Crolli e affidabilità delle strutture civili 9788877587497


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Flaccovio Crolli 1-100
Flaccovio Crolli 101-200
Flaccovio Crolli 201-300
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Flaccovio Crolli 401-500
Flaccovio Crolli 501-600
Flaccovio Crolli 601-630
Flaccovio Crolli 651-670
Flaccovio Crolli 671-680
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Flaccovio Crolli 801-900
Flaccovio Crolli 901-986
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Crolli e affidabilità delle strutture civili
 9788877587497

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II

Crolli e Affidabilità delle Strutture Civili Structural Failures and Reliability of Civil Structures

Atti del Convegno Nazionale CRASC’06 Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

A cura di: Piero Colajanni Giuseppe Muscolino Giuseppe Ricciardi

III

A cura di: Piero Colajanni – Giuseppe Muscolino – Giuseppe Ricciardi

CROLLI E AFFIDABILITÀ DELLE STRUTTURE CIVILI ISBN-13: 978-88-7758-749-7 Prima edizione: maggio 2007 © 2007 by Dario Flaccovio Editore s.r.l. - tel. 091202533 - fax 091227702 www.darioflaccovio.it [email protected]

Crolli e affidabilità delle strutture civili = Structural failures and reliability of civil structures : atti del Convegno nazionale CRASC ’06, Università degli studi di Messina , Messina, 2022 aprile 2006 / a cura di Piero Colajanni, Giuseppe Muscolino, Giuseppe Ricciardi. – Palermo : D. Flaccovio, 2007. ISBN 978-88-7758-749-7 1. Edifici civili - Congressi – 2006. 2. Congressi – Messina – 2006. I. Colajanni, Piero. II. Muscolino, Giuseppe. III. Ricciardi, Giuseppe. 690 CDD-21 CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace”

Stampa: Tipografia Priulla – Palermo, aprile 2007

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compeso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dagli aventi diritto/dall’editore.

IV

Comitato Scientifico Luigi Ascione Alessandro Baratta Luca Bertolini Antonio Borri Alberto Carpinteri Marcello Ciampoli Mario Como Mario Di Paola Bernhard Elsener Renato Giannini Ferdinando Laudiero Giuseppe Mancini Mauro Mezzina Maurizio Papia Pietro Pedeferri Giovanni Solari Erasmo Viola.

Giuliano Augusti Francesco Benedettini Franco Bontempi Remo Calzona Fabio Casciati Ranieri Cigna Edoardo Cosenza Angelo Di Tommaso Lucia Faravelli Gualtiero Gusmano Piergiorgio Malerba Gaetano Manfredi Franco Mola Tommaso Pastore Salvatore Russo Renato Sparacio

Comitato Organizzatore Nicola Augenti Giovanni Falsone Giuseppe Muscolino Giuseppe Ricciardi

Piero Colajanni Nicola Impollonia Edoardo Proverbio Enzo Siviero.

Segreteria del Convegno Ingg. Francesco Giacobbe e Natale Maugeri Dipartimento di Ingegneria Civile, Facoltà di Ingegneria , Università di Messina Contrada Di Dio – Villaggio S. Agata 98166 - Messina Tel. 090-3977167 Tel. 090-3977179 – Fax: 090-3977480 e-mail: [email protected] sito web: ww2.unime.it/ingegneria/crasc06

V

VI

PREFAZIONE L’analisi dei crolli e dei dissesti strutturali è certamente una delle maggiori fonti di conoscenza per un progettista. Nel caso di crolli e dissesti imputabili ad eventi eccezionali, come terremoti, uragani, incendi, o esplosioni, fra le possibili cause dell’evento riveste un ruolo rilevante la modellazione dello scenario di carico; nel caso dei crolli “spontanei”, invece, le cause sono più spesso da ricercare fra gli errori progettuali, difetti di esecuzione, insufficiente resistenza o durabilità dei materiali, uso improprio, vetustà. Pertanto l’osservazione di un collasso strutturale “spontaneo” impone la ricerca di fenomeni e comportamenti indebitamente trascurati, l’interpretazione dell’inefficacia del modello, stimola l’esame critico di ipotesi e processi deduttivi e fornisce una moltitudine di informazioni, spesso più affidabili ed accurate di quelle fornite dalla sperimentazione in laboratorio su prototipi in scala, o dal monitoraggio di strutture in condizioni di esercizio. Nonostante la rilevanza dello studio di questi temi, nel vasto panorama di convegni e simposi nell’ambito dell’Ingegneria Strutturale, soltanto dal 2001 il tema dei crolli e dei dissesti ha trovato una collocazione stabile. Grazie all’iniziativa promossa dei proff. Enzo Siviero, Renato Sparacio e Nicola Augenti, nel Dicembre del 2001 è stato realizzato presso lo IUAV di Venezia, d’intesa con il Prof. Angelo Di Tommaso e con il coordinamento del Prof. Roberto Gori, il primo convegno su “Crolli ed Affidabilità delle Strutture Civili”. L’originalità delle tematiche trattate con approccio multidisciplinare, unitamente alla grande attualità degli argomenti dibattuti, hanno contribuito al successo dell’iniziativa, tanto da suggerire la organizzazione del convegno con cadenza periodica. Con l’obiettivo di interessare e promuovere il dibattito lungo l’intero territorio nazionale, dopo il successo della seconda edizione svoltasi presso l’Università di Napoli Federico II nel 2003, dal 20 all 22 Aprile del 2006, in occasione del decennale del crollo della cupola della Cattedrale di Noto, avvenuto il 13 Marzo 1996, si è tenuta presso l’Università degli Studi di Messina la terza edizione del convegno, per la quale è stato coniato l’acronimo CRASC’06. Durante il convegno sono stati dibattuti numerosi temi di grande attualità; oltre allo studio dei crolli “spontanei”, sono stati argomento di comunicazione i criteri, i metodi e i modelli per l’analisi delle modalità di crisi di strutture e elementi strutturali, l’innesco, la propagazione e la valutazione del danno, il degrado e la durabilità dei materiali e le problematiche inerenti la robustezza strutturale. Sono così stati divulgati e confrontati studi ed esperienze maturate nel campo dei crolli, partendo dall’analisi teorica e pratica dei grandi dissesti, passando attraverso i criteri di affidabilità, fino a giungere ai problemi connessi con la dismissione strutturale, gli aspetti normativi e legali. L’obiettivo è stato quello di far confluire esperienze professionali e studi scientifici, mettendo a confronto ricercatori di diversa estrazione, professionisti, amministratori pubblici e dirigenti preposti alla tutela e alla salvaguardia di opere architettoniche e monumentali. Si sono così confrontate esperienze di vario genere al fine di dibattere temi il cui studio, almeno sino a oggi, viene più spesso affrontato attraverso approcci fenomenologici, piuttosto che modelli analitici e meccanici in grado di rendere oggettivo il risultato delle analisi. Il convegno si è articolato in una serie di relazioni su invito, tenute dai Proff. Sergio Lagomarsino, Pietro Pedeferri, e Remo Calzona, in sezioni tecniche in cui sono state presentate e discusse le memorie proposte dai partecipanti, e si è concluso con una tavola rotonda, in cui sono intervenuti anche i Proff. Franco Bontempi, Edoardo Cosenza e Mario Di Paola dove sono stati dibattuti gli aspetti operativi delle

VII

problematiche trattate insieme con i rappresentanti degli enti pubblici preposti alla sicurezza, come vigili del fuoco e la protezione civile.

Piero Colajanni, Giuseppe Muscolino e Giuseppe Ricciardi

VIII

INDICE VII

PREFAZIONE

1

RELAZIONI AD INVITO Bontempi F. Robustezza strutturale Calzona R. Aspetti epistemologici della sicurezza strutturale Cosenza E., Manfredi G., Capuozzo S., Fisciano R., Polese M., Verderame G.M. Una metodologia semplificata per la valutazione della vulnerabilità statica di edifici in c.a. esistenti

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SESSIONE I: INSEGNAMENTI TRATTI DAI COLLASSI STRUTTURALI

55

Augenti N. Il collasso di una volta in muratura in un antico edificio di Ercolano Pasquino M., Modano M., De Majo A. Il dissesto dell'aula magna del policlinico Umberto I dell'Università “La Sapienza" di Roma: diagnosi e cause del crollo Giambanco F. Crolli e ricostruzioni nel centro storico di Palermo. Un caso emblematico: l'exconservatorio della SS. Nunziata Cennamo C., Voiello G. Cronaca del crollo, della messa in sicurezza e del consolidamento di un edificio sito nel centro storico di Napoli Jurina L., Mazzoleni M. Analisi del collasso di una copertura metallica sandwich di grande luce Chiaia B., Costanzo D., Barroero M., Cascio D. Analisi post-mortem del collasso di un edificio intelaiato in c.a. Barizza P., Siviero E., Zanchettin A. Patologie progettuali e di comunicazione delle informazioni: un crollo recente mette in luce la criticità del sistema Occhiuzzi A., Caterino N. Il ruolo dei dettagli esecutivi nel crollo di una paratia tirantata Capuozzo S. Cause intrinseche ed estrinseche nei crolli storicamente documentati: attualità' di due casi emblematici: gli edifici di Via Pompeo Magno e di Via Pandolfo Collenuccio Indelicato F. Retro-analisi del crollo di un muro di sostegno ottocentesco e del conseguente collasso di un edificio addossato Carocci C.F. La regola dell'arte come criterio di affidabilità strutturale. Ragionamento su un crollo settecentesco Augenti N. Un crollo nel centro di Napoli durante lavori di consolidamento Pasquino M., Modano M., Fabbrocino F. Il crollo della galleria di Secondigliano: scenari ed ipotesi

IX

3

43

57 65 77 85 95 111 123 131

145 149 157 169 177

Muneratti E., Augenti N., Siviero E. Analisi delle cause di crollo e cedimento strutturale delle strutture in calcestruzzo armato Menditto G. Su alcuni casi di collassi strutturali

189

SESSIONE II: AFFIDABILITÀ STRUTTURALE

209

Giuliani L., Wolff M. Strategie per il conseguimento della robustezza strutturale: connessione e compartimentazione Sibilio E., Ciampoli M. Valutazione dell’affidabilità strutturale attraverso tecniche di simulazione Monte Carlo: “Subset simulation” e “Bayesian updating” Garavaglia E., Anzani A., Binda L. Applicazione di un modello probabilistico al comportamento dipendente dal tempo delle murature storiche Baratta A., Corbi O., Di Lorenzo C. Analisi limite probabilistica e prognosi del dissesto strutturale Alibrandi U., D’Arrigo A., Ricciardi G. Affidabilità nei riguardi del collasso plastico o per instabilità di strutture a parametri incerti Russo S., Boscato G., Sciarretta F. Il molino Stucky: Affidabilità delle strutture murarie danneggiate e meccanica del crollo Russo S., Boscato G., Sciarretta F. Il molino Stucky: Interazione fra prove non distruttive e prove microdistruttive

SESSIONE III: MONITORAGGIO E PREVENZIONE Baratta A., Cennamo C., Corbi I. Manutenzione e sorveglianza programmata per il controllo della affidabilità delle strutture Benedettini F., Gentile C. Un programma di manutenzione programmata per i ponti gestiti da enti pubblici territoriali: 1. Aspetti generali Benedettini F., Gentile C. Un programma di manutenzione programmata per i ponti gestiti da enti pubblici territoriali: 1. Modal Updating e futuri sviluppi Brigante M., D’Urso M.G. Prevenzione e controllo dei dissesti strutturali con tecniche di monitoraggio di sorveglianza Gallotta M., Proietto L., Salvadori N. L’intradosso dei solai: fenomeni critici e sicurezza Lauriano V. Interventi di messa in sicurezza in immobili nel centro storico di Palermo Carpinteri A., Lacidogna G., Niccolini G. Monitoring medieval towers by acoustic emission technique during earthquake activity

X

201

211 223 239 251 263 275 287 299

301 313 325 337 349 359 369

SESSIONE IV: MODELLI PER L’ANALISI DEI CROLLI Ferro G., Ipperico M., Pignata V. FRP nel consolidamento strutturale di volte in muratura: applicazione del modello bridged crack Pisano A., Fuschi P. Analisi limite di elementi strutturali a comportamento anisotropo Anzani A., Binda L. Il comportamento a lungo termine delle murature storiche: evoluzione del quadro fessurativo come effetto visibile del danno Tertulliani A., Valente G. La meccanica dei geomateriali per l'analisi di vulnerabilità dei monumenti Borino G., Parrinello F., Iemmolo R. Analisi agli elementi finiti di crolli e processi di decostruzione per strutture intelaiate in c.a. Scotta R., Vitaliani R., Saetta A. Utilizzo di esplosivi per il controllo delle demolizioni strutturali: simulazione numerica Lazzari M., Majowiecki M., Saetta A., Vitaliani R. Il comportamento strutturale della copertura dello stadio olimpico di Montreal Mezzina M., Uva G., Porco F. Aspetti teorici, pratici e sperimentali relativi al collasso per punzonamento di piastre in c.a. Tocci C. Valutazione della sicurezza strutturale di aggregazioni complesse di edifici storici Carocci C.F., Neri F. Il ruolo della conoscenza nell'analisi dei meccanismi di collasso dei manufatti storici: la chiesa del Sacro Cuore a Santa Venerina (CT) Cascone S., Occhipinti E. La conoscenza delle tecniche costruttive tradizionali quale momento propedeutico per la salvaguardia sotto il profilo statico delle emergenze architettoniche Siviero E., Brighesella B., Tolaccia P., Zordan T. Problematiche statiche in fase di progettazione ed esecuzione: un caso studio Belli P., Corbi O., Orefice R. Analisi del quadro fessurativo di un sistema voltato tramite FEM: il portico del palazzo Lancellotti di Lucignano Greco R., Mezzina M., Uva G. Valutazioni di sicurezza nelle costruzioni in cemento armato e sistemi esperti

SESSIONE V: TECNICHE SPERIMENTALI Giuffrè E., Levorato M. Il ponte ciclo-pedonale di S. Giuliano: indagini sperimentali Benfratello S., Giambalvo R., Grammatico S., Navarra G., Priolo S. Il rumore ambientale e l'affidabilità strutturale: il caso della chiesa di N.S. dell'Itria a Castelvetrano Zingone G., Cavaleri L., Cucchiara C. Impiego di tecniche di identificazione dinamica per la prevenzione e mitigazione del rischio da “crolli”

XI

381

383 395 405 417 429 441 453 465 477 489 501 513 525 535 547 549 561 573

Zuccaro G., Petrazzuoli S.M., Capuozzo S. Solai SAP e collassi spontanei : un metodo di indagine non distruttiva per le verifiche di stabilità Faella C., Martinelli E., Nigro E., Paciello S. Prove di compressione diagonale su muretti di tufo rinforzati con CFRCM Anzani A., Binda L., Carpinteri A., Lacidogna G. Efficacia di interventi di riparazione su muri in pietra a tre paramenti Applicazione della tecnica delle emissioni acustiche De Canio G., Giaquinto P., Mongelli M.L., Poggi M., Ranieri N., Zingone G. Verifiche sperimentali dei cinematismi di collasso e della propagazione del danno nei macroelementi strutturali di edifici storico monumentali Pucinotti R. L’utilizzo del metodo Windsor nella valutazione della resistenza meccanica del conglomerato cementizio Coppola L., Pastore T. La resistenza a compressione del calcestruzzo in opera in accordo alle norme tecniche sulle costruzioni De Canio G., Iraci Sareri S., Muscolino G., Palmeri A., Poggi M., Sturiale C. Prove su tavola vibrante di un modello in muratura per la validazione di due interventi di miglioramento sismico Tonietti U., Paglini M. Dissesti atipici in strutture ad arco di grande luce: fenomenologia e rischi indagati per via sperimentale

SESSIONE VI: RAFFORZAMENTO STRUTTURALE Spinelli P., Galano L., Barni F. Studio del collasso strutturale: analisi di casi reali e tecniche di progettazione per la limitazione del danno Betti M., Selleri F., Vignoli A. Il consolidamento dei solai tradizionali: valutazione dell'affidabilità delle usuali tecniche di intervento Albanesi T., Nuti C., Vanzi I. Miglioramento strutturale e sicurezza sismica di un ospedale esistente Cilia M., Cultrone R., Occhipinti C. Un metodo per la sicurezza dei centri storici: interventi di miglioramento strutturale Ascione F., Mancusi G. Nuclei antisismici di c.a. placcati con lamine e/o tessuti di FRP Ascione L., Giordano A. Rinforzo sismico di strutture di c.a. mediante FRP Mantegazza G., Recupero A., Sceusa G. Collasso di solette da ponte per punzonamento e utilizzo di SNFRC nel ripristino Caiazza R., Recupero A., Scilipoti C.D. Collasso di travi in c.a. per taglio e utilizzo di FRCM per l'adeguamento Colajanni P., Spinella N. Previsione dell'efficacia del rinforzo di colonne in c.a. mediante fasciatura con FRP

XII

585 597 609 621 641 653 665 677 689

691 703 717 729 739 753 769 781 793

SESSIONE VII: DEGRADO E DURABILITA’ DEI MATERIALI Migliore M.R., Letizia F.S. Disgregazione delle malte antiche Crea F., Frontera P., Marchese S., Antonucci P.L. Calcestruzzi ad alte prestazioni (HPC): durabilità e proprietà meccaniche Ormellese M., Lazzari L., Pedeferri P. Monitoraggio della corrosione nelle strutture in calcestruzzo armato precompresso Epasto G., Campanella G. Valutazione della durabilità di calcestruzzi rinforzati con fibre di acciaio Brigante M. Eterogeneità e danni nel calcestruzzo: effetti sulla stima della resistenza attuale Occhiuto G. Degrado dei materiali e difetti costruttivi: il caso di palazzo Gentile di Sant’Agata Militello. Analisi ed intervento di recupero mediante applicazione di tessuti in FRP

SESSIONE VIII: PROBLEMATICHE CONNESSE AI CROLLI D’Aguanno V., Siviero E. Architettura strutturale: dal progetto architettonico alla realizzazione in cantiere Viarenghi M., Scaini S. Demolizioni controllate e tecniche di induzione di crolli nelle strutture Trombetti T., Silvestri S., Gasparini G., Malavolta D. Identificazione di input sismici di riferimento per valutazioni di affidabilità strutturale Nudo R., Turazza D., Viti S. Valutazione della prestazione sismica di un edificio a struttura intelaiata in c.a. provvista di elementi critici per taglio Faella C., De Santo D., Martinelli E., Nigro E. Sulla valutazione del comportamento sismico di edifici esistenti in c.a. secondo le recenti normative Meloni D. La cupola della chiesa S. Michele di Alghero Tringali S., De Benedictis R. Ricostruzione e restauro della cattedrale di Noto Gallo M., Lo Giudice E., Navarra G., Sacco M.M. Valutazione del modulo elastico secante e dinamico del calcestruzzo su strutture esistenti Borri A., Grazini A. Il David di Michelangelo: crollo annunciato, crollo evitato? Damiani A. Aspetti intrinsechi ed estrinsechi del crollo di un edificio nel centro storico di Palermo

XIII

805 807 817 827 839 849

861 869 871 879 889 903 915 927 939 945 959 971

XIV

Relazioni ad invito

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2

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

ROBUSTEZZA STRUTTURALE F. BONTEMPI1 1

Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Via Eudossiana 18, 00184 ROMA [email protected]

SOMMARIO Il presente contributo vuole dare un’introduzione al concetto di robustezza strutturale che e’ definita come l’abilità di una costruzione di mostrare un degrado delle proprie qualità proporzionato all’entità di un’azione o di un evento negativo. A tale scopo, nella parte introduttiva di questo lavoro si considerano, nell’ordine, i concetti di azioni/eventi HPLC e LPHC, la definizione di complessità e la nozione di sincronicità, l’impostazione euristica delle verifiche di sicurezza e prestazionali secondo scenari di contingenza. Nella parte centrale, e’ data una definizione formale di robustezza strutturale e sono indicate strategie di progetto per ottenerla. Essendo la robustezza una proprietà sistemica della costruzione che richiede una visione olistica dell’intero problema strutturale, nella seconda parte del lavoro e’ dato spazio alla definizione di sistema strutturale e alle strategie di analisi strutturale. Infine, e’ sviluppata un’applicazione. Costante riferimento e’ fatto al quadro normativo italiano del Testo Unitario delle Norme Tecniche per le Costruzioni del D.M. 14/09/05 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il 23 Settembre 2005, che ha ritenuto il requisito di robustezza centrale al processo di progettazione strutturale. ABSTRACT The present paper concerns the concept of robustness as the ability of a construction to develop a decrease of quality proportionate to the entity of a negative action or event. For this purpose, the concepts of HPLC / LPHC events, the definition of complexity and the notion of synchronicity, the development of safety assessment through the heuristic definition of contingency scenarios are initially reviewed. Then, a formal definition of structural robustness is given besides the design strategies needed to obtain this characteristic. Being robustness a systemic concept that need a holistic vision of the overall structural problem, attention is devoted to the definition of a structural system and to the general strategies needed to develop the structural analysis. A specific example is developed. Constant reference is made to the Italian National Standards represented by the Testo Unitario delle Norme Tecniche per le Costruzioni del D.M. 14/09/05, recently published.

3

1. AZIONI/EVENTI LCHP ED AZIONI/EVENTI HCLP Considerando il problema della verifica della sicurezza e delle prestazioni di una costruzione, si affrontano fondamentalmente due categorie di situazioni. La Fig.1 fa riferimento ad una situazione canonica che si può far ricadere nella prima categoria dove si può sviluppare una caratterizzazione statistica delle azioni, od eventi. Secondo tale procedura, si hanno le seguenti fasi: 1) definito un periodo temporale di riferimento Tu pertinente alla costruzione in esame, o alla classe di costruzioni che si considera, si misura con opportune cautele l’azione Q(t); in tale processo sia la scelta del periodo Tu sia le modalità di misura sono convenzionali, ovvero definite da consenso più o meno ampio della comunità scientifica e tecnica; ad esempio nel caso del vento per l’Europa, e’ abbastanza usuale fare riferimento ad un arco temporale di 50 anni e a velocità massime mediate su una finestra di misura di 10 minuti: negli Stati Uniti esistono però altri periodi (120 anni) ed altre finestre di misura (miglio più veloce) [2]; 2) sulla base dati così ottenuta, si opera sul grafico che rappresenta l’intensità dell’azione ordinando le misure in modo decrescente: l’azione e’ ancora rappresentata lungo l’intervallo che rappresenta la grandezza del periodo di riferimento Tu, ma presenta un andamento monotono e non più tipicamente periodico; in tal modo, con riferimento all’intensità’ Qa dell’azione, si può quindi risalire al tempo cumulato ta in cui l’azione ha un valore maggiore di tale intensità; 3) è operata una normalizzazione delle ascisse, introducendo il parametro = t/ Tu : in tal modo a= ta/ Tu rappresenta la frazione di tempo per la quale l’azione assume un’intensità maggiore di Qa; 4) si può dunque risalire alla distribuzione di probabilità P(Q) e alla densità di probabilità p(Q) del valore dell’azione Q nel fissato periodo di riferimento Tu: da questa probabilità, si possono derivare tutti i valori significativi, come valori medi e frattili; si possono infine individuare tutti i coefficienti i che moltiplicati per il valore caratteristico Qk denotano valori di combinazione rara, frequente, semipermanente, e così via. Anche con tutte le arbitrarietà e le imperfezioni che possono evidenziarsi nel presente procedimento, risalta senz’altro l’importanza della base di informazione sperimentale che e’ direttamente fondante la caratterizzazione di questa categoria di azioni [7, 32]. Inoltre, non può essere sfuggito che tale rappresentazione e’ quella riportata dal D.M. 15 Settembre 2005, ovvero dal Testo Unitario delle Norme Tecniche per le Costruzioni, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23 Settembre 2005, per le ovvie considerazioni legate al formalismo di verifica agli stati limite attraverso l’espressione di opportune combinazioni di azioni [31]. La categoria di azioni passibili di un simile trattamento sono note in letteratura con l’acronimo di azioni (od eventi) LCHP, che contrae i termini Low Consequences High Probability (Eventi Frequenti con Basse Conseguenze): sono quindi raccolte azioni od eventi che si manifestano ripetutamente, tanto da poterne almeno imbastire una caratterizzazione statistica, e che sono, come regola generale, accompagnati da modeste conseguenze. In particolare, alla loro comparsa sono associati bassi rilasci di energia, minimo numero di crisi strutturali, e coinvolgimento di un numero minimo di persone. Va rilevato che proprio per la possibilità abbastanza facile, anche se a volta tediosa, di inquadramento e di formalizzazione, questa categoria risulta ampiamente presente in tutti i testi di ingegneria strutturale ed e’ largamente insegnata [22, 24].

4

Q(t) = azione variabile nel tempo

t Periodo di riferimento per la costruzione = Tu Q(t) = azione variabile nel tempo riordinata per valori decrescenti

Qa

t Periodo di riferimento per la costruzione = Tu

ta

Q(t) = azione variabile nel tempo riordinata per valori decrescenti

Qa

0

1

Ș=t/Tu

Șa =ta/Tu

Q

Q(t) = azione variabile nel tempo riordinata per valori decrescenti

Qk ȥ 0Q k ȥ 1 Qk

0 Ș1

Ș=t/Tu

Ș2

p(Q)

ȥ 2Q k

Figura 1. Passi per la caratterizzazione statistica di un’azione o di un evento [31].

5

1

Quantunque gran parte delle azioni naturali siano inquadrabili nel formalismo descritto dalla Fig.1, esistono altre azioni, ed, in particolare, eventi legati all’utilizzo o all’interazione delle costruzioni con l’Uomo, che non possono essere così semplicemente quantificati [9, 23]. Nella Fig.2 sono riportati due casi di enorme riflessione per l’intero settore dell’Ingegneria Strutturale. Il primo e’ il caso di un edificio a pannelli prefabbricati dove lo scoppio accidentale di una bombola di gas in una cucina ha provocato il collasso di una notevole porzione dell’edificio stesso: e’ interessante ricordare che in Inghilterra si parla di normative per le costruzioni precedenti e conseguenti il 1968, anno di questo incidente, per evidenziare il cambiamento della filosofia di progettazione e di verifica strutturale. Sulla destra della Fig.2, e’ riportato uno schema che rappresenta i punti di impatto dei due velivoli nell’attentato al World Trade Center a New York l’11 settembre 2001. Delle tantissime immagini relative a questo incidente, questa, forse, serve a materializzare una peculiare caratteristica di questa seconda categoria di eventi: non esiste una descrizione statistica del punto di impatto di velivoli su edifici alti.

Figura 2. Eventi legati all’utilizzo o all’interazione della costruzione con l’Uomo: a) effetti colposi dell’esplosione di una bombola di gas in un edificio Ronan Point nel 1968 in Inghilterra; effetti dolosi dell’attentato al World Trade Center nel 2001 negli Stati Uniti.

Quest’ultimo caso mette anche in evidenza altre caratteristiche di questi eventi: in questi casi e’ coinvolto il rilascio di una grande quantità di energia, si hanno numerose crisi di elementi strutturali, sono coinvolte molte persone. Per questi motivi, tale categoria di eventi e’ denotata in letteratura come eventi LPHC da Low Probability High Consequences (Eventi Rari con Alte Conseguenze) e si presentano con caratteristiche duali rispetto agli eventi HPLC visti precedentemente: in particolare, costruzioni che possono avere comportamenti soddisfacenti di fronte ad eventi HPLC possono non manifestare altrettanto successo in presenza di un evento LPHC. Infine, va segnalata la distinzione dei termini correnti: nella letteratura anglosassone, i problemi relativi ad azioni naturali o eventi colposi sono pertinenti alla structural safety, mentre gli eventi colposi sono tema della structural security [20].

6

2. COMPLESSITA’ E SINCRONICITA’

lasca

TIPO DI CONNESSIONE FRA LE VARIE PARTI DEL SISTEMA

stretta

La distinzione fatta nel precedente paragrafo relativamente a due differenti categorie di azioni/eventi, e’ solo il primo passo per una critica costruttiva agli approcci probabilistici alla sicurezza strutturale. Un altro tema pertinente a tale discussione e’ relativo alla constatazione del numero di incidenti strutturali, ma anche di altro tipo, avvenuti in quei sistemi che avevano alla base del loro progetto la dichiarazione di una probabilità di crisi dell’ordine di 1/1000000 o meno. Il riferimento e’ in particolare alle centrali nucleari: effettivamente, nelle migliaia di impianti realizzati, si sono verificati una decina, circa, di incidenti eccezionali, con un’occorrenza di accadimento che quindi e’ stata dell’ordine di 1/1000, ovvero di alcuni ordini di grandezza superiore a quanto previsto [17]. In effetti, e’ ritenuto che la prima assunzione sia da intendersi come probabilità nominale di crisi, ottenuta considerando solo gli aspetti del problema statisticamente regolari, ovvero descrivibili in tale formalismo, come le azioni HPLC e le caratterizzazioni materiali desunte da ampia e consolidata sperimentazione, permettendo di arrivare alla valutazione di una sicurezza nominale della costruzione in esame. In questa probabilità restano escluse tutte le fonti non statisticamente trattabili, come gli eventi LPHC, che invece concorrono a formare la cosiddetta probabilità sostanziale di crisi, governando dunque la sicurezza sostanziale della costruzione in esame. Il primo passo per la comprensione del problema della sicurezza sostanziale delle costruzioni, può essere fatto introducendo la nozione di complessità di un qualsiasi sistema. Nella Fig.3 e’ proposto uno schema noto in letteratura in diverse forme, che considera lungo due assi ortogonali quelle che possono essere intese come dimensioni della complessità: tali dimensioni sono rappresentate dal tipo di interazioni e dal tipo di connessioni che le varie parti di un sistema sviluppano fra loro, e permettono di individuare 4 quadranti contenenti configurazioni ricorrenti. La complessità e’ ritenuta crescente sia passando da interazioni lineari (caratterizzate da proporzionalità e dunque prevedibilità) ad interazioni non lineari, sia passando da connessioni lasche (ovvero sistemi con parti poco connesse) a connessioni strette: i sistemi che possono rappresentarsi nel quadrante 3 sono caratterizzati da (relativa) semplicità, mentre i sistemi del quadrante 4 sono caratterizzati da massima complessità. ingegneria genetica impianti nucleari

trasporto marittimo

missione spaziale

ferrovie

1 2 3 4 linee di produzione e catene di montaggio

operazioni militari

agenzie ad obiettivo singolo lineare

agenzie multiobiettivo TIPO DI INTERAZIONE FRA LE VARIE PARTI DEL SISTEMA

non lineare

Figura 3. Valutazione della complessità di un sistema in base alla natura delle interazioni (lineari / non lineari) e delle connessioni (strette / lasche) fra le varie parti che compongono il sistema stesso.

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Nel contesto dell’Ingegneria Strutturale, il concetto interazione lineare / non lineare può senz’altro essere interpretato come comportamento meccanico o geometrico: in entrambi i casi e’ chiara la possibile varietà di comportamenti possibili, spesso non intuitivi. Il termine connessione risulta un po’ più sottile: riguarda come le varie parti strutturali convergono nel produrre il comportamento strutturale globale [29]. All’interno di una struttura sono presenti due classi di regioni con comportamenti meccanici qualitativamente differenti; si hanno: - B-regions: regioni dove lo stato di sforzo è conseguente ad un regime deformativo semplice (con andamenti lineari); la lettera B deriva da Bernoulli, che individuò insieme a Navier l’ipotesi sul comportamento delle sezioni delle travi, che ruotano restando piane; - D-regions: regioni dove l’assenza di una cinematica semplice, comporta stati di sforzo comunque complicati; si hanno quindi regioni genericamente sedi di stati di sforzo diffusivi, da cui deriva la lettera D; le D-regions sono tutte quelle zone di singolarità per la struttura, ove si verificano discontinuità geometriche o di materiale, o dove sono applicate forze concentrate, carichi o reazioni vincolari; in particolare, tutti i collegamenti si configurano come D-regions. Il comportamento strutturale complessivo è il risultato dell’integrazione (risultante a livello macroscopico) del comportamento locale di tali D-regions. Inoltre, il comportamento locale, in particolare la deformabilità locale, può far emergere comportamenti inaccettabili (ad esempio effetti del secondo ordine). Infine, eventuali crisi locali possono mettere in pericolo l’integrità dell’intero organismo strutturale, fatto che deve essere evitato da un’accurata progettazione. Il possibile emergere di effetti usualmente secondari rappresenta un’indicazione di complessità. In un contesto più ampio e più ricco, che può fare riferimento all’Ingegneria dei Sistemi, oltre agli aspetti puramente concreti relativi alla costruzione ed alla sua organizzazione (hardware), si devono introdurre altri aspetti che corrispondono alla logica di progetto (software) ed al comportamento umano (humanware). Al primo settore possono farsi risalire errori di concezione, di calcolo o mancanza di conoscenza, mentre nel secondo, sono raccolti tutti gli interventi negativi legati al comportamento umano [25]. Secondo questo punto di vista, che può analizzare compiutamente la sicurezza sostanziale delle costruzioni, la crisi di un sistema strutturale emerge dalla coincidenza significativa di aspetti negativi dei tre vari campi (hardware – software – humanware). Questa condizione e’ denotata con il termine sincronicità [19] e può essere concepita come la perforazione contemporanea di tutte le difese di cui può essere considerata composta la realizzazione di una costruzione (Fig.4). COMPORTAMENTI LOCALI ERRORI LATENTI CONDIZIONI ECCEZIONALI

ERRORI LATENTI A LIVELLO DECISIONALE

PRECURSORI PSCOLOGICI

AZIONI CHE AGISCONO SULLA SICUREZZA SICUREZZA NEL PROFONDO

Figura 4. Sviluppo di una crisi nel sistema attraverso la concatenazione di meccanismi e coincidenze significative, in parte legate ad aspetti materiali in parte ad aspetti legati alla natura umana, che si coagulano in una situazione che permette l’emergere del fallimento: sincronicità [19].

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3. STRATEGIA DI VERIFICA MEDIANTE SCENARIO DI CONTINGENZA Nel paragrafo precedente e’ stata impostata una critica all’approccio puramente probabilistico della sicurezza strutturale: e’ ovvio che tale impostazione non può trattare azioni o eventi che non sono descrivibili probabilisticamente, non solo in teoria ma anche in pratica. Simili difficoltà sono altrimenti ereditate dai metodi che derivano concettualmente da tale approccio, come l’approccio ai coefficienti di sicurezza parziale della forma semiprobabilistica agli stati limite. E’ utile dal punto di vista ingegneristico considerare allora il grafico riportato in Fig.5: qui, in ascissa sono ordinate situazioni di crescente complessità, mentre in ordinata sono indicati approcci deterministici e probabilistici. Si rileva l’alternanza delle impostazioni: la sicurezza di situazioni semplici e’ valutata con analisi deterministiche qualitative che però, al crescere della complessità del problema strutturale in esame, sono sostituite da analisi più raffinate basate su considerazioni probabilistiche. Questa tendenza si inverte, all’ulteriore crescere della complessità, per tornare ad approcci deterministici: si considerano cioè analisi pragmatiche basate sull’individuazione di scenari di rischio in base a giudizi esperti, che trascendono dunque il quadro delle mere descrizioni statistiche.

Figura 5 Differenze di impostazione delle verifiche di sicurezza (approccio deterministica / approccio probabilistico) al crescere della complessità del problema strutturale.

Può essere utile a questo proposito riportare dal Testo Unitario le frasi che introducono nei termini generali l’impostazione della sicurezza e delle capacità prestazionali di una costruzione: Il Progettista, a seguito della classificazione e della caratterizzazione delle azioni, deve individuare le possibili situazioni contingenti in cui le azioni possono cimentare l’opera stessa. Con l’espressione scenario di contingenza s’intende, nella maniera più generale, una circostanza plausibile e coerente in cui può realisticamente trovarsi un’opera strutturale, sia durante la sua vita utile, sia nelle fasi di costruzione e dismissione. Tale scenario sarà dunque caratterizzato dalla concomitanza di:

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a) una determinata configurazione strutturale, usuale o transitoria: in quest’ultimo caso, oltre a considerare le fasi di realizzazione e dismissione dell’opera, devono essere identificate situazioni di danno accidentale realisticamente attendibili per l’opera stessa, ponendo la dovuta attenzione anche ai fenomeni di degrado strutturale connessi a processi chimico-fisici, ed ai riflessi in termini di organizzazione strutturale; b) un definito scenario di carico, ovvero un insieme organizzato e realistico di azioni, presenti contemporaneamente sull’opera, la cui configurazione strutturale è stata precedentemente identificata. È compito del Progettista individuare tale insieme di carichi, definendone le rispettive intensità, anche in base alle correlazioni statistiche. In ogni caso, tenendo conto delle specificità delle singole azioni, si deve adottare una progettazione strutturale orientata all’intero sistema resistente, e non solo al dimensionamento ed alle verifiche dei singoli componenti. La Fig.6 illustra dal punto di vista operativo come sono individuati gli scenari di contingenza. Da una parte sono elencate nelle righe le differenti situazioni in cui si può trovare una costruzione, a partire dalle sue fasi costruttive fino alle situazioni di funzionamento nominale, considerando anche le operazioni manutentive ed anche la dismissione. In un altro elenco, organizzato per colonne, sono definiti tutti gli scenari di carico, ovvero le possibili combinazioni di carico. L’accoppiamento dei due elenchi, produce una matrice che contiene tutte le possibili contingenze in cui verificare la sicurezza strutturale. Va notato che: 1) non tutte le combinazioni possono essere realistiche o pertinenti; 2) esiste lo spazio in questo inquadramento per inserire situazioni caratterizzate da azioni o eventi LPHC, sulla base di giudizio euristico.

STRUTTURALE

CONFIGURAZIONE

1 2 3 4 1 2 1 3 1 4 2 1 3

fase di dismissione

situazione danneggiata

trasformazione d'uso

situazione manutentiva

situazione funzionale

fase costruttiva

situazioni:

O O O O O O O O O O O O O 1 O 2 O I ….

O O O O O O O O O O O O O O O II ….

O O O O O O O O O O O O O O O III ….

O O O O O O O O O O O O O O O IV ….

O O O O O O O O O O O O O O O V ….

O O O O O O O O O O O O O O O VI ….

O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O O VII VIII IX …. …. …. descrizione

SCENARIO DI CARICO Figura 6 Individuazione degli scenari di contingenza attraverso una matrice che accoppia le differenti possibili configurazioni strutturali ai differenti scenari di carico.

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4. LA ROBUSTEZZA STRUTTURALE E LE STRATEGIE DI PROGETTO PER OTTENERLA La robustezza strutturale e’ la proprietà di una costruzione di mostrare una perdita di qualità [5] proporzionata all’evento negativo originante tale perdita. In tal modo, se la struttura e’ robusta, esiste una relazione continua e regolare fra la causa innescante il decadimento ed il conseguente effetto. Questa definizione di robustezza strutturale, può essere formalizzata, con tutte le attenzioni ed i limiti del caso, in questo modo: 1) si indica con E l’evento negativo la cui entità e’ misurata con ţE, 2) si indica con Q la qualità in esame e ţQ risulta la misura della variazione della stessa a seguito del evento E di entità ţE, la costruzione risulta robusta se il rapporto ţQ/ţE e’ limitato ad una costante L. La Fig.7 illustra graficamente il concetto di robustezza strutturale. In ordinata si trova la misura della qualità in esame: tale grandezza può essere, ad esempio, la capacità portante rispetto ad una condizione di carico, rappresentata dal moltiplicatore di carico; in generale, in ordinata si può riportare una qualsiasi capacità prestazionale o una grandezza rappresentativa la sicurezza strutturale. In ascissa si riporta l’entità dell’evento negativo, che può essere pensato come un danno strutturale o anche un errore nella concezione o nel calcolo della struttura: quest’ultimo aspetto, generalizza notevolmente il senso che si da’ al termine evento negativo, introducendo la visione sistemica legata alla sincronicità, ed in particolare a tutti gli eventi LPHC. Delle due strutture in esame, si nota come quella indicata col colore verde sia di qualità migliore nelle condizioni integre, o nominali, rispetto a quella indicata col colore blu: la stessa risulta però meno robusta della seconda, come si vede dal maggior degrado di qualità, a parità di danno, che risulta addirittura inferiore al livello minimo previsto. Questo esempio può essere tipico del caso di un pilastro in cemento armato cerchiato con spirale (caso verde) rispetto a quello di un pilastro quadrato staffato (caso blu): nella configurazione nominale, a parità di area di conglomerato, il primo risulta più resistente, ma a parità di entità di evento negativo (taglio di una sezione della armatura trasversale), risulta anche più fragile perchè la spirale si srotola facendo mancare l’azione di confinamento per un tratto più lungo del pilastro rispetto al cedimento di una singola staffa nel caso di pilastro quadrato staffato.

Figura 7 Definizione di robustezza.

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E’ opportuno considerare un altro esempio per mettere a fuoco il concetto di robustezza strutturale. Si esamina a questo proposito il telaio altamente iperstatico di Fig.8, di cui si vuole valutare la robustezza rispetto al collasso di uno dei pilastri della zona centrale: in particolare si considerano gli scenari simmetrici (D1) e asimmetrico (D2). I risultati delle tre analisi necessarie, includendo come riferimento di base la situazione integra (D0), riportati in Fig.9, indicano un degrado di qualità (resistenza) nel primo caso sia del 20% circa, mentre conseguente al secondo scenario del 30%: il giudizio di accettabilità di tali valori rientra nel più generale schema di progettazione prestazionale (Performance-based Design) [28].

Figura 8 Esempio di telaio altamente iperstatico, di configurazione integra (D0), di cui si vuole valutare la robustezza rispetto agli scenari (D1) collasso del pilastro centrale, (D2) collasso di un pilastro laterale.

Figura 9 Diagramma (moltiplicatore dei carichi - abbassamento in mezzeria in sommità ) per il telaio altamente iperstatico in esame, nella configurazione integra (D0) e negli scenari (D1) e (D2); a destra, situazione di collasso peggiore, relativa allo scenario (D2) (comportamento elastico-perfettamente plastico).

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Il concetto di robustezza e le relative verifiche sono riportate in più punti nel Testo Unitario. All’inizio, ovvero nel Capitolo 2, si esprimono in termini generali i requisiti che tutte le costruzioni devono avere: In particolare, secondo quanto stabilito nelle norme specifiche per le varie tipologie strutturali, strutture ed elementi strutturali devono soddisfare i seguenti requisiti: -

sicurezza nei confronti di stati limite ultimi (SLU): crolli, perdite di equilibrio e dissesti gravi, totali o parziali, che possono compromettere l’incolumità delle persone ovvero comportare la perdita di beni, ovvero provocare gravi danni ambientali e sociali,ovvero mettere fuori servizio l’opera;

-

sicurezza nei confronti di stati limite dei esercizio (SLE): tutti i requisiti atti a garantire le prestazioni previste per le condizioni di esercizio;

-

robustezza nei confronti di azioni accidentali: capacità di evitare danni sproporzionati rispetto all’entità delle cause innescanti quali incendio, esplosioni, urti o conseguenze di errori umani. Si nota come accanto agli usuali stati limite, sia ultimi sia di esercizio, è data evidenza al requisito di robustezza, che si può intendere come un ulteriore stato limite: in alcuni codici internazionali o per strutture eccezionali il cui progetto e’ basato fortemente sulle idee del Performance-based Design [13, 14, 16], la robustezza e’ proprio verificata attraverso la definizione di un opportuno stato limite denominato come Stato Limite di Integrità Strutturale (SLIS). Nel Testo Unitario va ancora rilevata la possibilità di sopperire, ovviamente in modo commisurato, agli errori umani, di progetto e di realizzazione, con una struttura che è intrinsecamente robusta. Riguardo alle valutazioni da fare ai fini della robustezza, all’inizio del Capitolo 3, il Testo Unitario riporta: In fase di progetto, la robustezza dell’opera deve essere saggiata imponendo, singolarmente, le seguenti cause: a) carichi nominali, arbitrari ma significativi per lo scenario considerato, al fine di saggiare il comportamento complessivo: è necessario considerare comunque disposta secondo una direzione orizzontale, una frazione dei carichi agenti in direzione verticale; tale frazione, se non altrimenti dichiarato dal Progettista, è assunta pari all’1% per costruzioni con altezza inferiore a 100 metri; allo 0.1% per altezza oltre 200 metri; a percentuale interpolata per altezze intermedie; b) assenza di elementi strutturali, per valutare le conseguenze della loro perdita a prescindere dalla causa, al fine di individuare quelli critici. Queste valutazioni, possono evidenziare anche errori nella concezione dello schema strutturale. Considerazioni specifiche sono poi introdotte nel Capitolo 6, che riguarda le opere civili. Infatti, si afferma: Tra tutte le costruzioni, per gli edifici è particolarmente stringente il requisito della robustezza, essendo tale categoria di strutture soggette ad essere occupate da un alto numero di persone ed essendo sede delle più disparate attività, svolte frequentemente in modo non organizzato e non controllato.

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Per tale scopo, gli edifici devono essere progettati in modo che il sistema strutturale principale possa sopportare danneggiamenti locali senza subire un collasso totale; gli edifici devono avere un degrado delle prestazioni di resistenza proporzionale alla causa che lo ha provocato. Questo requisito deve essere raggiunto essenzialmente attraverso un’organizzazione degli elementi strutturali che mantenga resistenza e stabilità allo schema principale attraverso un trasferimento dell’azione da qualunque regione strutturale danneggiata a quelle vicine: ciò può essere raggiunto fornendo sufficiente continuità, iperstaticità, duttilità alle parti che compongono l’edificio. In questo modo, si dovrà anche evitare la diffusione del danneggiamento da una regione limitata della struttura ad una parte significativa o addirittura a tutto organismo strutturale, secondo la cosiddetta modalità di collasso progressivo. Tale modalità di collasso, ed in generale la propagazione del danno, sarà raggiunto anche attraverso opportuna compartimentazione dell’organismo strutturale. Quest’ultimo paragrafo e’ significativo perchè indica due strategie per ottenere la robustezza strutturale. Tali strategie, in un certo senso una duale dell’altra, sono: i. aumentare la connessione delle varie parti strutturali, introducendo un elevato grado di continuità, in modo che le azioni si possano trasferire dalla parte collassata a quelle adiacenti, ovvero la costruzione abbia al suo interno una ridondanza di percorsi atti a trasmettere l’azione [15]; ii. suddividere la costruzione in compartimenti, in modo che il collasso di una parte della struttura non si propaghi alle parti adiacenti [30]. Va ricordato che queste due strategie sono tradizionalmente utilizzate in settori dell’Ingegneria come quello Aeronautico o Navale. In Fig.10, si riportano, ad esempio, i casi: a) in alto, di un bombardiere B17 Fortezza Volante, che durante la Seconda Guerra Mondiale dopo aver subito una collisione in volo con un altro velivolo, e’ riuscito comunque ad atterrare; questa capacità di incassare danno strutturale (damage tolerant structure), e’ legata alla conformazione altamente iperstatica della fusoliera di questo tipo di aereo; b) in mezzo, di un aereo di linea che nell’aprile 1988, a seguito della coalescenza di numerose microfratture nella parte centrale superiore della fusoliera, ha subito un’esplosione per decompressione: la parte di carlinga collassata e’ stata delimitata dalla presenza di longheroni ed elementi di cerchiatura presenti nella fusoliera; c) in basso, e’ infine riportata un’illustrazione pertinente alla concezione delle navi che presentano compartimenti stagni, per evitare l’eventuale propagarsi dell’allagamento che sia avvenuto in uno di essi [28]. Da questi semplici esempi, risulta evidente come l’ottenimento della robustezza strutturale sia un problema che riguarda la concezione strutturale: le analisi strutturali, non potranno che misurare quantitativamente quello che e’ già stato inserito nel codice genetico della costruzione [6, 10]. In particolare, la robustezza risulta essere una proprietà sistemica, in quanto emerge da come le varie parti della costruzione sono connesse e da come si comportano mutuamente alla presenza di un danno localizzato[26].

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Figura 10 Strategie di progetto per ottenere robustezza strutturale: nel caso di aerei, in alto, robustezza per continuità strutturale, in mezzo, robustezza per compartimentazione; nel caso delle navi, in basso, compartimentazione [28].

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5. IL CONCETTO DI SISTEMA STRUTTURALE E’ stato rilevato come la robustezza strutturale sia una caratteristica sistemica di una costruzione. Questo vuol dire che tale qualità dipende da come sono organizzate tra loro le varie parti strutturali e da come si comportano, quando, alla presenza di uno scenario qualsiasi, una di loro viene a mancare. E’ in questa ottica che la frase citata dal Testo Unitario, già riportata, In ogni caso, tenendo conto delle specificità delle singole azioni, si deve adottare una progettazione strutturale orientata all’intero sistema resistente, e non solo al dimensionamento ed alle verifiche dei singoli componenti. risulta particolarmente importante dando una visione sistemica al processo di progettazione. Un sistema e’ un insieme organizzato ordinatamente e gerarchicamente di elementi che nel loro complesso fanno emergere proprietà che le singole parti non hanno [3, 4, 21]. L’organizzazione comprende aspetti topologici, ovvero di vicinanza, e funzionali, ovvero di comportamento. L’ordine e la gerarchia all’interno di un sistema, permettono di poter sviluppare in cascata la descrizione del sistema: nella Fig.11, ciò e’ mostrato sulla sinistra in modo tradizionale per un impianto industriale, mentre sulla destra appare la più generale scomposizione funzionale multilivello [11, 12]. E’ proprio l’idea della organizzazione strutturale che permette di preordinare in maniera più generale e logica il comportamento di una costruzione nel caso di eventi LPHC. Nella Fig.12, si considera ad esempio la scomposizione di un ponte sospeso, attraverso l’individuazione di successivi livelli (macro-, meso-, micro-) strutturali. In base a questa segmentazione sistemica, si può pensare di poter individuare livelli successivi (ovvero regioni strutturali di estensione via via crescenti) che possono collassare al crescere dell’intensità dell’evento negativo considerato. Così, ad esempio, in un quadro di progettazione prestazionale si può ritenere di poter sacrificare prima a) le parti speciali che vincolano l’impalcato del ponte a terra ed alle torri; poi b) l’impalcato stesso con il sistema di sospensione secondario composto dai pendini, garantendo comunque c) la sopravvivenza del sistema di sospensione principale (torri, ancoraggi, cavi principali). E’ ricco di significato che sia questa logica di progetto a garantire la corretta concezione della costruzione e la sua robustezza strutturale, al di là di quanto possano individuare molteplici combinazioni di carico in un formato agli stati limite implementato con i coefficienti parziali di sicurezza.

Figura 11 Diagrammi che sviluppano il concetto di scomposizione gerarchica di un sistema.

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Figura 12 Scomposizione strutturale applicata ad un ponte sospeso: macro-, meso-, micro-livelli.

Figura 13 Individuazione gerarchica delle variabili e delle performance strutturali con i relativi livelli di modellazione.

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6. LE STRATEGIE DI ANALISI STRUTTURALE La Fig.13 evidenzia come la visione sistemica permetta in termini generali di organizzare il processo complessivo di analisi strutturale. La scomposizione strutturale, infatti, focalizza l’attenzione del processo di analisi su scale differenti della costruzione, dall’intero sistema al dettaglio minore. In questo modo i risultati delle valutazioni ad una scala servono come punto di partenza per le analisi ad una scala successiva, sia inferiore che superiore. Come ricordato, la complessità strutturale risulta significativa, quando fenomeni legati ad una scala si trasmettono significativamente ad un’altra. In particolare, la mancanza di robustezza e’ evidenziata, quando crisi a scale inferiori passano ignorate ai livelli superiori, facendo emergere collassi catastrofici. La Fig.13 fa vedere altresì come esista una perfetta omologia tra come si organizza il sistema strutturale e come si descrive o si analizza: e’ questa chiarezza di visione che permette di limitare gli errori di concezione o di calcolo che possono innescare collassi. Nel Capitolo 2 del Testo Unitario sono riportati quelli che devono essere gli obiettivi generali dell’analisi strutturale: L’analisi strutturale deve sviluppare un’indagine della risposta strutturale alle azioni considerate che permetta valutazioni sia qualitative sia quantitative, tenuto conto delle incertezze presenti nelle: a) differenti assunzioni di base (ipotesi di partenza); b) diverse modellazioni e diversi parametri fissati per la modellazione delle azioni pertinenti; c) diverse modellazioni e diversi parametri fissati per la modellazione del sistema strutturale, secondo una strategia che persegua i seguenti due obiettivi generali: a. delimitazione degli estremi della risposta strutturale; b. individuazione della sensibilità della risposta strutturale. Si può quindi parlare di esplorazione della modellazione strutturale al fine di valutare in modo confidente il comportamento strutturale. E’ rilevata in particolare che l’analisi strutturale deve determinare i limiti della risposta strutturale e deve definirne le criticità. Queste ultime, cause innescanti le crisi catastrofiche, sono considerate anche all’inizio del Capitolo 3, dove e’ affermato: Allo scopo di evidenziare labilità od instabilità strutturali, ovvero sensibilità nella risposta prestazionale, il Progettista ha l’onere di individuare: a) situazioni che significativamente introducano perturbazioni o imperfezioni dello schema strutturale; b) disposizioni non simmetriche dei carichi. In termini computazionali, entrambi gli obiettivi sono connaturati ad un’impostazione delle analisi nel formalismo della Logica Fuzzy [8, 27]. Attraverso questa organizzazione del processo di analisi, infatti, si determinano in modo coerente e completo quali sono i limiti della risposta strutturale e quali sono le priorità. Dal punto di vista strettamente operativo, si ricorda che tale organizzazione di calcolo può essere intesa come un processo di antiottimizzazione, che trova la sua naturale implementazione attraverso algoritmi non deterministici, quali quelli genetici. In particolare, come sotto prodotto di tali analisi, si possono individuare gli scenari più onerosi, gli elementi strutturali critici e le compartimentazioni opportune.

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7. UN ESEMPIO DI ANALISI Si considera il modello strutturale riportato nella Fig.14 che fa riferimento ad un edificio alto di 110 piani che adotta lo schema strutturale cosiddetto frame-in-frame [1]. La struttura e’ quindi composta da due sotto-strutture cilindriche, una interna all’altra, ciascuna composta da una cortina di elementi travi-colonna intelaiati tra loro, risultando nel suo complesso simile alle torri del World Trade Center. Obiettivo dell’analisi e’ la valutazione della sensibilità della struttura al danneggiamento della superficie esterna. A tal scopo, si considera nella Fig.15 l’eliminazione di un certo numero di elementi, nella parte superiore dell’edificio, tra il settantesimo e l’ottantacinquesimo piano, e secondo quattro scenari, via via più pesanti riportati in Fig.16.

Figura 14 Struttura tipo frame-in-frame per edificio delle performance strutturali con i relativi livelli di modellazione.

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Figura 15 Individuazione del modello per l’analisi strutturale in campo non lineare con sottostrutturazione.

Figura 16 Individuazione euristica degli scenari di danno (configurazioni strutturali) di entità crescente.

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Le analisi sono sviluppate secondo i seguenti passi: 1) vengono rimossi gli elementi previsti, secondo i diversi scenari; 2) i carichi permanenti sono incrementati e si sviluppa un’analisi in campo non lineare sia per materiale (limitando cioè la capacità portante di ciascun elemento), sia per geometria (tenendo conto dei grandi spostamenti che la struttura subisce, considerando quindi in particolare gli effetti instabilizzanti dovuti alle eccentricità assunte dal carico rappresentato dalla parte di edificio sovrastante la regione dove si assume avvenga il danno). Per limitare l’onere computazionale, la struttura complessiva dell’edificio viene così sottostrutturata: a) la parte sovrastante la regione che si ritiene danneggiata secondo i quattro scenari di danno, composta da 25 piani, si ritiene rigida ed e’ conseguentemente così modellata attraverso elementi solidi opportunamente corretti; per tale parte interessa fondamentalmente valutare il peso permanente amplificato dal moltiplicatore e la posizione che tale carico assume al crescere del moltiplicatore del carico stesso, in modo da poterne valutare gli effetti instabilizzanti globali; b) la parte direttamente interessata dal danneggiamento, composta da 15 piani, e’ modellata con elementi asta intelaiata con opportune caratteristiche plastiche, in modo da rappresentarne correttamente resistenza e duttilità; e’ opportunamente modellato il comportamento del secondo ordine locale, con la relativa diminuzione di rigidezza al crescere dell’azione assiale fino all’eventuale raggiungimento del carico critico; c) i 10 piani sottostanti la zona danneggiata, si suppongono composti di elementi asta intelaiata con comportamento lineare, e sono considerati al fine di fornire ragionevoli condizioni al contorno per le parti sovrastanti. In Fig.17 sono rappresentate le modalità di collasso, ovvero le configurazioni deformate assunte al raggiungimento del moltiplicatore massimo del carico permanente, per i quattro scenari di danneggiamento assunti. Si nota che al crescere dell’entità del danno, il collasso avviene innescando modalità che evidenziano crescenti dissimmetrie. Si rileva inoltre la presenza di fenomeni di instabilità locale, legati al corrugamento della parete esterna, oltre all’instabilità globale già osservata. In termini complessivi, in Fig.18 sono riportati attraverso un diagramma a barre, i valori dei moltiplicatori del carico permanente nei quattro scenari previsti (D1, D2, D3, D4), oltre naturalmente al valore nominale assunto nella configurazione integra (D0). Questo diagramma e’ una versione discreta del diagramma ideale illustrato in Fig.9: in ascissa, infatti, si e’ rappresentata una misura crescente di danno, rappresentata da quattro scenari via via più gravosi, mentre in ordinata e’ riportata una misura della qualità della struttura rappresentata dal valore assunto dal moltiplicatore a collasso. Anche qui, come nel caso di Fig.9, il giudizio di tale decremento di resistenza va sviluppato in un contesto prestazionale complessivo. A conclusione di questo esempio, si può notare l’efficacia di un approccio diretto di analisi ai fini della valutazione della robustezza strutturale: definiti gli scenari in forma euristica, lo svolgimento di analisi come quelle illustrate, in campo non lineare per materiale e geometria, sono al giorno d’oggi alla portata di numerosi codici di calcolo commerciale. Va però sottolineato che, nei termini più generali, le analisi devono essere condotte in campo dinamico, che e’ l’ambito naturale in cui descrivere eventi legati al collasso di elementi strutturali. Infine, nel caso in cui non si possano definire in modo confidente scenari opportuni, ovvero nel caso in cui si voglia sviluppare una più completa analisi di sensitività,

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si deve far ricorso a processi di ottimizzazione che pilotino la scelta degli scenari da considerare.

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2

3

4

Figura 17 Modalità di collasso nei quattro scenari di danneggiamento individuati.

Figura 18 Moltiplicatore di collasso nei quattro scenari di danneggiamento individuati.

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8. CONCLUSIONI Il concetto di robustezza strutturale riguarda il comportamento di una costruzione in presenza di un’azione o di un evento negativo. L’azione può essere una condizione di carico non prevista o non prevedibile, mentre l’evento negativo può avere origini fisiche o antropiche. Tutte queste situazioni provocano un danno cui la costruzione deve rispondere in maniera proporzionata, ovvero in modo regolare e ragionevole. Da questa definizione appaiono evidenti le ripercussioni che una progettazione orientata ad ottenere tale requisito possono avere. Tale orientamento della progettazione e’ in parte differente dal modo di procedere usualmente accettato, ed insegnato, che invece e’ basato sul soddisfacimento di stati limite attraverso un numero anche notevole di combinazioni di carico. Nel caso della robustezza strutturale, la mancanza di basi statistiche per la caratterizzazione delle azioni non usuali o degli eventi negativi possibili, allarga lo spazio per le valutazioni basate sull’esperienza e sulla conoscenza degli ingegneri strutturisti, rendendo allo stesso tempo più difficili e più coinvolgenti il progetto e l’analisi strutturale. A questo proposito, va rilevato che la progettazione orientata alla robustezza strutturale richiede una visione olistica al problema strutturale con un orientamento al sistema strutturale nel suo complesso, piuttosto che al singolo elemento strutturale. Questo atteggiamento era tipico di generazioni di ingegneri strutturisti prima dell’avvento delle varie formulazioni ai coefficienti parziali tipiche del metodo degli stati limite, che forse, in questo hanno fatto perdere di vista la sintesi della soluzione del problema strutturale. Le valutazioni sulla robustezza strutturale vanno sviluppate in campo non lineare, modellando realisticamente il comportamento strutturale, cosa che e’ possibile con i codici di calcolo commerciali oggi disponibili. Un passo ulteriore nelle analisi, può essere fatto individuando le criticità nel funzionamento strutturale e delimitando la risposta strutturale, operazioni che possono essere fatte attraverso approcci di anti-ottimizzazione. Il ruolo centrale della concezione strutturale resta comunque prioritario. Infine, va evidenziato il ruolo che l’attuale quadro normativo italiano, rappresentato dal Testo Unitario delle Norme Tecniche per le Costruzioni del D.M. 14/09/05 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il 23 Settembre 2005, ha attribuito al requisito di robustezza strutturale. RINGRAZIAMENTI Si ringraziano tutte le persone della Segreteria CRASC'06 per l’efficienza e la gentilezza mostrata, ed in particolare il Prof. Ing. Giuseppe Muscolino ed il Prof. Ing. Piero Colajanni. BIBLIOGRAFIA [1]

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

ASPETTI EPISTEMOLOGICI DELLA SICUREZZA STRUTTURALE R. CALZONA1 1

Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

SOMMARIO In questo lavoro, viene chiarito il significato di sicurezza. All’inizio, viene spiegato il significato storico della parola sicurezza, e successivamente, l’evoluzione di questo significato per prendere in considerazione le necessità dell’epoca moderna nel campo di ingegneria civile. Il concetto di sicurezza è esplicitato con l’illustrazione di studi e previsioni che riguardono il Ponte sullo Stretto di Messina, una struttura simbolo per il ventunesimo secolo. ABSTRACT In this Paper, the concept of safety is explained. The preliminary focus is the historical meaning of the word safety, and consequently the evolution of this meaning to take into account the needs of the modern era in the civil engineering field. The concept of safety is explicated with the illustration of studies and provisions concerning the Messina Strait Bridge, a milestone structure for the 21st century.

1. INTRODUZIONE Il grande filosofo ed epistemologo del 20° secolo Karl Raimund Popper nel suo libro “La logica della scoperta scientifica” [1] spiega che l’obiettivo delle teorie scientifiche è di trovare spiegazioni soddisfacenti “di ogni cosa che ha un impatto su di noi di tale intensità che necessita di essere spiegata”. Cosi una spiegazione rappresenta un gruppo di proposizioni che descrivono lo stato delle cose che devono essere descritte (esplicandum), nel senso più stretto della parola. Le proposizioni descrittive determinano la spiegazione (esplicans). In questo senso, l’esplicandum può comunemente essere assunto più o meno attendibile. Al contrario, l’esplicans è solitamente ignoto, e necessita essere determinato. L’esplicans, per essere soddisfacente (e questa è una proprietà che ha un senso comparativo), deve soddisfare una serie di condizioni. In primis, deve implicare, in un senso logico, l’esplicandum. Di secondo luogo, deve essere vero. Questa assunzione, che lo scopo della scienza è di trovare spiegazioni soddisfacenti, porta all’idea di migliorare il grado di soddisfazione che le spiegazioni forniscono, migliorando il

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grado di controllo (cioè procedere con teorie che sono più controllabili, più ricche in contenuti, accettate universalmente è di elevata precisione). Per le costruzioni del passato, per le quali la capacità portante era modesta ed i metodi di progettazione semplici e poco accurati, anche le definizioni errate ed approssimate della sicurezza sono stati sufficienti. Per le strutture da primato del futuro, dove la teoria della statica è sostituita dalle teorie della dinamica e della fluidodinamica, e la resistenza dei materiali è descritta da teorie entropiche, è propriamente necessario “illuminare” il significato di sicurezza.

2. LA SICUREZZA STRUTTURALE 2.1. Il significato di sicurezza Sicuro dal latino securum [se (sine) + cura] significa essere in uno stato senza affanno, senza preoccupazione. “Securi pro salute, de gloria certabant” (Tacito): “Sicuri (certi) della salvezza combattevano per la gloria”. Un’opera è per noi più o meno sicura se oggi solleva più o meno preoccupazioni per l’uso futuro. La sicurezza, condizione di ciò che è sicuro, privo di rischi e pericoli, è così uno stato d’animo ed il concetto di sicurezza trova maggiore collocazione nel campo della psicologia, ossia nel campo delle scienze umane, che non in quello delle scienze fisiche o matematiche, come correntemente si suppone. L’entità della preoccupazione dipende dalle conseguenze dell’evento sfavorevole che dovesse verificarsi in futuro durante la vita di servizio dell’opera. Più gravi sono le conseguenze dell’evento sfavorevole e più grande è la richiesta di sicurezza. Per questo motivo, “l’entità” della sicurezza per le strutture da primato, come il Ponte sullo Stretto di Messina, deve essere superiore rispetto a quello di un ponte ordinario, perché le potenziali conseguenze in termini di perdita di vite umane, o di perdite economiche del bene, potrebbero essere superiori. 2.2. L’esempio di Dedalo Nel cuore del Mediterraneo, tanti secoli fa, il primo artifex (ingegnere) della mitologia greca, Dedalo, costruì una macchina volante per scappare da Creta: semplicemente due ali di cera e piume di uccello. Ma quando suo figlio Icaro (figura 1) volò troppo alto e vicino al sole la cera si sciolse e Icaro cadde e morì.

Figura 1. La caduta di Icaro, il simbolo del fallimento

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La caduta di Icaro rimane il simbolo della caduta delle loro realizzazioni che gli Ingegneri rifuggiranno. 2.3. Casi famosi di crolli di ponti Nelle figure 2, 3 e 4, sono mostrati alcuni casi famosi di crolli di ponti, che ricordano agli Ingegneri la necessità di garantire la sicurezza strutturale [2].

Figura 2. Il crollo del Ponte di Tacoma Narrows

Figura 3. Il ponte di Quebec in fase di costruzione e dopo il collasso

Figura 4. Il ponte su Reno a Coblenza

27

2.4. L’impostazione probabilistica La sicurezza strutturale è assicurata se la resistenza R è sempre più alta degli attesi effetti delle azioni durante la vita di servizio, sintetizzata dalla ineguaglianza [3] R (resistenza) > S (effetto delle azioni)

(1)

R-S>0

(2)

ovvero,

Ma noi non conosciamo, ne conosceremo mai, il valore vero della resistenza o delle azioni, ma potremo costruire insiemi statistici di informazioni o di misure fisiche: questo significa che l’ineguaglianza 1a deve essere intesa in senso probabilistico. Siamo entrati nel campo dell’incertezza dei giudizi del “Futuro” che risolviamo dicendo che la probabilità dell’evento R > S deve essere sufficientemente alta, ovvero l’evento sfavorevole inverso R < S che è la probabilità di collasso Pc, dovrà essere sufficientemente piccola. La probabilità dell’evento sfavorevole R < S, “la probabilità di collasso”, è rappresentata dall’integrale di convoluzione: f

Pc

P( R  S  0)

³

f

ª f º f s ( x ') ˜ « ³ f R ( x) ˜ dx » dx ¬ f ¼

(3)

dove fR(x) and fS(x) sono le funzioni di densità di probabilità di resistenza e dell’azione (Figura 5).

fS(x) fR(x)

Sk

Rk

Figura 5. Impostazione probabilistica della probabilità di collasso.

La verifica della sicurezza (che è l’obiettivo) è rappresentata dalla disuguaglianza:

Pc ( R, S ,...)  Pc (accepted ) 10 a

(4)

Così Į è la misura della sicurezza. I valori ammissibili di a sono funzione delle conseguenze dell’evento sfavorevole. In Italia, per l’evento sfavorevole corrispondente al collasso di

28

un’opera (stato limite ultimo), a = 5 per le costruzioni ordinarie di ingegneria civile, Į = 7 per le centrali nucleari. Per eventi sfavorevoli delle condizioni di esercizio, Į = 1. La misura della sicurezza può essere ottenuta anche usando il tradizionale coefficiente di sicurezza Ȗ, derivato da Pc: Rk

Jk

! SD

(5)

dove SD

ª

n

º

J g ˜ Gk  J q ˜ «Qk  ¦ < 0i ˜ Qik » ¬

i 2

(6)

¼

con Gk = valore caratteristico dei Carichi Permanenti Qk = valore caratteristico dei Carichi Variabili J = coefficiente di amplificazione dei carichi Ȍ = coefficiente di combinazione dei carichi I valori di J e Ȍ sono adeguati per i ponti ordinari, dove Gk è circa uguale a Qk. 2.5. Il problema di Galileo La valutazione della sicurezza per le opere di grandi dimensioni, richiede di tener conto delle conseguenze del cosiddetto “effetto scala”. Già Galileo nel famoso libro “Discorsi e dimostrazioni matematiche” intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica e i movimenti locali del 1638, aveva mostrato come aumentando le dimensioni di un elemento strutturale, a parità di materiale, la capacità portante diminuisse; ovvero come per conservare la capacità portante i rapporti dimensionali dovessero modificarsi. In figura 6 è mostrato l’esempio utilizzato da Galileo [4]: “E per un breve esempio di questo che dico, disegnai già la figura di un osso allungato solamente tre volte, ed ingrossato con tal proporzione, che potesse nel suo animale grande far l’uffizio proporzionato a quel dell’osso minore nell’animal più piccolo, e le figure son queste: dove vedete sproporzionata figura che diviene quella dell’osso ingrandito”.

Figura 6. L’esempio di Galileo

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Egualmente si comporta una fune, come il cavo principale del ponte: se la luce della campata del Ponte aumenta da Lo a nLo, e con la stessa proporzione il diametro del cavo ĭ0 aumenta a nĭ0, la tensione sul cavo, per il peso proprio non rimane invariata ma aumenta fino a nV0. Al contrario, ciò significa che se il diametro del cavo è solo raddoppiato come la lunghezza della campata, la sicurezza si riduce di metà. Questo effetto è rappresentato nella figura 7: incrementando la lunghezza della campata e le dimensioni, lo stato tensionale per i carichi permanenti è incrementato e la disponibilità di resistenza per i carichi variabili e per le altre azioni si riduce, fino alla lunghezza teorica limite: lu

7.6 ˜

Vu ˜ senE Jm

(7)

Figura 7. L’effetto di scala per ponti sospesi di grande luce

Ciò significa che incrementando la lunghezza, il cimento statico per i carichi permanenti aumenta, quello per i carichi variabili deve diminuire fino al valore di lu, situazione in cui i carichi variabili devono essere uguali a zero [5]. 2.6. Fragilità del sistema L’effetto di scala si manifesta anche in altri insoliti e sofisticati aspetti. Un elemento resistente può essere pensato come costituito da molti elementi resistenti disposti in serie od in parallelo. Come si può osservare in figura 8, quando gli elementi sono in serie (come in una catena), se R è la resistenza del singolo elemento e Pci la sua probabilità di collasso, la probabilità di collasso dell’intera struttura aumenta in funzione del numero degli elementi i: se i tende all’infinito, la struttura sicuramente collassa: per una fune infinitamente lunga la rottura è certa, anche se l’azione S è molto piccola.

30

Elementi in serie o in parallelo

1

Pci Figura 8. Elementi in serie e in parallelo

Al contrario, per una struttura composta da tanti elementi in parallelo, la probabilità di collasso diminuisce all’aumentare del numero degli elementi. Se i tende ad infinito, la probabilità di collasso Pci tende a zero: vale a dire la sicurezza è certa. Nel progetto dei grandi sistemi strutturali occorre consapevolmente combinare resistenze in serie e in parallelo. Questo avviene per esempio per cavi di sospensione, con un grande numero di fili molto lunghi, assemblati in parallelo. Ma non avviene per esempio per gli acciai di carpenteria delle torri. 2.7. Disposizioni per gli errori umani Nel campo della ingegneria applicata, alla realizzazione dell’opera concorre il lavoro dell’uomo che è accompagnato dagli “errori umani”: la nostra capacità di prevedere il comportamento futuro e la resistenza delle strutture, oltre alla aleatorietà del mondo fisico, dipende dagli “errori umani”, che si manifestano nelle fasi di progettazione e di realizzazione dell’opera: tale fenomeno è tanto più importante quanto più le attività sono complesse, difficoltose e numerose. Questo aspetto è così importante che Hauser (1979) scrisse [6]: “La più efficiente via per migliorare la sicurezza strutturale è quella di affinare i metodi di verifica dei dati piuttosto che affinare l’analisi dei modelli”. Fortunatamente al giorno d’oggi è possibile gestire l’errore umano mediante la “Quality Assurance” e le procedure di “Quality Control”, che garantiscono che la misura probabilistica della sicurezza è affidabile e che il confronto con la sicurezza prefissata è significativa. La “Quality Assurance” ha evidenziato che la effettiva sicurezza è minore di quella calcolata tenendo conto solo degli aspetti aleatori delle grandezze fisiche in quanto a questi si aggiungono gli errori umani: alla probabilità di rottura delle centrali nucleari assunta pari a 10-7 ha corrisposto una frequenza di incidente pari a 2,5 x 10-3,mentre teoricamente la probabilità è il limite della frequenza.

31

2.8. Il modello strutturale La valutazione della sicurezza consiste nel controllare che la resistenza strutturale sia maggiore con giusto margine delle sollecitazioni provocate dalle azioni. Il calcolo di ambedue le grandezze resistenza strutturale e sollecitazione, si sviluppa nella sequenza di identificazione di un modello fisico teorico e di un modello sperimentale. Il modello fisico descrive i fenomeni fisici naturali e le caratteristiche meccaniche dei materiali. 2.9. Il modello matematico Il modello fisico viene trasformato in un modello teorico matematico sulla base di ipotesi e congetture: il modello teorico è un’astrazione delle azioni del comportamento meccanico dei materiali e delle strutture che sulla base di ipotesi, frequentemente assiomatiche, esprime i risultati attraverso un processo logico – analitico – sintetico, ossia mediante un processo matematico. Nella figure 9 è illustrato il modello globale di un ponte usando elementi lineari frame, utile per un’analisi numerica dell’intero ponte, e shell per specializzare le analisi in dettaglio delle componenti del ponte [7].

Figura 9. Il modello strutturale- sottostrutturazione

L’analisi è passo passo più approfondita con un processo zoom. Usando il modello teorico matematico il risultato è espresso da numeri e il giudizio mediante confronti numerici. La correttezza dei risultati del modello teorico è affidata pertanto alle delle assunzioni statistiche, al rigore delle ipotesi e delle congetture sui materiali e sul comportamento strutturale.

32

Il problema è ora di giudicare se il risultato è buono o cattivo: la sicurezza calcolata è grande o piccola? Ovvero è affidabile o rischiosa? Nel campo dell’ingegneria applicata le incertezze sui dati fisici e le ipotesi delle teorie impongono che i risultati teorici vengano controllati e confutati per mezzo di un modello sperimentale, che serve anche da validazione del modello teorico. Nell’ingegneria meccanica il confronto tra teoria e sperimentazione è meno difficoltoso essendo possibile sperimentare su prototipi. La riproduzione dei fenomeni in laboratorio è più difficile nel campo dell’ingegneria civile, perché ogni opera è di per sé stessa un prototipo; in particolare nel caso di opere innovative, il modello sperimentale di un ponte è solamente il ponte stesso. Questo fatto aggiunge un altro fattore che rende la richiesta di sicurezza ancora maggiore: la non ripetibilità. 2.10. Il modello sperimentale La validazione sperimentale può avvenire allora o attraverso la sperimentazione su modelli ridotti in scala in laboratorio, ovvero attraverso il confronto con il comportamento di opere sufficientemente similari, già costruite ed in esercizio; ovviamente il giudizio è tanto più affidabile quanto più la popolazione delle opere similari è grande e significativa. Così, per le opere ordinarie i calcoli teorici, i cosiddetti “calcoli statici”, si reputano sufficienti per procedere alla costruzione dell’opera in quanto, opere similari già costruite garantiscono l’affidabilità dei calcoli sviluppati, anche se ad opera finita, si richiede una validazione sperimentale attraverso il collaudo statico. Per le opere innovative, questa validazione mediante il confronto con opere già costruite è molto ridotta o nulla; si capisce, allora, la grande importanza nell’ingegneria sviluppata nei laboratori di ricerca mediante i “modelli sperimentali”. 2.11. Il processo di monitoraggio L’incerta conoscenza del mondo fisico, l’incerta modellazione dei materiali e del comportamento strutturale, la complessa gestione degli errori umani riducono l’affidabilità della misura di sicurezza, tanto più quanto il sistema strutturale e la sua interazione con l’ambiente è complessa. Al giorno d’oggi l’uso dei sistemi di monitoraggio aiutano a crescere l’affidabilità, permettendo la misura continua delle quantità meccaniche e fisiche che riguardano la struttura e l’ambiente. La possibilità di conoscere le azioni esterne e le risposte del ponte incrementa la conoscenza del comportamento e, per il Teorema di Bayes, la valutazione della sicurezza rispetto ai ponti ordinari, che presentano un valore fisso della sicurezza che può essere modificato durante la vita di esercizio solo con grande difficoltà. Il sistema di monitoraggio del ponte permette anche istantanee modifiche dell’uso dello stesso, per esempio la lettura delle deformazioni del binario permette di modificare istantaneamente la velocità del treno garantendo un passaggio sicuro. 2.12. Analisi dei rischi Altro metodo per giudicare la sicurezza di un’opera è l’analisi dei rischi, che è un processo tendente ad esaminare una serie di scenari di rischio che possono mettere fuori servizio l’opera. Per rischio si intende il prodotto formale della pericolosità dell’accadimento di un evento e della vulnerabilità al danneggiamento dell’elemento strutturale, ossia:

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Rischio = Pericolosità x Vulnerabilità; P(p) x P(v) In termini numerici è il prodotto della probabilità che si verifichi un evento esterno (pericolosità) e la probabilità che l’elemento soggetto a tale azione subisca un determinato danneggiamento (vulnerabilità). Come per la valutazione della sicurezza, la valutazione del rischio è un prodotto di probabilità. Con riferimento ad un’azione sismica, la pericolosità sismica è la probabilità che un sisma superi, entro un certo intervallo di tempo (vita di servizio), un prefissato livello sismico. La vulnerabilità è la probabilità che la struttura subisca un determinato danneggiamento a seguito dell’evento sismico. L’espressione sintetica permette di mettere ordine nelle valutazioni di sicurezza, ponendo in luce che non basta una alta pericolosità di un evento per avere un rischio elevato, perché se la struttura ha bassa vulnerabilità all’evento, il rischio è praticamente nullo. La figura 10 mostra alcuni dei fenomeni per i quali si è impostata la procedura di analisi dei rischi. Vento Vento

Gradiente Gradiente Temperatura Temperatura

Incendio Incendio Sisma Sisma Impatti aerei Impatti aerei

Esplosioni Esplosioni

Sabotaggio Sabotaggio

Sottoescavazioni Sottoescavazioni

Trombe Trombed'acqua d'acqua Costr. Costr.ininadiac. adiac.

Costruzione Costruzione

Tsunami Tsunami

Urto Urtonavi naviimpalcato impalcato

Liquefazione Liquefazione

Vibrazioni Vibrazioni

Cedim. Cedim.terreno terreno

Rigetto Rigettodidifaglia faglia

Agenti Agentichimici chimici

Deragliamenti Deragliamenti Spost. Spost.ancoraggi ancoraggi

Gravità Gravità

Figura 10. Fenomeni interessati nell’analisi dei rischi per un ponte di grande luce

2.13. Le prestazioni E’ ancora un altro modo per trattare la sicurezza, ossia la prevedibilità degli eventi futuri, e giudicare le loro conseguenze. Una prestazione può essere:  il valore quantitativo del comportamento dell’opera a seguito dell’azione a cui sarà sottoposta (ad esempio le deformazioni delle sezioni, accelerazioni, ecc.). Il giudizio dell’ottenimento della prestazione viene attraverso il confronto tra il valore calcolato e il valore prefissato (processo deterministico); ovvero tra la probabilità calcolata di superamento di una soglia e la probabilità stabilita, in un tempo prefissato (ad esempio la somma delle chiusure per effetto di vento, nell’anno, non superi 6 ore) (processo probabilistico).  un giudizio di carattere qualitativo o retorico (ad esempio il giudizio sull’estetica del ponte). In figura 11 è illustrato l’insieme dei “requisiti prestazionali” ed il giudizio di estetica.

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Estetica Estetica

Vita VitaUtile Utile

Impatto Impattoambientale ambientale

Durabilità Durabilità

Definizione Definizionedei deilivelli livelli delle delleazioni azioni

Manutenibilità Manutenibilità Comfort Comfortdegli degli utenti utenti

Resistenza Resistenza Rigidezza Rigidezza

Fatica Fatica Controllo Controllo spostamenti spostamenti

Stabilità Stabilità Robustezza Robustezza Strutturale Strutturale

Percorribilità Percorribilità Ferroviaria Ferroviaria

Percorribilità Percorribilità Stradale Stradale

Franco Francominimo minimosul sullivello livello marino marino

Figura 11. Requisiti prestazionali per un ponte di grande luce

3. IL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA

Nella prima decade del terzo millennio sarà costruito il Ponte sullo Stretto di Messina [8], che realizzerà un collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria mediante un ponte sospeso con luce centrale di 3300 m (figura 12). 1

Figura 12. Fotosimulazione del Ponte sullo stretto di Messina

In figura 13 si può vedere il prospetto del Ponte.

Figura 13. Prospetto del ponte di Messina

35

Gli aspetti epistemologici della sicurezza strutturale, discussi in precedenza, sono stati applicati al Ponte sullo Stretto di Messina, una delle prime strutture da primato del terzo millennio, per via del documento fondamentale “Fondamenti Progettuali e Prestazioni Attese per l’Opera d’Attraversamento” [9], che definisce i livelli di sicurezza e le prestazioni attese dell’Opera. 3.1. Descrizione del Progetto preliminare Il Ponte ha due carreggiate stradali a due corsie di percorrenza ed una di emergenza ciascuna, ed una piattaforma ferroviaria con due binari (figura 14).

Figura 14. Sezione dell’impalcato del ponte di Messina

I cassoni longitudinali sono sostenuti da cassoni trasversali in acciaio ad interasse di 30 m., vincolati all’estremità ai pendini verticali di sospensione (figura 15).

Figura 15. Il cassone del Ponte di Messina

L’impalcato è costituito da tre cassoni longitudinali indipendenti in acciaio: il centrale sopporta la piattaforma ferroviaria, i due laterali le carreggiate stradali. Il sistema di sospensione consiste in 2 coppie di cavi, a distanza di 52 metri, e di 116 gruppi di pendini. Ogni cavo ha un diametro di 1.24 metri. La lunghezza complessiva di ogni cavo è di 5,300 metri (figura 16).

36

1,24 m

1,75 m

Figura 16. I cavi del Ponte di Messina

Le torri sono delle strutture snelle in acciaio alte 383 m. con due gambe di sezione allungata collegate da quattro travi trasversali (figura 17).

52,00 m 382,60 m 78,00 m

Figura 17. Vista prospettica delle torri del Ponte di Messina

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3.2. I ponti più grandi al mondo A confronto con i più grandi ponti sospesi costruiti durante l’ultima decade del 20° secolo (figura 18):

Figura 18. Ponti sospesi di grande luce

 il Ponte sullo Storebælt in Danimarca, con campata centrale di 1624 m, il più grande nel mondo con sezione di impalcato progettata aerodinamica;  l’Akashi Kaikyo Bridge in Giappone, con campata centrale di 1990 m., il più grande con impalcato reticolare;  il Ponte Lantau ad Hong Kong il più grande ponte stradale e ferroviario costruito recentemente che rappresentano lo stato dell’arte dei ponti sospesi costruiti nel XX secolo, il Ponte di Messina ha:  la più grande luce libera centrale (L = 3300 m)  il più largo impalcato sospeso (B = 60 m)  i massimi carichi da sostenere (sei stese di carichi stradali e due di carichi ferroviari)  le più alte pile (H = 376 m)  i più lunghi cavi (circa 5 km)  le più grandi fondazioni e blocchi di ancoraggio  la più ampia Vita di Servizio T= 200 anni

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3.3. Vita di servizio del Ponte di Messina Un fattore di straordinaria importanza del Ponte sullo Stretto di Messina deriva dalla sua Vita di Servizio di 200 anni. È importante notare che per le azioni ambientali cicliche, più lunga è la vita di servizio, più elevata risulta l’azione. Per questo motivo, i valori massimi del vento, del sisma e della temperatura sono superiori dagli altri ponti. Le azioni variabili di origine naturale-ambientale (sisma, vento e azioni termiche), caratterizzate in termini generali da andamento ciclico, sono definite in funzione dei diversi periodi di ritorno riportati in Tabella 1 e riferiti a prescelti livelli di cimento (Stati Limite). Livello di cimento Livello 1 Livello 2 Livello 3

Stati Limite associati Stati Limite di Servizio Stati Limite Ultimi Stati Limite di Integrità Strutturale

Acronimo

Periodo di ritorno

SLS1 SLS2

50 anni 200 anni

SLU

2000 anni

SLIS

Secondo gli scenari di contingenza contemplati

Tabella 1. Periodi di ritorno delle azioni di origine naturale ambientale

3.4. Prestazioni relative alla sicurezza strutturale del Ponte di Messina Per quello che riguarda gli aspetti di sicurezza, sono stati identificati diversi livelli di danno per l’Opera sono individuati i livelli di danno indicati in Tabella 2.

Livelli di danno

Acronimo

1

Nessun danno

ND

2

Danno da decadimento

DD

3

Danno minimale

MD

4

Danno riparabile

RD

5

Danno significativo

SD

Descrizione Tutti gli elementi strutturali ed i dispositivi di ritegno presentano le capacità prestazionali nominali e si trovano in campo elastico, e non hanno significativi effetti di decadimento per azioni cicliche. Si manifesta per decadimento delle caratteristiche meccaniche dei materiali dopo un congruo periodo di esercizio per effetto delle azioni ambientali (corrosione) o delle azioni cicliche (fatica). L’effetto deve essere preso in conto all’atto del dimensionamento strutturale ed eliminato o ridotto attraverso interventi di manutenzione programmata. Si determina all’insorgenza di deboli comportamenti anelastici localizzati e tali da non alterare le capacità prestazionali complessive dell’Opera. Il danno può essere risolto attraverso interventi di manutenzione ordinaria, garantendo, in ogni caso, il collegamento ferroviario e stradale. Si determina all’insorgenza di comportamenti anelastici localizzati tali da alterare le capacità prestazionali complessive dell’Opera. Il danno può essere risolto attraverso interventi di manutenzione straordinaria, che comportano chiusure parziali e temporanee dell’attraversamento. Si determina all’insorgenza di comportamenti anelastici tali da alterare sensibilmente le capacità prestazionali complessive dell’Opera. Corrisponde ad un grave danneggiamento dell’Opera, che può richiedere il rifacimento di interi componenti strutturali. Il danno può essere risolto attraverso importanti interventi straordinari, che comportano anche chiusure prolungate del Ponte.

Tabella 2. Definizione dei livelli di danno

39

Tutti i componenti strutturali del Ponte hanno livelli di danno associati che corrispondono a stati limite. Un’attenzione rigorosa è stata fatta nel fissare i tassi di lavoro per i cavi principali ed i pendini, e per gli aspetti di robustezza strutturale. 3.5. Vita di servizio del Ponte di Messina Per quello che riguarda le prestazioni del Ponte, in termini di funzionalità, sono stati identificati 3 livelli prestazionali, come viene mostrato nella tavola. Il livello principale (Livello 1- Completa funzionalità) corrisponde allo stato limite di servizio.

Livello di funzionalità

Descrizione

1

Completa funzionalità

E’ garantita la percorribilità stradale e ferroviaria.

2

Funzionalità ferroviaria

E’ garantita la sola percorribilità ferroviaria.

3

Assenza di funzionalità

Non sono garantite la percorribilità stradale e ferroviaria.

Tabella 3. Definizione dei livelli di funzionalità

4. CONCLUSIONE

Le procedure di valutazione della sicurezza mediante: 1. modello teorico che individua le positività e le criticità attraverso modelli matematicinumerici più o meno complessi 2. modelli sperimentali sia in laboratorio che di confronto con le opere esistenti 3. modelli esperti che ordinano in forma matematica i giudizi degli esperti 4. processi di valutazione secondo l’Analisi dei Rischi 5. processi di valutazione secondo le Prestazioni Attese costituiscono cinque vie parallele di analisi e di confronto, che danno la Ridondanza di Sistema necessaria a garantire la sicurezza e la affidabilità prestazionale del Ponte. Per le strutture da primato del terzo millennio, la prima delle quali sarà il Ponte sullo Stretto di Messina, ricerche avanzate, insieme a questi 5 processi di giudizio, garantiranno l’affidabilità ed i livelli prestazionali a priori fissati.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

Una metodologia semplificata per la valutazione della vulnerabilità statica di edifici in c.a. esistenti COSENZA E.1, MANFREDI G. 1, CAPUOZZO S. 2, FISCIANO R. 1, POLESE M. 1, VERDERAME G.M. 1 1

Dipartimento di Ananisi e Progettazione Strutturale, Università di Napoli “Federico II”, Napoli 2 Comune di Napoli, Servizio Sicurezza Abitativa

SOMMARIO Questo studio propone un approccio metodologico al riconoscimento degli edifici in c.a. a rischio di crollo anche per soli carichi gravitazionali. La metodologia di valutazione è tarata per accertamenti su scala urbana, ed è basata su modelli strutturali molto semplici che permettono, partendo dalla conoscenza di pochi dati morfologici e strutturali sugli edifici, una rapida valutazione preliminare della “vulnerabilità statica”. La determinazione della condizione di un edificio esistente è formulata in base alla valutazione di selezionati stati limite, ritenuti i più rischiosi per gli utenti dell’edificio; in particolare, si considerano il collasso della colonna per pura compressione o per presso flessione, collasso della trave per flessione o taglio, collasso totale o parziale dei solai. ABSTRACT This study proposes a methodological approach for recognizing r.c. buildings that are hazardous even for the sole gravity loads. The assessment method is for urban scale evaluation and it is based on very simple structural models that, starting from the knowledge of few structural and morphological data, allow the rapid evaluation of “static vulnerability”. The building condition is assessed based on selected limit states, which are considered the most hazardous for building’s utilizers. In particular the column collapse in compression or axial load and bending, the beam collapse due to flexure or shear and the horizontal slab partial or total failure.

1. INTRODUZIONE La gran parte degli edifici in Cemento Armato esistenti a Napoli sono stati costruiti nel ventennio successivo la Seconda Guerra Mondiale. Il periodo che va dal 1950 al 1970 è stato caratterizzato da una forte espansione urbana ed il sistema strutturale Cemento Armato, all’epoca “innovativo”, è stato prediletto per la sua relativa economicità e versatilità. L’erronea credenza, purtroppo molto diffusa, che la snellezza degli elementi strutturali potesse essere espressione di virtuosismo progettuale, accoppiata con la tendenza al risparmio su materiali e mano d’opera per la realizzazione di interi lotti di edifici costruiti contemporaneamente ed in tempi brevi, ha spesso condotto alla realizzazione di costruzioni con pilastri estremamente snelli, scarsamente armati o comunque con armatura trasversale

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inadeguata (staffe largamente spaziate o non efficacemente chiuse, inadeguatezza di dettagli costruttivi, ecc.). Al tempo stesso, ai progettisti ed ai costruttori non erano noti i problemi di carbonatazione del calcestruzzo e ossidazione delle armature, fenomeni che possono seriamente compromettere la durabilità della struttura. Un campanello di allarme delle condizioni critiche di molti edifici è certamente rappresentato dal collasso repentino di alcuni edifici in c.a. in Italia [1,2], apparentemente attribuito ai soli carichi gravitazionali. Questo studio propone un approccio metodologico al riconoscimento degli edifici in c.a. a rischio di crollo anche per soli carichi gravitazionali. Lo strumento presentato è destinato alle amministrazioni locali che possono decidere sull’opportunità, per taluni edifici, di prescrivere indagini più approfondite, oppure di renderle obbligatorie nel momento in cui si debbano operare lavori di manutenzione straordinaria. La metodologia di valutazione è tarata per accertamenti su scala urbana, ed è basata su modelli strutturali molto semplici che permettono una rapida valutazione preliminare della “vulnerabilità statica”. Anche se esistono procedure più raffinate per la valutazione della vulnerabilità sismica su larga scala [3], basate su modelli strutturali che permettono analisi non lineari, la vulnerabilità statica dipende principalmente da azioni di tipo gravitazionale, ed il grado di dettaglio richiesto da un’analisi non lineare, indicata per azioni sismiche, sarebbe ingiustificato. Tuttavia, vista la complessità dei fenomeni in gioco e l’interazione fra le diverse cause di dissesto, il reale comportamento degli edifici può essere stimato solo facendo riferimento a modelli più raffinati, effettuando un’attenta valutazione delle eventuali carenze strutturali; lo studio di dettaglio per edifici campione serve quale caso rappresentativo per le tipologie selezionate, mentre i modelli semplificati possono essere utilizzati per valutazioni preliminari in studi su larga scala. La determinazione della condizione di un edificio esistente è formulata in base alla valutazione di tre stati limite: - collasso del pilastro (per pura compressione o per presso flessione); questo tipo di crisi è molto pericolosa perché fragile ed istantanea, e potenzialmente pregiudica l’equilibrio dell’intero edificio; - collasso della trave per flessione o taglio; - collasso totale o parziale dei solai. Va rilevato che spesso la ridondanza strutturale e non strutturale può impedire il collasso dell’edificio anche se è stato raggiunto uno degli stati limite su menzionati [4]. L’attingimento di uno o più degli stati limite precedentemente menzionati è dovuto a differenti fattori intrinseci ed estrinseci. Le cause intrinseche dipendono da deficienze statiche pre-esistenti per la struttura, quali dimensioni insufficienti della sezione trasversale o dell’armatura, un inadeguato sistema strutturale, proprietà dei materiali scarse o ammaloramento degli stessi (carbonatazione del calcestruzzo e corrosione dell’acciaio). Le cause estrinseche sono fattori di aggravio esogeni (quindi esterni alla struttura) che possono modificare il comportamento statico dell’intera struttura o di sue parti, quali un cedimento in fondazione o una sopraelevazione (non considerata nel progetto originario), cambio della destinazione d’uso, ecc.. Naturalmente fattori intrinseci ed estrinseci possono essere presenti indipendentemente o contemporaneamente e, combinandosi, danno luogo a diversi livelli comportamentali per la struttura, tali da poter indurre condizioni di crisi. La complessità dell’interazione possibile fra le diverse cause di vulnerabilità statica, e la variabilità delle configurazioni strutturali in gioco, generalmente impediscono una valutazione basata su modelli semplificati. Per una maggiore comprensione e per dare una risposta adeguata al problema, quindi, è necessario procedere ad una sistematizzazione delle relazioni che intercorrono tra causa ed effetti. Un

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possibile approccio di valutazione è costituito dal cosiddetto metodo del Fault Tree Analysis (FTA), metodo di analisi dell’albero degli errori, che permette di identificare e modellare le diverse cause (“Fault”) che combinate possono condurre all’accadimento di un evento indesiderato (“evento top”, cioè raggiungimento di uno stato limite). Nel seguente paragrafo, sono esplicitati i principi del fault-tree analysis ed è stato costruito il fault tree (albero degli errori), con gli eventi “top” rappresentati dalle “condizioni critiche strutturali”. Di seguito, sono analizzate le singole cause (“faults”) che conducono ad un evento “TOP”, ed è proposta una procedura semplificata per una rapida valutazione delle condizioni di un generico edificio, basata sulla conoscenza di pochi parametri geometrici e strutturali.

2. FAULT-TREE ANALYSIS Operativamente tale metodo (FTA) semplifica un problema di ordine superiore decomponendolo tramite il diagramma dell’albero degli errori (fault tree diagram, FTD): un evento TOP, così, viene decomposto graficamente nell’unione o intersezione di sottoeventi (errori). Gli errori alternativi che possono portare all’evento TOP sono logicamente connessi a quest’ultimo tramite una serie di “porte” di tipo AND o OR (operatori logici). Gli step dell’analisi sono sintetizzati nel diagramma in Figura 1 mentre gli operatori logici hanno il significato riportato in Tabella 1. Volendo costruire il FTD per analizzare le diverse cause di crisi statica di edifici in c.a. è necessario: - elencare i diversi tipi di crisi strutturale (stati limite Æ eventi TOP) da indagare; - elencare le diverse cause scatenanti (errori) che possono contribuire, singolarmente o combinate ad altre cause, all’attingimento di uno stato limite; - connettere logicamente le diverse cause scatenanti all’evento TOP (usando le porte logiche OR o AND). In questo studio si sono considerate quali condizioni critiche per edifici in c.a. i tre stati limite precedentemente elencati. Le cause scatenanti per i diversi stati limite sono molteplici, alcune in comune ed altre che influenzano singolarmente ciascuno di essi; in Tabella 2 sono state riassunte e numerate.

1

Identificare evento TOP

3

Collegare le cause all'evento TOP con porte logiche Identificare le cause di primo livello Collegare le cause verso l'alto con porte logiche

2 5

4

Identificare le cause di secondo livello

6

Ripeti/continua

Evento base (foglia) indica il limite dell'analisi

Figura 1. Gli step della Fault Tree Analysis

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Tabella 1. Gli operatori logici adottati nel FTD Gli operatori logici Evento TOP: evento indesiderato prevedibile, verso il quale tutte le connessioni logiche di eventi tendono, o evento intermedio, che descrive uno stato del sistema prodotto da eventi antecedenti Porta OR: produce un output se uno qualsiasi degli eventi di input si verifica Porta AND: produce un output se tutti gli eventi di input si verificano Porta OR ESCLUSIVO: produce un output se uno (e solo uno) degli eventi di input si verifica Evento BASE (anche detto foglia): causa iniziale, non sviluppata ulteriormente; rappresenta il limite dell’analisi Tabella 2. Gli eventi che conducono alla condizioni critiche strutturali Eventi E1 E2 E3 E4 E5 E6 E7 E8 E9 E10 E11 E12 E13 E14 E15 E16

Condizioni critiche strutturali Stato limite collasso dei pilastri (rottura del calcestruzzo; possibile salto del copriferro, ecc.) Stato limite di collasso delle travi (collasso degli elementi per flessione o taglio) Stato limite di collasso dei solai (collasso degli elementi per taglio o dovuto a problemi di durabilità) Stato limite dei pilastri per soli fattori intrinseci Stato limite dei pilastri per fattori intrinseci ed un singolo fattore di aggravio Stato limite dei pilastri per fattori intrinseci e più fattore di aggravio Un singolo aggravio da aggiungere alla condizione principale dell’elemento Più cause di aggravio sono aggiunte alla causa principale Cedimento differenziale Carbonatazione/corrosione e salto del copriferro Sopraelevazione non prevista dal progetto originario Cambio di destinazione d’uso Problemi di durabilità del materiale + cedimento differenziale Problemi di durabilità del materiale + sopraelevazione/cambio di destinazione d’uso Cedimento differenziale + sopraelevazione/cambio di destinazione Sopraelevazione/cambio di destinazione d’uso

La connessione logica fra i diversi eventi è sviluppata attraverso il diagramma dell’albero degli errori (FTD). Partendo dall’evento princiale TOP, ovvero dalle condizioni critiche per la struttura, si procede con una serie di connessioni logiche verso il basso, ovvero le foglie dell’albero (eventi base). In Figura 2 è rappresentata la prima decomposizione logica. La scelta dell’operatore logico OR per connettere gli eventi E1, E2 ed E3 all’evento principale E (condizione critica della struttura) implica che la condizione critica della struttura può dipendere anche da uno solo degli eventi E1, E2 o E3. Lo sviluppo del singolo ramo, associato con logica ingegneristica ad E1, E2 ed E3, permette di valutare le relazioni di causaeffetto ed esplicitarle i tre diagrammi parziali. Nel seguito è illustrato in maggior dettaglio il diagramma di Figura 3, relativo all’evento E1 (stato limite dei pilastri). Lo stato limite del pilastro per compressione o per pressoflessione è attinto principalmente se la sezione trasversale dell’elemento è sottodimensionata oppure se l’armatura d’acciaio è inadeguata (E4). Comunque, la presenza di altre condizioni negative potrebbe aggravare il comportamento strutturale; queste altre cause possono presentarsi singolarmente (E7) o accoppiate (E8).

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CONDIZIONE CRITICA DELLA STRUTTURA

STATO LIMITE DI COLLASSO DEL PILASTRO

STATO LIMITE DI COLLASSO DELLA TRAVE

STATO LIMITE DI COLLASSO DEL SOLAIO

E1

E2

E3

Figura. 2. Decomposizione logica principale della FTA adottata.

Definendo adeguatamente gli eventi E5 (=E4 AND E7) ed E6 (=E4 AND E8) solo uno dei singoli eventi tra E4, E5 o E6 può condurre all’evento E1 (OR esclusiovo). Continuando a decomporre dall’alto verso il basso l’evento E7, si considerano i seguenti fattori di aggravio strutturale (uno solo per ramo – OR esclusivo): - E9 Cedimento differenziale - E10 Carbonatazione/corrosione - E11 Costruzione di ulteriori piani non previsti nel progetto originario - E12 Cambio di destinazione d’uso Analogamente, il ramo che inizia dall’evento E6 può essere sviluppato dall’alto verso il basso; la differenza con il ramo che inizia dall’evento E5 è che nel caso di E6 si considera il verificarsi di più fattori di aggravio. E1

E5

E4

E4

E7

E9

E10

E11

E5

E12

E4

E8

E13

E9

E14

E10

E16

E11

E15

E10

E9

E16

E12

Figura 3. Fault Tree Diagram associato all’evento E1 (stato limite dei pilastri)

3. L’USO DELLA FTA PER LA DETERMINAZIONE DELLA VULNERABILITA’ GRAVITAZIONALE DEGLI EDIFICI L’output del FTA è la valutazione della probabilità di superamento di un evento indesiderato (evento TOP); la probabilità numerica di accadimento della singola causa, infatti, può essere introdotta e propagata dal basso verso l’alto attraverso le connessioni logiche del modello. Purtroppo, il normale uso di questa tecnica di analisi logico-simbolica, non si adatta bene con gli strumenti adottati e con le finalità richieste. Infatti, per analizzare la probabilità di eventi

47

quali cedimento differenziale, carbonatazione/corrosione, pilastri sottodimensionati ecc., occorrerebbe aver a disposizione un database di osservazioni relativo ai dissesti e carenze strutturali e non strutturali, che non è comunemente disponibile per gli edifici esistenti. Maggiori informazioni sono a disposizione relativamente a danni post-sisma e significativi studi di vulnerabilità sismica sono state eseguiti dopo i terremoti; d’altra parte, la necessità di investigare sulla vulnerabilità statica (gravitazionale) degli edifici esistenti è emersa solo recentemente e a tal riguardo esistono solo pochissimi studi [5,6]. Mancando diversi dati per eseguire un’analisi probabilistica ordinaria, una possibile soluzione è quella di approcciare la problematica facendo uso della logica fuzzy. Comunque per una maggiore comprensione degli effetti singoli o combinati delle possibili cause di dissesto, si è deciso di implementare, in via preliminare, la FTA con un approccio deterministico, rimandando ad una fase successiva la valutazione di tipo semi-probabilistico. In particolare, si propone l’uso della FTA quale strumento logico per la definizione delle combinazioni qualitative e quantitative delle diverse fonti di vulnerabilità statica (le foglie dell’albero). I risultati dell’analisi sono rappresentati da tre livelli di giudizio dell’edificato: il primo e il secondo livello analizzano le singole modalità di collasso (E1, E2, ed E3) mentre il terzo livello rappresenta una valutazione sintetica del comportamento globale dell’edificio da utilizzarsi in termini comparativi. I giudizi sono assegnati in base alla valutazione di indici di danno locali e globali opportunamente determinati. Riguardo al primo livello, gli indici di danno opportunamente stabiliti sono valutati per ogni singolo elemento, prendendo il loro valore massimo di,max (l’indice i=1,2,3 è riferito ai singoli modi di collasso). Per il secondo livello di giudizio si calcola per ogni singolo piano dell’edificio la media pesata dell’indice di danno degli elementi Di; i pesi dipendono dal numero di elementi presenti ad ogni piano. Se di,max o Di oltrepassa una soglia stabilita, si associa un messaggio di allarme allo stato limite considerato; ciò significa che anche se un solo elemento è critico l'edificio è considerato critico. Il tipo di indice di danno e le relative soglie sono stabilite in funzione del tipo di stato limite. D’altra parte, il risultato sullo stato globale dell’edificio (terzo livello) rappresenta uno strumento qualitativo per confrontare edifici differenti nell’ottica della gestione degli interventi. In base al valore dell’Indice di Danno Globale GDI, un indicatore di vulnerabilità viene colorato (verde, giallo o rosso indicando rispettivamente un buono, medio o cattivo stato dell’edificio). Si assume che un valore di GDI più grande di 0.8 corrisponde allo stato critico della struttura (indicatore rosso); 0,4 100 Joule). L’allungamento a rottura, viceversa, risulta relativamente ridotto (17% circa). Le caratteristiche meccaniche riscontrate risultano tipiche di acciai poco utilizzati nel nostro Paese, ma di comune utilizzo nell’Europa settentrionale soprattutto nelle operazioni di perforazione off-shore: i dati sperimentali risultano compatibili proprio con le caratteristiche richieste agli acciai destinati a tale particolare utilizzo. Con buona probabilità, pertanto, l’acciaio dei micropali può ascriversi alla classe S690QL; trattasi di un acciaio bonificato, ad alto limite di snervamento.

140

Secondo la classificazione UNI EN 10025-6:2005 [6], che ha sostituito la UNI EN 101372:1997 [7], un acciaio S690QL è caratterizzato da una resistenza caratteristica a trazione compresa tra 770 e 940 MPa ed una resilienza KV almeno pari a 30 Joule alla temperatura di -60 °C (l’acciaio dei tubi in esame certamente possiede tale ultimo requisito visto che a temperatura ambiente mostra, come detto, un valore KV maggiore di 100 Joule). Sebbene le prove sperimentali effettuate non abbiano rivelato, come prevedibile per acciai ad alta resistenza, un chiaro valore dello snervamento, si ritiene ragionevole attribuire al materiale costituente i micropali una resistenza caratteristica allo snervamento fy pari al minimo valore ammesso per l’acciaio S690QL, ovvero 690 MPa. Il calcolo agli elementi finiti prima illustrato è relativo a condizioni di funzionamento dell’opera prossime alla rottura; è, pertanto, pertinente individuare il momento flettente ultimo della sezione trasversale dei tubi in acciaio. Tale valore può essere determinato, con buona approssimazione, ipotizzando la piena plasticizzazione della sezione (valore assoluto della tensione pari a fy in ogni punto) ovvero moltiplicando il modulo plastico di resistenza wpl (pari a 62.6 cm3 o, equivalentemente, 157 cm3/m per la sezione in esame) per la tensione di snervamento fy. Si osserva che la sezione possiede un fattore di forma (o coefficiente di adattamento plastico) pari a 157/110 ū 1.4. Il momento ultimo della sezione di acciaio risulta, pertanto, pari a : M Rd

w pl f y

157000 mm 3 / m ˜ 690 MPa # 108 kNm / m

(2)

da cui si ottiene un valore del coefficiente di sicurezza rispetto alla piena plasticizzazione della sezione pari a C

108 1.6 67

(3)

Nell’ottica delle verifiche allo stato limite ultimo, il valore determinato nella eq. 3 contiene implicitamente i coefficienti parziali relativi ai carichi e alla resistenza del materiale. Tenendo conto di tale osservazione, tale valore risulta molto modesto: tuttavia, per quanto basso, risulta pur sempre superiore all’unità. In altri termini, sulla scorta dei calcoli effettuati, si può concludere che pur in presenza di un evidente sottodimensionamento della sezione dei tubi in acciaio di armatura dei micropali, risulta improbabile che a tale circostanza possa ascriversi la rovina dell’opera di sostegno. 4.3. Efficienza degli ancoraggi della paratia Il sistema di pretesatura utilizzato per la realizzazione dei tiranti della paratia in questione prevede l’utilizzo di trefoli in acciaio armonico ad alta resistenza solidarizzati alla parte più profonda degli ancoraggi. Una volta eseguito il foro suborizzontale dell’ancoraggio, i trefoli vengono inseriti all’interno di detto foro e si procede all’esecuzione dell’iniezione di malta cementizia di prima fase in cui si riempie il tratto più profondo del cavo (“tratto ancorato”). A questo punto si procede, mediante l’utilizzo di martinetti idraulici che afferrano l’estremità del trefolo esterna al foro, alla pre-tesatura dei trefoli, che si estendono proporzionalmente allo sforzo applicato secondo il proprio modulo di elasticità normale. Una volta annullata la pressione dei martinetti, i trefoli tendono a rilassarsi e a riguadagnare la lunghezza iniziale; a questo punto, degli idonei cunei di acciaio temprato hanno il compito di annullare gli spostamenti dell’estremità dei trefoli e di trasferire lo sforzo di pretensione alle piastre circolari di ancoraggio poste all’estradosso delle travi di acciaio (Figura 10) che a loro volta trasmettono tale sforzo ai micropali costituenti la paratia. La perfetta solidarizzazione dei

141

trefoli alle piastre di ancoraggio risulta indispensabile per il corretto funzionamento del sistema di pretensione, e i cunei di ancoraggio sono usualmente progettati proprio per assolvere a questa delicato, fondamentale compito. Poiché la resistenza allo sfilamento degli ancoraggi è influenzata da vari fattori, riconducibili sia alla tecnologia esecutiva che ai materiali utilizzati per la realizzazione dei tiranti medesimi, si è ritenuto opportuno condurre delle le prove di resistenza in sito su alcuni degli ancoraggi sopravvissuti al dissesto della paratia.

Figura 10. Dettaglio del sistema di ancoraggio dei trefoli

Non è stato possibile, però, eseguire con successo tali prove, a causa di un difetto riscontrato nel sistema di accoppiamento trefolo-piastra di ancoraggio che rappresenta il cuore del sistema di pretesatura utilizzato per la realizzazione dei tiranti della paratia in questione. In particolare, si è osservato un imperfetto funzionamento dei cunei di ancoraggio giacché questi permettevano uno spostamento relativo (scorrimento) tra trefolo e piastra di ancoraggio. In queste condizioni, risultava impossibile trasmettere gli sforzi di tensione ai trefoli attraverso le piastre di ancoraggio cui erano collegati i martinetti idraulici utilizzati per le prove, e pertanto queste venivano interrotte senza alcun esito, se non quello di aver constatato l’imperfetto funzionamento dei cunei di ancoraggio (Figura 11).

Figura 11. Prove in sito del sistema di ancoraggio dei trefoli

142

Tale circostanza veniva confermata anche durante una serie di prove di laboratorio (Figura 12) eseguite con materiale prelevato nel cantiere della paratia dissestata, nelle quali si osservava sempre uno scorrimento relativo tra trefoli e cunei (o testine) di ancoraggio anche per valori estremamente ridotti (circa 10 kN) dello sforzo di presollecitazione dei trefoli. Osservando la posizione relativa tra nastro adesivo giallo e piastra di contrasto nelle due fotografie di Figura 12, risulta chiaramente individuabile l’entità dello scorrimento dei trefoli tra l’inizio e la fine della prova in laboratorio. Le stesse prove, ripetute utilizzando cunei di ancoraggio perfettamente efficienti acquistati per lo scopo, oltre a mostrare l’assenza di qualsiasi scorrimento tra trefolo e ancoraggio, permettevano di valutare in circa 340 kN la resistenza di ciascun trefolo: considerando che in sito si è potuta riscontrare la presenza di un numero di trefoli variabile tra 2 e 4 per ogni tirante, si può escludere che la rovina dell’opera oggetto della presente relazione sia ascrivibile ad una insufficiente resistenza delle armature degli ancoraggi.

Figura 12. Prove in laboratorio del sistema di ancoraggio dei trefoli: prima della prova (sx), dopo la prova (dx)

Risulta pertanto chiaro, a questo punto, che le azioni di vincolo che i tiranti suborizzontali avrebbero dovuto esplicare sulla paratia, di entità compresa tra 300 e 500 kN, si sono ridotte a circa 10 kN per trefolo (circa 40 kN per ancoraggio) per l’imperfetto funzionamento dei cunei (testine) di ancoraggio dei trefoli alle piastre circolari. Pertanto l’effetto degli ancoraggi sulla paratia è risultato praticamente nullo: in tali condizioni l’equilibrio globale terreno-opera di sostegno è risultato impossibile e si è innescato il cinematismo che ha portato alla rovina dell’opera.

5. CONCLUSIONI Sulla scorta delle risultanze dei sopralluoghi effettuati e delle indagini volte all’accertamento delle cause del dissesto, sono stati descritti i dati di progetto della paratia e si è proceduto alla ricostruzione “ex post” della geometria dell’opera crollata. È stata poi condotta la caratterizzazione geotecnica dei terreni interessati dalla realizzazione della paratia in questione ed effettuata la verifica di stabilità globale del pendio franato, utilizzata secondo un procedimento inverso per validare il procedimento di caratterizzazione geotecnica dei terreni. I valori assunti per tale caratterizzazione sono risultati tali da corrispondere ad uno stato di incipiente cinematismo per il pendio in assenza di un’efficace azione di contrasto da parte dell’opera di sostegno, condizione effettivamente verificatasi in occasione del crollo.

143

Sono stati mostrati i risultati del calcolo di verifica “ex post” dell’opera dissestata, che permettono di concludere quanto segue: x l’opera di sostegno era caratterizzata dalla presenza di una serie di ancoraggi suborizzontali sostanzialmente adeguati per numero e posizione geometrica; x la sezione dei pali in acciaio era insufficiente secondo le regole usuali della progettazione e dell’esecuzione di tale tipo di opera di sostegno, ma che, tuttavia, risulta estremamente improbabile che a tale circostanza sia da ascriversi il dissesto in oggetto, essendosi dimostrato che le sollecitazioni presenti nei pali, pur eccessivamente elevate, risultavano ancora lontane dai limiti di rottura. Si è poi posto in evidenzia il fatto che il collegamento tra trefoli di acciaio degli ancoraggi e pali verticali in acciaio risultava difettoso negli elementi costituenti l’accoppiamento tra trefoli e piastre di contrasto, denominati cunei di ancoraggio ed aventi fondamentale importanza per l’efficienza del sistema costruttivo in questione. Tale difetto, riconducibile alla posa in opera di cunei di ancoraggio inadatti, rappresenta un vizio esecutivo e risulta essere, al di là di ogni ragionevole dubbio, la causa prima del dissesto osservato, in quanto ha impedito che le strutture di ancoraggio potessero collaborare con l’opera di sostegno al fine di ottenere una resistenza sufficiente a fronteggiare la spinta delle terre retrostanti. Il valore economico dei cunei di ancoraggio, dell’ordine di grandezza delle centinaia di euro, risulta trascurabile rispetto al costo dell’opera crollata, dell’ordine delle centinaia di migliaia di euro: tuttavia, l’effetto del corrispondente malfunzionamento è risultato determinante nel crollo qui descritto.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

CAUSE INTRINSECHE ED ESTRINSECHE NEI CROLLI STORICAMENTE DOCUMENTATI: ATTUALITA’ DI DUE CASI EMBLEMATICI: GLI EDIFICI DI VIA POMPEO MAGNO E DI VIA PANDOLFO COLLENUCCIO

S. CAPUOZZO Servizio Sicurezza Abitativa del Comune di Napoli

SOMMARIO Nel presente lavoro si intende esporre la problematica relativa al crollo di due edifici in muratura, la cui rovina ha assunto particolare rilevanza nell’ambito dei dissesti di immobili dovuti a cause non naturali avvenuti nella città di Napoli. 1. PREMESSA Il tessuto urbano della città di Napoli si presenta privo di omogeneità, in quanto caratterizzato da un ampio centro storico, i cui edifici risalgono in massima parte ad epoche antecedenti il 1900 dove, però, in ambiti più ristretti, è possibile rilevare l’esistenza anche di manufatti più recenti, databili da inizio Novecento agli anni dell’immediato secondo dopoguerra. In questi ristretti ambiti non è raro imbattersi in edifici realizzati con tecniche innovative che poi non hanno avuto ampia diffusione. Gli esempi che si citeranno potranno servire a far comprendere che ogni intervento conservativo deve essere ben ponderato. 2. L’EDIFICIO DI VIA POMPEO MAGNO 9 Il primo esempio è riferito ad un fabbricato sito nel quartiere di Fuorigrotta, alla via Pompeo Magno, strada di collegamento con una delle arterie di traffico principali della città. Nel 1999 si verificò il crollo spontaneo di alcune strutture orizzontali di parte dell’edificio, facente parte di un più ampio complesso compendente altri due corpi di fabbrica, entrambi composti da cinque piani fuori terra, oltre il rialzato. La struttura in elevazione di questo corpo di fabbrica è costituita da tre muri paralleli in blocchi di cemento e

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ferrugine di mediocre fatture di sezione 25 cm., per tutta l’altezza dell’edificio. Ad irrigidire la struttura, in corrispondenza solo di alcuni vani luce, alcuni blocchi della parete esterna erano stati disposti trasversalmente, in modo da formare una specie di pilastro. Queste nervature, oltre che aumentare la superficie orizzontale, formava delle costolature irrigidenti utili ad aumentare la resistenza delle pareti che, come detto, erano alte e di esiguo spessore. Sul perimetro esterno si notavano analoghe riseghe, poste anch’esse in prossimità di alcune finestre, che però costituivano esclusivamente motivo architettonico. Nel corso degli anni, a seguito di lavori di manutenzione e/o trasformazione interna dei quartini, la maggior parte delle ali irrigidenti furono eliminate sottovalutandone la funzione statica. L’edificio, di buona fattura e normalmente manutenuto, incominciò a manifestare la sofferenza nella muratura esterna prospiciente la strada pubblica. La sottovalutazione del pericolo da parte del condominio pur in presenza di un progressivo quadro fessurativo, determinarono il collasso di parte delle strutture che, fortunatamente, non causò danni a persone. L’intervento di recupero è consistito nell’impacchettamento della muratura perimetrale tra due paretine in c.a. di spessore variabile da 16 cm. in fondazione, a 10 cm. a piano terra, fino a 6 cm. in elevazione. Tale intervento si è rilevato fortemente invasivo, costringendo allo sgombero delle abitazioni per tutta la durata dei lavori, tuttora in corso.

2. L’EDIFICIO DI VIA PANDOLFO COLLENUCCIO Il secondo episodio si riferisce al collasso strutturale di uno stabile in via Pandolfo Collenuccio, nel residenziale quartiere Materdei, laddove si verificò nello scorso anno il crollo parziale di parte del solaio di copertura di un fabbricato realizzato con muratura portante in tufo. Nel corso dei lavori di ristrutturazione di un appartamento posto al terzo ed ultimo piano, si verificò il crollo di una notevole parte del solaio di copertura. Il crollo provocò lo sfondamento del corrispondente solaio di calpestio, ed interessò anche l’appartamento sottostante. Solo per una fortuita

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coincidenza non si lamentarono vittime. Il solaio in questione era formato da due solette, la superiore di spessore 7 cm e la inferiore di spessore 4 cm, collegate da travi di dimensione 17/24 cm x 40/43 cm. La armatura della soletta superiore era costituita da tondini Ø 10 mentre quella inferiore aveva dimensioni Ø1,3/0,6. La particolarità della struttura faceva sì che la soletta inferiore fosse considerata come una controsoffittatura da parte delle maestranze che operavano i lavori di ristrutturazione per cui, senza alcun indugio veniva eseguita la rimozione, con immediato crollo del solaio. 3. CONCLUSIONI I due casi portati ad esempio sono stati giudicati dal sottoscritto come “casi emblematici”, perché presentano entrambi tipologie costruttive non usuali, che possono perciò trarre in inganno anche professionisti del settore. Di conseguenza, non sarà mai superfluo raccomandare a coloro che si apprestano ad eseguire interventi di ristrutturazione abitativa su edifici, estrema cautela nelle opere di demolizione anche di elementi che, ad un’esame approssimativo, possano apparire non portanti.

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%%                         !"##$  $""  %" ABSTRACT The recent collapse of a nineteen century stone masonry supporting wall, about 14 m high, is investigated. When the wall failed, the entire three-storey building adjacent to it also collapsed. Probable failure mechanisms, the situation before the collapse, construction and previous assessment errors are described together with the factors that delayed the event. +, -  &&'(*"$                +      "#  $  ""      !       $  "" "    !  !$,#$" %,-%!" $"!- ." /0"  %,            "  $   $        -!1÷2$ ""$, !  %!!!"# !"$""  !"  ."30

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

LA REGOLA DELL’ARTE COME CRITERIO DI AFFIDABILITÀ STRUTTURALE. RAGIONAMENTO SU UN CROLLO SETTECENTESCO. C. F. CAROCCI1 1

Dipartimento ASTRA, Università degli Studi di Catania

SOMMARIO Sulla base delle informazioni tratte dalla documentazione archivistica, la memoria analizza la vicenda del famoso crollo avvenuto durante l’edificazione della chiesa di San Nicolò l’Arena a Catania. Il caso della chiesa benedettina fornisce lo spunto per una riflessione più generale ed attuale che coinvolge sia la valutazione della sicurezza che la scelta di interventi efficaci sulle strutture murarie storiche. ABSTRACT On the base of the results of archival researches, the paper analyses the event of a notable collapse occurred during he building of San Nicolò l’Arena church in Catania. The case gives the idea for a more general and present thought about both the evaluation of structural safety and the selection of effective interventions for historical masonry buildings.

1. INTRODUZIONE L’introduzione della meccanica nella progettazione strutturale è fatto relativamente recente e, sebbene molti ritengano di poterla datare già dal famoso problema della mensola di Galileo, essa si può considerare completamente acquisita solo con gli studi settecenteschi sulla statica degli archi e delle strutture voltate che rappresentano il primo tentativo di fondare il progetto degli elementi strutturali su criteri non più solamente empirici. Negli studi di De la Hire, Mascheroni, Coulomb, la “Scientia” dei moderni si affranca, per la prima volta consapevolmente, dalla “Ars” degli antichi; la metodologia analitica della prima generalizza e semplifica l’approccio sintetico della seconda, introducendo nella progettazione strutturale la nuova categoria della quantità in aggiunta a quella fino allora utilizzata della qualità [1, 2]. Ars e Scientia hanno tuttavia un fondamento comune nella esperienza diretta dei fenomeni. Le teorie formulate da Coulomb sulla resistenza a taglio dei pilastri, sulla stabilità dei muri di sostegno, sui meccanismi di collasso delle strutture voltate erano suffragate, se non

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suggerite, dai risultati delle sperimentazioni da lui stesso condotte. Allo stesso modo in cui sulla sperimentazione al vero costituita da crolli e dissesti si fondano – probabilmente – le regole che hanno consentito ai costruttori romani di voltare l’immensa e insuperata cupola del Pantheon o ai costruttori medievali di innalzare le loro stupefacenti cattedrali. La comune origine sperimentale conferisce alla Ars degli antichi e alla Scientia dei moderni lo stesso contenuto di obiettività e autorizza a ritenere la prima metro altrettanto affidabile della seconda nella valutazione del comportamento strutturale. Questa considerazione ci sembra fondamentale in un’epoca in cui all’ingegneria strutturale è sempre più spesso richiesto di giudicare la sicurezza delle antiche fabbriche. Lo strutturista moderno, in possesso di un bagaglio teorico e di strumenti tecnici fino a qualche anno fa impensabili, si trova quasi sempre disarmato di fronte ad oggetti che difficilmente si lasciano ricondurre ai collaudati modelli a sua disposizione. Diviene perciò essenziale poter esprimere un giudizio sulle strutture storiche formulandolo con lo stesso linguaggio con il quale esse sono state costruite. In questo senso la “regola dell’arte”, ovvero il complesso delle prescrizioni, dei suggerimenti e delle intuizioni nelle quali si sostanzia la Ars degli antichi costruttori, può essere assunta come criterio di affidabilità strutturale non meno rigoroso dei moderni algoritmi. Forse, oltretutto, con lo stesso limite che è quello derivante dalla incompletezza delle conoscenze a nostra disposizione. Si tratta di limiti oggettivi e spesso insormontabili. Poiché infatti il livello di dettaglio al quale si possono spingere le indagini conoscitive su una qualunque fabbrica storica è comunque limitato, è difficile se non impossibile riuscire a riconoscere con la necessaria accuratezza fino a che punto la fabbrica si può ritenere eseguita a regola d’arte o se non vi siano situazioni, anche locali, di più o meno spinta difformità. Ma è la stessa difficoltà di coloro che, non essendo disposti a rinunciare all’ausilio offerto dalla moderna scienza, sono costretti a riconoscere che i migliori risultati sono sempre associati non all’uso di modelli più raffinati, ma alla ricerca del miglior compromesso tra raffinatezza dei modelli e quantità e qualità dei dati a disposizione. Il crollo avvenuto nel 1755 nella chiesa in costruzione di San Nicolò l’Arena a Catania costituisce una esemplificazione emblematica dei problemi connessi alla valutazione della sicurezza strutturale delle costruzioni esistenti. Esso venne attribuito, dai tecnici chiamati ad individuarne le cause, alla cattiva qualità costruttiva dell’apparecchio dei pilastri e fu all’origine della decisione – presa dall’architetto che eresse la cupola (Ittar) – di demolire e ricostruire uno dei pilastri non crollati ma ritenuti di qualità paragonabile a quella degli altri (nell’impossibilità di poter valutare con sicurezza la loro qualità costruttiva). Il crollo e il corso che esso impresse al cantiere della chiesa evidenziano in maniera drammatica alcuni degli aspetti prima richiamati: (i) la funzione normativa della “regola dell’arte” – paragonabile a quella del moderno calcolo strutturale – per cui la costruzione non eseguita a “regola d’arte” è altrettanto insicura di una mal calcolata; (ii) le difficoltà connesse alla valutazione della qualità costruttiva delle costruzioni esistenti, se non la impossibilità di effettuare tale valutazione con la necessaria precisione; (iii) infine, il ricorso, nei casi in cui dette difficoltà appaiano insuperabili, alla classica opzione “a favore di sicurezza”, extrema ratio che Ittar poté declinare in maniera risoluta, ma oggi spesso impraticabile. L’analisi del crollo è stata svolta riprendendo e approfondendo lo studio generale realizzato sulla chiesa di San Nicolò l’Arena in vista della definizione del progetto di restauro e miglioramento sismico [3].

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Se lo studio si basa su un numero molto contenuto di dati documentali direttamente inerenti il crollo, innumerevoli testimonianze scritte sono state analizzate per poter collocare l’evento traumatico nel cantiere edificatorio e nel clima della Catania della ricostruzione postsisma; ne deriva un quadro piuttosto preciso per quanto concerne le modalità costruttive dell’opera muraria e la cultura edificatoria in generale.

2. IL CROLLO: OTTOBRE 1755 Nelle cronologie edite la durata della costruzione della chiesa di San Nicolò l’Arena è pari a un secolo, informazione corretta e documentata se si parte dal 1687 - data della posa della prima pietra - al 1780, anno del completamento della lanterna. In realtà, se si approfondisce lo studio della documentazione disponibile appare evidente come i monaci benedettini affrontino, nell’arco di un secolo, la realizzazione di un ben più articolato e imponente progetto. In effetti i cantieri benedettini che durante il corso dei cento anni vengono completati sono molteplici e, tra l’altro, affrontano problematiche diversificate: dalla costruzione della immensa chiesa nuova, al raddoppio del cenobio, alla ricostruzione del chiostro cinquecentesco gravemente danneggiato dal terremoto del 1693, alla realizzazione dei volumi monumentali – presumibilmente non previsti all’inizio della operazione – dei refettori e della biblioteca. Una operazione dunque di notevolissima importanza anche all’interno di una città-cantiere quale Catania era nel corso di quei decenni. Il cantiere della chiesa vera e propria si svolge, dunque, all’interno di questa vasta operazione edilizia, ed i tempi di costruzione delle strutture dell’edificio di culto sono subordinate a diversi fattori solo in parte chiariti nelle analisi fin qui condotte.

Figura 1. Vista della chiesa da Nord senza il ponteggio attualmente in sito su tamburo e cupola.

Nel settembre 1755 le strutture murarie della chiesa sono già state elevate, gli archi maggiori in gran parte montati e in alcune zone si procede alla realizzazione delle volte a vela e delle volte a botte lunettate che dovranno concludere lo spazio della chiesa. Un notevole numero di operai è presente in cantiere, tra cui “manovali prattici nel murare nel mezzo e

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rompere pietra”, e “ragazzi” designati al trasporto del materiale lapideo a piè d’opera. In questo quadro di fervida attività, improvvisamente una parte delle strutture di elevazione crolla senza alcuna avvisaglia. Il crollo avviene probabilmente nei giorni iniziali del mese, in un cantiere che procede in assoluta continuità con le lavorazioni dei mesi precedenti. Tale ipotesi, che si basa sulla analisi delle quantità di manodopera impiegata nello stesso ottobre nella “sud[ett]a fabrica pria di sortire la caduta della med[esim]a” e “doppo la caduta”, può sembrare solo contraddetta da una annotazione – anch’essa contenuta nelle note contabili di ottobre - con la quale si lamenta il fatto che l’architetto (Francesco Battaglia) “si trovò pag[at]o il salario prima di succedere la disgrazia alla fabr[ic]a” [4].

Figura 2. Ipotesi sulla localizzazione del crollo del 1755 basata sulla analisi delle fonti documentarie.

In ogni caso, i monaci ingaggiano tempestivamente un perito, il regio ingegnere Michele Castagna, siracusano. Tanto tempestivamente che, nei conti del mese di novembre è infatti contenuta la nota di pagamento per le competenze dell’ingegnere; in questa sono descritte le prestazioni già svolte: “al Sig. d[on] Michele Castagna Ingegniere di S[ua] M[aestà] fatto venire seriamente da Siracusa a rivedere le ruine della fabr[ic]a caduta nella parte che guarda la tramontana e rivedere tutte le altre fabriche rimaste in piede con riparare quelle sconquassate restate in aria, secondo le di lui Instruzioni lasciate in scritto (…)”. Come si evince dalla nota il crollo investe la porzione Nord della fabbrica con una gradazione di danneggiamento che varia da parti cadute, a parti pericolanti, a parti, infine, superstiti. È lecito supporre che, immediatamente dopo il crollo, Michele Castagna abbia effettuato dei sopralluoghi, osservato le macerie e l’estensione del crollo, come pure la situazione delle

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parti confinanti con la zona crollata. Dopo una analisi durata forse qualche giorno il perito stende una relazione nella quale stabilisce le cause che hanno presumibilmente provocato il crollo, individua la pericolosità delle lesioni che sono apparse nelle parti adiacenti a quelle cadute e, infine, fornisce le prime istruzioni operative a salvaguardia delle strutture rimaste in piedi. Purtroppo il testo autografo dell’ingegnere non è stato rintracciato negli archivi, ma dalle scarne note giustificative dei pagamenti si leggono alcune disposizioni certamente da lui stabilite, come ad esempio: “turare tutti li pertugi delli pilastri restati in piede, sbarazare le rovine e fare li delfini al corridore che passa al Refettorio dietro il Cappellone”. Nel gennaio 1756, due mesi dopo il crollo, l’ingegnere Castagna viene interpellato di nuovo. Due maestri del monastero vengono inviati a Siracusa per un consulto che ha come oggetto “li difetti nuovam[en]te scoverti nei pilastri della sud[ett]a Fabr[ic]a”; si tratta forse di problemi individuati in altre porzioni murarie della chiesa che, seppur non coinvolte nel crollo, il perito aveva consigliato di indagare. Tale supplemento di indagine su elementi strutturali integri fu dettato probabilmente dalla preoccupazione che questi ultimi celassero un difetto analogo a quello che aveva causato il rovinoso crollo. Il crollo della costruenda chiesa benedettina, pensata dai monaci per stupire la città con la sua mole e con la sua ricchezza, dovette avere enorme risonanza in città. Giovan Battista Vaccarini, architetto notissimo e in quel momento al centro di accesissime discussioni relative alla facciata della chiesa Madre, interviene su tale fatto prendendo le difese del direttore dei lavori, Francesco Battaglia che lo aveva sostituito quando nel 1745 egli aveva lasciato il ruolo di architetto del monastero [5]. Il suo intervento – riportato di seguito - è importantissimo per le indicazioni che fornisce sulle cause del crollo. “Li pilastri che crollarono so ben io che furono fatti a rompicollo allo staglio pell’impegno dell’Abate Brancato per portare li monaci dal vecchio al nuovo monasterio: onde se la puoca coscienza de’ maestri per risparmiare il tempo li fabbricarono vacui dentro e malamente concatenate le pietre, e al di fuori apparivano come tutti gli altri, e [il Battaglia] credendoli tali non potendo mai indovinare la pessima interna contestura ne seguitò la fabbrica; se il male è interno che ci crucia, vi è perito mai nella medicina che vaglia a indovinarlo. Onde che colpa è mai del mio sostituto che si fosse dirottata parte della detta chiesa” [6]. I pareri dell’ingegnere Castagna e dell’architetto Vaccarini concordano sulle cause che innescarono il crollo, come sul fatto che il cedimento ebbe luogo nei pilastri. Quali pilastri, viene chiarito in un passo contenuto in una supplica del Senato di Catania al Principe di Squillace – per la questione della facciata del Duomo – che coinvolge Vaccarini: “(…) nell’andato mese sono crollati dui pilastri maggiori del Tempio dei Benedettini che erano stati dal riferito sostituto del Vaccarini dati per saldi, con aver tratto seco a rovina le volte, e gli archi eretti per di lui direzione sopra i medesimi, e con aver fracassato le altre volte e mura della superior parte dell’ala dritta (…)” [7].

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L’ingegnere Castagna attribuisce le cause del crollo dei pilastri a gravi difetti costruttivi riguardanti essenzialmente la fattura interna dell’opera muraria. Tale interpretazione risulta chiara anche dalle poche annotazioni in nostro possesso che riferiscono le indicazioni per il miglioramento delle tessiture murarie residue. Presumibilmente il Castagna, presente in cantiere nei giorni immediatamente seguenti il crollo, si era formato una precisa opinione osservando la modalità di crollo dei pilastri e i materiali (quantità e qualità della malta, dimensione degli elementi lapidei) che costituivano il cumulo di macerie. Inoltre, riflette sul fatto che il difetto costruttivo fatale poteva essere presente anche nelle altre strutture di elevazione della chiesa e quindi non si poteva evitare di indagare sulla qualità costruttiva delle strutture murarie rimaste in piedi. A questo scopo prescrive la realizzazione di saggi finalizzati ad appurare la qualità costruttiva degli elementi superstiti. È probabilmente l’esito di tale indagine – che mette in luce la presenza di vuoti perniciosi – a far decidere saggiamente all’ingegnere il miglioramento da apportare: “turare tutti li pertugi delli pilastri restati in piede”. Vaccarini, al pari del perito siracusano, è esplicito nell’identificare le cause del disastro nella affrettata esecuzione dell’opera: i pilastri sono stati costruiti senza le necessarie ammorsature e sovrapposizioni tra gli elementi lapidei, senza curare la messa in opera di elementi minuti (scaglie) necessari a riempire le commessure tra gli scapoli irregolari allo scopo non lasciare vuoti nello spessore murario. È evidente dunque che per Vaccarini e Castagna il motivo del crollo risiede in una palese violazione delle prescrizioni della “regola dell’arte muraria”.

3. LA “REGOLA DELL’ARTE” Il concetto di “regola dell’arte” è stato reintrodotto nella nostra cultura tecnica da qualche tempo, allorché gli strutturisti hanno acquisito la consapevolezza che, per studiare e valutare il comportamento degli edifici murari antichi, era necessario imparare il desueto linguaggio costruttivo murario [8]. La “regola dell’arte” è l’insieme di prescrizioni attinenti all’arte di edificare pervenuteci attraverso la letteratura tecnica pre-moderna che le ha mutuate dalla tradizione costruttiva trasmessa per via orale ovvero le ha desunte dalle fabbriche esistenti. Se la “regola dell’arte” raccoglie in se gli insegnamenti tratti dalle esperienze che connotano la storia del costruire murario – dagli insuccessi alle realizzazioni esemplari – è lecito che essa sia assunta come riferimento certo e obiettivo per il giudizio qualitativo di un’opera edificata [9]. Le indicazioni per la realizzazione di un muro di pietra grezza a “regola d’arte” ci sono pervenute grazie alla formulazione contenuta nei diversi trattati tecnici; il confronto tra le enunciazioni degli autori del XIX secolo evidenzia una perfetta concordanza di contenuti che rende esplicita la provenienza di quei concetti dalla osservazione diretta di un notevole campione di opere murarie della realtà costruita a loro coeva. La formulazione scritta della “regola dell’arte” può a ragione quindi essere considerata il presupposto rispetto al quale le opere murarie antiche sono state realizzate e il metro oggettivo a nostra disposizione per valutare oggi sulla loro buona fattura. Al contrario dell’opus quadratum dei greci, il muro in pietra grezza non è frutto di un progetto dettagliato, ma è invece formulato pietra dopo pietra dal muratore la cui cultura procede sul fili di una logica organica che chiamiamo appunto “regola dell’arte”. Il “maestro” muratore sopperisce con l’ingegno tecnico ai ridotti mezzi che ha a disposizione (materiale

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lapideo informe) al fine di produrre comunque un’opera caratterizzata dalla necessaria qualità meccanica [10]. Per costruire un muro in pietra grezza di buona qualità, ovvero a “regola d’arte” è necessario: - usare un numero prevalente di pietre grandi rispetto a quelle piccole e comunque disporre di un buon assortimento dimensionale di elementi lapidei; - disporre le pietre grandi in modo da realizzare il corretto sfalsamento tra i filari sovrapposti sia sulle facce che all’interno della tessitura; - riempire i vuoti residui tra le pietre grandi (dovuti al difetto di lavorazione) con pietre più piccole e scaglie, limitando al minimo la quantità di malta che ha il ruolo di regolarizzare il contatto tra le pietre; - realizzare a intervalli regolari dei “conguagli”, strati perfettamente orizzontali, in modo da predisporre assise regolari per i filari sovrapposti, utilizzando scaglie di pietra, frantumi laterizi o mattoni.

Figura 3. Analisi della tessitura di una sezione muraria della chiesa di San Nicolò.

I muri devono essere tessuti in modo da non presentare alcuna divisione verticale interna allo spessore e questo si ottiene mediante la sapiente disposizione degli elementi lapidei maggiori nella tessitura; la compattezza dell’apparecchio si ottiene poi con la corretta disposizione degli elementi di media e piccola dimensione, in modo tale da limitare allo stretto indispensabile la quantità di malta; infine la corretta trasmissione dei carichi verticali tra i filari è garantita dalla realizzazione di superfici di posa perfettamente orizzontali realizzate tramite i ripianamenti. Si intende chiaramente la finalizzazione statica di tali indicazioni costruttive che evidenziano i requisiti meccanici della monoliticità trasversale e della compattezza interna, per questo motivo si può affermare che il riconoscimento di tali regole generali in un’opera muraria esistente svela la qualità meccanica di questa.

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Allora, si capisce come mai Vaccarini e Castagna non sembrano mostrare alcun dubbio sulle cause del crollo di San Nicolò; infatti, mentre la nostra cultura scientifica ha dovuto con fatica riappropriarsi di un lessico costruttivo desueto e imparare a riconoscerne gli errori, almeno quelli più eclatanti, loro appoggiavano la loro maestria sulle basi di una cultura, per così dire, tutta interna alla logica muraria. Ma se oggi ci poniamo il problema di valutare la sicurezza di una struttura muraria, non possiamo fare a meno di analizzare la tessitura muraria mediante le regole costruttive che ormai conosciamo nella loro forma generale.

Figura 4. Differenziazione tra le strutture murarie con paramento in pietra concia (3,4,6,7,8,10,11) e pietra grezza (1,2,5,9,12).

Se ancora non abbiamo la destrezza che mostrò l’ingegnere Castagna allorché ordinò i rafforzamenti sulle strutture non coinvolte nel crollo ove aveva riscontrato difetti di tessitura, siamo convinti che la “regola dell’arte” è lo strumento adeguato a riconoscere con obbiettività l'efficacia meccanica dell’apparecchio murario oggetto della nostra analisi.

4. LA COSTRUZIONE DELLA CUPOLA Abbiamo accennato a come il riconoscimento della aderenza alle prescrizioni della “regola dell’arte” costituisca un passaggio critico nello studio delle fabbriche murarie antiche in vista della valutazione della loro sicurezza strutturale. Tale difficoltà è emblematicamente illustrata dalla vicenda della costruzione del tamburo e della cupola di San Nicolò – che sostanzialmente segna la conclusione del cantiere della chiesa benedettina. Anche quando finalmente le voci contabili non riportano più lavori riferibili al crollo, il ricordo della sciagura, come quello delle sue cause, non abbandona il cantiere.

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Infatti è significativo ricordare quel che accadde circa tre lustri dopo il crollo, quando Stefano Ittar venne chiamato a dirigere i lavori per l’elevazione del tamburo e della cupola. L’architetto è consapevole del notevole peso che le strutture verticali già in sito saranno chiamate a sopportare e vuol essere certo che siano adeguate; ed è sicuramente memore della responsabilità attribuita a Francesco Battaglia nel 1755 per aver “dati per saldi” i pilastri che poi crollarono.

Figura 5. I paramenti del pilastro ricostruito da Stefano Ittar.

Facendo perciò proprio l’insegnamento derivato dall’errore del suo predecessore, prima di iniziare la costruzione del tamburo, Ittar interviene sulle strutture esistenti con l’evidente scopo di rassicurarsi sulla stabilità e sulla resistenza della compagine muraria.

Figura 6. Gli interventi di Stefano Ittar.

Nel 1768, dopo aver rafforzato alcune fondazioni sul lato Nord della chiesa (realizzando i collegamenti tra le strutture fondali puntuali) [11], l’architetto polacco decide – presumibilmente riconoscendo la impossibilità di valutare la affidabilità dell’apparecchio murario – di sostituire uno dei pilastri della cupola non rafforzato. Nonostante le difficoltà tecniche di tale operazione (sul pilastro insistevano sia due dei 4 arconi che la cupoletta di copertura della cellula quadrata), dopo i necessari puntellamenti si

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procede a "diroccare il pilastro che deve sostenere la Cubola Maggiore", e alla sua riedificazione con elementi squadrati di pietra lavica: i “pezzi a carrozzata”. La cupola e la lanterna sono appena concluse quando, nel 1780 vengono osservate delle lesioni in un pilastro e in due dei quattro arconi della cupola. Ancora una volta il ricordo del crollo del 1755 riemerge con prepotenza. I benedettini di San Nicolò, con estrema sollecitudine, si attivano per chiarire se le evidenze osservate siano da ritenersi pericolose; a tale scopo incaricano da un lato l’architetto palermitano Gaetano Dalmasse e dall’altro quattro maestri muratori catanesi. Entrambe le perizie concludono per la non pericolosità dello stato fessurativo osservato su un pilastro e in chiave agli archi; le lesioni vengono attribuite ad assestamenti fisiologici della struttura in seguito alla costruzione del sistema tamburo-cupola-lanterna: “Le linee poi che appariscono nell’archi maggiori, tanto quelli di fabrica, quanto quelli di pezzi, che sono sopra detti pilastri, non sono di verun pregiudizio, attesoché sogliono l’archi sudetti far dette linee pigliando la fabrica il suo sesto, come giornalmente si vede quasi in tutte le Chiese, e fabriche di Case di questa sud[ett]a Città nuovamente fabbricate”. [12] 5. CONCLUSIONI In questo lavoro si propone come criterio di affidabilità strutturale il controllo della rispondenza della realtà costruita con la norma costruttiva contenuta nella “regola dell’arte”, nel convincimento che questa possa esplicare una funzione in qualche misura paragonabile a quella del moderno calcolo strutturale e sia caratterizzata da un contenuto di obiettività e di rigore non inferiore a quello che si è soliti riconoscere alla meccanica teorica. Conoscere come un muro, una volta, una copertura devono essere realizzati aiuta a riconoscere quando quel muro, quella volta o quella copertura sono mal costruiti e tale riconoscimento si identifica con un giudizio di qualità meccanica che ha lo stesso valore dei risultati forniti da una qualunque analisi teorica o numerica. Con il vantaggio, semmai, di poter evitare la fase di modellazione che, in qualunque calcolo strutturale, è indispensabile per il passaggio dalla realtà fisica della costruzione a quella numerica del modello. La regola dell’arte è invece formulata nello stesso linguaggio con cui la costruzione è stata realizzata e questo assicura una aderenza al dato fisico di partenza assai più profonda di quella che connota anche la più raffinata modellazione. Qualunque difformità dalla regola dell’arte introduce dunque nella costruzione una debolezza intrinseca nella quale sono spesso da ravvisare le potenzialità di dissesti più o meno importanti fino all’eventualità clamorosa del collasso. La vicenda del famoso crollo di San Nicolò l’Arena a Catania manifesta drammatiche analogie con numerosi collassi recenti, primo fra tutti quello della chiesa madre di Noto, che sembrano proprio dimostrare come la cattiva esecuzione dell’opera, ovvero il mancato rispetto della regola dell’arte, sia tra le cause che più frequentemente sono all’origine di un insuccesso strutturale. Causa tanto più pericolosa quanto più difficile da riconoscere. Il difetto di esecuzione è, infatti, spesso occultato da una qualità apparente: pilastri dalla pessima tessitura interna ma dal paramento impeccabile traggono facilmente in inganno e, assai raramente, si riesce a svelare la loro vera natura. Questa situazione è esemplarmente dimostrata dal crollo di San Nicolò l’Arena e, quasi identicamente riproposta dal crollo di Noto, entrambi verificatisi senza che nessuno riuscisse

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a prevederne la possibilità o, per meglio dire, l’imminenza proprio per la difficoltà di riconoscere, dal semplice esame dei paramenti murari, il difetto di qualità interna. Tale tipo di collassi rivela una più generale difficoltà interpretativa che è da considerarsi usuale nella analisi strutturale delle antiche fabbriche murarie. Allo stato attuale le incertezze che da tale difficoltà immancabilmente derivano sembrano difficilmente eliminabili e individuano un limite oggettivo per qualunque metodologia di indagine.

BIBLIOGRAFIA [1] Heyman J., Structural Analysis, A Historical Approach, Cambridge University Press, (1998) [2] Ackermann J.S., Ars sine scientia nihil est, Gothic theory of architecture at the Cathedral of Milan. The Art Bulletin, 84-111 (1949). [3] Carocci C.F., Tocci C., Sicurezza e conservazione delle costruzioni murarie storiche. La chiesa di San Nicolò l’Arena a Catania (in corso di stampa). [4] Archivio di Stato di Catania, fondo Benedettini, vol. 822, Vacchetta (1755-1757), cc.233248. [5] Fichera F.: G.B.Vaccarini e l’architettura del settecento in Sicilia, Vol. I, pp.175-178 (1939). [6] Relazione di Giovan Battista Vaccarini in difesa del prospetto della cattedrale di Catania, trascrizione pubblicata in: Nobile M.R., cit., pp.132-137. [7] Nobile M.R., Il volto della Sposa: le facciate delle chiese madri nella Sicilia del Settecento, p. 44 (2000). [8] Giuffrè A., Valutazione della vulnerabilità sismica dei monumenti antichi: metodi di verifica e tecniche di intervento, in: Problemi del restauro in Italia, pp.67-77 (1988) [9] Giuffrè A., Restauro e sicurezza in zona sismica, La cattedrale di Sant’Angelo dei Lombardi, in: Monumenti e terremoti, aspetto statici del restauro, pp. 83-120. [10] Carocci C.F., Conservazione dei centri storici in area sismica. Vulnerabilità e mitigazione, Tesi di dottorato in “Storia delle Scienze e delle Tecniche Costruttive”, VIII ciclo (1996). [11] Archivio di Stato di Catania, fondo Benedettini, vol. 828, Vacchetta (1768-1769), cc. 267-269. [12] Archivio di Stato di Catania, fondo Benedettini, vol. 351, c.157r, perizia dell’architetto Gaetano Dalmasse; vol. 351, c.151rv, 1780, perizia di quattro maestri muratori, 1780.

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UN CROLLO NEL CENTRO DI NAPOLI DURANTE LAVORI DI CONSOLIDAMENTO N. AUGENTI Dipartimento di Analisi e Progettazione Strutturale, Università degli Studi Federico II, Napoli

SOMMARIO Il lavoro tratta del crollo parziale di un appartamento avvenuto, all’ultimo piano di un edificio nel centro “elegante” di Napoli, mentre erano in corso lavori di ristrutturazione e di consolidamento statico. Il collasso, che solamente per fortunate circostanze non ha provocato vittime, ha determinato tra l’altro situazioni di grave pericolo e di instabilità delle strutture residue. L’autore della nota che, oltre ad essersi interessato degli aspetti giudiziari, ha progettato e coordinato l’esecuzione delle opere di assicurazione provvisoria, di ricostruzione delle parti crollate e di consolidamento delle strutture residue, descrive la dinamica del crollo e le cause che hanno determinato l’evento. La memoria presenta contenuti particolarmente interessanti per quanto attiene gli edifici con strutture portanti verticali in muratura di tufo. ABSTRACT The paper describes the partial collapse of a flat occurred at the last floor of a building placed in the elegant centre of Naples, while some restoration and static strengthening works were in progress. The collapse, which only for lucky circumstances has not provoked any victim, has entailed huge risks and instability problems of the residual structures as well. The author, in addition to being involved in the judicial aspects, has designed and coordinated the execution of the temporary safety works, the rebuilding of the collapsed parts and the strengthening of the residual structures. Furthermore, the collapse dynamics and the causes that have produced the event are illustrated. The paper presents particularly interesting contents on tuff masonry buildings made of vertical bearing walls.

1. L’EDIFICIO NEL QUALE SI È VERIFICATO IL CROLLO La Riviera di Chiaia di Napoli, che si estende da Mergellina a Piazza della Vittoria, è costeggiata verso il mare dalla Villa Comunale mentre verso nord è delimitata da una cortina di edifici, quasi tutti di importanza storica, del quartiere Chiaia.

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Tra le costruzioni più antiche della Riviera si può annoverare la Chiesa di San Rocco, presso la quale si trovava l’antico Monastero di San Sebastiano, la cui edificazione si fa risalire al 1530 circa. Il Monastero fu successivamente venduto e, al suo posto, fu realizzato un edificio per civili abitazioni, all’interno del quale rimase incorporata l’antica chiesetta. Le strutture portanti verticali del nuovo fabbricato furono realizzate in muratura di tufo “ben organizzata”, costituita da due paramenti esterni regolari e da un riempimento “a sacco” di malta e taglime di tufo. Gli orizzontamenti furono realizzati con volte in muratura ai livelli inferiori e con solai piani in legno ai livelli superiori; nel tempo, gli impalcati vennero sostituiti con travi in ferro e voltine in muratura. Durante la seconda guerra mondiale, il giorno 4 agosto 1943, l’edificio fu bombardato: la Figura 1 e la Figura 2 mostrano immagini apparse sulla stampa dell’epoca.

Figura 1. Bombardamento della Riviera di Chiaia.

Figura 2. L’edificio bombardato.

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La ristrutturazione dell’edificio, invece di prevedere la demolizione delle parti residue e l’intera ricostruzione, fu realizzata mediante il consolidamento delle murature danneggiate (con interventi di “cuci e scuci” ai piani bassi) e la ricostruzione delle sole strutture murarie completamente crollate, ai piani superiori. Nella Figura 3 sono visibili due disegni dell’epoca (una pianta e un prospetto) nei quali sono contrassegnate, con colori differenti, le zone di muratura risanate e quelle interamente ricostruite. Per lasciare maggiori spazi liberi negli ambienti fronte mare (a sud), le due murature interne trasversali (in direzione nord-sud) furono ricostruite solo parzialmente: per sostenere il solaio di copertura si realizzarono due travi in conglomerato cementizio armato poggiate sulle dette murature e su quella di facciata.

Figura 3. Pianta e prospetto degli interventi di ricostruzione.

2. LE STRUTTURE CROLLATE Nel mese di settembre dell’anno 2002, la proprietaria di uno degli appartamenti all’ultimo piano decise di procedere a lavori di manutenzione straordinaria presso il proprio immobile. Gli interventi strutturali previsti dai professionisti incaricati consistevano, essenzialmente, nello spostamento di alcuni vani interni e nel risanamento delle murature esistenti che presentavano sintomi di degrado delle malte. Alla fine dell’ anno, ebbero inizio i lavori. Il giorno 24 gennaio 2003, alle ore 10.30 circa, mentre erano in corso i previsti interventi di ristrutturazione, improvvisamente si verificava il collasso di uno dei muri trasversali interni che determinava il crollo di una parte del muro longitudinale di facciata e del solaio di copertura, visibili rispettivamente nella Figura 4 e nella Figura 5. Solo fortuitamente tale disastro non provocava vittime poiché, a causa di un violento temporale, il marciapiedi antistante l’edificio, usualmente affollato per la presenza di una

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fermata d’autobus, era completamente sgombero da persone che si erano riparate all’interno degli esercizi commerciali ubicati al piano terreno.

Figura 4. Prospetto esterno crollato; in secondo piano la veranda dell’attico soprastante, sospesa.

Figura 5. Il solaio crollato, visto dall’alto.

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Nella Figura 6 è possibile osservare dall’interno dell’appartamento, contemporaneamente, sia la muratura perimetrale che il solaio parzialmente crollati.

Figura 6. Il solaio e la facciata esterna crollati

La dinamica del crollo si era articolata nella seguente successione di eventi: - collasso per schiacciamento della muratura trasversale interna, sulla quale erano in corso interventi di risanamento dei comenti di malta; - caduta della trave in cemento armato soprastante (di sostegno del solaio di copertura); - sfondamento della muratura longitudinale di facciata, conseguente alla caduta della trave appena citata; - crollo parziale del solaio di copertura. Nella Figura 7 è possibile osservare la parte residua della muratura trasversale crollata sulla quale erano in corso gli interventi di risanamento, mentre in Figura 8 è ritratto un particolare di tale paramento murario. Nella prima delle dette immagini si può notare la parte delle strutture del piano attico sovrastante, rimaste sospese; si vedono, altresì, gli interventi invasivi di posa in opera delle nuove piattabande e di costruzione delle nuove tamponature, finalizzati allo spostamento dei nuovi vani di passaggio, previsti dal progetto. In seguito al crollo delle strutture innanzi dette, la muratura interna longitudinale “di spina”, sovraccaricata per l’assenza del setto crollato, ha subito a sua volta gravissimi dissesti che l’hanno condotta alle soglie del collasso. Nella Figura 9 è possibile osservare le condizioni di tale paramento murario, dal lato interno: immagine assolutamente singolare, per la precarietà dell’equilibrio, che testimonia condizioni della struttura allo stato limite di collasso. Sono, altresì, evidenti gli interventi operati in precedenza, responsabili dell’indebolimento strutturale.

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Figura 7. Il solaio e il muro trasversale crollati

Figura 8. Particolare del muro trasversale crollato

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Per effetto della situazione di pericolo verificatasi è stato necessario procedere, d’urgenza, ad un imponente puntellamento delle strutture residue, per evitare ulteriori e più gravi fenomeni di collasso a catena.

Figura 9. Lo stato del muro di spina dopo il crollo

Ulteriori danni furono causati al solaio di calpestio dell’appartamento, che venne semplicemente sfondato in alcune zone, senza conseguenze più gravi.

3. LE CAUSE DEL COLLASSO Come è risultato dalle indagini svolte in sito e dall’esame delle documentazioni reperite, le cause del collasso sono da attribuire a molteplici fattori concomitanti, che si sintetizzano di seguito: - i lavori furono eseguiti in mancanza di un progetto strutturale esecutivo; - non era stata effettuata alcuna verifica delle strutture esistenti; - erano stati eseguiti, contemporaneamente, perlomeno tre interventi tali da ridurre la capacità portante del maschio murario crollato; - era stata ridotta la lunghezza del setto trasversale per procedere allo spostamento di un vano; - lo spessore della sezione dello stesso setto era stato diminuito dai tagli orizzontali eseguiti per l’inserimento delle travi metalliche necessarie alla creazione della nuova piattabanda; - il tessuto murario era stato in gran parte scompaginato, in seguito alla parziale asportazione dei giunti di malta degradata esistenti tra le pietre di tufo;

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- tutte le opere erano state effettuate in assenza di efficaci puntellamenti ed opere di assicurazione provvisoria. Nel corso delle operazioni di consulenza si è potuto accertare, altresì, che sul solaio di copertura era stata realizzata, in epoca precedente, una seconda pavimentazione, che aveva dato luogo ad aumento dei carichi permanenti. Ulteriore fattore di vulnerabilità della struttura è stato costituito dal fatto che le travi trasversali, in conglomerato cementizio armato, poggiavano sulle strutture costituenti la facciata principale, direttamente sul tessuto murario e senza alcun cordolo o elemento di ripartizione. Tale circostanza ha fatto si che il cinematismo della trave crollata operasse una spinta concentrata sulla muratura, priva di qualunque ritegno in grado di contenerne lo sfondamento. I lavori di messa in sicurezza e ricostruzione delle parti crollate hanno costituito occasione per procedere ad interventi di consolidamento e risanamento delle strutture esistenti.

4. CONCLUSIONI Il crollo descritto nella presente nota, sebbene contenuto per dimensioni e conseguenze, risulta denso di significati, particolarmente per quanto attiene gli interventi di ristrutturazione usualmente condotti. Gli eventi verificatisi devono infatti insegnare che, anche ristrutturazioni apparentemente semplici e “correnti” possono dare luogo a situazioni di rischio dalle conseguenze imprevedibili. Appare assolutamente indispensabile che qualunque lavoro riguardante le strutture degli edifici, e in particolare quelli di antica o vecchia fattura, vengano affrontati predisponendo dettagliati progetti di intervento e un rigoroso controllo sugli operatori, che devono essere dotati di specifica qualificazione. Appare, inoltre, indispensabile che interventi di carattere strutturale siano sempre preceduti da verifiche delle strutture esistenti e da opere di assicurazione efficaci. Occorre, infine, predisporre un dettagliato programma riguardante la successione dei diversi interventi di consolidamento, che non dovrebbero mai essere eseguiti contemporaneamente.

BIBLIOGRAFIA [1]

Augenti N.: Relazione di consulenza relativa al procedimento penale conseguente al crollo, Napoli 2003.

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IL CROLLO DELLA GALLERIA DI SECONDIGLIANO: SCENARI ED IPOTESI M. PASQUINO1, M. MODANO1, F. FABBROCINO1 1

Dipartimento di Scienza delle Costruzioni, Università degli Studi di Napoli Federico II

SOMMARIO Nel presente lavoro si fa una analisi della dinamica e delle possibili cause che hanno determinato il crollo della galleria di raccordo fra la Circumvallazione esterna di Napoli, l’Asse mediano e l’Asse di supporto A.S.I., nel tratto tra la rotonda di Arzano e lo svincolo di Miano. Vengono illustrate le ipotesi di crollo proposte dalle parti finalizzate alla ricostruzione dei fatti. Questi sono configurati come catene di fenomeni ai quali si può far risalire una successione di eventi che potrebbero avere determinato la sciagura. Sono illustrati quattro possibili scenari. La prima ipotesi attribuisce il crollo al collasso del rivestimento provvisorio con conseguente meccanismo di rottura che si è esteso fino alla superficie topografica. La seconda teoria è basata sulle deformazioni impresse dallo scavo ad un manufatto fognario innescando perdite di acqua con conseguente imbibizione dei terreni provocando condizioni favorevoli al collasso dei terreni. La terza si basa sulla ipotesi che i cedimenti del terreno indotti dallo scavo hanno innescato cedimenti differenziati delle fondazioni di un edificio sovrastante con conseguente crollo le cui azioni dinamiche hanno poi portato al crollo anche dello scavo della galleria. La quarta fa riferimento ad infiltrazioni di gas proveniente dalla cavità antropiche che hanno provocato un incendio e la conseguente deflagrazione. ABSTRACT The aim of this paper there is to present a study on dynamics and causes that determined the landslide of the connection tunnel between three major roads just outside Naples: Circumvallazione esterna of Naples, Asse Mediano and Asse di supporto A.S.I.; in the section between Arzano and Miano. There is a presentation of the hypotheses on the causes of the landslide finalized to the reconstruction of the events. These are configured as chains of phenomena that caused a succession of events that could have determined the disaster. In this paper are defined four possible scenarios. The first hypothesis attributes the landslide to the collapse of the temporary covering with consequent “breach mechanism” that has extended until the topographical surface.

