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Italian Pages 13 [25] Year 1883
DALL' ANTICO
TEDESCO.
Das Hildebrandslied. L'INNO D'ILDEBRANDO. VERSIONE CON
IKTBODÜZIOKK
ED
APPENDICE
DI
ARISTIDE BARAGrIOLA.
STRASBURGO. C A R L O J. T E Ü B N E R , 1882.
DARMSTADT.
T I P . DI G .
OTTO.
INTRODUZIONE. Tacito lasciò scritto, che i Germani cantavano l'origine dei popoli e degli eroi nelle loro cerimonie religiose, ne' loro corteggi, e sopratutto poi accingendosi alla battaglia. Rammenta anche Tacito, come Arminio fosse dai Germani celebrato coi canti ancora molto tempo dopo la di lui morte. Ma questa antichissima poesia, più mitica che storica, andò in oblio a cagione delle migrazioni de' popoli e per la cristianizzazione. Poi le gesta di Attila, di Teodorico e di altri re avevano bensì fatto sorgere una nuova epopea germanica, ma anch' essa ci è nota solo da posteriori rifacimenti. De' primi sette secoli d. C. non si conservano dunque monumenti di poesia germanica, benché si abbiano esplicite testimonianze della sua esistenza. L'inno d'Ildebrando è uno de' pochissimi monumenti finora conosciuti dell' epopea germanica pagana. Esso è attribuito al secolo ottavo e rappresenta un avvenimento isolato del ricco ciclo mitico, che s' aggira intorno al re ostrogoto Teodorico di Yerona (Dietrich von Bern), il vincitore di Odoacre e conquistatore d'Italia. L'inno fu trovato 152 anni fa, in modo frammentario, a Cassel nella biblioteca di stato, e dal principio di questo secolo è divenuto oggetto di diligenti studi per parte de' cultori dell' antica lingua e letteratura tedesca, sì che a quest' ora la letteratura che lo concerne è assai ricca. Se ne fecero fac-simili ed ebbe parecchi editori, commentatori, traduttori, emendatori ecc. ecc.1 1 Per la bibliografia d e l l ' I n n o d ' I l d e b r a n d o si potrà con vantaggio consultare il seguente libro : Die S p r a e h e und L i t t e r a t u r D e u t s e h l a n d s bis zum zwölften Jahrhundert von Dr. P a u l P i p e r . I. Theil : Literaturgeschichte und Grammatik. Paderborn, Schöningh, 1880. S. 117. Le opere ivi indicate mi furono di guida.
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L a lingua dell'inno è un miscuglio di a n t i c o a l t o t e d e s c o e d i a n t i c o b a s s o t e d e s c o ossia a n t i c o s a s s o n e . Ciò si volle da taluni attribuire alla circostanza d' essere l'inno sorto là dove si toccavano i due dialetti, altri l'attribuiscono invece alla tradizione orale ed alle inconseguenze del copista. A. Holtzmann volle provare, che il copista fu un sassone e che l'esemplare avuto dinanzi agli occhi era in a n t i c o a l t o t e d e s c o . 1 Il contenuto dell'inno è il seguente: Teodorico, secondo la favola, fuggiasco, si reca in oriente dal re degli Unni, cioè da Attila, nome che non appare nel testo, ma che si deduce dalle parole H u n e o t r u h t i n . Egli vi rimane trent'anni, poi ritorna in Italia a riconquistare il suo regno, avendo seco il venerando condottiero Ildebrando, il quale lasciando già la patria, aveva abbandonato la sua sposa ed un figliuoletto chiamato Adubrando. Questi, divenuto nel frattempo un prode guerriero, si oppone quale nemico a suo padre di ritorno in patria, eh' ei non conosce e crede morto da lungo tempo, per circostanze che non si ponno rilevare dal frammento. Il nostro frammento comincia nel momento, in cui i due avversari si sfidano a singoiar tenzone, alla presenza delle loro schiere. Il contenuto di esso consiste nel dialogo che precede il duello, ed in una parte del duello stesso. Leggendo le „Odi barbare" ed altre imitazioni di antichi metri, mi venne il ticchio di provarmi ad una traduzione metrica dell'Inno d'Ildebrando. Non si creda già ch'io voglia rimettere in onore la poesia allitterata, nella quale verseggiarono anche alcuni poeti italiani. Si tratta di ben altro : io intendo solo di dare un saggio dell'antica poesia germanica, interpetrandone, fin dove è possibile, i concetti e la verseggiatura. Non basta,. secondo me, di conoscere il mondo poetico dell'uno o dell'altro popolo, ma ci deve pure interessare di conoscere l'estrinseco poetico, cioè la forma sotto la quale esso si raccolse o si manifestò, per quanto essa forma possa tornare a noi barbara o poco armonica. Il verso epico germanico consiste in una serie di sillabe con una cesura nel mezzo. Ogni mezzo verso deve avere 1
G e r m a n i a 18H4.
IX, 289—293.
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due sillabe fortemente accentate, che potremo chiamare e l e v a m e n t i , fra le quali ponno stare, non di rigore, una, due o più sillabe meno accentate o a b b a s s a m e n t i . 1 Detto verso è dunque, con altre parole, una serie di quattro a r s i (due prima e due dopo la cesura), interpolate da un numero indeterminato di t e s i . Eccone un esempio, ove l'accento acuto segna gli elevamenti: hiltibrant enti hàSubrant
untar hériun tuém.
