al quale tengon dietro ben presto nella Toscana parecchie altre registrazioni consimili o d'interessi privati o di pubbliche istituzioni. Non si deve credere d'altronde che il linguaggio volgare sia sorto soltanto in quel torno di tempo a cui si riportano le prime tracce che noi ne possiamo rinvenire nei documenti: perché a lungo dovette durare assai viva la ripugnanza ad usare nelle scritture quell'idioma che si considerava basso e plebeo, e perciò appunto si denominava volgare, con designazione dispregiativa, .che rimase poi, piu o meno sentita e rispondente a una profonda persuasione, fino a tutto il Cinquecento. Vero è anzi che sarebbe impossibile determinare un momento in cui il latino abbia cessato di essere la lingua comunemente usata dal popolo e abbia ceduto il posto alla lingua nuova: sia perché tale trapasso dovette svolgersi diversame.nte e in diversi tempi nei differenti luoghi, sia perché soprattutto è assurdo scientificamente parlare del nascimento di un linguaggio, il quale non nasce mai e non muore, bensi continuamente si trasforma nell'uso, col trasformarsi delle istituzioni e dei co1
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1 « Spingeva innanzi i buoi (le dita), arava un bianco prato (la carta), teneva un bianco aratro (la penna), seminava nero seme (l'inchiostro)».
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I. LE ORIGINI
stumi e il sempre rinnovato crescere e mutarsi degli affetti e degli ideali. :rutti sanno, all'ingrosso, che il nostro italiano altro non è insomma se non l'antico latino quale si è venuto attraverso i secoli elaborando e trasfigurando a poco, a poco nell'uso parlato, quel latino dal quale infatti esso deriva tanta parte del suo lessico' e della sua morfologia. Senonché questa è appunto una verità grossolana', o per meglio dire una mezzfl verità, la quale richiede d'esser meglio esaminata e distinta, ~pprofondita e 'liberata dagli errori e dai pregiudizi ai quali essa può dar luogo. Anzitutto, se vogliamo risàlire all'età storica in cui Roma, improntando della sua civiltà tutti i paesi dell'Europa occidentale, vi aveva ad un tempo esteso dovunque l'uso ufficiale della sua lingua, dovremo ben guardarci dal confondere il latino letterario, quale noi lo leggiamo nelle opere dei grandi scrittori (vario anch'esso d'altronde secondo i tempi, l'educazione e l'indole dei singoli), con il latino · parlato, il quale riceveva a sua volta diversa intonazione o coloritura a seconda delle cla~si piu ~ meno civilmente elevate e piu o meno colte, degli ambienti e dei mestieri diversi e infìne dei luogh;: talché gli antichi poterono discorrere d'un sertno plebeius, proletarius, rusticus, militaris a designarne le diverse gradazioni, e ·distinguere ,un sermo cotidianus, o familiare, e un sermo urbanus caratteristico propriamente di Roma. Latino letterario e latino parlato non stanno, s'intende, fra loro come due lingue divers~, bensf a quel modo che oggi, da un lato, la lingµa degli scrittori, mutevole bensi nelle singole determinazioni, ma pur generalmente caratterizzata da una certa sceltezza di lessico e precisione di costruzioni e eleganza di forme; è, dall'altro lato, i numerosi dialetti e le varie loquele di classe e di mestiere, piu semplici e. spontanee, piu rozze e disordinate, e tanto piu vicine alla lor volta alla lingua scritta quanto piu cresce l'autorità e la cultura di coloro che ne fanno uso. Sebbene tanto gli idiomi letterari quanto quelli parlati si vengano col tempo a poco a poco trasformando, pur le storie di coteste trasformazioni si svolgono, per dir cosi, ~u due linee distinte e parallele (a prescindere, s'intende, dalle frequenti interferenze reciproche).· L'evoluzione del latino letterario è documentata ampiamente nelle opere degli 6
2.
LE ORIGINI DELLA LINGUA ITALIANA
scrittori, da quelli dell'età di Cesare fino a quelli del rpedioevo (o delia hassa latmità), che, nonostante le scorrettezze e i neologismi di cui le loro opere appaiono formicolanti a chi le confronti con quelle di Cicerone o di Livio, di Virgilio o d'Orazio, pur si mantengono sulla linea di quella tradizione; fino agli umanisti del nostro Rinascimento, che alla tradizione piu antica e pura vollero coscientemente e non senza sforzo ricollegarsi. Troppo piu scarsi sono invece, alle origini almeno, i documenti del latino parlato: pur tuttavia da un lato le notizie fornite dalle iscrizioni e dai grafiti, dagli antichi glossari e perfino da certe opere letterarie, e dall'altro le caute e sottili deduzioni dei .filologi ci permettono di ricostituirne in parte le linee fondamentali e le successive trasformazioni nel campo della fonetica, della morfologia e del lessico. Possiamo ricordare, a mo' d'esempio, alcuni fatti piu caratteristici: quali il cadere della n nel gruppo fonico ns in parole come mensem, spon.rnm (che diventavano, nel latino volgare, mesem, sposttm); la sincope della vocale nella penultima sillaba dei proparossitoni, donde forme come ocltts, frigdus (invece di octtltts, frigidus ); la sostituzione alle forme semplici del futuro di modi perifrastici con l'ausiliare habere (ad es.: laudare habeo = laudar-ò, loderò); l'uso comune di vocaboli diversi da quelli prevalsi nelle scritture, come caballtts, bucca, manducare invece di equus, os, edere, ecc. Bisognerà ricordare inoltre che il latino volgare diffondendosi, insieme con la civiltà romana, in tutta l'Europa occidentale (e anzi a tutte le regioni dell'impero, aìl'infuori di quelle nelle quali s'era già diffusa, e persistette per secoli, la lingua ellenica), nel tempo stesso che riduceva al silenzio gli idiomi originari dei popoli vinti, doveva pure in certo modo venire a patti con talune forme peculiari della loro pronuncia e assorbire qualche vocabolo o qualche movenza dell'antico linguaggio e insomma alterarsi piu o meno profondamente. Talché intorno al 400 d. C. san Girolamo poteva osservare che « la stessa lingua latina si muta tutti i giorni col passar del tempo e a seconda dei diversi luoghi ». Tali deformazioni furono dapprima lente, scarse e quasi insensibili finché la salda unità dell'impero rese rapidi e frequenti le relazioni e i commerci fra la capitale e 7
I. LE ORIGINI
le province e fi~ché gli studi ovunque diffusi e il persistere di una cultura unitaria mantennero dinanzi agli occhi pur delle plebi, e negli usi ufficiali, il modello d'una lingua scritta pressoché stabile e beri regolata. Senonché, rottasi nel .v secolo la compagine dell'impero e affievolitisi a grado a grado i rapporti fra le diverse regioni che ne facevan parte, indebolita e quasi distrutta in alcuni luoghi la gloriosa cultura romana, i diversi volgari latini poterono percorrere piu speditamente e senza ostacoli la linea della loro evoluzione, ciascuno con le sue differenze e alterazioni, tanto piu distinte fra loro quanto piu acquistavan rilievo e stabilità. Cotesti latini volgari, quali si mostravano già nel VI secolo, cosi diversi fra loro da render difficile, se non impossibile, la reciproca intelligenza, e pur legati da un'evidente origine comune, sono proprio nient'altro che le antiche forme dei linguaggi tuttora parlati nell'Europa romana: quei linguaggi che si sogliono dire romanzi (dall'antica locuzione loqui romanice, usata a indicare l'idioma delle popolazioni romane o romaniche in contrapposto a quello dei Germani) o, piu scientificamente, neolatini, appunto perché essi sono come s'è visto, meglio ancora che gli eredi, i prosecutori dell'antica loquela latina, anzi quella loquela stessa trasformatasi col tempo diversamente nei diversi luoghi. Dal latino antico gli idiomi romanzi derivano gran parte del loro lessico; e anche quei vocaboli che essi ripresero dai Germani, dai Greci e dagli Arabi non bastano ad alterarne la sostanza. E in quanto poi essi si scostano dalla morfologia e dalla sintassi del latino classico (per es. nell'uso di preposizioni, anziché di desinenze diverse, ad esprimere alcuni complementi; nell'introduzione di forme perifrastiche nel futuro, nel condizionale e nei modi passivi; nella struttura piu rapida, snella ed articolata del periodo, ecc.) non fanno che riprodurre, accentuandole, certe condizioni peculiari del latino parlato. I linguaggi neolatini sono moltissimi, variando fra loro non pur da nazione a nazione, ma nell'interno di una regione stessa e anzi di una medesima città, pur si possono raccogliere in alcuni gruppi fondamentali: avremo cos( gìi idiomi portoghesi, spagnoli e catalani nella penisola iberica; i francesi, provenzali e franco-provenzali nelle Gallie e in parte della Svizzera e del Piemonte; gli ita8
2.
LE ORIGINI DELLA LINGUA ITALIANA
liani; i sardi; i romanci o ladini nel Friuli, nel Trentino e nel Canton dei Grigioni; e infìne i romeni nell'antica Dacia. Tutti i volgari han carattere dapprima di linguaggi parlati e non scritti, anzi considerati in.degni della scrittura, ma piu tardi passano anch'essi all'uso scritto, contrapponendosi al latino, lingua dei chierici e dei dotti, e diventano alla lor volta il nuovo idioma letterario. Il sorgere del quale coincide, com'è naturale, col nascere di una nuova e moderna cultura e coll'espandersi di essa in un mondo piu vario e piu vasto. S'intende però che non tutti i dialetti, bensi nei confini di ciascuna nazione un solo dialetto (per ragioni varie, che qui è inutile indugiarsi a descrivere) s'elabora e si trasforma, sollevandosi sugli altri fino ad assumere la funzione di lingua letteraria, comunemente usata da tutti e strumento di espressione artistica e oratoria. Quel dialetto perde allora in parte le sue caratteristiche locali, per adeguarsi al suo piu vasto compito, e pur mutando anch'esso (ché non potrebbe altrimenti) tende a una relativa stabilità lessicale e regolarità sintattica: viene insomma a trovarsi, rispetto ai dialetti di quella nazione, a quel modo che già il latino letterario, nell'età romana, rispetto ai multiformi latini volgari. A noi interessa in special modo, si capisce, la storia della formazione di una lingua letteraria italiana, la quale nasce, col nascere appunto della letteratura, fra il XIII e il XIV secolo, preparata d'altronde e favorita da particolari condizioni sociali e politiche. In quegli ultimi secoli del medioevo le differenze fra i vari dialetti sorti in Italia, benché non cosi nette e accentuate come oggi, erano pur già notevoli: e laddove per gli uni, come quelli della Toscana, la distanza che li separa dal latino parlato era minima, in altri appariva invece maggiore, e in taluni massima,. come nei parlati dell'Italia settentrionale. Al tempo stesso, nel nuovo e intenso rigoglio di vita dell'età comunale, gli urti e i contatti politici, i frequenti rapporti commerciali, i pellegrinaggi e le predicazioni mantenevano vive e costanti le relazioni fra le varie parti della penisola, creando n:ell'uso quotidiano della conversazione fra uomini di terre diverse la necessità di attenuare le maniere piu spiccate e le forme piu tipiche di ciascun dialetto, e la tendenza ad assorbire quasi senza accorgersene 9
I. LE ORIGINI
vocaboli e modi del dialetto altrui, cosi da giungere a una sorta di lingua comunemente intesa. Quelli stessi che, nelle varie regioni d'Italia, dettarono le prime scritture in volgare d'argomento religioso o didattico o giullaresco, sia perché tendevano· ad esser compresi da un pubblico piu vasto che non fosse quello della loro città o del loro borgo, sia perché erano spinti da quel bisogno, che prova sempre chi scrive, di dare alla sua lingua una tal quale uniformità di costrutti e sceltezza di lessico, furon condotti ad adoperare un idioma, che pur mantenendo certe peculiarità dialettali, non corrispondeva però esattamente a nessun deter~inato dialetto dell'uso parlato. In particolar modo una tale tendenza ebbe a manifestarsi negli scrittori colti, che alla corte di Federico II in Sicilia crearono, come vedremo, i primi tentativi di una poesia lirica nazionale. Sebbene il fondo della lingua da essi adoperata sia il dialetto siciliano, tuttavia si tratta di un siciliano singolarmente trasformato e raffinato, ripulito di tutti quei vocaboli e di quelle movenze che potevan sembrare plebee o troppo realistiche, corretto e modellato nei costrutti e nelle parole stesse sul1'esempio del latino, arricchito di locuzioni tolte ad altri dialetti (sia perché non tutti siciliani, e nemmeno tutti meridionali, erano quei poeti, sia perché essi avevano avuto talora occasione di viaggiare a lungo), e infìne non alieno da· certe cadenze e disposizioni verbali della lirica di Provenza, la quale veniva ad influire cosi, oltre che sui concetti, sulla lingua stessa di quei rimatori. La lin~ gua poetica della scuola siciliana divenne per alcun tempo la lingua letteraria della nazione, anche dopo la fìne della potenza sveva ( 1266): lingua per un certo aspetto assai convenzionale e artificiosa, per desiderio di sceltezza fatta povera e monotona, rispondente alle chiuse per quanto leggiadre costumanze di una ristretta classe di persone colte; lingua pertanto destinata a intristire lentamente perché non rinnovata di continuo dalla freschezza e ricchezza inventiva dell'uso popolare. Passato tuttavia ben presto nella Toscana il primato dell'attività letteraria, la lingua poetica, pur conservando in parte le caratteristiche che le aveva impresso la tradizione di Sicilia, venne in vario modo arricchendosi di forme e di maniere toscane: sia perché le liriche piu antiche e 10
2.