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The second hypothesis is based on the deformations produced by the excavation for sewerage works, that could have activated a water loss with consequent absorption by the soil enabling favourable conditions for the collapse. The third hypothesis is based on the fact that soil displacement produced by the excavation have caused differentiate displacement to the foundations of an overhanging building with consequent landslide whose dynamic actions have then also produced the landslide of the digging of the tunnel. The fourth hypothesis is based on gas infiltrations from the anthropic cavity that has caused a fire and the consequent deflagration.

1. INTRODUZIONE Il giorno 23 gennaio del 1996, alle ore 16:30, in corrispondenza dell’incrocio tra il Corso Secondigliano e la via Limitone di Arzano in Napoli, nel corso dei lavori di costruzione della galleria stradale di collegamento tra la Circumvallazione esterna di Napoli, l’Asse mediano e l’Asse di supporto A.S.I., si verificava un disastro che provocava la morte di dieci persone, il ferimento di otto e la scomparsa di una. A seguito di ciò, si aprì un procedimento penale per l’accertamento delle cause, delle eventuali concause e di ogni altro elemento utile all’individuazione delle responsabilità. I lavori di costruzione della galleria erano così condotti: La “Impresa esecutrice” ARZANO s.c.a.r.l. effettuava i lavori di scavo ed il posizionamento delle centine. La “SO.GE.ME.” eseguiva i lavori delle palificazioni. La “Edilia” forniva la carpenteria. La “DI.CA. Edil” effettuava la rimozione del materiale scavato. L’opera oggetto di indagine era costituita da una galleria della lunghezza di circa 1500 metri che doveva collegare lo “svincolo di Arzano della Circumvallazione Caloria-Lago Patria” con lo “svincolo della Tangenziale Est sulla via Miano”, passando sotto la via comunale Limitone di Arzano, il quadrivio di Secondigliano e la via Napoli-Capodimonte. In prossimità del detto quadrivio era prevista un’uscita di sicurezza realizzata in pozzo (proprio in corrispondenza della zona crollata). Il manufatto era previsto a sezione chiusa con sagoma della calotta a ferro di cavallo avente raggio interno di circa cinque metri ed arco rovescio con raggio interno di circa nove metri.

2. LA PROGETTAZIONE 2.1. Il progetto della Galleria Il progetto iniziale prevedeva lo scavo della galleria per il tratto a foro cieco a sezione parzializzata con trattamenti di pre-contenimento e più precisamente mediante consolidamento del terreno in avanzamento a mezzo di un ombrello di colonne di terreno trattato con gettiniezione, al fine di contrastare gli allentamenti immediati e ripartire le spinte sul rivestimento finale in calcestruzzo. Le colonne sub-orizzontali di gettiniezione erano state previste, in fase di progetto, del diametro di 60 cm con un interasse di 45 cm al fine di garantirne la compenetrazione. Le fasi di avanzamento previste si possono così schematizzare:

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x Pre-contenimento della volta mediante 30 colonne di terreno trattato con gettiniezione, lunghe 14 m, sovrapposte longitudinalmente per circa 3 m ed armate con tubi metallici x Scavo a mezza sezione e posizionamento della mezza centina x Fondazione delle centine su tre colonne di gettiniezione per ogni metro, di cui una non armata, lunghe 4m x Getto delle murette di collegamento fra le colonne e le centine x Scavo dello strozzo e dei piedritti x Scavo e getto dell’arco rovescio. L’ultima versione del progetto esecutivo prevedeva, invece, le seguenti fasi di lavoro: x Consolidamento del fronte di scavo mediante apposizione di rete elettrosaldata, strato di spritz-beton di 15 cm e colonne di jet-grouting del diametro 600, di lunghezza di 5 ml x Prima fase di consolidamento dell’intera sezione del cavo della galleria mediante 25 iniezioni armate, con utilizzo di silicati e microcemento, della lunghezza di 28 ml x Realizzazione di colonne di jet-grouting di diametro 1000 di lunghezza di 20 ml alla base del cavo, quale futuro appoggio del piede delle centine di armature della sezione della galleria x Realizzazione di 12 colonne di jet-grouting di diametro 1000 con inclinazione variabile di lunghezza 3 ml poste al di sotto delle precedenti colonne x Seconda fase di consolidamento dell’intera sezione del cavo della galleria, al di sotto del precedente consolidamento, mediante 50 colonne di jet-grouting di diametro 600, interasse 45 cm, lunghezza 13m ed inclinazione di 9°, armate con tubi di acciaio

Figura 1. Configurazione di progetto e configurazione realizzata

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x dopo aver consolidato nel modo innanzi descritto l’intera sezione del cavo, si procede alla fase di scavo della galleria avanzando per tratti di un metro ed opponendo contestualmente centine costituite da coppie di NP160 con interasse 1,12 m, rete elettrosaldata con successivo spritz-beton di spessore medio 20 cm x Fase di impermeabilizzazione del cavo della galleria mediante telo in P.V.C. e realizzazione del drenaggio x Costruzione della muretta di collegamento tra rivestimento ed arco rovescio x realizzazione del rivestimento definitivo mediante getto di calcestruzzo di spessore medio di 80 cm x realizzazione dell’arco rovescio. La tecnica adottata per l’opera in esame prevedeva, cioè, lo scavo della galleria per campi di avanzamento di lunghezza pari a 10 m, prima di eseguire il quale venivano effettuati gli interventi di pre-consolidamento del terreno (iniezioni di miscele e colonne di jet-grouting).

Figura 2. Sezione longitudinale

Il rivestimento definitivo veniva realizzato per campi di lunghezza di 6m, eseguendo, in tempi diversi, la calotta e l’arco rovescio. I principali dissesti verificatisi nel corso dei lavori sono documentati dal Giornale dei Lavori, in cui questi vengono descritti come voragini, fornelli, lesioni, franamenti, cedimenti, con danni a sottoservizi e ad edifici. In seguito ad essi, piuttosto che provvedimenti preventivi, si ponevano in atto interventi di risanamento, indicati come tamponi, riempimenti di conglomerato cementizio, solettoni, aggottamenti dell’acqua che si infiltrava in galleria, arginature ed altro. Alcune variazioni nel corso della realizzazione dell’opera si resero necessarie per problemi tecnico-operativi. 2.2. Le indagini geologiche Si effettuarono, negli anni precedenti, alla realizzazione dell’opera due campagne di indagini atte a valutare la resistenza dei terreni interessati dallo scavo nonché per ricostruire il profilo stratigrafico del luogo. Le indagini effettuate furono: x sondaggi a carotaggio continuo fino a profondità di trenta metri x prove penetrometriche Standard Penetration Test (SPT) x profili penetrometrici statici Cone Penetration Test (CPT). Dall’elaborazione dei dati ottenuti si riscontrò che il sottosuolo era costituito da un potente ammasso di prodotti piroclastici sciolti, poggiati quasi sempre su un substrato tufaceo.

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Al di sotto di un sottile strato di terreno di riporto, si rinvenne un’alternanza di pozzolane con granulometria prevalentemente limosa, pomici in sottili livelli e strati humificati (paleosuoli). Questo complesso, di colore grigio tendente al bruno nei paleosuoli, si estendeva fino ad una profondità di dieci-dodici metri. Al di sotto e fino alla massima profondità esplorata, di circa trenta-cinquanta metri dal piano campagna, vi era un deposito di pozzolana di colore grigio-verdastro, con granulometria limosa e talvolta ghiaiosa. Da indagini effettuate dall’ ARIN si registra anche ad una profondità di circa quaranta metri la presenza di tufo grigio campano. Inoltre basandosi sui risultati ottenuti dalle numerose prove penetrometriche si era risontrato che i terreni compresi tra il piano campagna ed una profondità di dodici metri che, praticamente, comprende tutta la copertura della galleria, fossero scadenti. Si è riscontrata quindi la presenza di due strati di terreno caratterizzati da resistenze diverse: x Angoli di attrito non superiori di 30° e coesione nulla per profondità di 10-12 metri dal piano campagna, x Angoli di attrito di 35° e coesione nulla fino a profondità di 30 metri dal piano campagna. 2.3. Gli interventi di consolidamento E’ ben noto che l’avanzamento della galleria in materiali incoerenti, quali i depositi in questione, presenta notevoli difficoltà connesse per lo più al meccanismo con cui un terreno dotato di solo attrito può raggiungere la stabilità. La decompressione del terreno, il conseguente decadimento delle caratteristiche meccaniche ed il successivo distacco gravitativo, possono essere evitati se si interviene preventivamente sul terreno con adeguati interventi di consolidamento. Si decise quindi di creare una fascia di terreno al contorno del cavo con migliori caratteristiche meccaniche, capaci di esercitare un’azione di contenimento tale da impedire gli allentamenti a breve e lungo termine e permettere così di procedere nelle successive fasi di scavo sotto la garanzia di un effetto arco già operativo e non in via di formazione. All’atto pratico la realizzazione degli interventi di preconsolidamento era prevista mediante la tecnica del jet-grouting. Per quanto riguarda le ipotesi di carico il Progettista verificò nel lungo termine l’adeguatezza del rivestimento previsto per questa sezione prendendo in esame la condizione di carico corrispondente ai valori massimi di copertura che si hanno nel tratto in esame. Le pressioni agenti sui manufatti di rivestimento sono state valutate attraverso la teoria di Terzaghi per terreni privi di coesione. Per il terreno, considerato omogeneo, erano stati assunti i seguenti valori: Peso specifico = 1,5 t/m3 Angolo di attrito = 35° Coesione c=0 Per la caratterizzazione del terreno il progettista utilizzava valori dei parametri rappresentativi del comportamento del terreno uguali a quelli del solo secondo strato, assumendo quindi, a svantaggio di sicurezza, uno schema di sottosuolo omogeneo caratterizzato da un valore dell’angolo di attrito pari al massimo dei valori su indicati. Per quanto riguarda il modello strutturale successivamente sviluppato, si è effettuato il calcolo delle deformazioni e delle sollecitazioni per via numerica attraverso un algoritmo che sfrutta il metodo delle deformazioni.

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Per il rivestimento della galleria allo scopo di tenere conto del rivestimento di prima fase costituito dal terreno consolidato e dallo spritz-beton e di quello definitivo in calcestruzzo, si è generata una struttura composta da due archi concentrici collegati da bielle infinitamente rigide. In tal modo si è voluto simulare il fatto che tra il preanello e l’anello esterno non si scambiano sforzi di taglio a causa della presenza del manto di impermeabilizzazione. L’interazione terreno-struttura è stata simulata attraverso elementi elastici fittizi la cui rigidezza è stata calcolata in modo tale da dare, se compressi, cedimenti paragonabili a quelli che darebbe il terreno circostante. Per il terreno si è considerato a tale scopo, un modulo di reazione variabile con la profondità. Nell’analisi dei risultati dei calcoli, si è constatato che l’anello esterno di rivestimento, costituito da terreno consolidato e spritz-beton, collabora con l’anello costituente il rivestimento definitivo ed assorbe una notevole parte delle sollecitazioni totali. Nei calcoli l’interazione terreno-struttura viene considerata in tutti i nodi che collegano la successione di aste che schematizzano il rivestimento. I risultati di calcolo forniscono i seguenti valori massimi di sollecitazione sulla calotta pari a 10,7 kg/cm2, avendo assunto per calcestruzzo e spritz-beton amm=85 kg/cm2 e per il calcestruzzo non armato una amm=60 kg/cm2 Si osserva ancora che gli spostamenti indotti in superficie, se uniformi, avrebbero indotto solo modeste conseguenze alle costruzioni in quanto ciò che conta sono i cedimenti differenziali che si traducono in distorsioni impresse al piano di posa delle fondazioni degli edifici. Una volta costruite tali curve è necessario un giudizio sull’ammissibilità di spostamenti e distorsioni in relazione alle caratteristiche dei manufatti sottopassati dalla galleria. La relazione di calcolo non si sofferma sul problema della stabilità del fronte di scavo, che in terreni sciolti non coesivi assume particolare importanza. In definitiva dalla consultazione degli atti di progetto risulta che sotto vari aspetti le norme e le corrispondenti istituzioni geotecniche non sono state osservate. 2.4. Cedimenti osservati durante la costruzione Durante l’esecuzione della galleria venivano eseguiti, con regolarità, rilievi topografici di superficie per la misura degli spostamenti nei dintorni della progressiva di scavo. Trattandosi di una galleria superficiale le deformazioni indotte dallo scavo si risentivano sino al piano campagna. Nel corso dei lavori la Concessionaria ha effettuato misurazioni dei cedimenti lungo l’asse della galleria e lungo i bordi sinistro e destro. Elaborando, rispetto ad un unico riferimento del suolo, i cedimenti verificatisi lungo la galleria di Miano, ed analizzando i risultati si è potuto notare che, con il primo sistema di costruzione adottato i valori erano mediamente dell’ordine dei 6-7 cm ( con punte anche di 17 cm), mentre con la variante costruttiva, questi assunsero valori più uniformi con massimi non superiori ai 4 cm. Sui bordi i cedimenti erano quasi la metà di quelli misurati in asse. Tali deformazioni del suolo, perfettamente prevedibili in sede progettuale, davano luogo a spostamenti relativi incompatibili con l’integrità degli edifici adiacenti al tracciato della galleria. Essi infatti superavano, mediamente, i valori corrispondenti allo stato limite di esercizio dei manufatti e parimenti superavano di molte volte i cedimenti calcolati. Fin dall’inizio dello scavo della galleria le deformazioni indotte in superficie assunsero valori tali da produrre dissesti che si sono manifestati nel suolo come lesioni, cedimenti della superficie topografica, franamenti e rilasci del fronte di scavo, ma, anche talvolta voragini che raggiunto notevoli estensioni. Dall’analisi dei rilievi di monitoraggio fatti eseguire con frequenza dalla Direzione dei Lavori risulta che si sono verificati abbassamenti al piano campagna da un minimo di 1,8 cm

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fino ad un massimo di 17 cm senza che peraltro si sia verificato alcun fenomeno di rilievo né nelle opere realizzate in galleria né sui fabbricati adiacenti fino ad una distanza di 2 ml circa. I dissesti sono stati constatati in varie occasioni dall’Impresa e dal Direttore dei Lavori che spesso sono intervenuti evidenziando stati di pericolo per la pubblica incolumità. La strategia adottata per fronteggiare i fenomeni consisteva nel prendere atto dei danni, tamponare le voragini, aggottare l’acqua in galleria e rimuovere il materiale franato con la convinzione che il quadro fessurativo non sia preoccupante.

IMPRONTA EDIFICIO CEDIMENTO MISURATO SUI PIEDRITTI

ASSE GALLERIA

2.5 cm 3.5 cm

CEDIMENTO TOTALE MASSIMO CALCOLATO 4.1 cm

CEDIMENTO MISURATO IN ASSE

Figura 3. Deformata del modello di calcolo e cedimenti sulla superficie topografica

2.5. Impianti nelle prossimità del manufatto Dagli accertamenti eseguiti nel corso delle operazioni peritali è emerso che, nella zona interessata dal disastro, erano presenti i seguenti manufatti fognari: Un collettore a sezione rettangolare in calcestruzzo 200x140 cm Un condotto fognario di tipo misto a sezione ovoidale 80x120 cm Vari condotti secondari confluenti, in corrispondenza del quadrivio di Secondigliano, nel collettore rettangolare. Il collettore fognario ha caratteristiche che lo rendono particolarmente vulnerabile alle sollecitazioni derivanti dal traffico stradale e dai cedimenti e movimenti del terreno. Dagli accertamenti eseguiti nel corso delle operazioni peritali è emerso che, nella zona interessata dal disastro, erano presenti le seguenti condotte dell’acqua potabile: Un tubo in acciaio DN 300 mm, ricoperta da una guaina bituminosa Un tubo in acciaio DN 100 mm. Oltre a queste sono presenti una serie di condotte in acciaio e ghisa di diverso diametro realizzate sia dall’A.R.I.N. che dalla CONSECOR Per ciò che attiene la posizione altimetrica degli impianti, in generale le condotte dell’ A.R.I.N. sono posate ad una profondità tale da garantire un ricoprimento di almeno 1,00 m rispetto alla generatrice superiore del tubo. Dagli accertamenti eseguiti nel corso delle operazioni peritali è emerso che, nella zona interessata dal disastro, erano presenti le seguenti condotte del gas: Una tubazione in acciaio DN 200 mm di media pressione (5 bar) rivestita da una guaina in materiale bituminoso e da una protezione in lamiera ondulata di plastica ricoperta da un massetto in conglomerato cementizio magro. Una tubazione in acciaio DN 150 mm di bassa pressione (0,024 bar) rivestita da una guaina in materiale bituminoso. Sono stati rilevati, nel corso delle operazioni peritali, anche vari cavi per l’erogazione dell’energia elettrica e telefonici posati in epoche diverse.

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3. IPOTESI DEL CROLLO Nel presente paragrafo si propone una sintetica rassegna di ipotetici scenari concettualmente possibili che sono configurati come catene di fenomeni ai quali si può far risalire una successione di eventi che potrebbero avere determinato la sciagura.

Figura 4. Impianti esistenti - voragine e crollo dell’edificio

Figura 5. Imbocco della galleria – dettagli centine

3.1. Prima ipotesi Il primo scenario è il più probabile e plausibile, perché maggiormente supportato da evidenze e circostanze accertate. Si avverte, comunque, che anche negli altri scenari prospettati i lavori di costruzione della galleria sono stati, in ogni caso, la causa iniziale della sciagura. Dopo i tipici segni premonitori (caduta di terriccio, distacco di conglomerato proiettato, spostamento delle centine), in corrispondenza dei tre campi crollati, si è verificato il collasso del rivestimento provvisorio con un meccanismo nel terreno che si è esteso fino alla superficie topografica. Tale fenomeno si è innescato per deficienze, e più precisamente per insufficiente sicurezza nel sistema strutturale di preconsolidamento e del prerivestimento in presenza anche del sovraccarico non simmetrico del sovrastante edificio, al quale il crollo si è esteso.La rottura del terreno non ha interessato il fronte di scavo, che è rimasto integro, ma, ha coinvolto le sovrastanti tubazioni del gas, dell’acqua ed anche il manufatto fognario, che sono stati tranciati. Alla fuga di gas, che si è fatto rapidamente strada nei vuoti delle macerie in seno ad un ammasso rimaneggiato e discontinuo, hanno fatto seguito l’esplosione e l’incendio. Tale scenario trova riscontro in tutti gli accertamenti e particolarmente nei difetti progettuali ed esecutivi riscontrati.

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3.2. Seconda ipotesi Una prima variante, che non modifica nella sostanza lo scenario precedente, potrebbe essere descritta dalla seguente successione di eventi. Le deformazioni, che certamente interessarono il sovrastante manufatto fognario in avanzamento rispetto alla progressiva del fronte di scavo della galleria, potrebbero aver contribuito a disarticolarne i tronchi, originariamente solo accostati. Avrebbe avuto inizio così un processo di filtrazione diretto dall’alto verso il basso, che avrebbe progressivamente imbibito il banco di pozzolana compreso tra la fognatura e la calotta della galleria. Per effetto dell’imbibizione si potrebbero essere create nella pozzolana le condizioni favorevoli al collasso del terreno, che si manifesta con un’improvvisa diminuzione della porosità ovvero con un brusco incremento di cedimento a seguito di saturazione. Il fenomeno del collasso è ben documentato da prove di compressione edometrica su alcuni campioni intatti della pozzolana in esame. Le deformazioni dovute al collasso potrebbero aver interessato anche le tubazioni del gas, alle quali potrebbero essere state impresse deformazioni maggiori di quelle prospettate nello scenario precedente. In questa ipotetica ricostruzione della catena di eventi, lo scavo potrebbe aver sottopassato le tubazioni del gas, dopo che queste erano già state interessate dalle deformazioni dovute al collasso avvenuto per effetto della precedente saturazione del terreno. L’ulteriore azione dello scavo avrebbe determinato, comunque, il collasso del prerivestimento e la conseguente rottura delle tubazioni, la fuoriuscita del gas, etc con le conseguenze del precedente scenario. Anche tale variante è congruente con le testimonianze, con le constatazioni sul manufatto fognario, e con le caratteristiche del terreno confermate dalle evidenze sperimentali in laboratorio. L’effetto finale, sebbene più articolato, non differisce dai precedenti. 3.3. Terza ipotesi Le deformazioni differenziali impresse dallo scavo al terreno potrebbero essersi trasmesse all’edificio, predisponendolo al crollo. Quest’ultimo potrebbe avere esercitato sul terreno un’azione dinamica, provocando nel terreno medesimo un meccanismo per sprofondamento del prerivestimento della galleria; ne sarebbe seguita anche la rottura delle tubazioni del gas, l’esplosione o l’incendio. Tale ipotesi è però inficiata dalla constatazione che i cedimenti massimi dell’ordine di 3 cm verificatisi nella zona in quei giorni non avrebbero potuto determinare il crollo dell’edificio, né questo avrebbe potuto provocare lo sfondamento della galleria. 3.4. Quarta ipotesi Nella quarta ipotesi si fa riferimento ad alcui elementi di seguito elencati: Presenza di metano in serbatoi ubicati nel terreno sopra la galleria, in corrispondenza della zona del crollo. Formazione di un’apertura di collegamento tra serbatoi e galleria con passaggio del metano dai primi alla seconda Formazione di una miscela metano-aria nei limiti di infiammabilità Deflagrazione nella galleria verso Secondigliano e detonazione nella zona tra il fronte di scavo e il cassero Crollo della galleria e dell’edificio in superficie L’ipotesi che la causa del crollo della galleria sia stata l’esplosione del metano affluito nella stessa da una o più sacche accumulatesi nel terreno sovrastante la galleria nella zona compresa tra il cassero ed il fronte di scavo non trova riscontri a favore di questa tesi. Per

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quanto riguarda i fatti, precise testimonianze indicano che il crollo è avvenuto prima dell’esplosione e nessun elemento suffraga la tesi opposta. I calcoli sono basati su ipotesi arbitrarie che non trovano attendibile riscontro negli elementi disponibili. Una variante introdotta è quella che il gas abbia invaso, qualche ora prima dell’incidente, il condotto fognario principale e da qui i collettori ed i rami secondari, all’interno dei quali si sarebbero determinate le condizioni di accensione ad opera di eventi accidentali esterni, accensione che si sarebbe propagata agli strati più profondi sovrastanti la galleria. Si tratta di un’ipotesi che, oltre a non essere supportata da nessun elemento, contrasta con le testimonianze ed anche con il fatto che lungo la fognatura, nella zona non coinvolta dal crollo, non sono stati trovati segni dell’esplosione del metano che avrebbe invaso la stessa. Fermo restando che l’origine del disastro è riferibile al crollo della galleria dovuto al collasso delle opere di preconsolidamento e di rivestimento provvisorio della stessa, si possono ipotizzare per tale collasso due differenti modalità.

4. CONCLUSIONI Una visione complessiva dei luoghi lascia presupporre che il fenomeno possa avere avuto origine in uno dei due modi seguenti. Proprio in prossimità delle centine dell’ultimo campo potrebbero essersi verificati meccanismi combinati di: • plasticizzazione delle colonne di fondazione (in corrispondenza degli appoggi delle centine), • rottura del terreno privo di trattamento (nella zona priva di jet-grouting tra le colonne di fondazione e l’inizio della coronella), • collasso del rivestimento provvisorio (da poco posto in opera) e della coronella (nella zona non compenetrata e non armata), • effetto asimmetrico delle fondazioni dell’edificio e particolarmente del muro di facciata. Vi è peraltro, da considerare che trovandosi il rivestimento definitivo della calotta ad una distanza di circa 47 m dal fronte di scavo, nella zona crollata l’intero carico del terreno e dei manufatti sovrastanti gravava sulle centine, mentre il rivestimento definitivo in calcestruzzo, essendo troppo arretrato, non poteva integrare quello provvisorio. In alternativa, la circostanza che dei 48 appoggi delle centine pochi sono rimasti in sito, potrebbe far pensare che il crollo sia avvenuto per un meccanismo globale di rottura delle colonne di fondazione così come, peraltro, confermato dai modelli di calcolo analizzati: l’elemento più debole è sempre risultato l’appoggio delle centine per cui una cattiva esecuzione delle fondazioni e dei vincoli avrebbe determinato il collasso del rivestimento provvisorio. Il cedimento al piede potrebbe essere stato provocato dall’effetto combinato dei carichi verticali e delle spinte orizzontali, e potrebbe essere stato favorito dalla discontinuità alla base della coronella, dalle labilità esistenti alla base delle centine, dalle eccentricità degli appoggi su di una fondazione troppo stretta, dalla ridotta resistenza del jet-grouting (dovuta anche alle numerose cavità interne riscontrate). Tale ipotesi troverebbe conferma anche nella uniforme traslazione che sembrano aver subito i terreni di ricoprimento del manufatto ed il muro perimetrale dell’edificio in corrispondenza del terzo campo. Ulteriore riscontro potrebbe essere fornito dall’orditura osservata nella giacitura dei tronchi di jet-grouting e, globalmente, delle centine.

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Nella fase di mobilitazione globale di più centine, indotta dal cinematismo conseguente allo scivolamento degli appoggi ed al punzonamento del terreno, l’asimmetria e la concentrazione dei carichi dovuta alla presenza del fabbricato potrebbero aver determinato, in fase dinamica, le asimmetrie di comportamento che è possibile leggere nelle deformate delle singole centine, purchè depurate dai fenomeni locali. L’ipotesi maggiormente attendibile è, dunque, quella che il collasso del rivestimento provvisorio o del prerivestimento, che possedevano margini di sicurezza ridottissimi, sia iniziato con il collasso dell’appoggio e delle fondazioni delle centine. Per quanto attiene le responsabilità, ad esito delle indagini tecniche condotte, è possibile concludere che il disastro del 23 gennaio del 1996 fu determinato da numerosi errori e potè verificarsi, anche, per la concomitanza di molteplici omissioni. In estrema sintesi, entrambi tali categorie di fattori possono essere così riassunte: • Carenze di progettazione, dovute principalmente ad errori di valutazione delle caratteristiche geotecniche e di modellazione, oltre che ad insufficienza di verifiche e di elaborati progettuali • Carenze di esecuzione, dovute principalmente a difetti delle opere di preconsolidamento dei terreni (realizzate anche in difformità dal progetto) e di rivestimento provvisorio; ritardi nell’esecuzione del rivestimento definitivo rispetto all’avanzamento della galleria • Carenze di controlli da parte del Direttore dei Lavori e del Collaudatore statico, che non rilevarono gli errori di progettazione e non esercitarono un adeguato controllo dell’esecuzione dei lavori. Pur non essendo il disastro verificatosi per effetto dei cedimento del terreno provocati dai lavori di costruzione della galleria, si ritiene necessario sottolineare che i ripetuti e gravi dissesti che si erano verificati nel corso dei lavori in conseguenza dei cedimenti medesimi, avrebbero richiesto un fattivo intervento di vari soggetti. Si sarebbe dovuta imporre la sospensione dei lavori sino a quando non vi fosse stata certezza, sulla base di studi e pareri di esperti nello specifico campo della geotecnica, delle strutture e della costruzione delle gallerie, di aver individuato la causa dei maggiori cedimenti verificatisi rispetto a quelli di progetto e provvedimento da adottare per evitare il ripetersi dei dissesti. In particolare, si sarebbe dovuto verificare che le varianti al progetto originario, fossero efficaci. Non sembra che a tale certezza si potesse pervenire solo in base alla consulenza di vulcanologi o alle dichiarazioni di professionisti, la cui opera era proprio oggetto di verifica. I diversi soggetti avrebbero dovuto acuire l’attenzione, non solo perché i dissesti si ripetevano con sconcertante frequenza, ma anche perché la zona del quadrivio di Secondigliano presentava caratteristiche anomale di particolare pericolosità, attesa la sovrapposizione e l’intersezione di attraversamenti e nodi dei sottoservizi, traffico pesante, precedenti collassi del fronte di scavo della zona, lesioni in evoluzione su edifici particolarmente vulnerabili. Alla luce delle indagini ed analisi condotte, non sono state rilevate manchevolezze o difetti nelle condotte di distribuzione dell’acqua potabile e del gas metano, che possono avere determinato il disastro anche se le saldature circonferenziali di giunzione tra gli spezzoni di tubo esaminati presentavano difetti. La tubazione dell’acqua ha mostrato una riduzione dello spessore per corrosione che può ritenersi normale e, non tale da compromettere la resistenza in relazione alla pressione nominale rispetto alla quale è stato effettuato il collaudo idraulico. Le condotte del gas hanno mostrato spessori entro le tolleranze. La ritardata interruzione dell’alimentazione delle tubazioni di metano coinvolte nel disastro ha determinato un anomalo prolungamento dell’incendio nella voragine.

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Per quanto riguarda i collettori fognari non vi è dubbio che, a causa delle loro caratteristiche costruttive, infiltrazioni di liquami si siano potute verificare attraverso le sezioni di giunzione. Va ricordato, però, che proprio i cedimenti differenziali indotte dall’avanzamento dello scavo potrebbero aver determinato maggiori vie d’acqua attraverso i giunti di costruzione esistenti tra i diversi tronchi o attraverso lesioni nel corpo del manufatto. Attese le notevoli portate di liquidi trasportati, le infiltrazioni potrebbero aver imbibito il terreno, perlomeno nella zona circostante la fogna, riducendone la coesione. Va detto, però, non solo che le eventuali perdite non avrebbero potuto da sole determinare il disastro, ma anche che chi progettava e realizzava una galleria superficiale come quella in oggetto, avrebbe dovuto tenere conto delle interferenze dello scavo con la rete dei sottoservizi esistenti ed in particolare con i collettori fognari, verificandone lo stato e le condizioni di manutenzione. Perdite di acque dal collettore principale o dai fognoli (come quella rilevata pochi giorni prima del disastro, il 28 novembre del 1995 in uno dei cantinati dell’edificio) potrebbero essere stati conseguenza di cattiva manutenzione o determinati dai cedimenti indotti dallo scavo della galleria ma, in ogni caso andrebbero considerati solo fattori aggravanti dei risultati di un lavoro progettato ed eseguito ai limiti della sicurezza. A conferma delle conclusioni raggiunte sulle cause del disastro, attraverso le analisi operate sulla base degli elementi noti, sussiste anche la testimonianza di due superstiti, tra gli operai impegnati nei lavori in galleria. Il fatto che essi abbiano avuto il tempo di osservare il disastro e di scappare, mettendosi in salvo, dimostra incontrovertibilmente che il crollo avvenne molto prima dell’esplosione, e quindi a fugare qualsiasi dubbio su dinamiche alternative. Il disastro verificatosi il 23 gennaio del 1996, sebbene incomparabilmente più grave, rientra nel quadro dei fenomeni di dissesto accaduti durante l’intera costruzione della galleria di collegamento tra la rotonda di Arzano e lo svincolo di Miano della “Bretella di raccordo fra la circumvallazione esterna di Napoli, l’asse mediano e l’asse di supporto A.S.I.”. I dissesti sono consistiti in continui cedimenti del piano stradale, lesioni agli edifici, fornelli in galleria e franamenti del fronte di scavo. Alcuni di essi costituivano pericolo temporaneo per la pubblica e privata incolumità. Tutti i dissesti costituivano indizi premonitori del disastro ed è perciò che sarebbe stato opportuno adottare le necessarie cautele.

BIBLIOGRAFIA [1] Bellucci F. (1994) Nuovo conoscenze stratigrafiche sui depositi vulcanici del sottosuolo del settore meridionale della Piana Campana, Boll. Soc. Geol. n. 113 [2] Bellucci F. (1998) Nuovo conoscenze stratigrafiche sui depositi effusivi ed esplosivi del sottosuolo dell’area del Somma Vesuvio, Boll. Soc. Geol. n. 117 [3] Augenti N., Foraboschi F., Jappelli R. (1996), Consulenza tecnica dei periti al disastro verificatosi il 23.01.1996 in Secondigliano

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA’ DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

ANALISI DELLE CAUSE DI CROLLO E CEDIMENTO STRUTTURALE DELLE STRUTTURE IN CALCESTRUZZO ARMATO E. MUNERATTI1, N. AUGENTI2, E. SIVIERO3 1

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Dip. di Costruzione dell'Architettura, Università IUAV di Venezia Dip. di Analisi e Progettazione Strutturale, Università degli Studi di Napoli Federico II 3 Dip. di Costruzione dell'Architettura, Università IUAV di Venezia

SOMMARIO La memoria propone i risultati di una ricerca svolta nell’ambito dei cedimenti e dei crolli di strutture in calcestruzzo armato, dovuti ad errore umano. Vengono, quindi, illustrate le categorie causali di una serie di 120 episodi di collasso strutturale, manifestatisi approssimativamente durante il primo secolo di utilizzo del materiale, evidenziando, per contrasto, quegli aspetti della progettazione strutturale che sembrano meritare maggiore attenzione da parte dei tecnici. Le conclusioni relative al complesso delle informazioni raccolte rappresentano sia un'occasione di apprendimento utile per il futuro, sia una possibile interpretazione della storia del calcestruzzo armato attraverso un aspetto spesso trascurato, quello dei i crolli, che negli ultimi anni ha più volte destato l’attenzione della comunità scientifica interessata a problemi di carattere strutturale e costruttivo. I risultati vengono confrontati con quelli ottenuti da altre ricerche in materia trovando conferma sulla predominanza dell’errore progettuale nel verificarsi degli eventi. ABSTRACT This paper shows the results of a research based on failures and structural accidents in reinforced concrete structures caused by human errors. Hence, the paper considers the causes of 120 failures that have happened approximately in the first century of the life of the composite material showing, by contrast, those aspects of structural design practice that seem to deserve a special attention. Conclusions are, in the same time, an occasion of “learning from failures” useful for future design activities and a possible opportunity of interpretation of the history of reinforced concrete material to be obtained through the characteristics of failures that have been often neglected even if, in the last years, they have attracted the attention of the scientific community interested in structures and constructions. The results are compared with the results emerging from other researches. By this way, this study finds the confirmation of the predominance of conceptual design errors in generating failures.

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1. L’ACQUISIZIONE DEI DATI E LA LORO VALUTAZIONE Il tema dei crolli e dei cedimenti strutturali si apre ad una casistica estremamente vasta di episodi su cui, purtroppo, non si hanno sempre buone informazioni. Come già rilevato da molti studiosi [1] [2], l’acquisizione dei dati trova ostacoli, talvolta insormontabili, nella reticenza del settore delle costruzioni e nella difficoltà di accedere alle perizie tecniche che vengono redatte successivamente agli eventi. Le indagini giudiziarie richiedono tempi e metodi di sviluppo piuttosto lunghi e, trascorso un primo periodo di particolare attenzione, l’episodio viene generalmente dimenticato dall’opinione pubblica o passato in un secondo piano. Deve essere sottolineato, quindi, che lo studio effettuato non vuole e non può avere la presunzione di avere catalogato tutti i crolli che hanno avuto come oggetto le strutture in calcestruzzo. Sicuramente, anche nel periodo di studio considerato, che va dalle prime applicazioni del materiale alla metà del XX secolo, altri crolli ed altri incidenti hanno colpito l'industria delle costruzioni in calcestruzzo; forse, però, la gravità delle loro conseguenze non fu tale da meritare l'attenzione della stampa o della letteratura tecnica o, probabilmente, tali fatti furono addirittura volutamente taciuti per i motivi già visti, sebbene essi avrebbero costituito ottime occasioni di apprendimento e di ricerca. Variando dalle strutture produttive a quelle abitative, dalle dighe ai silos agli edifici per uffici, e considerando un periodo corrispondente al primo secolo della storia del materiale, questa ricerca ha affrontato il tema dei collassi strutturali riferendolo ad un campione strutturalmente rappresentativo delle tante applicazioni a cui il calcestruzzo armato si è prestato nel corso della sua storia. Gli episodi considerati sono stati oggetto di una opportuna valutazione statistica che si è resa possibile attraverso un’operazione di codifica dei fatti ed una loro indispensabile compressione in categorie causali omogenee che ha necessariamente sacrificato l’identità e la peculiarità del singolo episodio, pur confermando l’importanza degli insegnamenti da esso derivabili e delle sue conseguenze sul piano tecnico ed economico. Solo in questo modo, il complesso delle informazioni raccolte consente una possibile interpretazione della storia del calcestruzzo armato, o almeno di un suo aspetto spesso trascurato: i crolli. I dati derivati dallo studio condotto su una casistica di centoventi casi di crollo e di cedimento strutturale vengono di seguito illustrati attraverso grafici e spiegazioni ai quali non si intende affidare un carattere di definitivo o statutario. Se, come innegabile, ogni scienza progredisce nel suo corso e nei suoi approfondimenti [3], parrebbe opportuno valutare i casi considerati alla luce di più approfondite analisi, ove possibile, e con il supporto di bibliografia e informazioni sempre più accurate, per consentire nuove interpretazioni funzionali ad un uso didattico degli eventi. Si deve tenere conto, infine, del fatto che in alcuni casi la codifica degli eventi non può raggiungere il valore di indagine statistica, almeno nel senso che comunemente con questi termini si vuole indicare, ovvero la lettura e l'interpretazione di una situazione globale reale attraverso il riferimento ai dati rilevati. Ad esempio, il numero delle persone che rimasero ferite o persero la vita nel crollo di strutture in calcestruzzo armato, nei vari anni e nei vari episodi considerati, non può essere certamente considerato come un elemento di valutazione certo perché i dati relativi alle perdite umane non vengono sempre esplicitati dalle fonti di informazione a cui si è fatto ricorso. Ciò non significa che i casi di crollo registrati non abbiano necessariamente comportato perdite umane, ma significa, piuttosto, che il riferimento a tale aspetto (che si potrebbe definire "indotto") non presenta particolare interesse per gli estensori dei rapporti tecnici successivi al crollo, sebbene la sicurezza delle persone rimanga il fondamento dello statuto epistemologico dell'architettura e dell'ingegneria.

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2. L’ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI E GLI INSEGNAMENTI CONSEGUIBILI Diversamente da quanto illustrato per alcuni aspetti della ricerca nel paragrafo precedente, una maggiore affidabilità dei risultati può essere attribuita all'indagine statistica relativa alle cause dei crolli. I risultati che sono proposti dal grafico relativo alle percentuali di incidenza delle cause di errore nei casi registrati, infatti, trovano conferma negli studi condotti da altri studiosi sulle cause dei crolli delle strutture in calcestruzzo armato verificatisi in un periodo coincidente con quello considerato da questa ricerca. Il crollo dovuto ad errore umano è sempre, per quanto riguarda la peculiarità delle sue cause, di difficile interpretazione. Tale difficoltà consiste anche nella dipendenza dei risultati analitici ottenuti dalla disponibilità, sia qualitativa che quantitativa, di informazione di cui gli studiosi hanno potuto usufruire. E' probabile, cioè, che l'incidenza percentuale di una determinata causa su un gruppo di eventi sia maggiore o minore relativamente al numero degli eventi analizzati, alla probabilità che essi siano stati casualmente determinati dagli stessi fattori, alla capacità di un ricercatore di distinguere una causa dall'altra con sufficiente chiarezza e quindi di assegnare ad una categoria causale piuttosto che ad un'altra le cause dell'evento. Se l'evento studiato si è verificato in un tempo molto lontano e non esiste altro modo di documentarsi su esso se non attraverso strumenti bibliografici poco obbiettivi, l'interpretazione dei fatti diviene più complicata. Così, ad esempio, distinguere un caso di crollo dovuto all'ignoranza delle caratteristiche del materiale impiegato da un caso determinato dalla negligenza diviene cosa molto difficile, se la stampa e la letteratura tecnica riportano notizie brevi e incomplete. I confini tra le due categorie causali, infatti, risultano estremamente difficili da definire. Nelle figure che seguono (Figure 1a e 1b), vengono evidenziati il numero degli edifici coinvolti in crolli e cedimenti strutturali, la loro destinazione e la percentuale di incidenza della relativa categoria d’uso sul complesso degli edifici analizzati.. Come pare evidente, la maggiore percentuale (33%) è ottenibile attraverso la somma delle percentuali relative agli edifici destinati ad usi commerciali e produttivi, mentre la seconda percentuale per ordine di grandezza (20%) è attribuita alla destinazione d'uso che comprende le abitazioni private, le strutture alberghiere e gli ospedali. La percentuale del 10% è, invece, attribuibile ai crolli di strutture destinate ad uso pubblico, nella cui categoria sono stati compresi gli edifici come i teatri, le palestre, le scuole e le chiese. E' interessante notare anche la consistenza della percentuale relativa ai silos e ai serbatoi (9%) che rappresentano il tipo di struttura che più si avvale, agli inizi del XX secolo, di uno stile progettuale nuovo, essendo l'espressione formale e funzionale di un'esigenza dell'industria moderna [4]. E' quindi legittimo concludere, come D. I. Blockley [1], che il ricorso a nuove tipologie strutturali può rappresentare una occasione di errore. Per quanto riguarda le categorie causali a cui sono stati riferiti i casi di studio presi in considerazione, a quanto già detto precedentemente, è opportuno aggiungere che esse sono state volutamente organizzate con dei margini piuttosto ampi e tali da consentire, attraverso la compressione delle più diverse cause aventi all'origine caratteristiche omogenee, il riferimento dei numerosi casi studiati ad un numero ristretto di categorie. Tenendo conto del fatto che ogni crollo o cedimento strutturale è il risultato di una serie di cause concomitanti e sovrapposte, se ogni episodio fosse stato descritto singolarmente o comunque riferito ad un numero ampio di categorie, la lettura statistica dei fatti nella loro totalità sarebbe risultata estremamente difficile perché molto frammentata. La scelta delle categorie causali è stata inspirata alle classificazioni delle cause di crollo degli edifici in cemento armato già proposte

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dall'American Railway Engineering Association [5] e da H. Lossier [6], proposte nelle Figure 2 e 3. 25 20 15 10 5

Non determinato

Edifici generici

Edifici pubblici, teatri, scuole,

Edifici militari

Silos e serbatoi

Edifici produttivi

Ponti e passerelle pedonali Abitazioni, ospedali alberghi Edifici commerciali, uffici

0

Figura 1a. Destinazione d’uso e numero di edifici interessati da crolli o cedimenti

Edifici generici 14% Edifici pubblici, teatri, scuole, musei, chiese 10%

Non determinato 1%

Ponti e passerelle pedonali 10% Abitazioni, ospedali, alberghi 20%

Edifici militari 5% Silos e serbatoi 9%

Edifici commerciali, uffici 18%

Edifici produttivi 15%

Figura 1b. Percentuali relative alle destinazioni d’uso degli edifici oggetto di indagine.

Per questa ricerca, si è preferito tuttavia ampliare il numero delle categorie elencate negli esempi citati, allo scopo di rendere più chiara e leggibile la patologia causale dei casi considerati. Così, per esempio, mentre per l'indagine dell'American Railway Engineering Association la manodopera non specializzata ed i materiali di cattiva qualità rientrano nella medesima categoria causale, in questo studio tali cause sono state assegnate a due categorie distinte: rispettivamente a quella degli errori costruttivi, a cui sono stati riferiti anche quei

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casi determinati da una cattiva esecuzione delle casseforme e delle puntellature, e a quella degli errori nella scelta e nella produzione dei materiali. E mentre per H. Lossier la categoria causale relativa alla concezione difettosa del progetto riassume in se diverse cause di crollo, qui essa è stata scorporata in tre distinte categorie che sono quelle degli errori di calcolo e di progetto, degli errori nella progettazione dei dettagli strutturali e degli errori nella valutazione dei carichi agenti.

1. progettazione inadeguata; 2. materiali di cattiva qualità e manodopera non specializzata; 3. caricamento prematuro o rimozione delle casseforme prima della presa del calcestruzzo; 4. cedimento delle fondazioni.

Figura 2. Classificazione delle cause di crollo di strutture in calcestruzzo armato secondo l'indagine condotta dall'American Railway Engineering Association (1918).

1. concezione difettosa del progetto; 2. cattiva esecuzione delle casseforme e delle centine; 3. cattiva qualità dei materiali e loro difettosa posa in opera.

Fig. 3. Classificazione delle cause di crollo di strutture in calcestruzzo armato secondo H. Dossier (1955).

Nella figura che segue, (Figura 4) vengono quindi proposte le categorie causali adottate per questo studio. Per ognuna di esse, inoltre, vengono illustrate le sottocategorie causali a cui gli eventi possono essere ricondotti, così da consentire una migliore comprensione dei criteri di classificazione adottati per questa ricerca, effettuando l’operazione di compressione nelle categorie causali più ampie di cui si è parlato. Le successive Figure 5a e 5b rappresentano, invece, i grafici relativi al numero di casi di crollo registrati, attribuibili alle diverse categorie causali adottate, e all’'incidenza percentuale delle cause di crollo e cedimento citate sul complesso degli eventi registrati. Quest’ultimo grafico rappresenta una delle conclusioni più importanti che si possono dedurre dal lavoro di catalogazione e di rielaborazione svolto. Contemporaneamente, pur con tutti i limiti elencati in precedenza, esso vuole essere una verifica dei risultati ottenuti da illustri ricercatori circa la preminenza delle cause di origine umana, e più specificatamente progettuali, sui crolli di strutture in calcestruzzo armato. La casistica esaminata, infatti, tende ad evidenziare una chiara influenza della componente umana nel verificarsi degli eventi dimostrando come, dal livello concettuale della progettazione a quello del calcolo e del dimensionamento, dalla preparazione dei materiali all’operatività del cantiere, il fattore umano abbia un peso inequivocabile nel verificarsi di incidenti strutturali.

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CATEGORIE CAUSALI

SOTTOCATEGORIE CAUSALI

Errori di calcolo e di progetto

Evidenti errori di progettazione Trasgressione della normativa Ignoranza del comportamento strutturale Etc.

Errori di progettazione dei dettagli strutturali

Errori nella progettazione delle armature Errori di progetto di dettagli determinanti per il crollo Etc.

Errori costruttivi

Trasgressione delle direttive del progettista Errori in fase di getto del cls Rimozione precoce dei casseri Puntellamento difettoso Manodopera poco specializzata Etc.

Errori nella scelta e nella produzione dei materiali

Errori nella preparazione degli impasti Errori nella scelta dei materiali Mancata protezione dei getti Economia nell'uso dei materiali Insufficiente stagionatura dei getti Etc.

Errori nella valutazione dei carichi agenti

Incomprensione delle forze agenti sulla struttura Errori nella valutazione dei sovraccarichi Etc.

Fig. 4. Categorie causali a cui sono stati riferiti i crolli e i cedimenti analizzati.

Pare opportuno ribadire, tuttavia, che l'interpretazione di un crollo è sempre condizionata dalle conoscenze dello studioso e dalla disponibilità qualitativa e quantitativa delle informazioni. Se si ammette che l'assegnazione di una causa di crollo ad una categoria

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piuttosto che ad un'altra, è viziata da una interpretazione, almeno entro certi limiti, soggettiva, è facile comprendere come i risultati di una rielaborazione statistica dei dati possano differire notevolmente da una indagine all'altra. E se a ciò si aggiunge il fatto che tra una indagine e l'altra spesso esiste anche una divergenza nella individuazione delle categorie causali dei crolli, la diversità dei risultati può divenire ovvia. Altra cosa di cui tener conto è il fatto che relativamente al numero degli eventi analizzati esiste anche la già ricordata possibilità che essi siano stati casualmente determinati dagli stessi fattori, per cui l'alta incidenza di una causa o di un'altra sul complesso degli incidenti esaminati può, ancora una volta, essere viziata. 40 35 30 25 20 15 10 5 0 Errori di calcolo e di progetto

Errori nella progettazione dei dettagli strutturali

Errori costruttivi

Errori nella Errori nella scelta e nella valutazione dei produzione dei carichi agenti materiali

Figura 5a. Cause di crollo o cedimento strutturale e numero di edifici interessati.

Errori nella valutazione dei Errori nella scelta carichi agenti e nella 5% produzione dei materiali 26%

Errori di calcolo e di progetto 32%

Errori nella progettazione dei dettagli strutturali 14%

Errori costruttivi 23%

Fig. 5b. Diagramma delle percentuali di incidenza delle cause di crollo e di cedimento sui casi considerati.

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Ritornando al grafico della Figura 5b, risulta evidente che le cause che maggiormente sembrano determinare i crolli delle strutture in calcestruzzo, sono da ricercarsi negli errori di carattere progettuale. Se si sommano le percentuali relative alle sole categorie degli errori di calcolo e di progetto (32%) e dell'errata progettazione dei dettagli strutturali (14%), si ottiene una percentuale complessiva di incidenza sui fatti accaduti del 46%. Si tenga presente che da questa sommatoria sono state escluse le categorie relative agli errori nella valutazione dei carichi agenti (5%) che si sarebbe pienamente autorizzati ad includere, in quanto rappresentano l'incapacità di prevedere le forze che agiscono sulla struttura, come i sovraccarichi accidentali o di esercizio, quando la si pone in essere. Se queste categorie causali fossero raggruppate in un'unica categoria dedicata genericamente all'errata progettazione, si raggiungerebbe una percentuale di incidenza sulla totalità dei fatti accaduti del 51%. Ciò a testimoniare quale importanza abbia l'errore di tipo concettuale nel determinarsi dei collassi strutturali. Un'altra percentuale significativa che è stata determinata con la rielaborazione statistica dei centoventi casi considerati, è quella da attribuirsi alla categoria causale degli errori nella scelta e nella produzione dei materiali, categoria a cui va ricondotto il 26% degli episodi. A questa categoria si sono riferiti tutti quei casi che sono stati determinati dall'adozione di materiali di cattiva qualità o ricchi di impurità. Alla medesima categoria, si sono riferiti anche i casi di crollo la cui causa principale pare essere stato l'uso di calcestruzzo i cui componenti non sono stati opportunamente dosati. Il problema della cattiva qualità dei materiali è stato affrontato anche dall'indagine condotta dall'American Railway Engineering Association che pone, tuttavia, in due categorie causali diverse la cattiva qualità dei materiali e la rimozione prematura delle casseforme. A tali categorie causali viene attribuito rispettivamente il secondo ed il terzo posto nella scala delle incidenze sui casi di crollo. Per Henry Lossier, invece, l'uso di materiali di cattiva qualità e la loro difettosa posa in opera, si pone solamente all'ultimo posto nella scala delle categorie causali, preceduta dalla cattiva esecuzione delle casseforme e delle centine. Quest'ultimo tipo di errore, nella classificazione delle categorie causali adottata per la valutazione dei casi qui considerati, è riferito alla categoria degli errori costruttivi. Ad essa si sono riferiti anche gli errori derivanti da una manodopera poco specializzata e la percentuale di incidenza di queste cause sui fatti accaduti e catalogati è risultata del 23%. Una percentuale relativamente bassa (5%) è, invece, stata attribuita alla categoria degli errori nella valutazione dei carichi agenti, intendendo con ciò, come già detto, l'incapacità di prevedere le forze che agiscono sulla struttura quando la si pone in essere. La formazione delle categorie causali e delle cause ad esse ascrivibili, potrebbe forse essere oggetto di ulteriori studi che analizzino, categoria per categoria, ogni singola causa e la sua incidenza nella totalità degli eventi. Tale operazione, può solo avere origine da un monitoraggio dei fatti di tale accuratezza e di tale estensione, che pare difficile ad ottenersi sulla base di informazioni che si offrono con i limiti già ricordati. Le percentuali di incidenza delle cause di origine progettuale verificate con il presente studio si avvicinano, inoltre, a quelle derivate nel 1981 da A.C. Walker [7] e che si ripropongono nella Figura 6. Se infatti si sommano le percentuali determinate da Walker e relative alle categorie causali dell'errata valutazione delle condizioni di carico e del comportamento strutturale (43%) e degli errori di progettazione o di calcolo (7%) si raggiunge una percentuale complessiva di incidenza del 50%. Tuttavia, si deve notare che la ricerca condotta da A. C. Walker prende in considerazione anche i crolli dovuti a catastrofi naturali, deterioramento della struttura ed altri, per cui l'ambito di riferimento delle percentuali ottenute è diverso da quello privilegiato per questa ricerca.

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Fig. 6. Cause principali di collasso strutturale individuate da A.C. Walker (1981).

3. IL CEDIMENTO DELLE STRUTTURE ORIZZONTALI E VERTICALI Nello studio condotto, assume particolare importanza anche il risultato ottenuto mediante lo studio dei crolli e dei cedimenti dovuti alla rottura di strutture verticali o orizzontali. Nella Figura 7, si illustrano il numero dei casi di crollo o di cedimento registrati nel periodo preso in considerazione e la categoria causale a cui sono ascrivibili. Inoltre, nelle colonne di destra, la tabella illustra il numero dei collassi di strutture verticali ed orizzontali registrati all'interno delle singole categorie causali di riferimento. Rispettivamente, le percentuali registrate nel numero complessivo dei casi di cedimento di strutture verticali o orizzontali sono del 32% e 68%. La netta predominanza della rottura delle strutture orizzontali induce a facili conclusioni sulla necessità di provvedere a strutture ausiliarie idonee durante le fasi di rimozione delle casseforme e ad una particolare attenzione nella progettazione delle armature e dei collegamenti tra gli elementi strutturali. Questa incidenza così accentuata induce anche a suggerire una pratica progettuale che fornisca alla struttura margini di sicurezza più alti (oltre quelli stabiliti dai coefficienti di legge) attraverso l’adozione di particolari soluzioni tecniche come, ad esempio, elementi di sicurezza e dissipatori dell’energia che si sviluppa durante la rottura delle strutture. In questa direzione, si sono compiuti dei passi molto importanti nell’ambito dell’ingegneria sismica. Una maggiore disponibilità di dati circa il numero di morti o feriti verificatosi nelle diverse situazioni potrebbe anche rivelare se il cedimento della struttura verticale o della struttura orizzontale sia di maggiore o minore pericolosità per gli utenti finali. Tale risultato si rivelerebbe particolarmente importante anche per quelle Amministrazioni ed Enti pubblici che debbono necessariamente affrontare i problemi derivanti dal degrado del calcestruzzo armato per approntare piani di intervento specifici o opere provvisionali adeguate. Infatti, il fenomeno del degrado, inevitabilmente collegato al concetto di "vita" delle strutture e alla loro interazione con l'ambiente, favorisce il manifestarsi di collassi strutturali che hanno origine da una progettazione inadeguata.

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4. CONCLUSIONI Questa ricerca si è basata sulla catalogazione di 120 casi di crollo o di cedimento strutturale di strutture in calcestruzzo armato. L’esame delle singole schede di catalogazione consente di rilevare come la maggior parte degli edifici crollati o danneggiati sia localizzata nei paesi in cui il calcestruzzo ha trovato origine o maggiore applicazione. Pare, comunque, corretto pensare che il numero di casi di crollo o di cedimento rilevati nei vari paesi europei ed extraeuropei non rappresenti la totalità degli eventi e che molti altri incidenti strutturali siano passati inosservati. L'analisi del rapporto tra il numero di crolli e l'anno in cui essi si sono verificati induce a concludere che il numero di crolli non è tanto più alto quanto più il materiale è giovane e quanto più l'inesperienza e l'ignoranza circa il suo comportamento e le sue caratteristiche sono presenti, ma che esso aumenta con la crescita della produzione edilizia in calcestruzzo, rivelando che l’incidente strutturale è un fattore endemico e proporzionale della costruzione. Contemporaneamente, questa considerazione conduce ad evidenti conclusioni sulla necessità di porre particolare attenzione alla qualità del progetto e, più in generale, al controllo della qualità dell’intero processo costruttivo. Le percentuali di incidenza delle cause di crollo di origine progettuale/organizzativa, così illustrate, confermano chiaramente la preminenza delle percentuali relative agli errori di progetto ottenute nelle indagini svolte da H. Lossier e dall'American Railway Engineering Association. Tale corrispondenza autorizza a pensare che i collassi considerati siano un campione significativo e variegato di eventi e che le ricerche, oltre ad essere svolte in epoche diverse, si siano dedicate anche ad ambiti casistici diversi con uniformità interpretazionale dei fatti. Il tema del crollo delle strutture e, più in generale, della loro sicurezza, rappresenta un tema di estrema attualità. Le ricerche svolte in questo campo si sono rivelate estremamente utili al progresso delle conoscenze del comportamento strutturale e, soprattutto, si sono rivelate fonte di importanti informazioni per evitare il ripetersi di tali eventi. Lo studio qui proposto si è limitato ad un campione significativo di casi di studio, ma contenuto rispetto al grande numero di collassi strutturali di cui la stampa tecnica, purtroppo, fornisce pochi particolari ed informazioni.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

SU ALCUNI CASI DI COLLASSI STRUTTURALI 1

G. MENDITTO 1

Dipartimento di Architettura, Costruzioni e Strutture Università Politecnica delle Marche, Ancona

SOMMARIO Si riferisce su tre casi di collasso strutturale di opere civili due dei quali (una copertura con archi in carpenteria metallica e opere di contenimento di terrapieni) dovuti ad errori progettuali ed uno (ponte in muratura) ad una prolungata mancata manutenzione. ABSTRACT Three cases of the civil constructions structural failure are explained. Two are to ascribe a plained mistake: a covering made by steel archs and the retaining walls of the considerable embankment. One in consequence of the extendend deficiency maintenance. 1. IL COLLASSO DI UN ARCO IN CARPENTERIA METALLICA Due campi da tennis erano coperti da una struttura principale, costituita da archi reticolari a spinta eliminata in carpenteria metallica di 36 m. di corda, ad interasse di m. 4,50 (quota di imposta m. 2,045; quota massima in chiave m. 9,638), posti a sostegno di due lamiere in acciaio, ordite ortogonalmente l'una all'altra, con interposti distanziali e materassino coibente. La lamiera interna di tipo strutturale era vincolata all'estradosso della struttura principale tramite viti automaschianti ed era tessita nel senso delle generatrici della volta. La lamiera portante, ordita con greche orizzontali, era vincolata ad elementi verticali incastrati alla fondazione ed appoggiati al primo arco della struttura. Presente il controventamento trasversale su entrambi i campi terminali e sulle testate della struttura. Le forze orizzontali venivano assorbite da setti verticali in conglomerato cementizio con armatura lenta nera. I carichi verticali ed orizzontali erano trasmessi alla fondazione da una struttura a cavalletto in acciaio.

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Il tamponamento dei timpani era realizzato con tipologia identica alla copertura della volta. Fondazioni superficiali isolate a plinto in conglomerato cementizio con armatura lenta nera, collegate tra loro mediante cordoli pure in c.a. che, realizzando un anello perimetrale, abbracciavano l'imposta della struttura. Ciascun arco (Figura 1) aveva sezione trasversale a forma triangolare (con il vertice rivolto verso il basso) ottenuta saldando profili in acciaio a sezione rettangolare chiusa o ad L (Figura 2).

Figura 1. Vista dell’arco strumentato

Figura 2. Sezione trasversale dell’arco

Tutti gli elementi metallici erano protetti con zincatura a caldo secondo le norme ASTM o trattati con antiruggine sintetico ecologico e successiva verniciatura con smalto sintetico. Impiegato acciaio tipo Fe 360 per i profilati, tipo Fe B 44K per il conglomerato cementizio, bulloni Ӆ 14 + Ӆ 27 di classe 8.8 e 10.9 (UNI 3740), saldature di seconda classe. La struttura era stata dimensionata utilizzando un programma di calcolo ad elementi finiti (codice SUPERSAP, includendo anche "elementi membrana" per simulare la presenza del manto solidale di copertura) con riferimento A) - al singolo arco nelle combinazioni: carichi permanenti, carichi permanenti e vento; carichi permanenti + neve; carichi permanenti + neve + vento; B) - al sistema di controventamento di falda funzionante in condizione di sopravento e di sottovento; C) - all'azione sismica nelle combinazioni di: sisma + carichi permanenti; sisma + carichi permanenti + neve; D) - al funzionamento globale della struttura finita.

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Conformemente alle indicazioni progettuali vennero valutati i carichi di collaudo realizzati con l'impiego di blocchetti forati in conglomerato cementizio disposti su pianali (pallets) in legno sospesi ai nodi dell'arco mediante corde di canapa. Nell'impossibilità di simulare la pressione e depressione del vento, l'arco, oltre che alla condizione di uniforme distribuzione del carico, veniva sottoposto ad una condizione di carico antimetrica tale che il suo effetto deformativo globale facesse raggiungere alla struttura la deformazione massima trasversale dovuta al vento (Figura 3). Le componenti verticali dello

Figura 3. a) condizione di vento, b) condizione di collaudo

Durante il completamento dell'ultima fase di carico si verificò la rovina dell'arco, fortunosamente senza conseguenza per gli operatori, a seguito di un collasso locale in corrispondenza della connessione del corrente inferiore compresso e precisamente dietro al piatto di collegamento. La circostanza fu successivamente verificata attraverso una prova specifica condotta in laboratorio e riproducente le condizioni del collegamento esistenti all'atto della crisi della struttura per imbozzamento del corrente (C) (Figura 4) a valle della giunzione a femmina del collegamento centrale.

Figura 4. Indagine sperimentale

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Tale unione, infatti, risultava progettata con tensioni, già al limite di quelle ammissibili, ritenendo reagente l'intera sezione del collegamento senza depurarla dell'incavo presente che tale sezione riduceva drasticamente. Ad eliminare l'inconveniente si provvide con l'intervento di ripristino illustrato in Figura 5 che, sperimentalmente validato, fu poi esteso a tutti gli archi in opera. L'opera ripristinata veniva quindi risottoposta, con esito positivo, a prova di collaudo con carico simmetrico ed antimetrico.

Figura 5. Intervento di ripristino metrico ed antimetrico con esito positivo.

2. MECCANISMI DI COLLASSO DI DUE MURI DI CONTENIMENTO Sono presentati meccanismi di collasso, sostanzialmente identici, innescatisi a seguito di errata progettazione di due opere, poste a più livelli, a contenimento di terrapieni di altezza rilevante. Per sostenere un terrapieno di altezza variabile dai m. 6,30 m ai m. 8,30 furono costruiti due muri. Uno di valle posto a salvaguardia del piazzale su cui prospettavano posteriormente un gruppo di palazzine con ossatura in c.a. e fondazioni su pali, e, successivamente, un muro di monte per realizzare la strada carrabile di accesso ai garages posteriori delle palazzine. Il muro di valle in c.a. presentava le seguenti caratteristiche: forma ad L, spessore variabile da m. 0,30 (in sommità) a m. 0,60 (alla base), altezza m. 3, sostenuto da uno zatterone di m. 2,70 x m. 0,50 su una fila di pali trivellati Ӆ 600 verso valle e verso monte, sfalsati, con interasse trasversale di m. 1,80 e longitudinale di m. 3,50 su ogni fila. Il muro di monte, pure in c.a., aveva spessore costante ed era sovrastato da una trave in c.a. a sezione rettangolare (m. 0,80 x m. 0,50), vincolato su una fila di pali trivellati Ӆ 800 posti ad interasse di m. 2,00, quasi in aderenza allo zatterone del muro di valle. Non fu progettata né eseguita alcuna opera di drenaggio e raccolta delle acque superficiali ed i parametri geotecnici, utilizzati nei calcoli, non risultavano sempre compatibili con le caratteristiche reali accertate ex post in loco. Inoltre in tutte le fasi di calcolo non era stata tenuta in debita considerazione l'interazione fra le varie strutture

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realizzate in tempi diversi ma vicine e si erano del tutto trascurati gli effetti tensionali e deformativi che la realizzazione del muro di monte trasmetteva a quello di valle. Ad opere eseguite, con lo scalzamento del terreno naturale dello zatterone, si manifestarono i primi segni di dissesto del muro di valle che venne interessato da lesioni ad andamento verticale, più evidenti in corrispondenza dei pali. La verifica a presso-flessione -2

-2

indicava un intollerabile stato tensionale (21 Nmm nel calcestruzzo, 498 Nmm nell'acciaio). Inizialmente i due muri si deformarono allo stesso modo; successivamente, all'aumentare della spinta, crollò una prima porzione del muro di valle sottostante ad una palazzina e, successivamente, una seconda relativa ad altra palazzina, mentre il muro di monte perdeva completamente la sua verticalità (scostamento di ~ 5 cm). Il rimedio di intervenire sul muro di monte inserendo con un’ulteriore fila di pali trivellati Ӆ 500 ancorati alla parete di sostegno da rinforzare attraverso piastre in c.a. e tiranti metallici, realizzò in effetti un sistema tirante-puntone del tutto inidoneo ed ebbe come effetto l'appesantimento dei pali Ӆ 800. Fu accertato, attraverso un'analisi agli elementi finiti (codice di calcolo "Plaxis professional”), che la costruzione del muro di monte aveva provocato, trasferendogli la spinta passiva, il collasso del muro di valle per la rottura dei pali di fondazione (privi, per altro, di armature a taglio nelle zone di unione al solettone di fondazione) e successiva rotazione con stapiombo verso l'esterno. Il secondo caso si riferisce all'intervento di contenimento di un terrapieno (altezza circa 20 m.) formatosi a seguito di sbancamento richiesto per disporre di una superficie da destinare ad insediamento industriale. L'altezza del fronte di sbancamento veniva suddivisa in tre gradoni alla base di ognuno dei quali si costruiva un muro di sostegno: il primo, a partire dall'alto, in c.a. ancorato alla retrostante parete a mezzo di trefoli pretesi, gli altri due ottenuti assemblando bilastre prefabbricate armate. La tecnologia di queste ultime ed errori di progettazione derivanti da impiego di parametri geotecnici non conformi ai terreni in situ (come fu accertato a dissesto avvenuto) e la mancata valutazione dell'interazione struttura-terreno davano luogo ad un notevole appanciamento (~ 1 m.) del muro al piede del terrapieno. Il collasso veniva evitato con immediate opere di presidio (puntellamento con impiego di profilati metallici del muro al piede) e con il parziale svuotamento del materiale di riempimento.

3. IL MECCANISMO DI COLLASSO IN UN PONTE IN MURATURA AD ARCHI MULTIPLI E' descritta la situazione di stato limite di collasso per meccanismo di un ponte in muratura di 1^ categoria formato da cinque arcate con pile in alveo, di concezione piuttosto ardita (ridotto ribassamento) per l'epoca (fine anni venti, inizio anni trenta) in cui venne costruito (Figura 6). Gli enti che si sono succeduti nella gestione del ponte, pur essendo questo di vitale importanza strategica e sottoposto a traffico molto intenso, hanno completamente trascurato qualsiasi intervento manutentivo, tant'é che il manufatto, al solo esame autoptico, presentava: - vetustà dei materiali; - avvallamenti del piano viario; - colonizzazione delle superfici murarie del popolamento erbaceo, suffruticolo, arbustivo e, parzialmente arboreo;

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- un vistoso taglio ad andamento trasversale di una pila in alveo (Figura 7) con traslazione relativa tra le facce separate di ~ 3 cm in conseguenza dello scalzamento della fondazione al suo piede originato dal deflusso idrico. Ai movimenti così innescati si erano associati distacchi tra il paramento verticale e gli archi e rotture a taglio-flessione nella zona delle reni (Figura 8).

Figura 6. Planimetria ed ubicazione martinetti piatti

Figura 7. Pila lesionata

Figura 8. Lesioni alle reni degli archi

La verifica idraulica evidenziava l'emersione della zattera di fondazione della pila lesionata stabilendo, sulla base di parametri geometrici (del sistema palo-fondazione), idraulici e delle caratteristiche dei materiali dell'alveo, una profondità di scavo massimo di m. 6,60. Per bloccare l'aggravamento del dissesto si intervenne cerchiando la pila alla sua base con un anello in c.a. sostenuto da micropali spinti a profondità di sicurezza. L'esame dei luoghi, il monitoraggio continuo della struttura (con impiego anche di martinetti piatti singoli e doppi, Figura 6), le indagini georadar, (Figura 9), il carotaggio della muratura (Figura 10) e l'analisi attraverso modellazione ad elementi finiti (Figura 11) portò

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alla conclusione che, oltre alla formazione della cerniera plastica della pila, si erano già formate due cerniere plastiche in corrispondenza delle reni ed una in chiave era in progressiva crescita. Il ponte pertanto si avviava verso un meccanismo a quattro cerniere con manifesta possibilità di collasso.

Figura 9. Ubicazioni indagini georadar

Figura 10. Ubicazione carotaggi

Il pericolo di un dissesto venne scongiurato con la completa chiusura del manufatto al traffico veicolare e pedonale e, contestualmente, con l'avvio di un progetto di recupero strutturale.

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Figura 11. Modellazione ad elementi finiti

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Sessione II: Affidabilità strutturale

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Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

STRATEGIE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA ROBUSTEZZA STRUTTURALE: CONNESSIONE E COMPARTIMENTAZIONE L.GIULIANI1, M.WOLFF2 1

Allieva del Dottorato di Ricerca in Ingegneria Strutturale, Dipartimento Ingegneria Strutturale e Geotecnica, Università La Sapienza di Roma - [email protected] 2 Arbeitsbereich Baustatik und Stahlbau, Technische Universität Hamburg-Harburg [email protected]

SOMMARIO Un fallimento locale in una struttura, sia esso dovuto ad eventi accidentali o ad errori umani, può risolversi in un danneggiamento strutturale sproporzionato alla causa originaria. Comportamenti di questo tipo sono indicativi di mancanza di robustezza, requisito fondamentale per la garanzia della sicurezza e dell’integrità strutturale delle opere civili, ed evidenziano la necessità di considerare sin dalle prime fasi progettuali la risposta globale dell’edificio in seguito ad ipotetici fallimenti locali. Attualmente, sebbene il conseguimento di una sufficiente integrità strutturale sia indicato dalla normativa sia europea sia americana, non sono state ancora codificate procedure operative di applicazione generale per il suo raggiungimento e la sua verifica. Scopo di questa memoria è proprio la presentazione di metodi per la valutazione e il conseguimento della robustezza, intesa come caratteristica strutturale intrinseca e non soltanto come risposta adeguata a predeterminati eventi. Cause ed effetti della mancanza di robustezza sono analizzate e discusse con particolare riferimento all’innesco di collassi progressivi e al ruolo giocato al riguardo dal grado di connessione o isolamento strutturale. SUMMARY A local failure in a structure, due to a critical event as well as to human errors, can result in a disproportionate structural damage with respect to the triggering failure. Such a behavior indicates a lack of robustness, a primary requirement for the achievement of security and structural integrity of civil works, and points out the need of taking in account the response of the whole structure since the earlier design steps. Current codes and recommendations deal with the problem of structural integrity only in an indirect way and without general applicability. Nowadays standard procedures and specific rules for robust designs and verifications are not available. This contribution is meant to present methods for the evaluation and achievement of robustness, meant as a property that is inherent to the system and not as an adequate response to predetermined events. Cause and effects of a lack of robustness are discussed. The trigger of progressive collapse and the role played from the structural continuity are investigated.

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INTRODUZIONE Una struttura robusta non soltanto deve esibire una buona tolleranza al danneggiamento causato da eventi critici di tipo accidentale, ma deve anche poter “incassare” conseguenze di errori umani, quali quelli che intervengono nelle fasi di progettazione o esecuzione. Al contrario di catastrofi naturali o atti terroristici, tali errori sono difficilmente ipotizzabili a priori e si prestano pertanto con difficoltà ad essere considerati nelle usuali metodologie cosiddette deduttive, che si fondano sulla modellazione e l’analisi del singolo evento. Da qui la necessità di ricercare metodi di tipo induttivo, che siano invece in grado, prescindendo dalla causa iniziale, di fornire il sistema strutturale di robustezza intrinseca. 1. QUALE SICUREZZA? Il conseguimento di una adeguata sicurezza strutturale rappresenta uno dei bisogni fondamentali di ogni processo progettuale. Sebbene ci sia completo assenso sulla necessità di raggiungere la sicurezza, le modalità per il suo conseguimento sono invece argomento controverso. La stessa definizione del termine sicurezza non è univoca. Nelle norme SIA il termine sicurezza è primariamente riferito all’incolumità delle persone: “Una struttura si definisce sicura se durante un evento eccezionale come un impatto, un incendio, un crollo, viene garantita la sicurezza delle persone” [1]. Attenendosi a questa definizione, il crollo di un edificio non sarebbe classificabile come problema di sicurezza, se al momento del collasso non fossero presenti persone al suo interno o nelle vicinanze [2]. Riferendosi invece al conseguimento dei requisiti progettuali di sicurezza previsti dagli standard internazionali [3]: “Le strutture e gli elementi strutturali devono essere progettati, costruiti e mantenuti in modo da poter essere appropriati per il loro utilizzo durante la vita di progetto in modo economico. In particolare dovranno, con appropriati livelli di affidabilità: - soddisfare i requisiti per gli stati limite di esercizio - soddisfare i requisiti per gli stati limite ultimi - soddisfare i requisiti di “integrità strutturale” Se attraverso i primi due requisiti si garantisce il non-fallimento della struttura rispetto a predefiniti livelli rispettivamente di funzionalità e resistenza, l’integrità strutturale invece si riferisce al comportamento della struttura a seguito di un fallimento strutturale. Appare chiaro come il raggiungimento di obiettivi fondamentalmente diversi, uno mirato alla salvaguardia dell’incolumità delle persone, l’altro centrato sul comportamento strutturale dell’opera civile, passi necessariamente per strategie di conseguimento differenti. Più sinteticamente, il problema della sicurezza strutturale si riconduce a quello della gestione del rischio [4]. Del rischio si dà una definizione in termini quantitativi come prodotto tra la probabilità di accadimento dell’evento e il danno conseguente all’evento, una volta questo si sia comunque verificato.

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Analogamente, per il conseguimento della sicurezza è possibile agire sull’abbattimento della probabilità di accadimento dell’evento o ammettere il verificarsi di un evento critico capace di danneggiare la struttura e concentrarsi invece sulla limitazione del danno conseguente. L’impostazione è sostanzialmente differente: in un caso si cerca di evitare l’evento, nel secondo invece lo si ipotizza. Nel primo caso, misure atte al conseguimento della sicurezza si fondano sul “controllo degli eventi”, intendendo con questo termine provvedimenti di tipo non strutturale, quali l’aumento della sorveglianza di un edificio per garantirsi dal rischio di attentati, l’allontanamento della costruzione dalla strada o da strutture abitate circostanti, migliori e più rapidi sistemi di evacuazione, ecc. In via alternativa, misure tese a garantirsi dal verificarsi di un evento critico possono investire la progettazione strutturale, ma in modo sostanzialmente “estrinseco” ovvero senza chiamare in causa modifiche dello schema statico della struttura, ma riguardando soltanto il sovradimensionamento di alcuni elementi chiave o ritenuti maggiormente a rischio o la loro protezione tramite ad esempio barriere protettive ecc. La sicurezza perfetta tuttavia non è un obiettivo raggiungibile. Se risulta abbastanza complesso prevedere e modellare tutti i possibile eventi di tipo accidentale (catastrofi naturali o attentati terroristici), ancora più difficile sarebbe tenere in considerazione i fallimenti strutturali che possono innescarsi in conseguenza di errori umani, siano essi dovuti ad una cattiva progettazione o a difetti di esecuzione. Di qui i limiti maggiori di tale strategia e la necessità di fornire il sistema strutturale di difese intrinseche, tali da garantirne il mantenimento di un buon livello di integrità strutturale a seguito di un qualunque possibile evento critico.

SICUREZZA

Misure non strutturali (controllo degli eventi)

RISCHIO

Difese estrinseche

SI PREVIENE

Sovradimensionamento elementi chiave ROBUSTEZZA

Probabilità

L’EVENTO CRITICO

Difese intrinseche

SI PRESUME

Danno

Figura 1: Sicurezza e rischio.

A questo riguardo, la normativa americana richiama il requisito di integrità strutturale con riferimento alla capacità della struttura di subire un danneggiamento di entità non sproporzionata rispetto alla causa che lo ha generato:

213 &UROOLXQLFRSGI



“Building and structural systems shall posses general structural integrity to reduce the hazards associated with progressive collapse to levels consistent with good engineering practice. The structural system shall be able to sustain local damage or failure with the overall structure remaining stable. Compliance with the applicable provisions of ASCE 7 shall be considered as meeting the requirements of this section.” [5]. Il concetto di proporzionalità tra causa innescante e danneggiamento conseguente, in particolare quando sia svincolato dalle particolari cause iniziali, è alla base dei concetti di robustezza e propensione al collasso progressivo, termini dei quali è data una definizione univoca di seguito. 2. LA ROBUSTEZZA STRUTTURALE Il requisito di robustezza è stato introdotto ora in modo qualitativo come capacità della struttura di mantenere un adeguato livello di integrità strutturale dopo un evento critico che determini in modo diretto il fallimento di una parte localizzata della stessa. Per fornire un’esemplificazione pratica di tale concetto, si considerano due strutture elementari che mostrano diversa sensibilità al danno, quali, ad esempio facendo riferimento al conglomerato armato, un pilastro cerchiato e un pilastro a sezione rettangolare (indicati in Figura 2 rispettivamente come struttura b e struttura a). A parità di area efficace, il primo pilastro presenta da integro una maggiore resistenza del secondo; tuttavia risulta meno robusto, poiché una rottura localizzata dell’armatura trasversale nel primo caso apre la spirale che si srotola per un lungo tratto vanificando l’effetto di confinamento del calcestruzzo, mentre nel secondo rimane localizzata entro la staffa interessata.

R

Struttura a Struttura b

D Figura 2: Curve qualitative di robustezza di due strutture diversamente sensibili al danno: Struttura a – robusta, Struttura b – non robusta.

Parlando di elementi strutturali è importante sottolineare che, così come la robustezza dei materiali non è garanzia della robustezza dell’elemento, allo stesso modo assicurare la robustezza dei singoli elementi di una struttura non vuol dire garantire la robustezza dell’intero sistema. Non soltanto una struttura che ha elementi robusti può non essere robusta, ma anche il viceversa non è in generale valido, ovvero l’alto grado di robustezza di

214 &UROOLXQLFRSGI



determinati elementi o parti di elementi può in determinati casi giocare a sfavore della robustezza del sistema [6]. La robustezza e’ un concetto sistemico: riguarda quindi come e’ organizzato il sistema strutturale, più che come sono fatte le varie parti strutturali. Per tale motivo, le verifiche di robustezza non possono essere condotte a livelli sezionali o di elemento, ma a livello globale, ovvero chiamano in causa la risposta dell’intero organismo strutturale. Al fine di valutare la robustezza di una struttura, per stabilire cioè non solo se, ma piuttosto quanto una struttura sia più robusta di un’altra, è necessario fornire una definizione quantitativa del termine. 2.1. Definizione della robustezza Quantitativamente la robustezza può essere definita come rapporto tra un incremento del livello di danno strutturale 'D e il conseguente decremento di resistenza 'R. Una struttura può quindi definirsi robusta se tale rapporto è inferiore ad un valore limite: Struttura robusta ļ |'R | / 'D < L , dove L è il massimo valore “accettabile”. Questa definizione ha bisogno di una preliminare quantificazione del grado di danneggiamento della struttura, inteso come numero di elementi falliti della struttura e di un sostanziale accordo sul termine “accettabile”. Nell’ottica di una progettazione prestazionale il livello massimo ammissibile del decremento di resistenza per un dato incremento di danno è un obiettivo di progetto, che deve essere stabilito in base all’importanza della struttura (destinazione d’uso, conseguenze di un eventuale fuori servizio) e al suo grado di esposizione ai possibili eventi minacciosi. 2.2. Valutazione della robustezza Per la maggior parte dei requisiti strutturali (quali ad esempio resistenza o rigidezza) è sufficiente una verifica di tipo sezionale. Per quanto detto nel paragrafo precedente (concetto sistemico), perché sia garantita la robustezza di una struttura invece è indispensabile per un’analisi globale che tenga conto cioè della risposta dell’intero organismo strutturale. Da qui la difficoltà di definire metodi codificati per la valutazione della robustezza e per la sua verifica. Il metodo di seguito proposto utilizza la definizione di livello di danno precedentemente fornita ed è schematizzabile secondo il seguente algoritmo: 1. Su una struttura integra (livello di danno = 0), si individua una distribuzione di carichi. 2. Si esegue un’analisi non lineare incrementando il carico. La resistenza ultima è fornita dal valore del moltiplicatore di carico per il quale la struttura raggiunge la labilità; 3. Il livello di danno viene aumentato di un’unità; 4. Si rimuove un elemento dalla struttura e si ritorna al punto 2). Quando tutte le combinazioni di possibili elementi rimossi sono state esaurite, si torna al punto 3). L’analisi termina quando si raggiunge il livello di danno massimo considerato e fornisce un valore massimo e un valore minimo della resistenza ultima per ogni livello di danno della struttura. Per una struttura anche mediamente complessa tuttavia, il numero di combinazioni possibili è un numero generalmente troppo alto perché possano essere effettuate delle analisi esaustive. Si ricorre pertanto a metodi probabilistici di ottimizzazione per l’individuazione delle combinazioni maggiormente significative, ovvero quelle che forniscono le due curve di

215 &UROOLXQLFRSGI



inviluppo di massima e minima resistenza [7]. Il diagramma mostra l’inviluppo delle combinazioni del sistema e permette di ottenere informazioni utili sia in fase di progettazione (raffronto due o più soluzioni progettuali) sia in fase di verifica. E’ importante sottolineare inoltre che questo metodo consente di identificare gli elementi critici della struttura, intendendo con questo termine quegli elementi il cui fallimento compromette la resistenza al collasso della struttura.

Curve di inviluppo massimo e minimo

INIZIO

O d : livello di danno i : config. strutturale

Ou: moltip. ultimo carico N : combinazioni Dmax : massimo danno 0

D := 0

1

2

3

Individuazione di N

i := 1

4

5

d

Analisi di push-over

Ou,iD SI

D := D +1

D J, in quanto ci si aspetta che |m or| > |m r| per qualsiasi "r". 3.2. Secondo caso: Lesioni quasi congruenti al meccanismo Se le sezioni lesionate sono tutte congruenti con un meccanismo salvo una (che può non essere congruente con il meccanismo o semplicemente mancante), S è composto da un solo indice, mentre R contiene le rimanenti lesioni; in questo caso (Figura 6)

Li

m § n · m os 'Ms  ¦ ¨¨ ¦ A rjf j  ¦ Brt x t ¸¸'Mr rR © j 1 t 1 ¹

(16)

Fracture 3 Fracture 3

Fracture 2

Fracture 2

Fracture 4

Fracture 1

Fracture 1

Fracture 4

Figura 6. Lesioni quasi congruenti a un meccanismo.

Dal momento che

§ m · ¨ ¦ B"t x t ¸'M" ¦ "R  S © t 1 ¹

m

0

Ÿ

¦ Bst x t t 1

§ m · ¦ ¨ ¦ Brt x t ¸'M r z 0 rR © t 1 ¹

(17)

si ha

Li

m m § n · § n · mos 'Ms  ¨¨ ¦ A sjf j  ¦ Bst x t ¸¸'Ms  ¦ ¨¨ ¦ A "jf j  ¦ B"t x t ¸¸'M" t 1 "R  S © j 1 t 1 ©j1 ¹ ¹ Li mos 'Ms  ms f, x 'Ms  Le1

258

(18) (19)

dove ms(f, x) indica il momento flettente nella sezione "s" sotto la azione del carico f, e dipende, naturalmente, dalle reazioni iperstatiche x. Dal momento che R ‰ S configura un meccanismo e quindi

§

n

·

m

¦ ¨¨ ¦A f  ¦B x ¸¸'M

"RS

©j1

"j j

"t

t 1

t

¹

"

Le1

(20)

l’evento ^JLe1 = Li ` coincide proprio con l’evento

>mos  ms f , x @'Ms J  1 Le1

(21)

da cui si deduce

J

1

>m os  ms f , x @'Ms L e1

J x

(22)

Le reazioni iperstatiche x possono essere valutate tramite la “misura” delle lesioni. Se si considera il fatto che ' * rappresentano la dimensione delle lesioni osservate (espresse come rotazioni anelastiche) la relazione tra x e ' * si ottiene da una semplice relazione lineare:

x Rf  S'M

(23)

with R and S suitable matrices. 3.3. Terzo caso: L' evento generico In generale, si consideri il caso in cui il numero, la posizione ed il segno delle lesioni non siano congruenti con alcun meccanismo (Figura 7). Il collasso resta individuato dalla condizione

JLe1 t Li

(24)

Considerando che l’eq. (20) vale in generale, si ha

Li

ª

¦ «m sS

«¬

os

m ·º § n  ¨¨ ¦ A sjf j  ¦ Bst x t ¸¸» 'Ms  L e1 d JL e1 t 1 ¹»¼ ©j1

(25)

da cui

¦ >m

os

 m s f, x @'Ms d J  1 L e1

sS

e di conseguenza

259

(26)

J 1  max

¦ >m

os

 m s f, x @'Ms

sS

(27)

L e1

xX

con le incognite x dipendenti dalle forze f e dalle lesioni ' *.

x Rf  S'M

(28) Fracture r = 2

Fracture r = 1

Figura 7. Il quadro fessurativo generico

4. L’ APPROCCIO PROBABILISTICO Il punto debole delle precedenti considerazioni è che in generale, i carichi non sono noti, ed è difficile poter misurare l’ apertura delle lesioni e le conseguenti rotazioni anelastiche 'M M*. Allo scopo di migliorare la “robustezza” del percorso logico esposto, si può adottare un approccio di tipo probabilistico, che risulta un efficace supporto atto a maneggiare le incertezze insite nell’ ambito deterministico. L’evento “collasso” secondo un dato meccanismo può essere correlato alla variabile:

~ ~ JL k  L k

~z k

e1

(29)

io

con

~ L k io

ª

§

n

~

m

·º

t 1

¹»¼

~

k k ~ ¨ A f  B ~ ¸ ¦ «m os ¨ ¦ sj j ¦ st x t ¸» 'M s  L e1

sS « ¬

©j

1

oppure, in forma matriciale

260

(30)

>

~ ~ ~  A ~ ~ L k  L k m os s f  Bs x io e1 ~ ~ L k f T u k



@T 'M k s

(31)

e1

da cui

~z J k

T k ~  A ~f  B ~ J  1 ~f T u k  >m os s s x @ 'M s

(32)

in cui le incognite iperstatiche sono legate alle lesioni e ai carichi dalla eq. (28). Poichè le ' * sono state scelte e misurate in modo approssimativo, possono essere considerate affette da errori casuali. Così esse assumono un carattere di vettore casuale, le cui componenti si possono assumere correlate o statisticamente indipendenti, e in ogni caso indipendenti dalle componenti di carico. La precedente equazione (28) diventa così

~ ~ ~ x R f  S'M

(33)

dove la tilde superiore sta ad indicare una variabile casuale. Il valore medio, denotato dal trattino soprasegno, e le matrici di covarianza delle reazioni iperstatiche possono essere ottenuti dalle solite relazioni x

Rf  S' M ; C xx

RCff R T  SC MMS T ; Cfx

RCff

(34)

in cui la matrice Cab denota genericamente la matrice di covarianza tra i vettori aleatori ~ ~ a e b , e si è tenuto conto che la matrice di covarianza CfM è nulla per la assunta ~ ~. indipendenza di f e M Il collasso corrisponde quindi all’evento ~z J t 0 , con le statistiche di ~z J date da k

z k J

k

J  1 f T u k  >mos  A sf  B s x @T 'M sk

(35)

per quanto riguarda il valor medio, e da

> @

>

Var>~zk J @ E ~zk J  z k J

2

> @

> @

§ J  1 2 u k T C u k  2 J  1 u k T C A T 'M k  2 J  1 u k T C B T 'M k · ¨ ¸ ff ff s fx s s s ¨ ¸ T T T k k k k k k T T ¨  'M C mm 'M  'M A s C ff A s 'M  2 'M A s C fx B s 'M  ¸ s s s s s s ¨ ¸ ¨ ¸ k T B C B T 'M k  ' M ¨ ¸ s xx s s s © ¹

@ > >

@ @

>

@

>

@

(36)

per la varianza, il che consente in modo agevole il calcolo della probabilità di collasso, a-posteriori, dopo che il quadro fessurativo è stato rilevato.

5. CONCLUSIONI Nella presente Nota si è delineata una metodologia logica per la valutazione della pericolosità del quadro fessurativo di una struttura. Si è constatato che l’ insorgere di un dissesto obbliga a considerare la riduzione del margine di sicurezza residuo della struttura, che deve essere

261

considerato nullo nel caso in cui il complesso delle lesioni integri un possibile meccanismo di collasso, anche se non incluso tra quelli attesi come più probabili per la struttura. Nel caso in cui il quadro fessurativo si presenti meno drammatico, il margine di sicurezza residuo può valutarsi attraverso la misura della vistosità delle lesioni. Quest’ ultima è però sempre una operazione assai imprecisa e soggetta a notevoli errori, per quanto accurate siano le operazioni di rilievo. Il decadimento della sicurezza può però valutarsi con sufficiente affidabilità paragonando la probabilità di collasso della struttura nominalmente integra, valutata con i metodi della Analisi Limite Stocastica, a quella della struttura lesionata che può valutarsi attraverso il procedimento illustrato nel par. 4, aggiungendo al modello un ulteriore insieme di variabili aleatorie, rappresentato appunto dagli errori di valutazione e misura delle lesioni.

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Wang W., Ramirez M.R., Corotis R.B.: Reliability analysis of rigid-plastic structures by the static approach, Structural Safety, 15, pp. 209-235, 1994

Ricerca svolta con fondi della Università di Napoli e cofinanziata dal MIUR (Ministero della Università e della Ricerca Scientifica).

262

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

AFFIDABILITA’ NEI RIGUARDI DEL COLLASSO PLASTICO O PER INSTABILITA’ DI STRUTTURE A PARAMETRI INCERTI U. ALIBRANDI, A. D’ARRIGO, G. RICCIARDI Dipartimento di Ingegneria Civile, Università di Messina

SOMMARIO In questo lavoro viene presentata una metodologia per sviluppare analisi di sicurezza per sistemi strutturali nei confronti degli Stati Limiti Ultimo di collasso plastico e di instabilità euleriana, assumendo che le resistenze siano non deterministicamente fissate, bensì aleatorie. Per la analisi di affidabilità nei confronti del collasso plastico si è fatto ricorso alla teoria dell’Analisi Limite Probabilistica: utilizzando algoritmi proposti di recente da due degli autori è infatti possibile ottenere buone delimitazioni (sia superiore che inferiore) della effettiva probabilità di collasso plastico della struttura. Per la analisi di affidabilità nei confronti del fenomeno di instabilità si è fatto poi ricorso ad un algoritmo proposto da uno degli autori e che consente di ottenere buone delimitazioni (inferiori) della effettiva probabilità di collasso per instabilità. Le delimitazioni ottenute sono note essere soddisfacenti anche nel campo delle probabilità molto basse, che sono le più significative per questo tipo di analisi. Una semplice applicazione mostra la bontà delle metodologie di analisi applicate, nonché la opportunità di eseguire analisi completamente probabilistiche per avere risposte “realistiche” dei sistemi strutturali. ABSTRACT In this paper an approach for the safety analysis of structural systems with respect to the Ultimate Limit States of plastic collapse and buckling is presented, assuming that the resistances are not deterministic, but random. For the reliability analysis with respect to the plastic collapse the Probabilistic Limit Analysis theory is used: using algorithms recently proposed by two of the authors it is possible to obtain close bounds (both lower and upper) of the true probability of plastic collapse of the structural system. For the reliability analysis with respect to the buckling a procedure proposed by one of the authors is presented, which allows to determine good lower bound of the true probability of buckling. The obtained bounds are close also in the range of the very small probabilities, which are the most crucial for this kind of analysis. A simple example shows the accuracy and effectiveness of the proposed procedures, and the necessity of a fully probabilistic analysis if one want to determine a realistic response of the structural system.

263

1. INTRODUZIONE Negli ultimi anni alcuni crolli dovuti ad inattese imperfezioni del materiale hanno evidenziato che per la analisi dei sistemi strutturali bisogna operare con parametri che non sono deterministicamente fissati, ma che bensì sono incerti. In tale contesto opera appunto la teoria della affidabilità strutturale, che si pone come obiettivo la razionale trattazione sia delle incertezze presenti in un problema di ingegneria strutturale, sia dello sviluppo di metodi atti a verificare la “sicurezza” e “funzionalità” delle strutture, nella ipotesi di avere rimosso il rigido vincolo di parametri deterministici ([1]-[3]). Tali metodi forniscono allora uno strumento di progettazione alternativo, assegnando alle variabili incerte delle opportune distribuzioni di probabilità in modo da potere da un lato valutare la probabilità di superamento di un assegnato stato limite, dall’altro di confrontare tale probabilità con un livello di affidabilità richiesto. Fra i possibili Stati Limite particolare interesse rivestono gli Stati Limite Ultimi (SLU) di collasso plastico e di instabilità euleriana, che sono appunto quelli qui analizzati. L’analisi limite e l’analisi per instabilità euleriana sono quei rami della meccanica delle strutture che si pongono come obiettivo la valutazione della sicurezza dei sistemi strutturali nei confronti dei suddetti Stati Limite; la loro potenzialità risulta ulteriormente evidenziata nella ipotesi di parametri aleatori, in quanto essi consentono di sviluppare analisi di affidabilità strutturali, richiedendo una completa caratterizzazione statistica rispettivamente soltanto del valore limite delle resistenze e dei parametri elastici del materiale. In questo lavoro vengono applicate le recenti formulazioni di Analisi Limite Probabilistica ([4]-[9]) e Instabilità Euleriana Probabilistica proposte da due degli autori ([9],[10]) e vengono valutate le probabilità di collasso strutturale per assegnati carichi agenti; l’esempio proposto evidenzia la efficienza degli approcci proposti, nonché la opportunità di eseguire analisi probabilistiche delle strutture per ottenere informazioni più “realistiche” sul loro effettivo comportamento.

2. STATO LIMITE ULTIMO DI COLLASSO PLASTICO In questa sezione viene analizzata la sicurezza delle strutture nei confronti dello SLU di collasso plastico, assumendo in prima analisi che le resistenze siano deterministicamente fissate, e sviluppando poi una seconda analisi in cui si verifica la sicurezza della struttura considerando l’ipotesi di variazione delle proprietà del materiale rispetto al valore atteso. In questo contesto assume particolare interesse la teoria dell’ “Analisi Limite”, che, sulla base di alcune ipotesi semplificative, ma ragionevoli per una grande varietà di problemi strutturali, consente la valutazione del carico di collasso plastico, il quale non risulta dipendere dalla particolare storia di carico, o da eventuali stati di coazione, o dai parametri elastici. Tale teoria risulta quindi semplificata, ma rigorosa, e assume particolare fascino in seno a una analisi probabilistica, essendo richiesta soltanto la caratterizzazione statistica delle condizioni di snervamento locali. 2.1. Formulazione dell’Analisi Limite Deterministica Si consideri una struttura discreta o discretizzata e si indichi con F il vettore di ordine g dei carichi base amplificabili tramite il moltiplicatore _ , e con Q il vettore di ordine c delle sollecitazioni, valutate in un numero finito c di punti della struttura. La condizione di equilibrio tra i carichi esterni e le sollecitazioni interne è fornita da

264

C TQ = _ F

(1)

nella quale C T è la matrice di equilibrio di ordine g × c . Le equazioni di congruenza che correlano lo sviluppo delle deformazioni plastiche p con il campo di velocità u sono date da p = C u

(2)

ove C è la matrice di flessibilità, mentre p è di ordine c . La condizione di conformità del vettore delle sollecitazioni si può esprimere nella forma seguente

(Q ) = N T Q < K ) 0

(3)

ove N è una opportuna matrice di ordine c × 2c , mentre K è il vettore delle resistenze, di ordine 2c . Nell’ambito dell’analisi limite si fa riferimento a materiali “stabili secondo Drucker” il che implica che è possibile esprimere le “leggi di scorrimento plastico” secondo la formulazione del “legame associato”: p = N , 



 * 0,

( Q ) ) 0,

T 

 = T  =0 

(4)

dove  * 0 è il vettore dei moltiplicatori plastici di ordine 2c . Si ricorda inoltre che le (4) presuppongono la “convessità” del dominio di ammissibilità, nonchè la legge di “normalità”, in base alla quale si ha sviluppo di deformazioni plastiche secondo la direzione della normale uscente dal dominio. Il moltiplicatore dei carichi _ S si dice staticamente ammissibile se in corrispondenza ad esso esiste un vettore delle sollecitazioni Q che siano equilibrate e conformi, cioè tali da soddisfare la (1) e la (3); il moltiplicatore dei carichi _ C si dice cinematicamente sufficiente se in corrispondenza ad esso esiste un meccanismo di collasso di tipo rigido-plastico, definito da un vettore di velocità incipienti u e da un vettore di deformazioni plastiche p tale da soddisfare la (2) e la (4) e in corrispondenza del quale la potenza dei carichi base amplificati risulta non inferiore alla potenza dissipata. Il teorema cinematico dell’analisi limite afferma che un “moltiplicatore cinematicamente sufficiente è non inferiore al moltiplicatore di collasso _ P ”,cioè _ P ) _ C , mentre il teorema statico afferma che un“moltiplicatore staticamente ammissibile è non superiore al moltiplicatore di collasso _ P ”, cioè _ S ) _ P . Le due classi di moltiplicatori ora definite sono contigue, per cui il moltiplicatore di collasso risulta unico. Si noti comunque che l’unicità di _ P non implica necessariamente l’unicità del meccanismo di collasso, o del campo di tensioni al collasso. 

2.2. Formulazione dell’Analisi Limite Probabilistica (ALP) Nell’Analisi Limite Probabilistica (ALP) si lasciano inalterate le ipotesi fondamentali dell’analisi limite deterministica e si considerano le resistenze non più come deterministiche, bensì aleatorie. Tali resistenze sono quelle dei punti di controllo della struttura discretizzata e vengono raccolte in un vettore aleatorio K supposto Gaussiano, la cui completa descrizione

265

probabilistica è data dal vettore dei valori medi

K

= E[ K ] e dalla matrice di covarianza

= E[ K K ] < E[ K ]E[ K ] . Si assume invece nota la curva distribuzione dei carichi agenti. In tali condizioni il problema dell’analisi limite si riconduce non più al calcolo del moltiplicatore di collasso _ P , bensì alla determinazione della Probabilità Condizionale di Collasso (PCC) della struttura soggetta ai carichi assegnati, che è la probabilità di collasso plastico del sistema strutturale per assegnato valore dei carichi agenti. La PCC può intendersi equivalentemente come la probabilità che il moltiplicatore dei carichi _ sia cinematicamente sufficiente o come la probabilità che esso non sia staticamente ammissibile. Tale curva può anche essere considerata come la curva distribuzione di probabilità del moltiplicatore dei carichi _ , e in quanto tale essa risulta essere non decrescente. Nell’estensione al campo stocastico dell’approccio cinematico dell’Analisi Limite, la probabilità di collasso Pf (_ ) è la probabilità che il carico _ F sia “non sicuro”, dunque è la T



T

K

probabilità che esista un meccanismo deformativo di tipo rigido-plastico tale che la potenza dei carichi esterni _ F sia non inferiore alla potenza di dissipazione interna. Tramite l’approccio cinematico è possibile valutare la esatta PCC, considerando tutti gli m meccanismi deformativi di tipo rigido-plastico, se però se ne considera un numero inferiore mˆ < m si può al più ottenere una delimitazione inferiore della PCC, quindi a sfavore di sicurezza [11]. Nell’estensione al campo stocastico dell’approccio statico dell’Analisi Limite, la probabilità di successo o affidabilità Ps (_ ) è la probabilità che il carico _ F sia “sicuro”, dunque è la probabilità che esista un vettore di sollecitazioni Q tale che risultino soddisfatte le equazioni di equilibrio e di ammissibilità plastica. Comunque, l’interesse è in generale rivolto verso la PCC, ottenuta come probabilità complementare Pf (_ ) = 1 < Ps (_ ) . Tramite l’approccio statico [12] non è possibile in nessun caso valutare la esatta PCC, perché per raggiungere tale risultato sarebbe necessario considerare infiniti vettori di sforzo. Comunque, è ben sottolineare che considerando un numero finito q di vettori tensioni, si ottiene una delimitazione superiore della PCC, quindi a favore di sicurezza; per tale motivo l’approccio statico risulta di maggiore interesse pratico rispetto a quello cinematico ed è stato oggetto negli ultimi anni di sempre più crescente interesse. Molta ricerca è stata compiuta per determinare criteri di scelta atti a determinare delle buone delimitazioni della PCC, considerando un numero ridotto di stati di sforzo. In tale lavoro un alternativo approccio proposto precedentemente da due degli autori è stato adottato, dove vengono considerati stati di sforzo non deterministici bensì aleatori; tali stati di sforzo aleatori utilizzano il concetto di domini di parziale ammissibilità introdotti in [4] e consentono di determinare la esatta PCC ([6], [8]) ed in ogni caso di valutare delle buone delimitazioni sicure della PCC ([5], [7], [9]). Inoltre utilizzando le proprietà di dualità della analisi limite e geometriche dei domini di parziale ammissibilità è possibile ottenere tramite l’approccio proposto anche delimitazioni inferiori della PCC, identiche a quelle che si otterrebbero utilizzando il classico teorema cinematico della analisi limite probabilistica [7]. L’approccio statico proposto (che verrà più dettagliatamente descritto nelle successive sottosezioni) consente allora di ottenere delimitazioni (superiore e inferiore) della PCC abbastanza stringenti, e pertanto è stato utilizzato in tale lavoro. Le indagini numeriche ([11],[7],[9]) hanno evidenziato come nel campo delle piccole probabilità vi sia un frequente interscambio del meccanismo dominante (cioè quello caratterizzato dalla più elevata probabilità di collasso) che in molti casi non coincide con il meccanismo di collasso della struttura “media”. Avviene allora che il collasso possa avvenire in

266

un modo differente da quello previsto dall’analisi limite deterministica applicata alla struttura “media”, ragion per cui per individuare le effettive ragioni di numerose situazioni di crisi può essere necessaria l’adozione di un punto di vista probabilistico. Risulta allora auspicabile, come effettuato in tale lavoro, che ogni qualvolta si voglia effettuare una approfondita analisi di sicurezza delle strutture nei confronti degli SLU, si associ ad una tradizionale analisi semiprobabilistica, una analisi completamente probabilistica che sia in grado di fornire informazioni più realistiche sull’effettivo comportamento della struttura. 2.3. I domini di parziale ammissibilità L’approccio proposto utilizza la ben nota formulazione del metodo delle incognite iperstatiche tramite cui gli sforzi si possono definire come Q = QD + _ QL + RX = R0 FD + _ R0 FL + RX dove QD e QL sono vettori di ordine c che raccolgono gli sforzi valutati in c punti della struttura, quando il sistema strutturale è soggetto rispettivamente a carichi permanenti e amplificabili, X è il vettore di ordine r delle incognite iperstatiche, FD e FL sono vettori di ordine g che contengono rispettivamente i carichi permanenti e amplificabili, R0 e R sono matrici di equilibrio rispettivamente di ordine c × g e c × r ottenute ponendo uguali a zero le incognite iperstatiche e i carichi agenti. Per verificare che un qualunque vettore di sforzo Q equilibrato sia anche conforme, lo si sostituisce nella eq.(3) ottenendo G T X + K D + _ K L ) K , dove G = RT N , K D = N T QD e K L = N T QL . Il vettore K di ordine 2c che raccoglie le resistenze plastiche aleatorie è un vettore stocastico Gaussiano di valore medio K = E[ K ] e matrice di covarianza pari a T T K = E[ KK ] < E[ K ]E[ K ] . Conseguentemente, la probabilità di successo si può scrivere come Ps (_ ) = P ª¬šX D *r : G T X + K D + _ K L ) K º¼ . Si introduce quindi il dominio di ammissibilità  (_ ) che è una classe a r dimensioni di vettori staticamente ammissibili definiti nello spazio delle incognite iperstatiche 

 (_ ) > { X D *r : G T X + K D + _ K L ) K }

(5)

In conseguenza, la probabilità di successo Ps (_ ) può essere interpretata come la probabilità che il dominio di ammissibilità sia non vuoto, o che è lo stesso, come la probabilità che esista almeno un vettore di sforzo X D *r appartenente al dominio di ammissibilità  (_ ) , cioè Ps (_ ) = Prob[ (_ ) >/ ’ ] = Prob[šX D  (_ )] dove ’ è l’insieme vuoto.

Si noti però che il dominio di ammissibilità  (_ ) non risulta di agevole identificazione, sono allora stati introdotti i domini di parziale ammissibilità k (_ ) , k = 1, 2, ! , m che sono classi a r dimensioni definite nello spazio delle incognite iperstatiche che soddisfano soltanto r + 1 vincoli di ammissibilità plastica e che hanno una probabilità non nulla di essere vuoti. Una importante proprietà dei domini di parziale ammissibilità è che il dominio  (_ ) si può pensare come dato dalla loro intersezione m

 (_ ) =   k (_ )

(6)

k =1

Il numero m di domini di parziale ammissibilità coincide con il numero di meccanismi deformativi di tipo rigido-plastico dell’approccio cinematico della ALP, ed in effetti esiste una corrispondenza tra i domini di parziale ammissibilità e i meccanismi del sistema strutturale.

267

Tale proprietà verrà delucidata nelle successive sottosezioni, mentre ulteriori dettagli sulle caratteristiche dei domini di parziale ammissibilità sono descritti in [8], ove è anche presentata una procedura per la loro sistematica valutazione tramite elaboratore elettronico. 2.4. Delimitazione superiore della PCC (“Delimitazione sicura”) In questa sezione viene descritta una procedura per la valutazione della delimitazione superiore della PCC, seguendo la formulazione classica del teorema statico della Analisi Limite. Per la proprietà di convessità dei domini di parziale ammissibilità, ogni punto interno al dominio può essere formulato come combinazione lineare convessa dei suoi vertici, i quali, in virtù delle definizioni di “dominio di ammissibilità  (_ ) ” e di “domini di parziale ammissibilità k (_ ) ” sono esprimibili come combinazione lineare delle resistenze plastiche aleatorie K i ,

i = 1, 2,!, 2c . Conseguentemente, ogni punto interno Pi (_ ) relativo all’ i < esimo dominio di parziale ammissibilità si può esprimere come combinazione lineare delle resistenze aleatorie. Si definisce l’evento [ Si ] corrispondente alla circostanza “il vettore sforzo aleatorio Pi (_ ) è staticamente ammissibile”

[ Si ] = ª¬G T Pi (_ ) + K D + _ K L ) K º¼ ,

allora l’evento [ (_ ) >/ ’]

include l’evento unione [* Si ] dove nˆ è il numero di sforzi aleatori scelti. In tal modo la nˆ i =1

probabilità di successo Ps (_ ) ha la seguente delimitazione inferiore nˆ nˆ ª nˆ º nˆ Ps (_ ) * Psnˆ (_ ) = P «* Si » = ¦ P [ Si ] < ¦ P ª¬ Si  S j º¼ + ¦ P ª¬ Si  S j  S k º¼ + ! i , j =1 i , j , k =1 ¬ i =1 ¼ i =1 i< j

(7)

i< j ’ º¼ . Si definisce l’evento [ Fi ] corrispondente alla circostanza “l’ i < esimo dominio di parziale ammissibilità è vuoto”

[ Fi ] = ª¬i (_ ) > ’ º¼ ,

allora l’evento [ A (_ ) > ’] include l’evento

unione [* Fi ] . L’evento [ Fi ] corrisponde a “Nessun vettore di sforzo appartenente all’ i < esimo dominio di parziale ammissibilità è staticamente ammissibile” e per le relazioni di dualità è anche corrispondente all’attivazione del meccanismo deformativo rigido-plastico le cui cerniere plastiche attivate sono le stesse che definiscono il dominio parziale stesso. Conseguentemente la probabilità di collasso Pf (_ ) ha la seguente delimitazione inferiore mˆ i =1

268

mˆ mˆ (8) ª mˆ º mˆ Pf (_ ) * Pfmˆ (_ ) = P «* Fi » = ¦ P [ Fi ] < ¦ P ª¬ Fi  F j º¼ + ¦ P ª¬ Fi  F j  Fk º¼ + ! i , j =1 i , j , k =1 ¬ i =1 ¼ i =1 i< j

i< j h ] , da cui si evince che la probabilità che la variabile

aleatoria RE non superi un assegnato valore del carico h è uguale alla probabilità che la configurazione della struttura soggetta al carico h sia una configurazione di crisi. Inoltre, considerato che la distribuzione di probabilità del carico critico euleriano aleatorio RE coincide con la probabilità che esista una configurazione congruente non banale per la quale la condizione di stabilità non è verificata, si può anche scrivere n

PRE (h ) = Prob[šq D  Ÿ ¦ ti (q ) X i < hw(q) ) 0] i =1

essendo  la classe delle configurazione congruenti non banali.

271

(14)

Si indichi, adesso, con [ E j ] l’evento a cui corrisponde la condizione mancata stabilità

[ E j ] = [šq j D  Ÿ ¦ i =1 ti (q j ) X i < h w(q j ) ) 0] allora considerando s eventi si ottiene una n

delimitazione inferiore della esatta PCIE, data dalla eq.(14) s s (15) ªs º s Pf ( h ) > Pfs ( h ) = P «* Ei » = ¦ P [ Ei ] < ¦ P ª¬ Ei  E j º¼ + ¦ P ª¬ Ei  E j  Ek º¼ + ! i , j =1 i , j , k =1 ¬ i =1 ¼ i =1 i< j

i< j 0 e R’(t) < 0

Rcc t Rc t t Rc t R t

(6)

t  0, f

che costituisce evidentemente una condizione assai vincolante per R(t). Per una funzione di affidabilità IFR sussistono infatti i seguenti teoremi [1]: Teorema 1 Se R(t) è IFR: Log [R(t)] è una funzione concava Teorema 2 1t

Se R(t) è IFR: >R t @

è una funzione decrescente rispetto a “t”

Teorema 3 Se R(t) è IFR e R(t*) = 1-p, cioè t* è il percentile di ordine “1-p” della funzione di affidabilità, allora ­°t exp Dt se t d t * R t ® °¯d exp Dt se t t t *

306

D



log 1  p t*

(7)

Teorema 4



Se R(t) è IFR e “W” è la durata media di vita utile W

f

³0 R t dt

si ha (8)



­ ­exp  t W se t  W °t °® °° °0 se t t W R t ® ¯ se t d W ° °­1 °d ® °¯ °¯exp>Z t t @ se t ! W ; 1  WZ t  exp>Z t @

0

I limiti individuati dal Teorema 4 sono diagrammati a titolo di esempio in Fig. 3 per W = 1

Limite inferiore R(t) IFR Limite superiore 1.0 0.8 0.6

R(t) 0.4 0.2

t

0

0.5 1.0 1.5 2.0 2.5 Fig. 3 - Fuso limite per R(t) e possibile funzione di affidabilità per W= 1.

Si riportano di seguito alcuni tra i più comuni modelli di affidabilità che rispondono alla condizione IFR a) La affidabilità esponenziale: Rc t

Oe Ot ; h t

O ; O ! 0; t t 0

(9)

b) La affidabilità Gamma: k 1

R c t



e  Ot O Ot ; O ! 0, k ! 0; t t 0 * k

c) La affidabilità Weibull

307

(10)

Okt k 1 e Ot

Rc t

k

Okt k 1 ; O ! 0, k ! 0; t t 0

; h t

(11)

d) La affidabilità per valore estremo § et  1· 1  exp¨ t  ¸ ; h t k ¹ k ©

Rc t

et ; k ! 0; t t 0 k

(12)

e) La affidabilità Gaussiana R c t



f

k

³V 0

§ t  W 2 · ¸ V ! 0;  f d W d f; t t 0 exp¨¨  2V 2 ¸¹ kV 2S © 1

(13)

§ t  W 2 · 1 ¸ dt exp¨¨  2V 2 ¸¹ 2S ©

f) La affidabilità log-normale

Rc t



§ >log t  W@2 · 1 ¸ ; V ! 0;  f d W d f; t t 0 exp¨  2 ¨ ¸ V 2 tV 2 S © ¹

(14)

La affidabilità esponenziale ha una funzione di azzardo costante, e segna pertanto il confine delle funzioni di affidabilità che possono essere ritenute idonee a rappresentare il fenomeno del deterioramento progressivo di un sistema. Le affidabilità Gamma e Weibull sono IFR per k>1. La affidabilità a valore estremo e la Gaussiana sono sempre IFR. La lognormale può essere adottata solo per casi particolari, in quanto h’(t), inizialmente positiva tende a diventare negativa al passare del tempo. Una volta assunta per la funzione di affidabilità una forma opportuna, che come si è visto è alquanto vincolata sulla base di semplici considerazioni di ordine generale, R(t) si può semplicemente rielaborare, per ottenere la funzione di affidabilità condizionale, condizionata dalla eventuale osservazione della integrità dell’ opera al tempo T f

C t T

³ q x dx

T t f

³ q x dx

R T  t R t

(15)

T

Pr ob ^Il sistema si guasti dopo il tempo T  t posto che è int egro al tempo T`

Assodato che il tipo di guasto che va fronteggiato tramite una azione di sorveglianza opportunamente programmata è quello del tipo da usura, sia Ru(t) la relativa funzione di affidabilità, che può assumersi coincidente con uno dei modelli sopra richiamati, o con uno dei limiti individuati dai Teoremi 2-4. Il fattore di deterioramento istantaneo Du(t) dell’ opera al tempo “t” può identificarsi nella spesa occorrente per ripristinare lo stato iniziale rapportato al costo di ricostruzione; come tale esso è rappresentato da un numero positivo non maggiore

308

di 1. Pertanto la funzione che stabilisce la corrispondenza tra il fattore di danno e il complemento a 1 della funzione di affidabilità, è una applicazione monotona crescente dell’ intervallo [0,1] su se stesso, e in mancanza di dati e con qualche approssimazione può identificarsi nella funzione identica; in altri termini può ammettersi che possano ottenersi risultati significativi di massima con la posizione [2] Du t 1  R u t

(16)

da cui si deduce per semplice derivazione la legge di crescita del deterioramento D'u t

 Rcu t

q t

(17)

Si supponga di dover programmare la periodicità 'T di una ispezione all’ opera, e che per tale azione di sorveglianza siano destinate risorse che consentono di identificare dissesti ad un livello di deterioramento Du > D1, D1 essendo il livello minimo di vistosità del dissesto che la tecnica e la qualificazione del tipo di ispezione in oggetto consente di rilevare. E’ evidente che, posto che la ispezione al tempo “T” abbia dato esito negativo (cioè non abbia rilevato dissesti significativi) ciò deve interpretarsi nel senso che lo stato attuale dell’ opera corrisponde ad un fattore di deterioramento che certamente non sarà nullo ma sarà comunque minore di D1. Un requisito da soddisfare è che nel tempo 'T intercorrente fino alla prossima ispezione il deterioramento non possa diventare molto maggiore della soglia D1, il che renderebbe poi problematico e eccessivamente costoso l’ intervento di recupero. Per analizzare il comportamento dell’ opera durante l’ intervallo 'T a partire da “T”, che può identificarsi col tempo di missione di un dispositivo, occorre considerare la funzione di affidabilità (15) dell’ opera condizionata dalla circostanza che al tempo “T” il deterioramento osservato era inferiore alla soglia fissata. Tale affidabilità condizionata può ritenersi espressiva della legge di accumulazione del danno a partire dall’ istante T nel quale ci si è assicurati della integrità dell’ opera. In altre parole, considerata la funzione T t

Fu t| T 1  Cu t T

³ q x dx

T f

³ q x dx

(18)

R u T  R u T  t R u T

T

Pr ob ^Il sistema accumuli un guasto in T, T  t posto che è int egro al tempo T` questa può assumersi come legge di evoluzione del fattore di danno a partire dalla data dell’ ispezione, posto che questa non ha rilevato deterioramento significativo e che quindi possa assumersi convenzionalmente Du(T) = 0. La condizione che identifica il tempo 'T si riduce ad imporre Fu (T+'T | T) = D1 e puo' esprimersi nella forma T  'T

³ Rcu x dx

T

f

D1 ³ Rcu x dx

(19)

T

dalla quale può quindi dedursi 'T. Va rilevato che, a causa del progressivo invecchiamento dell’ opera, la (18) evidenzierebbe la necessità di una intensificazione della frequenza di

309

ispezione col passare del tempo, per fronteggiare il fenomeno di accelerazione del deterioramento con la età. Intervallo tra le ispezioni in funzione della età dell' opera D1=0.5%

D1=1.0%

D1=1.5%

D1=2.0%

D1=2.5%

D1=3.0%

D1=3.5%

D1=4.0%

D1=4.5%

D1=5.0%

Intervallo tra le ispezioni (anni)

20

15

10

5

0 0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17

18

19

20

Età del sistema al momento della ispezione precedente

Figura 4. Intervallo tra due ispezioni al livello di dettaglio D1 in funzione della età dell’ opera al momento della ispezione precedente

Periodo di ispezione in funzione del livello di dettaglio Età = 0

20

Età = 4anni

Intervallo tra le ispezioni (anni)

Età = 8 anni Età = 10 anni Età = 15 anni

15

Età = 20 anni

10

5

0 0,5%

1,0%

1,5%

2,0%

2,5%

3,0%

3,5%

4,0%

4,5%

5,0%

D1: Capacità risolutiva delle ispezione (Livello del fattore di danno riconoscibile)

Figura 5. Intervallo tra due ispezioni per una opera di data età in funzione del livello di dettaglio D1

A titolo di esempio, si consideri il caso in cui R(t) si assume Gaussiana. I parametri assunti si giustificano attraverso le seguenti considerazioni: x La vita media a-priori (cioè in assenza di interventi importanti di ripristino) di una costruzione civile è da più parti indicata in 50 anni. Si assume pertanto nella (13) W = 50 anni. x Vi è in generale, ed è codificato in qualche modo a livello legislativo, la aspettativa che un organismo strutturale esente da vizi non debba presentare segni di deterioramento prima di un periodo di 10 anni. Si può allora ipotizzare il valore del parametro V nella (13) attraverso la posizione WV = 10 anni, donde

310

V = 20 anni

D’ altro canto, valori del fattore di danno che da un lato siano identificabili tramite una ispezione accurata e che non siano tali da compromettere la possibilità di un pieno recupero dell’ opera possono ragionevolmente assumersi variabili tra lo 0.5% e il 5%, e possono intendersi come un indice della capacità di risoluzione della ispezione, nel senso che ispezioni meglio organizzate, eseguite da personale più esperto e con mezzi più idonei sono in grado di identificare situazioni di dissesto meno vistose di quanto non sia possibile fare con una organizzazione meno dispendiosa. Con i dati assunti si è eseguita una indagine parametrica sui risultati forniti dalla (19). In Fig. 4 è riportata la valutazione del periodo di ispezione in funzione della età dell’ opera al momento della ispezione precedente, sul presupposto che quest’ ultima non abbia rilevato un dissesto significativo al di là della necessità di opere di ordinaria manutenzione. Si evidenzia innanzitutto una tendenza che si manifesta, sia pure in varia misura, qualunque sia la età dell’ opera, e cioè il dilatarsi del periodo di ispezione al diminuire della efficienza della ispezione (cioè al crescere di D1). Ciò si spiega evidentemente con la osservazione che la frequenza di una ispezione va accordata con il ritmo di manifestazione del dissesto e che è superfluo effettuare ispezioni che non sono in grado di rilevare dissesti che sono al di sotto della soglia di percezione. D’ altro canto, i diagrammi evidenziano anche la necessità di intensificare la sorveglianza col progredire dell’ età assoluta dell’ opera. Il secondo diagramma in Fig. 5, rende più chiaramente il fenomeno già ricordato, e cioè la crescita dell’ intervallo tra due ispezioni consecutive al diminuire della efficienza della ispezione e la necessità di addensare le ispezioni con l’ invecchiamento dell’ opera. Questa ultima esigenza può però considerarsi in gran parte compensata da una efficiente azione di recupero continuo, se l’ opera viene costantemente riportata nello originario stato di efficienza all’ apparire dei primi segni di dissesto. Assunto dunque trascurabile il fenomeno dell’ invecchiamento in presenza di una gestione efficiente dell’ opera, la curva cui riferirsi diventa quella corrispondente ad Età = 0 in Fig. 5. D’ altro canto, il livello di risoluzione della ispezione deve essere tale da condurre ad una gestione economicamente produttiva della opera. Una risoluzione del 5%, con una frequenza di sorveglianza di una ispezione ogni 15 anni, comporterebbe lavori di importo pari alla medesima percentuale del 5% del costo di costruzione dell’ opera, con una media annua del 5%/15 = 0.33% annuo. La sorveglianza con frequenza quinquennale, come possibile e utile operando con ispezioni a risoluzione dello 0.5%, comporterebbe interventi che richiedono una spesa pari sempre alla medesima percentuale dello 0.5% ripartita in 5 anni, e quindi pari allo 0.5%/5 = 0.10% annuo, con evidente convenienza economica. In definitiva, il punto rappresentativo della soluzione prescelta è quello indicato dalla freccia in Fig. 5.

4. CONCLUSIONI Quanto sopra è stato dedotto sulla base di un semplice modello, fondato esclusivamente su considerazioni teoriche e sviluppato in modo empirico; ed è ben noto che è possibile sviluppare modelli assai più sofisticati e in grado di riflettere assai meglio la realtà concreta sulla quale si intende intervenire (v. ad es.[3]). Si ritiene tuttavia che il buon accordo dei suddetti risultati con la prassi e con le procedure adottate in altri Paesi per la sorveglianza delle reti infrastrutturali, basata su un notevolissimo accumulo di esperienza concreta e di attività pluridecennale nel campo, sia un ulteriore

311

elemento di convalida di tali procedure, almeno a livello di parametri fondamentali quali la cadenza e l’ intensità della sorveglianza e i livelli di rischio economico sopportabili, e soprattutto un caposaldo significativo per la estensione dei medesimi criteri a realtà diverse ma riconducibili alla medesima categoria. Si conclude osservando che la frequenza comunemente accettata per la ispezione dettagliata (presumibilmente quindi corrispondente ad un piccolo valore di D1 nella teoria sopra esposta) delle opere pontiere della rete stradale francese è fissata appunto intorno a 5 anni, e che una indagine dettagliata sul costo annuo della riparazione effettuata su di un comparto stradale sempre in Francia ha evidenziato una spesa, per i soli interventi di riparazione cui si riferiscono i risultati ottenuti nel presente capitolo, pari allo 0,09%/anno del valore delle opere, anche questo in ottimo accordo con i risultati sopra esibiti.

BIBLIOGRAFIA [1] Barlow R.E., Proschan F.: The Mathematical Theory of Reliability, John Wiley & Sons Inc., New York., 256 pp., 1965 [2] Baratta A., Renewal Policy For Historical Bridges, in Civil Infrastructure Systems: Intelligent Renewal, F. Casciati, F. Maceri, M.P. Singh & P. Spanos eds, World Scientific, Singapore, pp. 1-14, 1998 [3] Lind N.C., Nathwani J.S., Siddall E.: Managing risks in the Public Interest, Proc. Institute for Risk Research, University of Waterloo, Waterloo, Canada, 1991

Ricerca svolta con fondi della Università di Napoli e cofinanziata dal MIUR (Ministero della Università e della Ricerca Scientifica).

312

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

UN PROGRAMMA DI MANUTENZIONE PROGRAMMATA PER I PONTI GESTITI DA ENTI PUBBLICI TERRITORIALI: 1. ASPETTI GENERALI F. BENEDETTINI1, C. GENTILE2 1

2

DISAT, Università degli Studi, L’Aquila Dipartimento di Ingegneria Strutturale, Politecnico di Milano

SOMMARIO Questo lavoro, suddiviso in due parti, riguarda la messa a punto di una proposta di un programma di manutenzione programmata e di stima dei costi di ripristino per ponti e viadotti gestiti da Enti Pubblici Territoriali. Il programma è basato sulla azione di monitoraggio visivo e strumentale che permetta l’individuazione delle priorità da seguire e che risponda a criteri il più possibile oggettivi. Nel lavoro sono discussi i risultati di una serie di prove dinamiche in operational conditions, ripetute per tre volte nell’arco di cinque anni in una campagna tipo, ed i risultati di ispezioni visive complementari effettuati al fine di stabilire le priorità di manutenzione ottimale a seguito del rating delle condizioni strutturali di ogni campione della classe di ponti esaminata. Si discute, infine, l’utilizzo del software PONTILIA sviluppato dal gruppo di ricerca per gestire in maniera integrata tutte le informazioni acquisite. La seconda parte del lavoro è più specificamente dedicata all’aggiornamento dei modelli ad E.F. delle strutture analizzate (basato sui risultati del monitoraggio strumentale) e sulla possibile integrazione delle ulteriori informazioni derivanti da tale azione nel software PONTILIA. ABSTRACT The results of a campaign of repeated modal tests conducted in operational conditions and a parallel program of visual inspections are used to rate the structural conditions of a class of bridges mantained by Public Territorial Authorities and to accordingly propose a maintenance program. The results of the visual and instrumental inspections are used to establish a maintenance program whose priorities are based on objective criteria. In addition, the use of an ad hoc software developed by the research group and named PONTILIA is discussed: the software is useful to manage all the information concerning the rating procedure of the analyzed bridges. The dynamic-based model updating of the FE models of the analyzed structures and the possible use of these further information in the PONTILIA software are discussed in the second part of the paper.

313

1. INTRODUZIONE In genere tutte le strutture e fra esse i ponti, sebbene interessati da diverse forme di degrado delle prestazioni strutturali, non sono soggette a nessun test di tipo sistematico finalizzati alla individuazione delle priorità da adottare in un programma di manutenzione che consenta, per ragioni di tipo economico, soltanto interventi parziali e con budget limitato. In generale, lo stato di salute dei ponti è analizzato e monitorato per mezzo di sole campagne di ispezioni visive le quali non sono sempre basate su criteri oggettivi di classificazione dello stato di salute di ciascuna opera [1, 2] e comunque quasi mai vengono eseguiti sui ponti dei test sistematici finalizzati al controllo delle prestazioni strutturali al passare degli anni. Soltanto in casi speciali, riservati a strutture di particolare interesse strategico, e spesso solo quando le condizioni di una struttura divengono all’improvviso critiche si programmano azioni specifiche finalizzate alla identificazione ed alla classificazione del danno che interessa l’opera [3, 4]. Oggetto di questo lavoro è una proposta per la stesura di un programma di manutenzione programmata e la stima dei costi di ripristino per i ponti gestiti da Pubbliche Amministrazioni. Il monitoraggio delle condizioni strutturali al passare del tempo e la determinazione di classi omogenee di manutenzione è basato sia su ispezioni visive successive atte ad evidenziare il degrado strutturale e la sua evoluzione nel tempo che su prove dinamiche ripetute effettuate in condizioni di vibrazione ambientale (operational conditions) [5, 6], atte a controllare la stabilità nel tempo della risposta strutturale ed ad evidenziare possibili anomalie di funzionamento. Nell’ambito del programma di ricerca è stato inoltre sviluppato il software di gestione integrata delle informazioni denominato PONTILIA [7], atto a classificare i ponti in base alle risultanze delle ispezioni visive e delle prove dinamiche, a stimare i costi degli interventi di ripristino ed a creare report orientati alla descrizione delle condizioni di salute di ciascuna opera della classe analizzata. In maggior dettaglio, le azioni principali gestite dal software sono: 1) localizzazione tramite sistema GIS di ogni opera catalogata; 2) anagrafica dettagliata della struttura in forma testuale e grafica; 3) riconoscimento di possibili difetti riscontrati nell’ambito di un catalogo integrato; 4) rating di ogni difetto riscontrato; 5) ricognizione dei risultati delle prove dinamiche; 6) ottenimento di un indice di danneggiamento relativo; 7) ottenimento di classi di manutenzione omogenee; 8) ottenimento di una stima diretta dei costi di ripristino. Il software prodotto consente pertanto, all’Ente Gestore, una gestione integrata e semplice delle informazioni permettendo l’accesso immediato a tutti i dati relativi ad un singolo ponte, ai dati relativi a tutti i ponti di una determinate via di comunicazione ovvero a quelli relativi a tutti i ponti di un determinato Comune e così via. Il programma di ricerca descritto in questo lavoro cerca di estendere a tutti i ponti di una determinata classe, ad un costo ragionevole, l’uso combinato di ispezioni visive e di prove dinamiche finalizzate all’health monitoring. Il programma di ricerca propone inoltre una forma standard per esprimere i risultati delle visite ispettive ed i metodi e le condizioni standard di prova per la identificazione modale utilizzando tecniche di eccitazione ambientale per l’intera classe di opere analizzate al fine di controllarne l’integrità strutturale al passare del tempo. Un peso notevole al fine della valutazione di un indice di integrità strutturale è dato ai risultati delle prove dinamiche che hanno il duplice scopo di costituire il termine di riferimento ad una determinato istante per le prove condotte in tempi successivi così da poter individuare possibili danni strutturali e di consentire, contestualmente, la taratura di modelli ad E.F. delle strutture ritenute più importanti. In particolare, gli aspetti legati alla calibrazione

314

ed all’aggiornamento dei modelli saranno discussi nella seconda parte del lavoro [8]. In questa sede, a scopo esemplificativo, verranno presentati i risultati della campagna estensiva di prove dinamiche ed ispezioni visive condotta per 100 ponti gestiti da una Pubblica Amministrazione e ripetute tre volte nell’arco di un quinquennio. Le procedure di classificazione descritte sono state applicate a differenti sotto-classi di ponti appartenenti al gruppo in esame ed, in particolare, a ponti ad arco murario, a ponti a travi in c.a. ordinario e precompresso, a ponti ad archi gemelli in c.a. Per quel che concerne le prove dinamiche, visti il numero elevato di strutture da testare e la ripetitività dell’indagine, è stata messa a punto una procedura tipo sia per la fase di prova che per quella di identificazione modale che consentisse di ottenere risultati affidabili almeno per quel che concerne i primi modi di vibrare (frequenze e forme modali) con il numero minimo di sensori possibile. I ponti esaminati, a seconda del tipo, sono stati testati utilizzando da 6 a 10 accelerometri su un numero minimo di 6 fino ad un numero massimo di 14 punti della struttura in 1 o 2 configurazioni di misura. Sono stati in genere utilizzati 2 metodi di identificazione modale indipendenti ed operanti, rispettivamente, nel dominio delle frequenze (Enhanced Frequency Domain Decomposition, EFDD, [9]) e nel dominio del tempo (Stochastic Subspace Identification, SSI, [10]). L’applicazione dei due metodi è, a scopo esemplificativo, descritta in dettaglio con riferimento allo storico Ponte della Vittoria [11]. Nella seconda parte del lavoro [8], è discusso l’utilizzo dei risultati delle indagini dinamiche per l’aggiornamento dei parametri di modelli ad E.F. più idonei dei modelli modali all’interpretazione ingegneristica di eventuali danni strutturali evidenziati da possibili modifiche del comportamento dinamico. In particolare, l’applicazione a 4 arcate in linea di principio del tutto eguali di una tecnica di identificazione strutturale ben nota in letteratura (Douglas-Reid, [12]) ha condotto ad interpretare in chiave strutturale le differenze di comportamento dinamico modale ottenendo, inoltre, valori dei parametri elastici perfettamente in linea con quanto atteso in base alla caratterizzazione dei materiali disponibile.

2. I PONTI ANALIZZATI IN UN CASO DI STUDIO Nel territorio provinciale corrispondente alla provincia di Teramo in Abruzzo, sono stati censiti circa 300 ponti tra i quali sono stati scelti i 100 più importanti che costituiscono la classe in esame e, tra essi, 50 sui quali sono state effettuate anche le prove dinamiche ripetute in tempi successivi. In questo lavoro verranno riportati i risultati generali più significativi ottenuti durante le campagne di prova ed a titolo di esempio alcuni risultati ottenuti su un caso di studio particolarmente significativo. La classe in osservazione contiene differenti categorie di ponti che vanno dai più numerosi ponti ad arco murario a ponti in calcestruzzo di cemento armato a ponti in c.a.p.. La classe particolare dei ponti ad archi gemelli in calcestruzzo è analizzata inoltre più approfonditamente nella seconda parte del lavoro. Tutti i 50 ponti ritenuti più significativi sono stati testati per tre volte nell’arco di un quinquennio ed in Tabella 1 è riportata una sintetica classificazione di essi. Nella tabella sono riscontrabili una classificazione relativa al materiale costituente ogni singola opera, una classificazione riguardante lo schema statico riscontrato sia alcune informazioni di carattere statistico riguardante il numero di campate esaminate, la lunghezza media delle stesse, ed il numero di modi identificabili con le tecniche di identificazione precedentemente citate.

315

SCHEMA STATICO Semplice appoggio Travi continue Archi

n 28 25 6

c.a. l 19 15 45

f 4 2 5

MATERIALE c. a. p. N l f 22 6

n

45

Muratura l F

14

3

n: numero di campate provate l: luce media delle campate esaminate f: numero di modi identificati in operational conditions Tabella 1. Informazioni sintetiche sul programma di ricerca

3. PROVE DINAMICHE E PROCEDURE DI IDENTIFICAZIONE MODALE Visto il relativamente alto numero di prove da condurre è stata proposta una procedura di test ed identificazione atta ad ottenere risultati significativi con il numero minimo di sensori adatti ad identificare i primi modi strutturali. I ponti sono stati analizzati con configurazioni strumentali che hanno previsto 6-10 accelerometri posizionati su 6-14 punti in 1-2 setup sperimentali. La eccitazione, come già osservato, è stata di tipo ambientale ed in particolare, per i ponti esaminati, è stata fornita dal regolare traffico su di essi (operational conditions). La lunghezza delle serie temporali acquisite corrisponde ad un minimo di 3000 periodi fondamentali delle differenti strutture analizzate e sono state acquisite con una frequenza di campionamento di 400 Hz. A valle della acquisizione dei dati sono state utilizzate due differenti tecniche di identificazione modale. La prima tecnica, di più rapida applicazione per la snellezza del relativo algoritmo di calcolo, è la Enhanced Frequency Domain Decomposition (EFDD) [9]; si tratta di una tecnica operante nel dominio delle frequenze e basata sulla decomposizione in valori singolari della matrice spettrale delle serie temporali acquisite nei differenti punti della struttura in esame. La seconda tecnica, nota come Stochastic Subspace Identification (SSI) [10], opera nel dominio del tempo e consente di ottenere modelli modali di ordini differenti a partire dalle risposte dinamiche nei vari punti strumentati; su tali modelli identificati vengono costruiti i cosiddetti diagrammi di stabilizzazione per poter poi individuare l’ordine giusto del modello che al meglio riproduce l’andamento dei dati acquisiti. Ambedue le tecniche citate sono state applicate nell’ambito di un pacchetto software di tipo commerciale (ARTeMIS [13]). La tecnica EFDD è stata sempre applicata anche in situ, subito dopo la fase di acquisizione dei dati per essere sicuri di aver ottenuto, nella fase di test, dati significativi ed utili alla identificazione. I risultati ottenuti sono poi stati sempre confrontati con quelli ottenuti dalla SSI per essere certi di una corretta identificazione modale. I confronti sono stati condotti sia in termini di frequenze dei modi identificati sia in termini di forme modali utilizzando il ben noto indice di correlazione MAC (Modal Assurance Criterion) [14].

4. LE ISPEZIONI VISIVE ED IL SOFTWARE DI GESTIONE PONTILIA Parallelamente, nell’ambito dello stesso programma di ricerca, sono state effettuate ispezioni visive sui 100 ponti ritenuti più significativi nel territorio della Provincia di Teramo, finalizzate all’indagine difettologica. E’ stato creato appositamente un ambiente di lavoro

316

chiamato PONTILIA [7] che consente la gestione integrata di tutte le informazioni relative ad ogni ponte esaminato (Fig.1a). Mediante una analisi difettologica ad hoc, si valuta lo stato di salute di ogni ponte analizzato riconoscendo in un precostituito catalogo di difetti quello (o quelli) che interessano la struttura. Per ogni difetto riscontrato si esegue poi il relativo rating in base all’estensione, all’intensità raggiunta dal difetto, alla necessità più o meno immediata di ripristino (mentre il livello di criticità di un determinato difetto per una determinato componente strutturale è valutato automaticamente dal software). Il programma restituisce un indice globale di danno come somma pesata (coefficienti di importanza di ogni difetto e per ogni livello dello stesso), dei difetti rilevati nei vari elementi strutturali. In tal modo si effettua un monitoraggio della struttura e si valuta la necessità di interventi, più o meno urgenti, finalizzati al mantenimento nel tempo delle prestazioni strutturali. Il software è organizzato nelle seguenti sezioni: x Una sezione GIS (Fig.1b) mediante la quale si identifica ogni ponte catalogato nell’ambito del territorio di pertinenza; (a)

(b)

(c)

Figura 1. (a) Il Software di gestione PONTILIA; (b) la sezione GIS; (c) la sezione difettologica

317

x Una sezione anagrafica nella quale sono contenute tutte le informazioni utili a descrivere il ponte catalogato (informazioni di carattere storico, ambientale, strutturale, disegni e schemi tecnici, informazione su tutti i documenti tecnici quali progetto, collaudo, riparazioni per circa 400 voci per ogni struttura);sezione valutazione dell’indice globale di danno (relativo rispetto agli altri elementi della classe in esame); x Una sezione difettologica (Fig.1c) all’interno della quale ogni difetto riscontrato deve essere riconosciuto all’interno di un catalogo integrato (differente per diverse tipologie strutturali) e viene poi valutato nell’ambito della procedura di rating precedentemente descritta; x Una sezione nella quale ad ogni difetto, e per ogni livello di intensità dello stesso, viene valutato un costo di ripristino sulla base di una misura stimata dell’estensione delle parti interessate dallo specifico difetto e dei costi di ripristino dedotti dai vari prezzari regionali; x Una sezione nella quale viene automaticamente prodotto un dettagliato rapporto sulle condizioni di manutenzione di ogni ponte schedato.

5. RISULTATI Nel seguito verranno discussi sia i risultati di carattere più generale e che presentano valenza territoriale sia risultati concernenti gli approfondimenti possibili su un caso di studio particolare concernente uno storico ponte ad archi gemelli in c.a. 5.1. Risultati concernenti le prove dinamiche Una discussione generale sui risultati acquisiti può essere fatta organizzando i dati in maniera sintetica, come ad esempio fatto nella successiva Fig. 2. In essa, per tutti i casi esaminati, è riportata l’occorrenza della frequenza del primo modo simmetrico nel piano, del primo modo anti-simmetrico nel piano e del primo modo torsionale. 16

Occurrence number

14 12 10

1st symmetric

8

1st antisymmetric

6

1st torsional

4 2 0 1

3

5

7

9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 Modal frequency [Hz]

Figura 2. Occorrenza dei modi identificati e relative frequenze

Per quanto riguarda il primo modo simmetrico piano sono individuabili due ambiti di frequenza (5y9 Hz e 11y17 Hz) nei quali sono presenti un elevato numero di realizzazioni; tali ambiti individuano, rispettivamente, i ponti in c.a. a campata semplicemente appoggiata

318

ed i ponti ad arco murario di tipo massiccio. Il primo modo antisimmetrico nel piano è viceversa sparso su tutto l’intervallo di frequenze riportate in Fig. 2. Il primo modo torsionale è nuovamente molto concentrato attorno ai 6 Hz (ponti in c.a. con campata semplicemente appoggiata) ed ai 20 Hz (ponti ad arco murario di tipo massiccio). Il tipo di forma modale riscontrata e la relativa frequenza identificata così come riportati in Fig. 2 possono fornire una informazione generale di primo livello sulla vulnerabilità sismica del cluster di opere analizzato se accompagnato dalla descrizione delle caratteristiche sismo-genetiche dell’area in cui essi sono localizzati. 5.2. Risultati concernenti le priorità di intervento La stabilità nel tempo delle proprietà modali dedotta dall’esecuzione di prove dinamiche, l’assenza di comportamenti palesemente anomali nella risposta che possano prefigurare difetti strutturali e la evoluzione nel tempo dei risultati di ispezioni visive ripetute, portano alla stima di un indice globale di difettosità relativa mediante il quale ogni elemento esaminato può essere catalogato. Tale indice, che vale 1 per il ponte in condizioni di migliore manutenzione all’interno della classe esaminata e vale 0 per quello in condizioni peggiori, fornisce un utile criterio di catalogazione e permette contestualmente di definire un certo numero di classi di manutenzione associate appunto a particolari range dell’indice di danno. La proposta di classificazione in 5 diverse classi di manutenzione nel caso di studio precedentemente descritto è riportata nella successiva Fig. 3.

Figura 3. Classificazione in 5 classi di manutenzione

5.3. Un caso di studio Al fine di esemplificare l’applicazione delle tecniche EFDD ed SSI, dianzi citate ed utilizzate nell’indagine a scala territoriale si farà riferimento al Ponte della Vittoria [11] tra Cremeno e Maggio in Provincia di Lecco.

319

Il ponte, avente luce di 75 m e schema statico ad arco con via superiore, realizza l’attraversamento del torrente Pioverna tra Cremeno e Maggio su una incisione naturale avente circa 90 m di profondità. L’opera (Fig. 4a), dedicata ai caduti della I Guerra Mondiale, è stata progettata all’inizio degli anni '20 da Antonio Cavallazzi (progetto architettonico e Direzione dei Lavori) ed Arturo Danusso (progetto strutturale) e realizzata nel 1923 in soli 6 mesi, grazie all’utilizzo di un ardito ponte di servizio e di una centina. (a)

(b)

Figura 4. Ponte della Vittoria a Cremeno (LC): (a) configurazione originale (1923); (b) configurazione attuale

Figura 5. Vista longitudinale e pianta del Ponte della Vittoria a Cremeno (LC)

320

Il ponte è stato quindi oggetto di un intervento di riqualificazione nel 1984 (Fig. 4b); tale intervento, progettato da Francesco Martinez y Cabrera in modo da rispettare il più possibile l’architettura originale del manufatto, ha comportato l’allargamento dell’impalcato (dagli originali 5.00 m agli attuali 8.90 m), il rinforzo delle arcate e dei puntoni nonché l’aggiunta di traversi di controvento dei puntoni. Le principali caratteristiche geometriche del ponte nella sua configurazione attuale sono illustrate in Fig. 5. L’opera è costituita strutturalmente dai seguenti sottosistemi: 1. una soletta d’impalcato in c.a., avente larghezza di 8.90 m e spessore variabile tra 15.0 e 21.0 cm. Nella parte centrale dell’impalcato, ove trova alloggio il monumento ai caduti, la larghezza è di 10.80 m; 2. un graticcio su cui si imposta la piastra d’impalcato, costituito da 4 travi longitudinali e da traversi aventi interasse generalmente di 5.00 m (salvo che nella zona centrale di maggiore larghezza); 3. due grandi archi in c.a. ad asse parabolico e sezione rettangolare di dimensioni variabili, su cui si imposta il graticcio d’impalcato per tramite di sette coppie di puntoni. La geometria delle arcate è caratterizzata da una corda all’imposta di 53.60 m e da altezza in chiave di circa 20.0 m. Su tale ponte è attualmente in corso una ricerca pilota, finanziata dall’Amministrazione Provinciale di Lecco, sia per il monitoraggio dinamico discreto (che prevede la ripetizione di indagini di vibrazione ambientale con cadenza mensile per il periodo di 1 anno) sia per l’attuazione di un programma di gestione programmata relativo ai manufatti di maggiore importanza (in particolare, oltre al Ponte della Vittoria, i ponti sull’Adda in Provincia di Lecco).

SV (dB)

(a)

Dimensione Spazio degli Stati

frequenza (Hz)

(b)

frequenza (Hz)

Figura 6. (a) Valori singolari della matrice spettrale (EFDD); (b) Diagramma di stabilizzazione (SSI)

321

fSSI = 7.13 Hz

fSSI = 8.42 Hz

fSSI = 10.40 Hz

fSSI = 11.35 Hz

fSSI = 11.93 Hz

fSSI = 13.95 Hz

fSSI = 14.87 Hz

Figura 7. Modi principali identificati (SSI) Modo Tipo

fEFDD (Hz)

]EFDD

fSSI (Hz)

(%)

DF (%)

MAC

(%)

]SSI

V1+ V1 V2 V2+ V3+ V3 V4+

7.15 8.51 10.40 11.30 11.94 13.96 14.92

1.00 1.05 0.57 0.46 0.29 0.60 0.52

7.13 8.42 10.40 11.35 11.93 13.95 14.87

1.22 1.57 0.89 1.23 1.30 0.73 1.37

0.28 1.07  0.44 0.08 0.07 0.34

0.9872 0.9802 0.9877 0.9576 0.9116 0.9790 0.9887

Tabella 2. Ponte della Vittoria: confronto tra i parametri modali identificati mediante i metodi EFDD e SSI

La prima indagine sul ponte è stata condotta il 14 febbraio scorso. La strumentazione di misura dei segnali era costituita da accelerometri piezoelettrici WR 731A, completi di modulo di alimentazione WR P31. La risposta è stata registrata con campionamento temporale di 400 Hz in 24 punti di misura dell’impalcato (in due configurazioni sperimentali) per una durata di circa 3000 s. Conformemente alle attese, l’analisi modale sperimentale ha condotto all’identificazione di numerosi modi principali nell’ambito di frequenze 016 Hz. I valori singolari normalizzati della matrice spettrale, valutati attraverso la tecnica EFDD, sono rappresentati in Fig. 6a; i picchi nel primo (e maggiore) valore singolare corrispondono alle frequenze naturali del sistema. La Fig. 6b mostra il diagramma di stabilizzazione ottenuto attraverso l’applicazione della tecnica SSI alle accelerazioni registrate nella seconda configurazione sperimentale. Le frequenze proprie del sistema analizzato sono facilmente identificabili in Figg. 6a-b; infatti, la tecnica SSI conduce alla chiara individuazione delle frequenze modali attraverso gli allineamenti dei poli stabili, posti a 7.13, 8.42, 10.40, 11.35, 11.93, 13.95 e 14.97 Hz (Fig.

322

6b). Utilizzando la tecnica EFDD, il primo valore singolare normalizzato (Fig. 6a) mostra dei picchi locali assai ben definiti in corrispondenza delle medesime frequenze. In totale sono stati identificati 7 modi principali, illustrati in Fig. 7, che possono classificarsi come modi flessionali verticali d’impalcato (V+) o modi torsionali d’impalcato (V). Il confronto tra le stime dei parametri modali ottenute dai metodi EFDD ed SSI è illustrato quantitativamente in Tabella 2 ove, unitamente alla classificazione dei modi identificati, sono riportate le frequenze e gli smorzamenti identificati, l’indice di correlazione MAC e la differenza percentuale tra le frequenze DF = |(fSSIfEFDD)/fSSI|. Come si può osservare, i valori riportati in Tab. 2 evidenziano un eccellente accordo tra le stime fornite dai due approcci sia in termini di frequenze proprie (con differenza percentuale massima di 1.07%) sia in termini di deformate modali (con valori di MAC generalmente superiori a 0.95).

6. CONCLUSIONI In questo lavoro è stata presentata una procedura operativa basata sul duplice utilizzo di prove dinamiche ed ispezioni visive ripetute finalizzate alla stesura di un programma di manutenzione per i ponti e viadotti gestiti da Enti Pubblici Territoriali. Il lavoro ha lo scopo di tenere sotto controllo l’evolvere delle condizioni strutturali al passare degli anni. A causa del numero relativamente alto di ponti da analizzare (programma strategico a carattere territoriale) e per il carattere ripetitivo del programma di ricerca l’identificazione modale su cui è basato anche il programma di prove è stata condotta in operational conditions usando soltanto una eccitazione di tipo ambientale (il regolare traffico sui ponti). Si è inoltre cercato di sistematizzare l’esecuzione di visite ispettive condotte parallelamente alle prove strumentali mediante l’utilizzo del software di gestione denominato PONTILIA. Sono stati esaminati sia risultati di carattere generale che descrivono sinteticamente il comportamento dinamico della classe di strutture analizzate ed i risultati ottenibili in termini di creazione di classi omogenee di manutenzione sia risultati più specifici validi per un singolo caso di studio concernenti la interazione tra il programma di prove e la modellazione ad EF coerente di una struttura analizzata. Il rilevamento e la localizzazione di eventuali danni riscontrati al passare degli anni assieme ai risultati di ispezioni visive programmate possono essere usati a parere degli scriventi quali criterio di rating delle condizioni strutturali per formulare un opportuno programma di manutenzione programmata basata sull’uso delle due campagne complementari di ispezioni e prove.

RINGRAZIAMENTI Il presente lavoro è stato supportato dall’Amm.ne Provinciale di Teramo, dall’Amm.ne Provinciale di Lecco e dal M.I.U.R. (PRIN 2004 e 2005).

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

UN PROGRAMMA DI MANUTENZIONE PROGRAMMATA PER I PONTI GESTITI DA ENTI PUBBLICI TERRITORIALI: 2. MODEL UPDATING E FUTURI SVILUPPI F. BENEDETTINI1, C. GENTILE2 1

2

DISAT, Università degli Studi, L’Aquila Dipartimento di Ingegneria Strutturale, Politecnico di Milano

SOMMARIO Il lavoro, suddiviso in due parti, riguarda la proposta di un programma di manutenzione programmata per ponti e viadotti gestiti da Enti Pubblici Territoriali. Il programma, descritto nelle sue linee generali nella prima parte, è basato su ispezioni visive ed indagini dinamiche in condizioni di vibrazione ambientale. Questa seconda parte del lavoro è più specificamente dedicata all’utilizzo della caratterizzazione dinamica modale per l’aggiornamento di modelli ad E.F. delle strutture analizzate; l’algoritmo di identificazione strutturale analizzato è il metodo di Douglas-Reid, che per la sua relativa semplicità ben si presta all’utilizzo nell’ambito di programmi di manutenzione programmata. In particolare, l’approfondimento è dedicato alla classe dei ponti ad arco in c.a. in quanto molti di questi ponti, prevalentemente risalenti alla prima metà del '900, sono stati progettati con riferimento a normative superate e versano probabilmente in condizioni danneggiate o prossime al danneggiamento. ABSTRACT The paper, divided in two parts, deals with the use of repeated modal tests conducted in operational conditions and of visual inspections to rate the structural conditions of a class of bridges maintained by Public Territorial Authorities. This second part of the work summarizes the dynamic-based assessment of 4 similar R.C. arch bridges, dating back to the 50’s. The investigated bridges, in principle perfectly equal, belong to a viaduct consisting of 7 open spandrel arch bridges. The dynamic-based assessment involves ambient vibration testing, output-only modal identification and updating of the uncertain structural parameters of a F.E. model. The structural identification methodology and its results are especially addressed and the simple Douglas-Reid algorithm seems to be especially suitable for being used in advanced Bridge Management Systems.

1. INTRODUZIONE Quasi sempre i programmi di manutenzione degli Enti Pubblici Territoriali od Enti di

325

Gestione sono basati solo su visite periodiche di ispezione effettuate, peraltro, senza alcuna condizione di ripetitività ed i cui risultati sono fortemente dipendenti da chi effettua le visite. Quasi mai tali ispezioni implicano misure in situ e tanto meno indagini dinamiche di vibrazione ambientale (operational conditions). Prove di tipo statico e/o dinamico, finalizzate all’individuazione di possibili malfunzionamenti strutturali sono effettuate raramente e solo in casi particolari, ovvero quando la rilevanza della struttura è così elevata o le condizioni di danneggiamento così avanzate da suggerire una analisi più approfondita delle condizioni strutturali. Il programma di ricerca descritto nella prima parte di questo lavoro [1] propone di estendere a tutti i ponti di una determinata classe, ad un costo ragionevole, l’uso combinato di ispezioni visive e di prove dinamiche finalizzate all’health monitoring. In questa seconda parte del lavoro, viene esemplificato l’utilizzo delle caratteristiche modali identificate in operational conditions per la calibrazione di modelli ad E.F. che, meglio dei modelli modali, consentono l’interpretazione ingegneristica di eventuali danni strutturali evidenziati da possibili modifiche del comportamento dinamico. Dal momento che si opera in base ai risultati di campagne di indagine dinamica con limitato numero di sensori, l’aggiornamento dei parametri è condotto con tecniche semplici (quali il tradizionale tuning manuale o il metodo di Douglas-Reid [2]) e facendo riferimento prevalentemente ai valori delle frequenze naturali sperimentali. In particolare, le applicazioni presentate sono riferite a ponti ad arco in c.a. Infatti, le indagini dinamiche in condizioni di vibrazione ambientale e l’analisi modale sperimentale sono, in linea teorica, particolarmente adatte per l’analisi dei moderni ponti ad arco in acciaio [3, 4] ed in c.a. [5, 6, 7]; infatti queste strutture sono, in generale, piuttosto flessibili, per cui è possibile identificare sperimentalmente un elevato numero di modi principali. Inoltre, le moderne tecniche d’indagine dei ponti, basate sull’ispezione visiva e condotte da personale qualificato, possono essere a volte non adatte o non facili da applicare ai ponti ad arco, in particolare quando il manufatto attraversa una valle profonda o un fiume. Infine, l’epoca di maggior sviluppo dei ponti ad arco in c.a. risale alla prima metà del '900 e molti di questi ponti, progettati con riferimento a normative superate, sono probabilmente in condizioni danneggiate o prossime al danneggiamento. Nello specifico, la nota presenta i risultati di una recente ricerca sperimentale e teorica sul comportamento dinamico di quattro ponti ad arco in c.a. I ponti analizzati sono, in linea di principio, perfettamente uguali e fanno parte del viadotto di Cairate (Varese). La sperimentazione dinamica in condizioni di vibrazione ambientale è stata condotta su ciascuna arcata del viadotto utilizzando un sistema di acquisizione dati con 26 accelerometri piezoelettrici. A seguito delle indagini, è stato possibile identificare un elevato numero di modi principali nell’intervallo di frequenza 0-11 Hz utilizzando la tecnica EFDD [8, 9, 10]. Come prevedibile, le 4 strutture analizzate hanno evidenziato un comportamento dinamico simile in termini sia di frequenze naturali sia di forme modali. Nella parte teorica dello studio, è stato sviluppato un modello "base" ad elementi finiti e le principali assunzioni adottate nel modello sono state dapprima validate attraverso un sommario confronto tra i parametri modali teorici e misurati. Successivamente, la distribuzione dei moduli elastici del modello è stata aggiornata, per ciascun ponte, facendo riferimento ad una suddivisione della struttura in 10 regioni omogenee al fine di ridurre il numero dei parametri nella procedura di identificazione strutturale. L’aggiornamento dei parametri è stato condotto mediante la procedura di Douglas-Reid [2], particolarmente indicata nel caso specifico in cui le strutture presentano in linea di la medesima geometria. Infatti, in base alla tecnica [2], viene approssimata la dipendenza di ogni parametro modale del modello dai parametri strutturali incerti e, successivamente,

326

questo stesso gruppo di funzioni approssimanti viene confrontato con i corrispondenti valori sperimentali di ogni ponte, attraverso un algoritmo di minimizzazione, per ottenere la migliore stima dei parametri strutturali. L’applicazione della metodo di Douglas-Reid ai ponti esaminati ha condotto a modelli aggiornati che riproducono accuratamente i parametri modali stimati per ogni ponte; inoltre, i parametri identificati sono in buon accordo con le caratterizzazioni dei materiali disponibili. Nell’ambito specifico dei programmi di gestione e manutenzione, il metodo di identificazione strutturale adottato [2] appare di notevole interesse in quanto esso è basato su un numero limitato di indagini ad E.F., condotte con differenti valori dei parametri strutturali del modello da aggiornare. Una volta che tali analisi preliminari hanno consentito di definire un’approssimazione della dipendenza dei parametri modali del modello dai parametri da aggiornare ed effettuata la prima calibrazione del modello, l’inserimento sia dei risultati della calibrazione sia della procedura medesima all’interno del software PONTILIA [11], discusso nella prima parte del lavoro, appare uno sviluppo naturale, relativamente semplice e piuttosto promettente, soprattutto per le strutture di maggiore importanza.

2. DESCRIZIONE DEI PONTI E DELLE INDAGINI SPERIMENTALI La valle dell’Olona è attraversata, nei pressi di Varese, dal viadotto di Cairate, collocato sulla strada provinciale tra Cairate e Cassano-Magnago. Una vista generale e le principali caratteristiche del viadotto sono illustrate in Fig. 1. Il viadotto, realizzato negli anni 50, è lungo 447 m ed è costituito da 7 campate ad arco in c.a. ordinario, della lunghezza di 54.10 m ciascuna (Fig. 2). Nel lavoro si fa riferimento alle 4 campate intermedie (indicate come Campate 03-06 in Fig.1) che sono, in linea di principio, perfettamente uguali e caratterizzate da una pendenza longitudinale del 4%. L’impalcato di ciascuna arcata (Fig. 2) è largo 10.0 m e comprende due carreggiate e due marciapiedi. Al fine di consentire i movimenti longitudinali e trasversali tra gli impalcati successivi, ad entrambe le estremità di ogni soletta sono collocati giunti di dilatazione. In tali condizioni, è lecito assumere l’indipendenza strutturale tra le differenti campate. Ciascuna campata del viadotto è costituita strutturalmente dai seguenti sottosistemi: 1. una soletta d’impalcato in c.a., avente larghezza di 10.0 m e spessore di 28.0 cm; 2. un graticcio su cui si imposta la piastra d’impalcato, costituito da 4 travi longitudinali aventi interasse di 2.35 m e da traversi posti ad interasse di 6.50 m; 3. sei stilate di puntoni verticali, di altezza variabile tra circa 7.0 m e 30.0 m, su cui si imposta il graticcio d’impalcato. Le due cortine più esterne sono connesse direttamente al plinto massiccio di fondazione; inoltre, i puntoni esterni, originariamente collegati trasversalmente da traversi e diagonali di controvento, sono stati successivamente irrigiditi fino a circa metà altezza con l’aggiunta di tamponamenti in c.a. in spessore;

Figura 1. Viadotto di Cairate sulla valle Olona: successione delle arcate

327

Figura 2. Pianta, vista longitudinale e sezioni trasversali delle arcate 03-06 analizzate (dimensioni in cm)

4. quattro grandi archi in c.a. ad asse parabolico e sezione rettangolare variabile (tra 45u160 cm2 alle imposte e 45u90 cm2 in chiave) su cui si imposta il graticcio d’impalcato per tramite di quattro cortine di puntoni verticali. La geometria delle arcate tipiche è caratterizzata da una corda all’imposta di 46.0 m e da altezza in chiave di circa 30.0 m. Sul viadotto sono state condotte indagini dinamiche in condizioni di vibrazione ambientale, utilizzando un sistema di acquisizione a 32 canali con 26 accelerometri monoassiali (PCB 393C). Durante le prove sono state utilizzate due differenti configurazioni di misura sulle arcate 04, 06 (Fig. 3a) e sulle arcate 03, 05 (Fig. 3b); nella prima configurazione i sensori sono stati posizionati solo sull’impalcato, mentre nella seconda configurazione 12 sensori sono stati posizionati anche in direzione ortogonale all’asse delle arcate. In entrambi i casi, sono state effettuate registrazioni digitali delle accelerazioni indotte dal normale transito veicolare per una durata di 3000s, con frequenza di campionamento di 400 Hz.