Da una tale versificazione risulta, come si vede, una varietà di piedi e ritmi, e diremo anche una poesia che, a stregua de1 nostri orecchi, non si scosta molto dalla prosa. Se non che, ad unire il verso in un complesso armonico, contribuisce non poco l ' a l l i t t e r a z i o n e . L'allitterazione, che in tutta la poesia antica nordica sostituisce la r i m a , consiste n e l l ' a s s o n a n z a delle lettere iniziali di parecchie sillabe accentuate o elevamenti : hiltibrant enti hàdubrant
untar hériun tuém.
Tutte le vocali ponno fra loro allitterare: alte anti fróte,
dea érhina uuàrun.
L' allitterazione è così distribuita : nella prima metà del verso sonvi per lo più due allitterazioni, dipendenti da una terza detta principale, la quale deve trovarsi al primo elevamento della seconda metà del verso : her furlàet in lànte
luttila sitten
Avviene però sovente che ogni mezzo verso conti una sola allitterazione: fiat sih urhèttun
gfenón muótin
Il verso seguente contiene quattro allitterazioni, ma alternate : spénis mih mit dìnèm wórtun wili mih dinu spéru wérpan. leggi.
Nella mia versione ho procurato di osservare le dette Ma il genio della nostra lingua non permetteva
1 Valenti germanisti contano in ogni Terso otto elevamenti. Dopo alcune prove, ho dovuto convincermi, che il verso a quattro elevamenti permetteva una traduzione più fedele dell' inno.
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un' esatta imitazione. Nelle lingue germaniche, non escluso l'antico tedesco, l'accento tonico batte sulla sillaba radicale; nelle romanze invece, e quindi nell' italiano, esso batte ora sulla radicale ora sulla finale. Siccome 1' allitterazione deve trovarsi, perchè si fa maggiormente sentire, là dove cade 1' accento, ne avviene che fra l'allitterazione dell' inno d'Ildebrando e quella della mia versione, passa la differenza, che nella prima le sillabe allitteranti sono sempre radicali, nella seconda invece le sillabe allitteranti sono ora radicali ora finali. Nel testo originale parecchi versi sembrano avere più di quattro elevamenti, se si considerano come tali tutte le sillabe suscettive d' accento. Si veda p. e. 1' ultimo verso citato. Ma le sillabe fortemente accentate o elevamenti denno trovarsi in quelle parole, che hanno maggiore importanza nel verso. Gli elevamenti risponderebbero dunque ad altrettanti accenti logici, cioè risulterebbero da quelle parole cui noi, alzando la voce, vogliamo dare maggiore importanza. Bisogna che gli antichi Germani, ne' loro canti declamatori o recitativi, scivolassero sulle parole meno accentate od abbassamenti, coli' abilità proveniente dalla consuetudine al canto, e non troppo adatta ai nostri organi linguali. Traducendo io ho dunque procurato di evitare troppi abbassamenti, lo che mi obbligò talvolta a sopprimere qualche parola di minore entità. Una volta d' un verso (50) ne feci due. Nei versi 17, 27 e 40 è stato impossibile far meglio e convenne attenersi all' originale. Affine di meglio far conoscere ai lettori le modificazioni occorse nella versione, alla traduzione metrica aggiunsi in calce una letterale. Quanto al testo, ho seguito sopratutto la lezione ammessa dal Braune, 1 non trascurando però quella assai stimata, ma meno recente, di K. Müllenhoff e "W. Scherer. 2 I puntini segnano le lacune del frammento. 1
A l t h o c h d e u t s c h e s L e s e b u c h , zusammengestellt und mit Glossar versehen, v. Wilhelm Braune. 2. Auflage. Halle, Max Niemeyer, 1881. 2 D e n k m ä l e r deutscher Poesie und Prosa aus dem V i l i — X I I . Jahrhundert, herausg. von K. Müllenhoff und "W. Scherer, 2. vermehrte und verbesserte Ausgabe. Berlin, "Weidmann'sche Buchhandlung, 1873.
L'INNO D'ILDEBRANDO. Traduzione metrica.
1 Io i n t é s i c o n t a r e 2 cóme un die
si sfidàro a duèllo
3 Ildebrando edAdubràndo 4 Piglio e padre 5 e le b è l l i c h e vésti,
lor b r a n d i cinser,
6 i g u e r r i é r , su la c o r a z z a , 7 Disse I l d e b r a n d o
a l ' a r i n g o cavalcando.
d' E r i b r à n d o il f i g l i o :
8 più espèrto e r a g g u a r d é v o l , 9 con pòchi d é t t i ,
f r a lor b a l d e schière.
le p i a s t r e a p p r e s t à r o
a d i m a n d a r ei prése,
chi suo p a d r e fòsse
10 f r a gli uómin del pópol, 11
„o di che stirpe tu sii.
Traduzione letterale.
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
Io sentii ciò contare che si sfidarono a singolare tenzone Ildebrando ed Adubrando fra due armate. Figlio e padre le loro armature apprestarono, assettarono lo loro belliche vesti, affibbiarono le loro spade, gli eroi, su le anella [dell'usbergo], alla pugna cavalcando. Ildebrando disse (figlio d'Eribrando) : egli era l'uomo più [ragguardevole, della vita più esperto, egli cominciò a domandare, con poche parole chi suo padre fosse degli uomini nel popolo, „o di che stirpe tu sii.