LE ORIGINI DELLA -LINGUA ITALIANA
veramente siciliane, trascritte in copie sempre piu numerose nella nuova terra di adozione, vedevano alterarsi in parte e a poco a poco la loro veste linguistica e cosi deformate si diffondevano poi in ogni parte d'Italia; sia perché i nuovi poeti, e soprattutto quelli del dolce stil novo che a Firenze rinnovarono i modi di quella nostra prima poesia, non potevano non risentire almeno in parte dell'ambiente linguistico nel quale vivevano e al quale si rivolgevano con i loro canti. Lingua essenzialmente toscana, anzi fiorentina, la loro era pur sempre una lingua idealizzata e convenzionale, uniforme e povera di rilievo, delicata e aristocratica. Chi diede alla lingua poetica italiana una maggior ricchezza e varietà di suoni e di costrutti, una maggiore aderenza all'uso vivo e rinnovatore del popolo, fu Dante, il quale al tempo stesso le impresse definitivamente il sigillo della tradizione fiorentina. Dopo Dante la lingua poetica ha continuato naturalmente a trasformarsi secondo l'indole, l'educazione intellettuale, le compiacenze e le schifiltosità, e insomma i diversi e sempre originali problemi artistici dei singoli scrittori. E la storia della lingua poetica è appunto, tutta quanta, la storia stessa della nostra letteratura. Come la lingua poetica, cosi si è venuto lentamente modificando l'idioma parlato dalle classi medie e colte della penisola, lo strumento immediato dei commerci e delle relazioni intellettuali politiche ed economiche fra le varie parti d'Italia: pur esso è ancor oggi, nel1a sostanza, quello che Dante con l'esempio additò e promosse, e cioè il dialetto di Firenze elevato a dignità letteraria, mediante una maggiore disciplina dei costrutti e dei suoni e della scelta dei vocaboli, e complicato e arricchito dagli apporti abbastanza frequenti e variamente determinati degli altri idiomi regionali. BIBLIOGRAFIA
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I. LE ORIGINI
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3. · L'eredità della cultura medievale. Come già s'è detto all'inizio del precedente paragrafo, i primi documenti letterari in lingua volgare s'incontrano da noi nel secolo XIII. Ma, a raggiungere una piena intelligenza del loro significato e del loro valore nella storia della cultura, giova non dimenticare che lo svolgimento della nostra letteratura strettamente si ricollega a tutto il processo della civiltà latina e romanza del medioevo. Quelle antiche composizioni, che ad un esame frettoloso posson parere primitive, sono invece il frutto d'un complesso travaglio di cultura durato per secoli. Sicché non parrà inutile gettare un rapido sguardo su quella cultura appunto, mettendone in luce, senza indugiar troppo sui particolari, le fondamentali direttive del pensiero e del gusto. La letteratura del medioevo non ha carattere nazionale, bensi si presenta con aspetti non dissimili in tutti i paesi dell'Europa occidentale. Il comune spirito cristiano e l'opera della chiesa di Roma, che mantiene viva a suo modo l'idea universale dell'impero, ricostruiscono, sull'anarchia e la dissoluzione politica, l'unità del pensiero e dei sentimenti. Latina è la lingua di questa letteratura, cosi come cristiano ne è Io spirito informatore. Ma, a quel modo che in essa il latino, pur senza dimenticare mai del 12
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L'EREDITÀ DELLA CULTURA MEDIEVALE
tutto l'esempio dei classici, si trasforma a!=cogliendo in sempre maggior copia elementi del latino ecclesiastico e del latino volgare e s'adatta ad esprimere un contenuto di fedi di aspirazioni di volontà nuove; cosi per un altro verso il cristianesimo che la pervade accoglie in sé l'eredità del pensiero greco-romano, della politica e dell'arte classica, e si imbeve di una cotal umanità e mondanità. Accanto allo slancio mistico ed ascetico, che ne costituisce il nucleo fondamentale, trovan posto, sia pure ricontemplate in una luce diversa, le terrene esigenze della politica, dell'economia, della scienza, dell'arte. Sulla soglia del VI secolo due scrittori stanno, in Italia, a rappresentare le prime voci della cultura medievale, cristiani entrambi e al tempo stesso imbevuti di dottrina e di poesia classica, e tutti intesi, di fronte ai Germani vittoriosi, a salvare le reliquie della civiltà morente di Roma. L'uno è MAGNO AURELIO CASSIODORO, nato a Squillace e morto in un monastero calabrese intorno al 57 5, dopo esser stato segretario cli Teodorico re dei Goti e dei successori di lui, autore di opere storiche teologiche grammaticali, ma noto soprattutto per i suoi V ariarum libri xn, cioè per la raccolta delle epistole ufficiali, dettate in uno stile ricercato e prezioso, e assai importanti per le notizie storiche che esse ci forniscono. L'altro è ANICIO MANLIO TORQUATO SEVERINO BOEZIO, che anche lui ebbe da Teodorico dignità e uffici pubblici, ma poi, caduto in disgrazia del re e incolpato di tradimento, fu incarcerato e fatto uccidere nel 524. Tra le molte sue opere filosofiche e scientifiche (di cui alcune tradotte dal greco) è rimasta famosissima nel medioevo quella De consolatione Philosophiae, ch'egli scrisse in carcere, sulla soglia della morte, immaginando che venisse a confortarlo coi suoi ragionamenti e insieme a distaccarlo a poco a poco dall'amore del mondo la Filosofia, rappresentata in veste di venerabile matrona. Come negli ornamenti e negli artifici delle lettere di Cassiodoro possiamo rintracciare l'origine di certi modi della retorica medievale, cosi in Boezio troviamo altri elementi che anch'essi confluiranno in quella retorica: la mescolanza della prosa e dei versi in una medesima opera e il carattere ritmico della prosa stessa, già regolata da quelle leggi del cursus di cui avremo presto occasione di par-
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I. LE ORIGINI
lare. E nell'uno e nell'altro scrittore poi troviamo, insieme con lo spirito cristiano, il gusto persistente della antica civiltà, della politica e della storia in Cassiodoro, della :filosofia neoplatonica e stoica in Boezio; l'opera del quale serba poi tuttora un fascino intellettuale e poetico, per la dolorosa e solenne esperienza umana che la pervade, promovendo e trascinando con sé, verso un mondo di luce intellettuale e fantastica, il ritmo del pensiero speculativo. Alla fine del secolo VI s'inizia un periodo di decadenza e di progressiva barbarie intellettuale, che si prolunga fin verso la metà del secolo IX. È il tempo in cui un grande papa come GREGORIO MAGNO (590-604) professa di « disprezzare la stessa arte del dire » e di non voler evitare le forme scorrette e barbariche, perché « stima sconvenientissimo voler ridurre le parole dell'oracolo celeste sotto le regole del grammatico Donato ». Se anche si vuol ritenere che san Gregorio esagerasse a bella posta il suo sdegno (né egli era veramente cosi alieno dalla cultura, anche profana, come voleva apparire), pur tuttavia è certo che le sue parole rappresentano bene l'atteggiamento dello spirito cristiano, sia nell'affermazione ascetica di rinunzia e di disprezzo che coinvolge tutti i pregi, le bellezze e le vanità mondane, sia nella fierezza stessa con cui quell'affermazione s'accampa, consapevole, mentre rifiuta l'antica, di creare una scienza nuova e piu alta. E storicamente è vero che quelle parole stanno all'inizio d'un lungo periodo di trascuratezza e quasi d'oblio delle discipline :filosofiche e scientifiche, e, piu, grammaticali e retoriche. Età di barbarie in apparenza, tutto l'alto medioevo, nella quale sembra che tutto l'insegnamento della tradizione classica con la sua attenta considerazione della realtà umana, vada perduto; ma piu veramente periodo di transizione e di trasformazione, nel quale una piu alta civiltà s'elabora, con un nuovo concetto dell'uomo e dei suoi doveri, e un nuovo sentimento della storia non piu regolata dalle leggi cieche del Caso e del Destino, bensl'. retta dalla volontà razionale di Dio. Pare che si ripudino tutte le conquiste dell'intelligenza e della potenza umana, avvilite e svuotate di ogni valore nel confronto con una verità oltreterrena e con una grandezza trascendente; ma intanto si creano veramente valori nuovi, che 14
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L'EREDITÀ DELLA CULTURA MEDIEVALE
traducono nella realtà pratica il piu profondo senso della vita e della religione che la pervade. « Alla virtu del cittadino sottentra quella dell'uomo spirituale, che si adegua alla verità con la fede religiosa e con l'opera umanamente buona; alle schiere degli uomini illustri del paganesimo si contrappongono quelle degli uomini del cristianesimo, meglio che illustri, santi; e il nuovo Plutarco è dato dalle vitae patrum o eremitarum, dalle vite dei confessori di Cristo, dei martiri, dei propagatori della vera fede » 1 • Inoltre, accanto al sentimento religioso fortissimo, e del quale s'è additato la novità e l'importanza, permangono vivi, dapprima come tollerati, poi sempre piu forti e invadenti, gli interessi politici economici militari, le voci di questo mondo terreno che non muore (né potrebbe mai morire del tutto) negli animi e sempre attrae con le sue lusinghe e fomenta le passioni e le speranze, gli sdegni e gli affetti degli uomini. Non è da stupire pertanto se, fin nell'alto medioevo, accanto •alle antiche cronache monastiche strettamente ispirate dall'ideale ascetico, credule e superstiziose, frammentarie e caotiche, compaiono opere storiche piu vive ed appassionate, sorrette pur sempre dalla concezione cristiana (e altamente filosofica) di un progresso regolato da una mente provvidenziale, ma ricche di interessi e di contrasti mondani, legate alla vita immediata e alle me.morie di un popolo, curiose di particolari realistici, per quanto non aliene ancora del tutto dal gusto comune delle favole e dei miracoli. Di siffatte opere storiografiche ne rimangono presso tutt~ le nazioni dell'Europa occidentale, ma noi ci limiteremo a ricordare quelle che interessano piu da vicino l'Italia. È dell'vrn secolo l'attività di PAOLO DIACONO, longobardo del Friuli, insignito di onori e di uffici da Carlo Magno, e morto monaco nella badia di Montecassino intorno al 797: autore, senza dir di parecchie altre cose minori in prosa e in versi, d'una Historia Langobardorum, nella quale narrò le imprese guerresche e gli intrighi cortigiani e le forti passioni e le ambizioni del suo popolo, con animo affettuoso e con arte vivace e colorita. È del x secolo la complessa 1
CROCE,
Storiografia 2 , p. 187.
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1. LE ORIGINI
e nobile figura di LruTPRANDO, nato anche lui di famiglia longobarda nel 922, morto vescovd di Cremona cinquant'anni dopo, esperto di erudizione classica e non ignaro della lingua greca; la cui opera principale, l'Antopodosis (o contraccambio) - storia mista di prosa e di versi degli eventi fra 1'888 e il 950 - è dettata da un sentimento di vendetta contro Berengario II (col quale l'autore s'era inimicato, passando dal servizio di lui a quello di Ottone I), e rivela spirito d'osservazione, vivo senso della realtà, attitudine a giudicare i fatti acutamente e senza pregiudizi. Questo atteggiamento umano e profano s'accresce nelle opere storiche compilate durante il periodo comunale, alla luce degli intensi e appassionati contrasti che allora divamparono fra lo stato e la chiesa, fra i comuni e l'impero. Sostenitori chi dell'uno chi dell'altro partito, ma sempre partigiani, e vissuti essi stessi in quel tumulto d'idee e di ambizioni che si sforzano di ritrarre, cronisti come ARNOLFO (sec. XI); i due LANDOLFI (sec. XI-XII), SIRE RAUL e OTTONE MORENA (sec. xn) trasportano nei loro scritti una ma-· teria viva, alla quale aderiscono con tutto il loro animo, e l'espongono con arte rozza immediata e efficacissima. E intanto l'amore della città natia detta al genovese CAFFARO quella storia degli avvenimenti della sua patria dal 1100 al 1163 che, scritta da un testimone oculare non privo d'intelligenza e di buon senso, meritò d'esser conservata dalla repubblica nei suoi archivi, a guisa di testo ufficiale, perché fosse poi continuata e ampliata; mentre, nel mezzogiorno della penisola, offrono esempi di una storiografia anche piu audacemente mondana, e meglio elaborata nell'architettura e nello stile, le cronache di UGO F ALCANDO (sec. xn), che racconta le gesta dei Normanni, l'Historia de rebus gestis Friderici II attribuita a NICCOLÒ DI }AMSILLA, segretario di Manfredi, e la Rerum Siculorum historia del guelfo SABA MALASPINA (sec. XIII). Il gusto della storia terrena documentata e meditata penetra anche nei monasteri e dà vita alle ordinate raccolte di fonti o regesti (primo per importanza quello del convento di Farfa nella Sabina, compilato verso la fine dell'xr secolo), e ispira pur nel secolo XI la Cronaca del monastero di Montecassino, dotta e artisticamente elaborata, e, piu popolare e leggendaria ma soffusa di 16
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L'EREDITÀ DELLA CULTURA MEDIEVALE
poesia, la Cronaca del monastero della Novalesa in Val di Susa. La piu bella, letterariamente considerata, di queste cronache latine (delle quali talune soltanto s'è voluto qui ricordare) è quella composta nel XIII secolo dal frate francescano SALIMBENE AnAMI di Parma, la quale abbraccia, nella parte giunta fino a noi, gli eventi dal 1167 al 1287. Salimbene narra le cose che ha viste egli stesso o ha udito raccontare, in un latino popolareggiante e assai colorito, quel latino grosso, quasi un volgare sommariamente travestito, ch'era ancora ai suoi tempi la lingua letteraria delle persone di mezzana cultura: espone i fatti e descrive i personaggi, piccoli e grandi, che egli ha incontrato nei suoi lunghi viaggi, con abbondanza di particolari realistici; tratteggia con arguta saggezza i costumi e le caratteristiche di un popolo o di un individuo: inserisce nel discorso poesie, motti, facezie, novelle, proverbi; discorre con buon senso degli avvenimenti politici e, con spirito piu partigiano, delle lotte aspramente combattute nell'ordine dei minori fra i rilassati e gli spirituali: ora seriamente commosso dinanzi alla vastità e varietà dei disegni provvidenziali di Dio; ora umanamente bonario, arguto, vivace, nel ritrarre le debolezze e le miserie della vita quo'tidiana; ora pungente e mordace, quando l'ispira l'odio di parte, per es. quando si scaglia pieno di sdegno e d'ironia contro i vizi del clero secolare. La sua cronaca è un ritratto evidentissimo e multiforme della vita italiana, e in parte di quella europea, del Duecento Come il nuovo sentimento religioso, sebbene originariamente improntato a un intransigente spirito ascetico, non riusd a sopprimere gli interessi e gli affetti terreni, e soltanto li investi e li compenetrò di sé illuminandoli di una luce nuova, cosf esso non 1
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1 Non sarà inopportuno ricordare, 2lmeno in nota, la ricca letteratura latina ispirata dal moto francescano: vite del santo, dettate con intento d'arte come quelle di TOMMASO DA CELANO e di SAN BONAVENTURA, ovvero in umile stile, ma con piu alto fervore di fede, come la Legenda trium sociorum e lo Speculum perfectionis; cronache schiettissime e talora animate da un palpito eroico, come quella di GIORDANO DA GIANO e relazioni dei martiri subiti dai frati missionari fra gli infedeli; opere polemiche in difesa dell'osservanza stretta della Regola di san Francesco, minacciata dalle insidie dell'umana mediocrità, come la Cronaca delle tribolazioni di ANGELO CLARENO (volgarizzata nel Trecento) e l'Arbor vitae crucifixae di UBERTINO DA CASALE; trattati morali e ascetici, ecc.