3. COMPORTAMENTO DINAMICO DELLE ARCATE ANALIZZATE L’identificazione dei parametri modali è stata condotta utilizzando la tecnica nota in letteratura come Enhanced Frequency Domain Decomposition o EFDD [8, 9, 10] nel dominio delle frequenze. Conformemente alle attese, l’analisi modale sperimentale ha condotto all’identificazione di numerosi modi principali nell’intervallo di frequenza di 0-11 Hz. Per ogni campata, sono stati identificati 12 modi di vibrare verticali (8 flessionali e 4 torsionali), con buona corrispondenza tra le deformate modali osservate; inoltre, sono stati identificati 2 modi laterali per le arcate 04, 05 e 06. Le frequenze naturali dei modi verticali sono riassunte

328

attraverso i diagrammi spettrali delle Figg 4a e 4b, che mostrano il primo valore singolare della matrice spettrale delle accelerazioni verticali; in particolare, la Fig. 4a si riferisce alle campate 03 e 04, mentre la Fig. 4b si riferisce alla campate successive. (a)

(b)

Figura 3. Disposizione dei sensori adottata: (a) Campate 04 e 06; (b) Campate 03 e 05 (a)

20

Arcata 03 Arcata 04

SV1 (dB)

10

0

-10

-20 1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

7

8

9

10

11

frequenza (Hz) (b)

20

Arcata 05 Arcata 06

SV1 (dB)

10

0

-10

-20 1

2

3

4

5

6

frequenza (Hz) Figura 4. Primo Valore Singolare della matrice spettrale (risposte verticali): a) Arcaate 03-04; (b) Arcate 05-06

329

I modi individuati possono essere classificati come: + 1. modi flessionali verticali d’impalcato, V . Tali modi possono coinvolgere significativi (e talora dominanti) moti longitudinali dell’impalcato; 2. modi torsionali d’impalcato, V; 3. modi laterali d’impalcato, L. I modi identificati e la loro classificazione sono riassunti in Tabella 1 riassume per ciascuna campata. I valori delle frequenze naturali, elencati in Tabella 1, sottolineano chiaramente che, conformemente alle attese, le 4 strutture evidenziano una forte similitudine nel comportamento dinamico modale. Ad ulteriore conferma, l’esame delle Figg. 4a e 4b rivela chiaramente che i diagrammi del primo valore singolare delle differenti campate generalmente mostrano picchi corrispondenti di forma simile e lievemente traslati tra le differenti strutture. In Fig. 5 sono illustrate le forme modali identificate per alcuni modi della Campata 04. f = 1.247 Hz

] = 4.71%

f = 1.275 Hz

] = 2.14%

f = 3.201 Hz

] = 1.40%

f = 4.024 Hz

] = 1.04%

f = 6.002 Hz

] = 0.43%

f = 7.182 Hz

] = 0.50%

f = 7.394 Hz

] = 0.73%

f = 8.293 Hz

] = 0.35%

f = 9.240 Hz

] = 0.20%

Figura 5. Modi di vibrare identificati dalle indagini dinamiche ambientali (Campata 04)

Per ciò che riguarda i fattori di smorzamento, i valori stimati generalmente variano tra 0.20

330

+

+

e 1.40% (modi da V2 a V8 , L2, da V1 a V4), valori usuali per strutture in c.a. La Tabella + 1 mostra, tuttavia, che i modi L1 e V1 , che coinvolgono significativi spostamenti trasversali e longitudinali d’impalcato (Fig. 5), presentano smorzamenti maggiori (2.28%d]d4.71%) rispetto a quelli generalmente ottenuti per bassi livelli di vibrazione ambientale. Tale comportamento è probabilmente da porsi in relazione ad un contributo di dissipazione d’energia localizzato nei giunti di dilatazione. Arcata 03

Arcata 04

Arcata 05

Arcata 06

Modo Tipo

f (Hz)

] (%)

f (Hz)

] (%)

f (Hz)

] (%)

f (Hz)

] (%)

L1 V1+ V2+ L2 V3+ V4+ V1 V5+ V6+ V2 V7+ V3 V4 V8+

 1.294 2.297  4.040 5.518 5.927 6.396 6.736 7.112 7.322 8.167 9.219 10.320

 4.70 0.85  0.98 0.79 0.36 0.64 0.31 0.52 0.61 0.54 0.59 0.27

1.247 1.275 2.249 3.201 4.024 5.577 6.002 6.467 6.680 7.182 7.394 8.293 9.240 10.040

4.71 2.14 0.89 1.40 1.04 0.90 0.43 0.32 0.28 0.50 0.73 0.35 0.20 0.21

1.172 1.261 2.230 3.076 3.875 5.396 5.798 6.301 6.514 6.898 7.193 7.905 8.949 9.781

3.14 2.28 0.88 1.37 1.21 0.93 0.71 0.33 0.31 0.61 0.79 0.55 0.67 1.13

1.197 1.273 2.261 3.037 3.825 5.239 5.757 6.035 6.543 6.738 6.978 7.755 8.737 9.501

2.99 4.00 0.62 1.16 0.99 0.68 0.48 0.56 0.85 0.31 0.64 0.41 0.58 0.95

Tabella 1. Parametri modali identificati per le differenti arcate

4. MODELLAZIONE AD E.F. ED IDENTIFICAZIONE STRUTTURALE L’indagine sperimentale è stata preceduta dallo sviluppo di un modello 3D ad elementi finiti (Fig. 6), basato sui disegni di progetto e sulle ispezioni condotte in situ. Il modello è stato formulato utilizzando le seguenti assunzioni: a) gli archi, i puntoni verticali, il graticcio d’impalcato e gli elementi di connessione trasversale sono stati simulati mediante elementi finiti di trave a 2 nodi laddove la soletta d’impalcato ed i setti di tamponamento dei puntoni esterni sono stati descritti mediante elementi shell a 4 nodi; b) gli archi ed i puntoni esterni sono stati considerati perfettamente incastrati alla base; c) il modulo di Poisson del calcestruzzo è stato assunto costante e pari a 0.20; d) il peso specifico di tutti gli elementi lineari (graticcio d’impalcato, arcate, puntoni, traversi e diagonali di controvento) è stato assunto pari a 24.0 kN/m3; e) per la piastra d’impalcato si è assunto un peso di volume fittizio di 30.5 kN/m3 per tenere conto al contempo sia del peso proprio strutturale sia del peso della pavimentazione stradale. Il modello consta di 420 nodi, 513 elementi trave e 114 elementi piastra per un totale di 2424 gradi di libertà. Al fine di effettuare un preliminare confronto tra le caratteristiche dinamiche del modello e delle strutture analizzate, è stata condotta una prima analisi modale. In tale analisi, il modulo elastico del c.a. è stato assunto pari a 32.0 GPa per tutti gli elementi strutturali. Si noti che il valore assunto sembra alquanto conservativo, con riferimento ai risultati delle prove di compressione su carote estratte dagli archi principali delle campate 03 e 05; le prove hanno fornito valori di resistenza a compressione fc compresi tra 30.0 e 54.0 N/mm2 mentre il modulo elastico è risultato compreso tra 32.038.0 GPa.

331

L’analisi preliminare, nonostante la sua approssimazione, ha rivelato una corrispondenza uno-ad-uno con le forme modali osservate fornendo così una sufficiente verifica delle assunzioni adottate nel modello. Dal momento che la geometria delle arcate era stata oggetto di accurate verifiche in situ ed essendo l’interazione suolo-struttura difficilmente coinvolta per i bassi livelli di vibrazioni presenti in operational conditions, le maggiori incertezze rimangono legate alle caratteristiche elastiche del calcestruzzo. Pertanto la distribuzione dei moduli elastici è stata aggiornata facendo riferimento alla suddivisione in 10 regioni omogenee illustrata in Fig. 7 e stabilita in modo da tenere approssimativamente in considerazione le successive fasi di costruzione.

Figura 6. Vista (con estrusione degli elementi) del modello ad E.F. utilizzato

Figura 7. Suddivisione in regioni omogenee adottata per l’aggiornamento dei parametri strutturali

332

Una volta stabilito il modello di riferimento della struttura e definiti i parametri strutturali da aggiornare, tali parametri sono stati valutati in modo da rendere minima la differenza tra le frequenze naturali calcolate e misurate mediante la procedura di Douglas-Reid [2]. In base a tale approccio, la dipendenza delle frequenze naturali del modello dai parametri strutturali incerti Xk (k=1,2,…, N) viene approssimata, in un certo intorno dei valori delle Xk , dalla seguente relazione: f i* ( X 1 , X 2 ,..., X N )

N

¦ [ Aik X k  Bik X k2 ]  Ci

(1)

k 1

ove fi* rappresenta l’approssimazione assunta per la i-esima frequenza principale del modello ed i coefficienti Aik, Bik, Ci sono delle costanti da determinare prima di stimare i parametri strutturali incogniti minimizzando nel senso dei minimi quadrati lo scarto tra le fi* ed i valori sperimentali fi: M

¦ wi H i2

(2a)

f i  f i* (X 1 , X 2 ,..., X N )

(2b)

J

i 1

Hi

essendo wi una costante peso. Naturalmente, dal momento che l’eq. (1) può rappresentare una ragionevole approssimazione della dipendenza delle frequenze del modello dai parametri incogniti nell’intorno di un valore "base" di tali parametri XkB (k=1,2,…, N) delimitato da limiti inferiori XkL e superiori XkU (k=1,2,…, N), i coefficienti Aik, Bik, Ci sono dipendenti sia dal valore "base" sia dalle dimensioni dell’intorno in cui la (1) è ritenuta valida (ovvero dai valori limite superiori ed inferiori). I coefficienti Aik, Bik, Ci vengono agevolmente valutati da (2N+1) analisi ad elementi finiti, ciascuna con una scelta differente dei parametri: la prima scelta dei parametri corrisponde ai valori base; successivamente ogni parametro viene variato, uno alla volta, dal valore base ai valori limite superiore ed inferiore rispettivamente. In Tabella 2 sono riassunti i valori base (EB) ed i limiti inferiori (EL) e superiori (EU) dei moduli elastici assunti nella valutazione delle funzioni approssimanti (1), nonché i valori (EF) forniti dalla procedura di aggiornamento e caratterizzanti ciascun modello ottimale. La stabilità dei risultati è stata verificata sia ripetendo la procedura con differenti punti di partenza sia utilizzando diversi valori base per stimare le funzioni approssimanti (1). Zona

EL (GPa)

EB (GPa)

EU (GPa)

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

25.00 20.00 20.00 25.00 25.00 20.00 25.00 25.00 25.00 25.00

35.00 25.00 25.00 35.00 35.00 35.00 35.00 35.00 35.00 35.00

50.00 45.00 45.00 45.00 45.00 50.00 50.00 50.00 50.00 50.00

Arcata 03

Arcata 04

Arcata 05

Arcata 06

EF (GPa) 39.36 33.07 33.30 37.90 32.80 37.94 (1) 38.20 38.74 40.07 (2) 38.05 (3)

EF (GPa) 38.94 33.78 30.50 43.42 34.32 37.91 30.63 36.36 32.49 31.26

EF (GPa) 35.51 35.91 20.75 43.08 33.22 36.70 (4) 33.69 (5) 33.94 33.92 36.24 (6)

EF (GPa) 31.33 33.02 27.33 34.37 30.86 32.80 32.73 32.73 34.09 31.32

(1)

(4)

(2)

(5)

E = 37.74 GPa E = 31.60 GPa (3) E = 37.17 GPa

Dalle prove sui campioni prelevati

Tabella 2. Parametri strutturali dei modelli aggiornati

333

E = 35.80 Gpa E = 33.05 GPa (6) E = 36.15 Gpa

E’ importante osservare che i valori stimati dei moduli elastici suggeriscono sia una qualità soddisfacente del calcestruzzo sia un buono stato di conservazione delle strutture; infatti, i valori ottimali sono compresi nei seguenti intervalli: 1. 32.80y40.07 GPa per la campata 03; 2. 30.50y43.42 GPa per la campata 04; 3. 33.22y43.08 GPa per la Campata 05, ad eccezione della zona 3 in Fig. 7, dove il modello ottimale fornisce un valore di 20.75 GPa; 4. 27.33y34.37 GPa per la Campata 06. Inoltre, i valori stimati del modulo elastico sono generalmente in buon accordo con quelli disponibili, ottenuti dalla caratterizzazione dei materiali ed indicati in Tabella 2. I modelli aggiornati riproducono accuratamente i parametri modali sperimentali (frequenze naturali e forme modali). Le frequenze naturali teoriche vengono confrontate con quelle sperimentali nella Tabella 3; per tutte le strutture analizzate; è possibile osservare che il massimo errore relativo tra frequenze naturali (che prima dell’aggiornamento era maggiore del 10.0%) diventa dell’ordine del 4.4%, 5.3%, 6.1% e 6.0% per i 4 diversi ponti rispettivamente. Come ulteriore dimostrazione, la corrispondenza tra le deformate modali teoriche e sperimentali dell’arcata 04 è sono illustrata in Fig. 8.

Arcata 03 Modo Tipo L1 V1+ V2+ L2 V3+ V4

+

V1 V5+ V6

+

V2 V7+ V3



V4 V8+

EXP FEM EXP FEM EXP FEM EXP FEM EXP FEM EXP FEM EXP FEM EXP FEM EXP FEM EXP FEM EXP FEM EXP FEM EXP FEM EXP FEM

f (Hz)  1.326 1.294 1.318 2.297 2.298  3.351 4.040 4.214 5.518 5.411 5.927 5.955 6.396 6.260 6.736 6.477 7.112 6.936 7.322 7.388 8.167 7.853 9.219 8.930 10.320 10.406

DF (%)  1.85 0.04  4.31 1.94 0.47 2.13 3.85 2.47 0.90 3.84 3.13 0.83

Arcata 04 f (Hz)

DF (%)

1.247 1.296 1.275 1.274 2.249 2.308 3.201 3.216 4.024 4.059 5.577 5.386 6.002 5.858 6.467 6.138 6.680 6.501 7.182 6.804 7.394 7.351 8.293 7.939 9.240 8.899 10.040 10.082

3.93 0.08 2.62 0.47 0.87 3.42 2.40 5.09 2.68 5.26 0.58 4.27 3.69 0.42

Arcata 05 f (Hz) 1.172 1.197 1.261 1.261 2.230 2.366 3.076 3.247 3.875 4.045 5.396 5.467 5.798 5.839 6.301 6.371 6.514 6.587 6.898 6.793 7.193 7.277 7.905 7.844 8.949 8.570 9.781 9.736

DF (%) 2.13 0.00 6.10 5.56 4.39 1.32 0.71 1.11 1.12 1.52 1.17 0.77 4.24 0.46

Arcata 06 f (Hz) 1.197 1.254 1.273 1.205 2.261 2.266 3.037 3.163 3.825 3.876 5.239 5.053 5.757 5.576 6.035 5.763 6.543 6.310 6.738 6.560 6.978 6.934 7.755 7.410 8.737 8.219 9.501 9.569

DF (%) 4.76 5.34 0.22 4.15 1.33 3.55 3.14 4.51 3.56 2.64 0.63 4.45 5.93 0.72

Tabella 3. Correlazione tra le frequenze naturali sperimentali (EXP) e dei modelli aggiornati (FEM)

334

fEXP = 1.247 Hz

fFEM = 1.296 Hz

fEXP = 1.275 Hz

fFEM = 1.274 Hz

fEXP = 4.024 Hz

fFEM = 4.059 Hz

fEXP = 5.577 Hz

fFEM = 5.386 Hz

fEXP = 6.002 Hz

fFEM = 5.858 Hz

fEXP = 7.182 Hz

fFEM = 6.804 Hz

fEXP= 7.394 Hz

fFEM = 7.351 Hz

fEXP = 8.293 Hz

fFEM = 7.939 Hz

fEXP = 9.240 Hz

fFEM = 8.899 Hz

Figura 8. Arcata 04: Confronto tra le forme modali sperimentali ( x ) e del modello aggiornato (  )

5. CONCLUSIONI Nell’articolo è stata applicata a 4 ponti ad arco in c.a. simili tra loro una metodologia per l’aggiornamento di modelli E.F. basata sui risultati dell’analisi modale sperimentale in condizioni operative. Per ciascun ponte, sono stati identificati dal rilievo delle vibrazioni ambientali almeno 12 modi di vibrare verticali (8 flessionali e 4 torsionali), nell’ambito di frequenza di 0-11 Hz. La fase di identificazione strutturale è stata condotta mediante la semplice tecnica di DouglasReid [2]. Tale approccio comporta un numero limitato di analisi ad elementi finiti, ciascuna con una scelta differente dei parametri da aggiornare. In base ai risultati di queste analisi teoriche, la dipendenza di ogni parametro modale del modello dai parametri incerti è approssimativamente determinata e quindi confrontata con il corrispondente valore

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sperimentale attraverso un algoritmo di minimizzazione che produce la stima ottimale dei parametri strutturali. L’applicazione del metodo di Douglas-Reid ai ponti indagati ha fornito, con un onere computazionale assai limitato, stime stabili dei parametri incerti, che sono anche in buon accordo con la caratterizzazione dei materiali disponibile; inoltre, i modelli aggiornati riproducono accuratamente i parametri modali osservati di ciascuna struttura. Come ultima notazione, la tecnica adottata sembra essere particolarmente adatta non solo per l’aggiornamento su base dinamica di modelli di strutture simili ma, più in generale, per l’utilizzo sistematico nell’ambito di programmi di manutenzione programmata.

RINGRAZIAMENTI Il presente lavoro è stato supportato dall’Amm.ne Provinciale di Varese e dal M.I.U.R. (PRIN 2004 e 2005). Un particolare ringraziamento va all’Ing. Giorgio Pedrazzi, la cui grande sensibilità professionale ha reso possibile l’esecuzione della ricerca, e all’Arch. Claudio Caiazzo, per il prezioso contributo nella fase di analisi del segnale ed analisi modale sperimentale.

BIBLIOGRAFIA [1] Benedettini F., Gentile C.: Un programma di gestione programmata per i ponti gestiti da Enti Pubblici Territoriali: 1. Aspetti generali, Convegno Nazionale Crolli e Affidabilità delle Strutture Civili, Messina, 2006. [2] Douglas B.M., Reid W.H.: Dynamic tests and system identification of bridges, Journal Structural Div., ASCE, Vol. 108(10), pp. 2295-2312 (1982). [3] Calcada R., Cunha A., Delgado R.: Dynamic analysis of metallic arch railway bridge, Journal of Bridge Engineering, ASCE, Vol. 7(4), pp. 214-222 (2000). [4] Ren W.X., Zhao T., Harik I.E.: Experimental and analytical modal analysis of a steel arch bridge, Journal of Structural Engineering, ASCE, Vol. 130(7), pp. 1022-1031 (2004). [5] Cantieni R., Deger Y., Pietrzko S.: Modal analysis of a concrete arch bridge: linking experiments and analysis, Proc. 4th Int. Conf. on Short and Medium Span Bridges, 1994. [6] Benedettini F., Alaggio R., Manetta, P.: Arch bridges in Provincia di Teramo: tests, identification and numerical models, Proc. 1st Int. Operational Modal Analysis Conference (IOMAC), Copenaghen, 2005. [7] Gentile C.: Modal and structural identification of a r.c. arch bridge, Structural Engineering & Mechanics, Vol. 22(1), pp. 53-70 (2006). [8] Brincker R., Zhang L.M., Andersen, P.: Modal identification from ambient responses using Frequency Domain Decomposition, Proc. 18th Int. Modal Analysis Conference (IMAC), San Antonio, 2000. [9] Brincker R., Ventura C.E., Andersen P.: Damping estimation by Frequency Domain Decomposition, Proc. 19th Int. Modal Analysis Conference (IMAC), pp. 441-446 (2001). [10] ARTeMIS Program Overview, http://www.svibs.com, 2005. [11] PONTILIA: An integrated software to manage health monitoring information on a cluster of bridges, issued by DISAT-University of L’Aquila, Monteluco di Roio, L’Aquila, Italy.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

PREVENZIONE E CONTROLLO DEI DISSESTI STRUTTURALI CON TECNICHE DI MONITORAGGIO DI SORVEGLIANZA M. BRIGANTE1, M. G. D’URSO2 1

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Dipartimento di Scienza delle Costruzioni, Università degli Studi di Napoli Federico II Dipartimento di Meccanica, Strutture, Ambiente e Territorio, Università degli Studi Cassino

SOMMARIO Si illustrano le metodologie scelte ed attuate in due casi di monitoraggio di sorveglianza, progettati per il controllo e la misura di eventuali effetti (statici o dinamici) trasmessi su costruzioni e manufatti esistenti in adiacenza ad aree interessate da lavori di nuove opere, con lavori di scavo, trivellazione o di particolare rischio. Entrambi i sistemi di monitoraggio sono stati realizzati con livelli di accuratezza coerenti con gli obiettivi prefissati ed hanno avuto il merito di costituire, con costi molto contenuti, un valido supporto per il controllo delle fasi di lavorazione critiche. I risultati delle due attività di sperimentazione hanno avuto positive ricadute sul rispetto tempi del programma dei lavori e sulla quasi completa eliminazione di contenziosi per danni temuti o subiti. ABSTRACT We describe the methodologies which have been adopted to monitor two study cases for controlling potential effects induced by works in progress near existing structures. Both monitoring systems have been realized with levels of accuracy compatible with the predefined objectives and they have represented, at a low cost, not only a robust technical support to choose the more appropriate working techniques but also a psychological deterrent to eliminate potential legal disputes and delays in the working stages.

1. PREMESSA Il monitoraggio è un “breaktrough” ormai accettato in maniera definitiva quale metodo di indagine, di analisi e di manutenzione delle strutture. Nonostante le attuali e continue dimostrazioni di interesse esso, però, è ancora poco presente nell’ambito dei processi costruttivi; viceversa, nella ricerca sperimentale, costituisce un solido riferimento. Generalmente il monitoraggio è inteso come un sistema di controllo utile per seguire l’evoluzione di dissesti e patologie già manifeste; invece esso è anche, se non soprattutto, un metodo di analisi preventivo. Entrambi i casi rientrano nel “monitoraggio di sorveglianza”. Il presente lavoro illustra due esempi significativi, entrambi attuati nella città di Salerno, posti in essere per ragioni diverse, benché uniti dal concorde obiettivo della garanzia di sicurezza durante le fasi di costruzione.

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Il primo caso riguarda un intervento di messa in sicurezza in via Laspro, conseguenza di un crollo verificatosi durante la costruzione di garages interrati. Il crollo, cui ha fatto seguito una frana, aveva compromesso la sicurezza di edifici ubicati nelle aree adiacenti il dissesto e la galleria Sud dell’Autostrada SA – RC. Il monitoraggio ha avuto una duplice funzione: controllare eventuali cedimenti delle strutture degli edifici e della galleria durante le prime fasi di intervento e seguire le fasi di realizzazione delle opere definitive. Il secondo caso descrive il sistema di monitoraggio progettato ed attuato per seguire le fasi costruttive di un parcheggio interrato multipiano nella centrale piazza XXIV Maggio, nell’abitato urbano della città di Salerno, in un’area ad alta densità di traffico. In questo caso l’Amministrazione Comunale aveva richiesto un monitoraggio di sorveglianza, mirato a valutare eventuali effetti indotti, sui fabbricati prospicienti la piazza, dalle vibrazioni prodotte durante le fasi di realizzazione di pali o dalle operazioni di scavo. Il sistema di controllo ha previsto due separate attività: una topografica di alta precisione, eseguita in varie campagne di misura su una rete di circa quaranta capisaldi realizzata ad hoc, e l’altra di analisi e controllo delle vibrazioni indotte dal traffico (non interrotto intorno all’area del cantiere) e di quelle prodotte dai lavori per la realizzazione del parcheggio. Scopo del lavoro è illustrare le varie fasi del monitoraggio e la sinergia tra i diversi gruppi di lavoro coinvolti, mostrando altresì come l’integrazione tra tecniche e tecnologie di varia natura, di semplice utilizzo e costi accettabili, possano fornire risultati di alta precisione ed affidabilità nel monitoraggio e controllo dei dissesti nelle strutture. . 2. IL CASO DI VIA LASPRO 2.1. Breve antefatto Un improvviso crollo delle paratie in corso di costruzione in un cantiere per la realizzazione di garages interrati provocò, il 5settembre 1998, una frana e dissesti nella zona di Via Laspro in Salerno. L’intera area (Figura1), fortemente urbanizzata ed abitata, rimase isolata. Gli effetti del crollo e dei successivi dissesti (foto 1-2) interessarono i fabbricati prospicienti l’area e la galleria dell’Autostrada SA-RC (corsia sud foto 1).

Figura 1. Planimetria aree interessate dal dissesto e rimaste inibite

Vennero poste in essere, immediatamente, una serie di attività di messa in sicurezza, con primi interventi (compreso lo sgombero di numerosi fabbricati) per il ripristino degli impianti

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e dei servizi. Una delle prime iniziative fu quella di monitorare subito la galleria autostradale (chiusa al traffico) ed alcuni fabbricati posti quasi sul bordo dell’area del dissesto.

Foto 2. Dissesto fronte nord-est

Foto 1. Dissesto fronte Nord e galleria

Si avviò anche il processo di studio per la definizione degli interventi definitivi per la realizzazione di un nuovo collegamento lungo l’asse di Via Laspro e la costruzione di un ponte stradale, la bonifica generale delle aree instabili, la messa in sicurezza della galleria, oltre alla realizzazione di alcune paratie per ricostruire l’originaria morfologia dei luoghi. L’intero iter, comprensivo delle fasi di progettazione e della successiva realizzazione, durò meno di un anno: il 6 settembre del 1999, infatti, venne inaugurato il nuovo asse stradale (foto 3-4). Si trattò, comunque, della realizzazione di opere complesse, soprattutto per la condizione generale dei luoghi, la difficoltà di accesso e di manovra, che richiesero scelte tecnologiche e soluzioni progettuali compatibili con tali circostanze.

Foto 3. Lavori messa in sicurezza

Foto 4. Lavori fronte Nord

Questo lavoro non descrive tali opere, ma intende segnalare e sottolineare il ruolo non trascurabile avuto dal monitoraggio, sia nella fase immediatamente successiva al crollo che che in quella della esecuzione dei lavori. Ad esso si deve la riuscita del progetto per le informazioni ricevute dal sistema di monitoraggio durante l’avanzamento dei lavori (che hanno consentito di tenere tutte le attività sempre sotto soglia di rischio) e per la positiva azione che il medesimo monitoraggio ha avuto sugli abitanti. Costoro, infatti, già provati dal disastro che li aveva interessati, seguivano quotidianamente le fasi costruttive ed utilizzavano le informazioni del monitoraggio per accertarsi del livello di sicurezza degli interventi.

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2.2. Scopo e tecnica del monitoraggio Il monitoraggio che si descrive è stato progettato per tenere in costante controllo gli edifici e la galleria presenti nelle immediate vicinanze delle aree del crollo durante l’intero ciclo delle lavorazioni. Il sistema è basato su una rete di livelli ad acqua comunicanti, strumentati con trasduttori potenziometrici in grado di leggere eventuali cedimenti differenziali tra i pilastri delle strutture sotto controllo. Ad integrazione del sistema è stato istallato un sensibilissimo livello elettrolitico ed un sensore di temperatura. E’ stato fissato un livello di accuratezza sufficiente a garantire l’attivazione di un sistema di allarme. Tale scelta ha dovuto tenere conto che i singoli meccanismi di movimento del sistema ed i trasduttori impiegati hanno accuratezza del decimo di millimetro; inoltre l’impossibilità di utilizzare nelle condizioni del cantiere sofisticati impianti di alimentazione per l’acqua deaerata ha imposto un’ulteriore restrizione dell’accuratezza per tener conto di eventuali bolle d’aria nel sistema, dovute alla variazione di temperatura. D’altronde la principale finalità del sistema, cioè la lettura dei cedimenti differenziali, e la stima che i cedimenti significativi avessero ordine di grandezza del millimetro (in relazione alla tipologia e passo delle strutture verticali e di fondazione) ha reso il sistema ampiamente cautelativo. La misura dei cedimenti differenziali tra coppie di pilastri è stata effettuata mediante l’utilizzo di livelli, disposti secondo una rete (figura 2) collegata ad un punto fisso. L’unità elementare (foto 5) di misura è costituita da un piccolo serbatoio in PVC chiuso alle estremità ed in collegamento idraulico con tutte le rimanenti unità. Il circuito è, in alcuni punti, connesso all’ambiente esterno per evitare che all’interno del serbatoio agiscano pressioni diverse da quella atmosferica.

Figura 2 – Planimetria e disposizione dei livelli

Foto5 – Unità elementare

In ciascuna unità è montato un galleggiante cheè in grado di trasmettere ad un’astina mobile di un trasduttore di spostamento i movimenti verticali che il galleggiante può subire per effetto delle variazioni del livello del liquido nel serbatoio. Il trasduttore potenziometrico è, a sua volta, fissato all’involucro del serbatoio. I trasduttori utilizzati in questa applicazione, collegati ad una centralina di acquisizione, hanno risoluzione dell’ordine di 10-3 mm, più precisamente la legge di taratura, costante per tutti, è 3000 Bit = 1 mm. Il campo di misura di ciascun trasduttore è di 2 cm; in partenza l’astina è stata posizionata in maniera centrata, per ottenere una possibile escursione di 1 cm. La perfetta centratura dell’astina, in cantiere, non è possibile con precisione assoluta: essa non è però indispensabile, purchè venga letta con precisione la posizione originaria e le letture successive riferite (per differenza) allo zero registrato all’origine. Il valore dello spostamento

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restituito alle letture è: (Li-Lo)/3000 = spostamento in mm, con Lo il valore iniziale delle letture e Li quelle successive, ragguagliate alla base di 3000 Bit. Le variazioni positive della lettura corrispondono a movimenti dell’astina che la spingono all’interno del corpo fisso, cosicché un eventuale cedimento di un pilastro, comportando un innalzamento del livello del liquido nel serbatoio, corrisponde ad una variazione positiva delle letture. L’accuratezza dell’intero sistema è diversa,però, dall’accuratezza del singolo trasduttore, per una serie di “errori” insiti nel sistema medesimo e dei quali bisogna tener conto per la bontà del risultato. Il primo punto di incertezza è costituito dal meccanismo di trasmissione degli spostamenti dal galleggiante al trasduttore, scelto in ragione di una valutazione costibenefici: infatti una meccanica troppo complessa potrebbe essere soggetta a performance non ottimali nel lungo periodo, oltre ad avere costi proibitivi. Nel caso in esame è stato adottato un meccanismo con sensibilità di 10-1 mm: la registrazione di valori di spostamenti al di sotto di questo ordine di grandezza, sono perciò non significativi, ancorché rilevabili dal sistema. Questo dato corrisponde a variazioni dei trasduttori dell’ordine dei 300 Bit. Un secondo aspetto che influisce sull’accuratezza del sistema, è rappresentato dal numero di serbatoi del sistema. Un esempio contribuisce alla comprensione del problema. Si consideri un sistema costituito da una sola coppia di serbatoi applicati a due pilastri. In questo caso, nell’ipotesi che uno dei due pilastri subisca un cedimento rispetto all’altro, si registreranno variazioni del livello in entrambi i serbatoi che dovrebbero essere uguali tra loro e pari alla metà del cedimento registrato; il verso delle due variazioni sarà necessariamente opposto.

Figura 3 – Andamento dei cedimenti

Figura 4 – Grafico dei livelli

Se il sistema cresce di dimensioni ed il numero dei serbatoi aumenta, nell’ipotesi che uno solo dei pilastri subisca un cedimento, si avrà che il volume d’acqua che invasa ne serbatoio connesso è fornito da tutti gli altri serbatoi, per cui le variazioni del livello in questi ultimi diventano via via più piccole, fino a diventare trascurabili, nel caso di un numero elevato di serbatoi. La variazione nel serbatoio solidale al pilastro che cede tende sempre più a misurare il valore dell’intero cedimento differenziale. Se N è il numero dei serbatoi, ad un cedimento w corrisponderà che il livello del serbatoio collegato al pilastro varierà di w-(1/N) w ed in tutti gli altri si abbasserà di (1/N) w. Nel sistema progettato è stato applicato un serbatoio di riferimento ad una zona stabile. I sensori istallati nella rete sono interrogati da un data logger prodotto dalla C.M.C.S., programmabili per frequenze di scansione e di memorizzazione differenziate e possono gestire funzioni di allarme visivo e sonoro direttamente sul posto. Le frequenze di scansione possono variare tra un massimo di lettura ogni due minuti fino ad un minimo ogni

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ventiquattro ore. La capacità di memorizzazione del sistema del data logger è di 10000 letture complete, cosicché è necessario, periodicamente, conservare i dati su supporto magnetico. La soglia di allarme del sistema utilizzato è stata fissata in 10000 Bit, coerente con la tipologia delle strutture monitorate. Un modem collegato ad una normale linea telefonica consentiva, con un apposito software, di interrogare il sistema a distanza, oltre che di trasferire i dati ed i segnali di allarme a telefoni collegati. I risultati del monitoraggio sono stati elaborati e riprodotti in grafici (Figura 3-4). Il periodo di osservazione è stato dicembre 1998/giugno 1999, per la fase delle lavorazioni del fronte nord-ovest e settembre 1999/giugno 2000 per la fase del fronte nord. Nel il periodo 2000 -2002 è stata effettuata la rilevazione per finalità scientifiche, per poter valutare elementi di miglioramento con tecniche di monitoraggio di sorveglianza a distanza.

3. IL CASO DI PIAZZA XXIV MAGGIO 3.1. Introduzione In questo caso di studio sono illustrati i risultati di una campagna di monitoraggio topografico iniziata nel settembre del 2003, riferita a fabbricati limitrofi ad uno scavo ampio e profondo, eseguito su un’area ad alta intensità di traffico, Piazza XXIV Maggio, ubicata nel cuore dell’abitato urbano della città di Salerno. Tali peculiarità e l’apertura del cantiere per la realizzazione di un parcheggio interrato in una delle arterie stradali più centrali e trafficate della città hanno reso necessario l’osservazione di vibrazioni generate dall’esecuzione dei lavori e dal traffico veicolare, non interrotto durante le fasi di realizzazione dell’opera, oltre che degli effetti conseguenti alle attività di scavo e trivellazione. L’opera da realizzare consiste in un parcheggio interrato multipiano, che si Foto 6 - Area di intervento successiva all’installazione articola su due livelli interrati; l’area del cantiere in data 24/11/2005 interessata è di 2.230 mq e lo scavo profondo circa 12 metri. Il progetto prevede l’esecuzione dell’opera e la cantierizzazione in maniera da non sospendere il traffico durante il periodo dei lavori (procedendo per quadranti) e prescrive un monitoraggio topografico di alta precisione ed un monitoraggio dinamico in continuo, mirati alla sicurezza e controllo degli edifici a ridosso dell’area di cantiere. Le tecniche trattate in questo caso di studio riguardano aspetti topografici del monitoraggio, realizzato attraverso una rete di livellazione geometrica di alta precisione. Tali aspetti sono relativi al progetto, all’installazione del sistema di controllo, alla realizzazione della rete per la determinazione degli spostamenti, nonché all’analisi e rappresentazione dei dati ottenuti dalle campagne di misura. La scelta di tale tecnica è stata condizionata da tre parametri fondamentali: costo delle operazioni, ripetibilità delle misure e precisione cercata. In considerazione del tipo di intervento e del grande numero di edifici adiacenti lo scavo, la scelta della livellazione geometrica di alta precisione ha consentito di ottenere il miglior risultato con costi comunque accettabili. Una campagna di livellazione prevede l’installazione

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di una rete di capisaldi realizzata ad hoc i cui dislivelli vengono controllati in più sessioni di misura. Le precisioni di misura, dell’ordine del centesimo di millimetro, si possono raggiungere impiegando livelli ottico-meccanici di alta precisione o digitali. Il progetto della campagna di monitoraggio ha dovuto tenere conto della omogeneità tipologica delle strutture circostanti lo scavo. Gli edifici “sotto-controllo” sono complessivamente 9 e sono stati numerati in modo da poter essere identificati; per ognuno di essi è stata costruita una scheda descrittiva nella quale sono riportate le principali caratteristiche costruttive e quelle riguardanti il sistema di monitoraggio. In particolare i fabbricati controllati sono costituiti principalmente da edifici risalenti agli anni ‘50 con struttura portante in muratura, esclusi due edifici che hanno rispettivamente struttura mista muratura e cemento armato e solo cemento armato. 3.2. Il controllo dello scavo Il problema del controllo dei cedimenti di edifici ubicati in prossimità di uno scavo è sostanzialmente legato alla vicinanza dello scavo ai fabbricati ed alla profondità dello scavo. Gli interventi di monitoraggio atti a garantire la sicurezza strutturale prevedono, quindi, un’osservazione su scala temporale del potenziale manifestarsi di cedimenti o cinematismi di collasso. L’utilizzo della parola cinematismo non implica che il movimento avvenga ad una velocità visibile, infatti, tali meccanismi sono in genere molto lenti fino alla fase di incipiente collasso. Per poter garantire la sicurezza delle strutture è, quindi, opportuno studiare l’evoluzione di un fenomeno prima che possa verificarsi la fase critica. Grazie alle precisioni compatibili in un monitoraggio topografico è possibile individuare o meglio “osservare” il formarsi di un meccanismo di collasso Figura 5 - Rete di livellazione e, prima che questo possa degenerare e danneggiare la struttura, progettare un intervento. Quando l’area di scavo è circondata da edifici di altezza confrontabile alla profondità di scavo stesso si è in presenza di scavi cosiddetti profondi. Per poter effettuare una stima del cedimento è necessario conoscere la litologia del suolo e le caratteristiche delle strutture fondate su di esso, in modo da poter costruire un modello di calcolo, sul quale eseguire le dovute simulazioni. Tali modelli non sono indispensabili al monitoraggio allorchè sui fabbricati si esegue un controllo mediante la livellazione geometrica di alta precisione, poiché le precisioni sub-millimetriche garantiscono l’individuazione di qualsiasi fenomeno deformativo, capace di compromettere la stabilità di una struttura. Strumentazioni atte a tale scopo sono i livelli di precisione, e nel caso in esame sono stati utilizzati il Leica-Wild NA2 come strumento ottico-meccanico per il testing della misura T0, ed il Topcon DL-101C come stazione di rilevamento. La modalità di misura è quella della

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livellazione geometrica dal mezzo; pertanto, scelto un punto esterno da assumere come caposaldo di riferimento RIF.0 di quota convenzionale fissa, si è realizzato uno schema di rilievo del tipo rappresentato nella Figura 5, costituito da un anello centrale e da anelli secondari, uno per ogni strada di accesso alla piazza. 3.3. La rete di livellazione per il monitoraggio topografico installata La rete di livellazione è costituita da 40 capisaldi verticali, a superficie sferica in acciaio, installati sulle pareti di fondazione dei fabbricati all’interno di pozzetti in PVC chiusi. Le notevoli differenze di quote e il numero di fabbricati da controllare hanno richiesto una fase di studio per l’installazione della rete di monitoraggio. Il caposaldo “zero” di riferimento RIF.0 è stato individuato in prossimità dello spigolo Nord Est dell’edificio sede del Tribunale di Salerno. Gli anelli secondari della rete costituiscono un supporto di controllo sull’affidabilità dei dati rilevati, ed allo stesso tempo consentono di controllare la stabilità del caposaldo di riferimento. Nella Figura 5 l’intero percorso di livellazione seguito durante le operazioni di rilievo è rappresentato dalla linea tratteggiata in rosso Il posizionamento altimetrico della rete è stato effettuato a partire dal RIF.0 mediante le operazioni di livellazione; il posizionamento planimetrico è stato realizzato attraverso un rilievo topografico di dettaglio eseguito con una stazione totale Elettronica Trimble 5605-DR. L’installazione dei capisaldi all’interno di pozzetti in PVC ha richiesto un’indagine basata essenzialmente sulla riduzione dell’impatto visivo e sulla praticità di esecuzione delle battute di livellazione. Infatti la particolare conformazione del sito che comporta oltre 14 metri di dislivello tra i capisaldi, la presenza delle recinzioni di cantiere che ostacola la visibilità, l’alta intensità di traffico, hanno richiesto campagne di misura notturne, sia per il posizionamento T0 che per le campagne successive alla misura T0. La procedura operativa di tali misure ha richiesto frequenti passaggi su piastra mobile, dati i notevoli dislivelli e almeno 60 stazioni di misura su 80 osservazioni dirette. L’esecuzione di un’intera campagna di misura ha richiesto in media 8 ore continue di operazioni di campagna nonostante le moderne procedure di registrazione automatica e di lettura alla stadia con codice a barre. Viceversa, sono state impiegate sessioni di misura molto più lunghe per la realizzazione della campagna di testing eseguita al tempo T0 eseguita con il livello ottico meccanico di precisione Leica-Wild NA2. 3.4. La campagna di misura T0 Sulla rete di Piazza XXIV Maggio sono state realizzate in totale tre campagne di osservazioni di cui due ante operam, intervallate di 1 anno. Nelle tre campagne è stata impiegata la medesima strumentazione digitale e nella prima sessione di misura è stata utilizzata anche una strumentazione ottico meccanica di eguale precisione. Le due campagne di misura al tempo T0 condotte con il livello digitale Topcon DL- 101C, sono state eseguite rispettivamente, nei giorni 12 - 13 luglio 2004 e 15 luglio 2005 (Tabella 1). Di fatto i lavori di scavo all’epoca di realizzazione delle misure non erano ancora iniziati; infatti nel luglio 2005 erano stati realizzati i lavori per lo spostamento dei sottoservizi. In entrambe le sessioni di misura è stato eseguito il rilievo globale della rete i cui capisaldi sono collegati tra loro da uno schema geometrico che consente la localizzazione e la rimozione di errori grossolani nonché la stima della precisione dei risultati, indispensabile per la valutazione della significatività dei movimenti. Per ogni anello della rete è stato calcolato l’errore di chiusura che non è risultato mai maggiore di 1 millimetro. Infine, sono state determinate le quote di tutti i punti di controllo e le relative deviazioni standard e calcolate le variazioni di quota assoluta (riferita cioè al caposaldo origine) rispetto al rilievo precedente per verificarne la significatività.

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In relazione ai rilievi eseguiti con il livello digitale Topcon DL-101C nella tabella che segue sono riportati i valori delle quote compensate dei capisaldi rappresentati nell’allegata planimetria, nonché le variazioni delle stesse tra il 1° rilievo e il 2° rilievo. Come si può vedere tali differenze sono mediamente dell’ordine di pochi decimi di millimetro, tranne che per il caposaldo n. 3, situato su Via Cuomo. Sebbene entrambi i capisaldi non fossero interessati dalle operazioni di scavo per lo spostamento dei sottoservizi, il primo ha registrato una variazione di -0.0022 metri e il secondo di -0.0172 metri.

Tabella 1. Report T0-T1 - Sessione luglio 2004 – luglio 2005

Successivamente da un’analisi in sito è stata riscontrata una manomissione del caposaldo n. 9 in Via Pirro, a seguito della realizzazione dei lavori di rifacimento della pavimentazione del marciapiede, eseguiti da parte dell’Amministrazione Comunale. Infine il caposaldo n. 16 sito in Via dei Principati ha registrato una differenza di quota assoluta di 0.004 metri in corrispondenza di un esercizio commerciale, ove, al momento della misura, erano in corso lavori interni. Tale caposaldo potrebbe aver subito qualche urto o leggero spostamento in seguito a lavori che nel corso dell’ultimo anno hanno interessato l’intero fabbricato. 3.5. Le misure sperimentali e l’affidabilità della rete. Per valutare l’affidabilità della rete è stata realizzata un’intera campagna di misure con livello ottico-meccanico Leica-Wild NA2 di precisione uguale a quella del Topcon DL-101C, ossia di 0.01 millimetro. Dai risultati delle osservazioni, che risalgono all’8 agosto 2004, è stato possibile valutare prima tramite il Test Globale e poi con il Test Data Snooping di Baarda, l’affidabilità delle misure dirette condizionate dei dislivelli. Per la valutazione relativa al Test Globale ha fatto fede il libretto delle misure cartaceo sul quale sono state inserite opportune annotazioni da tenere in conto nella valutazione dei pesi di ogni singola osservazione. Per le elaborazioni statistiche relative alla compensazione delle osservazioni ai minimi quadrati, è stato adottato il modello alle osservazioni dirette condizionate. E’ stato creato, quindi, prima il modello stocastico costituito dalla matrice dei pesi di ogni singola misura, e poi il modello geometrico o funzionale dipendente dalla forma della rete e dal tipo di misura. Nel caso di misure dirette condizionate tale modello è il seguente:

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A ˜ v W , ove A è la matrice dei coefficienti delle incognite, v è il vettore soluzione che contiene le correzioni da apportare alle misure e W è l’errore angolare di chiusura (Tabella 2).

Tabella 2 Risultati della compensazione ai minimi quadrati

3.6. Il monitoraggio dinamico Il monitoraggio consiste nell’acquisizione in continuo dei segnali di vibrazione indotti da cause esterne agli edifici stessi. Il sistema dinamico di monitoraggio è costituito da sei accelerometri triassiali (Syscom electronics, MR-2002CE) installati in sommità dei fabbricati prospicienti la piazza. L’obiettivo di tali strumenti di misura è quello di analizzare l’effetto delle vibrazioni e tutti i fenomeni di disturbo indotti dalla realizzazione dei lavori di scavo, nonchè dal traffico veicolare intenso non interrotto durante le fasi di lavorazione. La sensibilità degli strumenti utilizzati è notevole 0,003 g, i filtri sono capaci di isolare vibrazioni da frequenze bassissime da 4 a 80 Hz fino a frequenze più alte 500 Hz, e sono in grado di rilevare le vibrazioni dovute al passaggio sia di veicoli pesanti che di ciclomotori. Per quanto riguarda l’area di installazione i tetti e i terrazzi dei fabbricati circostanti la piazza sono stati individuati come siti idonei. Per motivi dovuti a permessi ed autorizzazioni è stato possibile installare soltanto 6 su un totale di 8 accelerometri disponibili. L’acquisizione, inizialmente prevista in remoto via GPRS, è stata realizzata tramite cavi multipolari ad 8 fili ed interfaccia RS232, data la possibilità disporre di una postazione server per l’acquisizione. La scheda di acquisizione dati costituita da un supporto hardware National Instruments (GPIB-ENET 100) è collegata al server dove confluiscono i cavi. Tale supporto assegna due canali ad ogni accelerometro, uno di input ed uno di output, e trasforma direttamente l’impulso elettrico binario in un segnale digitale. Il server registra in continuo accelerogrammi in file binari, e mediante un dispositivo trigger è possibile filtrare, depurare e registrare solo i segnali sensibili entro determinati limiti di soglia. I limiti sono stati fissati in 65 Hz come segnale di minimo e 440 Hz come valore massimo, e sono stati stabiliti nelle procedure di taratura del sistema; infatti essi prendono in considerazione sia la tipologia dei fabbricati che il tipo di disturbo che si vuole misurare. Una volta captato un segnale che rientra nei limiti di trigger il server, che lavora in continuo, lo elabora a partire da un

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intervallo di tempo di cinque minuti antecedenti all’evento e per cinque minuti successivi all’evento, costruendo giorno per ogni giorno una “time history” dei soli eventi significativi. Per particolari fasi della realizzazione dell’opera, quali ad esempio il tratto in viadotto di Via dei Principati, sono state previste misure con accelerometri mobili installati ad hoc in alcune parti della piazza. Tali registrazioni vengono eseguite su un supporto portatile.. 3.7. La misura T0 dinamica Per quanto concerne la misura al tempo T0 nella condizione iniziale, antecedente all’installazione del cantiere, sono state effettuate misure prima dell’inizio dei lavori. La fase di misura al tempo T0 ha riguardato l’installazione del sistema di monitoraggio, degli accelerometri dei cavi e della centralina, nonché una accurata taratura, nella quale sono state stabilite le soglie di disturbo, sia di notte che nelle ore di punta, in modo da epurare le vibrazioni dovute all’influenza del traffico veicolare (considerato un evento normale) da quelle possibili indotte dai lavori di scavo profondo del parcheggio. La norma UNI 9916 “Criteri di misura e valutazione degli effetti delle vibrazioni sugli edifici” (UNI febbraio 2004) e principalmente la norma UNI 9614 “Misura delle vibrazioni negli edifici e criteri di valutazione del disturbo” (UNI Marzo 1990) sono state il riferimento tecnico normativo durante le operazioni di installazione della rete di monitoraggio dinamico e di acquisizione dei dati. 3.8. La rappresentazione dei dati dinamici I dati dinamici vengono rappresentati da un file binario giornaliero, nel quale si registra la time history. Per ottenere un database unico relativo al monitoraggio topografico e dinamico il Sistema Informativo di rappresentazione dei capisaldi è stato integrato con i dati relativi alle stazioni di osservazione dinamica. I dati visualizzabili sul display del server vengono rappresentati sotto forma di accelerogrammi dal software realizzato in ambiente Lab View “acq2709_2” (figura 6). Sono stati acquisiti, per i differenti punti monitorati (UNI 9916 e UNI 9614), le seguenti caratteristiche: diagrammi delle velocità, spettro in frequenza della vibrazione e diagramma dei livelli di accelerazione ponderata (UNI 9614). I livelli equivalenti di accelerazione sono stati calcolati nella sessione della durata di 6 ore indipendentemente dallo stato – inattivo o attivo – della sorgente. Dall’analisi dei dati emerge che : 1) i valori di velocità di vibrazione rilevati sono inferiori ai limiti consigliati dalle normative, risultando infatti sempre inferiori a 1 mm/sec, sugli edifici monitorati. I valori rilevati a livello strada, ai limiti del cantiere risultano invece leggermente superiori; 2) la vibrazione presenta una frequenza caratteristica abbastanza elevata (tra i 13 ed i 25 Hz), correlata alla frequenza di lavoro della macchina impiegata in cantiere; 3) i livelli di accelerazione (ponderata ai sensi della norma UNI 9614) sono abbastanza elevati, superando quasi sempre i valori consigliati dalla normativa sul disturbo alle persone. Le misure sono state effettuate durante le operazioni di messa in opera e compattamento del manto stradale e di durata tale da rilevare più volte l’intero ciclo di lavorazione. I risultati esposti (figura 7) in termini di “spettri” sono relativi ai soli punti di rilevamento 1 e 2, e rappresentano il passaggio del rullo compattatore sull’asse stradale di Via dei Principati. Dagli accelerogrammi si evince uno smorzamento rapido, ma vibrazioni comunque significative. I reports relativi al punto 1 e 2 forniscono dati provenienti dal primo e secondo piano dello stesso edificio; è interessante osservare soprattutto il riscontro sperimentale tra lo smorzamento e le accelerazioni relative, captate ai due piani diversi per uno stesso impulso.

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Figura 7 - Spettro in termini di accelerazione

Figura 6 – Programma “acq2709”

4. CONCLUSIONI Gli esempi riportati mostrano come il monitoraggio possa essere impiegato efficacemente nell’ analisi, controllo e manutenzione delle strutture. I tempi e le tecnologie sono ormai maturi affinché il esso diventi uno strumento presente, fin dal concepimento dell’opera, nelle realizzazioni di ingegneria civile. In questa direzione sarebbe auspicabile un intervento delle normative. E’ possibile, infatti, studiare ed attuare monitoraggi con elevato livello di efficienza e costi accettabili, con livelli di accuratezza e calibrazioni aderenti agli obiettivi. La sperimentazione illustrata in questo lavoro mostra, altresì, come l’integrazione tra tecniche e tecnologie di varia natura, di semplice utilizzo, possa fornire risultati di alta precisione ed affidabilità nel monitoraggio e controllo dei dissesti nelle strutture. Al termine di questo lavoro un pensiero è dedicato alla memoria dell’amico prof ing Giovanni Battista Fenelli, prematuramente ed improvvisamente scomparso, che è stato uno dei Consulenti per entrambi i casi illustrati.

BIBLIOGRAFIA [1] [2] [3] [4] [5]

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

L’INTRADOSSO DEI SOLAI: FENOMENI CRITICI E SICUREZZA M.GALLOTTA1 , L. PROIETTO2 , N. SALVADORI3 1

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Ditta Proietto Luca, Cormano (Mi) Ditta Proietto Luca, Cormano (Mi) 3 Ditta Proietto Luca, Cormano (Mi)

1. LO SFONDELLAMENTO DEI SOLAI IN LATEROCEMENTO 1.1. Definizione di sfondellamento, cenni storici e caratteristiche tecniche Sovente si verifica che negli edifici con solai in laterocemento, avviene il parziale distacco e la successiva caduta delle cartelle inferiori delle pignatte, tale fenomeno è definito sfondellamento. Lo sfondellamento genera spesso danno a cose, inagibilità dei locali e costituisce pericolo per le persone. Gli edifici più colpiti dal fenomeno sono quelli costruiti dagli anni ’40 agli anni ’70. In tali anni, infatti, l’aumentato costo della manodopera ha comportato una accelerazione dei tempi di costruzione, in particolare nei cantieri a piè d’opera, andando a scapito della qualità degli elementi costruttivi. Oltre a ciò, proprio in quei decenni l’impiego di acciai per c.a. ad elevata resistenza con conseguente aumento delle tensioni di calcolo e lo sviluppo delle capacità progettuali ha portato ad una maggiore arditezza delle costruzioni. I motivi di tale cedimento dipendono: dalle caratteristiche proprie dei materiali costituenti il solaio, dalla situazione di uso, dalla accuratezza del progetto e dalla esecuzione del solaio. Successivamente, le sollecitazioni taglianti e normali dovute alle dilatazioni delle strutture, all’assestamento delle stesse, ai gradienti termici e ai sovraccarichi uniformi o puntuali del solaio, portano al completo distacco dalla parte inferiore di tali elementi. Il fenomeno dello sfondellamento interessa porzioni di solai che in genere sono quantificabili tra i 2 mq. e i 20 mq. In funzione di tali superfici, il fattore rischio oscilla dai 30 Kg per il singolo mq, fino ad arrivare ai 600 Kg per superfici più estese. 1.2. Qualificazione dei laterizi Per i laterizi in generale e i blocchi di solaio in particolare, le procedure di qualificazione sono attualmente basate sulle “Norme Tecniche per il calcolo, l’esecuzione ed il collaudo delle strutture in cemento armato normale e precompresso e per le strutture metalliche” aggiornate con D.M. 09.01.1996. Le procedure di qualificazione si possono suddividere in tre macrocategorie di prove di laboratorio: a) prove tendenti a determinare la qualità dei componenti impiegati e delle tecnologie produttive e le caratteristiche ed il comportamento del laterizio in sé; b) prove

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tendenti a determinare il comportamento del laterizio nelle condizioni di impiego ed il riferimento agli altri materiali od ai componenti strutturali con i quali viene a trovarsi in rapporto; c) prove in presenza di difetti esecutivi probabili, relative alla verifica della conseguenze dei difetti di produzione, dei difetti esecutivi e dei loro accoppiamenti.

2. PRINCIPALI CAUSE DI SFONDELLAMENTO 2.1. Cattiva qualità dei materiali La cattiva qualità del ciclo produttivo delle pignatte e della miscela di argilla provoca l’insorgere di difetti, cricche e stati tensionali che risultano essere fonte di innesco del fenomeno del distacco. La presenza di materiale organico favorisce la presenza di porosità sul prodotto finito; la presenza di sostanze ossidabili aumenta il pericolo della nascita di sforzi non indifferenti nella massa che favoriscono la criccatura; l’iperstaticità della forma del blocco e le differenze di massa determinano, a causa del ritiro, delle concentrazioni di sforzo in alcuni punti dove, quindi, più facilmente andranno a formarsi delle criccature. Anche la diversa velocità di estrusione delle varie parti dello stesso blocco può influire sul formarsi di autotensioni che favoriscono le criccature. Fondamentale importanza hanno, infine, le modalità di essiccazione delle pignatte. 2.2. Cause tecnologiche Un errore nel disegno delle pignatte, e precisamente lo sfalsamento in orizzontale dei setti interni, come mostrato in Figura 1, può provocare la rottura dei setti verticali dei blocchi; tale rottura è dovuta alla concentrazione di sforzi nei nodi che non si trasmettono da un lato all’altro per semplice compressione dei setti orizzontali.

Figura 1. Esempio di progetto errato di pignatta

2.3. Cattivo riempimento dei travetti La cattiva esecuzione degli impalcati si manifesta attraverso: - barre d’acciaio appoggiate sul fondo del travetto a contatto con il laterizio e non smosse e sollevate durante il getto, per cui il ricoprimento ed avvolgimento dell’acciaio da parte del getto di calcestruzzo non avviene; - granulometria del calcestruzzo eccessivamente elevata (fino ad oltre 40 mm di diametro max degli inerti) rispetto alle dimensioni del travetto e mancata vibratura del getto. Si viene a determinare il cosiddetto effetto parete (inerte che rotola lungo la parete di contenimento e si libera dalla malta cementizia formando i cosiddetti nidi di vespa, cioè vuoti

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nel getto tra sassolino e sassolino) e sul fondo anche un effetto arco favorito dal mutuo contrasto tra pareti delle pignatte, sassi e sassolini degli inerti e barre di acciaio, come mostrato in Figura 2. Tale fenomeno si accentua nei solai a falde inclinate, perché in questi casi il getto di calcestruzzo è meno fluido per poter restare in posto senza scivolare a causa dell’inclinazione.

Figura 2. Esempio di cattivo riempimento dei travetti

2.4. Errori o difetti di progettazione strutturale La verifica delle tensioni nell’acciaio e nel calcestruzzo della soletta compressa viene di solito determinata calcolando la struttura senza tenere conto della presenza del laterizio. La sua presenza, altresì, contribuisce ad aumentare la rigidità complessiva delle solette ed a ridurne la deformabilità, consentendo di utilizzare ipotesi di calcolo più spinte. Tuttavia la presenza di un elemento fragile, quale è il laterizio all’interno delle solette richiederebbe particolari attenzioni sia in fase progettuale sia in fase esecutiva. Oltre a ciò alcune scelte progettuali possono influenzare il comportamento della struttura senonchè in alcuni casi palesarsi come veri e propri errori progettuali. I più comuni sono: considerare erroneamente fenomeni di continuità strutturale con gronde e balconi o con solai di luce notevolmente maggiore a quella calcolata; non tenere in dovuto conto la continuità nei solai a doppia falda; trascurare spesso l’effetto piastra o l’effetto di variazioni di luce dei solai e le conseguenti ripartizioni trasversali dei carichi; non considerare i vincoli costituiti dalle pareti cosiddette non portanti; non tenere conto di fenomeni dovuti alle deformazioni differite o di quelli dovuti ad assestamenti differenziali tra fondazioni delle parti strutturali e fondazioni delle parti non strutturali (effetto coltello delle pareti sui solai), ecc.

3. ASPETTI DEL CALCOLO E DELL’ESECUZIONE DEI SOLAI MISTI La prevenzione di fenomeni di caduta dei fondelli di solai non esula da una oculata progettazione generale e di dettaglio su cui più direttamente può influire il progettista. Vengono qui richiamati tre ordini di problemi: a) Verifica alle azioni locali; b) Problemi di congruenza e deformazioni impedite (stati di coazione); c) Problemi di calcolo (esempio di analisi delle azioni principali e secondarie).

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3.1.Verifica delle azioni locali Nell’abitudine corrente del progettista non rientrano la verifica al punzonamento della soletta di un solaio, la verifica della connessione tra le nervature, la verifica dell’aderenza tra blocco e superficie laterale delle nervature e la verifica della sollecitazione tagliante sul blocco. Tali verifiche non vengono eseguite perché si presume che le dimensioni dei solai e le caratteristiche dei blocchi siano tali da soddisfare automaticamente le medesime. In realtà, nel tempo, si è proceduto ad una progressiva diminuzione degli spessori delle solette costituenti la zona compressa del solaio, ad un assottigliamento delle nervature e ad un aumento degli interassi, il tutto accompagnato da un sensibile aumento delle tensioni di esercizio. E’ pertanto consigliabile, nel dubbio, eseguire qualcuna di tali verifiche. 3.2. Problemi di congruenza e deformazioni impedite Il laterizio inserito nel solaio è obbligato, per effetto dell’aderenza con il conglomerato a rispettare la congruenza per cui deve essere εlat = εcls fino a fessurazione, dopodiché o il laterizio si fessura assieme al conglomerato o si fessura subito dopo. Gli eventi che influiscono sul valore di εlat sono: 1) deformazioni istantanee indotte dai carichi permanenti e dai carichi accidentali; 2) deformazioni differite indotte dai cosiddetti carichi di lunga durata; 3) deformazioni indotte dai fenomeni di ritiro e di rifluimento viscoso del calcestruzzo e del laterizio; 4) deformazioni indotte dai fenomeni termoigrometrici. 3.3. Problemi di calcolo Una idonea progettazione di predimensionamento al fine di scongiurare l’insorgere di probabili distacchi dei fondelli dei laterizi dovrebbe evitare: - di avere luci di solaio eccessivamente diverse tra loro; - di avere luci eccessive delle travi in spessore al fine di evitare tensioni eccessivamente elevate sotto i carichi permanenti che accentuano l’entità delle deformazioni differite; - di avere luci delle travi dello stesso ordine di grandezza delle luci dei solai, perché questo determina effetti piastra che spesso non sono poi tenuti in debito conto. Di fondamentale importanza è anche la scelta dello spessore del solaio, perché ad essa sono legate: - le sollecitazioni del solaio e degli elementi componenti; - le deformazioni istantanee e differite del solaio; - l’entità ed il tasso di lavoro dell’acciaio di armatura del solaio che influenzano la presenza e la distribuzione delle fessure; - le tensioni sulle travi e quindi il grado di distribuzione delle medesime trasversalmente. In conclusione è buona norma ridirezionare la strategia progettuale ed esecutiva ricordandosi di: - tenere ben presenti le norme di utilizzo dei solai; - avere ben chiare le istruzioni fondamentali di utilizzo dei blocchi; - limitare l’interasse dei travetti dei solai; - realizzare, con opportuna bagnatura, l’efficace aderenza del calcestruzzo dei travetti alla superficie dei laterizi; - curare la granulometria dei getti di riempimento e la loro esecuzione in modo da evitare assolutamente il mancato ricoprimento dei ferri o lo scadimento delle caratteristiche meccaniche del calcestruzzo di riempimento dei travetti;

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-

limitare le tensioni di lavoro nel calcestruzzo, soprattutto con riferimento al taglio; limitare drasticamente il rapporto di “snellezza” dei solai.

4. TECNICHE DI MONITORAGGIO E VERIFICA DELL’ESISTENTE Gli avvenimenti di cronaca e l’esistenza diffusa dello sfondellamento all’intradosso dei solai suggeriscono la necessità di trovare un metodo di indagine in grado di prevedere con sufficiente anticipo l’insorgere del problema. Per procedere ad una corretta analisi, soprattutto in ragione delle difficoltà legate all’utilizzo degli ambienti, è doveroso seguire un protocollo di indagine tale da permettere l’acquisizione delle informazioni necessarie per produrre una diagnosi precisa. In primis è di fondamentale importanza la ricostruzione delle planimetrie generali del fabbricato in modo da valutare la distribuzione dei locali ed impostare la fase operativa di monitoraggio. In questa fase è buona norma individuare le zone critiche che potrebbero produrre cause di possibili cedimenti. Ad esempio, la presenza di un vano scala o di corpi controventanti creano irrigidimenti localizzati all’impalcato ed aumentano le rotazioni agli appoggi dei solai perimetrali producendo un incremento di compressione nei fondelli della prima fascia di pignatte. In modo analogo, l’accostamento di solai con luci differenti causa delle deformazioni differenziate in grado di creare delle tensioni all’interno del laterizio superiori a quelle assorbibili. Anche la presenza di terrazzi di copertura o portici può portare a sollecitazioni differenti tra intradosso ed estradosso del solaio e le auto tensioni che si producono possono provocare la rottura dei setti in laterizio delle pignatte che costituiscono la componente più fragile della struttura. Altre cause possono essere fautrici di possibili sfondellamenti, perciò successivamente si procede con le osservazioni in sito. La conoscenza delle destinazioni d’uso, originali ed attuali dei locali, permette di risalire alle storie di carico dei diversi solai e indica il grado di sollecitazione dell’impalcato. Prima di effettuare le indagini puntuali si compie un’osservazione generale dei soffitti attraverso una preliminare analisi termografica. 4.1. Analisi termografica La prevenzione e il controllo con l’ausilio della termocamera a raggi infrarossi, permettono di verificare l’integrità dei plafoni e danno garanzia di sicurezza contro il pericolo di distacco delle cartelle inferiori dei laterizi. Lo scopo principale della termografia è quello di individuare errori e difetti nelle strutture dei solai e nella determinazione della loro natura ed estensione. Le immagini termiche visibili con la termocamera sono realizzate in modo da minimizzare il più possibile l’interferenza da fattori climatici esterni. L’osservazione dei plafoni compiuta con l’ausilio della termocamera a infrarossi permette di individuare lo scheletro strutturale, l’orditura dei solai e la presenza simultanea di più tipologie di solai. In molti casi è possibile prevedere lo standard costruttivo e tali informazioni permettono di individuare le posizioni in cui procedere con la successiva analisi costruttiva.

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Figura 3. Visualizzazione dell’analisi termografica e individuazione tipologia

Figura 4. Visualizzazione dell’analisi termografica di un atrio

4.2. Il metodo Sonispect L’analisi diagnostica Sonispect si avvale dell’analisi del suono e ha lo scopo di individuare con metodi non distruttivi gli sfondellamenti, le lesioni negli elementi in laterizio e i distacchi del solo strato di intonaco. La strumentazione per l’indagine con il metodo Sonispect è composta da un’asta alla cui estremità sono posti uno spintore elettromeccanico con testina battente e un microfono a condensatore direzionale. L’indagine viene svolta mediante auscultazione sonica di impulsi sequenziali emessi e ricevuti su una maglia a geometria fissa ed analizzati nel dominio delle frequenze. La valutazione sull’eventuale difettosità delle aree sono espresse in base alla conoscenza della tipologia costruttiva dei solai, poichè ognuna reagisce con risposte differenti nel campo delle vibrazioni. Le principali caratteristiche tecniche delle apparecchiature utilizzate sono: - banda di frequenza in 1/3 di ottava - >100dB di range dinamico - aggiornamento range automatico da 0 a +60dB, con passi da 15dB - spintore elettromeccanico con testina battente in gomma dura - microfono a condensatore direzionale con risposta di frequenza 40 Hz – 18 kHz

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• Pessimo

• Scadente

• Mediocre

• Normale

Figura 5. Analizzatore di spettro Sonispect® - Diagramma Tipo

La necessità di catalogare le curve e di interpretare la lettura dei diagrammi di risposta forniti dalle analisi compiute tramite Sonispect® ci permette di classificare le situazioni di danneggiamento secondo quattro diversi livelli, come mostrato in Figura 5. Partendo dalla situazione considerata normale, che cioè non presenta alcun fenomeno fessurativo, si arriva a situazioni pessime e pericolose, passando da uno stato mediocre e uno scadente, in cui il fenomeno è in evoluzione, ma non presenta la precarietà di un probabile distacco. Lo strumento, attraverso l’analisi delle risposte alle battute, è in grado di percepire la differenza di situazione e di indicare le difettosità puntuali o diffuse. Come pessime e pericolose si indicano le risposte che segnalano la sicura rottura con possibile imminente distacco di intonaco e/o pignatte. E’ possibile compiere dei confronti le tre diverse risposte dalla lettura dei diagrammi di uscita. Il diagramma presenta in ascissa la frequenza compresa tra 20 Hz e 20000 Hz, ed in ordinata il livello di pressione sonora (misurata in dBspl). Leggendo i risultati riportati nel diagramma di uscita dello strumento sonico è possibile fare delle osservazioni generali. Si nota che tra le curve più basse, per una frequenza di 100 Hz, presentano un picco che si assesta intorno ad un valore di 86 dBspl. Tale picco si riferisce all’impulso di battitura dello spintore, che agendo con la medesima intensità di battuta su ogni punto della superficie, procura un’analoga risposta. Già questa indicazione di partenza fornisce una distinzione sulla qualità del plafone: la linea rossa superiore, infatti, non presenta il picco. Ciò significa che lo spintone percepisce istantaneamente una risposta differente all’impulso. Il giudizio dello stato di salute dell’intradosso del solaio va compiuto nell’intervallo di frequenze compreso tra i 100 Hz ed i 1000 Hz. In tale range la risposta è ben approssimata ed è possibile trovare le variazioni di risposta in modo più preciso. La linea di colore nero, più bassa, si riferisce ad un solaio normale, in cui non è presente la fessurazione o non è incipiente lo sfondellamento. L’andamento, se pur irregolare ha dei valori bassi di risposta intorno ai 300 Hz. Si nota come il picco dell’impulso dello spintore decada immediatamente dopo la battuta. In modo analogo si comporta la linea di colore verde, che rappresenta uno stato mediocre. In questo caso la curva risulta leggermente superiore a quella nera, indicando una

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variazione all’interno del solaio. La struttura è globalmente omogenea, ma possono essere presenti delle fessurazioni nei setti verticali delle pignatte di alleggerimento. La linea di colore blu segnala una condizione transitoria in cui la porzione di solaio non possiede più le caratteristiche di stabilità del solaio normale, ma non ha ancora raggiunto la situazione di crisi. Per questi casi si può prevedere una degenerazione del problema fino a un collasso finale. La mutabilità e l’evoluzione del problema non permettono una visione temporale dello sfondellamento, ma consigliano un periodico monitoraggio in modo da prevenire i rischi di distacco. La linea rossa invece presenta da subito delle anomalie. La curva infatti non cade bruscamente ed il suono vuoto che si produce mantiene alta l’intera curva. Significa che la struttura non è omogenea e che presenta un fenomeno piuttosto avanzato di sfondellamento. In queste condizioni potrebbero presentarsi delle situazioni pericolose per gli utenti locali. 4.3. Mappatura L’insieme delle informazioni ricavate durante l’indagine permettono la stesura della planimetria in cui vengono inserite tutte le informazioni necessarie all’individuazione delle zone interessate dal fenomeno. In particolare risulta utile l’utilizzo delle planimetrie nella pianificazione periodica dei controlli, in modo da osservare l’evoluzione del problema nelle zone in cui il solaio risulta scadente. Nella planimetria sopra schematizzata si riporta un esempio in cui sono indicate le informazioni ricavate durante il monitoraggio.





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Figura 6. Mappatura della diagnosi eseguita tramite Sonispect®

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5. LA MESSA IN SICUREZZA DEI SOLAI 5.1. Tecniche di intervento, sperimentazioni e controlli Le tecniche di intervento devono essere finalizzate alla messa in sicurezza dei solai soggetti al fenomeno dello sfondellamento che evidenzia due principali fattori di rischio: 1) il peso dei materiali che possono crollare (circa 30 Kg/mq); 2) l’estensione dei crolli da pochi mq fino a 20 mq, fattore che induce all’utilizzo di tecniche certificate e garantite sia per i carichi puntuali che per i carichi distribuiti sulle superfici. Grande importanza nel fenomeno dello sfondellamento è la durabilità delle tecniche di intervento che dovranno sopportare i carichi di eventuali crolli. I sistemi quindi dovranno necessariamente superare severe prove di laboratorio, evidenziando un coefficiente di sicurezza superiore a 3 per i carichi e sopportare un processo di invecchiamento a fatica per la durabilità. Le tecniche di intervento devono contemplare i vari impieghi specifici quali REI 120, Idroresistenza, Isolamento acustico e Sismoresistenza. Devono inoltre essere garantite da idonei certificati e postume decennali.

BIBLIOGRAFIA Autori Vari: L’intradosso dei solai: fenomeni critici e sicurezza, 2003

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

INTERVENTI DI MESSA IN SICUREZZA IN IMMOBILI NEL CENTRO STORICO DI PALERMO V.LAURIANO Settore Centro Storico, Comune di Palermo

SOMMARIO Il Centro Storico della Città di Palermo ha una estensione di circa 240 Ha e all’interno di questo, nonostante i numerosi interventi, si contano un gran numero di edifici degradati in precarie condizioni statiche in uno stato molto spesso di abbandono. L’alta densità della popolazione, il rilevante traffico pedonale e veicolare caratteristico di molte zone sulle quali prospettano tali edifici, attiva il meccanismo di tutela dell’Amministrazione per la salvaguardia della pubblica e privata incolumità. Ordinanze Sindacali e Diffide vengono emesse nei confronti dei proprietari per obbligarli ad intervenire tempestivamente per l’eliminare lo stato di pericolo, e nei casi di inadempienza, l’Amministrazione esegue in danno i lavori necessari addebitando successivamente le spese ai proprietari responsabili. Complessi e difficoltosi risultano gli interventi, per l’alta pericolosità nella quale si opera, per l’urgenza dell’intervento, per il contenimento delle spese da addebitare, per lo studio strutturale contestuale all’intervento in sito. Crolli di coperture o di solai, generano sovraccarichi negli orizzontamenti e spanciamenti nei setti murari che puntualmente devono essere rimossi e limitati per scongiurare cinematismi degenerativi superando i limiti di resistenza e di statica dei singoli elementi. Si intende illustrare nel dettaglio alcune analisi ed interventi su immobili pericolanti nei quali recentemente il Comune di Palermo ha dato corso ai lavori di messa in sicurezza. ABSTRACT The old town centre of Palermo has an extension of almost 240 hectares and within this area , despite the various interventions and restorations which have been carried out, there are still numerous dilapidated buildings with very precarious static conditions. The high density of the population and the intensive traffic which characterizes this area, requires a major attention on behalf of the municipal administration, in order to safeguard and preserve public security. Numerous Mayor’s ordinances and injunctions, which constrain the owners to restore dilapidated buildings, are emitted. Their purpose is to avoid immediately danger and the threatening of collapse.

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If the owner unfulfills , the Municipal administration carries out al the works necessary for the restoration and preservation of the building. and the amount of the expenses beard by the municipal administration, are later charged to the owner. If works of restoration become a necessity, the absence of a prompt maintenance can lead to the collapse of the building. The dangerousness of the works required for the restoration of these old buildings necessarily carried out in a short time, along with the need to control the amount of expenses, make these intervenes very complicated and difficult, but strictly necessary. Recently the municipality of Palermo has carried out safety measures on buildings threatening to fall, in order to avoid danger, such as the propping of the façades of buildings.

1. CONSIDERAZIONI GENERALI Il Centro Storico della Città di Palermo ha una estensione di circa 240 Ha ed è costituito da quattro mandamenti (Tribunali, Castellammare, Monte di Pietà, Palazzo Reale) divisi da due vie ortogonali di primaria importanza, il Corso Vittorio Emanuele e la Via Maqueda, da poco dichiarati dall’Amministrazione Comunale “Assi Monumentali” del Centro Storico. All’interno di questo, nonostante i numerosi interventi di ristrutturazione realizzati sia su edifici pubblici che privati, si contano un gran numero di edifici degradati in precarie condizioni statiche in uno stato molto spesso di abbandono. Dalla mappatura degli “edifici altamente degradati”, redatta dal Gruppo Interventi Urgenti e Manutentori del Settore Centro Storico nell’anno 2004, si desume che le unità edilizie con gravi problemi statici e/o condizioni igienico – sanitarie preoccupanti sono più di seicento di cui un terzo ancora abitate. Ai sensi dell’art. 54 del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali n. 267 del 18/08/00, il Sindaco sovraintende: ……alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza pubblica…… , adottando con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili ed urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini….. Se l’ordinanza è rivolta a persone determinate e queste non ottemperano all’ordine impartito, il Sindaco può provvedere d’ufficio a spese degli interessati, senza pregiudizio dell’azione penale per i reati in cui fossero incorsi”. L’alta densità della popolazione, il rilevante traffico pedonale e veicolare caratteristico di molte zone sulle quali prospettano tali edifici pericolanti, pregiudica l’incolumità dei cittadini e attiva il meccanismo di tutela dell’Amministrazione che emette continuamente Ordinanze Sindacali e Diffide nei confronti dei proprietari degli immobili degradati, per obbligarli ad intervenire tempestivamente al fine di eliminare lo stato di pericolo. Le responsabilità derivanti a persone e/o cose generate dagli immobili pericolanti decade sui proprietari ai sensi dall’art. 677 del codice penale “omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina”, in quanto gli stessi proprietari sono obbligati alla conservazione o alla vigilanza dell’edificio o della costruzione, e si devono attivare a fare eseguire i lavori necessari per rimuovere i pericoli. In immobili nei quali è stato costituito il condominio, una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 9027/2003) evidenzia che “l'Amministratore di condominio può essere chiamato a rispondere della propria gestione, in quanto "soggetto obbligato a rimuovere il pericolo".

360

Secondo la Corte, in sostanza, l'Amministratore è titolare per legge del potere/dovere di ordinare lavori di manutenzione straordinaria che rivestano carattere urgente, ossia deve provvedere a eliminare le situazioni potenzialmente pericolose, con l'obbligo di riferirne nella prima assemblea dei condomini. Nei casi nei quali i proprietari non hanno ottemperato all’Ordinanza Sindacale di eliminazione dello stato di pericolo, si configura l’inadempienza degli stessi, con sanzioni amministrative e denuncia alla Procura (se esiste pericolo per le persone) e l’Amministrazione, fondi permettendo, da corso ai lavori di messa in sicurezza, con contratti aperti, addebitando successivamente le spese ai proprietari. Monitoraggi e controlli continui vengono eseguiti a partire dallo stato delle coperture, che spesso genera condizioni di ammaloramento delle strutture interne (orditure lignee, tavolato) sovraccarico nei solai, degrado nei controsoffitti (spesso incannucciati), che in assenza di tempestivi lavori di manutenzione, genera crolli più o meno estesi. Complessi e difficoltosi risultano gli interventi, per l’alta pericolosità nella quale si opera, per l’urgenza dell’intervento, per il contenimento delle spese da addebitare, per lo studio strutturale contestuale ai lavori. Non ultimo, l’intervento dell’Amministrazione deriva da un precedente crollo che complica ulteriormente le opere, per l’urgenza necessaria e per le difficoltà operative con le quali bisogna districarsi per limitare i danni derivati. Tra le cause maggiormente responsabili dell’azione di degrado è da annoverare il cattivo stato di manutenzione delle coperture, che per le infiltrazioni delle acque meteoriche legate al manto di tegole esercitano una costante e progressiva azione di ammaloramento soprattutto degli elementi lignei con conseguenti crolli più o meno diffusi. Le teste delle travi alloggiate nei setti murari, nelle condizioni di alternanza tra elevata umidità e fase di essiccamento, rappresenta un ambiente ideale per il proliferare di attacchi parassiti con conseguente perdita nel tempo delle caratteristiche di resistenza e sfibramento materico che degenera con il cedimento degli elementi strutturali e della sovrastruttura. Le stesse infiltrazioni, se copiose ed abbondanti, possono generare sovraccarichi strutturali sugli orizzontamenti, spesso già fatiscenti per la vetustà dell’immobile con conseguente superamento dei modesti limiti strutturali e crolli progressivi. Le parti più soggette al degrado risultano pertanto i solai, le scale, i controsoffitti, mentre le pareti murarie subiscono un’azione dilavatrice della pioggia che li penetra dall’alto disgregando le malte con la perdita della solidità strutturale. Le facciate prospicienti in spazi pubblici, rappresentano potenziali pericoli per i distacchi di parti anche limitate che possono investire le zone sottostanti con gravi conseguenze. I cornicioni, le copertine dei muretti d’attico e le zone sottoposte al ruscellamento non convogliato delle acque meteoriche (zona pluviali, zona mensole balconi) sono quelle da verificare per scongiurare tali tipi di rischi. Gli interventi eseguiti dall’Amministrazione in danno ai proprietari sugli edifici pericolanti, hanno l’obiettivo di rimuovere i pericoli e salvaguardare la pubblica incolumità, nell’ottica degli interventi minimali e la messa in sicurezza può essere raggiunta attraverso procedure diverse dipendenti dalle problematiche riscontrate. In particolare, le opere possono essere di:  demolizione parziale;  puntellamento;  consolidamento. Si illustrano alcuni recenti interventi eseguiti dal Gruppo Interventi Urgenti e Manutentori del Settore Centro Storico, in danno ai proprietari di immobili pericolanti.

361

2. INTERVENTO IN UN IMMOBILE DI VIA S.NICOLO’ ALL’ALBERGHERIA Una parte del prospetto principale nelle immediate vicinanze della cimasa superiore, presentava due lesioni passanti di rilevante entità e uno spanciamento della parete apprezzabile anche dal piano stradale, legato a qualche azione spingente esercitata dall’interno dell’immobile, come mostrato nella foto 1.

Foto 1. Lesioni del prospetto principale

Continue giornate piovose avevano aggravato in maniera galoppante il dissesto, e pertanto si era reso indispensabile un intervento immediato da parte dell’Amministrazione per salvaguardare la pubblica incolumità. L’immobile si presentava totalmente disabitato alla stessa stregua di quelli confinanti. Attraverso l’ausilio della Polizia Municipale, si è interdetta la zona al traffico veicolare e al passaggio pedonale e constatate le condizioni di imminente crollo, si è ispezionato l’edificio dall’alto con una piattaforma mobile, la cui macchina era stata posizionata lontano dal prospetto per evitare di rimanere coinvolta da eventuali crolli strutturali. Dalla verifica, si è subito riscontrato il cedimento nella parte centrale del colmo della copertura nella stessa direzione dello spanciamento del prospetto, imputabile certamente a problemi legati alla struttura portante sottostante. Al fine di limitare la spinta orizzontale sulla facciata, si è dato immediato corso alla diminuzione dei carichi, smontando il manto di tegole in coppi alla siciliana, e per consentire l’ispezione della struttura si è dato corso allo smontaggio della muratura di prospetto in corrispondenza delle lesioni. Si è riscontata la rottura della catena della capriata nella parte di appoggio sulla muratura, con conseguente innesco del cinematismo consistente nella rotazione e in una traslazione verso l’esterno. In particolare il nodo catena - puntone aveva esercitato da una parte l’azione di spinta orizzontale sulla muratura di prospetto e dall’altra un’azione di trazione sul nodo puntone monaco con il cedimento parziale della copertura, come mostrato nella foto 2.

362

Foto 2. Rottura della catena

La causa era da imputarsi alle infiltrazioni delle acque piovane che avevano imbibito la muratura di appoggio e ammalorato la parte di contatto della catena, provocando il cedimento del nodo, come mostrato nella foto 3.

Foto 3. Infiltrazione nella copertura

Dopo il montaggio del ponteggio di servizio, nelle more di una successiva radicale ristrutturazione dell’intero immobile, si è realizzata una protesi lignea rimovendo la parte della catena danneggiata, ripristinando la continuità dell’elemento strutturale e l’orizzontalità del colmo superiore. Inoltre, per la definizione dell’intervento in “emergenza”, la parte della

363

catena ricostruita è stata puntellata con doppie croci sistemate su un’ampia zona del solaio sulla quale erano stati collocati tavoloni in senso ortogonale all’orditura, a sua volta anch’essa puntellata nel solaio sottostante. La parte del prospetto assoggettata alla spinta del puntone si presentava notevolmente fuori piombo con lesioni passanti da ambedue le parti, e si è dato corso alla parziale demolizione e ricostruzione a scuci e cuci per assicurare la continuità muraria. Nel piano inferiore, il ribaltamento della parete aveva generato anche lesioni sub verticali di circa un metro di sviluppo che sono state cucite attraverso chiodature con barre filettate zincate diametro 16 mm e resina epossidica, previa perforazione a rotazione diametro 18 mm, ad un interasse di circa 25 centimetri. L’intervento tempestivo ha evitato il crollo della capriata e certamente di una parte della copertura e del prospetto sulla via pubblica, altamente trafficata in quanto limitrofa al mercato storico di “Ballarò”, con probabili conseguenze riguardo l’incolumità dei cittadini. Le lavorazioni condotte hanno eliminato un particolare pericolo, ma le condizioni generali dell’unità edilizia e la mancanza di lavori di manutenzione, riproporranno la problematica in nel breve – medio periodo temporale. I proprietari sono stati diffidati “mantenere lo stato di incuria, invitandoli a dare corso ai lavori di manutenzione straordinaria” per ripristinare le condizioni di piena sicurezza e funzionalità dell’unità edilizia. Semplici meccanismi di distacco degli strati di intonaco dal supporto murario, generano continui crolli soprattutto nelle parti sommitali maggiormente esposte agli agenti atmosferici dove l’azione erosiva risulta più intensa. Parti di intonaco anche lievemente decoese dal supporto murario, lesioni superficiali, “mancanze” nelle continuità degli strati consentono facili infiltrazioni con lenti e progressivi distacchi di parti più o meno estese. Quando lo spessore dell’intonaco è rilevante “tipo bugnato” di vetusta fattura e privo di opere di manutenzione, anche se apparentemente al controllo visivo si presenta integro, dalla semplice battitura locale si evidenzia spesso il distacco di intere zone, che si mantengono in uno stato di equilibrio instabile, nel quale il comportamento a “lastra” continua a funzionare fino a quando l’integrità dello strato non viene alterato, ipotesi difficilmente riscontrabile in tali contesti. Continui controlli dovrebbero eseguirsi anche in questi casi, e valutare puntualmente gli interventi necessari che variano dalle iniezioni e chiodature alla rimozione delle superfici.

3. INTERVENTO IN UN IMMOBILE DI CORSO VITTORIO EMANUELE Durante un sopralluogo di verifica in un immobile di Corso Vittorio Emanuele, dall’esame visivo condotto dal piano stradale si è rilevata un’ampia zona in corrispondenza ad un sottobalcone, nella quale era in fase di distacco l’intonaco, come mostra la foto 4. Si constatava l’alta pericolosità, per il rilevante spessore dello strato e della superficie interessata, per l’alta densità pedonale e veicolare del sito nel quale si trovava l’immobile e si allertava il Comando dei Vigili del Fuoco; la squadra intervenuta, dopo avere interdetto la zona, con le dovute attenzioni e cautele rimuoveva senza particolari azioni meccaniche ampie superfici di intonaco di buona consistenza ma prive di adesione al supporto murario, come mostra la foto 5, che distaccandosi avrebbero coinvolto il marciapiede denso di attività commerciali esponendo a gravi pericoli la pubblica incolumità.

364

Foto 4. Intonaco lesionato pericolante

Foto 5. Rimozione dell’intonaco distaccato

365

4. INTERVENTO IN UN IMMOBILE DI VIA SPADARO L’immobile a quattro piani fuori terra, inserito in una zona altamente abitata, si presentava in stato di abbandono, nel quale era da tempo crollata la copertura, e forti raffiche ventose avevano ulteriormente fatto crollare una porzione del prospetto sulla via pubblica. Scattato l’allarme ai Vigili del Fuoco, le squadre intervenute hanno rimosso altre parti pericolanti, ma l’intervento in generale si presentava più complesso e l’Amministrazione aveva attivato l’impresa reperibile, per il controllo strutturale più accurato e la messa in sicurezza della palazzina. Rilevata la precarietà strutturale dell’unità edilizia, si è dato corso ad un’attenta ispezione della parte sommitale con l’ausilio di una piattaforma mobile, che ha consentito di visionare e verificare le parti pericolanti, per stabilire una metodologia d’intervento risolutiva non esponendo le maestranze a particolari rischi e condurre le operazioni in piena sicurezza. L’ultimo piano della palazzina, si presentava come una superfetazione in quanto si era constatato l’esiguo spessore delle pareti perimetrali realizzate con forati di laterizi di cm 8, a differenza della scatola muraria sottostante realizzata con conci di calcarenite di idonea sezione. Con il crollo della copertura e quello di una parte del prospetto, si era completamente perso l’effetto scatolare strutturale, e le pareti si presentavano a bandiera il cui ridotto spessore era assolutamente insufficiente a resistere a sforzi taglianti, indipendentemente dalla cause generatrici. Il setto murario residuo denunciava una lesione passante con una inclinazione di circa 45°, con la parte sommitale quasi completamente distaccata priva di qualunque resistenza a sforzi orizzontali, come mostra la foto 6.

Foto 6. Parete del prospetto laterale

Il cinematismo prevedibile prossimo all’innesco era quello del ribaltamento della porzione di muratura distaccata, dal lato opposto all’azione spingente se applicato al disopra del

366

baricentro: pertanto si è proceduto dall’alto attraverso una piattaforma e a sufficiente distanza e si è provocato il crollo verso l’interno avendo cura di procedere per parti ed evitare un coinvolgimento di altre zone lesionate che non avrebbero consentito una progressiva razionale demolizione, come mostra la foto 7.

Foto 7. Fasi di demolizione della parete lesionata

I setti pericolanti sono stati rasati fino l’altezza del solaio esistente, dal quale sono stati rimossi tutti gli sfabbricidi accumulati nei crolli avvenuti nel tempo, al fine di eliminare il sovraccarico considerevole capace di incrementarsi imbibendosi di acque meteoriche.

BIBLIOGRAFIA Giuffrè A., Carocci C.: Codice di pratica per la sicurezza e la conservazione del centro storico di Palermo; Editori Laterza, 1999. Giuffrè A.: La meccanica dell’architettura; NIS, 1995. Barrucchello L., Assenzo G.: Diagnosi dissesti e consolidamento delle costruzioni – manuale pratico; DEI Mastrodicasa S.: Dissesti statici delle strutture edilizie; Hoepli, 1993

367

368

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

MONITORING MEDIEVAL TOWERS BY ACOUSTIC EMISSION TECHNIQUE DURING EARTHQUAKE ACTIVITY A. CARPINTERI1, G. LACIDOGNA1, G. NICCOLINI1 1

Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica, Politecnico di Torino, Torino

ABSTRACT Many ancient masonry towers are present in the Italian territory. In some cases these structures are at risk on account of the intensity of the stresses they are subjected due to the high level of regional seismicity. In order to preserve this inestimable cultural heritage, a sound safety assessment should take into account the evolution of damage phenomena. In this connection, acoustic emission (AE) monitoring can be highly effective. This study concerns the structural stability of three medieval towers rising in the centre of Alba, a characteristic town in Piedmont (Italy). During the monitoring period a correlation between peaks of AE activity in the masonry of these towers and regional seismicity was found. Earthquakes always affect structural stability. Besides that, the towers behaved as sensitive earthquake receptors. Here a method to correlate bursts of AE activity in a masonry building and regional seismicity is proposed. In particular, this method permits to identify the premonitory signals that precede a catastrophic event on a structure, since, in most cases, these warning signs can be captured well in advance. SOMMARIO Numerose torri antiche in muratura sono presenti sul territorio italiano. In alcuni casi queste strutture sono a rischio se si tiene conto dell’intensità degli sforzi cui sono soggette a causa dell’elevata attività sismica regionale. Allo scopo di conservare questo inestimabile patrimonio culturale, una valida stima della sicurezza dovrebbe considerare l’evoluzione dei fenomeni di danneggiamento. In questo contesto, il monitoraggio dell’emissione acustica (EA) può essere altamente efficace. Questo studio riguarda la stabilità strutturale di tre torri medievali che si ergono nel centro di Alba, una caratteristica cittadina del Piemonte. Durante un periodo di monitoraggio, è stata rilevata una correlazione fra i picchi di attività di EA nella muratura di queste torri e la sismicità regionale. I terremoti influenzano sempre la stabilità strutturale. In questo caso le torri si sono comportate come ricettori sensibili ai terremoti. Si propone quindi un metodo per correlare i picchi di EA in una torre in muratura e la sismicità regionale. In particolare, questo metodo permette di individuare i segnali che precedono un evento catastrofico su una struttura. Infatti, in molti casi, questi segnali premonitori possono essere avvertiti con largo anticipo.

369

1. INTRODUCTION Non-destructive and instrumental investigation methods are currently employed to measure and check the evolution of adverse structural phenomena, such as damage and cracking, and to predict their subsequent developments. In particular, damage assessment for historical masonry buildings is often a complex task [1,2]. It is essential to distinguish between stable damage patterns and damage evolution leading to a catastrophic structural collapse. Some damage patterns can be subsequently activated by unpredictable events such as earthquakes, or by inappropriate functional extensions and restorations. In addition, the limited ductility of the masonry, combined with the large scale of these buildings, provides a rather brittle structural behaviour [3]. Damage, cracking and the evolution of these phenomena over time taking place in some portions of the masonry structures can be assessed through the Acoustic Emission (AE) technique [4]. This study concerns the structural stability of three medieval towers, “Torre Sineo”, “Torre Astesiano” and “Torre Bonino” (Fig. 1) rising in the centre of Alba, a characteristic town in Piedmont (Italy) [5]. During the monitoring period a correlation between peaks of AE activity in the masonry of these towers and regional seismicity is found. In fact the towers behaved as sensitive earthquake receptors. Earthquake statistics exhibit a complicated spatio-temporal behaviour which reflects the extreme complexity of Earth’s crust. Despite this complexity, there is a universally valid scaling law: the frequency-magnitude statistics of earthquakes given by the Gutenberg–Richter (GR) relation [6]. On the other hand, AE in materials and earthquakes in Earth’s crust, though they take place on very different scales, are very similar and correlated in time. In either case there is a release of elastic energy from localised sources inside a medium: respectively opening microcracks and hypocentres of earthquakes. Furthermore, earthquakes always affect structural stability. This similarity suggests an interpretation in which AE and seismic events are now considered to be linked both in space and time. With this approach it is possible to find correlation between bursts of AE activity in a masonry building and regional seismicity. In conclusion, this approach can be used to identify the premonitory signals that precede a catastrophic event on a structure, since, in most cases, these warning signs can be captured well in advance.

2. DESCRIPTION OF THE THREE TOWERS These masonry buildings from the 13th Century are the tallest and mightiest medieval towers preserved in Alba (Fig. 1). Torre Sineo is square-based, 39 m high, and leans to a side by about 1%. Wall thickness ranges from 2 m at the foundation level to 0.8 m at the top. The bearing walls are a sacco, i.e., consist of brick faces enclosing a mixture of rubble and bricks bonded with lime and mortar. Over a height of 15 m, the tower is incorporated in a later building. Torre Astesiano has a similar structure, but has a rectangular base. The filling material is more organised, with brick courses arranged in an almost regular fashion, which, however, are not connected with the outer wall faces. In this case too, the total thickness of the masonry ranges from 2 m at the bottom to 0.8 m at the top. Total height is ca 36 m and the tower does not lean on any side. It is also incorporated in a later building, approximately 15 m high, built when the tower had been completed. Torre Bonino, just under 35 m high, is the least imposing of the towers analysed. The bearing walls are similar to those of Torre Astesiano, except that the lower storeys are coated with a thick layer of plaster of over 10 cm. The thickness of the walls

370

ranges from 1.8 m at the base to 0.6 m at the top. The square-based structure has been incorporated in a valuable building from the Italian Art Nouveau period. During the monitoring of AE activity in the masonry of these towers regional seismic activity occurred [5]. Astesiano Tower Sineo Tower Bonino Tower

Figure 1. An overview of the medieval towers of Alba.

3. DAMAGE DETECTION OF THE TOWERS 3.1. Acoustic emission equipment and signals analysis The cracking processes taking place in some portions of the masonry structures were then monitored using the AE technique. Crack opening, in fact, is accompanied by the emission of elastic waves which propagate within the bulk of the material. In general, a microcrack is nucleated by the rupture of a bond in a weak spot, see Fig. 2(a). The stress on the failed bond is suddenly redistributed to the remaining sound bonds by waves which propagate through the elastic material, see Fig. 2(b). The transient stress wave ends when a new equilibrium configuration is reached, see Fig. 2(c).

(a)

(b)

(c)

Figure 2. Acoustic Emission in a structural element subjected to deformation during damage process. Early stage of the initiating microcrack (a). Opening of the microcrack (b). Arrest of the microcrack (c).

371

Acoustic emission (AE) is referred to as the release of elastic waves due to microcracking. These waves can be captured and recorded by transducers applied to the surface of the structural elements [4,7]. The AE measurement system Atel® used by the authors consists of eight piezoelectric (PZT) transducers, calibrated on inclusive frequencies between 50 and 500 kHz, and eight control units. The threshold level for the signals recorded by the equipment, fixed at 100µV, is amplified up to 100 mV. The system does not provide for the analysis of signal frequency. The amplification gain, given the relationship dB = 20log10 Eu/Ei, where Eu/Ei, is the ratio between the input voltage and the output voltage, turns out to be 60 dB. This is the signal amplification value generally adopted in monitoring AE events in masonry and in concrete. The oscillation counting limit has been fixed at 255 oscillations every 120 seconds. This procedure is termed as Ring-Down counting, where the number of counts is proportional to crack advancement [4,7]. The exponential decay of this signal with respect to time, for a single cracking event, is shown in Fig. 3.

West side

South side

Signal Voltage

Envelope Curve

Threshold level

Crack n. 2 1

2

3

4 5

6 7 Oscillations Counting

7th Floor

Crack n. 1

1 Events Counting Duration Time

Dead Time

Figure 3. Signal identified by the transducer and counting methods in AE technique.

Figure 4. Cross-sections of two sides of the Sineo Tower. Notice the presence of two cracks near the openings at the seventh floor level.

3.2. Acoustic emission monitoring For Sineo Tower, through AE monitoring, two cracks were detected in the inner masonry layer at the seventh floor level (Fig. 4). The monitoring process revealed an on-going damaging process, characterized by slow crack propagation inside the brick walls. In the most damaged zone, crack spreading had come to a halt, the cracks having achieved a new condition of stability, leading towards compressed zones of the masonry. In this particular case it can be seen that, in the zone monitored, each appreciable crack advance is often correlated to a seismic event. In the diagram shown in Fig. 5(a), the cumulative AE function relating to the area monitored is overlaid with the seismic events recorded in the Alba region during the same time period (see geographic map in Fig. 6). The relative intensity of the events is also shown in Fig. 5(a).

372

ML

AE

200

400

10/21/00

10/27/00

10/20/00

10/12/00

09/26/00

10/04/00

1.5 09/09/00

1000

0

(b)

8000 2

0

ML

AE

5 4

2.5

1500

500

10000

3

(a)

2000

3.5

800 1000 1200

3

4000

2

1

2000

0.5 0

600

6000

11/04/03

2500

0 0

1400

Monitoring time in hours

500

1000 1500

1 0

2000 2500 3000 3500

Monitoring time in hours

ML

AE 9000

(c)

5 4

6000

3 2 12/20/03

3000

1

0

0 0

200

400

600

800

1000 1200 1400

Monitoring time in hours

Figure 5. AE counting number and seismic events in local Richter scale magnitude (ML). Sineo Tower (a), Astesiano Tower (b), Bonino Tower (c). AE monitoring site Earthquakes during AE monitoring period

Alba

Scale (Km) 0

32

Figure 6. Geographic map showing the AE monitoring site and the regional seismic activity occurred during the time of AE monitoring of Torre Sineo (from Sept. 16, 2000 to Nov. 7, 2000).

A similar behaviour was observed for the Torre Astesiano. This structure was monitored by means of two transducers applied to the inner masonry layer of the tower, at the fourth floor level near the tip of a long vertical crack. The results obtained during the monitoring period are summarised in the diagram in Fig. 5(b). It can be seen how the damage to the masonry and the propagation of the crack, as reflected by the cumulative number of EA events, evolved progressively in time. A seismic event of magnitude 4.7 on the Richter scale occurred during the monitoring period: from the diagram we can see how the cumulative

373

function of EA counts grew rapidly immediately after the earthquake. The monitoring of Torre Bonino was performed at first floor level, where the effects of restructuring works have affected the masonry most adversely. Under constant loading, a progressive release of energy is observed, due to a creep phenomenon in the material. A seismic event of magnitude 3 on the Richter scale occurred during the monitoring period (Fig. 5(c)). During the observation period, the towers behaved as sensitive earthquake receptors. Thus, as can be seen, the AE technique is able to analyse state variations in a certain physical system and can be used as a tool for predicting the occurrence of catastrophic events. In many physics problems – e.g., when studying test specimen failure in a laboratory, the modalities of collapse of a civil structure, the natural seismic activity of a volcano or the localisation of the epicentral volume of an earthquake – the modalities of a structural collapse are generally analysed after the event. This technique can be used instead to identify the premonitory signals that precede a catastrophic event, as, in most cases, these warning signs can be captured well in advance [8-10]. 3.3. The “b-value” analysis A magnitude-frequency empirical relation, the celebrated GR relation [6], originally introduced by Gutenberg and Richter to describe the earthquakes statistics, has been later successfully applied in the acoustic emission field: N t m 10a bm

(1)

where N is the number of AE events with magnitude t m in the monitored structural element, and b and a are positive coefficients to be determined subjecting collected AE data to a statistical analysis. In particular, b is a parameter which says how large the ratio of events with low magnitude, i.e. smaller microcracks, to large ones (that is with higher magnitude) is. From the literature on AE tests it is well-known that the b-value decreases as the monitored specimen approaches impending failure. It is common to observe a trend of b-value to the critical value bcrit = 1 during final crack propagation [11]. A theoretical basis for explaining bcrit =1 has been established, by exploiting properties of a power-law crack size distribution [12,13]. Besides the released energy, through the ring-down counting it is possible to give a good estimation to the b-value of the GR relation (a more precise evaluation of b-value can be achieved with more sophisticated AE acquisition systems) by the formula: b

log10 nMAX  log10 n0 , log10 Ath

(2)

where Ath is the threshold voltage, nMAX is the counting capacity of the transducers, and n0 is the number of ring-downs counted in a specified time window. Therefore, the b-value given by Eq.(2) is a saturation index of the counting capability the transducers, and it depends on the adopted transducers and the fixed threshold. Low values of b correspond to high values of n0 indicating a large amount of AE activity, i.e. a large damage amount, whereas high values of b correspond to low values of n0 indicating a small amount of AE activity, i.e. a small damage amount. For the towers AE monitoring the Atel® equipment has been adopted [4,5,7], with a threshold level fixed at Ath = 100 PV, and the oscillation counting limit fixed at 255 oscillations every 120s. Hence, with this equipment nMAX = d x 255, where d is a positive integer defining the time window amplitude during the monitoring. Therefore, the b-value of Eq.(2) takes the particular form:

374

b

1 >log10 d 255  log10 n0 @ , 2

(3)

where in the specific case n0 z 0 is the number of ring-downs counted during a time window of d x 120s. The above described “b-value” analysis has been carried out considering the time series of AE data collected during the monitoring of damaged zones of Sineo Tower (Fig.4). The results are depicted in the graph of Fig. 7(a). It can be observed that b-values in the range 1.5, 2.5 , far from the critical value bcrit = 1, may be interpreted as sign of stable damage evolution. There is a remarkable similarity between the average value b = 1.93 describing the intensity of AE activity on the tower and the b-value measuring the regional level of seismic activity, which is b = 1.85 (see Fig. 7(b)). This intriguing observation suggests that the b-value could be considered as an universal exponent characterizing both the earthquakes distribution and the AE activity monitored on the urban system. (a)

(b)

3 2. 5 2

=-1.8573m+ 5.6322 m + 5.63 Log N LogN =  1.85

0.6

Log N

b- val ue

b-value

1 0.8

1. 5 1

0.4 0.2

0. 5

0 0 0

20

40

2.5

60

2.6

2.7

2.8

M a gn i t u de m Magnitude

T i m e (d a y s ) Time (days)

2.9

3

3.1

m

Figure 7. b-value trend of the monitored cracks on Sineo Tower. The straight line represents the average value b=1.93 (a). Cumulative number N of earthquakes, with magnitude t m as a function of m, occurred in Piedmont during the AE monitoring period. The b-value is b=1.85 (b).

4. EFFORTS AT EARTHQUAKE FORECASTING 4.1. Clues for recognizing impending earthquakes In this Section, we examine a possible application of AE technique in view of probabilistic prediction of the time and place of earthquakes. Most earthquakes have precursors, which are short term and long-term changes in the Earth that take place prior to an earthquake. Which are the precursors of impending earthquakes? A multitude have been suggested, but it is still not clear which are reliable. Certainly any operative scheme of practical prediction must be based on a combination of clues. In recent years, the major earthquake-prediction effort has been more precise measurements of fluctuations in physical parameters in crustal rocks of seismically active continental areas and suspicious gaps in the regular occurrence of earthquakes in both space and time. More precisely, variation in the seismicity rate is a long-range predictor. In brief, a strong change in the normal background earthquake occurrence is noted. A region in an area of seismic activity that has had little earthquake activity for a number of years is called seismic gap. Seismic gaps are considered to be potential sites for major earthquakes. On the other hand, the increasing pressure in subsurface rocks in the region of the epicentre produce numerous cracks prior to failure and, then, cause changes in rock properties: cracks development in the crustal rocks causes the rock volume to swell or dilate. Therefore, velocity

375

drop of seismic waves (of micro-earthquakes) caused by rocks dilatancy is a significant earthquake precursor in an area of seismic activity [14]. Other precursors due to rock dilatancy and cracks opening are the crustal tilt and elevation changes, decrease of the electrical resistivity of the rocks, and release of radon gas into the atmosphere, which requires very small pores to propagate. As damage process develops, water diffuses from the surrounding rocks into pores and microcracks of increasingly larger size, which meanwhile are forming. As water fills the cracks, the speed of seismic waves through the region begins to increase again, the uplift of the ground ceases, emission of radon from the fresh crack tapers off, and the electrical resistivity decreases further. The subsequent stage is the onset of the earthquake, which is immediately followed by numerous aftershocks occurring in the area. A synthetic representation of these fluctuations is given in Fig. 8 [14]. Precursor stages

Physical parameters Stage I Build-up of elastic strain

Stage II Dilatancy and development of cracks

Stage IV earthquake

Stage III Influx of water and unstable deformation in fault

Stage V Sudden drop In stress followed by aftershocks

Seismic P velocity

Ground uplift and tilt Radon emission Electrical resistivity

Number of seismic events

Figure 8. Physical clues for earthquake prediction (reprinted from Bolt [14]).

4.2. From Acoustic Emission to Earthquakes When dealing with cracks of very small linear size, the mechanically vibrating structures shall be correspondingly very short, and the AE shall be in the ultrasonic range. This is due to the principle of the pendulum, whose frequency f is in inverse relation to its length l:

f 1 2S l / g . As soon as the size of the crack increases, either due to the enlargement of one previous crack, or to the coalescence of several previous smaller cracks (or both), the AE shall correspondingly become of progressively lower frequency, until eventually leaving the ultrasonic range and reaching the sonic range, which is the well-known seismic roar. Hence,

376

AE techniques have the potential for effectively monitoring the stress propagation through the crust and, in effect, some Italian researchers have collected continuous AE records during several years on the Gran Sasso massif, in central Apennines. In effect, an AE paroxysm, i.e. a large and almost abrupt increase of the AE signal, was observed ~ 400 km far from the epicentral area several months before the eventual occurrence of the Assisi earthquake [8,9]. The progressively lower frequency (from ~ 200 kHz to ~ 25 kHz) of detected AE as time elapsed appeared consistent with the expectation that high-frequency AE, i.e. ~ 200 kHz, is very likely to be associated with the yield of small cracks within the crust, which later coalesce into flaws of increasingly larger size, which release AE of progressively lower frequency. In order to correlate AE paroxysms to the previously mentioned seismic precursors, indication that Radon exhalation occurs almost at the same time of the AE paroxysm has been found [8], i.e. ~7-8 months before the earthquake. The importance of Radon as a seismic precursor is due to the fact that it propagates through some comparatively much smaller cracks associated with AE, unlike heavier gases that require comparatively larger cracks associated with the late low-frequency AE (~ 25 kHz), which precedes by few weeks the earthquake. The time sequence of progressively decreasing bulk of the frequency of the released AE is represented, as a first approximation, in terms of Dirac G-functions and, in a more detailed way, in terms of some tail feature, see Fig. 9. Therefore, the potential of the AE monitoring for earthquake prediction appears promising, since precursor AE signals in the ultrasonic range can be captured well in advance. In the following, a method to correlate peaks of AE activity in masonry of two medieval towers rising in the centre of Alba to regional seismicity is proposed. The underlying assumption is that the oscillations of the ground propagate through the towers, which behaved as sensitive earthquake receptors. The adopted PZT transducers, sensitive in the range from 50 to 500 kHz, when applied to the surface of the structural elements of the towers appear thus capable of capturing the AE in the ultrasonic range rising from the ground. AE

AE

time

time earthquake

earthquake 50 kHz

50 kHz 200 kHz frequency

200 kHz frequency

Figure 9. The bulk of the frequency of the released AE decreases vs. time, and, as a first-order approximation, the phenomenon can be depicted in terms of Dirac į-functions (a). Upon closer physical consideration, every įfunction should be substituted by a lognormal distribution (b) (Reprint from Gregori and Paparo [8]).

4.3. Correlation between AE activity on the towers and the regional seismicity A definitive method to assess any connection between AE events and earthquakes separated in space and time probably does not exist. Along the lines of studies on space-time correlation between earthquakes, here we propose a method of statistical data analysis for calculating the

377

degree of correlation both in space and in time between a time series of AE records and the local seismic records collected in the same time period. The analysis is based on the spacetime correlation combined generalisation of the well-known Grassberger-Procaccia correlation integral [15], which leads to a visualisation of both spatial and temporal correlations. The space-time combined correlation integral has been defined as follows: C r ,W {

1 N EQ N AE

N EQ N AE

¦¦ 4 r  x

k



 x j ˜ 4 W  tk  t j



(4)

k 1 j 1

where NAE is the number of the AE paroxysms recorded on the Alba towers from Sept. 16, 2000 to Nov. 7, 2000, NEQ is the number of earthquakes in the surrounding area recorded during the same period, and 4 is the Heaviside step function ( 4 x 0 if x d 0 and 4 x 1 if x ! 0 ). The k-index runs over all the recorded seismic events ^x k , t k ` , while j runs over all the recorded AE events ^x j , t j `. Therefore, among all the possible pairs made taking

an AE event and a seismic event, the sum in Eq.(4) counts those whose mutual epicentral distance is x k  x j d r and whose mutual time distance is t k  t j d W . Without further hypotheses, Eq. (4) permits to assess the degree of correlation without specifying whether AE events play as the precursor or the effect towards earthquakes. In fact, the condition t k  t j d W does not consider the chronological order between the two events. Since time series of AE and earthquakes are two sets strictly interwoven in the time domain, the question whether a given AE paroxysm occurring in the towers acts as a seismic precursor or is due to possible developing micro-damages subsequent to an earthquake is open. Here we propose a probabilistic answer, based on the available data, which can be found considering AE events once as precursors and next as foreshocks of earthquakes, and then comparing the obtained conditioned probability distributions in order to discover the prevailing trend. This analysis has been performed using the modified correlation integral: C rc r ,W {

1 N EQ N AE

N EQ N AE

¦¦ 4 r  x

k





 x j ˜ 4 W  t k  t j ˜ 4 r t k  t j ,

(5)

k 1 j 1

where signs “plus” or “minus“ in the last 4-function are used to account AE events respectively as seismic precursors or foreshocks. For example, the function Cc r ,W .gives the probability that a peak of AE, detected at a certain time, will be followed by an earthquake in the following W days and within a radius of r kilometres from the AE monitoring site. Varying the thresholds r and W in Eqs. (5), two cumulative probability distributions have been constructed, one for each adopted prescription (sign “plus” or “minus“) and then the corresponding conditioned probability density functions have been derived and represented in Figs. 10 and 11. It results that AE activity on the tower was more highly correlated to the seismic activity occurred within a radius of ~ 40 kilometres. A certain diversity comes out examining time correlation, since AE precursors appear more long-term correlated to earthquakes (within ~ 35 days) than AE foreshocks (within ~ 15 days).

378

(a)

(b)

Figure 10. Probability density that an earthquake and its AE precursor on Sineo Tower occur, as a function of their mutual space and time separations: 3D representation (a), and grayscale colour map (b).

(a)

(b)

Figure 11. Probability density that an earthquake and its AE damage-foreshock on Sineo Tower occur, as a function of their mutual space and time separations: 3D representation (a), and grayscale colour map (b).

5. CONCLUSIONS Besides the canonical use in non-destructive tests, the heuristic potential of AE monitoring of civil structures for environmental sciences (such as earthquakes prediction) appears much intriguing. A method to correlate AE activity on a medieval masonry tower subjected to longterm monitoring to regional seismicity has been proposed. From the evidences in the case study, similar contributions to AE activity on the tower result from the inner sources (structural damage) and external sources (crustal damage). Two phenomena qualitatively very similar such as the acoustic emission and the earthquakes become, when mutually correlated, two aspects of an unique phenomenon which looks the same on any scale or self-similar. That is reflected by the common b-value shared by these two class of phenomena. A true progress, however, can be realistically achieved only by means of the simultaneous operation of suitable arrays of AE monitoring sites, adequately placed on the territory, e.g. in the order of ~ 1000 over one large regional area.

379

AKNOWLEDGEMENTS This research was carried out with the financial support of the Ministry of University and Scientific Research (MIUR) and of the European Union (EU). The authors would like to thank the City of Alba and Dr. Eng. Massimo Reggio for their indispensable collaboration and Architects Massimo Aprile and Luigi Bacco for the technical support provided in the structural monitoring.

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Sessione IV: Modelli per l’analisi dei crolli

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382

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

FRP NEL CONSOLIDAMENTO STRUTTURALE DI VOLTE IN MURATURA: APPLICAZIONE DEL MODELLO BRIDGED CRACK G. FERRO, M. IPPERICO, V. PIGNATA Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica, Politecnico di Torino, Italia

SOMMARIO Il presente articolo applica i concetti della Meccanica della Frattura allo studio di archi in muratura consolidati mediante FRP. Si considera dapprima il problema dell’assestamento per fessurazione di archi ribassati, assumendo per il materiale murario una legge costitutiva puramente elastica abbinata ad una condizione di crisi per fessurazione. Il modello discreto ad una fibra proposto da Carpinteri [1] per l’analisi della risposta costitutiva a flessione di travi in cemento armato, viene esteso al caso di strutture murarie voltate. Le fibre di rinforzo vengono considerate, al pari delle barre d’armatura in una sezione di calcestruzzo, per l’azione di cucitura (bridging) che esercitano tra le facce della fessura di cui controllano l’apertura e la propagazione. Tale azione di bridging viene quindi modellata mediante forze concentrate di richiusura agenti alla bocca della fessura, ovvero laddove è collocato il rinforzo in FRP. ABSTRACT This paper applies the Fracture Mechanics approach to the study of masonry arches consolidated by means of FRP. The softening and fracturing process in shallow masonry arches is considered at first, assuming a purely elastic constitutive law for the material coupled with a fracture crisis condition. The discrete model for a cracked beam element with only one reinforcement proposed by Carpinteri [1] for the analysis of the constitutive behaviour of reinforced concrete beams in bending is extended to the case of masonry arches. The fibres are considered, as the reinforcement bars in a concrete cross-section, for the bridging action that they develop between the crack faces controlling the opening and the propagation. Such bridging action is therefore modelled by means of concentrated closure forces acting at the crack mouth, where FRP is placed. 1. INTRODUZIONE Da un punto di vista statico, la stabilità di una struttura voltata è garantita quando la curva delle pressioni, ovvero il poligono funicolare del carico permanente e di quello accidentale su di essa gravanti, passa all’interno del nocciolo centrale d’inerzia di ciascuna sezione (“canale

383

statico”) (Figura 1.a)[2]. In particolare, tre sono le sezioni caratteristiche al di fuori delle quali la curva funicolare non deve cadere: la sezione in chiave e le due sezioni alle reni, individuate da un angolo di 60° rispetto alla verticale (Figura 1.b). Qualora invece, la curva delle pressioni dovesse fuoriuscire dal predetto canale statico, a causa ad esempio di mutate condizioni di carico, la sezione si parzializzerebbe con conseguente nascita di tensioni di trazione. Fintanto che l’eccentricità rispetto al nocciolo centrale d’inerzia si mantiene modesta, l’arco pur fessurandosi è in grado di rimanere in esercizio. Se la curva delle pressioni, già esterna alle linee di nocciolo, fuoriuscisse anche dalle linee di intradosso o estradosso, ovvero dai bordi dell’arco stesso, sopraggiungerebbe la crisi per formazione di una cerniera. Fino alla formazione di tre cerniere, l’arco rimane comunque stabile configurandosi secondo il noto schema di arco a tre cerniere e quindi come struttura staticamente determinata; se il numero di cerniere aumentasse, la struttura diventerebbe labile (meccanismo o cinematismo) e l’arco collasserebbe. q

q

60°

60°

Figura 1: a) Curva delle pressioni; b) Sezioni critiche

Il rinforzo mediante applicazione di nastri in FRP all’intradosso e/o all’estradosso delle strutture voltate, incide sulle modalità di collasso alterando il meccanismo di formazione delle cerniere. Le tensioni di trazione, venutesi a creare a seguito della parzializzazione della sezione, vengono assorbite dal rinforzo stesso. Analogamente a quanto avviene nelle sezioni in c.a., la crisi dell’arco rinforzato (crisi di tipo globale) sopraggiunge per schiacciamento della muratura (raggiungimento del limite di resistenza a rottura della muratura) o per superamento della resistenza a trazione delle fibre [3]. Numerose ricerche sperimentali hanno dimostrato che attraverso una adeguata progettazione del rinforzo e un suo razionale posizionamento sull’elemento strutturale da consolidare, si ottiene un incremento delle capacità portanti e resistive. Non bisogna dimenticare che nel caso di strutture ad arco in muratura i metodi di calcolo tradizionali, calcolo elastico e a rottura, creano non poche incertezze [4]. Da un lato, lo schema di calcolo elastico (metodo delle tensioni ammissibili) considera le strutture totalmente compresse e poi verifica che la curva delle pressioni non fuoriesca dal terzo medio della sezione, senza indagare sul comportamento della struttura nella fase fessurativa. Dall’altro lato, il calcolo a rottura (metodo agli stati limite) ipotizza la muratura come materiale non resistente a trazione e poi verifica che la curva delle pressioni non cada al di fuori dello spessore murario dell’arco stesso. Entrambi gli schemi di calcolo non sono tuttavia in grado di cogliere quella fase intermedia di danneggiamento della struttura, che si verifica durante il processo di carico e che immediatamente segue e precede le situazioni relative agli schemi tradizionali di calcolo [5]. Inoltre, sia il calcolo elastico, che descrive la struttura fino al sorgere della prima non-linearità, sia il calcolo a rottura, che invece considera solo l’ultima condizione prima del collasso finale, non consentono una stima adeguata dell’effettivo contributo apportato dal rinforzo in FRP.

384

L’incremento delle prestazioni di una struttura muraria rinforzata con FRP è assicurato qualora si crei uno stato tensionale di trazione nel rinforzo stesso, che in tal modo è in grado di sopperire alla trascurabile resistenza a trazione del materiale murario. Il presente lavoro riprende i risultati di un lavoro di Carpinteri [6] sull’effetto della propagazione di fratture in un arco in muratura ed estende l’analisi all’applicazione di rinforzi di tipo FRP.

2. LEGGI COSTITUTIVE La muratura è caratterizzata da un comportamento anisotropo e non lineare anche per bassi valori delle deformazioni. Il materiale murario sottoposto a prove di carico monoassiali presenta valori di resistenza a trazione e di resistenza a compressione assai diversi: molto maggiori i secondi rispetto ai primi. Tale comportamento giustifica l’ipotesi, largamente accettata, di considerare la muratura come materiale non resistente a trazione. Dal diagramma tensione-deformazione di un elemento murario si deduce che il comportamento a compressione è elastico lineare per bassi valori della deformazione, non lineare crescente fino ad un valore di picco della tensione di compressione. Al valore di picco segue un ramo softening (non lineare decrescente) lungo il quale la resistenza del materiale decresce più o meno rapidamente in funzione della composizione della muratura (tipologia degli elementi resistenti artificiali o naturali e tipologia della malta di allettamento). La legge costitutiva che meglio rappresenta il comportamento di un materiale in muratura naturale o artificiale potrebbe essere rappresentata da una legge costitutiva elasto-softening (Figura 2). Ciò equivale a considerare semplicemente una legge costitutiva elastica abbinata ad una condizione di crisi per fessurazione in accordo con i concetti della Meccanica della Frattura; ovvero il materiale presenta un comportamento puramente elastico con possibilità di formazione ed estensione di fessure. I compositi fibrorinforzati, invece, sono materiali eterogenei che presentano un comportamento anisotropo. Sottoposti a sollecitazione di trazione in una data direzione, ad esempio quella delle fibre, essi mostrano una risposta elastica lineare fino alla tensione di rottura [7]. (a)

(b)

V

V ff

ft H

H

Figura 2. Leggi costitutive: (a) Muratura; (b) FRP.

3. MECCANISMI DI APERTURA E CHIUSURA DELLA FESSURA Come già anticipato, il materiale elasto-softening sarà considerato come materiale puramente elastico con la possibilità di formazione ed estensione della fessura. Una tale ipotesi è valida soltanto quando la struttura è sufficientemente grande così che i profili tensionali, previsti

385

dalla Meccanica della Frattura Elastica Lineare [1], possano svilupparsi in vicinanza dell’apice della fessura. Come parametro di danno viene considerata la profondità normalizzata della fessura [ = a/b (Figura 3.a), e come parametro di carico, il fattore di intensificazione degli sforzi KI (Figura 3.b) che rappresenta un fattore di amplificazione del campo tensionale quando i carichi sono simmetrici rispetto alla fessura (per es.: sforzo assiale e momento flettente). Si trascurerà il taglio. a

V = KI /¥2SОЪОr, r0

0,3

F

F

0,25 [*

[

0,2 0,15

K I 30 N/mm2) per fondazioni; Rck 350 (Resistenza caratteristica a compressione Rck > 35 N/mm2) in elevazione. Acciai: FeB44K controllato in stabilimento (Fy>Fyk = 430 N/mm2; Ft>Ftk=540 N/mm2; allungamento percentuale A>12%). A valle dei primi sopralluoghi è emerso in maniera sempre più chiara che, relativamente alle indagini sulle caratteristiche meccaniche dei materiali, l’elemento cruciale risultava essere il calcestruzzo. Da un lato, le maggiori incertezze nei dati a disposizione (in parte fisiologicamente legate al tipo di materiale) si concentravano proprio su tale elemento, dall’altro le modalità e caratteristiche dell’evento oggetto di indagine suggeriscono un tipo di crisi che ha coinvolto in maniera centrale il calcestruzzo. Pertanto si è proceduto alla messa a punto di un piano di indagini sperimentali sul calcestruzzo in opera per come illustrato nei paragrafi successivi. 2.1. Piano d’indagine E’ stato predisposto un piano di indagini distruttive e non distruttive da effettuare sull’area del crollo e sull’edificio adiacente rimasto in piedi, scegliendo le membrature da analizzare, la tipologia e numero indicativo di saggi, prelievi e indagini non distruttive per ciascuna di esse. In tale ottica, la finalità del piano di indagini in sito è stata quella di valutare la resistenza del calcestruzzo in opera. Notoriamente, infatti, a causa di problemi legati al grado di compattazione, alla stagionatura, ed in generale alle condizioni di getto e posa in opera, la resistenza meccanica della struttura in calcestruzzo può essere anche sensibilmente diversa da quella misurata su provini confezionati e maturati secondo normativa. La strategia adottata è stata quella di eseguire un numero mirato di prelievi di campioni di calcestruzzo (a mezzo di carotaggio) dagli elementi strutturali, da correlare con un più esteso database di indagini non distruttive (indagini sclerometriche e ultrasoniche).

468

Tabella 1. Valori di resistenza cilindrica e risultati delle indagini sclerometriche ed ultrasonore per le carote prelevate dal Blocco 2.

2.2. Elaborazione risultati sperimentali I risultati delle indagini non distruttive sono state correlate alle resistenze dei campioni prelevati, sottoposti a prova di schiacciamento in laboratorio. In particolare, sono state effettuate tre diverse correlazioni: 1. Correlazione tra resistenza meccanica e velocità ultrasonora. 2. Correlazione tra resistenza meccanica e indice di rimbalzo sclerometrico. 3. Correlazione tra resistenza meccanica, velocità ultrasonora e indice di rimbalzo sclerometrico (metodo SonReb) Tali correlazioni sono state ottenute attraverso l’elaborazione statistica dei dati sperimentali disponibili sulle carote (resistenza, velocità ultrasonora, indice di rimbalzo), applicando il Metodo dei Minimi Quadrati per individuare la migliore interpolante [2,3]. Le espressioni utilizzate nei tre casi sono : 1. R = A x BV 2. R = A x BI 3. R = A x BV x CI con: R = resistenza del calcestruzzo; A, B, C costanti da determinare in base ai valori sperimentali; V = velocità ultrasonora; I = indice di rimbalzo. A questo punto, è possibile stimare i valori di resistenza in sito sulla base delle misurazioni non distruttive (V ed I), attraverso le tre relazioni precedenti. I valori di resistenza così ottenuti sono stati considerati come “resistenze di prelievo”. La numerosità dei dati (le indagini non distruttive sono state effettuate in numero adeguato) consente di effettuarne una elaborazione statistica, ottenendo quindi un “valore caratteristico della resistenza in sito”. I valori ottenuti non possono però essere direttamente confrontati con i valori caratteristici di progetto, a casa di una serie di circostanze (modalità di confezionamento e di compattazione, condizioni di maturazione) che rendono la resistenza in sito fisiologicamente inferiore a quella “potenziale di progetto” che solo un provino confezionato e conservato con modalità e

469

condizioni assolutamente ideali potrà esprimere. Da esperienze riportate in letteratura, [1] una scelta adeguata e sufficientemente prudenziale è quella di assumere il valore caratteristico di progetto pari a: Rck (calcolo effettiva) = 1.25 x Rck (situ) Tale metodologia è stata applicata ai dati raccolti sul Blocco 2, ottenendo le seguenti curve di regressione: 1. R = A x BV A = 1.00054614; B = 2.6465139 2. R = A x BI V

A = 1.04276797; B = 4.0800615 I

3. R = A x B x C

A = 1.00041; B = 1.013206; C = 2.639652

L’applicazione di tali curve ai dati delle indagini non distruttive ha fornito le resistenze di prelievo, ed infine il trattamento statistico di queste ultime ha permesso di ricavare i seguenti valori delle resistenze caratteristiche in sito e delle corrispondenti resistenze di calcolo effettivo. QUADRO RIASSUNTIVO BLOCCO 2 CORRELAZIONE

N° CAMPIONI

POPOLAZIONE

Ultrasuoni Sclerometro SonReb

14 14 14

37 76 37

Rck di calcolo effettiva [MPA] 23,05 22,06 22,62

Tabella 2. Resistenza di calcolo effettiva ricavata con i tre metodi di elaborazione dei dati sperimentali.

I valori della resistenza di calcolo effettiva ottenuti con i diversi metodi sono molto simili: ciò, nonostante la limitatezza della popolazione di dati usata nelle elaborazioni statistiche, data la notevole omogeneità riscontrata, consente di ritenerli sufficientemente affidabili. In base a tali valori, si può assumere come effettiva classe di resistenza del calcestruzzo in opera una classe Rck 250 (Rck Ů 250 Kg/cm2). Al fine di ottenere una conferma della stima della resistenza in situ ottenuta, poiché erano disponibili i certificati di laboratorio relativi ai prelievi effettuati per i controlli di accettazione, si è effettuata un’ulteriore correlazione che lega la misura della massa volumica del provino compattato a rifiuto (mv0) e quella della carota (mv). Si ricorda che tra la resistenza meccanica del provino (cubico o cilindrico) e quella della carota estratta dalla struttura esiste una differenza soprattutto per il diverso grado di compattazione con cui il calcestruzzo è stato costipato dentro le casseforme per i provini (compattazione a rifiuto) o i casseri per le strutture reali. Indicato con gc il grado di compattazione definito come: gc = mv/mv0, una stima indicativa della variazione di resistenza percentuale (secondo alcuni recenti lavori scientifici basati su campagne sperimentali, [5]) è data per i casi più comuni (0.9 ŭ gc ŭ1) dalla seguente relazione: 'R = 500 (1- gc) Cioè, per ogni punto centesimale di grado di compattazione rispetto all’unità (compattazione massima), si registra il 5% in meno di resistenza meccanica nel calcestruzzo della struttura rispetto al valore del corrispondente calcestruzzo del provino compattato a rifiuto.

470

Sulla base dei dati disponibili, riferiti rispettivamente ai provini prelevati e schiacciati dalla Direzione dei lavori nella fase di getto ed alle carote prelevate durante le indagini in sito svolte dal perito, vedi Tab.3 , si deduce un grado di compattazione medio pari a : gc = 0.93 e corrispondentemente, una variazione di resistenza percentuale:

'R = 33,3%

Tabella 3. Dati geometrici e masse volumiche dei provini e delle carote del Blocco 2.

Tale valore, che indicherebbe un declassamento della resistenza da 35 N/mm2 (350 kg/cm2) a 25 N/mm2 (250 kg/cm2), è sostanzialmente in accordo con i risultati delle indagini in sito già illustrate.

3. SIMULAZIONI NUMERICHE E VERIFICHE Al fine di valutare le sollecitazioni nella situazione di imminente collasso, è stato effettuato un calcolo della struttura considerando la piastra del I impalcato, soggetta al solo carico determinato dal getto (parziale e non completato) della piastra del II impalcato, come rappresentato in Figura 4. 3.1. Condizione di carico La condizione di carico, oltre ai carichi permanenti legati alla geometria indicata, comprendono il sovraccarico permanente rappresentato dalla parte dell’impalcato superiore che era stata gettata al momento dell’evento (tale valore è stato ricostruito sia in base alla testimonianze esaminate, che in base all’esame del giornale dei lavori e dei documenti di trasporto di calcestruzzo). Nella fase di getto, evidentemente, l’impalcato superiore non costituisce un elemento resistente ma un sovraccarico che agisce sulla piastra sottostante. Naturalmente, non sono incluse altre condizioni di carico accidentale, dato che è nota la condizione di carico effettivamente agente al momento del crollo e non vi è su tali carichi coefficiente parziale di sicurezza.

471

Figura 4. Situazione di carico al momento del crollo. con il sovraccarico determinato dalla parte di impalcato già gettato.

3.2. Individuazione delle condizioni di crisi della struttura In questa situazione le verifiche rilevanti al fine del fenomeno occorso risultano essere quelle a punzonamento, sulle quali ci si soffermerà in dettaglio, dal momento che risultano cruciali nella comprensione della dinamica del collasso strutturale. Tali verifiche sono effettuate sulla base delle sollecitazioni determinate con il calcolo del modello strutturale appena descritto, utilizzando diversi metodi, presenti non solo nella normativa italiana vigente all’epoca, ma anche in quelle più recenti, italiane ed europee. È bene sempre ricordare che i metodi di verifica recepiti dalle normative derivano da modelli teorici di validità scientifica riconosciuta e consolidata, ma ciò non esclude la possibilità di fare ricorso a modelli alternativi di riconosciuta validità, e che le diverse modellazioni conducono comunque a differenze – per quanto contenute – nei risultati. In una situazione delicata come quella in esame, considerata l’aleatorietà dei fenomeni in gioco, i margini di incertezza associati alle valutazioni ex-post, l’uso ed il confronto di diversi metodi diviene indispensabile, per identificare con maggiore affidabilità le sezioni critiche ed il range delle sollecitazioni di crisi. I metodi di verifica usati a tal fine sono: Metodo delle Tensioni Ammissibili; Metodo degli Stati Limite (normativa italiana); Eurocodice 2. Le verifiche cruciali per comprendere le cause del crollo riguardano, naturalmente, la piastra alla quota + 5.90 m ed i relativi pilastri di supporto. 3.3. Verifiche a punzonamento Si parla di punzonamento quando una forza concentrata agisce su un punto, o meglio su una superficie non troppo estesa di una elemento bidimensionale (piastra). Le tensioni generate, se di modesta entità, possono essere assorbite dal solo contributo del calcestruzzo, viceversa può essere necessario prevedere apposite armature, o addirittura riprogettare la geometria della sezione.

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Verifica alle tensioni ammissibili L’impostazione utilizzata nelle verifiche col metodo delle tensioni ammissibili, prevede la determinazione delle tensioni tangenziali (t) con un modello lineare e con riferimento ad una sezione a filo dell’area caricata. Detto u il perimetro dell’area caricata, h lo spessore dell’elemento bidimensionale, e quindi d la sua altezza utile e z il braccio della coppia interna, la massima tensione tangenziale fornita dall’azione punzonante F è pari a:

W max

F u˜z

F u ˜ 0.9d

Spesso in maniera semplificata si utilizza l’espressione: F W max u˜h Se questo valore è inferiore al valore tc0, l’elemento è in grado di resistere al punzonamento senza specifiche armature. Se è superiore a tc1, allora la sezione non è accettabile (bisogna aumentare lo spessore dell’elemento). In situazioni intermedie, la forza F sarà assorbita da un’apposita armatura disposta secondo le isostatiche di trazione, e quindi inclinata a 45°. Verifica agli stati limite secondo il DM 9/1/96 Il metodo delle tensioni ammissibili, facendo riferimento alla sezione a filo dell’area caricata, è in verità eccessivamente cautelativo. In generale un carico concentrato si diffonde con un angolo che potrebbe essere compreso tra 30° e 45°, e solo all’esterno di tale zona ha senso preoccuparsi del taglio o del punzonamento. Ciò è riconosciuto, almeno in parte già nel DM 9/1/96, che definisce come perimetro u di riferimento per il punzonamento quello ottenuto diffondendo l’area caricata a 45° fino al piano medio della sezione. La resistenza a punzonamento in assenza di apposita armatura è pari a FRd

0,5 ˜ u ˜ h ˜ f ctd

Ciò deriva dal considerare la tensione tangenziale pari ad F/u·h ed accettare una tensione principale di trazione non superiore alla metà della resistenza a trazione del calcestruzzo (fctd). Verifica secondo l’Eurocodice 2 L’Eurocodice 2 compie un ulteriore passo avanti, perché considera una diffusione del carico con angolo di circa 33° rispetto all’orizzontale, più precisamente con un rapporto larghezza/altezza pari a 1,5 anziché i 45° del D.M. 96; inoltre la diffusione è estesa fino alle armature inferiori e non fino al piano medio. Il perimetro critico è quindi ottenuto traslando le linee di contorno dell’area caricata di una quantità pari a 1,5d. Ad esempio se l’area caricata è un rettangolo di lati a e b il perimetro critico misura u

2a  2b  3Sd

Se l’area caricata è in prossimità di uno o più bordi liberi, il perimetro critico termina con tratti perpendicolari al bordo (ed il bordo libero non è ovviamente conteggiato nel perimetro). Ulteriori riduzioni devono essere fatte se l’area caricata è situata in prossimità di fori o aperture della piastra. Una volta individuato il perimetro critico, la resistenza a punzonamento è sostanzialmente riconducibile alle formule utilizzate per il taglio. L’azione sollecitante unitaria a punzonamento è valutata come

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Vsd u con Vsd azione da trasmettere attraverso il perimetro critico u. Se il carico concentrato può presentare un’eccentricità se ne deve tener conto incrementando vsd mediante un coefficiente b. In mancanza di calcoli specifici, nel caso di pilastri posti in prossimità di un bordo o di uno spigolo di una piastra si può assumere rispettivamente b= 1,4 e b=1,5. Per quanto riguarda la resistenza a punzonamento, si possano valutare, come per il taglio, le tre quantità: vsd

vRd1 : resistenza di calcolo della sezione, per unità di lunghezza di perimetro critico, in assenza di specifica armatura a punzonamento; vRd2 : massima resistenza di calcolo della sezione, per unità di lunghezza di perimetro critico, in presenza di specifica armatura a punzonamento; vRd3 : resistenza di calcolo, per unità di lunghezza di perimetro critico, della sezione armata a punzonamento; se vsd < vRd1 non è necessario disporre armatura per il punzonamento; se vRd1 < vsd < vRd2 è necessario disporre una armatura tale che vsd < vRd3; se vsd > vRd2 bisogna riprogettare la sezione; in particolare la resistenza della sezione in assenza di armatura a punzonamento è valutata con l’espressione: vRd 1 W Rd ˜ k ˜ (1,2  40 U l ) ˜ d con tRd : resistenza a taglio di calcolo; k 1,6  d (>1, con d in metri)

Ul

U lx U ly , percentuale di armatura tesa (rlx e rly, percentuali di armatura tesa in direzione

x ed y) 3.4. Risultati numerici I diversi modelli di verifica appena descritti sono stati applicati alle sezioni dove l’azione di punzonamento nei punti di attacco tra la piastra ed i pilastri sottostanti risultava più penalizzante. Non essendo previste armature specifiche (ferri piegati) per assorbire gli sforzi di trazione, le verifiche sono state effettuate affidando l’azione punzonante esclusivamente al calcestruzzo, con l’eventuale contributo delle sole armature a flessione (come descritto nei metodi illustrati nel precedente paragrafo). È evidente inoltre, dato che l’elemento resistente è il solo conglomerato, che è opportuno effettuare le verifiche anche rispetto alla effettiva resistenza in opera, stimata sulla base delle indagini sperimentali, in modo da poter valutare l’eventuale contributo del declassamento della resistenza al raggiungimento delle condizioni di crisi. Nella Tabella 4 è riportato il confronto tra le verifiche a punzonamento della piastra crollata effettuate con i diversi metodi, e rispetto alle due classi di calcestruzzo di progetto ed in opera, in corrispondenza degli attacchi più sollecitati con i pilastri. Il confronto è effettuato in termini percentuali, con il seguente significato:

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W max ˜ 100 W c0

TA (tensioni ammissibili)

N ˜ 100 FRd

SL (Stati Limite – DM 9/01/96)

v sd ˜ 100 v Rd 1

EC2 (Eurocodice 2)

Per una più agevole comprensione della tabella, si fa notare che per tutti e 3 i metodi di calcolo, quando l’impegno percentuale supera il valore 100, il calcestruzzo non è in grado di sviluppare ulteriori risorse, e sarebbe necessario quindi, per poter avere incrementi di carico, disporre una idonea armatura a punzonamento o addirittura riprogettare la sezione incrementando l’area di calcestruzzo. Se, come in questo caso, si parla della verifica di una struttura già realizzata ciò significa semplicemente che si raggiunge una condizione limite per la struttura.

Tabella 4. Verifiche a punzonamento della piastra a quota +5.90 m nella condizione di crollo.

VERIFICA A PUNZONAMENTO: PILASTRO 35

300,00%

250,00%

Impegno %

200,00%

Rck 350 150,00%

Rck 250

100,00%

50,00%

0,00% TA

SL

EC 2

Metodo di verifica

Figura 5. Verifica a punzonamento per il pilastro 35: confronto tra i diversi metodi.

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4. CONCLUSIONI È evidente dalla tabella e dai grafici riportati, che tutti i metodi di verifica impiegati, anche se se su gruppi di elementi diversi, denunciano il superamento della situazione limite in corrispondenza di alcune sezioni di attacco piastra-pilastri per entrambe le classi di calcestruzzo (Rck di progetto, Rck stimata in situ). Si osserva innanzi tutto che il metodo delle tensioni ammissibili non fornisce informazioni sul reale margine di sicurezza rispetto al collasso, perché, una volta superata la condizione limite imposta dalle verifiche di sicurezza (ben lontane non solo dalla situazione di crisi della struttura, ma anche dalla perdita del comportamento lineare) la non linearità del materiale ai successivi incrementi di carico può diventare rilevante. Non ha pertanto alcun significato rimuovere il coefficiente di sicurezza insito nelle verifiche per ottenere informazioni sulla condizione di crisi. Nel caso delle verifiche basate sugli Stati Limite (sia in versione nazionale che nell’Eurocodice), il coefficiente di sicurezza sui carichi è stato già rimosso dal momento che sono considerati dei carichi “attuali” (gravanti effettivamente al momento del crollo). Non si è ritenuto invece significativo rimuovere anche il coefficiente di sicurezza relativo ai materiali, in particolare il calcestruzzo, dal momento che le fonti di incertezza su tali aspetti non sono assolutamente eliminabili nemmeno con le indagini in sito e restano inevitabili incertezze su circostanze accidentali contingenti al momento del crollo. La circostanza di avere riscontrato resistenze in opera più basse di quelle di progetto sottolinea appunto le aleatorietà che caratterizzano tutto il processo di fornitura e posa in opera del calcestruzzo, e che sono solitamente coperte – in una buona progettazione strutturale – da tale coefficiente. Si fa peraltro presente che, quando anche si volesse quanto meno ridurre il coefficiente di sicurezza sulle resistenze nelle verifiche agli stati limite, l’impegno percentuale limite risulta egualmente raggiunto. BIBLIOGRAFIA [1] Di Leo A., Pascale G.: Prove non distruttive sulle costruzioni in cemento armato, Report Istituto di Scienza delle Costruzioni , Università di Bologna (1998). [2] Menditto G., ed altri: I metodi non distruttivi basati sull’impulso ultrasonoro e sull’indice di rimbalzo dello sclerometro, Industria delle Costruzioni ,N.159, pp.58-62 (Gennaio 1985). [3] Menditto G., Bufarini S., D’Aria V., Porco G.: Metodo combinato ultrasuonisclerometro: considerazioni e riflessioni, 11° Congresso AIPND , (Ottobre 2005). [4] Ghersi A.: Il Cemento Armato - Dalle tensioni ammissibili agli stati limite: un approccio unitario, Dario Flaccovio Editore , (2005). [5] Collepardi M.: Il Nuovo Calcestruzzo, (2001). [6] Alunno Rossetti V.: Il Calcestruzzo – Materiali e tecnologia, McGraw-Hill , (2003). [7] D.M. 09/01/1996 - Norme tecniche per il calcolo, l'esecuzione delle opere in cemento armato normale, precompresso e per le strutture metalliche. [8] UNI ENV 1992 -1-1 Eurocodice 2.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

VALUTAZIONE DELLA SICUREZZA STRUTTURALE DI AGGREGAZIONI COMPLESSE DI EDIFICI STORICI C. TOCCI1 1

Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

SOMMARIO In questo lavoro si propone una riflessione sulla valutazione della sicurezza strutturale delle aggregazioni edilizie dei centri storici anche alla luce delle indicazioni contenute nella Ordinanza 3431/2005 che affronta lo stesso tema nel più limitato contesto della sicurezza sismica. I temi inerenti l’individuazione delle porzioni di aggregazione suscettibili di una modellazione unitaria e la definizione dei metodi di analisi vengono affrontati mediante un approccio metodologico che riconduce lo studio di un insieme di edifici all’analisi di singoli elementi strutturali – per l’individuazione dei quali la lettura critica dell’aggregazione medesima è punto cruciale – conservando memoria dell’interazione di tali elementi con il contesto attraverso una opportuna modellazione delle loro condizioni al contorno. La metodologia viene presentata con riferimento a un progetto pilota per il recupero dell’isolato della Giudecca in Ortigia, evidenziando come la finalità possa essere non solo quella della quantificazione del miglioramento post intervento (come nel progetto citato) ma anche quella della previsione dei più probabili dissesti all’interno dell’aggregazione in vista di una consapevole politica di prevenzione. ABSTRACT The work proposes some remarks about the evaluation of structural safety of historical blocks even in the light of the directions imparted by the Ordinanza 3431/2005 which deals with the same subject in the narrow context of seismic safety. The individuation of the block’s portions that can be unitarily modelled and the definition of the analysis methods are carried out by means of a methodology that identifies the analysis of the blocks with the analysis of single structural elements taking into account their interaction with the other ones by properly modelling the boundary conditions. The methodology is presented with reference to a plan for the structural and functional rehabilitation of the Giudecca block in Ortigia, for which the principal aim was that of measuring the improvement achieved by means of structural interventions. Nevertheless, the same methodology can also be applied to forecast most probable ruins which can occur inside a given block in order to arrange appropriate prevention tools.

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1. INTRODUZIONE La sicurezza strutturale delle aggregazioni edilizie dei centri storici è un tema di grande rilevanza applicativa in considerazione della notevole estensione di situazioni che comportano considerevoli fattori di rischio: il degrado dei materiali, la cattiva organizzazione dell’impianto murario complessivo, la scadente qualità meccanica degli apparecchi costruttivi, le manomissioni e alterazioni legate alle necessità delle riorganizzazioni funzionali storicamente succedutesi. La valutazione della sicurezza strutturale di tali aggregazioni pone diversi problemi di natura concettuale oltre che operativa, legati per un verso alla difficoltà di individuare le porzioni dell’aggregazione suscettibili di una modellazione unitaria, per altro verso alla difficoltà di definire metodi di analisi sufficientemente semplici in vista di una loro applicazione estensiva. La rilevanza della questione è esplicitamente riconosciuta dalla recente normativa contenuta nell’Ordinanza 3431/2005 che, all’interno del capitolo riguardante la sicurezza sismica degli edifici esistenti, dedica alcuni paragrafi specifici (11.5.4.3.2. e 11.5.5.1.) agli aggregati edilizi. In particolare i due temi sopra ricordati, l’individuazione dell’oggetto dell’analisi e la definizione dei metodi di verifica, costituiscono il nucleo centrale del contenuto dei citati paragrafi e possono fornire interessanti spunti di riflessione anche in un contesto non esclusivamente limitato al problema sismico. Tale riflessione costituisce l’oggetto del presente lavoro. A partire da un riesame critico del progetto pilota per il recupero dell’isolato della Giudecca in Ortigia, risalente a qualche anno addietro, si suggerisce un percorso metodologico che riconduce l’analisi dell’aggregazione a quella di singoli elementi strutturali (le pareti), modellandone il comportamento meccanico attraverso schemi semplificati e tenendo conto della loro interazione con il contesto in termini di condizioni al contorno. All’interno di tale percorso metodologico la fase di individuazione dei singoli elementi strutturali è senza dubbio la più delicata in quanto presuppone una lettura critica dell’aggregazione in grado di metterne in luce i processi di formazione e modificazione, spontanei o pianificati, che sono all’origine della sua configurazione attuale. Nell’ambito del progetto pilota citato, l’applicazione di tale metodologia era finalizzata alla quantificazione del miglioramento post intervento, ma è evidente come la stessa metodologia si presti ad essere utilizzata anche per la previsione dei dissesti più probabili che è ragionevole attendersi nelle aggregazioni edilizie complesse, configurandosi pertanto come elemento essenziale per una scelta consapevole degli strumenti di prevenzione.

2. UN APPROCCIO METODOLOGICO 2.1. Aggregazione o aggregato? Usare il termine aggregazione, come suggerito nell’introduzione, in luogo del termine aggregato adottato dall’Ordinanza 3431/2005, per designare il tessuto urbano dei centri storici, non è questione meramente terminologica. Le due locuzioni hanno infatti significati sostanzialmente diversi e, a nostro avviso, la prima coglie assai più propriamente della seconda le caratteristiche essenziali di quegli insiemi di edifici contigui che realizzano un qualunque tessuto urbano. Per “aggregato” si intende, infatti, in generale, un insieme di elementi che attraverso un processo di formazione (“aggregazione”) acquisiscono caratteristiche diverse da quelle

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proprie dei singoli elementi componenti. L’aggregato ha cioè qualcosa di sostanzialmente diverso dagli elementi che lo compongono nel senso che questi hanno un grado di relazione interna tale da consentire di considerare il loro insieme come un unico oggetto. Viceversa, il termine “aggregazione” indica il processo che conduce alla formazione dell’aggregato senza necessariamente implicare un esito finale compiuto. Esso allude cioè a un grado di relazione tra i singoli elementi che non è tale da conferire a questi caratteristiche diverse da quelle degli stessi elementi pensati separati. Si tratta appunto del tipo di relazione che esiste tra gli elementi strutturali della costruzione muraria storica. Questa è infatti sempre realizzata per assemblaggio di singoli elementi, sovrapposti o affiancati l’uno all’altro, e interagenti tra loro per semplice contatto: i muri vengono costruiti sovrapponendo l’una sull’altra le singole pietre, le case mettendo insieme un certo numero di muri, un tessuto urbano, per quanto complesso, è ancora costituito da case – o, meglio, singole cellule – affiancate o sovrapposte. L’assemblaggio comporta vincoli non tenaci, ed è proprio la scarsa efficacia delle connessioni tra gli elementi della costruzione muraria a far sì che questa non esibisca, se non in forme in ogni caso assai blande, un comportamento d’assieme [1]. In altri termini, la discontinuità intrinseca dell’opera muraria, conseguenza della natura monolaterale dei suoi vincoli interni, preserva l’individualità degli elementi che la compongono – siano questi gli elementi che costituiscono i muri, le case o il tessuto urbano. Riferirsi allora al tessuto urbano come aggregazione anziché aggregato significa evidenziare una caratteristica di comportamento – la cui cifra essenziale è la discontinuità – che rende la struttura muraria profondamente diversa dalle moderne strutture intelaiate, fortemente iperstatiche e pluriconnesse. La precisazione terminologica non è dunque inessenziale e, come ulteriore conferma, vale la pena richiamare le difficoltà interpretative che emergono dalla lettura dell’Ordinanza 3431/2005. Nel punto 11.5.4.3.2. Aggregati edilizi, dopo aver dichiarato che l’oggetto dell’analisi è l’edificio facente parte di un aggregato e che per questo occorre tenere conto delle possibili interazioni derivanti dalla contiguità strutturale con gli edifici adiacenti, la norma precisa che ai fini della citata analisi occorre individuare, in via preliminare, l’unità strutturale (US) oggetto di studio specificando altresì che questa può essere composta da una o più unità immobiliari [2]. Ora, anche prescindendo dal fatto che l’identificazione dell’US con più unità immobiliari non rappresenta una scelta generalizzabile, ed è praticabile solo nei casi in cui l’oggetto della progettazione è costituito da un certo numero di edifici, il riferimento ad essa introduce, a nostro avviso, una ambiguità concettuale in quanto sembra alludere a una possibilità di strutturazione interna all’aggregato in contrasto con la natura intrinsecamente discontinua dell’opera muraria. 2.2. Dall’aggregazione alla parete Poiché la natura di assemblaggio caratterizza la costruzione muraria a qualunque scala la si osservi, la mancanza di un comportamento d’assieme si riscontra non solo tra gli edifici facenti parte di una aggregazione ma anche tra le cellule murarie da cui gli edifici sono composti e, finanche, tra le singole pareti che realizzano le cellule. Ne deriva che, scendendo dalla scala della città a quella dell’edificio, il concetto di aggregazione continua a rimanere valido: l’edificio murario è un insieme di cellule il cui grado di relazione interna non è tale da annullarne l’individualità e, allo stesso modo e per lo stesso motivo, anche le singole cellule altro non sono che insiemi non completamente strutturati di pareti (Figura 1).

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Figura 1. Aggregazione – edificio – cellula – parete

Si può dire in maniera del tutto equivalente che, allo scopo di studiare il comportamento meccanico di una parete muraria facente parte di una cellula chiusa (ad esempio, la risposta della parete ad azioni fuori del piano), la presenza della cellula non è essenziale se non per le limitazioni al movimento che essa impone alla parete in esame e per le forze che le trasmette, ovvero per le azioni di tipo cinematico e statico che dalla presenza della cellula derivano [3]. Pertanto se tali azioni sono garantite anche a mezzo di dispositivi diversi le due situazioni strutturali devono essere considerate di fatto equivalenti (Figura 2).

Figura 2. Identiche condizioni al contorno derivanti da configurazioni strutturali diverse

Ciò significa che le singole pareti di una cellula muraria si possono anche studiare separatamente l’una dall’altra a patto di mettere opportunamente in conto le rispettive condizioni al contorno e di modellare realisticamente l’interazione delle pareti con il contesto edilizio circostante. In questo modo la valutazione della sicurezza strutturale di una aggregazione edilizia può essere effettuata assumendo come oggetto dell’analisi le singole pareti murarie dal momento

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che la posizione delle suddette pareti all’interno del tessuto edilizio viene comunque inserita nell’analisi attraverso una opportuna precisazione delle azioni, statiche e cinematiche, che il tessuto trasmette alle pareti stesse. Sebbene con riferimento a configurazioni strutturali elementari, e limitatamente al problema sismico, un approccio di questo genere è stato assunto, ad esempio, in [4] per la valutazione del moltiplicatore di collasso di pareti murarie sollecitate nel piano. Diverse configurazioni strutturali, derivanti dalla differente consistenza delle fasce di piano e dalla presenza o meno di incatenamenti metallici, sono state ricondotte allo studio di un singolo pannello murario modellando l’interazione tra pannelli contigui o sovrapposti attraverso una opportuna calibrazione delle forze di interazione (Figura 3).

Figura 3. Pareti con diverse condizioni di vincolo ricondotte allo stesso modello meccanico [4]

Anche su questo aspetto la lettura della norma è interessante. Sempre al punto 11.5.4.3.2. questa dichiara che, senza una adeguata modellazione oppure con una modellazione approssimata dell’interazione con i corpi di fabbrica adiacenti, l’analisi delle US assume un significato convenzionale e ammette l’uso di metodologie semplificate che consistono, di fatto, nella verifica delle singole pareti murarie (punto 11.5.5.1. Verifica globale semplificata per edifici in aggregati edilizi). Poiché la modellazione dell’interazione tra corpi di fabbrica contigui non può che essere approssimata – non fosse altro che per il difetto di conoscenza immancabilmente connaturato ai limiti dimensionali di qualunque intervento – la possibilità di circoscrivere l’analisi a quella delle singole pareti sembra confermare l’ambiguità prima evidenziata circa la definizione delle US che verrebbero comunque studiate, indipendentemente dalla loro estensione, esaminando il comportamento di singoli elementi strutturali. 2.3. I modelli meccanici Posto dunque che, in vista della valutazione della sicurezza strutturale di una aggregazione edilizia, l’oggetto dell’analisi è la singola parete, occorre affrontare la questione di quali siano i metodi di analisi più appropriati attraverso i quali detta valutazione può essere effettuata. Allo scopo di modellare realisticamente gli aspetti essenziali della risposta strutturale delle costruzioni murarie sembra irrinunciabile che, indipendentemente dal metodo di analisi

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prescelto, questo sia in grado di recepire esplicitamente il carattere di discontinuità interna e la conseguente assenza di resistenza a trazione del materiale muratura. Un approccio semplificato che soddisfa tale requisito è quello al quale ci si riferisce ormai comunemente parlando di meccanismi alla Giuffrè [1]. Tale approccio assume come parametro fondamentale per la valutazione della sicurezza della costruzione muraria storica la stabilità dell’equilibrio piuttosto che la resistenza del materiale, identificando il collasso con la labilizzazione della struttura per formazione di un meccanismo cinematico di corpi rigidi; questi sono rappresentati da consistenti porzioni murarie che entrano in moto relativo, in seguito alla formazione di lesioni localizzate, senza che si verifichi una rottura diffusa del materiale. È evidente come la stabilità dell’equilibrio sia profondamente influenzata dalle condizioni al contorno della struttura le quali possono alterare sensibilmente il livello delle azioni esterne, di tipo statico o cinematico, in grado di innescare un meccanismo assegnato. Si pensi al classico esempio costituito dai meccanismi di collasso di Rondelet [5] – nei quali le condizioni di stabilità di una parete isolata sono migliorate dalla presenza di una o due pareti ortogonali (Figura 4) – che rappresentano una sorta di idealizzazione delle condizioni in cui si trovano le pareti reali di una aggregazione edilizia, in diverso grado contraffortate dalle pareti delle cellule contigue o sovrapposte.

Figura 4. Il terzo meccanismo di collasso di Rondelet

Le verifiche di meccanismo si inseriscono nel quadro concettuale delineato dalla applicazione dei teoremi di estremo della plasticità alla muratura. Più precisamente, esse costituiscono una applicazione del teorema cinematico del calcolo a rottura e, in quanto tali, richiedono l’analisi di diversi meccanismi di collasso tra i quali il più probabile è quello associato al minore livello delle azioni esterne. La scelta di un meccanismo realistico è dunque essenziale per non sovrastimare eccessivamente le reali riserve di sicurezza della struttura. D’altra parte, le analisi di meccanismo presuppongono un comportamento monolitico delle porzioni murarie individuate dal meccanismo stesso e, poter valutare lo scostamento del comportamento reale da tale ipotesi di partenza è fondamentale. L’applicazione del teorema cinematico appare cioè realistica solo per tessiture murarie di qualità meccanica tale da rendere lecita l’ipotesi di corpo rigido per le strutture analizzate. Vale la pena infine precisare che diversi studi sembrano ormai dimostrare come le verifiche di meccanismo siano sistematicamente più onerose rispetto alle verifiche di resistenza usualmente adoperate (del tipo di quelle suggerite anche dall’Ordinanza 3431/2005), il che legittima l’adozione dell’approccio di calcolo qui suggerito in quanto maggiormente cautelativo (si veda ad esempio [4]).

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3. IL RUOLO DELLA LETTURA CRITICA DELL’AGGREGAZIONE Sulla base delle considerazioni riportate nella sezione precedente, si può affermare che affinché la valutazione della sicurezza strutturale di una aggregazione, condotta attraverso verifiche di meccanismo riguardanti singoli elementi dell’aggregazione stessa, possa ritenersi ragionevolmente realistica occorre: (i) individuare correttamente gli elementi parete da sottoporre a verifica, (ii) controllarne la qualità meccanica, (iii) modellare adeguatamente le rispettive condizioni al contorno. Si tratta di operazioni per le quali la lettura critica dell’aggregazione assume un ruolo fondamentale [6, 7]. Per lettura critica si intende infatti la disamina dell’aggregazione di edifici realizzata mediante l’analisi (i) della tecnica costruttiva locale, (ii) delle fasi evolutive attraverso le quali si è formato l’assetto attuale dell’aggregazione, (iii) dello stato di conservazione e dissesto in cui l’aggregazione medesima si presenta. Tale tipo di analisi risponde direttamente alle richieste dell’approccio metodologico qui proposto. L’analisi della tecnica costruttiva locale si propone infatti una finalità inerente alla comprensione del comportamento meccanico delle pareti che costituiscono le costruzioni del tessuto analizzato e, conseguentemente, legittima l’adozione di un approccio di calcolo nel quale si assume implicitamente il comportamento monolitico di estese porzioni murarie. In assenza di una seria analisi costruttiva qualunque verifica di meccanismo costituisce una delimitazione superiore dell’effettiva sicurezza strutturale caratterizzata da un margine di approssimazione del tutto inaccettabile – poiché non solo le modalità di collasso potrebbero essere completamente diverse da quelle ipotizzate ma potrebbero anche innescarsi per azioni sensibilmente minori. La ricostruzione delle fasi evolutive è altresì essenziale per la corretta individuazione sia degli elementi strutturali ai quali lo studio dell’aggregazione si può ricondurre sia delle condizioni al contorno attraverso le quali si può modellare l’interazione di tali elementi con il contesto edilizio circostante. Nonostante la sua importanza tale fase della lettura critica è, forse, quella più difficile da effettuare con il dovuto dettaglio, non solo per le intrinseche difficoltà interpretative che costituiscono spesso un ostacolo insormontabile all’analisi, ma soprattutto per una oggettiva carenza di informazioni che solo in casi particolari può essere colmata. Nella maggioranza dei casi, ad esempio, la verifica delle ipotesi congetturali sulla datazione relativa di cellule edilizie affiancate può essere effettuata solo mediante la osservazione diretta dei paramenti murari e la lettura di dettaglio degli apparecchi adiacenti, operazioni purtroppo non sempre possibili. Se tale semplice osservazione pone in evidenza, da un lato, una limitazione oggettiva di siffatti studi sulla analisi diacronica dell’edificato, dall’altro essa mette in risalto la rilevanza delle informazioni che dagli stessi studi potrebbero scaturire in tema di scomposizione del tessuto edilizio in elementi strutturali semplici e di definizione delle loro modalità di interazione. A tale proposito basti solo pensare al ruolo delle connessioni tra le pareti murarie (le angolate e i martelli murari) e alla diversa efficacia che possono esibire nell’ipotesi di costruzione contestuale o successiva delle pareti collegate; o ancora al rafforzamento che per le stesse connessioni può rappresentare la presenza di elementi caratteristici di alcune culture costruttive locali (morse di attesa, speroni, catene). In conclusione, il fatto che la lettura critica non sempre si riesca a spingere fino al necessario livello di approfondimento, per ragioni indipendenti dalla capacità e dalla volontà

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dei tecnici, costituisce una limitazione oggettiva assai forte per qualunque valutazione di sicurezza di una assegnata aggregazione edilizia, dal momento che detta lettura interviene nella fase cruciale della modellazione strutturale. Da questo punto di vista appare chiaro come la pretesa di conseguire una maggiore affidabilità della valutazione attraverso il ricorso a modelli di calcolo più raffinati sia di fatto illusoria e come, al contrario, risultati più attendibili si possano ottenere adeguando l’accuratezza dei modelli al livello delle conoscenze disponibili. È appena il caso di sottolineare come il livello di approfondimento raggiungibile nella conoscenza di una aggregazione edilizia sia sensibilmente influenzato dallo stato di conservazione e di dissesto dell’aggregazione medesima. Banalmente, è evidente come la presenza di estese porzioni di paramenti murari privi di intonaco faciliti sia la lettura della tecnica costruttiva sia la ricostruzione congetturale delle fasi evolutive dell’aggregazione; o, ancora, come il rilievo del quadro fessurativo giustifichi o suggerisca l’adozione di particolari meccanismi di collasso.

4. IL PROGETTO PILOTA DELL’ISOLATO ALLA GIUDECCA Si illustrano di seguito le possibilità applicative della metodologia proposta utilizzando come esemplificazione un isolato dell’isola di Ortigia. Su tale isolato, circa un decennio fa, è stato redatto un progetto di recupero che, oltre alla rifunzionalizzazione delle abitazioni, aveva come obiettivo anche quello del miglioramento sismico (i progettisti incaricati dalla Amministrazione Comunale di Siracusa erano Antonino Giuffrè e Tommaso Giura Longo). In quella occasione l’aggregazione edilizia fu studiata in dettaglio sia per quanto concerne le caratteristiche costruttive che per quanto riguarda lo stato di conservazione e dissesto. I risultati di questo studio preliminare esteso a tutto l’isolato hanno consentito di evidenziare una serie di situazioni costruttive e strutturali, attinenti ai singoli elementi e alla configurazione dell’aggregazione, che nella successiva fase di interpretazione sono stati ricondotti a un certo numero di fattori di vulnerabilità. Il controllo di tali fattori è stato assunto come obiettivo del progetto di miglioramento sismico. 4.1. Descrizione dell’isolato della Giudecca Le caratteristiche della configurazione planimetrica dell’isolato, nonché quelle di primo impianto delle unità edilizie contengono tangibile memoria della derivazione antica (Figura 5). Il tessuto viario è costituito da strette strade ad andamento pressoché rettilineo che ricalcano le percorrenze di epoca greca, oggi parzialmente inglobate all’interno dell’isolato. Trasformazioni altrettanto importanti si intuiscono a livello edilizio, ove le residue corti interne di limitata estensione rimandano ai processi di tabernizzazione e insulizzazione [8] attraverso i quali le abitazione a corte evolvono nei tessuti compatti e intasati caratteristici dei centri di storia plurimillenaria (Figura 6). L’assetto attuale delle unità edilizie risulta ancora per numerosi casi impostato attorno allo spazio interno a cielo aperto, con la presenza dei fronti esterni delle abitazioni sia sulle strade pubbliche che sulla corte privata. La successiva addizione di nuovi livelli abitativi – trasformazione naturale della casa muraria storica – è probabilmente intervenuta a “consumo” della corte ormai compiuto. La consistenza attuale comunque non supera i 3 livelli fuori terra eccezion fatta per le numerose superfetazioni, in genere arretrate rispetto ai fronti strada.