—
8
12 S e lino m' a c c é n n i ,
g l i à l t r i mi só,
13 g i ó v i n , n e l r é g n o
le p r o g è n i e conósco."
14 D i s s e A d u b r à n d o , 15
—
d ' I l d e b r a n d o il f i g l i o :
da n ò s t r e g è n t ii , i
mi v é n n e d é t t o
16 v è c c h i e e s à g g e
v i s s e qui pria,
17 c h e I l d e b r a n d o mio p a d r e n o m ó s s i :
io A d u b r à n d o [mi nomo.
18 E i in o r i è n t e a n d a v a ,
l'odiànte Odoàcre
19 f u g g i a c o n T e o d o r i c o
ed e r ò i mólti.
20 I n p à t r i a l a s c i ò
pòvera e solétta
21 ne l ' a b i t u r o la spòsa,
e tènero pargolétto,
22 del r e t à g g i o s p ò g l i o :
ei si r i t r a s s e vèr o r i è n t e .
23 P o i T e o d o r i c o c o l p i a
la r i a privazióne
24 del p à d r e mio.
P r i v o fu d ' a m i c i :
25 p e r O d o à c r e è r a e g l i
di i r a p i è n o ,
26 de g l i e r ò i c a r i s s i m o
al r é T e o d o r i c o .
1 M a n c a l ' a l l i t t e r a z i o n e come nel t e s t o originale.
12 13 14 15 16 17
Se tu uno mi dici, io gli altri mi so, giovine, nel regno tutto l'universal popolo m'è noto." Adubràndo disse, figlio d' Ildebrando : „ciò mi dissero le nostre genti, vecchie e sagge, che prima furono, che Ildebrando si nomò mio padre : io mi nomo Adulando. 18 Un tempo andò egli in oriente, fuggì egli l'odio [d' Odoàcre 19 . quinci con Teodorico, e molti de'suoi guerrieri. 20 Egli lasciò in paese misera [ed abbandonata] 21 la sposa in casa, e fanciullo non adulto, 22 d' eredità privo : egli andò verso l'est. 23 Di poi Teodorico colpì la privazione 24 del padre mio. Questo era uomo sì privo d'amici: 25 egli era [verso] Odoàcre smisuratamente irato, 26 dei guerrieri il più caro presso Teodorico.
—
9
27 A c a p o o g n o r d e l p ó p o l , 28 n ò t o e g l i f u e
ai
—
cara ebbe 1 a p u g n a :
nòbili guerriér.
29 Io non c r e d o e h ' e i v i v a a n c o r " . . . 30 „ S à l l o il p o s s è n t e 31 m à i a v é r tu
l a s s ù n e l ciél,
mòssa guèrra
32 a t a n t o c o n g i u n t o " 33 T ò l s e or d a l b r à c c i o
tòrte anélla1
34 d' i m p e r i a i 2 monéte,
che il r é g e g l i die,
35 de g l i U n n i i l d ù c e :
„ t e l e d i a in g r a z i a . "
36 D i s s e
Adubràndo
37 „con d a r d o
dòssi
38 p ù n t a v è r p ù n t a . 3
d' I l d e b r a n d o il f i g l i o : dóno a c c ò g l i e r , Mi p a r i , v e c c h i o Unno,
39 o l t r e m ò d o f ù r b o 2 L e desinenza i a l è qui r a c c o l t a in una sola s i l l a b a ,
come
si t r o v a per
ecce-
zione preBso i poeti.
27 Egli era sempre a capo del popolo, a lui era sempre [la pugna troppo cara : 28 Noto egli era ai prodi guerrieri. 29 Credo eh' ei non abbia più vita" 30 Chiamo [a testimone] il dio universale (disse Ildebrando), [lassù dal cielo, 31 che tu mai di poi movesti contesa 32 con uomo sì consanguineo" 33 Storse ora egli dal braccio tórte anella, 1 34 d' imperiali monete fatte, quali a lui il re le diede, 35 il signore degli Unni : „eh' io a te le dia ora in grazia". 36 Adubràndo disse, figlio d'Ildebrando: 37 „con giavellotto devesi dono accogliere, 38 punta contro punta. 3 Tu ti sei, vecchio Unno, 39 a dismisura furbo . . . 1 Alleila d' oro, fatte di monete imperiali, che si mettevano alle braccia in forma spirale. 3 Era uso fra i guerrieri germani di offrire ed accettare i doni sulla punta delle armi.
— 10 — 40 c o n p a r ó l e m ' a l l é t t i , 41
atterrarmi vuoi colla lància.
Vècchio divenisti,
covando
42 L a n u ò v a a p p r è s i
inganni.
da m a r i n a r i 1
43 v è r s o l ' O c è a n o ,
c h e l ' a n c i s e r in
44 m o r t o è I l d e b r a n d o , 45 D i s s e I l d e b r a n d o ,
veleggiànti guèrra:
d' E r i b r à n d o i l f i g l i o . " d ' E r i b r à n d o il f i g l i o :
46 „ b e n v e g g i o a l e t u e a r m i 47 b u o n s o v r a n o 2
a v é r t u in p à t r i a ,
48 c h e d i é s t o r e à m e
é s u l non sèi."