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I. LE ORIGINI
cancellò mai del tutto l'insegnamento perenne della civiltà classica, bensf a poco a poco venne assorbendolo e rinnovandolo dall'intimo, e creando· una civiltà nuova, che era romana e cristiana ad un tempo, preludio e fondamento di quella che si chiamerà la Rinascita. Certo nei secoli del medioevo molta parte della sapienza latina, e piu della greca, rimase nell'Occidente europeo kttera morta, mentre i grandi esempi della poesia e dell'arte antica non _trovavano né imitatori né emuli; ma v'era pure chi continuava. a saper di greco e ad amare l'erudizione, e del sapere traeva orgoglio come del piu sicuro segno di nobiltà intellettuale e morale. Cosf nel x secolo un italiano, GoNZONE, chiamato alla corte dell'impe'ratore Ottone, si vantava di possedere « la profondità quasi imperscrutabile di Platone, l'oscurità pressoché ai df nostri intentata di Aristotile, la dignità veneranda di Cicerone »; e nel secolo XI il monaco cassinese ALFANO, poi vescovo di Salerno, dotto anche lui di greco e di latino, riempiva i suoi versi, pur di materia · sacra, di reminiscenze oraziane e virgiliane. E altri esempi consimili potrebbero essere ricordati. Senonché non si deve dimenticare che la tradizione classica operò non tanto in cosiffatte sporadiche e alquanto superficiali rifioriture, quanto piuttosto perdurando nella coscienza profonda dei popoli, testimonianza gloriosa e mai dimenticata di un'età di potenza e di saggezza, di forza intellettuale e di virtu politica. Influenza cotesta sensibile sempre, · ma diventata fortissima quando, nei secoli XI e xu, in ogni parte dell'Occidente e piu che altrove in Italia, rifiorisce l'attività dei commerci e delle industrie, risorge contro la barbarie feudale il primato delle città, e con esso il desiderio di conquista e di gloria, e si combatte in nome delle grandi idee dell'impero e della chiesa, mentre già si fa strada, nel contrasto implacabile delle due supreme autorità, il Comune, la nuova civiltà cittadina e borghèse. Il ricordo di Roma e delle tradizioni classiche anima allora le epiche lotte delle città marinare italiane 1; riappare nei nomi attri1 Talché un poeta pisano, accingendosi a narrare le imprese della sua città, antiquorum Romanorum esclama: « Inclitorum Pisanorum scripturus historiam renovo memoriam; I nam extendit modo Pisa laudem admirabilem J quam olim recepit Roma vincendo Carthaginem ». J
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L'EREDITÀ DELLA CULTURA MEDìE\TALJ!
buiti alle nuove magistrature cittadine; nelle leggende che rapidamente si creano e ·si diffondono intorno alle -origini di ciascuna città: Firenze fondata da Cesare, Genova da Giano, Padova da Antenore; nei frequenti richiami alla grandezza di Roma e della latinità, che sorgon spontanei sulle bocche dei cittadini combattenti contro gli imperatori tedeschi. E intanto risorgono gli studi scientifici, e la medicina trova il suo tempio nell'università di Salerno, dopoché verso la fine del secolo XI le grandi opere mediche dei Greci e degli Arabi furon tradotte in latino per cura di Costantino cartaginese. E nuovo impulso traggon gli studi giuridici, non mai dimenticati nelle scuole di Ravenna e di Pavia, quando lRNERIO raccoglie a Bologna, nel XII secolo, i frutti di una lunga tradizione e li ravviva col suo ingegno potente e innovatore, capostipite di una lunga serie di interpreti e commentator!, o glosslltori, del diritto di Roma, quali, fra i molti, AzzoNE, AccoRso, FRANCESCO D'AccoRso, RoFFREDO DI BENEVENTO, 0DOFREDO; né si tratta soltanto di uno studio piu vasto dei testi già noti, sf di una consapevole affermazione della superiorità assoluta delle leggi romane sopra tutte le altre e di un adattamento e rinnovamento di quelle leggi alla stregua della nuova civiltà che sorge. Intanto, presso le corti normanne dell'Italia meridionale e poi presso quelle di Federico II e di Manfredi, trovano il loro punto d'incontro le civiltà greca araba e latina; e traduzioni latine delle opere greche e arabe, di filosofia e di scienza, da Aristotele ad Averroè, da Tolomeo ad Avicenna, s'apprestano specialmente in Italia per opera di GHERARDO DA CREMONA, di MICHELE ScoTo, di BARTOLOMEO DA MESSINA e di altri italiani e stranieri. Gli studi filosofici e teologici, che in tutto il medioevo avevano trovato cultori, talora insigni, come (per citare solo gli italiani) nell'xI secolo LANFRANCO DI PAVIA e il vigoroso polemista di Ravenna SAN PIER DAMIANI, e nel XII secolo ANSELMO D'AosTA e PIETRO LOMBARDO, ne derivano ora un nuovo impulso, accolgono profondi motivi di razionalismo aristotelico e averroistico, e, pur v_incolandoli quasi sempre nei freni della dogmatica cattolica, li trasmettono eredità preziosa al mondo europeo del Rinascimento. Due italiani ancora dominano la cultura filosofica del medioevo nel 2 .•
SAPEGNO,
Compendio di storia della lett. lt.
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1. LE ORIGINl
momento della sua piu splendida fioritura, che è il XIII secolo: (1225-1274) e BONAVENTURA DA BAGNOREGIO (1221-1274) professori entrambi all'università di Parigi: nel primo dei quali un potente impulso intellettualistico domina e sistema in una vasta sintesi architettonica, sulle orme della metafisica aristotelica, il profondo contenuto mistico del cristianesimo; laddove nell'altro un irrompente misticismo s'effonde e dilaga oltre le forme logiche e razionalistiche, nelle quali il filosofo si sforza di contenerlo. L'opera di entrambi, che esula dal nostro discorso per il suo contenuto propriamente dottrinale, merita invece di essere attentamente considerata per taluni aspetti che essa presenta e per le forme nelle quali si esprime. Nella Summa theologiae, nella Summa contra Gentiles, nei commenti e negli opuscoli di san Tommaso s'assomma, per cosi dire, una tendenza dello spirito medievale: il gusto delle distinzioni sottili, della precisione verbale, del ragionamento sillogistico; laddove nell'Itinerarium mentis in Deum, nel Soliloqttium, nelle Meditationes e nelle altre opere di san Bonaventura trova la sua espressione suprema l'eloquenza immaginosa e sovrabbondante, biblica e carnale dei mistici: e nell'uno e nell'altro un interesse profondo per la vita psicologica, un bisogno sempre presente di distinguerne elencarne definirne gli stati, gli sviluppi, le tendenze. Chi vuol comprendere, non solo la vita e l'arte del medioevo, ma anche talune delle opere letterarie piu grandi e piu singolari, specialmente italiane, da Jacopone allo « stil novo », da Dante al Petrarca, deve tener conto altissimo di questa tenace tradizione di indagini psicologiche, che nei filosofi si manifesta nel suo aspetto piu ragionato e sistematico. I movimenti e gli atti della vita spirituale diventano, fin dagli inizi del cristianesimo e poi sempre piu nel mondo medievale, oggetto d'uno studio analitico attento e sottile, che s'affatica a costruire classificazioni e distinzioni, a stabilire riferimenti e somiglianze, ad esprimere insomma con chiarezza almeno apparentemente scientifica le oscure intricate e talora inesprimibili vicende della coscienza individuale. Gli scolastici portano in queste indagini il rigore logico e la passione speculativa che sono loro propri; ma i loro concetti, spogliati della veste siTOMMASO D'AQUINO
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L'EREDITÀ DELLA CULTURA MEDIEVALE
stematica ongmaria, riaffioreranno nelle opere medievali didattiche e poetiche, nelle allegorie, nelle espansioni mistiche, nelle trattazioni e perfino nei canti d'amore, offrendosi a costituire l'inquadratura concettuale di una letteratura prevalentemente interiore e volta al profondo. BIBLIOGRAFIA Per piu ampie informazioni sulla cultura latina medievale sono fondamentali le opere di A. EBERT, Histoire générale de la littérature du moyen-àge en Occident ( tràd. dal tedesco), Parigi 1883-89; M. MANITIUS, Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters, Monaco 1911-31; P. DE LABRIOLLE, Ht5totre de la littérature latine chrétienne, Parigi 19242 ; G. PRAMPOLINI, La letteratura latina medievale, in Storia universale della letteratura, II, Torino 1934, pp. 206-502. - Per la cultura latina in Italia, F. NovATI e A. MONTEVERDI, Le orrgim, Milano 1902-26; A. VrscARDI, Le origini, ivi 1939. - G. MANACORDA, Storia della scuola in Italia, I, Palermo 1914. - U. RoNc,\, Cultura medievale e poesia latina d'Italia nei secoli XI e XII, Roma 1892. - U. BALZANI, Le cronache italiane nel medioevo, Milano 19093 • - E. GILSON, La philosophie au moyen-àge, Parigi 1930; G. DE RuGGIERO, La filosofia del cristianesimo, Bari 1961°; C. VAsou, La filosofia del medioevo, Milano 1961. Ampi saggi dei testi di cui si parla in questo paragrafo sono raccolti nel volume antologico Le Origini. Testi latini, italiani, provenzali e franco italiani, a cura di A. Viscardi, B. e T. Nardi, G. Vidossi, F. Arese, ecc., Milano 19.56. Per il De consolatione di Boezio, l'ed. di W. WEINBERGER (Vienna 1934); per Cassiodoro, quella del MOMMSEN (Berlino 1894); per la cronaca di Salimbene, quella di O. HoLDER-EGGER (Hannover 1905) e quella di F. BERNINI (Bari 1942). La maggior parte delle antiche cronache si trova nella raccolta del MURATORI, Rerum Italicarum Scriptores, Milano 1723-51, che ora si ristampa con nuove cure e aggiunte a Città di Castello; nei Monumenta Germaniae Historica, che si pubblicano ad Hannover dal 1826; e nelle Fontt per la storia d'Italia edite a Roma dal 1887 in poi per iniziativa dell'Istituto storico italiano. Sulla fortuna di Boezio, H. R. PATCH, I be Tradition of Boetbius. A Study of bis Importance in Medieval Culture, New York 19-35; su P. Diacono, A. MONTE· VERDI, in « Memorie storiche forogiuliesi », XXV, 1929; sulla cultura alla corte di Federico Il, C. H. HASKINS, Tbe Renaissance of tbe Twelfth Century, Cambridge Mass. 1927; sulla letteratura francescana, L. CELLUCCI, Le leggende francescane del secolo XIII nel loro aspetto artistico, Roma 1929; sull'arte di Salimbene, A. MoMIGLIANO, Cinque saggi, Firenze 1945; N. Sc1voLETTO, Fra Salimbene da Parma e la storia politica e religiosa del sec. XIII, Bari 1950: C. VIOLANTE, Motivi e caratteri della Cronaca di Salimbene, in « Annali della Scuola Normale di Pisa», XXII, 195J, pp. 3-49.
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I. LE ORIGINI
4. L'estetica; la poetica e la poesia del medioevo. Le dottrine dei padri della chiesa e degli scrittori medievali intorno all'arte ed al bello, e anzi tutta la storia della poetica e del gusto in Italia fino a tempi assai vicini al nostro, debbono esser!! studiate tenendo conto degli stretti legami che le avvincono alla tradizione speculativa greco-romana. Agli antichi risale anzitutto la teoria, che domina incontrastata per secoli, dell'arte come imitatrice della natura e della vita degli uomini, adeguazione parziale e imperfetta della verità. Donde, da un lato, l'impulso a negarla, come fece Platone e ripresero a fare nel II e III secolo gli apologeti cristiani (da Origene a Tertulliano), considerandola quasi un'attività inferiore, irrazionale e falsa, quando non addirittura diabolica. E per un altro verso invece la necessità di giustificarla nell'uso pratico, attribuendole un'attitudine a sedurre gli spiriti, a dirigerli, a perfezionarli. Il problema della giustificazione dell'arte aveva primeggiato anzi, nell'estetica dell'antichità, sopra quello fondamentale di indagarne la natura e l'essenza. E mentre Platone. era giunto ad escludere la poesia dal suo piano di ideale educazione dell'uomo, Aristotele aveva affermato invece che l'arte purifica gli affetti dell'animo, sottraendoli all'atmosfera di passione che li circonda nella realtà e sollevandoli su un piano di serena .contemplazione (catarsi); e altri avevano supposto che l'arte fosse indirizzata a produrre piacere (estetica edonistica), e piacere tahto pi6 alto e nobile quando della bellezza verbale si valesse a diffondere verità dottrinali e elevate esortazioni morali ( estetica pedagogica): talché Lucrezio, dettando il suo poema filosofico, s'era proposto di fare come i medici, che, quando voglion somministrare ai fanciulli medicine amare, cospargono prima gli orli del vaso di dolce miele (De rerum natura, I 935-47), e Orazio aveva scritto che i « poeti si propongono di recare giovamento ovvero diletto », senonché « omne tulit punctum qui miscuit utile dulci » (Ars poetica, 333-343). Il problema dei rapporti fra l'arte eia morale, cui il nascente cristianesimo (con la sua profonda rivoluzione nel campo delle coscienze) aveva dato nuovo rilievo ed impulso, doveva far prevalere sopra tutte le altre nel medioevo la dottrina
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4.