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Figura 5. Pianta dell’isolato della Giudecca con individuazione delle unità edilizie del progetto pilota

La condizione di avanzato degrado – caratterizzata in alcuni casi anche da crolli parziali sia di strutture orizzontali che di pareti murarie – ha semplificato la fase di analisi delle caratteristiche costruttive, in particolar modo della qualità meccanica delle tessiture murarie. Per lo stesso motivo, in certi casi, è stato possibile osservare alcune peculiarità di impianto alle quali è stato attribuita una rilevanza strutturale in vista della modellazione meccanica.

Figura 6. Schematizzazione dei processi di “consumo” delle case a corte.

4.2. Le verifiche post intervento del progetto pilota Gli interventi di miglioramento previsti dal progetto strutturale sono consistiti essenzialmente: (i) nella riorganizzazione e razionalizzazione della maglia muraria, realizzata sia mediante la ricostruzione delle pareti di fattura eccessivamente scadente sia mediante l’inserimento di nuove pareti nelle porzioni di tessuto più lasche (per impianto o a causa di successive alterazioni); (ii) nel miglioramento generalizzato delle connessioni tra i diversi elementi; (iii) nella introduzione sistematica di incatenamenti metallici a livello degli orizzontamenti (utilizzando ove possibile le travi dei solai) e di cordoli murari sommitali. Il controllo dell’efficacia di tali interventi è stato effettuato mediante semplici verifiche di meccanismo riguardanti il ribaltamento monolitico delle pareti esposte, con vincoli intermedi e sommitali derivanti dagli incatenamenti, e delle pareti di controvento la cui funzione è proprio quella di garantire la presenza dei citati vincoli.

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È evidente che, rispetto all’approccio proposto in questo lavoro per la valutazione della sicurezza delle aggregazioni edilizie, le verifiche di meccanismo effettuate per il progetto pilota alla Giudecca si pongono in una condizione in qualche modo ideale. Tali verifiche riguardano infatti situazioni strutturali che, essendo frutto della previsione di specifici interventi di miglioramento, sono caratterizzate da un elevato grado di uniformità, in termini sia di qualità meccanica degli elementi strutturali che di tipologia di condizioni al contorno. Così, non si danno mai casi di pareti di qualità meccanica talmente scadente da ridurne significativamente la stabilità rispetto alla configurazione perfettamente monolitica, perché per queste pareti si prevede la demolizione e ricostruzione Né è possibile distinguere tra ammorsature di diversa efficacia, ai fini del controllo del ribaltamento delle pareti esposte, perché l’introduzione sistematica di tiranti metallici rende sufficientemente affidabile qualunque ammorsatura. Ancora, solai e coperture intervengono sempre come elementi stabilizzanti, introducendo un vincolo distribuito lungo gli allineamenti orizzontali di piano in aggiunta a quello concentrato rappresentato dagli incatenamenti. Infine, le condizioni al contorno delle pareti sono note con margini di incertezza assai ridotti perché la natura stessa dell’intervento, esteso a un consistente numero di unità edilizie, consente di poter contare su un livello di conoscenza sufficientemente approfondito. Ne consegue che gli unici meccanismi di collasso presi in esame, per quanto semplificati, configurano comunque una modellazione in grado di cogliere gli aspetti essenziali del reale comportamento strutturale dell’aggregazione. Entro i limiti di tale modellazione, le stesse verifiche numeriche sono caratterizzate da margini di incertezza piuttosto limitati. 4.3. La previsione dei dissesti Una situazione ben diversa si presenta quando la stessa metodologia viene usata con la finalità di prevedere i dissesti che si possono sviluppare in una aggregazione assegnata, allo scopo di poter decidere la natura e l’estensione dei dispositivi di prevenzione. Questa seconda applicazione, che di fatto dovrebbe essere preliminare a quella riassunta nella sezione precedente, è caratterizzata inevitabilmente da incertezze molto maggiori. È vero che, se l’oggetto di studio è una porzione significativa dell’aggregazione, l’analisi condotta attraverso l’esame di singoli elementi strutturali continua ad essere realistica perché l’interazione di tali elementi con il contesto è ancora ragionevolmente modellabile; e, conseguentemente, i meccanismi di collasso saranno simili a quelli considerati per le verifiche post intervento – con la ovvia esclusione, nel caso specifico qui discusso, del ribaltamento delle pareti di controvento la cui stabilità non viene mai chiamata in causa verificandosi sempre prima il ribaltamento delle pareti esposte. Tuttavia, in questo caso, nessuno dei presupposti precedenti – riguardanti qualità meccanica, ammorsature tra pareti ortogonali, vincoli di piano – è implicitamente soddisfatto e ciò, oltre a tradursi in condizioni oggettivamente più penalizzanti, si configura anche come una situazione in partenza caratterizzata da un difetto di conoscenza che non può non comportare un incremento dei margini di incertezza nella valutazione finale di sicurezza. La valutazione è, comunque, possibile e conduce a interessanti considerazioni. Nella Figura 7 sono individuate le pareti che, allo stato attuale, ribalterebbero per valori di accelerazione al suolo compresi, rispettivamente, negli intervalli 0.05g÷0.1g e 0.1g÷0.2g (grosso modo rappresentativi di scenari rispettivamente del VII e dell’VIII grado MCS). Questi due scenari di danno mettono bene in evidenza non solo la estrema vulnerabilità del contesto edilizio esaminato – la cui valutazione implica ovviamente il riferimento al terremoto atteso – ma anche, per confronto con la situazione post intervento, il notevole miglioramento che pur semplici interventi di tipo tradizionale permettono di conseguire.

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Senza entrare nel dettaglio delle elaborazioni effettuate, oltre tutto marginali rispetto all’intento del presente lavoro, ci limitiamo a sottolineare come la diversa vulnerabilità esibita da pareti esposte, di qualità costruttiva paragonabile e caratterizzate da pressoché identici rapporti di snellezza, dipenda essenzialmente dalla differenza delle rispettive condizioni al contorno. Alcuni esempi si possono osservare in Figura 7 su via Minniti e su Ronco Palma, dove entrano in gioco sia le luci libere eccessive delle pareti esposte che la scadente qualità degli orizzontamenti.

Figura 7. Progetto pilota: pareti interessate da meccanismi di ribaltamento per diverse accelerazioni al suolo

È evidente come la possibilità di individuare situazioni del genere sia legata non tanto alla procedura di calcolo utilizzata, quanto alla preliminare e puntuale caratterizzazione del tessuto edilizio effettuata attraverso la lettura critica. È questa che permette infatti di riconoscere le difformità di vincolo che caratterizzano le diverse pareti e, conseguentemente, di costruire modelli meccanici realistici per quanto attiene non solo l’elemento strutturale in sé (qualità meccanica, geometria, etc.) ma anche le sue condizioni al contorno.

5. CONCLUSIONI La riflessione critica che il presente lavoro propone sul tema inerente la valutazione della sicurezza strutturale delle aggregazioni edilizie complesse, anche alla luce delle indicazioni contenute nella Ordinanza 3431/2005, evidenzia diversi aspetti problematici, non limitati all’approccio metodologico qui suggerito, sui quali sembra opportuna una discussione più approfondita. In primo luogo, la lettura critica dell’aggregazione, intesa come analisi della tecnica costruttiva in essa adoperata e delle fasi evolutive che ne hanno determinato l’assetto attuale, costituisce un nodo cruciale all’interno del processo di valutazione in quanto consente di modellare realisticamente gli elementi che si assumono rappresentativi dell’intera aggregazione, soprattutto per quello che riguarda le loro condizioni al contorno. In secondo luogo, poiché nella maggior parte delle situazioni reali l’impossibilità di effettuare la lettura critica con un adeguato livello di approfondimento costituisce una

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condizione in un certo senso normale, le incertezze che da tale impossibilità derivano – e che allo stato attuale sembrano difficilmente eliminabili – determinano una limitazione oggettiva per qualunque metodologia di valutazione della sicurezza. Infine, il ricorso a modellazioni meccaniche anche drasticamente semplificate non conduce a valutazioni meno affidabili di quelle che possono derivare dall’uso di modelli in vario grado raffinati, poiché nelle condizioni sopra delineate sembra più proficuo non tanto perfezionare gli strumenti di analisi, quanto cercare il migliore compromesso tra l’accuratezza di tali strumenti e la quantità e qualità dei dati a disposizione.

BIBLIOGRAFIA [1] Giuffrè A. (a cura di): Sicurezza e conservazione dei centri storici: il caso Ortigia, Laterza, Bari, 1993. [2] Testo integrato dell’Allegato 2 – Edifici – all’Ordinanza 3274/2003 (Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica), come modificato dall’OPCM 3431 del 03/05/2005. [3] Ceradini V.: Scatola muraria chiusa e tessuto aggregato, in: Recupero e riduzione della vulnerabilità dei centri storici danneggiati dal sisma del 1997, Ancona, 2004, pp.113119. [4] Decanini L.D., Tocci C.: Sul comportamento sismico di pareti murarie sollecitate nel piano: riflessioni sui criteri di intervento, XI Congresso Nazionale “L’Ingegneria Sismica in Italia”, Genova, 2004. [5] Rondelet J.: Traité théorique et pratique de l’art de bâtir, Parigi, 1802; prima traduzione italiana a cura di Basilio Soresina, Mantova, 1834. [6] Carocci C.F.: La lettura critica del costruito dei centri storici, in: Atti del Convegno “Rischio sismico e centri storici”, Milano, 2005, pp.257-262 [7] Carocci C.F.: Conservazione dei centri storici in area sismica. Vulnerabilità e mitigazione, Tesi di dottorato in “Storia delle Scienze e delle Tecniche Costruttive”, VIII ciclo, 1996. [8] Caniggia G.: Analisi tipologica: la corte matrice dell’insediamento, in Ragionamenti di tipologia, Firenze, 1997, pp. 59-107.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

IL RUOLO DELLA CONOSCENZA NELL’ANALISI DEI MECCANISMI DI COLLASSO DEI MANUFATTI STORICI. LA CHIESA DEL SACRO CUORE A SANTA VENERINA (CT) C.F. CAROCCI1, F. NERI2 1

Dipartimento ASTRA, Università degli Studi di Catania Dipartimento DICA, Università degli Studi di Catania

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SOMMARIO Il contributo prende spunto da uno studio condotto sulla chiesa del Sacro Cuore a Santa Venerina. Oltre alla esposizione dell’analisi effettuata sul manufatto, il contributo vuole mettere in evidenza il ruolo della conoscenza all’interno della procedura di valutazione della sicurezza. La metodologia utilizzata è strettamente finalizzata alla definizione di appropriati modelli meccanici che siano al contempo aderenti al dato fisico di partenza e sufficientemente semplici da non risultare computazionalmente onerosi. ABSTRACT The paper draws on a analysis performed on Sacro Cuore Church in Santa Venerina. It highlight the role of knowledge for the evaluation of structural safety, as well as shows the study on the particular building. The proposed methodology aims to define proper mechanical models able at the same time to correctly describe the actual constructive feature and not to imply excessive computatuional efforts.

1. INTRODUZIONE Lo studio delle costruzioni murarie storiche e, in particolare, del loro comportamento strutturale è, come noto, tema assai complesso. Soprattutto nei casi in cui l’organismo architettonico oggetto di studio è caratterizzato da una configurazione articolata, la prefigurazione delle modalità di collasso è operazione affetta da margini di incertezza piuttosto pesanti perché legata ad una serie di fattori che possono introdurre significative alterazioni nel passaggio dalla realtà costruita della fabbrica al modello meccanico. La memoria che qui si presenta contiene lo studio condotto su una chiesa di Santa Venerina -nucleo storico sulle pendici etnee fortemente danneggiato assieme alla chiesa dal terremoto del 2002 - ed è finalizzata alla illustrazione della metodologia di analisi utilizzata che prevede uno stretto legame tra la fase di ricognizione diretta della fabbrica e la definizione del modello da studiare analiticamente (figura 1).

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La fase conoscitiva preliminare si articola in diversi ambiti che vanno dalla analisi diretta del manufatto, alla analisi indiretta mediante lo studio storico-archivistico, alla realizzazione di un insieme di indagini specialistiche. Il complesso di informazioni che deriva dai diversi tipi di analisi comporre un quadro conoscitivo in grado di indirizzare stringentemente la modellazione strutturale garantendone l’aderenza alla realtà fisica attuale della fabbrica. Le peculiarità di quest’ultima, per quanto riguarda sia la qualità della configurazione d’assieme che quella dei singoli elementi costruttivi, può infatti comportare significative variazioni nei meccanismi di collasso prevedibili rispetto a quelli che è possibile definire, in maniera generalizzata, sulla base di un criterio esclusivamente tipologico.

Figura 1. La chiesa con il presidio di messa in sicurezza attualmente in sito

2. LA CONOSCENZA DELLA FABBRICA Si espongono sinteticamente i passi conoscitivi realizzati nello studio della fabbrica, evidenziando ciascuna volta se e come i risultati delle varie indagini hanno indirizzato la definizione dei meccanismi di collasso. Lo studio della chiesa prende successivamente in esame le caratteristiche dell’organismo complessivo e quelle dei singoli elementi costruttivi che lo compongono mediante la realizzazione del rilievo geometrico, tecnico-costruttivo e del quadro fessurativo. Dalle informazioni raccolte in questa fase si avanzano le prime considerazioni interpretative. La lettura della configurazione strutturale d’assieme permette di avanzare un primo giudizio sintetico sulla correttezza dell’impianto e quindi formulare una preliminare indicazione sulla suscettibilità al dissesto. L’analisi dei singoli elementi costruttivi e delle loro connessioni reciproche aggiunge le informazioni necessarie a precisare la qualità degli apparecchi. Le informazioni derivanti dalla analisi delle vicende costruttive della fabbrica e degli eventi che la hanno interessata nel corso del tempo vengono intrecciate con quelle desunte dalla lettura diretta della fabbrica e, spesso, aggiungono dettagli utili all’interpretazione strutturale.

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2.1. Configurazione strutturale e caratteristiche costruttive La chiesa è collocata su una vasta piazza ed è parte di un isolato composto anche da edilizia residenziale minuta; le due pareti longitudinali esterne risultano in condizioni molto differenti tra loro: quella a Nord è libera fatta eccezione per le ultime due campate, la parete sud è invece vincolata da corpi di fabbrica in direzione est-ovest, che possono essere visti come un sistema di contrafforti. Dal punto di vista planimetrico, la chiesa presenta un impianto tipico delle chiese a tre navate. Le strutture di elevazione presentano configurazione canonica sia in tema di gerarchia di altezza che di disposizione planimetrica. Le pareti che definiscono la navata centrale presentano pilastri collegati da archi e superiormente finestroni, mentre le pareti esterne che delimitano le navatelle sono di altezza più contenuta e prive di aperture. Le strutture orizzontali differiscono tra le navatelle e la navata maggiore: le prime sono chiuse da cupolette murarie che definiscono lo spazio in ognuno dei campi quadrangolari, mentre la navata centrale è conclusa strutturalmente da una serie di capriate lignee occultate dalla volta a botte lunettata realizzata in centine lignee, canne e intonaco di gesso. Data la configurazione della chiesa, i meccanismi resistenti in direzione longitudinale e trasversale sono sensibilmente differenti e il secondo è indubitabilmente meno efficace.

Figura 2. Rilievo della fabbrica

La resistenza in direzione longitudinale è affidata principalmente alle pareti esterne continue che coinvolgono nel meccanismo resistente anche le più deboli pareti pilastrate della navata centrale in virtù del collegamento garantito dalle cupolette poste a copertura delle navatelle. L’efficacia di tale collegamento è stata evidenziata dalle modalità di danneggiamento prodotte in occasione dell’ultimo terremoto.

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La resistenza in direzione trasversale è assolta individualmente dagli elementi murari individuati dagli allineamenti tra pilastri e paraste delle pareti esterne, dal momento che le strutture terminali – facciata e transetto – risultano troppo periferiche rispetto al corpo centrale per essere chiamate in causa in un meccanismo di resistenza globale (figura 2). Nel percorso conoscitivo che qui si illustra, le osservazioni sulla configurazione complessiva su esposte non sono del tutto indipendenti dalla analisi costruttiva. Il legame tra analisi dell’impianto e analisi della tecnica costruttiva sta in questo: che la corretta disposizione delle membrature resistenti costituisce sicuramente il primo requisito di qualunque “buon” edificio murario (e in particolare delle fabbriche di ragguardevoli dimensioni), ma non può supplire a gravi deficienze costruttive riguardanti i singoli elementi strutturali. Viceversa, pareti murarie perfettamente eseguite, o buoni orizzontamenti, non possono restituire dignità strutturale a edifici carenti in tema di impianto complessivo. I singoli elementi della fabbrica sono stati studiati mediante la realizzazione di un rilievo strutturale eseguito anche con l’ausilio di saggi e indagini specialistiche.

Figura 3. Rilievo della tecnica costruttiva: tessiture murarie dei pilastri della navata.

In particolare, per quanto riguarda le murature, alcune porzioni di tessiture murarie – sia in corrispondenza della parete di facciata che di due pilastri – sono state analizzate con l’obiettivo di evidenziare la loro buona fattura costruttiva, e derivarne quindi un giudizio sulla loro qualità meccanica (figura 3).

Figu ra 4. Rilievo della tecnica costruttiva: archi e cupolette delle navatelle.

Le analisi sulle caratteristiche costruttive degli apparecchi e degli assemblaggi tra gli elementi strutturali, seppur onerose sono indispensabili al passaggio dalla realtà materiale della fabbrica al suo modello. Infatti, come noto, il riconoscimento della qualità meccanica

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dei singoli elementi strutturali e in particolar modo dell’apparecchio murario è presupposto indispensabile per l’utilizzo di modelli meccanici che assumono come ipotesi di partenza quella del monolitismo della muratura in occasione della formazione di meccanismi cinematici (figura 4). 2.2. Vicissitudini costruttive ed effetti dei terremoti passati Iniziata nel 1875, la costruzione, si ferma nel 1888 quando ad esclusione del transetto, della cupola e dell’abside, la chiesa era edificata. dopo. Solo un decennio dopo il cantiere di completamento riprende per terminare nel 1904 (figura 5). La peculiarità della storia di questa chiesa è che essa si intreccia con la storia sismica dell’area etnea. Se si analizza il danneggiamento prodotto dai terremoti che si sono succeduti, si evidenzia come l’ultimo – quello del 2002 – ha evidenziato in maniera più eclatante gli effetti già occorsi sulla fabbrica. Infatti, la relazione relativa al danneggiamento prodotto dal sisma del 1914 descrive la formazione di una linea di separazione tra la facciata e il corpo di fabbrica i segni di sofferenza alla base della torre campanaria in sommità della facciata; ma l’intervento di cui si ha notizia è relativo solo alla riparazione della torre con l’inserimento di un basamento in cemento armato in corrispondenza della balaustrata.

Figura 5. Fasi di edificazione della chiesa e danneggiamento sismico storico.

Gli effetti prodotti dal terremoto del 19 marzo 1952 furono l’allargamento della lesione in corrispondenza dell’attacco della facciata alla navata e la comparsa di lesioni nelle pareti del transetto e nella cupola. Ma la parte che soffrì maggiormente fu il campanile che dovette essere smontato (figura 6). Gli interventi realizzati furono la collocazione di cerchioni in corrispondenza della parete cilindrica del tamburo e la cerchiatura di alcune colonne del secondo ordine della facciata. La torre campanaria fu invece ricostruita ripetendone sommariamente la forma, ma con struttura in c.a. rivestita in pietra concia. Il terremoto del 1986 ripete, aggravandoli ulteriormente, i danni già evidenziatisi precedentemente e mai riparati. Questa volta, inoltre, anche all’interno si evidenziarono delle fratturazioni sulle cupolette della navata Nord e in chiave ai due archi della prima campata trasversale. Nel 1991 si intrapresero le opere di riparazione e rafforzamento della fabbrica, che consistettero nella sostituzione della struttura a capriate lignee di copertura della navata maggiore previa realizzazione di un cordolo in c.a. lungo il perimetro della cimasa muraria. Nulla, ancora una volta, fu fatto per le debolezze esibite dalla compagine muraria della fabbrica ad ogni sperimentazione al vero realizzata in occasione delle scosse sismiche. Eppure, l’analisi dei dati documentali raccolti ha consentito di ricostruire sinteticamente la risposta strutturale della chiesa e di intuire quindi le sue carenze. La chiesa arriva dunque al sisma dell’ottobre 2002, con una serie di danni pregressi, anche se non immediatamente evidenti, e con alcune modificazioni alla sua struttura originaria (il

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campanile in c.a. e il cordolo in c.a.). In tale situazione gli effetti non possono che – ancora una volta – evidenziare le debolezze vecchie e nuove contenute nella struttura della fabbrica.

Figura 6. La chiesa dopo lo smontaggio della torre campanaria danneggiata dal terremoto del 1952 e con il campanile riedificato con struttura in c.a.

Il distacco della facciata dal corpo di fabbrica, conseguenza della rotazione della prima verso l'esterno, è talmente accentuato da imporre un immediato presidio di messa in sicurezza; che l’oscillazione avvenuta abbia avuto una certa entità (tale da provocare il crollo della prima campata della fragile volta in canne e gesso) è denunciato non solo dalla dimensione della separazione presente sulla pareti laterali all’attacco con la facciata, ma – in modo ancor più impressionante - dalla lesione ad andamento pressoché orizzontale visibile sul paramento interno della facciata che individua la posizione della cerniera orizzontale di rotazione. Ulteriori segni del movimento subito dalla massa muraria della facciata sono evidentemente i lo schiacciamento e l’espulsione di materiale lapideo delle colonne dovuto alla concentrazione di carico indotta dalla oscillazione. Anche le lesioni poste in corrispondenza della base dei finestroni delle alte pareti della navata centrale, che sembravano provocate dall’ultimo sisma, ad una osservazione ravvicinata hanno mostrato di essere segno di movimenti già avvenuti in passato come testimoniato dalla presenza di stucco all’interno delle stesse. Infine è da segnalare il complesso di lesioni leggibili all’intradosso delle cupolette murarie delle navatelle che, come già più sopra accennato, mostra come la compagine muraria della chiesa abbia esibito un buon comportamento in direzione longitudinale.

3. ANALISI DEI MECCANISMI DI COLLASSO Partendo dalle informazioni acquisite sul danneggiamento attuale e su quello pregresso, si è tentato di evidenziare le principali caratteristiche della risposta strutturale della fabbrica ed i suoi punti di maggiore debolezza. Più volte la chiesa, in seguito agli eventi sismici, ha riportato lesioni in corrispondenza dell'attacco tra la facciata e il corpo di fabbrica, mostrando la più classica delle debolezze nei confronti della azione orizzontale: il moto di ribaltamento verso l’esterno delle pareti esposte (figura 7).

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In occasione dell’ultimo evento sismico, tale meccanismo che ha interessato la facciata principale della chiesa è stato presumibilmente amplificato dal contribuito del martellamento del cordolo sommitale in cemento armato.

Figura 7. Ribaltamento della facciata: rilievo e modello.

L’oscillazione della facciata indotta dalla azione sismica ha provocato: - il distacco dalle pareti longitudinali (lesioni sia sulle pareti della navata centrale sia su quelle esterne delle navatelle e lesioni sugli archi e sulle cupolette della prima campata trasversale) (figura 7); - il crollo del primo modulo della volta incannucciata della navata centrale; - lo schiacciamento delle colonne del primo ordine e il distacco trabeazione dalla facciata (figura 8).

Figura 8. Ribaltamento della facciata: schiacciamento delle colonne e distacco della trabeazione.

La componente dell’azione sismica ortogonale all’asse principale della chiesa ha prodotto un meccanismo fuori del piano che ha interessato le porzioni superiori delle pareti della navata centrale. Il moto, sicuramente favorito dalla notevole estensione di tali pareti è

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evidenziato dalle lesioni ad andamento pressoché orizzontale chiaramente alla base dei finestroni. Ulteriore evidenza della oscillazione di tali porzioni murarie sono i segni di martellamento in corrispondenza della connessione tra la volta incannucciata e le pareti medesime (figura 9).

Figura 9. Navata maggiore: possibili meccanismi di ribaltamento delle pareti longitudinali.

Il danneggiamento presente sulle cupolette e sugli archi trasversali delle navatelle è di più complessa interpretazione e può presumibilmente essere descritto mediante diversi meccanismi semplificati: - i danni presenti in sulla prima campata trasversale sono – come già detto – da ascriversi al moto di ribaltamento della facciata principale e testimoniano il trascinamento di una porzione della prima campata nel movimento. - la componente dell'azione sismica con direzione trasversale alle navate ha prodotto una rotazione dei pilastri e delle paraste che fungono da piedritti per gli archi provocando instabilizzazione delle catene e il contestuale schiacciamento delle porzioni murarie in corrispondenza dei capochiave (figura 10a); - la componente dell'azione sismica con direzione longitudinale ha prodotto uno scorrimento del corpo della navata centrale rispetto alle navatelle a causa della evidente differenza di rigidezza tra pareti esterne e pareti della navata maggiore; nella risposta della fabbrica, le cupolette murarie hanno svolto la funzione di puntoni, come ben testimoniato dalle lesioni a 45° (figura 10b). Il danneggiamento presente nel sistema tamburo-cupola è esteso e di più complessa interpretazione; all’intradosso della calotta sono visibili lesioni lungo i meridiani mentre il tamburo presenta nella parte bassa lesioni orizzontali che tagliano i pieni murari alternati ai finestroni. Inoltre lesioni inclinate, con andamento concorde sui setti contrapposti e tipica forma ad X, che interessano i due setti a ridosso delle finestre Nord e Sud. Tale quadro fessurativo è riconducibile alla rottura a presso-flessione e taglio dei setti murari del tamburo; in particolare, i setti disposti parallelamente all’azione del sisma e sollecitati prevalentemente da azioni di taglio presentano lesioni con andamento inclinato in mezzeria. Al contrario, i setti murari disposti ortogonalmente all’azione sismica e sollecitati da azioni di presso-flessione presentano lesioni orizzontali alla base.

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Figura 10. Navatelle: interpretazione del danneggiamento sismico.

4. CRITERI DI INTERVENTO La metodologia utilizzata per l'elaborazione della fase di progetto si colloca nell'ambito del miglioramento antisismico, il quale non persegue l'adeguamento agli standard di sicurezza imposti dalla normativa per le nuove costruzioni, ma prevede l'esecuzione di un complesso di opere sufficienti a far raggiungere all'edificio un maggior grado di sicurezza nei confronti delle azioni sismiche senza modificarne il comportamento globale. Particolare attenzione è stata posta nella scelta dei singoli interventi che, in sinergia tra di loro dovrebbero incrementare la capacità di risposta complessiva dell'edificio e al contempo tenere in conto i due aspetti del rafforzamento e della conservazione della fabbrica. Il primo aspetto tende in alcuni casi a scavalcare il secondo, ma in questo intervento si è scelto di evitare ciò ipotizzando l'utilizzo di dispositivi, anche frutto di tecnologie moderne, in linea con i sistemi costruttivi tradizionali che caratterizzano il contesto storico in cui la fabbrica è collocata guardando ai nuovi presidi come una evoluzione di quel linguaggio. Gli interventi previsti possono essere visti come l’introduzione di vincoli assenti nella configurazione originale ovvero nel ripristino della efficacia di vincoli già esistenti ma deteriorati. Tali dispositivi si attiveranno solo in occasione di un prossimo evento sismico. 5. VERIFICHE DI SICUREZZA Come evidenziato in precedenza, la chiesa del Sacro Cuore di Gesù si presenta con una configurazione canonica sia nell’impianto planimetrico che volumetrico. Ciò nonostante la fase della modellazione, necessaria per descrivere il comportamento delle diverse parti della fabbrica e per poter esprimere un giudizio sul livello di sicurezza delle stesse, rimane un momento di cruciale importanza e non sempre di univoca individuazione. Di seguito si riportano le verifiche di sicurezza relative solo a due dei differenti sistemi costituenti la fabbrica, quali la facciata e le navate laterali.

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Con riferimento alle linee guida emanate a seguito degli eventi sismici dell’ottobre 2002 [4], le azioni sismiche sono state definite a partire dal coefficiente sismico C 0 Fh W che rappresenta il rapporto tra la risultante delle forze statiche equivalenti ed il peso dell’edificio W, calcolato secondo i criteri riguardanti la combinazione dell’azione sismica con i carichi gravitazionali. Per un approccio allo stato limite ultimo il coefficiente sismico ag ˜ S C0 (1) g assume il valore di 0.30 in conseguenza di una sismicità locale ag pari 0.25 g ed una categoria di suolo caratterizzata da una rigidezza con una velocità delle onde di taglio VS30 compreso tra 360 e 750 m/s (S = 1.20). La distribuzione in elevazione delle forze statiche equivalenti, per l’analisi complessiva della costruzione, è stata considerata ad andamento lineare degli spostamenti (1° modo di vibrazione). Per le verifiche dei meccanismi di collasso fuori del piano le forze sismiche si sono ottenute mediante la seguente espressione: Qp = fp·C0·Wp

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dove Qp rappresenta la forza sismica equivalente perpendicolare al piano della parete esaminata; Wp il peso della parete esaminata o delle masse che gravano su di essa; fp il fattore che tiene conto del livello esaminato, vale 1.0 per il 1° livello e cresce di 0.1 per ogni livello superiore. Trattandosi di intervento di miglioramento, per le verifiche di sicurezza il valore di C0 precedentemente definito si è ridotto mediante un fattore pari a 0.65. 5.1. Il sistema di facciata In conseguenza della vulnerabilità legata alle sue caratteristiche geometriche, nella facciata si attiva un meccanismo di ribaltamento fuori del piano. Per definire la vulnerabilità legata a questo cinematismo si è valutato il moltiplicatore delle azioni orizzontali O tale da produrre il ribaltamento.

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in cui di e hi rappresentano la distanza del baricentro dalla parete i-esima, o dalle masse che su di essa agiscono, dal centro di rotazione valutate rispettivamente in orizzontale ed in verticale. Per la definizione della geometria si è proceduto ad una semplificazione che suddivide il volume della facciata in sedici corpi rigidi dei quali si sono stimati pesi e baricentri, mentre per la individuazione del centro di rotazione ci si è fatti guidare dal quadro fessurativo che ha consentito di localizzarlo in corrispondenza del basamento del primo ordine di colonne. Le analisi sono state condotte sia trascurando che considerando il contributo delle colonne del primo ordine. In entrambi i casi, coerentemente a quanto riscontrato sulla fabbrica, il ribaltamento della facciata avviene rispetto alla base delle colonne del primo ordine coinvolgendo la porzione superiore della facciata. Senza il contributo delle colonne, il ribaltamento si attiva per un valore dell’accelerazione O11 di 0,096 g (la rotazione della parte superiore della facciata si attiva per un valore dell’accelerazione O12 di 0.176 g). Considerando invece il contributo delle colonne, l’accelerazione di ribaltamento O21 passa a 0,131 g.

498

Si osserva come la presenza delle colonne, e quindi l’articolazione architettonica della facciata, determini un incremento del moltiplicatore di collasso. Nella fase di progetto il contributo alla stabilità fornito dalle colonne è stato considerato solo come riserva di resistenza della facciata a causa della difficoltà di una corretta quantificazione di tale contributo e della ridotta duttilità delle colonne.

Figura 11. schema degli interventi di incatenamento e rafforzamento della compagine muraria.

La riduzione della vulnerabilità si attuerà mediante l’incatenamento della facciata con un sistema tradizionale reso deformabile attraverso degli isolatori elastomerici di opportuna rigidezza e tali da consentire, lo spostamento della facciata in modo limitato e controllato. Un tale sistema, pur vincolando la facciata nei confronti del ribaltamento consente una oscillazione controllata tale da ridurre notevolmente l’accelerazione impressa a tutto il sistema di facciata. Infatti per bassi valori delle accelerazioni il dispositivo consentirà il movimento della facciata, mentre per sismi distruttivi il sistema si irrigidirà per effetto del fine corsa. Sono previsti due ordini di incatenamenti rispettivamente a quota 8.50 – 9.80 m e 16.50 m; il primo ordine è collocato in adiacenza al paramento interno delle pareti longitudinali, mentre il secondo è alloggiato all’interno del cordolo murario sommitale realizzato in sostituzione di quello in c.a.; una trave reticolare orizzontale sarà posta alla quota della barra di cordolo in modo da realizzare un vincolo orizzontale per la ingente luce libera della navata centrale.

5.2. Il sistema delle navatelle Per studiare il comportamento esibito dalla fabbrica sono state utilizzate due modellazioni: la prima agli elementi finiti ed la seconda con un sistema semplificato in cui si sono esaminati i maschi murari in termini di resistenza e di rigidezza a taglio. Nonostante la inevitabile differenza di risultati in termini assoluti, entrambe le analisi hanno mostrato come le deformazioni delle alte pareti centrali risultino di un ordine di grandezza maggiore rispetto a quelle delle pareti laterali. Nel modello semplificato la rigidezza dei differenti maschi è stata valutata mediante:

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K0

GA 1,2

1 1

1 G§h· ¨ ¸ 1,2 E © b ¹

2

in cui A, b ed h individuano rispettivamente la sezione resistente, la lunghezza e l’altezza del maschio murario, mentre G ed E i moduli elastici del materiale. Per valori di E = 528 MPa ed G = E/6 si sono ottenuti spostamenti di 0,10 cm nella parete laterale e 3,84 cm in quella centrale contro i 0,42 cm e 4,05 cm ottenuti nella modellazione agli elementi finiti. In questo caso l'intervento previsto prevede la messa in opera di presidi che limitino sia la differenza di spostamento tra la navata centrale e le navatelle, sia il moto di rotazione tra le pareti longitudinali esterne.

6. CONCLUSIONI Per lo studio della chiesa del Sacro Cuore è stato seguito un approccio metodologico che considera di primaria importanza la fase conoscitiva della fabbrica. Il confronto tra le informazioni acquisite mediante fonti indirette, il manufatto murario e il quadro fessurativo attuale sono state di fondamentale importanza sia per la comprensione dei meccanismi in atto che per la prefigurazione di quelli possibili. Ancora una volta appare evidente che un corretto approccio metodologico di conoscenza conduce ad una chiara individuazione dei fenomeni e, conseguentemente, ad una valutazione più aderente alla realtà della fabbrica. In un tale approccio le analisi numeriche servono più a confermare quanto ipotizzato durante la fase di interpretazione, che a quantificare i parametri del comportamento strutturale.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

LA CONOSCENZA DELLE TECNICHE COSTRUTTIVE TRADIZIONALI QUALE MOMENTO PROPEDEUTICO PER LA SALVAGUARDIA SOTTO IL PROFILO STATICO DELLE EMERGENZE ARCHITETTONICHE S. CASCONE¹, E. OCCHIPINTI² ¹ Università degli Studi di Catania, Facoltà di Ingegneria, Dipartimento di Architettura e Urbanistica, Professore Associato di Architettura Tecnica ² Università degli Studi di Catania, Facoltà di Ingegneria, Dipartimento di Architettura e Urbanistica, Dottoranda XXI Ciclo – Progetto e Recupero Architettonico, Urbano e Ambientale PREMESSA L’esigenza di conservare il significato culturale del patrimonio architettonico e monumentale che caratterizza il nostro paese, presuppone che gli interventi di restauro e di consolidamento delle fabbriche antiche, vengano condotti nel rispetto della natura originaria delle opere, preservandone sia i caratteri formali che strutturali. Operare correttamente su una costruzione storica vuol dire non solo soddisfare le esigenze della sicurezza, ma anche comprendere le ragioni costruttive che sottendono alla logica compositiva delle fabbriche. Ogni intervento finalizzato alla tutela di un bene architettonico presuppone, infatti, un’approfondita analisi della materia e delle tecniche costruttive che distinguono i diversi contesti culturali in cui esse si estrinsecano. La comprensione del linguaggio costruttivo, peculiare ad ogni realtà locale, è un momento fondamentale per la valutazione del comportamento statico di un edificio, la cui durabilità e stabilità dipendono dal modo in cui i materiali e gli elementi funzionali della fabbrica, si relazionano nella complessità strutturale dell’organismo edilizio. Oggetto del presente studio è l’analisi delle caratteristiche strutturali dell’edilizia di Ragusa Ibla con l’intento di fornire, attraverso un excursus dei componenti costruttivi delle fabbriche e delle loro reciproche relazioni, uno strumento di indagine preliminare agli interventi di consolidamento sulle costruzioni antiche.

1. UN CASO DI STUDIO: RAGUSA IBLA Il patrimonio edilizio storico di Ragusa Ibla, città tardo barocca del Val di Noto, è il risultato degli ultimi tre secoli, ovvero del periodo successivo al terremoto del 1693, che distrusse gran parte dei nuclei storici della Sicilia sud-orientale.

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A differenza degli altri centri colpiti dal sisma, la città venne ricostruita sullo stesso sito dove essa era nata, mantenendo tuttora i caratteri di un impianto urbanistico medievale, mentre una nuova Ragusa, a maglia ortogonale, sorgeva sull’altopiano antistante. Le operazioni di ricostruzione del nucleo antico vennero condotte prevalentemente con interventi di ristrutturazione (recuperi, consolidamenti, integrazioni), piuttosto che con la realizzazione di nuovi edifici. Ci si avvalse dell’esperienza dei capimastri e delle tecniche consolidate di cantiere. Non ci si rivolse, nel decennio a cavallo tra i due secoli, a progettisti o urbanisti esterni. Costruzioni ex-novo, si ebbero a partire dalla seconda metà del settecento in poi, con la realizzazione dei numerosi palazzi tardo-barocchi che configurano la città. Poiché la ricostruzione della città storica avvenne sui ruderi dell’antico sito, è presumibile che i muri dei nuovi edifici venissero ricostituiti, almeno in parte, sul perimetro delle antiche costruzioni, con il reimpiego dei materiali provenienti dalle macerie. Questa operazione, unita alla mancanza di una cultura tecnico–scientifica all’epoca della realizzazione, ed alle trasformazioni subite dagli edifici nel corso del tempo (variazioni nell’utilizzo, alterazioni strutturali, ecc.), sono fattori da tenere in considerazione nella valutazione delle caratteristiche statico-funzionali delle fabbriche ricostruite. Un altro elemento importante sono le opere di sventramento intraprese alla fine dell’’800 per migliorare le condizioni igieniche della città, caratterizzate da interventi di livellazione delle sedi stradali, che comportarono l’affioramento di molte fondazioni in roccia calcarea visibili tuttora. 2. CARATTERI DISTRIBUTIVI E STRUTTURALI DEGLI EDIFICI Peculiarità comune alle costruzioni antiche, è quella di aver perso le caratteristiche della concezione originaria a seguito di modifiche (ampliamenti, sopraelevazioni, varianti distributive), che ne hanno alterato gli equilibri strutturali. E’ così che gli edifici della ricostruzione settecentesca, hanno sovente subito notevoli trasformazioni dettate dalla necessità di dover adattare i rigidi schemi distributivi delle fabbriche, ad esigenze d’uso compatibili con l’evolversi degli stili di vita. Come sottolinea Gaetano Randazzo nel suo studio sul comportamento statico delle fabbriche barocche della Sicilia sud-orientale [4], le variazioni nelle destinazioni d’uso, con la conseguente alterazione della organizzazione interna degli ambienti, fanno sì che la disposizione degli elementi che caratterizzano l’impianto murario, non sempre risponda ai requisiti di staticità richiesti. Esaminando l’impianto distributivo dei palazzi del ‘700, si individua uno schema di base a doppio corpo con maglia muraria ortogonale, da cui si sono poi sviluppate varianti suggerite dalla necessità di realizzare nuovi ambienti (Fig. 1). E’ così che spesso ai piani nobili degli edifici, l’esigenza di locali di rappresentanza, ha comportato l’eliminazione di un setto trasversale per creare una superficie più ampia (Fig. 1 a)). Un altro tipo di anomalia diffusa, è lo sfalsamento dei setti tra un piano e l’atro (fig. 1 b)). “Si generano così in facciata ampie superfici murarie che, prive del necessario controventamento trasversale, risultano staticamente carenti” [5]. L’analisi del Randazzo prosegue evidenziando come la mancanza di un allineamento in verticale dei setti, comporti la spinta di questi ultimi sulle strutture voltate dei piani sottostanti, che può verificarsi in corrispondenza delle chiavi o dei piani d’imposta. Come verrà puntualizzato nell’analisi degli elementi costruttivi, lo schema strutturale dei palazzi di Ragusa Ibla, è caratterizzato da uno scheletro murario con setti di notevole spessore

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ai piani fondali e ai piani terra degli edifici, per opporsi alla spinta di chiusure orizzontali intermedie realizzate con volte portanti in conci lapidei o in pietrame informe e gesso. Gli spessori dei muri variano generalmente in relazione ai carichi che gravano su di essi, ovvero dal numero dei piani cha caratterizza la fabbrica.

Figura 1. Schemi dell’impianto murario: a) corpo doppio; b) corpo doppio mancante di un setto trasversale; c) corpo doppio con mancato allineamento in verticale dei setti trasversali.

3. ANALISI TECNICO-COSTRUTTIVA DEGLI ELEMENTI FUNZIONALI 3.1. I materiali La pietra Per la ricostruzione post-sismica degli edifici, vennero impiegate inizialmente le materie prime facilmente reperibili sul posto. La pietra calcarea fu l’indiscussa protagonista della riedificazione, in parte proveniente, come si è detto, dalle macerie, in parte estratta dalle numerose cave di calcare duro e tenero presenti in zona. Il reimpiego dei materiali degli edifici diruti, se da un lato permetteva di ridurre i costi della ricostruzione, nonché di accelerarne i tempi, dall’altro comprometteva la qualità delle strutture murarie, realizzate con elementi che non solo avevano subito lo shock del crollo, ma che erano stati esposti più a lungo all’azione degli agenti atmosferici. Il materiale lapideo migliore era quello estratto in cava (Figg. 2,3). Tuttavia, l’intenso sfruttamento richiesto dalla necessità di riedificazione, comportò sovente una scelta non accurata dei materiali, ed è probabilmente per questo motivo che in uno stesso edificio si trovino pietre di qualità differenti. Talvolta venivano impiegate anche le pietre provenienti dai massi affioranti dai terreni delle campagne, i cosiddetti puntari (Fig. 4), di qualità però peggiore, per la prolungata esposizione all’aperto. Il materiale più utilizzato era il calcare tenero, costituito per circa il 90% da calcite, unito ad una discreta quantità di argilla e da piccole impurità (silice, ossidi di ferro, sostanze organiche); per le sue caratteristiche di lavorabilità, esso si prestava ad essere utilizzato sia per le murature che per la realizzazione di elementi in pietra da taglio: cantonali, stipiti ed architravi di porte e finestre, mensole scolpite, cornici modanate, volte in conci, ecc.

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Un tempo era consuetudine spalmare il calcare tenero con olio di lino per evitare la formazione di muschi e licheni che questa pietra favoriva; una prassi manutentiva che si è perduta, accelerando il degrado del materiale lapideo. Il calcare duro veniva prevalentemente adoperato, oltre che per le strutture portanti in elevazione, per la muratura in fondazione, in quanto più resistente e per le sue proprietà di coibenza contro l’umidità del sottosuolo. La vasta reperibilità in zona di pietre impiegate per le costruzioni includeva anche il calcare asfaltico, la cosiddetta “pietra pece”, utilizzata in particolar modo per le pavimentazioni interne degli edifici.

Figura 3. Banco di roccia calcarea tenera compatta sfruttata per l’estrazione di conci (Contrada Tabuna – Ragusa)

Figura 4. Estrazione di blocchi di calcare duro dalle puntare.

Figure 2. Banco di roccia calcarea tenera compatta sfruttata per l’estrazione di conci.

Le malte Le malte utilizzate per la realizzazione delle murature ordinarie erano generalmente di sabbia di fiume e calce o detrito di cava. Per murature in pietra da taglio veniva adoperato u suttili, malta composta di grassello di calce e detriti calcarei passati a crivello; per murature in conci di calcare duro veniva impiegata una malta di calce mista a detrito di grana più grossa. 3.2. Gli elementi costruttivi 3.2.1. Gli elementi di chiusura verticale Le murature Le strutture verticali portanti degli edifici erano realizzate con blocchi di pietra calcarea, rozzamente squadrati o sbozzati a seconda della qualità tecnica di esecuzione.

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Lo spessore dei muri era proporzionato ai carichi gravanti su di essi, in relazione anche al numero di piani da realizzare. Si hanno dimensioni minime di 0,50 ml. per murature di edilizia minore, fino ai 1,70 ml. per murature in corrispondenza dei piani fondali e dei piani terra di palazzi nobiliari. Spessori così elevati venivano eseguiti per contrastare la spinta delle volte reali. L’apparecchio murario è costituito da due paramenti più o meno ingranati tra loro, e da frammenti di pietrame e malta posti in mezzo per il riempimento dei vuoti (Figg. 5,6,7). I paramenti venivano realizzati disponendo le pietre in modo tale da formare una muratura “isodoma”, ovvero con lo sfalsamento dei giunti verticali. Inoltre, per incrementare la resistenza dei setti murari, venivano disposti, almeno per ogni metro in altezza, conci aventi la lunghezza pari allo spessore delle murature, realizzando in tal modo un efficace collegamento tra i due paramenti. In senso orizzontale si procedeva per corsi, ristabiliti ogni 30÷40 cm circa, in relazione alle dimensioni delle pietre più grandi. Ogni corso veniva rasato riempiendo i vuoti con pietrame minuto e malta, al fine di garantire una migliore distribuzione dei carichi lungo tutto il muro. Negli edifici di maggiore rilevanza architettonica la muratura di prospetto veniva eseguita interamente in conci di pietra da taglio, mentre in altri essa veniva limitata solo al primo livello.

Figure 5,6. Rappresentazione in prospetto, sezione e assonometria di una muratura in conci sbozzati in calcare tenero e malta.

Figura 7. Sezione di una muratura in pietrame sbozzato e malta.

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I cantonali Gli angoli degli edifici venivano usualmente realizzati con conci in pietra da taglio lavorati a pelle liscia, aventi dimensioni prevalenti in lunghezza; essi venivano disposti l’uno sull’altro, alternativamente di punta e di fascia per legare i due muri ortogonali. Si hanno cantonali risolti semplicemente con conci posti a filo d’intonaco, o soluzioni più complesse in cui si configurano come paraste d’angolo con cornice di coronamento (Fig. 8). In questo caso sporgono dal muro di 5÷10 cm, e, quando realizzano un efficace collegamento con la muratura, presentano elementi sagomati ad L (Fig. 9).

Figura 8. Cantonale in aggetto con basamento e cornice di coronamento.

Figura 9. Cantonale in aggetto con conci di fascia sagomati a L per garantire l’ammorsatura con la muratura contigua.

Le aperture Nella realizzazione delle bucature di porte e finestre, era sempre previsto l’arco interno di scarico, anche nel caso di architrave rettilineo con piattabanda a più conci. L’utilizzo di questa prassi costruttiva è molto diffuso a Ibla, e nei pochi casi in cui essa non è stata adottata, si riscontrano lesioni negli architravi. Stipiti ed architravi venivano eseguiti in conci di pietra da taglio, generalmente in calcare tenero, e ad essi veniva affidato il duplice compito di delimitare le aperture e di sostenere i carichi superiori. L’architrave retto, per luci fino a 1,00÷1,10 m, era formato da un unico blocco di calcare tenero compatto di 120x25x20 cm, mentre per luci superiori poteva essere sostituito da una piattabanda composta da due conci laterali (“summaruotti”) e da un concio centrale a sagoma cuneiforme (“ciave”) (Fig. 11). Quando l’apertura aveva una luce molto grande, l’architravata veniva composta da cinque o anche da sette conci, o veniva sostituita da un arco a tutto sesto o ribassato. Particolare cura si aveva nella realizzazione delle spalle delle aperture, caratterizzata dalla sovrapposizione alternata di tre tipi di conci: sagomati a L, a doppia L nella testa, e di forma parallelepipeda regolare, al fine di garantire una buona legatura con la muratura contigua (Figg. 12,13).

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Figura 10. Portale con architrave retto e sopraluce ad arco a sesto ribassato.

Figura 11. Portale con piattabanda a tre conci.

Figura 12. Rappresentazione dell’organizzazione dei conci dello stipite.

Figura 13. Particolare di stipite di porta.

I tramezzi I muri divisori interni venivano realizzati in pietra e gesso o in canne e gesso. I tramezzi in pietra e gesso venivano eseguiti adoperando delle cassaforme lignee dentro le quali veniva gettato pietrame informe e malta di gesso. Lo spessore variava dai 10 cm, per semplici divisori, ai 20÷30 cm per tramezzature con funzione portante nel caso di volte in canne e gesso o coperture. I muri in canne e gesso venivano eseguiti realizzando uno scheletro con montanti in legno, posti verticalmente ad una distanza di circa 80÷90 cm, legati trasversalmente da un traverso

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orizzontale, posto all’altezza delle aperture interne. A tale maglia veniva chiodata una specchiatura di canne orientate verticalmente, legate tra loro con fil di ferro o legacci vegetali. Sulla stuoia di canne veniva poi spalmata della malta di gesso e quindi realizzati i vari strati di intonaco. Come nel caso dei tramezzi in pietrame e gesso, gli spessori variavano in base alla funzione del muro divisorio. Per realizzare spessori maggiori le canne venivano chiodate da entrambe le parti dei montanti. Altri tipi di divisori interni venivano realizzati in conci o lastre di calcare tenero; nel primo caso si adoperavano i cosiddetti “tabbiuni”, delle dimensioni di cm 50x20x25 e di cm 50x25x25; nel secondo caso le “tabbie”, lastre delle dimensioni di cm 50x50 e dallo spessore variabile dai 6 ai 12 cm. 3.2.2. Gli elementi di chiusura orizzontale Le fondazioni Si è già detto che gli edifici della ricostruzione vennero in parte realizzati sulle murature degli edifici preesistenti. Nel caso di nuove fondazioni, esse venivano poggiate direttamente sullo strato di roccia calcarea compatta. Se questo era inclinato, veniva prima definito a gradoni orizzontali, e poi realizzata la muratura. Essa veniva eseguita con muratura a sacco di pietra di fiume grossolanamente sbozzata e malta idraulica di pozzolana e calce. Le volte portanti o “reali” La volte portanti venivano realizzate con procedimento a conci o a getto. Volte in conci di pietra da taglio si trovano generalmente ai piani terra degli edifici, poggianti su muri di notevole spessore per contrastarne la spinta. Si hanno volte a tutto sesto, a crociera o a botte con lunette in corrispondenza delle aperture.

Figura 14. Volta a crociera in conci di calcare tenero sagomati.

Figura 15. Sezione di volta a botte in conci di calcare tenero sagomati.

Ai piani superiori lo spessore delle murature si riduce, e si hanno volte più leggere in pietrame e gesso, realizzate con procedimento “a getto”: un letto di malta di calce veniva gettato su un tavolato supportato da centine lignee aventi la forma della volta da eseguire, sul

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quale venivano poi scagliati frammenti di pietrame e successivamente colata una malta di gesso, fino ad ottenere lo spessore voluto, generalmente di 20÷30 cm. Al fine di ridurre i carichi degli elementi sovrastanti, sia nel caso di volte in conci, che a getto, lungo i muri portanti venivano realizzate delle controvolte in pietra e gesso. Il tutto veniva poi ricoperto con materiale leggero di riempimento, e quindi realizzato il piano orizzontale di calpestio con allettamento e pavimento (Figg. 16,17).

Figura 16. Rappresentazione in sezione di una volta in conci lapidei sagomati.

Figura 17. Rappresentazione in sezione di una volta in pietrame e gesso.

Le volte “finte” Gli ultimi piani degli edifici venivano generalmente conclusi con volte non aventi alcuna funzione portante, supportate dalle murature o dai tramezzi delimitanti i vani voltati. Sono le cosiddette volte in “canne e gesso”, caratterizzate da un’orditura principale di centine lignee sagomate ad arco, che realizzavano le direttrici della volta. Ad esse veniva chiodato all’intradosso un manto di canne stagionate, irrigidite all’estradosso da coppie di canne disposte diagonalmente (Figg. 18-21).

Figure 18,19. Vista estradossale di volte in canne e gesso sostenute da centine in legno.

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L’estradosso veniva trattato con latte di calce avente funzione protettiva; l’intradosso veniva rifinito con intonaco realizzato in tre strati: rinzaffo di gesso, strato di fino, strato superficiale in calce e gesso.

Figura 20. Schema costruttivo di volta in canne e gesso

Figura 21. Rappresentazione assonometrica di volta in canne e gesso

Le coperture Le coperture sono generalmente a doppia falda, supportate da travi in legno disposte parallelamente alla linea di gronda sul prospetto. Le travi, tronchi lignei piuttosto grezzi a sezione circolare, venivano disposte in senso orizzontale, ad interasse di 50÷70 cm circa, inserite in apposite sedi ricavate all’interno della muratura portante. All’orditura di travi veniva chiodata superiormente una stuoia di canne secche, tenute insieme da fil di ferro o legature vegetali. Sul cannucciato veniva poi steso uno strato di gesso, sul quale veniva realizzato il manto di copertura in coppi e canali d’argilla. Questa prassi costruttiva tuttavia, a causa di interventi resi necessari dal tempo, è stata sostituita dalla consuetudine di realizzare un’orditura secondaria di arcarecci posti perpendicolarmente alle travi, in direzione della pendenza delle falde, ad interasse tale da consentire l’appoggio di un coppo (Figg. 24-25).

Figura 24. Vista estradossale di una copertura in a due falde in coppi e canali d’argilla

Figura 25. Vista intradossale di copertura a due falde ad orditura di travi e arcarecci

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Per coprire vani di notevoli dimensioni si adottava il sistema di copertura a capriate lignee, su cui venivano sistemati gli arcarecci, quindi i listelli, ed infine le tegole. Per mascherare la capriate, al di sotto delle catene poteva essere realizzato un controsoffitto in tavole o in canne e gesso. Durante la costruzione del tetto si aveva cura di poggiare le travi portanti e le testate delle capriate sui muri maestri in corrispondenza di un concio messo di punta della stessa larghezza della muratura.

Figura 27. Tipo di capriate in legno

BIBLIOGRAFIA [1] AA.VV., Tecnica edilizia ed attrezzature utilizzate dai maestri muratori ragusani dal 1693 al 1945, Assessorato Cultura della città di Ragusa, Commissione Risanamento Centri Storici, 1991 [2] Di Pasquale S., Analisi dei problemi di consolidamento e adeguamento antisisimico di strutture edilizie rappresentative del centro storico di Ibla, Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Costruzioni, Firenze, 1993 [3] Flaccavento G., Nifosì P., Nobile M. R., Ragusa nel tempo, Editalia, Roma, 1997 [4] Randazzo G., Le fabbriche barocche della Sicilia sud-orientale, Documenti D.A.U. n° 4, Università di Catania, Dipartimento di Architettura e Urbanistica, Catania, 1991 [5] op. cit., p. 47 [6] Randazzo G., Le strutture murarie degli edifici del centro storico di Catania, Documenti D.A.U. n° 16, Università di Catania, Dipartimento di Architettura e Urbanistica, Catania, 1992

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

PROBLEMATICHE STATICHE IN FASE DI PROGETTAZIONE ED ESECUZIONE: UN CASO STUDIO E. SIVIERO1, B. BRISEGHELLA2, P. TOLACCIA3, T. ZORDAN4 1

Dipartimento di Costruzione dell'Architettura, IUAV Università degli Studi, Venezia Dipartimento di Costruzione dell'Architettura, IUAV Università degli Studi, Venezia 3 Dipartimento di Costruzione dell'Architettura, IUAV Università degli Studi, Venezia 4 Dipartimento di Costruzione dell'Architettura, IUAV Università degli Studi, Venezia 2

SOMMARIO Il lavoro presenta alcune problematiche progettuali e costruttive riscontrate in fase di collaudo in un edificio ad uso residenziale. Il caso studio proposto ha l’intento di evidenziare gli errori riscontrati e le modalità utilizzate al fine di rendere l’edificio collaudabile; in particolare i principali aspetti oggetto di indagine sono l’analisi del comportamento dei solai con una schematizzazione a piastra, l’analisi del dettaglio costruttivo, i problemi di sottospinta idraulica della platea di fondazione e il punzonamento in corrispondenza dei pilastri. Si vedrà come l’approccio a tali problematiche si basi, in particolare, sul riconoscimento del reale comportamento delle strutture e come si ponga l’attenzione non solo sulla sicurezza locale ma anche, e soprattutto, sulla sicurezza globale dell’opera considerando, ad esempio, le reali caratteristiche dei materiali utilizzati, la riserva di duttilità degli elementi progettati, ...

1. INTRODUZIONE L’usuale progettazione in ambito professionale utilizza schemi e procedimenti di calcolo semplificati che solitamente garantiscono un elevato coefficiente di sicurezza strutturale, tale modo di procedere garantisce usualmente il corretto funzionamento dell’opera costruita anche a fronte di piccoli errori progettuali e di esecuzione (analisi dei carichi, schemi statici non perfettamente rispondenti al costruito, posa in opera errata, …). Quando tali errori sono più rilevanti è necessario procedere in modo più sofisticato all’analisi del progetto e del costruito. Il tipo di sofisticazione è ovviamente proporzionato al grado di errore rilevato nella struttura eseguita. In breve analisi il modo di procedere può essere così riassunto: x Esatta valutazione dei carichi in gioco. x Acquisizione delle resistenze effettive di materiali utilizzati. x Utilizzo di ulteriori riferimenti tecnici più approfonditi (normative straniere, letteratura tecnica, …).

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Utilizzo di schemi di calcolo più evoluti, come ad esempio passare da modelli piani a modelli spaziali. x Analisi in campo non lineare. E’ bene ribadire in questa fase che un approccio alla progettazione estremamente sofisticato per quanto riguarda ad esempio gli schemi statici adottati, il comportamento dei materiali, l’analisi dei meccanismi di rottura, ecc. sebbene corretta dal punto di vista scientifico non è sempre auspicabile nella progettazione corrente: ne risulta infatti che ad una sofistificazione del calcolo deve precedere una attenta analisi in fase progettuale e soprattutto deve seguire una accurata costruzione dell’opera. Ben altra cosa è invece l’utilizzo di metodologie sofisticate di fronte all’analisi del costruito o nella progettazione di strutture particolari; nel caso in esame si vedrà come l’approccio “tradizionale” seguito in fase di progettazione ha consentito, attraverso un’analisi più accurata, di ritenere soddisfacenti dal punto di vista statico strutture che ad una prima valutazione non garantivano tale requisito e che dove ciò non è stato possibile gli interventi proposti non hanno avuto un onere eccessivo. Si sottolinea fin d’ora che le problematiche riscontrate nel caso proposto sono da imputare ad una progettazione frettolosa basata su programmi di calcolo che offrono “in automatico” disegni e relazioni di calcolo. x

2. UN CASO STUDIO Trattasi di complesso residenziale-commerciale composto da una zona interrata e da quattro blocchi fuori terra su tre piani: due blocchi con destinazione commerciale al piano terra e residenziale al piano primo e secondo, un blocco a destinazione residenziale, un blocco con i soli collegamenti verticali (scale ed ascensore). La parte interrata, che comprende quasi tutta la superficie del lotto, è destinata a rimesse, vani di servizio e percorsi di accesso. I tre blocchi fuori terra sono modulari con dimensioni di 15.50 x 15.50m, il blocco dei collegamenti verticali misura 5.40 x 4.75m; l’altezza massima delle residenze è di 8.50m alla cornice mentre per la torre ascensore l’altezza è di 10.00m. Le strutture verticali della zona interrata sono previste in c.a., i piani fuori terra sono a struttura mista muratura-c.a (Figura 1, 2).

Figura 1. Complesso residenziale-commerciale, prospetti.

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Figura 2. Complesso residenziale-commerciale, pianta piano primo

Il calcestruzzo per le strutture di fondazione e elevazione ha una resistenza caratteristica cubica Rck • 35N/mm²: Vadm = 11.00 N/mm² Wco = 0.67 N/mm² Wc1 = 1.97 N/mm² fck = 29.05 N/mm² fctm = 2.89 N/mm² Il calcestruzzo per i solai ha una resistenza caratteristica cubica Rck • 30N/mm²: Vadm = 9.75 N/mm² Wco = 0.60 N/mm² Wc1 = 1.83 N/mm² fck = 24.90 N/mm² fctm = 2.60 N/mm² L’acciaio da cemento armato e FeB44k cotrollato: Vadm = 255 N/mm² fyk = 430 N/mm² ftk = 540 N/mm² Le caratteristiche del terreno di fondazione dedotte in base ai risultati dell’indagine geotecnica sono le seguenti: x Capacità portante minima del terreno pari a 0.064 N/mm². x Profondità della falda freatica compresa tra -1.33 e -1.92m.

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Le principali problematiche riscontrate riguardano le travi di copertura, i solai e le travi di impalcato ed infine la platea di fondazione. Il metodo di calcolo adottato è quello delle tensioni ammissibili.

3. COPERTURA Trattasi di copertura realizzata con solaio in latero-cemento di altezza 24 + 5cm e interasse di 60cm disposto secondo l’andamento delle falde inclinate in maniera da formare la classica tipologia a capanna. Il solaio poggia su quattro travi diagonali realizzate in spessore solaio, che a loro volta appoggiano sul cordolo perimetrale e convergono al centro su un montante sorretto da una trave 30 x 50cm.

Figura 3. Complesso residenziale-commerciale, struttura del coperto

Analizzando la struttura con uno schema a telaio (Figura 4), come da progetto originario, alcune delle travi di colmo risultano non verificate; un’analisi con grado di sofisticazione maggiore che considera il comportamento a piastra della copertura (Figura 5) garantisce altresì un grado di sicurezza accettabile secondo la normativa vigente.

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Figura 4. Copertura, schema a telaio

Figura 5. Copertura, comportamento a piastra

4. SOLAI E TRAVI DI IMPALCATO Gli impalcati su cui si sono riscontrati problemi strutturali sono il primo ed il terzo. Il primo impalcato è realizzato con un solaio a lastre tralicciate di altezza h = 4+24+5cm e interasse 120cm, le travi portanti vengono realizzate in spessore con altezza pari a 33cm (Figura 6). La verifica delle travi maggiormente caricate (solai caricati da giardino pensile di spessore 20cm) non è soddisfatta per sollecitazioni flettenti in campata e per taglio agli appoggi; la verifica del dettaglio costruttivo dell’ancoraggio delle barre all’appoggio e l’assunzione di uno schema statico di trave parzialmente incastrata consente di ritenere sufficiente l’armatura prevista sia pur ai limiti dell’accettabilità, per quanto riguarda il taglio bisogna considerare che normative più avanzate , ad esempio gli Eurocodici, considerano la resistenza a taglio come somma del contributo dell’armatura e del calcestruzzo. Si devono comunque prevedere adeguate prove di carico per certificare i risultati teorici.

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Figura 6. Solaio primo impalcato

Il terzo impalcato è realizzato con travetti tralicciati di altezza h = 24+6cm e interasse 60cm (Figura 7), la luce di calcolo massima in tutti e tre i corpi di fabbrica è pari a 760cm con rapporto luce/altezza di 25.33 leggermente maggiore di 25 come prescritto da normativa. Per quanto riguarda i fori vani scala le travi di coronamento sono realizzate attraverso l’accostamento di tre travetti prefabbricati, nel progetto originale non è previsto nessun elemento di rinforzo, in questo caso si affida alla correa, dopo verifica dell’armatura, la funzione di trasferire il carico alle zone di solaio poste ai lati dei vani. Anche in questo caso si consiglia di eseguire una prova di carico.

Figura 6. Solaio terzo impalcato

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5. PLATEA DI FONDAZIONE La platea di fondazione è costituita da una soletta di 30cm poggiante su un sottofondo composto da uno strato di magrone per 10cm e di ghiaia per 20cm, è presente una doppia rete I8 20x20 e della armatura di rinforzo di collegamento tra i pilastri (Figura 7).

-3 0 2

30

-3 3 2

Platea Cls Rck 3 5 S4 Dck 5 b

-3 4 2 Cls Rck 1 5 S3

10 20

-3 6 2

Ghiaia secca di dr enaggio diam 3 0 -6 0

Figura 7. Platea di fondazione

Le problematiche riscontrate sono: a) Spessore esiguo della platea b) Assenza di armatura a punzonamento c) Quantità di armatura insufficiente a flessione d) Pilastro snello

5.1. Verifica a punzonamento La platea di fondazione presenta in corrispondenza di alcuni pilastri isolati problemi a punzonamento; la verifica viene condotta per il pilastro 33 di dimensioni 30 x 40cm che risulta essere uno dei più sollecitati, il carico massimo alla base è di 754 kN. La verifica a punzonamento è condotta in prima fase secondo il metodo delle tensioni ammissibili, la forza F da considerare depurata della pressione del terreno all’interno del cono di rottura, calcolato con una ripartizione a 45°, è pari a 741 kN (Figura 8).

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Figura 8. Perimetro e sezione critica secondo, diffusione a 45°

La forza resistente Fr è: Fr

u ˜ d ˜ W co

(1)

dove: d è l’altezza utile della platea (nel caso in esame considerando un copriferro di 5 cm d = h-c = 25 cm) u è il perimetro del contorno ottenuto dal contorno effettivo mediante una ripartizione a 45° fino al piano medio della lastra di spessore d (nel caso in esame 240cm). Il valore della forza resistente così calcolato è pari a 402kN, quindi la verifica a punzonamento non è soddisfatta. Al fine di valutarne la sicurezza, ed eventualmente intervenire con dei rinforzi strutturali, si procede ad un confronto tra i vari criteri di calcolo proposti dalla Normativa Italiana ed Europea (Eurocodici). E’ da rilevare che un confronto diretto tra il metodo delle tensioni ammissibili e quello degli stati limite ultimi non è possibile, nel primo infatti la valutazione della sicurezza è affidata ad un confronto tensionale che solo implicitamente garantisce contro la rottura, nel secondo invece si esegue esplicitamente una verifica a rottura rimandando le verifiche tensionali agli Stati Limite di Esercizio (SLE); un confronto agile e sufficientemente accurato è possibile considerando un coefficiente di 1.5 applicato ai carichi (si considerano in questo modo i coefficienti moltiplicativi dei carichi Jg e Jq e si trascurano i coefficienti di combinazione \0,i ). Il modello di rottura proposto dalla Normativa Italiana sia per le T.A. che per gli SLU è rappresentato in Figura 5 ([2], [3]). La forza resistente alle T.A. calcolata in (1) per il caso in esame è di 402kN, mentre per gli SLU è: Fr

0.5 ˜ u ˜ h ˜ f ctd

(2)

dove: h è lo spessore della lastra (nel caso in esame 30cm); u è il perimetro del contorno ottenuto dal contorno effettivo mediante una ripartizione a 45° fino al piano medio della lastra (nel caso in esame 260cm); fctd resistenza di calcolo a trazione = 0.7·fctm/1.6 = 1.26 N/mm²

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Il valore della forza resistente così calcolato è pari a 491 kN, il valore di confronto con la forza agente alle T.A. è quindi di 491/1.5 = 327 kN. Il modello di rottura proposto dall’Eurocodice 2 ([2], [3]) prevede una diffusione del carico con angolo di 33.7° come riportato in Figura 9.

Figura 9. Eurocodice 2, modello di calcolo a punzonamento allo stato limite ultimo

Per quanto riguarda il perimetro critico l’Eurocodice definisce in modo più dettagliato il criterio di calcolo, imponendo delle limitazioni in relazione all’altezza utile media della piastra di fondazione (d), alla geometria dei pilastri ed alla loro posizione come riportato in Figura 10. Per i casi usuali le disposizioni di forma della sezioni sono: x circolare, con diametro non maggiore di 3,5d: x rettangolare con perimetro non maggiore di 10d e rapporto lunghezza/larghezza non maggiore di 2 x qualunque, con dimensioni limite fissate per analogia con le forme sopra descritte.

Figura 10. Eurocodice 2, perimetro critico

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Il metodo di calcolo a punzonamento è basato su tre valori della resistenza di calcolo a taglio lungo il perimetro critico: x vRd1 resistenza di calcolo a taglio per unità di lunghezza di perimetro critico per una piastra senza armatura a taglio x vRd2 massima resistenza di calcolo a taglio per unità di lunghezza di perimetro critico per una piastra con armatura a taglio x vRd3 resistenza di calcolo a taglio per unità di lunghezza di perimetro critico per una piastra con armatura a taglio Non è richiesta nessuna armatura a taglio se vSd < vRd1, altrimenti vanno di regola disposte armature a taglio, o altre forme di connettori a taglio, in modo tale che vSd ” vRd3. Per piastre o fondazioni senza armatura a taglio-punzonamento la resistenza a punzonamento per unità di lunghezza vRd1 è: v Rd 1

W Rd ˜ k 1,2  40 U 1 ˜ d

(3)

dove: WRd è la resistenza a taglio di calcolo di riferimento: W Rd 0.25 ˜ 0.7 ˜ f ctm / J c 1,6  d t 1 (d in metri) k U1x ˜ U1 y d 0.015 U1x e U1y rapporto di armatura tesa in direzione x e y U1 d

d

x

 d y / 2

altezze utili in direzione x e y (nel caso in esame considerando un copriferro di 5 cm d = 25 cm)

Nel caso in esame si ottiene un resistenza per unità di lunghezza pari a 1.28 kN/cm che, considerando un perimetro critico di 440 cm, porta ad una forza resistente pari a 563 kN, il valore di confronto con la forza agente alle T.A. è quindi di 563/1.5 = 375 kN. Riassumendo i valori resistenti, rapportati ai valori di confronto alle T.A., si ha nei tre casi: Normativa Italiana, T.A. Fr = 402 kN Normativa Italiana, SLU Fr = 327 kN Fr = 375 kN Eurocodici, SLU Una prima valutazione dalla lettura dei dati porta a dire che, in questo caso, l’utilizzo di normative più avanzate non ha nessun beneficio per la verifica a punzonamento, anzi sembra peggiorativo, vi è però da considerare che, mentre per gli stati limite ultimi sia la Normativa Italiana sia gli Eurocodici entrano nello specifico del calcolo, per quanto riguarda le tensioni ammissibili la norma non da nessuna indicazione; rimane quindi al solo professionista valutare la sicurezza del calcolo adottato. Il calcolo alle tensioni ammissibili, infatti, sfrutta totalmente la tensione tangenziale Wco, legata al limite di rottura per tensione del calcestruzzo, mentre la Normativa Italiana agli SLU limita al 50% la resistenza a trazione sfruttabile, inoltre non vi è nessuna prescrizione minima per quanto riguarda l’armatura a taglio (diversamente dal caso delle travi dove è presente una quantità minima), quindi, al fine di cautelarsi contro rotture di tipo fragile e considerando che eventuali fessurazioni nella soletta di base ne diminuirebbero notevolmente la resistenza, è buona norma correggere opportunamente il valore limite resistente e/o prescrive un quantitativo minimo di armatura a punzonamento ([4]). Nel caso specifico anche la valutazione sulla rottura della platea a punzonamento non è soddisfatta, infatti i coefficienti di sicurezza sono rispettivamente pari a 491/741 = 0.66 per la

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Normativa Italiana e 563/741 = 0.76 per gli Eurocodici. Si procede quindi ad un intervento di rinforzo. La proposta di adeguamento strutturale è quella di eseguire un rinforzo con iniezioni di malta cementizia in grado di garantire la formazione di un’ulteriore strato di calcestruzzo dello spessore minimo di 20cm all’interno dello strato di ghiaia realizzato sotto il magrone di sottofondazione (vedi Figura 7) considerando inoltre il contributo del magrone, ridotto al 50% per tener conto della classe inferiore del calcestruzzo adottato, si ottiene uno spessore resistente pari a 30 + 10/2 + 20 = 55cm. I valori delle forze resistenti così calcolati sono: Fr = 1339 kN Normativa Italiana, T.A. Fr = 1247 kN Normativa Italiana, SLU Fr = 1543 kN Eurocodici, SLU Normalizzando i valori per un confronto alle T.A. (coefficiente 1.5) si ha: Fr = 831 kN Normativa Italiana, SLU Fr = 1028 kN Eurocodici, SLU I coefficienti di sicurezza a rottura raggiunti con l’intervento sono rispettivamente di 1247/741 = 1.68 per la Normativa Italiana e 1543/741 = 2.08 per gli Eurocodici.

5.2. Verifica a flessione La platea di fondazione presenta un quantitativo di armatura a flessione insufficiente soprattutto per quanto riguarda le sollecitazioni indotte dalla pressione idrostatica, in questo caso, poiché tali pressioni sono legate ad eventi poco frequenti, si ritiene opportuno non intervenire rinforzando la platea , cosa peraltro molto onerosa, bensì di installare un sistema drenante e di pompe idrauliche allo scopo di abbassare la pressione idrostatica. Tale metodologia ha il vantaggio di non intervenire sull’opera strutturale e consente di garantire un adeguato coefficiente di sicurezza, di contro il progetto e l’installazione del sistema di pompe drenanti devono essere fatti con perizia ponendo particolare attenzione alla tipologia del terreno onde evitare l’asportazione delle parti fini con la possibile formazione di pericolose cavità al di sotto della fondazione.

6. CONCLUSIONI Gli interventi di adeguamento strutturale necessari a garantire un sufficiente coefficiente di sicurezza globale e locale dell’edificio in oggetto sono principalmente dovuti ad una non corretta progettazione dell’opera stessa. I motivi possono essere ricercati innanzitutto in una non sufficiente attenzione in fase di schematizzazione, o meglio di “concezione strutturale”, dell’edificio, in particolare l’utilizzo di programmi di calcolo che offrono una “progettazione completa”, o meglio offrono un calcolo e un disegno, spesso conducono a problematiche simili a quelle sopra riportate. Tale modo di procedere toglie infatti al progettista quella libertà e consapevolezza progettuale che deve essergli propria e che va oltre il mero calcolo e rispetto dei dettami normativi: un programma di calcolo non potrà mai valutare appieno il comportamento strutturale dell’opera come ad esempio la commistione di più schemi resistenti, l’influenza strutturale di elementi secondari (tamponamenti, muri divisori, …) o il sistema costruttivo adottato, inoltre una costruzione spesso è soggetta ad una evoluzione dalla sua genesi al suo compimento finale con cambiamenti anche dal punto di vista strutturale che solo il progettista attento può prevedere e considerare già in prima fase, e quindi adottare

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quelle strategie atte ad evitare che cambiamenti non sostanziali comportino una riprogettazione dell’opera. Altro punto importante è l’utilizzo di schemi di calcolo più evoluti, bisogna infatti ricordare che l’usuale progettazione tende a schematizzare il comportamento reale con modelli semplificati e che il reale comportamento strutturale garantisce solitamente una riserva di sicurezza maggiore di quella calcolata; nel caso specifico si è visto come il passaggio da una schematizzazione a trave del solaio di copertura ad una schematizzazione spaziale a piastra, quale reale comportamento dell’elemento strutturale considerato, ha consentito di valutare adeguati le travi di falda che in prima battuta sembravano non garantire un livello di sicurezza sufficiente. Questo modo di procedere ha quindi garantito la collaudabilità della parte strutturale in esame senza nessun aggravio dovuto ad interventi di adeguamento o rinforzo. Ultimo punto è l’utilizzo di normative e riferimenti tecnici più evoluti; in questo caso bisogna fin da subito sfatare la speranza che ad una maggiore caratterizzazione del materiale e del suo comportamento si abbia automaticamente un miglioramento della resistenza e portanza del manufatto, anzi spesso si è visto come una carenza di dettaglio normativo porti a valori di resistenza scarsamente cautelativi. Il grande vantaggio nell’utilizzo di normative più evolute è quello di garantire al progettista una maggiore conoscenza del materiale e del suo comportamento e, cosa di non secondaria importanza, una metodologia di analisi progettuale riconosciuta a livello nazionale ed internazionale; tale modo di procedere ha quindi potuto giustificare, ad esempio, in modo univoco l’intervento proposto per il rinforzo della platea di fondazione e di valutare adeguato il valore ultimo di resistenza e quindi il grado di sicurezza raggiunto. In ultima analisi in fase progettuale si tende a rappresentare la struttura attraverso schematizzazioni più o meno sofisticate, in fase di verifica del costruito invece, soprattutto quando sembra non vi sia una adeguata sicurezza, bisogna approfondire il grado di indagine e considerare il reale comportamento strutturale dell’opera.

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Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-21 Aprile 2006

ANALISI DEL QUADRO FESSURATIVO DI UN SISTEMA VOLTATO TRAMITE FEM: IL PORTICO DEL PALAZZO LANCELLOTTI DI LUCIGNANO P. BELLI1, O.CORBI1, R.OREFICE1 1

Dipartimento di Scienza delle Costruzioni, Università degli Studi di Napoli Federico II, Napoli

SOMMARIO Nel presente lavoro si è studiato il sistema voltato al piano terra del palazzo baronale Lancellotti a Lucignano, nella provincia settentrionale di Napoli. Il palazzo, di notevole importanza monumentale, versa oggi in condizioni statiche molto critiche, con numerosi dissesti ed evidenti lesioni soprattutto nelle volte. La modellazione agli elementi finiti delle volte in muratura del portico, opportunamente realizzata, ha permesso di cogliere una notevole corrispondenza tra la distribuzione delle tensioni fornite dal calcolo FEM e l’andamento fessurativo rilevato.

ABSTRACT In the present paper one considers the vaulted system of Lancellotti palace in Lucignano, in the northern area of Naples. The static conditions of the monumental construction are pretty critical. The FEM modelling of the masonry vaulted system of the porch of the palace, suitably developed, allows to find a good agreement between the stress distribution related to the FEM elaboration and the real crack situation.

Figura 1. La facciata esterna.

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Figura 2. La successione di arcate del portico sulla facciata interna.

1. UN CASO DI STUDIO: IL PALAZZO LANCELLOTTI 1.1. Descrizione generale Il palazzo Lancellotti, palazzo baronale di Licignano (Figure 1-7), nella provincia settentrionale di Napoli, di tipico impianto settecentesco, oggi si presenta notevolmente dissestato.

Figura 3. Dettagli della facciata esterna e dei saloni interni.

Figura 4. Dettagli interni ed esterni del palazzo.

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Figura 5. Dettagli del portico e di una volta lesionata.

Tuttavia, nonostante alcune manomissioni, esso conserva sostanzialmente inalterati i caratteri originari che gli conferiscono notevole valore storico-artistico, evidente soprattutto in rapporto all'edilizia molto modesta dell'area circostante. La struttura è in muratura di tufo e ricorsi in mattoni, finita ad intonaco; la copertura a falde è realizzata in coppi su struttura lignea poggiante direttamente sui muri di spina. L'articolazione planimetrica è caratterizzata, al piano terra (Figura 6), da due ambienti voltati: l'androne di accesso, con volta a botte, e un ampio porticato longitudinale, con volte a vela, alle cui estremità si collocano due scaloni di collegamento verticale. Sul lato destro è posta la scala di servizio, a rampe rettilinee avvolgenti; sulla sinistra è posta la scala principale del palazzo, ricavata in un ambiente a pianta ottagona allungata, con quattro ampie rampe sviluppate intorno ad uno spazio centrale quadrato e con pianerottoli triangolari. Sul piazzale anteriore prospetta il fronte principale, su cui si apre il portale d'ingresso in piperno, costituito da un arco a tutto sesto affiancato da due lesene bugnate con capitelli mistilinei che reggono, idealmente, un'aggettante mensola che funge da balcone principale del piano nobile.

Figura 6. Pianta al piano terra con rilievo delle lesioni.

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Figura 7. Prospetti esterno ed interno sul fronte laterale sinistro (nord) con rilievo delle lesioni.

Sul fronte interno, una successione di tre archi a tutto sesto illumina il porticato che si sviluppa parallelamente alla facciata al piano terra, diviso in cinque spazi coperti da volte a vela su larghi archi. Sulle testate di questo porticato si aprono due ambienti che immettono alle scale dell' edificio.

1.2. Impianto strutturale La struttura portante dell'edificio è costituita da muratura tradizionale di tufo giallo Napoletano. I tramezzi di divisione interna non sono tutti dello stesso materiale, differenziandosi in due tipologie costituite da tramezzi in blocchi forati con pomici impastati con il cemento e tramezzi in pannelli di gesso. I solai sono realizzati tutti in legno con massetto in battuto di lapillo pumiceo ad eccezione dei solai al secondo piano realizzati con travi in ferro a doppio T che testimoniano un intervento edilizio posteriore all’epoca di costruzione e databile al 1937, leggibile nel prospetto principale e nella sezione longitudinale. Le volte dell'androne e del portico al piano terra sono costituite tutte in muratura di tufo con rinfianco a getto formata da pietre in pomice ad eccezione della volta centrale realizzata in mattonelle. I rampanti della scala principale, con gradini rivestiti in lastre di piperno, sono realizzati con mezze volte a botte rampante a sbalzo in muratura di tufo con parapetto dello stesso materiale; particolare cenno merita la volta composta costolonata con lunette. I rampanti della scala secondaria, anch'essi realizzati con la stessa tecnica costruttiva di quella principale, hanno i gradini rivestiti con lastre di ardesia.

1.3. Condizioni statiche L'edificio si presenta, come precedentemente menzionato, notevolmente dissestato; dichiarato inagibile in seguito al terremoto del 1980, attualmente versa in condizioni disastrose. Si sono rilevati una serie di interventi effettuati nel passato: operazioni di sostruzione muraria sui muri di sostegno esterni delle volte a vela del portico; tiranti metallici in corrispondenza del cantonale sinistro del fronte principale e di quello laterale. Dall' analisi del quadro fessurativo, leggibile dalle lesioni riportate nelle Figure 6 e 7, è evidente una situazione di particolare instabilità, in particolare sul corpo che affaccia sulla corte interna, sorretto al piano terra dal porticato con volte a vela, dove si rileva una lesione concentrata in corrispondenza della parte mediana e che si estende per tutta la lunghezza del

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porticato (Figura 6). Tale lesione si interrompe in corrispondenza della vela centrale, ricostruita nel 1937. Al primo piano si riscontrano lesioni concentrate, pressappoco verticali in corrispondenza delle porte, e, dalla parte delle finestre, inclinate verso l'interno, con un'ampiezza maggiore verso il basso. Simile il comportamento nel sottotetto dove, però, si riscontra un distacco del solaio dal muro esterno, che risulta inclinato in maniera evidente. Appare evidente la formazione di una cerniera plastica all' attacco tra il solaio del primo piano e il muro esterno, il quale ha subito una doppia rotazione: una in corrispondenza del suolo e che si sviluppa in senso orario; l'altra, in corrispondenza della cerniera plastica, in senso antiorario. Nel sottotetto il distacco del solaio e la sua inclinazione verso il basso spiegano chiaramente che l'angolo della prima rotazione è probabilmente inferiore a quello della seconda (Figura 7) . Il corpo che affaccia sulla piazza e che corrisponde al fronte principale non presenta lesioni rilevanti; questo, probabilmente, per la già menzionata ristrutturazione del 1937, durante la quale si realizza una sopraelevazione, si eliminano due muri di spina consecutivi e si costruisce un solaio in acciaio e calcestruzzo, che copre una luce di circa dodici metri e che sostituisce il precedente realizzato secondo i sistemi tradizionali. La menzionata ristrutturazione potrebbe aver causato lo squilibrio dell'intera struttura ed essere, dunque, una delle cause dei dissesti del corpo interno.

2. LA MODELLAZIONE AGLI ELEMENTI FINITI DEL PORTICO VOLTATO 2.1. Il modello del sistema voltato Particolare attenzione è stata posta al sistema spingente del piano terra, dove l'articolazione planimetrica è caratterizzata dai due ambienti voltati dell'androne e del porticato longitudinale con la successione delle cinque volte a vela, di cui tre, le due estreme e quella centrale, sono impostate su una pianta quadrata, mentre le due intermedie, inserite in uno spazio ridotto, risultano dall'intersezione di una sfera a base ellittica e non sono aperte sul fronte interno, che risulta caratterizzato da soli tre archi.

Figura 8. La mesh del sistema voltato del portico.

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In un primo approccio, lo studio e la ricerca tramite il metodo di Mery delle funicolari dei carichi sugli archi ottenuti dalle sezioni delle volte [Defez, 1981], confrontate con le curve reali, ha manifestato possibili condizioni di equilibrio che coinvolgono le diagonali delle volte, evidenziando un possibile comportamento a crociera. Successivamente la struttura è stata verificata con una modellazione agli elementi finiti (Figura 8) effettuata tramite il SAP2000, comprendente il sistema di volte, le arcate di collegamento, i muri del porticato e quelli ad essi ortogonali, che oppongono resistenza all'effetto spingente del sistema voltato. La geometria della struttura voltata è stata trasferita al programma FEM attraverso un interscambio con il programma CAD, avendo preventivamente prodotto i disegni in formato elettronico relativi al rilievo architettonico dell’intero palazzo. La mesh del modello numerico ha previsto complessivamente 2364 elementi connessi da 2441 nodi/cerniera, con le caratteristiche dell’elemento scelte sulla base delle caratteristiche dell' apparecchio murario di tufo e malta cementizia (Tabella 1) con una resistenza a trazione dal valore molto modesto.

Densità Peso specifico Modulo elastico Coefficiente di Poisson

160 kg/mc 1600 kg/mc 2.00 E+5 kg/mq 0.2

Tabella 1. Caratteristiche dell’elemento.

La geometria (un quadrilatero o un triangolo piano) nonché lo spessore del singolo elemento sono quindi stati variati in rapporto al concio di riferimento, adottando un elemento finito a comportamento membrana/piastra a seconda della sua localizzazione sul modello strutturale; in particolare per gli elementi della volta si è adottato un comportamento sostanzialmente membranale, trascurando i contributi di natura flessionale all’interno del singolo elemento; in questa assunzione si è, infatti, considerato che il funzionamento di cupole e volte, tra cui la volta a vela, è sostanzialmente fondato sulla teoria delle membrane, con uno stato tensionale della relativa tipologia strutturale nello spazio che si sviluppa nelle due direzioni, localmente ortogonali, dei meridiani e dei paralleli dell’apparecchio. Per quanto concerne la modellazione delle due tipologie di volte a vela, a pianta quadrata e rettangolare, (che, come si è evidenziato, si alternano in pianta, con una disposizione dei setti che segue uno schema piuttosto preciso), la mesh ha previsto 164 elementi per la prima e 140 per la seconda, nonché 10 per ciascuno dei quattro archi a tutto sesto di collegamento tra le due. Nella modellazione del sistema, come precedentemente accennato, si sono considerati anche i muri del porticato che sostengono le volte, nonché i muri ortogonali allo sviluppo longitudinale del porticato, che oppongono resistenza al loro effetto spingente. Il contributo dei muri dei piani superiori è stato, invece, considerato valutando opportunamente i carichi agenti su muri ed arcate del piano terra, tradotti in azioni gravanti sul singolo elemento della mesh. Per la valutazione dei carichi gravanti sulle volte si è considerata la Tabella 2.

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Immaginando il piano nobile, che grava direttamente sulle volte a vela del porticato, come spazio suscettibile di grande affollamento, si è adottato un carico distribuito verticale, comprensivo degli effetti dinamici ordinari, di 500 kg/mq. Per quanto concerne le condizioni di vincolo imposte nel modello, anche in questo caso, si è cercato di riprodurre al meglio le effettive condizioni, tentando di rendere il modello quanto più aderente al reale comportamento della struttura.

Pavimento sottofondo di allettamento rinfianco di riempimento arco in conci di tufo

Spessore (cm) 5 10 Variabile 25

Peso (kg/mc) 1800 2300 1300 1600

Tabella 2. Valutazione dei carichi.

A tale scopo, si sono adottati incastri al piede dei piedritti delle volte a vela per simulare l'attacco della struttura al suolo, mentre sono state introdotte delle cerniere a collegamento tra gli elementi della mesh. Infine, il vincolo esistente tra i solai dei singoli piani ed i muri portanti, su cui insiste al pian terreno il sistema di volte, è stato simulato tramite cerniere localizzate alla altezza corrispondente, appunto, all'attacco dei solai.

2.2. I risultati numerici I risultati numerici relativi al modello agli elementi finiti così realizzato, consentono di valutare, almeno in termini indicativi, la diffusione delle tensioni all’interno del sistema considerato e di operarne un confronto con il quadro fessurativo rilevato. Con riferimento ai paramenti verticali (Figura 9) che includono le facciate interna ed esterna del palazzo, la diffusione delle tensioni verticali V22 mostra un quadro sostanzialmente di pura compressione nel blocco dei muri, ad eccezione degli architravi delle aperture e dell’arco del portale, dove si manifestano delle trazioni in chiave. In Figura 9 è riportata la distribuzione di tali componenti tensionali, la cui intensità (e segno) è localmente indicata dal colore ad esso abbinato da leggersi nella scala dei colori annessa al grafico. Si nota che il modello numerico segnala la massima compressione, indicata dal colore viola, al piede dei paramenti murari, che va gradualmente a diminuire spostandosi verso i piani superiori e, in definitiva, la sommità del blocco dei muri, attingendo localmente valori di trazione in corrispondenza delle aperture ed in corrispondenza dell’attacco delle coperture, i cui massimi sono indicati dal bianco. L’andamento delle tensioni risultante dal modello di calcolo appare quindi piuttosto verosimile, indicando una graduale riduzione della sollecitazione dal basso verso l’alto che corrisponde all’ effettivo alleggerimento dei carichi verticali. La localizzazione delle trazioni in verticale in corrispondenza delle aperture sui due fronti rispecchia la effettiva distribuzione delle lesioni che, come precedentemente menzionato, si concentrano per lo più sulle verticali di porte e finestre.

531

Anche con riferimento alla struttura voltata (Figura 10) il modello fornisce un quadro tensionale che determina una quadro fessurativo prossimo alla situazione reale, dove si legge una concentrazione di tensioni di trazione (dal diagramma delle tensioni V22 secondo i meridiani delle volte), longitudinale rispetto allo sviluppo in pianta del porticato, che riproduce l'andamento della lesione longitudinale qui rilevata, che si piega di circa 45° in corrispondenza dell'attacco con le ali del cortile interno.

Figura 9. Diffusione delle tensioni verticali V22 nei muri del portico.

(a) (b) Figura10: Diffusione delle componenti tensionali (a) V11 (secondo i paralleli delle volte) e (b) V22 (secondo i meridiani delle volte) nel sistema voltato del portico.

532

Figura 11: Diffusione delle componenti tensionali V22 (secondo i meridiani delle volte) nel sistema voltato del portico - Rappresentazione 3-D.

Dalle Figure 10 e 11, la distribuzione delle componenti tensionali dirette secondo i meridiani delle volte, la cui intensità (e segno) è da leggersi nella scala dei colori annessa, indica che si attingono valori di trazione (dal giallo al bianco) secondo un preciso andamento longitudinale, e coglie, in tal senso, il reale comportamento della struttura testimoniato dalle lesioni rilevate. In definitiva il modello agli elementi finiti proposto, sebbene elaborato in un codice di calcolo che assume un comportamento elastico del materiale (le cui caratteristiche meccaniche sono però scelte come quelle della muratura), è in grado di cogliere l’effettivo comportamento della struttura reale, consentendo di leggere un quadro fessurativo prossimo a quello che si è evidenziato.

CONCLUSIONI Nel presente lavoro, si fa riferimento ad una costruzione monumentale fortemente dissestata, il palazzo Lancellotti di Lucignano, nella provincia settentrionale di Napoli. Per il caso di studio considerato, dopo avere effettuato un rilievo del quadro delle lesioni, si effettua una modellazione FEM del corpo di fabbrica comprendente il sistema voltato del portico interno,

533

verificando la capacità del modello agli elementi finiti, se opportunamente concepito, di riprodurre il quadro fessurativo esistente. L’esigenza di valutare le cause che determinano i dissesti prima di poter progettare un qualsiasi intervento di consolidamento sembra, da questo studio, possa essere soddisfatta anche attraverso il semplice ausilio di un programma di calcolo standard di facile reperimento commerciale; questo purché si diano valori adeguati alle caratteristiche meccaniche dei materiali, opportunamente tarati sugli effettivi risultati sperimentali e purché si adotti una modellazione sufficientemente densa e opportunamente correlata alla geometria della struttura. In particolare lo studio delle volte a vela ha manifestato, nel caso in oggetto, che il loro comportamento può essere assimilato a quello di volte a crociera con una distribuzione di sforzi sostanzialmente concentrata sulle diagonali, che, a loro volta, scaricano sui cantonali perimetrali.

RINGRAZIAMENTI Questo lavoro è stato supportato dal contributo finanziario del MIUR, e svolto all’interno delle attività di ricerca relative ad un progetto PRIN.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

VALUTAZIONI DI SICUREZZA NELLE COSTRUZIONI IN CEMENTO ARMATO E SISTEMI ESPERTI R. GRECO, M. MEZZINA, G. UVA Dipartimento di Scienze dell’Ingegneria Civile e dell’Architettura, Facoltà di Architettura, Politecnico di Bari, Bari

SOMMARIO In questa memoria viene esaminato il problema della valutazione delle condizioni di sicurezza del Porto Industriale - Alti Fondali – sito nella città di Manfredonia. Un indice sintetico, rappresentato dal “condition rating”, è ricavato per esprimere il livello di danno/degrado nei diversi elementi strutturali dell’opera, ed è quindi elaborato su base fuzzy per tenere in conto delle incertezze e soggettività insite nell’analisi. Il risultato finale, esprimendo il livello del danno/degrado in una prefissata scala, può quindi essere utilizzato per programmare delle azioni di intervento immediato, lì dove necessario, od eventualmente per pianificare future e più approfondite indagini. ABSTRACT In this paper, structural assessment is developed in order to evaluate the safety condition of the industrial Harbour in the city of Manfredonia. A synthetic index, that is, in detail, the condition rating, is evaluated in order to express the damage/degradation level in structural elements. This is elaborated on the basis of fuzzy set theory, in order to take into account of intrinsic uncertainties and subjectivities of the analysis. The final result, expressing the damage/deterioration level with reference to a given scale, can be used for deciding immediate intervention actions, where necessary, or eventually for planning future and more detailed investigations.

1. INTRODUZIONE Il lavoro è incentrato sulla valutazione delle condizioni di sicurezza di costruzioni esistenti in cemento armato che versano, dopo un certo numero di anni di servizio, in uno stato di danno e degrado a causa di eventi esterni, quali ad esempio i terremoti, o semplicemente perchè sono state soggette ai naturali processi di invecchiamento. Le problematiche connesse alla vulnerabilità delle costruzioni in cemento armato, in relazione anche alla loro durabilità, rappresentano una questione impellente, anche a livello

535

Normativo, soprattutto nelle aree sismiche dove più pressante è l’esigenza di predisporre piani sistematici di ispezione, manutenzione ed adeguamento. Una attenta analisi della vulnerabilità strutturale porta a concludere che essa si basa fondamentalmente su due aspetti distinti: - l’esame delle condizioni attuali della struttura, in termini di danni pre-esistenti, causati dai terremoti o da altri eventi esterni, od ancora dal degrado dei materiali costituenti i diversi elementi strutturali; - la stima della potenziale danneggiabilità, derivante da deficienze generali nella sua concezione, da una configurazione geometrica inappropriata, da difetti di progettazione, esecuzione o “detailing”. Nella valutazione della vulnerabilità di costruzioni esistenti, specialmente in c.a., il primo punto assume particolare rilevanza. Infatti, una condizione severa di danno e degrado riscontrata su una costruzione ha un grande impatto sul giudizio complessivo di vulnerabilità. È questo il caso di gran parte delle costruzioni in c.a. che, realizzate nel secolo scorso (specie nella seconda metà), mostrano attualmente severi segni di degrado dei materiali, a causa della loro scarsa durabilità. La valutazione dei fenomeni di danno e degrado delle costruzioni in c.a. rappresenta un problema di conoscenza e, pertanto, grande interresse è stato rivolto da parte della comunità scientifica alla messa a punto di metodologie semplici ed efficaci per la valutazione di questi complessi fenomeni. L’attenzione dedicata negli ultimi anni alla creazione di tecniche e protocolli diagnostici, e contemporaneamente alla proposta di idonei strumenti per il trattamento dei dati incerti ed il “decision making”, finalizzati all’emissione di un giudizio sulla condizione di sicurezza della costruzione, confermano, chiaramente, la rilevanza del problema. In particolare, questioni cruciali sono rappresentate da: - l’individuazione dei dati significativi su cui basare l’analisi; - la sistematizzazione di un protocollo di indagine; - l’implementazione, la gestione ed il trattamento automatico dei dati disponibili su base esperta (tenendo conto, oltre che della diversità e variabilità dei dati coinvolti nel problema, anche degli elementi di incertezza ed errore che tali problematiche coinvolgono); - la formulazione di un giudizio sintetico sullo stato di danno/degrado della costruzione e quindi, in definitiva, sul suo livello di sicurezza, che tenga opportunamente in conto da un lato della variabilità ed incertezza dei dati raccolti per effettuare l’analisi, dall’altro della soggettività dei giudizi coinvolti nella stessa analisi. Oltre al problema della messa a punto di un protocollo procedurale di assessment, e della scelta più appropriata dei parametri da considerare peculiari ai fini della valutazione del livello di danno e degrado, una questione delicata ed attualmente fortemente dibattuta è rappresentata dal trattamento ed interpretazione dei dati coinvolti nell’analisi, e dall’emissione finale del giudizio. Tutte le diverse fasi dell’indagine (mancanza/incompletezza dei dati, errori strumentali ed umani durante le misurazioni ed i rilievi; affidabilità ed errori insiti nella modellazione strutturale adottata e nelle procedure materiali di calcolo, …) sono, infatti, attività avvolte da incertezza e vaghezza. Tutti questi aspetti possono essere trattati attraverso le metodologie del Soft Computing. Queste sono finalizzate ad emulare la mente umana in termini di acquisizione e trattamento di quei dati che per loro stessa natura si presentano vaghi ed imprecisi, difficilmente assegnabili a categorie ben definite. In questo contesto la logica fuzzy, utilizzata nel caso di studio della presente memoria, appare lo strumento più idoneo a combinare dati numerici e non numerici

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incerti con l’obiettivo di quantificare ed interpretare una descrizione linguistica del degrado e del danneggiamento strutturale. Come caso di studio è esaminato il problema della valutazione delle attuali condizioni di sicurezza del Porto Industriale - Alti Fondali – sito nella città di Manfredonia, in provincia di Foggia. Si tratta di una costruzione risalente ai primi anni ’70, realizzata mediante una sovrastruttura in cemento armato e cemento armato precompresso, sorretta da una palificata realizzata in acciaio. Nonostante sia trascorso dall’epoca della costruzione un periodo di tempo relativamente breve, se confrontato con il normale tempo di vita utile di una costruzione dello stesso tipo, la struttura in questione versa in uno stato di avanzato degrado. Quest’ultimo è da imputarsi, oltre che alle sfavorevoli condizioni ambientali (tenuto conto dell’aggressione esercitata dagli agenti atmosferici in ambiente marino) anche alla scarsa manutenzione che ha riguardato l’opera in oggetto nonché ad alcune soluzioni progettuali e ad alcuni difetti di costruzione. Le valutazioni delle condizioni di sicurezza dell’opera in oggetto sono state svolte secondo la strategia del “condition rating”. Si tratta di un efficace strumento messo a punto per la quantificazione dei processi di danno e degrado delle strutture, in particolare dei ponti e dei viadotti, finalizzato alla programmazione delle operazioni di management, per identificare le strutture e gli elementi più danneggiati e per stabilire la priorità degli interventi di ripristino e recupero statico - funzionale. I dati e le informazioni ricavate seguendo questo metodo sono stati quindi elaborate su base fuzzy, al fine di individuare il livello di danno nei diversi elementi strutturali, per programmare le azioni di intervento immediato, lì dove necessario, od eventualmente pianificare future e più approfondite indagini.

2. PROCEDURE PER LE VALUTAZIONI COSTRUZIONI ESISTENTI

DI

SICUREZZA

DELLE

2.1. Concetti generali È necessario sottoporre a valutazione di sicurezza una costruzione per la quale si riconosce una situazione di pericolo, la quale può essere il risultato, sia di una generalizzata condizione di degrado dei materiali e/o di danneggiamento causato da precedenti eventi sismici, sia di una nuova condizione di carico cui la stessa sarà sottoposta. Quando si opera nei confronti di un gran numero di costruzioni (come ad esempio per i ponti di una rete viaria, per gli ospedali, per le scuole ecc…) si presenta, inoltre, la necessità di programmare delle valutazioni periodiche per garantirne la salvaguardia e la funzionalità ed eventualmente predisporre dei piani di manutenzione ed intervento. È evidente che l’estensione e gli scopi di tutte le operazioni coinvolte in questo tipo di valutazione dipendono sia dalla severità del danno/degrado rilevato ad una prima sommaria ispezione, che dall’importanza dell’opera. 2.2. Il protocollo diagnostico. Il procedimento diagnostico si basa su un albero decisionale in cui, sulla scorta delle informazioni raccolte e delle interpretazioni elaborate, si determina il successivo passo da compiere, secondo un diagramma di flusso rappresentato in figura1. Fase di conoscenza preliminare “speditiva” (I livello ). Questa fase, essenzialmente basata su indagini e rilevazioni visive, misurazioni e test di base in loco, consente di identificare le situazioni estreme di elevato rischio, nelle quali è subito segnalata la necessità di adottare opportuni provvedimenti, e viene espresso un giudizio sulla necessità di prolungare le indagini.

537

Fase di indagine estensiva ed approfondita (II livello). Nella maggior parte dei casi, la fase di indagine preliminare deve essere integrata e completata con analisi più approfondite per stabilire le caratteristiche dei materiali e l’entità dei fenomeni di degrado occorsi sulle strutture. Tale fase si avvale di investigazioni sul campo più dettagliate ed è supportata da prove in laboratorio e in situ (mediante l’applicazione di tecniche diagnostiche non distruttive o parzialmente distruttive). Fase di elaborazione ed interpretazione. Concluse le operazioni sul campo, i dati disponibili devono essere processati ed interpretati, per ricavare la diagnosi finale, ovvero il giudizio sul livello di danneggiamento dell’edificio, la sua sicurezza e gli interventi di riparazione e rafforzamento necessari a garantire requisiti di sicurezza adeguati alle normative vigenti. In alcuni casi, è possibile che i livelli di degrado e di danno siano così lievi da indicare che nessun ulteriore programma di indagine e intervento è necessario.

Vulnerabilità Strutturale

DANNO ATTUALE

DANNEGGIABILITA’

DANNI PRE-ESISTENTI DEGRADO DEI MATERIALI

DEFICIENZE GENERALI DIFETTI DI PROGETTO ED ESECUZIONE

I LIVELLO – Co onoscenza speditiva: tempo ridotto/larga scala Fattori macroscopici e qualitativi di vulnerabilità: tipologia, regolarità, qualità del progetto ed esecuzione.

Conoscenza preliminare: ispezioni visive, test di base.

RATING NEGATIVO/ Livello di conoscenza insufficiente

POSITIVO

ESCI

II LIVELLO – Analisi approfondite Indagini estese ed approfondite: informazioni quantitative dettagliate sulla costruzione, test sperimentali.

MOLTO NEGATIVO

RATING

AZIONI IMMEDIATE

Analisi dettagliate: modelli meccanici di vulnerabilità, soluzioni analitiche, modelli numerici. RATING

Figura 1. Flow chart operativo del protocollo diagnostico.

3. LE PROCEDURE DI ASSESSMENT PER I PONTI ED IL “CONDITION RATING” 3.1. Lo structural assessment dei ponti e viadotti L’obiettivo principale dello structural assessment, e nel caso specifico con particolare riferimento ai ponti e viadotti, è quello di garantire la sicurezza di coloro che della struttura sono gli utilizzatori. Ponti e viadotti costituiscono infrastrutture pubbliche le quali, spesso, si trovano esposte a condizioni metereologiche avverse, ad un intenso utilizzo e, per tali ragioni, sovente versano in una condizione severa di degrado. In questo contesto, appare evidente la

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necessità e l’importanza della programmazione di ispezioni di routine, di interventi di manutenzione e di riparazione, specialmente considerata l’impellenza, a livello delle Pubbliche Amministrazioni, di dover effettuare una ripartizione delle risorse destinate a queste attività. Per quanto concerne le forme più comuni di degrado dei ponti in cemento armato, queste sono rappresentate dalla corrosione delle barre di armature, causata dalla penetrazione della CO2 e degli ioni cloruro. Altre cause di deterioramento sono legate alle azioni di gelo e disgelo durante la stagione invernale, dall’attacco dei solfati e dei silicati alcalini, capaci di innescare reazioni chimiche che inducono, come effetto finale, un deterioramento, a volte severo, del calcestruzzo e degli stessi elementi strutturali. Il monitoraggio delle condizioni di ogni elemento strutturale costituisce, evidentemente, il punto di partenza di questo articolato processo. Esso deve individuare ogni possibile processo di deterioramento/danneggiamento e determinarne le cause. La ragione fondamentale del monitoraggio dei processi di danno/degrado (valutazione della loro intensità ed estensione) è quella di fornire “le giuste decisioni nel giusto tempo”, lì dove le decisioni sono seguite da attività dirette a preservare, dove possibile, le condizioni di servizio-sicurezza dell’opera o a riportarle all’interno di limiti accettabili, attraverso lavori di manutenzione o riparazione. Per valutare quale struttura richiede un intervento più o meno immediato è necessario mettere in atto un programma sistematico di ispezioni. Uno degli obiettivi principali di queste ispezioni è rappresentato dalla raccolta dei dati su quelle strutture che versano in precarie o critiche condizioni e necessitano, pertanto, di interventi di riparazione, rinforzo e riabilitazione. Stabilire le liste di priorità rappresenta, dunque, uno degli aspetti più difficili del management. Un sistema semplice ed efficace per selezionare quale ponte o gruppo di ponti richiede un intervento più o meno urgente prevede l’utilizzo di indici sintetici, che permettono di stilare rapidamente delle liste di priorità per i programmi di manutenzione e riabilitazione. 3.2. Il condition rating Il condition rating rappresenta una particolare forma di stima delle condizioni prestazionali di un’opera, messa a punto con l’obiettivo principale di individuare e monitorare i processi di deterioramento dei ponti e dei viadotti, con particolare riferimento a quelli immersi in ambienti aggressivi. Esso è un indicatore numerico capace di esprimere un giudizio concernente lo stato di consistenza di una struttura riguardo le sue capacità prestazionali in termini di servizio e sicurezza, sulla base di dati ed informazioni derivanti dalla sola ispezione visiva (CEB Bulletin N° 243 – Strategies for Testing and Assessment of Concrete Structure). Per procedere a queste valutazioni è necessario individuare le principali componenti strutturali (nel caso dei ponti e dei viadotti: sottostruttura, sovrastruttura, ecc), con riferimento alle quali viene determinato l’indicatore numerico per ciascun elemento, in modo tale da giungere alla valutazione finale complessiva delle condizioni prestazionali dell’opera oggetto dell’indagine. Nel caso di strutture molto complesse, come per il caso di studio di seguito analizzato, l’intera opera può essere suddivisa in “sotto opere” (ad esempio nel caso dei viadotti a molte campate si possono individuare delle sotto opere nelle singole campate del viadotto), in modo da risalire, effettuando una semplice sommatoria delle condizioni prestazionali delle sotto opere, alla valutazione finale sull’opera complessiva. La determinazione numerica del condition rating consiste in un semplice punteggio, ottenuto assegnando una serie di punteggi di deficienza, in accordo con precise regole stabilite per la classificazione del livello di degrado. In particolare, nella valutazione numerica si tiene conto per ogni danno:

539

x

del suo impatto nei confronti degli effetti sulla durabilità e sicurezza complessiva dell’opera o del singolo elemento analizzato; x dell’impatto che il singolo elemento analizzato, sul quale si è rilevato il particolare tipo di danno, ha sulla stabilità complessiva dell’opera; x del grado/intensità del danno; x della estensione e della possibile propagazione del danno. Secondo tale approccio, il condition rating viene determinato sommando tutti i punteggi attribuiti ad ogni tipo di danno rilevato sulla struttura (partendo dagli elementi presenti nelle diverse componenti strutturali che costituiscono l’opera). In alternativa, è possibile valutare il condition rating attraverso il rapporto tra la somma di tutti i punteggi assegnati ai diversi tipi di danno effettivamente riscontrati nell’opera in esame, e la somma di tutti i danni potenziali, valutati nell’ipotesi della massima estensione ed intensità. Il parametro che indica le condizioni prestazionali dell’opera viene quindi determinato attraverso il rapporto tra: x la somma effettiva dei valori di danno (estrapolandoli da una lista di possibili tipi di danno) osservati durante l’ispezione; x la somma di riferimento dei valori di danno (estrapolandoli da una lista di possibili tipi di danni) che possono potenzialmente riscontrarsi nella struttura, presi tutti con il loro valore massimo. Secondo tale logica, le condizioni prestazionali di una struttura o di una sua porzione/componente vengono definite attraverso la frazione o la percentuale di una condizione/prestazione di degrado di riferimento. Si osserva che la somma/prestazione di riferimento non è un valore fisso, ma deve sempre essere assunta in relazione alla particolare struttura analizzata, così come deriva a seguito della ispezione, tenendo conto di tutti i possibili danni potenziali sulla struttura. Tale somma, pertanto, tiene conto solo ed esclusivamente di quei tipi di danno che hanno una elevata probabilità di verificarsi sulla struttura, ed esclude quindi quei danni che nel caso della struttura reale non potrebbero mai verificarsi. Il condition rating è dunque espresso da: Rc

¦V ¦V

D

100

(1)

D ,ref

dove

¦V

D

32

¦B k

k k k

i 1i 2 i 3i 4 i

è la somma dei valori di danno VD osservati sulla struttura o

1

su una sua parte e selezionati da una lista di possibili tipi di danno, essendo: x Bi - Valore di riferimento associato al danno i-esimo. Esso esprime l’effetto potenziale del danno i-esimo sulla sicurezza e/o durabilità dell’elemento strutturale analizzato. I suoi valori sono compresi nell’intervallo 1-4. x K1i - Fattore che legato all’elemento strutturale sul quale è rilevato il danno iesimo. Esso tiene conto dell’effetto che il danno rilevato sull’elemento riveste sulla sicurezza/durabilità dell’opera (o di una sua parte). Nel caso dei ponti e dei viadotti, il fattore K1i attribuito ad ogni singolo elemento strutturale deve essere selezionato in modo tale che il valore totale valutato sulla componente strutturale, di cui l’elemento indagato è parte, resti all’interno dei seguenti limiti: (a) sottostruttura: 1,0±0,2 (b) soprastruttura 1,2 ± 0.2 ( c) soletta 0,4 ± 0,1

540

Classe di degrado

Descrizione delle condizioni, della necessità degli interventi, esempi di degrado

Condition rating

I II

Assenza di difetti, presenti solo deficienze legate alla costruzione. Basso livello di danno/degrado, che solo dopo lunghi periodi di tempo può causare una riduzione delle condizioni di servizio e/o durabilità sull’elemento strutturale, se non riparata in tempo. Le situazioni di degrado possono essere riparate con bassi costi, vale a dire con lavori di manutenzione. Medio grado di danno/degrado, che può causare una riduzione delle condizioni di servizio e/o durabilità della componente interessata, ma che non richiede limitazioni sulla fruizione della struttura. I lavori di riparazione possono avvenire in un ridotto lasso di tempo. Elevato livello di danno/degrado, che riduce le condizioni di servizio e durabilità dell’opera ma che non richiede serie limitazioni di uso della struttura. Sono necessari interventi urgenti mirati a riparare e /o preservare le condizioni di servizio e durabilità della costruzione. Danno/degrado molto intenso, che richiede limitazioni di utilizzo, puntellamento della maggior parte delle componenti critiche, o altro tipo di misure preventive. Condizione critica di danno/degrado, che richiede un immediato puntellamento della struttura ed una seria limitazione alla sua fruizione, sino ad arrivare alla sua chiusura. Sono necessari interventi di riparazione e rinforzo estesi ed immediati; le condizioni di progetto originarie di servizio e di sicurezza della costruzione, e comunque dei loro livelli accettabili, non possono essere ripristinate a basso costo.

da 0 a 5 da 3 a 10

III

IV

V VI

da 7 a 15

da 12 a 25

da 22 a 35 Ů30

Tabella 1. Descrizione del danno - degrado.

Per gli elementi precompressi, il valore di base K1i deve essere moltiplicato per 1,2. Per quanto riguarda i valori di K1i riferiti ai vari elementi strutturali che costituiscono le principali componenti delle strutture dei ponti, si rimanda ai documenti specifici (CEB Bulletin N° 243, 1998). x K2i - Fattore che indica l’intensità/grado del danno i-esimo. x K3i - Fattore che tiene conto della estensione e propagazione del danno sul singolo membro strutturale o sull’insieme dei membri dello stesso tipo. x K4i - Fattore che indica l’urgenza dell’intervento nel caso il danno i-esimo. I valori insieme ai criteri generali per la loro determinazioni sono forniti dal CEB Bulletin N° 243 (1998). ¦VD,ref è la somma di riferimento dei valori di danno (estrapolandoli da una lista di possibili tipi di danni) che possono potenzialmente riscontrarsi nella struttura, presi tutti con il loro valore massimo. Nella applicazioni pratiche, in luogo della relazione (1) si fa utilizzo della seguente espressione modificata: K

Rc

¦K

1m

1 K

Mm

100

(2)

¦ K1m M ref 1

n

dove M m

¦B K i

2i

K 3i K 4 i

(i 1 a n) è la somma dei danni, ridotta del fattore K1i,

1

t

n

del membro strutturale m ( M m

¦V

D

/ K1m ) , M m ,ref

1

¦B K i

1

541

2i

K 3i K 4 i

(i 1 a t ) è la

somma dei danni di riferimento, ridotta del fattore K1i , riferita al membro strutturale m n

( M m ,ref

¦V

D ,ref

/ K1m ) , ed essendo inoltre:

1

x K il numero delle membrature di tipo m all’interno della componente strutturale; x n il numero dei danni osservati di tipo i sulla membratura m; x t è il numero dei tipi di danno potenziali sulla membratura m. La tabella 1 riporta la descrizione delle classi di danno/degrado. È possibile distinguere 6 classi di danno/degrado, ad ognuna delle quali corrisponde un determinato intervallo del condition rating, da confrontarsi con il valore determinato attraverso la procedura sopra descritta.

4. IL CASO DI STUDIO: IL PORTO INDUSTRIALE NELLA CITTA’ DI MANFREDONIA. 4.1. L’opera Il caso di studio riguarda l’assessment delle strutture del Porto Industriale di Manfredonia in provincia di Foggia. L’opera è localizzata a circa 2 Km a Nord del centro abitato. Il Porto è dotato di 5 attracchi e di un approccio per navi lungo il pontile di approccio. Quest’ultimo, lungo circa 2 km, collega la terraferma alla banchina, in cui sono presenti due attracchi. Il pontile di collegamento, di lunghezza inferiore, collega invece la banchina alla Diga. Questa è composta da una banchina con altri tre attracchi sul lato interno, e dalla barriera frangiflutti sul lato esterno.

Figura 2. Visione d’insieme del Porto Industriale di Manfredonia.

La costruzione, su progetto della SNAM Progetti di Milano, iniziata nel 1971 è stata portata a termine nel 1978. Essa è realizzata mediante una sovrastruttura in cemento armato e cemento armato precompresso, sorretta da una palificata in acciaio. Ne deriva una planimetria abbastanza articolata nella quale, tuttavia, alcune soluzioni strutturali si ripetono in maniera identica. Si tratta di una costruzione relativamente recente; tuttavia, essa versa in uno stato di avanzato degrado che interessa, seppure con gravità ed estensione diversa, molti degli

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elementi strutturali, sia quelli emersi più lontani dal livello del mare, sia quelli prossimi al livello del mare, sia quelli sommersi. Il degrado si manifesta attraverso una generalizzata ed avanzata corrosione delle barre d’armatura, delaminazione, espulsione di copriferro (del tutto assente in ampie zone degli elementi strutturali), fessurazione generalizzata. Altre tipologie osservate di danno localizzato consistono nello sfilamento delle barre di precompressione, esposizione degli apparecchi di ancoraggio delle armature di precompressione. L’accentuato stato di degrado, si pensi che l’approccio per navi lungo il pontile di approccio è fuori servizio a causa delle precarie condizioni in cui versa, è da imputarsi non solo alle sfavorevoli condizioni ambientali che interessano il manufatto, ma anche alla cattiva manutenzione che ha riguardato l’opera nel corso degli anni. Il fenomeno inoltre è da imputarsi oltre che alle cause sopra indicate, anche ad alcune soluzioni progettuali poco adatte ad un’opera immersa in un contesto ambientale come quello marino, nonché ad alcuni difetti e vizi esecutivi. Nella costruzione è possibile individuare quattro sotto-opere principali: pontile di approccio, pontile di collegamento, banchina e diga. Queste sono realizzate mediante l’assemblaggio di tre elementi strutturali basilari: pali tubolari in acciaio infissi nel fondale; elementi trasversali (pulvini) realizzati in c.a.p. (a cavi post tesi) collegati monoliticamente ai pali mediante getti di sigillatura e di intasamento dei vani ricavati negli elementi prefabbricati; tegoli che realizzano una piastra nervata a campata unica, semplicemente appoggiata sui pulvini. Una generale ispezione visiva delle strutture del Porto evidenzia una condizione di degrado severa che coinvolge la quasi totalità degli elementi, con particolare riferimento a quelli che ricadono nella zona degli spruzzi e delle maree. La deficienza statica in cui versano gli elementi strutturali è stata confermata anche da alcune indagini diagnostiche preliminari in sito. Queste, in particolare, hanno messo in risalto un significativo processo di corrosione ed un elevato livello di penetrazione dei cloruri che coinvolgono l’armatura pretesa. Per gli elementi strutturali non direttamente a contatto con gli spruzzi del mare, il problema principale è rappresentato dalla carbonatazione, sebbene siano presenti alcune tipologie locali di danno, tra cui ad esempio l’esposizione delle apparecchiature di ancoraggio, la mancanza della malta di inghisaggio, corrosione e mancanze, sia nelle barre di rinforzo, sia in quelle di precompressione. La situazione appare critica, tenuto conto soprattutto della rapida evoluzione temporale dei fenomeni di danno/degrado riscontrati in alcuni degli elementi strutturali, situazioni tutte che indicano una condizione di elevato rischio. In questa situazione, due sono gli aspetti che principalmente giocano a sfavore, e cioè, da un lato la grande estensione dell’opera e dunque dei lavori da effettuare, e dall’altro la limitatezza delle risorse economiche disponibili, che non rendono possibile l’esecuzione dei lavori di riabilitazione, ed in un certo numero di casi, addirittura, la completa sostituzione, per tutti gli elementi strutturali interessati dal danno/degrado. In questo contesto, il ricorso alla valutazione del condition rating elaborato su base fuzzy appare uno strumento idoneo per effettuare una classificazione del livello di danno/degrado con riferimento a differenti gruppi di elementi strutturali che compongono l’opera. L’obiettivo finale è quello di dare la priorità ad azioni di intervento per alcuni elementi e, per altri, di poter programmare ulteriori e più approfondite indagini. La strategia sopra esposta è stata utilizzata per l’assessment del pontile di approccio con riferimento particolare ai due elementi strutturali che o compongono: pulvini e tegoli

543

Figura 3. Un esempio di pulvini appartenenti alle macroclassi: a (sinistra) e b (destra).

Figura 4. Un esempio di tegoli appartenenti alle macro classi a e b

544

4.3. Condition rating del pontile di approccio L’analisi dello stato di degrado degli elementi strutturali che compongono il pontile di approccio, valutata sulla base delle risultanze di alcune prove preliminari effettuate e delle ispezioni visive, ha condotto alla compilazione delle schede che seguono. Le componenti strutturali (pulvini e tegoli) sono stati suddivisi in due macrocategorie con riferimento al livello di danno/degrado. categoria a) - (danno severo): per quegli gli elementi che, sulla scorta delle indagini visive, supportate da saggi e prove di laboratorio, sono risultati essere caratterizzati da un livello di maggiore degrado (figura 3 - pulvini, e figura 4 - tegoli); categoria b) – (danno leggero): per quegli elementi la cui valutazione iniziale evidenzia un migliore stato di conservazione (figura 3 - pulvini, e figura 4 - tegoli). Le ispezioni visive effettuate sugli elementi strutturali pulvini a tegoli supportate da alcuni test di base hanno condotto alla valutazione dei coefficienti K coinvolti nel condition rating, come riassunto nella tabella 2. Secondo la metodologia descritta in precedenza, il condition rating viene valutato dapprima su tutti gli elementi strutturali che costituiscono il pontile. Il punteggio finale viene quindi ottenuto introducendo il fattore di importanza K1i, in quale ha lo scopo di “graduare” l’effetto di ogni elemento strutturale sulla sicurezza/durabilità della intera opera.

Tabella 2. Condition rating per la classe a) dei pulvini del pontile di approccio

545

Il condition rating per i pulvini e i tegoli è stata valutato sulla base della distinzione nelle due macro classi. Effettuata l’analisi sulle singole membrature, è stato valutato il corrispondente condition rating su base fuzzy, fornendo, infine un giudizio conciso sulle condizioni del pontile di approccio (tabella 3). La figura 5 riassume il condition rating per gli elementi strutturali delle diverse sotto-opere che compongono il Porto. Tale risultato costituisce uno strumento per la realizzazione delle liste di priorità, individuando gli elementi strutturali per i quali sono necessarie azioni di intervento immediato, e quelli per quali gli interventi potranno essere programmati in un intervallo di tempo più o meno limitato.

Tabella 3. Condition rating per il pontile di approccio.

Figura 5. Condition rating per gli elementi strutturali del Porto.

BIBLIOGRAFIA [1] [2]

[3]

CEB-FIP. “Strategies for Testing and Assessment of Concrete Structures”. May 1998. Bullettin d’Infomation No. 243. Evaluation of the carrying capacity of existing bridges: Final Report. A report of Ministry of science and technology of Republic of Slovenia. Department of Transportation, USA Project No JF 026. Lubiana 1994 Zadeh L.A., Fuzzy Sets, Information Control 8, pp. 338-353, 1965.

546

Sessione V: Tecniche sperimentali

547

548

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

IL PONTE CICLO-PEDONALE DI S. GIULIANO: INDAGINI SPERIMENTALI E. GIUFFRE’, M. LEVORATO Metralab, Padova

SOMMARIO Il ponte ciclo-pedonale di S. Giuliano, di lunghezza 140 m circa, parte dall’area del quartiere San Giuseppe di Mestre (VE) e raggiunge il parco S.Giuliano, scavalcando il raccordo stradale della S.S. 14. Esso è costituito da un impalcato in acciaio, vincolato a nord ed a sud a spalle in cemento armato, sostenuto da stralli ancorati ad un pilone centrale controventato. La pavimentazione del ponte è in legno, le ringhiere di protezione ed antisassi sono in acciaio inox con montanti in acciaio saldati sulle travi. Il ponte ciclo-pedonale è stato oggetto di prove di carico statiche ed analisi dinamiche. La prima fase di indagine ha avuto come obiettivo la ricerca della frequenza propria del ponte, per poter successivamente calibrare i quattro smorzatori TDM. La prova è consistita in una analisi dinamica con forza impulsiva ottenuta mediante martinetto oleodinamico dotato di fusibile meccanico. I risultati della prova hanno consentito, inoltre, di evidenziare la non corretta tesatura degli stralli. Nella prova di carico statica la struttura è stata caricata utilizzando n°6 coppie di martinetti oleodinamici predisposti a "tiro": l’estremità superiore dei martinetti era collegata, tramite brache, alle due travi principali di bordo, mentre l’estremità inferiore era collegata, tramite catene in acciaio, a dei blocchi in calcestruzzo di contrasto. La struttura è stata strumentata con un autolivello digitale elettronico e stadia invar. Per l’analisi dinamica la struttura è stata sollecitata, sia verticalmente che orizzontalmente, mediante vibrodina costituita da due motovibratori controrotanti ancorati ad una piastra metallica saldata all’impalcato. L’acquisizione dei dati è avvenuta mediante analizzatore multicanale associato a n°8 accelerometri. ABSTRACT The S. Giuliano cycle and pedestrian bridge, approximately 140 m long, starts from the area of the San Giuseppe di Mestre district and reaches the S. Giuliano park, passing over the S.S. 14 road link. It is made of a steel structure bound, at the north and south ends, by abutments in reinforced concrete and held up by stays anchored to a braced central pier. The bridge flooring is made of wood, the safety and stone-protection railings are made of stainless steel welded onto the beams. The cycle and pedestrian bridge underwent static load tests and dynamic analysis. The objective of the first phase of investigations was to research the bridge's own frequency and to subsequently gauge the four TDM dampers. The trial consists of a dynamic analysis with an impulsive force obtained with an oleodynamic jack equipped with a mechanical fuse. The results of the trial have also highlighted the incorrect stretching of the stays. In the static load test, the structure is loaded using 6 pairs of oleodynamic jacks

549

preconditioned for "firing"; the upper extremity of the jacks was linked by straps to the two main board beams, whereas the lower extremity was linked by steel chains to contrast concrete blocks. The structure was instrumented with an electronic digital auto-leveller and an invar levelling rod. For the dynamic analysis, the structure was stressed, both vertically and horizontally, with a vibrodyne made up of two counter-rotating motorvibrators anchored to a metal plate welded to the scaffolding. The data acquisition was made with a multichannel analyser linked to 8 accelerometers. 1. INTRODUZIONE Al giorno d’oggi i ponti strallati sono considerati il simbolo dei ponti moderni, sia per la facilità con cui sono costruiti che per la versatilità del loro schema statico. L’impiego di questi ponti si è oramai esteso dalle piccole alle grandi luci, offrendo un ampio ventaglio di scelte architettoniche che danno origine e risalto a veri e propri capolavori della nostra epoca. Il ponte strallato di San Giuliano a Venezia rientra nelle opere di media luce (140 m circa), caratterizzato da un pilone centrale, di 38 m circa d’altezza e stralli a ventaglio. Le indagini sperimentali condotte sono state di tipo statico e dinamico sia per calibrare gli smorzatori che per verificare la tesatura degli stralli ed il comportamento globale sotto l’azione del vento o di carichi dinamici tipo la Venice Marathon.

2. IL PONTE CICLO-PEDONALE DI S. GIULIANO Nell’ambito della realizzazione di una grande opera di riqualificazione ambientale e paesaggistica di un’area di circa 700 ettari, l’oggetto delle indagini è stata un’opera di architettura ed arredo urbano quale il ponte ciclo-pedonale di San Giuliano (figure 1 e 2) sito nel lotto A2, opera che rappresenta un tentativo di connettere idealmente la città di Mestre con Venezia, due città che condividono il contesto lagunare. Il ponte ciclo-pedonale, di lunghezza 140,00 m circa, parte dall’area del quartiere San Giuseppe e raggiunge il parco scavalcando il raccordo stradale della S.S. 14. Esso è costituito da un impalcato in acciaio, vincolato a nord ed a sud a spalle in cemento armato, sostenuto da stralli ancorati ad un pilone centrale controventato. La pavimentazione del ponte è in legno, le ringhiere di protezione ed antisassi sono in acciaio inox con montanti in acciaio saldati sulle travi.

Figura 1. Schema del ponte ciclo-pedonale di San Giuliano.

550

Figura 2. Vista del ponte ciclo-pedonale di San Giuliano.

3. LE INDAGINI SPERIMENTALI 3.1. L’analisi dinamica impulsiva L’analisi dinamica impulsiva ha avuto lo scopo di ricercare la frequenza propria del ponte, di modo da poter successivamente tarare i 4 smorzatori TMD (tuned mass dampers – smorzatori a massa accordata) (figura 3).

a)

b)

Figura 3. a) schema del funzionamento di uno smorzatore a massa accordata (TMD); b) smorzatore TMD.

La forza impulsiva è stata applicata a seguito della rottura di un “fusibile meccanico” associato ad un martinetto oleodinamico, applicato alternativamente ai quarti luce del ponte. Il martinetto era contrastato da una macchina operatrice (figura 4a). Il segnale è stato registrato mediante due vibromonitor, fissati mediante magneti (figura 4b). Essi sono stati posizionati alternativamente sul lato nord e sul lato sud del ponte, verso l’estremità opposta rispetto all’applicazione della forza impulsiva (figura 5). Il vibromonitor è uno strumento dotato di 3 canali geofoni (V,L,T) e di un canale microfono. Nell’ambito della presente indagine, i canali del vibromonitor sono stati impostati come segue:

551

a)

b)

Figura 4. a) Applicazione della forza impulsiva; b) posizionamento di un vibromonitor mediante magneti.

T

T L

lato Trieste

L

porta Nord L

T

lato Marghera

L T

Figura 5. Schema di posizionamento dei vibromonitor durante le prove.

1. Canale V: disposto verticalmente; 2. Canale L: disposto parallelamente all’asse longitudinale del ponte; 3. Canale T: disposto perpendicolarmente all’asse longitudinale del ponte. L’analisi dinamica impulsiva, inizialmente prevista in una sola fase, è stata invece eseguita in fasi successive. La prima prova, infatti, ha evidenziato la disomogeneità di risposta in frequenza delle quattro semicampate. Sono stati, pertanto, ritesati gli stralli ed è stata eseguita successivamente una seconda analisi dinamica, ottenendo l’omogeneità della risposta in frequenza (figure 6 e 7). E’ stato inoltre possibile ottenere i dati riguardanti la frequenza propria del ponte, che hanno consentito di tarare gli smorzatori TMD e di impostarli intorno ai 1,7 Hz.

552

4.3 1.7 2.9

Figura 6. Risposta in frequenza delle campate disomogenee.

2.9

1.7

1

Figura 7. Risposta in frequenza delle campate omogenee.

3.2. La prova di carico statica La struttura è stata caricata utilizzando n°6 coppie di martinetti oleodinamici predisposti a tiro con contrasto a catena: l’estremità superiore dei martinetti era collegata, tramite brache, alle due travi principali di bordo, mentre l’estremità inferiore era collegata, tramite catene in acciaio ad alta resistenza, a dei blocchi in calcestruzzo usati come contrasto (figura 8). La localizzazione di carichi e sensori è mostrata in Figura 9. I martinetti, messi in azione mediante una pompa oleodinamica elettrica, hanno sezione utile di tiro di 17,48 cm2. La struttura è stata strumentata con un autolivello digitale elettronico e stadia invar.

553

Il carico massimo P applicato al singolo punto è stato di 161 kN per un totale di 966 kN. I risultati della prova sono rappresentati in Figura 10 come spostamenti relativi rispetto alla prima lettura. I grafici mostrano che l’abbassamento è pressoché simmetrico sui due lati del ponte. I valori di abbassamento rilevati sono risultati al di sotto dei valori teorici di progettazione.

a)

b) Figura 8. Prova di carico statica. a) applicazione del carico mediante martinetti; b) misura degli spostamenti ai sensori mediante autolivello digitale elettronico.

D1a

D2a

lato Trieste

B1 D3a C1

A1

D4a porta Nord

lato Marghera

D1b

A2

D2b

B2 D3b

C2

D4b

Figura 9. Posizione di carichi (in rosso) e punti di misura (in verde) durante la prova di carico statica.

lato Trieste

lato Marghera 40

40 1

2

3

1

4

spostamento relativo (mm)

spostamento relativo (mm)

2

3

4

0

0

-40

-80

-40

-80

-120

-120

-160

-160

a)

b) Figura 10. Valori di spostamento relativo (in mm) registrati su ciascun punto di misura. a) punti di misura lato Trieste; b) punti di misura lato Marghera.

554

3.3. La prova dinamica con vibrodina La struttura è stata sollecita in un campo di frequenze da 1.46 a 5.0 Hz mediante vibrodina, costituita da due motovibratori accoppiati a masse controrotanti e disposte su una base d’acciaio (figura 11). La vibrodina è stata disposta inizialmente in posizione orizzontale, per consentire l’applicazione di sollecitazioni verticali (lungo l’asse y), ed è stata successivamente ruotata per consentire l’applicazione di sollecitazioni orizzontali alla struttura (lungo l’asse x). La piastra di ancoraggio dei motovibratori è stata collocata a circa 30 m dall’estremità Nord della struttura e saldata alle travi metalliche di supporto dell’impalcato. L’acquisizione delle accelerazioni è avvenuta tramite 8 sensori d’accelerazione disposti a coppie ortogonali in quattro punti in mezzeria (figura 12a). Le prove sono state condotte sia con i 4 TMD attivi sia con i 4 TMD inattivi; ciascuna delle due conformazioni è stata investigata nel campo di frequenze 1.46 Hz – 5.0 Hz; le differenti acquisizioni sono riportate nelle tabelle seguenti.

Nome file rumore di fondo eccitazione_Y_01 eccitazione_Y_02 eccitazione_Y_03 eccitazione_Y_04 eccitazione_Y_05 eccitazione_Y_06 eccitazione_Y_07 eccitazione_Y_08 rampa_Y ecc_y_105rpm ecc_y_158rpm ecc_y_170rpm ecc_y_223rpm ecc_y_234rpm ecc_y_252rpm

RPM 0 300 270 240 210 180 150 120 90 0 ÷ 300 ÷ 0 105 158 170 223 234 252

Hz 0.00 5.00 4.50 4.00 3.50 3.00 2.50 2.00 1.50 0÷5÷0 1.75 2.63 2.83 3.72 3.90 4.20

Tabella 1. Step di frequenza per sollecitazioni verticali. Nome file TMD_Forza_X_rampa TMD_Forza_X_88rpm TMD_Forza_X_135rpm TMD_Forza_X_158rpm TMD_Forza_X_223rpm TMD_ambientale

RPM 0 ÷ 300 ÷ 0 88 135 158 223 0

Hz 0÷5÷0 1.47 2.25 2.63 3.72 0.00

Tabella 2. Step di frequenza per sollecitazioni orizzontali.

555

a)

b) Figura 11. a) Vibrodina in posizione verticale; b) vibrodina in posizione orizzontale.

a)

b) Figura 12. a) Sensore di accelerazione; b) acquisizione del segnale su pc.

Si riportano di seguito (figure 13-19) alcuni dei grafici relativi alle prove effettuate; essi rappresentano la risposta alla sollecitazione su un accelerometro, a frequenze crescenti. Nel grafico sono rappresentate sovrapposte la curva relativa alla prova con TMD inattivi (in rosso) e quella con TMD attivi (in blu). I risultati della prova dinamica hanno confermato i dati ottenuti dal modello numerico del progettista, risultando una frequenza propria del ponte attorno ai 1,7 Hz. Dall’osservazione dei grafici è evidente il beneficio degli smorzatori TMD. Una particolarità emersa durante l’imposizione della sollecitazione verticale della struttura per alte frequenze è che il ponte vibrava non solo verticalmente, ma anche orizzontalmente, per un breve istante.

556

C 11 Tmd_ecc _y _008 c hannel 1 [g] C 11 Ecc it azione_y _08 c hannel 1 [g]

Time 0 [s ] Time 0 [s ]

FF T(C1) D Y R ms FF T(C1) D Y R ms

0.005

0.004

acceleration [g]

0.003

0.002

0.001

0.000

0

2

4

6

8

10

F requenc y [Hz]

Figura 13. Canale 1 (y), FFT; forzante verticale, vibrodina a 1.5 Hz.

C11 Ecc it azione_y _06 c hannel 1 [g] C11 Tmd_ecc _y _006 c hannel 1 [g]

Time 0 [s] Time 0 [s]

FF T(C1) D Y Rms FF T(C1) D Y Rms

0.004

acceleration [g]

0.003

0.002

0.001

0.000

0

2

6

4

8

Frequenc y [Hz]

Figura 14. Canale 1 (y), FFT; forzante verticale, vibrodina a 2.5 Hz.

557

10

C11 Tmd_ecc _y _004 c hannel 1 [g] C11 Ecc it azione_y _04 c hannel 1 [g]

Time 0 [s] Time 0 [s]

FF T(C1) D Y Rms FF T(C1) D Y Rms

0.006

0.005

0.003

0.002

0.001

0.000

10

8

6

4

2

0

Frequenc y [Hz]

Figura 15. Canale 1 (y), FFT; forzante verticale, vibrodina a 3.5 Hz.

C11 Tmd_ecc_y _002 channel 1 [g] C11 Eccit azione_y _02 channel 1 [g]

Time 0 [s] Time 0 [s]

FFT(C1) D Y Rms FFT(C1) D Y Rms

0.012

0.010

0.008

acceleration [g]

acceleration [g]

0.004

0.006

0.004

0.002

0.000

0

2

4

6

8

Frequency [Hz]

Figura 16. Canale 1 (y), FFT; forzante verticale, vibrodina a 4.5 Hz.

558

10

C11 Tmd_rampa_y channel 1 [g] C11 Rampa_y channel 1 [g]

Time 0 [s] Time 0 [s]

FFT(C1) D Y Rms FFT(C1) D Y Rms

acceleration [g]

0.010

0.005

0.000

0

10

8

6 Frequency [Hz]

4

2

12

Figura 17. Canale 1 (y), FFT; forzante verticale, prova “in rampa” 0-5-0 Hz.

C12 Tmd_rumore_di_f ondo c hannel 2 [g] C12 Rumore_di_f ondo c hannel 2 [g]

Time 0 [s ] Time 0 [s ]

FFT(C2) D -X R ms FFT(C2) D -X R ms

x E-3

0.4

acceleration [g]

0.3

0.2

0.1

0.0

0

2

4

6

8

Frequenc y [Hz]

Figura 18. Canale 2 (x), FFT; forzante indotte dal traffico veicolare.

559

10

C12 Tmd_rampa_y channel 2 [g] C12 Rampa_y channel 2 [g]

Time 0 [s] Time 0 [s]

FFT(C2) D -X Rms FFT(C2) D -X Rms

0.008

acceleration [g]

0.006

0.004

0.002

0.000

0

2

6 Frequency [Hz]

4

8

10

12

Figura 19. Rampa y (canale 2, x), FFT; sollecitazione orizzontale del ponte dovuta ad una forzante verticale.

4. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE In strutture snelle del tipo delle passerelle ciclo-pedonali, particolarmente esposte ad azioni sia verticali (generate dai pedoni) che orizzontali (generate dal fronte di pressione del traffico veicolare sottostante), la caratterizzazione dinamica, sia verticale che orizzontale, è particolarmente importante per la verifica delle ipotesi di progetto e della risposta in chiave normativa. In particolare, l’esecuzione delle prove sperimentali ha consentito di caratterizzare in maniera corretta la risposta del ponte alle varie sollecitazioni: l’analisi dinamica impulsiva ha consentito di tarare gli smorzatori TMD ed ha permesso di evidenziare la non corretta tesatura degli stralli; la prova di carico statica ha permesso la verifica dei calcoli teorici; la prova dinamica con vibrodina ha consentito di verificare il comportamento della struttura in fase dinamica e di verificare la risposta operativa dei TMD alle varie frequenze La passerella ciclo pedonale si è dimostrata sensibile alle sollecitazioni impresse dalle azioni orizzontali dei cunei di pressione generati dal traffico veicolare pesante provenienti da est verso ovest la cui velocità era favorita da una curva verso destra che consentiva il passaggio in velocità sotto la struttura. Nessun dispositivo smorzatore è stato previsto per le forzanti orizzontali (la normativa non lo impone).

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

IL RUMORE AMBIENTALE E L’AFFIDABILITA’ STRUTTURALE: IL CASO DELLA CHIESA DI N. S. DELL’ITRIA A CASTELVETRANO S. BENFRATELLO1, R. GIAMBALVO2, S. GRAMMATICO3,G. NAVARRA1, S. PRIOLO1 1

Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica, Università degli Studi, Palermo 2 Libero Professionista, Via E. Montale 4, 91022 Castelvetrano, (Trapani) 3 Libero Professionista, Via Compositori 2, 91100 Trapani

SOMMARIO Il problema dell’effetto delle vibrazioni indotte sulle strutture da attività antropiche è di grande attualità in tutti quei settori che si occupano della salvaguardia e della sicurezza delle strutture. Il moltiplicarsi delle sorgenti di vibrazioni (cantieri, traffico veicolare e ferroviario, etc.), la sempre maggiore attenzione alla conservazione ed alla salvaguardia dei beni architettonici ed il problema della fatica nei materiali da costruzione sono solo alcuni degli elementi che sottolineano l’importanza del problema. A conferma di ciò vi è la redazione e l’aggiornamento di una norma UNI che tratta proprio degli effetti delle vibrazioni sugli edifici. Nel lavoro si analizza il comportamento della chiesa di N. S. dell’Itria a Castelvetrano (TP) nell’ambito dell’approccio teorico della normativa UNI al fine di inquadrare gli effetti indotti dal traffico ferroviario (la chiesa dista meno di 10 metri dalla ferrovia). Tale inquadramento riveste particolare importanza per la natura dei materiali impiegati (per la maggior parte muratura di pietrame informe e, in alcune parti, in conci di calcarenite) e per la natura e la tipologia dei numerosi interventi effettuati nel corso della sua storia, alcuni dei quali hanno alterato profondamente il comportamento statico. Le conclusioni del lavoro svolto mostrano che nella struttura sono presenti sollecitazioni elevate già per solo peso proprio, che le vibrazioni indotte dal traffico ferroviario sono analoghe a quelle previste dalla normativa sismica vigente per la IV categoria e che queste inducono variazioni delle sollecitazioni che possono essere sorgente di incremento dei degradi. Il numero elevato di eventi quotidiani, insieme agli interventi di restauro ed allo stato di abbandono in cui versa la chiesa, inficiano l’affidabilità strutturale della chiesa in uno scenario di medio-lungo periodo. ABSTRACT The problem of the effects of structural vibrations due to human activities is very important in assessment the safety of structural heritage. In modern society the sources of such vibrations increased, the attention to the monumental heritage protection and the role played by the materials fatigue are aspects making this problem so important that it is faced an Italian UNI standard. In the paper the effects of railway induced vibrations on the church of N.S. dell’Itria in Castelvetrano (the church is very close to the railway Alcamo-Marsala) is faced in

561

the framework of theoretical approach reported in the above referenced standard. This study is very important since the church has been built for the most part in shapeless masonry and it has been subjected to many restorations during its life (especially after the Valle del Belìce earthquake). The results show that the church suffers high level dead weight stresses and that the railway induced vibrations are of the same magnitude of IV class Italian standard earthquake. These vibrations induce stress variation which can increase the structural degradation. The high frequency of trains together with the restorations and the church decay strongly affect the structural reliability in a middle-long scenario.

1. INTRODUZIONE Il problema delle vibrazioni delle strutture ha assunto, negli ultimi anni, sempre maggiore importanza anche in relazione al moltiplicarsi delle fonti di vibrazione specialmente di natura antropica. Tale problema riveste particolare rilevanza quando ad essere soggetti alle vibrazioni sono beni, tutelati o meno, la cui salvaguardia e conservazione sono fondamentali per la fruizione del patrimonio architettonico-monumentale. In tale ambito sono particolarmente importanti i metodi di indagine sperimentale che consentono il monitoraggio dinamico e soprattutto quelli che risultano essere meno invasivi. Gli effetti dei fenomeni vibratori risultano spesso estremamente insidiosi quando ad essere interessate sono strutture già caratterizzate da quadri fessurativi, lesioni, dissesti di varia natura. In questi casi, infatti, il particolare comportamento dinamico dei diversi elementi strutturali perturba le particolari condizioni di equilibrio presenti, alterandole ed indirizzandole verso stati sempre meno stabili compromettendo la sicurezza. In questa sede si vuole sottolineare, soprattutto, il fenomeno della fatica nei materiali da costruzione, il quale risulta essere un argomento molto importante e che deve essere ulteriormente approfondito vista anche la scarsa resistenza a trazione dei materiali in oggetto come la muratura. L’importanza del problema descritto insieme alle considerazioni prima effettuate sono confermate dal fatto che è stata preparata la normativa UNI 9916:2004 [1] che fornisce una metodologia per la misurazione, il trattamento dei dati e la valutazione degli effetti delle vibrazioni. Si sottolinea anche il fatto che, pur non essendo presente una normativa unica internazionale, ne esistono diverse nazionali (in particolare tedesche e francesi) che testimoniano l’importanza del problema. In particolare, la normativa italiana prevede due approcci per la valutazione degli effetti delle vibrazioni: uno teorico che fondamentalmente consiste nella valutazione delle sollecitazioni indotte attraverso la creazione di un opportuno modello strutturale, e l’altro empirico che si basa sostanzialmente sul confronto di alcuni parametri ritenuti significativi del fenomeno vibratorio con i corrispondenti limiti stabiliti dalla normativa. Tale secondo approccio, ancorché meno oneroso da tutti i punti di vista, deve essere utilizzato con molta cautela dal momento che non può tenere in debita considerazione l’effetto delle vibrazioni sulla fatica e sulla evoluzione di preesistenti stati fessurativi nella struttura, come spesso accade nel caso di beni monumentali. Una applicazione molto interessante di tale approccio empirico si può trovare in [2]. Scopo del presente lavoro è lo studio della Chiesa di N.S. dell’Itria a Castelvetrano (TP) alla luce delle considerazioni prima effettuate e nell’ambito dell’approccio teorico della normativa prima citata. Tale Chiesa, infatti, riassume in sé tutti gli aspetti prima evidenziati: 1) è costituita da una struttura in muratura che, per la maggior parte, risulta essere di muratura di pietrame informe; 2) è inserita in un contesto sismicamente molto importante come quello della valle del Belìce; 3) è stata oggetto di numerosi interventi nel corso della sua storia,

562

alcuni dei quali hanno alterato profondamente il comportamento statico; 4) la chiesa è molto antica dal momento che la sua costruzione è iniziata nel 1613; 5) la chiesa dista meno di 10 metri dalla ferrovia Alcamo – Marsala con conseguenti vibrazioni indotte percepibili anche senza strumentazione ed una intensità del traffico ferroviario superiore ai trenta treni al giorno. La metodologia utilizzata per la valutazione del comportamento strutturale si può riassumere nei seguenti passi: 1) indagine storico-archivistica; 2) rilievo geometricodimensionale; 3) analisi dei materiali e dei degradi; 4) indagini sperimentali per la misura delle vibrazioni; 5) definizione di un modello ad elementi finiti e sua validazione. Nei paragrafi successivi viene dapprima presentato un inquadramento storico-architettonico in cui vengono riportate tutte le notizie reperite sulla fabbrica e successivamente vengono presentati il lavoro sperimentale svolto e quindi l’analisi strutturale.

2. INQUADRAMENTO STORICO-ARCHITETTONICO La chiesa di N. S. dell’Itria e l’ex convento dei Padri Riformati della più stretta osservanza sorgono su un’altura rocciosa che domina la via commerciale più antica di Castelvetrano che collega Selinunte con l’entroterra ed in particolare con Salemi. Tale complesso architettonico venne eretto, per volere del principe d’Aragona e di sua moglie Donna Zenobia Gonzaga, nel 1613 sul luogo di una più antica chiesa quattrocentesca detta di S. Vito,oggi in stato di rudere. La chiesa di N. S. dell’Itria presenta una sola navata suddivisa in cinque campate che si alternano con luci di maggiore e minore dimensione; nelle tre campate centrali trovano posto tre altari per lato, dedicati ciascuno ad un Santo. L’abside è di forma rettangolare, separata dalla navata da un gradino con balaustra in marmo. La navata presenta una volta a botte portante realizzata in conci di calcarenite che rastrema in corrispondenza dell’abside, mentre l’antenavata è coperta da un’altra volte a botte lunettata. Il coro presenta una copertura piana che coincide, probabilmente, con quella sovrastante la volta della navata. Il convento impostato sul quadrato quasi perfetto del chiostro, risulta ben distribuito e presenta numerose modifiche conseguenti sia al cambiamento di destinazione d’uso negli anni, da convento ad ospedale, sia al terremoto che ha colpito la valle del Belìce nel 1968. È possibile, infatti, riscontrare ambienti con volte a crociera ed a padiglione insieme a solai in latero-cemento. Le poche notizie storiche sono state tratte da atti dell’archivio notarile, dell’archivio storico comunale, dell’archivio diocesano e da archivi privati di storici locali, insieme alle lapidi ed iscrizioni rinvenute all’interno della fabbrica. Infatti, come da un’iscrizione presente nel coro adesso non più esistente ma ritrovata in atti di archivio, si ha notizia che nel 1820 la chiesa venne restaurata, ma non si conoscono le opere effettivamente realizzate durante il restauro. Nel 1869, in seguito alla confisca dei beni della chiesa da parte dello Stato, il convento venne trasformato in Ospedale fino ad allora gestito dalla Compagnia dei Bianchi. Le notizie sui cambiamenti e le trasformazioni subite dal complesso architettonico nel secolo scorso sono state dedotte grazie ad alcune foto d’epoca, da una pianta catastale dei primi anni del 1900 e dai numerosi sopralluoghi effettuati. Infatti, nonostante l’intenso lavoro di ricerca bibliografica non è stato possibile reperire né relazioni, né disegni che descrivessero i lavori effettuati specialmente dopo il terremoto della Valle del Belìce. Da foto del 1920 si evince la costruzione della camera ardente antistante il convento, la modifica di alcune aperture e la distribuzione degli ambienti risalenti a quel periodo. Sempre a quegli anni si possono far risalire alcune modifiche sia al piano inferiore che al piano superiore del convento come la realizzazione di una sola fila di ambienti di dimensioni maggiori in luogo di due file di celle con corridoio centrale, descritte dal Canonico Noto,

563

storico castelvetranese del 1800. Le trasformazioni di una certa importanza riguardanti l’assetto strutturale della fabbrica si possono far risalire al periodo di ricostruzione seguito al terremoto della valle del Belìce del 1968. Infatti, fu demolito il campanile al di sopra del convento e furono, inoltre, ridefiniti alcuni ambienti sia al piano inferiore che superiore, realizzati solai misti al di sopra delle volte portanti del piano terra, fu realizzata la scala di collegamento tra i piani con travi a ginocchio e sostituite le coperture del convento con opere in calcestruzzo armato. Anche la chiesa ha subito gli stessi interventi. Nei primi anni del 1980 si procedette alla realizzazione di un solaio di copertura in latero-cemento in luogo di capriate lignee, e di nuovi ambienti e collegamenti verticali in calcestruzzo armato nella canonica. Un esame delle fotografi riportate nelle Figure 1a ed 1b conferma quanto descritto in precedenza.

a)

b)

Figure 1. a) Vista della chiesa agli inizi degli anni ‘70; b) La stessa agli inizi degli anni ‘80

Dichiarata inagibile, la chiesa fu chiusa nei primi anni del 1990 ed in quegli anni (1993) anche l’ospedale venne trasferito nel vicino complesso di recente realizzazione. Il convento, di proprietà dell’A.U.S.L. fu, così, adibito al piano inferiore a deposito e ad archivio dell’ospedale. Attualmente sono in corso i lavori di ristrutturazione per la riconversione dell’ex ospedale in residenza sanitaria assistenziale. Di contro, la chiesa, di proprietà del F.E.C. è in attesa di restauro. È da sottolineare come le diverse finalità perseguite negli anni dalle amministrazioni proprietarie delle due fabbriche, unitamente alla cronica mancanza di fondi, hanno contribuito, in modo significativo, al degrado ed alla cattiva manutenzione del complesso architettonico, ed in particolare della chiesa.

3. INDAGINI EFFETTUATE 3.1. Introduzione L’analisi degli effetti indotti dalle vibrazioni secondo l’approccio teorico indicato dalla normativa UNI 9916:2004 richiede una serie di informazioni che devono essere reperite prima di approntare il modello analitico per il calcolo delle sollecitazioni indotte. Nei prossimi paragrafi vengono descritti succintamente tutti i passi effettuati per il reperimento delle informazioni ritenute necessarie alla definizione del modello ad elementi finiti che sarà descritto in dettaglio nel paragrafo 4. 3.2. Caratteristiche rilevanti della fabbrica Per quanto riguarda le caratteristiche rilevanti della fabbrica, oltre alle notizie già riportate nel paragrafo 2, si possono effettuare le seguenti considerazioni: 1) la sorgente delle vibrazioni è costituita dal traffico ferroviario sulla linea Alcamo-Marsala (Figura 2a); 2) dal momento che

564

il complesso sorge su un banco di calcarenite compatta (Figura 2b) si può assumere che le fondazioni siano dirette; 3) i materiali che costituiscono la fabbrica sono complessivamente di tre tipologie: a) muratura di pietrame informe (Figura 2c); b) muratura in conci di calcarenite; c) solai laterocementizi; 4) lo stato complessivo di conservazione si può ritenere mediocre anche per i numerosi atti vandalici di cui è stata oggetto.

a)

b)

c)

Figure 2. a) Vista dal satellite del complesso (nel cerchio giallo) e della ferrovia Alcamo-Marsala (linea verde); b) Vista della ferrovia in trincea nel banco di calcarenite su cui poggia la chiesa; c) Particolare della muratura di pietrame informe di cui è costituita la maggior parte della chiesa.

3.3. Rilievo architettonico Il rilievo architettonico è stato il primo passo effettuato, assieme a quello delle ricerche archivistico-bibliografiche descritte nel paragrafo 2, e risulta di fondamentale importanza ai fini della conoscenza della fabbrica. Dal momento che la chiesa ed il convento costituiscono un complesso unitario, il rilievo, effettuato con tecniche classiche, ha riguardato l’intero complesso e viene riportato in falsi colori nella Figura 2a. Una volta definito è stato possibile estrapolare il modello semplificato della chiesa (Figura 2b) che è stato utilizzato per la successiva creazione del modello strutturale così come descritto nel paragrafo 4.

a)

b)

Figure 2. a) Modello architettonico tridimensionale; b) Modello strutturale tridimensionale

3.4. Quadro fessurativo e dei degradi Il quadro fessurativo ed i degradi presenti nella chiesa mostrano una situazione complessivamente molto seria che merita di essere affrontata al più presto. Nelle Figure 3 vengono riportati, per brevità, solamente alcune delle fotografie rappresentanti le situazioni più significative.

565

b)

a)

c)

d)

e)

f)

Figure 3. Alcuni elementi del quadro fessurativo: a) degrado del cordolo in calcestruzzo della copertura della chiesa; b) lesione in corrispondenza della seconda cappella laterale sinistra; c) crollo parziale dell’intonaco in prossimità dell’abside a destra; d) crollo dell’intonaco in corrispondenza della seconda lunetta a sinistra; e) particolare della lesione in sommità alla volta della navata; f) lesioni a 45° in corrispondenza del coro.

3.5. Indagini accelerometriche La progettazione delle indagini accelerometriche deve comprendere la scelta dei punti in cui posizionare gli accelerometri, il corretto collegamento ai corpi nonché la scelta della strumentazione opportuna. Dal momento che l’obbiettivo del lavoro è quello di inquadrare gli effetti dovuti al traffico ferroviario, si è scelto quindi di misurare le accelerazioni solamente in un paio di punti sulla struttura e davanti alla chiesa (indicati nella Figura 4 con i pallini rosso e nero per la struttura ed in bianco per il terreno), rimandando ad approfondimenti successivi la scelta di ulteriori punti di misura. Il corretto collegamento tra i corpi e gli accelerometri è stato particolarmente curato: utilizzando una resina epossidica bicomponente e tasselli nel caso della struttura della chiesa e, nel caso del terreno, praticando un foro profondo 0.6 m in cui è stata inserita una apposita barra filettata immersa nella resina. Ai tasselli ed alla barra filettata sono stati collegati dei blocchetti in alluminio tali da poter creare, a seconda delle necessità, trasduttori mono-, bi- e triassiali. Nelle figure 5 sono riportate due fotografie che rappresentano quanto prima descritto. Una volta che la resina ha fatto presa si può

566

assolutamente ritenere che il collegamento tra i corpi ed i trasduttori sia solidale e tale da non introdurre rumore o segnali spuri. Seguendo le indicazioni della normativa UNI gli accelerometri sono stati posizionati nelle direzioni longitudinale e trasversale della chiesa.

Figura 4. Posizione degli accelerometri

a)

b)

Figure 5. a) Posizionamento degli accelerometri davanti la chiesa; b) Posizionamento degli accelerometri

Gli accelerometri utilizzati sono gli HBM B12/200 di tipo induttivo con una sensibilità di 80 mV/V, un fondo scala di 200 m/s2 ed una frequenza di taglio di 100 Hz. La centralina per la gestione degli accelerometri è la HBM DMC9012A dotata di 9 schede di acquisizione a 16 bit e gestita dal software CATMAN 4.5 della HBM. Dal momento che il livello delle accelerazioni indotte non è molto elevato, dato che il fondo scala di tali schede non è selezionabile via software (con inevitabili conseguenze sulla risoluzione) e che esse mettono a disposizione una uscita del segnale amplificato fornito dagli accelerometri, si è scelto di alimentare gli accelerometri tramite la DMC 9012A ma di acquisire i segnali attraverso una scheda PCI 4472 della National Instruments gestita dai driver NI-DAQmx 8.0 e dal software NI SignalExpress 1.1. Prima di effettuare le misurazioni in laboratorio è stato anche determinato il fattore di conversione tra il segnale di uscita delle schede e le accelerazioni. Nella figura 6 si riporta, anche ai sensi della UNI 9916:2004, la catena di misura assieme alle indicazioni delle caratteristiche principali della strumentazione utilizzata. Nella Figura 7b viene riportata la storia temporale di una delle accelerazioni misurate longitudinalmente confrontata (Figura 7b) con l’accelerogramma sintetico per terreno deformabile del terremoto del 6/9/2002 gentilmente fornito da [3]. Da un esame di tali figure si evince chiaramente come la intensità delle vibrazioni dovute al passaggio del treno siano

567

dello stesso ordine di grandezza di quelle del terremoto, a testimonianza della importanza della corretta valutazione degli effetti di tali vibrazioni. E’ importante sottolineare che il livello delle accelerazioni misurate è analogo a quanto riportato in [2] ed in [4]. Sono state effettuate 7 registrazioni di altrettanti fenomeni vibratori che differiscono per tipologia, composizione, velocità e direzione del treno. Anche se il fenomeno in esame presenta caratteristiche fortemente non stazionarie è stata determinata la funzione di trasferimento per ogni registrazione. Nelle Figure 8 vengono riportate, rispettivamente, la media del modulo della funzione di trasferimento relative al punto indicato con il pallino nero ed a quello indicato con il pallino rosso in figura 4. Tali risultati saranno utilizzati per la validazione del modello agli elementi finiti così come descritto nel successivo paragrafo 4. Accelerometri induttivi HBM B12/200

Cavi HBM Cavi RG58 HBM DMC 9012A

NI GPIB-USB

PC PIV 3.0 GHz 1 GB RAM WIN XP

NI PCI 4472 8 Canali, campionamento simultaneo, 24 bit, 102.4 kS/s Ni-DAQ Mx 8.0 NI SignalExpress 1.1 Catman 4.5

Figura 6. Catena di misura

a)

b) Figure 7. a) Accelerogramma dovuto al passaggio del treno; b) Accelerogramma del terremoto del 6/9/02

568

a)

b) Figure 8. Ampiezza della funzione di trasferimento: a) punto in corrispondenza cerchio nero Fig. 4; b) punto in corrispondenza cerchio rosso Fig. 4

3.6. Indagini endoscopiche Al fine di valutare la presenza o meno di rinfianco sopra la volta è stata effettuata una indagine endoscopica attraverso un endoscopio rigido Nomicon poco al di sotto del cordolo in cemento armato. Per brevità non vengono riportati reperti fotografici, ma tale indagine ha consentito di determinare senza dubbio la assenza del rinfianco sopra la volta.