49 „ O h , p o t è n t e i d d i o , 50
Trénta estati , . , A ,, . dai patri l a r i
51
o g n ó r m i si s c h i e r ò
sventura
avvién.
e trénta invérni , , lungi errai,
40 mi alletti colle tue parole, 41 Sei così uomo attempato,
ne le p u g n à n t i
schière,
mi vuoi colla tua lancia [abbattere. quanto tu eternamente in[ganno covasti.
42 43 44 45 46 47 48 49
Ciò mi dissero naviganti 3 vèr ovest sull'Oceano, che la guerra lo rapì: morto è Ildebrando, figlio d' Eribràndo." Ildebrando disse, figlio d' Eribando : „ben vedo dalla tua armatura . . . . che tu hai a casa buon signore, che tu ancora di questo regno esule non divenisti." „Ohimè ora, potente iddio (disse Ildebrando), fatalità [avviene. 50 Io errai [degli] estati e inverni sessanta fuori del paese, 51 ove sempre mi si schierò nel popol dei tiranti,
1 Questi marinari (naviganti) sono Romani dell'oriente, dai quali vuol aver inteso, che suo padre sia morto in un' invasione di Attila nell' impero bizantino. 2 Chi s ' i n t e n d a qui per sovrano (signore) non è dato spiegare — forse Odoacre o Ermanarico?
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52 m à i su g l i s p á l d i
—
m ò r t e mi s p è n s e :
53 or d é m m i il f i g l i o
col f è r r o c o l p i r e ,
54 con T a c c i a r u c c i d e r ,
o l ' u c c i d e r io.
*55 P u r f i a t i or a g é v o l , *56 ad u ó m sì d é g n o *57
a ruba pórre,
se ti g i o v a il core, le á r m i v i n c e r e ,
se d i r i t t o h a i . "
58 „ O m á i de g l i O s t r o g ò t i 59 chi l ' a g ó n ti r i c u s a , 60 il c o m ú n certáirie. 61 chi c é d e r ò g g i
i n f i n g a r d o sia, or che a g o g n i t a n t o
D e c i d a lo s c ó n t r o , 1 le á r m i d é g g i a
62 o di é s t e l o r i c h e
è s s e r dònno."
63 Or f è r s i di l à n c i o
co' f r à s s i n i 2 i n c ó n t r o ,
64 con còzzi sì f i è r i
che t r a f i s s e r g l i scudi.
65 A m b i a v a n z à r i Manca l'allitterazione
52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65
le á z z e r i s u o n á r o n , c o m e nel t e s t o
originale.
come a me in nessun castello morte si recò : ora mi deve il proprio figlio colla spada colpire, uccidere col suo brando, od io a lui uccissore divenire. Pure possa tu ora facilmente, se a te il coraggio giova, ad uomo sì degno guadagnare l'armatura, la roba predare, se tu ci hai alcun diritto." „Quegli sia però ornai il più vigliacco (disse Ildebrando) [degli Ostrogoti, chi ora a te ricusa la pugna, ora che tanto brami lotta comune. Provi lo scontro, chi dei due oggi le spoglie ceder debba, o di queste corazze d' ambi dominare." Or fecero essi dapprima coi frassini2 [i cavalli] avanzare con impeti sì aspri : che negli scudi rimasero. Avanzarono insieme, le azze risuonarono (?),
* Alcuni germanisti, fra i quali Miillenhoff e Scherer, suggeriscono di mettere i versi 55, 56 e 57 dopo il verso 48. 1 Per metonimia frassini = lance.
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12
66 S C Ó s s e r c o n i m p e t o
-
g l i SCiidi lucènti,
67 e l e t i g l i e i n t r e c c i a t e 1 68 d a i f è r r i i n f r à n t e .
.
p i c c i n e si f è r , .
66 percossero fieramente i bianchi (o lucenti) scudi, 67 finché a loro i loro tigli 1 divennero piccoli, 68 rovinati colle armi . . .
1
P e r metonimia
corteccia di tigli.
tigli =
scudi,
i quali erano i n t r e c c i a t i con
APPENDICE. Come appendice a questo piccolo lavoro, traduco qui le belle pagine scritte sull' inno d'Ildebrando dal Prof. GL S c h e r e r nella sua splendida S t o r i a d e l l a l e t t e r a t u r a t e d e s c a 1 , libro che si raccomanda caldamente agli studiosi italiani, perchè ci reca giudizi affatto nuovi ed originali intorno ai diversi periodi della ricca letteratura tedesca, e perchè scritto con un fraseggiare breve, facile ed elegante, con uno stile scorrevole da invogliare veramente alla lettura. La penna di quel distinto professore attrae come la sua parola. „11 vecchio Ildebrando esulò con Teodorico presso gli Unni. Dopo parecchi anni ritorna in Italia alla testa di un'armata unnica. Suo figlio Adubrando gli va incontro come nemico. „Io ho inteso che Ildebrando ed Adubrando si sfidarono a duello" : in un modo così semplice comincia il poeta. Pare che si metta a trattare un tema da lui supposto generalmente noto. Figlio e padre si armano, cavalcano armati l'uno contro l'altro. Ildebrando domanda chi sia il suo avversario. Quegli si noma Adubrando, figlio d'Ildebrando. Segue una seconda domanda d' Ildebrando e risposta dettagliata di Adubrando, dopo di che al vecchio non rimane più alcun dubbio d' aver egli a che fare con suo figlio. Egli vuole evitare il 1 Geschichte der Deutschen Litteratur von Dr. Wilhelm Scherer o. Ö. Professor der Deutschen Literaturgeschichte an der Universität Berlin. Ib. "Weidmannsche Buchhandlung, 1880. Detta opera si pubblica a fascicoli.