L'ESTETICA, LA POETICA E LA POESIA
della poesia come strumento di educazione intellettuale ed etica, e cioè la dottrina moralistica e pedagogica dell'arte. La quale, mentre offriva una giustificazione alle nuove letterature cristiane e un'arma di difesa contro gli arcigni negatori della poesia, porgeva anche il mezzo di accogliere ed esaltare le grandi opere classiche, amate ed ammirate pur sempre nonostante il loro contenuto pagano. Strumento essenziale della giustificazione dell'arte diventa allora l'interpretazione allegorica, la quale s'affatica a scorgere, oltre il senso letterale delle cose e degli scritti, il significato reale, l'insegnamento profondo di verità e di virtu: strumento anche questo non nuovo e non ignoto ai classici, ma che nel medioevo acquista un'importanza quale non aveva avuto mai prima d'allora. Già il grammatico Donato nel v secolo, aveva attribuito a Virgilio una filosofia recondita. Nel medioevo il grande poeta romano diventa addirittura il maestro esperto di ogni scienza, il « famoso saggio » di cui parla Dante, colui che « sub imagine fabularum totius philosophiae exprimit veritatem » (Giovanni di Salisbury): e già nel VI secolo FULGENZIO compone quel suo bizzarro libro De continentia Virgiliana, nel quale si sforza di scoprire ed esporre le mistiche profondità dell'Eneide, considerandola quasi una rappresentazione simbolica della vita umana, che attraverso gli errori e le esperienze passionali della giovinezza s'avvia al progressivo dominio della sapienza e della virtu. Né cotali interpretazioni allegoriche si applicano solo a Virgilio e agli scrittori classici o del primo medioevo (Lucano, Boezio, ecc.); bensi lo sforzo degli esegeti si rivolge a indagare il contenuto profondo e segreto delle Sacre Scritture; a rintracciare il significato vero dei vocaboli con bizzarre etimologie, sulla scorta di una pseudoscienza codificata in opere famose come quella di ISIDORO DI SIVIGLIA o l'altra, di cui si valse anche Dante, di UGUCCIONE DA P1sA; a scoprire nelle manifestazioni della natura un insegnamento religioso e morale, con i trattati de proprietatibus rerum, de moralitatibus corporum e con gli innumerevoli bestiari, erbari, lapidari, composti appunto a guisa di sussidio all'intendimento simbolico della Bibbia e degli scrittori sacri. Inoltre l'allegoria diventa ideale e canone dell'arte nuova: il contenuto religioso e 0
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I. LE ORIGINI
morale tiranneggia la forma, riducendola a funzione servile, puramente materiale o tecnica; la parola non è piu che segno d'un'idea, la quale soltanto ha importanza; il discorso poetico è veste esteriore di un discorso logico, che il lettore deve scoprire, rivolgendo ad esso soprattutto la propria attenzione. La poesia pertanto, considerata nella sua essenza, è finzione retorica, figura, simbolo, rivestimento bello e dilettoso d'una realtà che le rimane estranea. Sotto questo aspetto allegorico voglion essere considerate nell'intenzione degli scrittori (anche se, come accade, in alcune di esse la forza dell'ispirazione trascese di gran lunga i limiti della dottrina estetica nella quale furon concepite) le opere piu famose della letteratura europea medievale, dal Roman de la Rosf: alla Commedia, fino ai Trionfi. Vero è che una cosl'. netta separazione fra il contenuto e la forma, fra l'idea profonda e il segno esteriore, fra l'insegnamento segreto e la veste letterale, doveva portare a una considerazione speciale della forma in sé, intesa come arte pratica, guidata e regolata da norme intellettuali. Già gli antichi, che l'originalità dell'arte avevan riposto appunto in ispecial modo nella novità ingegnosa della forma, s'eran fermati a costruire, parallelamente alle speculazioni propriamente estetiche, tutta una poetica o retorica, cioè una sistemazione delle leggi che paion regolare i rapporti delle forme verso uno scopo ideale di bellezza: e si capisce che tale retorica e poetica veniva ed esser poi una traduzione in termini pseudo-scientifici delle direttive fondamentali del gusto classico. Cicerone aveva esposte le regole dell'arte oratoria, o prosastica; mostrando come il periodo debba esser considerato come un tutto armonico e simmetrico, musicale pur senza contraffare i ritmi poetici, adorno di clausole, ordinato e costrutto con studiati parallelismi di concetti e di parole; e aveva dissertato intorno al concetto dell' ornatus, inteso non pur come espressione naturalmente elegante di un determinato sistema di idee, ma anche come amplificatio, ornamento estrinseco e sovrapposto. AlI'ornatus, come studio artificioso dei vocaboli, dei tropi e delle figure retoriche, aveva dato grande importanza anche Quintiliano, il quale poi aveva, non diremo introdotto, ma ribadito
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L'ESTETICA, LA i::_oETICA E LA POESIA
-con spmto p1u pedantesco, il concetto dell'arte come imitazione d'una tradizione letteraria già fissata ed illustre, riproduzione di modelli definitivi ed insuperabili. Anche Orazio, che pur nella sua Ars poetica discorre della poesia con animo e gusto di poeta vero, aveva insistito sui mezzi tecnici dell'arte, sul lucidus ordo, che deve esser proprio dei poeti, sull'uso sapiente e abile delle parole. In questi discorsi sulla tecnica dell'arte, dei quali i piu cospicui esempi ci sono offerti dalla letteratura romana, si rispecchiano, oltre l'errore della considerazione intellettualistica, il gusto raffinato e naturalmente elegante degli antichi e il senso aristocratico degli scrittori, che sprezzando il volgo profano tendevano a far dell'arte un dono raro e prezioso riservato ai piu intelligenti e ai piu colti. Nel medioevo il gusto si trasforma, facendosi piu sottile e raziocinante e giungendo spesso a confondere il bello col difficile, l'arte schietta ·con l'artificio; rimane e s'accresce l'atteggiamento intellettualistico, che adegua l'arte alla tecnica e a una sorta di pratica meccanica; e rimane anche, nei letterati, l'orgoglio aristocratico e chiuso della loro professione accompagnato dal disprezzo della gente volgare. Le norme retoriche, che presso gli antichi avevano serbato piu a lungo il loro carattere naturale di suggerimenti e consigli, si trasformano in regole fisse e minutamente elaborate, nell'atmosfera di una cultura che rifiuta la semplicità e apprezza tanto piu l'artificio quanto esso risulta piu faticoso e lo considera tanto piu nobile quanto piu oscuro e difficile ad imitarsi. Non è possibile intendere appieno, nelle loro intenzioni d'arte, i primi tentativi della prosa e della poesia volgare jn Italia, se non li si riconduce a questa atmosfera retorica della cultura latina medievale: una retorica che ama le sottigliezze formali, lo stile fiorito, il linguaggio studiato nella ricerca dei suoni e dei vocaboli; che giunge fin dai tempi piu antichi (con la scuola grammaticale di Tolosa) alla creazione di lingue convenzionali e sibilline; che impone norme faticose e troppo meccaniche, per il nostro gusto moderno, alla prosa e alla poesia; ma nel complesso si giustifica come un bisogno di nobilitare l'espressione artistica, anche a costo di porre un abisso fra le artificiose architetture dello stile e l'ingenuo erompere degli affetti. 25
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Lo stile epistolare e oratorio (che è il genere di letteratura nel quale culmina e trova la sua massima applicazione questo generico atteggiamento del gusto) è oggetto di studi pazienti nelle scuole famose di retorica, dove si elaborano le artes dictandi o summae dictaminum: in Italia prima per opera di ALBERICO DA MONTECASSINO, di ALBERTO SAMARITANO, di UGO DA BOLOGNA, di ALBERTO DI MORRA; poi durante il secolo XII in Francia, dove :fiorirono le scuole di Meung, di Tours e soprattutto quella d'Orléans; e di nuovo nel XIII secolo in Italia, con la celebre scuola bolognese, presso la quale insegnarono BuoNCOMPAGNO DA SIGNA, BENE DA FIRENZE e Gurno FABA di Bologna. E fuor delle scuole lo stile epistolare ed oratorio diventa la pratica delle cancellerie e delle curie, dei giuristi e dei notai, codi:6cato in esempi insigni, quali al principio del medioevo le Variae di Cassiodoro e sull'inizio del Duecento la raccolta delle lettere dettate da PIER DELLA VIGNA, segretario dell'imperatore Federico II, in uno stile artificioso ed enfatico, :fiorito di metafore bizzarre e magniloquenti; e si ripercuote ammirato e imitato nei trattati fìloso:fici, nelle enciclopedie scientifiche, :6n nel caldo ed esuberante linguaggio dei mistici. In questa atmosfera si elaborano i tipi di prosa o stili prosaici, dei quali sopra tutti gli altri quattro ne distinse e predilesse il medioevo, tutti fondati, non già sopra una diversa intonazione del sentimento, bensi sulle particolarità del suono e dell'ornato esteriore. Lo stile tttlliano è quello che piu si avvicina, pur deformandola, ai modi dell'arte latina, fondandosi sulla pseudociceroniana Rhetorica ad Herennium e sul trattato ciceroniano De inventione : esso pretende di rialzare il tono della prosa mediante l'uso ingegnoso delle metafore, delle allegorie, delle perifrasi e in genere delle piu varie e complesse figure di parole e di pensiero. Lo stile isidoriano - che aveva il suo mo~ dello piu cospicuo nei Soliloquia di Isidoro di Siviglia - è una vera e propria prosa rimata, nella quale gli elementi del periodo si dispongono, ordinandosi in clausole o membri legati fra loro dalla rima o dalla assonanza, ovvero richiamati l'uno dall'altro alla stregua di un parallelismo affatto meccanico dei concetti: di una siffatta tecnica non è difficile scorgere traccia negli scrittori
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della latinità decadente, per es. in sant'Agostino; ma nel medioevo essa assume un'importanza e una diffusione preponderanti; piu o meno piene di assonanze, di rime, di allitterazioni, di bisticci o di giochi di parole, di studiate serie di sinonimi son le prose dei teologi, dei filosofi, dei predicatori, dei mistici, da sant' Anselmo a san Tommaso, da Ugo di San Vittore a san Bonaventura, da Pier Damiani a san Bernardo ad Antonio da Padova: distaccato dalla serietà e dalla passione del contenuto, elaborato astrattamente in una sfera di ideale perfezione, lo stile di queste prose sembra talora crescere su sé stesso e caprioleggiare vanamente, guidato, piuttosto che dal ritmo logico del pensiero, da quello tutto esteriore e musicale che appaga soltanto l'orecchio. Meno usato, forse per la sua maggiore difficoltà, pure assai ammirato era lo stile ilariano (cosi detto da un inno che si attribuiva a Ilario di Poitiers), nel quale il periodo era formato di tanti membri costituiti ciascuno di due spondei e mezzo e di una parola proparossitona (cosi da dare a' nostri orecchi l'impressione di una serie di settenari) e si chiudeva con un quadrisillabo parossitono 1 • Ma il piu famoso dei quattro era lo stile romano, nato nelle cancellerie papali e diffuso poi ovunque nelle scritture medievali, dalle epistole ufficiali alle prediche, alle preghiere, ai trattati: si fondava sull'uso del cursus, e cioè di una studiata cadenza metrica ritornante nel seno e specie in fine di ciascun periodo Natu2
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1 A quel modo che si può vedere in un es\!mpio riferito nella Poetria di Giovanni di Garlandia: « Cum essem in itinere, I tendens ad vestram sfnodum, I caput meum infirmitas I oppressit ita subito, I quod despero resurgere I portumque vitae tangere, I nisi Dei cleméntia I me visitare marcidum I condignetur ». 2 Di cursus si distinguevano tre tipi principali: il planus, formato da un polisillabo piano e da un trisillabo piano (es.: « affectuose deposco »); il tardus, risultante di un polisillabo piano seguito da un quadrisillabo sdrucciolo (es.: « fluctuantem apéruit »); e il velox, preferito sopra tutti gli altri, e composto di un polisillabo sdrucciolo e di un quadrisillabo piano (es.: « elfgere malufatis »). Abbiamo usato la parola cursus nel senso ormai stabilito da una lunga tradizione critica; sebbene di recente Pio Rajna abbia dimostrato che i trattatisti medievali con quel vocabolo si riferivano alla disposizione studiata e obbediente a norme speciali di tutto un periodo, e non soltanto alla legge ritmica delle parole finali di ogni periodo o membro di periodo, cui meglio si addirebbero se mai le designazioni di cadenza o di clausola.
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ORIGINI
ralmente nelle scritture i quattro stili non sono sempre distinti fra loro: bensf agli elementi ritmici dell'isidoriano e del romano si mescolano i colori retorici del tulliano, riuscendo al risultato di una prosa complicatissima e spesso oscura, ma sempre frondosa e adorna 1 • Né minore importanza ha il proposito dell'arte difficile, aristocratica, regolata da rigide norme retoriche, nel campo della poesia medievale. Domina in esso anzitutto, come anche in quello della prosa, il principio fondamentale dell'imitazione dei modelli consacrati; donde il gusto d'inserire versi interi di Virgilio o di Stazio nelle scritture nuove o di comporre centoni contesti di emistichi e di versi classici. Vi penetra il gusto della sottigliezza pedantesca, degli acrostici, dei carmina alphabetica; l'amore dello stile metaforico, dell'espressione che per esser magniloquente riesce contorta, dei giochi di parole, delle antitesi, delle allitterazioni, delle corrispondenze e dei parallelismi voluti di suoni e di concetti. Al principio del xm secolo un inglese vissuto a lungo in Italia, imbevuto di scienza italiana e professore a Bologna, GOFFREDO DI VINESAUF, raccoglieva, quasi novello Orazio, le norme e le tendenze del gusto contemporaneo nella sua Poetria nova, dove si insegna come la materia rozza possa esser trasfigurata dall'ornato, e come dall'espressione semplice, ma comune, si risalga a quella metaforica veramente efficace, e come le idee 1 « Ufficio del buon dettatore», insegna Buonçompagno, « è appunto di adornare con un elegante latino e mediante l'uso del cursus la materia greggia che gli viene offerta o che egli stesso ritrova». E Gumo FABA dimostra, nella Summa dictaminis, in qual modo debba intendersi questa funzione dell'ad0rnare. Un tale che volesse, nell'occasione di un processo, ottenere, mediante l'intercessione di un amico potente, lettere favorevoli dal papa, si esprimerebbe comunemente parlando cosi: « Ego rogo dominationem vestram, de qua multum confido, ut dignemini mihi adiutorium vestrum dare, ita quod in tali causa, quam habeo cum Petro, passim habere litteras a domino papa». Senonché questa è espressione grezza e grossolana, che potrà essere adattata cosi in un discorso piu eloquente ed elaborato: « Dominationem vestram, de qua gero fiduciam pleni6rem (cursus velox), humili prece rogito incessanter (c. velox), quod mihi vestrae liberalitatis et gratiae (c. tardus) taliter dignemini subsidium impartfre (c. velox), quod in tali causa, vestra poténtia faciénte (c. velox), litteras apost6licas impetrare (c. velox) valeam et habére (c. velox) ». Di Guido Faba vedremo anche l'importanza nella storia delle origini di una prosa d'arte in volgare italiano.