4. ANALISI STRUTTURALE Il rilievo architettonico effettuato, descritto nel paragrafo 3.2, ha consentito di definire il modello tridimensionale strutturale. In considerazione degli obbiettivi del lavoro si è scelto di definire un modello semplificato ma sufficientemente rappresentativo, che consentisse l’inquadramento del problema in esame e rimandando a sviluppi futuri la eventuale definizione di un modello più ricco e sofisticato. Il modello architettonico debitamente semplificato e creato con Autocad 2004 è stato dapprima esportato in formato Parasolid e quindi importato direttamente in ADINA 8.3.1 utilizzando l’ADINA Modeler (Figura 2b). In tal modo la fase preliminare di definizione del modello geometrico è stata semplificata enormemente. I corpi così creati sono stati collegati opportunamente tra loro e suddivisi in mesh di dimensione massima pari a 0.5 m. Coerentemente con quanto descritto in precedenza, il tipo di elemento finito utilizzato è stato un elemento 3D a 4 nodi (per un totale complessivo

569

di 63862 elementi per 18037 nodi) mentre i materiali utilizzati sono stati solamente due le cui caratteristiche meccaniche sono riportate in Tabella 1. Materiale Muratura Solaio copertura

Tipo Elastico lineare isotropo Elastico lineare isotropo

E (GPa) 2 4

ρ (kg/m3) 2000 2000

ν 0.20 0.25

Tabella 1. Caratteristiche meccaniche dei materiali utilizzati nel modello ad elementi finiti

Per quanto riguarda l’interazione fra la chiesa ed il convento si è scelto di considerare solamente la parte del convento a ridosso della navata destra della chiesa e si è assunto un vincolo di tipi incastro tra questa parte e la rimanente del convento. Per le considerazioni effettuate nel paragrafo 3.2 sulle fondazioni, il vincolo tra la struttura ed il suolo è stato assunto di tipo incastro. La validazione del modello strutturale è stata effettuata in termini di frequenze strutturali. Sono state quindi determinate le forme modali e le frequenze del modello numerico; queste ultime sono riportate in tabella 2 (le prime quindici) e nelle figure 9, per brevità solamente due (la prima e la terza), le corrispondenti forme modali. Dal confronto dei dati riportati nella tabella 2 confrontati con le Figure 8 si deduce che il modello si può considerare rappresentativo del comportamento della struttura reale. N° 1 2 3 4 5

Valore [Hz] 6.62 9.50 9.75 9.98 10.84

Valore [Hz] 11.72 12.81 13.57 13.62 14.23

N° 6 7 8 9 10

Ν° 11 12 13 14 15

Valore [Hz] 15.19 15.49 15.56 16.63 16.90

Tabella 2. Frequenze strutturali ottenute dal modello ad elementi finiti

a) Figure 9. a) Prima forma modale (f=6.62 Hz); b) Terza forma modale (f=9.75 Hz)

570

b)

a)

b)

Figure 10. Mappe della tensione verticale per effetto del solo peso proprio

Una volta messo a punto il modello strutturale sono stati valutati gli effetti dovuti al peso proprio. Nelle Figure 10 sono riportate due viste differenti delle mappe della tensione verticale. Da una analisi di tali figure si deduce che in alcune zone i valori della tensione verticale è molto elevato superando i 400 kPa. Si sottolinea il fatto che alcune di queste zone coincidono con zone in cui il quadro fessurativo è molto evidente ed importante. Al fine di indagare gli effetti dovuti al passaggio del treno, è stata effettuata una analisi dinamica (sovrapposizione modale, 23 modi, coefficiente di dissipazione assunto pari al 5%) della struttura soggetta all’accelerogramma riportato in Figura 7b in direzione longitudinale ed al corrispondente (non riportato per brevità) in direzione trasversale. Come punto rappresentativo si è scelto quello in corrispondenza della lunetta riportata in Figura 3d. L’analisi statica ha messo in evidenza che in tale punto vi è una tensione principale di trazione di circa 40 kPa, già abbastanza elevata per le caratteristiche del materiale, mentre le altre due tensioni principali risultano essere di compressione ma di entità trascurabile. Nella Figura 11 viene riportata la variazione percentuale, rispetto alle condizioni statiche della tensione principale di trazione nel punto prescelto. Un esame di tale figura mostra chiaramente come, le ampiezze delle oscillazioni rispetto alle condizioni statiche superano il 2% confermando il possibile ruolo della fatica.

Figura 11. Variazione percentuale della tensione principale di trazione durante il passaggio del treno

571

5. CONCLUSIONI Il lavoro ha affrontato lo studio degli effetti dovuti alle vibrazioni indotte dal traffico ferroviario sulla chiesa di N.S. dell’Itria a Castelvetrano (TP). Il lavoro è stato svolto nell’ambito dell’approccio teorico descritto nella normativa UNI 9916:2004 che risulta essere l’approccio più indicato nel caso di beni monumentali. Il modello numerico predisposto, ancorché semplificato e validato attraverso le prove sperimentali, ha messo in evidenza lo stato di particolare sofferenza in cui versa la struttura, invero confermato anche dal quadro fessurativo presente ed ascrivibile anche agli interventi di restauro cui è stata soggetta nell’ultimo trentennio. Le prove dinamiche condotte hanno messo in evidenza che il livello delle accelerazioni indotte dal traffico ferroviario è dello stesso ordine di grandezza di quello previsto dalla normativa sismica per la IV categoria e che esse inducono una variazione dello stato tensionale che può generare fenomeni di fatica. Il lavoro svolto traccia la strada anche per sviluppi futuri quali: la definizione di un modello strutturale più ricco che tenga nella debita considerazione la reale distribuzione dei materiali, la analisi del ruolo svolto dall’annesso convento nel comportamento dinamico della chiesa, una analisi più approfondita del fenomeno della fatica, la definizione delle possibile strategie per la salvaguardia del bene. RINGRAZIAMENTI Il lavoro è stato svolto sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza BB.CC.AA. della Provincia di Trapani. Gli autori sono grati: alla citata Soprintendenza ed alla Prefettura di Trapani – Ufficio F.E.C. ed al Ministero dell’Interno per le autorizzazioni concesse, al Prof. Andrea Failla, all’Ing. Liborio Cavaleri ed ai Sigg. Michele Eracleo e Enzo Di Marco del DISeG per il supporto dato durante lo svolgimento del presente lavoro, al Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Messina ed in particolare al Prof. G. Falsone per le attrezzature prestate.

BIBLIOGRAFIA [1] UNI 9916:2004, Criteri di misura e valutazione degli effetti delle vibrazioni sugli edifici. [2] Porco G., Porco F., Uva G., Valutazione degli effetti delle vibrazioni sulle strutture attraverso monitoraggio strumentale: casi di studio, Atti della Conferenza Nazionale sulle Prove Non Distruttive, Monitoraggio e Diagnostica, Milano 13-15/10/2005, su CD-Rom . [3] Calderoni G., Rovelli A., Cultrera G., Azzara R., Di Giulio G., Assessment of ground motions in Palermo (Italy) during the September 6, 2002 MW 5.9 earthquake, Bulletin of the Seismological Society of America; December 2005; v. 95; no. 6; p. 2342-2363. [4] Xia H., Zhang N., Cao Y. M., Experimental study of train-induced vibrations of environments and buildings, Journal of Sound and Vibration; 280 (2005); p. 1017-1029.

572

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

IMPIEGO DI TECNICHE DI IDENTIFICAZIONE DINAMICA PER LA PREVENZIONE E MITIGAZIONE DEL RISCHIO DA “CROLLI” G. ZINGONE1, L. CAVALERI2, C. CUCCHIARA2 1

Centro di Prevenzione e Istruzione Sismica,CE.P.I.S., Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica, Università degli Studi di Palermo 2 Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica, Università degli Studi di Palermo SOMMARIO Il lavoro propone dei casi reali di applicazione delle moderne tecniche di identificazione per la prevenzione e la mitigazione del rischio da collasso strutturale. Le tipologie strutturali prese in esame sono quelle monumentali e di interesse storico. In particolare si fa riferimento a due costruzioni appartenenti al patrimonio storico siciliano: la chiesa S. Nicolò l’Arena in Catania e Villa Cattolica in Bagheria. Per tali strutture l’analisi strutturale in regime non fessurato supportata da tecniche di identificazione dinamica ha consentito la individuazione e la verifica di macrolementi significativi per i quali si è riconosciuto un maggiore rischio. L’indagine in regime fessurato, espletata attraverso modelli matematici e attraverso prove su modelli fisici a grande scala dei macroelementi individuati ha consentito, anche con l’ausilio di tecniche di identificazione dinamica, di seguire l’evoluzione dello stato di danneggiamento sino a collasso e valutare il contributo offerto dai rinforzi adottati per la mitigazione del rischio. ABSTRACT The paper deals with real cases of use of some modern identification techniques for the prevention and the mitigation of the risk of structural collapse. Monumental and historic structures are considered in this work. In details two structures are analyzed belonging to the Sicilian heritage: S. Nicolò l’Arena Church in Catania and Villa Cattolica in Bagheria. The structural analysis in the non cracked stage, supported by the dynamic identification, allowed the definition and the verification of the most vulnerable substructures. The study of the cracked state by means of analytical models and by means of scaled physic models allowed, by resorting also in this case the dynamic identification, to follow the progressing of the damage up to the collapse and to evaluate the contribution given by some devices aimed to the reduction of the risk.

1. INTRODUZIONE Le insidie correlate ai fenomeni di cedimento rovinoso di interi edifici o porzioni di essi, sono molteplici e di non facile individuazione.

573

Nello studio di strutture a rischio, a volte la mancata previsione di tali fenomeni, trae origine da modelli di calcolo di scarsa attendibilità, che vengono assunti a base dell’analisi strutturale, con conseguenti diagnosi inadeguate [1]. Nel caso di edifici d’interesse storico-monumentale, l’indagine da cui hanno origine i modelli richiede, in relazione alla importanza degli edifici, un maggiore livello di approfondimento, e quindi l’acquisizione delle caratteristiche meccaniche dei materiali, dello stato di danneggiamento e delle proprietà meccaniche globali della struttura. Per il conseguimento di questo obiettivo, le prove più usuali, di carattere puntuale, potrebbero non essere sufficienti. Inoltre i modelli di calcolo più frequentemente usati potrebbero non prestarsi ad espletare una corretta analisi strutturale (si pensi al metodo dei meccanismi o ai modelli basati sulla indeformabilità degli impalcati). Un ausilio al superamento delle difficoltà sopra richiamate, da cui dipende anche una corretta strategia di prevenzione nei confronti dei pericoli di collasso, viene offerta dalle moderne tecniche di identificazione dinamica (vedi ad esempio [2, 3]). L’applicazione concreta di queste metodologie si è diffusa negli ultimi quindici anni e in diversi casi si è tradotta in criteri per il monitoraggio delle strutture al fine di controllarne la possibile evoluzione fino al collasso. Il tema è in continua evoluzione tanto che, accanto a tecniche classiche usate inizialmente in meccanica ed aeronautica (vedi ad esempio [4]), di nuove se ne formulano particolarmente adatte a strutture civili (vedi ad esempio [5, 6]). Il presente lavoro intende sottolineare l’importanza dei processi di identificazione dinamica suddetti attraverso la descrizione della analisi di affidabilità effettuata su due casi concreti: il primo rappresentato da una chiesa a tre navate dotata di una cupola con tamburo di notevole snellezza; l’altro rappresentato da un edificio di interesse storico, con impalcati a volta in muratura, tipologia molto diffusa in tutta l’area del Mediterraneo. Per tali costruzioni sono stati predisposti anche modelli fisici in scala delle sottostrutture ritenute più a rischio. Lo studio del comportamento delle strutture reali, soggette ad azioni esterne artificiali, deve infatti necessariamente essere legato a livelli delle stesse azioni moderati, tali da non incrementare il livello di danneggiamento strutturale: il modello fisico al pari o forse meglio del modello analitico consente di seguire l’evoluzione del sistema per livelli di azioni crescenti senza la preoccupazione di perdite. In quest’ultimo caso lo studio del comportamento dinamico è ancora una volta uno strumento efficace che consente di rilevare come il sistema si approssima al collasso/crollo. L’analisi teorica e sperimentale supportata dalle tecniche di identificazione suddette ha consentito una migliore interpretazione dei problemi più strettamente correlati al collasso strutturale e per la scelta di rinforzi migliorativi come verrà chiarito nei prossimi paragrafi.

2.

SISTEMI STRUTTURALI CUPOLA TAMBURO: LA CHIESA DI SAN NICOLA L’ARENA

Per chiese dotate di cupola con tamburo, tra gli elementi sottoposti a maggiore rischio, in caso di sisma, vi è certamente il tamburo. Tale elemento strutturale, dotato di notevole snellezza e scarsa duttilità, ha una elevata probabilità di crisi in relazione alle aperture di cui in genere è dotato e alla massa della cupola che genera elevate forze inerziali. La chiesa di San Nicolò l’Arena in Catania è dotata di una cupola con tamburo ed ha evidenziato un elevato livello di vulnerabilità sismica in relazione al rapporto in massa tra cupola e tamburo stessi. Di seguito si riportano i risultati più significativi conseguiti in relazione al comportamento

574

del sistema in regime non fessurato e fessurato, ritenuti utili ai fini della valutazione del rischio di collasso. 2.1. Analisi del comportamento dinamico reale ed identificazione strutturale Le caratteristiche geometriche della chiesa presa in esame, sono rappresentate in Fig. 1.

y

z x

x Fig. 1. Pianta e sezione della chiesa di S. Nicolò l’Arena

Ai fini della modellazione analitica accanto alla campagna di indagine più usuale basata su prove statiche in situ ed in laboratorio per la caratterizzazione del materiale, sono state acquisite le caratteristiche dinamiche globali del sistema. La struttura è stata messa in vibrazione mediante una vibrodina applicata alla base di uno dei pilastri portanti della cupola. Nella Fig. 2 sono indicati la posizione della vibrodina e il reticolo di misura per l’acquisizione delle risposte di carattere flessionale nelle due direzioni X (lungo la navata) e Y (lungo il transetto). In Fig. 3 è indicata la posizione dei dispositivi di misura (accelerometri) dislocati sul tamburo, per l’acquisizione delle componenti di carattere torsionale. L’analisi dei segnali nel dominio del tempo e delle frequenze, ha consentito di acquisire dati sulla rigidezza flessionale e torsionale.

1Y

1X

vibrodina

2Y

2X

3Y

3X 8X

4Y

4X

5X

a)

7Y

V

Z

b)

Y

6X 7X

V. X

Z

Fig.2. Reticolo di misura nei piani YZ (a) e XZ (b) per il rilievo dei modi flessionali

575

A B

3t

1t

A

4t

6t

B 5t

2t Piano AA

Piano BB

Fig. 3. Reticolo di misura per il rilievo dei modi torsionali

Dai dati sperimentali si è ottenuto un modello analitico di una parte della fabbrica (quella evidenziata in rosso in Fig. 1-a) dinamicamente identificato (Fig. 4-b). Quest’ultimo è il risultato di un processo di calibrazione, basato sulla minimizzazione della differenza tra le caratteristiche meccaniche (modi di vibrare e frequenze) indirettamente assunte a base di un modello di riferimento (Fig. 4-a), formulato secondo i metodi di analisi tradizionali, e quelle acquisite per via sperimentale. I dettagli delle procedure sono riportati in [2].



  

a)

E (Mpa) 2000 4000

Q 0.25 0.20

          

J (t/mc) 1.9 2.2

b)

E (M pa) 1 5 57 1 3 40 1 3 07 1 3 96 932 4 5 84 3 5 57 1 5 98 1 0 29 2 7 00 0 .5

Q 0 .2 5 0 .2 0 0 .2 0 0 .2 0 0 .2 0 0 .2 0 0 .2 0 0 .2 0 0 .2 0 0 .2 0 0 .2 0

J (t/m c) 1.9 2.2 2.2 2.2 2.2 2.2 2.2 2.2 2.2 2.2 2.2

Fig. 4. Modello di riferimento (a) e modello dinamicamente identificato (b)

La differenza tra modello di riferimento ed il modello identificato (risultato del processo di minimizzazione suddetto) è evidenziata dalla policromia del modello identificato (ciascun colore si riferisce ad un materiale con diverso modulo elastico e diverso modulo di Poisson). A titolo di esempio in Fig. 5 si riportano due delle forme modali del modello usate per la identificazione. L’analisi strutturale effettuata attraverso il modello identificato ha evidenziato il rischio connesso al sistema cupola-tamburo lasciando prevedere il crollo dello stesso in caso di sisma con periodo di ritorno pari a quello previsto dalle norme vigenti per la zona in cui la costruzione insiste.

576

Fig. 5. Due dei modi di vibrare usati per la calibrazione

2.2. Analisi del comportamento a collasso attraverso prove su un modello in scala Gli approcci di carattere teorico, attraverso simulazioni numeriche, se associati a prove su modelli in scala migliorano l’attendibilità della diagnosi e favoriscono il progetto degli interventi. E’ stato realizzato un modello in scala 1:6, rappresentativo del sistema cupola tamburo, di cui in Fig. 6 si riportano i dati geometrici. Sia i conci in calcarenite che la malta, sono stati scelti in modo da avvicinarsi quanto più possibile alle caratteristiche reali. Mentre il tamburo è stato fisicamente realizzato, la cupola è stata considerata attraverso una massa posta sul tamburo stesso.

Concio

piastra in C.A.

Pezzi speciali architrave n°8 68.4

28

168

18

massa aggiunta

112

h=15

18

18

Particolare muratura

20

2Isuperiori 2I8 inferiori

12

2.24

piastra in C.A. 12

12

28

62.1 20

R127

290

0.47

320

57 57 R127 R145

R127 R 145 n° 64 conci

Fig. 6. Modello del sistema cupola-tamburo

Il modello è stato sottoposto a storie di accelerazioni alla base con valore crescente del picco massimo su una tavola vibrante sita presso il centro sperimentale ENEA della Casaccia (Roma). In Fig. 7 è rappresentato il modello con indicati i punti di misura accelerometrici.

577

A11x

A12x, A12y

A01x, A01y, A01z A02x, A02z

Fig. 7. Dislocazione della strumentazione di misura

Attraverso tali prove si sono potute ottenere informazioni sulla evoluzione del danneggiamento al crescere del picco massimo delle accelerazioni alla base e rilevare il contributo migliorativo offerto da alcuni interventi di rinforzo. Dopo aver provato il sistema non rinforzato sono stati predisposti rinforzi da inserire nei vani finestra del tamburo: sono stati previsti telai con e senza controventi (Fig.8).

a)

b)

Fig. 8. Dispositivi di miglioramento sismico adottati

In definitiva lo stesso modello è stato analizzato nelle seguenti configurazioni: - a) in assenza di rinforzo; – b) in presenza di telai come in Fig. 8-a; – c) in presenza di telai controventati come in Fig. 8-c. Nel primo caso il modello è stato sottoposto ad una storia di accelerazioni sismiche registrata nella Sicilia orientale di magnitudo 4.7 opportunamente scalata. Il modello è stato provato più volte facendo crescere il picco massimo della accelerazioni della storia suddetta ed è stata interrotta non appena si è registrata una brusca riduzione della rigidezza manifestatasi attraverso la riduzione delle accelerazioni in testa al modello e la comparsa di lesioni orizzontali alla testa ed al piede dei muri delimitanti le finestre del tamburo . Nel secondo e nel terzo caso il sistema è stato sottoposto ad una storia di accelerazioni sismiche ripetuta 3 volte registrata a Colfiorito (Marche-Umbria), anche in questo caso scalata e con valori crescenti dell’accelerazione di picco massimo. Il secondo test ed il terzo test sono stati interrotti non appena si è registrata una brusca riduzione delle frequenze dominanti del sistema: in questi due ultimi casi si è registrato un quadro fessurativo diverso

578

rispetto al primo caratterizzato da lesioni che hanno interessato gli anelli di muratura situati al di sotto e al di sopra dei piani di delimitazione dei muri che individuano le finestre. In Fig. 9 è possibile vedere il modello in assenza di rinforzi poco prima che fosse applicata la massa della cupola in testa ed il modello con telai e massa simulante la cupola. Mentre in Fig. 10 è possibile vedere un esempio delle storie di accelerazioni subite dalla base del modello per effetto dell’input sulla tavola vibrante: si osservi che la base è interessata da accelerazioni che sollecitano anche torsionalmente il tamburo.

c)

b)

a)

Fig. 9. Modello privo di rinforzi (a), con telai semplici (b) e controventati (c) in corrispondenza delle aperture

0.6

0.6

A01x

0 -0.2

0.2 0 -0.2

-0.4

-0.4

-0.6

-0.6 4

8

12

tempo [sec]

16

0.2 0 -0.2 -0.4 -0.6

0

20

A02x

0.4

acc. [g]

0.2

0

0.6

A01y

0.4

acc. [g]

acc. [g]

0.4

4

8

12

tempo [sec]

16

20

0

4

8

12

16

tempo [sec]

20

accelerazione di picco [g]

Fig. 10. Una delle sequenze di accelerazioni alla base del modello 1.2

senza rinforzi con telai con telai controventati

0.8

1.2

senza rinforzi con telai con telai controventati

0.8

A11x 0.2 0.4 0.6 0.8

1

PGA [g]

0.8

A12x

A12y 0

0

0 0

senza rinforzi con telai con telai controventati

0.4

0.4

0.4

1.2

1.2 1.4 1.6 1.8

0

0.2 0.4 0.6 0.8

1

1.2 1.4 1.6 1.8

0

PGA [g]

0.2 0.4 0.6 0.8

1

1.2 1.4 1.6 1.8

PGA [g]

Fig. 11. Picchi delle risposte in accelerazione

Le curve in Fig. 11 mostrano che ad incremento del PGA, fino ad un certo valore, c’è un incremento del picco di accelerazione in testa in ciascuno dei punti di misura. Successivamente si vede un brusco decremento di tali picchi, rilevato ancor prima che fossero visibilmente evidenti danni strutturali, come conseguenza di una improvvisa riduzione di rigidezza (cui genere è associabile una riduzione di resistenza) per progressione del danno.

579

L’osservazione dei picchi della risposta in tempo reale è dunque una tecnica che consente di riconoscere (identificare) un incremento del danno prima che questo sia effettivamente visibile. L’esame delle curve riportate in Fig. 11 mostra il recupero della rigidezza e della resistenza associati ad ogni rinforzo nonché l’incremento di duttilità denotato dall’ultimo tratto (tendente all’appiattimento) delle curve relative al modello rinforzato con telai controventati. Numerosi altri dati sono stati acquisiti che saranno oggetto di successiva elaborazione.

3. I SISTEMI STRUTTURALI A VOLTA: VILLA CATTOLICA IN BAGHERIA Molte costruzioni destinate anticamente a residenze nobiliari sono sempre più frequentemente destinate ad attività di pubblico interesse. Villa Cattolica in Bagheria è un esempio tipico di edificio nobiliare attualmente destinato a pinacoteca permanente “Renato Guttuso” I locali di Villa Cattolica, in precedenza destinati ad uso abitativo, si sono dovuti trasformare in sale di esposizione museale con una maggiorazione della richiesta prestazionale. In relazione all’età ed alle caratteristiche costruttive le volte possono presentare pericolo di collasso fragile in caso di eventi anche non particolarmente eccezionali. Per tutelare cose e persone si è proceduto all’analisi ed al rinforzo delle volte facendo ricorso a interventi migliorativi di tipo conservativo. Di seguito si riporta il percorso di indagine effettuato per una delle volte nella Villa in oggetto ed il peso avuto in questo caso dalla identificazione dinamica del manufatto.

a)

b)

Fig. 12. Prospetto principale (a) e pianta (b) di Villa Cattolica

3.1. Caratteristiche geometriche e meccaniche Le caratteristiche geometriche della volta in questione ed il sistema di trasferimento dei carichi sono rappresentate in Fig. 13. Le caratteristiche meccaniche del sistema sono state definite attraverso la preliminare caratterizzazione del materiale con prove statiche su campioni di muratura e successivamente attraverso il rilievo della risposta dinamica del sistema. E’ stato utilizzato il reticolo di misura in Fig. 14-a che ha consentito la calibrazione del modello in Fig. 14-b attraverso una procedura analoga a quella utilizzata per la chiesa di S. Nicolò l’Arena [7]. Ogni accelerometro è stato usato per misurare l’accelerazione verticale prodotta dal rumore ambientale. L’accelerometro 5 ha fornito valori di accelerazione così bassi rispetto a tutti gli altri da potere supporre la volta vincolata (almeno verticalmente) ad un supporto rigido.

580

6.15

11.80

a)

c)

b)

Fig. 13. Caratteristiche geometriche (a e b) e sistema di trasferimento dei carichi verticali (c)

a)

b)

Fig. 14. Reticolo di misura (a) e 3D del modello agli elementi finiti (b)

L’analisi delle registrazioni nel dominio del tempo e delle frequenze ha consentito di calibrare il modello. L’analisi nel dominio delle frequenze ha mostrato chiaramente due frequenze dominanti associate ai due modi riportati in Fig. 15.

b)

a) Fig. 15. Modi sperimentali (a) e modi teorici (b)

L’analisi dei segnali nel dominio dei tempi ha mostrato che l’ampiezza del segnale in punti simmetrici della volta, per eccitazione simmetrica, sono risultati della stessa entità, rilevando una condizione simmetrica del vincolo della volta. In Tab.1 sono riportati i valori sperimentali degli spostamenti modali nei primi quatto punti di misura. Maggiori dettagli sono riportati in [7].

581

Modo 1 [rad/sec] Frequenza

Modo 2 [rad/sec]

118

167

Punto 1

0.617

0.692

Punto 2

0.372

0.106

Punto 3

0.360

0.124

Punto 4

0.593

-0.703

Tabella 1. Forme modali sperimentali

3.2. Analisi del comportamento in regime non fessurato Il modello identificato, nell’ipotesi di materiale resistente a trazione, ha consentito una preliminare individuazione del non ottimale sistema di trasmissione dei carichi verticali sulla volta. Il sistema è stato analizzato in condizione di carico simmetrica e dissimmetrica per la determinazione dello stato deformativo e tensionale. L’analisi ha in particolare evidenziato tensioni di trazione elevate nella zona pianeggiante della volta, per cui si è ritenuto preliminarmente necessario passare dallo schema di trasmissione dei carichi originario (Fig. 13-c) allo schema di trasmissione del carico mostrato in Fig. 16-a.

Fig. 16. Interventi: nuovo sistema di trasferimento dei carichi verticali e rinforzo con strisce in CFRP

Sulla scorta dei risultati ottenuti, e tenendo conto della geometria estradossale della volta si è pensato di rinforzare con bande in CFRP di 15 cm di larghezza come mostrato in Fig. 16. 3.3. Analisi sperimentale e teorica in regime fessurato Al fine di potere valutare l’incremento di capacità portante si è operato per via sperimentale e per via numerica. È stato realizzato in laboratorio un modello parziale di una volta cilindrica che è stato sottoposto ad un carico verticale applicato ad ¼ della luce in assenza ed in presenza di rinforzi. Il carico così applicato è rappresentativo di un carico accidentale sul solaio portato dalla volta non simmetricamente distribuito. In assenza di rinforzo la prova, eseguita monotonicamente, ha rivelato un valore massimo di 1090 daN per il carico, in corrispondenza al quale si è formato il meccanismo rappresentato in Fig. 17-a (formazione di quattro cerniere). Il carico si è successivamente stabilizzato al valore di 750 daN. Quindi, un volta scaricato, si è proceduto ad effettuare una seconda prova durante la quale il carico massimo raggiunto è stato di 450 daN. La perdita di carico è stata attribuita alla evoluzione dello stato di danneggiamento verificatosi in corrispondenza delle cerniere. Esaurita la prima fase di indagine si è proceduto a rinforzare la volta con una striscia in CFRP larga 15 cm applicata all’estradosso. La volta è stata dunque nuovamente sottoposta al

582

carico sopra descritto in maniera monotonica ottenendo i risultati riportati in Fig. 18. Nella stessa Fig. 18 sono riportati i confronti con il comportamento della volta non rinforzata. Come si può osservare la volta ha esibito un notevole recupero di resistenza anche se successive fasi di scarico e ricarico hanno evidenziato una perdita di rigidezza.

7

14

24 1

Fig. 17. Modello fisico della volta: schema di carico (a) e particolare del rinforzo (b)

1200

Carico a 1/4 della luce (daN)

Carico a 1/4 della luce (daN)

1200

800

Volta danneggiata FRP integre Volta integra

400

800

Volta danneggiata FRP danneggiate Volta integra

400

1 1

0 0

10

20

30

0

40

0

Spostamento verticale (mm)

10

20

30

40

Spostamento verticale (mm)

Fig. 18. Comportamento della volta rinforza e non rinforzata nello stato integro e danneggiato: curve caricospostamento verticale nel punto di applicazione del carico

La valutazione dell’incremento delle capacità portanti della volta è stato ripetuto dal punto di vista teorico partendo dal modello della volta identificato. Sono state analizzate tre diverse combinazioni di carico di cui due con carico accidentale verticale dissimmetrico e forze sismiche. Sono stati quindi valutati i moltiplicatori di collasso in assenza ed in presenza di rinforzo. Per tenere conto della fessurazione delle sezioni si è imposto che la sezione fosse fessurato non appena il rapporto tra momento e sforzo normale applicato rivelasse una eccentricità maggiore di metà dello spessore (Fig. 19-a). A partire da quella situazione la sezione è stata trasformata in quella indicata in Fig. 19-c nel caso non rinforzato ed in quella riportata in Fig. 20 nel caso rinforzato. L’ipotesi fatta è coerente con l’osservazione del comportamento sperimentale in cui la fessurazione della sezione garantisce comunque il trasferimento puntuale di uno sforzo secondo lo schema riportato in Fig 19-a. L’analisi ha fornito un rapporto fra i moltiplicatori di collasso in presenza ed in assenza di rinforzo paragonabili con quelli rilevati sperimentalmente confermando la attendibilità dell’indagine numerica. Maggiori dettagli sulle indagini sopra descritte sono riportati in [7-8].

583

elementi plate-shell – piano medio della voltastato non fessurato

condizione limite

a)

elementi rigidi in sezione fessurata

elementi plate-shell – piano medio della volta

b)

Fig. 19. Trasferimento degli sforzi nella generica sezione della volta (a) e modelli adottati in regime fessurato e non fessurato per la volta non rinforzata (b)

elementi senza rigidezza flessionale

elementi rigidi elementi rigidi

elementi plate-shell – piano medio della voltastato non fessurato

Fig. 20. Modello adottato in regime fessurato per la volta rinforzata

BIBLIOGRAFIA [1] Tertulliani A., Valente G.: Caratteristiche di danneggiamento dai terremoti dei XIX secolo della Cattedrale di Noto e nella Chiesa di San Nicolò l’Arena in Catania; Simposio su Evoluzione di Prove Sperimentali ed Analisi del Danneggiamento per l’Interazione Terreno-Struttura dei Monumenti Soggetti a Sisma, L’Aquila 2002, Italy.

[2] Valente G., Zingone G.: Identificazione dinamica dei sistemi strutturali a tipologia specialistica; XI Convegno Nazionale “L’Ingegneria Sismica in Italia”; Genova, 2004; (testo completo su CD Rom).

[3] Cavaleri L., Zingone G.: Acquisizione ed analisi della risposta di una struttura muraria soggetta alle eccitazioni ambientali; IX Convegno Nazionale "L'Ingegneria Sismica in Italia", Torino, 1999; (testo completo su CD Rom).

[4] Bendat J. S., Piersol A. G.: Engineering applications of correlation and spectral analysis; John Wiley & Sons, New York, 1980.

[5] Cavaleri L., Zingone G.: Structural identification and potential system; XII WCEE, New Zeland, 2000; (testo complete su CD Rom).

[6] Benfratello S., Cavaleri L., Navarra G.: Identification of multi-degree of freedom civil systems under base lateral random forces by using potential models; XVII AIMeTA Congress of Theoretical and Applied Mechanics; Firenze, 2005; (testo completo su CD Rom).

[7] Cavaleri L., Cucchiara C., Navarra G., Zingone G.: Effects of CFRP reinforcement on vaults; Composites in Construction International Conference, Cosenza/Rende, 2003.

[8] Cavaleri L., Cucchiara C., Tommaselli A., Zingone G.: Comportamento meccanico di una volta rinforzata con CFRP, Ingegneria Sismica, Vol. 3, pp. 31-41. Patron Editore, Bologna, 2001.

584

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

SOLAI SAP E COLLASSI SPONTANEI : UN METODO DI INDAGINE NON DISTRUTTIVA PER LE VERIFICHE DI STABILITÀ G. ZUCCARO1,2, S.M. PETRAZZUOLI2, S. CAPUOZZO3 1 Dipartimento di Scienza delle Costruzioni - Universita' di Napoli “Federico II” 2 Centro di Ricerca LUPT – Università di Napoli “Federico II” 3 Comune di Napoli - Servizio Sicurezza Abitativa SOMMARIO Le strutture orizzontali degli edifici, dopo la seconda guerra mondiale, sono state quasi tutte realizzate in cemento armato e laterizio. In particolare fino al 1970 trovò notevole diffusione una tecnologia nota con il nome di SAP. Questi solai negli ultimi anni sono stati protagonisti di numerosi collassi parziali, in gran parte legati al crollo della parte inferiore delle tavelle che vengono espulse per la corrosione della armature, ma in taluni casi addirittura di collassi totali. Nel presente lavoro viene presentato un metodo di valutazione della stabilità dei solai basato sulla misura della frequenza di oscillazione nel piano verticale. Infatti la frequenza di vibrazione è funzione della rigidezza della struttura (E*I), ovvero modulo elastico ed inerzia, che sono degli indicatori della qualità dei materiali e dello stato di integrità degli elementi strutturali. La metodologia proposta si presenta particolarmente adatta per l’analisi delle condizioni statiche dei solai SAP in quanto non richiede la effettuazione di saggi distruttivi o prove di carico, la cui esecuzione in genere difficoltosa. Il metodo tiene conto dell’effetto di irrigidimento prodotto dai materiali non strutturali, fissando degli intervalli di valori per le frequenze in funzione delle caratteristiche geometriche del solaio e della luce, che è possibile utilizzare per delle stime preliminari di stabilità. I risultati sperimentali mostrano che in alcuni casi, per il degrado strutturale, la riduzione di rigidezza della parte strutturale potrebbe essere molto elevata (circa pari a 2). Di conseguenza è probabile che la sopravvivenza dei solai SAP derivi in parte da una iperstaticità maggiore di quella ipotizzata nel loro dimensionamento, ed in parte dall’effetto dei materiali non strutturali che ne incrementano la resistenza aumentando il braccio della coppia interna. Questi due effetti benefici possono però essere vanificati dalla formazione di fratture a taglio nella struttura e dalla fragilità dei materiali non strutturali, determinando di fatto delle situazioni di apparente stabilità, che purtroppo sono alla base dei collassi improvvisi. ABSTRACT Most of floor slabs built after the second world war are in reinforced concrete. From 1950 to 1970 around a particular type of r.c. floor called SAP has been realized. Recently its undergoes numerous spontaneous collapse, most of them due to terracotta tile failure as a consequence of corrosion of steel bars, hoeever many total collapses has also been observedas well. In this work we present a technique in order to assess the stability of floor slab carried out by means dynamic resonant frequency in the vertical plane. In fact the resonant frequency depends on structure stiffness (E*I), i.e. Young Modulus and moment of inertia, which are in

585

some way related to the structural health. This technique is very useful in the case of SAP floor because does not require destructive or load testing, that in some cases are very difficult to perform.The technique takes into account the increase of stiffness induced by non structural materials, defining a frequency ranges as function of span, of the slab thickness and other features, that could be used to perform a preliminary estimation of slab integrity. Experimental results shows that in some cases the stiffness decay due to material ageing should be very high, about a factor of two. Therefore the survival of SAP floors should derive from his hiperstaticity, larger than that assumed in the design and by effect of non structural materials increasing the resistance height. These two benefits might vanish as a consequence of shear collapse and the brittle behaviour of non structural materials, inducing a state of apparent stability, which in some cases may result in sudden collapse. 1. INTRODUZIONE La valutazione della resistenza limite delle strutture orizzontali di copertura di un edificio è stato oggetto di studio nell’ambito delle valutazioni di impatto del danno all’edificato in zone interessate da caduta di ceneri conseguenti ad eruzioni vulcaniche, nell’ambito di un programma di ricerca europeo finalizzato alla mitigazione dei rischi delle eruzioni vulcaniche [1]. In particolare sono state analizzate le resistenze sia di tecnologie recenti (cemento armato) che obsolete (legno, volte) al fine di determinarne valori medi affidabili di resistenza limite Ciò ha richiesto una preventiva analisi delle tipologie strutturali delle coperture nelle aree campane interessate dal fenomeno. La distribuzione delle tipologie delle strutture di copertura dell’area napoletana mostra che esiste una percentuale ridotta, ma significativa, di strutture di copertura che presentano tecnologie obsolete.

Fig.1 – Tipi di solai SAP Fino alla fine del XIX secolo la maggior parte delle strutture orizzontali degli edifici venivano realizzate a volta ed in legno, successivamente fra la prima e la seconda guerra

586

mondiale le strutture in legno furono progressivamente sostituite con solai con putrelle di acciaio. Il materiale di riempimento fra le putrelle poteva essere realizzato con delle voltine di mattoni, battuto di lapillo ed in alcuni casi con cemento debolmente armato. Dai dati raccolti dalle indagini è risultato che non meno del 20-25% degli edifici in c.a costruiti nel periodo 1950-1970 presentano solai di tipo SAP. Le problematiche relative a questi solai sono note da tempo, ma negli ultimi anni essi sono stati protagonisti di numerosi collassi parziali, in gran parte legati al crollo della parte inferiore delle tavelle che vengono espulse per la corrosione della armature, ma in taluni casi addirittura di collassi totali. La significativa presenza nell’area napoletana, e non solo, di strutture di questo tipo rappresenta un grave rischio anche in assenza di sovraccarichi eccezionali, considerato che i collassi registrati per questi solai negli ultimi anni possono essere classificati come collassi spontanei. Spence et al. (2005) [1] mostrano che mentre tutte le tipologie di solaio hanno un valore di soglia che definisce il limite oltre il quale è possibile il collasso, nel caso dei solai SAP questo limite inferiore non esiste, ovvero è pari a zero (Fig.2).

Fig.2 – Curve di probabilità di danno per diversi tipi di solaio di copertura Il Comune di Napoli, per il tramite del suo ufficio dedicato il Servizio Sicurezza Abitativa, sta manifestando grande interesse per la problematica dei solai SAP, collaborando alle attività di ricerca, mettendo a disposizione dei dati e finanziando delle campagne di prove sperimentali, con l’intento di contribuire alla messa a punto di metodologie di prevenzione dai crolli dei solai.. Gli autori ritengono che i collassi spontanei derivino anche dalle difficoltà che si hanno, nel caso dei solai SAP, a prevenire il degrado della struttura. In genere le analisi di stabilità dei solai degli edifici esistenti vengono intraprese a seguito della comparsa di segni di cedimento, come lesioni all’intradosso, oppure quando empiricamente si percepisce un suo incremento di deformabilità.. Usualmente è il livello di corrosione delle armature il parametro più importante, per cui se il tecnico lo giudica non importante, la soluzione può essere quella che prevede la locale riparazione delle armature. Qualora invece il livello di corrosione delle armature sia più esteso viene predisposto un intervento più ampio, e nelle situazione di maggiore incertezza vengono effettuate delle prove di carico.

587

Le prove di carico vengono eseguite attraverso la applicazione di un carico, concentrato o distribuito, fino a valori pari o leggermente superiori ai sovraccarichi di progetto, misurando le deformazioni nelle varie fasi di carico e sotto il carico massimo, talvolta effettuando dei cicli di carico e scarico, e misurando le deformazioni residue allo scarico finale. I dati delle deformazioni vengono poi analizzati con la finalità di ottenere una stima della capacità resistente del solaio. Tale tecnica mette in correlazione la capacità portante di un solaio con la sua rigidezza (E*I). Infatti proprietà dei materiali scadenti o degradate, fatturazione, corrosione delle armature, possono portare a significative riduzioni della rigidezza (E*I)r rispetto al valore atteso (EI)o. La deformabilità reale (E*I)r di un solaio è pero fortemente condizionata della presenza di materiali non strutturali, che se è vero che incrementano anche leggermente la resistenza, nella realtà aumentano moltissimo la rigidezza. Gli scriventi hanno effettuato delle prove di carico su solai chiaramente in condizioni di stabilità precaria, ottenendo con la tecnica usuale risultati positivi, freccia inferiore a quella teorica e residuo allo scarico quasi nullo, mentre la stabilità del solaio era tutt’altro che positiva. Analogo risultato è ottenuto da Materazzi et al. (2002) [2] che, nell’ambito di una valutazione di stabilità di un edificio, conducono delle prove sulle strutture orizzontali. Le prove forniscono cedimenti largamente inferiori a quelli teorici sebbene si tratti di solai SAP realizzati nel 1948. La presenza dei materiali non strutturali può pertanto portare a valutazioni errate sulla stabilità dei solai. Occorre pertanto che nella valutazione dei risultati di una prova di carico su solai si tenga conto dei materiali non strutturali per valutare la deformazione teorica da confrontare con quella sperimentale. Per quanto riguarda i solai SAP la difficoltà nella valutazione del loro stato è ancora maggiore in quanto, per la loro tecnologia costruttiva che prevede che le armature siano contenute in una tavella, non è possibile ricavare dati sulla sua stabilità in quanto all’estradosso non si evidenziano lesioni che in genere fanno presagire l’insorgere di dissesti e pertanto sono un segnale importante per prendere provvedimenti. Gli scriventi hanno riscontrati che in alcuni solai erano presenti delle lesioni a taglio che non si evidenziavano dall’esterno. Il fatto che i materiali non strutturali aiutino la struttura del solaio a portare carichi che altrimenti non sarebbe in grado di sostenere costituisce un grave pericolo, in quanto l’azione resistente di tali materiali potrebbe improvvisamente venire meno, a seguito della rimozione del pavimento o più semplicemente per la comparsa di fessure nei pavimenti, con conseguente collasso totale o parziale della struttura. Nel caso dei solai SAP il pericolo non è solo costituito dal collasso strutturale ma anche dal crollo delle tavelle che viene provocato dalla corrosione delle armature che espandendosi producono micro-fessurazioni nelle tavelle stesse. In genere i collassi di tavelle sono limitati, ma non per questo meno pericolosi, a due o tre blocchi, ma talvolta si sono osservati collassi di tavelle dell’ordine di vari mq. Un ulteriore fattore di rischio è rappresentato dalla presenza sempre più diffusa di controsoffittature. Infatti la loro presenza impedisce di esaminare la situazione generale del solaio dall’intradosso, e molto spesso impedisce o costituisce un ostacolo alla effettuazione di prove di carico, in quanto i sensori vanno posti a diretto contatto con la struttura. Nasce quindi la necessità di mettere a punto una metodologia, sufficientemente approssimata, per poter effettuare valutazioni di stabilità di solai su larga scala, anche per individuare situazioni a rischio da approfondire successivamente con saggi e prove di carico. Nel seguito sarà illustrata una tecnica di applicazione di una metodologia messa a punto da Coppa et al. (2004) [3], basata sulla individuazione della frequenza propria di oscillazione,

588

che si presenta molto agevole da realizzare, e quindi utilizzabile per valutazioni preliminari su larga scala. 2. INCREMENTO DELLA RIGIDEZZA DI UN SOLAIO INDOTTA DAI MATERIALI NON STRUTTURALI Lo schema classico delle strutture dei solai in c.a gettati in opera realizzati dal dopoguerra in poi prevede dei travetti di spessore pari a 10 cm ed altezza funzione della luce, posti ad interasse di 50 cm ed una soletta di 2-4 cm (Fig. 3). Come elementi di finitura, per i piani intermedi si realizza un massetto di 3-4 cm al di sopra del quale si dispone un pavimento di spessore variabile fra 1 e 2.5 cm (Fig. 3a), in copertura invece, se esse non sono praticabili, al di sopra del solaio viene realizzato il massetto delle pendenze o strato di isolamento termico, di spessore maggiore, variabile in genere fra 20 e 5 cm (Fig. 3b).

Fig.3 – Sezioni tipiche solai intermedi (a) e di copertura non praticabili (b). I solai SAP prevedevano invece anche una serie di varianti con travetti di spessore minore, laterizi a doppia altezza per le coperture, etc. Per valutare l’incremento di rigidezza prodotto dai materiali non strutturali sono stati realizzati dei diagrammi nei quali è riportato il rapporto fra l’inerzia strutturale (Io) e quella comprensiva delle sovrastrutture (Ia), per vari valori differenti dello spessore del pavimento e del massetto delle pendenze, assumendo come variabile l’altezza del solaio ed il rapporto fra il modulo elastico del massetto e quello del calcestruzzo (Ec/Em). Il modulo elastico del pavimento è stato assunto pari a quello del calcestruzzo. Nelle successive tabelle sono riportati i valori degli incrementi. Tabella 1 – Incremento della rigidezza dei solai intermedi per differenti valori degli spessori di pavimento e massetto e per differenti spessori della soletta del solaio soletta solaio 4 cm pavimento 2 cm – massetto 3 cm h(cm) 20 22 24 26 28 30

Ec/Em 10 5 1.69 1.82 1.61 1.74 1.55 1.67 1.51 1.63 1.47 1.59 1.44 1.56

soletta solaio 4 cm pavimento 1 cm – massetto 4 cm h(cm) 20 22 24 26 28 30

589

Ec/Em 10 5 1.44 1.51 1.40 1.46 1.36 1.42 1.33 1.39 1.30 1.36 1.29 1.56

soletta solaio 2 cm pavimento 2 cm – massetto 3 cm Ec/Em 10 5 1.86 1.9 1.79 1.83 1.73 1.77 1.68 1.73 1.64 1.68 1.61 1.65

h(cm) 20 22 24 26 28 30

soletta solaio 2 cm pavimento 1 cm – massetto 4 cm h(cm) 20 22 24 26 28 30

Ec/Em 10 5 1.57 1.66 1.52 1.61 1.48 1.56 1.45 1.53 1.42 1.5 1.4 1.47

Anche per le coperture non praticabili è stata effettuata una stima dell’incremento di inerzia prodotto dal massetto delle pendenze, considerando uno spessore di 10 cm ed un rapporto fra il modulo elastico del calcestruzzo e del massetto varabile fra 10 e 25. Tabella 2 – Incremento della rigidezza del solaio di copertura prodotto dal massetto delle pendenze s = 10 cm soletta solaio 4 cm

soletta solaio 2 cm

Ec/Em h(cm) 20 22 24 26 28 30

25 1.24 1.21 1.18 1.16 1.14 1.13

10 1.57 1.49 1.43 1.38 1.34 1.31

h(cm) 20 22 24 26 28 30

Ec/Em 25 10 1.31 1.71 1.27 1.62 1.24 1.55 1.22 1.50 1.20 1.46 1.18 1.42

Da tali tabelle si osserva che per solai di altezza ridotta (20-22 cm), che sono la stragrande maggioranza dei solai esistenti ed anche quelli più vulnerabili, l’incremento di rigidezza prodotto dalla pavimentazione può risultare effettivamente molto elevato con valori che raggiungono il valore di 1.9. Anche per quanto riguarda le coperture non praticabili il massetto delle pendenze determina un incremento della rigidezza, ma ovviamente in misura minore con valori che non superano il fattore 1.71. Si tenga presente che in queste analisi è stato trascurato l’effetto dei laterizi che incrementano ulteriormente i valori calcolati. 3. VALUTAZIONE DELLA RIGIDEZZA DI UN SOLAIO CON IL METODO DINAMICO Il metodo dinamico di valutazione della rigidezza di un solaio è basato sulla identificazione della frequenza propria di oscillazione nel piano verticale del solaio. La frequenza di oscillazione di una singola campata di solaio vale con riferimento allo schema di fig. 4:

590

Di EI 2Sl 2 PA in cui : Di = coefficiente funzione delle condizioni di vincolo agli estremi, pari a 9.87 per trave appoggiata agli estremi (K1=K2=0) e 22 per incastro perfetto (K1=K2=); l = luce netta del solaio; E, I = modulo elastico e momento di inerzia; P A= massa della trave per unita’ di lunghezza; Appare evidente dalla formula che variazioni della frequenza f, a parità degli altri parametri, indicano una variazione ben maggiore (al quadrato) delle caratteristiche meccaniche (EI). Pertanto la precisione della sua determinazione è importante. f

Fig.4 – Modello strutturale di valutazione della frequenza di oscillazione. Nel caso in esame si è proceduto con una tecnica di analisi spettrale chiamata ‘media aritmetica’, che prevede la suddivisione della intera registrazione in n intervalli di uguale dimensione e la effettuazione della media aritmetica per ogni frequenza degli n spettri di Fourier. Tale tecnica è in grado di evidenziare le frequenze stazionarie [4] e di eliminare le frequenze transienti , ovvero non legate ad oscillazioni strutturali. La media geometrica Y di più funzioni fi(t) è definita come : Y(Ȧ) = n ¥ Ȇfn(Ȧ) Tenuto conto del teorema della convoluzione: P(t)= X(t)*Q(t) nel dominio del tempo P(Ȧ )= X(Ȧ)xQ(Ȧ ) nel dominio delle frequenze Si può scrivere : Y(Ȧ) = n ¥ Ȇfn(Ȧ) = n ¥ ( f1(Ȧ)x………xfn(Ȧ) ) Che nel dominio del tempo non è altro che la convoluzione multipla tra le funzioni f1(t)…fn(t), a parte un fattore costante : Y(t) = f1(t)*f2(t) *………*fn(t) Quindi calcolare la media geometrica di n funzioni fi(Ȧ) nel dominio delle frequenze, equivale a calcolare la convoluzione multipla, nel dominio del tempo, delle funzioni fi(t). Tale tecnica è particolarmente efficace in quanto consente ricavare le frequenze effettuando le misure in un solo punto posto al centro delle campata. Non sono necessari confronti con punti di riferimento. Nella fig. 5 sono mostrati degli spettri valutati con il metodo descritto, con riferimento a dei solai SAP di luce 5 m di un edificio in muratura degli anni 50’. Dalla figura emerge come il metodo consente di individuare con precisione la frequenza di risonanza. Per valutare la rigidezza (E*I) dalla frequenza occorre fissare i valori degli ulteriori fattori presenti nella formula, ovvero la massa strutturale (PA) e le condizioni di vincolo Di. Per quanto riguarda quest’ultimo parametro, elaborando i risultati di circa 20 prove di carico, si è potuto evidenziare che per i solai intermedi il vincolo strutturale in corrispondenza delle travi può essere considerato un incastro perfetto, mentre in copertura i dati evidenziano una certa cedevolezza rotazionale agli estremi. Nelle prove effettuate sui solai di copertura si è osservato che il rapporto fra il cedimento in mezzeria ed ad ¼ delle striscia caricata, si riduce di circa il 20% rispetto al rapporto calcolato assumendo agli estremi un incastro perfetto.

591

Occorre osservare che sarebbe necessario sviluppare dei modelli per la valutazione del valori di Di, in quanto i risultati delle prove statiche, ottenute con la applicazione del carico su di una zona limitata di solaio, potrebbero sovrastimare le effettive condizioni di vincolo e che queste potrebbero cambiare in funzione della rigidezza torsionale e della tipologia (emergenti o a spessore) delle travi. 0.0010

Spettri di Fourier Componenti Verticali 0.0008

Solai sostenuti inferiormente da tramezzi

V(m/s)

0.0006

0.0004

0.0002

0.0000 0

5

10

15

20

25

frequenza(hz)

Fig.5 – Medie geometriche spettrali per diverse campate di un solaio SAP di 5 m del 1950. Trattandosi comunque il presente lavoro di uno studio preliminare, si è preferito dare credito ai risultati delle prove di carico ed assumere per i solai intermedi un valore di Di=22 , mentre per i solai di copertura si è ritenuto che con buona approssimazione si potesse assumere un valore di Di=18 ovvero riducendo il valore relativo all’incastro perfetto del 20%. La massa strutturale di un solaio è in genere facilmente stimabile, e varabile in un intervallo molto ristretto che va da 400-500 kg/mq al variare dell’altezza fra 20 e 30 cm. 4. DEFINIZIONE DEGLI INTERVALLI DI FREQUENZE PER STIME PRELIMINARI DI STABILITA’

Le valutazioni riportate nel paragrafo 2 mostrano che, sulla base delle assunzioni effettuate, l’incremento di inerzia prodotto dai materiali non strutturali, a parità di altezza, subisce variazioni inferiori al 10% per i solai intermedi, e non superiore al 20% per le coperture non praticabili. Se si assume inoltre che il modulo elastico del calcestruzzo vari fra 20.000 e 30.000 MPa, noti gli altri parametri della formula, le variazioni della frequenza di oscillazione non dovrebbero essere superiori al 25-30%. Tale intervallo potrebbe essere utilizzato come riferimento preliminare per le indagini di stabilita, valutando valori prossimi al limite inferiore o minori di esso come condizioni da approfondire, mentre valori delle frequenze prossime al limite superiore o maggiori di esso sono da considerasi buone condizioni.

592

Nelle tabelle successive sono riportati i valori limiti delle frequenze, con riferimento a solai con soletta di 4 cm che rappresentano la maggioranza dei casi, in cui con il simbolo Io si intende l’inerzia della parte strutturale del solaio (soletta e travetti) mentre con ins l’incremento della inerzia derivante dai materiali non strutturali. TABELLA 3 – Limiti superiore ed inferiore delle frequenze per solai intermedi con spessore della soletta 4 cm Frequenza (hz) in funzione della luce(m)

Limite inferiore h(cm) 20 22 24 26 28 30

4

Io(cm ) 25137 33179 42666 53689 66336 80696

ins 1.44 1.40 1.36 1.33 1.30 1.29

PA E(MPa) (kg/ml) 20000 400 20000 420 20000 440 20000 460 20000 480 20000 500

Io(cm4) 25137 33179 42666 53689 66336 80696

5.5 15.6 17.2 18.8 20.4 22.0 23.6

6 13.1 14.5 15.8 17.1 18.4 19.9

6.5 11.2 12.3 13.5 14.6 15.7 16.9

7 9.6 10.6 11.6 12.6 13.6 14.6

7.5 8.4 9.3 10.1 11.0 11.8 12.7

8 7.4 8.1 8.9 9.6 10.4 11.2

Frequenza (hz) in funzione della luce(m)

Limite superiore h(cm) 20 22 24 26 28 30

5 18.9 20.8 22.8 24.7 26.6 28.6

PA ins E(MPa) (kg/ml) 1.51 30000 400 1.46 30000 420 1.42 30000 440 1.39 30000 460 1.36 30000 480 1.56 30000 500

5 23.6 26.1 28.5 30.9 33.3 38.5

5.5 19.5 21.5 23.5 25.5 27.5 31.8

6 16.4 18.1 19.8 21.5 23.1 26.7

6.5 14.0 15.4 16.9 18.3 19.7 22.8

7 12.1 13.3 14.5 15.8 17.0 19.6

7.5 10.5 11.6 12.7 13.7 14.8 17.1

8 9.2 10.2 11.1 12.1 13.0 15.0

. TABELLA 4 – Limiti superiore ed inferiore delle frequenze per solai di copertura con spessore della soletta 4 cm Frequenza (hz) in funzione della luce(m)

Limite inferiore H(cm) 20 22 24 26 28 30

Io(cm4) 25137 33179 42666 53689 66336 80696

PA ins E(MPa) (kg/ml) 1.24 20000 400 1.21 20000 420 1.18 20000 440 1.16 20000 460 1.14 20000 480 1.13 20000 500

Io(cm4) 25137 33179 42666 53689 66336 80696

5.5 11.8 13.1 14.3 15.6 16.8 18.1

6 9.9 11.0 12.0 13.1 14.1 15.2

6.5 8.5 9.4 10.3 11.2 12.0 13.0

7 7.3 8.1 8.8 9.6 10.4 11.2

7.5 6.4 7.0 7.7 8.4 9.0 9.7

8 5.6 6.2 6.8 7.4 7.9 8.6

Frequenza (hz) in funzione della luce(m)

Limite superiore h(cm) 20 22 24 26 28 30

5 14.3 15.9 17.3 18.9 20.4 21.9

PA ins E(MPa) (kg/ml) 1.57 30000 400 1.49 30000 420 1.43 30000 440 1.38 30000 460 1.34 30000 480 1.31 30000 500

5 24.1 26.3 28.6 30.8 33.0 35.3

593

5.5 19.9 21.8 23.6 25.5 27.3 29.2

6 16.7 18.3 19.8 21.4 22.9 24.5

6.5 14.3 15.6 16.9 18.2 19.5 20.9

7 12.3 13.4 14.6 15.7 16.9 18.0

7.5 10.7 11.7 12.7 13.7 14.7 15.7

8 9.4 10.3 11.2 12.0 12.9 13.8

I valori di tali limiti sono stati posti a confronto con dei dati sperimentali raccolti attraverso delle prove su solai sui quali sono state effettuati delle approfondite analisi di stabilità, prove statiche, dinamiche, saggi e pertanto di cui si conosce con precisione le condizioni statiche effettive, al fine di verificare se gli intervalli definiti sono in grado di segnalare le situazioni critiche dal punto di vista della stabilità. Nelle fig. 6 e 7 sono mostrati alcuni degli intervalli di frequenze calcolati ed i risultati sperimentali raccolti. Con un asterisco di colore rosso sono indicate le situazioni nelle quali i solai erano sicuramente in condizioni statiche molto precarie, mentre con un asterisco di colore nero quelle in cui i segni di deterioramento erano assenti o molto limitati.

Fig.6 – Solai intermedi : confronto fra i risultati sperimentali e gli intervalli di frequenza definiti per varie altezze di solaio Dai diagrammi si osserva che effettivamente le frequenze rilevate per solai in situazioni dubbie dal punto di vista statico si collocano in prossimità o al di sotto del limite minimo individuato. La cosa che sorprende è che in alcuni casi il valore della frequenza è molto al disotto del limite minimo ed in altri è molto al disopra di quello massimo. I valori superiori al massimo possono essere spiegati con la presenza di fasce piene o di massetti più spessi di quelli ipotizzati nel calcolo degli intervalli. Mentre per spiegare il valore di 9 hz misurato per un solaio SAP di 5 m di un piano intermedio, ed un analogo valore misurato per un solaio SAP di copertura di 5.75 m, occorre ipotizzare un significativo decadimento della rigidezza strutturale di un fattore prossimo a 2. 5. CONSIDERAZIONI FINALI

594

5. CONSIDERAZIONI FINALI

Le evidenze sperimentali di solai, in gran parte SAP, in cui il livello di degrado strutturale è molto elevato fa presumere che una percentuale significativa di queste strutture è in condizioni al limite della stabilità, e la loro sopravvivenza sia legata all’effetto dei materiali non strutturali. Infatti alcune delle frequenze registrate sono molto più basse del limite inferiore calcolato, pertanto non possono essere la conseguenza di parametrizzazioni non adeguate delle condizioni di vincolo o della rigidezza dei materiali non strutturali, ma derivano da condizioni di degrado che andrebbero indagate meglio per definire eventuali interventi. In altri casi si sono ottenuti valori più elevati del limite superiore che fanno presumere che l’irrigidimento dei materiali non strutturali potrebbe essere ancora maggiore di quello valutato. Va inoltre osservato che gli schemi statici con quali vengono dimensionate le armature dei solai non tengono conto dell’azione di incastro del solaio in corrispondenza delle travi. Pertanto i solai hanno nella realtà una maggiore iperstaticità di quella ipotizzata nel loro dimensionamento. Non è comunque possibile fare totale affidamento su questi due vantaggi : maggiore iperstaticità e effetto dei materiali non strutturali.

Fig.7 – Solai di copertura non praticabili : confronto fra i risultati sperimentali e gli intervalli di frequenza definiti per varie altezze di solaio Infatti l’effetto dei materiali non strutturali può essere vanificato dal fatto che il loro comportamento è fragile e legato anche ad azioni di incastro, pertanto dal punto di vista meccanico possono venirsi a determinare dei fenomeni di equilibrio precario e quindi crolli improvvisi. Una prova sperimentale condotta su di un solaio SAP ha mostrato che il collasso può avvenire per taglio, di conseguenza anche il vantaggio della maggiore iperstaticità, di per

595

se già vanificato dalla eventuale fragilizzazione della struttura, potrebbe venire meno. Anche i tramezzi esercitano una azione di sostegno che può oscurare il fenomeno di degrado dei solai. In definitiva il lavoro vuole sottolineare l’esistenza di una percentuale significativa di solai, in gran parte realizzati con tecnologia SAP in cui la struttura ha margini di sicurezza molto limitati rispetto al collasso, ma che vengono percepiti come strutture stabili per effetto dei materiali non strutturali. Il metodo di valutazione della stabilità degli orizzontamenti proposto, basato su tecniche di prove dinamiche non distruttive, richiede certamente ulteriori approfondimenti ed una più ampia casistica di prove per aumentare la attendibilità della diagnosi. Tuttavia si pone come un interessante e promettente primo strumento di analisi delle strutture orizzontali in grado di cogliere con buona approssimazione attraverso una tecnica rapida economica e non distruttiva alcuni aspetti salienti della sicurezza di un solaio.

BIBLIOGRAFIA

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Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-21 Aprile 2006

PROVE DI COMPRESSIONE DIAGONALE SU MURETTI DI TUFO RINFORZATI CON CFRCM C.FAELLA1, E.MARTINELLI1, E.NIGRO2, S.PACIELLO1 1

2

Dipartimento di Ingegneria Civile, Università di Salerno Dipartimento di Analisi e Progettazione Strutturale, Università di Napoli “Federico II”

SOMMARIO Nell’ambito delle tecniche di ripristino strutturale è diventato sempre più comune l’utilizzo di materiali compositi, soprattutto a matrice organica (FRP) ma anche a matrice cementizia; questi ultimi risultano assai appropriati nel caso di rinforzi su elementi in muratura. Nel presente lavoro vengono mostrati i risultati di una campagna sperimentale condotta su una serie di pannelli in muratura di tufo rinforzati tramite un composito a base di fibre di carbonio e matrice cementizia (CFRCM), al fine di incrementarne la resistenza a taglio. La campagna ha evidenziato che, a causa delle scadenti caratteristiche meccaniche della muratura di tufo, la crisi dei pannelli è avvenuta in massima parte per effetto dello scollamento del supporto all’interfaccia tra la muratura ed il rinforzo. Infine, viene proposta una formulazione analitica calibrata sui risultati sperimentali ed utile per la determinazione della resistenza a taglio ultima dei pannelli rinforzati. ABSTRACT Composite materials are getting more and more common as a strengthening technique of existing members and structures; fibre-reinforced polymers (FRP) are widely used, while carbon-fiber reinforced cement matrix (CFRCM) materials have been proposed especially in interventions on masonry elements. In the present paper, the results of an experimental campaign carried out on tuff masonry walls strengthened in shear by a special kind CFRCM material are reported and commented. The key finding about the observed experimental behaviour deals with the fact that due to the very poor mechanical properties of the masonry walls, failure usually occurs prematurely, being controlled by the low adhesion between the composite strengthening and the masonry face. Finally, simplified analytical formulation calibrated upon the experimental results are also proposed for determining the expected shear strength increase on tuff masonry strengthened by the considered CFRCM system.

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1. INTRODUZIONE Le strutture in muratura costituiscono una parte non trascurabile dell’intero patrimonio edilizio italiano. Esse sono state costruite prevalentemente negli scorsi decenni facendo riferimento prevalentemente a “regole d’arte” o, comunque, considerando esclusivamente la presenza delle azioni verticali. Gli eventi sismici verificatisi negli ultimi anni (dal terremoto del Friuli del 1978 e fino ai più recenti eventi che hanno riguardato Puglia e Molise) hanno messo in luce le carenze in termini di resistenza sismica derivanti sia da quella concezione strutturale sia, soprattutto, dalla qualità dei materiali spesso assai scadente soprattutto in contesti economicamente poco sviluppati. Gli effetti spesso dannosi e talvolta tragicamente distruttivi di quegli eventi, hanno portano l’attenzione della comunità scientifica sulla problematica della valutazione della resistenza sismica di tali strutture, della individuazione delle modalità prevalenti di crisi delle strutture esistenti e sulla quantificazione della resistenza rispetto ad essi. Uno dei primi studi svolti in quest’ultimo ambito è stato eseguito da Turnsec e Cacovic [1]; essi hanno condotto una serie di prove sperimentali ed hanno ricavato una formula semplificata per la valutazione della resistenza del pannello sotto le azioni orizzontali. Altri ricercatori hanno effettuato sperimentazioni volte a quantificare la resistenza a taglio di pannelli in muratura di varie tipologie anche per valutare l’effetto di interventi di rinforzo praticati secondo varie tecniche. Due tipi di prove sperimentali possono essere condotte: da un lato la prova di taglio-compressione e dall’altro la prova di compressione diagonale, codificata dalla norma ASTM 519/02 [2]. In [3] e [4], vengono riportati i risultati di prove sperimentali condotte in situ secondo entrambe le modalità sperimentali su pannelli murari appartenenti a costruzioni danneggiate dal terremoto che colpì l’Umbria e le Marche nel 1997-1998. Vengono considerati pannelli in muratura di varie dimensioni, sia privi di rinforzo che rinforzati con materiali e tecniche sia “tradizionali” (iniezioni, ristilatura dei giunti, intonaco armato con rete metallica) che “innovative” (intonaco armato con rete in composito o nastri in FRP) al fine di pervenire alla caratterizzazione meccanica di alcune tipologie di murature presenti nelle citate regioni (costituita da pietra calcarea o di travertino, squadrata o tagliata grossolanamente e assemblate con vari tipi di malta) ed alla quantificazione dell’effetto degli interventi di rinforzo. Le prove, pur confermando la validità delle tecniche tradizionali, hanno mostrato modalità di rottura prematura generalmente dovute alla perdita di aderenza tra rinforzo e muratura. Inoltre, risultati sperimentali hanno mostrato che le prove di compressione diagonale portano a valori della resistenza a taglio pari a circa la metà di quelli ottenuti tramite le prove di taglio-compressione. Risultati di prove di compressione diagonale su muratura in laterizi pieni rinforzati con FRP sono riportati in [5]; l’indagine riguarda vari tipi di materiali FRP (compositi a base di carbonio, vetro oppure di polivinil-alcol) e diverse possibili disposizioni del rinforzo. Nel caso di applicazione del rinforzo solo su un lato non sono stati osservati rilevanti aumenti della resistenza a taglio. Inoltre, si è evidenziata la possibilità che di una crisi per perdita di aderenza che si verifica nei casi in cui maggiore è la rigidezza (e la resistenza ultima) del rinforzo. Allo studio di questo aspetto critico sono rivolte le prove di pull-out riportate in [6] dove si mostra come il fenomeno è sostanzialmente governato dalla resistenza a trazione dei mattoni di pietra. In [7] viene proposto un coefficiente di efficienza che riduce la resistenza del composito per tener conto della possibile crisi prematura dell’aderenza prima che esso possa sviluppare la resistenza ultima. Al contrario, prove di pull-out su elementi in laterizio rinforzati con un composito a matrice cementizia non hanno esibito crisi per perdita di aderenza [7]: al contrario in questo caso si è osservata una perdita di adesione tra composito e matrice che non è capace di impregnare a sufficienza le rete in fibre.

598

Una specificità della muratura è rappresentata dal fatto che la natura dei materiali impiegati e le tipologie di tessitura ricorrenti possono essere assai variabili regione per regione. Per questa ragione molti studiosi, anche in campo nazionale hanno focalizzato i loro studi su tipologie murarie di interesse nel territorio nel quale si trovano a lavorare. Oltre agli studi citati, dedicati alle murature naturali reperibili in Umbria, sono stati effettuate ricerche su tipologie murarie comuni in altre Regioni (Puglia [9], Sardegna [10]). Una particolare tipologia di muratura naturale assai diffusa in Campania è oggetto dello studio presentato in [11] che è dedicato, infatti, alla valutazione della resistenza a taglio di pannelli in tufo rinforzati con materiali compositi a base di fibre di vetro con matrice cementizia. Le prove sperimentali, condotte su campioni di dimensioni leggermente minori di quelle previste dallo standard ASTM, hanno mostrato un notevole incremento di resistenza a taglio; in nessun caso si è osservata una crisi di tipo prematuro dovuta alla perdita di aderenza, ma la rottura è sempre derivata dallo schiacciamento della muratura in corrispondenza del dispositivo di applicazione del carico. Un materiale simile sebbene costituito da fibre di carbonio viene utilizzato in [12] come rinforzo di pannelli in laterizio conseguito con diverse modalità (rinforzo da un singolo lato o da entrambi). I campioni rinforzati testati in compressione diagonale hanno mostrato un notevole incremento della resistenza rispetto al caso senza rinforzo; inoltre, non si osserva in generale una crisi per perdita di aderenza. Il presente lavoro descrive una campagna sperimentale condotta su pannelli in tufo presso il Laboratorio di Strutture del Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Salerno. Lo scopo di questa attività sperimentale consiste nel testare l’efficacia del sistema di rinforzo costituito da una rete in fibra di carbonio a maglie larghe ed una malta minerale per l’incollaggio, come quella considerata in [12] per il rinforzo di muretti in muratura realizzati in muratura di mattoni di tufo. 2. DESCRIZIONE DEI PROVINI E DELLA PROCEDURA DI PREPARAZIONE La campagna sperimentale ha riguardato nove pannelli in muratura di tufo giallo di dimensioni standard previste dalla citata norma ASTM (120x120x40 cm3). Prima di essere testati, cinque dei nove pannelli sono stati riparati e rettificati perché oggetto di una precedente campagna sperimentale. La rete in fibra di carbonio è stata applicata per mezzo di una malta, applicata a mo’ di intonaco; il primo strato di sottofondo viene utilizzato anche per la regolarizzazione della faccia del pannello, mentre il secondo, è necessario per il fissaggio della rete in fibra di carbonio. Nella Figura 1 è mostrato un tipico muretto rinforzato.

a)

b) Figura 1. Pannelli rinforzati: a) applicazione della rete; b) aspetto dei pannelli rinforzati.

3. CARATTERIZZAZIONE DEI MATERIALI La resistenza risultante dei pannelli dipende fortemente dal comportamento dei materiali che costituiscono la muratura (mattoni e malta) e dal sistema di rinforzo. Tuttavia, anche

599

l’interazione all’interfaccia tra rinforzo e muratura gioca un ruolo di notevole importanza a causa della possibilità che si verifichino crisi per perdita dell’adesione tra rinforzo e muratura. Nel presente paragrafo si passano in rassegna le proprietà meccaniche salienti delle varie “componenti” riportando i risultati di prove sperimentali rivolte a caratterizzarli. 3.1. Mattoni Dagli elementi in tufo giallo che costituiscono la muratura sono stati estratti 12 campioni di forma cubica con lato di 100 mm3; detti campioni sono stati sottoposti a prova di compressione al fine di quantificare la resistenza assiale fb. I risultati ottenuti dalle suddette prove sono riportati nella Tabella 1 che mostra valori della resistenza fb distribuiti attorno ad una media di 4,06 MPa con un coefficiente di variazione di circa 0,10. Per una caratterizzazione più completa del comportamento meccanico dei blocchi di tufo sono state effettuate pure prove di flessione su tre punti volte a quantificarne la resistenza a trazione fb,t. All’uopo sono stati preparati sei provini di forma cilindrica le cui dimensioni sono riportate nella Tabella 2 insieme ai risultati ottenuti sia in termini di forma massima Fmax che della corrispondente resistenza a trazione fb,t. I valori di quest’ultima portano ad una media pari a 0,840 MPa ed un coefficiente di variazione sostanzialmente analogo a quello determinato per la resistenza a compressione. Provino Pmax fb #

[N]

[MPa]

01 02 03 04 05 06 07 08 09 10

33800 45780 37200 38560 45320 45160 37820 41280 37240 38980

3.419 4.643 3.737 3.899 4.566 4.573 3.820 4.195 3.786 3.941

Tabella 1. Risultati dei test di compressione sui mattoni di tufo

Provino

b

h

L

Fmax

fb,t

#

[mm]

[mm]

[mm]

[N]

TU01 TU02 TU03 TU04 TU05 TU06

36 39 37 36 40 36

41 36 38 42 40 40

162 165 163 166 162 163

436 454 369 495 456 390

[MPa] 0.811 1.011 0.778 0.877 0.801 0.761

Tabella 2. Risultato dei test di flessione su tre punti condotti sui mattoni di tufo

3.2. Malta La composizione della malta, descritta dalla Tabella 3, utilizzata per l’assemblaggio degli elementi di tufo è stata scelta con l’obiettivo di riprodurre il comportamento di quelle correntemente riscontrabili nelle strutture in muratura. Sulla base della sua composizione ed

600

in accordo con la classificazione proposta dalla Normativa Italiana [14], la malta in oggetto può essere classificata nella categoria M4, la più scadente prevista dalla stessa norma. Classe M4

COMPOSIZIONE Cemento Calce Calce aerea idrata 1 -

Tipo di Malta Pozzolanica

Sabbia

Pozzolana

-

3

Tabella 3. Composizione della malta

Al fine di quantificare la resistenza a trazione della malta sono stati condotti test di flessione su tre punti utilizzando sette provini di malta delle dimensioni 40x40x160 mm3. I risultati ottenuti dalle prove sono riportati nella Tabella 4 e mostrano valori medi della resistenza a trazione fm,t di 0.372 MPa con un coefficiente di variazione pari a 0.194. Provino #

b [mm]

h [mm]

L [mm]

Fmax [N]

fb,t [MPa]

39 39 159 270 0.513 MA 01 MA 02 48 40 160 242 0.355 MA 03 51 38 162 250 0.382 MA 04 50 40 165 238 0.334 MA 05 43 41 162 222 0.345 MA 06 48 40 159 192 0.281 MA 07 47 39 158 254 0.399 Tabella 4. Test di flessione sulla malta: set-up di prova e risultati

L’indagine sperimentale dedicata alla caratterizzazione del comportamento della malta è stata completata da prove di compressione condotte su provini ottenuti dai prismi utilizzati nelle prove di flessione. La Tabella 5 mostra i risultati delle quattordici prove di compressione effettuate, riportando i valori della resistenza a compressione fm,c distribuiti attorno ad una media di 1.027 MPa con un coefficiente di variazione pari a 0.179. Infine, si osserva che nonostante la composizione della malta (cfr. Tabella 3) sia stata scelta in accordo alle specifiche di normative al fine di ottenere una malta tipo M4, le prove di compressione hanno mostrato un valore della resistenza notevolmente più basso di 2.5 MPa che la stessa norma riporta come minimo per una malta da classificare in classe M4. Tuttavia, la malta utilizzata per la preparazione dei muretti è rappresentativa del materiale più comunemente usato in passato nel Sud dell’Italia e questo fatto rende, comunque, significativa la sperimentazione su muretti in oggetto. Provino [#] fm,c [MPa]

M01 -A

M01 -B

M02 -A

M02 -B

M03 -A

M03 -B

M04 -A

M04 -B

M05 -A

M05 -B

M06 -A

M06 -B

M06 -A

M06 -B

0.879

0.846

0.709

0.834

1.210

1.117

1.295

1.115

1.086

0.914

1.296

-

1.073

0.983

Tabella 5. Risultati delle prove di compressione sulla malta.

3.3. La Muratura nell’insieme La fase di sperimentazione preliminare volta a caratterizzare i materiali componenti la muratura è stata completata da una prova di compressione su un campione di muratura è stato estratto da un pannello. I risultati della prova mostrano che il provino ha esibito una resistenza a compressione pari a fw,exp = 1.31 MPa. La resistenza della muratura con le

601

resistenze dei suoi componenti. Varie formulazioni sono disponibili nella letteratura scientifica e adottate dai codici normativi per esplicitare questa relazione. Facendo riferimento, ad esempio, alla formula adottata dall’Eurocodice 6 [13] per determinare la resistenza della muratura fw alle corrispondenti resistenze a compressione dei mattoni e della malta: f w , th k ˜ f b 0.65 ˜ f m 0.25 0.6 ˜ 4.06 0.65 ˜ 1.027 0.25 1.502 MPa (1)

che rappresenta una stima ragionevolmente approssimata del valore sperimentale. 3.4. Il Sistema di Rinforzo

Il sistema di rinforzo è un costituito da un innovativo composito strutturale costituito da una rete di carbonio che funge da rinforzo continuo e da una matrice inorganica stabilizzata, studiata per rendere solidale la rete al supporto di muratura. La Tabella 6 riporta i valori delle caratteristiche meccaniche della rete in fibra di carbonio e della malta minerale come possono rilevarsi dalle raccomandazioni fornite dai produttori. Mesh

Mineral mortar

Fiber density [g/m3] 168 Compression strength [MPa] Nominal thickness [mm] 0.047 Bending strength [MPa] Strength (for a width of 1 cm) [N/cm] 1600 Young modulus [MPa] Tabella 6. Caratteristiche della rete in carbonio e della malta minerale

38 7.5 15000

4. DESCRIZIONE DELLE PROVE DI COMPRESSIONE DIAGONALE

Il presente paragrafo è dedicato alla descrizione delle prove sperimentali condotte sui nove pannelli in muratura di tufo le cui dimensioni sono riportate nella Tabella 7; nella stessa tabella è pure indicato se i vari muretti risultano o meno rinforzati. Nella campagna descritta il rinforzo risulta praticato soltanto in maniera bilaterale su entrambe le facce parallele al piano medio dell’elemento. Inoltre, nella Tabella 7 con un apice “r” vengono denotati i muretti già utilizzati in una precedente sperimentazione e riparati tramite iniezioni di boiacca prima. I suddetti provini sono stati sottoposti a prove di compressione diagonale (Figura 2) condotte secondo lo standard ASTM [2]; il carico è stato applicato con l’ausilio di un martinetto da 350 kN e misurato tramite una cella di carico. Gli spostamenti lungo le diagonali nella direzione parallela e trasversale al carico sono stati monitorati per mezzo di quattro sensori a filo, posizionati su entrambe le facce. Le misure sperimentali in termini di forza e di spostamento sono state registrate in continuo per mezzo di un sistema di acquisizione dati. # 1 2 3r 4 5 6r 7r 8r 9r

B [mm]

L [mm]

t [mm]

Tipo di rinforzo

1207 1148 388 Non Rinforzato 1197 1153 388 Non Rinforzato 1201 1145 390 Non Rinforzato 1220 1140 400 Rinforzo Bilaterale 1200 1200 400 Rinforzo Bilaterale 1207 1148 388 Rinforzo Bilaterale 1210 1153 405 Rinforzo Bilaterale 1206 1155 393 Rinforzo Bilaterale 1197 1153 388 Rinforzo Bilaterale Tabella 7. Descrizione dei muretti (r muretto riparato)

602

Figura 2. Il dispositivo di prova.

5. RISULTATI SPERIMENTALI

I risultati delle prove di compressione diagonale sono rappresentati nel seguito in termini di curve carico-spostamenti; questi ultimi sono misurati lungo la diagonale su entrambe le facce, in direzione parallela alla forza applicata. La Figura 3 si riferisce ai tre pannelli non rinforzati; sebbene, a differenza dei primi due, il pannello #3 abbia subito una riparazione dopo essere già stato testato in compressione diagonale, non si osservano sostanziali differenze tra i risultati delle tre poste in termini di carico ultimo. La crisi, infatti, avviene sempre per distacco tra blocchi e malta secondo una tipica modalità di rottura che finisce per non interessare le parti più direttamente interessate dall’iniezione di biacca, ma riguarda meccanismi caratterizzati da una più debole resistenza. 50

40

Specimen #1 - UR

Load [kN]

Load [kN]

50

40

30

30

20

20

10

Specimen #2 - UR

10 Diagonal displacement [mm]

Diagonal displacement [mm]

0

0 0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

0

0.5

1

a) provino #1;

1.5

2

2.5

3

b) provino #2; Load [kN]

50

40

Specimen #3 - UR

Repaired

30

20

10 Diagonal displacement [mm] 0 0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

c) provino #3; Figura 3. Risultati delle prove di compressione diagonale sui pannelli non rinforzati.

Analoghi diagrammi sono riportati nella Figura 4 con riferimento ai risultati delle prove di compressione diagonale condotte sui provini rinforzati e dimostrano il notevole incremento in termini di carico ultimo che è risultato 4-6 volte maggiore rispetto ai valori riscontrati per i provini non rinforzati. Le curve carico-spostamento mostrano sempre un cambio di pendenza, talvolta repentino (provini 5 e 9 in Figura 4b e Figura 4f, rispettivamente) altre volte più

603

graduale (provino 4 in Figura 4a): questo cambio di pendenza avviene generalmente valori del carico non molto diverso da quello che porta alla rottura i pannello non rinforzato, dimostrando che il rinforzo si attiva soprattutto dopo l’apertura delle fessure da schiacciamento limitandone la libera diffusione. 240

Specimen #4 - DR

200 180 160

Specimen #5 - DR

220

Load [kN]

220

Load [kN]

240

200 180 160

140

140

120

120

100

100

80

80

60

60 40

40 20

20

Diagonal displacement [mm]

Diagonal displacement [mm]

0

0 0

0.5

1

1.5

0

2

0.5

a) provino #4; 220

Load [kN]

200 180 160

Specimen #7 - DR

240

Repaired

Specimen #6 - DR

220

200 180 140

120

120

100

100

80

80

60

60 20

20

Diagonal displacement [mm] 0

0.5

1

Diagonal displacement [mm]

0

0 1.5

0

2

0.5

c) provino #6; 240

Repaired

2

200 180 160

140

140

120

120

100

100

80

80

Repaired

Load [kN]

160

1.5

Specimen #9 - DR

220

Load [kN]

180

1

d) provino #7;

Specimen #8 - DR

200

Repaired

40

40

220

2

160

140

240

1.5

Load [kN]

240

1

b) provino #5;

60

60

40

40 Diagonal displacement [mm]

20

20

Diagonal displacement [mm]

0

0 0

0.5

1

1.5

2

0

0.5

1

1.5

e) provino #8; f) provino #9; Figura 4. Risultati delle prove di compressione diagonale sui pannelli non rinforzati.

a) perdita di aderenza del rinforzo b) rottura del pannello murario Figura 5. Modalità di crisi osservate sperimentalmente.

604

2

La Figura 5 rappresenta le due modalità di crisi che si sono osservate nelle prove: nella crisi per perdita di aderenza lo strato di rinforzo subisce un completo distacco portando con se lo strato superficiale di muratura; nella crisi per rottura del pannello, invece, il muretto subisce una rottura lungo un piano verticale e sostanzialmente parallelo al piano medio del pannello. 6. ANALISI DEI RISULTATI SPERIMENTALI

I valori sperimentali ottenuti per il carico di rottura Pu possono essere utilizzati per la determinazione della resistenza a taglio fv della muratura in accordo alla seguente formula convenzionale suggerita dalla citata norma ASTM: 0.707 Pu fv , (2) An essendo An l’area netta del provino, definita in [2] come segue: §BL· An ¨ ¸˜t˜n , (3) © 2 ¹ in funzione delle dimensioni del pannello e della percentuale dell’area netta n (uguale a 1 per la muratura di tufo). I risultati numerici sono riportati nella Tabella 8 differenziando i casi di riferimento nei quali al valore della resistenza a taglio è stato dato il simbolo fv,0 (non rinforzati, Tabella 8a) da quelli relativi ai pannelli rinforzati (Tabella 8b). Provino

Carico

fv,0

fv,0,m

#

[kN]

[MPa]

[MPa]

1

45.56

0.069

2

31.94

0.049

3

31.69

0.047 a)

Modalità di crisi Scorrimento Blocchi-Malta

0.055

Scorrimento Blocchi-Malta Scorrimento Blocchi-Malta

pannelli non rinforzati

Provino

Carico

fv

fv,m

#

[kN]

[MPa]

[MPa]

4

228.94

5 6

fv/fv,0,m

Modalità di Crisi

0.337

6.144

Rottura del pannello murario

224.94

0.331

6.037

Perdita di aderenza del rinforzo

219.06

0.315

5.735

Perdita di aderenza del rinforzo

7

200.63

0.291

5.296

Rottura del pannello murario

8

161.06

0.231

4.217

Rottura del pannello murario

9

200.75

0.289

5.256

Perdita di aderenza del rinforzo

0.300

b) pannelli rinforzati Tabella 8. Valori sperimentali della resistenza a taglio dei muretti

Con riferimento ai primi, la Tabella 9 riporta i valori della resistenza a taglio forniti dalla normativa italiana ([14][15]) per la muratura non rinforzata. Dal confronto tra la Tabella 8a e la Tabella 9 si evince che i valori sperimentali risultano più bassi di quelli derivati dai citati codici normativi; questo fatto può essere spiegato con le due seguenti motivazioni. Da un lato, come si è detto in precedenza, le prove di compressione diagonale come quelle descritte nel presente lavori conducono, generalmente, a valori più bassi delle resistenza a taglio rispetto a quelli desumili da prove di altro tipo (cfr. [3]); dall’altro, la malta è stata realizzata

605

appositamente per avere caratteristiche di resistenza molto basse (peggiori di quelle minime previste in [14]) allo scopo di riprodurre un elemento rappresentativo di molte delle strutture esistenti. fv0,DM87 Wk,Circ.81

Provino

fv0

#

[MPa]

1

0.069

2

0.049

3

0.047

[MPa]

[MPa]

0.10

0.10

Tabella 9. Valori della resistenza confronto con i valori di normativa: provini non rinforzati

Con riferimento ai pannelli rinforzati, nella Tabella 10 la resistenza a taglio dei pannelli di muratura è calcolata utilizzando la seguente formula fornita dall’Eurocodice 6 [13]: f v, EC6

f v0  0.9 ˜ Uf ˜ f fu

(4)

essendo Uf la percentuale di rinforzo relativa alla sezione del muro e ffu la resistenza ultima a trazione della fibra di carbonio costituente la rete. Si può notare che, sebbene sia stato considerato nella formula un coefficiente riduttivo pari a 0.9 (proprio per tener conto del fatto che la tensione nelle fibre possa non essere uniformemente pari al suo valore di rottura) i valori sperimentali risultano largamente più bassi di quelli analitici; questa circostanza può essere spiegata con il fatto che la crisi della muratura è generalmente dovuta alla perdita di aderenza tra il rinforzo ed il substrato di muratura, piuttosto che alla rottura della fibra, cui la relazione (4) è riferita facendo riferimento alla menzionata resistenza ultima ffu. Tipo di rinforzo

fv,EC6

fv,exp

[MPa]

[MPa]

Uf

0.337 0.331 Bilaterale

0.000243

0.400

0.315 0.291 0.231 0.289

Tabella 10. Resistenza a taglio per i pannelli rinforzati- Comparazione dei dati analitici con quelli sperimentali

Poiché tale valore della tensione non viene mai attinto dalla fibra nei casi in cui si verificano crisi premature per perdita di aderenza, si può pensare di introdurre nella (4) un termine legato alla massima tensione raggiungibile dalla fibra sulla base della resistenza di aderenza tra la matrice del rinforzo e la muratura. Tale termine di tensione è riconducibile in linea di principio al valore della tensione tangenziale di aderenza Wad moltiplicato per una lunghezza efficace di trasferimento Leff. In definitiva la (4), a meno del coefficiente riduzione 0.9, può essere scritta nella forma seguente: L ˜W f v f v 0  2 ˜ eff ad , (5) t

606

almeno nel caso di rinforzo bilaterale e, dunque, di applicazione di uno strato su ognuno delle facce del muretto. In alternativa, volendo introdurre l’energia di frattura Gf (in modo II) dell’interfaccia tra la matrice del rinforzo e la muratura, la (5) potrebbe porsi come segue: 2G f E f t f (6) , f v f v0  2 ˜ t essendo Ef e tf rispettivamente modulo di Young e spessore equivalente della fibra. Invertendo la (5) e la (6) ed utilizzando i risultati sperimentali è possibile, dunque, stimare a ritroso un valore di riferimento per la grandezza caratteristica LeffWad e Gf, rispettivamente. In questo modo è possibile calibrare una relazione che consente di prevedere l’incremento di resistenza a taglio in pannelli in muratura di tufo rinforzato con il citato sistema composito a base di fibra di carbonio e con una matrice cementizia. LeffҏWad

Gf

[N/mm]

[N/mm]

4

56.5

0.121

5

55.3

0.116

6

52.0

0.103

7

47.2

0.085

8

35.3

0.047

9

46.7

0.083

Media

48.8

0.092

Provino

Tabella 11. Calibratura dei parametri meccanici

7. CONCLUSIONI

L’innovativo sistema di rinforzo, esaminato nel presente lavoro, costituito da una rete in fibra di carbonio applicata sulla muratura da rinforzare per mezzo di una malta cementizia, sembra essere particolarmente efficace come intervento volto all’incremento della resistenza a taglio delle murature nuove e di quelle già esistenti. La campagna sperimentale effettuata, infatti, ha dimostrato che il rinforzo praticato secondo questa tecnica conferisce alla muratura un comportamento più omogeneo rispetto al caso di muratura non rinforzata. Infatti, nel caso di provini rinforzati la crisi non avviene più per effetto degli scorrimenti tra blocchi e malta, ma la presenza del rinforzo a base di fibre di carbonio consente una azione di trattenimento delle fessure che si destano in fase di incipiente formazione delle superfici di scorrimento tra blocchi e malta. La formazione di microfessure nella matrice in direzione parallela a quella della forza testimonia della presenza di questo effetto che, peraltro, è stato evidenziato dal cambio di rigidezza delle curve carico spostamento di cui si è detto nel paragrafo 5. La resistenza ottenuta dalle prove di compressione diagonale condotte sui provini è risultata quattro o cinque volte maggiore di quella riscontrata nei casi di riferimento in assenza di rinforzo. In nessun caso, comunque, la crisi si è verificata per strappo del rinforzo, ma si è sempre trattato di crisi dovute a perdita di aderenza a livello dell’interfaccia rinforzomuratura eventualmente accompagnate da rottura della muratura attraverso i giunti di malta. Questo fatto non è stato osservato in altre campagne sperimentali descritte nella letteratura scientifica e condotte con muratura di altra natura; pertanto, nel caso in specie si deve ritenere che il quantitativo e/o la resistenza della fibra di carbonio non sia commisurata all’impiego

607

del composito in oggetto per il rinforzo di muretti in muratura nei quali la limitata resistenza a trazione della muratura si riflette in crisi premature. Da un punto di vista della razionalità dell’impiego, allora, si potrebbe definire una densità critica della fibra per murature appartenenti a varie classi determinate dalla loro resistenza. Questo risultato rappresenta uno degli obiettivi da perseguire nel prosieguo della ricerca, nel quale sarà dapprima calibrato un modello numerico rispetto ai risultati delle prove sperimentali (anche di prove desunte dalla letteratura scientifica) in modo da poter determinare per le varie tipologie di muratura le caratteristiche del composito, ovvero quelle della fibra, che non comporti una crisi per perdita di aderenza e, dunque, un non razionale utilizzo di materiale, peraltro caratterizzato da costi notevoli, spesso ostativi dell’impiego stesso della metodologia in oggetto a vantaggio di tecniche più tradizionali. BIBLIOGRAFIA [1] Turnsek, V., Cacovic, F.: Some Experimental Results on the Strength of Brick Masonry Walls, Proceedings of the Second International Brick Masonry Conference, Stoke-on-Trent, England, 12-15 April (1970). [2] ASTM. Standard test method for Diagonal Tension (Shear) in Masonry Assemblages, ASTM E 519– 02 American Society for Testing Materials, (2002). [3] Corradi M., Borri A., Vignoli A.: Experimental study on the determination of strength of masonry walls, Construction and Building Materials, Vol. 17 pp. 325 – 337 (2003). [4] Borri A., Corradi M., Vignoli A.: Strengthening techniques tested on masonry structures struck bythe Umbrian-Marche earthquake of 1997-1998, Construction and Building Materials, Vol. 16(4) pp. 229 – 239 (2002). [5] Valluzzi M. R., Tinazzi D., Modena C.: Shear Behavior of masonry panels strengthened by FRP laminates, Construction and Building Materials, Vol. 16(4) pp. 409 – 416 (2002). [6] Campione G., Cucchiara C., La Mendola L, Zingone G.: Interfacial phenomena in masonry members reinforced with FRP; Proceedings of the 12th European Conference on Earthquake Engineering, London, 9 – 13 September 2002; Paper Reference 609. [7] Briccoli Bati S., Rovero L., Tonietti U., Mechanical Behaviour of Masonry Specimens Reinforced with CFRCM (Carbon Fibre Reinforced Cement Matrix) Sheets; Proceedings of RRRTEA’04 Conference, Cesena, 7-11 Giugno 2004, Aracne Editrice, Roma; Atti del convegno, pp. 86-91. [8] Triantafillou T. C.: “Strengthening of masonry structures using epoxy-bonded FRP laminates”, Journal of Composite for Construction ASCE 1998, Vol. 2(2) pp.96 – 104. [9] Micelli, F., Ombres L., Natural Masonry strenghthened with CFRP: Experiments and modelling on wall panels, Composites in Costructions, Editoriale Bios pp. 325-330 (2003). [10] De Nicolo B., Valdes M., Grosso B.: Mechanical behaviour of natural masonry strengthened with FRP. Part I: experimental research; Part II: verification by using a finite element method; International Conference “ Innovative Materials and Technologies for Costruction and Restoration”; Atti del convegno, pp. 487-503 (2003) [11] Marcari G., Fabbrocino G., Prota A., Manfredi G., Diagonal tests on tuff masonry strengthened with CMF systems; Proceedings of CICE 2004, FRP Composites in Civil Engineering, Adelaide 8-10 Dicembre 2004; Atti del convegno, Balkema, pp.681-689. [12] Barbieri A., Di Tommaso A.: Relazione sulle prove di compressione diagonale su provini di muratura rinforzati e non, condotte al LaRM di Bologna, Internal Report, (2002). [13] Eurocode 6: Design of masonry structures – part 1-1: Genaral rules for buildings – rules for reinforced and unreinforced masonry. ENV 1996-1-1 (1995). [14] D.M. LL. PP. Norma tecniche per la progettazione, esecuzione e collaudo degli edifici in muratura e per il loro consolidamento, 20 November 1987. [15] Circolare LL.PP. Normativa per le riparazioni ed il rafforzamento degli edifici danneggiati dal sisma nelle regioni Basilicata, Campania e Puglia. G.U. 21/07/1981, n.198.

608

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

EFFICACIA DI INTERVENTI DI RIPARAZIONE SU MURI IN PIETRA A TRE PARAMENTI - APPLICAZIONE DELLA TECNICA DELLE EMISSIONI ACUSTICHE A. ANZANI1, L. BINDA1, A. CARPINTERI2, G. LACIDOGNA2 1

2

Dipartimento di Ingegneria Strutturale, Politecnico di Milano, Milano Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica, Politecnico di Torino, Torino

SOMMARIO Il lavoro riguarda lo studio dell’efficacia di diverse tecniche di riparazione applicate a murature in pietra a tre paramenti, realizzate con pietre di diverse caratteristiche. L’applicazione della tecnica delle Emissioni Acustiche (EA), con la quale è possibile identificare le zone del materiale in cui procede la fessurazione durante le prove di taglio, ha permesso di valutare l’efficacia degli interventi di consolidamento, con ulteriori parametri rispetto a quelli tensionali e deformativi, e contribuire alla individuazione delle metodologie più idonee per la loro ottimizzazione. ABSTRACT The research deals with the study of the effectiveness of repair techniques applied to multiple leaf masonry, built with stones of different characteristics. The application of the technique of Acoustic Emission (AE), which allows to identify the area of the material where the cracks propagate during shear tests, gave the possibility to evaluate the effectiveness of the repair interventions through different parameters than stress and strain, and contributed to the individuation of the most suitable methodology for their optimization.

1. INTRODUZIONE Il patrimonio edilizio storico diffuso sul territorio italiano è caratterizzato, oltre che da un’architettura monumentale di notevole rilevanza, anche da un’edilizia minore formata da un complesso tessuto di importanza non trascurabile, costituito da edifici prevalentemente realizzati in muratura di pietra a più paramenti [1]. Lo studio del comportamento meccanico delle murature storiche, premessa fondamentale in occasione di interventi per l’adeguamento statico e nel caso di una riqualificazione, deve tenere conto dell’influenza di numerosi fattori che comprendono i materiali componenti

609

(lapidei, laterizi…), la tecnica costruttiva (a secco, con utilizzo di legante…), la morfologia (struttura muraria unica, oppure a due o tre paramenti, più o meno mutuamente legati). Lo studio qui presentato riguarda il comportamento di murature caratterizzate da una sezione non omogenea formata da paramenti murari esterni in conci di pietra squadrata ed un riempimento “a sacco” formato da frammenti litici misti a malta. Sui provini, già sottoposti a prove di taglio [2], sono stati applicati interventi di riparazione basati sull’iniezione di miscele idrauliche e sull’uso di tirantature metalliche; per valutarne l’efficacia sono state nuovamente condotte prove di taglio. Per la localizzazione del danneggiamento durante le prove di laboratorio, è stata utilizzata una sofisticata apparecchiatura per l’analisi dei segnali di emissione acustica. L’apparecchiatura è composta da sei unità USAM per l’acquisizione e l’elaborazione dei segnali. Ognuna di queste unità analizza in tempo reale e trasmette ad un P.C. tutti i parametri caratteristici di un evento ultrasonico. In tal modo, ogni evento EA viene individuato da un numero progressivo e caratterizzato da una serie di dati che riportano l’ampiezza, la durata del segnale ed il numero di oscillazioni. Vengono, inoltre riportati i tempi assoluti di acquisizione e la frequenza dei segnali, per cui, attraverso l’analisi delle frequenze e dei tempi di arrivo ai trasduttori, è possibile individuare il gruppo di segnali che appartengono allo stesso evento di emissione acustica e procedere alla sua identificazione spaziale. Ogni unità è dotata di sensore piezoelettrico (PZT) pre-amplificato ed a banda larga, sensibile in un intervallo di frequenze comprese tra 50 kHz e i 800 kHz. La soglia di acquisizione del segnale può essere fissata in un intervallo compreso tra 100ȝV e 6.4 mV. Come è noto il processo di fessurazione all’interno del materiale, sollecitato a compressione e taglio, avviene con la formazione di una quantità di microdifetti. Questi, col crescere dell’intensità dei carichi, si addensano in macrodifetti, la cui formazione implica una riduzione delle capacità portanti delle strutture. Le tecniche statistiche derivanti dalla sismologia, come ad esempio la legge di Gutenberg-Richter (GR), associate al monitoraggio con l’EA, chiariscono le relazioni che intercorrono tra gli eventi microstrutturali ed il comportamento macroscopico durante il danneggiamento delle strutture [3,7,8].

2. PROVE DI TAGLIO 2.1. Preparazione dei provini La geometria dei provini, realizzati utilizzando pietra di Noto e pietra Serena aventi caratteristiche meccaniche differenti (Tabella 1), è illustrata in Figura 1. Sia per la realizzazione del paramento esterno sia per il riempimento è stata usata la stessa malta idraulica pre-miscelata, di resistenza a compressione misurata dopo 180 giorni pari a 11 N/mm2. Pietra Noto Noto Serena Serena

Direzione del carico vs. Vc [N/mm2] direzione dei giunti Normale 20,6 Parallela 17,6 Normale 104,2 Parallela 89,0

Ea [N/mm2]

Qa

Vt [N/mm2]

9476 8526 18218 23293

0,10 0,09 0,19 0,21

 2,06  6,07

Tabella 1. Resistenza a compressione e modulo elastico delle pietre

610

2.2. Prove di taglio sui provini riparati Dopo essere stati portati a rottura per taglio, tre muretti sono stati consolidati tramite iniezione di miscele cementizie e tramite tiranti, prima di sottoporli nuovamente a prove di taglio. In particolare, sono state utilizzate miscele completamente inorganiche basata su leganti microfini ad azione pozzolanica (Figura 2) e tiranti, di diametro 16 mm e caratterizzati da un modulo elastico pari a 195000 N/mm2, applicati esercitando una coppia di 50 Nm. Ciò corrisponde ad un’azione pari a 15.63 KN su ciascun tirante, a sua volta equivalente ad uno sforzo totale di confinamento laterale sui muretti di 0.37 N/mm2 (Figura 3). In Tabella 2 vengono specificate le tecniche adottate per ciascuno dei provini consolidati e i valori caratteristici raggiunti con la prova di taglio, confrontati con quelli relativi alla prova di taglio svolta prima della riparazione sui provini integri.

Figura 1. Geometria dei muretti sottoposti a prova

Figura 2. Iniezione dei provini Prima della riparazione

Provino

Intervento

PS4 PS6 PN4

Iniezione Tiranti Iniezione e Tiranti

Figura 3. Provino con tiranti

Dopo la riparazione

Pmax,p [kN]

Gmax [Pm]

Pmax,d [kN]

391.10 415.89 283.35

4056.84 4369.80 2633.31

485.33 700.88 520.17

Gmax [Pm] Pmax,d /Pmax,p 2971.91 8462.52 6636.51

1.24 1.68 1.83

Tabella 2. Interventi di riparazione eseguiti sui provini in pietra di Noto (PN) e in pietra Serena (PS)

2.3. Analisi dei risultati I risultati delle prove di taglio sui provini riparati sono illustrati nelle Figure 4, 5 e 6 dove vengono riportati i diagrammi carico vs. spostamento a confronto con i risultati ottenuti prima della riparazione sui provini integri. 800

800

600

600

800 riparato

600 riparato

non riparato

400

P [KN]

P [KN]

P [KN]

riparato 400

non riparato

200

200

0

2000

4000 6000 G [Pm]

8000

10000

Figura 4. PS4 in pietra Serena

non riparato 200

0

0

400

0

2000

4000

6000

8000

10000

G [Pm]

Figura 5. PS6 in pietra Serena

0 0

2000

4000

6000

8000

10000

G[Pm]

Figura 6. PN4 in pietra di Noto

Tenendo conto della diversa pietra con cui sono stati realizzati i provini, si nota che la riparazione ha sempre comportato un aumento della capacità portante, pari a 1.24 nel caso del provino PS4 in pietra Serena esclusivamente iniettato, più rilevante negli altri due casi. Nei due casi in cui si è intervenuti con le iniezioni (PS4 e PN4) non è più riconoscibile il collasso

611

in successione delle due interfacce verticali che si notava con chiarezza dai diagrammi relativi alle prove sui provini integri. Ciò risulta essere ancora scarsamente evidente nel caso del provino riparato solo con i tiranti (PS6) il cui diagramma presenta una piccola caduta in corrispondenza di uno spostamento di 6000 Pm. Si nota inoltre che, nel caso del provino PS4, la curva dopo la riparazione ripercorre quella ottenuta dal provino integro nel tratto iniziale fino alla rottura della prima interfaccia verticale e mantiene questa stessa pendenza fino alla rottura. Qualitativamente il comportamento risulta essere nettamente più fragile di quello del provino integro (Figura 4). Nel caso del provino PS6 si osserva un comportamento duttile anche dopo la riparazione (Figura 5). L’incremento di cedevolezza nella fase iniziale del carico è dovuta alla presenza di fessure non risarcite che hanno consentito degli scorrimenti relativi fra il riempimento interno e i paramenti esterni. La notevole duttilità del comportamento a rottura è dovuta alla presenza dei soli tiranti combinata con le caratteristiche della pietra. La pietra Serena, infatti, possiede una resistenza meccanica molto elevata, e in presenza del confinamento laterale dovuto ai tiranti, non raggiunge localmente le tensioni di rottura. Complessivamente, quindi, il collasso del muretto è governato dalla rottura del riempimento interno che si manifesta principalmente con fessure che interessano l’interfaccia fra malta e pietra.

b)

a) Figura 7. Quadro fessurativo del provino PS4 non riparato (a) e riparato (b).

a)

b)

Figura 8. Quadro fessurativo del provino PS6 non riparato (a) e riparato (b).

b

a) ) Figura 9. Quadro fessurativo del provino PN4 non riparato (a) e riparato (b).

Viceversa, il provino PN4, anch’esso riparato con i tiranti oltre che con le iniezioni, presenta una rottura che coinvolge anche i paramenti esterni. Questo comportamento è causato dalla limitata resistenza della pietra di Noto e dalla risarcitura delle fessure che ha prodotto un’ottima collaborazione fra riempimento e paramenti esterni (Figura 6). Nel caso del provino PN4, si nota anche un aumento di cedevolezza rispetto alla situazione iniziale e un comportamento fragile simile a quello del PS4.

612

L’osservazione dei quadri fessurativi (Figure 7-9), oltre a confermare quanto si può cogliere dai diagrammi carico-spostamento, permette anche un confronto con la rottura dei provini non consolidati. Si nota, infatti, che le prove dopo la riparazione hanno portato alla riapertura delle fessure già rinvenute durante le prove precedenti ed alla formazione di nuove. 1.6

1.6

1.6

13

14

1.4 6 8

13

14

2

5

6 8

7

11

4

1.4 1.2

1.2 7

0.8 4

0.6 0.4

W[N/mm2]

W[N/mm2]

5

1

3

9

9 3

W[N/mm2]

15 11

1.2

2

0.8

0.4

0 -4

-3

accorciamenti

-2

-1

0

[Pm/mm]

1

2

12 13

8

10

9

2

5

7

0.8 0.6 0.4

0.2 allungamenti

11

6

1

allungamenti

0 -4

-2

0

0.2

accorciamenti 2

4

6

8

10

[Pm/mm]

12

0 -3

allungamenti -2

accorciamenti

-1

0

1

2

3

[Pm/mm]

a)

a)

a)

b) Figura 10. Provino PS4

b) Figura 11. Provino PS6

b) Figura 12. Provino PN4

In particolare, nel caso del provino PS4 (Figura 7), la tendenza alla diffusione diagonale del carico, la collaborazione fra paramento e riempimento, dovuto all’iniezione delle miscele leganti, e l’assenza di confinamento laterale hanno portato alla rottura di un concio di pietra del paramento esterno in corrispondenza del corso di base. Il provino PS6 (Figura 8), il più duttile sia per effetto dei tiranti sia per la qualità della pietra, non ha subito fessurazioni del paramento esterno. La rottura è stata raggiunta con fessure che nel paramento interno prediligono la superficie di contatto fra malta e frammenti di pietra. Per il campione PN4 (Figura 9) invece, si è avuto, in fase di rottura, un maggior coinvolgimento del paramento esterno che ha subito l’apertura di fessure aggiuntive rispetto a quelle già formatesi durante la prima prova, con la diffusione delle stesse nel riempimento interno, fino ad interessare in molti punti anche i frammenti di pietra. Le Figure 10a-12a mostrano l’andamento dei diagrammi carico-spostamento ottenuti dalle letture dei singoli trasduttori applicati, in diverse posizioni, sulle facce dei provini. Dai diagrammi si osserva come le letture degli spostamenti verticali ottenute dai riempimenti siano complessivamente superiori a quelle dei paramenti esterni. Questo comportamento è legato alle modalità di applicazione del carico che grava direttamente sul riempimento interno.

3. APPLICAZIONE DELLA TECNICA EA Le emissioni acustiche sono onde ultrasoniche, generate dal rapido rilascio di energia, proveniente da discontinuità o fessure che si propagano nei materiali soggetti a stati di tensione o di deformazione. Nei materiali isotropi ed omogenei le onde si propagano attraverso il solido danneggiato, secondo raggi rettilinei aventi la medesima velocità Q in tutte le direzioni, sino a raggiungere la superficie esterna dove vengono captate da appositi sensori [3,7]. Il processo è simile a quanto avviene in sismologia dove le onde elastiche, generate dai

613

terremoti, raggiungono le stazioni di rilevamento posizionate sulla superficie terrestre [8]. La tecnica EA è l’unico metodo di monitoraggio strutturale in grado di individuare il fenomeno di danneggiamento durante la sua evoluzione. 3.1. Localizzazione delle sorgenti di emissione acustica Il metodo della localizzazione prevede dapprima il riconoscimento dei dati utili alla identificazione delle sorgenti EA ed in seguito la procedura di triangolazione. Nella prima fase vengono distinti quei gruppi di segnali, registrati dai vari sensori, che cadono in intervalli di tempo compatibili con la formazione di microfessure nel volume analizzato. Questi intervalli, dell’ordine di micro-secondi, vengono definiti in base alla velocità presunta di trasmissione delle onde P ed alla distanza reciproca dei sensori applicati sulla superficie del materiale. Nella seconda fase, quando si analizza la formazione di microfratture in uno spazio tridimensionale, è possibile applicare la tecnica della triangolazione se negli intervalli di tempo cadono segnali registrati da almeno cinque sensori. Con questa procedura è, quindi, possibile definire sia la posizione delle microfratture nel volume, che la velocità di trasmissione delle onde P. Definiti ti il tempo di arrivo al sensore Si di un evento EA, generato nel punto S al tempo t0, |S í Si| = [(x í xi)2 + (y í yi)2 + (z í zi)2]1/2 la distanza tra Si e la sorgente S, in coordinate cartesiane, e considerando il materiale omogeneo, il percorso del segnale è rappresentato da: |S í Si| = v(ti í t0). Se lo stesso evento è osservato da un altro sensore Sj al tempo tj, è possibile eliminare t0 dalle equazioni: S  S j  S  Si

v (t j  ti ) { v' t ji .

(1)

Assumendo che i tempi di arrivo dei segnali e le posizioni dei due sensori siano noti, la (1) è un’equazione con quattro incognite, x, y, z e v. La localizzazione di S è, quindi, un problema che può essere risolto in modo esatto se è possibile scrivere un numero sufficiente di equazioni come la (1), ossia quando un evento EA è individuato da almeno cinque sensori. Se ciò non si verificasse, sarebbe necessario inserire ipotesi semplificative allo scopo di ridurre i gradi di libertà del problema, come ad esempio imporre la velocità di trasmissione dei segnali od indurre la sorgente EA a giacere su un piano di coordinate predefinite. La procedura di localizzazione può anche essere svolta con tecniche numeriche che impieghino metodi di ottimizzazione come il Least Squares Method (LSM) [3]. 3.2. Analisi del Tensore dei Momenti Il danneggiamento può essere considerato dal punto di vista microscopico come composto da una successione di eventi discreti, localizzati nello spazio e nel tempo. Essi si sviluppano in diversi istanti nelle zone più sollecitate della struttura. Dopo aver individuato i singoli eventi EA tramite il processo di localizzazione, è interessante valutare il verso, la direzione e il modo di formazione delle microfratture. L’analisi del Tensore dei Momenti (MTA) è stata messa a punto in sismologia per descrivere la meccanica dei terremoti. Lo stesso metodo, trasferito al campo delle emissioni acustiche, è in grado di rappresentare una sorgente di onde ultrasoniche in termini di giacitura ed orientazione. La procedura descritta in questo lavoro è quella messa a punto da Ohtsu [4]. Questa, denominata procedura SiGMA, considera le sole onde P per caratterizzare il segnale EA. Basandosi sulla teoria generalizzata delle emissioni acustiche [4], il vettore b(y, t) che rappresenta lo scorrimento plastico relativo tra le due superfici di una fessura, localizzata nel punto y al tempo t, è dato da b(y)˜l S(t), dove b(y) rappresenta la ampiezza dello scorrimento, l è il vettore di direzione ed S(t) è la funzione che descrive la dipendenza dal tempo dello

614

scorrimento. L’integrale del prodotto delle costanti elastiche Cpqkl del materiale, del vettore di scorrimento b(y)lk, e del vettore normale nl alla superficie della fessura, F, conduce alla determinazione del momento tensore mpq:

³F C pqkl >b y lk S t @nl dF >C pqkl lk nl @'V S t

m pq S t .

(2)

Nella eq. (2) 'V è il volume della fessura, definito come il prodotto dello scorrimento b(y) per l’area della superficie di frattura, ossia 'V=œF b(y)dF. Il momento tensore ha quindi dimensioni Nm ottenute dal prodotto delle costanti elastiche (N/m2) per il volume della fessura (m3). Gli spostamenti elastici u(x,t) nei punti x dovuti allo scorrimento b(y, t) che generano i segnali di emissione acustica sono rappresentati da: ui x, t Gip , q x, y, t m pq * S t ,

(3)

dove, Gip , q x, y, t rappresenta la derivata spaziale delle funzioni di Green e l’asterisco denota l’operatore di convoluzione. Le funzioni di Green descrivono gli spostamenti elastici u(x,t) dovuti ad una scorrimento unitario applicato in y al tempo t. Nella procedura SiGMA le dimensioni degli spostamenti elastici, proporzionali alle ampiezze A(x) delle prime onde P che raggiungono i trasduttori, sono rappresentati da una rielaborazione dell’eq. (3): A x

§ m11 m12 ¨ Cs REF t, r (r1 r2 r3 )¨ m21 m22 R ¨m © 31 m32

m13 · § r1 · ¸¨ ¸ m23 ¸ ¨ r2 ¸ , m33 ¸¹ ¨© r3 ¸¹

(4)

dove Cs è un coefficiente di calibrazione dei sensori di emissione acustica, R è la distanza tra la sorgente EA nel punto y ed il sensore localizzato nel punto x. Il vettore r rappresenta le componenti delle distanze R, ottenute dalla procedura di localizzazione, ed REF(t,r) è il coefficiente di riflessione tra il vettore r e la direzione t della sensitività del sensore. Poiché il momento tensore è simmetrico, per rappresentarlo è necessario determinare le sei incognite indipendenti mpq. A tal fine, per determinare le sue componenti è richiesta la ricezione dell’ampiezza del segnale A(x) da almeno sei canali EA. Dall’analisi agli autovalori del momento tensore è possibile determinare il tipo di fessura localizzata:

O1 O1

O X Y  Z , 2 O1

0

Y O Z , 3 O1 2

X 

Y Z, 2

(5)

dove, O1, O2 , O3 sono, rispettivamente, il massimo, il medio ed il minimo degli autovalori, X è la componente dovuta al taglio, Y è componente di trazione deviatorica, Z è la componente di trazione isotropa. Tenendo conto della precisione di calcolo della procedura SiGMA, Ohtsu [4] ha classificato una sorgente EA con X > 60% come una fessura dovuta al taglio, con X < 40% e Y + Z > 60% come una fessura dovuta alla trazione, e con 40% < X < 60% come una fessura di modo misto. Tramite l’analisi agli autovettori, inoltre, si possono determinare i versori l ed n, che determinano la direzione dello scorrimento e la giacitura delle superfici di frattura.

615

3.3. Monitoraggio dei provini PS6 e PN4 I saggi in muratura PS6 e PN4 sono stati monitorati con la tecnica EA per tutta la prova di carico. Durante il monitoraggio sono stati incollati sulle facce laterali dei provini sei trasduttori PZT con resine siliconiche. Queste resine sono buone conduttrici di ultrasuoni ed hanno il vantaggio di ridurre al minimo l’attenuazione dovuta alla distanza nella percezione dei segnali. Lo schema di applicazione dei sensori, per il provino PN4, è rappresentato nella Figura 13, le cui posizioni sono riportate nella Tabella 3. Posizione dei sensori (S)

x [mm]

y [mm]

z [mm]

S1 S2 S3 S4 S5 S6

74 0 0 83 31 15.5

521 417 80 0 150 0

284 395 316 602 495 417

Tabella 3. Posizioni dei sensori applicati sul provino PN4 PN4

C

A

D

4

4

B

4 5

5

834 mm

5

6

6 3

1

2

2 1

3

1 z

z 521 mm

y

310 mm

x

Figura 13. Posizionamento dei sensori PZT sulle quattro facce laterali del provino PN4

I provini sono stati sollecitati in controllo di deformazione, imponendo lo spostamento a velocità costante alla piastra superiore di carico. Nella Figura 14 sono riportati, in funzione del tempo, i diagrammi dei conteggi cumulativi dei segnali EA ottenuti durante le prove di carico. Essendo spostamenti imposti e tempi proporzionali è possibile confrontare i diagrammi delle Figure 5 e 6 con quelli della Figura 14. Da questa si osserva come i conteggi cumulativi crescano prima molto lentamente e poi proporzionalmente al carico, raggiungendo il valore massimo in prossimità del carico ultimo ottenuto per ogni prova. La funzione che rappresenta i conteggi differenziali (numero dei conteggi EA per ogni minuto di rilevamento) raggiunge, invece, il suo valore massimo nel ramo ascendente delle curve carico-spostamento per poi esaurirsi rapidamente in prossimità del carico ultimo. Dalla lettura dei diagrammi dei conteggi EA differenziali è quindi possibile individuare due fasi del processo di carico: un primo stadio in cui si ha la formazione delle fessure più estese ed il materiale raggiunge la condizione critica di danneggiamento, quindi una seconda fase in cui il materiale tende ad esaurire le capacità portanti. Dalla lettura dei diagrammi della Figura 14, si può inoltre osservare come il materiale cominci a rilasciare energia quando il livello di tensione, già raggiunto sui campioni integri, viene superato durante le prove sui provini consolidati. Questi risultati, in perfetto accordo

616

PN4

Conteggi differenziali EA

PS6

Conteggi cumulativi EA

Conteggi differenziali EA

Conteggi cumulativi EA

con il cosiddetto effetto Kaiser [5,6], sono utili per valutare anche in sito, mediante la tecnica EA, l’efficacia del consolidamento strutturale.

Tempo [minuti]

Tempo [minuti]

Figura 14. Diagrammi dei conteggi cumulativi e differenziali EA per i provini PS6 e PN4

Nella Figura 15 sono riportati, sulle facce D e B del provino PN4, le sorgenti di emissione acustica individuate durante la prova di carico. In particolare, durante la prova sono stati localizzati 32 punti sorgenti dei segnali EA registrati contemporaneamente da sei sensori. Su questi punti è stata anche svolta l’analisi momento tensore. La velocità di trasmissione dei segnali ultrasonici all’interno del materiale è risultata essere di circa 980 m/s, le frequenze più ricorrenti di circa 90 kHz. Le sorgenti, individuate mediante i triangoli, sono quelle rilevate nella prima fase della prova di carico, quelle rappresentate mediante quadrati, invece, sono state rilevate nella seconda fase, quando il materiale tende ad esaurire le capacità portanti. Le zone di processo del danneggiamento sono in buon accordo con quanto descritto nel Paragrafo 2.4. Dalla Figura si osserva come le microfratture siano localizzate soprattutto nella parte del provino compresa tra i due tiranti superiori. Un certo numero di punti è stato anche localizzato nella zona inferiore del provino. È importante sottolineare come quasi tutte le microfratture siano state individuate nelle zone tese della muratura. Queste zone, secondo il grafico della Figura 12a, sono chiaramente indicate dai trasduttori di spostamento 6 e 2 applicati sul provino PN4. Le direzioni l degli scorrimenti e le giaciture n delle superfici di frattura, per alcune delle microfratture localizzate con analisi momento tensore, sono sinteticamente rappresentate nella Figura 15. PN4

D

A

l

PN4

n

D

l n

l n

Figura 15. Localizzazione sul provino PN4 dei punti di formazione delle microfratture

617

3.4. Distribuzione statistica degli eventi EA La magnitudo in termini di emissione acustica, in analogia con i fenomeni sismici [7], viene definita come segue:

m

Log10 Amax  f (r ) ,

(6)

dove, Amax è l’ampiezza del segnale misurata in PV, mentre f(r) è un fattore di correzione che considera l’ampiezza del segnale come una funzione decrescente della distanza r tra la sorgente ed il sensore EA. La riduzione dell’ampiezza del segnale EA nelle strutture di grandi dimensioni è data da f(r) = k r, dove r è misurata in metri e k è uguale a cinque magnitudo per metro [7]. In sismologia, terremoti di grande magnitudo si verificano con frequenza minore rispetto a terremoti di piccola magnitudo. Ciò può essere quantificato, attraverso la distribuzione delle loro frequenze, con la legge empirica proposta da Gutenberg e Richter [8]: Log10 N t m a  bm , oppure N t m 10 a bm ,

(7)

dove N è il numero cumulativo di terremoti con magnitudo t m in una data area ed in uno specifico spazio temporale, mentre b ed a sono costanti positive che variano da regione a regione. La relazione (7) è stata utilizzata con successo nel campo delle emissioni acustiche per studiare le leggi di scala della distribuzione delle ampiezze delle onde EA [7]. Questo approccio dà risalto alle affinità tra il processo di danneggiamento in una struttura e l’attività sismica in una data regione della terra, ampliando le possibilità di applicazione della legge di Gutenberg-Richter anche alla Ingegneria Civile. Secondo l’eq. (7), il “b-value” rappresenta la pendenza della retta di regressione nel diagramma “log-lineare” della distribuzione delle ampiezze dei segnali EA. Tale parametro cambia sistematicamente in momenti diversi del processo di crisi, per cui può essere utilizzato per stimare le modalità di evoluzione del danneggiamento. Inoltre, gli effetti di scala sulla dimensione delle fratture individuate con la tecnica EA implicano, in analogia con i terremoti [7,8], la validità della seguente relazione: N t L c L2b ,

(8)

dove N è il numero cumulativo di eventi EA generati da difetti aventi dimensioni caratteristiche t L, c è il numero totale degli eventi EA e D = 2b è l’esponente frazionario della distribuzione. La distribuzione cumulativa (8) è sostanzialmente identica a quella proposta da Carpinteri [9], secondo la quale il numero di difetti di dimensione t L presenti in un corpo è dato da: N * t L N tot LJ .

(9)

Nella eq. (9), J è un esponente che misura il disordine, ossia il grado di dispersione della dimensione dei difetti, mentre Ntot è il numero totale dei difetti contenuti nel materiale. Eguagliando le distribuzioni (8) e (9), si trova che: 2b = J. Al collasso, quando la dimensione del difetto di dimensioni massime è proporzionale alle dimensioni caratteristiche della struttura, la funzione (9) è caratterizzata da un esponente J = 2, che corrisponde a b = 1. In [9] è anche dimostrato che J = 2 è un limite inferiore che corrisponde al minimo valore b = 1, osservato sperimentalmente quando la capacità portante di un elemento strutturale si esaurisce.

618

Applicando questi concetti all’analisi del “b-value” dei provini PS6 e PN4, si osserva come il primo abbia esaurito le capacità portanti durante la prova di carico con la formazione di fessure aventi dimensioni paragonabili a quelle del provino, lungo l’interfaccia tra il riempimento ed il paramento esterno (b-value # 1), mentre il secondo, caratterizzato da una fessurazione diffusa, abbia ancora delle riserve di resistenza prima di raggiungere il collasso definitivo (b-value # 1.7). La determinazione dei “b-value” per i due provini è riportata nella Figura 16.

log N

PS6 PS6: y =  1.005x + 5.559 PN4: y =  1.703x + 6.333

PN4

m Figura 16. Determinazione del “b-value” al termine della prova di carico dei due provini PS6 e PN4

4. CONCLUSIONI

Lo studio presentato esamina il comportamento di murature caratterizzate da una sezione non omogenea formata da paramenti murari esterni in conci di pietra squadrata ed un riempimento “a sacco” formato da frammenti litici misti a malta. Sui provini, già sottoposti a prove di taglio, sono stati applicati interventi di riparazione basati sull’iniezione di miscele idrauliche e sull’uso di tiranti metallici. Per valutare l’efficacia del consolidamento, quindi, sono state condotte nuove prove di taglio. Durante l’attività di laboratorio è stata utilizzata una sofisticata apparecchiatura per l’acquisizione e l’elaborazione dei segnali di emissione acustica. Le zone di processo del danneggiamento, individuate sui provini con la tecnica EA, sono in buon accordo con quanto analizzato sperimentalmente per mezzo dei trasduttori di spostamento. Infine, adottando tecniche statistiche associate al monitoraggio con l’EA, simili a quelle impiegate in sismica per la valutazione della distribuzione in frequenza dei terremoti  legge di Gutenberg-Richter (GR)  è stato possibile chiarire le relazioni che intercorrono tra gli eventi di microfessurazione ed il comportamento macroscopico che implica la perdita di capacità portante delle strutture.

RINGRAZIAMENTI Si ringraziano M. Brazzale, I. Mecca, J. Pina-Henriques, S. Rampoldi per la vasta attività sperimentale e M. Antico per il valido supporto tecnico. Si ringrazia, inoltre, A. Manuello Bertetto per il competente apporto fornito nell’applicazione della tecnica EA.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

VERIFICHE SPERIMENTALI DEI CINEMATISMI DI COLLASSO E DELLA PROPAGAZIONE DEL DANNO NEI MACROELEMENTI STRUTTURALI DI EDIFICI STORICO MONUMENTALI G. DE CANIO1, P.GIAQUINTO1, M.L. MONGELLI1, M.POGGI1, N.RANIERI1, G. ZINGONE2 1.ENEA C.R. Casaccia, Via Anguillarese 301 00060 S.M. di Galeria Roma 2.Centro di Prevenzione e Istruzione Sismica, Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica,Università degli Studi, Palermo

INTRODUZIONE I manufatti d’interesse storico monumentale sono particolarmente esposti ai rischi dovuti a cedimenti strutturali sia per la particolare tipologia cui appartengono, sia per lo stato di danneggiamento accumulato per effetto degli eventi storici, sismici e dell’invecchiamento. Questi edifici sono in genere molto complessi, di difficile modellazione ed il comportamento di essi non è certamente lineare. Nonostante ciò, i macroelementi strutturali appartenenti alla stessa tipologia, hanno risposte dinamiche e meccanismi di rottura simili; per cui, quasi sempre, si rende possibile pervenire ad una classificazione tipologica, basata sui meccanismi di collasso ed in termini di danno, relativamente a ciascuno dei macroelementi considerati. Le prove dinamiche su tavola vibrante di macroelementi strutturali significativi ( Arco, Timpano, Volta, ecc...), forniscono utili informazioni sui meccanismi di collasso che possono attingersi, sulla propagazione dello stato di danneggiamento e sulla distribuzione delle fratture. I risultati così acquisiti, consentono di programmare le tecniche d’intervento più appropriate e meno invasive per il consolidamento del particolare macroelemento preso in esame che, in definitiva, si traduce in una operazione di adeguamento sismico e mitigazione del rischio dell’intero sistema strutturale. Pertanto, si ritiene che le verifiche sperimentali su tavola vibrante dei macroelementi tipici delle diverse opere appartenenti al patrimonio storico monumentale, assumano una fondamentale importanza per la corretta interpretazione del comportamento in fase di collasso e per la individuazione di interventi efficaci e poco turbativi, adatti alla salvaguardia e tutela del patrimonio stesso. CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA DELLE STRUTTURE STORICO MONUMENTALI Il primo passo da effettuare per qualsivoglia intervento su un edificio storico monumentale consiste nell’analisi dettagliata della sua storia e degli eventi che ne hanno interessato l’esistenza. Essi sono particolarmente esposti ai rischi dovuti a cedimenti strutturali sia per la particolare tipologia cui appartengono, sia per lo stato di danneggiamento accumulato per effetto degli eventi storici, sismici e dell’invecchiamento. Questi edifici sono in genere molto complessi, di difficile modellazione ed il comportamento di essi non è certamente lineare. Tuttavia, in molti casi è possibile definire alcuni elementi comuni nell’evoluzione storica, derivanti da connotazioni socio culturali omogenee, che connotano in maniera più o meno marcata la storia dei monumenti interessati e consentono una classificazione tipologica dei manufatti. Questi elementi comuni consentono di definire delle tipologie strutturali ben definite [1] [2].

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In generale, i macroelementi strutturali appartenenti alla stessa tipologia, hanno risposte dinamiche e meccanismi di rottura simili; per cui, quasi sempre, si rende possibile pervenire ad una classificazione tipologica, basata sui meccanismi di collasso ed in termini di danno, relativamente a ciascuno dei macroelementi considerati. Alcuni degli aspetti fondamentali di queste tipologie strutturali sono: - le forme architettoniche che consentono di collocare il monumento in un dato periodo storico, - geometrie e dimensioni dei macro elementi strutturali (facciate, portali, arco, timpano, volta…) - materiali usati, tecnologie costruttive L’analisi del degrado e dei quadri fessurativi, una volta identificata la loro origine (carichi verticali, sismici, incendi, devastazioni, ecc…) , fornisce informazioni utili sulla qualità degli ammorsamenti e dei meccanismi di trasferimento degli sforzi tra i macroelementi strutturali ed i corpi murari. Il monitoraggio in sito e le prove dinamiche su tavola vibrante di macroelementi strutturali significativi ( Arco, Timpano, Volta, ecc...) [3] [4], forniscono utili informazioni sui meccanismi di collasso possibili, sulla propagazione dello stato di danneggiamento e sulla distribuzione delle fratture. PROVE IN SITO SUL MACRO ELEMENTO STRUTTURALE “FACCIATA“ E PROVE SPERIMENTALI SU UN MODELLO IN MURATURA SOLLECITATO FUORI PIANO Le problematiche della tutela, protezione, e valorizzazione delle risorse storico-architettoniche coinvolgono un ampio spettro di discipline e di tecniche, alcune specifiche, altre maturate da una pluralità di settori di ricerca, in cui risultano essere coinvolti i problemi della conoscenza (storica e materiale), della diagnostica, del monitoraggio dei fenomeni e delle tecniche di restauro e di miglioramento sismico dei sistemi tecnologicostrutturali. Si può sostenere a buon diritto che quella dei Beni Culturali è materia multidisciplinare per eccellenza in cui occorrono le conoscenze, la strumentazione e le attrezzature necessarie per affrontarne le problematiche, incentrando la propria attività sulla ferma convinzione che la messa in sicurezza dell'edilizia vincolata debba avvenire nel pieno rispetto dell'identità storico- culturale del bene oggetto di intervento. L’ approccio al problema consiste in: - una approfondita conoscenza del manufatto oggetto dell’intervento e delle relative problematiche sullo stato di conservazione attraverso una diagnostica “intelligente”, in grado di caratterizzare il sistema con l’ausilio di avanzate tecnologie non distruttive; - una progettazione sostenibile di interventi di rinforzo con materiali tradizionali o innovativi, al fine di renderne minima l’invasività; - un’applicazione delle moderne tecniche antisismiche, al fine di ridurre le azioni dinamiche trasmesse dal terremoto, piuttosto che incrementare la resistenza strutturale. Per poter verificare e validare in laboratorio l’efficacia dei materiali innovativi proposti e delle relative metodologie di applicazione per il rinforzo sismico dei sistemi strutturali in muratura, è individuato “un cantiere-pilota” caratterizzato da operazioni volte al recupero ed al consolidamento di un organismo architettonico con pregio storico-artistico: la Chiesa di Santa Maria in Gradi a Viterbo. La conoscenza di questo organismo architettonico e del relativo comportamento sismico sono aspetti prioritari nell’elaborazione di un progetto di restauro statico, che si deve basare sull’individuazione dei meccanismi di collasso più pericolosi, in funzione della vulnerabilità tipologica e specifica del manufatto. Le diverse tecniche murarie che caratterizzano la facciata e le murature perimetrali della Chiesa di Santa Maria in Gradi non permettono di poter fare affidamento su un comportamento monolitico dell’apparato, soprattutto nelle porzioni dove i setti risultano costituiti da paramenti accostati, senza un reale ammorsamento trasversale. In questo caso, un’azione sismica che colpisce la parete fuori dal piano, determinerebbe un’espulsione del paramento più esterno per valori di accelerazione inferiore rispetto a quelli che possono essere sopportati dalla parete in funzione della sua geometria. Le attività sono state articolate nelle seguenti fasi:

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-

-

preliminare raccolta ed organizzazione delle notizie storiche e delle informazioni sui precedenti interventi di consolidamento eseguiti sull’intero complesso architettonico; rilievo critico e speditiva osservazione delle caratteristiche tecnologico-costruttive del manufatto, fotografando e registrando sul supporto cartaceo i punti critici di macroscopica manifestazione delle anomalie; progettazione ed esecuzione delle indagini con strumentazione non distruttiva, con l’opportunità di ottenere, con rapidità e semplicità, informazioni globali sulla tipologia e sull’integrità della struttura indagata, ma soprattutto fornire risultati quantitativi, qualitativi e comparativi. Tecnologia

RILIEVO SPEDITIVO MONITORAGGIO STRUTTURALE

ENDOSCOPIA

GEORADAR

ULTRASUONI

Obiettivo: Attraverso i tradizionali sistemi di rilevamento in situ e con l’ausilio delle moderne tecnologie offerte dal laser-scan, è stato ottenuto il dimensionamento dell’intero organismo architettonico ed un puntuale rilievo dell’impianto tecnologico- costruttivo, espresso anche con immagini tridimensionali. Statico e dinamico che, con l’ausilio di un’apposita strumentazione articolata in eccitatori, accelerometri e centralina di acquisizione dati, permetterà di registrare il comportamento della struttura ad un determinato input dinamico. Utilizzando aperture, scassi o tasche esistenti sulla muratura e seguendo quanto previsto dalla mappatura dei punti d’indagine, l’ispezione diretta produrrà una serie di stratigrafie in grado di qualificare morfologicamente le sezioni selezionate sulla facciata principale. Attraverso lo studio delle scansioni prodotte dallo strumento, attendibili fino ad una profondità di circa 3 metri, verrà riscontrata la presenza o meno di preesistenze al di sotto dell’originaria navata centrale, definendo sommariamente le caratteristiche del sistema di fondazione. Inoltre attraverso un’apposita ed innovativa antenna per il rilevamento e la scansione verticale si potranno qualificare (dimensioni e morfologia) i sistemi costruttivi che compongono la porzione di muratura selezionata dalla facciata principale. Per adattarla il più possibile allo studio ed all’analisi dei sistemi costruttivi non omogenei, si cercherà di posizionare la sensoristica su porzioni di muratura caratterizzata da grandi blocchi squadrati di significative dimensioni; saremo così in grado di qualificare morfologicamente la sezione, individuando la presenza di vuoti, difetti o lesioni.

Fig. 1 la facciata della chiesa di S.M. in Gradi, laser-scanner: nuvola di punti, endoscopia, monitoraggio, georadar.

Negli studi di Lagomarsino ed altri [1] e di Restepo-Vélez e Maganes [2] si descrivono vari meccanismi di collasso per l’elemento strutturale “facciata”. Per ognuno di questi meccanismi si possono definire più casi a seconda del tipo di ammorsamento e della disposizione delle aperture. Per la facciata presa in esame, stante il quadro fessurativo esistente, ed in relazione al tipo di ammorsamento alle pareti saranno considerati tre meccanismi.

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1. 2. 3.

meccanismo di tipo I : ribaltamento verso l’esterno dell’intera facciata meccanismo di tipo II: ribaltamento verso l’esterno del solo timpano meccanismo di tipo III: rottura a taglio per azioni nel piano della facciata

Fig. 2 Meccanismo N°1 e N°2

Fig. 3 Meccanismo N° 3

Il calcolo dei moltiplicatori critici di collasso consente di individuare il valore critico rispetto al cui meccanismo di collasso definire l’intervento di consolidamento. Nel caso della facciata di S.M. in Gradi si propone la tecnica CAM ( Cucitura Attiva Muratura) sia per l’ammorsamento della facciata e del timpano alle pareti perimetrali (meccanism1 N°1 e N°2 ) sia rispetto alle azioni taglianti nel piano ( meccanismo N°3). La simulazione numerica agli elementi finiti della struttura consente di individuare i meccanismi principali. In Fig. 4 si vede la rappresentazione FEM generata con il codice PATRAN dei principali elementi strutturali :

Fig. 4 Rappresentazione FEM dei principali macroelementi strutturali considerati: timpano, facciata

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In Fig. 5 è mostrata la distribuzione della densità dell’energia di deformazione [J/m^3] per effetto di un’accelerazione orizzontale costante di 1g fuori piano della facciata, con la messa in evidenza del meccanismo di tipo 1 e 2, confermato anche dalla prima forma modale a 5.42 Hz ottenuta con il codice STRAUSS , mentre in Fig.6 si vede la distribuzione di energia di deformazione per un’accelerazione costante di 1g nel piano che innesca il meccanismo di tipo 3.

Fig. 5 Azione fuori piano, meccanismi di tipo 1 e 2 .

Fig. 6 Azione nel piano, meccanismo di tipo 3

I parametri di input dei materiali sono descritti in Tab. N°1 Tab. 1 caratteristiche dei materiali E [PA] G [KG/M3] Q

cemento 3.8E+10 2400 0.2

muratura 1.7E+9 1600 0.25

Con cui sono stati ottenuti i valori in Tab. 2 di max spostamento, di max energia di deformazione e di max sollecitazione, con evidente condizione di collasso della struttura. Tab. 2 risultati dell’analisi FEM, analisi statica per azione fuori piano spost. max [m] strain energy max [j] V!!ND1540 (von mises)[pa]

1.53 E-2 633.21 2.56 E+6

Per quanto riguarda i meccanismi per le azioni fuori piano, presso il laboratorio di dinamica strutturale e controllo delle vibrazioni dell’ENEA C.R. Casaccia sono state effettuate due campagne sperimentali con le tavole vibranti a 6 Gradi di libertà nell’ambito del progetto ISTECH1. Obiettivo dell’esperimento è stata la verifica di una nuova tecnica di ancoraggio dell’elemento strutturale “timpano” mediante smorzatori sismici realizzati con leghe a memoria di forma (SMA). Nel corso della campagna sperimentale sono state sottoposte ad una serie di prove sismiche due pareti in muratura (vedi

1

Progetto finanziato dalla CEE e svolto in collaborazione tra F.I.P. industriale, ENEA, ISMES, ISPRA e le Università di Roma, Lisbona e Salonicco.

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Fig. 7) caratterizzanti l’elemento strutturale “Timpano”, ancorate l’una con dispositivi convenzionali e l’altra con i dispositivi a memoria di forma. Nel corso di un evento sismico, una parete ancorata con dispositivi convenzionali presenta un sovraccarico di tensioni in corrispondenza delle piastre di inserimento delle barre nel muro, con conseguente rischio di formazione di fratture. Obiettivo dei dispositivi antisismici realizzati con leghe a memoria di forma denominate SMA ( Shape Memory Alloy) è di ridurre lo stato tensionale nei punti di attacco. Nel corso della prova con eccitazione alla base di 0.45g, il muro con i dispositivi convenzionali ( vedi Fig. 7) ha presentato una frattura netta nelle zone di maggiore sollecitazione, mentre sul muro con i dispositivi antisismici a memoria di forma non vi sono state fratture.

Fig. 7 Posizionamento sulla tavola vibrante, frattura in mezzeria, disposizione dei sensori per il monitoraggio La tabella seguente illustra i risultati della campagna sperimentale con il confronto dei risultati per il muro A e per il muro B. Tab. 3 matrice di prova Macro elemento strutturale “Timpano” consolidato con: A) dispositivi SMA “ a memoria di forma” ; B) dispositivi convenzionali

Nome del Test

Accelerazione Alla Base [g] Max / min

Muro (A) Esito sul Muro con Dispositivi SMA:

Muro (B) esito sul muro con dispositivi convenzionali:

1.1. BN 0 BN1

+0.09 / -0.06

Ok

ok

+0.17 / -0.18

Ok

ok

BN3

+0.36 / -0.41

Ok

ok

BN4att

+0.51 / -0.58

Ok

ok

BN4

+0.56 / -0.65

Ok

Frattura in prossimità delle flange d’attacco

Interruzione della prova Rimozione della parte superiore del muro B fratturato BN5att

+0.68 / -0.72

Ok

Frattura in mezzeria

BN5

+0.77 / -0.83

Ok

Frattura alla base Distruzione del muro

Interruzione della prova per collasso del muro B con dispositivi tradizionali. Il muro A con i dispositivi SMA non ha riportato alcun danno.

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PROVE SPERIMENTALI SUL MACRO ELEMENTO STRUTTURALE “ARCO ROMANO”, ANALISI DEI CINEMATISMI DI COLLASSO L’arco, nelle sue varie forme e composizioni è uno dei macroelementi strutturali più comuni a partire dal periodo Etrusco. Nell’esempio che segue viene presa in considerazione la forma più comune nel periodo Romanico, quella semicircolare. Schematicamente, i meccanismi di rottura dell’arco possono essere classificati in 4 categorie: 1. Per eccessiva tensione nei giunti di malta 2. Per superamento della sollecitazione di compressione critica nel materiale 3. Per taglio-scorrimento ed espulsione della chiave di volta 4. Cedimento dei piedritti Nell’esempio che segue, nel corso della prova sperimentale su tavola vibrante di un arco in mattoni a doppio paramento, la rottura avviene per espulsione in chiave di volta dovuta ad instabilità dei piedritti a seguito dell’azione sismica nel piano orizzontale. In Fig. 8 si vede l’arco posizionato sulla tavola vibrante, la disposizione dei sensori di accelerazione e le deformazioni massime relative alla prima forma modale ottenuta con la schematizzazione FEM: in a) l’asse neutro esce fuori dalla sezione, si supera la tensione limite nella malta e si forma la cerniera con espulsione dei mattoni in chiave di volta., la configurazione è isostatica, ma quando in b) si ha il moto nella direzione opposta l’asse neutro non tocca la chiave e la cerniera plastica si allarga espellendo altro materiale dall’estradosso. Ciò porta alla distruzione progressiva della chiave di volta fino al crollo dell’arco come si vede in Fig. 9.

Fig. 8:, posizione dei sensori e max spostamenti ( a) e (b) della prima forma modale

Fig. 9 Formazione della doppia cerniera ravvicinata in chiave di volta e crollo dell’arco

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PROVE SPERIMENTALI SUL MACRO ELEMENTO STRUTTURALE “TAMBURO”, ANALISI DEI CINEMATISMI DI COLLASSO La chiesa di San Nicolò l’Arena, ubicata nel centro storico di Catania, è dotata di una cupola con tamburo di rilevante snellezza, della stessa tipologia di quella del duomo di Noto ( Sicilia) che, nell’arco di due secoli, è andata fuori servizio per ben sei volte, sempre riprogettata con metodi tradizionali non adatti allo scopo. La chiesa di San Nicolò è inserita in un progetto di ricerca sulla prevenzione sismica ( progetto Catania 2 promosso e finanziato dal GNDT-INGV), nel cui ambito sono state effettuate prove di caratterizzazione dinamica tramite analisi vibrazionale in situ. L’analisi nel dominio del tempo e della frequenza dei dati acquisiti ha consentito di trarre informazioni di rilevante interesse sulla risposta del sisma e sullo stato di danneggiamento. In particolare ha evidenziato una situazione di rischio per torsione del tamburo della cupola di cui si è avuto conferma attraverso i modi di vibrare dedotti tramite analisi FEM in campo lineare. Con riguardo alla definizione degli interventi migliorativi da introdurre al livello del tamburo per migliorare le prestazioni rispetto alla domanda di duttilità per i moti torsionali riscontrati, si è ritenuto opportuno sviluppare un’indagine teorico sperimentale in campo non lineare. Non potendosi utilizzare la chiesa per indagare sul comportamento non lineare fino al collasso, attraverso prove in sito, è stato realizzato un modello in scala ridotta del sistema cupola-tamburo sottoposto a prove dinamiche su tavola vibrante presso l’ENEA C. R. Casaccia. In Fig. 10 e 11 sono rappresentati il progetto del modello in scala 1:6 del tamburo della cupola e la sua realizzazione con conci in muratura e piastra di sommità con masse aggiuntive per riprodurre i carichi della cupola.

Vista d'insieme del sistema piastra in C.A. 20 28

168

112

piastra in C.A. 28

20 290 320

(altezza concio cm 12 + altezza malta cm 2 = altezza filare cm 14) 57

(4conci+malta)=57 57

R127 R145

Fig. 10 progetto del modello per le prove su tavola vibrante

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Fig. 11 modello in scala del tamburo Con le prove su tavola vibrante è possibile acquisire utili informazioni per la metodologia di analisi non lineare e per verificare l’efficacia di diversi tipi di interventi migliorativi, ad effetto antisismico, sia tramite rinforzo strutturale sia tramite l’introduzione di elementi dissipativi da inserire tra i vani del tamburo. Di ciascuno di essi è possibile valutare l’incidenza del livello di duttilità del sistema strutturale migliorato, pervenendo ad una classificazione tipologica in termini di duttilità, da utilizzare per la scelta del tipo di intervento meno turbativo nei confronti della duttilità stessa. In particolare sono stati considerati 3 tipi di interventi: 1. Inserimento di telai di irrigidimento inseriti nei vani del tamburo 2. Inserimento di telai controventati 3. Applicazione del sistema DIS-CAM ( Cucitura Attiva della Muratura) + elementi dissipativi inseriti nei vani del tamburo. I sistemi 1 e 2 sono stati verificati tramite le prove su tavola vibrante, le prove con il sistema N°3 sono tuttora in corso. Per la simulazione numerica in campo lineare, la geometria della struttura in esame è stata discretizzata mediante 8645 elementi FEM di tipo 3D (exa ad 8 nodi) per un totale di 7185 nodi. Una prima analisi è stata condotta su un modello privo di rinforzi e irrigidimenti. L’analisi numerica è stata effettuate considerando le proprietà meccaniche del cemento riportate in Tab. 4, per quanto riguarda la muratura sono state effettuate le analisi per i diversi valori del modulo di elasticità riportati in Tab. 5.

Tab. 4 caratteristiche meccaniche del C. A. Cemento E [Pa]

3.8E+10

3

G [kg/m ]

2400

Q

0.2

Tab. 5 caratteristiche meccaniche della muratura

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0uratura E [Pa]

G [kg/m3]

Q

1.0E+8Pa

1600

0.2

9.6E+8Pa

1600

0.2

1.3E+9Pa

1600

0.2

1.7E+9Pa

1600

0.2

Sul modello completamente vincolato in tutti i 6 gradi di libertà alla base, è stata applicata una forzante orizzontale di 30000N al baricentro della piastra superiore. In Tab. 6 vengono riportati gli spostamenti massimi ottenuti al baricentro della piastra superiore. Tab. 6 spostamenti piastra superiore E [Pa] Spostamenti piastra superiore [m] Test 1

1.0E+8Pa

7.84E-3

Test 2

9.6E+8Pa

8.36E-4

Test 3

1.3E+9Pa

6.23E-4

Test 4

1.7E+9Pa

4.81E-4

Lo spostamento pari a 7.84 mm si ottiene assumendo E=1.0E+8 Pa: modulo elastico limite corrispondente al raggiungimento della tensione massima nel punto di maggiore sollecitazione corrispondente alla base del maschio murario come si vede in Fig. 12. In Tab. 7 sono riportati i max valori di sollecitazione alla base dei maschi murari per un carico orizzontale di 30 KN.

Fig. 12: distribuzione delle tensioni per un carico orizzontale di 30 KN

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Tab. 7: max valori di sollecitazione in corrispondenza dei punti maggiormente sollecitati. E [Pa] V

nd1540 (Von Mises)[Pa] V

nd1670 (Von Mises)[Pa] V

nd1800 (Von Mises)[Pa] Test 1

1.0E+8Pa

3.42187E+5

5.11527E+5

1.07418E+5

Test 2

9.6E+8Pa

3.43258E+5

5.12476E+5

1.07545E+5

Test 3

1.3E+9Pa

3.43654E+5

5.12836E+5

1.07595E+5

Test 4

1.7E+9Pa

3.44097E+5

5.13243E+5

1.07653E+5

In Fig. 13 si riportano le prime due forme modali ottenute per E = 1.7E+9 Pa ed in Tab. 8 le frequenze dei primi 6 modi per i quattro valori delle caratteristiche meccaniche della muratura

Fig. 13: primi due modi di vibrare ( flessionale e torsionale) del tamburo della cupola di San Nicolò l’Arena Tab. 8 primi 6 modi del tamburo rinforzato con telai in acciaio

Modo 1 2 3 4 5 6

Test 1 1.0E+8Pa ! Hz 4.8184 4.8263 8.0220 18.263 21.300 21.574

Test 2 9.6E+8Pa Hz 14.882 14.906 24.803 51.886 65.194 65.969

Test 3 1.3E+9Pa Hz 17.298 17.326 38.841 58.408 75.539 76.371

Test 4 1.7E+9Pa Hz 19.755 19.788 32.952 64.360 85.894 86.866

- Effetto dei telai di rinforzo ai vani finestra.

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I telai di rinforzo sono stati discretizzati agli elementi finiti come elementi monodimensionali a sezione rettangolare cava di fig. 14

Fig. 14 rappresentazione FEM dei telai in acciao di rinforzo dei vani del tamburo.

Fig. 15 simulazione FEM dell’effetto del telaio L’analisi modale mostra che le forme dei primi sei modi coincidono con quelle relative alla configurazione senza controventi, le frequenze dei primi 6 modi sono: Tab. 9: Primi 6 modi del tamburo con telai di rinforzo E=1.7E+9Pa modo Hz 1 21.133 2 21.148 3 35.687 4 64.728 5 85.465 6 85.482 L’ analisi statica del modello con telaio di rinforzo con carico di 30KN e muratura di caratteristiche meccaniche E=1.7E+9Pa mostra uno spostamento max della piastra superiore pari a 4.02 E-4 m.

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- Effetto dei rinforzi controventati: Successivamente sono stati inseriti i controventi di sezione 0.03 x 0.006 [m]come illustrato in Fig. 16.

Fig. 16 modello con telai controventati. L’analisi statica del modello controventato con valori del modulo di elasticità della muratura pari ad E= 1.7E+9 Pa fornisce il max valore di spostamento del baricentro della piastra in C.A. pari a 1.77E-04 m Le frequenze dell’analisi modale del modello rinforzato con i controventi ai vani finestra sono indicate in Tab. 10

Tab. 10 primi 6 modi del modello con telaio-controventi E=1.7E+9Pa Modo 1 2 3 4 5 6

Hz 27.514 27.517 50.504 64.791 86.609 86.618

ANALISI DELLO STATO LIMITE ULTIMO E DUTTILITA’ CON I CONTROVENTI, SENZA CONTROVENTI IN PRESENZA DEL TELAIO E SENZA ALCUN TIPO DI RINFORZOALLA TESTA E AL PIEDE DEI MASCHI MURARI. Ai due filari di conci situati alla testa ed al piede dei maschi è stato assegnato un modulo elastico ridotto di valore E = 9.6E+8 Pa. Tale valore corrisponde al regime danneggiato in cui è stato ipotizzato l’insorgere di un meccanismo piano per cui i maschi murari si comportano come pendoli con formazione di cerniere plastiche alla testa e al piede. In Tab. 11 e 12 si riportano i risultati degli spostamenti [m] fin qui ottenuti nei nodi 498 e 1798

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posizionati in prossimità degli elementi alla testa e ai piedi dei maschi murari. In Tab. 11 i risultati suddetti sono relativi ad E=1.7E+9Pa per tutta la parte muraria, in Tab. 12 è stato applicato il modulo elastico ridotto E = 9.6E+8 Pa ai due filari di conci situati alla testa ed al piede dei maschi murari. Tab. 11: spostamenti alla testa ed al piede dei maschi murari più sollecitati Modello non danneggiato Nodo Struttura Telaio Controventi 498 4.46 E-4 3.81 E-4 1.77 E-4 1798 4.70 E-5 4.00 E-5 2.20 E-5

Nodo 498 1798

Tab. 12: Spostamenti allo stato limite ultimo Analisi stato Limite ultimo e duttilità Struttura Telaio 6.43 E-4 4.21 E-4 4.70 E-5 4.10 E-5

Controventi 2.55 E-4 2.70 E-5

PROVE SISMICHE SPERIMENTALI ESEGUITE SUL MODELLO RIPRODOTTO IN LABORATORIO IN SCALA 1:6 DEL TAMBURO DELLA CHIESA DI SAN NICOLO’ La campagna di prove sperimentali è stata condotta nei laboratori ENEA della Casaccia presso MAT-QUAL su una tavola vibrante dalle dimensioni di [m] 4 x 4 a 6 gradi di libertà.

Fig. 17 modello rinforzato con telai e controventi, linee di frattura dopo la prova su tavola vibrante Le prove sono state eseguite sul modello in scala utilizzando in input il sisma registrato dalla stazione di Parco Gioeni a Catania di cui vengono di seguito riportate le caratteristiche e le time history in X, Y, Z (Tab. 13, Fig. 18-21) Stazione: Catania Parco Gioeni Lat= 37°.52 N , Lon= 15°.08E : Evento N° 1 : Registrazione del 21-11-2005 Epicentro: Sicilia Orientale Lat=37°.6 N lon=14°.16 E Profondità 63.2 Km MI=4.7 Distanza Epicentrale stazione = 82.07 Km; Max Picchi accelerazione cm/sec**2: Longitudinale = 0.983 ; Verticale = 1.28 ; Trasversale = 1.312 Tab. 13 parametri sisma N°1 Sisma N° 1 Lon (X) Ver (Z) Lat (Y) Max Acc g 0.122 0.113 0.097 RMS Acc g 0.013 0.014 0.010 Arias m/s 0.048 0.060 0.031 Ic 0.006 0.007 0.004

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0.1 0.08 0.06

Ac c eleration [g]

0.04 0.02 0 -0.02 -0.04 -0.06 -0.08 -0.1 -0.12 0

1

2

3

4

5

6

7

8

9 Time [sec]

10

11

12

Fig. 18,19: Sisma N°1 Scalato 0.1g picco, Time History

13

14

15

16

17

18

Componente X e Y ( EW e NS)

0.08

A c c eleration [g]

0.06 0.04 0.02 0 -0.02 -0.04 -0.06 -0.08

-0.1 0

1

2

3

4

5

6

7

8

9 10 Time [sec]

11

12

13

14

15

16

17

18

0.4 0.38

Damp. 5.0% Damp. 10.0% Damp. 15.0%

0.36 0.34 0.32 0.3

Pseudo-Acceleration [g]

0.28 0.26 0.24 0.22 0.2 0.18 0.16 0.14 0.12 0.1 0.08 0.06 0.04 0.02 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

22 24 26 28 Frequency [Hz]

30

32

34

36

38

40

42

44

46

48

50

Fig.20: Sisma N°1 Scalato 0.1g picco, Pseudo Accelerazione Sa(Hz) Componente X (EW longitudinale)

635 &UROOLXQLFRSGI



0.36 0.34

Damp. 5.0% Damp. 10.0% Damp. 15.0%

0.32 0.3 0.28

Response Acceleration [g]

0.26 0.24 0.22 0.2 0.18 0.16 0.14 0.12 0.1 0.08 0.06 0.04 0.02 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

22 24 26 28 Frequency [Hz]

30

32

34

36

38

40

42

44

46

48

50

Fig. 21: Sisma N°1 Scalato 0.1g picco; Pseudo Accelerazione Sa(Hz); Componente Y (NS Trasversale) Sono stati posti 5 accelerometri sulla tavola (A01x, A01y, A01z, A02y, A02z), 3 accelerometri sul tamburo (A11x, A11y, A12y) e dei misuratori di spostamento (LA1, LA2, LB1, LB2, LD1, LD2) in corrispondenza delle aperture A,B, D indicate in Fig. 22.

Fig. 22: posizionamento sensori sul tamburo

636 &UROOLXQLFRSGI



Vengono riportati i risultati delle prove sperimentali condotte sulla struttura non rinforzata. Le prove su telai e controventi sono ancora in fase di elaborazione e saranno oggetto di un documento successivo. In una prima fase sono state effettuate prove senza e con masse aggiuntive per riprodurre l’effetto del peso della cupola. In Fig. 23 e 24 si vedono gli effetti in termini di picco di accelerazione in sommità in funzione del picco di accelerazione alla base della tavola.

prova senza masse aggiuntive 0.45

risposta in sommità

0.4 0.35 0.3 A11x(lon) A12x ( lon) A12y (lat)

0.25 0.2 0.15 0.1 0.05 0 0.2

0.25

0.3

0.35

0.4

0.45

0.5

0.55

0.6

PGA Input A0y

Fig. 23: picchi di accelerazione in sommità del tamburo in funzione del PGA alla base.

prova con masse aggiuntive 0.45

Risposta in sommità

0.4 0.35 0.3 A11x(lon) A12x ( lon) A12y (lat)

0.25 0.2 0.15 0.1 0.05 0 0.2

0.25

0.3

0.35

0.4

0.45

0.5

0.55

0.6

PGA input A0Y

Fig. 24 Effetto delle masse aggiuntive di 9000Kg per il rispetto della similitudine in scala.

Per valutare l’effetto dei rinforzi con telai di irrigidimento e controventi si è applicato il sisma di Colfiorito (Umbria) caratterizzato da un forte impulso ad alta frequenza, particolarmente dannoso per le murature. Data la breve durata per effetto della riduzione in scala ( circa 7 sec), il sisma è stato concatenato 3 volte:

637 &UROOLXQLFRSGI



Umbria Marche 1997 MI=5.9; Località Colfiorito lat= 43°.037 N lon=12°.921E; Distanza Epicentro 5Km; Suolo : Stiff

Tab. 14 Caratteristiche input Colfiorito Colfiorito x3 Lon (X) EW Ver (Z) 0.295 0.161 0.044 0.031 0.587 0.309 0.0417 0.025

Max Acc g RMS Acc g Arias m/s Ic

Lat (Y) NS 0.212 0.044 0.569 0.040

0.15 Acceleration [g]

0.1 0.05 0

-0.05 -0.1

-0.15 -0.2 0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10 Time [sec]

11

12

13

14

15

16

17

18

19

13

14

15

16

17

18

19

Acceleration [g]

Fig. 25: Colfiorito NS concatenato 3 volte 0.3 0.25 0.2 0.15 0.1 0.05 0 -0.05 -0.1 -0.15 0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10 Time [sec]

11

12

Fig. 26 Colfiorito EW concatenate 3 volte

638 &UROOLXQLFRSGI



0.6 0.55

Damp. 5.0% Damp. 10.0% Damp. 15.0%

0.5 0.45

Response Acceleration [g]

0.4 0.35 0.3 0.25 0.2 0.15 0.1 0.05 0 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

22 24 26 28 Frequency [Hz]

30

32

34

36

38

40

42

44

46

48

50

Fig. 27: Colfiorito NS concatenate 3 volte, Pseudo Accelerazione Sa(Hz)

0.46 0.44 Damp. 5.0% Damp. 10.0% Damp. 15.0%

Response Acceleration [g]

0.42 0.4 0.38 0.36 0.34 0.32 0.3 0.28 0.26 0.24 0.22 0.2 0.18 0.16 0.14 0.12 0.1 0.08 0.06 0.04 0.02 2

4

6

8

10

12

14

16

18

20

22 24 26 28 Frequency [Hz]

30

32

34

36

38

40

42

44

46

48

50

Fig. 28: Colfiorito EW concatenate 3 volte,. Pseudo Accelerazione Sa(Hz)

639 &UROOLXQLFRSGI



prova con telaio di rinforzo. Input colfiorito *3 1 0.9

risposta in sommità

0.8 0.7 0.6

A11x(lon) A12x ( lon) A12y (lat)

0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 0

0.5

1

1.5

2

2.5

PGA A0y

Fig. 29 Prova con telaio di rinforzo

Conclusioni: I risultati acquisiti tramite le prove sperimentali su tavola vibrante, consentono di programmare le tecniche d’intervento più appropriate e meno invasive per il consolidamento del particolare macroelemento preso in esame che, in definitiva, si traduce in una operazione di adeguamento sismico e mitigazione del rischio dell’intero sistema strutturale . Pertanto, le verifiche sperimentali su tavola vibrante dei macroelementi tipici delle diverse opere appartenenti al patrimonio storico monumentale, assumano una fondamentale importanza per la corretta interpretazione del comportamento in fase di collasso e per la individuazione di interventi efficaci e poco turbativi, adatti alla salvaguardia e tutela del patrimonio stesso. Ringraziamenti: Gli autori desiderano ringraziare il personale ENEA che ha partecipato alle prove in laboratorio ed ai rilievi della facciata di S. Maria in Gradi: Alessandro Colucci, Francesco di Biagio, Massimiliano Baldini e Paolo Maci per i rilievi con il laser scanner ed il Georadar; Angelo Tati, Nicola Labia e Stefano Bonifazi per i rilievi con gli ultrasuoni e l’endoscopia; Gianni Fabrizi per le prove di caratterizzazione dinamica. Bibliografia: [1] S. Lagomarsino, S. Podestà, S. Resemini, E. Curli & S. Parodi 2004: Mechanical models for the seismic vulnerability assessment of churches. Proc. 4th Int. Seminar on Structural Analysis of historical Constructions, 10-13 Nov. 2004, padova, Italy [2] L.F. Restepo-Vélez, G. Maganes 2004: Experimental testing in support of a mechanics-based procedure for the seismic risk evaluation of unreinforced msonry buildings. Proc. 4th Int. Seminar on Structural Analysis of historical Constructions, 10-13 Nov. 2004, padova, Italy [3] De Canio G.,2000: Large Scale experimental facilities at ENEA for seismic tests on structural elements of the historical/monumental cultural Heritage. Proc. 9th Int. Congress on Deterioration and Conservation of Stone, Venice 19-24 June 2000 [4] De Canio G., Giaquinto P., Ranieri N., Renzi E. Volpe R.,2001: Seismic tests for innovative anchorage systems of structural elements in historical monumental cultural heritage. Proc. 7th Int. Congress on Seismic Isolation, Passive Energy Dissipation and Active control of Vibrations of Structure , Assisi,Italy, 2-5 October 2001

640 &UROOLXQLFRSGI



CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

L’UTILIZZO DEL METODO WINDSOR NELLA VALUTAZIONE DELLA RESITENZA MECCANICA DEL CONGLOMERATO CEMENTIZIO

1

R. PUCINOTTI1 Dipartimento di Meccanica e Materiali Facoltà di Ingegneria Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria

SOMMARIO Nel presente lavoro vengono esaminate le metodologie operative ed i risultati di una campagna di indagini non distruttiva eseguita su elementi strutturali in conglomerato cementizio armato esistenti. In particolare i risultati delle indagini penetrometriche sono confrontate con i risultati di prove di compressione eseguite su campioni cilindrici di conglomerato cementizio prelevati, mediante carotaggio, dagli stessi elementi strutturali. Lo scopo è quello di comprendere più a fondo le velate insidie connesse con l’applicazione e l’interpretazione dei risultati di tale metodo e di formulare inoltre alcune regole di carattere pratico-applicativo. ABSTRACT In this paper the results of a series of non-destructive tests conduct on reinforced concrete buildings are presented. Correlations that have been developed between the Windsor probe test and the compressive strength of concrete are presented. The objective of this application is to realize the difficulty of reliable results assessment.