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14
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duello, svela il suo nome ed offre braccialetti (anella) in dono. Adubrando li rifiuta sdegnosamente e tiene il vecchio per un malizioso ingannatore, che voglia solo allettarlo e poi abbatt a l o colla lancia. Egli ha udito che suo padre è morto in guerra. Ildebrando cerca ancor sempre di abbonirlo: vede bene che Adubrando non ha bisogno dei suoi doni, che è ben armato ed ha certo a casa generoso signore ; ma ei lo vuol muovere a cercare un altro avversario, potendo facilmente trovarne uno sì ragguardevole nell'oste unnica. A questo Adubrando gli dà presumibilmente del vigliacco — questo luogo è perso. E d ora Ildebrando deve purtroppo combattere e disperato duolsi del suo fato, cioè ch'ei, dopo 30 anni di vita raminga, uscito salvo da continui pericoli, debba ora soccombere sotto i colpi del proprio figlio od essere di lui uccisore. Qui comincia la tenzone, a cavallo e colle lance in resta si fanno incontro, le lance ribalzano dagli scudi, lasciano ora i cavalli e coi brandi fanno a pezzi gli scudi . . . . L a fine ci manca. Noi possiamo supporre, che il vecchio vinse e che si vide dinanzi il cadavere di suo figlio. Egli ha annientato la sua propria stirpe. L ' i n n o , almeno da quanto ci è ben conservato, afferra con maestria 1' argomento e lo esaurisce appieno. Alla vita esteriore il poeta prende poca parte. Egli non introduce nella situazione. Descrive quando i due si armano, ma assai brevemente : lo stesso fa di poi col combattimento ; p. e. ch'essi scendano dai cavalli, devesi indovinare. Egli affronta risoluto quanto più gli preme. L o alletta l'avvicendarsi delle domande e risposte. Anzi ci informa e ci dice, che Ildebrando prese pel primo le parola, perchè era più venerabile e più attempato : così sono rispettate le esigenze dell' uso. Sa che un lungo dialogo acquista, se è interrotto o accompagnato da fatti; il poeta ricorre perciò alle anella che Ildebrando svolge dal suo braccio per offerirle all' avversario. In principio disdegna darci contezza della magnificenza delle armi; ma poi se ne vale nel dialogo per dirci che Adubrando è bene armato; epperò noi siamo nel medesimo tempo informati delle cose esteriori. Ma tutto ciò non è che tecnica; il dialogo abilmente
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condotto mostra uomini, risolve umani destini e svela una tragica terribile. Il poeta non ha riprodotto solamente gli usi semplici di un' età bambina, nella quale è concesso menar vanto di sè, nella quale possessioni, doni, bottino diventano l'oggetto d'una brama egoistica non mascherata: Ildebrando decanta una vasta conoscenza degli uomini, meta del combattimento sono le armi dell'avversario, ad attenuare i sentimenti sdegnosi serve l'offerta di un oggetto prezioso, la bontà del signore è dedotta dall' appariscenza del vassallo. Il poeta non sa solo esporre una quantità di cose estranee al racconto. Ma sa nel medesimo tempo sviluppare caratteri, e da questi farci desumere parole ed azioni. Ildebrando è tutto vecchiaja, Adubrando tutto giovinezza. Quegli è accorto, largoveggente, temporeggiante, saggio; questi prontamente risoluto, avido di combattere, diffidente. La situazione, occasionata dal domandare avveduto di Ildebrando, lo costringe ad ulteriore avvedutezza. Ma affinchè noi non dubitiamo del suo valore, Adubrando, che mette in forse la bravura del suo avversario, ci deve informare che a suo padre la pugna fu sempre troppo cara, ciò che per il lettore ha dell' ironico. Non può darsi un' ironia più tragica di questa. Lo sciente di fronte all' insciente, quegli comunicando quanto gli è noto, questi mostrandosi ricalcitrante, quegli pieno d'amore verso il figlio presente, questi pieno d'amore verso il padre creduto morto, orgoglioso di lui, pronto a lodarlo, indi ambedue abbandonandosi ad un disastroso combattimento. Ildebrando appare assolutamente quale eroe. Tutta la sua storia è leggermente toccata: la sua gran fama, il suo odio per Odoacre, la sua fuga con Teodorico, il favore che gode presso il re degli Unni, l'amore di Teodorico per lui, la fedeltà e l'instancabile e fortunato combattere di Ildebrando. Noi proviamo pietà per la povera moglie, pel figliuolo diseredato da lui abbandonati, ma ancor più per lui stesso, che fu sì a lungo separato dalla sua famiglia, e ora sa ciò ch'ei deve fare e con chi deve usare le sue armi. Pure le leggi d'onore non gli concedono alcuna scelta. Noi
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vediamo la sua disperazione, ma sentiamo che per lui non c'è rimedio. Noi siamo trascinati in tutti gli orribili dettagli della situazione. E pure il poeta non ispreca una parola commovente: ovunque c'intenerisce solamente con una parca ed appropriata dizione, con uno stile piano e semplice. L' esclamazione di dolore di Ildebrando, tosto che il combattimento è divenuto inevitabile, è un esempio isolato; in questo grido è compreso tutta l'indicibile angoscia del suo cuore paterno. Dunque lo spaventevole tormento che l'animo deve soffrire, 1' orrenda azione che si deve fare, sotto il categorico imperativo dell'onore, è ciò che scosse sopratutto la fantasia del poeta. Egli ci dà testimonianza dello spirito morale del nostro canto epico antico. Per quanto tenui siano gli avanzi a noi rimasti, essi costituiscono però un nobile frutto, che ne fa desumere il valore dell' albero che lo portava. (Fascicolo I. p. 28—31).