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e le fantasie acqmstmo valore mediante l'uso sapiente dell' amplificatio, per cui ogni concetto si presenta in piu formule, sempre il medesimo e pur sempre nuovo, e ciascuna cosa è indicata non col suo povero nome si con ampia e suggestiva perifrasi, e una breve materia s'avvolge per sinuose ambagi in un lungo discorso. E mentre s'affievolisce, tranne nei piu colti, il senso delle quantità metriche, che avevan regolato l'armonia degli antichi poemi, e si sostituisce ad esso quello piu facile e diffuso (e destinato a prevalere nelle letterature romanze) del ritmo, determinato dal numero delle sillabe e dagli accenti, penetra, come nella prosa cosi anche nella poesia, l'uso della rima, che i classici avevano usato di rado e soltanto per ottenere determinati effetti di musica e di stile: e la rima, che poi doveva aver tanta parte nella nuova poesia in volgare, è dapprima anch'essa soltanto un ornamento, un artificio che si aggiunge agli altri di suono o di concetto già elencati. Tratteggiando qui brevemente le linee fondamentali d'un det~rminato atteggiamento del gusto e della cultura, quali si vennero foggiando nei secoli del medioevo, e mettendone in rilievo i presupposti di arte dotta e nobile, le velleità retoriche, i pregiudizi stilistici e gli spiriti artificiosi e complicati, s'è voluto soltanto preparar le basi a una piu attenta e precisa comprensione delle opere letterarie dei primi secoli. Erroneo sarebbe invece dedurne un giudizio negativo della letteratura medievale, considerata alla stregua d'una vacua e faticosa esercitazione retorica. Il gusto letterario di tutti i secoli contiene in sé, quando lo si consideri astrattamente e lo si esamini nelle sue intenzioni e teorie ovvero negli esempi che a quelle piu direttamente e pedissequamente si conformano, una somma piu o meno grande. di norme retoriche, di regole, di restrizioni, di canoni tutti piu o meno arbitrari ed assurdi; per il resto, in quanto esso forma un sostrato intellettuale, uno schema, una linea tecnica, sulla scorta della quale s'elaborano storicamente determinate le singole opere letterarie, dev'esser considerato alla stregua di un atteggiamento generico, di una tendenza, che nelle opere appunto di arte o di 29
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dottrina è al tempo stesso accolta e superata, assorbita e trasfigurata nel fuoco di un sentimento o di un pensiero originale. E per questo riguardo anche il gusto medievale, pur cosi rigido e dogmatico, non segna un'eccezione rispetto alla legge generale. Le grandi opere dottrinali del medioevo, pur attenendosi a quegli schemi e attuandosi per quel che riguarda le forme del linguaggio secondo quelle sottili e complicate regole stilistiche, non perdono nulla della loro importanza teorica e del loro significato storico. La prosa di san Tommaso, ossequente talora alle leggi del cursus e non aliena dagli artifici dello stile isidoriano, non è meno perciò lo specchio lucido e preciso d'un profondo pensiero filosofico. Lo stile dei mistici, composto in un linguaggio arditamente metaforico, ricco di bisticci, d' allitterazioni, di compiaciuti parallelismi, resta pur sempre l'espressione fervida e calda d'un sentimento sincero. La scrittura stessa, cosi lontana dai nostri gusti di oggi, degli epistolografi ha assolto, nei tempi suoi, ad un ufficio necessario: quello di dar decoro e solennità d'eloquio alle orazioni, agli atti ufficiali e alle conversazioni diplomatiche. Alla stessa maniera, nel campo delle scritture in versi, accanto a quelli che son puri esercizi retorici e talora assai insipidi, si osservano in tutti i secoli del medioevo latino opere che, pure non uscendo fuori dei confini di quel gusto poetico con i suoi amori e i suoi pregiudizi, son notevoli per ricchezza di sentimento o di pensiero, o per decoro ed eleganza di espressione, o magari per piu alti e rari pregi di autentica poesia. Gli avvenimenti politici contemporanei ispirano verseggiatori, per lo piu chierici o grammatici o notai, infondendo nei loro scritti col fervore della passione partigiana il senso delle alterne vicende storiche, dei contrasti e delle ambizioni umane: e ne derivano molti poemi di contenuto storico o cronistico, fra i quali, per ricordar solo quelli composti da italiani, citeremo il Panegyrictts Berengarii imperatoris, scritto nel x secolo da un ignoto, che si sforza di adeguare nei suoi esametri i modelli classici; le Gesta Roberti Wiscardz dettate anch'esse in esametri al principio del xn secolo da GuGLIELMO PUGLIESE; il Liber maiolichinus, nel quale un chierico
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pisano narra, ispirandosi a Virgilio, la conquista delle Baleari compiuta dai suoi concittadini nel 1115; il De rebus Siculis carmen composto alla fine di quello stesso secolo da PIETRO DI ANSOLINO DA EBoLI, quadro vivace colorito e appassionato delle lotte di Arrigo VI di Svevia contro Tancredi principe normanno. Qualche volta, abbandonando il tono paludato della tradizione classicheggiante, e atteggiandosi nei piu facili e fluidi schemi della nuova poesia ritmica, il verso latino si fa voce di esaltazione e di entusiasmo, di satira e di polemica, specchio immediato e fremente degli eventi in atto e delle passioni che li accompagnano: cosi nel bel canto che un ignoto poeta indirizzava nell'882 alle scolte modenesi, perché vigilassero armate sugli spalti e non si lasciassero prender di sorpresa dalle astuzie nemiche, incuorandole con gli esempi di Troia e di Roma ed esortandole ad esaltare nella veglia colle canzoni la loro gioventu vigorosa e ardita; cosi nei tre canti pieni di vigore e di affetto patriottico, che inneggiano alla vittoria dei Guelfi di Parma su Federico II nel 1248, e nella fiera invettiva lanciata in quel torno di tempo da un anonimo ghibellino contro i nemici dell'impero, gente di chiesa e cittadini di comuni. Ritmi agilissimi e intonati con bella vivacità, soprattutto in Francia, in Germania e in Inghilterra - ma non ignoti neppure in Italia, sebbene in un periodo piu tardo - cantano la vita libera spensierata e dissipata dei goliardi o chierici vaganti, trasformati in giullari, ne espongono la facile e borghese filosofia rivolta al godimento e agli spassi, ci trasportano nell'ambiente delle taverne, dove l'esistenza trascorre fra gli amori, il gioco e l'ebbrezza, irridendo agli ideali ascetici e smascherando la corruzione dei costumi ecclesiastici. E intanto, parallela e contrastante a questa corrente -di affetti giocondi e terreni, si svolge la ricca fioritura degli inni religiosi, taluni dei quali aridi e dogmatici, ma molti invece densi di pensiero o ardenti di sentimento mistico, da quelli piu classicamente atteggiati e sapienti di VENANZIO FORTUNATO fiorito sullo scorcio del VI e nei primi del vn secolo, e di PAOLINO n'AQUILEIA, vissuto nel secolo VIII, fino al Pange lingua, al Dies irae, allo Stabat mater, espressioni del sentimento religioso e cospicui documenti di poesia com-
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posti nel secolo XIII. Il primo di questi tre inni, attribuito a Tommaso d'Aquino, è un fervido canto di mistico amore; il secondo, attribuito al minorita Tommaso da Celano, biografo di san Francesco, riprende il motivo, frequente nell'innografia cristiana, del giudizio universale, e trasfonde in esso, con personalità d'immagini e di fantasia, il fremito dell'umano terrore di fronte alla morte e all'inesorabile sentenza di Dio; il terzo, di cui si considera autore (sebbene con scarso fondamento) Jacopone da Todi, descrive in alcune strofe mirabilmente plastiche il dolore della Vergine di fronte alla passione di Cristo, e dalla rappresentazione dell'angoscia di Maria assurge al palpito di un vasto dolore umano, trasfigurandosi in una solenne commossa invocazione alla misericordia di Dio. La poesia, che, nei ritmi goliardici, nei canti e nelle invettive politiche, negli inni religiosi, è espressione di sentimenti collettivi, semplici e largamente diffusi, canto corale, nel quale tutta una classe di persone, tutta una città od un popolo, ovvero l'intera cristianità credente si riconosce e si rispecchia, diventa talora, sebbene piu di rado, voce di un'anima singola, sfogo di un'esperienza solitaria, e cioè piu propriamente e immediatamente lirica. Esempio cospicuo l'elegia De diversitate Fortunae et Philosophiae consolatione, che, composta intorno al 1193 dal toscano ARRIGO DA SETTIMELLO, ci richiama all'opera famosa di Boezio, iniziatrice e maestra di tutta la cultura medievale. Sull'opera di Boezio è ricalcata appunto la finzione, con la quale l'autore immagina che gli appaiano, in veste di donna, la Fortuna che egli rimprovera per le sue ingiuste e aspre persecuzioni, e la Filosofia che lo conforta a sopportarle stoicamente e cristianamente. Ma, laddove lo scritto del filosofo romano ha un valore prevalentemente logico, se pur non scevro d'umanità, l'elegia di Arrigo è soprattutto sentimentale e lirica, tutta impregnata di passioni e di rancori, di inquietudini e di aspirazioni soggettive, e s'effonde in uno stile rotto e commosso, vivace e immaginoso, pieno di freschezza e di spontaneità. Il poemetto ebbe grande fortuna per tutto il medioevo, penetrò financo nelle scuole, dove fu oggetto di studio e di commenti, e nel Trecento fu ridotto in bel volgare da un anonimo col titolo di Arrighetto. 32
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BIBLIOGRAFIA G. SAINTSBURY, A History of Criticism and Literary Taste in Europe from the Earliest Texts to tbe Present Day, I, Londra 1900, pp. 369-486; D. CoMPARETTI, Virgilio nel medioevo, Firenze 1896, (nuova ediz. a c. di G. Pasquali, ivi 1957); H. DE BRUYNE, L'esthétique du moyen age, Lovanio 1941; E. R. CuRTIUS, Europaische Literatur und lateinisches Mittelalter, Berna 1948 ( trad. spagnola, Messico 1955); S. BALDWIN, Medieval Rhetoric and Poetic, New York 1928. - F. Dr CAPUA, Lo stile isidoriano nella retorica medievale e in Dante, in Studi in onore di F. Torraca, Napoli 1922; Appunti sul cursus o ritmo prosaico nelle opere latine di Dante, Castellamare di Stabia 1919; Artes dictaminum, in « Enciclopedia Italiana», IV, 674 ss.; Il ritmo prosaico nelle lettere dei papi e nei documenti della cancelleria romana dal IV al XIV secolo, Roma 1937-46; K. PoLHEIM, Die lateinische Reimprosa, Berlino 1925; A. MAR!GO, Il cursus nella prosa latina dalle origini cristiane ai tempi di Dante, Padova 1934; E. R. CuRTIUS, Die Lehre van den drei Stilen in Altertum und Mittelalter, in « Romanische Forschungen », LXIV, 1952. - E. FARAL, Les Arts poétiques du XII et du XIII siècle, Parigi 1923. - C. H. HASKINS, The Early Artes dictandi, in Studies in Medieval Culture, Oxford 1929; A. ScHIAFFINI, Tradizione e poesia nella prosa d'arte italiana dalla latinità medievale a G. Boccaccio, Roma 194.3 2 • - F. NovATI, Pier della Vigna, in Freschi e minii del Dugenta, Milano 1925. - Anche per i testi ricordati in questo paragrafo si può ricorrere utilmente all'antologia Le Origini, già citata nel paragrafo precedente. I Gesta di Guglielmo Pugliese sono editi da R. WILMANS, in M. G. H., Hannover 1951; il Carmen di Pietro da Eboli è pubblicato da E. RoTA, in R. I. S., XXXI, Città di Castello 1904; il Liber maiolichinus, da C. CALISSE, in F. I. S., XXIX; il canto delle scolte modenesi, da A. RoNCAGLIA, in « Cultura neolatina », VIII, 1948. - Carmina burana, Breslavia 1883; G. MoNE, Hymmi Latini medii aevi, Friburgo 1852-55; DREVES e BLUME, Analecta hymnica medii aevi, Lipsia 1886 ss.; G. VECCHI, Poesia latina medievale, Parma 1952. Cfr. F. J. E. RABY, A History o} Christian - Latin Poetry from the Beginnings to the Close of the Middle Ages, Oxford 1953; A History of Secular Latin Poetry in the Middle Ages, iv1 1934. Enrico da Settimello, Elegia, a c. di G. CREMASCHI, Bergamo 1949. Cfr. F. ToRRACA, L'elegia di Arrigo da Settimello, in Scritti vari, Roma 1928; G. CREMASCHI, Arrigo da Settime/lo e la sua Elegia, in « Atti dell'Istituto Veneto», CVIII, 1949-50, pp. 177-206; S. BATTAGLIA, introduzione alla ristampa di Il Boezio e l'Arrighetto nelle versioni del Trecento, Torino 1929.