1. INTRODUZIONE Un atteggiamento culturale e progettuale particolarmente sensibile al recupero dei vecchi edifici, si sta diffondendo sia in Italia che in tutta Europa. Infatti, soprattutto in Italia, sta crescendo la constatazione e la consapevolezza della necessità di coprire il fabbisogno abitativo oltre che con di una politica rivolta alla produzione di nuove unità abitative, anche e soprattutto attraverso il recupero edilizio dell’esistente. Questo però in assenza di regole specifiche, può condurre ad affrontare il problema indscriminatamente ed in modo non adeguato. Questo può essere certo causa di effetti addirittura negativi sulla stabilità degli organismi strutturali interessati. Il problema della sicurezza strutturale, con riferimento alle costruzioni esistenti, deve essere affrontato con impegno molto maggiore rispetto a quanto non si facci per la progettazione di nuove opere. Infatti le incertezze connesse alla scelta ed al coretto impiego dei materiali possono, in questi casi, solo essere ipotizzati, sulla base della conoscenza delle

641

metodologie costruttive e delle tecniche di esecuzione normalmente impiegate, in quel determinato luogo, nel periodo di realizzazione dell’edificio in stesso. Purtroppo la storia delle opere in cemento armato è tristemente segnata da una serie di “Crolli” nonostante il fatto che la tecnica delle costruzioni abbia raggiunto ormai elevati livelli di approfondimento. Infatti, sono numerosi ormai gli episodi di cedimenti strutturali e di crolli che hanno come origine comune cause dovute ad errori di progettazione o di realizzazione. Ne sono testimonianza i numerosi lavori presentati da altri autori a questo convegno. Con la recente ordinanza n. 3274 del 20/03/2003 recante i “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica” pubblicata sulla G.U. (suppl. n. 72 al n. 105 del 8/5/2003) e la sua integrazione, viene sottolineata l’importanza del controllo dello stato di “salute” degli edifici esistenti attraverso la prescrizione di indagini e rilievi in situ a cui corrispondono diversi livelli di conoscenza (LC) e, di conseguenza, differenti metodi di analisi e coefficienti di sicurezza accettabili [1, 2]. Prima di progettare un qualsiasi intervento riabilitativo è indispensabile formulare un’adeguata “diagnosi strutturale”. Cioè deve essere indagato a fondo lo stato di salute dell’intera struttura, delle sue singole componenti, nonché dei materiali. Questo può essere perseguito mediante la conduzione di indagini non invasive che consentano di attingere informazioni di natura fisica e meccanica sugli elementi strutturali, arrecando loro un disturbo decisamente contenuto. Un danneggiamento continuo che comporta un peggioramento delle capacità di resistenza degli elementi strutturali, è una condizione a cui devono sottostare tutte le costruzioni con il passare del tempo. Questo danneggiamento, o degrado strutturale, ha cause diverse ed è influenzato da diversi fattori. Tutto ciò comporta la riduzione del livello di sicurezza globale delle strutture e la necessità di controllare nel tempo il degrado fisico e meccanico dei materiali. La resistenza a compressione rappresenta il parametro più adatto per caratterizzare la qualità di un calcestruzzo. La determinazione della resistenza a compressione del calcestruzzo in opera può essere effettuata sia mediante l’impiego di metodi distruttivi che di metodi nondistruttivi o semi-distruttivi. I primi comportano un certo grado di danneggiamento mentre i secondi non arrecano danni rilevanti agli elementi strutturali indagati [3, 4, 5, 6, 10, 11, 12]. Tra le tecniche di indagine non distruttiva, o semi-distruttiva, per la valutazione delle proprietà meccaniche del calcestruzzo, il metodo Windsor, si riconosce essere tra quelle più diffuse. Nel presente lavoro vengono esaminate le metodologie operative ed i risultati di una campagna di indagini non distruttiva eseguita su elementi strutturali in conglomerato cementizio armato di alcuni edifici esistenti. In particolare i risultati delle indagini penetrometriche sono confrontate con i risultati di prove di compressione eseguite su campioni cilindrici di conglomerato cementizio prelevati, mediante carotaggio, dagli stessi elementi strutturali. Lo scopo è quello di comprendere più a fondo le velate insidie connesse con l’applicazione e l’interpretazione dei risultati di tale metodo; inoltre quello di formulare alcune regole di carattere pratico-applicativo.

642

2. LE INDAGINI PENETROMETRICHE L’introduzione delle tecniche penetrometriche, per la valutazione della resistenza a compressione del calcestruzzo in situ, avvenne tra il 1964 ed il 1966. Lo sviluppo della tecnica Widsor nacque dall’impegno comune dell’Autorità portuale di New York e della Windsor Machinery Co., Connecticut [7] interessate entrambe alla valutazione della resistenza a compressione del calcestruzzo in situ mediante l’impiego di tecniche non invasive. 2.1. Generalità I metodi penetrometrici si basano sulla determinazione della profondità di penetrazione di una sonda (in lega di acciaio) infissa nel calcestruzzo con una certa energia. La misura della profondità di penetrazione, ovvero della lunghezza della parte di sonda non infissa nel calcestruzzo, può essere messa in relazione con la resistenza a compressione del calcestruzzo stesso. 2.2. Il metodo Windsor Lo strumento più diffuso per la conduzione di indagini penetrometriche è la Sonda Windsor, ed il sistema prende il nome di “Windsor probe equipment” (Figura 1): esso è composto dalla pistola, dalle sonde, da un dispositivo per il controllo della distanza minima tra le sonde (di forma triangolare) e, nelle versioni più recenti, da un dispositivo di misura digitale che fornisce direttamente, una volta impostata la durezza Mohs, la resistenza a compressione espressa in MPa. Il valore di tale resistenza è correlata alla lunghezza di esposizione della sonda da una legge di correlazione standard ed impostata, dalla casa costruttrice del sistema, in funzione della durezza Mohs selezionata.

Figura 1. Windsor probe system

643

Nel metodo Windsor, il parametro che caratterizza il metodo prende il nome di indice di penetrazione ed è rappresentato dalla lunghezza della parte di sonda non penetrata nel calcestruzzo. L’indice di penetrazione viene successivamente correlato alla resistenza a compressione del calcestruzzo in funzione della durezza dell’inerte presente nell’impasto di calcestruzzo. I costruttori forniscono delle scale di correlazione [6], ricavate in Laboratorio empiricamente, che legano la resistenza a compressione con la lunghezza di sonda non infissa in funzione della durezza degli inerti presenti all’interno del calcestruzzo. Tale durezza viene universalmente misurata facendo riferimento alla scala Mohs. Questa suddivide gli inerti in 10 classi; la prima classe, individuata con il numero 1 si riferisce al all’inerte più tenero (il talco), l’ultima classe, la numero 10, si riferisce all’elemento più duro (il diamante). Le sonde realizzate in lega di acciaio, hanno forma cilindrica e le seguenti dimensioni: (diametro d=7.94 mm e lunghezza l=79.4 mm). Nella conduzione della prova i punti non devono essere posti tra loro a distanza inferiore ai 17.8 cm mentre non possono essere posti a distanza inferiore ai 10.2 cm da ogni spigolo dell’elemento sottoposto ad idagine [6, 8, 9]. Per ogni prova vengono infisse tre sonde ed il risultato della prova è costituito dalla media delle tre misure effettuate (Figura 2). L’attendibilità del risultato dipende dallo scarto fra i tre valori rilevati [6]. In figura 3 è riportato il valore della resistenza a compressione ricavato dalle tabelle di taratura della Sonda Windsor al variare della durezza dell’inerte misurata nella scala Mohs in corrispondenza di una lunghezza di esposizione della sonda di 45.7 mm.

Figura 2. Sonde infisse in una trave in c.a.

Come si può costatare dall’osservazione della figura 3 la durezza dell’inerte gioca un ruolo molto importante nella valutazione della resistenza a compressione del calcestruzzo.

644

Senza una stima adeguata dei valori della durezza dell’inerte si possono ottenere valori della resistenza a compressione stimati con errori di rilevante entità. Infatti, (figura 3) per un valore della lunghezza di esposizione della sonda infissa nel calcestruzzo Le di 45.7 mm , si ottengono, al variare della durezza dell’inerte da Mohs 7 a Mosh 3 valori della resistenza a compressione stimati variabili tra 20.69 MPa e 39.13 MPa. Cioè valori con differenze che raggiungono circa l’89%. All’aumentare della lunghezza di esposizione le differenze tra i valori ricavati in corrispondenza delle varie durezze Mohs diventano invece meno marcate. Si veda a tal proposito la figura 4. Infatti per una lunghezza di esposizione di 62.2 mm, si ricavano rispettivamente per Mohs 7 valori di resistenza a compressione di 59.99 MPa e per Mosh 3 valori di 68.95 MPa, con differenze che raggiungono invece il 14%. Nelle figure 5 e 6 la lunghezza di esposizione della sonda viene messa in relazione con la durezza Mohs per due differenti valori fissati della resistenza a compressione Windsor: rispettivamente per Rw = 20.69 MPa e per Rw = 59.99 MPa.

Resistenza Windsor: Le=45.7 mm 50

Rw [MPa]

40 30 20 10 0 Mohs 3

Mohs 4

Mohs 5

Mohs 6

Mohs 7

Figura 3. Resistenza a compressione al variare della durezza Mohs per una Le = 45.7mm

E’ facile constatare anche in questo caso come per calcestruzzo di classe più scadente, al variare della durezza dell’inerte nella scala Mohs, si registrano variazioni più marcate nei valori previsti della lunghezza di esposizione. In particolare per Rw = 20.69 MPa, le tabelle di correlazione dello strumento, prevedono una lunghezza di esposizione di 35.6 mm in corrispondenza di Mohs 3 e di 45.7 mm per Mohs 7 con una variazione di circa il 28%. La variazione risulta molto contenuta per calcestruzzi di classe migliore; infatti per Rw = 59.99 MPa è pari a circa ll’8%. Il guaio è che proprio per i calcestruzzi più scadenti, per i quali servono stime più accurate della resistenza a compressione del calcestruzzo sotto indagine, gli scarti diventano più marcati ed il metodo, quindi più incerto, in quanto più legato alla corretta assegnazione della durezza Mohs. A questo si aggiunge la considerazione che comunque i conglomerati nella maggior parte dei casi vengono confezionati con inerti di provenienza fluviale che, molto spesso, contengono inerti appartenenti a quasi tutte le classi di durezza.

645

E’ evidente quindi come la determinazione della resistenza a compressione del calcestruzzo in situ non si può basare soltanto sulla ricerca della più opportuna durezza Mohs da assegnare agli aggregati, ma piuttosto deve ottenersi da una corretta legge di correlazione da stabilirsi ad hoc di volta in volta; una legge di taratura, ricavata sulla base di prove a compressione eseguite su campioni prelevati in situ in corrispondenza delle indagini penetrometriche, deve essere pertanto ricavata.

80

Resistenza Windsor: Le=62.2 mm

Rw [MPa]

60

40

20

0 Mohs 3

Mohs 4

Mohs 5

Mohs 6

Mohs 7

Figura 4. Resistenza a compressione al variare della durezza Mohs per una Le = 62.2mm

Resistenza = 20.69 MPa 50 Le [mm]

40 30

35.6

38.1

Mohs 3

Mohs 4

40.3

43.2

45.7

20 10 0 Mohs 5 Mohs 6 Durezza Mohs

Mohs 7

Figura 5. Lunghezza di esposizione al variare della durezza Mohs per un valore di Rw = 20.69 MPa

646

3. APPLICAZIONE Le indagini sperimentali sono state condotte su alcuni elementi strutturali di un edificio per civile abitazione realizzato intorno agli anni ’50 nel comune di Reggio Calabria. Per l’edificio, realizzato in zona periferica nella città di Reggio Calabria, era prevista la demolizione. Per tale motivo è stato possibile effettuare una vasta campagna di indagini sperimentali mediante l’impiego di tecniche non distruttive e distruttive finalizzate alla individuazione di leggi di correlazione utilizzabili per la stima della resistenza a compressione del calcestruzzo in situ. In questo articolo vengono presentate le correlazioni ricavate tra indagini penetrometriche e le prove a compressione su carote prelevate sugli stessi elementi strutturali. In particolare viene messo in evidenza l’portanze e la necessità di redigere curve di correlazione ad hoc; cioè curve di correlazione che abbiano una validità generalmente accettabile per l’intero organismo strutturale. Tale operazione risulta comunque di difficile soluzione soprattutto perchè i calcestruzzi impiegati all’epoca della realizzazione della struttura in esame, non hanno le stesse caratteristiche di resistenza e di omogeneità se non altro perché confezionati in tempi diversi: getto delle fondazioni, getto dei pilastri del primo ordine, getto delle travi del primo impalcato, e così via. La costruzione di un’unica curva di taratura valida per tutti gli elementi strutturali indagati risulta fondamentale quando si vuole ridurre al minimo il disturbo da arrecare all’organismo strutturale indagato. In tabella 1 ed in Figura 7 le resistenze delle prove a compressione sulle carote sono messe in relazione con quelle ottenute con il metodo Windsor.

Resstenza = 59.99 MPa

70 60

57.2

58.8

60.2

61.3

62.2

Mohs 3

Mohs 4

Mohs 5

Mohs 6

Mohs 7

Le [mm]

50 40 30 20 10 0 Durezza Mohs

Figura 6. Lunghezza di esposizione al variare della durezza Mohs per un valore di Rw = 59.99 MPa

647

E’ possibile osservare che, per valori delle resistenze delle carote maggiori di 14-15 MPa, esiste un buon accordo tra queste e i risultati delle indagini penetrometriche. Per valori di resistenze delle carote minori di 15 MPa, la Sonda Windsor, restituisce risultati che non sono più accettabili: essi infatti risultano in netto disaccordo con i risultati delle prove a compressione condotte sulle carote: all’aumentare del valore della resistenza Windsor, si registra un decremento del valore della resistenza a compressione“reale”. Questo fatto si aggiunge alle considerazioni già svolte alla fine del paragrafo 2.2 è rende più chiaro quanto sia importante la ricerca di curve di correlazione per conglomerati cementizi confezionati con inerti di vario tipo e che abbiano bassi valori della resistenza a compressione.

20.23

Resistena a Compressione Carote [MPa] 16.63

15.1

18.96

Resistena a Compressione Carote [MPa] 20.05

17.3

19.43

16.81

15.23

16.63

20.12

18.89

16.42

18.57

20.84

18.57

16.6

15.6

21.25

17.02

16.72

15.1

21.5

19.76

16.8

19.02

22.15

22.1

17.38

16.1

22.5

18.82

17.52

20.05

23

19.81

17.66

21.54

27.51

14.89

17.96

18.89

32.93

14.03

17.97

19.89

34.59

11.87

18.05

16.22

36.91

12.81

18.09

18.89

38.25

11.96

18.55

17.22

37.42

13.6

Resistenza Windsor [MPa]

Resistenza Windsor [MPa]

Tabella 1. Correlazione tra Resistenza a Compressione e Resistenza “Windsor”

648

30

2

Rc= -0.0009Rw + 0.3498Rw + 12.058 Rc [MPa]

20

10 Rc = -0.1664Rw + 19.024 0 10

15

20 25 Rw [MPa]

30

35

40

Figura 7: Correlazione tra Resistenza a Compressione e Resistenza “Windsor”

4. CONCLUSIONI Viene presentato il metodo penetrometrico per la determinazione della resistenza a compressione del calcestruzzo in situ. Il risultato delle prove eseguite mediane l’impiego della Sonda Windsor, ha messo in evidenza come i risultati siano fortemente influenzati dal numero di classi di durezza degli inerti. Infatti i risultati presentano incertezze via via crescenti all’aumentare del numero delle classi di durezza a cui appartengono gli aggregati che compongono il calcestruzzo in esame. Il metodo risulta sicuramente più affidabile quando gli inerti contenuti negli elementi da indagare appartengono a due od al massimo a tre classi di durezza Mohs. In questo caso l’incertezza collegata alla giusta assegnazione della durezza agli aggregati si riduce. Si ritiene di fondamentale importanza nel caso della presenza contemporanea di più classi di durezza Mohs, la determinazione di una durezza equivalente da assegnare caso per caso agli aggregati presenti e quindi ritarare successivamente le curve di correlazione. E’ in pieno svolgimento uno studio che ha lo scopo di stabilire un criterio per la valutazione e l’assegnazione di durezza Mohs “equivalente” da impiegare per i calcestruzzi confezionati a Reggio Calabria e Provincia. Sono stati preparati dei calcestruzzi con diversa resistenza caratteristica, sia con inerti di provenienza fluviale (e quindi appartenenti a differenti classi di durezza Mohs) che con aggregati provenienti da cava (e quindi appartenente ad una sola classe di durezza). Con tali calcestruzzi sono stati preparati cubetti, cilindri e modelli. Sui di essi verranno eseguite indagini penetrometriche e prove a compressione. In particolare i campioni preparati (Figure 8 e 9) sono riportati nelle Tabelle 2 e 3 rispettivamente per calcestruzzi confezionati con un solo tipo di inerti (inerti provenienti da cava) e per calcestruzzi confezionati con inerti appartenenti a più classi di durezza Mohs (inerti di provenienza fluviale).

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Inerti di una sola classe di durezza Mohs (provenienti da cava) Rck=15 ed Rck=25

Numero totale Campioni

Cilindri: )100 h=200 mm

2+2

Cubetti: 150x150x150

2+2

Modelli

2+2

600x600x200

Tabella 2. Campioni da sottoporre a prova Inerti di più classe di durezza Mohs (provenienti da fiume) Rck=15 ed Rck=25

Numero totale Campioni

Cilindri: )100 h=200 mm

2+2

Cubetti: 150x150x150

2+2

Modelli

2+2

600x600x200

Tabella 3. Campioni da sottoporre a prova

I risultati di tali indagini saranno presentati nei prossimi convegni. Concludendo con riferimento alle indagini fino ad ora condotte, c’è da sottolineare che il confronto ha messo in evidenza come l’adozione di curve di correlazione generali, per esempio quelle fornite dai costruttori degli strumenti, può condurre ad errori di valutazione anche del 100%. E’ quindi di fondamentale importanza prevedere, in sede di programmazione delle prove, la redazione di curve di taratura costruite ad hoc.

Figura 8: Modelli 600x600x200 in fase di confezionamento

Figura 9: I Campioni confezionati

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BIBLIOGRAFIA [1] OPCM 3274. Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20 marzo 2003 “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica”, G.U. 8/5/2003; [2] OPCM 3431. Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 maggio 2005 “Ulteriori modifiche ed integrazioni all’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003”, G.U. 10/5/2005. [3] Pucinotti R., Nucera F.: Prove non distruttive sui calcestruzzi: rassegna critica di alcune indagini sperimentali, Il Giornale delle Prove non Distruttive Monitoraggio Diagnostica, N. 1/2002, pp.34-44 (2002); [4] Pucinotti R.: Indagini non distruttive nella valutazione del degrado di elementi strutturali in cemento armato, L’Industria Italiana del Cemento, n.810, pp. 446-460 (2005); [5] Pucinotti R., De Lorenzo R.A.: In-situ nondestructive testing: the steel and concrete resistance assessment of “ancient” r/c structures, Structural Studies, Repairs and Maintenance of Heritage Architecture IX, WITTpress, Editors C.A. Brebbia and A. Torpiano, pp.355-364 (2005); [6] Pucinotti R., Patologia e Diagnostica del Cemento Armato (Indagini non Distruttive e Carotaggi nelle Opere da Consolidare), Dario Flaccovio Editore(2006); [7] Malhotra V.M. Carino N.J. CRC Handbook on Nondestructive Testing of Concrete, CRC Press, 1991; [8] ASTM C 803-79 (1979). Penetration Resistance of Hardened Concrete; [9] UNIEDIL STRUTTURE - UNI 7997; [10] Masi A., Dolce M., Chiauzzi L ., Nigro D., Ferrini M.: Indagini sperimentali sulla variabilità della resistenza del calcestruzzo negli elementi strutturali di edifici esistenti in c.a.; 11° Congresso Nazionale dell’AIPND – Conferenza Nazionale sulle Prove non Distruttive Monitoraggio Diagnostica, Milano13-14-15 Ottobre 2005; [11] Masi A.: La stima della resistenza del calcestruzzo in situ mediante prove distruttive e non distruttive, Il Giornale delle prove non distruttive, n. 1, 2005; [12] R. Pucinotti, R.A. De Lorenzo, S. Spinella (2005), CONFRONTO TRA DIFFERENTI TECNICHE DI INDAGINE NON DISTRUTTIVA, 11° Congresso Nazionale dell’AIPND – Conferenza Nazionale sulle Prove non Distruttive Monitoraggio Diagnostica, Milano13-14-15 Ottobre 2005 ;

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

LA RESISTENZA A COMPRESSIONE DEL CALCESTRUZZO IN OPERA IN ACCORDO ALLE NORME TECNICHE SULLE COSTRUZIONI L. COPPOLA1, T. PASTORE2 1 2

Dipartimento di Progettazione e Tecnologie, Università degli Studi di Bergamo Dipartimento di Progettazione e Tecnologie, Università degli Studi di Bergamo

INTRODUZIONE Con Decreto Ministeriale del 14 settembre 2005, pubblicato sul Supplemento Ordinario n.159 della G.U. del 23 Settembre 2005 sono state approvate le “Norme Tecniche per le Costruzioni” emanate ai sensi della Legge 5 novembre 1086 e della Legge n. 64 del 2 Febbraio 1974. Una rilevante novità introdotta relativamente al calcestruzzo è quella che concerne (paragrafo 11.1.6) il valore medio della resistenza meccanica a compressione del conglomerato cementizio valutata direttamente sulle strutture già realizzate (controllo della qualità del calcestruzzo in opera) che deve risultare non inferiore all’85% di Rck. La presente memoria è dedicata ad un approfondimento di questa novità significativa introdotta dal testo che ha implicazioni sia sulla sicurezza strutturale delle opere che sulle responsabilità delle figure coinvolte (direttore lavori, impresa di costruzione e produttore del calcestruzzo).

1. LA RESISTENZA CONVENZIONALE A COMPRESSIONE UNIASSIALE CARATTERISTICA Per il progetto delle opere in conglomerato cementizio armato, il calcestruzzo, in accordo anche con quanto già stabilito nei precedenti D.M., viene identificato mediante la resistenza convenzionale caratteristica a compressione misurata su provini cubici (lato 150 mm), Rck,. La simbologia utilizzata per esprimere la classe di resistenza caratteristica del calcestruzzo in accordo alla EN 206 ed UNI 11104 è C x/y dove x ed y rappresentano rispettivamente il valore della resistenza a compressione su cilindri (diametro, d=150 mm e altezza, h= 300 mm), fck, e quello ottenuto su provini cubici, Rck, in N/mm2. E’ ben noto che il valore della resistenza meccanica a compressione misurata sui provini cilindrici con rapporto altezza/diametro pari a 2 risulta minore di quello che lo stesso calcestruzzo possiede se nelle prove di schiacciamento vengono utilizzati provini cubici. Per i provini cilindrici (h/d=2), infatti, la maggiore snellezza rispetto a quelli cubici, determina durante le prove di schiacciamento un minor confinamento esercitato dalle piastre di acciaio della pressa (per i diversi moduli di elasticità e di poisson calcestruzzo-acciaio) nelle zone

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centrali che, pertanto, collassano per valori dello sforzo prossimi a quelli ottenibili in prove a regime uniassiale in assenza di confinamento. In linea di massima, si ammette che la resistenza a compressione su cilindri (fc) risulta all’incirca l’80% (l’83% in accordo alle Norme Tecniche sulle Costruzioni) di quella determinata impiegando provini cubici (Rc): fc = 0.83 Rc 2. I CONTROLLI DI ACCETTAZIONE DEL CALCESTRUZZO “A BOCCA DI BETONIERA” O A PIÉ D’OPERA Prima dell’inizio dei lavori, come già specificato nel precedente D.M. 9.1.96, l’impresa e la direzione lavori debbono accertare che il produttore del calcestruzzo sia in grado di produrre e fornire il conglomerato in accordo alle specifiche di capitolato del progettista. In particolare, occorrerà accertare che il produttore di calcestruzzo sia dotato di un controllo di produzione del conglomerato che dovrà essere certificato da un organismo terzo. La produzione del calcestruzzo, ai fini dell’ottenimento della certificazione, dovrà essere effettuata in conformità ai criteri stabiliti dalle “Linee Guida per la produzione del calcestruzzo preconfezionato”. Dopo aver accertato che il fornitore del calcestruzzo è dotato di una certificazione del processo ed effettua in produzione i controlli di conformità del conglomerato cementizio, la direzione lavori è obbligata ad esercitare un ulteriore controllo di “accettazione” prima dell’inizio dei getti mediante prelievi di calcestruzzo da effettuarsi “a bocca di betoniera” in accordo con una delle due procedure previste dalle Norme Tecniche per le Costruzioni (G.U. 23.9.05). La prima, controllo di accettazione di tipo A, non ha subito sostanziali modifiche rispetto al precedente D.M. 9.1.96. Il controllo di accettazione di tipo B, obbligatorio nelle costruzioni con più di 1500 m3 di getto, è positivo se sono soddisfatte entrambe le disuguaglianze seguenti: Rm > Rck + 1.48 . s

(N/mm2)

(1)

R1 > Rck - 3.5

(N/mm2)

(2)

dove s è lo scarto quadratico medio. E’ da notare come, rispetto al precedente D.M. del 9.01.96, nella disequazione (1) il fattore di probabilità (1.48) valeva 1.4. Questa modifica si è resa necessaria per rendere congruente questo valore con quello riportato nelle norme europee per un numero di prelievi pari a 15 coincidente con quello minimo previsto per il controllo di accettazione di tipo B.

3. MODALITÀ DI EFFETTUAZIONE DEI CONTROLLI DI ACCETTAZIONE DEL CONGLOMERATO A “BOCCA DI AUTOBETONIERA” O A PIÉ D’OPERA Il controllo della resistenza a compressione viene effettuato prelevando in cantiere al momento del getto un volume di calcestruzzo sufficiente a confezionare due provini utilizzando stampi di dimensioni e tolleranze specificate dalla UNI-EN 12390-1. L’impasto introdotto nella cassaforma verrà compattato “a rifiuto”, per l’eliminazione dell’aria

654

nell’impasto, e i provini successivamente mantenuti in ambiente a temperatura e umidità controllata (T = 20 °C + 2 °C; U.R. > 95 % oppure in acqua) per 28 giorni (in accordo alla UNI-EN 12390-2), alla scadenza dei quali verranno sottoposti ad una prova di schiacciamento in accordo alla UNI-EN 12390-3 e 4. Il valore medio della resistenza a compressione ottenuto su due provini derivanti da un dato prelievo viene indicato come “resistenza di prelievo, Rcp”1. Se non diversamente specificato, la maturazione dei provini di calcestruzzo da sottoporre a schiacciamento si intende che venga protratta per 28 giorni. Relativamente alla temperatura di maturazione dei provini sui quali effettuare la determinazione del valore convenzionale caratteristico a compressione, se non diversamente specificato, deve intendersi compresa nell’intervallo 20 + 2 °C.

4. OBIETTIVI DEL CONTROLLO DI ACCETTAZIONE E RESPONSABILITÀ DELLE FIGURE COINVOLTE In assenza di prescrizioni specifiche, quindi, i controlli di accettazione vengono effettuati su provini cubici (oppure cilindrici): A)

confezionati compattando l’impasto introdotto nelle casseforme “a rifiuto”. Questa modalità di confezionamento è finalizzata ad eliminare completamente l’aria presente nell’impasto con l’intento di conseguire per il calcestruzzo la massima densità possibile. Ogni riduzione del valore della massa volumica del conglomerato rispetto a quello che corrisponde alla compattazione a rifiuto, infatti, finirebbe per produrre una riduzione della resistenza a compressione di circa il 6-7 % rispetto a quella conseguibile dal conglomerato contraddistinto dalla massima densità.

B)

maturati alla temperatura di 20 + 2 °C. Il soddisfacimento di questa condizione è finalizzata ad eliminare l’effetto della temperatura sul valore della resistenza meccanica a compressione. In particolare, con questa prescrizione sulla temperatura di maturazione la normativa vuole evitare che, ad esempio, maturando il calcestruzzo a temperature costantemente troppo basse (ad esempio quella di provini lasciati maturare in cantiere durante i periodi invernali con una temperatura media di 10°C) il valore della resistenza a 28 giorni risulti penalizzato per il ridotto grado di idratazione del cemento. Non meno critica è la situazione di provini di calcestruzzo maturati ad una temperatura troppo elevata (ad esempio, perché lasciati in cantiere d’estate in spiazzi non protetti a temperature di 35°C). Per questi provini, infatti, l’elevata temperatura se, da una parte produrrebbe un’ accelerazione del processo di idratazione a breve termine, dall’altra finirebbe per penalizzare la resistenza meccanica a lungo termine, proprio cioè nel momento in cui il provino dovrebbe essere sottoposto alle prove di schiacciamento per la verifica della conformità al valore caratteristico prescritto;

C)

maturati in ambiente con U.R.> 95 % oppure in acqua. Questa condizione serve a creare l’ambiente ottimale per il processo di idratazione del cemento evitando che

1 Nella norma EN 206-1 la resistenza di prelievo è quella ottenuta su un singolo provino o dalla media dei risultati ottenuti su due o più provini confezionati con un unico prelievo e sottoposti a prova alla stessa età.

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l’esposizione ad atmosfere insature di vapore possa per effetto dell’evaporazione di acqua dal calcestruzzo verso l’ambiente esterno determinare sia una riduzione del grado di idratazione che la comparsa di eventuale fessurazioni nel provino. Entrambe queste evenienze, infatti, finirebbero per determinare una penalizzazione del valore della resistenza meccanica a compressione del conglomerato.

In definitiva, quindi, il rispetto delle tre condizioni sopramenzionate nel confezionamento e nella maturazione dei provini ha come obiettivo quello di far si che la resistenza meccanica a compressione di prelievo desunta dalle prove di schiacciamento dipenda esclusivamente dai parametri composizionali dell’impasto quali il rapporto a/c, il tipo e la classe di cemento, tipo e dosaggio di eventuali aggiunte pozzolaniche o idrauliche impiegate nel confezionamento dell’impasto di cui è responsabile il produttore del calcestruzzo. Il controllo di accettazione così concepito ha una duplice valenza: - da una parte serve a stabilire se il calcestruzzo fornito è conforme alla resistenza caratteristica prescritta dal progettista utilizzata nei calcoli strutturali, per il rispetto della durabilità dell’opera ed, in generale, per il rispetto dei livelli di sicurezza prefissati per una determinata opera/elemento strutturale (valenza di sicurezza strutturale); - dall’altra il controllo di accettazione ha anche una valenza contrattuale per stabilire se il calcestruzzo fornito dal produttore corrisponde a quello concordato con la stipula del contratto di acquisto/fornitura (generalmente tra impresa esecutrice e fornitore del conglomerato). Al direttore lavori è fatto obbligo di effettuare i prelievi per il controllo di accettazione del calcestruzzo secondo le procedure definite dalle Norme Tecniche e precedentemente menzionate per il controllo di tipo A e B. Val la pena di sottolineare che tali controlli possono essere eseguiti dalla Direzione Lavori senza necessitare di alcun contraddittorio con il fornitore del calcestruzzo. Eventuali non conformità evidenziate dai valori di resistenza a compressione, misurate con le modalità sopra descritte, su provini prelevati a “bocca di betoniera” o a pié d’opera, rispetto alla resistenza caratteristica a compressione prescritta dal progettista e pattuita tra acquirente e fornitore ricade senza alcuna ombra di dubbio sotto l’esclusiva responsabilità del produttore di calcestruzzo. In questa situazione, quindi, al calcestruzzo fornito: - si applicherà con certezza una penale corrispondente al minor valore per la più bassa resistenza caratteristica posseduta dall’impasto fornito rispetto a quello prescritto; - verranno accollati al produttore del calcestruzzo anche tutti gli altri oneri eventuali derivanti dalla minore resistenza caratteristica fornita e configurabili in eventuali interventi di consolidamento delle strutture oppure nella loro demolizione.

656

5. LA DETERMINAZIONE DELLA RESISTENZA COMPRESSIONE DEL CALCESTRUZZO IN OPERA

MECCANICA

A

Al fine di stabilire quali provvedimenti adottare per le strutture nell’eventualità che il controllo di accettazione abbia dato esito negativo, ma anche in quei casi in cui il Direttore Lavori ritiene necessario valutare le prestazioni del calcestruzzo in opera ancorché i controlli eseguiti sui provini prelevati a “bocca di betoniera” abbiano dato esito positivo (Figura 1), le Norme Tecniche per le Costruzioni indicano che si “.. potrà procedere ad una valutazione delle caratteristiche di resistenza attraverso delle prove non distruttive” come, peraltro, veniva già prescritto nel precedente D.M. del 9 Gennaio 1996. La novità sostanziale introdotta dalle recenti Norme Tecniche consiste, invece, nel fatto che il valore medio della resistenza del calcestruzzo in opera, determinato mediante le procedure descritte dalla norme EN 12504 parte 1 e 2, debitamente trasformato in resistenza cubica, non deve essere inferiore all’85% della Rck prescritta misurata sui provini cubici prelevati a bocca di betoniera. Prima di spiegare in dettaglio il significato di questa prescrizione è opportuno chiarire con quali modalità si può procedere alla misura della resistenza a compressione del calcestruzzo in opera (definito dalle norme come “valore attuale”). Le norme indicano sostanzialmente due possibilità: - il prelievo e successivo schiacciamento di “carote” di calcestruzzo prelevate dalle strutture con utensile a corona diamantata (norma EN 12504-1); - la determinazione della resistenza attraverso correlazioni tra la stessa e l’indice di rimbalzo misurato sulle strutture mediante il martello di Schmidt (lo sclerometro) in accordo a quanto indicato dalla norma EN 12504-2. Alla luce delle notevoli incertezze segnalate in numerosi lavori sperimentali nel correlare l’indice di rimbalzo misurato con lo sclerometro con la resistenza meccanica a compressione del calcestruzzo2, qui di seguito si parlerà esclusivamente dei controlli in opera basati sulla determinazione della resistenza a compressione su carote prelevate dalle strutture in accordo alla EN 12504-1. Secondo questa normativa: - se la resistenza caratteristica prescritta dal progettista fosse stata riferita a provini cilindrici (h/d=2), come potrebbe avvenire in altri paesi dove questi provini sono generalmente impiegati, le carote da estrarre dalle strutture in opera debbono essere omogenee dal punto di vista geometrico con i provini cilindrici (d=150 mm e h=300 mm) confezionati a bocca di betoniera. Pertanto, anche le carote estratte dalle strutture dovranno possedere h/d=2;

2

L’indice di rimbalzo è affetto, ad esempio, dalla rigidità, dalla dimensione massima e dal volume di aggregato grosso che, invece, hanno scarsa influenza sulla resistenza meccanica a compressione del calcestruzzo. L’indice di rimbalzo, inoltre, può essere significativamente influenzato dal grado di carbonatazione e dal contenuto di umidità degli strati più superficiali di calcestruzzo che, per contro, non modificano i valori di resistenza meccanica a compressione del conglomerato. In definitiva, le correlazioni fornite generalmente sugli sclerometri tra resistenza a compressione e indice di rimbalzo non possono ritenersi valide per qualsiasi tipo di calcestruzzo.

657

- se, invece, come avviene in Italia, la resistenza caratteristica viene prescritta dal progettista su provini cubici, essendo impossibile procedere al prelievo di provini cubici direttamente dalle strutture, esiste il problema di sottoporre a prove di schiacciamento carote di snellezza minore rispetto a quelle con h/d=2 per rendere comparabili i valori ottenuti con quello prescritto che si riferisce a provini cubici. Infatti, se si adottassero per la determinazione della resistenza carote con h/d=2, il valore misurato risulterebbe comunque inferiore (di circa il 17-20%) a quello misurato su provini cubici per via della maggiore snellezza. Per superare questo problema la norma EN 12504-1 stabilisce che la resistenza a compressione deve essere valutata, al fine di renderla comparabile dal punto di vista geometrico a quella misurata su cubi, su carote estratte dalle strutture contraddistinte da un rapporto h/d=1. Essendo queste ultime elementi di geometria tozza i valori di resistenza misurati su queste carote sono paragonabili dal punto di vista geometrico a quelli determinati su provini cubici. Dal punto di vista geometrico, quindi, è equivalente misurare la resistenza a compressione su un provino cubico oppure su un provino cilindrico con rapporto h/d=1. Chiarito questo aspetto relativo alla geometria dei provini (le norme tecniche suggeriscono infatti che il “….valore medio misurato con tecniche opportune e debitamente trasformato in resistenza cubica…” ) occorre adesso addentrarsi nello spiegare il perché la norma ammette per il calcestruzzo in opera un valore medio della resistenza meccanica a compressione misurato su carote con rapporto h/d=1 inferiore del 15% rispetto a quello della resistenza convenzionale caratteristica prescritta dal progettista delle strutture. Questa posizione del legislatore è assolutamente condivisibile nei suoi aspetti generali in quanto corrisponde: - ad una pratica impossibilità da parte dell’impresa esecutrice di compattare a rifiuto il calcestruzzo con la stessa efficacia e la stessa facilità con cui si può garantire la completa espulsione dell’aria in un provino cubico (quello utilizzato per i controlli di accettazione a bocca di autobetoniera) di circa 3.5 litri. Ragionevolmente si deve ritenere che nelle strutture reali ed, in particolare, in quelle di complessa geometria, con elevata densità di armature e con difficile accesso dei sistemi di compattazione, la massa volumica necessariamente risulterà minore di quella massima potenziale conseguibile compattando a rifiuto il provino cubico confezionato a “bocca di autobetoniera”. La minore massa volumica e la conseguente maggiore porosità del calcestruzzo in opera produrranno una diminuzione della resistenza a compressione di circa il 6-7% per ogni diminuzione di un punto percentuale della massa volumica del calcestruzzo in opera rispetto a quella del conglomerato del provino confezionato a “bocca di betoniera”; - ad una pratica impossibilità da parte dell’impresa esecutrice di garantire per la struttura una maturazione umida per 28 giorni dall’esecuzione dei getti alla stregua di quanto avviene, invece, per la maturazione dei cubetti confezionati a “bocca di betoniera”. Si pensi all’intralcio, ad esempio, rappresentato da sistemi di irrigazione sistemati per mantenere costantemente bagnate le superfici non casserate di una pavimentazione industriale, oppure da fogli di politene lasciati sulla superficie della soletta di completamento di un solaio. Per effetto di una inevitabile minore durata della protezione umida il calcestruzzo delle strutture reali possiede un minor grado di idratazione rispetto al conglomerato maturato costantemente in acqua o in ambiente con U.R. > del 95%;

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- oltre a due aspetti esecutivi evidenziati ai due punti precedenti, occorre tener presente che la resistenza a compressione del calcestruzzo in opera è anche strettamente dipendente dalla temperatura del conglomerato durante la maturazione e in particolare nella fase immediatamente successiva al getto. Come già accennato il valore della resistenza meccanica a compressione può essere penalizzato sia da temperature costantemente basse, soprattutto in strutture snelle che poco beneficiano del calore dovuto all’idratazione del cemento, che da temperature troppo elevate. Entrambe queste situazioni possono determinare un ulteriore abbattimento della resistenza meccanica a compressione a stagionature di circa un mese dalla realizzazione dei getti. Della temperatura media ponderale del calcestruzzo (desunta da quella ambientale e dallo spessore dei getti) e dell’età del conglomerato al momento dell’esecuzione dei carotaggi e dell’effettuazione delle prove di schiacciamento si dovrà tener conto nella interpretazione dei risultati della resistenza meccanica a compressione del calcestruzzo in opera. In definitiva, quindi, la posizione assunta dalle norme di accettare una penalizzazione della resistenza media a compressione misurata su carote (h/d=1) prelevate dalle strutture in opera è assolutamente condivisibile e corrisponde alla reale impossibilità di ottenere per un determinato calcestruzzo lo stesso valore di resistenza conseguibile su provini prelevati a bocca di betoniera confezionati e stagionati con il massimo della cura e delle accortezze. Con il limite massimo del 15% di penalizzazione del valore medio della resistenza in opera, però, il normatore ha voluto dotarsi di uno strumento, non previsto nei precedenti D.M., per imporre un valore minimo alla qualità del calcestruzzo in opera e quindi per controllare in maniera diretta quelle operazioni di esclusiva responsabilità dell’impresa esecutrice quali la posa in opera, la compattazione e la maturazione del getto. Come per i controlli di accettazione effettuati sui provini prelevati a bocca di betoniera anche nel caso della resistenza a compressione misurata sulle carote estratte dalle strutture in opera il problema riveste una duplice natura: quella che attiene agli aspetti strutturali, di durabilità e di generale sicurezza delle strutture e quella più propriamente tesa a individuare le responsabilità di eventuali non conformità rispetto a quanto indicato dalle norme tecniche, allorquando, cioè, la resistenza media misurata su carote di calcestruzzo con rapporto h/d=1 prelevate dalle strutture in opera risulti inferiore di più del 15% rispetto al valore prescritto. Per meglio comprendere le implicazioni derivanti dalla novità introdotta dalle Norme Tecniche analizziamo le diverse casistiche che possono presentarsi nella realtà riassunte nelle Tabelle 1 e 2 che seguono che si riferiscono a due situazioni distinte: la prima è quella relativa ad un cantiere dove correttamente la direzione lavori procede all’effettuazione dei controlli di accettazione. La seconda, invece, in una situazione dove per la mancanza dei prelievi effettuati a bocca di betoniera si controlla la sola resistenza del conglomerato in opera. Le situazioni riassunte nelle Tabelle 1 e 2 si riferiscono a cantieri dove il controllo della resistenza in opera avvenga, ovviamente, dopo che siano trascorsi almeno 28 giorni dall’esecuzione dei getti sia perché il valore medio della resistenza deve essere confrontato con quello caratteristico che si intende riferito ai 28 giorni, che per evitare indesiderati deleteri effetti di disturbo prodotti dall’azione del carotiere su calcestruzzi troppo giovani. L’età della struttura al momento del prelievo delle carote, inoltre, deve essere necessariamente prolungata se la temperatura del conglomerato in opera è risultata molto più bassa di 20°C. Ad esempio, se la struttura è realizzata nel periodo invernale potrebbe essere necessario posticipare il prelievo delle carote dopo i 60 giorni dal getto proprio per permettere che il calcestruzzo in

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opera possa raggiungere un grado di idratazione paragonabile a quello del provino maturato per 28 giorni ma a 20 °C. Allo stesso modo la scelta del diametro della carota deve essere effettuata sulla base della dimensione massima dell’aggregato. La normativa non specifica il numero di carote da sottoporre a prove di schiacciamento. Allo scopo si può fare utile riferimento alla norma prEN 13791 la quale prevede un numero minimo di tre carote per ogni elemento da indagare e un numero complessivo di carote maggiore di 15 (Approach A) oppure compreso tra 3 e 14 (Approach B). In questo contesto, si possono analizzare le casistiche possibili riassunte nella Tabella 1 che si riferisce ad una serie di elementi strutturali per i quali il progettista ha prescritto l’impiego di calcestruzzo con Rck di 30 N/mm2 ed un controllo di accettazione di tipo B. CASO 1 – Il controllo di accettazione effettuato sui cubetti a bocca di betoniera risulta positivo e nel contempo il valore medio della resistenza in opera, ancorché inferiore a quello misurato sui provini cubici, risultando maggiore dell’85% del valore caratteristico, è anch’esso conforme a quanto specificato dalle Norme Tecniche. In questo caso, la direzione lavori non deve eseguire nessuna verifica dei livelli di sicurezza delle strutture. In sostanza, la normativa ritiene che la penalizzazione del valore della resistenza in opera, essendo contenuta al di sotto del 15% del valore caratteristico, è ampiamente compensata dai coefficienti parziali di sicurezza del materiale adottati per le verifiche già effettuate dal progettista dell’opera. Tutti gli attori coinvolti hanno svolto correttamente i compiti assegnati. La Direzione Lavori ha imposto il controllo della qualità del calcestruzzo fornito e di quello in opera facendo eseguire correttamente sia i prelievi a bocca di betoniera che quelli dalle strutture. D’altro canto il produttore ha fornito un calcestruzzo conforme alle specifiche di progetto e l’impresa ne ha curato egregiamente la posa, la compattazione e la maturazione. CASO 2 - Il controllo di accettazione effettuato sui cubetti a bocca di betoniera risulta positivo mentre il valore medio della resistenza in opera, è inferiore all’ 85% del valore caratteristico prescritto dal progettista. In questo contesto gli scadenti valori della resistenza a compressione in opera evidenziano una erronea manipolazione da parte dell’impresa di un calcestruzzo fornito dal produttore in conformità alle specifiche progettuali. Queste situazioni sono da ascrivere ad errori nella posa, a compattazioni inefficaci e/o ad una maturazione umida assente o di breve durata. La situazione accertata impone alla Direzione Lavori di procedere ad una verifica del livello di sicurezza delle strutture utilizzando un valore caratteristico più basso di quello prescritto e desunto dalla seguente correlazione: Rmattuale/0.85. E’ evidente che in questo contesto qualsiasi onere derivante dal controllo dei livelli di sicurezza (dequalificazione dell’opera, esecuzione di lavori di consolidamento o demolizione) ricade sotto l’esclusiva responsabilità dell’impresa. CASO 3 - Il controllo di accettazione effettuato sui cubetti a bocca di betoniera risulta negativo evidenziando per il calcestruzzo un valore caratteristico inferiore a quello prescritto. Il valore medio della resistenza in opera, invece, è maggiore dell’ 85% del valore caratteristico effettivo del calcestruzzo fornito. Anche in questo caso ci sono pochi dubbi sulle responsabilità della mancata conformità del calcestruzzo al valore prescritto che va attribuita in toto al fornitore del conglomerato. Inoltre, il valore medio misurato in opera superiore all’85% del valore caratteristico realmente posseduto dal conglomerato fornito evidenzia come l’impresa abbia correttamente utilizzato il conglomerato procedendo ad una

660

corretta posa in opera, compattazione e maturazione dei getti. Pertanto, eventuali provvedimenti che la Direzione Lavori dovesse adottare a seguito della verifica dei livelli di sicurezza delle strutture – che anche in questo caso si rende necessaria - dovranno essere imputati al fornitore del conglomerato. CASO

1

Rck di progetto nominale

Rm R1 s Rckeffet (N/mm2)

Controllo su provini cubici a bocca di betoniera

30

37.5 26.5 5 30

POSITIVO

Rmattuale (Controllo in opera su carote con h/d=1) > 25.5 N/mm2 (cioè maggiore dell’85% del valore di Rck nominale) POSITIVO

2

30

37.5 26.5 5 30

POSITIVO

< 25.5 N/mm2 (cioè < 85% del valore di Rck nominale) NEGATIVO

3

30

32.5 22.5 5 25

NEGATIVO

4

30

32.5 22.5 5 25

NEGATIVO

> 21.3 N/mm2 (cioè >85% del valore di Rckeffettivo misurato sui cubetti confezionati a bocca di betoniera) POSITIVO < 21.3 N/mm2 (cioè < 85% del valore di Rckeffettivo) NEGATIVO

IMPLICAZIONI STRUTTURALI (VERIFICA LIVELLO DI SICUREZZA)

IMPLICAZIONI LEGALI (VERIFICA DELLE RESPONSABILITÀ)

NON OCCORRE effettuare nessuna ulteriore verifica dei livelli di sicurezza della struttura. Valgono, cioè, le verifiche già effettuate dal calcolatore in fase progettuale) OCCORRE procedere ad una verifica dei livelli di sicurezza delle strutture sulla base del valore ridotto della resistenza a compressione

Entrambi gli attori hanno rispettato le prescrizioni. Il calcestruzzo fornito dal produttore è conforme alle specifiche del progettista. L’impresa ha realizzato una corretta messa in opera dell’impasto Il produttore ha fornito calcestruzzo conforme al valore prescritto. L’impresa ha realizzato una scadente posa in opera dell’impasto. LE RESPONSABILITA’ SONO ESCLUSIVE DELL’IMPRESA. Il produttore ha fornito calcestruzzo non conforme. Per contro l’impresa ha eseguito una corretta posa in opera del conglomerato. LE RESPONSABILITA’ SONO ESCLUSIVE DEL PRODUTTORE

OCCORRE procedere ad una verifica dei livelli di sicurezza delle strutture sulla base del valore ridotto della resistenza a compressione

OCCORRE procedere ad una verifica dei livelli di sicurezza delle strutture sulla base del valore ridotto della resistenza a compressione

Calcestruzzo non conforme. L’impresa ha eseguito una scadente posa in opera del conglomerato. Le responsabilità sono sia del produttore che dell’impresa

Tabella 1. Casistiche possibili nei controlli di accettazione del conglomerato al momento della fornitura e dalle strutture in servizio

CASO 4 - Il controllo di accettazione effettuato sui cubetti a bocca di betoniera risulta negativo evidenziando per il calcestruzzo un valore caratteristico inferiore a quello prescritto. Il valore medio della resistenza in opera, inoltre, risulta inferiore all’ 85% del valore caratteristico effettivo del calcestruzzo fornito. In questo contesto entrambi gli attori

661

(fornitore di conglomerato e impresa) hanno operato in difformità a quanto richiesto dalla progettazione e dalle norme. Il produttore, infatti, ha fornito un calcestruzzo non conforme e l’impresa lo ha messo in opera in maniera erronea. Le responsabilità del mancato possesso dei livelli di sicurezza stabiliti dal progettista che dovessero emergere dalla verifica strutturale sono da imputare ad entrambi i soggetti coinvolti. Come abbiamo potuto notare dall’analisi dei casi precedenti è sempre possibile risalire alle responsabilità di eventuali non conformità quando la Direzione Lavori correttamente realizza i controlli di accettazione al momento della consegna del calcestruzzo in cantiere procedendo al confezionamento, alla conservazione e alla maturazione dei provini in accordo alle norme sopramenzionate e successivamente decida di effettuare anche il controllo della resistenza in opera mediante il prelievo delle carote. La situazione, invece, diventa più complicata in quei contesti in cui la direzione lavori omette di effettuare i controlli di accettazione, contravvenendo già ad un obbligo di legge, e successivamente decida di valutare la resistenza del calcestruzzo dalle strutture in opera: le casistiche possibili in questa evenienza sono riassunte in Tabella 2. CASO 5 - Il controllo di accettazione sui cubetti a bocca di betoniera non è stato effettuato. Il valore medio della resistenza in opera, invece, è maggiore dell’ 85% del valore caratteristico prescritto dal progettista. In questo caso, la direzione lavori non deve eseguire nessuna verifica dei livelli di sicurezza delle strutture. Non ci sono, infatti, non conformità. Questo caso è assimilabile a quello 1 descritto in precedenza. Esiste comunque la possibilità, anche se impossibile da dimostrare, che il calcestruzzo fornito potesse essere di resistenza caratteristica maggiore di quella prescritta e che questo abbia mascherato una erronea posa in opera dell’impresa. CASO 6 - Il controllo di accettazione sui cubetti a bocca di betoniera non è stato effettuato. Il valore medio della resistenza in opera, inoltre, è inferiore all’ 85% del valore caratteristico prescritto dal progettista. Questa purtroppo è la situazione più intricata da risolvere. Dal punto di vista della sicurezza strutturale è assolutamente necessario procedere ad una verifica dei livelli di sicurezza dell’opera. I costi conseguenti ai provvedimenti che occorre intraprendere per eliminare eventuali non conformità emerse dalla verifica debbono essere sostenuti dall’impresa esecutrice delle opere. Questo assunto discende dal fatto la responsabilità del produttore di calcestruzzo si annulla al momento della consegna del calcestruzzo in cantiere. Infatti, l’obiettivo del controllo di accettazione del calcestruzzo effettuato con i prelievi a bocca di betoniera è proprio finalizzato a valutare la qualità del conglomerato al momento del passaggio di consegna fornitore/impresa. Nel CASO 6 esiste comunque la possibilità che alla non conformità della resistenza in opera possa aver contribuito anche la scadente qualità del calcestruzzo fornito, ma purtroppo, per la mancata esecuzione dei controlli di accettazione, questo non è più univocamente dimostrabile. E’ questo il motivo per il quale l’impresa dovrebbe operare di comune accordo con la direzione lavori affinché i controlli di accettazione vengano eseguiti in accordo a quanto stabilito dalle Norme Tecniche anche a garanzia e tutela del proprio operato. In presenza di una Direzione Lavori che opera in difformità alle Norme Tecniche non eseguendo i controlli di accettazione obbligatori, l’impresa deve formalizzare alla D.L. questa sua inadempienza in forma scritta e procedere, a tutela del suo operato, a controllare la qualità del calcestruzzo fornito.

662

CASO

5

Rck di progetto nominale

Rm R1 s Rckeffet (N/mm2)

Controllo su provini cubici a bocca di betoniera

30

Prelievi non eseguiti

Controllo effettuato

Rmattuale

non

(Controllo in opera su carote con h/d=1) > 25.5 N/mm2 (cioè maggiore dell’85% del valore di Rck nominale) POSITIVO

6

30

Prelievi non eseguiti

Controllo effettuato

non

Impossibile stabilire eventuali non conformità del calcestruzzo fornito rispetto a quello prescritto. La responsabilità di questa situazione di incertezza deve essere attribuita esclusivamente alla D.L.

< 25.5 N/mm2 (cioè < 85% del valore di Rck nominale) NEGATIVO

IMPLICAZIONI STRUTTURALI (VERIFICA LIVELLO DI SICUREZZA) NON OCCORRE effettuare nessuna ulteriore verifica dei livelli di sicurezza della struttura. Valgono, cioè, le verifiche già effettuate dal calcolatore in fase progettuale) OCCORRE procedere ad una verifica dei livelli di sicurezza delle strutture sulla base del valore ridotto della resistenza a compressione

IMPLICAZIONI LEGALI (VERIFICA DELLE RESPONSABILITÀ) ENTRAMBI GLI ATTORI COINVOLTI HANNO RISPETTATO LE PRESCRIZIONI. Il calcestruzzo fornito dal produttore è conforme alle specifiche del progettista. L’impresa ha realizzato una corretta messa in opera dell’impasto Per la mancata esecuzione dei prelievi valori di resistenza in opera non conformi (inferiori all’85% del valore prescritto) ricadono esclusivamente a carico dell’impresa. Quest’ultima infatti è la sola responsabile della qualità del conglomerato al momento del passaggio di consegne dello stesso durante lo scarico in cantiere.

Tabella 2. Casistiche possibili in cantieri dove erroneamente non sono stati effettuati i controlli di accettazione del conglomerato

6. OSSERVAZIONI SUL VALORE MINIMO DELLA RESISTENZA A COMPRESSIONE MEDIA DEL CALCESTRUZZO IN OPERA FISSATO DALLE NORME TECNICHE PER LE COSTRUZIONI Come già accennato in precedenza la posizione assunta dalle Norme Tecniche riguardo alla penalizzazione della resistenza a compressione del calcestruzzo in opera rispetto al valore caratteristico prescritto dal progettista è assolutamente condivisibile per i motivi sopraesposti. Tuttavia, è opportuno fare alcune considerazioni in merito al valore medio minimo consentito che come più volte ripetuto risulta pari al 15% di quello caratteristico prescritto. Innanzitutto occorre evidenziare come le Norme Tecniche si differenzino dalla norma europea prEN 13791 la quale stabilisce per la resistenza caratteristica misurata sul calcestruzzo in opera un valore minimo pari all’85% del valore caratteristico prescritto dal progettista. La norme europea, quindi, correla il valore caratteristico della resistenza in opera con quello caratteristico della resistenza prescritto e valutato attraverso i controlli di accettazione sui provini confezionati alla consegna del conglomerato. La comparazione, cioè, avviene per grandezze omogenee e non, invece, come stabilito dalle Norme Tecniche italiane tra valore medio della resistenza in opera e valore caratteristico prescritto.

663

Per meglio chiarire quest’aspetto riferiamoci all’esempio della Tabella 2. Nella ipotesi che (CASO A) il calcestruzzo previsto dal progettista debba possedere una Rck di 30 N/mm2 e che venga prescritto un controllo di accettazione di tipo B, si supponga di avvalersi di un eccellente produttore di conglomerato cementizio che effettua specifici controlli in produzione finalizzati ad evitare oscillazioni rilevanti del rapporto a/c. In questa situazione è ragionevole attendersi che nelle prove di schiacciamento effettuate sui provini confezionati a bocca di betoniera emerga un valore dello scarto quadratico medio (s) di circa 5 N/mm2 e una resistenza media di 37.5 N/mm2. Supponendo che l’impresa realizzi l’opera procedendo con estrema cura al getto del calcestruzzo evitando problemi di segregazione, è ragionevole ammettere che lo scarto quadratico rimanga sostanzialmente identico a quello misurato sui provini (di certo non potrà essere inferiore). Allora consentire, come stabilito dalle Norme Tecniche, che il valore medio della resistenza in opera possa risultare l’85% del valore caratteristico misurato sui provini confezionati alla consegna del conglomerato in cantiere equivale a ritenere accettabile un valore medio pari a 25.5 N/mm2 da cui si desume che il valore caratteristico del calcestruzzo in opera (Rckattuale) può risultare pari a: Rckattuale= Rmattuale-1.48sattuale=25.5-1.48sattuale=18 N/mm2. Questo equivale a ritenere accettabile una diminuzione del valore caratteristico del calcestruzzo in opera di circa il 40% rispetto a quello utilizzato dal progettista per la verifica dei livelli di sicurezza delle strutture. Francamente questa riduzione sembra decisamente troppo elevata se si tiene conto che la norma europea, invece, ritiene accettabile un valore caratteristico per il conglomerato in opera non inferiore all’85% di quello prescritto dal progettista. In sostanza, sembra che le Norme Tecniche siano troppo permissive e blande a generale svantaggio della sicurezza delle strutture. Questa situazione diventa ancor più critica (Tabella 3) se si dovesse impiegare il calcestruzzo prodotto con controlli meno stringenti e, quindi, caratterizzato da uno scarto ancora maggiore (caso B).

CASO Rck Rm s Rckeffet Rmattuale sattuale Rckattuale Rckattuale/ Rckeffett *100 A 30 37.5 5 30 25.5 5 18 60 % B 30 40.4 7 30 25.5 7 15 50 % Tabella 3. Valori medi e caratteristici della resistenza a compressione e scarto quadratico medio per il calcestruzzo determinati su provini confezionati a bocca di betoniera e su carote (h/d=1) estratte dalle strutture in opera

Alla luce di queste considerazioni è opportuno che nella stesura del capitolato il progettista e/o la Direzione Lavori specifichino un limite più stringente per il valore della resistenza meccanica a compressione misurata in opera rispetto a quanto suggerito dalle Norme Tecniche imponendo, quindi, che il valore caratteristico della resistenza a compressione misurato sulle carote con rapporto h/d=1 estratte dalle strutture in opera sia almeno pari all’85% del valore caratteristico prescritto dal progettista e valutato sui provini cubici di lato 150 mm confezionati al momento della consegna del calcestruzzo in cantiere.

I temi contenuti nel presente articolo sono sviluppati nel progetto editoriale Concretum di Luigi Coppola

664

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA’ DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

PROVE SU TAVOLA VIBRANTE DI UN MODELLO IN MURATURA PER LA VALIDAZIONE DI DUE INTERVENTI DI MIGLIORAMENTO SISMICO G. DE CANIO 1, S. IRACI SARERI 2, G. MUSCOLINO 2, A. PALMERI 2, M. POGGI 1, C. STURIALE 2 1

2

Centro Ricerche “Casaccia”, ENEA, Roma Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli Studi di Messina

SOMMARIO Nella memoria si prendono in esame due possibili interventi di miglioramento sismico di edifici in muratura: (i) la sostituzione della copertura lignea esistente con un solaio in legnocemento, capace di conferire alla costruzione un comportamento scatolare senza aumentare eccessivamente le masse sismiche; (ii) il rinforzo dei pannelli murari mediante materiali compositi fibro-rinforzati (FRP), assolutamente non invasivi. Questi due interventi sono stati validati mediante sperimentazione su tavola vibrante, eseguita su un provino in scala 1:2 rappresentativo di un particolare tipo edilizio, il cosiddetto “tipo misto”, diffusosi a Messina a cavallo tra il terremoto del 1793 e quello del 1908. Particolare attenzione è dedicata nel lavoro alla scelta dell’input sismico da utilizzare nella sperimentazione ed all’analisi dei risultati ottenuti dalla campagna di prove. ABSTRACT The paper deals with two retrofit interventions for improving the seismic response of masonry buildings: (i) the substitution of the existing wooden roof with a composite wood-concrete slab, able to ensure a beneficial diaphragm behaviour without excessively increasing the seismic masses; (ii) the strengthening of the masonry walls with composite fibre-reinforced (FRP) materials, which are not invasive. These two retrofit interventions have been validated through shaking table tests on a 1:2 specimen that would be representative of a special building type, the socalled “mixed type,” which became popular in the City of Messina between the destructive 1973 and 1908 earthquakes. Special emphasis is given in the paper to the selection of the seismic input to be used in the experimentation, and to the analysis of the results. 1. INTRODUZIONE Gli edifici in muratura costituiscono un patrimonio edilizio che è testimonianza dell’identità storica e culturale delle nostre città. Per garantire alle generazioni future la conservazione di questo patrimonio occorre certamente proteggerlo da quelle azioni ambientali, naturali ed antropiche che potrebbero danneggiarlo, ma gli interventi di consolidamento atti ad assicurare la

665

durata nel tempo degli edifici in muratura storica non dovrebbero mai comprometterne l’autenticità, stravolgendone la concezione originaria, non solo funzionale ed estetica, ma anche statica. Queste istanze sono particolarmente sentite nel territorio messinese, in cui la protezione sismica del costruito rappresenta un’esigenza primaria. La città di Messina, infatti, sorge in un’area fortemente sismica, ed è stata colpita da due eventi distruttivi nell’arco di poco più di un secolo: il terremoto della Calabria del 1973 oltre al più noto terremoto del 28 dicembre 1908. Gli interventi di miglioramento e/o adeguamento sismico sugli edifici sopravvissuti a questi due eventi, dunque, dovrebbero contemperare la primaria esigenza di salvaguardare l’incolumità di coloro che vivono e lavorano quotidianamente all’interno di queste costruzioni, con la necessità di operare in maniera “leggera”, senza stravolgere l’originario schema strutturale degli edifici. D’altro canto, i terremoti degli ultimi anni, come ad esempio la serie sismica del 1997 in Umbria e nelle Marche, hanno portato ad avere minori certezze sulla reale efficacia degli interventi di consolidamento diffusi nella seconda meta del ‘900. In quegli anni, infatti, sono stati spesso eseguiti interventi “pesanti”, introducendo ad esempio solai in latero-cemento, cordoli in cemento armato, elementi in acciaio, con l’effetto di trasformare la fabbrica muraria in una struttura ibrida, dal comportamento misto (e sovente imprevedibile) tra quello della muratura storica e quello dei nuovi elementi inseriti. Partendo da queste considerazioni, peraltro recepite anche dalla nuova normativa sismica nazionale [1], è stato svolto un lavoro di ricerca, numerico e sperimentale, per la validazione di due interventi di miglioramento sismico delle costruzioni murarie: (i) l’introduzione di una copertura in legno-cemento, che conferisce un comportamento scatolare all’edificio senza aumentare troppo la massa sismica in testa; (ii) il rinforzo dei pannelli murari mediante nastri in FRP, i quali garantiscono il cerchiaggio della costruzione, con conseguente incremento di rigidezza e resistenza. La sperimentazione è stata condotta su un provino in scala 1:2 di un edificio in muratura, realizzato facendo riferimento ad una speciale tipologia edilizia, il “tipo misto”, caratteristica della fase di ricostruzione della città di Messina dopo gli eventi sismici del 1783. Il provino, realizzato con una copertura in legno-cemento di nuova concezione, è stato sottoposto a prove su tavola vibrante presso il Centro Ricerca “Casaccia” dell’ENEA, prima e dopo l’esecuzione di un intervento di rinforzo con FRP. Nel lavoro sono discussi alcuni aspetti relativi alla progettazione del provino ed alla scelta della forzante sismica, e sono presentati alcuni risultati che confermano la validità di questi due interventi. 2. IL “TIPO MISTO” MESSINESE Nato dalla sovrapposizione di un tipo base, la casa a schiera, e di uno specialistico, il palazzo, il “tipo misto messinese” rappresenta una particolare tipologia edilizia diffusasi nella città di Messina tra la serie sismica del 1783 ed il grande terremoto del 28 dicembre 1908. Della casa a schiera il tipo misto conserva alcune caratteristiche geometriche, come la presenza di vani serialmente ripetuti lungo il percorso viario ed il passo di lottizzazione all’epoca in uso; del palazzo, invece, riprende la presenza del grande portone d’ingresso con alto portale ad arco, la facciata che cerca di unificare l’immagine dell’edificio e, soprattutto, la distribuzione funzionale e gerarchica in altezza. Nel tipo misto, infatti, al piano terra è relegata la funzione di bottega, di magazzino o di stalla; al “piano mezzanino” quella di angusto alloggio per la servitù; l’ultimo piano (il cosiddetto “piano nobile”), infine, è destinato ad abitazione della famiglia proprietaria. Questa suddivisione rispondeva perfettamente alla duplice necessità di

666

Figura 1. Case Cicala: prospetto sulla centralissima via Garibaldi a Messina

assicurare ai proprietari una zona residenziale e di rappresentanza loro adeguata ed allo stesso tempo di sfruttare al meglio la parte inferiore Edificate nella fase di ricostruzione dopo gli eventi sismici del 1783, che rasero al suolo la città di Messina, le “Case Cicala” (Fig. 1) costituiscono probabilmente l’esempio più interessante e meglio conservato di tipo misto messinese che sia pervenuto fino ai giorni nostri (molte unità sono ancora oggi regolarmente utilizzate). Si tratta di due schiere di edifici con struttura in muratura di mattoni pieni e malta “bastarda”, separate da uno stretto cortile interno. Ogni unità, avente dimensioni in pianta di circa 5 × 7 m, è dotata di accesso indipendente dalla strada su cui prospetta ed ha un’altezza al colmo di circa 14 m. Le chiusure orizzontali intermedie, tra piano terra e piano mezzanino e tra quest’ultimo ed il piano nobile, sono costituite da volte a botte ribassate, impostate lungo i setti longitudinali (in comune con le unità adiacenti). Nel tempo sulle chiusure orizzontali sono stati effettuati interventi di vario tipo, dalla sostituzione delle volte con solai realizzati con putrelle in acciaio e tavelloni in laterizio (Fig. 2a), al rinforzo delle volte mediante l’applicazione di nastri in FRP all’estradosso (Fig. 2b). La copertura, infine, è costituita da un tetto ligneo a doppia falda con i “falsi puntoni” poggianti sul “colmareccio” (Fig. 2c) e, quindi, spingenti sulle pareti trasversali (prospetto anteriore e prospetto posteriore). 3. PROGETTAZIONE DEL PROVINO IN SCALA 1:2 Gli esempi di tipo misto messinese che si sono conservati fino ad oggi rappresentano una preziosa testimonianza storica della ricostruzione della città di Messina dopo la disastrosa serie sismica del 1783. Gli interventi di rinforzo in questi edifici, dunque, dovrebbero sempre coniugare la richiesta di una maggiore sicurezza con il rispetto della autenticità della fabbrica

a)

b)

c)

Figura 2. Case Cicala: a) sostituzione della volta con solaio in acciaio e laterizio; b) rinforzo della volta con nastri in FRP all’estradosso; c) copertura con “falsi puntoni” poggianti sulla trave di colmo

667

muraria, impiegando il più possibile soluzioni “leggere” (legno e FRP, ad esempio) e senza mai stravolgere l’originaria concezione statica. Muovendo da queste considerazioni, nella progettazione del provino da testare su tavola vibrante si è cercato di riprendere, per quanto possibile, le caratteristiche del tipo misto messinese, con particolare riferimento al caso delle Case Cicale. In questa fase i principali vincoli sono stati imposti dai limiti della tavola vibrante utilizzata per la sperimentazione (dimensioni in pianta: 4 × 4 m; portata: 300 kN, con baricentro ad 1 m di altezza), nonché dalla portata del carroponte presente nel laboratorio (200 kN). Si è così scelto di costruire il provino in scala 1:2, con dimensioni in pianta di 350 × 260 cm. Rispetto alla struttura a tre livelli (piano terra, piano mezzanino e piano nobile) descritta nel precedente paragrafo, è stato necessario eliminare il livello intermedio per non eccedere le portate di tavola vibrante e carroponte. Si è così costruito un provino avente un’altezza al colmo di 330 cm ed un peso totale (compreso il cordolo in c.a. per il collegamento alla tavola vibrante) di circa 195 kN, al limite della portata del carroponte. La muratura del provino è stata realizzata con mattoni pieni di dimensioni 25 × 12 × 5.5 cm e malta bastarda. Tenendo conto che nelle Case Cicala lo spessore delle pareti varia da 40 a 60 cm, per il provino si è scelto uno spessore di 25 cm (muratura a due teste). La volta intermedia è stata invece realizzata con uno spessore di 12 cm (muratura ad una testa), mantenendo lo stesso ribassamento delle volte presenti nelle Case Cicala. Dei tiranti sono stati inseriti per annullare la spinta della volta, simulando così l’effetto della contro-spinta data nella realtà dalle volte nelle unità adiacenti. Nel provino, infine, sono state realizzate aperture con archi geometricamente simili a quelli presenti nelle Case Cicale. Al livello superiore si è così mantenuta l’azione spingente prodotta dagli archi ribassati. 4. SCELTA DELLA FORZANTE SISMICA Nella fase di progettazione delle prove su tavola vibrante grande attenzione è stata prestata alla definizione dell’input sismico. Da un lato, infatti, si voleva che gli accelerogrammi utilizzati nella sperimentazione fossero rappresentativi del contenuto in frequenza atteso per gli eventi sismici nel territorio di Messina; dall’altro, tenendo conto dei limiti in termini di escursioni, velocità ed accelerazioni massime della tavola vibrante, si volevano selezionare gli accelerogrammi che maggiormente potessero sollecitare il provino. A tal fine, si sono presi in considerazione due tipologie di accelerogrammi alquanto diverse fra loro: (i) accelerogrammi “sintetici”, generati come campioni di un processo aleatorio modulato in ampiezza, con funzione densità spettrale di potenza coerente con lo spettro di risposta elastico previsto dalla nuova normativa sismica [1] per terreni di tipo B-C-E, largamente diffusi nel centro della città di Messina (per la generazione degli accelerogrammi spettro-compatibili è stata impiegata la tecnica diretta proposta da Cacciola et al. [2, 3]); (ii) accelerogrammi “near source”, registrati in siti che, come la città di Messina, sono prossimi alla sorgente sismica. La scelta di prendere in considerazione anche questa seconda tipologia di accelerogrammi è stata dettata dal crescente interesse rivolto dalla comunità scientifica alla caratterizzazione degli accelerogrammi near-source [4, 5] ed al loro effetto sulle costruzioni [6, 7]. Generalmente, infatti, gli accelerogrammi registrati in prossimità della sorgente sismica presentano una componente impulsiva che può risultare fortemente distruttiva. Questa componente è particolarmente evidente se si vanno ad analizzare le storie temporali degli spostamenti e delle velocità del terreno indotte da un sisma near source, in cui compaiono singoli cicli pseudoarmonici con periodo di 0.50÷2.00 s ed ampiezza (in termini di velocità) di 50÷200 cm/s.

668

TABAS

ag [g]

B-C-E

0.9 0.6 0.3 0 -0.3 -0.6 -0.9

120 80 40 vg [cm/s] 0 -40 -80 -120

dg [cm]

120 80 40 0 -40 -80 -120 0

10

20

0

30

10

20

t [s]

t [s]

a)

b)

30

Figura 3. Storie temporali di accelerazione (in alto), di velocità (in mezzo) e di spostamento (in basso) del terreno: a) Sisma registrato (Tabas, 1978); b) Accelerogramma sintetico (terreno di tipo B-C-E)

In Figura 3a sono rappresentate, ordinatamente dall’alto verso il basso, le componenti trasversali delle storie temporali di accelerazione, ag(t), velocità, vg(t), e spostamento, dg(t), del terreno registrati durante il terremoto del 16 settembre 1978 (magnitudo di 7.4) nella stazione 9101 di Tabas (Iran), distante 3.0 km dall’ipocentro. Nella registrazione della velocità, in parB-C-E

TABAS

4

3

S [g]

[ 

[ 

P 

P 

P 

P 

2

1

0 0

0.4

0.8

1.2

0

0.4

0.8

T [s]

T [s]

a)

b)

1.2

Figura 3. Spettri di risposta: a) Sisma registrato (Tabas, 1978); b) Accelerogramma sintetico (terreno di tipo B-C-E)

669

Figura 5. Schema assonometrico del solaio “Compound” in legno-cemento

ticolare, è evidente un impulso pseudo-armonio con periodo di circa 5.0 s ed ampiezza di circa 100 cm/s. Per confronto, in Figura 3b sono rappresentate le analoghe storie temporali di un campione sintetico del moto sismico generato per il terreno di tipo B-C-E. Fissata la stessa PGA dell’accelerogramma near source, pari a 0.852 g, è evidente che i valori massimi della velocità e dello spostamento del terreno sono in questo caso molto più basse e, soprattutto, non presentano impulsi pseudo-armonici. Per questi due accelerogrammi sono riportati in Figura 4 gli spettri di risposta in termini di accelerazione, valutati per il rapporto di smorzamento [ 5% (risposta elastica, linea continua) e per fissata duttilità P 1.5 (linea tratto e punto) e P 3.0 (linea tratteggiata). Dal confronto emerge che, a parità di PGA, il sisma near source risulta più gravoso, in particolare per le strutture molto rigide come le costruzioni murarie. 5. PRESTAZIONI DEL SOLAIO LEGNO-CEMENTO Il provino in scala 1:2 è stato costruito dalla ditta Coperlegno SRL di Roma, produttrice del solaio “Compound” in legno-cemento utilizzato per la copertura [8]. Uno schema assonometrico di questo solaio è mostrato in Figura 5, in cui si possono distinguere i tre componenti principali: (i) travetti in legno lamellare di abete rosso, armati con traliccio in acciaio elettrosaldato; (ii) pannelli autoportanti in estrusione di polistirene, che svolgono la funzione di cassero isolante alleggerito; (iii) soletta collaborante in calcestruzzo, armata con una rete elettrosaldata. L’inserimento e l’ancoraggio del traliccio metallico nel travetto lamellare è realizzato meccanicamente, tramite una particolare fresatura. Un’ulteriore fresatura a tratti nel travetto riduce lo scorrimento fra soletta e travetto, aumentando così la rigidezza della connessione legno-cemento.

a)

b)

Figura 6. a) Provino in scala 1:2 con copertura in legno-cemento; b) Modello agli elementi finiti del provino privo della copertura in legno-cemento

670

a)

b)

c)

Figura 7. Principali modi di vibrare del provino privo della copertura in legno-cemento: a) 1° modo (traslazione longitudinale); b) 3° modo (traslazione trasversale); c) 9° modo (torsionale)

Rispetto alla copertura lignea presente nelle Case Cicala, il solaio in legno-cemento è stato ordito in direzione longitudinale, rendendo così la copertura non spingente. Inoltre, rispetto ai tradizionali solai in latero-cemento, questa soluzione ha il vantaggio di ridurre le masse sismiche in testa all’edificio, garantendo comunque l’effetto scatolare in presenza di azioni sismiche. Nella fotografia di Figura 6a è mostrato il provino in scala 1:2, in cui è visibile la copertura in legno-cemento. In Figura 6b è invece rappresentata una vista prospettica del modello agli elementi finiti del provino privo della copertura in legno-cemento e, dunque, privo di quel benefico effetto scatolare che tale copertura assicura. Il modello agli elementi finiti è stato realizzato su SAP 2000 V9 [9] utilizzando elementi “shell”, che combinano il comportamento a lastra ed a piastra dei solidi bidimensionali. La presenza di una copertura tradizionale, come quella delle Case Cicala, è stata tenuta in conto mediante l’applicazione di forze statiche equivalenti sulla linea di gronda. I principali modi di vibrare del provino (visti dall’alto) sono riportati in Figura 7. Le simulazioni numeriche condotte sul modello agli elementi finiti, con e senza la copertura in legno-cemento, hanno consentito di verificare la validità di questa soluzione, evidenziando riduzioni di spostamenti ed accelerazioni nei punti di controllo fino ad un massimo del 70%. 6. PRESTAZIONI DEL RINFORZO CON FRP Il provino in scala 1:2 è stato strumentato con sei estensimetri a filo, collocati in diagonale nelle aperture, e con undici accelerometri (di cui cinque in direzione longitudinale, cinque in direzione trasversale ed uno in direzione verticale), posizionati a vari livelli (quattro sulla volta, tre sulle aperture al piano superiore e quattro sulla copertura). Il provino è stato inizialmente sottoposto ad una serie di 43 test su tavola vibrante, mono- e bi-direzionali, di intensità crescente. Sono state utilizzate tre forzanti sismiche: un campione di rumore bianco stazionario (monodirezionale), ai soli fini della identificazione dinamica del provino; un campione di accelerazione sismica generato da una densità spettrale di potenza coerente con lo spettro di risposta elastico previsto dalla nuova normativa per terreni di tipo B-C-E (monodirezionale); le componenti orizzontali del sisma near-source registrato a Tabas (Iran) nel 1978 (bidirezionale). Si noti che, rispetto alle registrazioni rappresentate in Figura 3, è stato necessario modificare la scala temporale degli accelerogrammi per le prove su tavola vibrante, utilizzando lo stesso rapporto di scala 1:2 impiegato per la geometria del provino. Questa modifica è dovuta al fatto che il provino in scala 1:2 è due volte più rigido del corrispondente edificio in scala reale (v. Appendice).

671

a) b) Figura 8. a) Quadro fessurativo rilevato alla fine della prima serie di prove; b) Intervento di rinforzo con nastri in CFRP

Il provino è rimasto in campo elastico-lineare fino ad un valore di PGA pari a 0.30 g. Aumentando l’intensità della forzante il provino è stato danneggiato, ed alla fine del test sismico con PGA di 0.50 g si sono manifestate evidenti lesioni, per cui è stata arrestata la prima serie di prove. In Figura 8a è riportato il quadro fessurativo, caratterizzato scorrimenti nei conci degli archi (linee blu) e da scorrimenti orizzontali (linee rosse), localizzati lungo due corsi di malta. Questi scorrimenti denunciano il fatto che la crisi nei pannelli murari del provino è avvenuta per taglio anziché per presso flessione; inoltre, la malta è risultata in questo caso l’elemento più debole della muratura. Prima di effettuare la seconda serie di prove, le lesioni orizzontali sono state cucite mediante nastri in fibra di carbonio (CFRP) ad alto modulo (modulo di elasticità a trazione 390 kN/mm2). Per testare la validità del rinforzo simulando l’esecuzione del lavoro non a regola d’arte, anziché procedere alle fasi preliminari prescritte per una buona riuscita dell’intervento (sabbiatura e rasatura del supporto; smussamento degli angoli) è stato direttamente steso il primer, che ha la funzione di rendere compatibili la fibra ed il supporto; una volta asciugato, su questo strato è stata applicata la fibra. Nella fotografia di Figura 8b è mostrato il provino alla fine dell’intervento di rinforzo con nastri in CFRP (in nero). Si precisa che le pareti sono state imbiancate unicamente per esigenze televisive (l’ultima seria di prove, infatti, è stata ripresa da operatori della RAI). E’ stata quindi eseguita la seconda serie di prove, costituita da 33 test sismici, mono- e bi-direzionali, con PGA crescente fino a 1.70 g, al fine di verificare l’efficacia dell’intervento sul provino. Nello schema di Figura 9a è illustrato il posizionamento degli accelerometri sul provino, A11 LON

2.5

A31 LON

2.5

2

2

1.5

1.5

acc [g]

acc [g] 1

1

0.5

0.5

0

0 0

0.4

0.8

1.2

PGA [g]

1.6

0

0.4

0.8

1.2

1.6

PGA [g]

a) b) c) Figura 9. a) Schema di posizionamento degli accelerometri; b) Accelerazioni longitudinali registrate sulla volta; c) Accelerazioni longitudinali registrate sulla copertura

672

L01

L11

3

3

2

d [mm]

d [mm] 1

2

1

0

0 0

0.4

0.8

1.2

1.6

0

0.4

0.8

1.2

PGA [g]

PGA [g]

b)

c)

a)

1.6

Figura 10. a) Schema di posizionamento degli estensimetri a filo; b) Spostamenti registrati nel portale; c) Spostamenti registrati nella finestra

mentre nei grafici di Figura 9b e 9c sono diagrammate le accelerazioni massime registrate in direzione longitudinale, rispettivamente sulla volta (A11 LON) e sulla copertura (A31 LON), all’aumentare della PGA della forzante. I risultati della prima serie di test sismici (provino senza rinforzo) sono riportati con linea continua; quelli della seconda serie (provino con rinforzo) con linea tratteggiata. Dall’esame dei grafici emerge che, in entrambi i casi, a parità di PGA della forzante sulla copertura (Fig. 9c, A31 LON) sono state registrate accelerazioni maggiori di quelle sulla volta (Fig. 9b, A11 LON): la presenza della copertura in legnocemento, tuttavia, conferendo un comportamento scatolare al provino, ha limitato le accelerazioni in testa, che altrimenti sarebbero risultate ben maggiori. Si vede, inoltre, come il provino si danneggi progressivamente all’aumentare della PGA della forzante. Infatti, interpretando il legame tra PGA della forzante (in ascissa) e accelerazione massima registrata in un punto di controllo sul provino (in ordinata) alla stregua di un legame forza-spostamento, la perdita di linearità in questo legame evidenzia una diminuzione della rigidezza causata dal graduale danneggiamento del provino. Dalle Figure 9b e 9c, inoltre, emerge che in entrambe le serie di test sismici (linee continue per il provino senza rinforzo; linee tratteggiate per il provino con rinforzo) aumentando l’intensità dell’eccitazione sismica interviene prima una modesta perdita di rigidezza al livello inferiore, e successivamente un più grave danneggiamento al livello superiore. Più precisamente, durante la prima serie di test sismici (linee continue) il comportamento del provino senza rinforzo risulta lineare fino ad un valore di PGA pari a 0.30 g. Le prove con PGA di 0.35 e 0.40 g evidenziano una perdita di rigidezza del provino di modesta entità, registrata sia dall’accelerometro sulla volta (A11 LON) che dall’accelerometro sulla copertura (A31 LON): in questo caso, quindi, il danneggiamento è intervenuto al livello inferiore. Le successive prove con PGA di 0.43, 0.45 e 0.50 g mostrano una ulteriore e più importante perdita di rigidezza al livello superiore, registrata solo dall’accelerometro posizionato sulla copertura. Considerazioni del tutto analoghe possono farsi per la seconda serie di test sismici (linee tratteggiate). Il comportamento del provino con rinforzo risulta sostanzialmente lineare fino ad un valore di PGA pari a 0.60 g, doppio rispetto al caso precedente. Come per il provino senza rinforzo, aumentando l’intensità dell’eccitazione, si ha una perdita di rigidezza evidente in entrambi i grafici di Figura 9b e 9c, ragion per cui anche in questo caso il primo danneggiamento si è avuto al livello inferiore. Anche con il rinforzo, poi, la crisi del provino è denunciata da una brusca perdita di rigidezza al livello superiore registrata durante la prova sismica con PGA di 1.70 g: rispetto al provino senza rinforzo, quindi, la resistenza del provino risulta più che triplicata. Si noti, infine, che l’intervento con CFRP ha reso il provino anche

673

a) b) Figura 11. a) Particolare del rinforzo al di sopra del portale; b) Termogramma eseguito alla fine della seconda serie di prove.

più rigido: a parità di PGA, infatti, le accelerazioni massime registrate nella seconda serie di prove sismiche sono inferiori rispetto a quelle della prima serie. L’efficacia dell’intervento di rinforzo è confermata anche dagli estensimetri a filo posizionati nelle aperture del provino. Nella Figura 10a è illustrato il posizionamento degli estensimetri nel prospetto frontale del provino, mentre nei grafici di Figura 10b e 10c sono diagrammati gli spostamenti massimi registrati (in direzione trasversale) all’aumentare della PGA della forzante, rispettivamente nel portale al primo livello (L01) e nella finestra al secondo livello (L11). Tra l’altro, queste registrazioni evidenziano come l’incremento di resistenza e di rigidezza garantito dai nastri in CFRP si manifesti anche nella direzione trasversale. Alla fine della seconda serie di prove su tavola vibrante è stata svolta sul provino un’indagine termografica per verificare lo stato di aggrappamento tra rinforzo e supporto. Nonostante il provino rinforzato sia stato sottoposto a 33 test sismici di intensità crescente, fino a produrre un severo danneggiamento al livello superiore, e nonostante l’intervento sia stato eseguito simulando un rinforzo non a regola d’arte (in particolare, senza sabbiare e rasare il supporto), l’indagine termografica ha rivelato che soltanto in zone molto limitate i nastri in CFP si sono distaccati dalla muratura. Nella fotografia di Figura 11a è mostrato un dettaglio dell’intervento con CFRP al di sopra del portale nel prospetto principale del provino, mentre in Figura 11b è riportato il corrispondente termogramma, in cui le parti in rosso individuano i punti in cui il rinforzo si è distaccato dalla muratura. 7. CONCLUSIONI Nel lavoro è stata investigata l’efficacia di due interventi di miglioramento sismico delle costruzioni murarie: (i) la sostituzione dell’esistente copertura in legno con un solaio in legnocemento, al fine di garantire il comportamento scatolare dell’edificio senza aumentare eccessivamente la massa sismica in testa, e contemporaneamente eliminare la spinta eventualmente esercitata dalla copertura originaria; (ii) il rinforzo dei pannelli murari attraverso nastri in FRP che, cerchiando la costruzione, incrementano la rigidezza e la resistenza nei confronti delle azioni sismiche. I risultati dell’indagine numerico-sperimentale condotta su un provino in scala 1:2, geometricamente e costruttivamente conforme ad una tipologia edilizia caratteristica della ricostruzione della città di Messina dopo la serie sismica del 1783, hanno confermano la validità di queste due interventi che, in virtù delle loro caratteristiche di leggerezza e di reversibilità, ben si prestano ad interventi di protezione sismica del costruito di interesse culturale.

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BIBLIOGRAFIA [1] Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ordinanza n. 3274, Primi elementi in materia di criteri per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica, 2003. [2] Cacciola P, Colajanni P, Muscolino G. Combinazione dei massimi modali coerente con lo spettro di potenza spettro-compatibile, IX Convegno Nazionale ANIDIS “L’Ingegneria Sismica in Italia”, 1999 (atti pubblicati su CD Rom). [3] Muscolino G. Dinamica delle Strutture, McGraw-Hill, Milano, 2001. [4] Makris N, Roussos Y. Rocking response of rigid blocks under near source ground motions, Geotechnique, 2000, Vol. 50, pp. 243-262. [5] Mavroeidis GP, Papageorgiou AS. A mathematical representation of near-fault ground motions, Bulletin of the Seismological Society of America, 2003, Vol. 93, pp. 1099-1131. [6] Psychogios T, Makris N. Dimensional response analysis of yielding structures, Università di Patrasso (Grecia), Report Series in Earthquake Engineering and Applied Mechanics, 2005/01. [7] Palmeri A, Makris N. Response analysis of rigid structures rocking on viscoelastic foundation, Università di Patrasso (Grecia), Report Series in Earthquake Engineering and Applied Mechanics, 2005/02. [8] Coperlegno SRL: Solaio Compound®. . [9] Computers & Structures, Inc.: SAP 2000 V9. . APPENDICE. ANALISI DIMENSIONALE La risposta sismica di un edificio in muratura si può pensare come funzione delle seguenti quantità: dimensioni geometriche, [L] m; densità di massa, [U] m3˜kg; accelerazione di gravità e accelerazione sismica, [g] >ag] m˜s2; periodi di vibrazione e tempo, [T] >t] s; rapporto di smorzamento, [[] 1; moduli elastici, [E] [G] m1˜kg˜s2, e resistenze, [f] >fv] m1˜kg˜s2 (dove il simbolo [˜] restituisce le dimensioni della quantità entro parentesi quadre nel sistema internazionale, mkgs). Tenendo conto che il provino per i test su tavola vibrante è stato realizzato fissando il rapporto tra le dimensioni geometriche, L, ed utilizzando lo stesso materiale, e quindi gli stessi valori di densità di massa, U, e modulo di Young, E, per la muratura, i tre gruppi (m), (m3˜kg) e (m1˜kg˜s2) possono essere selezionati come un sottoinsieme completo di gruppi dimensionalmente indipendenti. Le dimensioni del tempo t, che compare nelle storie temporali di accelerazione sismica, si possono quindi esprimere nella forma: [t ]

[U] ˜ [ L]2 [E]

Tenuto conto che i rapporti di scala di L, U ed E sono, rispettivamente, rL rU e r( , si trae che il rapporto di scala da utilizzare per il tempo t è lo stesso di quello scelto per le dimensioni geometriche: rt rL  Si osservi, tuttavia, che non è possibile scalare contemporaneamente tutti i parametri che intervengono nell’analisi sismica del provino: in particolare, non si può scalare l’accelerazione di gravità che dovrebbe risultare, nel caso in esame, aumentata di quattro volte, rg .

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

DISSESTI ATIPICI IN STRUTTURE AD ARCO DI GRANDE LUCE: FENOMENOLOGIA E RISCHI INDAGATI PER VIA SPERIMENTALE U. TONIETTI1, M. PAGLINI2 1 2

Dipartimento di Costruzioni, Università degli Studi di Firenze Dott. Architetto

SOMMARIO Il lavoro prende in esame il problema dell’interpretazione del comportamento strutturale di alcuni archi (o volte) di grande luce in muratura, sormontati da sistemi parete. Il particolare quadro fessurativo esibito dalle strutture indagate, che denuncia crisi locali riconducibili a fenomeni di schiacciamento e di parzializzazione delle sezioni, non trova spiegazione nel modello interpretativo classico legato alla formazione di meccanismi. Attraverso un’analisi sperimentale su modelli, riproducenti in scala una struttura ad arco rappresentativa di questa particolarità (nella fattispecie l’arco scenico del Teatro Goldoni di Livorno), si è tentato di individuare quali fattori fossero determinanti nella definizione del problema. L’indagine ha permesso di mettere in luce l’influenza esercitata sul comportamento di tali archi dal sistema parete-timpano, capace di produrre un potente effetto di confinamento quando le condizioni di carico sono elevate. ABSTRACT The work is about the peculiar behaviour of some wide span masonry arches put inside spandrel walls. It seems not possible to explain such mechanical behaviour and the related crack pattern using classical theory (J. Heyman’s collapse mechanism). Experimental tests on scale models have been carried out in order to reproduce the same crack patterns and atypical collapse modes of the real structures. The authors can explain the problem interpreting the connection between the particular (high) load condition applied on structures and the complex structural system in which those arches are put. Therefore, the valuation of such cases can be very important in order to determine the risk and to define, as possible, works of repair and prevention.

1. INTRODUZIONE Le ormai consolidate teorie sul comportamento delle strutture ad arco in muratura descrivono ampiamente la centralità del rapporto fra le caratteristiche geometriche e dimensionali e la condizione di carico. Si può osservare che tale rapporto si evidenzia nella sua specificità al

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sopraggiungere di crisi locali, cui le strutture stesse rispondono, usualmente, mediante adeguamento della propria configurazione geometrica, condizione in grado di evolvere sino alla formazione del meccanismo a blocchi. Il quadro fessurativo che ne nasce mostra chiaramente il percorso di equilibrio seguito dalla struttura, evidenziato, come è noto, dalla formazione delle classiche cerniere. Una risposta meccanica di questo tipo domina la quasi totalità del mondo delle strutture ad arco [1] [2]; tuttavia, si possono rintracciare dei casi che, in virtù di particolari caratteristiche costruttive, geometriche, meccaniche e delle condizioni di carico, costituiscono interessanti oggetti di studio. L’inusuale quadro fessurativo esibito, qualitativamente ben diverso da quello sopra descritto, apre interrogativi che non sono più esclusivamente di ordine geometrico, ma riguardano anche problemi di resistenza del materiale. I quadri fessurativi cui facciamo riferimento si riscontrano in alcuni manufatti noti in letteratura; a titolo di esempio citiamo: lo Stadwell Park Viaduct [3], un ponte ferroviario situato nel Nord Australia, il Teatro Goldoni di Livorno e la parete di Benedetto da Maiano, in Palazzo Vecchio a Firenze [4]. (Fig.1-3)

Figura 1. Stadwell Park Viaduct

Figura 2. Teatro Goldoni di Livorno

Figura 3. Parete di Benedetto da Maiano (Palazzo Vecchio)

Per quanto eterogenee ed inserite in contesti diversi, tali strutture presentano caratteristiche geometriche paragonabili: si tratta infatti di archi ribassati di grande luce (mediamente 15-20 m), interamente costituiti da muratura di mattoni, con dimensioni trasversali significative (3-4 m; con l’unica eccezione di Palazzo Vecchio con 0,5 m ca.). La tessitura muraria è diversa nelle tre strutture, mentre lo Stadwell Park Viaduct è formato da più arcate, costituite da otto ghiere concentriche ciascuna, sia il Teatro Goldoni di Livorno che la parete di Benedetto da Maiano, presentano una tessitura tradizionale, di diverso spessore (compreso tra 0,60 e 1,20 m), a giunti sfalsati. Come è logico supporre, a dimensioni tanto significative corrispondono valori di carico altrettanto elevati, tanto più quando tali strutture si trovino inserite in sistemi parete, con caratteristiche altrettanto inusuali; in particolare, nelle strutture suddette si trova un ordine di

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grandezza del sovraccarico che varia da 100 t nella parete di Palazzo Vecchio a 450 t nel Teatro Goldoni di Livorno. L’aspetto più curioso riguarda però la qualità dei quadri fessurativi: osservando attentamente sembrano infatti mancare i presupposti per poter descrivere la formazione del classico cinematismo, nonostante la presenza di significativi cedimenti a componente orizzontale od angolare. In particolare, per tutti i casi citati, l’andamento delle lesioni è sostanzialmente identico: si ha interessamento di porzione delle pareti superiori e prosecuzione delle fratture all’interno delle strutture ad arco con conseguente riduzione della sezione, riduzione che, nel caso del Teatro Goldoni, diviene piuttosto significativa. E’ da notare, inoltre, che tali lesioni seguono talvolta un percorso omotetico alla curva espressa dalla linea dell’arco, fatto che induce a considerare possibile la presenza di crisi locali con fenomeni di schiacciamento e di parzializzazione delle sezione. Ne consegue l’obbligo di valutare il fenomeno come appartenente all’ambito di quella modalità di crisi cui sono soggetti i pilastri (e muri) piuttosto che i sistemi-arco (per lo meno nelle ampiamente accettate ipotesi codificate da J.Heyman) [5]. Sembra infatti, in questa circostanza emergere un insolito comportamento in cui prevale la crisi per resistenza anziché quella per perdita di equilibrio. Per seguire questo percorso interpretativo dobbiamo necessariamente rifarci alle recenti e condivise teorizzazioni sul comportamento dei solidi murari e, per semplicità descrittiva, possiamo riferirci alle prime esposizioni sul tema di S. Di Pasquale [6] e A. Giuffrè [7]. Punto centrale - evidenziato dagli autori – è l’incapacità di diffusione del materiale muratura così che, nel descrivere le possibili fenomenologie della crisi, si ipotizza una risposta meccanica dove questa caratteristica assurge a fattore determinante per l’individuazione della sezione resistente. In quest’ottica, i limiti di resistenza del materiale, rapportati alla condizione di carico, assumono un ruolo determinante nel rappresentare il comportamento meccanico del solido murario per il quale trovano spiegazione i fenomeni di parzializzazione delle sezioni (si veda l’ampiamente trattato caso del pilastro etc.) Ancorandosi alle teorie succitate, si può richiamare l’ipotesi che la porzione di solido interessata da una data distribuzione di carico possa essere limitata ad una fascia “reagente” la cui ampiezza dipende dalla qualità dell’applicazione dell’azione esterna. In quest’ottica, sia che si tenga conto di un modello teorico continuo costituito da materiale omogeneo ed isotropo, come nella teorizzazione di S.Di Pasquale, sia che si consideri un modello discontinuo, come quello ipotizzato da A.Giuffrè, il comportamento meccanico del materiale permane identico con la sola differenza che, nel modello discontinuo, tener conto della tessitura muraria porta a considerare una zona più ampia di diffusione. (Figg.4-5)

Figura 4. Modello continuo (S.Di Pasquale)

Figura 5. Modello discontinuo (A.Giuffrè)

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Sulla base di queste considerazioni è dunque lecito interpretare le fratture come elementi utili per l’identificazione della sezione resistente di un solido murario. Ovviamente tale fenomeno si mostra a partire dal superamento di una soglia di resistenza, specifica per il materiale, e denuncia il sopraggiungere esplicito della parzializzazione; esso però necessita per essere realmente compreso, che si abbia il coraggio di abbandonare il concetto stesso di sezione retta, per lo meno come definizione geometrica aprioristica e geometricamente indefinita (non v’è dubbio infatti che in una parete muraria soggetta a carichi concentrati non si possa assumere come sezione reagente l’intera superficie sezionata delle parete anche quando ci troviamo a grande distanza dai punti di applicazione delle azioni esterne). Riesaminando alla luce di queste considerazioni le strutture indagate appare lecito chiedersi quali fattori possano influenzare le modalità di formazione e di evoluzione dei quadri fessurativi, ed in particolare, è necessario comprendere quali condizioni possano determinare una risposta meccanica che si esplica attraverso il ricorso ad espressioni di crisi che chiamano in causa la resistenza del materiale, mentre è evitato, chiaramente, l’innescarsi di un qualsivoglia cinematismo per blocchi. Riassumiamo ora le caratteristiche salienti, geometriche e meccaniche, ricorrenti nelle strutture indagate: - Dimensioni geometriche assolutamente notevoli: archi di grande luce, con ghiere di notevole spessore e dimensioni trasversali significative. - Condizioni di carico elevate. - Presenza di pareti-timpano, caratterizzate da forti spessori, altezze significative e trasferenti considerevoli sovraccarichi. - Presenza di cedimenti significativi: sia a componente orizzontale che angolare. - Costruzioni murarie in mattoni. Per saggiare quali tra quest’insieme di condizioni potessero ritenersi effettivamente influenti nella riproduzione del fenomeno, si è pensato di procedere ad un’analisi sperimentale, condotta su modelli in scala da assoggettare, monitorati, a prove di carico. Si è preso a riferimento per il prototipo uno dei casi riferiti, nella fattispecie l’arco scenico del Teatro Goldoni di Livorno, del quale eravamo in possesso di una completa descrizione.

2. L’INDAGINE SPERIMENTALE 2.1. Il Teatro Goldoni di Livorno – Analisi del prototipo La composizione della porzione di struttura indagata può essere schematizzata attraverso tre elementi fondamentali [8]: - Piedritti: su di essi è impostato l’arco scenico a circa 14 m di altezza. Costituiti da muratura di mattoni di non egregia qualità, presentano delle differenze in quanto alla risposta strutturale; in particolare, il piedritto sinistro, presenta delle notevoli fessure che corrono per quasi tutta l’altezza. Si riscontrano inoltre cedimenti differenziali a carico del piedritto sinistro dell’ordine di 2 cm. - Arco scenico: si tratta di una volta a botte ribassata, tricentrica, di luce netta pari a 18.70 m, monta 6.36 m e profondità 3.94 m. Lo spessore della ghiera, variabile per la presenza delle 5 riseghe, va da 60 cm in chiave a 120 cm all’imposta dove la sezione trasversale di volta si restringe per la presenza di due archetti ogivali di scarico. Costituito interamente da muratura di mattoni, la tessitura è tradizionale con file di mattoni a giunti sfalsati alternate, disposte secondo la direzione trasversale, con ispessimento della sezione (12 cm) laddove insistono le pareti longitudinali.

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Sull’arco scenico insiste inoltre una pavimentazione a mezzane calpestabile, che in prossimità delle imposte sottende un vero e proprio rinfianco. Si riscontrano alle imposte spostamenti-cedimenti orizzontali dell’ordine di 2-3 cm. - Pareti longitudinali: realizzate in mattoni pieni, di spessore diverso (73 e 60 cm) le due pareti portano i carichi della copertura ed insistono direttamente sulla volta. - Setti trasversali: ammorsati alle pareti longitudinali essi insistono direttamente sulla volta, ma non risultano essere setti portanti la copertura.

Figura 6. Quadro fessurativo lato sala

Figura 7. Archetti ogivali alle imposte

Figura 8. Quadro fessurativo lato scena

Assumendo le lesioni verticali presenti sulle pareti longitudinali, a lato delle imposte, come databili al periodo della costruzione del teatro, nell’analisi di fatto vengono considerate le sole porzioni di parete supposte, al momento, gravanti sull’arco scenico. Va sottolineata inoltre l’immediata riconoscibilità della struttura portante (l’arco scenico) e di quella portata (le pareti longitudinali). 2.2. Analisi dei carichi Le condizioni di carico, sono state semplificate nella descrizione in previsione dell’utilizzo per la costruzione dei modelli in scala (Tab.1). L’ispessimento degli arconi laterali, non riprodotto sui modelli, è valutato come carico aggiunto delle pareti longitudinali.

Carichi agenti sulla volta (daN) Peso proprio Controsoffitto Rinfianchi e pavimentazione a mezzane

Carichi agenti sulle pareti-timpano (daN)

89648 18056

Peso proprio Copertura

62736

Arconi laterali della volta

170440

325804 32176 57784 416848

Tabella 1. Le condizioni di carico

2.3. La realizzazione dei modelli In fase progettuale, data la scelta di scala per la realizzazione dei modelli (1:20, idonea sia per la gestione tecnico-costruttiva che per le dimensioni dell’apparecchiatura di prova), si è ritenuto opportuno introdurre semplificazioni di ordine geometrico; in particolare, la curva tricentrica della volta è stata approssimata con un arco di cerchio e ridotto il numero delle riseghe a tre, mentre le pareti longitudinali sono state “ritagliate” in forma rettangolare, in previsione del complesso sistema di carico da adottare. Quindi, sono stati costruiti due modelli:

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- Modello 1 : realizzato interamente in conglomerato di malta bastarda (ma differenziato nei suoi componenti da diverse proprietà meccaniche). - Modello 2 : misto in conglomerato di malta bastarda e muratura di mattoni. Data l’omogeneità dei materiali costituenti modelli e prototipo, dal teorema dell’analisi dimensionale si deduce, (attraverso la relazione ζ = K x λ-2 dove ζ esprime il rapporto tensionale prototipo-modello, K il rapporto tra i carichi, e λ il rapporto di scala tra le lunghezze)[9], la necessità di sovraccaricare il modello se si vuole riprodurre identità tensionale. (Tab.2) Carichi agenti sulla volta (daN) Peso proprio Controsoffitto Rinfianchi e pavimentazione

Carichi agenti sulle pareti longitudinali (daN) 208 44.8 158 412

Peso proprio ed arconi laterali Copertura

948 64 1012

Tabella 2. Risultati dell’analisi dei carichi per i modelli (al lordo del peso proprio)

Vista la ridotta dimensione dei modelli e la necessità di rispettare una corretta gerarchia nelle modalità di trasferimento, per l’applicazione del carico sono state individuate due metodologie differenti: il carico rappresentativo delle azioni dirette, diffuse sulla volta, è stato simulato attraverso la predisposizione di piombo sfuso, in sacchetti da 0,500 Kg – 1 Kg, da alloggiare all’interno del modello, mentre il sovraccarico trasferito dalle pareti-timpano è stato impartito, anche per la sua entità, attraverso una cella di carico. Per garantirne una distribuzione uniforme è stato realizzato un sistema isostatico a piramide, costituito da profilati ad U e appoggiato sul modello in modo discreto, mediante piastre di ripartizione, per consentire più gradi di libertà ai setti. I cedimenti (verticale ed orizzontale) rilevati nella struttura reale, sono stati simulati attraverso tasselli in gomma, inseriti sotto ed a lato delle imposte sulla parte destra dei modelli. Noto l’ordine di grandezza dei cedimenti, sono state effettuate prove di compressione su diversi tipi di gomme per poter tenere sotto controllo la deformabilità durante la sperimentazione. Il sistema di appoggio dei modelli sul telaio è stato realizzato mediante piastre di acciaio opportunamente rettificate e saldate in più punti al telaio e disposte in modo tale da impedire ulteriori spostamenti oltre a quelli consentiti dai tasselli cedevoli. Per la rilevazione degli spostamenti sono stati impiegate 3 coppie di tastatori del tipo CE 10 TML, montati su supporti magnetici applicati al telaio e situati in tre punti dei modelli ritenuti particolarmente significativi. (Tab.3) Per impartire il carico sono stati utilizzati due diversi tipi di celle, collegate ad una centralina di raccolta dati TDS-301 TML. (Tab.4) Abbassamento in chiave Cedimento verticale (imposta A) Cedimento orizzontale (imposta A)

Tastatori n°1-2 ( fronte-retro) Tastatori n°3-4 ( fronte-retro) Tastatori n°5-6 ( fronte-retro)

1. Cella TCLP-5B TML 2. Cella CVX60000 METIOR

Tabella 3. Strumenti di rilevazione

Portata max 5000 kg

Portata max 60000kg

Tabella 4. Celle di carico

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3. MODELLO 1 3.1. Osservazioni generali Il primo modello, realizzato in conglomerato di malta bastarda, è nato come modello di prova al fine di saggiare la correttezza delle ipotesi e della modellazione iniziali. In particolare, dato che nella struttura reale il materiale costituente le pareti risulta essere piuttosto scadente rispetto a quello che costituisce la volta, si è riprodotta tale gerarchia resistente attraverso l’adozione di conglomerati con differenti moduli elastici. A questo fine le due parti di struttura sono state realizzate con una miscela diversificata nella quantità di acqua. Dai due impasti sono stati ricavati 6 provini, di dimensione 4x4x16 cm, sui quali sono state effettuate prove a flessione e compressione (Tab.5). Da sottolineare lo sforzo di realizzare, attraverso una ricerca del fuso granulometrico più appropriato, un materiale che fosse, per dosaggio e dimensione degli inerti, il più vicino in scala ad un conglomerato reale. Conglomerato (VOLTA) Calce idraulica Cemento Portland Sabbia Acqua

σ (daN/cm2)

0,200 kg

Calce idraulica Cemento Portland

0,200 kg 1,4 kg (φ 1,5-0,150; φ 0,500-0,075) 0,240 lt

σ (daN/cm2)

Conglomerato (PARETI)

95,91 Sabbia Acqua

0,200 kg 0,200 kg 1,4 kg (φ 1,5-0,150; φ 0,500-0,075) 0,280 lt

69,84

Tabella 5. Composizione del conglomerato e resistenza a compressione del materiale.

Per quanto concerne il sistema di trasferimento dei carichi, solo in questa prima prova, è stata riproposta fisicamente la differenza di carico fra le due pareti (85 daN), con l’ausilio di lingotti di piombo da alloggiare sulla parete di spessore maggiore. 3.2. Risultati sperimentali Prima di procedere all’illustrazione dei risultati è doveroso osservare che per portare i nostri modelli al collasso è stato necessario, come spesso accade in queste sperimentazioni (per noti fattori di scala), impartire un carico molto più elevato di quello teoricamente previsto. CICLO CARICO

(daN)

I

0- 1919,2

II

442-5103

T1 (mm)

T2 (mm)

Media T1-T2

T3 (mm)

T4 (mm)

Media T3-T4

0-1,5

0-2

1,4-3,2

1,8-3,7

1,75

0-0,26

0-0,25

0,255

3,45

0,3-0,5

0,5

0,5

T5 (mm)

T6 (mm)

Media T5-T6

0-0,21

0-1,5

0,855

1,9-3,7

1,2-1,7

2,7

Tabella 6. Deformazioni, risultati registrati per cicli di carico.

Allo scopo di evidenziare il rapporto fra comportamento del prototipo e comportamento del modello, l’analisi dei risultati è stata condotta cercando di collegare i diagrammi caricospostamento con l’evoluzione del quadro fessurativo.

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I-II CICLO DI CARICO - ABBASSAMENTO IN CHIAVE





5000

4000



2000

3000

2000



1000

1000

1000

0

0

0 500

3000

2000







0



4000 Carico (daN)

3000



5000

4000 Carico (daN)

Carico (daN)

6000

6000

 5000

I-II CICLO DI CARICO - CEDIMENTO ORIZZONTALE IMPOSTA A

I-II CICLO DI CARICO - CEDIMENTO VERTICALE IMPOSTA A

6000

1000

1500

2000

2500

3000

3500

0

4000

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

0

4000

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

4000

Deformazioni (Mcr)

Deformazioni (Mcr)

Deformazioni (Mcr)

Fig.9-11. Percorso di equilibrio relativo alle tre coppie di tastatori (I-II ciclo di carico)

48$'52)(6685$7,92&203/(66,9268/)5217( 3$5(7('$FP

48$'52)(6685$7,92&203/(66,9268/5(752 3$5(7('$FP

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)5217(

Fig.12. Quadro fessurativo complessivo per il Modello n°1

V O

ǻ modello (mm) 1.2 1.9

ǻ prototipo (mm) 20 50

Tabella 7. Confronto cedimenti prototipo-modello

L’evoluzione del quadro fessurativo mette in luce il processo attraverso il quale vengono progressivamente interessate le varie parti della struttura (Fig.12). Tale processo è descritto nei grafici relativi ai percorsi di equilibrio (Figg.9-11) e può essere così riassunto: 0-1. In una prima fase, che trova il suo culmine a 1190 kg, l’unica lesione - anche se sottile, non passante e totalmente priva di evoluzione – è presente nell’intradosso in chiave. 1-2. Al crescere successivo del carico si è ravvisato un distacco della volta dalle pareti sovrastanti, distacco evidente lungo tutto l’estradosso e accompagnato da un forte incremento della deformazione anche per piccole variazioni di carico. Tale fase si conclude con la formazione di una lesione che interessa la struttura dell’arco in prossimità di una risega.

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2-3. Da questo momento in poi, il quadro fessurativo comincia ad interessare le paretitimpano superiori, dove le lesioni, per la maggior parte innescatesi in corrispondenza dei setti interni (a dimostrazione della funzione di irrigidimento), raggiungono aperture considerevoli. 3-4. A conclusione di questa fase e per valori decisamente alti del carico impresso si registra un nuovo coinvolgimento dell’arco nel processo fessurativo in prossimità delle riseghe. Tale fenomeno, per quanto di dimensioni non diffuse, replica esplicitamente gli aspetti che tanto ci avevano colpito nel prototipo. Il collasso avviene, infine, proprio per schiacciamento, nella porzione prossima all’imposta A.

4. MODELLO 2 4.1. Osservazioni generali In questo circostanza, la volta è stata realizzata in mattoni, adottando la tessitura che era deducibile dal prototipo (rapportabile a quella di una volta ad elementi longitudinali)[10], prevedendo la presenza di riseghe ammorsate.

Fig.13-15. Tessitura della volta per il Modello n°2

Il modulo base (mattoncino), scelto in funzione della scala di riproduzione del modello è di 14x28x65 mm; i mattoncini sono stati ricavati dal taglio di mattoni standard 5x12x25 cm del tipo S.Marco fatti a mano, e posti in opera con malta avente la stessa composizione di quella del modello n°1. Le pareti, sono state invece realizzate in conglomerato di malta bastarda, questo per riproporre la diversa rigidezza delle parti costituenti la struttura, rispettando la gerarchia strutturale ed evitando una eccessiva complessità esecutiva. Per valutare la resistenza della muratura sono state effettuate prove di compressione, a 28 gg. di stagionatura, su tre provini (rapporto dimensionale h=2b) realizzati simulando un’apparecchiatura muraria vera e propria. La σ a rottura è risultata pari a 150 daN/cm2. Inoltre, rispetto al primo modello, si è rinunciato a simulare la differenza di carico tra le due pareti; infatti, l’accertata scarsa influenza di tale difformità nello sviluppo del quadro fessurativo ne ha suggerito l’eliminazione, garantendo al contempo un più favorevole controllo di fenomeni secondari d’instabilità durante il processo di carico. Per quanto riguarda, infine, la collocazione della strumentazione di controllo ed il sistema di applicazione del carico, essi sono identici a quelli dell’esperimento precedente. 4.2. Risultati sperimentali

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CICLO CARICO

T1 (mm)

(daN)

T2 (mm)

Media T1-T2

T3 (mm)

T4 (mm)

Media T3-T4

T5 (mm)

T6 (mm)

Media T5-T6

I

0- 7782

0-1,45

0-1,85

0,165

0-1,26

0-1,17

0,19

0-0,92

0-0,72

0,82

II

242-7642

0,6-1,6

0,7-1,8

1,7

0,5-1,3

0,6-1,1

1,2

0,3-0,9

0,1-0,7

0,8

Tabella 9. Deformazioni, risultati registrati per cicli di carico.

8000



9000 

8000



7000

7000

6000

6000

6000

5000 4000

5000 4000

3000

3000

2000

2000

1000

1000

0

0

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

Carico (Kg)

7000

Carico (kg)

Carico (Kg)

9000

8000



I-II Ciclo di carico - Cedimento orizzontale imposta A

I-II Ciclo di carico - Cedimento verticale imposta A

I-II Ciclo di carico - Abbassamento in chiave 9000

4000





5000 4000 3000 2000 1000

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

0

4000

0

500

1000

1500

Deformazioni (Mcr)

Deformazioni (Mcr)

2000

2500

3000

3500

4000

Deformazioni (Mcr)

Fig.16-18. Percorso di equilibrio relativo alle tre coppie di tastatori (I-II ciclo di carico)

48$'52)(6685$7,92&203/(66,9268/)5217( 3$5(7('$FP

48$'52)(6685$7,92&203/(66,9268/5(752 3$5(7('$FP

/HVLRQH

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48$'52)(6685$7,92$// ,175$'2662 

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/HVLRQH

5(752

35,02&,&/2',&$5,&2GDDNJ /HVLRQH

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'HVFUL]LRQHGHOOHOHVLRQLLQUDSSRUWRDOO DPSLH]]D 'LVWDFFKLSHUFRPSUHVVLRQH %)URQWH

)5217(

$)URQWH

Fig.19. Quadro fessurativo complessivo per il Modello n°2

Complessivamente un sommario confronto con i risultati forniti dal modello precedente evidenzia qui un quadro fessurativo più contenuto e più contenute deformazioni, talchè risulta meno evidente l’evoluzione del comportamento meccanico. Tutto ciò (e col senno di poi) è da ascriversi alle diverse caratteristiche dei materiali costituenti: infatti se da un lato la riproposizione dell’orditura in mattoni rende più accostabile il secondo modello al prototipo dobbiamo pur tuttavia concludere che la similitudine meccanica, diversamente dalla tecnologica, è risultata influenzata dalla rigidezza elevata dell’arco-volta (nonché da una più contenuta entità dei cedimenti vincolari). Si assiste pertanto ad una rappresentazione assai smorzata (rispetto all’esperimento sul modello n°1) del quadro fessurativo. Esso è però qualitativamente rispondente alle identiche istanze meccaniche: l’innescarsi quasi immediato della lesione in chiave, la sua non evoluzione, il realizzarsi della discontinuità tra struttura

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arco e sistema di pareti-timpano, il trasferimento macroscopico dei plessi fessurativi a detto sistema, ed infine la crisi per evidente schiacciamento alle imposte. E’ da sottolineare certamente il fatto che, diversamente dal modello precedente, il quadro fessurativo ha interessato principalmente le pareti; tale fenomeno è ragionevolmente ascrivibile non solo alla notevole differenza di rigidezza tra pareti e volta cui abbiamo già accennato, ma si può ipotizzare che intervenga, in modo decisivo, anche un’effetto scala. Infatti, se nella realtà dell’arco scenico del teatro Goldoni possiamo pensare che una sezione d’imposta appartenente ad una ghiera di ampiezza pari a 120 cm, non possa in alcun modo venire tutta interessata dal flusso del carico, creando così le condizioni per una parzializzazione, nel caso dell’esperimento sul modello, laddove l’ampiezza della sezione è ridotta a 6 cm (con la presenza di 2-3 elementi mattone) è lecito pensare - in accordo con le ipotesi sulla diffusione del carico rapportata alla tessitura esposte da A.Giuffrè – che essa possa essere interamente chiamata in causa dal flusso del carico, seppur considerevole. Per tale ragione è difficile osservare lesioni ad andamento “concentrico” sul fronte arco se non in stretta prossimità con i valori di collasso.

5. INTERPRETAZIONE DEI RISULTATI SPERIMENTALI Per l’obiettivo che ci proponevamo è risultata fondamentale l’osservazione del comportamento dei modelli durante i processi di carico. L’allestimento di un esperimento infatti obbliga ad un continuo interrogarsi circa quanto sta avvenendo, se non altro per la preoccupazione costante di commettere errori o di indirizzare involontariamente i risultati. Vedere evolvere, nel tempo reale della sperimentazione, i quadri fessurativi consente dunque di ipotizzare legami di causa tra i fenomeni registrati; nel nostro caso è risultato decisivo l’assistere concretamente al presentarsi di una lesione (in chiave) e successivamente allo svanire di quanto detta lesione aveva annunciato. In altri termini ci è stato possibile constatare come il formarsi del classico meccanismo a blocchi in verità non è che non ci fosse, semplicemente si presentava ma non poteva evolvere. Per convincersi di questo è sufficiente confrontare i grafici carico-spostamento (in chiave) di un arco tradizionale con quello del modello1 (il più espressivo): nel caso tradizionale si assiste alla perdita progressiva di rigidezza della struttura simultaneamente con l’aprirsi delle cerniere, nel nostro esperimento il percorso di equilibrio evidenzia il succedersi di comportamenti strutturali diversi, dapprima quello atteso (fasi 0-1 e 1-2 caratterizzate dalla lesione in chiave e dall’esplicarsi dell’atto iniziale del meccanismo), successivamente (ben sottolineato da una ripresa notevole di rigidezza seguita dal collasso) quello in cui l’arco non può attivare gli ulteriori cinematismi richiesti e si trasforma in una sorta di pilastro curvilineo ipercompresso. Se vogliamo ricorrere ad una efficace immagine per spiegare il fenomeno è sufficiente richiamare alla memoria alcuni dei numerosi schemi rappresentativi del cinematismo classico di collasso (Fig.20). E’ del tutto evidente che il cinematismo per esplicarsi, anche in presenza di cedimenti, deve poter produrre spostamenti verticali verso l’alto in prossimità delle reni; questo accade usualmente anche in presenza di “spalle” le quali, per conformazioni standard, assecondano il meccanismo; nel nostro caso l’elevato impegno di carico, trasferito all’arco attraverso la costrizione della parete-timpano che esercita un insormontabile vincolo sulla superficie d’estradosso, non consente tale evoluzione. A questo punto, impedito un significativo cambiamento di configurazione, il flusso dei carichi è obbligato a seguire il percorso definito dalla curva delle pressioni: ma il regime di sforzo è assai elevato, le sezioni, soprattutto in

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vicinanza delle riseghe, non possono, data la loro ampiezza, reagire con l’intera geometria e si parzializzano. In conclusione ci sembra utile sottolineare come gli esperimenti replichino con grande verosimiglianza i quadri fessurativi riscontrati nella realtà, contribuendo alla conferma dell’interpretazione fornita; c’è solo da aggiungere a quanto detto una considerazione inevitabile sulla sicurezza. Fenomeni come quelli indagati, per quanto rari, sono presenti in situazioni di particolare significato strutturale ma anche, inevitabilmente, sociale; ebbene dobbiamo essere consapevoli che in queste circostanze non si hanno di fronte stati lesionativi e tensionali standard la cui evoluzione è progressiva: al contrario in strutture che esibiscono questo comportamento meccanico si è già molto prossimi ai limiti di collasso per alcune porzioni di materia. Questa lavora esclusivamente attorno a “canali” o “fasce” piuttosto ridotti (per quanto la capacità diffusiva consente) e non è possibile per la struttura la ricerca di altre configurazioni equilibrate; in ultima analisi i margini di sicurezza sono assai esigui e massima l’attenzione ed i presidi da mettere in campo per contrastare una rottura di tipo fragile.

Fig.20. Configurazione di collasso di arco in opera muraria secondo: a) Mascheroni [11], b) Rondelet [2]

BIBLIOGRAFIA [1] Morandière M.R., Traité de la Construction des Ponts et Viaducts, Dunod, Parigi 1874. [2] Rondelet G., Trattato Teorico e Pratico dell’Arte di Edificare, Mantova, Società Editrice, 1832. [3] A.M. Sowden, The maintenance of Brick and Stone Masonry Structures, E.&F.N. Spon, University Printing House, Cambridge, 1990. [4] Tonietti U., “Una geniale soluzione strutturale per la parete autoportante di Benedetto da Maiano in Palazzo

Vecchio a Firenze”. AIAR Conferenza Nazionale : Archeometria del costruito.L’edificato storico: materiali, strutture e rischio sismico. Ravello, febbraio 2003. [5]

Heyman J., The masonry arch, Ellis Horwood Ltd., 1982.

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Di Pasquale S., Statica dei solidi murari. Teoria ed esperienze, Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Costruzioni, ed. Preprint , pubb. n.27 , Febbraio 1984.

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Giuffrè A., Letture sulla meccanica delle murature storiche, ed. Kappa, Roma, 1995.

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M.Lucchesi, A.De Falco, N.Zani, Studio sul comportamento statico dell’arco scenico del Teatro Goldoni di Livorno, Pisa 1998.

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Fumagalli E., Statical and geomecanicals models, Wien, Ed. Sprinter-Verlag, 1973.

[10] G.A. Breymann , Trattato generale di costruzioni civili: con cenni speciali intorno alle costruzioni grandiose, Karlsuhe, 1877 (ed. it. Milano Vallardi con commento di G. Giovannoni). [11] Benvenuto E., La scienza delle costruzioni e il suo sviluppo storico, Firenze, Sansoni 1981

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Sessione VI: Rafforzamento strutturale

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

STUDIO DEL COLLASSO STRUTTURALE: ANALISI DI CASI REALI E TECNICHE DI PROGETTAZIONE PER LA LIMITAZIONE DEL DANNO P. SPINELLI, L. GALANO, F. BARNI Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli Studi, Firenze

SOMMARIO L’obiettivo principale della progettazione strutturale è fornire alle strutture la capacità di sopportare tutti i carichi a cui esse saranno presumibilmente soggette, per tutta la durata della loro vita attesa ed in ogni loro punto. In circostanze eccezionali, però, anche una struttura ben progettata può subire un danneggiamento localizzato, come ad esempio nel caso di urti od esplosioni. In questa memoria viene presentato uno studio dei metodi di progettazione volti ad evitare che un danno localizzato in una struttura si estenda, oppure, in altre parole, uno studio dei metodi per contrastare il collasso progressivo di una struttura. ABSTRACT The main goal of structural design is to provide structures with the capability of withstanding every load they will likely be subjected to during their expected life, in every part of them. Under exceptional circumstances, however, even a well designed structure can suffer a local damage, like for example the case of impact or explosion. This paper presents a study of design methods to avoid the spread of localized damage or, in other words, a study of methods to contrast the progressive collapse of a structure.

1. INTRODUZIONE Lo studio è articolato in cinque punti: - un’analisi storica dell’evoluzione dei metodi di progettazione e di costruzione, finalizzati all’ottenimento della sicurezza strutturale; - una casistica di collassi strutturali avvenuti, da cui sono stati tratti (o si sarebbero dovuti trarre) insegnamenti; - una panoramica sull’evoluzione delle normative riguardanti il collasso progressivo delle strutture; - la ricerca di tutti i possibili metodi che sono stati (o potrebbero essere) usati per studiare la sensibilità delle strutture al collasso progressivo; - alla luce delle conoscenze acquisite ai punti precedenti, sono state svolte alcune analisi teoriche su un edificio, con l’intento di valutare la validità dei metodi impiegati.

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2. EVOLUZIONE DELLA SICUREZZA STRUTTURALE In generale, per limitare le probabilità che si verifichi un collasso progressivo, una struttura deve possedere le qualità di seguito elencate: - la resistenza, che è la capacità di un sistema di non rompersi quando è soggetto a dei carichi; - la stabilità, ovvero la capacità di un sistema di subire perturbazioni senza allontanarsi indefinitamente dalla configurazione d’equilibrio; - la duttilità, che è la capacità di un corpo di subire deformazioni permanenti senza rompersi e senza perdere resistenza in modo apprezzabile; - la ridondanza, ovvero la qualità di una struttura di riuscire a sostenere i carichi in più di un modo, cioè di scaricare a terra i carichi tramite più percorsi di carico. Alcuni Autori sostengono inoltre l’importanza della compartimentazione, ovvero della suddivisione della struttura in sottosistemi opportunamente scollegati tra loro. Con questo metodo un danno localizzato non può estendersi oltre i giunti tra un sottosistema e l’altro. La sua utilità è evidente quando non è possibile fornire adeguati percorsi di carico alternativi alla struttura. C’è comune accordo sul fatto che la sicurezza strutturale dipende anche dall’accuratezza con cui vengono progettati e realizzati i particolari, soprattutto per quanto riguarda le unioni, perché anche pochi particolari progettati o realizzati poco accuratamente possono compromettere l'integrità strutturale globale. Storicamente, la sicurezza strutturale è sempre stata ricercata tramite la resistenza e la stabilità. L’utilità della duttilità è stata riconosciuta solo in tempi relativamente recenti, perché solo da circa due secoli sono state sviluppate le tecnologie per realizzare grossi elementi in materiali duttili (metalli), ed anche perché l’effettiva utilità si vede solo in casi particolari (tipicamente durante il sisma). La ridondanza solitamente viene trascurata. Secondo M. Levy ed M. Salvatori [9], “la ridondanza deve essere considerata una caratteristica necessaria in ogni grande struttura o in ogni struttura il cui crollo può causare gravi danni o la perdita di vite umane” e “tutti i crolli strutturali possono essere considerati come dovuti alla mancanza di ridondanza”. Viene da chiedersi il perché una caratteristica così importante viene quasi sempre trascurata. Probabilmente per due motivi: perché la sua utilità si manifesta in evenienze molto rare e perché tenerne conto comporta maggiori oneri di tempo e di denaro.

3. LE NORMATIVE Sono state studiate le normative tecniche per le costruzioni di Francia, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Canada, Italia e gli Eurocodici. Tutte le normative esaminate includono prescrizioni volte a fornire un accettabile grado di resistenza, duttilità e stabilità alle strutture. In genere esse richiedono anche, in modo generico, di cercare di evitare che danneggiamenti locali si estendano eccessivamente; talvolta vengono usate espressioni come “ridistribuzione dei carichi tra gli elementi residui, sia pure a prezzo di dissesti locali”, che equivale a richiedere, implicitamente, che le strutture siano ridondanti. Raramente, tuttavia, esse forniscono delle indicazioni su come perseguire concretamente queste finalità; fanno eccezione la normativa degli Stati Uniti, che fornisce linee guida su come realizzare percorsi di carico alternativo, e gli Eurocodici, che si limitano ad elencare generiche strategie che

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possono essere adottate (come “calcoli strutturali di dinamica non lineari” o “aspetti probabilistici ed analisi delle conseguenze”) senza ulteriori indicazioni. Va inoltre sottolineato che solo le normative degli USA e del Canada suggeriscono la possibilità di compartimentare le strutture per limitare l’estensione del danno. Nelle normative esaminate alcuni aspetti del problema non sono mai considerati. In particolare, sono quasi del tutto trascurati gli effetti dinamici dei collassi; non si richiede, cioè, di considerare le forze d’inerzia che possono nascere durante il danneggiamento, e non si fa mai menzione della caduta (impatto) di elementi della struttura su altri elementi. Va sottolineato che questi effetti hanno avuto una notevole rilevanza in molti dei casi di collasso studiati.

4. CASI DI STUDIO DI COLLASSI STRUTTURALI AVVENUTI Nel lavoro è stata studiata una casistica di 13 collassi strutturali realmente accaduti, per capire come sono occorsi, cosa si è imparato da essi, e anche cosa non si è imparato. Di seguito sono riportati tre casi molto conosciuti e significativi. Il caso della torre di Ronan Point a Canning Town, in Inghilterra, ha fatto storia; in seguito ad esso venne coniata la denominazione “collasso progressivo”, e si iniziò a studiare metodi per prevenirlo o mitigarne gli effetti. La torre, alta ventidue piani, era stata costruita con un sistema di prefabbricazione composto da grossi pannelli di cemento armato, estesi quanto una stanza. Esso prevedeva che le giunzioni tra gli elementi fossero riempite di malta, senza armature aggiuntive di collegamento. Il 16 maggio 1968 si verificò un’esplosione, causata da una fuga di gas, al diciottesimo piano. Un pannello verticale, che funzionava sia da elemento portante che da tamponamento esterno, fu espulso dalla sovrapressione causata dall’esplosione. I pannelli che si trovavano sopra a quello espulso, non avendo più un appoggio su cui scaricare il proprio peso, cominciarono a cadere. Quando questi andarono a colpire gli elementi del diciassettesimo piano, l’energia cinetica acquisita era tale da provocarne la rottura. La stessa cosa si ripeté per tutti gli altri piani sottostanti.

Figura 1. La torre di Ronan Point

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È evidente che la struttura mancava sia di ridondanza che di duttilità. Di conseguenza, in poco tempo, le normative sulle costruzioni di tutti i paesi più evoluti furono modificate per includere prescrizioni che impongono livelli minimi di legature d’acciaio tra gli elementi prefabbricati (continuità e duttilità) e che chiedono che una struttura prefabbricata riesca a rimanere in piedi anche dopo la rimozione di un elemento strutturale (ridondanza). Un altro caso altamente significativo è quello dell’edificio federale A. P. Murrah di Oklaoma City. Il 19 aprile 1995 un’autobomba esplose in prossimità dell’edificio, causando la morte di 168 persone. Le indagini che seguirono rivelarono che circa l'80% delle vittime non era dovuta direttamente all’esplosione della bomba, bensì al collasso progressivo che ne seguì, che distrusse gran parte della facciata nord. Dalle perizie risultò che l’edificio era stato progettato e costruito in pieno accordo con le normative vigenti all’epoca della costruzione (metà anni ’70), e che le resistenze dei materiali impiegati eccedevano abbondantemente quelle minime di progetto. La struttura era però intrinsecamente poco duttile e poco ridondante. Infatti le undici pilastrate della facciata venivano ridotte a sei ai piani inferiori, per motivi estetici e funzionali, quindi i percorsi di carico andavano a diminuire (mancanza di ridondanza). Inoltre le armature longitudinali delle travi avevano lunghezza d’ancoraggio praticamente nulla nelle zone compresse; la semplice rimozione di un pilastro generava così un meccanismo esteso all’intera altezza della struttura (mancanza di duttilità). È stato calcolato a posteriori che, se fossero state seguite le indicazioni delle normative per le costruzioni in zona sismica vigenti all’epoca, la duttilità aggiuntiva avrebbe ridotto l’estensione del danno in una misura compresa tra il 50% e l’80%.

Figura 2. Ricostruzione assonometrica dell'edificio federale A.P. Murrah di Oklaoma City danneggiato e meccanismo di collasso della facciata nord

Le conseguenze di questo attentato furono numerose. Tra queste ci fu quella di estendere anche ai nuovi edifici costruiti negli USA le già esistenti raccomandazioni per la costruzione di edifici governativi all'estero, che prevedono sia misure di sicurezza passive (come ad esempio impedire l’avvicinamento agli edifici di veicoli estranei) che attive (volte soprattutto ad incrementare resistenza e duttilità delle strutture). Venne proposto inoltre di adottare le prescrizioni delle normative antisismiche, limitatamente ai dettagli, per tutti i nuovi edifici a rischio attentati, anche nelle zone non classificate sismiche. Il caso delle Torri Gemelle del World Trade Center di New York evidenzia in particolare l’importanza degli effetti dinamici in un collasso progressivo. Gli edifici erano stati volutamente dotati di una notevole ridondanza: ciascuno di essi era caratterizzato da un

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nucleo con struttura intelaiata in acciaio e da un “tubo” esterno di 236 pilastri a cassone, anch’essi in acciaio. Durante gli impatti con gli aeroplani una parte considerevole degli elementi resistenti verticali di ciascun grattacielo venne distrutta, ma gli elementi superstiti furono sufficienti a sostenere tutti i carichi per diverse decine di minuti.

Figura 3. Disposizione dei pilastri delle torri gemelle di New York

Tutte le perizie e gli studi concordano nel ritenere che la causa scatenante del collasso fu il forte e prolungato riscaldamento degli elementi d’acciaio, che abbassò la rigidezza e la resistenza del materiale, provocando l’instabilizzazione a carico di punta degli elementi strutturali verticali nei piani colpiti. A questo punto ebbe inizio il collasso progressivo vero e proprio: Bažant [2] ha dimostrato, con semplici modellazioni, che l’energia cinetica acquisita dalla parte superiore dell’edificio, cadendo per un solo interpiano, è stata numerose volte superiore a quella dissipabile per deformazione (elastica o plastica) dalla struttura sottostante, e che la reazione che la parte sottostante avrebbe dovuto essere in grado di esercitare in questo caso sarebbe stata di un ordine superiore a quella del caso statico. In altri termini, era impossibile che il collasso si arrestasse dopo la prima instabilizzazione.

5. METODI USATI IN LETTERATURA PER STUDIARE IL COLLASSO PROGRESSIVO Non esistono metodi di comprovata efficacia per studiare la suscettibilità di una struttura al collasso progressivo, per il semplice fatto che un tale studio è stato affrontato poche volte. Si descrivono di seguito, in modo necessariamente molto sommario, alcune metodologie che sono state impiegate in letteratura. Tutte queste metodologie si basano su modelli relativamente semplici; la maggioranza degli Autori riconosce infatti l’inutilità di costruire modelli molto raffinati per studiare il problema a causa della forte indeterminazione delle variabili in gioco. Ad esempio non sappiamo dove, quando e con quale modalità l'evento scatenante del collasso si verifica. Inoltre non conosciamo con precisione le caratteristiche dei materiali effettivamente impiegati: nella progettazione si impiegano parametri medi o caratteristici il cui valore può differire notevolmente da quello reale. I risultati delle analisi vanno quindi valutati "per ordine di grandezza"; essi non ci diranno come effettivamente la struttura si comporta in determinate situazioni, ma ci daranno un’idea della probabilità che un evento (la propagazione del danno secondo un dato meccanismo) si realizzi. Va sottolineato

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che le analisi, pur non potendo dare la certezza sull’effettiva resistenza al collasso progressivo di una struttura, possono evidenziarne delle criticità; ad esempio, modellando l’edificio federale A. P. Murrah privato di un pilastro si poteva evidenziare il passaggio ad uno schema statico labile. Un’altra caratteristica che accomuna i metodi qui presentati è che essi prescindono dalla causa del danneggiamento iniziale. Questa filosofia deriva dalla considerazione che non è possibile considerare in fase di progetto tutti gli eventi che potranno accadere alla struttura (come ad esempio sollecitazioni di tipo o di entità non previste, oppure deterioramento dei materiali). I lavori [15] e [16] descrivono uno studio commissionato dal governo degli USA per stabilire la sicurezza dell’edificio che avrebbe dovuto ospitate la propria ambasciata a Mosca; lo studio comprendeva anche l’analisi della suscettibilità dell’edificio al collasso progressivo. Seguendo le indicazioni dello standard ANSI A58.1-1982 (in seguito sostituito dallo Standard 7 ASCE), gli Autori impiegarono il metodo del percorso alternativo di carico (“alternate path method, APM”), che consiste fondamentalmente nell’ipotizzare che avvenga una rottura locale, e verificare che gli elementi (anche non strutturali) adiacenti a quello danneggiato riescano a sostenere i carichi. Oltre a ciò, gli Autori idearono in modo ingegnoso modelli, sia statici che dinamici, partendo da semplici nozioni di fisica elementare. In particolare, venne ideato un metodo per modellare l’urto di travi o pannelli di solaio sull’elemento sottostante, assimilando la struttura ad un sistema discreto di masse puntiformi ed impiegando il principio di conservazione della quantità di moto per modellare gli urti; tale modello può quindi essere studiato con i metodi della dinamica delle strutture. Gli Autori suggeriscono inoltre che, se la rete elettrosaldata nella soletta di solaio è continua ed adeguatamente collegata alle travi, essa ha una certa capacità portante funzionando come una membrana. Più in generale, qualsiasi elemento strutturale orizzontale in cemento armato può lavorare puramente a trazione, dopo che è stata superata la sua massima resistenza flessionale, se la sua armatura metallica è sufficientemente resistente ed adeguatamente ancorata. Ovviamente, il comportamento di tali elementi deve essere modellato in campo geometricamente non lineare. Il lavoro [13] riferisce la storia di un ponte (il Confederation Bridge a Prince Edward Island, in Canada), il cui progetto iniziale fu modificato notevolmente in base a studi sul collasso progressivo. Il ponte è costituito da 43 campate, è lungo circa 13 km, ed è composto da elementi prefabbricati in cemento armato precompresso. I progettisti arrivarono alla conclusione che, per questo tipo di struttura, il metodo più sicuro per impedire la propagazione del danno è la sconnessione di alcuni elementi (compartimentazione), contrariamente alla pratica comune di aumentare l’iperstaticità; si preferì cioè “sacrificare” un segmento del ponte per preservare gli altri. Questa decisione fu presa a seguito del collasso dello Haeng-Ju Grand Bridge di Seoul, avvenuto nel 1992, durante il quale i cavi di precompressione strapparono progressivamente il calcestruzzo dell’impalcato; il danno si estese così ad undici tratti di ponte compresi tra giunti d’espansione adiacenti. Furono inoltre implementati algoritmi per studiare l’effetto dinamico del distacco di un tratto di ponte sui tratti adiacenti. Ancora una volta questi modelli sono relativamente semplici, essendo la struttura assimilata ad un sistema ad un solo grado di libertà soggetta ad una forzante nota. L’Autore [14] suggerisce di impiegare il metodo della compartimentazione ogni volta che non è possibile dotare la struttura di efficienti percorsi di carico alternativi.

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Secondo il lavoro [6], lo Structure Research Centre della City University di Londra ha sviluppato uno specifico programma per l'analisi del collasso progressivo di telai piani in cemento armato usando elementi finiti ed un approccio quasi statico, ed è in corso di sviluppo anche un simile programma per strutture tridimensionali. Nel programma, il danno locale è stimato tramite il metodo SDOF di Biggs [3] o, più rigorosamente, con programmi come Dyna-3D e FEABRS. Se un elemento strutturale supera determinati limiti di sollecitazione, esso viene rimosso e vengono calcolati i carichi dei detriti; l’analisi prosegue con il nuovo schema statico e le nuove condizioni di carico. Purtroppo, dopo la presentazione dei programmi in un convegno nel 1998, non se ne hanno più notizie. Esistono in letteratura altri esempi di tecniche di modellazione che potrebbero essere impiegate per lo studio del collasso progressivo. Nel lavoro [8] la tecnica di modellazione ASI (Adaptively Shifted Integration) viene impiegata per studiare il danneggiamento di edifici intelaiati soggetti a sisma e durante una demolizione controllata con esplosivi. La tecnica potrebbe essere quindi impiegata anche per lo studio del collasso progressivo, anche se ha la limitazione di non considerare la compenetrazione di elementi strutturali e l’interazione con elementi non strutturali. Il lavoro [10] riferisce lo studio del danneggiamento di un edificio che è stato realmente oggetto di un attentato esplosivo. Lo studio è stato effettuato con un programma di tipo hydrocode, modellando in modo dettagliatissimo sia la struttura che l’aria inclusa nel volume. Secondo gli Autori il risultato della modellazione è molto vicino a quanto accaduto in realtà. Il caso riportato nell’articolo è di scarsa utilità pratica ai fini della prevenzione del collasso progressivo, perché la modellazione ha richiesto circa 310 ore (12 giorni e 22 ore) di computazione con un processore Pentium IV a 500MHz e perché tale modello dovrebbe essere implementato per ogni possibile posizione dell’evento scatenante del collasso. Ciò nonostante, sarebbe utile studiare se anche i programmi di tipo hydrocode possono essere impiegati per studiare efficientemente il collasso progressivo.

6. MODELLAZIONI Nel presente studio sono state effettuate alcune analisi su un edificio ipotetico, in cemento armato, progettato con il metodo degli stati limite secondo la normativa vigente (Decreti Ministeriali del 1996, zona sismica di seconda categoria, analisi dinamica modale). Nelle verifiche a collasso sono state impiegate le resistenze dei materiali caratteristiche di normativa (senza coefficienti di sicurezza); inoltre si è considerato che lo stato limite ultimo in una sezione si possa raggiungere esclusivamente per schiacciamento del calcestruzzo (deformazione ultima 0.35%), non ponendo cioè alcun limite alla deformazione dell’acciaio teso. Ricordiamo che tale criterio è puramente indicativo, in mancanza di adeguate verifiche sperimentali. I seguenti paragrafi riassumono gli aspetti principali delle analisi effettuate. 6.1. Metodo del percorso alternativo di carico Il metodo consiste semplicemente nel determinare se la struttura può rimanere in piedi anche dopo la rimozione di un elemento strutturale. Quando un pilastro cede, il peso che esso sopportava deve “risalire” lungo la pilastrata ed essere incanalato verso elementi verticali circostanti tramite gli elementi orizzontali. Nella pilastrata danneggiata, forze di trazione si sommano allo sforzo normale iniziale, cosicché

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sopra al pilastro danneggiato lo sforzo normale diminuisce d’intensità; l’andamento del diagramma dello sforzo normale assume un caratteristico aspetto a “dente di sega”, ed in alcune sezioni si può andare in trazione. Negli elementi orizzontali (travi e cordoli) adiacenti alla pilastrata danneggiata il diagramma del momento flettente cambierà forma ed i suoi valori estremi subiranno un aumento in valore assoluto. I pilastri adiacenti alla pilastrata danneggiata subiranno un incremento sia dello sforzo normale di compressione, che del momento flettente.

Figura 4. Percorsi di carico prima (a) e dopo (b) la rimozione di un pilastro in una struttura intelaiata e diagramma dello sforzo normale della struttura menomata (c)

Le analisi sono state svolte modellando l’edificio, privato di un singolo pilastro e soggetto ai soli carichi caratteristici verticali, con un programma agli elementi finiti. Con le caratteristiche di sollecitazione ricavate, gli elementi sono stati verificati allo stato limite ultimo (le travi ed i cordoli a flessione semplice e taglio, i pilastri a pressoflessione deviata). È stato ipotizzato il danneggiamento dei pilastri più significativi, cioè di quelli a cui competono le aree d’influenza maggiori e minori.

Figura 5. Analogia tra struttura menomata ed oscillatore semplice

Se il cedimento del pilastro è improvviso, gli effetti dinamici della rottura non sono trascurabili. Una stima delle sollecitazioni dovute agli effetti dinamici è stata ricavata assimilando la parte menomata della struttura un oscillatore semplice che viene lasciato andare partendo dalla configurazione indeformata e con velocità nulla. Poiché il massimo

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spostamento di un tale oscillatore è doppio rispetto allo spostamento statico, la struttura è stata modellata nuovamente, in campo statico, imponendo però uno spostamento verticale doppio all’estremità inferiore della pilastrata. Dalle modellazioni i pilastri sono sempre risultati verificati. Talvolta gli elementi della pilastrata menomata sono risultati in trazione, senza però superare mai la resistenza a trazione di normativa del conglomerato. L’entità delle sollecitazioni sulle travi risulta invece quasi sempre eccessiva; in alcuni casi si arriva ad un rapporto tra sollecitazione e resistenza ultima superiore a 2. È quindi altamente probabile la formazione di un cinematismo. Va sottolineato che, per motivi di tempo, non è stata considerata l’interazione della struttura con i pannelli di muratura. 6.2. Comportamento a membrana dei solai Se una trave si rompe ad una o ad entrambe le estremità, sotto particolari condizioni essa può essere sostenuta dai solai adiacenti. La resistenza flessionale dei solai è in genere molto inferiore a quella necessaria a sorreggere anche la trave danneggiata: il cedimento provocherà lo schiacciamento del calcestruzzo compresso e/o la perdita di aderenza tra armature e calcestruzzo in zona tesa. In questa situazione l'unica resistenza rimasta disponibile è quella dell'acciaio che lavora esclusivamente a trazione, analogamente ad una tensostruttura. Ovviamente, perché questo comportamento si realizzi è indispensabile un adeguato ancoraggio delle armature.

Figura 6. Rappresentazione qualitativa dell’andamento della resistenza di un solaio che passa dal comportamento flessionale a quello di membrana tesa [11]

Lo studio di questo tipo di comportamento richiede modellazioni geometricamente non lineari. Occorre inoltre verificare che le travi a cui è vincolato il solaio riescano a fornire le reazioni vincolari necessarie. Nelle modellazioni effettuate sono state introdotte alcune ipotesi semplificative, tra cui: - poiché è difficile rappresentare il passaggio dal comportamento puramente flessionale a quello membranale, i modelli considerano esclusivamente il funzionamento a trazione;

699

-

è stato impiegato il diagramma costitutivo dell’acciaio elastico-perfettamente plastico previsto dalla normativa italiana. È stata quindi trascurata la resistenza residua compresa tra la tensione di snervamento e quella ultima; - è stato studiato soltanto un elemento monodimensionale (travetto), considerato isolato, invece dell’intero pannello di solaio. Sotto queste ipotesi si può presumere che i risultati ottenuti siano a vantaggio di sicurezza. Dalle analisi risulta che, con le armature di progetto che verrebbero disposte nel solaio seguendo la pratica corrente, il comportamento a membrana ha scarse probabilità di realizzarsi, in particolar modo in caso di rottura improvvisa (comportamento dinamico). Il comportamento a membrana ha invece buone probabilità di instaurarsi disponendo nel travetto modeste quantità di acciaio ad alta resistenza, come un trefolo per precompresso. In tutte le modellazioni eseguite le travi che sostengono il solaio non risultano verificate, in particolare per la componente orizzontale del taglio. 6.3. Studio della caduta delle travi con il metodo di J.M. Biggs L’Autore [3] propone un metodo per studiare il comportamento dinamico di un elemento strutturale tramite un sistema equivalente discreto ad un solo grado di libertà (SDOF). Il sistema equivalente viene studiato come un oscillatore elementare elastoplastico, con rigidezza che varia al formarsi di cerniere plastiche nel sistema reale. Nel presente studio il metodo è stato impiegato per modellare il comportamento di una trave colpita da detriti, apportando tra l’altro alcune piccole modifiche al metodo illustrato nel testo per sopperire ad alcune incongruenze concettuali.

Figura 7. I tre stati di deformazione di una trave inflessa incastrata agli estremi ed il corrispondente diagramma della rigidezza [3]

Dalle analisi è risultato che una trave, cadendo in caduta libera sulla trave sottostante, genera sicuramente un collasso progressivo, perché lo spostamento massimo calcolato è sempre di uno o due ordini di grandezza superiore a quello ultimo ammissibile. Questo si verifica anche per travi di luce relativamente piccola e con la massima armatura metallica ammessa dalla normativa. Questo risultato viene confermato da considerazioni energetiche: l’energia cinetica acquisita da una trave (comprendendo nella massa anche la propria area di influenza di solaio) cadendo liberamente per un interpiano (3 metri) è sempre nettamente superiore a quella dissipabile per deformazione dalla trave colpita, anche se per assurdo tutte le sezioni si plasticizzassero e tutto l’acciaio raggiungesse lo snervamento.

700

Per arrivare alla verifica con il metodo di Biggs la velocità di caduta dei detriti dovrebbe essere rallentata di 5-12 volte rispetto alla velocità di caduta libera; tale obiettivo potrebbe essere perseguito realizzando elementi strutturali il più possibile continui e duttili. 6.4. Studio della caduta delle travi con il metodo di F.Y. Yokel, R.N. Wright, W.C. Stone Gli Autori [16] hanno ideato un interessante metodo per studiare gli effetti dell'urto di una trave su un altra. La trave che viene urtata viene assimilata ad un sistema discreto, dividendo la campata in segmenti e concentrando la massa nei nodi che li delimitano. La trave viene quindi ricondotta ad un sistema dinamico, lineare ed elastico, che può essere studiato con metodi numerici; le coordinate lagrangiane sono costituite dalle traslazioni verticali dei nodi. A causa delle analisi precedenti, era già noto a priori che le verifiche non sarebbero state soddisfatte. Le modellazioni hanno però permesso di identificare alcuni punti deboli del metodo e di apportarvi alcune migliorie, introducendo soprattutto una discretizzazione più raffinata ed un differente metodo per calcolare la velocità iniziale del sistema. L’idea di base è comunque molto intelligente, e può avere applicazioni molto utili. Uno sviluppo molto interessante sarebbe includere la formazione di cerniere plastiche nel modello.

7. CONCLUSIONI Il collasso progressivo delle strutture è un evento piuttosto raro e, a differenza del terremoto, quando si manifesta non interessa estensioni molto ampie di territorio. Ciò nonostante, dallo studio dei collassi avvenuti si è spesso constatato che si sarebbero potuti ridurre sensibilmente i danni, sia economici sia in termini di vittime, con l’adozione di pochi accorgimenti (come ad esempio imponendo un livello minimo di duttilità delle connessioni tra gli elementi strutturali prefabbricati, oppure adottando le prescrizioni delle normative antisismiche, limitatamente ai dettagli costruttivi, per tutti i nuovi edifici a rischio attentati). Questi accorgimenti sicuramente aumentano il livello globale di sicurezza delle strutture, ma non permettono di evidenziare le eventuali criticità localizzate; per fare ciò occorrono opportuni strumenti di analisi. Sui metodi di analisi per studiare il collasso progressivo, due cose si possono dire con sicurezza: che sono pochi e che vengono applicati raramente. Eppure molte normative richiedono che le strutture non devono essere soggette a collassi progressivi, pur senza fornire concrete indicazioni su come raggiungere questo obiettivo. I metodi di verifica riportati in letteratura si basano generalmente su nozioni di fisica elementare, e talvolta sono abbastanza ingegnosi; la loro applicazione, con le tecnologie odierne, non dovrebbe comportare oneri computazionali eccessivi. Dalla ricerca svolta, tuttavia, non risulta che alcuno di questi metodi sia stato effettivamente verificato sperimentalmente. Alla luce delle conoscenze acquisite sono state svolte alcune analisi teoriche su un edificio, impiegando quattro dei metodi studiati, per valutarne la validità. Queste analisi non sono in alcun modo esaustive, ma vanno considerate come un primo piccolo passo verso uno studio più approfondito, che dovrà necessariamente comprendere anche riscontri sperimentali.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE [1] D. E. Allen, W. R. Schriever: Progressive collapse, abnormal loads and building codes - Structural failures: modes, causes, responsibilities – ASCE, New York, 1973

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

IL CONSOLIDAMENTO DEI SOLAI TRADIZIONALI: VALUTAZIONI SULL’AFFIDABILITÀ DELLE USUALI TECNICHE DI INTERVENTO M. BETTI1, F. SELLERI1, A. VIGNOLI1 1

Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli Studi, Firenze

SOMMARIO Nel presente lavoro si affronta lo studio del comportamento nel piano dei solai tradizionali in legno. In particolare si propongono sia metodi analitici che modelli numerici (sviluppati mediante il codice di calcolo ANSYS) per valutare la rigidezza delle usuali tecniche di intervento. La tipologia di solaio analizzato è il tradizionale solaio in legno a semplice orditura. Le tecniche di intervento di rinforzo strutturale di cui sono analizzati gli effetti sono: interventi mediante doppio tavolato, compensato strutturale, inserimento di un controvento metallico e rinforzo con soletta in calcestruzzo. Si intende offrire, in sostanza, una serie di indicazioni e di risultati utili al fine di valutare l’affidabilità di un progetto di recupero, o di consolidamento, su di un solaio tradizionale ed al suo collocamento nel contesto strutturale. ABSTRACT In this paper a study of the behaviour of existing wooden floors under in plane shear loads has been carried out. The benefit of the actual reinforcement techniques are analysed in order to assess their reliability and their in plane shear stiffness. Different techniques are taken into account. Both analytical and numerical models are developed. Numerical applications are developed with ANSYS. Aim of this work is to provide useful results in order to evaluate the reliability of the traditional reinforcement techniques. As a matter of fact the knowledge of the in plane shear stiffness of existing wooden floors it’s an important task in order to do a proper structural design.

1. INTRODUZIONE Ai fini della corretta comprensione del comportamento strutturale degli edifici, e pertanto della loro affidabilità, deve essere opportunamente tenuto conto della effettiva capacità dei solai di ripartire le azioni orizzontali di origine ambientale. L’ipotesi usualmente adottata è che i solai siano infinitamente rigidi nei confronti di azioni ad essi complanari; tuttavia tale ipotesi deve essere adeguatamente verificata e, nel caso di miglioramento o adeguamento

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sismico, è opportuno valutare se questo comporti un reale beneficio sul comportamento globale [1] [2]. Questa problematica, di interesse generale, diviene senz’altro rilevante nella valutazione dell’affidabilità degli interventi sugli edifici esistenti in muratura con particolare riferimento all’evento sismico. Per essi, infatti, risulta complesso stabilire il grado di rigidezza dei solai esistenti e di conseguenza quantificare l’effettiva capacità di ripartizione delle azioni ad esso complanari. Questo tipo di valutazione risulta fondamentale sia nel caso che si proceda ad un adeguamento sismico dell’edificio sia nel caso che si proponga un intervento di miglioramento sismico. Nel primo caso è, infatti, necessario controllare se l’ipotesi posta alla base dei modelli di comportamento alla POR (nello spazio o nel piano) sia accettabile; nel secondo è essenziale poter valutare la necessità o meno di interventi sui solai in relazione al grado di collegamento tra le strutture principali e quelle secondarie dell’orditura portante (per carichi verticali) del solaio stesso. In molti casi poi, la necessità di progettare anche un intervento di rafforzamento del solaio connessa ai sovraccarichi previsti dalla destinazione d’uso attuale, o futura, può consentire, a seconda dei tipo di intervento scelto, di raggiungere anche un buon grado di rigidezza del solaio per azioni ad esso complanari [3]. Risulta quindi opportuno possedere degli schemi (analitici e numerici) atti a valutare sia la capacità di ripartizione dei solai tradizionali che a quantificare l’aumento di rigidezza nel piano che si può conseguire secondo alcune tecniche di intervento più comuni. Nel presente lavoro sono approfonditi questi ultimi aspetti, proponendo dei modelli analitici e sviluppando dei modelli numerici (mediante il codice di calcolo ANSYS [8]). La tipologia di solaio analizzata è il tradizionale solaio in legno a semplice orditura. Le tecniche di intervento per il rinforzo strutturale di cui è stato investigato l’effetto sono sostanzialmente: interventi mediante doppio tavolato, interventi con compensato strutturale, realizzazione di soletta in calcestruzzo (spessore 4 e 5 cm), infine, inserimento di un controvento metallico a croce di S. Andrea [5]. In effetti l’analisi degli edifici esistenti, unitamente a quello dei dissesti in atto, permette di razionalizzare l’eventuale intervento di recupero, rendendolo il meno invasivo possibile; inoltre fornisce una fonte preziosa di informazioni sul comportamento delle strutture e degli effetti degli interventi che sono già stati operati su di esse, suggerendo eventuali migliorie. La conoscenza delle varie tecniche di intervento permette di scegliere tra molteplici soluzioni, adattandosi alle condizioni di impiego ed ai risultati richiesti. In questo lavoro, in sintesi, si propone di valutare la rigidezza finale nel piano ottenibile con vari tipi di intervento su alcune tipologie al fine di individuare la soluzione più adatta. Il tipo di intervento scelto, comunque, dovrà essere considerato nell’ottica del comportamento globale dell’edificio, ponendo attenzione a non creare zone limitrofe a differente rigidezza, causa di pericolosi concentramenti di tensioni. L’aumento di rigidezza nel piano, unitamente alla realizzazione di opportuni collegamenti dei solai alle murature, può cambiare il comportamento globale dell’edificio andando ad incidere sulla ridistribuzione delle forze tra i maschi murari, scongiurando collassi di primo modo e permettendo, quindi, di attingere a tutte le risorse di resistenza dell’edificio per le verifiche sotto azioni orizzontali.

2. MODELLI ANALITICI Preliminarmente alle analisi numeriche proposte nel seguito, si sviluppa un approccio analitico al fine di stimare l’ordine di grandezza della rigidezza nel proprio piano per le tipologie di orizzontamenti di seguito analizzate e dell’incremento che questa può avere in

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seguito a specifici interventi di adeguamento o di miglioramento sismico. Le ipotesi adottate sono quelle proprie della scienza delle costruzioni. Inoltre l’applicazione delle forze sarà considerata quasi statica, in modo da far valere i teoremi di conservazione dell’energia, mentre nella realtà l’applicazione delle forze orizzontali su questo tipo di strutture è dovuto principalmente al sisma che si manifesta in modo repentino e quanto mai irregolare. Non di meno si ritiene che il possesso di uno strumento semplificato di analisi possa essere comunque una preziosa indicazione anche come verifica delle modellazioni proposte. 2.1. Solai in legno a semplice o doppio tavolato Per questo tipo di solai si considera un semplice modello che riproduce la tessitura resistente alle forze orizzontali del solaio e le modalità deformative che lo caratterizzano. Le ipotesi adottate sono: a) carico orizzontale applicato quasi staticamente; b) tavole parallele non in contatto fra di loro; c) deformazioni del tavolato concentrate nei nodi (si veda Figura 1); d) attrito tra tavole e travetti trascurabile; e) piccoli spostamenti.

Figura 1. Deformata “a rombo” per azioni orizzontali su di un impalcato.