Segue, per comodo degli studiosi, il testo originale secondo il Braune, ma colle allitterazioni stampate in carattere grasso.
DAS HJLDEBRANDSLIED. I k gihòrta dat seggen dat sih urhèttun senòn muotin Hiltibrant enti HaSubrant untar heriun tuèm. Sunufatarungo irò Saro rihtun, g'urtun sih irò suert ana, 5 garutun sé irò gudhamun helidos, ubar hringà, dò sie tò dero hiltiu ritun. Hiltibrawt gimahalta [Heribrantes sunuj : her uuas hèróro ferahes fròtòro; her fràgèn gistuont [man fòhèm uuortum, hwer sin fater wàri 10 fireo in folche, 'eddo hwelìhhes cnuosles dù sis. ibu dù mi tjnan sagès, ik mi dè òdre uuèt, chind, in chunincriche : chud ist mi al irmindeot.' Hadubrawt gimahalta, Hiltibrantes sunu: 15 'dat sagètun mi usere liuti, alte anti fròte, dea érhina wàrun, dat Hiltibrant hsetti min fater: ih heittu Hadubrant. forn her óstar giweit, flòh her Otachres nid, hina miti Theotrìhhe, enti sinero degano filu. 20 her furlaet in lante luttila sitten prut in bure, barn unwahsan, arbeo laosa : her raet ostar hina. sid Dètrihhe darbà gistuontun fateres mines. dat uuas so friuntlaos man : 25 her was Otachre ummett irri, degano dechisto miti Deotrìchhe.
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18
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her was eo folcile s at ente : imo was eo fehta ti leop: chûd was her chônnêm mannum ni wâniu ih iû lib habbe' 30 'wêttu irmingot [quad Hiltibrawt], obana ab hevane dat dû neo dana hait mit sus . . . sippan man dine ni geleitôs' want her dô ar arme wuntane bougâ, cheisuringu gitân, sô imo sê der chuning gap, 35 Hûneo truhtîn : 'dat ih dir it nû bî huldî gibu'. Hadubrawt gimahalta Hiltibrantes sunu : 'mit gêru seal man geba infâhan, Ort widar Orte. dû bist dir, altêr Hûn, ummet spâhêr 40 Spenis mih mit dînêm wortun, wili mih dînu speru werpan. pist alsô gialtêt man, sô dû êwîn inwit fuortôs. dat sagêtun mî sêolîdante westar ubar Wentilsqo, dat inan wîc furnam : tôt ist Hiltibrant, Heribrantes suno:' 45 Hiltibrawt gimahalta, • Heribrantes suno : 'wela gisihu ih in dînêm hrustim dat dû habês hême hêrron gôten, dat dû noh bî desemo riche reccheo ni wurti.' *
'welaga nû, waltant got [quad Hiltibrant], wêwurt skihit. 50 ih wallôta Sumaro enti wintro sehstic ur laute, dâr man mih eo scerita in fole sceotantero: sô man mir at bure çnîgeru banun ni gifasta, nû seal mih suâsat chind suertu hauwan, breton mit sînu billiu, eddo ih imo ti banin werdan. 55 doh maht dû nû aodlîhho, ibu dir dîn eilen taoe, in sus hêremo man hrusti giwinnan, rauba birahanen, ibu dû dâr ênîe reht habês.' *
'der sì doh nû argôsto [quad Hiltibrant] Ôstarliuto, der dir nû wîges warne, nû dih es sô wel lustit,
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I 9 -
60 gudea gimeinun. niuse dè mòtti, hwerdar sih hiutu dero hregilo rumen muotti, erdo deserò brunnòno bèdero uualtan.' dò lòttun sè serist asckim scrìtan, scarpèn scùrim: dat in dèm sciltim stònt. (¡5 do Stòpun tó samane staimbort chludun, heuwun harmlicco huìtte sciiti, unti im irò lintun luttilo wurtun giwigan miti wambnum
BERICHTIGUNGEN: S.
8
Z. 14 v. u. lies figlio statt giovino.
S. 17
Z.
4 v. u. soli darbà mit 0 geschrieben sein.
S. 19
Z.
3 V. o.
„
bèdero
„ b
„
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I 9 -
60 gudea gimeinun. niuse dè mòtti, hwerdar sih hiutu dero hregilo rumen muotti, erdo deserò brunnòno bèdero uualtan.' dò lòttun sè serist asckim scrìtan, scarpèn scùrim: dat in dèm sciltim stònt. (¡5 do Stòpun tó samane staimbort chludun, heuwun harmlicco huìtte sciiti, unti im irò lintun luttilo wurtun giwigan miti wambnum
BERICHTIGUNGEN: S.
8
Z. 14 v. u. lies figlio statt giovino.
S. 17
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4 v. u. soli darbà mit 0 geschrieben sein.