5. Le letterature romanze d'_oltralpe e la letteratura italiana. Quando sorsero in Italia le prime voci poetiche in volgare, già da gran tempo ormai fioriva nei paesi d'oltralpe una vita letteraria ricca di modelli squisiti per sapienza d'arte o cospicui per intensità di sentimento, e tutti destinati ad esercitare un influsso largo e profondo sulla nostra letteratura e piu in generale sulla nostra cultura. Non sarà inopportuno pertanto discorrerne qui, sia 33
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pure per rapidi e sommari cenni. Fin dal secolo XII, e piu probabilmente dalla fine del secolo precedente, s'eran divulgate nel nord della Francia le chansons de geste, poemi epici animati da un profondo interesse religioso, nati sulle vie dei grandi pellegrinaggi medievali, nelle chiese nei conventi negli ospizi, che dalla celebrazione delle glorie piu o meno leggendarie di un eroe famoso traevano motivo di vanto e materia opportuna a richiamare l'affuenza e la generosità dei devoti. Le canzoni esaltavano le imprese favolose di Carlo Magno e dei suoi paladini contro i saraceni, a difesa della « dolce Francia »; e, sorte e diffuse nell'età dell~ crociate, quando parevano ritradursi nella realtà e nelle aspirazioni di tutti gli alti e gravi spiriti nazionali e cristiani, che le animavano, esse vibrano dei sentimenti piu semplici e fondamentali dell'animo umano - l'amor di patria, la fede - e sono pervase da un profondo spirito epico, che le atteggia in forme solenni e grandiose, dove non quella di un uomo singolo, si la voce di tutto un popolo pare alzarsi a cantare. In realtà, come abbiam visto, le canzoni di gesta non si possono far risalire, come un tempo si credette, alle sorgenti stesse della civiltà nazionale francese; anzi sono di formazione relativamente recente; né esse sono il frutto d'una faticosa lunga anonima compilazione, si invece l'opera unitaria e coerente, se pur piu o meno originale e soffusa di poesia, di singoli scrittori, non alieni spesso da certa coscienza ed esperienza d'arte. Tra le canzoni di gesta primeggia quella che un ignoto poeta (si chiamava forse TUROLDO) scrisse nei primissimi anni del secolo XII, in serie o lasse monorime di decasillabi francesi, la Chanson de Roland, nella quale una breve e fortunosa impresa in Spagna di Carlo Magno, giovane ancora e non ancora imperatore, è trasfigurata epicamente nella lotta di tutte le genti cristiane raccolte intorno al vecchio sovrano contro il re saraceno Marsilio; e un oscuro episodio storico - la sconfitta toccata alla retroguardia dell'esercito franco pn opera dei montanari baschi, nelle gole dei Pirenei - si tramuta nella splendida ed eroica ·visione dell'ultima formidabile resistenza e della morte di Rolando a Roncisvalle. L'autore della Chanson ha rivissuto la materia, che gli veniva offerta dalle leggende piu antiche, con animo commosso 34
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LE LETTERATURE ROMANZE
e fervido e ha creato cosi un'opera di schietta e potente poesia: l'amore della dolce Francia, per la grandezza e la gloria della quale gli eroi di Carlo vanno sereni incontro alla morte; la fede semplice e sicura, che li trascina al martirio e offre loro l'ultimo conforto; le forti amicizie dei prodi; l'insorgere della coscienza contro l'attività ambigua e scaltra dei traditori; e soprattutto l'ammirazione delle grandi gesta, vigorose nella forza e nella destrezza degli atti fisici in cui s'esprimono, eroiche nella semplicità e risolutezza degli affetti che le ispirano; tutto ciò rivive nei versi di Turoldo, che a taluno son sembrati di rozza e primitiva fattura e rivelano invece un'innata e mirabile potenza artistica, nelle figurazioni singole limpide concluse smaglianti, e nel disegno ampio e sobrio che tutte le ricongiunge in un ritmo continuo concitato e denso. Accanto all'epopea carolingia, fioriva nel nord della Francia fin dal xn secolo il ciclo delle leggende brettoni, relative alle gesta di re Artu e dei suoi cavalieri. Un chierico colto e ricco di fantasia, GOFFREDO nr MoNMOUTH, dedicava nel 1135 a Roberto duca di Gloucester la sua Historia regum Britanniae, compilazione romanzesca di prodigiose avventure di coraggio, d'amore e di magia. Dall'Historia, tradotta in francese da WASE vent'anni piu tardi, rampollava nella seconda metà del XII secolo una ricca messe di romanzi profondamente diversi, nel motivo che li ispira e nella condotta del racconto, dalle canzoni di gesta. Non l'amore della patria né il profondo affetto religioso dominano in essi; sf uno spirito d'avventure che li avvolge di un fascino di mistero; e, quanto all'ammirazione delle gesta eroiche, essa perdura sf, ma attenuata, svuotata dei nobili ideali che la pervadevano, stravolta in un amor del prodigioso e del fantastico. Gli eroi brettoni non combattono per il loro re e la loro fede, sf per desiderio di gloria, per umore bizzarro e avventuroso, per acquistar merito presso la donna amata: invero l'amore, escluso nella sua natura appassionata e individuale dalle canzoni di gesta, diventa il centro ispiratore, la sostanza profonda e fertilissima di motivi di questa letteratura romanzesca, nella quale trovano sfogo poetico i sentimenti raffinati e delicati, gli spiriti aristocratici e sensibili, gli 3. ·
SAPEGNO,
Compendio di storia della lett. il.
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LE ORIGINI
ideali morali e le aspirazioni fantastiche della società piu elevata e gentile del tempo. Storie d'amore e sottili rappresentazioni di vita psicologica sono appunto i piu famosi poemi del ciclo brettone, da quelli di CHRÉTIEN DE TROYES ai racconti su Tristano dell'anglo-normanno THOMAS e di BÉRUL, composti tutti nella seconda metà del xu secolo; né è molto diversa la natura dei romanzi in prosa, che piu tardi da quei poemi derivarono, diffon· dendosi rapidamente in tutta l'Europa occidentale'. Assai presto l'epopea carolingia e le leggende brettoni penetrarono anche nella nostra penisola, non soltanto perché i giullari, accorrendo numerosi dovunque in occasione di fiere e di pellegrinaggi si raccogliesse gran folla, le trasportarono anche nelle nostre terre, si anche, e assai piu perché rispondevano a sentimenti e gusti diffusi nelle popolazioni italiche, come in tutto il mondo romano-germanico: l'amore del romanzesco, dello straordinario, del meraviglioso, e l'ammirazione dei grandi atti ispirati da nobili ideali e rivolti ad un fine eroico. E mentre le canzoni di gesta si divulgavano, nelle loro versioni originali e in molteplici rifacimenti piu o meno liberi, soprattutto tra le classi popolari, i racconti brettoni diventavano invece la lettura preferita degli ambienti aristocratici e feudali. La « materia di Brettagna >>, raccolta in grossi ed eleganti manoscritti, venne ad arricchire le biblioteche che furon poi degli Estensi e dei Gonzaga; RusTicHELLO DA PISA, intorno al 1270, ne trasse, in parte seguendo assai da vicino gli originali in parte modificandoli e abbreviandoli, una grossa compilazione scritta in una lingua francese abbastanza regolare e schietta; nello stesso secolo fu volgarizzato con senso d'arte e in bella lingua toscana il romanzo di Tristano (nella versione che oggi si conserva in un codice della Riccardiana di Firenze); e altri rifacimenti o traduzioni di leggende brettoni (come la Tavola Ro' Della seconda metà del xn secolo e non senza rapporti con la letteratura cavalleresca brettone è il trattato De· amore di ANDREA CAPPELLANO: codificazione delle indagini e delle discussioni intorno al!' amore, alla sua essenza, alla sua precettistica, ai modi di conquistarlo e farlo progredire. Il trattato, assai conosciuto e diffuso anche in Italia, mentre si riattacca alla lunga tradizione psicologica medievale, preannuncia, prepara e indirizza la copiosa letteratura delle questioni d'amore, cosi frequenti nella poesia d'arte provenzale e italiana.
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LE LETTERATURE ROMANZE
tonda, la Storia di Merlino, ecc.) si continuarono a compilare nel secolo seguente. Intanto lo spirito epico delle canzoni di gesta esercitava, come s'è detto, in mezzo alla gente del popolo un fascino analogo, ma forse piu immediato e piu intenso, e dava origine al sorgere di quella letteratura cavalleresca, che si suol denominare dagli studiosi franco-veneta o franco-italiana, perché gli scrittori che la rappresentano, trascrivendo e rielaborando i testi originali con una conoscenza non sempre perfetta della lingua francese, a poco a poco la deformano, inquinandola di elementi dialettali nostrani, finché giungono ad usare una sorta di ibrido idioma, che è un vero travestimento francese dell'antico linguaggio veneto. Un ampio tesoro di cotesta letteratura cavalleresca ci conservano i manoscritti della Biblioteca Marciana di Venezia, dove si leggon le storie di Buovo d'Antona, di Berta madre di Carlo Magno, della giovinezza di Carlo, di Uggieri il Danese,. di Macario. Piu originali nella fattura, piu garbati e composti con maggior spirito d'arte, e dettati in un linguaggio francese piu regolare e sicuro, son due poemi entrambi del tardo secolo XIV: l'Entrée d'Espagne di un ignoto padovano, MINoccmo, e la Prise de Pampelune del suo continuatore N1cc0Lò DA VERONA. Parallela alla trasformazione linguistica (che si continua nei rifacimenti posteriori, in prosa o in versi ormai schiettamente italiani, nel XIV e xv secolo: il Buovo di Antona, il Rinaldo, l'Aspromonte, la Spagna, ecc.) si svolge la trasformazione della materia, che assume atteggiamenti e caratteri nuovi, che si arricchisce di nuovi personaggi e di nuovi episodi e prende insomma un'impronta alquanto diversa da quella originaria. Rolando, o meglio Orlando, diventa un cavaliere italiano, il senatore di Roma e il gonfaloniere di santa chiesa; fra gli eroi carolingi s'insinuano guerrieri lombardi; in Carlo si vede non tanto il sovrano dei Franchi quanto il restauratore dell'impero. E a poco a poco si perde la netta distinzione fra la materia di Brettagna e quella di Francia; gli spiriti cavallereschi, le peripezie psicologiche, il gusto delle avventure, l'atmosfera amorosa e passionale, magica e fantasiosa dei romanzi arturiani penetrano lentamente a disgregare il severo edificio dell'epopea carolingia; i paladini di re Carlo, campioni 37
I. LE ORIGINI
della patria e della fede, si ti"asformano spesso in cavalieri erranti in cerca di gloria, collocati in un ambiente meno rigido e solenne, piu vario, piu fastoso, piu ricco di umane e fragili passioni. S'inizia cosi quella fusione dei due cicli, che piu tardi doveva aver sigillo poetico dall'arte di un Boiardo e di un Ariosto: sebbene l'intonazione di epica serietà, che ancora avvolge nei primi secoli queste storie e le compenetra nella mente degli autori e degli uditori e lettori, sia pur sempre assai lontana dalla diversa serietà, meno eroica e piu umana, meno schietta ma piu sottile e complessa, che quella stessa materia, trasfigurata, riceverà per opera dei nostri grandi poeti del Rinascimento. Né l'influsso della letteratura francese sulle origini della nostra può esser limitato alla materia epica e cavalleresca. Affini a quest'ultima vennero a noi per la via di Francia quelle bizzarre trasformazioni della storia antica, cosi caratteristiche della civiltà del medioevo, nelle quali gli eroi troiani greci e tebani, da Enea ad Alessandro Magno, da Ettore a Cesare, appaiono in figura di re e cavalieri del mondo cristiano, vaghi anch'essi d'avventure e d'amori e viventi in un'atmosfera, tra costumanze e abitudini, che non han piu nulla di classico, bensi s'adeguano a quelle della nuova società cortese. Sulla traccia delle elaborazioni romanzesche, compilate nei tardi secoli della decadenza, ovvero dei poemi di Virgilio Lucano e Stazio, eran sorte e si eran diffuse in Francia compilazioni quali il Roman de Thèbes, il Roman d'Enéas, i Faits des Romains, i Faits de César, il Roman de Troie (di BENOÌT DE SAINTE MoRE, vissuto nel xn secolo), l'Alexandre, ecc.; e da queste fonti, piu spesso che non direttamente dai testi latini, trassero la materia le opere di consimile argomento composte fra noi, nel xm secolo e agli inizi del seguente, come l'Historia destructionis Troiae compiuta nel 1287 da Gurno DELLE COLONNE, e la piu tarda Istorietta troiana; i Fatti dei Romani e i Fatti di Cesare; i cantari di materia tebana; e cosi pure da quegli esempi trassero impulso l'anonimo fantasioso autore delle Enfances Hector, in lingua franco-veneta, e il già ricordato NICCOLÒ DA VERONA, che dettò la Pharsale, rimaneggiamento francese del noto poema di Lucano. 38
5. LE LETTERATURE ROMANZE Dalla Francia inoltre vennero a noi i maggiori modelli ai _ poemi d'indole didascalica e allegorica: genere letterario cosi alieno dai nostri gusti di oggi, ma cosi radicato, come s'è detto, nelle concezioni morali e negli spiriti retorici della civiltà medievale. In Francia era stato composto nel xn secolo il maggior poema allegorico-didattico della letteratura medievale latina, l' Anticlaudianus di ALANO DA LILLA (m. 1202) grandiosa architettura simbolica sulla genesi dell'anima umana; e là pure, nel secolo seguente, il famosissimo Roman de la Rose, che, nelle due parti composte successivamente da GmLT.ÀUME DE LORRIS e da JEAN DE MEuN, tratteggia con grande abbondanza di simboli e di ardite personificazioni le varie e drammatiche vicende dell'amore. L'influsso di quest'ultimo soprattutto è sensibile nei piu antichi esempi della letteratura didattica e allegorica in volgare italiana; e veri e propri volgarizzamenti o rifacimenti del Roman sono, da noi, il Fiore, ordinato in sonetti dal fiorentino DURANTE (nel quale taluno ha voluto identificare nientemeno che Dante Alighieri) sulla fine del xm secolo, e il frammentario Detto d'Amore, i quali per altro trasformano originalmente la materia del poema francese, trattandola (specie il primo) con squisito senso d'arte, tralasciandone le fastidiose digressioni scientifiche e teologiche, insistendo sugli elementi sensuali e sugli spunti di satira della società e dei costumi, e qua e là abbreviando o rinnovando, talora arricchendo lo spirito allegro arguto e fantastico dell'originale. Non dovevano infine essere ignote in Italia altre opere della letteratura francese, quali i leggiadri roman;zi di Floire et Blanchefieur, di Parténopeus de Blois, della Chatelaine de Vergi ecc., che ridotti in ottave volgari fra il XIV e il xv secolo furon recitati alle folle cittadine dai cantastorie; e le allegre storielle in versi, conosciute col nome di fablèaux, che porsero materia ai nostri novellatori; e ancora quell'arguta compilazione che è il Roman de Renard, nella quale sotto la veste fiabesca delle avventure attribuite al lupo e alla volpe si nasconde un fresco e malizioso spirito di satira e di parodia: del Renard ci è pervenuto, in due redazioni distinte, un rifacimento veneziano con poche coloriture francesi,
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L LE ORIGINI
il Rainardo e Isengrino, derivato a sua volta probabilmente da un esemplare franco-veneto. Piu importante, sebbene si svolga in un campo piu limitato e chiuso, è l'influsso esercitato in Italia dalla lirica d'arte francese e piu (se non esclusivamente) da quella provenzale, influsso che si ricollega direttamente con le origini della nostra poesia dotta, dalla scuola siciliana al « dolce stil novo ». I dialetti sorti dallo svolgimento del latino parlato nel territorio dell'antica Gallia posson dividersi in due grandi famiglie, a ciascuna delle quali corrisponde nel medioevo una lingua letteraria determinata: nelle regioni del nord la lingua francese, detta anche dalla sua particella d'affermazione lingua d' oil; nelle regioni del sud la provenzale o lingua d' oc. Della letteratura in lingua francese già s'è detto, se pure sommariamente. Dovremo ora invece dedicare qualche periodo a illustrare i caratteri essenziali della lirica occitanica, i quali dovevan piu tardi lasciare un'impronta cosi forte e durevole sui nostri poeti del Due e del Trecento. Sorta in mezzo a una società aristocratica e raffinata, in un ambiente di costumi cortesi. e liberali e di elevata cultura, la letteratura provenzale si espresse in forme liriche, nelle quali è ben presto evidente un proposito d'arte squisito e sottile, e dove non di rado l'intelletto ha piu parte che non la fantasia, e la riflessione domina e tiene a freno (quando addirittura non sostituisce) il sentimento. Sebbene si volgesse talora a trattare materia politica, satirica, morale, è essenzialmente lirica d'amore; e a rappresentare le vicende d'amore si vale d'una folla di schemi psicologici, in parte desunti dalla tradizione speculativa del medioevo, in parte creati a nuovo sulla falsariga delle usanze mondane di quella società cortese. È un amore, che (qualunque possa esserne la sostanza biografica) si atteggia per lo piu a guisa di platonico servizio e di omaggio del cavaliere alla dama, rappresentata a guisa di signore feudale, creatura altissima e bellissima, fonte di grazia e di virtu. Queste relazioni regolate da una sorta di minuzioso cerimoniale si svolgono sullo sfondo di un paesaggio idealizzato di boschetti e di prati fioriti, dove mormorano ruscelli e fontane e gli usignoli modulano soavi lamenti. Presa nell'insieme (e prescindendo dalle personalità piu 40
5.