Con riferimento alla Figura 2a si ha: Le=F·u/2 (lavoro elastico delle forze esterne); Le(u=1)=R/2 (u=1, rigidezza alla traslazione); Li=N·K·M2/2 (lavoro interno) dove N è il numero di nodi, K è la rigidezza alla rotazione di un singolo nodo e M è la rotazione relativa degli elementi. u

F

Kx

K d/2

H

d/2

Kx

(a) (b) Figura 2. a) Meccanismo deformativo di una singola maglia di solaio; b) Schema della giunzione

Dalla eguaglianza tra Le e Li si ha: R=N·K·M2. Essendo M=1/H, dove H è la dimensione caratteristica del solaio nella direzione perpendicolare alla forza si ha infine:

705

R = N · K / H2

(1)

Indicando con D=N/A la densità dei nodi nel solaio e con S=H/L il rapporto di snellezza del solaio, ed essendo H=A/L, la (1) può essere riscritta come segue: R = N · K · L2 / 2A = D · K / S

(2)

Anche modellando la giunzione con due chiodi si ottiene un risultato analogo se viene considerata la rigidezza alla rotazione equivalente per i due chiodi. Per determinarla, in assenza di specifiche prove sperimentali, si considera la rigidezza alla traslazione di un singolo chiodo della giunzione e quindi si ricava la coppia resistente (si veda Figura 2b). Nel caso in esame: Le=F·u/2; Le=R/2 (u=1, rigidezza alla traslazione); LC=k·x2/2 (lavoro di un singolo chiodo); LG=2LC=k·x2 (lavoro di una singola giunzione); Li=N·LG= N·k·x2 (lavoro interno totale) dove N è il numero di nodi. Si ottiene uguagliando i lavori: R=N·k·x2, essendo x=M·d/2, e M=1/H si ha: R=N·k·d2/2H2. In relazione alla Figura 2b si ottiene infine: Keq=k·d2/2 dove k è la rigidezza alla traslazione (valutata secondo l’EC5) di un singolo chiodo e d è l’interasse della chiodatura. Quindi la rigidezza cercata: R = N · Keq / H2

(3)

Come applicazione si consideri il solaio analizzato nel paragrafo 3.1. La (3), considerando una forza orizzontale di 1000 N, fornisce un valore dello spostamento orizzontale pari a ux=F/R=0.083780 m, contro ux=0.083944 m determinato con ANSYS. Nel caso del doppio tavolato si ux=0.006444 m, anziché ux =0.006459 m ottenuto con il programma. 2.2. Compensato strutturale o soletta in calcestruzzo Si considera il materiale posto sopra il solaio per consolidarlo come un solido omogeneo, isotropo ed elastico lineare; è possibile esprimere la rigidezza alla traslazione con le seguenti espressioni, valide per una deformazione di scorrimento, ricavate sulla base della teoria delle lastre piane: F=S·A·ǻl/l0, la rigidezza si ottiene per ǻl=1. R=S·A/l0, essendo A=L·p (area della faccia superiore), si ha: R = S · L · p / l0

(4)

La stessa può essere ottenuta direttamente dalla teoria delle lastre. Infatti da: nxy

1 Q Ÿ H Ep ˜ 2H xy xy 1 Q 2 2

1 Q ˜ nxy E˜ p

1 Q F ˜ E ˜ p L˜ p

(5)

Essendo 2İxy=ux,y : p l0

ux

³ ³ 2H

xy

dy

p

0 0

2 1  X F ˜ l0 ELp 2

(6)

Infine ponendo ux=1, ed essendo S=E/2(1+ȣ) si ha la (4). Considerando una lastra in c.a. con spessore p=0.04 m, sottoposta a F=1000N, con B=l0=3 m, E=3117700 N/cm2, modellata

706

con elementi bidimensionali tipo shell la (4) fornisce ux=0.00208 mm, contro ux=0.00210 mm dato da ANSYS, con un errore relativo inferiore all’1%. u

u

F

F d

u

l

l

0

0

p B

B

(a)

(b)

Figura 3. (a) Deformazione a lastra per taglio puro; (b) Deformazione del controvento

2.3. Controvento in acciaio Si consideri infine in questo caso una maglia con due diagonali (si veda Figura 3b), con le aste incernierate tra loro ed i carichi concentrati nei nodi. Gli elementi risultano così soggetti a solo sforzo normale. In queste ipotesi, applicando al corrente superiore una forza orizzontale, tale da generare uno spostamento unitario nella direzione di applicazione u=1, il corrente teso e quello compresso si deformeranno entrambi di una quantità pari a ud=u·cosĮ. La componente orizzontale della forza che si oppone a tale deformazione nei correnti è pari a Fo=2Kd·ud·cosĮ, dove Kd indica la rigidezza a sforzo normale del singolo diagonale, pari a E·Ad/ld. Sostituendo e ponendo ud=1, si ottiene l’espressione della rigidezza alla traslazione orizzontale: R = 2 · Kd · cos2Į = 2 (E · Ad / ld) · cos2Į

(7)

Analizzando anche in questo caso un confronto con un programma di calcolo, studiando il caso di un controvento con due diagonali in acciaio con A=2000 mm2, F=1000 N e lato della maglia quadrata pari a 3 m, si ottiene dalla (7) ux=F/R=0.101 mm contro ux=0.102 mm fornito da ANSYS.

3. MODELLI NUMERICI 3.1. Solaio con semplice tavolato Questo primo caso rispecchia, sotto il profilo numerico, il caso analizzato precedentemente per via analitica. Esso rappresenta anche il caso base della presente indagine. I modelli successivi proporranno in effetti delle tipologie di intervento strutturale da adottare per questo tipo di solaio. Esso sarà utilizzato nel seguito come riferimento per valutare l’efficacia delle usuali tecniche di consolidamento dei solai tradizionali in legno. Si analizza un solaio con tavolato semplice (semplice orditura con singolo assito). Le dimensioni adottate sono di 3 x 3m in pianta; interasse tra i travetti (12 x 20 cm) pari a 60 cm, interasse tra le tavole (12 x 2.5 cm) pari a 12 cm (larghezza delle tavole). La modellazione numerica è stata sviluppata in

707

ANSYS [8] con elementi Beam4. Essendo le frecce dovute ai carichi verticali contenute, è stata trascurata l’eccentricità tra piano delle travi e piano dei travetti. Le condizioni di vincolo sul perimetro sono state assunte tali da consentire la deformazione del solaio a taglio per forze agenti nel proprio piano (in modo tale da essere rappresentative delle condizioni al contorno dei casi reali) senza che sia aumentata la rigidezza propria del solaio nel piano orizzontale. A tal fine il solaio è stato immaginato come incorniciato da un profilato metallico UPN 200. I quattro lati formanti la cornice sono incernierati tra loro in modo tale che, costituendo un cinematismo, non venga alterata la rigidezza alla traslazione orizzontale della struttura. Sostanzialmente i nodi del lato inferiore sono vincolati con delle cerniere, mentre i punti del lato superiore sono vincolati mediante degli appoggi che impediscono la sola traslazione in direzione Z. Le condizioni di vincolo interne interessano due tipologie: a) una prima riguarda il collegamento tra elementi interni e profilo metallico di contenimento; b) una seconda riguarda i collegamenti tra gli elementi interni (tavole e travetti). Per entrambe si è utilizzato una schema di base di cerniera. In particolare per la seconda è stata modellata mediante l’elemento Combin37 (una cerniera con una rigidezza elastica e con un limite di snervamento). Le condizioni di vincolo interne tra gli elementi di un solaio in legno variano sensibilmente in virtù della tecnologia costruttiva adottata; si può passare da un vincolo di incastro imperfetto (la testa del travetto o della tavola è ammorsata nell’altro elemento ligneo), ad un semplice appoggio. In questo ultimo caso, è palese, che la rigidezza che un solaio in legno presta alle forze orizzontali è pressoché nulla (si veda Figura 1). Differente è il caso in cui le membrature siano collegate tra loro mediante chiodi o con elementi metallici. In questo caso, se il numero dei chiodi è pari almeno a due (come prescritto dall’EC5 per le nuove costruzioni in legno), si può approssimare il comportamento della connessione tra gli elementi lignei come una cerniera elasto-plastica [7]. Si consideri quindi un’unione tra travetto e tavola di legno realizzata mediante due chiodi infissi perpendicolarmente alla fibratura. Questi trasmettono una forza di contatto con il legno che è proporzionale alla deformazione che si ha nell’unione, si veda Figura 4.

Figura 4. Diagramma forza scorrimento di una unione chiodata in legno [5]

Se i due chiodi si deformano in direzioni parallele, ma con verso opposto, si hanno due forze che originano una coppia proporzionale alla rigidezza alla traslazione del singolo chiodo ed alla distanza che li separa. L’unione realizzata con due chiodi possiede anche una rigidezza alla traslazione nelle direzioni X ed Y pari alla somma delle rigidezze alla traslazione dei singoli chiodi (essa tuttavia può essere trascurata per la modalità con cui si deforma il solaio) [7]. L’EC5 suggerisce, in assenza di prove sperimentali, le seguenti

708

espressioni per valutare la rigidezza alla traslazione per il singolo chiodo infisso senza preforatura: Kserr = Uk1.5 · d 0.8 / 25

[N/mm]

(8)

Dove Uk è la densità caratteristica del legno [in Kg/m3] e d è il diametro del chiodo [in mm]. Viene stimato il carico massimo Rd sopportabile dal singolo chiodo come minimo valore tra le seguenti [6]: (9) (10)

f h,1,d ˜ t1 ˜ d

f h,1,d ˜ t 2 ˜ d ˜ E 2 ª ª t f h ,1,d t1 d « §t · º §t E  2 E 2 «1  2  ¨¨ 2 ¸¸ »  E 3 ¨¨ 2 1 E « «¬ t1 © t1 ¹ »¼ © t1 ¬«

2

§ t · ¸¸  E ¨¨1  2 ¹ © t1

º ·» ¸¸ ¹»» ¼

º 4 E 2  E M y ,d f h ,1,d t1 d ª « 2E 1  E 2   E» 2 2E « f h ,1,d t1 d » ¬ ¼ ª º 4 E 1  2 E M y ,d f t d 1,1 h ,1,d 2 « 2 E 2 1  E   E» 2 14  2 E « f h ,1,d t 2 d » ¬ ¼ 2E 2M y ,d f h ,1,d d 1,1 1 E 1,1





(11)

(12)

(13)

(14)

Ognuna delle espressioni (9)÷(14) rappresenta uno dei possibili meccanismi di collasso per l’unione chiodata di due elementi in legno, come illustrato nella Figura 5.

Figura 5. Meccanismi di rottura per, per mezzi di unione ad una sezione resistente [6].

Determinata la resistenza ultima del singolo chiodo è possibile determinare il momento ultimo sopportabile per una rotazione rigida dell’unione essendo questo proporzionale alla resistenza ultima. Nello sviluppo dei modelli, si precisa, sono stati adottati i limiti geometrici e dimensionali per le unioni di elementi in legno tramite chiodatura indicati dall’EC5 [6]. Questa condizione di collegamento interna tra gli elementi è stata modellata in ANSYS mediante l’elemento finito Combin37 (si veda Figura 6). Tramite esso è possibile definire rigidezza alla traslazione e alla rotazione, ed un limite ultimo sia per la traslazione che, come nel caso di interesse, per la rotazione operando sulle variabili STIF e FSLIDE.

709

Così facendo il comportamento dell’unione illustrato in Figura 4 è stato approssimato con una bilatera dove i valori di STIF e FSLID identificano, rispettivamente, K (rigidezza alla rotazione, 1119 Nm/rad) e MU (massimo momento sopportabile dalla singola unione prima di giungere a rottura, 40 Nm). Nel modellare le unioni interne non è stato tenuto di conto dell’attrito reciproco tra le tavole e tra le tavole ed i travetti in quanto questo apporta un contributo non significativo. È opportuno infine osservare come non sia possibile aumentare la rigidezza del giunto di legno tra le due tavole tramite incollaggio, modellando quindi i nodi interni come incastri, perché il collante agirebbe tra due fasci di fibre posti in direzioni ortogonali, i quali al variare dell’umidità nell’aria circostante si deformerebbero in modo diverso generando all’interno del giunto incollato forti autotensioni, che porterebbero in breve tempo al disgregazione dell’incollaggio stesso.

Figura 6. Elemento Combin37 [8].

Le analisi condotte sul modello così costruito (effettuate mediante un moltiplicatore Ȝ sui carichi) si osserva un comportamento prettamente lineare fino al raggiungimento del carico ultimo. Questo valore dipende dal momento ultimo sopportabile dal singolo collegamento, (a sua volta è proporzionale alla resistenza ultima del singolo chiodo). Poiché tutte le unioni ruotano dello stesso angolo (si veda Figura 7a), il carico ultimo provoca la “plasticizzazione” di tutti i collegamenti contemporaneamente, determinando un repentino abbattimento della rigidezza del solaio, la formazione di un cinematismo tra le membrature.

(a)

(b)

Figura 7. a) Rotazioni intorno all’asse verticale [rad]; b) Spostamenti secondo l’asse X [m].

Il carico ultimo calcolato analiticamente secondo la (3) corrisponde a quello calcolato numericamente mediante ANSYS, ed è pari a circa 1277 N, con uno spostamento massimo

710

prossimo ad 11 cm. Per calcolare carico ultimo e spostamento massimo noto MU si trova ijU=MU/Krot Ÿ ǻU=H·ijU Ÿ FU=Keq·ǻU La rigidezza di questo caso analizzato risulta essere la stessa sia in direzione X che in direzione Y, è indipendente dalle dimensioni delle sezioni in gioco e dalla rigidezza alla traslazione orizzontale del singolo collegamento in quanto, dato il meccanismo di crisi che si instaura, l’unico elemento resistente è fornito dalle cerniere elasto-plastiche, dal cui valore di rigidezza e dal cui valore ultimo di resistenza risultano determinati rispettivamente la rigidezza ed il carico ultimo orizzontale sopportabile dal solaio. In effetti una volta che le cerniere si plasticizzano (e questo avviene per tutte contemporaneamente, in quanto sono tutte eguali e ruotano tutte della stessa quantità), il sistema da isostatico diventa labile. L’accorgimento di collegare le membrature del solaio tramite chiodi od altri dispositivi, risulta tuttavia molto utile ai fini di evitare lo scompaginamento delle stesse in seguito alle grandi deformazioni che si hanno durante l’evento sismico, prevenendo il crollo di porzioni di solaio per sfilamento dei travetti.

3.2. Solaio con doppio tavolato In questo caso viene analizzato un intervento di consolidamento del solaio a semplice orditura mediante raddoppiamento dell’assito. Lo spessore del tavolato di consolidamento, secondo quanto suggerito dalla pratica, è stato assunto di 4 cm. Le dimensioni in pianta e l’interasse tra i travetti sono le stesse del modello precedente. La tipologia delle condizioni di vincolo interne rimane la stessa del caso precedente, con la sola differenza che il numero di collegamenti interni aumenta con l’aumentare del numero degli elementi da collegare e del numero dei chiodi. Per un collegamento realizzato con 4 chiodi si ottengono le seguenti caratteristiche: Krot=2238 Nm/rad; MU=80 Nm. Il modello è sempre sviluppato mediante elementi Beam4. Nella deformata originata dai carichi orizzontali (Figura 8a) si può osservare come le deformazioni si concentrico ancora nella rotazione dei nodi, con gli elementi che sostanzialmente ruotano rigidamente intorno a questi. Pur non cambiando qualitativamente il comportamento complessivo per quanto riguarda le modalità di collasso, quantitativamente i valori forniti per i valori di crisi differiscono di circa un ordine di grandezza. La rigidezza alla traslazione risulta 156250 N/m, mentre il carico ultimo orizzontale risulta 16603 N. Non cambia lo spostamento massimo ammissibile, essendo legato alla rotazione ultima dei vincoli interni. La Figura 14b confronta le curve carico-spostamento per i due modelli analizzati.

(a)

(b)

Figura 8. a) Rotazioni intorno all’asse verticale [rad]; b) Spostamenti secondo l’asse X [m] per F = 1000 N.

711

L’aumento di rigidezza ottenibile con questo intervento è da ricondursi sia all’aumento del numero di chiudi con cui si realizza l’unione (si utilizzano 4 chiodi invece di 2) sia all’aumento del numero degli elementi collegati, passando da un tavolato semplice ad uno doppio.

3.3. Solaio con controvento orizzontale In questo caso viene analizzato l’intervento di consolidamento del solaio a semplice orditura che prevede la disposizione di un controvento in acciaio disposto secondo le diagonali del solaio. Per quanto riguarda le condizioni di vincolo tra controvento e profilati esterni (gli angoli) sono state adottate cerniere; mentre per quanto riguarda i collegamenti del controvento al tavolato sono stati adottati due schemi limite: a) unioni infinitamente rigide; b) assenza di unioni. Anticipando i risultati si osserva non esservi sostanziali differenza tra i due schemi, in effetti l’aumento di rigidezza nel piano del solaio non è influenzato dall’unione tra controvento e tavolato (a causa della differenza di rigidezza alla traslazione dei due sistemi resistenti: il solaio in legno e la croce di S. Andrea in acciaio). Risulta invece determinante vincolare le diagonali al tavolato attraverso chiodatura ai fini della stabilità della diagonale compresso, in questo modo infatti si diminuisce la lunghezza libera di inflessione del singolo diagonale impedendone l’instabilizzazione anche per modesti livelli di carico orizzontale (e quindi evitando anche eventuali danneggiamenti del massetto e del pavimento). Per le diagonali del controvento sono state adottate delle lame d’acciaio di 5 mm di spessore e 50 mm di larghezza (come indicato secondo prassi in letteratura, variando la sezione delle diagonali si possono raggiungere livelli di rigidezza e resistenza più o meno elevati); anche esse sono state modellate mediante gli elementi Beam4.

(a)

(b)

Figura 9. a) Rotazioni intorno all’asse verticale [rad]; b) Spostamenti secondo l’asse X [m] per F = 1000 N.

Anche in questo caso, applicando un carico crescente secondo un parametro l si ottiene un comportamento lineare fino a quando il carico non arriva al suo valore ultimo. La rigidezza in campo elastico risulta essere: 11904762 N/m. L’acciaio usato nel controvento dovrà essere ovviamente di tipo dolce, con comportamento duttile e cicli d’isteresi più ampi possibile per dissipare energia durante l’evento sismico. Questo intervento porta un incremento rilevante di rigidezza nel piano, con aumenti di peso proprio sostanzialmente irrilevanti.

712

3.4. Solaio consolidato con compensato strutturale L’intervento di consolidamento analizzato prevede la disposizione di un doppio strato di compensato strutturale. Le condizioni di vincolo del compensato al profilato esterno sono assimilate a cerniere elastiche. Per modellare il compensato strutturale sono stai adottati elementi shell63. Il doppio strato è formato da strisce di compensato con larghezza pari all’interasse dei travetti, 60 cm, incollate una sopra all’altra in direzione ortogonale in modo da formare dei nodi rigidi. Ai fini della resistenza, invece, la sezione ha uno spessore pari a quello di un singolo pannello, poiché la continuità tra i pannelli accostati lateralmente non è garantita, se non da particolari accorgimenti quali piastre metalliche avvitate. Nel modello considerato lo spessore totale è dato dalla sovrapposizione di due strati di 24 mm. Lo spessore totale di compensato da applicare sarà funzione sia dell’aumento di portanza per i carichi verticali che si desidera ottenere, che dell’aumento di rigidezza nel piano. 1

MX

ANSYS 5.5.2 JUN 30 2002 10:40:26 NODAL SOLUTION STEP=1 SUB =1 TIME=1 UX (AVG) RSYS=0 PowerGraphics EFACET=1 AVRES=Mat DMX =.550E-04 SMX =.550E-04 0 .611E-05 .122E-04 .183E-04 .244E-04 .305E-04 .366E-04 .427E-04 .488E-04 .550E-04

1

ANSYS 5.5.2 SEP 20 2002 18:41:43 NODAL SOLUTION STEP=1 SUB =1 TIME=1 SX (AVG) RSYS=0 PowerGraphics EFACET=1 AVRES=Mat DMX =.550E-04 SMN =-648.301 SMX =647.938 -648.301 -504.275 -360.248 -216.221 -72.195 71.832 215.858 359.885 503.912 647.938

Y

Y

MN X Z

Z X MX

(a)

MN

(b)

Figura 10. a) Spostamenti secondo l’asse X [m] per F = 1000 N; b) Tensione ıx [in N/m2].

Dalle analisi si ottiene una rigidezza alla traslazione in campo lineare pari a 1,82E+07 N/m. Per determinare il carico ultimo è necessaria una verifica di resistenza del compensato e dei suoi collegamenti al profilato laterale (i quali si ritiene essere i primi a cedere). Per la verifica di resistenza del compensato si deve ricordare che, in alcune sezioni, lo spessore resistente è quello del singolo strato. Il compensato ha un ottimo rapporto peso-prestazioni, cosa che ne rende particolarmente interessante l’impiego in zona sismica. Con il doppio strato di compensato si ottengono rigidezza superiori a quelle del controvento in acciaio, con aumenti di peso molto inferiori alla soletta in cemento armato.

3.5. Solaio consolidato con soletta Si analizza adesso un intervento di consolidamento mediante realizzazione di soletta in cemento armato in estradosso. In questo caso le condizioni di vincolo della soletta sul perimetro del solaio sono considerate come incastri in quanto tale condizione può essere effettivamente realizzata vincolando la soletta al cordolo od alla muratura. La condizione di vincolo interna della soletta con i travetti sottostanti non influisce in maniera significativa sulla rigidezza finale nel piano del solaio per carichi orizzontali; questo non avviene invece per i carichi verticali, come constatato confrontando due situazioni limite di unione infinitamente rigida e unione assente. La connessione della soletta con l’orditura del solaio avviene tramite connettori e garantisce la stabilità della soletta nel piano; in questo modo i travetti assumono la funzione di nervature irrigidenti della soletta in cemento armato. La connessione della soletta ai travetti, anche se deformabile, origina una sezione collaborante

713

legno-cemento (si veda Figura 11c), in cui le tensioni interne originate dai carichi verticali hanno una distribuzione favorevole rispetto alle caratteristiche meccaniche del cemento armato (contrariamente a quanto avverrebbe nel caso di Figura 11a), risultando più contenute le tensioni di trazione. Per unioni che tendono ad essere infinitamente rigide (Figura 11b) si avrebbe addirittura una sorta di “precompressione” della soletta in seguito ai carichi verticali.

Figura 11. Stati di tensione per flessione in una sezione composta legno-calcestruzzo [5]: a) connessione nulla; b) connessione rigida; c) connessione deformabile.

La soletta in cemento armato, di altezza 4 cm, è stata modellata con elementi Shell63, a comportamento elastico-lineare. Per una forza orizzontale pari a 10000 N, corrispondente ad un limite massimo delle azioni sismiche di taglio per un solaio di 3 metri per 3, la soletta rimane in campo elastico. Per sollecitazioni maggiori una struttura di questo tipo attinge risorse di resistenza a trazione e taglio dall’armatura diffusa nella soletta e dalle barre di collegamento alla muratura. Lo spessore della soletta è funzione dell’aumento di capacità di carico verticale che si desidera realizzare, ma ad esso è anche direttamente proporzionale la rigidezza nel piano del solaio. 1

ANSYS 5.5.2 JUN 6 2002 10:14:19 NODAL SOLUTION STEP=1 SUB =1 TIME=1 SXY (AVG) RSYS=0 PowerGraphics EFACET=1 AVRES=Mat DMX =.426E-05 SMN =5673 SMX =10281 5673 6185 6697 7209 7721 8233 8745 9257 9769 10281

MX

1

ANSYS 5.5.2 SEP 20 2002 18:51:17 NODAL SOLUTION STEP=1 SUB =1 TIME=1 S3 (AVG) PowerGraphics EFACET=1 AVRES=Mat DMX =.550E-04 SMN =-10108 SMX =-4327 -10108 -9465 -8823 -8181 -7538 -6896 -6254 -5611 -4969 -4327

Y

Y

MN X Z

MX Z X

(a)

MN

(b)

Figura 12. a) Tensione ıxy [in N/m2]; b) Tensione ı3 [in N/m2] per la soletta in cemento armato.

In questo tipo di intervento, il notevole aumento di rigidezza nel piano è ottenuto a discapito di un sostanziale aumento dei paesi propri (100 Kg/m2) e quindi anche delle azioni orizzontali stesse indotte dal sisma.

3.6. Confronto fra le tecniche di consolidamento Alla luce dei risultati ottenuti, è possibile trarre le osservazioni più rilevanti circa l’ aumento di rigidezza offerto dai tradizionali metodi di consolidamento dei solai in legno. In Figura 13 e in Figura 14 si riporta la sintesi delle analisi svolte.

714

Il primo intervento analizzato, inserimento di doppio tavolato, seppure capace di fornire un miglior collegamento alle pareti del solaio, non risulta essere particolarmente efficace, rispetto agli altri interventi, ai fini dell’aumento della rigidezza nel piano del solaio. Anche nel caso in cui il tavolato superiore sia collegato alle murature con staffe di ferro, si deve tenere conto della deformabilità delle unioni chiodate ferro-legno (si veda [6]), fatto che limita i benefici ottenibili. Fx (N)

1000000 10000

KN/m

soletta 4 cm

compensato

9000

100000

8000

10000

controvento

7000 6000

1000

5000

100

4000 3000

10

2000 1000

Soletta 5cm

Soletta 4cm

Compensato

Semplice Tavolato

Doppio Tavolato

Controvento

1

doppio tavolato

0 0

0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8 0,9 1 Soletta 4 cm Ux (mm) Controvento Doppio tavolato Compensato

(a)

(b)

Figura 13. a) Confronto tra le rigidezze nel piano per i vari interventi (scala semilogaritmica); b) Confronto fra le diverse tipologie consolidate con soletta.

I successivi due casi esaminati (consolidamento con compensato strutturale e con controvento in acciaio) offrono risultati comparabili per quanto riguarda l’ordine di grandezza delle rigidezze (Figura 14a), ma riflettono modalità di rottura piuttosto diverse (si veda Tabella 1). F (N)

N

250000

17000 16000 15000 14000 13000 12000 11000 10000 9000 8000 7000 6000 5000 4000 3000 2000 1000 0

240000 230000 220000

soletta 4 cm

210000 200000 190000 180000 170000 160000 150000 140000 130000 120000

compensato

110000 100000 90000 80000 70000 60000 50000 40000

Controvento (croce S.A.)

30000

doppio tavolato

20000 0 0,01

0,02

0,03

Compensato

0,04

0,05

0,06

Doppio tavolato

0,07

Croce S.A.

0,08

0,09

Soletta 4 cm

0,1

semplice tavolato

0

10000 0

doppio tavolato

0,05

0,1

Doppio Tavolato

0,11

0,15 m

Semplice Tavolato

U (m)

(a)

(b)

Figura 14. a) Confronto tra le resistenze dei vari interventi; b) Confronto rigidezze.

In particolare il primo consente collegamenti con le pareti “diffusi” su tutto il perimetro; il secondo invece ha collegamenti puntuali negli angoli del vano consolidato e tale circostanza induce tensioni localizzate nella muratura. Inoltre il primo comporta anche un aumento della portanza e della rigidezza flessionale, a differenza del secondo (a meno che a questo ultimo

715

intervento non sia associato anche l’inserimento di profilati metallici per consolidare i travetti). MODELLI FROTTURA (N) Semplice tavolato 1277 Doppio tavolato 16600 (4 chiodi per nodo) Controvento 33250 (due lame 5x50 mm) Compensato (s=48 mm) 115200 Soletta (s=4 cm) 216000 Soletta (s=5 cm) 270000

Modalità di rottura Rottura unioni chiodate legno-legno Rottura unioni chiodate legno-legno Snervamento acciaio teso Rottura del singolo strato di compensato per taglio Superamento delle tensioni tangenziali ammissibili per il c.a. Superamento delle tensioni tangenziali ammissibili per il c.a.

Tabella 1. Confronto resistenze dei vari interventi.

Tra i vari interventi analizzati quello mediante soletta in cemento armato è quello che certamente più si avvicina all’ipotesi di orizzontamento infinitamente rigido oltre ad essere la soluzione che permette anche un maggiore incremento di portanza per carichi verticali. Peraltro questo intervento comporta un sensibile aggravio dei carichi permanenti, oltre a necessitare di opere di cantiere più complesse, in particolare se è prevista la soletta collaborante, che è tuttavia la soluzione consigliabile.

4. CONCLUSIONI La conoscenza del comportamento nel piano dei solaio tradizionali, prima e dopo eventuali interventi di recupero, è un elemento importante di cui tenere conto nel progetto di adeguamento. Nel presente lavoro sono state proposte sia interpretazioni analitiche che modelli numerici per stimare l’incremento di rigidezza offerto nei confronti delle azioni orizzontali dalle usuali tecniche di intervento. Le analisi svolte possono ritenersi utile supporto nelle relative fasi progettuali.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

MIGLIORAMENTO STRUTTURALE E SICUREZZA SISMICA DI UN OSPEDALE ESISTENTE T. ALBANESI1, C. NUTI1, I. VANZI2 1

2

Dipartimento di Strutture, Università degli Studi di Roma Tre, Roma Dipartimento di Progettazione, Riabilitazione e Controllo delle Strutture, Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara, Pescara

SOMMARIO Questo articolo riguarda l’applicazione di metodi di affidabilità dei sistemi ad un complesso problema reale: l’ospedale Bianchi-Melacrino di Reggio Calabria che è emblematico di sistemi complessi. L’ospedale fu costruito intorno ad un nucleo centrale abbastanza antico, un complesso di edifici in muratura degli anni ‘20, e poi sviluppato durante gli anni localizzando vari servizi in differenti edifici in muratura, in cemento armato e di tipo misto. L’applicazione è sviluppata fino al calcolo della curva di fragilità dell’intero ospedale. Tale curva viene poi usata per confrontare la situazione attuale con differenti progetti di adeguamento. Una procedura di ottimizzazione permette infine di identificare il progetto di adeguamento più efficace per l’intero sistema. Un altro aspetto trattato è come semplificare lo studio di affidabilità dell’intero sistema ospedaliero. Viene mostrato che, con una approssimazione molto buona, si può risolvere il problema usando un approccio deterministico dopo aver impostato lo schema logico dell’ospedale in termini di insiemi di taglio (cut-sets) del sistema. L’ultima questione trattata è volta a fornire ad utenti inesperti di studi di affidabilità di ospedali (come ad esempio ingegneri impiegati dell’ospedale prevalentemente coinvolti in operazioni di manutenzione) uno strumento per eseguire analisi e confronti in modo rapido, evitando le complessità matematiche tipicamente presenti in studi di affidabilità dei sistemi. ABSTRACT This paper deals with the application of system reliability methods to a difficult real problem: the Bianchi-Melacrino hospital of Reggio Calabria which is paradigmatic of complex systems. The hospital was built around a rather ancient central core, a masonry buildings of the ‘20s, and then developed during the years, with different services located in very different buildings, masonry, reinforced concrete and of mixed types. The application is developed up to the computation of the whole hospital fragility curve. This curve is also used to compare the current situation with different retrofitting designs. An optimization procedure allows to identify the most effective retrofitting design, from a whole system perspective. A further aspect dealt with, is how to simplify the reliability study of the whole hospital system. It is shown that, with very good approximation, one can solve the problem by using a

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deterministic approach after setting up the logical scheme of the hospital in terms of cut-sets of the system. The last feature of this study is meant to give inexperienced users of hospital reliability studies (e.g. engineers employed by the hospital who are mostly involved in maintenance operations) an important tool to do computations and comparisons in a fast way, doing away with the mathematical complexity typically present in system reliability studies.

1. INTRODUZIONE Gli ospedali sono sicuramente una delle più importanti infrastrutture in occasione di un terremoto. Il loro corretto funzionamento permette di curare i feriti entro poco tempo dal primo soccorso riducendone così considerevolmente la mortalità. Tre aspetti confliggono con la capacità degli ospedali di essere completamente funzionanti dopo un evento sismico: il primo riguarda principalmente i paesi, come l’Italia, in cui gli ospedali sono collocati in edifici antichi non progettati sismicamente che quindi non di rado presentano un elevato grado di vulnerabilità. Il secondo aspetto riguarda la complessità del sistema ospedaliero stesso: un ospedale è operativo se tutti i suoi servizi sono propriamente funzionanti, come ad esempio le camere operatorie, la radiologia, i laboratori di analisi, ecc., per cui sembra logico affrontare il problema della vulnerabilità degli ospedali con un metodo di analisi di affidabilità dei sistemi coerente con la complessità del sistema. Il terzo aspetto è che l’obiettivo che il progettista deve perseguire è che nessun componente dell’ospedale superi lo stato limite di servizio, anziché lo stato limite ultimo, anche in presenza di eventi sismici severi. D’altra parte è stato dimostrato che in genere è possibile rendere queste strutture capaci di conservare la propria funzionalità perfino dopo scosse sismiche severe. L’unico paese che possiede codici specifici per il progetto sismico di nuovi ospedali è la California [1] mentre per gli ospedali esistenti il problema non è stato ancora risolto. In California, un recente regolamento impone di adeguare gli ospedali esistenti allo stesso livello di resistenza sismica entro l’anno 2030. Attualmente anche in Italia il problema è sentito e le istituzioni pubbliche intraprendono lo studio dell’adeguamento di ospedali esistenti [2] affinché rimangano funzionali anche dopo terremoti intensi. Una descrizione dei metodi per modellare in dettaglio la fragilità sismica degli ospedali è presentata in [3], [4], [5], [6]. In [7] è stato dimostrato che circa la metà degli ospedali italiani esistenti in zona sismica non sono stati progettati con criteri antisismici. Inoltre, anche in edifici con strutture sismicamente sicure, la protezione degli elementi non strutturali e delle apparecchiature rappresenta un problema talmente rilevante e critico per la funzionalità che è necessario un lavoro specifico su questo tipo di organismi per tenere conto del comportamento del sistema. In [8] sono stati considerati due differenti livelli prestazionali che l’ospedale deve soddisfare dopo un terremoto: l’immediata occupazione (i.o.) e la stabilità strutturale (s.s.) definiti in [9]. Nel presente lavoro è stato considerato soltanto lo stato limite di immediata occupazione: il più vincolante ed interessante dopo un evento sismico. L’ospedale Bianchi-Melacrino di Reggio Calabria, per il quale sono disponibili i dati, è l’oggetto di questo studio. Si mostrerà che, anche per strutture così complesse, composte da oltre 30 edifici in muratura, in cemento armato e di tipo misto, realizzati nell’ultimo secolo, i criteri di sicurezza sismica sono uno strumento progettuale indispensabile (e semplice).

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2. MODELLO PER VALUTARE LA VULNERABILITÀ DEGLI OSPEDALI 2.1. Fragilità degli edifici Ogni ospedale può essere rappresentato da uno schema logico composto dalle proprie funzioni essenziali, generalmente localizzate in differenti edifici, ordinate in sistemi in serie; ogni funzione è essa stessa rappresentata da un sistema in serie di componenti strutturali e non strutturali. In [8] sono stati considerati due differenti livelli prestazionali che un ospedale deve soddisfare dopo un evento sismico: l’immediata occupazione (i.o.) e la stabilità strutturale (s.s.) definiti in [9]. Per ogni livello prestazionale considerato, i metodi di affidabilità dei sistemi permettono di calcolare la curva di fragilità di ogni ospedale una volta che siano note le vulnerabilità di ogni componente. In questo lavoro si è considerato soltanto lo stato limite i.o. che risulta il più vincolante ed interessante dopo un evento sismico. Le curve di fragilità di ciascun componente sono valutate tramite una dettagliata analisi strutturale condotta su ogni edificio ed applicando il metodo di aggiornamento bayesiano ai dati di danni rilevati in terremoti occorsi. Quest’ultimo metodo viene usato sia per verificare i risultati dell’analisi strutturale sia quando non è possibile effettuare analisi strutturali dettagliate, per esempio per mancanza di dati. Il metodo di aggiornamento bayesiano per calcolare le curve di fragilità dei componenti è descritto in [8] e, per completezza, viene brevemente riepilogato nel seguito. La funzione di distribuzione assunta per ogni componente è di tipo lognormale, definita da due parametri: la media ed il coefficiente di variazione. Attraverso il metodo di Bayes, la media della distribuzione viene aggiornata usando i dati [10] raccolti sugli ospedali colpiti dai terremoti dell’Irpinia (1980) e del Friuli (1976). I dati sui danni sono ordinati, per ogni edificio, esaminando i componenti strutturali (Si) e non strutturali (NSi) elencati in Tabella 1. Componenti strutturali S1 S2 S3 S4 S5 S6 S7

Componenti non strutturali

Struttura verticale (portante carico) Struttura orizzontale Copertura Scale Partizioni interne (non portanti carico) Partizioni esterne (non portanti carico) Fondazioni

NS1 NS2 NS3 NS4 NS5 NS6 NS7

Ascensori Sistema elettrico Impianto idrico Sistema di alimentazioni esterne Sistema antincendio Telecomunicazioni Gas medicali

Tabella 1. Descrizione dei componenti strutturali (Si) e non strutturali (NSi) Il danno è stato classificato in [10] in una scala ad otto livelli per i componenti strutturali (da d=0 in assenza di danno a d=7 per il collasso) ed in una scala a tre livelli per i componenti non strutturali (0=completo, 1=parziale, 2=interrotto). Ogni componente (Si e NSi) viene assunto adeguato per il livello prestazionale di i.o. se il suo livello di danno d, corrispondente alle definizioni date in [10], è minore di 2 per i componenti strutturali e minore di 1 per i componenti non strutturali. I risultati del processo di statistica bayesiana sono le medie aggiornate delle curve di fragilità [8] per ogni componente strutturale e per ogni classe di edifici (definita nel seguito). Tutti gli edifici sono suddivisi in sei classi in base a tre tipologie strutturali (muratura, cemento armato e miste) ed in due altezze (tre piani e più o meno di tre piani). Non si sono considerati edifici in acciaio perché rappresentano una aliquota trascurabile del volume totale. Infatti il volume totale degli ospedali italiani esistenti si compone per il 27.4% di strutture in

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muratura, per il 28.9% in cemento armato, per il 43.2% miste (muratura e c.a.) e per lo 0.5% in acciaio [7]. Per valutare la fragilità delle classi di edifici, ogni edificio viene rappresentato da un sistema in serie di opportuni componenti strutturali Si e non strutturali NSi. Lo schema logico adottato per il livello prestazionale considerato, i.o., è mostrato in Figura 1.

Figura 1. Schema logico per gli edifici Nel modello sono stati inclusi tutti i componenti strutturali Si, NS1 (ascensori), NS3 (impianto idrico) e NS7 (gas medicali). Si è assunto che in condizioni di emergenza tutti gli ospedali fossero funzionanti con generazione di potenza indipendente per cui NS2 (sistema elettrico) è stato trascurato; inoltre NS5 (sistema antincendio), NS6 (telecomunicazioni) e NS4 (Sistema di alimentazioni esterne) sono stati giudicati inessenziali per l’i.o. dopo un evento sismico. Nei calcoli delle fragilità degli edifici con il metodo bayesiano, si è conservata l’ipotesi di alta correlazione (U=0.8) tra i componenti degli schemi logici di Figura 1, poiché l’osservazione dei danni prodotti da terremoti passati ha evidenziato una elevata correlazione (circa 0.8) tra i collassi di differenti componenti. Nel calcolo della fragilità dell’edificio, si è sempre impiegato lo schema logico di Figura 1. La fragilità dei componenti (Si e NSi) è stata valutata o mediante una dettagliata analisi strutturale su ogni edificio o, quando questa non era possibile per esempio per mancanza di dati, usando le curve di fragilità ottenute con il metodo di aggiornamento bayesiano. 2.2. Fragilità dell’ospedale Bianchi-Melacrino Lo schema logico adottato per l’ospedale consiste brevemente nelle funzioni essenziali organizzate nel sistema in serie riportato in Figura 2. camere operatorie

radiologia

laboratorio di analisi

farmacia

terapia intensiva

alimentazione di emergenza

Figura 2. Schema logico adottato per l’ospedale: le sei funzioni sono organizzate in serie Le funzioni essenziali per garantire la completa operatività dell’ospedale dopo un terremoto sono: le camere operatorie, la radiologia, il laboratorio di analisi, la farmacia, l’unità di terapia intensiva ed il generatore di potenza elettrica di emergenza. Le funzioni essenziali sono state selezionate in accordo con altri documenti specifici [11] e dopo sopralluoghi effettuali con i dottori. In particolare, le camere operatorie così come i letti per la terapia intensiva sono considerati i servizi più rilevanti, seguiti dalla radiologia e dai laboratori di analisi; la farmacia è spesso integrata da depositi medicali ad ogni livello dell’edificio, tuttavia questo non è sempre vero per cui si è inclusa nello schema logico. Il passo successivo è stato l’identificazione degli edifici in cui è localizzata ciascuna funzione. L’ospedale Bianchi-Melacrino è il più grande della ragione Calabria (con circa 750 posti letto) ed è composto da 26 edifici in muratura o cemento armato costruiti tra il 1928 ed il 1972. In Figura 3 è mostrata una vista tridimensionale dell’ospedale.

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Figura 3. Vista tridimensionale dell’ospedale Bianchi-Melacrino Se una funzione è localizzata in un edificio, allora il collasso di quell’edificio implica la perdita di quella funzione. Se una funzione è localizzata in più di un edificio, allora la funzione si perde se collassano tutti gli edifici, cioè il sistema è in parallelo. Lo schema logico dell’intero sistema è mostrato in Tabella 2. Funzione

Edifici

Farmacia Entrata principale Laboratorio di analisi

K-G D-Css-Nss T // (A-L-D) // A (E) // (H-L-A-I-D) // (H-M-D) // (I-D-L-A-Hss-Ass-Nss) // (I-D-M) // (Y-D-C) // (O) // (S) (F) // (I-Hss-Ass-Nss) // (N-D-L) // (N-D-M) // (1-Hss) // (2--Bss) // (3) (F-Ess) // (N-D-L) // (N-D-M) // (nuovo edificio-N-D-L- Hss-Ass-Nss-Mss) (A-L-D) // (A) // (C-D) // (H-M-D) // (N-D-L) // (N-D-M)

Radiologia Generatore di potenza elettrica Camere operatorie Unità di terapia intensiva

Tabella 2. Schema logico dell’ospedale In Tabella 2, il simbolo // indica componenti in parallelo, il simbolo – indica componenti in serie e le lettere indicano gli edifici mostrati in Figura 3: per esempio T // (A-L-D) // A per il laboratorio di analisi indica T in parallelo con (A, L, D) in serie ed ancora in parallelo con A. Il pedice ss indica che si è considerata la stabilità strutturale: per esempio Css significa che l’edificio C è considerato per lo stato limite di s.s.. Questo è necessario perché, anche se si considera lo stato limite di i.o., alcuni edifici non devono collassare affinché lo stato limite di i.o. venga rispettato in altri edifici: per esempio, l’entrata principale è nell’edificio D che deve rispettare lo stato limite di i.o.; ma, affinché l’edificio D resti funzionale, gli edifici C ed N non devono collassare (si veda Figura 3) altrimenti le macerie impedirebbero l’accesso. Per ogni edificio, come si è già sottolineato, le curve di fragilità sono disponibili o attraverso una dettagliata analisi strutturale o attraverso il metodo bayesiano. Quattro delle curve di fragilità dell’edificio sono mostrate in Figura 4. L’intensità dell’evento sismico viene misurata secondo la scala Mercalli modificata. Le fragilità degli edifici sono tutte modellate come variabili casuali lognormali, con coefficiente di variazione pari a circa 15% e valore medio compreso tra 6.0 e 7.5 IMM, a seconda dell’edificio.

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PF

Intensità

Figura 4. Curve di fragilità per quattro edifici dell’ospedale Bianchi-Melacrino

3. CALCOLO PROBABILISTICO DELLA FRAGILITÀ DELL’OSPEDALE La fragilità dell’ospedale è stata calcolata usando strumenti matematici di affidabilità tradizionali. Innanzitutto, si sono calcolati gli insiemi di taglio minimi corrispondenti allo schema logico di Tabella 2. I 19 insiemi di taglio minimi sono mostrati in Figura 5.

PF

Figura 5. Insiemi di taglio (cut-sets) minimi per l’ospedale Bianchi-Melacrino

Intensità

Figura 6. Curva di fragilità dell’ospedale B-M ed interpolazioni con distribuzione normale e lognormale Poi, assumendo una correlazione tra il collasso dei componenti pari a 0.8 (valore verificato sperimentalmente con i dati rilevati sugli ospedali colpiti dai terremoti del Friuli e

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Intensità

dell’Irpinia), si è calcolata la fragilità del sistema attraverso una simulazione Montecarlo. Il risultato finale è mostrato in Figura 6 che rappresenta la fragilità dell’ospedale nello stato attuale e le sue approssimazioni normale e lognormale che minimizzano l’errore quadratico. Il valore medio della fragilità è pari a circa 6.2 IMM: un valore piuttosto basso se si considera la curva di rischio a Reggio Calabria mostrata in Figura 7. Il periodo di ritorno dell’intensità 6.2 è di circa 18 anni: un valore molto basso per una infrastruttura così importante. Per questo motivo si è deciso di migliorare il comportamento sismico dell’ospedale ma per una struttura così complessa e costosa questo non è un compito facile. Nel paragrafo seguente viene presentato un criterio per scegliere gli edifici su cui intervenire. Brevemente, si è messa a punto una procedura di ottimizzazione che fornisce alcune chiare indicazioni sulla migliore strategia di intervento.

Periodo di ritorno

Figura 7. Curva di rischio a Reggio Calabria 3.1. Progetto dell’intervento di miglioramento per gli edifici Nel sistema logico, si sono modellati 38 edifici, vedi Tabella 2 e Figura 3. Nello scegliere gli edifici da migliorare, è naturale cominciare da quelli il cui miglioramento produce il massimo beneficio all’intero sistema. Comunque, anche dopo aver semplificato il sistema logico (si vedano gli insiemi di taglio minimi in Figura 5), la scelta non è semplice. Per questo motivo si è ideata ed implementata in un programma, una procedura di ottimizzazione. In breve, tale procedura assume che gli edifici (cioè i componenti del sistema) siano adeguati a passi di 2 IMM, ossia che il valore medio delle loro curve di fragilità sia incrementato di volta in volta di 2 Mercalli. Per esempio, l’edificio G, la cui curva di fragilità ha un valore medio di 6.4 nello stato di fatto, o viene lasciato inalterato o viene adeguato in modo che il valore medio della sua curva di fragilità diventi pari a 8.4, 10.4, 12 (valore massimo della scala Mercalli). Ovviamente le ultime due opzioni di adeguamento sono molto costose o possono richiedere la demolizione e la ricostruzione. A seguito dell’adeguamento di un edificio, la fragilità del sistema aumenta di molto se l’edificio scelto è importante, e di poco o niente se questo non significativo. Ad ogni passo S, la procedure di ottimizzazione calcola innanzitutto la curva di fragilità dell’ospedale nell’ipotesi che tutti i componenti siano adeguati, allo stesso istante, di 2 IMM. Viene poi scelto il componente, CS, che determina, a questo passo, il massimo beneficio al sistema. All’inizio del passo successivo, S+1, il componente CS viene considerato adeguato ed il calcolo ripetuto: al termine di questo passo viene scelto un altro componente, CS+1, da adeguare. I risultati di questa procedura sono mostrati in Figura 8.

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E(PF)

Numero componente

Figura 8. Numero del componente scelto al termine di ogni passo e corrispondente fragilità media del sistema

PF

Dalla Figura 8, si evince che nello stato attuale (numero del componente=0) il valore medio della fragilità del sistema è 6.2 (E(PF)=6.2). Alla fine del passo 1, viene scelto il componente numero 7 il cui adeguamento innalza il valore medio della fragilità del sistema a 6.6 IMM. Alla fine del passo 2, viene scelto il componente numero 4 ed il valore medio della fragilità del sistema passa a 7 IMM. Le curve di fragilità del sistema corrispondenti ai passi di adeguamento sono mostrate in Figura 9.

Intensità

Figura 9. Curve di fragilità del sistema al termine di ogni passo di adeguamento Un altro modo per mostrare queste informazioni è riportato in Figura 10 dove il valore medio della fragilità del sistema è diagrammato in funzione del numero del passo. Si noti che, tanto minore risulta la pendenza della curva e tanto maggiore è il beneficio portato al sistema al termine di ciascun passo. I passi 1 e 2 portano beneficio al sistema: il valore medio passa da 6.2 a 7; mentre dal passo 2 al passo 6, la fragilità media del sistema rimane pressoché la stessa; i passi 7 ed 8 sono invece importanti: la fragilità media del sistema passa rispettivamente a 7.8 ed a circa 9. Il comportamento fortemente non lineare della curva mostra quindi le scelte migliori e peggiori per l’adeguamento: ad ogni numero di passo corrisponde l’edificio da adeguare ed il livello di adeguamento.

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Numero passo

E(PF)

Figura 10. Valore medio della fragilità del sistema in funzione del numero del passo Nel progettare l’adeguamento dell’ospedale si è proposto di passare al passo 8, cioè adeguare 6 edifici scelti tra i 38 edifici, con miglioramenti di 2 IMM gradi. Uno degli edifici scelti, adeguato mediante l’inserimento di controventi dissipativi, è mostrato in Figura 11.

Figura 11. Edificio L adeguato con controventi dissipativi La stessa procedura è stata anche programmata e verificata con una ipotesi sui costi: se al termine di ogni passo si sceglie l’edificio per il quale il rapporto beneficio / costo è maggiore, si possono calcolare curve simili a quella di Figura 10, ma con il costo sull’asse y. Il beneficio è definito dall'incremento di resistenza del sistema, il costo come prodotto del volume dell’edificio per l’incremento di resistenza sismica (un incremento di 3 IMM è più costoso di un incremento di 2 IMM). Un tale risultato è mostrato in Figura 12.

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Costo di adeguamento somma(volume dell’edificioucosti di adeguamento per unità di

Fragilità media (IMM)

Figura 12. Valore medio della fragilità del sistema in funzione del costo di adeguamento L’aspetto più importante di questo diagramma è la sua forte non linearità. Si dovrebbe adeguare l’ospedale in modo da ricadere in una delle due situazioni indicate dal rettangolo mentre si dovrebbero evitare interventi che conducano ad una delle due situazioni indicate dal cerchio. Per questo particolare progetto, comunque, si è deciso di usare solo i risultati di Figura 10 poiché indicavano con sufficiente precisione la scelta progettuale migliore.

4. VALUTAZIONE DETERMINISTICA (RAPIDA) DELLA FRAGILITÀ DELL’OSPEDALE La procedura appena descritta, sebbene valida, può essere impiegata solo da ingegneri esperti. È quindi desiderabile semplificarla per consentire anche ad utenti inesperti, come ad esempio ingegneri impiegati degli ospedali e coinvolti nelle operazioni di manutenzione, di ripetere ed adattare questi calcoli ai loro casi specifici. In questo paragrafo viene mostrato come determinare la curva di fragilità dell’ospedale in modo semplice. Le informazioni richieste per il calcolo sono le resistenze degli edifici degli ospedali, in termini di media e deviazione standard, e lo schema logico del sistema ospedaliero, Tabella 2. Si consideri per esempio il laboratorio di analisi e la farmacia il cui schema logico è mostrato in Figura 13; le resistenze medie (cioè frattile 50%) sono indicate tra parentesi.

Figura 13. Schema logico del sistema laboratorio e farmacia Il sottosistema in serie A-L-D collassa a 6.7 IMM e quindi il laboratorio di analisi a 7.3 (la resistenza massima dei componenti in parallelo). Il sistema composto dal laboratorio di analisi e dalla farmacia collassa infine a 6.4 (il minimo per i componenti in serie). Continuando in questo modo si ricava che la resistenza dell’intero ospedale è pari a 6.3 IMM.

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Frattile della resistenza del componente

Questo valore è relativo al frattile 50% della resistenza degli edifici; se si considerano differenti frattili della resistenza degli edifici, si ottengono risultati diversi. Il risultato di questo calcolo è mostrato in Figura 14, insieme alle curve probabilistiche di fragilità dell’ospedale, determinate come nel paragrafo precedente, per differenti valori dei coefficienti di correlazione tra il collasso dei componenti.

Resistenza del sistema (IMM)

Figura 14. Curve di fragilità per calcoli deterministici e probabilistici Per la curva deterministica (DET), indicata dalla linea con i punti, si è riportato sull’asse y il frattile della resistenza degli edifici e sull’asse x la resistenza dell’ospedale. Per il calcolo probabilistico (PROB) le curve di fragilità sono determinate nel solito modo e viene riportata la probabilità di collasso in funzione dell’intensità del terremoto. Si nota che la curva deterministica è praticamente coincidente con la curva probabilistica con grado di correlazione perfetto (si è usato U=98% invece di 100% per evitare problemi di calcolo). Questo risultato è scontato dato che per il caso di perfetta correlazione, il sistema “probabilistico” si comporta esattamente come quello “deterministico”, poiché in effetti solo una resistenza è casuale (essendo le altre perfettamente correlate). Si nota inoltre che, al decrescere della correlazione tra i collassi dei componenti, la fragilità aumenta; anche questo è un risultato ben noto. Per esempio, un sistema in serie con 2 componenti aventi rispettivamente una probabilità di sopravvivenza pari a 0.2 e 0.6, in caso di perfetta correlazione, ha una probabilità di sopravvivenza pari a 0.2 mentre, in caso di assenza di correlazione, la probabilità di sopravvivenza del sistema si riduce a 0.2u0.6=0.12. Se gli stessi due componenti sono ordinati in un sistema parallelo, in caso di perfetta correlazione, la probabilità di sopravvivenza è 0.6 mentre, in caso di correlazione nulla, la probabilità di sopravvivenza si innalza a 1-(1-0.2)u(1-0.6)=0.68. Quindi, un incremento di correlazione favorisce i sistemi in serie mentre sfavorisce quelli in parallelo. Poiché l’ospedale è sostanzialmente un sistema in serie (come mostrato in Figura 1) il risultato di Figura 14 era prevedibile. Infine, assemblando lo schema logico dell’ospedale (come mostrato in Tabella 2) ed eseguendo il calcolo “deterministico” (come descritto in questo paragrafo) con frattili variabili della resistenza dei componenti, si finisce per ricavare la curva di fragilità “probabilistica”, cioè corretta, per il caso di perfetta correlazione. Le curve di fragilità probabilistiche con minore correlazione saranno peggiori (migliori) se il sistema considerato si comporta fondamentalmente come un sistema in serie (parallelo).

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5. CONCLUSIONI Si affrontano vari aspetti di un problema reale per valutare la sicurezza di un ospedale esistente. Questo problema è rappresentativo dell’affidabilità di qualunque sistema complesso. Le questioni trattate sono: la definizione del sistema logico, la determinazione delle fragilità dei componenti, l’affidabilità del calcolo della sicurezza del sistema, l’ottimizzazione del progetto di adeguamento ed un metodo semplificato per valutare la sicurezza del sistema. Il principale risultato è che, sebbene il sistema sia molto complesso poiché la sua comprensione comporta interazioni con i medici, difficili stime ingegneristiche delle fragilità delle strutture esistenti e metodi di calcolo avanzati, è possibile stimarne la sicurezza con affidabilità ed ideare un progetto di adeguamento ottimizzato senza oneri eccessivi. Un altro risultato, ugualmente importante, è che la sicurezza del sistema può essere verificata, con una buona approssimazione, utilizzando un metodo semplificato, utilizzabile anche da personale non esperto di affidabilità strutturale. Approcci semplificati come quello presentato sono necessari nella ricerca per superare il divario con il mondo professionale, coinvolto nella progettazione, che necessita di strumenti semplici ed efficaci per affrontare problemi complessi.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

UN METODO PER LA SICUREZZA DEI CENTRI STORICI INTERVENTI DI MIGLIORAMENTO STRUTTURALE M. Cilia1, R. Cultrone 2, C. Occhipinti 3 1

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Ingegnere Civile- ind. Strutture, Ragusa [email protected] Dottore di Ricerca in Pianificazione Urbana e Territoriale PALERMO 3 Consigliere Nazionale dei CHIMICI, Ragusa [email protected]

SOMMARIO La necessità di compattare la massa muraria, spesso caratterizzata da un apparecchio murario a doppio paramento, con scarse connessioni trasversali, suggerisce l’idea di utilizzare un sistema tridimensionale di cuciture per il rafforzamento delle strutture murarie esistenti. Su tale idea si basa il sistema CAM (Brevetto Dolce-Marnetto), Cuciture Attive per la Muratura o Cerchiaggio Attivo dei Manufatti. I tiranti, realizzati con nastri di acciaio inossidabile, sono pre-tesi, e applicano perciò un leggero stato di precompressione. Grazie agli speciali elementi di connessione, i nastri d’acciaio realizzano un sistema continuo di tirantatura, orizzontale e verticale, in grado di ripercorrere le irregolarità della muratura, così da migliorare la resistenza a taglio e flessionale dei singoli maschi murari, nel loro piano e fuori di esso, e delle pareti nel loro insieme. Del sistema CAM vengono illustrate le caratteristiche principali e le potenzialità applicative, le modalità di messa in opera. ABSTRACT Old masonry structures are often characterised by irregular or double layer masonry systems, with lack of transverse connections. The need for compacting them to improve their mechanical characteristics suggests the idea of using a three-dimensional system of tying. The CAM system (patented by Dolce and Marnetto), Masonry Active Ties or Manufact Active Confining, is based on such idea. Ties are made of stainless steel ribbons and are pretensioned, so that a light beneficial precompression state is applied to masonry. Special connection elements permit to realise a continuous horizontal and vertical tie system, so that the shear and bending in-plane and out-of-plane strengths of single panels and entire walls are improved. The main characteristics of the CAM system are illustrated, along with the application potential, the setting up.

A cura di Carmen Occhipinti

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1. INTRODUZIONE Ormai da troppo tempo, sempre più spesso si assiste ad un copioso ed intollerabile stillicidio di dissesti di strutture civile, dei quali un buon 70% imputabili alla negligenza dell'uomo. Purtroppo spesso si interviene realizzando quelli che Boscarino definiva “Cadaveri eccellenti” con cordoli sommitali in cemento armato (fig. 1), con fodere murarie in cemento, che alla minima scossa, si distaccano con risposta strutturale assolutamente indipendente dalla struttura cui erano applicate o, ancor peggio, con iniezioni di cemento. Per non parlare dell’inserimento di solai in cemento Figura 1 – Sgretolamento del paramento murario armato, laddove basterebbe solo migliorare esterno al disotto del cordolo. 1. quelli di legno esistenti [1]. L’intervento effettuato deve avere riconoscibilità e reversibilità, caratteristiche che, alle iniezioni, decisamente mancano. Inoltre, è impossibile indicare una terapia comune di intervento da seguire per mettere in sicurezza gli edifici perché ciascuno ha una sua storia e vicende costruttive e storiche varie sicché, a volte, il costruito viene fuori da un progetto unitario e a volte da una serie di accorpamenti e soprelevazioni fatte in epoche diverse, con conseguente disomogeneità strutturale. Ciò concorre, assieme al tipo di legante utilizzato, alla presenza o meno di diatoni (fig.2-3) e ortostati nella muratura a distinguere il ben dal mal costruito e suggerisce, caso da caso, la terapia da approntare affinché l’edificio in esame venga garantito alle generazioni future [2]. Ma l’armonia strutturale è campo parecchio delicato poiché cozza con quanto l’uomo ha fatto con una infinita serie di interventi che, dal dopoguerra ad oggi, hanno deturpato i nostri centri storici. I muri di un manufatto sono come libri d’archivio:l’analisi stratigrafica dei paramenti murari ci descrive le fasi storiche dell’opera [3]. Va ricordato, infine, che il “miglioramento” sismico, spesso ritenuto sinonimo di intervento rispettoso dei caratteri storici e costruttivi del fabbricato, in realtà può portare a vistosi contrasti con la vincolistica urbanistica posta a tutela dei centri storici. Ad es. ove non vengano precisate particolari esigenze architettoniche (punto C.9.8.2 del dm. 24/1/1986), ambientali-architettoniche (punto C.9.8.3) o estetiche (C.9.8.4), il Figura 2 – Crollo di una parete muraria a doppio “miglioramento” impedisce il ripristino paramento (Sellano, 1997). delle originali partiture delle aperture delle

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facciate (punto C.9.8.1), il ripristino dei solai a struttura lignea (C.9.8.3), il ripristino di archi e volte lesionati (C.9.8.4) [4]. Una letterale interpretazione delle norme al riguardo può inficiare i propositi urbanistici di conservazione dei centri storici. La qualità del progetto di restauro è da attribuirsi attraverso tre indicatori: la cultura del progetto, l’iter metodologico e la capacità di sintesi. La cultura del progetto: il restauro non è da manuali tecnici, necessita di cultura profonda e di accurata conoscenza dell’oggetto. Il concetto di “restauro” si è evoluto attraverso il dibattito. Non solo le posizioni di Boito, Giovannoni e Beltrami ma anche il dibattito attuale pongono l’alternativa tra ripristino e conservazione. Sappiamo inoltre che al restauro ci si può accostare con atteggiamento critico, tipologico o da ripristino. Intanto occorre redigere un buon rilievo e un’ottima analisi storica. Diceva Samonà “Metodologia è ordine ben definito in cui mettere le fasi in sequenza”. La sintesi è la parte più interessante del progetto, come sosteneva Alvar Alto. Il restauro critico nasce nel dopoguerra e trova nel Bonelli e in Pane i suoi maggiori esponenti. Si basa sull’impossibilità di riprodurre le parti mancanti di un manufatto e sulla necessità di realizzare le linee guida non per ottenere un falso ma per completare Figura 3 – Crollo di una parete muraria a doppio e dare senso all’opera, senza creare paramento (Sellano, 1997). confusione all’osservatore tra l’autentico e l’aggiunto. Il restauro critico ha influenzato le Soprintendenze in quanto migliora la lettura dell’opera d’arte. Ma a questa tesi si affianca il desiderio di progettare il nuovo a completamento dell’antico (vedi il caso delle ciminiere di Catania) realizzando quelli che Boscarino definiva “Cadaveri eccellenti”. Marconi era dell’avviso di riprodurre ciò che non c’è più basandosi sui manuali del recupero. Il rischio sotteso al criterio di recupero di molti centri storici è quello di manualizzare il recupero secondo una sola rigida norma, il che non è corretto filologicamente [5]. Il restauro, come ripristino, ha il fine di realizzare "nuovi originali" che (come i piani del colore) sono scelte molto discutibili. La tipologia riconosce la regola attraverso un numero limitato di schemi il che è il metodo degli urbanisti per impossessarsi del restauro [6]. Queste indicazioni compaiono negli anni 70 col convegno INU. Sono in particolare alcuni interventi bolognesi che inducono l’introduzione di tipologie mai esistite in alcune zone in cui si sostituisce con case da bambole ciò che esisteva ed era stratificato dalla storia. Altri concepiscono il restauro come cementificazione e consolidamento ( i guasti della cattedrale di Nicosia) con alterazioni tecniche che in alcuni casi sono state estremamente nocive: le porte di Tindari dove si è effettuato il restauro “cannibale” [7].

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Autenticità è un concetto che si lega a matericità dell’opera. L’architettura si sviluppa nel tempo spesso con addizioni. L’archeologo sottrae ma il restauratore funzionalizza [8]. Nel recupero e nel restauro degli edifici storici è necessario tener conto dei meccanismi di collasso (fig. 1-2-3) I meccanismi di danno su azione di una forza esterna alle murature furono già oggetto di analisi nel trattato di Rondelet. La caratteristica meccanica di un muro eseguito a “regola d’arte” è quella di arrivare al collasso attraverso la realizzazione di cinematismi che comportano la formazione di cerniere cilindriche, mentre le porzioni comprese tra le fessure offrono un comportamento tipo “corpo rigido”. Un “meccanismo di collasso” di tal tipo, descrivibile in prima approssimazione come una catena cinematica, consente talvolta una modellazione matematica sufficientemente accurata, ma soprattutto Figura 4 – CAM – Equilibrio di forze. consente sempre una realistica previsione del suo formarsi e suggerisce il mezzo per evitarlo. La minor “qualità” del muro, il suo discostarsi dalla “regola d’arte”, gli toglie tale caratteristica. I muri costruiti a regola d’arte sono stati ritrovati ribaltati ma interi, tanto da lasciar chiaramente intendere che se fossero stati trattenuti, il collasso sarebbe stato evitato. Inoltre, se il muro è libero, esso, sotto l’azione di una forza ad esso ortogonale, ribalta al piede dove fa cerniera; se il muro è contraffortato, si assiste ad una modifica del meccanismo di rottura poiché la parete ad esso ortogonale, funge da vincolo. Se la parete ne ha due ortogonali alle estremità, la parte soggetta a ribaltamento è solo quella centrale. La presenza di diatoni rende monolitica la parete. Il terremoto di Messina del 1908 è quello di massima intensità mai registrato in Italia: i danni furono enormi a seguito del terremoto della Val Nerina del 1979, le norme sismiche dell’81 fallirono in quanto ampliarono i danni nel comune di Sellano con interventi che tagliavano in due le parti tra loro slegate della muratura e cordoli. Ma anche il caso di Carlentini del 1990 ci mostra la sennatezza e la dissolutezza di alcuni interventi [9]. Già i Romani nell’ambitus avevano trovato una norma di rispetto antisismica garantendo un corridoio di 80 cm. tra un fabbricato e il successivo di uno stesso isolato, realizzandovi degli archi tra le parti murarie che lavorano da puntoni. Tali archi, a volte, però, non sono sempre posti correttamente [10]. Le soluzioni proposte per mettere in sicurezza gli edifici dei nostri centri storici, tanto preziosi quanto vulnerabili, impongono attenzioni mirate alla reversibilità degli interventi mettendo in sicurezza gli edifici ma conservandone le peculiarità [11]. Risponde bene a tali esigenze il metodo CAM (Cucitura Attiva delle Murature) poiché consente di tirantare in orizzontale e in verticale le murature, categoria di intervento prevista dalla Circolare Ministeriale L.L.P.P. del 10 aprile 1997, n. 65/AA.GG. (Istruzioni per l’applicazione delle “Norme tecnoche per le costruzioni in zone sismiche” di cui al D.M. 16 gennaio 1996). Il sistema CAM brevettato, viene realizzato interamente mediante acciaio inossidabile, così da garantire la durabilità. I tiranti, realizzati con nastri di acciaio, sono pretesati, così da

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applicare uno stato di precompressione trasversale, particolarmente importante in direzione trasversale. Grazie agli speciali elementi di connessione, i nastri d’acciaio realizzano un sistema continuo di tirantatura, in grado di ripercorrere tutte le irregolarità della muratura, sia in orizzontale, lungo tutta la parete rinforzata, che in verticale, per tutta l’altezza, così da migliorare non solo la resistenza a taglio, ma anche la resistenza flessionale dei singoli maschi murari e delle pareti nel loro insieme. Del sistema CAM vengono illustrate di seguito le caratteristiche principali e le potenzialità applicative, le modalità di messa in opera, le valutazioni quantitative della sua efficienza in termini generali e rispetto a un esempio di applicazione, di cui vengono, infine, riportate e commentate le immagini più significative. A cura di Rosario Cultrone 2. I VANTAGGI PIÙ SIGNIFICATIVI I vantaggi più significativi possono elencarsi nei seguenti punti [12]: 9 nastri di acciaio inox svolgono un ruolo attivo, imprimendo alla muratura un benefico stato di precompressione, sia nel piano della parete, orizzontalmente e verticalmente, sia in direzione trasversale, collegando efficacemente i paramenti dell’apparecchio murario; questo stato di precompressione ritarda la formazione di lesioni e fessure e rende le armature immediatamente attive e capaci di impedire o limitare significativamente la formazione di grandi lesioni e di sconnessioni; 9 La tecnologia è poco invasiva: la rimozione dei nastri richiede solo l’asportazione dell’intonaco, non più cementizio; 9 La resistenza delle armature viene sfruttata integralmente, non essendo il loro coinvolgimento legato all’aderenza tra la muratura e l’intonaco cementizio, ma, al contrario, ad un collegamento meccanico totalmente controllabile; 9 L’acciaio inox garantisce la totale affidabilità del sistema nel tempo; 9 L’efficacia delle legature trasversali, garantita dai collegamenti meccanici e dalla pretensione dei nastri di acciaio, permette di ridurre il loro numero, e conseguentemente il numero di perforazioni da effettuare sulla muratura, riducendo l’invasività dell’intervento; 9 I collegamenti tra gli avvolgimenti adiacenti sono assicurati meccanicamente in maniera totalmente controllabile ed affidabile; 9 I collegamenti in verticale tra le pareti di piani successivi sono facili da realizzare (anche senza la demolizione del solaio: è sufficiente praticare fori di diametro di circa 30mm in adiacenza alla parete) e sicuri nel risultato; si realizza così un sensibile miglioramento delle caratteristiche di resistenza a flessione, sia nel piano dei maschi murari che nel piano ortogonale; 9 Il piccolo spessore dei nastri inox permette l’adozione di intonaci tradizionali, negli spessori usuali, così da non alterare i pesi strutturali; 9 Il sistema di cucitura risolve automaticamente anche il problema delle connessioni, spesso carenti, tra pareti ortogonali; 9 La conservazione degli intonaci tradizionali elimina le problematiche create dall’uso degli intonaci cementizi, indispensabili nelle applicazioni delle reti elettrosaldate; 9 L’utilizzazione dell’acciaio inox garantisce una buona duttilità d’insieme, chiamando in causa le riserve di sicurezza nelle condizioni limite di lavoro della struttura.

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Figura. 5 – Tipica disposizione del sistema CAM per una parete con apertura e cordolo sovrastante.

Foto 7: particolare della legatura del cordolo in corrispondenza della capriata principale.

Foto 6: disposizione delle maglie su preparazione per tracce, senza rimozione completa dell’intonaco.

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Foto 8: PALERMO – Edificio in c.a. di n° 13 piani con tutti i pilastri del piano cantinato senza staffe. Progetto Chimetec e D.L. Ing. Salvatore Serio e Geom. Giuseppe Pipitone. 1 fase Cerchiaggio provvisorio per impedire lo sbandamento delle armature longitudinali non confinate 2 fase eliminazione delle CLS carbonatato e trattamento delle armature 3 fase applicazione del Confinamento Attivo

Il sistema CAM trova altre utili applicazioni nel campo delle strutture murarie grazie alla sua capacità di collegare efficacemente elementi diversi, senza giochi, ma anzi applicando una presollecitazione agli elementi collegati. Le possibili ulteriori applicazioni sono di seguito elencate. Il sistema risolve brillantemente il problema delle connessioni tra pareti ortogonali, l’incatenamento di pareti non rettilinee e i collegamenti delle travi alle pareti ed è, ad oggi, il metodo più efficace e consigliato per mettere in sicurezza i nostri centri storici, garantendoli alle generazioni future. Si conseguono in generale i seguenti vantaggi: a) Minimo ingombro: non sono necessarie tracce e nicchie nei muri b) Rapidità di posa in opera c) Possibilità di seguire gli andamenti non rettilinei nella muratura d) Maggiore sicurezza (elevata duttilità e ridondanza, alta resistenza alla corrosione) e) Migliore diffusione degli sforzi f) Facile applicazione della presollecitazione g) Semplicità nelle giunzioni h) Facilità di aggiramento, all’interno o all’esterno, di tubazioni di impianti tecnologici. 1) Cerchiatura di colonne in muratura o anche in c.a Il classico intervento di cerchiatura mediante angolari e calastrelli su colonne in muratura o in c.a. (foto 8) può essere efficacemente sostituito dal sistema CAM, con angolari e strisce in acciaio inox [13]. L’effetto di contenimento viene meglio distribuito, potendo utilizzare un numero elevato di strisce (ad esempio a distanza di 100 mm). Gli spessori sono estremamente ridotti e riconducibili agli spessori degli angolari (5-8 mm). L’effetto di presollecitazione rende il cerchiaggio immediatamente efficiente. 2) Collegamento di elementi strutturali in legno, c.a. o acciaio alla muratura Gli elementi in legno (travi di solaio), in c.a. (travi, cordoli) o in acciaio (travi di solaio, travi principali), che spesso richiedono zanche, piastre di ancoraggio, fori per l’ancoraggio di barre di collegamento, etc., possono essere agevolmente collegati mediante il sistema CAM. Il collegamento viene realizzato praticando uno o più fori nell’elemento da collegare, nel quale vengono fatte passare due o più strisce di acciaio, e due fori nella muratura.

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La ripartizione degli sforzi, particolarmente negli elementi in legno, può avvenire

Foto 9: Intervento di cerchiaggio reso necessario a causa del progressivo dissesto per schiacciamento dei maschi murari (cantiere Roma immobile 7 piani).

mediante appositi tubi in acciaio inox inseriti nei fori, mentre, nella muratura, si utilizzano le piastre imbutite. Questo tipi di interventi presentano i seguenti vantaggi:

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a) Minimo ingombro: l’intervento rientra nell’intonaco (spessori complessivi dell’ordine dei 6-8 mm) b) Massima efficacia grazie alla presollecitazione c) Rapidità di esecuzione d) Maggiore sicurezza (elevata duttilità, resistenza alla corrosione, collegamento meccanico) Ed infine, ma non meno importante, la possibilità d’intervenire senza la necessità di sgomberare l’immobile da consolidare (foto 9) Si riportano di seguito i dati sperimentali effettuate su pilastri in c.a. rinforzati con tre diverse tecniche: a) Angolari e calastrelli, b) Fasciatura con FRP e c) Angolari e CAM. I risultati evidenziano un eccellente comportamento duttile delle tecniche a) e c) con la sostanziale differenza di minore quantità di acciaio nel caso c), come riportato nella tabella 2.

• E’ efficace nel cerchiaggio e confinamento sia dei maschi murari, che dei pilastri in c.a.

A cura di Mauro Cilia BIBLIOGRAFIA [1] Cultrone R., “La protezione civile strumento di tutela dell’identità”, Atti IX convegno SIU 3-4 marzo 2005 pp.111-119 Zangara Ed Bagheria febbraio 2005; [2] Giuffrè A., “ Sicurezza e conservazione dei centri storici: il caso Ortigia” Editori Laterza Roma-Bari 1993 [3] Cannarozzo T., “Dal recupero del patrimonio edilizio alla riqualificazione dei centri storici”, Publisicula Ed., Palermo 1998 [4] Fera G., “La città antisismica”, Gangemi editore, Reggio Calabria 1991; [5] AA. VV. I.N.U. “Vulnerabilità e trasformazione dello spazio urbano”, Alinea editrice, Roma 1999;

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[6] Cultrone R., “Urbanistica e protezione civile linee guida per la redazione dei piani comunali di emergenza sismica”, In Folio 17 - dicembre 2005; [7] Gangemi G., “Dossier Belice”, nel volume “Costruzione e progetto. La valle del Belice” AA.VV. ECUP Milano 1979 [8] Giuffrè A., - Carocci C., “Codice di pratica per la sicurezza e la conservazione del centro storico di Palermo” Editori Laterza, Roma-Bari 1999; [9] Campo G.,

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M. Dolce, A. Masi, T. Cappa, D. Nigro, M. Ferrini, Experimental Evaluation of the Effectiveness of Local Strengthening on Columns of R/C Existing Structures, FIB Symposium, 6-9 maggio 2003, Atene

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

NUCLEI ANTISISMICI DI C.A. PLACCATI CON LAMINE E/O TESSUTI DI FRP F. ASCIONE 1, G. MANCUSI 2 1

Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” 2 Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli Studi di Salerno

SOMMARIO Nell’ambito del presente lavoro si discute di una potenziale ipotesi di riabilitazione di un nucleo antisismico di conglomerato cementizio armato con sezione a mediante applicazione di lamine e/o tessuti di FRP. I risultati delle analisi mostrano la progressiva desollecitazione del nucleo all’aumentare dello spessore del rivestimento di materiale composito ed evidenziano l’importante ruolo che quest’ultimo può giocare nell’assorbimento delle azioni sismiche. ABSTRACT The present work deals with the structural rehabilitation of a core system building with a main earthquake-resistant -shaped concrete member, plated with FRP composite materials. It is proved that the generalized stresses inside the member decrease below the structural capacity, depending on the thickness of the FRP reinforcement.

1. INTRODUZIONE Il tema della riabilitazione strutturale degli edifici esistenti riveste, in Italia, un ruolo di particolare centralità ed attualità, in considerazione di numerosi fattori. Tra questi vanno considerati, da un lato, le ricorrenti condizioni di vetustà del patrimonio edilizio, ivi compreso quello realizzato con ossatura di conglomerato cementizio armato, e dall’altro, una nuova cultura affermatasi in tema di sicurezza strutturale del costruito. A partire dai primi anni ’60, contraddistinti da un considerevole sviluppo edilizio, fino a quelli più recenti, si è assistito, in edilizia, ad un progressivo miglioramento delle tecniche costruttive. Ad esse si è affiancato un parallelo aggiornamento del quadro normativo di riferimento per la progettazione antisismica degli edifici [1-3]. Attualmente sono disponibili, ad esempio, conglomerati cementiti ed acciai da c.a. con elevate proprietà meccaniche, additivi specifici per il controllo accurato della fluidità, del ritiro, per migliorare l’efficacia delle riprese di getto, e così via. Un particolare accenno meritano, inoltre, i calcestruzzi fibrorinforzati (FRC), di recente introduzione nella pratica tecnica ed attualmente oggetto, in ambito nazionale, di numerosi studi prenormativi. Nel contempo va sottolineata l’introduzione, sempre in ambito nazionale, di interessanti innovazioni normative avvenuta

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con l’emanazione delle OO.P.C.M. 3274/03–3431/05 [3], le quali hanno messo a disposizione del mondo professionale nuovi criteri per la progettazione di edifici e per il dimensionamento di interventi di riabilitazione strutturale di manufatti esistenti ubicati in zona sismica. Se si tiene conto anche del contestuale aggiornamento della zonazione sismica del territorio italiano, ne consegue, in particolare, che la maggior parte degli edifici di c.a. costruiti in passato può oggi risultare inadeguata nei confronti dei mutati criteri di sicurezza. Lo scenario delineato può ricondursi essenzialmente ai casi di seguito elencati: i) Un numero considerevole di edifici di c.a., risalenti ad un’epoca antecedente all’introduzione delle prime norme sismiche nazionali, presenta un degrado articolato delle strutture portanti. Frequentemente si osservano fenomeni di porosità dei conglomerati, un avanzato grado di corrosione delle barre metalliche di armatura, diffusi quadri fessurativi, eccessive deformazioni, imputabili, il più delle volte, ai processi reologici del calcestruzzo. Simili edifici presentano, solitamente, schemi portanti privi di elementi di controvento. Le travi estradossate corrono in genere solo lungo il perimetro dell’edificio, in corrispondenza dei tompagni o in corrispondenza di rari allineamenti interni. Numerose sono, invece, le travi a spessore di solaio con rapporti geometrici base/altezza del tutto sproporzionati. Frequenti sono, anche, i casi di innesto di esse su ritti di dimensioni notevolmente inferiori. ii) Un significativo numero di edifici di c.a., di costruzione successiva all’introduzione delle prime norme sismiche nazionali, seppur dotato di strutture verticali antisismiche, non risulta idoneo a rispondere ai nuovi criteri di sicurezza introdotti con le recenti norme sismiche italiane [3]. iii) Un’ulteriore aliquota di edifici di c.a., anche di epoca recentissima, può richiedere interventi di riabilitazione strutturale in occasione di trasformazioni di una certa entità. Tra queste ultime rientrano, ad esempio, i cambiamenti di destinazione d’uso che comportino variazioni significative dei carichi e delle masse, le soprelevazioni, etc. Dal quadro presentato si evince con evidenza l’esigenza di una sistematica attenzione alle condizioni di sicurezza del patrimonio edilizio esistente, e nello specifico di quello con ossatura portante di c.a. che ne costituisce una rilevante frazione. In particolare, meritano un attento esame la mitigazione del rischio legato alla perdita di vite umane e la limitazione del danno funzionale, nell’accezione comunemente condivisa e recepita nelle norme. A tal riguardo, grande interesse suscita l’utilizzo dei materiali compositi fibrorinforzati (FRP, Fibre-Reinforced Polymers) per la possibilità da essi offerta di dar vita ad interventi celeri e poco invasivi. In genere tali interventi risultano anche in buon accordo con i canoni del restauro per la loro reversibilità ed inoltre traggono vantaggio dalla non trascurabile proprietà della leggerezza, che consente di non alterare sostanzialmente le masse in gioco. Dal punto di vista strutturale, i materiali compositi hanno dimostrato, sia nelle applicazioni in situ che nelle sperimentazioni di laboratorio, ottime prestazioni meccaniche, tali da costituire un valido presidio per il rinforzo sismico di strutture di conglomerato armato e di muratura. Sull’argomento, il testo dell’Ordinanza. 3431/05 fa esplicito richiamo al documento CNRDT 200/2004, recante Istruzioni per la Progettazione, l’Esecuzione ed il Controllo di Interventi di Consolidamento Statico mediante l’utilizzo di Compositi Fibrorinforzati (Materiali, strutture di c.a. e di c.a.p., strutture murarie), recentemente pubblicato a cura del Consiglio Nazionale delle Ricerche [8]. Per le strutture di c.a., la strategia di intervento ivi consigliata è di tipo selettivo, cioè limitata solo ad alcune membrature strutturali, quali ad

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esempio i nuclei antisismici, il cui comportamento risulta di primaria importanza per l’affidabilità del meccanismo sismoresistente di un edificio. Il presente lavoro propone lo studio di un caso di rinforzo mediante FRP del nucleo antisismico di un edificio civile ad uso abitativo. Lo scopo è quello di analizzare in concreto la possibilità di adeguare con gli FRP le prestazioni del nucleo nel rispetto della nuova normativa sismica italiana [3]. In particolare, l’intervento proposto consiste nell’applicazione di tessuti unidirezionali con orditura delle fibre parallela all’asse longitudinale del nucleo (asse verticale). I risultati dell’analisi strutturale svolta comprovano la possibilità di conseguire in tal modo un significativo contributo nell’assorbimento della caratteristica torcente e di quella flettente.

2. UN ESEMPIO APPLICATIVO L’esempio discusso nel presente lavoro è rappresentativo di un tipico edificio per civile abitazione ubicato in zona sismica, realizzato con struttura intelaiata di c.a., in cui sia inserito un nucleo ascensore a sezione aperta. L’edificio, rappresentato nelle Figure 1 e 2, si articola in tre impalcati fuori terra oltre che in un quarto impalcato, di misura più modesta, costituente la copertura del torrino scala. Le dimensioni planimetriche degli impalcati sono approssimativamente le seguenti: 25,10m x 11,30m (primi tre impalcati); 6,10m x 6,75m (copertura del torrino scala). Lo spessore degli impalcati, comprensivo di quello della soletta (4 cm), è pari a 24 cm. L’altezza complessiva dell’edificio è di 13,50m, somma delle seguenti altezze parziali degli interpiani: 4,50m + 3,00m + 3,00m + 3,00m. 600

(30 x 60)

18

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GIU'

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450 480

5

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6

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30

295

2512

Figura 1. Carpenteria dei primi tre impalcati.

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(30 x 56)

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30

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(30 x 60)

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Figura 2. Carpenteria della copertura del torrino scala.

Le dimensioni della sezione trasversale dei ritti sono di 30cm x 50cm; quelle delle travi, invece, sono rispettivamente di 30cm x 60cm (travi principali di bordo), di 100cm x 24cm (trave principale centrale), di 90cm x 24cm (travi di collegamento). Le dimensioni del nucleo ascensore, nonché la competente armatura metallica, pari a circa l’1% dell’area di conglomerato, sono infine riportate nella Figura 3. Si assume che l’edificio sia stato progettato nel rispetto della norma sismica di cui al D.M. LL.PP. 16/01/1996. Gli effetti ondulatori del sisma di progetto sono stati valutati con riferimento ai carichi gravitazionali di tipo permanente e ad opportune aliquote dei carichi gravitazionali variabili, secondo coefficienti riduttivi forniti dallo stesso D.M.. I dettagli dell’analisi dei carichi sono forniti nella seguente Tabella 1. Zona sismica (secondo D.M. LL.PP. 16/01/96) Numero di piani Altezza del primo interpiano Altezza dei rimanenti interpiani Peso permanente unitario dell’impalcato tipo Peso permanente unitario dell’impalcato di copertura a quota +10,50m (lastrico solare) Peso permanente unitario dell’impalcato di copertura a quota +13,50m (copertura torrino scala) Azione unitaria trasmessa dal sub-sistema di tamponatura Sovraccarico unitario per l’impalcato tipo Sovraccarico unitario per l’impalcato di copertura a quota +10,50m (lastrico solare) Sovraccarico unitario (da neve) per l’impalcato di copertura a quota +13,50m (copertura torrino scala) Sovraccarico unitario per l’intero vano scala

n h1 hi (i=2,3,4) Gik (i=1,2)

II 3 4,50 m 3,00 m 6,28 kN/mq

G3k

5,83 kN/mq

G4k

4,17 kN/mq

Gtk

7,00 kN/m

Qik (i=1,2)

2,00 kN/mq

Q3k

2,00 kN/mq

Q4k

0,60 kN/mq

Qsk

4,00 kN/mq

Tabella 1. Dati inerenti il progetto iniziale di costruzione.

742

Figura 3. Dimensioni ed armature del nucleo ascensore (misure in cm).

Si suppone inoltre che le sollecitazioni indotte dal moto del terreno siano state valutate, nell’ambito del progetto originario, mediante un’analisi dinamica condotta in campo elastico lineare. Più precisamente si suppone che sia stata eseguita un’analisi modale associata all’utilizzo di uno spettro di risposta in termini di accelerazioni orizzontali corrispondente alla seguente espressione: a/g = C R HE I

(1)

dove: a è l’accelerazione spettrale, g è l’accelerazione di gravità (g=981 cm/sec2), H è il coefficiente di fondazione (H =1.0), E è il coefficiente di struttura (E =1.2), C è il coefficiente di intensità sismica (C=0.07), R è il coefficiente di risposta, dipendente dal periodo del generico modo di vibrare, I è il coefficiente di protezione sismica (I=1.0). Utilizzando i predetti valori, a meno del coefficiente di risposta R, dipendente dal periodo associato a ciascun modo di vibrare della struttura, l’accelerazione spettrale massima è risultata pari a 82.404 cm/sec2. Si suppone infine che nel progetto originario sia stato previsto l’impiego di un calcestruzzo di classe C20/25 e di barre di acciaio di tipo FeB44k.

3. ANALISI SISMICA SECONDO O.P.C.M. 3431/05 L’analisi sismica è stata ripetuta nel rispetto dell’O.P.C.M. 3431/05. Più specificamente, è stata utilizzata un’analisi dinamica modale associata ad uno spettro di progetto ottenuto da quello elastico riducendone le ordinate di un fattore di struttura q = 3.00. Maggiori dettagli

743

del calcolo sono riportati in Tabella 2. Gli effetti associati ai singoli modi sono stati cumulati secondo una combinazione quadratica completa. Zona sismica (secondo Allegato A all’O.P.C.M. 3431/05) Accelerazione spettrale massima su suolo di categoria A Categoria di suolo di fondazione Fattore di struttura (q) Fattore di importanza (JI)

2 245.25 cm/s2 C 3.00 1.0

Tabella 2. Dati inerenti l’analisi sismica secondo O.P.C.M. 3431/05.

In Figura 4 è fornita una rappresentazione assonometria del modello FEM adoperato per l’analisi strutturale. Esso prevede elementi monodimensionali per travi e pilastri; i vincoli al piede di questi ultimi sono stati schematizzati mediante incastri perfetti; gli impalcati sono stati assunti infinitamente rigidi nel proprio piano. Per quanto riguarda il nucleo antisismico, il suo asse dei centri di taglio (in rosso in Figura 4) è stato discretizzato con opportuni elementi finiti deformabili sia a flessione che a taglio.

Figura 4. Rappresentazione assonometria del modello FEM dell’intero edificio.

Nella valutazione degli effetti del sisma sono state considerate le masse associate ai seguenti carichi gravitazionali: Gk  ¦ i (Mi ˜\ 2i ˜ Qki ) , dove Gk è il valore caratteristico delle azioni permanenti; Qki è il valore caratteristico della generica azione variabile Qi; i coefficienti \ 2i e Mi , per il caso in esame, sono forniti nelle seguenti Tabelle 3.1 e 3.2.

\ 2i = 0,20

impalcati di copertura

\ 2i = 0,80

vano scala

\ 2i = 0,30

rimanenti impalcati

Tabella 3.1. Coefficienti \ 2i adoperati nell’analisi (secondo O.P.C.M. 3431/05).

744

Mi = 1,00

impalcati di copertura

Mi = 0,80

rimanenti impalcati

Tabella 3.2. Coefficienti

Mi

adoperati nell’analisi (secondo O.P.C.M. 3431/05).

Nelle successive Tabelle 4.1, 4.2 e 4.3 vengono forniti i valori delle azioni taglianti e torcenti trasmesse al nucleo antisismico in corrispondenza degli impalcati alle quote: +4,50m, +7,50m e +10,50m. Per confronto, sono riportate anche le analoghe azioni valutate secondo il D.M. LL.PP. 16/01/96 (analisi sismica relativa al progetto originario). O.P.C.M. 3431/05

Cz

Fy

Fx

D.M. LL.PP. 16/01/96

Azioni

Fx [kN]

Fy [kN]

Cz [kNm]

Fx [kN]

Fy [kN]

Cz [kNm]

Sisma lungo X

688,22

400,30

-19,15

219,14

7,40

-6,65

Sisma lungo Y

-77,29

654,08

-17,80

3,79

221,93

-0,07

Tabella 4.1. Azioni che cimentano il nucleo antisismico (sezione z=4,50m).

Cz

Fy

Fx

Cz

Fy

O.P.C.M. 3431/05

D.M. LL.PP. 16/01/96

Azioni

Fx [kN]

Fy [kN]

Cz [kNm]

Fx [kN]

Fy [kN]

Cz [kNm]

Sisma lungo X

576,25

-102,73

-17,29

195,25

2,90

-6,07

Sisma lungo Y

-73,15

976,28

-16,20

0,72

323,84

-0,04

Tabella 4.2. Azioni che cimentano il nucleo antisismico (sezione z=7,50m).

Fx O.P.C.M. 3431/05

X

Z

D.M. LL.PP. 16/01/96

Azioni

Fx [kN]

Fy [kN]

Cz [kNm]

Fx [kN]

Fy [kN]

Cz [kNm]

Sisma lungo X

386,83

-27,42

-25,38

118,46

-1,60

-8,56

Sisma lungo Y

-41,24

-274,36

-16,46

-1,95

-84,81

0,04

Y

Figura 5. Azioni sul nucleo. Tabella 4.3. Azioni che cimentano il nucleo antisismico (sezione z=10,50m).

Un corretto confronto tra le azioni sopra esposte deve tener conto della diversità delle due analisi, non solo per quanto riguarda la differenza tra i relativi spettri di calcolo. Nel caso dell’analisi secondo l’O.P.C.M. 3431/05, infatti, si è tenuto conto di un’eccentricità convenzionale delle masse, come prescritto nella stessa normativa. In secondo luogo, occorre sottolineare che, sempre con riferimento a quest’ultima, le azioni riportate in tabella vanno ulteriormente combinate in fase di verifica: le azioni derivanti dal moto sismico nella direzione considerata come principale (X oppure Y – entrambi i versi) vanno sommate ad

745

un’aliquota (± 30%) di quelle competenti al moto sismico nella direzione ad essa ortogonale (rispettivamente Y oppure X). Nella successiva Tabella 5 sono presentate le componenti della caratteristica flettente e tagliante attinte alla base del nucleo. Mx [kNm]

My [kNm]

Tx [kN]

Ty [kN]

+1472,4

-11879,5

-1708,8

133,6

Tabella 5. Componenti della caratteristica flettente e tagliante alla base del nucleo.

Più precisamente, esse sono state ottenute combinando gli effetti principali del sisma agente lungo la direzione orientata -X con il 30% di quelli derivanti dal sisma in direzione +Y. Si tratta della combinazione più penalizzante ai fini della verifica allo stato limite ultimo sia a presso-flessione che per taglio. La verifica ha tenuto conto delle sollecitazioni derivanti dai carichi gravitazionali, significative solo in termini di sforzo normale. Con riguardo alla verifica a presso-flessione, è emerso un deficit di capacità portante di circa il 60%, valutato nell’ipotesi assunta che il livello di conoscenza del manufatto possa considerarsi accurato (LC3). Per quanto concerne il taglio, è stata evidenziata una lieve insufficienza del pannello d’anima del nucleo. Ad esso è affidato in sostanza l’assorbimento della caratteristica tagliante agente lungo l’asse X, pari a 1708,8 kN. Il deficit di capacità portante è risultato di circa il 5%. Anche in tal caso, i coefficienti parziali, sono stati divisi per fattori di confidenza unitari in conformità all’ipotesi assunta di un grado di conoscenza accurato della struttura (LC3). Le considerazioni precedenti motivano l’interesse a procedere ad un intervento di adeguamento del nucleo antisismico.

4. RINFORZO DEL NUCLEO ANTISISMICO MEDIANTE FRP L’intervento ipotizzato sul nucleo antisismico consiste nell’applicazione, al lato interno di esso, di un certo numero di strati di tessuto di CFRP, secondo quanto indicato nella Figura 6. Nell’esempio si è fatto riferimento ad un sistema di rinforzo, commercializzato dalla Sika S.p.a., che abbina l’uso di un tessuto in fibra di carbonio unidirezionale (SikaWrap-300C NW) ad uno specifico adesivo epossidico (SikaDur 300). Si è ipotizzato, infine, che l’applicazione, di tipo A secondo quanto stabilito nel recente CNR-DT 200/2004 [8], garantisca almeno il 50% di percentuale in volume di fibra. Nella seguente Tabella 6 sono fornite le proprietà meccaniche dei materiali costituenti il rinforzo. Modulo di elasticità Modulo di elasticità Modulo di elasticità Resistenza normale delle fibre normale della tangenziale della caratteristica a matrice epossidica matrice epossidica trazione delle fibre Ef (N/mm2) Eg (N/mm2) Gg (N/mm2) ffk (N/mm2) 230000 3400 1230 3900

Deformazione caratteristica a rottura delle fibre Hfk 0.017

Tabella 6. Caratteristiche meccaniche dei materiali costituenti il rinforzo.

746

k

k

t n

t n

Nucleo di c.a.

Rivestimento di FRP

Nucleo di c.a. rinfonzato con FRP

Figura 6. Nucleo di c.a. rinforzato con FRP.

Alla base del nucleo si ammette la presenza di idonei dispositivi atti ad incastrare al suolo gli strati di rinforzo di FRP.

5. RISULTATI DELL’ANALISI STRUTTURALE E CONCLUSIONI L’analisi dell’elemento rinforzato (nucleo in c.a. + rivestimento di FRP) è stata eseguita ricorrendo al modello discreto già proposto in [4,6], basato sulle ipotesi cinematiche presentate dagli autori in [5,7]. Il modello discreto è composto di elementi finiti tipo “Hermite”, caratterizzati da funzioni di forma cubiche, di lunghezza costante pari a 0,25 m. Lo schema statico è quello di mensola incastrata alla base in modo che sia impedita ogni componente di spostamento tanto nel c.a. quanto nell’FRP. È stato ipotizzato un comportamento elastico lineare di tutti i materiali coinvolti nell’analisi: conglomerato, composito e adesivo dell’interfaccia c.a. / FRP. In particolare, il legame costitutivo del composito, di tipo ortotropo, è individuato dai valori dei moduli elastici riportati in Tabella 7. Moduli di elasticità normale Coefficienti di Poisson Moduli di elasticità tangenziale

(N/mm2) (N/mm2)

EN =3400 Q17= 0.0 GNT = 2430

ET =3400

Q NL = 0.0 GNL = 3210

EL = 116700 QTL = 0.0 GTL = 3210

Tabella 7. Moduli elastici del rinforzo di CFRP.

Nella precedente Tabella 7 i pedici N, T e L denotano, nell’ordine, le direzioni naturali del materiale. Nel caso in esame esse coincidono con gli assi del sistema di riferimento locale {n, t, k} indicati in Figura 6 (il versore k è parallelo all’asse del nucleo). Maggiori dettagli inerenti la modellazione strutturale sono forniti in [7]. Nell’ambito delle analisi numeriche svolte, si sono ipotizzati i seguenti valori dello spessore del rinforzo: 3,40mm - 6,80mm - 17,00mm. Essi corrispondono ad un numero progressivamente crescente di strati di tessuto: 10, 20, 50. Le azioni applicate al modello sono quelle competenti per la combinazione già considerata al precedente § 3.

747

Nelle Figure 7 e 8 sono forniti i diagrammi delle componenti del momento flettente nel nucleo di c.a. riferite agli assi X ed Y di Figura 6, al variare dello spessore (tf) conferito al rivestimento in materiale composito. Nelle suddette figure L denota l’altezza complessiva del nucleo (L=10,50m).

M x [kNm]

1800 1500

assenza di rinforzo

(t =3,40mm)

1200

f

(t =6,80mm) f

900 (t f =17,00mm)

600 300

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

z/L

Figura 7. Diagramma del momento flettente intorno all’asse X nel nucleo di c.a.

M y [kNm]

-12000 assenza di rinforzo

-10000

(t =3,40mm) f

(t =6,80mm) f

-8000 (t f =17,00mm)

-6000 -4000 -2000

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

z/L

Figura 8. Diagramma del momento flettente intorno all’asse Y nel nucleo di c.a.

Nella Tabella 8 sono presentati i valori dei momenti flettenti e dei tagli attinti alla base del nucleo di c.a..

748

My [kNm]

Tx [kN]

Ty [kN]

Spessore del rinforzo

Mx [kNm]

0,00mm (assenza di rinforzo)

1472,4 -11879,5 -1708,8

136,7

3,40 mm

1421,7

-11396,5

-1704,7

136,3

6,80 mm

1364,1

-10935,4

-1700,6

135,9

17,00 mm

1216,2

-9750,2

-1688,3

135,0

Tabella 8. Sollecitazioni flettenti e taglianti nel nucleo di c.a. in presenza di rinforzo di FRP.

Si rileva che uno spessore di rinforzo pari a 17,00 mm consente di soddisfare la verifica allo stato limite ultimo a presso-flessione del nucleo rinforzato. Attesa la disposizione adottata (fibre parallele all’asse longitudinale del nucleo), nessun vantaggio significativo è invece conseguito per quanto concerne le due componenti dello sforzo di taglio. La resistenza a taglio, benché nel caso esaminato di poco inferiore alla domanda, deve pertanto essere integrata. Sarà sufficiente a tal fine applicare al pannello d’anima del nucleo di c.a., da ambo i lati (disposizione laterale secondo quanto stabilito nel CNR-DT 200/2004), per l’intero primo interpiano, ulteriori strati di tessuto aventi fibre ortogonali all’asse del nucleo. I dettagli del calcolo sono omessi nel presente lavoro, che è finalizzato ad indagare essenzialmente il comportamento del rinforzo in presenza di flessione e di torsione. Essi risultano, peraltro, di agevole sviluppo sulla base di quanto suggerito nello stesso documento CNT-DT 200/2004. Nella Figura 9 sono rappresentati i diagrammi del momento torcente nel nucleo di c.a., sia c.a. quello primario ( M c.a. t ) che quello secondario ( M w ), nonché il diagramma del momento torcente secondario attinto nel rinforzo ( M FRP w ). La figura si riferisce al caso di rinforzo di spessore pari a 17mm. [kNm]

52,5

c.a.

c.a.

FRP

Mt + Mw + Mw

45,0 37,5

c.a.

Mw

30,0 c.a.

Mt

22,5 15,0 FRP

Mw

7,5

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

z/L

Figura 9. Diagrammi del momento torcente primario / secondario (spessore del rinforzo: 17,00mm).

749

Nella Tabella 9 sono esposti infine i valori delle caratteristiche della sollecitazione torcente alla base del nucleo in funzione dello spessore del rinforzo. Spessore del rinforzo

M c.a. t

M c.a. w

M FRP w

U

M

c.a t

M FRP w FRP  M c.a. w  Mw

[kNm]

[kNm]

[kNm]

0,00mm (assenza di rinforzo)

0,55

45,52

-

-

3,40 mm

0,52

44,56

1,57

0,034

6,80 mm

0,50

42,80

3,35

0,072

17,00 mm

0,43

38,27

7,95

0,170

Tabella 9. Sollecitazioni torcenti nel nucleo di c.a. e nel rinforzo di FRP.

Si evince, nel caso di spessore pari a 17mm (Figura 9), che la desollecitazione del nucleo di c.a., in termini di momento torcente complessivo, è pari al 17,0%. Nella Figura 10 sono infine rappresentate le tensioni normali attinte sulla linea media della sezione (sottile) di FRP. La figura si riferisce alla sezione di base dello schema; lo spessore ipotizzato è pari a 17,00mm. 17.3 N/mm 2

20.3 N/mm 2

+

-

-

+ 26.5 N/mm 2

24.9 N/mm 2

+

-

Figura 10. Diagramma delle tensioni normali alla base del rinforzo di FRP (spessore del rinforzo: 17,00mm).

Le massime tensioni di trazione e di compressione risultano pari, rispettivamente, a 26.5 N/mm2 e 24.9 N/mm2. In entrambi i casi si tratta di valori molto bassi rispetto al valore della tensione di progetto a presso-flessione [8], fornita dall’espressione: f fd

K a Kl

f fk

Jf

Vf

750

842 N/mm 2 ,

(2)

nella

f fk

K a =0.95 (fattore di conversione ambientale), Kl =0.50 (carichi ciclici), 3900 N/mm 2 (tensione caratteristica di rottura delle fibre), J f 1.10 (coefficiente quale

parziale), V f

0.50 (quantità di fibre nell’unità di volume). Le suddette tensioni risultano

inferiori al valore di progetto per delaminazione di estremità, f fdd 27,5 N/mm 2 [8], a patto di conferire alla zona di ancoraggio un’estensione di almeno 350mm. Risulta, inoltre, del tutto trascurabile l’entità delle tensioni tangenziali nel composito. Si evidenzia che la soluzione progettuale prospettata non può prescindere dalla presenza di tensioni di compressione nel rinforzo di FRP, che sono indispensabili per la mobilitazione del bimomento. Tale circostanza, a differenza del comune orientamento di non fare affidamento su tali tensioni, viene qui ammessa per i vantaggi strutturali che ne possono derivare, anche in virtù dei valori modesti da esse attinti generalmente nell’ambito di applicazioni siffatte. Tale ipotesi, suggestiva per le implicazioni strutturali lumeggiate, necessita di ulteriori indagini e verifiche. In definitiva l’analisi svolta evidenzia la possibilità di concepire interventi di rinforzo con materiali compositi a favore dei nuclei antisismici di c.a. In particolare, l’impiego di tessuti unidirezionali con orditura delle fibre parallela all’asse del nucleo permette di ottimizzare i benefici ai fini del soddisfacimento della verifica allo stato limite ultimo per presso-flessione. La concomitante riduzione della caratteristica torcente a carico della sezione di c.a., dipendente dal ben noto meccanismo di assorbimento secondario della sezione di composito, appare, in ultimo, non da meno interessante al fine di limitare gli stati di tensione tangenziale nel conglomerato.

RINGRAZIAMENTI Il presente lavoro è stato realizzato con il contributo della Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica (RELUIS), Linea di Ricerca n.8 “Materiali innovativi per la riduzione della vulnerabilità nelle strutture esistenti”.

BIBLIOGRAFIA [1]

D.M. LL.PP. 16/01/96 “Norme Tecniche per le Costruzioni in Zone Sismiche”.

[2]

Decreto Interministeriale 14 settembre 2005 “Norme Tecniche per le costruzioni”.

[3]

OO.P.C.M. 3274/03 e 3431/05.

[4]

Ascione L., Feo L., Fraternali F., “The wrapping of reinforced concrete beams with FRP plates: a mechanical model”, in Proc. of Advancing with Composites ’97 Conference, Milano, 1997..

[5]

Ascione L., Feo L., Mancusi G., “On the statical behaviour of FRP thin-walled beams”, in: Composites Part B, V.31, Iss. 8, 2000, pp. 643-654.

[6]

Ascione L., Berardi V.P., Feo L., Mancusi G., “Il calcolo delle interazioni nel placcaggio di strutture in c.a. mediante lamine in FRP”, in Proc. of XV AIMETA Conference, 2001.

[7]

Ascione F., Feo L., Mancusi G., “Meccanismo di assorbimento della torsione nei sistemi c.a / FRP con sezione sottile aperta”, Colloquium Lagrangianum, Venezia, 2004.

[8]

DT-200/2004, “Istruzioni per la Progettazione, l’Esecuzione ed il Controllo di Interventi di Consolidamento Statico mediante l’utilizzo di Compositi Fibrorinforzati - Materiali, strutture di c.a. e di c.a.p., strutture murarie”, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma, 2004.

751

752

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

RINFORZO SISMICO DI STRUTTURE DI C.A. MEDIANTE FRP L. ASCIONE, A. GIORDANO Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli Studi di Salerno, Salerno

SOMMARIO La memoria ha per oggetto l’adeguamento sismico di un edificio esistente mediante l’applicazione di materiali compositi fibrorinforzati (FRP, Fiber Reinforced Polymer). Il progetto è svolto in accordo con le recenti Normative nazionali in materia di costruzioni. I risultati delle analisi strutturali, condotte in campo non lineare, evidenziano come l’utilizzo di tali materiali innovativi possa conferire alla struttura un maggior grado di sicurezza anche nei confronti del sisma. ABSTRACT The object of this paper is the seismic upgrading of an RC existing structure by means of FRP (Fiber Reinforced Polymer) retrofitting. The proposed design has been carried out in accordance with the recent Italian Codes on civil constructions. Several push-over analyses have been performed and the results obtained have shown that the FRP retrofitting can contribute to decrease the seismic vulnerability of the analysed structure.

1. INTRODUZIONE In Italia, il problema della riabilitazione strutturale di edifici esistenti riveste un ruolo di particolare rilevanza, per il numero e la varietà di strutture potenzialmente interessate. Il maggiore sviluppo edilizio si è manifestato negli anni ’60, quando non erano state ancora emanate Norme tecniche per le costruzioni in zona sismica. Non sorprende quindi la presenza di numerose strutture di c.a., progettate per resistere ai soli carichi verticali, in zone ad alta sismicità, secondo la recente riclassificazione sismica del territorio nazionale [1-4]. Ne è derivata l’esigenza di adeguare le strutture sia per evitare la perdita di vite umane sia per limitare i danni. Tale esigenza è stata esplicitamente recepita dalle recenti Norme nazionali, che hanno finalmente introdotto una filosofia prestazionale nella progettazione strutturale (performance based design). Quest’ultima può essere perseguita attraverso la definizione di ben precisi obiettivi, l’individuazione di accettabili prestazioni attese e l’uso di metodi alternativi di analisi strutturale. In ambito professionale sta suscitando notevole interesse l’impiego degli FRP nella riabilitazione strutturale. Tali materiali consentono di effettuare interventi sempre più veloci e poco invasivi, anche in accordo con i principi del restauro. Gli FRP hanno infatti mostrato, sia nelle prove in situ che in quelle condotte in laboratorio, ottime prestazioni meccaniche, tali da

753

renderli interessanti ed attrattivi anche per il rinforzo sismico di strutture di conglomerato armato e di muratura [5-6]. A tal riguardo, la ricerca più avanzata ha dimostrato come la strategia di intervento più idonea debba essere di tipo selettivo ed interessare cioè solo alcuni elementi resistenti, nell’ottica di migliorare le prestazioni dell’intera struttura. Più precisamente, la finalità da perseguire è un incremento della capacità deformativa di alcune membrature strategiche, in modo da conferire all’intera struttura una maggiore duttilità, scongiurando nel contempo i meccanismi di collasso di tipo fragile. Altri aspetti attrattivi degli FRP attengono alla loro notevole leggerezza, che consente in pratica di lasciare invariate le masse sismiche in gioco, alla reversibilità delle applicazioni, alla facilità di messa in opera ed alla modesta invasività. L’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20/03/2003 (e s.m.i.) ha introdotto per la prima volta in Italia la possibilità di ricorrere all’uso dei materiali compositi per ridurre la vulnerabilità sismica degli edifici esistenti. In tal modo è stata finalmente riconosciuta a tali materiali una meritata vocazione per il consolidamento strutturale e gli è stata conferita una potenzialità commerciale ed industriale di tutto rilievo [7-8]. Inoltre, il testo aggiornato dell’Ordinanza indica il Documento CNR-DT 200/2004 quale possibile quadro coordinato di principi e regole applicative da utilizzarsi nella riabilitazione strutturale con FRP [9]. Nella fase di inchiesta pubblica, in cui l’intera normativa in tema di costruzioni è attualmente soggetta, sono quanto mai opportuni studi sulla valutazione dell’efficacia di siffatti interventi innovativi nel rispetto delle rinnovate azioni sismiche e delle corrispondenti procedure di verifica. A tal fine, il presente lavoro propone un esempio di adeguamento sismico con FRP di un edificio per civile abitazione, interessato da un cambio di destinazione d’uso.

2. DESCRIZIONE DELL’EDIFICIO L’esempio proposto riguarda un fabbricato di c.a. di recente realizzazione, in zona sismica di I categoria, progettato secondo il D.M. 16/01/96, di cui si immagina di disporre dei disegni esecutivi, sia architettonici che strutturali, della relazione di calcolo e del certificato di collaudo statico, corredato da un adeguato numero di prove sui materiali da costruzione come previsto nel D.M. 9/01/96. Il fabbricato ha una pianta rettangolare di dimensioni 25.4 m x 16.40 m, ed è costituito da quattro impalcati, collegati da un corpo scala, con altezza complessiva fuori terra di 13.60 m. La geometria degli impalcati è la stessa a tutti i piani. Nella figura 1 è rappresentata la pianta architettonica del piano tipo e l’orditura dei solai. La disposizione planimetrica dei pilastri consente di individuare complessivamente dieci telai, di cui quattro nella direzione X e sei nella direzione Y (figura 2). Le travi hanno una sezione retta di forma rettangolare di dimensioni 40x60 cm al 1° e 2° livello e di dimensioni 40x50 cm al 3° e 4° livello. I solai sono del tipo Provera, gettati in opera, di altezza 22 (18+4) cm. Per le proprietà di “regolarità” in pianta ed in altezza del telaio spaziale, costituente l’ossatura del fabbricato, l’analisi sismica di quest’ultimo può essere ricondotta a quella di due telai piani ortogonali disposti rispettivamente lungo l’asse X e lungo l’asse Y.

754

Figura 1. Pianta dell'edificio e orditura dei solai (dimensioni in cm)

Dai dati desumibili dalla documentazione tecnica a disposizione, confermati dagli esiti di prove eseguite in situ, si suppone di poter ritenere che il calcestruzzo presenti una resistenza cilindrica caratteristica a compressione, fc, pari a 20 N/mm2 e che l’acciaio delle barre di armatura presenti una tensione caratteristica di snervamento, fy, pari a 430 N/mm2. Allo scopo di poter definire i valori delle resistenze dei materiali per il calcolo delle capacità degli elementi strutturali, come previsto dall’attuale normativa, occorre dividere i valori delle suddette resistenze per il fattore di confidenza. Poiché il livello di conoscenza della struttura in oggetto è accurato, in quanto supportato da disegni esecutivi, dettagli costruttivi esaustivi ed un adeguato numero di prove in situ, si ritiene giustificato assumere un valore di tale coefficiente pari a 1.

Figura 2. Vista tridimensionale dell’edificio

L’edificio, adibito a civile abitazione, è interessato da un cambio di destinazione d’uso limitatamente ai primi due livelli, trasformati in deposito di merci. Poiché tale variazione comporta un incremento dei carichi superiore al 20% dei carichi verticali è fatto obbligo di eseguire valutazioni di sicurezza sismica (§11.1 punto b dell’Ordinanza n. 3274) [7].

755

Nella tabella 1 sono riportati i valori dei carichi permanenti, Gk, e dei sovraccarichi accidentali, Qk, gravanti sulla struttura relativi ai solai, agli sbalzi, alla scala e alla tompagnatura. Carico

Solaio (kN/m2)

Sbalzo (kN/m2)

Scala (kN/m2)

Tompagno (kN/m2)

5.41

4.18

4.16

2.36

2.00

4.00

4.00

-

6.00

4.00

4.00

-

Gk Qk (civile abitazione) Qk (deposito)

Tabella 1. Valore dei carichi permanenti e dei sovraccarichi accidentali

Nella figura 3 è riportata la distinta delle armature comuni a tutte le travi dei telai disposti lungo la direzione Y, nonché quella tipo di tutti i pilastri. Nella figura 4 è invece riportata la distinta delle armature delle travi dei telai disposti lungo la direzione X. SEZIONI TRAVI Travi 4° livello

70

520

ø8/15

ø8/15

ø8/30 416

32

ø8/30

24

273

17

70

390

ø8/15

24

33

315

48

40

40 12

12 20

staffe ø8

57

163

814

619

37

3ø16

552

163

20

744

3ø16

3ø16

staffe ø8

47

2ø16

2ø16

20

ø8/15

744

163

814

20

ø8/30

3ø20

3ø20 20

40

450

ø8/15

ø8/15

3° e 4° LIVELLO

50

40

1° e 2° LIVELLO

60

1355

20

549

163

37

SEZIONI PILASTRI 1°-2°-3°-4° LIVELLO

Travi 3° livello 70

1035

24

273

24

33

619

PILASTRI

ø8/30 234

450

ø8/15

ø8/15

43

33

43

43

ø8/30 234

43

2ø16

814

315

107

81

2ø16 81

814

20

3ø20

619

552

163

20

744

163

3ø20

320

48

744

104

2ø16

2ø16 20 20

ø8/15

3ø20 163

2ø16

125

ø8/30

33

3ø20 20

40

450

ø8/15

3ø20 163

163

163

ø8/15

320

364

70

390 ø8/15

370

ø8/15

ø8/30

ø8/25 320

70

520

58

549

163

Travi 1° livello

400

20

20

904

552

163

3ø16

3ø20

619

ø8/15

20

744

163

814

3ø20

40

3ø20

2ø16

ø8/25 370

20

20

104

ø8/25 320

81

609

81

2ø16

20

48

3ø16

107

125

2ø16

20

549

20

2ø16

744

744

163

163

20

814

482

2ø16

ø8/15

ø8/30 315

3ø20

3ø20 20

20

20 43

904

ø8/15

43

2ø16

390

ø8/15

1355

40

609

ø8/30 364

70

2ø16

70

20

58

20

549

163

Travi 2° livello

520

ø8/15

12

20

40

3ø16

552

163

720

staffe ø8

67

20

744

3ø16

3ø16

20

20

2ø16 163

814

37

48

744

163

814

2ø16

20

315

3ø20

3ø20

20

40 ø8/15

ø8/30

320

17

40

450

ø8/15 ø8/15

20

416

ø8/30

3ø16

32

70

390

ø8/15 ø8/15

ø8/30

ø8/25 320

70

520

ø8/15

3ø16

40

40

Figura 3. Distinta delle armature metalliche delle travate di un telaio trasversale e di una pilastrata (dimensioni in cm)

756

3. ANALISI SISMICA 3.1. Parametri sismici L’edificio oggetto dell’intervento è ubicato in un territorio classificato come zona sismica 1 e pertanto caratterizzato da un valore dell’accelerazione orizzontale massima, ag, pari a 0.35 g. Dall’esame geotecnico è risultato che il suolo è costituito da depositi di sabbie e ghiaie mediamente addensate, con valori della velocità media di propagazione entro 30 m di profondità delle onde di taglio, VS30, compresi fra 180 e 360 m/s: suolo di tipo C. Il competente valore del fattore S, che tiene conto del profilo stratigrafico del terreno, è pari a 1.25. Travi 4° livello

1335

40

40

40

540 ø8/9

ø8/30

61

351

ø8/15

909

88

34

20

34

31

602

ø8/30 289

70

19

2ø20

432 163

ø8/30

40

19

432

540 ø8/9

ø8/15

602

2ø20

19

70

2ø20

ø8/9 70 20

2ø20 20

166

2ø16 20

909

163

3ø20

3ø20

502

163

315 909

242

108

602

163

ø8/30

3ø20 163

190

81

2ø16

602

163

20

1179

163

Travi 2° livello 40

40

540 ø8/30 315 909

20 166

40

540 ø8/10

ø8/15

70

46

40

340 ø8/15 ø8/10

ø8/30 378

33

46

ø8/30 204

163

2ø20

ø8/15

33

46

163

2ø20 224

115

46

70

2ø20

70 20

2ø20 166

20 20

909

163

3ø20

502

163

ø8/9

2ø16

3ø20

1179

909

242

108

602

ø8/30 315

3ø20 163

224

115

163

3ø20

20

540 ø8/10

ø8/15

2ø16

602

163

602

2ø20

2ø16

909

ø8/30 378

3ø20

602

242

108

2ø16

40

540 ø8/10

3ø20

3ø20

20

1179

163

Travi 1° livello

400

40

40

40

540 ø8/30 263

ø8/15

96

46

ø8/30 378 163

2ø20

192

40

340 ø8/15

ø8/15

46

33

ø8/30 204

295

ø8/15

33

46

132

ø8/9 96

602

602

163

2ø16 214

81

163

ø8/8 96 20

909

2ø20

251

115

ø8/30 263

3ø20 135

2ø20+2ø16 192

295

2ø16

2ø16

3ø20 1179

46

163

2ø20

268 163

378 602

163

2ø16

909

ø8/30

540 ø8/15

3ø20

602

2ø20 135

2ø16

40

540 ø8/15

3ø20

909

2ø20+2ø16

40

540 ø8/9

3ø20

20

16

2ø16

40

20

238

81

1179

96

40 540

ø8/15 ø8/15

3ø20 190

3ø20

20

ø8/30

163

2ø20

720

20

40

16

19 602

242

20

ø8/8

20

1179

3ø20

909

909

20

20 20

909

163

340 ø8/15 ø8/15

ø8/30

2ø16

70

20

639

2ø16

163

40

ø8/15

108

2ø20

61

909

2ø16

3ø16

502

540 ø8/9

3ø20 166

20

ø8/9

3ø20

3ø16 163

40 540

ø8/9

88

ø8/30 351

Travi 3° livello

40

20

602

163

1179

96

34

163

2ø16

3ø16

2ø20

602

163

1035

20

34

540 ø8/9

ø8/15

81

163

20

20

31

ø8/30 432

3ø20

602

2ø16

909

40

540 ø8/15 ø8/15

81

639

ø8/9

ø8/30 238

3ø20 163

2ø16

2ø16 20

40

340 ø8/15 ø8/15

ø8/30 432

3ø20 20

40

540 ø8/9

909

163

20 20

2ø16 3ø20 502

197

81

3ø20 163

1179

20

Figura 4. Distinta delle armature metalliche delle travate di un telaio longitudinale (dimensioni in cm)

3.2. Analisi statica non lineare Viene eseguita un’analisi push-over dei due telai piani sopra individuati, in presenza di carichi gravitazionali e di carichi orizzontali, opportunamente valutati. I carichi gravitazionali, Z, sono valutati come: Z G k  ¦ i (ȥ 2i Q ki ) ,

757

(1)

dove Gk è il valore caratteristico delle azioni permanenti, Qki è il valore caratteristico dell’azione variabile Qi, \2i è il coefficiente di combinazione che fornisce il valore quasipermanente dell’azione variabile Qi, dipendente dalla destinazione d’uso. Più precisamente tale ultimo coefficiente assume i seguenti valori: - 2i = 0.30 per abitazioni e uffici; - 2i = 0.80 per magazzini, archivi e scale. Come prescritto dall’Ordinanza n. 3431, i carichi orizzontali, monotonicamente crescenti fino alla formazione di un cinematismo, devono corrispondere alle seguenti due distribuzioni: 1) una distribuzione di forze proporzionali alle masse; 2) una distribuzione di forze proporzionali al prodotto delle masse per la deformata corrispondente al primo modo di vibrazione. Dall’analisi push-over si ricava il legame (curva di capacità) che intercorre tra il tagliante alla base di ciascuno dei due telai esaminati, Fb , ed il competente spostamento del traverso di sommità, d c (punto di controllo). Una volta che tale legame sia stato determinato, è possibile risalire al legame forzaspostamento di un oscillatore semplice equivalente a comportamento elastico-perfettamente plastico. A tal scopo, indicato con ) il vettore rappresentativo del primo modo di vibrazione del telaio, normalizzato al valore unitario dello spostamento del traverso di sommità, si valuta innanzitutto il coefficiente di partecipazione, * , a tale modo:

¦ mi) i . 2 ¦ mi ) i

*

(2)

La forza F* e lo spostamento d * del sistema ad un grado di libertà equivalente al telaio esaminato sono legati, in campo elastico, alle corrispondenti grandezze di quest’ultimo attraverso le relazioni: F*

Fb *

(3)

d*

dc . *

(4)

Infine, il legame F* – d * , dedotto dalla curva tagliante-spostamento di sommità per il tramite delle relazioni (3) e (4), è approssimata, in base al “criterio di uguaglianza delle aree”, ad una curva bilineare. Le coordinate del punto di snervamento di quest’ultima sono: Fy*

d *y

Fbu *

Fy* k*

(5)

,

(6)

dove Fbu è il tagliante ultimo dell’edificio e k * è la rigidezza secante del sistema equivalente bilineare. Il periodo elastico del sistema bilineare è dato dall’espressione:

758

T*

m* , k*

2S

(7)

dove m * ¦ m i ) i . Se, come nel caso in esame, risulta T* > Tc, la risposta massima in termini di spostamento del sistema bilineare equivalente è deducibile dal competente spettro di risposta, relativo a ciascuno Stato Limite: d *max

d *e ,max

S De (T * ) ,

(8)

dove d *e ,max rappresenta la risposta, in termini di spostamento, di un sistema elastico avente periodo coincidente con quello del sistema considerato. Nota la risposta massima del sistema equivalente, è possibile valutare lo spostamento massimo del traverso di sommità, mediante la relazione:

*d *max .

d max

(9)

I risultati numerici, ottenuti con l’ausilio di un programma di calcolo (SAP 2000), sono sintetizzati nella tabella 2. Le curve di risposta e le deformate dei due telai esaminati con la posizione delle cerniere plastiche sono riportate nelle figure 5-12. Distribuzion Telaio e di carico 1 2 1 2

X X Y Y

* 1.34 1.34 1.40 1.40

Fu

du

Fy*

d *y

T*

(kN) 1193.68 973.64 814.21 614.57

(m) 0.166 0.253 0.136 0.222

(kN) 726.67 890.89 578.24 436.43

(m) 0.066 0.053 0.031 0.037

(s) 0.757 0.933 0.549 0.686

Tabella 2. Parametri caratteristici dell’analisi di push-over

Figura 5 – Telaio Y Deformata in corrispondenza della rotazione TDL

Figura 6 – Telaio Y Deformata in corrispondenza della rotazione TDS

759

Figura 7 – Telaio Y Deformata in corrispondenza della rotazione TCO

Figura 8 – Telaio X Deformata in corrispondenza della rotazione TDL

Figura 9 – Telaio X Deformata in corrispondenza della rotazione TDS

Figura 10 – Telaio X Deformata in corrispondenza della rotazione TCO

La verifica degli elementi che compongono la struttura consiste nel confrontare il valore della capacità con il corrispondente valore della domanda. Per gli elementi duttili la domanda in termini di deformazione è rappresentata dallo spostamento d max per ogni Stato Limite considerato. È quindi possibile valutare la vulnerabilità della struttura come rapporto tra lo spostamento esibito, dSL, e quello richiesto, per ciascuno Stato Limite: d SL . d max,SL

V

(10)

1400

1000

1200 1000 F [kN]

F [kN]

800 600 400 200

800 600

Curva di capacità

400

Curva di capacit à

Sist ema equivalente

200

Sistema equivalente

0

0

0

0.05

0.1

0.15

0

0.05

d [m ]

Figura 11. Telaio in direzione Y - Distribuzione di carico 1 Distribuzion Telaio e di carico 1

X

2

X

1

Y

2

Y

0.1 d [m ]

0.15

0.2

Figura 12. Telaio in direzione X - Distribuzione di carico 1

Stato limite DL DS CO DL DS CO DL DS CO DL DS CO

d *max

d max

(m) 0.033 0.084 0.126 0.051 0.127 0.190 0.029 0.074 0.112 0.037 0.093 0.139

(m) 0.045 0.112 0.169 0.068 0.170 0.253 0.042 0.105 0.157 0.052 0.131 0.197

Tabella 3. Vulnerabilità della struttura

760

V 0.55 0.85 1.01 0.74 0.89 1.00 0.61 0.83 1.16 0.75 0.71 0.88

Come si evince dai risultati per lo Stato limite di Collasso il coefficiente di vulnerabilità assume valori superiori all’unità e pertanto si rende necessario un intervento di adeguamento. 3.3. Valutazione della capacità deformativa degli elementi strutturali Come è ben noto l’analisi push-over è stata effettuata tenendo conto della capacità deformativa di travi e pilastri, definita con riferimento alla rotazione T della sezione di estremità rispetto alla congiungente di quest’ultima con la sezione di momento nullo, a distanza pari alla luce di taglio:

LV

M . V

(11)

Per ciascuna delle cerniere plastiche, concentrate in corrispondenza degli estremi delle travi e dei pilastri, è stato definito il diagramma momento-rotazione elastico-perfettamente plastico, che ne modella il comportamento non lineare. In particolare, la rotazione di snervamento, T y , è stata valutata attraverso la seguente relazione richiamata sia nell’Ordinanza n. 3431 che nel documento CNR- DT 200/2004: Ty

Iy

§ LV h  0.0013¨¨1  1.5 3 L V ©

d f · ¸¸  0.13I y b y , fc ¹

(12)

dove I y è la curvatura in corrispondenza della deformazione di snervamento dell’armatura della sezione terminale; h è l’altezza della sezione; d b è il diametro medio delle barre longitudinali ed f c e f y sono la resistenza cilindrica a compressione del calcestruzzo e la resistenza di snervamento dell’acciaio longitudinale, espresse in [MPa]. La rotazione ultima, T u , è stata invece valutata attraverso la relazione seguente, anch’essa richiamata sia nell’Ordinanza n. 3431 che nel documento CNR- DT 200/2004:

Tu

1 J el

ª L ·º § ˜ «T y  (Iu  I y ) ˜ L pl ˜ ¨1  0.5 ˜ pl ¸ » , L v ¹ »¼ «¬ ©

(13)

nella quale, trattandosi di elementi principali, Jel vale 1.5. Inoltre, Iu denota la curvatura ultima della sezione terminale valutata attribuendo alla deformazione ultima del conglomerato, H ccu , il valore pari a 0.0035 ed L pl denota l’ampiezza della cerniera plastica, valutata come: L pl

0.1˜ L V  0.17 ˜ h  0.24 ˜

db ˜ fy fc

.

(14)

I valori della massima capacità deformativa sono differenti in relazione ai tre stati limite considerati, come di seguito specificato. - Il valore della rotazione allo Stato Limite di Collasso, rispetto al quale la struttura presenta ridotte caratteristiche di resistenza e rigidezza laterali, tali da potersi ritenere fortemente danneggiata, coincide con quello ultimo: T CO

Tu .

761

(15)

- Il valore della rotazione per lo Stato Limite di Danno Severo, rispetto al quale la struttura presenta caratteristiche di resistenza e rigidezza laterali significativamente ridotte, con danni importanti è assunto pari a:

T DS

3 Tu . 4

(16)

- Il valore della rotazione per lo Stato Limite di Danno Limitato, rispetto al quale resistenza e rigidezza degli elementi portanti non sono compromesse, con danni limitati, coincide con quello al limite di snervamento:

T DL

Ty .

(17)

Per ciascuno Stato Limite considerato, nelle tabelle 4 e 5 sono riportati i valori delle rotazioni relativi alle travi ed ai pilastri della struttura. L (m) 3.90 Travi 40x50

4.50 5.20 3.90

Travi 40x60

4.50 5.20

TDL

TDS

TCO

0.0064 0.0059 0.0069 0.0063 0.0075 0.0068 0.0058 0.0053 0.0062 0.0056 0.0066 0.0060

0.0199 0.0272 0.0213 0.0290 0.0228 0.0311 0.0150 0.0258 0.0159 0.0274 0.0171 0.0294

0.0266 0.0363 0.0284 0.0387 0.0305 0.0415 0.0200 0.0344 0.0213 0.0366 0.0228 0.0392

Tabella 4. Rotazioni limite delle travi del telaio trasversale per gli stati limite di collasso, di danno severo e di danno limitato

Pilastri 40x70

Pilastri 70x40

N (kN)

TDL

TDS

TCO

280 560 1120 280 560 1120

0.0070 0.0077 0.0084 0.0044 0.0044 0.0051

0.0216 0.0171 0.0110 0.1598 0.0108 0.0064

0.0289 0.0228 0.0147 0.0213 0.0144 0.0086

Tabella 5. Rotazioni limite dei pilastri per gli stati limite di collasso, di danno severo e di danno limitato

È appena il caso di sottolineare che, relativamente alle travi, per ognuna di esse è necessario definire due diagrammi momento-rotazione in modo da considerare la capacità rotazionale della sezione sia per i momenti positivi che negativi. Con riferimento agli elementi verticali, invece, la capacità deformativa è funzione del valore dello sforzo normale

762

che sollecita le sezione, per cui sono stati definiti tre differenti diagrammi momento-rotazione relativi a tre diversi valori dello sforzo normale.

4. PROGETTO DI ADEGUAMENTO SISMICO La capacità deformativa in campo plastico delle travi e dei pilastri che compongono la struttura è limitata dal comportamento a rottura del calcestruzzo compresso. Al fine di migliorare le prestazioni di tali elementi strutturali, è di seguito proposto un intervento selettivo di riabilitazione strutturale, teso ad aumentare la capacità deformativa del calcestruzzo compresso di alcune membrature strategiche, per incrementarne la curvatura ultima delle sezioni nodali [10-14]. La soluzione scelta consiste nel confinamento dei pilastri dell’edificio mediante FRP. Esso è realizzato sovrapponendo 5 strati di tessuto unidirezionale di fibra di vetro (GFRP), disposti sul perimetro dei pilastri del 1° livello, in modo da realizzare intorno ad essi una fasciatura esterna continua. L’ubicazione del confinamento è scaturita dai risultati dell’analisi strutturale presentata nei precedenti paragrafi, dai quali emerge che la prima cerniera plastica (SL CO) si forma ha in corrispondenza della sezione di base dei pilastri centrali del telaio disposto in direzione Y. Il tessuto utilizzato per il confinamento presenta le caratteristiche geometriche e meccaniche riportate nella tabella 6, nella quale si è indicato con tf,1 e bf , rispettivamente, lo spessore e la larghezza del singolo strato, con Ef il modulo di elasticità nella direzione delle fibre, con ffk la resistenza caratteristica a trazione e con Hfk la deformazione caratteristica a rottura. tf,1 (mm)

bf (mm)

Ef (N/mm2)

ffk (N/mm2)

Hfk

0.17

400

70000

2250

0.032

Tabella 6. Caratteristiche geometriche e meccaniche del rinforzo di FRP

4.1. Deformazione ultima di progetto del calcestruzzo Come suggerito dal documento CNR-DT 200/2004, la valutazione della curvatura ultima per presso flessione di una sezione di c.a. confinata è stata eseguita ipotizzando per il calcestruzzo un classico legame costitutivo del tipo parabola-rettangolo. Esso è caratterizzato da una ordinata massima pari al valore di progetto del calcestruzzo non confinato, fcd, e da un valore della deformazione ultima, Hccu, fornito dalla seguente relazione:

H ccu

0.0035  0.015 ˜

f l,eff , f cd

(18)

essendo fl,eff la pressione efficace di confinamento. Quest’ultima è fornita dalla relazione:

f l,eff

k eff ˜ f l .

Nella (19) la pressione di confinamento, f1, vale:

763

(19)

1 ˜Uf ˜ E f ˜Hfd,rid . 2

fl

(20)

Nella (20) Ef è il modulo di elasticità normale del materiale in direzione delle fibre ed Hfd,rid è un’opportuna deformazione ridotta di calcolo del composito fibrorinforzato, corrispondente alla seguente definizione:

H fd,rid

Ka ˜

H fk d 0.6 ˜ H fk . Jf

(21)

Come riportato nel Documento CNR- DT 200/2004, Jf è il coefficiente parziale del materiale composito fibrorinforzato, assunto pari a 1.10, in quanto si prevede che l’applicazione del rinforzo sia di tipo A; Ka è il fattore di conversione ambientale, assunto nel caso in esame pari a 0.75, essendo il rinforzo costituito da fibre di vetro immerse in una matrice epossidica. La quantità Uf rappresenta la percentuale geometrica di rinforzo, definita nel suddetto documento per il caso in esame come:

2 ˜ t f ˜ (b  d) . b˜d

Uf

(22)

Il coefficiente di efficienza, keff, è esprimibile come prodotto di un coefficiente di efficienza orizzontale, kH, per uno di efficienza verticale, kV, per un altro ancora legato all’inclinazione delle fibre, kD: k eff

kH ˜ kV ˜ kD .

(23)

Poiché si realizza una fasciatura continua, ai coefficienti kV e kD è stato attribuito un valore unitario, mentre kH è determinato nel modo seguente:

b - 2r  d  2r 2

kH

1

c

2

c

3˜ Ag

,

(24)

in cui rc è il raggio di arrotondamento degli spigoli e Ag è l’area della sezione trasversale, (figura 13). Nella tabella 7 sono esposti i valori dei coefficienti di efficienza, della pressione di confinamento e della deformazione ultima di progetto del calcestruzzo. Nelle tabelle 9 e 10, sono inoltre riportati i nuovi valori delle rotazioni per ciascuno stato limite considerato, determinati con riferimento alla struttura adeguata.

764

Figura 13. Fasciatura dei pilastri (dimensioni in cm)

kH

kV

kD

keff

Hfd,rid

Uf

f1

f1,eff

Hccu

0.2

1

1

0.2

0.186

0.0066

4.35

0.8759

0.0074

Tabella 7. Calcolo della deformazione ultima di progetto

Pilastri 40x70

Pilastri 70x40

N (kN)

TDL

TDS

TCO

280 560 1120 280 560 1120

0.0038 0.0045 0.0045 0.0073 0.0073 0.0088

0.0208 0.0147 0.0087 0.0349 0.0249 0.0152

0.0278 0.0197 0.0117 0.0466 0.0333 0.0203

Tabella 8. Rotazioni limite per gli stati limite di collasso, di danno severo e di danno limitato

Le figure 14 e 15, infine, mostrano i risultati di ulteriori analisi push-over eseguite sulla struttura rinforzata con GFRP. 1000

1400 1200

800 F [kN]

F [kN]

1000

600 400 200

800 600

Curva di capacità

400

Curva di capacità

Sistema equivalente

200

Sistema equivalent e

0

0 0

0.05

0.1

0.15

0

0.2

0.05 0.1 0.15 0.2 0.25 0.3 d [m ]

d [m ]

Figura 14. Telaio in direzione Y

Figura 15. Telaio in direzione X

765

È possibile quindi definire i valori del parametro vulnerabilità per la struttura adeguata che risultano, per ognuno degli stati limite, inferiori all’unità. Distribuzion Telaio e di carico 1

X

1

Y

Stato limite

d *max

d max

(m)

(m)

DL DS CO DL DS CO

0.046 0.115 0.172 0.034 0.085 0.128

0.061 0.154 0.231 0.048 0.120 0.180

V 0.72 0.81 0.90 0.70 0.77 0.96

Tabella 9. Vulnerabilità della struttura rinforzata

Dai valori sopra riportati si evince che il coefficiente di vulnerabilità, per lo Stato limite di Collasso, relativamente al quale è stato necessario adeguare la struttura, assume il valore di 0.96, diminuendo di circa il 20%, rispetto al caso della struttura non rinforzata. 4.2. Elementi e meccanismi fragili La domanda in termini di taglio si ricava dall’analisi push-over del sistema a più gradi di libertà. In particolare, per lo Stato Limite di Danno Severo si individuano i valori del taglio, T, attinto nelle sezioni degli elementi strutturali da confrontare con le rispettive capacità. Nella tabella 10 sono riportati tali confronti per il telaio in direzione Y, per la distribuzione di carico orizzontale n. 1. Si sottolinea che per i pilastri del 1° livello il soddisfacimento della verifica a taglio allo Stato limite di Danno Severo richiede necessariamente il contributo della fasciatura di GFRP. La resistenza di progetto a taglio è valutata come:

VRd

min ^ VRd,ct  VRd,s  VRd,f , VRd,max ` ,

(25)

nella quale i termini VRd,ct, VRd,s e VRd,f esprimono rispettivamente il contributo del calcestruzzo, dell’armatura e del rinforzo di GFRP, mentre VRd,max è la resistenza di progetto della biella compressa di calcestruzzo. Nel caso in esame, poiché il rinforzo è avvolto completamente intorno alla sezione con fibre ortogonali all’asse dell’elemento, il contributo del rinforzo può essere determinato attraverso la seguente espressione:

VRd,f

1

J Rd

˜ 0.9 ˜ d ˜ ffed ˜ 2 ˜ tf ˜ cot T ˜

wf , pf

(26)

nella quale d è l’altezza utile della sezione; tf è lo spessore del rinforzo di FRP; T è l’angolo di inclinazione delle fessure da taglio rispetto all’asse dell’elemento, pari a 45°; wf e pf sono, rispettivamente, la larghezza e il passo delle strisce il cui rapporto, essendo le strisce poste in adiacenza (fasciatura continua), è pari ad 1; JRd è il coefficiente parziale assunto pari a 1.20; f fed è la resistenza efficace di calcolo del rinforzo. Nel caso di rinforzo in avvolgimento quest’ultima vale:

766

ª 1 º le ˜ sin E f fdd ˜ «1  ˜ », 6 min 0.9 , ˜ d h ^ ` w ¼ ¬

f fed

(27)

con hw altezza della trave ed f fdd resistenza di progetto alla delaminazione [9]. Nel caso in esame si ottengono i risultati sintetizzati nella tabella 10, da cui si evince che la verifica a taglio è ovunque soddisfatta.

Livello

Elemento

T (kN)

VRd (kN)

1 2 3 4

Pilastro Pilastro Pilastro Pilastro

341 131 83 44

467 143 143 143

Tabella 10. Verifiche dei meccanismi fragili

5. CONCLUSIONI In questo lavoro è stato presentato un esempio di adeguamento sismico di una struttura di c.a. esistente mediante FRP. Le valutazioni di vulnerabilità sismica sono state eseguite mediante analisi push-over. Esse hanno dimostrato come sia possibile adeguare la struttura esistente, mediante un intervento di tipo selettivo, consistente nel confinamento di alcuni pilastri. Le formule predittive e le regole applicative utilizzate sono quelle riportate nel documento tecnico di Istruzioni n. 200/2004 del CNR. L’intervento proposto risulta estremamente contenuto ed efficace sia dal punto di vista sismico che della realizzazione in cantiere. Con l’utilizzo dei materiali compositi è possibile anche eliminare il pericolo di scorrimento delle giunzioni per aderenza nei pilastri, di svergolamento delle barre longitudinali di armatura, nonché rinforzare i pannelli di nodo non interamente confinati. Su tale argomento gli autori stanno conducendo degli studi nell’ambito del progetto ReLUIS (Rete di Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica) finalizzati alla validazione delle formulazioni e dei modelli suggeriti dalle Istruzioni CNR-DT 200/2004.

RINGRAZIAMENTI Il presente lavoro è stato realizzato con il contributo della Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica, Linea di Ricerca n.8 “Materiali innovativi per la riduzione della vulnerabilità nelle strutture esistenti”.

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DM del 14/09/2005, Norme Tecniche per le Costruzioni, (2005).

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CNR-DT 200/2004, Istruzioni per la Progettazione, l’Esecuzione ed il Controllo di Interventi di Consolidamento Statico mediante l’utilizzo di Compositi Fibrorinforzati-Materiali, strutture di c.a. e di c.a.p., strutture murarie, CNR (2004).

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768

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

COLLASSO DI SOLETTE DA PONTE PER PUNZONAMENTO E UTILIZZO DI SNFRC NEL RIPRISTINO G. MANTEGAZZA1, A. RECUPERO2, G. SCEUSA3 Direttore Tecnico della Ruredil S.p.A. – S. Donato Milanese - Milano 2 Dipartimento di Ingegneria Civile, Fac. di Ingegneria - Università degli Studi, Messina 3 Direzione Tecnica – Consorzio Autostrade Siciliane - Messina 1

SOMMARIO Il collasso per punzonamento delle solette da ponte sottoposte a carico veicolare da sempre ha rappresentato uno dei problemi maggiori per i gestori delle infrastrutture viarie. Tale tipo di rottura è in genere repentina e senza preavviso e compromette in maniera sostanziale la utilizzabilità della corsia interessata. Talvolta i rimedi sono urgenti e si limitano al ripristino strutturale dei singoli campi danneggiati, altre volte, quando possono essere programmati, comportano la sostituzione dell’intera soletta. In tutti e due i casi le scelte progettuali sono in genere limitate, infatti il più delle volte non risulta possibile incrementare in maniera sostanziale lo spessore della soletta. In questo caso una soluzione può essere l’utilizzo di calcestruzzi fibrorinforzati, che per loro stessa natura presentano una più duttile resistenza a trazione, un contenimento dello stato fessurativo, un miglior assorbimento del danno dovuto all’alternanza delle azioni. In questa memoria si illustra un intervento effettuato sul viadotto “Marina di Itala” dell’Autostrada A18 - Messina - Catania, il quale, presentando un evidente collasso per punzonamento sulla corsia di marcia ordinaria, ha richiesto una programmata sostituzione della soletta. ABSTRACT In bridges, the punching failure of decks under traffic loads for a long time has been one of the most greater problems for the highways handlers. Generally, such type of collapse is sudden and without warning and it jeopardizes, in substantial way, the usability of the damaged lane. Sometimes the cures are urgent and they are limited to the structural restoration of the single broken fields, other times, when it can be programmed, they require the substitution of the whole deck. In both the cases the design choices are generally limited, in fact, for the most part, it is not possible to increase in substantial way the deck depth. In this case the use of fiber-reinforced concrete can be a solution. It introduces a greater ductility in tensile strength for concrete, a reduction of cracking and a good absorption of damage due to the fluctuating of stresses. In this note a rebuilding on the viaduct "Marina of Itala" of the highway A18 Messina - Catania, is illustrated. In fact it has shown an evident punching failure on the first traffic lane, this has required a programmed substitution of the deck.

769

1. PREMESSA Le solette da ponte sottoposte a carico veicolare mostrano spesso collassi improvvisi per punzonamento e ciò da sempre ha rappresentato uno dei problemi maggiori per i gestori delle infrastrutture viarie. Le cause di tali crisi strutturali sono da imputare a diversi effetti: esiguità degli spessori della soletta, significativo stato di fessurazione del calcestruzzo all’estradosso, impegnativi stati tensionali in esercizio, degrado delle caratteristiche dei materiali dovute alla ciclicità delle tensioni, aumento negli anni delle masse transitanti, uso di sali per il disgelo invernale…… Tale tipo di rottura purtroppo è in genere repentina e senza preavviso e compromette in maniera sostanziale la utilizzabilità della corsia interessata. Spesso i rimedi sono urgenti e si limitano al ripristino strutturale dei singoli campi danneggiati, altre volte, quando possono essere programmati per tempo, comportano la sostituzione dell’intera soletta. In tutti e due i casi le scelte progettuali sono in genere limitate, infatti il più delle volte non risulta possibile incrementare in maniera sostanziale lo spessore della soletta. In questo caso una soluzione può essere l’utilizzo di calcestruzzi fibrorinforzati, che per loro stessa natura presentano una maggiore duttilità nella resistenza a trazione, un contenimento dello stato fessurativo, un miglior assorbimento del danno dovuto all’alternanza delle azioni. Per migliorare le prestazioni del calcestruzzo si impiegano utilmente delle fibre che, se disperse omogeneamente nell’impasto del conglomerato, in modo da formare un micro rinforzo tridimensionale, sono in grado di distribuire efficacemente le tensioni interne. Le fibre utilizzate per il confezionamento di un calcestruzzo fibrorinforzato (FRC) possono essere o di tipo metallico (SFRC) o di tipo sintetico (SNFRC). Queste ultime in particolare a parità di prestazioni assicurano l’assenza di degrado infatti a differenza delle prime non subiscono l’effetto di tenso-corrosione e quindi mantengono inalterate le caratteristiche. Tali calcestruzzi sono stati fino ad oggi ben impiegati nella realizzazioni di pavimenti di grande sviluppo quali quelli dei capannoni industriali ed in tal caso sono stati messi in opera, talvolta, senza il ricorso ad armature metalliche aggiuntive, quali reti elettrosaldate.

2. ANALISI DELL’ESISTENTE 2.1. Il collasso delle solette In questa nota si illustra un intervento effettuato sul viadotto “Marina di Itala” dell’Autostrada A18 - Messina - Catania, carreggiata verso Messina al Km 12 + 00, il quale, presentando un evidente collasso per punzonamento sulla corsia di marcia ordinaria, ha richiesto una programmata sostituzione della soletta. Alla fine del 2003 il viadotto cominciò a manifestare segni evidenti di danneggiamento e sulle ormaie della corsia di marcia si notavano degli avvallamenti che si trasformarono in veri e propri sfondamenti. Una ispezione di dettaglio, aveva mostrato come gli avvallamenti in soletta evidenziavano un degrado locale del calcestruzzo, infatti le porzioni residue attorno al foro possedevano un scarsa tenacità potendosi staccare con un modesto intervento. Il collasso dell’ avvallamento era stato preceduto dalla rottura della predalle sottostante, che era rimasto l’ultimo baluardo di sicurezza, una volta che il calcestruzzo della soletta aveva perso le proprie caratteristiche.

770

Figura 1. Tratto di viadotto danneggiato

Le armature erano deformate, ma non presentavano segni di ossidazione, e le sezioni dei ferri si mantenevano sostanzialmente integre senza segnali di degrado. Esse non erano interessate da rotture e non si notavano ne segni di riduzione ne strizioni di sezione.

Figura 2. Particolare della soletta danneggiata

771

I fori sulla soletta generati dal collasso per punzonamento avevano una forma pressoché circolare con un diametro medio di 60 – 70 cm. Negli anni precedenti man mano che tali collassi si succedevano il Consorzio delle Autostrade Siciliane aveva provveduto al ripristino localizzato dei singoli campi. Ciò era avvenuto in tempi successivi con diverse metodologie di intervento ed aveva condotto ad una situazione varia su alcuni campi delle dieci campate. Peraltro non esisteva un registro degli interventi che purtroppo risultavano nascosti dalla pavimentazione bituminosa che negli anni era stata sostituita periodicamente. 2.2. Le prove in situ ed in laboratorio A seguito dell’ennesimo sfondamento il Consorzio Autostrade Siciliane decise di avviare uno studio sistematico dell’evento. I consulenti e la direzione tecnica decisero quindi di avviare una radicale campagna di indagine al fine di porre termine ai frequenti collassi che si verificavano nelle diverse campate. Nei giorni 02 e 03 Luglio 2004 la SIDERCEM – Istituto di Ricerca e Sperimentazione provvide ad effettuare il prelievo di n. 20 campioni di calcestruzzo di forma cilindrica (carote) con diametro ) 80 mm sui quali sono furono eseguiti prove di resistenza a compressione e la determinazione della massa volumica. I carotaggi furono effettuati su tutte le campate e fu prelevata sistematicamente una carota sulla corsia d’emergenza e una sulla corsia di marcia ordinaria. Nella seconda campata non fu possibile ottenere risultati utilizzabili, infatti la carota d’emergenza si frantumò al prelievo e quella prelevata in marcia risultò frutto di un getto di rifacimento in SFRC. Anche i risultati della sesta campata furono scartati in quanto il calcestruzzo della corsia di marcia aveva una tessitura diversa ed era stato il frutto di un precedente intervento di ricostruzione.

Figura 3. Prelievo delle carote

772

Carota [] C1 C2 C5 C6 C7 C8 C9 C10 C11 C12 C13 C14 C15 C16 C17 C18 C19 C20

Campata [] 1 1 3 3 4 4 5 5 6 6 7 7 8 8 9 9 10 10

Corsia [] Marcia Emergenza Marcia Emergenza Marcia Emergenza Marcia Emergenza Marcia Emergenza Marcia Emergenza Emergenza Marcia Emergenza Marcia Marcia Emergenza

h mm 72 77 76 74 71 79 76 76 80 78 76 77 79 78 75 77 78 74

) mm 74 74 74 74 74 74 74 74 74 74 74 74 74 74 74 74 74 74

Mv kN/m 3 21.83 23.48 22.59 23.35 22.11 23.01 22.38 22.70 22.85 22.62 23.64 22.39 22.66 22.74 23.80 23.76 22.40 22.45

Rc MPa 23.63 36.65 25.52 37.38 20.48 40.43 19.95 28.56 41.16 34.44 34.34 27.51 34.65 32.13 31.50 26.04 23.84 27.09

Tabella 1. Risultati ottenute sulle carote prelevate

L’analisi dei risultati evidenziò due diverse famiglie di resistenza. Le resistenze dei prelievi sulla corsia di marcia erano sistematicamente inferiori a quelle della corsia d’emergenza. Con un coefficiente medio del 75%, segno evidente di un affaticamento dei campi di soletta in marcia ordinaria rispetto a quelli della zona di emergenza (Tab. 1 e Tab.2). Si sa che convenzionalmente nei calcoli si assume come resistenza caratteristica il frattile inferiore del 5% della resistenza del calcestruzzo. Una prima stima si ottenne trattando statisticamente i dati ottenuti e calcolando la media e la deviazione standard. Campata [] 1 3 4 5 6 7 8 9 10

Marcia [MPa] 23.63 25.52 20.48 19.95 41.16 27.51 32.13 26.04 23.84

Emergenza [MPa] 36.65 37.38 40.43 28.56 34.44 34.34 34.65 31.50 27.09

E [] 0.64 0.68 0.51 0.70 1.20 0.80 0.93 0.83 0.88

Tabella 2. Confronto dei risultati tra le due corsie

2.3. Trattamento statistico dei risultati I dati relativi alla corsia di marcia presentavano come di può vedere un alto coefficiente di variazione a fronte di quelli ottenuti sulla corsia di emergenza.

773

Media Dev.Stand. Coeff. Var.

Marcia Emergenza [MPa] [MPa] 24.89 33.89 3.92 4.24 16% 13%

E [] 0.75 0.14

Tabella 3. Trattamento statistico dei dati

Il calcolo del frattile su basi statistiche forniva: Rck

24.89  1.40 ˜ 3.92 19.40 MPa

Rck

33.89  1.40 ˜ 4.24

(1)

27.95 MPa

Le resistenze erano di gran lunga inferiori a quelle previste in fase di progettazione e tale circostanza richiedeva un analisi approfondita. Per caratterizzare inoltre l’armatura impiegata nella realizzazione della soletta, si effettuarono alcuni saggi. 1)8/20” 90 mm

120 mm 40 mm

predalle

1)14/20”

Figura 4. Schema della soletta esistente

Per l'acciaio da carpenteria, così come si evince dai calcoli a corredo della realizzazione dell’opera, fu previsto l’utilizzo di acciaio del tipo AQ50/60 del tipo semiduro con: x resistenza caratteristica di snervamento fyk = 270 MPa; x tensione caratteristica a rottura 500 > ftk > 600 MPa; x allungamento a rottura non inferiore al 16%; Le prove confermarono le caratteristiche dell’acciaio previsto in progetto. 2.4. Analisi del evento Note le caratteristiche dei materiali fu possibile effettuare un analisi completa dell’esistente e proporre la soluzione del problema. Per una valutazione della sicurezza si modellò in ambiente FEM una porzione della soletta d’impalcato adottando degli elementi gusci (1120 elementi, 7134 d.o.f. e 1189 nodi). Adottando le procedure dell’EC2 si stimarono le richieste di armatura della struttura e si confrontarono queste con quelle realmente rilevate. Dalle analisi svolte si rilevavano margini di sicurezza non adeguati e una probabilità di collasso maggiore di quanto raccomandato dalle norme. Inoltre gli stati tensionali in esercizio erano tali da superare le prescrizioni esistenti e evidenziavano un notevole variazione tra le diverse fasi di passaggio dei mezzi.

774

Figura 5. Diagramma del momento flettente Mxx

2.5. Confronto tra i diversi modelli di punzonamento Cosi come per stati di sollecitazione flessionale anche nel caso di sollecitazione di punzonamento sono state condotte specifiche analisi al fine di evidenziare i margini residui di sicurezza e la eventuale vulnerabilità della soletta nei confronti di questo stato limite. In letteratura sono disponibili diversi modelli di in grado di riprodurre il meccanismo del punzonamento che possono essere utilizzati per una stima carico ultimo. Il primo modello è quello riportato nella Norma Italiana D.M. 09-01-96, esso è molto semplificato rispetto a quelli successivi ma fornisce una stima attendibile. La diffusione del carico in questo modello semplificato avviene fino alla mezzeria della soletta con un angolo di 45°. 0.5h

area critica sezione critica s

q

h

Figura 6. schema di calcolo

Secondo tale proposta il massimo carico di punzonamento si stima con la seguente espressione:

E ˜ VSd d VRd 1

ª0.0945 ˜ 3 R 2 º ck ¬ ¼ ˜ u ˜ h

Jc

(2)

Le proposte più recenti per la stima del carico invece si riferiscono alla diffusione del carico fino al livello delle armature inferiori con un angolo più piccolo di 45°. A questo gruppo appartengono i modelli utilizzati nel Eurocodice 2 part.1 e nel Model Code ’90. Lo schema utilizzato per tutti e due è quello mostrato il fig. 7. Dove con: Ac u

(a  2 ˜ s  3d ) 2  (4  S ) ˜ (1.5 ˜ d ) 2 4 ˜ (a  2 ˜ s )  3 ˜ S ˜ d

775

(3)

si hanno le espressioni dell’area critica e del perimetro critico. area critica sezione critica

1.5d

s

D

d

h

a s

1.5 d

Figura 7. schema di calcolo

Il secondo modello utilizzato in questa analisi è quello riportato nel Eurocodice 2 part.1, dove il massimo carico può essere calcolato con l’espressione:

E ˜ VSd d VRd 1

ª0.053 ˜ 3 f 2 ˜ k ˜ 1.2  40 U º ck l ¬ ¼ ˜u ˜d

Jc

tot

(4)

con le seguenti notazioni: dx  d y § · dtot d tot k ¨1.6  ¸ t1 mm 2 1000 © ¹

Ux Ul

Asy Asx d 0.02 U y d 0.02 h h U x ˜ U y d 0.015

Il terzo modello è quello che migliora il precedente con quanto proposto nella norma Italiana D.M. 09-01-96 con l’espressione analoga a quella riportata nel caso di strutture non provviste di armature a taglio. In questo caso il massimo carico è stimato con:

E ˜ VSd d VRd 1

ª0.047 ˜ 3 R 2 ˜ k ˜ 1  50 U º ck l ¬ ¼ ˜u ˜d

Jc

tot

(5)

dove si usano le stesse notazioni utilizzate per l’espressione dell’Eq. 4. Il quarto modello utilizzato è quello riportato del Model Code ’90 (che peraltro si adotterà nella nuova versione dell’Eurocodice 2). In questo caso una stima del massimo carico è proposta con la seguente espressione

776

E ˜ VSd d VRd 1

ª0.18 ˜ k ˜ 3 100 ˜ Ul ˜ f ck º ¬ ¼ ˜u ˜d tot

Jc

(6)

dove: k

Ul

1

200 mm d 2.00 d

U y ˜ U x d 0.02

In particolare nel caso in esame si è assunto sempre E = 1 in quanto il carico esterno non presentava alcuna eccentricità. Inoltre per valutare la vulnerabilità della soletta alla luce delle indagini svolte sui materiali il carico di punzonamento è stato stimato con valori delle azioni d’esercizio e senza fattori di sicurezza tanto sulle azioni che sui materiali. I carichi mobili sono stati calcolati con il D.M. LL.PP. 04/05/90 tenendo in conto anche dell’incremento dinamico in maniera forfetaria cosi come previsto dalla stessa norma. In queste condizioni il massimo carico sollecitante è stato pari a: Vsd

Q1c  Q2 c  W1,2 Vsd 143.84 143.84 143.84 143.84

Vrd 207.71 173.66 155.50 165.37

100  40  3.84 143.84 kN

(7)

1.444 Norm. Italiana 1.207 Eurocodice 2 1.081 Norm. Italiana (Mod.) 1.150 M.C.'90

Tabella 4. Confronto tra i massimi carichi di collasso valutati con i diversi modelli

La stima più favorevole è quella proposta dalla Normativa Italiana non modificata, quella più sfavorevole invece è quella fornita dal modello dell’Eurocodice 2 così come modificato dalla proposta della Normativa Italiana per strutture non provviste di armature specifiche a taglio. In ogni caso i margini di sicurezza stimati con i quattro criteri sopra esposti erano esigui anche in considerazione del fatto che ne alle azioni che ai materiali era stato applicato alcun coefficiente di sicurezza pur trattandosi di una verifica ultima (Tab. 4). 2.6. Stima di sicurezza dell’esistente Apparve evidente come la struttura esistente non fosse più in grado di assolvere alle funzioni per le quali era stata progettata infatti sia le verifiche flessionali che quelle per punzonamento avevano dimostrato che, con ragionevole certezza, essa non era in grado di sostenere le azioni previste dall’attuale normativa sui ponti stradali [4]. Le motivazioni di ciò sono da ascrivere principalmente alla scelta, operata durante la realizzazione, di ridurre gli spessori per utilizzare le predalle come cassaforma a perdere. È infatti noto come predalle e soletta collaborino malamente alla ridistribuzione dei carichi tra di loro, soprattutto in presenza di azioni cicliche, quali quelli veicolari. La riduzione di spessore aveva condotto presto ad un degrado del calcestruzzo della corsia di marcia con conseguente collasso delle porzioni che via via raggiungevano i valori limite di resistenza.

777

3. SOLUZIONE PROPOSTA Occorreva quindi prevedere una soluzione radicale del problema demolendo le solette del viadotto ( Fig.8 ) e realizzando delle nuove solette con materiale ed armatura adeguata. Bisognava adeguare le armature delle solette alle attuali esigenze di traffico quali previste dalla normativa sui ponti stradali che richiedono soprattutto per gli effetti locali una maggiore capacità portante degli elementi secondari.

Figura 8. Demolizione della soletta esistente

Per limitare la sensibilità a danno per fatica, apparve subito opportuno il ricorso ad un calcestruzzo di caratteristiche particolari. Infatti è noto come un calcestruzzo normale abbia una bassa resistenza a trazione ed una limitata resistenza alla fessurazione. Poiché non fu possibile incrementare lo spessore della soletta in maniera sostanziale (Fig.9), sia per non modificare geometrie plano altimetriche che per contenere incrementi di carico permanente sulle travi principali, si scelse di utilizzare un calcestruzzo fibrorinforzato SNFRC di caratteristiche adeguate. 1 ) 12/20”

1 )

1 ) 14/20”

/20” 100 mm

140 mm 40 mm

1 ) 16/20” predalle

Figura 9. Tratto di soletta tra due travi nella soluzione proposta

Generalmente per limitare lo stato fessurativo e migliorare le prestazioni del calcestruzzo si impiegano utilmente delle fibre che, se sono disperse omogeneamente nell’impasto del

778

conglomerato in modo da formare un micro rinforzo tridimensionale, sono in grado di distribuire efficacemente le tensioni interne. Le fibre utilizzate per il confezionamento di un calcestruzzo fibrorinforzato (FRC) sono o di tipo metallico (SFRC) o di tipo sintetico (SNFRC). Queste ultime in particolare a parità di prestazioni assicurano l’assenza di degrado infatti a differenza delle prime non si corrodono e quindi mantengono inalterate le caratteristiche.