S. 19
Z.
3 V. o.
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bèdero
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Verlag von KARL J. TRÜBNER in Strassburg. BARAGIOLA.
Crestomazia italiana ortofonica:
P r o s a : 1. Lingua letteraria antica e moderna. Imitazioni trecentistiche. 2. Lingua parlata toscana della gente civile. 3. Dialetti. 8°.' X X I Y , 494 p. • 1881. Jil.— G a z z e t t a d i V e n e z i a , 2 8 D i c e m b r e 1 8 8 0 . — A. Li ha mand a t o f u o r i il primo v o l u m e d e l l a s u a Crestomazia. Q u a n d o 1' o p e r a s a r à c o m p i t a , essa ci f a r à v e d e r e n o n p u r e lo s v o l g i m e n t o d e l l a l e t t e r a t u r a n a z i o n a l e , m a ci p o r g e r à a l t r e s ì in u n m o d o chiaro la vita i n t i m a d e l l e g e n t i i t a l i a n e . Il B. m e t t e a c o n f r o n t o gli scritti degli a n t i c h i con q u e l l i dei m o d e r n i R i v i s t a e u r o p e a , 1 6 G e n n a i o 1 8 8 1 . — . . . L ' a u t o r e m o s t r a molto s t u d i o linguistico e s e p p e quasi s e m p r e ben s c e g l i e r e ed a n c o r m e g l i o d i s p o r r e i m a t e r i a l i raccolti C o r r i e r e m e r c a n t i l e , 1 8 G e n n . — . . . L a Crestomazia del B. è u n a a s s e n n a t a r a c c o l t a di p r o s a i t a l i a n a , a t t a n o n p u r e a f a r c o n o s c e r e la n o s t r a l e t t e r a t u r a prosastica, m a c o l l a p o n d e r a t a s c e l t a degli a r g o m e n t i la vita del popolo i t a l i a n o . L o stesso a u t o r e in u n a b r e v e , e l e g a n t e e r a z i o n a l e p r e f a z i o n e ci s c o p r e il suo nobile i n t e n t o , p r e f a z i o n e d e t t a t a con l i n g u a v e r a m e n t e i t a l i a n a G a z z e t t a d e l l a D o m e n i c a , 2 3 G e n n . — L a sua c r e s t o m a z i a s a r à di molta utilità p e r lo studio della l i n g u a i t a l i a n a all' e s t e r o I l M o v i m e n t o , 2 3 G e n n . — E s s a [la C r e s t o m a z i a ] i n s o g n a come r e t t a m e n t e d e b b a n o p r o n u n z i a r s i le p a r o l e , ed ecco la r a g i o n e p e r c h è 1' a u t o r e volle c h i a m a t a la s u a Crestomazia ortofonica. . . . Nella c r e s t o m a z i a v' h a d a p p r i m a u n a b r e v e , succosa ed e l e g a n t e p r e f a z i o n e n e l l a q u a l e sono svolti molto b e n e i concetti d e l l ' a u t o r e . . . . I l D i r i t t o , 29 G e n n . 1881. — E siccome egli e r e d e g i u s t a m e n t e c h e n o n b a s t i n o r e g o l e e vocaboli a d i m o s t r a r e u n a lingua, m a che se ne a b b i a n o a n c h e a c o n o s c e r e le r a g i o n i n e l l a n a t u r a fisica, nelle v a r i o condizioni, in ciò che p e n s a e vuole u n p a e s e , così h a t e n u t o c o n t o s p e c i a l m e n t e di g u e g l i s c r i t t i ohe o d e s c r i v o n o l e v a r i e regioni della penisola, od e s p o n g o n o usi, i n t e n t i , bisogni, affetti italiani, e r i c o r d i gloriosi e t r i s t i della n o s t r a s t o r i a c o n t e m p o r e n e a . . Il . . 13. i n o l t r e p o n e insieme a c o n f r o n t o ] q u e g l i s c r i t t o r i , p o s t i a m o l t a d i s t a n z a di t e m p o , che f e r m a r o n o l ' o c c h i o e il p e n s i e r o s o p r a uno stesso s o g g e t t o . . . L e scuole, gli s t r a n i e r i , i n o n toscani, e c h i u n q u e a t t e n d a a s t u d i di l i n g u a e di stile, r i c a v e r a n n o molto profìtto d a questo librOj p e r c h è i v a r i a t t e g g i a m e n t i d e l l a n o s t r a difficile p r o s a vi sono i n d i c a t i , s e c o n d o i t e m p i i i l u o g h i e gli s c r i t t o r i , con u n ' i n t e l l i g e n t e s c e l t a ed a c c o r d o d e l l e v a r i e s c r i t t u r e .