LE LETTERATURE ROMANZE
vigorose e risentite) la materia di questi canti è monotona, spesso soffocata dalla riflessione e dall'intellettualismo: anche le immagini, i concetti, le forme stesse del linguaggio a poco a poco s'irrigidiscono in formule fìsse, che ciascuno dei rimatori ripete quasi senza variarle. Rimanendo uguale e monotono il contenuto, i poeti si sbizzarriscono nelle trovate formali, nella ricerca degli artifici stilistici. Art de trobar si diceva appunto questa fatica di comporre canzoni con ritmi difficili, in un linguaggio scelto e fìorito di stranezze, elaborato con studio sottile e sapiente; trobaire (nei casi obliqui trobador, trovatore) chi si dava all'esercizio di quell'arte. E vi si dedicarono nobili e uomini di corte, dilettanti e professionisti, i quali poi o recitavano essi stessi le loro canzoni alle corti e ai castelli, accompagnandole musicalmente, ovvero piu spesso le facevano recitare da giullari (joglar), cantori e istrioni di mestiere. L'importanza storica della letteratura. di Provenza non sta tanto nel valore s1ngolo di talune personalità di trovatori piu appassionati e sinceri, e neppure in certi movimenti di ispirazione piu schietta e di piu calda sensualità, che qua e là s'incontrano in quelle canzoni e ballate, quanto piuttosto nella creazione, che quella letteratura promosse e iniziò, d'un clima letterario raffinato e animato da alti propositi d'arte. Con i trovatori, piu e prima che con chiunque altro, rientra nella poesia l'elemento della riflessione e dell'intelligenza; la ricerca d'uno stile ornato ed elegante; la coscienza orgogliosa dell'arte, che da una materia grezza e rude, affinandola e lavorandola con pazienza, trae fuori un gioiello prezioso e delicatissimo. E non importa se, nei trovatori, il disprezzo delle cose volgari e la coscienza artistica diventan troppo spesso gusto dell'astruso e del virtuoso: donde la fortuna del trobar clm, sorta di stile oscuro, contesto di vocaboli rari ovvero adoperati in un significato non comune; e donde anche il diffondersi delle forme metriche difììcili e complicate, e il vanto riposto dai trovatori non tanto nell'originalità e freschezza dell'ispirazione quanto piuttosto nell'invenzione di nuove forme, disposizioni di versi e combinazioni di rime. Tutto ciò nulla toglie all'importanza dell'insegnamento artistico che dai provenzali venne 41
I.
LE ORIGINI
ai nostri p1u antichi rimatori: esso li sollevò sopra la rozzezza nativa dei primi esperimenti di letteratura gnomica e didattica, offerse loro una serie di schemi di discorso poetico (canzoni, ballate, serventesi, discordi, contrasti; canti di scusa, albe, congedi, pastorelle, ecc.) e inoltre una serie di situazioni poetiche, di concetti, di spunti, persino di immagini e movenze verbali. Tutto ciò non è, ben s'intende, la poesia; ma può diventare, e diventò per i rimatori delìe nostre origini, il fondamento d'una letteratura colta e raffinata, della quale il fiore supremo fu la nostra lirica d'amore dal « dolce stil novo » al Petrarca. Si capisce pertanto che anche i nostri poeti piu veri, e lo stesso Dante e il Petrarca, guardassero all'esempio dei provenzali con gratitudine e con ammirazione, e la loro ammirazione volgessero a quei rimatori soprattutto nei quali, come ad esempio in ARNALDO DANIELLO, è piu forte il senso aristocratico della forma e piu frequente la ricerca del linguaggio ricco e delle complicazioni metriche. La fioritura della lirica provenzale ebbe breve durata: la terribile crociata -contro gli albigesi ( 1209) e il prevalere dell' egemonia francese distrussero, intorno alla metà del secolo XIII, insieme con la società feudale del sud della Francia, anche la cultura e la letteratura in cui quella società trovava la sua espressione. Ma intanto le liriche di BERNART DE VENTADORN, di B'ÈRTRAN DE BORN, di GIRAUT DE BoRNEILL, di JAUFRÉ RUDEL e degli altri trovatori eran penetrate in Italia; florilegi di poesie provenzali si raccoglievano a diletto dei signori italiani nelle corti feudali della Valle Padana. Già nell'ultimo decennio del secolo XII un irrequieto trovatore, PEIRE VrnAL, soggiornava alcun tempo alla corte dei marchesi di Monferrato, e un altro trovatore, RAIMBAUT DE VAQUEIRAS, trascorreva presso il marchese Bonifacio gran parte della sua vita. Di quest'ultimo è giunto fino a noi un singolare contrasto, nel quale egli mette in scena sé stesso in atto d'indirizzare, nella sua lingua, fiorite espressioni d'amore a una popolana genovése, che a sua volta, lo respinge con aspre e beffarde parole nel dialetto nativo. Altri scrittori di Provenza trovaron rifugio nella nostra penisola durante l'imperversare della crociata contro gli albigesi. E a fianco di quelli e quasi a gara 42
5.
LE LETTERATURE ROMANZE
con essi sorsero rimatori nati m Italia, ma esperti a rappresentare i loro sentimenti e i loro pensieri in quella lingua che sola pareva ormai definitivamente consacrata dall'arte. Di questi trovatori italiani parecchi se ne incontrano nella Valle Padana nel secolo XIII, dal marchese ALBERTO MALASPINA DI LUNIGIANA ai genovesi LANFRANCO CIGALA e BONIFACIO CALVO, al bolognese R.AMBERTINO BuvALELLI, al veneziano BARTOLOMEO ZoRZI. Il piu famoso, anche per esser stato ricordato da Dante in un episodio celeberrimo del suo Purgatorio, è SORDELLO DI GmTo, vissuto prima a Verona e a Treviso, poi in Provenza, e tornato nel 1266, con Carlo d'Angiò, in Italia, dove sembra sia morto intorno al 1270: di lui si ricorda soprattutto il Compianto in morte di un feudatario provenzale, ser Blacatz, che è un'ardita satira politica contro i maggiori principi e sovrani del tempo, non escluso l'imperatore. In Lanfranco Cigala, · in Bonifacio Calvo, in Sordello troviamo le traccie evidentissime d'un movimento innovatore degli spiriti e delle forme, che accompagn e dove poteva credere « d'essere in mezzo alle selve ») e, nelle estati, in comode e solitarie ville nella campagna lombarda, di cui la generosità dei signori lo provvedeva. In città e in villa il poeta riprendeva e portava a termine scritti interrotti; provvedeva ai primi ordinamenti delle epistole metriche e prosaiche, delle egloghe e delle rime; iniziava e conduceva innanzi con fervore nuovi lavori. Lasciata Milano nel '61, per fuggir la peste che si diffondeva nella pianura padana, il Petrarca si recò a Padova, dove lo raggiunse la .notizia della morte di suo fìglio Giovanni; e di li nel '62 a Venezia. Quivi il senato gli concesse per abitazione un palazzo sulla riva degli Schiavoni: in compenso il poeta s'impegnava a lasciare morendo tutti i suoi libri alla repubblica (patto che non fu poi mantenuto probabilmente perché il Petrarca, al157
IV. IL PETRARCA
lontanatosi presto dalla città, dovette considerar nullo l'accordo). Di là faceva frequenti gite a Padova, e spesso andava a passare i mesi estivi a Pavia, ospite di Galeazzo Visconti. Nella città della laguna veniva a raggiungerlo nell'estate del '63 il Boccaccio; piu tardi egli vi chiamava a viver con sé la figlia Francesca col marito Franceschino da Brossano. Onorato e stimato dai maggiori uomini della repubblica, amico del gran cancelliere Benintendi de' Ravagnani; solo da alcuni giovani filosofi averroisti nel '66 ricevette l'ingiuria d'esser giudicato « buon uomo, anzi ottimo, ma illetterato e affatto idiota », e subito contro di essi scagliò !'irruente invettiva del De sui ipsius et multorum ignorantia. Irritato forse dall'indifferenza con cui i veneziani avevano accolto il temerario giudizio su di lui, s'era intanto allontanato dalla città; recandosi a Pavia, donde poi nel '68 a Padova, ospite di Francesco da Carrara. A Padova trascorse gli ultimi anni, e piu spesso ad Arquà sui colli Euganei, dove abitava « una piccola e graziosa villetta, circondata da un uliveto e da una vigna », vivendo « pienamente tranquillo di animo, nonostante le sue infermità, lungi dai tumulti, dai rumori, dalle cure, leggendo continuamente e scrivendo, e lodando Dio». Ad Arquà appunto lo raggiunse la morte il 19 luglio 13 74, e li fu sepolto, secondo il suo desiderio, con solenni onoranze funebri, alla presenza del signore di Padova. 2. La personalità
del Petrarca. Gli epistolari.
Ad introdurci nell'esame della personalità petrarchesca giovano anzitutto moltissimo le raccolte epistolari dello scrittore, dalle quali tante notizie si possono desumere utili alla conoscenza minuta e aneddotica della sua vita e anche dei suoi affetti e del suo pensiero. Il Petrarca stesso curò l'ordinamento e la pubblicazione dei xxrv libri Rerum familiarium e dei xvn libri delle Seniles: ma, al di fuori di queste due raccolte, ci rimangono altre lettere conservate o rintracciate dagli ammiratori e dagli studiosi del poeta, le cosiddette Variae. Di alcune delle Familiari e e delle Senili è giunto inoltre fino a noi il testo originale, spesso diverso da quello che il Petrarca accolse nella compilazione defi158
2. LA PERSONALITÀ DEL PETRARCA
muva: prima di entrare a far parte di questa, le lettere furono probabilmente tutte corrette e rivedute, col proposito di meglio adeguarne lo stile ai modelli classici e di eliminarne gli elementi troppo immediatamente realistici - nomi di persone, allusioni a fatti determinati - sostituendoli con formule vaghe, appellativi generici e pseudonimi classicheggianti. Uomo, come egli stesso si proclama, « amicitiarum appetentissimus », e condotto dai casi della vita e dall'altezza dell'ingegno a costituire intorno a sé una fitta e vasta rete di relazioni (piu che italiana, europea) il Petrarca scrisse per istinto e piacere suo molte e lunghe lettere di confessione e di conversazione agli amici, e per obbligo e convenzione mondana non poche lettere cerimoniose e solenni. Queste ultime sono naturalmente le meno interessanti per noi. Delle altre alcune sono ammirevoli, e ci trasportano in qualche modo nel cuore di quell'esistenza irrequieta, ne illustrano le ansie e le stanchezze, le preoccupazioni intellettuali e le angoscie morali, i gusti e le ripugnanze; s'allietano talora di piacevoli elementi descrittivi e di aneddoti e favole narrati con garbo e con sapientE grazia. Quando si parla di confessione però, a proposito di queste epistole, non bisogna affatto pensare ad un tono di scrittura sem plice confidenziale ed espansiva. Non soltanto le stesure definitive e destinate alla pubblicazione, ma, per quanto ne sappiamo, anche le redazioni primitive di queste lettere s'attengono alla maniera della epistolografia umanistica, cosa ad un tempo artificiosa e sincera a suo modo, spontanea e studiata, prodotto di un clima intellettuale saturo di letteratura. Le confessioni del Petrarca ci appaiono, già dalle epistole, tradotte (secondo un atteggiamento che è in lui, come si vedrà, necessario e fondamentale) in schemi letterari e artistici, accompagnate sempre e talora generate da una moltitudine di reminiscenze libresche, di scrittori classici e di padri della chiesa. Cosicché anche noi, come i contemporanei del poeta, le leggiamo anzitutto come opere d'arte; ne ammiriamo il latino fluido agile flessibile, capace di adattarsi ad esprimere tutte le gradazioni del sentimento e del pensiero e i casi piu umili della vita quotidiana, quel latino che sa assumere tutti i toni, fra il togato e il discorsivo, ora sapientemente imitando la 159
IV. IL PETRARCA
sprezzatura delle lettere ciceroniane, ora sollevandosi dai fatti singoli ai fastigi di una lucida e sentenziosa moralità sulla traccia di Seneca o di sant'Agostino, spesso trapassando coll'intelligente buon gusto dell'uomo di mondo dal fare solenne all'arguzia vivace, e di nuovo dallo spunto immediato e personale alla riflessione generica. Altri scriverà piu tardi in lingua latina con uno stile piu corretto che il Petrarca, nessuno in maniera cosi apparentemente spontanea e viva. E questa sua è un'arte, non diciamo già una poesia, che per sé stessa dà diletto alle anime raffinate. Quanto poi all'estrarre dall'epistolario i lineamenti dell'indole, la materia di un possibile ritratto, è cosa che si può fare, ma con prudenza, e a patto di non prendere alla lettera ogni parola dello scrittore, col rischio di accogliere come espressione sincera della sua anima o addirittura come concezione filosofica quella che è la riflessione passeggera di un letterato e spesso l'eco di un autore suggerita dalla memoria dotta. D'altronde tutto l'epistolario è testimonianza manifesta di uria sorta di trasfigurazione letteraria, tra consapevole e inconscia, della realtà: ogni gesto, ogni parola, ogni affetto, ogni moto di pensiero vi appare posto e considerato in quella luce favorevole che lo scrittore ha voluto; particolari che a noi paiono notevoli taciuti affatto o appena accennati, altri a tutta prima meno significativi espressamente sottolineati, altri ancora deformati o mutilati o arricchiti. Perché dinanzi agli occhi dell'autore è sempre un'effigie ideale, cui talora non senza sforzo egli adegua, narrandoli e interpretandoli, i piccoli e grandi casi della sua vita. Esempio caratteristico di siffatta deformazione è la celebre epistola Posteritati, specie di autobiografia rimasta incompiuta: nella quale appunto non si deve tanto cercare dovizia e precisione di notizie e di fatti e di date, quanto piuttosto il modo tutto personale onde il poeta voleva rappresentata la sua esistenza ai posteri, quel tanto che a lui pareva in essa piu degno, piu durevole, essenziale. Dalla Posteritati come dalle altre epistole ci viene incontro non tanto il ritratto reale del poeta, quanto la testimonianza del suo ideale umanistico: la devozione verso i grandi modelli del passato, l'amore della solitudine studiosa, il culto delle lettere « delle quali 160
2.