Literarisches Centralblatt für Deutschland, 19. März. — Die Anl a g e der n e u e n C r e s t o m a z i e ist eine o r i g i n e l l e u n d wohl e n t s p r e c h e n d dem H a u p t z w e c k , d e n sie o f f e n b a r v e r f o l g t , als H ü l f s m i t t e l zum S t u d i u m des m o d e r n e n I t a l i e n i s c h zu d i e n e n . U n d dies Ziel e r s t r e b t sie in u m f a s s e n d e r u n d i n t e r e s s a n t e r W e i s e . Bei d e r stofflichen Auswahl a b e r h a t d e n V e r f . die A b s i c h t geleitet, ein Bild d e r i t a l i e n i s c h e n N a t u r u n d N a t i o n zu g e b e n , w o d u r c h a u c h inhaltlich dem B u c h eine E i n h e i t v e r l i e h e n w i r d . D a s W e s e n des m o d e r n e i l A u s d r u c k s und Stils zu e h a r a k t e r i s i r e n , h a t d e r V e r f . ein e i g e n t ü m liches M i t t e l a n g e w a n d t , i n d e m er bei vielen S t ü c k e n ein dem I n h a l t n a c h e n t s p r e c h e n d e s aus d e r ä l t e r e n L i t e r a t u r dem m o d e r n e n in k l e i n e r e m D r u c k h i n z u g e f ü g t h a t . Sehr zu loben ist die H i n z u f ü g u n g d e r A b t h e i l u n g : Lingua parlata Toscana della gente civile. . . . D e n B e s c h l u s des B u c h e s b i l d e t ein d e n M u n d a r t e n I t a l i e n s g e w i d m e t e r A b s c h n i t t , worin die n e u n t e Novelle d e r e r s t e n G i o r n a t a des D e c a m e r o n , . . . i n allen w i c h t i g e r e n i t a l i e n i s c h e n D i a l e e t e ü b e r t r a g e n g e g e b e n
wird, zugleich mit einer wörtlichen I n t e r l i n e a r ü b e r s e t z u n g . So wird also der C h a r a k t e r der allgemeinen S c h r i f t s p r a c h e Italiens auch in ihrem Unterschied von der U m g a n g s s p r a c h e Italiens illustrirt. — Endlieh hat der Verf., worauf schon der Titel hinweist, durch Accente .den T o n f a l l wie das offene e und o, und durch P u n k t e die schwache Aussprache des s u n d z bezeichnet. Das Buch verdient h i e r n a c h in m e h r f a c h e r Beziehung zum Studium des modernen Italienisch empfohlen zu werden. T l i e N a t i o n , weekly edition of the N e w - Y o r k evening Post, Dec. 15. 1881. — The first or prose volume of . . . . Aristide B a r a g i o l a ' s 'Italian Chrestomathy' (Strassburg) is divided into t h r e e d e p a r t m e n t s — viz., 1, Ancient and Modern L a n g u a g e ; 2, Palite Tuscan L a n g u a g e ; 3, Dialects. First, in o r d e r come brief p a r a g r a p h s by famous authors — dialogues, fables, and letters on various subjects, which r e n d e r the book useful as a manual of instruction and "First Reader". Next, in the l i t e r a r y d e p a r t m e n t , which is progressively a r r a n g e d with unusual system a n d scholarly t a s t e , articles on all sorts of topics from t)io best ancient a n d modern a u t h o r s are c o n t r a s t e d , to teach tin: foreigner differences in linguistic and literary style, and are made doubly valuable to the litterateur by notes full of historical i n f o r m a t i o n . T h e classical, modern, and romantic schools are illustrated in selections made with a view to exhibit not only t h e Italian l a n g u a g e in its variety, but its growth and peculiarities arising from the customs of the people in the different p a r t s of I t a l y . Thus, in t h e case of Manzoni, who belongs to the R o m a n t i c school, a curious change in l a n g u a g e is shown in the early and the late corrected edition of 'I P r o messi SposiY T e a c h e r s will find this Chrestomathy of a h i g h e r order and more interesting to b e g i n n e r s than the average. Accents a r e fully given, and the different dialects a r e compared to modern Tuscan, so lhat they may be easily learned by a n a l o g y . The book in every respect is original, c l e a r , and c o m p r e h e n s i v e , desirable for general r e a d i n g , a n d w o r t h y of the first r a n k among works an l i t e r a t u r e and education. Di q u e s t a
Crestomazia hanno parlato favorevolmente a l t r i 14 p e r i o d i c i i t a l i a n i .
BARAGIOLA, Italienische Grammatik mit Berücksichtigung des Lateinischen und der romanischen Schwestersprachen. 8°. XVII, 249 S. 1880. J& 5. — Archiv f ü r das Studium der n e u e r e n S p r a c h e n und L i t t e r a t u r e n , h e r a u s g e g e b e n von L. H e r r i g , L X I X . B. 1. H e f t , 1880: „B's. italienische G r a m m a t i k giebt sich gleich auf dem Titel als eine der wissenschaftlichen E r f a s s u n g dieser S p r a c h e d i e n s t b a r e Arbeit, und wirklich berechtigen sie dazu >die fleissige H e r a n z i e h u n g des Alterthiimlichen und zwar so, dass man es als solches von dem N e u e r e n unterscheidet, die E r w ä h n u n g von E i g e n t ü m l i c h k e i t e n der alten handschriftlichen R e c h t s c h r e i b u n g , die V e r g l e i c h u n g lateinischer und den übrigen romanischen S p r a c h e n e i g e n e r F o r m e n , die Benutzung von g e l e h r t e n F o r s c h u n g e n a n d e r e r , namentlich auch von Diez' Romanischer G r a m m a t i k " . . .
BARAGIOLA, IL POVERO ENRICO (der arme Heinrich von Hartmann von. Aue), Versione in Prosa dal tedesco medioevale. 8°. IV, 45 S. 1880. M 1. 20 DARMSTADT.
T I P . DI G .
OTTO.