LA PERSONALITÀ DEL PETRARCA
nessuna occupazione è piu. pura, nessuna piu. duratura, piu. dolce, piu. fedele »; l'orgoglio « d'aver destato gli ingegni di molti in Italia, e forse piu. oltre che in Italia, a coltivar gli studi classici negletti da molti secoli ». Sul fondamento degli epistolari si appoggiano le molte e contrastanti interpretazioni della personalità petrarchesca, le quali ai giorni nostri tendono a polarizzarsi in due opposte tendenze o formule: quella che vede nel Petrarca soprattutto il « primo uomo moderno », il precursore o l'iniziatore dell'umanesimo, e quella che, combattendo gli arbitrari ammodernamenti e fraintendimenti del pensiero dell'aretino (per cui si era giunti a rappresentarlo ora come un protestante e un precursore della libera indagine e un ribelle contro la chiesa, ora come uno scettico disilluso, ora come un letterato puro, che guardando all'arte soltanto rimanesse indifferente a ogni contenuto di dottrina), si sforza di ricondurre la personalità del Petrarca entro i limiti della mentalità cattolica e ascetica del medioevo. Entrambe queste tendenze contengono un elemento di verità, ma nessuna delle due vale di per sé a esaurire la complessità e ad additare l'originalità della mente petrarchesca. Modernità e religiosità restano concetti generici e vuoti quando non siano illuminati nel loro concreto manifestarsi attraverso la vita e le opere dello scrittore, e interpretati come elementi necessari d'una personalità ricca e viva, di cui il vertice è, fuori del campo filosofico e di quello pratico, in un'intelligenza estremamente sensibile, penetrantP e in ur,a vocazione di alta poesia.
3. Gli ideali politici. Quella che si definisce la modernità del Petrarca appare, oltre che in certi aspetti della sua biografia stessa (il gusto dei viaggi, l'irrequietudine e la mutevolezza dei gusti e dei propositi, lo spiccato egocentris.mo ), piu. e meglio negli atteggiamenti del pensiero politico e filosofico e nel contenuto della sua cultura. Gli spiriti politici del Petrarca sorgono, è vero, su radici meno vive e appassionate, piu. letterarie e magari retoriche, che non 161
IV. IL PETRARCA
quelli di Dante, eppure hanno senza dubbio a paragone di quelli un significato piu libero e moderno. Dell'impero (cosi caro al cuore dell'Alighieri) il Petrarca senti e affermò con chiare parole la decadenza, e lo trattò in fondo come un'istituzione straniera, indifferente ed estranea alle sorti e agli interessi d'Italia: le lettere che fra il '50 e il '53 scrisse all'imperatore Carlo IV, invitandolo a scender nella penisola e a ristabilirvi la giustizia e la pace, risuonan soprattutto dei nomi d'Italia e di Roma, e non devono esser rampollate da una profonda fiducia nell'autorità imperiale, se in quegli anni stessi, scrivendo al doge Andrea Dandolo, il Petrarca si mostrava incredulo sulla volontà e potenza di quella a sanare le piaghe e a reprimere le discordie italiane. Della chiesa non discusse mai la suprema autorità spirituale, ma ne combatté la corruzione con parole fiere e sferzanti in alcuni sonetti . celebri e in venti epistole, scritte fra il '42 e il '58 e raccolte a parte ·dalla silloge delle Familiari senza il nome delle persone alle quali erano indirizzate e col titolo appunto di Sine nomine: contro gli ambienti ecclesiastici del suo tempo, guasti e viziati, il Petrarca esalta, in accordo con le idee degli ambienti francescani spirituali del Trecento la immagine della chiesa primitiva « fondata in casta ed umil povertate » e non « nudrita in piume al rezzo, Ma nuda al vento e scalza fra gli stecchi », e auspica il prossimo avvento di un restauratore della chiesa, che ne abbatterà i vizi e le superstizioni e inizierà una nuova età dell'oro, una specie di regno di Dio sulla terra. Piu moderno che non quello di Dante, è infine l'amore del Petrarca per l'Italia, non piu considerata soltanto come il giardino dell'impero, ma come un'unità storicamente viva; e per Roma, non vagheggiata nella medievale trasfigurazione delle memorie imperiali bensi nei solenni ricordi della semplice virtu repubblicana. Privo di una città da amare come sua e da farne oggetto della sua passione politica, il Petrarca si erge sopra le discordie partigiane e locali che dilaniano la penisola, attingendo primamente il concetto dell'unità superiore della nazione: concetto letterario invero e formato sui libri per un certo verso, ma anche non inadeguato alle vicende storiche dell'Italia nel Trecento, quando le lotte dei partiti si andavano lentamente spegnendo, e 162
3.
GLI IDEALI POLITICI
la spregiudicata attività delle signorie tendeva a creare, oltre i conflitti tra città e città, unità regionali sempre piu vaste. E concetto inoltre che dettò al poeta parole eloquenti, sia che nel '39 vagheggiasse, incarnandola insieme con altri in Roberto d'Angiò, la speranza d'una monarchia italiana; sia che si adoperasse ad invocare il ritorno dei papi in Roma, allo scopo di risollevarla dal suo precedente squallore; sia che si accendesse di entusiasmo nel '4 7 per il disegno di Cola di Rienzo, rivolto a restaurare nell'Urbe la libertà repubblicana e a stringere intorno ad essa in federazione le repubbliche e i principi italiani, cosi da ridare all'Italia, nel quadro non rinnegato dell'impero universale, un suo posto privilegiato e precipuo; sia infine che invocasse con ardenti parolè la pace e la cessazione delle lotte fratricide, scrivendo fra il '51 e il '54 ai dogi di Venezia e di Genova. Nell'amore dell'Italia si trovavan d'accordo l'umanista, che ne rievocava con passione dagli antichi libri le gloriose memorie, e l'uomo che viaggiando ne ammirava le incantevoli bellezze naturali e le celebrava a confronto degli altri paesi stranieri, al tempo stesso che esaltava la civiltà e la sapienza della sua terra sopra quella d'ogni altra nazione. Quando si rivolge a considerare i grandi ideali politici l'eloquenza del Petrarca non è aspra e tagliente come quella di Dante, bensi calda e solenne, intonata non all'invettiva ma all'esortazione. Delle poesie politiche dell'aretino son celebri sopra tutte le canzoni Spirto gentil e Italia mia, delle quali l'una svolge il concetto dell'Italia pacificata dalle lotte fratricide, liberata dalla vergogna delle soldatesche straniere mercenarie, risollevata nel suo orgoglio e vittoriosa sui barbari; l'altra quello di Roma riportata all'antica grandezza e all'ordine e alla pace, mercé l'imposizione di una severa disciplina ai nobili riottosi. Pur nell'intonazione genericamente oratoria entrambe son ricche di spunti di efficace poesia; percorse da un fremito di sincera speranza, che ha il sue fondamento nel ricordo d'un glorioso passato; sorrette da uno spirito di umana e cristiana pietà nella considerazione delle miserie attuali.
163 11. ·
SAPEGNO,
Compendio di st@ria della lett. it.
1V. lL PETRARCA
4. L'umanesimo e la cultura del Petrarca. La modernità del Petrarca si rivela anche meglio nel carattere e nei limiti della sua cultura e nell'ideale umanistico della sua arte poetica. L'umanesimo del Petrarca ha la sua radice in un entusiasmo nativo ingenuo e schietto, è sentimento prima di essere dottrina letteraria e attività filologica. Il poeta che, nella canzone Spirto gentil, splendidamente rievoca le antiche mura di Roma, e le grandi figure degli Scipioni, di Fabrizio e di Bruto; il letterato che indirizza epistole a Cicerone, Seneca, Quintiliano, Tito Livio, Orazio, Virgilio e Omero come ad amici; e di reminiscenze classiche e ricordi mitologici infiora, con compiacimento piuttosto che con ostentazione, tutti i suoi scritti, s'inserisce naturalmente in quella tendenza di studi che dal cenacolo di Padova conduce alla ricca fioritura dell'umanesimo quattrocentesco, con· una sua novità d'atteggiamenti ben distinta e originale. Alla letteratura degli antichi egli s'accosta non con animo di grammatico e di erudito, ma di dilettante geniale, con la sensibilità di un uomo non ignaro d'affetti e ricco di esperienze e con il buon gusto dell'artista raffinato e del poeta. La novità di questo classicismo petrarchesco, non pur rispetto a quello della tradizione medievale, si anche rispetto ai tentativi dei preumanisti da noi descritti nel precedente capitolo, consiste tutta in una consapevolezza piu chiara e piena del distacco fra la cultura antica e quella contemporanea: per il Petrarca non si tratta tanto di accogliere le esperienze intellettuali e poetiche dei classici per giustapporle e mescolarle a quelle delle età piu recenti; quanto piuttosto di riallacciare i legami spezzati con il mondo della civiltà romana, sorvolando sulle rozze deformazioni e deviazioni del periodo medievale. Gli è caro vivere con gli antichi, mediante la lettura e lo scrivere, e dimenticare gli uomini del tempo suo, fra cui la sua cattiva stella l'ha fatto nascere. « Come infatti la vita di costoro profondamente lo irrita, cosi invece la rimembranza di quelli e le magnifiche imprese e gli illustri nomi lo riempiono di incredibile e inestimabile giocondità, tale che se a tutti fosse nota, molti farebbe stupire vedendolo dilettarsi di conversare coi morti piut164
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L'UMANESIMO E LA CULTURA DEL PETRARCA
tosto che con i viventi » (Famil., VI, 4 ). Cotesta volontà e consapevolezza del distacco fra la cultura antica e la contemporanea si riduce in un certo senso a una concezione illusoria ed assurda, se si pensa che neppure al Petrarca era possibile ritornare senz'altro all'antico e distruggere in sé i germi di progresso, che recava inconsapevolmente dalla disprezzata eredità del medioevo; e d'altronde essa, inducendolo a rifiutare o a trattare come inferiori i grandi esempi della letteratura romanza, portava nel suo gusto alcunché di ristretto e di pedantesco. Ma non si deve dimenticare poi che, nei grandi uomini della storia e nelle grandi opere della letteratura classica, il Petrarca, come tutto l'umanesimo, vagheggiava, oltre la materialità del simbolo, un ideale di spiritualità piu vasta ed aperta, piu rigogliosa e piu ardita: e qui la coscienza del distacco dall'età precedente aveva la sua ragion d'essere, tanto piu profonda, quanto piu essa era netta e decisa. Nella cultura del Petrarca predominano, fin dai tempi piu antichi, i classici latini, e accanto a questi i padri della chiesa. Ne rimangono al di fuori, oggetto di fastidio e di disprezzo, gli scrittori della latinità medievale e in ispecie gli scolastici, che avevan formato tanta parte dell'esperienza intellettuale dell'Alighieri. Assai piu larga che non in Dante è nell'aretino la conoscenza della letteratura romana, anche nei suoi minori rappresentanti, e guidata da una coscienza estetica piu consapevole di sé e piu risolutamente affermata. Bibliofilo appassionato, il Petrarca dedica molta parte della sua vita e dei suoi mezzi a metter insieme una raccolta di libri per i tempi assai ricca; dà incarico agli amici vicini e lontani di procurargli scritti rari, altri ne riceve in dono o ne compra o, avutili in prestito, ne trae copia; durante i suoi molti viaggi visita le biblioteche dei monasteri e degli eruditi per far incetta di opere antiche e trarre dall'oblio quelle che il medioevo aveva dimenticato o considerava perdute. Confronta i testi che gli vengono alle mani con altri esemplari, onde migliorarli e farne strumento di una cultura sempre piu ampia e sicura; e arricchisce i suoi manoscritti di frequenti postille, nelle quali pone quanto gli sembri utile a un miglior intendimento dell'opera e all'uso di essa in rapporto con tutto il suo sapere e la sua attività
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IV. IL PETRARCA
letteraria: appunti fìlologici, notizie di prosodia, richiami storici e archeologici, citazioni di altri autori, e talora anche idee o impressioni destate dalla lettura, rapide ;notazioni psicologiche, memorie personali. Di qui l'interesse grande dei molti codici a lui appartenuti e che ancora si conservano nelle biblioteche italiane e straniere. Dalla tradizione classica e medievale il Petrarca accetta la defìnizione retorica e moralistica della poesia concepita come veste leggiadra di un contenuto di verità e di sapienza; e nei vari luoghi delle sue opere in cui tocca problemi estetici, ora insiste sul carattere allegorico della poesia, ora sugli aspetti tecnici dell'arte difficile e preziosa. Ma se in lui, come d'altronde dopo di lui fìno a tutto il Rinascimento, resta inappagata l'esigenza di una dottrina estetica che superi gli schemi razionalistici del medioevo, è vivo invece quell'entusiasmo della poesia, che in certo modo tien luogo della dottrina, ed è comunque atteggiamento originale e ignoto all'età precedente. Insieme col Mussato, il Petrarca offre in una sua lettera al fratello Gherardo (Famil., x, 4) e nei quattro libri Invectivarum contra medicum quendam, molti degli argomenti che il Boccaccio radunerà nella sua difesa della poesia contro gli spiriti materialistici e i chierici pavidi: tra l'altro l'affermazione che « la poetica nnn è per nulla contraria alla teologia » e che la teologia o sacra scrittura