Figura 10. Disposizione delle armature

Nel caso particolare si è previsto di utilizzare per le fibre un materiale base composto da copolimero in forme di monofilamento e polipropilene in forma fibrillata che offrisse una totale resistenza agli acidi, alle basi ed alle soluzioni saline. Tale materiale di dimensioni in media non superiori ai 60 mm ha una resistenza specifica intorno ai 700 MPa (Ruredil – RXF54®) . Per il confezionamento del calcestruzzo si usarono cementi ad alte prestazioni del tipo 42.5 e additivi (superfluidificanti) tali da permettere un rapporto A/C non superiore a 0.4. Si utilizzò una percentuale in volume di fibre pari allo 0.5% (circa 5 kg per mc di calcestruzzo) per ottenere per questo calcestruzzo una resistenza a trazione per flessione fcfm= 4.4 MPa e quindi una resistenza a trazione pura fcfm= 3.6 MPa ben superiore a quella di un calcestruzzo normale. Le operazioni di ricostruzione richiesero una parzializzazione del traffico ed in cantiere fu approntato in concomitanza di riduzione della sezione d’esercizio della carreggiata ( Fig. 10). La sostituzione fu effettuata con successo e oggi l’opera è nuovamente in esercizio ed ha ripreso la piena funzionalità. 4. CONCLUSIONI Le solette dei ponti a travata mostrano spesso collassi improvvisi per punzonamento anche in assenza di carichi eccezionali e ciò da sempre ha rappresentato uno dei problemi maggiori per i gestori delle infrastrutture viarie. Le cause di tali crisi strutturali sono da imputare a diversi effetti: un ruolo rilevante lo gioca esiguità degli spessori, ma anche significativi stati di fessurazione del calcestruzzo

779

all’estradosso, nonché impegnativi stati tensionali in esercizio, degrado delle caratteristiche dei materiali dovute alla ciclicità delle tensioni, aumento negli anni delle masse transitanti, uso di sali per il disgelo invernale…… In questo contesto deve essere inquadrato il caso del viadotto “Marina di Itala” dell’A18, il quale alla fine del 2003 cominciò a manifestare segni evidenti di danneggiamento della corsia di marcia che si trasformarono in veri e propri sfondamenti. In questi casi ogni intervento di riparazione deve essere preceduto da una estesa campagna di prove sui materiali che serve necessariamente da partenza per le successive analisi numeriche. Il più delle volte la verifica flessionale e a punzonamento con le azioni previste dall’attuale normativa sui ponti stradali evidenzia la necessità di ricorrere ad interventi di ripristino radicali, quale la sostituzione delle solette. Poiché normalmente non è possibile incrementare lo spessore della soletta in maniera sostanziale, sia per non modificare geometrie plano altimetriche che per contenere incrementi di carico permanente sulle travi principali, la scelta a materiali particolari diventa un utile alternativa. Tra le diverse alternative va sicuramente annoverato l’uso di calcestruzzo fibrorinforzato con fibre sintetiche (SNFRC). Queste ultime in particolare a parità di prestazioni con quelle metalliche (SFRC) assicurano l’assenza di degrado infatti a differenza delle altre non subiscono l’effetto di tenso-corrosione e quindi mantengono inalterate le caratteristiche. Nel caso in esame la realizzazione della soluzione proposta ha permesso al viadotto di riprendere la piena funzionalità. BIBLIOGRAFIA [1] CEB-FIP (1993). Model Code for Concrete Structures for Buildings, Comitè Eurointernational du Bèton, Lausanne, May 1993 [2] ACI Committee 318 (1983) - Building Code Requirements For Reinforced Concrete (ACI 318-95) and Commentary ACI 318 R-95 - American Concrete Institute, Detroit, 1983 [3] Menétrey Ph. – Synthesis of punching failure in reinforced concrete – Cement & Concrete Composites 24 (2002) 497-507. [4] Ministero Lavori Pubblici - D.M. 04 Maggio 1990 Pubblicato con S.O. alla G.U. n. 24 del 29 Gennaio 1991 – Progettazione, esecuzione e collaudo ponti stradali.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

COLLASSO DI TRAVI IN C.A. PER TAGLIO E UTILIZZO DI FRCM PER L’ADEGUAMENTO R. CAIAZZA1, A. RECUPERO2, C. D. SCILIPOTI3 Direzione Tecnica della Ruredil S.p.A. – S. Donato Milanese - Milano 2 Dipartimento di Ingegneria Civile, Fac. di Ingegneria - Università degli Studi, Messina 3 Direttore Tecnico – R&S Engineering s.r.l. – Messina 1

SOMMARIO In questa nota, si illustrano le condizioni di crisi in cui versavano alcune delle travi di un edificio costruito negli anni ’20, inizialmente adibito ad albergo. Esse mostravano fessurazioni per taglio ed indicavano il raggiungimento del loro stato ultimo in termini di capacità portante. Le analisi numeriche hanno evidenziato come i carichi, prescritti con adeguati margini di sicurezza, fossero incompatibili con quelli previsti per la destinazione d’uso attuali. Le travi del manufatto in questione sono state ripristinate di recente e l’intervento è stato effettuato con la nuova tecnologia di posa in opera delle fibre (Fiber Reinforced Cementitious Matrix). Prima di effettuare l’intervento di ripristino, e comunque dopo una approfondita analisi dei criteri di dimensionamento riportati in letteratura, è stato presentato un modello analitico per stimare la resistenza per flessione e taglio di elementi rinforzati con fibre di carbonio. Esso modifica le precedenti proposte tenendo in conto i contributi forniti dalle fibre. Il ripristino è stato già eseguito, la struttura è stata collaudata ed è tuttora in servizio. ABSTRACT In this note, it is illustrated the failure conditions of some of the beams of a construction, that was built in the years' 20 and initially used as a hotel. They showed a lot of shear cracking and underlined the achievement of their ultimate state in terms of the carrying capacity. Numerical analyses have emphasized as the loads, prescribed with suitable margins of safety, were incompatible with those prospected for the use destination. The beams of this building have recently been restored and the improvements have been achieved with a new technology of fiber laying (Fiber Reinforced Cementitious Matrix). Before effecting the restoration, and however after a exhaustive analysis of the design criterions that have been offered in literature, an analytical model has been introduced for valuing the ultimate bending and the shear strength capacity of elements strengthened with carbon fibers. It modifies the previous proposals taking in account the contributions provided by the fibers. The restoration has been already performed, the structure has been tested and still today it is in service.

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1. PREMESSA In questa nota, si illustra le condizioni di crisi in cui versavano alcune delle travi di un edificio degli anni ’20 inizialmente adibito ad albergo. Esse presentavano un significativo stato fessurativo per taglio ed evidenziavano il raggiungimento del loro stato ultimo in termini di capacità portante. Il progetto di riutilizzazione prevedeva la trasformazione del manufatto per fini abitativi e quindi per una sua piena utilizzazione diventava necessario adeguare le travi al fine di garantire alle stesse la sufficiente capacità portante. Prima della scelta tipologica d’intervento, è stata svolta una campagna di indagine per la caratterizzazione dei materiali. Da un approfondito controllo pacometrico e da alcuni saggi diretti è stato possibile evidenziare che la densità delle armature trasversali era insoddisfacente. Infatti le successive analisi numeriche hanno evidenziato come i carichi prescritti con adeguati margini di sicurezza fossero incompatibili con quelli previsti per la destinazione d’uso attuali. I sistemi composti in fibre di carbonio hanno mostrato grandi capacità nella riabilitazione strutturale. Essi sembrano essere un modo adatto a riportare la struttura alla sua originaria funzione (ripristino) o ad incrementare la sua capacità resistente (rinforzo). L’utilizzo di fibre aramidiche, di carbonio o di vetro, rese solidali mediante resina epossidica (FRP) al supporto in calcestruzzo è in qualche caso una alternativa vantaggiosa al placcaggio metallico a causa dell’ingombro ridotto, del basso peso specifico, dell’ottima durabilità e dell’elevata resistenza strutturale. Negli ultimi anni inoltre è stato messo a punto un adesivo alternativo, sostituendo la resina con un legante idraulico additivato (matrice cementizia) in maniera specifica e perfettamente compatibile sotto il profilo chimico, fisico e meccanico con il supporto in calcestruzzo (FRCM Fiber Reinforced Cementitious Matrix). Lo sforzo di ricercatori e progettisti per l’introduzione di procedure di progettazione di rinforzi strutturali che utilizzino le fibre di carbonio nei codici e nelle norme è tuttora notevole, peraltro alcune hanno già raggiunto un livello avanzato. Per contribuire a questo risultato, finora, sono stati presentati molti articoli su questo argomento, illustrando i numerosi risultati sperimentali ottenuti. Parallelamente, quindi, sono stati proposti diversi modelli analitici per stimare la resistenza in flessione e taglio di elementi rinforzati con l’ausilio di fibre di carbonio. Le travi del manufatto in questione sono state ripristinate di recente e l’intervento è stato effettuato con Fiber Reinforced Cementitious Matrix. Prima di effettuare l’intervento di ripristino, e comunque dopo una approfondita analisi dei criteri di dimensionamento riportati in letteratura, è stato presentato un criterio alternativo che modificando delle precedenti proposte ha tenuto in conto l’interazione taglio-flessione.

2. ANALISI DELL’ESISTENTE 2.1. Lo stato fessurativo delle travi Durante i lavori di ristrutturazione di un ex-Albergo, costruito negli anni ’20, furono messi in evidenza le fessurazione ed i cedimenti di tutte le travi relative ad una manica del fabbricato sul solaio del primo piano. Il resto dell’edificio non mostrava stati fessurativi simili e la situazione di crisi trovava una logica spiegazione nella storia del manufatto infatti tale parte

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di solaio negli anni precedenti, quando l’albergo era stato ormai dismesso, era stata adibita a deposito improprio. Il sopralluogo al piano di calpestio aveva mostrato dei sensibili avvallamenti ed uno stato fessurativo dell’estradosso in prossimità degli incastri, e quello al piano sottostante evidenziò la presenza di un diffuso stato fessurativo con lesioni passanti, (wmed = 2 mm e wmax < 7 mm). Tali fessure presentavano una immersione di circa 45° (fig.1). Lo stato di fessurazione interessava praticamente tutte le travi del primo piano appartenenti a quella manica. Inoltre la soletta piena era (spessore 7 cm), per larghi tratti, staccata dalle travi portanti con una lesione passante sulla zona d’attacco (fig. 1).

Figura 1. Travi danneggiate

Figura 2. Particolare della architrave lesionata

Il collasso si estendeva anche alle architravi delle aperture sulle pareti portanti perimetrali (fig.2). Le lesioni più evidenti erano quelle inclinate rispetto all’orizzontale, segno evidente di una notevole sofferenza per taglio. 2)12

2)12 1)4/20” 105 7

28 440

16

2)12

Figura 3. Risultati dell’indagine pacometrica

2.2. Le prove in situ ed in laboratorio Vista l’epoca di realizzazione, non essendo possibile rintracciare i calcoli e i disegni originari, se mai fossero stati sviluppati, per effettuare una diagnosi del dissesto e la proposta di un intervento divenne necessario procedere ad una approfondita campagna di indagine che potesse individuare geometria posizione delle armature e caratteristiche de materiali. Furono quindi programmate: x una registrazione delle misure geometriche visibili; x una registrazione dello stato fessurativo; x una serie di prelievi di campioni di calcestruzzo;

783

x una serie di prelievi delle barre di armatura; x una indagine pacometrica per il tracciamento delle armature disposte. In particolare da un tratto di soletta demolita per l’allargamento di un varco furono ricavati sette cubetti di 7 cm di spigolo che furono sottoposti a prova di schiacciamento, previa rettifica. I dati ottenuti con il prelievo dei cubetti non sono perfettamente rappresentativi del getto di calcestruzzo perché diventa necessario tener conto fattore del disturbo al prelievo e del fattore di scala. Per tener conto di questi fattori i risultati di prelievo furono amplificati con i due coefficienti: D1 = 1.05 (fattore di disturbo) e D2 = 1.07 (fattore di scala). Sigla [] B1/1 B1/2 B1/3 B2/1 B2/2 B2/3 B2/4 media dev.stand. coeff.var.

Rc MPa 33.0 34.4 28.3 26.3 26.1 20.5 24.4 27.58 4.83 18%

Tabella 1. Risultati ottenute sulle carote prelevate

I risultati ottenuti, tenendo conto dell’epoca in cui era stato realizzato il manufatto, mostrarono una notevole resistenza a compressione del calcestruzzo impiegato, con un coefficiente di variazione comunque contenuto. Furono prelevati due campioni di armatura uno per le armature longitudinali ed uno per le staffe. Dai risultati fu confermato l’utilizzo di acciaio tipico del periodo, “AQ50/60” del tipo semiduro con una resistenza caratteristica di snervamento fyk d 270 MPa, una tensione caratteristica a rottura 500 d ftk d 600 MPa ed un allungamento a rottura non inferiore al 16%; 2.3. Trattamento statistico dei risultati È noto come nel metodo di calcolo semiprobabilistico agli Stati Limite convenzionalmente si assume quale resistenza del calcestruzzo il frattile inferiore del 5%. Ma una stima esatta di questo valore è possibile solo dopo aver effettuato una accurata caratterizzazione statistica. Essa può essere ottenuta però analizzando un notevole numero di campioni. Nel caso in esame, non essendo possibile prelevare un maggior numero di cubetti, una prima valutazione si ottenne con la media e la deviazione standard dei pochi risultati ottenuti che confermano comunque la bontà del materiale. Il calcolo del frattile su basi statistiche offrì il risultato dato dall’Eq. 1. Rck

27.58  1.40 ˜ 4.83

20.82 MPa

(1)

Tale stima comunque fornisce una indicazione di massima in quanto i campioni erano troppo pochi per poter dare indicazioni più precise. Un riscontro dei precedenti risultati si ottenne applicando i due criteri semplificati forniti dalla UNI EN 206-1:2001 che permette la stima del valore caratteristico,quando si è in possesso di un numero limitato di campioni (nprelievi< 35), utilizzando le seguenti disequazioni riportate dall’Eq. 2.

784

­ Rck d Rc ,medio  4.0 ½ min ® ¾ ¯ Rck d Rc , min  4.0 ¿

23.58 MPa

(2)

In ogni caso era evidente che vista l’epoca di realizzazione del manufatto il calcestruzzo era in buone condizione ed era classificabile almeno come un C16/20. 3. IPOTESI DI RIPRISTINO 3.1. Tecniche di ripristino Una delle tecniche tradizionali utilizzate nei casi di ripristino o rinforzo è quella del betonplaque che consiste nell’applicare delle lastre d’acciaio al calcestruzzo, affidando alla resina epossidica l’adesione tra i due materiali.

Proprietà Fibra Peso di fibra di carbonio nella rete (g/mq) Spessore per il calcolo (mm) Carico di collasso (MPa) Malta Resistenza a compressione (MPa) Resistenza a flessione (MPa) Modulo Elastico (GPa)

168 0.047 3400

38 7.5 15

Tabella 2. Proprietà dei materiali di rinforzo

Figura 4. Tela di fibra di carbonio

La limitata movimentazione nelle fasi di applicazione e la scarsa versatilità nel montaggio hanno reso questa tecnica non totalmente concorrenziale con altre. I sistemi composti in fibre di carbonio, invece, hanno mostrato grandi capacità nella riabilitazione strutturale. Essi sembrano essere un modo adatto a riportare la struttura alla sua originaria funzione o ad incrementare la sua capacità resistente. 3.2. Fibre in Carbonio Il grande vantaggio dei sistemi composti in fibre di carbonio o aramidiche, o di vetro, rese solidali mediante resina epossidica (FRP) al supporto in calcestruzzo sta nella leggerezza dei materiali base che permettono una facile messa in opera. Essi sono inoltre una alternativa vantaggiosa al placcaggio metallico a causa del loro ingombro ridotto, dell’ottima durabilità e dell’elevata resistenza strutturale.

785

Recentemente è stato messo a punto un adesivo alternativo che ha sostituito la resina con un legante idraulico additivato (matrice cementizia) in maniera specifica (FRCM Fiber Reinforced Cementitious Matrix). Le eccellenti caratteristiche sia del materiale base che dell’adesivo (Tab.2) e (Fig. 4) hanno reso i FRCM altamente competitivi rispetto agli stessi FRP, infatti essi mantengono inalterati le caratteristiche di questi ultimi con l’aggiunta della compatibilità chimico-fisica e meccanica con il supporto in calcestruzzo. 3.3. Soluzione adottata I proprietari richiedevano che la porzione di struttura fessurata fosse riportata alla normale capacità portante (civile abitazione) con i carichi previsti dalla normativa vigente e senza alcuna riduzione. Il piano terra sottostante era adibito ad attività commerciale e grazie al notevole interpiano, presentava un controsoffitto che aveva funzioni di ammezzato. Questo aveva permesso una agevole visita ispettiva. L’intervento richiesto sulle travi danneggiate doveva garantire l’adeguata sicurezza senza precludere l’utilizzabilità della bottega. Vista la limitata possibilità di movimento e l’impossibilità di utilizzare macchine di sollevamento (gru) sul controsoffitto, l’ipotesi di ricorrere a putrelle metalliche o similari venne scartata. Venne anche esclusa la soluzione che prevedeva un adeguamento della sezione in calcestruzzo con getti integrativi. Pertanto alla fine la scelta cadde sull’utilizzo di rinforzi non tradizionali, quali le reti in fibra di carbonio. All’epoca in Italia non esistevano ancora norme precise e pertanto sulla base dei suggerimenti bibliografici e delle codici normativi internazionali fu messo a punto un criterio di dimensionamento specifico. 4. IL MODELLO I modelli codificati sul taglio, presenti in letteratura, non prendono generalmente in considerazione gli effetti di interazione tra le diverse caratteristiche di sollecitazione N-M-V.

bw Flangia superiore

Flangia superiore

ft

2c

anima

z1 bw

z1 H

z3

z3

z2 Striscia di fibra

Flangia inferiore

H

z2

fb

Striscia di fibra

Flangia inferiore

2c

Figura 5. Schema di calcolo

Anche la bozza di norma [4] pubblicata nel 2004 non prende ancora in conto tale effetto. Recentemente sono stati presentati alcuni modelli [5], [6] e [7] che vengono incontro a questa esigenza. Tali modelli formulano il problema attraverso un approccio plastico secondo le modalità proposte da Nielsen et alt. [9], ma a differenza della proposta originaria essi suddividono l’elemento strutturale in cinque strati rispettivamente una flangia superiore, una inferiore e tre strati intermedi (fig. 5).

786

V f t1 M

Vw1

z1

V

W

V w3

z3

Vw2

z2

Vf b2

V frp

Figura 6. Distribuzione delle tensioni nei cinque strati

Alle due flange ed alle zone d’anima limitrofe sono attribuite solo tensioni normali in cui segno non è scelto a priori. Alla zona centrale si attribuisce invece un campo tensionale composto dall’aliquota normale e tangenziale (fig. 6). Il modello formulato inizialmente per elementi strutturali in c.a. ed in c.a.p. [5], [6] è stato modificato recentemente per tener conto dei rinforzi [7]. Per i dettagli si rimanda alla bibliografia citata. 4.1. Il Modello con FRCM Il modello utilizzato per la proposta del rinforzo, basandosi sulla teoria dei campi di tensione, per tener conto della capacità portante delle reti in fibra di carbonio, adotta un coefficiente di efficienza. Tale coefficiente serve a tener conto degli effetti di distacco del rinforzo dal calcestruzzo o distacco del copriferro della trave o rottura dell’anima resistente del rinforzo [9].

f fed

R ˜ f fud

(3)

e dove R

min( R1 , R2, R3 ,1)

wf

Uf

2˜tf ˜

R1

.56 U f E f

R3



2

 1.22 ˜ U f E f  .78

fck ˜ d ft  K ˜ Le 2

R2

s f ˜ bw

3

H fu ˜ d ft

( U f E f  .7GPa )

ª738.93  4.06 E f t f º ¼ ˜¬ 106

0.006

H fe Qui sono usate l'approccio e la formulazione proposte in letteratura da Khalifa & Nanni [10], [11] i quali valutano il coefficiente di efficacia R1, (relativo al collasso per rottura). Comunque per maggiori dettagli si può far riferimento alla nota [7].

787

260

2)12

350 dft

30

4)12 fck = 17 MPa fsk = 215 MPa

200

)4 sf

wf

U- wrap FRP strips

U- wrap FRP 90°/0°

Figura 7. Schemi semplificati della struttura in esame

0.18 0.16 0.14

v

wf =0

0.12 0.10

w f = 50

0.08 0.06

90°/0°

w f = 75

0.04 0.02 0.00 0.00

0.03

0.05

0.08

0.10

0.13

m

Figura 8. Domini di resistenza per diverse ampiezze di FRP

4.2. Domini di resistenza Il metodo proposto può fornire degli utili strumenti di progetto: i domini di resistenza v-m, tracciati al variare delle armature e dei rinforzi in fibra disposti. L’uso dei domini di resistenza diventa molto utile nella progettazione corrente infatti fornisce una visione immediata delle richieste e delle possibilità di soddisfarle. Per meglio illustrare le potenzialità del metodo, per la struttura in esame che è stata schematizzata in Fig. 7, sono stati tracciati per diverse disposizioni di FRP i relativi domini di resistenza. A mo’ di esempio sono stati riportati in Fig. 8 i diagrammi adimensionati nel caso di momento positivo prevalente. 4.3. Modalità di verifica dell’esistente Per una stima del carico utile della struttura esistente, preliminarmente, era utile effettuare una realistica retro-analisi. Questa infatti avrebbe permesso di valutare gli eventuali carenze del modello in quanto i dati di input e di output erano delle quantità note. Per predisporre una agevole modalità di verifica, sfruttando le potenzialità dei domini di resistenza, risulta utile tracciare il percorso delle sollecitazioni nello spazio v-m. In questa maniera il confronto risulta agevolato dalla sovrapposizione dei due diagrammi: il percorso di sollecitazione e i diagrammi di resistenza. Le caratteristiche di sollecitazione sono state raccordate al passaggio sulle strutture portanti (in prossimità dell’incastro) per

788

tener conto dell’effetto diffusivo generato dalla dimensione non trascurabile nell’elemento portante. Taglio

Momento flett.

0.00 -10.000.00 -20.00 -30.00 -40.00

x

1.00

2.00

3.00

M

V

40.00 30.00 20.00 10.00 4.00

x

-25.00 -20.00 -15.00 -10.00 -5.00 0.00 5.00 10.00 15.00 0.00

1.00

2.00

3.00

4.00

Figura 9. Diagrammi delle caratteristiche di sollecitazione Percorso di sollecitazione 35.00 30.00 25.00 20.00 v

Con ridistribuzione

15.00 Senza ridistribuzione

10.00 5.00 0.00 -25.00

-20.00

-15.00

-10.00

-5.00

0.00

5.00

10.00

15.00

20.00

25.00

m

Figura 10. Diagramma del percorso di sollecitazione

Per la struttura esistente, sulla quale non era stato ancora effettuato alcun intervento, il percorso di sollecitazione, ricavato dai diagrammi del taglio e del momento (Fig. 9) è quello riportato in Fig. 10. Esistente 45.00 sugli appoggi

40.00 35.00

Senza ridistribuzione

30.00 in campata

25.00 v

Con ridistribuzione

20.00 15.00 10.00 5.00 0.00 -30.00

-20.00

-10.00

0.00

10.00

20.00

30.00

m

Figura 11. Diagramma del percorso di sollecitazione - Esistente

789

In particolare sono stati riportati il caso di comportamento elastico della struttura e quello di una possibile ridistribuzione dei momenti negativi d’incastro. I diversi colori indicano le due diverse tipologie di sezione che compongono l’elemento strutturale (armatura principale all’intradosso o all’estradosso). Sovrapponendo sull’unico diagramma le curve di resistenza per le due tipologie di sezione (sugli appoggi ed in campata) è immediato constatare come sia possibile ottenere una soluzione staticamente ammissibile nel caso in cui si accetti una ridistribuzione dei momenti d’incastro pari a G = 0.74. In queste condizioni poiché il carico permanente caratteristico stimato è pari a gk = 3.94 kN/mq, il carico utile per azioni variabili diventa qk = 1.60 kN/mq. L’entità delle azioni permanenti e variabili sopportabili dalla struttura era però inferiore a quanto richiedeva il progetto di ristrutturazione architettonica. Necessitava quindi un sostanziale adeguamento strutturale.

Figura 12. Posa in opera della fibra d’intradosso

Figura 14. Posa in opera dei connettori

Figura 13. Posa in opera della fibra fasciante

Figura 15. Posa in opera della rete elettrosaldata

5. PROPOSTA DI RIPRISTINO Per un ripristino di funzionalità che permettesse anche un incremento dell’azione permanente necessaria per una adeguata finitura con la realizzazione di tramezzature, furono proposti, sulla scorta di quanto esposto ed illustrato nei punti precedenti: 1) la posa in opera di uno strato di fibra in rete all’intradosso (Fig. 12) destinata, principalmente, di incrementare in parte le capacità portanti flessionali;

790

2) la posa in opera di uno strato di fibra in rete a fasciare (Fig. 13) in grado di conferire alla struttura migliore comportamento a taglio; 3) la realizzazione di una cappa all’estradosso (spessore 5 cm, Rck • 45 MPa) collegata alla struttura esistente con un sistema di connettori (16 ĭ14 per trave - Fig. 14) che, utilizzando come cassaforma la soletta esistente, la sostituisse in ogni sua funzione. 5.1. Progetto del sistema di rinforzo Gli strati necessari di rete in carbonio e le modalità di rinforzo furono progettati al fine di garantire la richiesta capacità portante. In particolare la posa in opera della fibra in doppio strato e la realizzazione della soletta conferirono ai diagrammi di resistenza una maggiore dimensione sia in campata che sugli appoggi (Fig. 16). Ripristinato 90.00 80.00 70.00 60.00

Senza ridistribuzione

sugli appoggi

v

50.00

in campata

40.00

Con ridistribuzione

30.00 20.00 10.00 0.00 -40.00

-30.00

-20.00

-10.00

0.00

10.00

20.00

30.00

40.00

m

Figura 16. Diagramma del percorso di sollecitazione - Rispristinato

Ciò consentì una nuova stima del carico di collasso della struttura. Infatti ancora nell’ipotesi di una ridistribuzione dei momenti d’incastro (G = 0.71), la configurazione progettata fornì un carico permanente gk = 5.34 kN/mq ed un carico variabile qk = 2.00 kN/mq. Questi carichi di collasso erano in linea con le richieste formulate dal progetto di ristrutturazione architettonico. L’assenza di ridistribuzioni avrebbe comportato la necessità di rinforzo flessionale anche all’estradosso della trave in prossimità dell’incastro, obiettivo peraltro difficilmente perseguibile. 6. CONCLUSIONI Gli edifici storici nascondono molte sorprese. Nelle fasi di ristrutturazione l’attenzione del progettista deve essere posta soprattutto sulla storia dell’edificio, sulle destinazioni d’uso succedutesi nel tempo, sulle tecnologie usate al tempo della realizzazione e sui successivi interventi di adeguamento, se presenti. In questi casi l’ispezione del manufatto deve essere preceduta dalla lettura degli elaborati progettuali d’epoca o, se presenti, di quelli relativi agli interventi successivi. Quando questi si rilevano insufficienti diventa necessario il ricorso ad indagini specifiche capaci di fornire al tecnico tutte le informazioni necessarie. Tale processo d’indagine deve essere più dettagliato, quando, come nel caso in esame, la struttura è in prossimità del collasso.

791

Il modello di comportamento analizzato nella presente memoria ha illustrato come l’eccessivo stato fessurativo delle travi era imputabile sostanzialmente ad un utilizzo dello stesso al di là delle reali risorse della struttura ed erano principalmente imputabili ad una scarsa densità di staffe nelle travi portanti (tipica dell’epoca). La richiesta di un pieno utilizzo della struttura aveva reso necessaria la messa a punto di un intervento di adeguamento e l’uso di fibre in carbonio ha mostrato tutti i suoi vantaggi rispetto alle tecnologie tradizionali. Inoltre l’uso di malta cementizia (FRCM) ha permesso l’impiego di maestranze non specializzate. Il maggiore costo dell’intervento è stato compensato dall’opportunità di continuare ad utilizzare, durante i lavori di adeguamento, il sottostante locale commerciale. Il ripristino è stato eseguito, la struttura è stata collaudata ed è tuttora in servizio. BIBLIOGRAFIA [1] CEB-FIP (1993). Model Code for Concrete Structures for Buildings, Comitè Eurointernational du Bèton, Lausanne, May 1993 [2] ACI Committee 318 (1983) - Building Code Requirements For Reinforced Concrete (ACI 318-95) and Commentary ACI 318 R-95 - American Concrete Institute, Detroit, 1983 [3] Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istruzioni per la Progettazione, l’Esecuzione ed il Controllo di Interventi di Consolidamento Statico mediante l’utilizzo di Compositi Fibrorinforzati – CNR-DT 200/2004 [4] ACI Committee 440 (2001) – Guide for the Design and Construction of Concrete Reinforced with FRP Rebars- American Concrete Institute, 440.1R-01 [5] A. Recupero, A. D’Aveni, A. Ghersi (2003) - N-M-V Interaction Domains for Box Ishaped Reinforced Concrete Members - ACI Structural Journal – V. 100, No. 1, pp. 113119, January-February 2003 [6] A. Recupero, A. D’Aveni, A. Ghersi (2005) - M-V Interaction Domains for Prestressed Concrete Beams - Journal of Structural Engineering, ASCE -Vol. 131, No. 9, September 2005 [7] Colajanni P., La Mendola L., Recupero A.(2005) - Shear-Flexure Interaction of RC Elements Strengthened with FRP sheets – ICCRR06 – Cape Town (South Africa) [8] Bach F., Nielsen M. P. Braestrup M.W. (1978) - Rational Analysis of Shear in Reinforced Concrete Beams - IABSE Proc. P-17/78, pp. 1-16 [9] Smith S.T. & Teng J.G. (2002) - FRP-strengthened RC beams. I: review of debonding strength models – Engineering Structures 24 (2002) 385-395. [10] Khalifa A. & Nanni A. (2000) - Improving shear capacity RC T-section beams using CFRP composites – Cement & Concrete Composites 22 (2000) 165 – 174. [11] Khalifa A. & Nanni A. (2002) - Rehabilitation of rectangular simply supported RC beams with shear deficiencies using CFRP composites – Construction and Building Materials 16 (2002) 135 – 146.

792

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

PREVISIONE DELL’EFFICACIA DEL RINFORZO DI COLONNE IN C.A. MEDIANTE FASCIATURA CON FRP P. COLAJANNI1, N. SPINELLA1 1

Dipartimento di Ingegneria Civile, Università degli Studi, Messina

SOMMARIO Si analizza l’incremento di duttilità e portanza indotto dalla fasciatura con fibra di rinforzo in elementi in calcestruzzo debolmente armato. Si effettua un confronto dei risultati forniti da due diversi modelli per la previsione del comportamento costitutivo in compressione di colonne circolari, con particolare attenzione alla possibilità che si verifichi la presenza di rami softening. Successivamente si effettuano delle analisi numeriche allo scopo di validare le prescrizioni normative contenute nel Bullettin 14 CEB-FIP (2001) per la previsione dell’incremento di duttilità dovuto al rinforzo. ABSTRACT The enhancement of strength and ductility obtained by wrapping circular reinforced concrete elements with FRP fiber is investigated. A comparison of the stress-strain relationship of the wrapped element provided by two models available in literature is performed, with the aims to evaluate the minimum amount of fiber that ensure the lack of a softening behaviour. Moreover, the Bullettin 14 CEB-FIP (2001) prescription for the assessment of the ductility increment are investigated by numerical parametric analyses. 1. INTRODUZIONE L’impiego dei compositi di fibre in polimero (FRP dall’acronimo anglosassone “Fiber Reinforced Polymer”) nel campo dell’ingegneria civile rappresenta ormai una pratica assai diffusa ed efficace per il rinforzo o l’adeguamento di elementi strutturali. La fasciatura mediante fibre di colonne in cemento armato (CA) soggette a compressione semplice o composta, consente di aumentarne sia la capacità portante che la duttilità. Il tessuto applicato ortogonalmente all’asse dell’elemento genera nella colonna soggetta a sforzo normale una benefica pressione laterale, comunemente detta di confinamento, che permette all’elemento strutturale rinforzato con FRP di sviluppare grandi deformazioni prima di giungere al collasso. Nelle pratiche applicazioni una corretta progettazione del rinforzo in FRP non può prescindere da una accurata modellazione del comportamento costitutivo del calcestruzzo confinato con fibre, ovvero è necessario disporre di strumenti analitici affidabili per la previsione della resistenza e della formazione assiale ultima del calcestruzzo confinato.

793

De Lorenzis e Tepfers [1] hanno recentemente condotto una approfondita analisi critica dei modelli proposti in letteratura per la previsione del legame tensione-deformazione del calcestruzzo rinforzato con FRP soggetto a compressione monoassiale, basata su un database composto da 180 test raccolti da 17 diverse campagne sperimentali. Dall’analisi dei risultati riportati dagli autori emergono alcuni importanti aspetti: i) l’utilizzo di provini di piccolo diametro (100–200 mm) per le prove sperimentali, conduce a ottenere un comportamento costitutivo di tipo hardening. Pertanto molti modelli noti in letteratura, e in particolare quelli tarati su risultati empirici [2], non contemplano la possibilità di prevedere comportamenti costitutivi di tipo softening; ii) i modelli analitici in grado di riprodurre qualunque forma della curva tensione-deformazione non forniscono generalmente un’espressione esplicita del legame f c'  H c , richiedendo procedure iterative o di tipo incrementale [3, 4]; iii) molti modelli prevedono valori di deformazione assiale ultima H cu superiori a quelli ottenuti sperimentalmente, con una seguente sovrastima della duttilità dell’elemento. Nelle pratiche applicazioni per ottenere un’efficace azione della fasciatura in elementi con dimensioni della sezione maggiori di quella dei provini utilizzati in laboratorio, è necessario aumentare il numero di fogli di tessuto da utilizzare proporzionalmente alle dimensioni dell’elemento. Tuttavia l’incremento del numero di strati al di sopra di una certa soglia (tipicamente 5 o 10 per le fibre di carbonio) determina una notevole perdita di rendimento del FRP rendendo praticamente inutile l’ulteriore aggiunta di fibra. Alla luce di ciò si rende necessario contemplare la possibilità che nei legami tensione-deformazione di elementi a grande scala rinforzati con FRP vi sia la comparsa di rami softening. Tale comportamento è inoltre frequente nelle colonne con sezione quadrata o rettangolare nelle quali, come è ben noto, l’efficacia della fasciatura è fortemente ridotta dalla presenza degli spigoli, o da un elevato rapporto fra la lunghezza dei lati della sezione. Nella memoria si affronta il problema della previsione dell’incremento di resistenza e duttilità conferito a colonne pressoinflesse in CA debolmente armate, rinforzate utilizzando le quantità di fibra tecnologicamente applicabili su elementi di reali dimensioni. Le analisi vengono condotte utilizzando due diverse modellazioni per il calcestruzzo confinato con FRP tra le più note in letteratura [4, 5]. Entrambe sono in grado di cogliere eventuali rami di tipo softening, ma a parità di caratteristiche dell’elemento, prevedono andamenti della curva f c'  H c diversi. Si ottiene così che a volte l’uno a volte l’altro modello riproduce più fedelmente l’andamento del legame tensione-deformazione ottenuto per via sperimentale. Si è poi analizzato come la resistenza e la deformazione assiale ultima del calcestruzzo confinato vengano influenzati dall’ valore della deformazione di rottura della fibra per la quale si prevede il collasso dell’elemento. Tale valore risulta infatti di difficile stima in quanto l’evidenza sperimentale mostra che risulta assai inferiore rispetto a quella indicata dal produttore per il materiale. Infine si è effettuato un confronto tra le relazioni suggerite dal Bullettin 14 CEB-FIP del 2001 [6] per la previsione dell’incremento di duttilità di sezioni rinforzate con FRP, ed i corrispondenti valori ottenuti utilizzando i legami costitutivi presi in esame, mettendo in evidenza come sia opportuno definire dei campi di validità per le espressioni considerate, le quali in alcuni casi possono risultare non conservative. 2. MODELLI PER LA PREVISIONE DEL LEGAME f c'  H c I modelli costitutivi per il calcestruzzo confinato mediante la fasciatura con FRP, per i quali sono presenti in letteratura dei lavori di rilievo sullo stato dell’arte [1, 6], possono essere classificati in diversi modi. Qui le formulazioni sono raggruppate a seconda della loro capacità di prevedere curve tensione-deformazione ottenibili con qualunque livello di

794

efficienza del dispositivo di confinamento. In una prima classe sono raggruppati i numerosi modelli calibrati sulla base di risultati sperimentali ottenuti da provini di piccole dimensioni, generalmente non in grado di cogliere eventuali rami softening al collasso [2], insieme ad alcuni modelli di natura analitica formulati senza contemplare la possibilità che la rigidezza tangente del provino possa assumere valori negativi. In una seconda classe invece rientrano quei modelli abili a riprodurre comportamenti costitutivi sia hardening che softening utilizzando una unica formulazione analitica [3, 4, 5], che tuttavia risulta spesso complessa e non esplicita. Anche questi modelli sono stati calibrati con l’obiettivo di riprodurre curve sperimentali di tipo hardening, per le quali si mostrano tutti abbastanza accurati. Viceversa, per bassi livelli di confinamento, le formulazioni forniscono curve tensione-deformazione e valori di deformazione assiale ultima significativamente diversi tra loro. I legami costitutivi utilizzati nell’analisi numerica presentata in questo lavoro sono quello iterativo proposto da Spoelstra e Monti [4] (SM) e suggerito dal CEB-FIP [6], ed il modello di Albanesi et al. [5] (ANV) caratterizzato da un’espressione analitica in forma chiusa. Entrambe le formulazioni hanno come ingrediente base il ben noto legame di Mander et al. [7] per elementi compressi in calcestruzzo confinato con armatura trasversale in acciaio. L’ipotesi chiave utilizzata da Mander et al. [7] per la formulazione del modello è quella di ritenere costante la pressione di confinamento esercitata dalle staffe durante l’intera storia di carico. Si tratta di una assunzione sicuramente lecita per le armature in acciaio, ma che perde di validità nel caso dei compositi fibro-rinforzati. Questi ultimi sono infatti caratterizzati da un comportamento costitutivo elastico-lineare sino a rottura ed esercitano una pressione di confinamento fl sempre crescente al crescere della deformazione laterale del calcestruzzo H l che, per sezioni circolari, può essere valutata mediante la relazione:

fl

1 Uf EfH f 2

(1)

Nella (1) E f indica il modulo di elasticità longitudinale del FRP, H f la deformazione (circonferenziale) della fibra, U f 4 t f D la percentuale geometrica di fibra, essendo t f lo spessore del tessuto applicato e D il diametro della sezione. Nelle sezioni circolari la deformazione della fibra H f per la simmetria radiale coincide con la deformazione laterale dell’elemento H l . Spoelstra e Monti [4], elaborando il legame di Pantazoupolou e Mills [8] per il calcestruzzo non confinato in compressione, propongono di valutare la variazione della pressione di confinamento in funzione della deformazione assiale, per mezzo della (1) e della seguente espressione implicita della deformazione laterale:

H l H c , fl

EcH c  f c' H c , f l 2 E f c' H c , fl

(2)

dove f c' , H c ed Ec sono i valori di tensione, deformazione assiale e modulo di elasticità iniziale del calcestruzzo, e E è una costante che dipende esclusivamente dalle caratteristiche del calcestruzzo non confinato. Assegnato H c , una volta ricavata iterativamente la pressione di confinamento dalla (1) e (2), si risale alla resistenza del calcestruzzo confinato f cc' ed alla corrispondente deformazione per mezzo delle seguenti relazioni (Mander et al. [7]): f cc' f c'0

2.254 1  7.94

fl f  2 l'  1.254 f c'0 fc 0

795

(3)

H cc Hc0

§ f' · 1  5 ¨ cc'  1¸ © fc0 ¹

(4)

dove f c'0 è la resistenza del calcestruzzo non confinato e H c 0 la deformazione assiale corrispondente. I valori ottenuti da (3) e (4) consentono di valutare il legame tensione– deformazione mediante la relazione proposta da Popovics: f c' f cc'

xr r  1  xr

(5)

in cui x H c H c 0 ed r Ec Ec  f cc' H cc . Poiché la deformazione ultima della fibra H fu è nota a priori, è possibile valutare la pressione di confinamento al collasso. Elaborando le relazioni base del modello, Spoelstra e Monti [4] ottengono la espressione in forma chiusa della deformazione assiale ultima: 1 Esec Ec

ª Esec ,u Ec  Esec ,u º H cc ,u « » «¬ Esec ,u Ec  Esec »¼

H cu

(6)

dove, nelle condizioni ultime H cc ,u ed il modulo secante Esec,u sono ricavati da (2) e (4) valutando flu dalla (3) per H f H fu . E’ facile rilevare che il valore di H cu fornito dalla (6) è fortemente influenzata da H fu . Analogo al modello SM si presenta il legame proposto da Albanesi et al. [5], i quali utilizzano la seguente espressione del modulo di Poisson [9]:

Q cc Qc

1

· Hc § fl ¨1.914 '  0.719 ¸ H cc © fc0 ¹

(7)

dove Q cc e Q c sono rispettivamente i moduli di Poisson del calcestruzzo confinato e non confinato. Per eliminare la necessità di tediose procedure iterative, Albanesi et al. [5] suggeriscono di approssimare con una funzione lineare flin fl f c'0 1  D ˜ fl f c'0 la relazione (3) tra la resistenza del calcestruzzo confinato f cc' e la pressione di confinamento fl . Il coefficiente angolare D della retta approssimante si ottiene rendendo minima la differenza pesata tra le due funzioni in gioco: f lu f c' 0

³ 0

3

ª § fl · § fl · º § fl · « f ¨ ' ¸  flin ¨ ' ¸ » d ¨ ' ¸ 0 © fc0 ¹¼ © fc0 ¹ ¬ © fc0 ¹

(8)

Albanesi et al. [5] suggeriscono di utilizzare D 3.61 , ottenuto scegliendo un valore ricorrente per flu f c'0 0.7 . Nel seguito si è preferito calcolare D in funzione del rapporto flu f c'0 che effettivamente caratterizza il provino, in modo da ridurre l’entità dell’errore commesso nell’approssimazione. Operando semplici passaggi algebrici, si ricavano delle relazioni in forma chiusa che consentono di esprimere direttamente il legame tensionedeformazione per il calcestruzzo confinato con FRP. Il modello ANV si rivela semplice nella sua formulazione e agevole da implementare, con la deformazione assiale ultima H cu , ancora una volta direttamente influenzata dalla capacità di allungamento massima della fibra H fu .

796

3. DUTTILITÀ DEL CALCESTRUZZO CONFINATO CON FRP Per ottenere una valutazione attendibile della duttilità di elementi compressi in calcestruzzo fasciati esternamente con FRP, uno degli aspetti più importanti da investigare è l’identificazione delle condizioni di collasso del provino. Le numerose sperimentazioni effettuate su provini in calcestruzzo rinforzato con FRP mostrano che la rottura avviene per lo strappo del tessuto, il quale si verifica per una deformazione critica H fcr assai inferiore a quella nominale H fu misurata da test di trazione diretta. La rottura prematura può attribuirsi a due cause principali [10]: una non uniforme distribuzione delle deformazioni laterali lungo la circonferenza della sezione, ed una ridotta capacità di deformazione del FRP in situ. La prima dipende fortemente dalla fessurazione del calcestruzzo, diffusa e non omogenea [11], dall’esistenza di una zona di sovrapposizione del tessuto [12] e da concentrazioni locali di tensione; la seconda è causata dall’effettivo stato di tensione pluriassiale nel FRP [13], dalla curvatura del tessuto [14], dal non-allineamento delle fibre durante le procedure di applicazione, dall’intrusione di materiale residuo tra il calcestruzzo ed il composito fibro-rinforzato [10]. Nella maggior parte dei legami costitutivi teorici presenti in letteratura viene assunta come deformazione di rottura quella nominale H fu , ma le numerose ricerche esistenti suggeriscono che i modelli per il confinamento debbano essere basati sulla deformazione critica H fcr raggiunta nel calcestruzzo rinforzato con FRP. A tal fine Pessiky et al. [10] propongono un fattore di efficienza kH H fcr H fu che tiene conto delle differenze tra il valore della deformazione critica in situ osservata nei vari test e la deformazione massima del FRP H fu misurata con prove di trazione semplice. Il fattore di efficienza è il prodotto di due aliquote ( kH kH 1kH 2 ): il fattore di localizzazione della deformazione kH 1 H fcr H fu , situ , il quale rappresenta il rapporto tra la deformazione critica e la capacità di deformazione in situ, ed il fattore di proprietà in situ kH 2 H fu , situ H fu ovvero il rapporto tra la capacità di deformazione in situ e quella ottenuta da una prova di trazione diretta. I valori assunti dal fattore di efficienza risultano affetti da molteplici incertezze, come mostrato dai risultati sperimentali reperibili in letteratura, caratterizzati da una notevole variazione del valore di deformazione critica H fcr per fibre con valori comparabili di deformazione massima H fu . Mirmiran et al. [13], Spoelstra e Monti [4] e Fam e Rizkalla [9] riportano valori di H fcr inferiori al 50% di H fu . Xiao e Wu [11], sulla base delle osservazioni sperimentali, suggeriscono di utilizzare un valore conservativo del fattore di efficienza kH pari a 0.50. Le linee guida del CNR per l’utilizzo dei compositi fibro-rinforzati come materiale di rinforzo [15] suggeriscono di utilizzare H fcr min ^H fu Ka J f ;0.4%` , dove Ka e J f sono rispettivamente il fattore di conversione ambientale ed il coefficiente di sicurezza parziale del FRP; dal punto di vista applicativo è certamente il valore pari allo 0.4%, assai conservativo, che si traduce nel limite massimo attingibile di deformazione longitudinale della fibra. Lam e Teng [16], utilizzando un ampio database di dati sperimentali con diverse tipologie di fibre, inizialmente individuano un valore medio complessivo kH 0.63 . Successivamente [12] essi mostrano che mentre il fattore di deformazione locale kH 1 risulta indipendente dalla tipologia di fibra, ma fortemente variabile in dipendenza dalla posizione degli strain gauges durante i test, il fattore di proprietà in situ kH 2 dipende dalla tipologia di fibra. Proprio per ottenere un valore attendibile della capacità di deformazione in situ e del corrispondente valore di kH 2 , sempre Lam e Teng [12] osservano che l’impiego di un test di trazione con anello d’acciaio (ASTM 1992) fornisce valori certamente attendibili di H fu , situ .

797

Tutte le osservazioni fatte finora evidenziano la difficoltà di una corretta stima della deformazione critica della fibra H fcr , la quale influenza fortemente la deformazione assiale ultima H cu del provino in calcestruzzo confinato con FRP. È opportuno fare rilevare che la stima analitica del valore di H cu dipende da due fattori: il valore di H fcr ed il modello, fisico o empirico, con cui tale parametro viene collegato alla H cu . Proprio quest’ultimo aspetto viene nel seguito analizzato, confrontando i valori di deformazione assiale ultima ottenuti con i modelli SM ed ANV, e le relazioni per il calcolo di H cu suggerite dall’ACI [17] e da De Lorenzis e Tepfers [1]. Si è inoltre scelto di utilizzare quattro diversi valori del fattore di efficienza kH (0.50, 0.63, 0.85 ed 1.00) in modo da coprire l’ampio range in cui generalmente varia tale parametro. L’ACI [17] propone di utilizzare un’espressione modificata della relazione (4) di Mander et al. [7]:

H cu

1.71 5 f cc'  4 f c'0

(9)

Ec

con f cc' valutato usando l’equazione (3) con la massima pressione di confinamento flu . Per ottenere la (9) utilizzando la (3) è sufficiente assumere che il modulo secante del calcestruzzo non confinato sia legato alla rigidezza iniziale del provino con Esec 0 Ec /1.71 . De Lorenzis e Tepfers [1] (DLT), invece, stimano la deformazione assiale ultima adimensionale usando la seguente relazione di natura empirica:

H cu H c0

§ f · 1  26.2 ¨ lu' ¸ © fc 0 ¹

0.80

§ 2t f · Ef ¸ ¨ D © ¹

0.148

(10)

ottenuta mediante una regressione numerica su un vasto database di risultati sperimentali. In Figure 1a e 1b è riportato l’andamento di (9) e (10) rispettivamente per diversi livelli della resistenza del calcestruzzo non confinato, scegliendo due diversi valori del fattore di efficienza kH (0.63 e 0.85). Le curve sono tracciate riportando in ascissa il parametro J 100 U f E f Esec 0 , in grado di fornire una misura della rigidezza relativa del dispositivo di confinamento, e mostrano che la relazione suggerita dall’ACI [17] (Figura 1a) è significativamente influenzata dal valore di f c'0 , mentre per il modello DLT (Figura 1b) tale dipendenza è modesta. Le analoghe curve ottenute con i modelli SM ed ANV sono riportate in Figura 2, assieme a quelle fornite dalle relazioni (9) e (10) per un valore della resistenza del calcestruzzo non 16

16

(a)

12

Hcu/Hc0

12

Hcu/Hc0

(b)

8 ACI - Hfu=1.5%

8

DLT - Hfu=1.5% fc0 = 35.0 - kH = 0.85

fc0 = 35.0 - kH = 0.85 fc0 = 25.0 - kH = 0.85

4

fc0 = 25.0 - kH = 0.85

4

fc0 = 15.0 - kH = 0.85

fc0 = 15.0 - kH = 0.85

fc0 = 35.0 - kH = 0.63

fc0 = 35.0 - kH = 0.63

fc0 = 25.0 - kH = 0.63

fc0 = 25.0 - kH = 0.63 fc0 = 15.0 - kH = 0.63

0 0

20

40

60

?

fc0 = 15.0 - kH = 0.63

0 0

20

40

?

Figura 1. Andamento della deformazione assiale ultima per calcestruzzo confinato con FRP

798

60

30

40

(a)

(b)

30

Hcu/Hc0

Hcu/Hc0

20

Hfu = 1.5%

20 Hfu = 1.5%

DLT - kH = 0.85

10

DLT - kH = 1.00

DLT - kH = 0.63 ACI - kH = 0.85 ACI - kH = 0.63

DLT - kH = 0.50

10

ACI - kH = 1.00 ACI - kH = 0.50

SM - kH = 0.85

SM - kH = 1.00

SM - kH = 0.63

DLT - ACI fc0 = 25.0 MPa

ANV - kH = 0.63

0 0

20

40

SM - kH = 0.50

ANV - kH = 0.85

60

DLT - ACI fc0 = 25.0 MPa

0 0

20

40

ANV - kH = 1.00 ANV - kH = 0.50

60

?

?

Figura 2. Andamento della deformazione assiale ultima per calcestruzzo confinato con FRP

confinato pari a 25 MPa. La curva di De Lorenzis a Tepfers [1] è l’unica caratterizzata da un andamento sempre crescente, certamente legato alla natura empirica della relazione (10) che ne limita la validità ad un prefissato range di valori di J . In tutte le altre la capacità deformativa del calcestruzzo confinato è dapprima crescente con l’aumentare di J , ma successivamente tende ad assestarsi su valori costanti. Tale circostanza è da imputarsi all’esistenza di un valore limite per il livello di confinamento, oltre il quale l’ulteriore aggiunta di tessuto si rivela scarsamente efficace. Si può inoltre osservare come il modello SM conduca in genere ad una previsione di deformazione ultima del materiale più conservativa rispetto a quella fornita dal legame ANV, almeno per elementi scarsamente confinati (piccoli valori di J ), mentre un comportamento opposto si ha aumentando J . Per i legami ANV ed SM il valore del fattore di efficienza kH gioca un ruolo fondamentale nella previsione della deformazione assiale ultima, mentre le relazioni DLT e dell’ACI sono poco sensibili alle variazioni di kH . Una stima accurata delle condizioni di collasso del calcestruzzo confinato con FRP è certamente difficile; le osservazioni sin qui fatte evidenziano in particolare come non sia semplice definire l’effettivo valore di kH , per cui è preferibile utilizzare la relazione suggerita dall’ACI [16] o il modello proposto da De Lorenzis e Tepfers [1], che presentano una minore sensibilità nei confronti del fattore di efficienza, assieme al valore conservativo di kH 0.50 . 4. RESISTENZA DEL CALCESTRUZZO CONFINATO CON FRP Per la stima della resistenza del calcestruzzo confinato con FRP buona parte dei lavori presenti in letteratura [16] propongono di legare, mediante una semplice relazione lineare, la capacità portante massima dell’elemento rinforzato con tessuto alla pressione di confinamento. Il CNR-DT 200-2004 [15] suggerisce l’espressione seguente del valore caratteristico della resistenza del calcestruzzo non confinato, qui riportata epurata dal coefficiente di sicurezza J c 1.6 previsto dalla Normativa vigente:

f cc' f c'0

§ f · 1  3.56 ¨ lu' ¸ © fc0 ¹

799

2

3

(11)

6

SM

SM

ANV

ANV

f'cc/f'c0 (sperimentale)

f'cc/f'c0 (sperimentale)

6

CNR (Hfd,rid = 0.4%)

4

2

kH = 0.50

0

CNR (Hfd,rid = 0.4%)

4

2

kH = 1.00

0 0

2

4

6

0

2

f'cc/f'c0 (teorico)

4

6

f'cc/f'c0 (teorico)

Figura 3. Previsione della resistenza assiale ultima per calcestruzzo confinato con FRP

J

Ef

N mm * foglio

kN mm * foglio

HK-C1 HK-C2 HK-C3 HK-G4 HK-G5 HK-G6 HK-G7

174 174 174 75 75 75 75

15.7 15.7 15.7 4.9 4.9 4.9 4.9

1 2 3 2 3 6 9

3.6 7.2 10.8 2.2 3.4 6.7 10.1

SH-C1 2275 82.7 0.50 11.2 SH-C2 2275 82.7 1.50 33.5 SH-C3 2275 82.7 2.00 44.7 SH-C4 2275 82.7 2.50 55.9 SH-C5 2275 82.7 1.00 8.8 SH-C6 2275 82.7 1.50 13.3 D = 152.0 mm per HK, D = 152.5 mm per SH

HK-G8

75

4.9

12

13.5

f c'0 = 32.1 MPa per HK, f c'0 = 19.4 MPa per SH1-

HK-G9

75

4.9

15

16.8

fogli

Test

ff

Ef

tf

MPa

GPa

mm

J

ff

Test

4

f c'0 = 49.0 MPa per SH5-6

Tabella 1. Parametri geometrici e meccanici caratteristici dei provini sperimentali

con un confinamento che risulta efficace se flu f c'0 ! 0.03 . E’ evidente che la (11), così come gran parte delle relazioni proposte in letteratura, non prende in considerazione che il valore ultimo di tensione adimensionale possa essere inferiore all’unità (softening). In Figura 3 sono riportati i valori di resistenza ultima per due set di prove sperimentali (Tabella 1) reperiti in letteratura [14, 18], confrontandoli con i risultati analitici forniti dai modelli ANV ed SM, per i quali si è scelto di utilizzare due valori limite del fattore di efficienza kH (0.50 e 1.00), e dalla relazione (11) suggerita dal CNR considerando una deformazione critica della fibra pari allo 0.4%. Così come osservato nell’analisi della deformazione assiale ultima, i modelli ANV ed SM mostrano una certa sensibilità nei confronti delle variazioni del fattore di efficienza nel prevedere la resistenza ultima dell’elemento confinato con tessuto, fornendo i risultati migliori per kH 0.50 . Inoltre valori conservativi si ottengono utilizzando la relazione proposta dalle linee guida del CNR [15]. In Figura 4 sono proposte le curve sperimentali tensione-deformazione per alcuni test, confrontate con le relative curve analitiche ottenute con i modelli ANV ed SM. Le caratteristiche geometriche e meccaniche dei provini sono riportate in Tabella 1, dove ogni campione è identificato con un acronimo le cui prime due lettere identificano gli autori della campagna sperimentale [14, 18], mentre la terza identifica la tipologia di fibra utilizzata: (C carbonio, G: vetro). Le parti di curva a linea continua si riferiscono a valori di f c'  H c

800

fc '/fco

1.2

fc '/fco

(a)

(b)

fc '/fco

(c)

2

1.2

0.8 1.5 0.8 1

HK-C1 J 

0.4

0.5

Hc /Hc0 0 0

2

4

6

8

HK-C3 J 

10

6

Hc /Hc0

0 0

4

8

ANV

(f)

60

2

SH-C4 J 

2

SH-C6 J 

0 0

20

40

60

Hc /Hc0 0 0

10

20

0.8

0.6

30

0.4

0.2

J1,ANV = 0.14 0

1

Hc /Hc0

(3-4) (2-3) (1-2)

12

fc '/fco

(e)

SM

40

8

3

Hc /Hc0 20

4

4

exper.

2

Hc /Hc0

0 0 4

fc '/fco

(d) SH-C2 J 

4

0 0

12

6

fc '/fco

HK-G4 ?= 2,25

0.4

1 Percentuale Geometrica di Fibra (%) - Uf

2.5

1.6

0

0.1

Figura 4. Legami tensione-deformazione: confronto fra i dati sperimentali e i modelli SM [4] e ANV [5]

0.2

0.3

0.4

0.5

Esec0/Ef

40

Figura 5. Legami costitutivi caratteristici e campi di appartenenza in accordo ai modelli SM [4] e ANV [5]

ottenuti utilizzando kH 0.50 , mentre la parte tratteggiata è relativa al caso di kH 1.00 . Le Figura 4a e 4c, relative ai provini HK-C1 e HK-G4 con modesto livello di confinamento mostrano come la fasciatura non sia in grado di eliminare il comportamento softening. Il modello ANV è sufficientemente accurato nel riprodurre la forma delle due curve, mentre il modello SM sovrastima notevolmente l’efficienza del confinamento. Ciò è da attribuirsi alla ridotta accuratezza del rapporto di Poisson utilizzato da Spoelstra e Monti [4] per valutare la deformazione laterale H l in corrispondenza di piccoli valori della pressione di confinamento e della deformazione assiale. Entrambi i legami analitici sono invece abili a catturare la forma della curva tensione-deformazione per i provini fortemente confinati, anche se il modello ANV prevede una più ridotta efficienza del dispositivo di confinamento, rispetto a quella prevista dal modello SM, nella porzione di curva immediatamente successiva a H c H c 0 1 . L’analisi di tutte le curve di Figura 4 porta alle seguenti osservazioni: per piccoli valori di J il modello SM sovrastima l’apporto benefico della fasciatura, mentre per valori maggiori della rigidezza del dispositivo di confinamento SM è più efficace; per tutte le curve il valore del fattore di efficienza che fornisce i migliori risultati è 0.50 5. ANALISI PARAMETRICA DELLA CURVA f c'  H c Viene adesso effettuata un’analisi parametrica della curva tensione-deformazione fornita dai modelli ANV ed SM, con lo scopo di individuare le condizioni geometriche e meccaniche per le quali un elemento in calcestruzzo rinforzato con FRP soggetto a compressione semplice presenta un legame costitutivo con delle caratteristiche peculiari. Queste vengono definite in base alle seguenti condizioni limite della curva f c'  H c riportate in Figura 5: 1-2) comportamento costitutivo di tipo softening con tangente orizzontale in corrispondenza della deformazione assiale ultima; 2-3) alla fine del ramo softening il materiale recupera interamente il valore di tensione raggiunto al picco della curva; 3-4) comportamento costitutivo di tipo hardening con modulo di elasticità tangente mai negativo. Sulla base di questa classificazione è stata eseguita una vasta analisi numerica facendo variare i valori dei parametri in gioco in un ampio range. Assumendo il valore tipico di 1.5% per la deformazione ultima della fibra, sono stati considerati: - tre tipi di calcestruzzo con resistenza

801

cilindrica di 15, 25 e 40 MPa;- fibre con modulo di elasticità variabile nel range tra 60 e 150 GPa;. Le curve così ottenute possono essere definite in funzione dei valori di percentuale geometrica di armatura U f % e del rapporto di rigidezza Esec 0 E f . Effettuando una regressione numerica sui risultati forniti dai modelli si ottengono delle rette nel piano U f %  Esec 0 E f le cui pendenze sono proprio dei valori del parametro J precedentemente introdotto. Utilizzando il legame ANV i valori dei coefficienti angolari delle rette che 0.50 individuano le curve caratteristiche precedentemente definite sono: J 1, ANV 0.26 , 0.50 1.00 1.00 J 2, ANV 2.50 e J 3, ANV 4.54 con kH 0.50 e J 1, ANV 0.14 , J 2, ANV 1.70 e J 3, ANV 4.54 con 0.50 0.50 kH 1.00 . I corrispondenti valori ottenuti con il modello SM sono: J 1, SM 1.26 , J 2, SM 1.45 1.00 1.00 e J 3, SM 1.67 con kH 0.50 e J 1, SM 0.54 , J 2, SM 1.15 e J 3, SM 1.67 con kH 1.00 . In Figura 5 sono i riportate le regioni limitate dalle rette ottenute con kH 1.00 . È importante osservare che sia la retta ottenuta sperimentalmente da Mirmiran et al. [13] ( J 3 4.03 ) che quella relativa al minimo confinamento efficace suggerita dal CNR [15] ( fl f c'0 ! 0.03 o J 3 3.13 ), sono entrambe contenute nel cono delimitato dalle rette di SM ( J 3, SM 1.67 ) ed ANV ( J 3, ANV 4.54 ). I due modelli individuano i limiti dei campi dei parametri geometrici e meccanici all’interno dei quali è conveniente progettare un dispositivo di confinamento in modo che si riveli efficace.

6. COMPORTAMENTO IN PRESSOFLESSIONE DI CALCESTRUZZO CONFINATO CON FRP La presenza del FRP come rinforzo strutturale, oltre a migliorare la capacità portante della colonna, ne incrementa la duttilità in rotazione. Per valutare tale aumento di duttilità il Bullettin 14 del CEB-FIP [6] suggerisce un’espressione semplificata che consente di stimare tar ava tar G sec lo spessore di tessuto t f necessario ad ottenere l’incremento di duttilità I sec G sec ( G sec : ava duttilità desiderata, G sec : duttilità disponibile) desiderato: 2

tf

0.2 D

f ccava H cuava 2 I sec f f H 3fu

(12)

Sia la resistenza del calcestruzzo confinato con staffe f ccava che la deformazione assiale ultima H cuava , vanno determinate rispettivamente con la (3), nella quale si deve inserire la pressione di confinamento costante indotta dalle staffe, e per mezzo della relazione proposta da Seible et al. [19]:

H cuava

0.004 

1.4 U st f ysH su f cc'

(13)

dove H su è la deformazione ultima dell’acciaio, qui assunta pari al 9%, f y la corrispondente resistenza e U st la percentuale geometrica di armatura trasversale. L’analisi condotta ha lo scopo di chiarire alcuni punti chiave: 1) come vari l’efficacia del rinforzo nel conferire duttilità, al variare del parametro J ; 2) l’influenza dello sforzo normale n ; 3) l’influenza del fattore di efficienza kH ; 4) comprendere quali siano i range di applicabilità della (12) in funzione dei tre punti precedenti, per i quali la normativa non fornisce alcuna limitazione. L’indagine è stata condotta utilizzando un modello di tipo sezionale, considerando un elemento circolare del diametro di 800 mm con armatura longitudinale diffusa in acciaio ( f ys 315 MPa) e staffe da 6 mm posizionate con un passo di 250 mm lungo l’altezza. Nel

802

Incremento di duttilità - Isec

(a)

Z = 0.10

20

15

(c)

(b)

CEB-FIP n = 0.00 - ANV n = 0.10 - ANV n = 0.30 - ANV n = 0.50 - ANV n = 0.70 - ANV

n = 0.00 - SM n = 0.10 - SM n = 0.30 - SM n = 0.50 - SM n = 0.70 - SM

(d)

10

5

kH = 0.50

0 0

10

20

J

30

40

kH = 0.63 50

10

20

J

30

40

kH = 1.00

kH = 0.85 50

10

20

J

30

40

50

10

20

J

30

40

50

Figura 6. Incremento di duttilità in funzione del parametro J per diversi valori di kH (0.50, 0.63, 0.85 ed 1.00)

valutare i legami momento-curvatura della sezione si è inoltre assunto che la curvatura allo snervamento sia quella relativa allo snervamento della barra maggiormente tesa, e che nel ramo post-picco il momento non assuma valori inferiori all’ 80% di quello massimo. Il comportamento costitutivo dell’acciaio è modellato come elastico-perfettamente plastico, quello del calcestruzzo confinato con FRP è invece ricavato dai modelli ANV ed SM. Le analisi condotte per sezioni debolmente armate (rapporto meccanico di armatura longitudinale 0.05 d Z d 0.20 ), sono state ripetute per differenti valori del fattore di efficienza (0.50, 0.63, 0.85 e 1.00), in modo da valutarne l’influenza sull’espressione suggerita dal CEB-FIP [6]. In Figura 6 è mostrato l’incremento di duttilità al variare del parametro J ; le curve a tratto continuo sono riferite ai risultati ottenuti con il modello SM, quelle in tratteggio si riferiscono al modello ANV; infine la curva di maggiore spessore rappresenta la previsione del CEB-FIP [6]. I risultati evidenziano che le prescrizioni normative risultano conservative, se confrontate con le soluzioni ottenute dai modelli ANV ed SM, solo per grandi valori di sforzo normale specifico n (i quali rappresentano le condizioni di lavoro più comuni per gli elementi da rinforzare). Il modello ANV fornisce valori dell’incremento di duttilità di poco superiori a quelli forniti dal CEB-FIP, almeno per sforzi normali elevati ed in tutto il campo di valori di J . Nel caso di scarsa compressione ( n d 0.30 ) ed elevato grado di confinamento, le curve relative ai modelli per kH 1.00 sono conservative rispetto alla (12). E’ importante osservare che molte curve sono accomunate da una stessa forma, con un tratto iniziale ascendente e parabolico, seguito da un ramo sub-orizzontale. Questo andamento, che si ripete per tutti i valori di kH , indica che oltre un preciso valore del parametro J ! J eff , l’ulteriore aggiunta di tessuto non apporta alcun incremento di duttilità. Fisicamente il valore di J eff segna la condizione di passaggio tra le due possibili tipologie di rottura della sezione: con J  J eff il collasso si ha per schiacciamento nella fibra di calcestruzzo maggiormente compressa, invece con J ! J eff la crisi si verifica per eccessiva deformazione dell’armatura tesa. In quest’ultima condizione è evidente che all’incremento di tessuto non corrisponde alcun aumento della duttilità in rotazione della sezione. 7. CONCLUSIONI Le analisi numeriche illustrate indicano che i modelli proposti in letteratura sono poco coerenti nel riprodurre il comportamento di elementi in calcestruzzo scarsamente confinato con FRP. La modesta quantità di dati sperimentali presenti in letteratura relativa a queste

803

condizioni di rinforzo si rivela la principale causa di tale discordanza di risultati. Dopo aver introdotto un parametro di confinamento J , in grado di discriminare le caratteristiche della curva f c'  H c , sono stati individuati i limiti del campo di valori dei parametri geometrici e meccanici all’interno del quale il dispositivo di rinforzo in FRP è in grado di assicurare un comportamento costitutivo di tipo hardening. Si è mostrato che le relazioni suggerite dal Bullettin 14 del CEB-FIP [6] per la previsione dell’incremento di duttilità indotto dalla fasciatura con tessuto, forniscono risultati non conservativi per valori piccoli dello sforzo normale e grandi del parametro J e del fattore di efficienza kH . Inoltre si è individuata l’esistenza di un valore limite della quantità di fibra da utilizzare come fasciatura, oltre il quale non si ottengono significativi incrementi di duttilità.

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804

Sessione VII: Degrado e durabilità dei materiali

805

806

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

Disgregazione delle malte antiche M. R. MIGLIORE1, F. S. LETIZIA1 1

Dipartimento di Ingegneria Civile, Seconda Università degli Studi di Napoli

SOMMARIO Il problema di conservazione delle malte, in particolare di quelle degli edifici dei centri storici di grande attrazione turistica e culturale, è fortemente connesso al quotidiano sovrapporsi, alle problematiche intrinseche del degrado per vetustà, dei fenomeni di vibrazione di lunga durata e di carattere uniforme, quali ad esempio quelli connessi con il traffico, l’impiego di attrezzature di perforazione o di demolizione, con gli scavi in sotterraneo per la costruzione di gallerie ed infine con le quantità di energia che si sprigionano dal sottosuolo attraverso i cosiddetti microsismi che accompagnano il bradisismo. L’effetto delle suddette sollecitazioni dinamiche è inoltre amplificato dall’azione di tipo chimico fisico dei prodotti della combustione veicolare, industriale, dei riscaldamenti etc., che concorrono alla disgregazione delle malte. ABSTRACT The problem of the conservation of the mortars, particularly of those present in the antique buildings positioned in the historical centres of big tourist and cultural attraction, is strongly connected to the daily overlapping, to the intrinsic problems due to the degradation, of phenomenon’s of durable and uniform vibrations, like, ad example, those connected to the urban traffic, to the use of perforating and demolishing machines, to the underground mining and finally to the quantities of energy that are given out from subsoil by means of the so called micro seisms that accompany the bradyseism. The effect of the above-mentioned dynamic stress is, furthermore, amplified by the chemical and physic action of the vehicular, industrial combustion products that contribute to the disgregation of the mortar.

1. INTRODUZIONE Il lavoro prende le mosse da questa esigenza conservativa: definire un micromodello meccanico per un’analisi dinamica congruente con la rappresentazione di una malta antica quale agglomerato monogranulare coesivo. Il problema appare di grande attualità, con riferimento agli edifici dei centri storici ed a quelli monumentali in particolare, specie ove si consideri che situazioni di pericolo del tipo

807

accennato possono sovrapporsi a pregresse carenze dovute ad incuria ed abbandono, quando non addirittura ad imponenti episodi di dissesto o danneggiamento. Con il presente lavoro gli autori hanno definito un modello fisico elementare, al cui comportamento meccanico limite possa ricondursi quello di un agglomerato monogranulare coesivo, e quindi quello di una malta che ad esso è in qualche modo assimilabile.

C

A

C'

B

Figura 1: Il modello trisferico utilizzato per la caratterizzazione delle malte

Si ipotizza che il materiale sia costituito da elementi di dimensioni non troppo variabili in modo tale da poterli considerare come un insieme di sfere dello stesso raggio r e stesso peso specifico J e si studia il sistema meccanico elementare costituito da tre sfere lisce, infinitamente rigide ed aventi lo stesso raggio, disposte nella posizione di massima densità ovvero i centri delle tre sfere sono disposti ai vertici del triangolo equilatero con lati di lunghezza pari al doppio del raggio (figura 1). La sfera superiore è soggetta ad uno sforzo verticale, ad un’azione tagliante orizzontale, al peso proprio, ad una forza di richiamo esercitata da un tirante elastico che simula, con buona aderenza alla la realtà, il legame coesivo tra le sfere, ed infine da un impulso di carattere dinamico rappresentato da uno spostamento w avente legge sinusoidale. Con riferimento ai carichi suddetti è stata ricavata la legge del moto utilizzando come parametro caratterizzante il moto della sfera superiore rispetto alle due inferiori la coordinata M che rappresenta l’inclinazione, al generico istante t, del segmento congiungente il centro della sfera superiore con quello di una inferiore rispetto alla sua posizione in condizione di quiete. Si è arrivati infine a definire l’andamento del valore limite del parametro lagrangiano prescelto rispetto alla frequenza di vibrazione del sistema fisico cui si è fatto riferimento.

2. ANALISI DINAMICA DI AGGLOMERATI MONOGRANULARI COESIVI Lo studio dinamico del suolo è fatto nell’ipotesi di agglomerato uniforme coerente. Le sfere rigide sono collegate tra loro da tiranti elastici, che schematizzano l’effetto della coesione. Il modello proposto, nonostante la sua semplicità, si presta bene ad un primo approccio nello studio dinamico dei terreni, con particolare riferimento agli effetti prodotti dal sisma ovvero la diminuzione delle caratteristiche meccaniche quali angolo d’attrito e coesione. Il modello di terreno trisferico cui si fa riferimento è rappresentato in fig. 2.

808

wc

C' 2R

2R

T

C

vc N

A O

B

2R

Figura 2: Modello trisferico

e viene studiato sotto l’azione di un impulso di carattere sismico rappresentato da uno spostamento, avente legge sinusoidale, del tipo:

'K sin Z p t

'w p

(1)

della sfera di centro C rispetto alle due sfere di centro A e B considerate fisse. Trattando i moti di piccola ampiezza possiamo scrivere le componenti, vc e wc , dello spostamento del centro C, nonché l’allungamento 'l

AC  AC ' .

(2)

Risulta infatti: vc

S §S · 2 R sin ¨  M ¸  2 R sin 3 3 © ¹

 2 R sin  2R

3 2

S

2 R

3

2 R sin

3 1 cosM  sin M  2 2

>

R 3 1  cosM  sin M

809

@

S 3

S

cos M  cos sin M  3

(3)

2 R cos

wc 2

S

§S ·  2 R cos¨  M ¸ 3 ©3 ¹

S R ª S º  2 R «cos cos M  sin sin M » 2 3 3 ¬ ¼

§ cos M · 3 R  2 R¨¨  sin M ¸¸ 2 © 2 ¹

.



R 1  cos M  3 sin M

(4)



Nell’ipotesi di piccoli spostamenti può porsi cos M # 1 

M2 (5)

2

sin M # M

e dalle (3), (4) si ottiene vc wc

> R 1  cos M 

@ > M  0.866M @ . 3 sin M >1.732M  0.5M @

R 3 1  cos M  sin M

2

2

(6)

Inoltre, considerando che il modello è soggetto ad impulso di carattere sismico rappresentato dallo spostamento 'w p 'K sin Z p t , allora le (6) diventano:

vc wc

>

R 3 1  cosM  sin M



R 1  cos M  3 sin M

@



ª 3 2º M » « M  2 ¬ ¼ . 2 ª M º « 3M  2 »  'K sin Z p t ¬ ¼

(7)

Trascurando i termini di ordine superiore al primo si perviene a v c c w

ª 3 º R « M  2 MM » R  M  3MM #  RM 2 , ¬ ¼ R 3M  MM  'K sin Z p t # 3RM  'K sin Z p t

>



@



Con riferimento a quanto già esposto da altri autori l’allungamento 'l vale (figura 3)

810

(8)

C'

C

/3- /2

/3+

/3- /2

B

A Figura 3: Dl calcolato come AC’-AC

§S M · 2 ˜ 2 R cos¨  ¸  2 R ©3 2¹ S M S M · § 2 R¨ 2 cos cos  2 sin sin  1¸ 3 2 3 2 ¹ © § 1 M M · 3 2 R¨¨ 2 ˜ cos  2 ˜ sin  1¸¸ 2 2 2 ¹ © 2 M M · § 2 R¨ cos  3 sin  1¸ 2 2 ¹ © 2 § 1 §M · § 3 M · 1 · M  M 2 ¸¸ 2 R¨1  ¨ ¸  3  1¸ 2 R¨¨ ¨ 2© 2¹ ¸ 2 2 8 ¹ © © ¹

'l

.

(9)

1 · § R¨ 3M  M 2 ¸ # 3RM 4 ¹ ©

L’espressione della funzione di Lagrange è

L

T  Et ,

(10)

essendo Et l’energia potenziale totale e T l’energia cinetica e risultando T

1 mv 2 2

1 1 c mv c  mw 2 2



m 2 4R 2M 2  ǻȘ 2 Ȧ p cos 2 Ȧ p t  2 3RǻǻȘ pMcosȦ p t 2

811



(11)

Et

LP.

(12)

L’energia potenziale P può essere scritta come P

 N ˜ v c  T.w c

(13)

mentre per l’energia di deformazione L risulta

L

1 k'l 2  C 0 ǻl 2

(14)

dove k rappresenta l’elasticità del tirante che schematizza la coesione dell’agglomerato. Dalle (12), (13), (14), tenuto conto delle (7), (9) risulta: 1  Nvc  Twc  k'l 2  Co 'l 2 § § 3 2· M2 · M ¸¸  TR¨¨ 3M  ¸¸   NR¨¨  M  2 2 ¹ © © ¹ 3  T'K sin Z p t  kR 2M 2  3C0 RM 2 Et

(15)

Noti che siano i valori di T ed Et può calcolarsi la funzione di Lagrange come

L

T  Et





m 2 4 R 2M 2  'K 2Z p cos 2 Z p t  2 3R'KZ pM cos Z p t  2 , § § 3 2· M2 · M ¸¸  TR¨¨ 3M  ¸¸  T'K sin Z p t   NR¨¨  M  2 2 ¹ © ¹ © 3  kR 2M 2  C0 3R 2

(16)

e l’equazione di Hamilton

d wL wL  dt wM wM

0

(17)

porge





4 R 2 mM  3kR 2  3C0 R  3 NR  TR M 2 p

3mR'KZ sin Z p t  T'KZ p cos Z p t  NR  3TR Fatte le posizioni

812

.

(18)

J 4

m

g3

SR 3

N

4 R 2V

T

2

(19)

4R W

dalla (15) si ottiene

M2  Z 2M

a sin Z p t  b cos Z p t  d

(20)

essendo:

Z2

se

(21)

9 k 3 3 C0 3 3 3   V  W ! 0 , ovvero 16 SR 16S R 2 4S 4S

Z2

se

g § 9 k 3 3 C0 3 3 3 · ¨   V  W ¸¸ 4S 4S ¹

JR 2 ¨© 16 SR 16S R 2



g § 9 k 3 3 C0 3 3 3 · ¨   V  W ¸¸ 2 ¨ 2 4S 4S ¹ JR © 16 SR 16S R

(22)

9 k 3 3 C0 3 3 3   V  W 0 2 16 SR 16S R 4S 4S

e ancora a b d

2 3 'KZ p R 4 3 g 'KZ pW 4S JR 3



(23)

g § 3 3 3 · ¨ V W¸ 4S ¸¹

JR 2 ¨© 4S

L’integrale generale associato alla (17), fissate le condizioni iniziali

M 0 M t 0 0 M 0 M t 0 0 risulta essere

813

(24)

M 

se

 d

Z2

§ ·· Z § 1 ¨ b cos Zt  cos Z t  a p ¨ sin Zt  Z sin Z t ¸ ¸ p p 2 ¨ ¸¸ Z Zp © Z ¨© Zp ¹¹ 2

(25)

cos Zt  1

9 k 3 3 C0 3 3 3   V  W !0 2 16 SR 16S R 4S 4S

ovvero

M

1

ª §Zp ·º sinh Zt  sin Z p t ¸¸»  « d  b cosh Zt  a¨¨ Z © ¹¼

Z p2  Z 2 ¬

ª § Z p2 º · 1  2 d ¨ 2 cosh Zt  1  1¸  b cos Z p t » 2 « ¨ ¸ Z p  Z ¬« © Z ¹ ¼»

se

(25’)

9 k 3 3 C0 3 3 3   V  W 0. 2 16 SR 16S R 4S 4S

Nota l’espressione di M è possibile diagrammare tale parametro e ricavarne il valore massimo M max . L’ampiezza limite M lim cui corrisponde convenzionalmente la rottura dell’agglomerato è il valore minimo tra

S

, cui corrisponde lo scavalcamento della sfera 6 superiore rispetto alle due inferiori considerate fisse, e il valore dell’angolo cui corrisponde l’allungamento limite nel tirante. Note che siano M max e M lim si può procedere agevolmente ad una verifica dell’agglomerato sottoposto ad azione sismica, verificando, cioè, che il valore massimo di M non superi il valore dell’angolo limite M lim , tenuto conto di un adeguato coefficiente di sicurezza. A mo’ di esempio consideriamo il caso di un agglomerato monogranulare del tipo limo sabbioso con elementi del diametro di un millimetro, soggetti all’azione di uno sforzo verticale N, dovuto al peso del materiale sovrastante. Ipotizziamo inoltre che l’agglomerato presenti una coesione di 10 Kg cm 2 e sia soggetto ad un azione dinamica caratterizzata da un 'K pari a 0,5 mm. Definiti tutti i parametri in gioco, la legge del moto risulta essere funzione esclusivamente del tempo t e della profondità z tramite il termine V posto pari a J ˜ z . Fissata, allora una profondità di un metro è stato ricavato l’andamento nel tempo del parametro M e della su derivata M (figure 4, 5):

814

0.04

0.03

0.02

0.01

0.001

0.002

Figura 4: Andamento di

0.003

M

0.004

0.005

0.006

nel tempo fissata una profondità z

400

200

0.001

0.002

0.003

0.004

0.005

0.006

-200

-400

Figura 5: Andamento di tempo

M

nel

Facendo sempre riferimento ai dati definiti in precedenza e stato ricavato l’andamento del valore massimo raggiunto dall’angolo M nel tempo M max , durante l’oscillazione della sfera di centro C, in funzione della profondità (figura 6). E’ evidente dal grafico di figura 5 che l’entità di M max tende a diminuire con la profondità, il che è aderente alla realtà in ragione di un irrigidimento del suolo in profondità in virtù del peso del materiale sovrastante. Al limite, all’aumentare di z, M max tende a valori minimi, a significare che, oltre certe profondità, a causa dell’effetto di compattamento del terreno sovrastante, il movimento relativo tra i grani e fortemente inibito.

815

f max [°]

30

25

20

figura 5: Andamento di fmax con la profondità z 15 .

10

5

0 0

2

4

6

8

10

12

14

z[m ]

Figura 6: Andamento di

M max

con la

BIBLIOGRAFIA [1] Druker B. C., Coulomb friction, plasticity and limit loads, Journal of Applied Mechanics, pp.71-74, 1954. [2] Franciosi V., Migliore M. R., Sul calcolo a rottura dei terrapieni,Giannini: Napoli, 1981. [3] Marotti De Sciarpa F., Migliore M. R., Analisi dinamica di terreni fortemente coesivi, Giornale del genio civile 1990. [4] Kim J., Salgano R., Lee J., Stability analysis of complex soil using limit analysis, Journal of geotechnical and geoenvironmental engineering, pp.546-557, 2002. [5] Franciosi V., Migliore M. R., Il calcolatore programmabile portatile nella verifica allo scorrimento delle scarpate, Rivista Italiana di Geotecnica, Anno XIV, N. 4, E.S.I., Napoli,1980. [6] Ariani L, Agglomerati monogranulari coesivi sottoposti a microsismi: primi risultati sperimentali, Restauro, 1984.

816

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CALCESTRUZZI AD ALTE PRESTAZIONI (HPC): DURABILITÀ E PROPRIETÀ MECCANICHE F. CREA1 , P. FRONTERA2 , S. MARCHESE1 , P.L. ANTONUCCI2 1

Dipartimento di Ingegneria Chimica e dei Materiali, Università della Calabria, Cosenza 2 Dipartimento di Meccanica e Materiali,Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria SOMMARIO In questo lavoro è stata studiata l’influenza di vari tipi di zeoliti sintetiche sulla lavorabilità, sulle proprietà meccaniche e sulla durabilità di malte cementizie e calcestruzzi. Nella prima serie di esperimenti sono state realizzate malte cementizie sostituendo parte del cemento, il 10% in peso, con materiale zeolitico. La seconda serie di esperimenti ha riguardato la preparazione di calcestruzzi ad alte prestazioni. Nel confezionamento dei provini sono state utilizzate tre forme diverse di zeoliti commerciali a basso rapporto Si/Al, con diverso contenuto di alcali e in particolare zeolite 5A (LTA), zeolite 13X (FAU) e zeolite 13X calcica. Inoltre, sono stati utilizzati due tipi di cemento con differente contenuto di clinker: CEM I 42,5R, CEM III/A-S 42,5N. Tutti i provini sono stati curati in acqua alla temperatura di 20o C per 2, 7 e 28 giorni. I risultati dei provini (malte e calcestruzzi) confezionati con zeolite sono stati confrontati con quelli realizzati utilizzando silica fume, un materiale fine utilizzato nella preparazione dei calcestruzzi ad alte prestazioni.

1. INTRODUZIONE

I calcestruzzi ad alte prestazioni (HPC) individuano una classe di conglomerati cementizi caratterizzati da prestazioni superiori rispetto a quelle di un normale conglomerato, sia in termini di resistenza meccanica che di altre proprietà inerenti lo stato lavorabile e 1o stato solido nonché in termini di durabilità in ambienti aggressivi. In una definizione data dal comitato misto delle due associazioni internazionali FIP (Federation Internationale de la Précontrainte) e CEB (Comité Eurointernational du Beton), la durabilità è espressa come “attitudine di un’opera a sopportare agenti aggressivi di diversa natura mantenendo inalterate le caratteristiche meccaniche e funzionali. Purtroppo per anni è prevalsa la convinzione che il calcestruzzo fosse “un materiale generoso, capace di perdonare molti errori”, conseguenza di ciò risulta essere il 50% del degrado delle strutture attuali, attribuibile al cattivo confezionamento del calcestruzzo, realizzato in modo scadente e con materiali non sempre idonei, per questo facilmente attaccabile chimicamente. Le cause del degrado delle strutture in calcestruzzo suddivisibili in esterne, dovute principalmente alle condizioni ambientali ed interne, dovute cioè alla sua qualità sono: chimiche, ossia l’attacco dei solfati, dei solfuri, dell’anidride carbonica, dei cloruri (sui ferri di armatura), altri (sali di ammonio, magnesio, sostanze organiche); fisiche, ossia gelo-disgelo,

817

essiccazione (ritiro), alte temperature; meccaniche, ossia abrasione, erosione, cavitazione; costitutive del materiale, ossia la composizione del calcestruzzo (rapporto acqua/cemento e rapporto aggregato/cemento), la qualità delle materie prime (cemento, aggregati, acqua, additivi), la lavorabilità, la stagionatura del calcestruzzo. La presa di coscienza della non infallibilità del calcestruzzo avvenuta nei tempi relativamente recenti, ha spinto la ricerca allo studio di soluzioni atte alla prevenzione del fenomeno di degrado e al ripristino delle strutture danneggiate, nonché al convincimento che, smantellare o restaurare un’opera in calcestruzzo è spesso molto più costoso che non progettarla con adeguati accorgimenti. In quest’ottica rientra la produzione di calcestruzzi ad alte prestazioni[1]. Le loro proprietà allo stato indurito sono attribuibili [2]: • ad una maggiore finezza di macinazione del cemento e un maggior contenuto di silicato tricalcico (C 3 S), che contribuiscono all’incremento della resistenza meccanica; • all’uso di additivi superfluidificanti che hanno permesso di ridurre drasticamente il valore del rapporto acqua/cemento senza penalizzare le capacità reologiche del calcestruzzo; • alla disponibilità della silica fume che per la ridotta dimensione dei granuli (< 0,1 µm) consente di ridurre la porosità della pasta di cemento e di migliorare la qualità della matrice all’interfaccia pasta-aggregato grazie alla diminuzione dell’effetto bleeding. La silica fume è un materiale di importazione (Svezia, Norvegia, ecc.) avente una bassa massa volumica apparente, che viene usualmente abbattuta in acqua (circa il 50%) nella quale viene trasportata [3]. Conseguentemente il trasporto, in paesi molto distanti dai luoghi ove si rende disponibile, come l’Italia, rende il suo costo elevato, per questa ragione l’obiettivo del presente lavoro riguarda la realizzazione di calcestruzzi HPC sostituendo la silica fume con materiali cristallini silicoalluminatici a struttura zeolitica, con dimensioni delle particelle tra 0,05 e 5 µm, facilmente reperibili nel mercato italiano [4,5]. Inoltre allo scopo di ottimizzare ulteriormente il costo degli HPC si è valutata la possibilità di realizzare tali calcestruzzi usando cementi di miscela .

2. PARTE SPERIMENTALE 2.1. Caratterizzazione de i materiali Nella realizzazione dei provini di malta e di calcestruzzo ad alte prestazioni sono stati utilizzati i seguenti materiali: acqua potabile; aggregati alluvionali conformi alla normativa UNI EN 12620 e UNI 8520 con diametro massimo inferiore a 16 mm; cemento Portland CEM I 42,5R con contenuto di clinker > 95% (UNI EN 197/1), cemento d’altoforno CEM III/A 42,5N con contenuto di clinker compreso tra il 35% e il 64% e contenuto di loppa tra il 36% ed il 65% (UNI EN 197/1); zeoliti commerciali a basso rapporto Si/Al e in particolare zeolite 5A (LTA) con dimensione delle particelle compresa tra 1-5 µm (Figura 1a), zeolite 13X (FAU) (Figura 1b) e zeolite 13X calcica (contenente ioni calcio); silica fume (SF) (nome commerciale MAPEPLAST SF, prodotta e dis tribuita da MAPEI); sabbia standardizzata secondo la UNI EN 933-3; additivo superfluidificante a base acrilica (nome commerciale ERGOMIX 180 prodotto e distribuito da Ruredil).

818

b

a

Figura 1. a)Micrografia della zeolite 5A b)Micrografia della zeolite 13X

2.2. Preparazione delle malte Le malte sono state realizzate preparando delle miscele con il cemento e sostituendo parte di esso, il 10% in peso, con materiale zeolitico o con silica fume. Le miscele sono state preparate conformemente alla normativa UNI EN 196-1. Quindi sono stati realizzati per ogni impasto 6 provini prismatici di dimensioni 40x40x160 mm, e dopo stagionatura, a 20°C ed U.R.>95% per tempi 2, 7 e 28 giorni, sono state saggiate le resistenze sia a compressione che a flessione in accordo alla UNI EN 196-1. 2.3. Preparazione dei calcestruzzi Sono stati realizzati provini in calcestruzzo 100x100x100 mm, dosati a 500 kg/m3 di cemento utilizzando un rapporto acqua/cemento pari a 0,35. Sono stati utilizzati aggregati alluvionali tondeggianti del diametro massimo inferiore ai 16 mm. Le aggiunte delle diverse zeoliti e della silica fume sono state sempre del 10 % rispetto al peso del cemento. In tutti i calcestruzzi è stato aggiunto l'1,5 % in peso rispetto al cemento, di additivo superfluidificante. I provini sono stati rimossi dalle casseformi dopo 24 ore e stagionati in acqua alla temperatura di 20°C prima di testarne le resistenze meccaniche. La composizione della miscela per la preparazione del calcestruzzo è mostrata in Tabella 1. Composizione della miscela (Kg/m3 ) a/c Zeolite Acqua Cemento Sabbia Aggregato 0,35 50 175 500 693 1040

Superfluidificante 5

Tabella 1. Composizione della miscela

2.5. Caratterizzazione e test Sui provini di malta si è valutata la resistenza a compressione a 2, 7, 28, giorni, mentre su quelli di calcestruzzo a 2, 7, 28, 180 giorni usando una pressa (MATEST in accordo con la UNI 6686) con un gradiente di carico pari a 1000 N/mm2 sec. Inoltre nella preparazione del calcestruzzo sono state valutate la lavorabilità allo stato fresco, in accordo alla UNI 9418, e la durabilità secondo le UNI 7928 (determinazione della penetrabilità dello ione cloruro), UNI 8019 (determinazione della penetrabilità dello ione solfato, UNI 9944 (determinazione della profondità della carbonatazione), UNI 7087 determinazione della resistenza alla degradazione per cicli di gelo e disgelo. Termine di paragone sono stati calcestruzzi realizzati con uguale aggiunta in peso di silica fume commerciale e calcestruzzi realizzati con solo cemento.

819

3. RISULTATI E DISCUSSIONE 3.1. Proprietà delle malte I risultati delle prove di resistenza a compressione delle malte sono mostrati nella Tabella 2. Cemento (90%) CEM I

CEM III

Sostituzione (10%) --

Rc (MPa) 2 giorni 22,43

Rc (MPa) 7 giorni 26,45

Rc (MPa) 28 giorni 40,93

ZEOLITE 13X ZEOLITE 13X calc

19,10 21,47

28,33 38,98

39,51 46,52

ZEOLITE 5A

25,90

33,41

39,10

SILICA FUME --

20,85 15,70

32,71 23,52

43,54 42,51

ZEOLITE 13X ZEOLITE 13X calc

14,61 16,12

24,76 22,54

39,87 43,98

ZEOLITE 5A

22,33

32,65

40,83

SILICA FUME

14,51

22,96

40,01

Tabella 2. Resistenze a compressione delle malte

La sostituzione del 10% di zeolite al CEM I 42,5 R migliora le prestazioni meccaniche dei provini di malta a 7 giorni. L’incremento delle prestazioni meccaniche con la silica fume, rispetto al cemento tal quale, è confermato dai dati riportati in letteratura [6-8]. I migliori risultati sia alle brevi che alle lunghe stagionature sono stati ottenuti con la zeolite 13X calcica. Nei provini confezionati con il CEM III/A-S è da sottolineare che la parziale sostituzione della zeolite 5A migliora sensibilmente il comportamento meccanico del cemento III/A-S 42,5 N , rendendolo paragonabile ad un cemento Portland alle brevi stagionature. Alle lunghe stagionature invece i provini mostrano una resistenza meccanica a compressione simile ai provini confezionati con il solo CEM III/A 42,5 N. Si nota come l’effetto del 10% di silica fume non sia significativo. I migliori risultati di resistenza meccanica a 28 giorni di stagionatura si sono ottenuti per i provini realizzati con la zeolite 13X calcica. Il miglioramento della resistenza meccanica a compressione dovuto alla sostituzione delle zeoliti ed alla silica fume può essere attribuito ad un migliore legame aggregato – pasta cementizia associato ad una zona di transizione meno porosa e ad un miglior riempimento interstiziale. Inoltre i materiali zeolitici con ioni di calcio giocano un ruolo importante nel miglioramento del legame fra sabbia e pasta cementizia attraverso una maggiore formazione di idrati di calcio come mostrato dalla analisi microscopica (Figura 2). Tale comportamento dei materiali zeolitici è da attribuire alla loro attività pozzolanica, che dipende dalla presenza di silice ed allumina che reagiscono con la portlandite liberata durante l’idratazione del cemento, convertendolo in silicati e alluminati di calcio idrati. Come risultato globale la microstruttura della matrice cementizia risulta migliorata e diventa più resistente.

820

Figura 2. Micrografia dei silicati di calcio idrati fibrosi nei provini di malta confezionati con la zeolite 5A (LTA)

3.2. Proprietà del calcestruzzo fresco Le miscele di calcestruzzo appena confezionate sono state sottoposte alla misurazione della lavorabilità attraverso la prova standard di abbassamento al cono “slump test”, i cui risultati sono illustrati nella figura 3.

CEMI CEMIII

240

Abbassamento al cono,cm

220 200 180 160 140 120 100 80 60 40 20 0 Tal quale

13X

13Xcalcica

5A

silica fume

Figura 3. Lavorabilità degli impasti realizzati con CEM I 42,5 R, CEM III/A-S 42,5 N ed il 10% dei diversi tip i di aggiunta

Tutte le miscele di calcestruzzi realizzate con le zeoliti esibiscono un elevato abbassamento al cono. In particolare le miscele preparate con le zeoliti sono più lavorabili rispetto quelle preparate con la silica fume. Ciò è probabilmente è imputabile alla presenza di una piccola quantità di acqua nelle zeoliti (circa il 20% in peso), che viene rilasciata dal reticolo zeolitico durante le reazioni di idratazione. Tutti gli impasti realizzati non presentano tendenza alla segregazione o a fenomeni di bleeding ciò è causato dall’elevato dosaggio di materiali finissimi (cemento, zeoliti o silica fume).

821

3.3. Proprietà del calcestruzzo indurito I risultati delle prove di compressione sui provini cubici di calcestruzzo effettuate per analizzare l’andamento delle resistenze nel tempo delle differenti miscele di calcestruzzo sono riportati nelle Figure 4-5. Nelle miscele di calcestruzzo realizzate con CEM I 42,5R, l’aggiunta di zeoliti ha determinato un incremento delle resistenze a compressione. L’utilizzo di zeolite 13X calcica, ha assicurato alla miscela di calcestruzzo le prestazioni migliori. L’ incremento di resistenza che si realizza con i calcestruzzi contenenti materiali zeolitici si spiega con il miglioramento dei legami presenti nella zona di transizione tra cemento e aggregati, indotto da una combinazione di effetto riempitivo e pozzolanico da parte delle zeoliti. Nelle miscele di calcestruzzo realizzate con CEM III/A 42,5N, l’aggiunta di zeoliti ha determinato incrementi di resistenza alle brevi stagionature, per poi ottenere nel tempo prestazioni equivalenti indipendentemente dal tipo di aggiunta. Tale fenomeno è stato particolarmente accentuato dalle zeoliti 5A e 13 X, infatti per i provini di calcestruzzo realizzati con questi materiali si osservano incrementi di resistenza rispetto ai provini realizzati senza alcuna aggiunta maggiori del 10%, soprattutto alle brevi stagionature. Ciò è causato da una maggiore presenza di alcali (in particolare di cationi sodici) nelle zeoliti che accelera il processo di attivazione della loppa contenuta nel cemento di tipo III/A-S. 80

Resistenza a compressione MPa

70 60

talquale 13X 13xcal 5A silicafume

50 40 30 20 10 0 0

20

40

60

80

100

giorni

Figura 4. Resistenze a compressione dei provini di calcestruzzo realizzati con il CEM I 42,5 R ed il 10% delle varie aggiunte 80

Resistenza a compressione MPa

70 60 50 40

talquale 13X 13xcal 5A silicafume

30 20 10 0 0

20

40

60

80

100

giorni

Figura 5. Resistenze a compressione dei provini di calcestruzzo realizzati con il CEM III/A 42,5 N ed il 10% delle varie aggiunte

822

3.4. Durabilità del calcestruzzo Le prove effettuate hanno riguardato la verifica dei fenomeni di deterioramento chimico e fisico delle varie miscele di calcestruzzo seguendo le indicazioni prescritte dalle normative UNI. Le prove chimiche effettuate sono state le seguenti: determinazione della penetrabilità dello ione solfato (UNI 8019), determinazione della penetrabilità dello ione cloruro (UNI 7928), determinazione della profondità di carbonatazione (UNI 9944). La prova fisica effettuata è stata la seguente: determinazione della resistenza alla degradazione per cicli di gelo e disgelo (UNI 7087).

4,0

Profondità di penetrazione,mm

3,5

CEMI CEMIII

3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 0,5 0,0 tal quale

13X

13xcalcica

5A

silica fume

Figura 6. Profondità di penetrazione dello ione solfato nei provini di calcestruzzo

Nelle prove di esposizione allo ione solfato si è riscontrato che i provini confezionati con cemento di tipo III/A-S 42,5 N e aggiunta di fumo di silice o zeolite 13X sono state le più impermeabili alla penetrazione dello ione solfato. (Figura 6) Si è inoltre riscontrato che i provini di calcestruzzo contenenti il cemento CEM III/A 42,5N hanno subito la minore penetrazione dello ione cloruro, ed in particolare quelli contenenti la zeolite 13X hanno esibito un’elevata impermeabilità.(Figura 7)

14

CEMI CEMIII

Profondità di penetrazione, mm

12

10

8

6

4

2

0 tal quale

13X

13xcalcica

5A

silica fume

Figura 7. Profondità di penetrazione dello ione cloruro nei provini di calcestruzzo

823

Si è inoltre determinata la profondità di carbonatazione, in tale prova tutti i calcestruzzi realizzati si sono dimostrati inattaccabili, manifestando la compatibilità delle zeoliti con i cementi e gli additivi utilizzati. Le prove fisiche sono state eseguite su provini di calcestruzzo sottoposti ad escursioni termiche standardizzate. L’aggiunta delle zeoliti al pari dell’aggiunta della silica fume ha reso i provini meno permeabili all’acqua. In particolare, tutti i provini realizzati con il cemento CEM III/A-S 42,5N e con l’aggiunta di zeolite 13X calcica o fumo di silice hanno esibito le minori perdite di resistenze meccaniche dopo l’esposizione ciclica alle basse temperature.

Cemento

Aggiunta

CEM I CEM I CEM I

-13X 13Xcalcica

CEM I CEM I CEM III

Resistenza giorni [MPa]

180

Resistenza dopo i cicli di gelo e disgelo [MPa]

Variazione di resistenza[%]

68,77 67,56 72,92

54,24 62,42 70,51

-21,1 -7,6 -3,3

5A Silica fume --

68,20 73,10 72,6

61,08 71,13 61,55

-10,4 -2,7 -15,2

CEM III CEM III CEM III

13X 13Xcalcica 5A

71,73 78,73 73,27

70,21 77,91 69,75

-2,1 -1,0 -4,8

CEM III

Silica fume

79,44

78,56

-1,1

Tabella 3. Resistenza ai cicli di gelo e disgelo

4. CONCLUSIONI Il presente lavoro ha riguardato lo studio, la progettazione, la realizzazione di calcestruzzi ad elevate prestazioni con diversi materiali finissimi. In tale ambito sono state verificate le caratteristiche reologiche delle miscele allo stato fresco e confrontate le prestazioni meccaniche e di durabilità di calcestruzzi realizzati a parità di rapporto acqua/cemento con due tipi di cemento (CEM I 42,5 R e CEM III/A-S 42,5N). Dalle prove sperimentale condotte si evince che nella produzione di calcestruzzi ad alte prestazioni come riportato nella letteratura scientifica, un’aggiunta di particelle fini dell’ordine del 10% in peso rispetto al cemento, migliora le prestazioni dei conglomerati cementiti. In particolare l’aggiunta delle zeoliti è da considerarsi una valida alternativa all’utilizzo di fumo di silice. L’utilizzo delle zeoliti ha, infatti, in alcuni casi migliorato significativamente le prestazioni meccaniche delle miscele di calcestruzzo, e in particolare i calcestruzzi realizzati con la zeolite 13x calcica esibiscono soprattutto alle brevi stagionature resistenze meccaniche superiori agli altri calcestruzzi. I calcestruzzi realizzati non hanno esibito resistenze meccaniche a compressione maggiori di 80 MPa per la scarsa qualità degli aggregati realizzati [8], comunque hanno mostrato significative resistenze agli attacchi degli agenti aggressivi ed ai cicli di gelo e disgelo.

824

Nelle prove di carbonatazione tutti i calcestruzzi realizzati si sono dimostrati inattaccabili, dimostrando la compatibilità delle zeoliti con i cementi e l’ additivo utilizzato. In conclusione si può ritenere che l’impiego dei materiali zeolitici sperimentati costituisce una valida alternativa alla silica fume per la realizzazione di calcestruzzi durevoli ad elevate prestazioni. Ringraziamenti Si ringrazia la UOP M.S. S.r.l. di Reggio Calabria, per il materiale zeolitico fornito per lo svolgimento di questa ricerca. Bibliografia [1] P.C. Aïtcin, The durability characteristics of high performance concrete: a review, Cement and Concrete Composites, vol. 25, p.p. 409-420 (2003). [2] E. G. Nawy, Fundamentals of high strength high performance concrete, Ed. Longman Group, England, (1996). [3] M. Maage, “ Come nacque il fumo di silice“, Enco Journal, n.°18, 2001. [4] A. Dyer, An Introduction to Zeolite Molecular Sieves, Chichester, Wiley 1988. [5] W.M. Meier, D. H. Olson, Atlas of Zeolite Structures Types, Structures Commission of the International Zeolite Associations, 4th revised edition, London Elsevier, 1996. [6] V. Yogendran, B.W. Langan, M.N. Haque, M.A. Ward, Silica fume in high strength concrete, ACI Mater. J. 84 (2) (1982) 124– 129. [7] S.A. Khedr, M.N. Abou-Zeid, Characteristics of silica-fume concrete, J. Mater. Civ. Eng. ASCE 6 (3) (1994) 357–375. [8] A. Cetin, R.L. Carrasquillo, High-performance concrete: influence of coarse aggregates on mechanical properties, ACI Mater. J. 95 (3) (1998) 252– 261.

825

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MONITORAGGIO DELLA CORROSIONE NELLE STRUTTURE IN CALCESTRUZZO ARMATO PRECOMPRESSO M. ORMELLESE 1, L. LAZZARI 1, P. PEDEFERRI 1 1

Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica "G. Natta", Politecnico di Milano

SOMMARIO La corrosione localizzata, provocata dai cloruri, di tiranti o trefoli impiegati nelle costruzioni in calcestruzzo armato precompresso o post-teso può portare a fenomeni di infragilimento da idrogeno sugli acciai ad alto snervamento con conseguente rottura dei cavi e rischi di crollo della struttura stessa. Non essendo possibile monitorare direttamente l’infragilimento da idrogeno, una soluzione potrebbe essere quella di monitorare l’innesco della corrosione localizzata mediante misura del potenziale di corrosione libera. Da più di tre anni è in corso presso il Politecnico di Milano una ricerca al fine di mettere a punto di un sistema di elettrodi di riferimento per il monitoraggio in continuo delle condizioni di potenziale dei trefoli contenuti all’interno delle guaine. Sono state realizzate diverse prove sperimentali, i cui risultati consento di affermare che il sistema proposto è in grado di rilevare e localizzare l’innesco della corrosione localizzata da cloruri. Nella memoria sono illustrate due possibili applicazioni: 1) monitoraggio della corrosione dei trefoli contenuti all’interno delle guaine polimeriche; 2) monitoraggio delle condizioni di corrosione e del livello di protezione catodica di un acquedotto in calcestruzzo armato precompresso.

1. INTRODUZIONE La corrosione delle armature nelle costruzioni in calcestruzzo armato o precompresso ha assunto dimensioni preoccupanti e investe diversi campi, dall’edilizia abitativa, agli edifici pubblici, alle infrastrutture autostradali e agli acquedotti in calcestruzzo. Come è noto, la penetrazione dei cloruri porta nel tempo all’innesco della corrosione localizzata con formazione di una cella occlusa al cui interno si genera un ambiente acido. Tale microclima può favorire lo sviluppo di idrogeno e portare a rottura per infragilimento da idrogeno degli acciai ad alta resistenza utilizzati per le strutture in calcestruzzo precompresso o post-teso, se suscettibili a tale forma di corrosione [1]. Il numero dei cedimenti dovuto a infragilimento da idrogeno, rapportato al numero di applicazioni degli acciai ad alta resistenza, rimane comunque molto basso e col passare degli anni continua a diminuire grazie all’impiego di materiali meno suscettibili e alla definizione e

827

standardizzazione in normative delle procedure di conservazione dei trefoli e dei cavi, e delle fasi da seguire durante la messa in opera. Peraltro ancora negli anni 90 si sono avuti diversi collassi strutturali di questo tipo, soprattutto in Germania, dove l’impiego di acciai temprati e rinvenuti, i più sensibili all’infragilimento da idrogeno, è stato in passato diffuso. Inoltre, per prevenire questo problema, negli ultimi 20 anni è stata posta attenzione alla fase di progetto e di costruzione delle strutture, con scelta di materiali adeguati e di efficaci sistemi di protezione aggiuntiva, come anche alla fase di monitoraggio e ispezione della struttura mediante tecniche non distruttive (emissioni acustiche o metodi magnetici) [23]. Attualmente, non è ancora stato proposto un metodo efficace per il monitoraggio della corrosione localizzata dei trefoli o dei cavi ad alta resistenza mediante misure di tipo elettrochimico. Infatti, non essendo possibile monitorare l’infragilimento da idrogeno, una soluzione potrebbe essere quella di monitorare l’innesco della corrosione localizzata mediante misura del potenziale di corrosione libera. Alcuni propongono invece di misurare il grado di isolamento elettrico dei tiranti rispetto alle armature esterne alla guaina: in tal caso si valuta l’integrità della guaina e solo indirettamente lo stato delle armature [1]. Mentre la misura di potenziale è effettuabile senza alcun problema sulle armature lente, si presenza abbastanza difficoltosa per le armature ad alta resistenza confinate in guaine polimeriche o metalliche. Nel 1995 Wietek ha proposto, per la misura del potenziale dei trefoli, l’impiego di un elettrodo di riferimento lineare continuo (LCRE), disposto lungo il trefolo e costituito da un filo di argento rivestito di cloruro di argento. Nel brevetto si rivendica che tale sistema è in grado di misurare l’innesco della corrosione localizzata sul trefolo, ovunque esso si manifesti [4]. Da un punto di vista pratico, tale soluzione è molto interessante, in quanto molto semplice. Tuttavia non esiste alcune evidenza sperimentale che ne avvalli il funzionamento, inoltre permangono dubbi sul significato della misura di potenziale mediante l’impiego di un filo, in quanto non esistono simili applicazioni in elettrochimica. Solitamente le misura di potenziale, effettuata con un elettrodo di riferimento standard, è di tipo puntuale e fornisce il valore di potenziale in corrispondenza alla superficie equipotenziale sulla quale è posizionato l’elettrodo. Impie-gando un filo sono invece intercettate diverse superfici equipotenziali, per cui risulta poco chiaro il valore di misura fornito. Da più di tre anni è in corso presso il Politecnico di Milano una ricerca al fine di mettere a punto di un sistema di elettrodi di riferimento per il monitoraggio in continuo delle condizioni di potenziale dei trefoli contenuti all’interno delle guaine [57]. Una prima serie di prove sperimentali ha consentito di stabilire che un unico elettrodo di riferimento lineare è in grado di misurare l’innesco della corrosione (ossia una diminuzione del potenziale) se la sua lunghezza non supera di 50 volte lo spessore di copriferro esistente tra trefolo e guaina polimerica in cui il trefolo è contenuto. Essendo tale spessore di copriferro indicativamente pari a 20/30 mm, per strutture di grandi dimensione (lunghezza > 10 m) un unico filo risulta non efficace nel fornire la misura dell’innesco della corrosione. Inoltre si è dimostrato che il filo funziona come un elettrodo interferito, in quanto immerso in un campo elettrico variabile generato dalla corrente di macrocoppia indotta dalla corrosione [5]. Sulla base di tali risultati è stato proposto un nuovo sistema di riferimento (MuRE – Multi Reference Electrode) costituito da una serie di elettrodi di riferimento, indipendenti tra di loro, di lunghezza compresa tra 0.5–2 m, posizionati lungo il trefolo e in serie testa-coda al fine di avere un monitoraggio dello stato di corrosione di tutto il trefolo. Sono state realizzate diverse prove sperimentali, i cui risultati consentono di affermare che il sistema proposto è in grado di rilevare e anche di localizzare l’innesco della corrosione localizzata provocata dai cloruri [67].

828

Nella memoria sono illustrate due possibili applicazioni: 1) monitoraggio della corrosione dei trefoli contenuti all’interno delle guaine polimeriche; 2) monitoraggio delle condizioni di corrosione e del livello di protezione catodica di un acquedotto in calcestruzzo armato precompresso.

2. FASE 1: PROVE SU ELETTRODO DI RIFERIMENTO LINEARE CONTINUO – LCRE Durante la prima fase delle prove è stata verificata l’efficacia del sistema LCRE nel rilevare l’innesco della corrosione localizzata sui trefoli contenuti in guaine polimeriche mediante una serie di prove sperimentali. In particolare sono stati definiti i campi in cui tale sistema è utilizzabile ed è stata fornita l’interpretazione della misura di potenziale effettuata mediante l’elettrodo LCRE. A tal proposito, infine, è bene ricordare che l’innesco di un attacco localizzato da cloruri su armature in acciaio al carbonio in ambiente alcalino genera una corrente di macrocoppia che circola dalle aree anodiche a quelle catodiche). 2.1. Metodologia sperimentale Al fine di simulare le condizioni di corrosione localizzata sono state eseguite prove sperimentali in cella cilindrica (diametro 40 mm, lunghezza 600 mm) contente un armatura in acciaio inossidabile AISI 304 (diametro 10 mm) immersa in acqua distillata (pH 6.5; resistività 150 :m). La corrente di macrocoppia è stata erogata per mezzo di un anodo inerte (anello di Ti attivato), collegato ad un generatore di corrente esterno. L’anodo è stato posto sia nel centro della barra, per simulare completa simmetria del campo elettrico, sia ad una estremità. Le correnti applicate sono 0.5, 1.0 e 1.5 mA corrispondenti ad una densità di corrente catodica pari a 30, 60 e 90 mA/m2, rispettivamente, tipici valori di densità di corrente limite di ossigeno.   Generatore di

Elettrodo di riferimento continuo

corrente

Anodo che simula il pit

12

11

10

9

8

7

6

5

armatura (superficie catodica)

4

3

2

1

Elettrodo di riferimento puntuale

Figura 1. Schema della cella di prova

Il campo elettrico ottenuto in cella mediante il sistema di corrente impressa descritto è differente rispetto a quello che si stabilizza in presenza di un attacco corrosivo localizzato, in particolar modo per quel che riguarda il potenziale misurato nell’area anodica: mentre in presenza di un pit il potenziale nella zona anodica è circa 0.7 V SCE e nella zona catodica è compreso tra 0.2/0.4 V SCE, in presenza di corrente impressa è possibile misurare solo il

829

potenziale delle aree a comportamento catodico, che mostra comunque un profilo simile alla distribuzione di potenziale in presenza di un pit. Ciononostante è importante realizzare un campo elettrico con un profilo simile a quello reale, anche se i valori risultano leggermente diversi. Per misurare il potenziale dell’armatura sono stati posizionati all’interno della cella un elettrodo di riferimento lineare continuo (LCRE) parallelo all’armatura, e 12 elettrodi di riferimento puntuali in Ti-MMO (RE-Ti), distanziati l’uno dall’altro 50 mm. Questi ultimi sono stati posti il più vicino possibile all’armatura per minimizzare i contributi di caduta ohmica. La stabilità del potenziale sia dell’elettrodo continuo che dei 12 elettrodi puntuali è stata controllata mediante elettrodi al calomelano saturo (SCE) esterni alla cella impiegando dei capillari di Luggin. 2.2. Risultati e discussione I profili di potenziale dell’armatura sono riportati in Figura 2: in condizioni passive (assenza di corrente applicata) il potenziale è prossimo a 0.05/0.10 V SCE, mentre in condizioni attive (una volta applicata la corrente) il potenziale si porta localmente a valori decisamente più negativi, pari a circa 1.4 V SCE in corrispondenza del pit simulato. Anche il potenziale dell’armatura misurato con l’elettrodo continuo LCRE scende da 0.05 V SCE in condizioni passive a circa 0.89 V SCE in presenza di un attacco corrosivo. È possibile affermare che i profili di potenziale misurati sono decisamente simili a quelli che si misurano sui tiranti all’interno delle guaine. In Figura 3 si mostrano invece i profili di potenziale dell’armatura e dell’elettrodo LCRE misurati mediante elettrodi di riferimento esterni SCE. In assenza di corrente (condizioni di passività) entrambe le misure sono prossime a 0.05/0.10 V SCE. Dopo applicazione della corrente di macrocoppia il potenziale dell’armatura decresce localmente fino a 1.5 V SCE in corrispondenza dell’anodo inerte (ossia del pit simulato) e rimane sostanzialmente invariato nelle arre distanti dal pit. Il profilo di potenziale dell’elettrodo LCRE invece mostra una diminuzione fino a 0.4 V SCE nell’area prossima al pit e un aumento fino a +0.80 V SCE nelle zone lontane. 0.9

-0.1

Potenziale vs SCE (V)

Potenziale armatura (V)

0.2

-0.4 -0.7 Ti-MMO - corr OFF

-1.0

Ti-MMO - corr ON LCRE - corr OFF

-1.3

+0.67 V

0.4 -0.1

-0.19 V

-0.6

LCRE vs SCE LCRE - media pesata

-1.1

armatura vs SCE

LCRE - corr ON

armatura - media pesata

-1.6

-1.6 0

10

20 30 40 Lunghezza (cm)

50

60

Figura 2. Profilo di potenziale dell’armatura misurato con l’elettrodo LCRE e con elettrodi di riferimento puntuali in condizioni passive (I off) e attive (I on)

0

10

20 30 40 Lunghezza (cm)

50

60

Figura 3. Profilo di potenziale dell’armatura e dell’elettrodo LCRE misurato con elettrodi di riferimento esterni SCE in condizioni attive

Per interpretare le misure ottenute si deve ricordare che l’elettrodo lineare continuo LCRE è immerso in un campo elettrico generato dalla corrente di macrocoppia, e quindi, essendo un

830

conduttore metallico, partecipare alla circolazione di corrente. L’elettrodo lineare si comporta quindi come una struttura metallica interferita: pertanto alcune zone assorbono corrente (quelle immediatamente vicine al pit) e diventano a comportamento catodico (il potenziale si abbassa), altre cedono corrente e si comportano anodicamente (il potenziale cresce). Come riportato in altre applicazioni [8] la lettura di potenziale può essere interpretata come la media pesata del profilo di potenziale, pesato sulle rispettive superfici equipotenziali, misurato mediante elettrodi esterni, che non risentono dell’interferenza elettrica dovuta al campo elettrico. Nel nostro caso:

¦S E ¦S arm i

LCRE Earm

SCE SCE  ELCRE Earm

arm i

i

arm i

i

¦S  ¦S

LCRE i

SiLCRE

i

LCRE i

(1)

i

LCRE SCE è il potenziale dell’armatura misurato mediante l’elettrodo LCRE, Earm è il dove Earm potenziale dell’armatura misurato con elettrodi esterni SCE ottenuto come media pesata dei SCE potenziali delle diverse superfici equipotenziali, ELCRE è il potenziale dell’elettrodo LCRE misurato con elettrodi esterni SCE ottenuto come media pesata dei potenziali delle diverse superfici equipotenziali, Eiarm è il potenziale della superficie di armatura Siarm , e EiLCRE è il

Potenziale armatura vs LCRE (V)

potenziale della superficie dell’elettrodo LCRE SiLCRE . Con riferimento ai dati riportati in Figura 3, il potenziale medio dell’armatura è pari a 0.19 V SCE, mentre il potenziale medio dell’elettrodo LCRE è +0.67 V SCE. La differenza di questi valori è pari a 0.88 V, molto simile al valore di potenziale dell’armatura misurato sperimentalmente con l’elettrodo LCRE nella cella di prova in condizioni di corrosione localizzata (Figura 4). 0.0 current OFF

-0.2

current ON

current OFF

-0.4 -0.6 -0.8 -1.0 -1.2 0

2

4 6 Tempo (giorni)

8

10

Figura 4. Profilo di potenziale dell’armatura misurato con l’elettrodo LCRE in condizioni passive (corrente OFF) e attive (corrente ON)

Il sistema LCRE è pertanto in grado di rilevare l’innesco della corrosione localizzata, perlomeno nelle condizioni sperimentali adottate, in particolare per quanto riguarda la geometria della cella. Essendo la misura fornita dall’elettrodo LCRE pari alla media pesata

831

dei potenziali delle diverse superfici equipotenziali, si ritiene che tale sistema sia efficace solo per geometrie contenute, ossia se si è in presenza di un’area anodica localizzata e una superficie catodica non molto estesa. In caso contrario, ovviamente, le superfici a comportamento catodico, di maggior estensione rispetto all’area anodica, peserebbe in maniera significativa sulla lettura del potenziale, e quindi si misurerebbero prossimi a quelli di condizioni di passività, anche in presenza di un attacco corrosivo innescato: è il caso di un trefolo in un viadotto di lunghezza maggiore di 10 m, in cui verosimilmente l’area anodica è molto meno estesa rispetto alle superficie di armatura passive. Pertanto, utilizzando l’equazione (1) e considerando una diminuzione di potenziale di almeno 0.15/0.20 V rispetto alle condizioni passive quale indice di avvenuto innesco della corrosione, è possibile determinare il valore della lunghezza L di un elettrodo filiforme in relazione alla geometria del sistema in cui si sviluppa la variazione del campo elettrico indotto dalla corrosione. Per il caso esaminato si ottiene un valore critico del rapporto L/D pari a 50, valore al di sopra del quale un elettrodo filiforme risulta non efficace. Sulla base di tali risultati è stato proposto, per applicazioni con geometrie più estese un nuovo sistema, detto MuRE (Multi Reference Electrodes) costituito da una serie di elettrodi di riferimento, indipendenti tra di loro, di lunghezza compresa tra 0.5–2 m, posizionati lungo la struttura di cui si vuol misurare il potenziale in serie testa-coda al fine di avere un monitoraggio dello stato di corrosione. Nel seguito sono descritte: x le prove sperimentali effettuate per verificare l’efficacia del sistema multielettrodo MuRE nel rilevare innesco della corrosione a carico di un trefolo contenuto in guaina polimerica x simulazione agli elementi finiti della possibile applicazione del MuRE per la misura di potenziale di un acquedotto in calcestruzzo armato precompresso

3. FASE 2: DEFINIZIONE DEL SISTEMA MuRE E APPLICAZIONE IN UN TREFOLO PER STRUTTURE POST-TESE In questa seconda fase è stato ideato e messo a punto il sistema MuRE, con riferimento ad una possibile applicazione per il monitoraggio dello stato di corrosione di trefoli contenuti in guaine polimeriche nelle strutture post-tese. In particolare è stata determinata la lunghezza che deve possedere ciascun elettrodo filiforme che costituisce il MuRE, soprattutto in relazione alla lunghezza del trefolo e allo spessore di copriferro all’interno della guaina. 3.1. Metodologia sperimentale Al fine di verificare l’efficacia di tale sistema sono state realizzate delle prove sperimentali simulando il trefolo contenuto nelle guaine polimeriche con un’armatura in acciaio al carbonio di diametro 10 mm posta all’interno di un tubo cilindrico di lunghezza 2.5 m e diametro 50 mm. Il tubo è stato quindi riempito con una boiacca cementizia confezionata con cemento Portland CEM II 42.5 R e rapporto A/C pari a 0.3. Al fine di ridurre la formazione di bleeding è stato impiegato un additivo super-fluidificante in dosaggio 4% rispetto al peso di cemento. Tale composizione è simile a quella impiegata nelle applicazioni reali. Gli elettrodi di riferimento sono stati realizzati con quattro differenti materiali metallici: rame, nichel, acciaio inossidabile AISI 316, normale e ossidato a 800°C. Caratteristica fondamentale di tali materiali è la stabilità del proprio potenziale in ambiente alcalino e in presenza di cloruri. Nichel e acciaio inossidabile si sono dimostrati i più stabili. Per ciascun materiale metallico, sono stati realizzati tre differenti sistemi MuRE, in cui è stato variato il

832

rapporto L/D, dove L è la lunghezza di un elemento del sistema MuRE e D è lo spessore di copriferro. Sono stati considerati rapporti pari a 5, 15 e 40. Essendo lo spessore di copriferro 20-25 mm, la lunghezza del tubo 2.5 m, ogni sistema MuRE è costituito da 26, 9 e 3 elettrodi, rispettivamente. Per ogni materiale è stato anche considerato l’impiego di un unico elettrodo continuo tipo LCRE. Ciascun sistema di misura è stato avvolto attorno all’armatura prima del riempimento del tubo con boiacca. Dopo 28 giorni di stagionatura, attraverso un foro realizzato a 70 cm dall’estremità destra del tubo, è stata aggiunta una volta alla settimana una soluzione di NaCl 35 g/L al fine di simulare la penetrazione di cloruri. Il potenziale dell’armatura è stato monitorato ogni giorno, sia con gli elettrodi interni al tubo (i tre sistemi MuRE e l’elettrodo LCRE) che con un elettrodo esterno di tipo SCE. 3.2. Risultati e discussione In Tabella 1 si riassumo gli intervalli di potenziali misurati nelle diverse condizioni testate per i sistemi realizzati con Nichel e con acciaio inossidabile AISI 316: armatura passiva; presenza di acqua; presenza di cloruri, prima e dopo innesco della corrosione. In Figura 5 sono invece riportati i profili di potenziale misurati in condizioni di corrosione innescata. Le fasce grigie di Figura 5 indicano l’intervallo di passività per armature in acciaio al carbonio secondo quanto riportato nelle normativa ASTM C876 [9]. L’innesco della corrosione sull’armatura è stato confermato mediante misura del potenziale con elettrodo di riferimento esterno: in condizioni passive il potenziale misurato è prossimo a 0.2 V SCE, mentre in condizioni attive è diminuito a circa 0.5 V SCE. In condizioni passive, il potenziale dell’armatura misurato con i tre sistemi MuRE e con il sistema LCRE è prossimo +0.01/+0.04 V e a 0.03/0.08 V rispettivamente per nichel e acciaio inossidabile. In presenza di attacco localizzato innescato i profili misurati con i sistemi MuRE sono molto simili tra loro, indipendentemente dal rapporto L/D (Figura 5). Si osserva una diminuzione di potenziale in corrispondenza dell’area in cui si è innescata la corrosione: maggiore è il rapporto L/D, minore è la riduzione di potenziale. Nelle zone più lontane invece gli elettrodi dei sistemi MuRE misurano condizioni di passività.

Tabella 1. Potenziale dell’armatura (mV) misurato rispetto al MuRE e al LCRE Assenza di acqua e di cloruri

Presenza di acqua

L/D = 5

+10 / +50

L/D = 15 L/D = 40

Elettrodo di riferimento

SS

MuRE

Prima dell’innesco

Dopo l’innesco

+20 / +40

+30 / +40

–200

+10 / +30

+20 / +40

+30 / +40

–145

+10 / +20

+20 / +40

+30 / +40

–100

+10 / +20

+20 / +40

+30 / +40

–70

L/D = 5

–60 / –90

–30 / –40

–40 / –60

–250

L/D = 15

–70 / –90

–40 / –50

–50 / –80

–230

L/D = 40

–70 / –80

–40 / –50

–60 / –80

–210

–70 / –80

–50 / –60

–50 / –60

–140

LCRE

Ni

MuRE

LCRE

Corrosione da cloruri

MuRE in Nichel

MuRE in acciaio inossidabile SISI 316 (SS)

833

50 intervallo di passività

Potenziale Fe vs SS_RE (mV)

Potenziale Fe vs Ni_RE (mV)

-50

-100 LCRE -150 MuRE (L/D = 5)

-200

MuRE (L/D = 15) MuRE (L/D = 40)

intervallo di passività

0 -50 LCRE

-100 -150

MuRE (L/D = 5) MuRE (L/D = 15)

-200

MuRE (L/D = 40)

LCRE

LCRE

-250

-250 0

50

100

150

200

250

0

Lunghezza (cm)

50

100

150

200

250

Lunghezza (cm)

Figura 5. Profilo di potenziale dell’armatura misurato elettrodo MuRE e con elettrodo LCRE

A corrosione innescata anche il sistema LCRE misura una riduzione di potenziale, anche se non superiore a 0.1 V. Tale riduzione non è molto significativa, e comunque è legata al fatto che la geometria considerata è piccola rispetto alle applicazioni reali. In presenza di lunghezze pari a 10-20 m, quale quelli reali, un unico filo non è in grado di rilevare l’innesco della corrosione. In conclusione è possibile affermare che i sistemi MuRE testati sono in grado sicuramente di misurare l’innesco della corrosione; inoltre, diversamente da un sistema LCRE, sono anche in grado di localizzare il punto in cui è avvenuto l’innesco corrosivo. Dalle misure effettuate è possibile affermare che il rapporto L/D è prossimo a 70-80. Per cui, con un copriferro di 2025 mm, si possono realizzare elettrodi di lunghezza fino a 2 m.

4. UTILIZZO DEL SISTEMA MuRE PER VERIFICARE LE CONDIZIONI DI CORROSIONE DI ACQUEDOTTI IN CALCESTRUZZO Sporadici scoppi di acquedotti in calcestruzzo precompresso per infragilimento da idrogeno delle armature si sono avuti in passato; il caso più importante e recente è quello che ha riguardato negli scorsi anni l’acquedotto “GreatManMadeRiver (GMMR) costituito da 4000 km di tubazioni che dal centro del Sahara porta 6·106 m3 di acqua al giorno alle città delle regione costiera della Libia. Le tubazioni sono formate da segmenti cilindrici in calcestruzzo precompresso, nella maggioranza dei casi lunghi 7.5 m e con un diametro di 4 m, che sono interrati in trincee profonde 47 m. Dopo meno di 10 anni di funzionamento nei tratti caratterizzati da terreni aggressivi (per presenza di acque di falda ricche di cloruri) le armature ad alta resistenza in acciaio ad alto tenore di carbonio hanno subito cedimenti per infragilimento da idrogeno provocando numerosi scoppi e rendendo necessaria la sostituzione di decine di km di tubazione Nei nuovi acquedotti si è posto rimedio al problema mediante l’applicazione della protezione catodica. È stata valutata la possibilità di utilizzare un sistema MuRE per misurare il potenziale delle armature di tali strutture, al fine di verificare la possibilità di rilevare l’innesco di corrosione localizzata. Come nel caso del monitoraggio dei trefoli, il punto critico è la lunghezza effettiva di uno degli elettrodi di riferimento lineari che costituiscono il sistema MuRE in grado di rilevare il pit. Inoltre, vista la geometria dell’acquedotto, è stata analizzata anche la disposizione del MuRE attorno al cilindro di calcestruzzo precompresso.

834

4.1. Simulazione agli elementi finiti: condizioni al contorno Al fine di stimare questi parametri (lunghezza del filo singolo e disposizione) è stata effettuata una simulazione usando il metodo degli elementi finiti con le seguenti condizioni di ingresso: x dominio considerato: volume di terreno di dimensioni 12 × 12 × 5 m all’interno del quale è disposto un cilindro di calcestruzzo con diametro esterno dell’acquedotto pari a 4 m x distribuzione del campo elettrico secondo la legge di Laplace x estensione dell’area corrosa (pit): 2 ˜10-3 m2 x pit localizzato in un punto qualsiasi dei cavi avvolti attorno al tubo in calcestruzzo x copriferro del calcestruzzo: 0.03 m x conducibilità del terreno: 0.10 (: m)-1 x conducibilità del calcestruzzo: 0.02 (: m)-1 La risoluzione agli elementi finiti prevede di definire le condizioni al contorno sui trefoli in acciaio al carbonio immersi nel calcestruzzo. Pertanto è stato definito il legame potenziale densità di corrente (V i), che è governato dall’equazione di Butler-Volmer: x

superficie metalliche passive:

ip x

exp 2.303 ˜ V  V p / ba , p  exp  2.303 ˜ V  V p / bc , p

(2)

superficie metalliche attive:

icor

exp 2.303 ˜ V  Vcor / ba ,cor  exp  2.303 ˜ V  Vcor / bc ,cor

(3)

dove: x

per le superfici passive: ip = 0.001 A/m2 ba,p = 10 V/decade

x

per le superfici attive:

icor = 0.05 A/m2 ba,cor = 0.06 V/decade

Vp = 0 V bc,p = 0.12 V/decade Vcor = 0.8 V bc,cor = 0.12 V/decade

Per la risoluzione non è stata considerata una geometria tridimensionale, ma due proiezione bidimensionali: una trasversale e una longitudinale. Quindi, una volta suddiviso il dominio in una serie di elementi finiti triangolari e risolte le equazioni di campo (mediante software FEMLAB™ a), considerando le sopra riportate condizioni al contorno, è stata stimata l’estensione della superficie catodica che alimenta la zona anodica (il pit). Nota la distribuzione delle superfici equipotenziali, è possibile stimare la lunghezza di un elettrodo lineare del sistema MuRE in grado di rilevare l’innesco della corrosione localizzata, in base anche a quanto ottenuto nella prima serie di prove, con particolare riferimento all’interpretazione della misura di potenziale come media pesata delle superfici equipotenziali intercettate dal filo.

a

FEMLAB is trade mark by COMSOL

835

4.2. Risultati della simulazione Nelle Figure 6 e 7 si riportano le distribuzione delle superfici equipotenziali e delle linee di corrente ottenute mediante simulazione al calcolatore, sia per la geometria trasversale che longitudinale. La circonferenza in Figura 6 indica il cilindro in calcestruzzo armato precompresso, mentre il dominio quadrato rappresenta il terreno. L’attacco localizzato è stato posizionato nella parte destra della circonferenza. In Figura 7, invece, si osserva la proiezione longitudinale: la linea sulla base inferiore del rettangolo rappresenta le armature e lo spessore di copriferro, il dominio rettangolare è anche in questo caso il terreno. L’attacco localizzato è posto all’estremità sinistra delle armature. In Figura 6a e 7a sono riportate le superfici equipotenziali, concentrate maggiormente nell’area prossima all’attacco corrosivo. In Figura 6b e 7b si notano invece le linee di corrente (perpendicolari alle superfici equipotenziali): la corrente circola dall’area anodica, all’interno del dominio terreno e ritornano alle armature nelle aree catodiche.

A

B

Figura 6. Risultato delle simulazioni agli elementi finiti lungo la sezione trasversale: A) superfici equipotenziali; B) distribuzione delle linee di corrente

A

B

Figura 7. Risultato delle simulazioni agli elementi finiti lungo la sezione longitudinale: A) superfici equipotenziali; B) distribuzione delle linee di corrente

836

Dai valori di potenziale, l’estensione effettiva dell’area catodica (area in cui si osserva un profilo di potenziale) è pari circa a 1 m; a distanze maggiori non si rilevano significative variazioni di potenziale. Appare evidente che la zona di armature influenzata dal pit è più piccola se confrontata con la dimensione dell’acquedotto. In altre parole se si posiziona un elettrodo di riferimento di tipo puntiforme al di fuori di questa zona, tale elettrodo non è in grado di rilevare la presenza di un attacco corrosivo in atto. 4.3. Definizione del sistema MuRE per acquedotto in calcestruzzo precompresso Con riferimento all’equazione (1) è possibile calcolare la lunghezza di un elettrodo del sistema multielettrodico MuRE, sapendo che maggiore è la lunghezza del filo, minore sarà la sua capacità di rilevare la diminuzione di potenziale associata all’innesco della corrosione. Nello specifico è stata calcolata la lunghezza di un elettrodo tale per cui il sistema MuRE è in grado di misurare un abbassamento di potenziale di almeno 100, 200 e/o 300 mV rispetto al potenziale misurato in condizioni passive. Per effettuare tale calcolo è indispensabile conoscere il profilo di potenziale in presenza della corrente di macrocoppia dovuta all’innesco del pit. Questi profili sono ottenibili dalle simulazioni appena descritte. In Figura 8 si mostra il profilo di potenziale delle armature ottenuto dalla simulazione, in direzione radiale rispetto alla posizione del pit (vedi Figura 7). Si sottolinea il fatto che i valori diagrammati sono di segno opposto rispetto a quelli misurati. Applicando l’equazione (1) si ottiene una lunghezza effettiva di un elettrodo del sistema MuRE pari a 5 m, 3.5 m e 1.5 m in grado di misurare rispettivamente una diminuzione di potenziale di 100, 200 e 300 mV rispetto alle condizioni di passività. Si nota che il potenziale di corrosione in condizioni passive è circa 0.05 V SCE. Simili valori si ottengono anche considerando il profilo di potenziale in direzione radiale e lungo la circonferenza dell’acquedotto.

Figura 8. Profilo di potenziale dell’armatura in prossimità del pit, ottenuto dalle simulazioni al calcolatore

Pertanto, per monitorare le condizioni di corrosione dell’acquedotto in calcestruzzo armato precompresso considerato è possibile utilizzare un sistema MuRE in cui ogni singolo elettrodo di riferimento abbia un lunghezza di 3-4 m. inoltre, per poter controllare l’intera superficie della condotta è indispensabile utilizzare due sistemi MuRE disposti uno opposto all’altro.

837

5. CONCLUSIONI Da più di tre anni è in corso presso il Politecnico di Milano una ricerca al fine di mettere a punto di un sistema di elettrodi di riferimento di tipo lineare per il monitoraggio in continuo delle condizioni di corrosione, in particolare dei trefoli contenuti all’interno di guaine polimeriche per le strutture in calcestruzzo precompresso e post-teso, al fine di prevenire crolli di strutture in seguito a corrosione per infragilimento da idrogeno. Le prove sperimentali e le simulazioni condotte al calcolatore consentono di affermare che: x un elettrodo di riferimento lineare non puntiforme (tipo LCRE) funziona come un conduttore metallico interferito in un campo elettrico variabile x diversamente dalla misura di potenziale mediante un elettrodo puntiforme, il potenziale di una struttura metallica misurato da un elettrodo lineare continuo LCRE è pari alla media pesata delle superfici equipotenziali intercettate dall’elettrodo stesso x in presenza di geometrie costrette (ad esempio trefoli contenuti in guaine) il sistema LCRE è efficace nell’individuare la corrosione localizzata se il rapporto L/D (dove L è la lunghezza dell’elettrodo e D è il copriferro) è inferiore a 50. in caso contrario l’elettrodo ha una lunghezza troppo elevata e tale per cui la misura fornita no risente della presenza di una zona anodica modesta rispetto alla superficie totale x per geometrie più estese è stato ideato, proposto e testato un sistema di riferimento multi-elettrodo, denominato MuRE: Multi Reference Electrodes. Il sistema è costituito da una serie di elettrodi di riferimento, indipendenti tra di loro, di lunghezza tale che il rapporto L/D è minore di 50, posizionati lungo la struttura di cui si vuol misurare il potenziale in serie testa-coda al fine di avere un monitoraggio dello stato di corrosione x il sistema MuRE è efficace nel determinare l’innesco della corrosione localizzata ed inoltre è in grado di localizzare l’area in cui si è manifestato l’attacco corrosivo. Sono stati analizzati due possibili applicazioni: corrosione dei trefoli contenuti all’interno di guaine metalliche e corrosione localizzata di un acquedotto in calcestruzzo precompresso di diametro 4 m.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-21 Aprile 2006

VALUTAZIONE DELLA DURABILITA’ DI CALCESTRUZZI RINFORZATI CON FIBRE DI ACCIAIO G. EPASTO1, G. CAMPANELLA1 1

Dipartimento di Chimica Industriale e Ingegneria dei Materiali, Università degli Studi, Messina

SOMMARIO Tutte le tipologie di calcestruzzo (ordinari, ad alte prestazioni e FRC - fiber reinforced concrete), se esposti all’azione di agenti aggressivi esterni, possono subire trasformazioni delle proprietà microstrutturali e meccaniche. Nella presente ricerca viene trattato l’aspetto della durabilità del calcestruzzo SFRC - Steel Fiber Reinforced Concrete - sottoposto all’azione di alte temperature (incendio), agenti atmosferici e fenomeni di interferenza elettrica. Le indagini sperimentali sono state effettuate su dei campioni di calcestruzzo esposti alle seguenti condizioni ambientali: trattamenti termici fino alla temperatura di 850°C in un forno a muffola per valutare la durabilità al fuoco; contaminazione chimica dei campioni con una soluzione di cloruro di calcio per simulare l’attacco di un agente aggressivo e circolazione forzata di corrente all’interno degli stessi per analizzare il problema delle correnti vaganti in presenza di cloruri. A seguito delle diverse condizioni ambientali, i campioni sono stati sottoposti ad una serie di indagini sperimentali al fine di valutare l’entità del degrado. Dalle suddette indagini è emerso che il calcestruzzo rinforzato con fibre d’acciaio possiede buone caratteristiche di resistenza alle alte temperature, all’azione di ambienti contenenti cloruri e alla vicinanza di impianti di trazione.

1. INTRODUZIONE L’impiego del calcestruzzo rinforzato con fibre di acciaio come materiale strutturale è andato costantemente aumentando negli ultimi decenni. La sua miglior capacità di controllare la propagazione delle fessure e le risorse di resistenza post-picco lo rendono un materiale estremamente indicato per applicazioni in cui sono richieste proprietà quali la resistenza ai carichi impulsivi, agli shock termici, all’abrasione nonché in tutte quelle situazioni in cui sia richiesta al materiale una notevole capacità di assorbire e dissipare energia. E’ evidente che nella maggior parte delle situazioni in cui sono richieste le proprietà sopra menzionate, le strutture risultino essere soggette a condizioni ambientali particolarmente severe, quali, ad esempio, la semplice presenza di un ambiente inquinato o di un evento straordinario, come un incendio. Il problema della durabilità degli SFRC (Steel Fiber Reinforced Concrete) è legato ad un buon mantenimento delle fibre di acciaio, che possono risultare non sufficientemente protette,

839

in particolare quelle localizzate sulla superficie stessa della struttura. L’indebolimento del legame fibra-matrice e la riduzione del diametro delle fibre, che avvengono contemporaneamente a causa di fenomeni corrosivi e/o di degrado, possono essere estremamente pericolosi per le caratteristiche di rigidezza degli SFRC, con la modalità di crisi che gradualmente evolve da quella di sfilamento a quella tipica di rottura delle fibre. La finalità della presente ricerca è stata quella di studiare il comportamento di elementi costruttivi in calcestruzzo SFRC esposti ad alta temperatura (che potrebbe essere raggiunta durante lo sviluppo di un incendio), all’azione combinata di agenti corrosivi (cloruri) e correnti vaganti. Per quanto riguarda il primo aspetto, la ricerca si è basata sulla ricostruzione della storia termica del materiale in seguito all’esposizione alle alte temperature. I provini di forma cilindrica (carote) sono stati sottoposti ad un cosiddetto incendio standardizzato, le cui modalità di prova sono state svolte secondo un programma sperimentale sviluppato dal NIST (National Institute of Standards and Technology) [1]. La risposta del calcestruzzo al trattamento termico è stata analizzata in modo molto accurato al fine di rilevare se la presenza delle fibre d’acciaio abbia avuto influenza sul comportamento al fuoco di tale tipologia di calcestruzzo. Spesso durante un incendio si raggiungono temperature critiche che provocano un violento ed istantaneo sgretolamento della superficie esterna (e quindi più calda) del calcestruzzo; tale fenomeno viene indicato in letteratura con il nome di spalling [2]. Recenti studi [3] hanno dimostrato che l’aggiunta di fibre nel calcestruzzo può modificare la resistenza allo spalling; infatti, la ricerca scientifica attualmente è indirizzata verso lo studio del comportamento al fuoco di calcestruzzi rinforzati con fibre di acciaio (SFRC), polipropilene (PP) o carbonio. Aggiungendo fibre d’acciaio o di carbonio il problema si riduce, mentre con le fibre di polipropilene è stato dimostrato che il pericolo di spalling si annulla quasi completamente, anche se l’aggiunta di tali fibre provoca un notevole peggioramento delle proprietà meccaniche. Escludendo l’utilizzo delle fibre di carbonio a causa dei costi molto elevati, l’impiego di fibre di acciaio rappresenterebbe il compromesso ottimale tra miglioramento delle proprietà meccaniche e resistenza al fuoco degli elementi costruttivi realizzati in calcestruzzo. Il presente studio si propone, quindi, di valutare se l’aggiunta di fibre d’acciaio consente di migliorare anche il problema relativo al decadimento delle proprietà meccaniche. Lo studio è stato condotto in due fasi: nella prima fase sono state eseguite delle indagini su un campione non sottoposto ad alcun trattamento termico, considerato come riferimento. Nella seconda fase gli altri campioni sono stati “artificialmente” danneggiati in un forno a muffola con controllo di temperatura. Le indagini eseguite in laboratorio sono state le seguenti: diffrattometrie a raggi X (XRD), determinazione della velocità di propagazione degli ultrasuoni (UPV), determinazione della resistenza a compressione e conseguente analisi del collasso. Un altro aspetto analizzato è stato quello relativo all’azione delle correnti vaganti, che possono essere particolarmente frequenti in prossimità di impianti di trazione in corrente continua, come nel caso delle stazioni ferroviarie.

2. VALUTAZIONE DELLA DURABILITÀ AL FUOCO 2.1. Caratterizzazione del materiale non danneggiato È stato impiegato un calcestruzzo confezionato con cemento al calcare e inerti alluvionali calcarei. Le fibre utilizzate nella miscela sono del tipo Bekaert Dramix® RL-45/50-BN. Tale tipologia di fibra è ricavata da filo d’acciaio trafilato a freddo ed ha un ancoraggio meccanico

840

costituito da uncini alle due estremità; è realizzata con acciaio a basso tenore di carbonio e non presenta alcun rivestimento a base di zinco. I campioni di calcestruzzo testati sono di forma cilindrica (carote), hanno un diametro nominale di 100 mm e sono stati prelevati da una pavimentazione industriale; pertanto si parla di calcestruzzo già messo in opera. Dalle prove di rottura a compressione effettuate si è potuto constatare che il suddetto calcestruzzo aveva resistenza caratteristica (Rck) pari a 15 N/mm2; la rottura è stata di tipo colonnare, senza schianto. Tale comportamento è da attribuire al fatto che le fibre mantengono il calcestruzzo coerente anche dopo rottura e ne impediscono lo sgretolamento improvviso. La massa volumica era pari a 2155,5 kg/m3. Le diffrattometrie a raggi X hanno rilevato la presenza di dolomite (carbonato di calcio e di magnesio) e di quarzo, presente nella sabbia. Le principali fasi cementizie rilevate erano la portlandite (Ca(OH)2) e la plombierite (silicato idrato di calcio, CSH). 2.2. Caratterizzazione del materiale danneggiato. Test tempo-temperatura I test sono stati realizzati in condizioni stazionarie di temperatura, secondo la curva Tempo Temperatura sviluppata dal NIST [1] (figura 1). Tem perature Test

Temperature [°C]

3h

5°C/min 5°C/min

Tim e [m in]

Figura 1. Curva Temperatura vs. Tempo [1].

I campioni, senza l’applicazione di un carico esterno, sono stati riscaldati sino alle temperature di 400, 500, 580, 650, 750 e 850°C all’interno di un forno a muffola, alla velocità costante di riscaldamento di 5°C/min. Una volta raggiunta la temperatura desiderata, il campione è stato lasciato all’interno del forno per un periodo di 3 h, in modo da raggiungere le condizioni stazionarie e poi è stato riportato a temperatura ambiente con raffreddamento naturale. Dopo il trattamento termico, è stata effettuata la misura della velocità di propagazione degli ultrasuoni, della resistenza meccanica a compressione e le diffrattometrie a raggi X.

3. INDAGINI SPERIMENTALI SUI CAMPIONI SOTTOPOSTI A TRATTAMENTO TERMICO 3.1. Diffrattometrie a raggi X (XRD) Dalle diffrattometrie a raggi X si è rilevato che la decomposizione delle fasi idrate s’innesca a circa 400°C e si completa a circa 750°C (figura 2 e tabella 1).

841

portlandite

CS H

Calcite

90

1000

70 60

800

50

600

40 30

400

20

Counts (Calcite)

Counts (Port., CSH)

Calcite inizia a decomporsi a non si rileva più a 650°C CSH inizia a decomporsi a si rileva fase anidra 500°C 750°C Portlandite inizia a decomporsi a non si rileva più a 400°C 650°C

1200

80

200

10 0

0 0

100

200

300

400 500 600 Temperatura [°C]

700

800

900

Figura 2. Curva Counts - Temperatura.

Tabella 1. Storia termica delle fasi presenti.

3.2. Velocità di propagazione degli ultrasuoni (UPV) Dal rilevamento del tempo di transito di un impulso ultrasonoro è stato possibile ottenere informazioni sull’omogeneità, sulla presenza di vuoti e sulle proprietà meccaniche del calcestruzzo. Note la massa volumica del campione ed il modulo di Poisson della carota, si è potuto correlare il valore dell’Elastic Modulus Ratio (KE) alla temperatura (figura 3), dove l’Elastic Modulus Ratio è definito come il rapporto tra il valore del modulo elastico dinamico ad una data temperatura e il valor del modulo elastico dinamico in condizioni di non degrado. La trasmissione delle onde ultrasonore impiegata per queste indagini è quella diretta; le misure sono state effettuate secondo la norma UNI 9524. La velocità degli ultrasuoni dipende dalla qualità del materiale e quindi può essere scelta come tecnica diagnostica non distruttiva per rilevare la presenza di cavità o fessure provocate dalla disidratazione delle fasi cementizie o dal carico termico indotto dalle elevate temperature. Il valore di velocità degli ultrasuoni, preso come riferimento, calcolato su una carota integra e quindi non trattata termicamente in muffola, è 2161 m/s. Valori più bassi (rispetto al riferimento) indicano la presenza di vuoti, di minore compattezza (e quindi minore massa volumica e maggiore porosità) del conglomerato cementizio. Tali vuoti potrebbero essere causati dall’evaporazione di acqua di legame ed acqua libera nella matrice, o discontinuità tipo fessure o lesioni provocate da variazione di volume del bulk. Tenendo conto che esiste un legame diretto tra la velocità dell’onda e il modulo elastico dinamico del calcestruzzo, si può affermare che le proprietà meccaniche del materiale sono peggiorate. I risultati ottenuti confermano la diminuzione della velocità di propagazione degli ultrasuoni al crescere della temperatura. 1,20 1,00

KE

0,80 0,60 0,40 0,20 0,00 0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

Temperatura [°C]

Figura 3. Elastic modulus ratio (KE) vs. temperatura.

842

Dall’analisi della curva sperimentale KE – T (figura 3) si è rilevata una prima diminuzione delle proprietà meccaniche dovuta ai processi evaporativi dell’acqua libera e di bulk al di sotto dei 400°C. Nel secondo tratto non si rileva alcuna variazione evidente per il fatto che non si hanno trasformazioni importanti. Nello step compreso tra 500 e 580°C il modulo di elasticità dinamico precipita a valori molto bassi rispetto al riferimento perché in questo range di temperatura si completa una transizione di fase displasiva del quarzo con incremento di volume; si generano, pertanto, delle microfratture che rallentano sensibilmente la velocità delle onde ultrasonore; e quindi, contemporaneamente si ha un decadimento delle proprietà meccaniche. Intorno alla temperatura di 600°C si rileva un piccolo incremento delle proprietà meccaniche: l’ipotesi più credibile è che la decomposizione della portlandite genera una struttura più compatta, che comporta una apparente e momentanea diminuzione delle fessure e delle lesioni sul campione [4]. Oltre i 700°C si rileva una ulteriore diminuzione dovuta alla deidratazione dei silicati idrati; da questo momento in poi il valore di KE si mantiene intorno al 5% del valore iniziale. 3.3. Determinazione della resistenza a compressione Le prove di rottura a compressione effettuate sulle carote in oggetto, hanno confermato che i processi degradativi provocati dalle elevate temperature generano il decadimento delle proprietà meccaniche del calcestruzzo. Tuttavia, i calcestruzzi rinforzati con fibre di acciaio mostrano una certa duttilità dopo i 400°C. E’ stata analizzata la variazione del Compressive Strength Ratio (KR) vs. temperatura (figura 4). Il Compressive Strength Ratio viene definito come il rapporto tra il valore massimo del carico di rottura, ad una data temperatura, e il valor del carico di rottura in condizioni di non degrado. Come accade a tutti i calcestruzzi (sia fibrorinforzati che non), il valore del carico di rottura diminuisce all’aumentare della temperatura. Nel range compreso tra 400°C e 850°C diminuisce dal 90% al 20% del valore iniziale. Per un calcestruzzo non fibrorinforzato a 850°C il valore residuo di resistenza a compressione è soltanto il 9-10% della resistenza originaria, ovvero la metà rispetto ad uno rinforzato con fibre di acciaio. Al di sopra dei 400°C, la deidratazione della pasta cementizia genera la graduale perdita di coerenza del calcestruzzo. Poiché la pasta diventa sempre più fragile e gli aggregati si dilatano a causa delle elevate temperature, la coesione all’interfaccia legante-aggregato diventa sempre più debole e provoca il decadimento delle prestazioni del calcestruzzo. La presenza di fibre, tuttavia, ha una lieve influenza sulla resistenza a compressione, ma, da quanto rilevato, ottimi effetti sul modo in cui il calcestruzzo si porta a rottura. 1,2 1,0

KR

0,8 0,6 0,4 0,2 0,0 0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

Temperatura [°C]

Figura 4. Compressive Strength Ratio (KR) vs. temperatura.

843

Il calcestruzzo SFRC presenta il vantaggio di essere più duttile di un calcestruzzo ordinario al di sopra dei 400°C. Grazie all’ancoraggio permesso all’estremità, le fibre impediscono che le lesioni generatesi a seguito dell’applicazione del carico si propaghino in maniera violenta e catastrofica, dando così il modo di rottura tipico di un SFRC (figura 5).

Figura 5. Rottura a compressione su carota trattata a 580 °C.

3.4. Modo di rottura (Failure Mode) I calcestruzzi SFRC e NC (Normal Concrete) generalmente non presentano lo stesso failure mode, al crescere della temperatura. In tutti i calcestruzzi la cricca si genera per distacco tra gli aggregati e il legante ed, in casi più estremi, si ha anche la rottura degli aggregati. Per i calcestruzzi ordinari trattati termicamente la frattura avviene di schianto e, man mano che la temperatura aumenta, il calcestruzzo perde coerenza, portandosi a sgretolamento anche senza l’applicazione di un carico esterno. Al contrario, per i calcestruzzi SFRC, al di sotto dei 750°C la rottura di schianto viene bloccata dalla presenza delle fibre (figure 6 e 7). Da questa temperatura in poi la resistenza residua è soltanto il 20% di quella iniziale. Si riportano le immagini della rottura a compressione delle carote trattate a 500 e 750°C. Le carote trattate a 750 e 850°C hanno presentato lo stesso tipo di rottura (colonnare) e i valori del carico di rottura rilevati erano uguali; tuttavia, il calcestruzzo trattato alla temperatura più elevata si è sgretolato dopo la rottura. Probabilmente, a causa della temperatura troppo elevata, anche le fibre hanno perso la propria funzionalità; il riscaldamento potrebbe aver causato la perdita dell’azione di ancoraggio delle fibre sul calcestruzzo.

Figura 6. Rottura a compressione su carota trattata a 500°C.

Figura 7. Rottura a compressione su carota trattata a 750°C.

844

4. VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO DELLE FIBRE AL PASSAGGIO DI CORRENTE IN PRESENZA DI CLORURI I fenomeni di interferenza nelle strutture in cemento armato possono essere così schematizzati: la presenza di una differenza di potenziale tra due punti induce il passaggio di una corrente nella struttura. Parte di questa fluisce nel calcestruzzo, ma una parte può passare anche nelle armature, nel caso in cui l’armatura stessa sia già in condizioni di attività, determinando su queste un’intensificazione dell’attacco corrosivo crescente con la corrente stessa. Si possono quindi distinguere due zone in corrispondenza dell’acciaio: una zona catodica di ingresso della corrente ed una zona anodica di fuoriuscita. Sulla superficie delle zone di ingresso avviene principalmente la reazione catodica di riduzione dell’ossigeno a cui si può aggiungere, se viene raggiunto un potenziale molto basso, quella di sviluppo di idrogeno; in entrambi i casi si ha un aumento dell’alcalinità. Questa zona delle armature è pertanto tendenzialmente protetta. Solo se il potenziale raggiunge dei valori molto negativi, si possono manifestare gli inconvenienti della perdita di aderenza tra armatura e calcestruzzo. Sulle zone di fuoriuscita della corrente avviene la reazione di dissoluzione del ferro a cui si può aggiungere, ad alti potenziali, quella di sviluppo di ossigeno. Si ha un incremento di acidità che rende più solubili i prodotti di corrosione e meno stabile la passività del ferro. 4.1. Risultati sperimentali Sono state studiate le condizioni di insorgenza di fenomeni di interferenza delle fibre confrontati con quelli inerenti alle armature in campioni di calcestruzzo inquinati da cloruri. Le indagini sono state effettuate utilizzando campioni di dimensioni 0.30x0.15x0.15 m realizzati con calcestruzzo armato e fibrorinforzato (0.31% in volume di fibre) contenente tenori di cloruri al 3% in peso rispetto al cemento aggiunti direttamente all’acqua di impasto. Un campione conteneva 2 tondini di acciaio )6 mm, lunghi 150 mm, realizzati in acciaio Fe B 44K ad aderenza migliorata, disposti parallelamente tra loro e non connessi elettricamente. Nel campione fibrorinforzato sono state inserite alle estremità due fibre d’acciaio anch’esse disposte parallelamente tra loro senza alcuna connessione elettrica (figura 8). +

-

1 2

E3-4

Elettrodi di riferimento di titanio attivato

5

4 6

Fibre/armatura

Figura 8. Collegamenti nelle prove di interferenza con calcestruzzo in presenza di fibre e di armature

Dopo la posa in opera i campioni sono stati maturati per 28 giorni mantenendone la superficie costantemente umida. La scelta di inquinare il calcestruzzo con i cloruri nasce dall’esigenza di voler favorire il fenomeno dell’interferenza e promuovere l’innesco della corrosione localizzata. In corrispondenza alle due facce minori del provino sono state annegate nel getto 2 reti di titanio attivato. Tra queste 2 reti, durante le prove, è stata fatta circolare una corrente

845

nel provino e, in questo modo, si è creato un gradiente di potenziale all’interno del calcestruzzo al fine di indurre la corrente di interferenza. I punti 1 e 2 individuano la rete di titanio attivato affogata nel calcestruzzo. I punti 3 e 4 individuano gli elettrodi di riferimento di titanio attivato. I punti 5 e 6 individuano i tondini di acciaio, nel caso del campione armato, o le fibre, nel caso del campione fibrorinforzato, disposti parallelamente tra loro (figura 8). L’alimentazione è stata effettuata in modo galvanostatico [5], imponendo valori di corrente variabili tra 30 PA e 5 mA con una tecnica a “step” di durata minima di due ore. Per le misure di potenziale delle armature e delle fibre e di gradiente nel calcestruzzo sono stati utilizzati elettrodi di riferimento fissi di titanio attivato. 8

E3-4 (V)

7 6

cls

5

sfrc

4 3 2 1 0 0

2 4 6 Corrente Imposta (mA)

8

Figura 9. Andamento della tensione E3-4 in funzione della corrente imposta

Dai risultati sperimentali si osserva (figura 9) come la differenza di potenziale presente nel calcestruzzo aumenti con la corrente sia nel campione fibrorinforzato sia in quello armato. Per bassi valori di corrente, la differenza di potenziale presente tra le armature del campione inquinato da cloruri assume lo stesso ordine di grandezza di quella tra le fibre. In corrispondenza del valore di corrente di 0.2 mA il valore di differenza di potenziale presente tra le due armature è di 0.26 V, mentre, allo stesso valore di corrente, la differenza di potenziale misurata tra le fibre nel calcestruzzo fibrorinforzato assume il valore di 0.15 V. Con valori di corrente più elevati, i due andamenti tendono a diversificarsi: in corrispondenza del valore di corrente corrispondente ad 1 mA, si registra una differenza di potenziale tra le due fibre di 0.643 V, mentre tra le due barre di ferro il valore assunto è di 1.433 V. Con gradienti di potenziale più elevati, le differenze divengono sempre più nette e le curve tendono ad allontanarsi tra loro. In corrispondenza del valore di corrente pari a 5 mA, la tensione registrata tra le due fibre è 4.88 V, contro 7.6 V registrati tra le due armature. Il dato apparentemente sembra fornire un risultato scadente per quanto attiene la resistenza al passaggio di corrente dispersa nel campione fibrorinforzato. È emerso, inoltre, che per il calcestruzzo SFRC il raggiungimento di un determinato valore di corrente avviene tramite una tensione inferiore a quella individuabile per il campione armato. Il campione armato è caratterizzato dalla sola presenza delle due barrette di ferro. L’attacco corrosivo è, quindi, localizzato in prossimità delle barrette stesse. Il secondo campione è caratterizzato dalla presenza di fibre diffuse, le fibre risultano essere assenti solo in prossimità della rete di titanio attivato, al fine di evitare effetti di cortocircuito. I campioni sono stati sottoposti a prove di schiacciamento al fine di valutare lo stato di corrosione che internamente ha caratterizzato sia le fibre che i tondini d’acciaio.

846

Figura 10. Particolare delle fibre e dei tondini di ferro contenuti nei provini sottoposti al passaggio di corrente

Sono stati analizzati (figura 10) gli effetti del passaggio di corrente sui tondini d’acciaio e sulle fibre presenti nei campioni inquinati da cloruri. Sull’acciaio sito nell’area anodica, si è innescata la corrosione localizzata e a conferma di ciò è risultata visibile le perdita di aderenza tra il ferro e il calcestruzzo, sopratutto nella parte superiore del tondino. L’analisi visiva del ferro ha mostrato la presenza di prodotti di corrosione di colore nero e bruno rossastro che hanno ricoperto la superficie del metallo, questi ultimi si sono accumulati in una zona immediatamente vicina al ferro. L’attacco è risultato sufficientemente intenso per via della modesta estensione della superficie coinvolta. Per quanto attiene le fibre presenti in prossimità degli elettrodi di riferimento si osserva come la zincatura sia riuscita parzialmente a proteggere l’acciaio dagli attacchi corrosivi. Un evidente effetto corrosivo risulta individuabile soprattutto nelle estremità uncinate. La discontinuità elettrica delle fibre ha comunque generato un effetto corrosivo sulla singola fibra senza che questa si sia propagata sulle fibre presenti nelle zone limitrofe. Per le altre fibre presenti nelle zone più interne del campione è non stato riscontrato alcun effetto corrosivo.

5. CONCLUSIONI Nella presente ricerca è stata sviluppata una metodologia sperimentale atta a rilevare i danni cui può incorrere il calcestruzzo fibrorinforzato in caso d’incendio e di esposizione ad agenti aggressivi e correnti vaganti. Per quel che concerne il primo aspetto trattato (durabilità al fuoco) si può affermare che le trasformazioni termiche occorse, le proprietà meccaniche residue e, quindi la risposta del materiale, dipendono fortemente dalla qualità e dalla tipologia dei materiali impiegati per il confezionamento del calcestruzzo. Per questo motivo infatti, la gravità dei danni, a parità di temperatura, rilevata in un calcestruzzo rinforzato con fibre d’acciaio (SFRC) non è la stessa di quella che in genere si riscontra in un calcestruzzo a normale resistenza meccanica (NC). In particolare si è visto, come i processi di degrado della matrice si innescano non appena ha inizio la decomposizione termica delle fasi idrate. L’aggiunta delle fibre all’impasto comporta un notevole incremento della duttilità del calcestruzzo, che si fa sempre più sensibile al crescere della temperatura. Lo dimostra il fatto che le prove di compressione non hanno portato ad una rottura violenta, improvvisa e soprattutto catastrofica del campione. Il calcestruzzo infatti, una volta raggiunto il carico di rottura, ha continuato a mantenersi coerente. Tale comportamento è ovviamente da attribuire alla presenza delle fibre.

847

Il secondo aspetto indagato è il fenomeno dell’interferenza elettrica in presenza di cloruri. Dalle prove si è osservato come la zincatura delle fibre presenti in prossimità degli elettrodi di riferimento sia riuscita parzialmente a proteggere l’acciaio dagli attacchi corrosivi. Un evidente effetto corrosivo è risultato, tuttavia, individuabile nelle estremità uncinate. Per le fibre presenti nelle zone più interne del campione nessun effetto corrosivo è stato riscontrato. Il calcestruzzo SFRC è un materiale con buone caratteristiche di resistenza all’azione di agenti che risultano essere particolarmente pericolosi per un calcestruzzo ordinario. Pertanto, in caso di progettazione di strutture soggette a condizioni gravose di esercizio (rischio di incendio, zone marine, impianti di trazione, etc.), sarebbe da privilegiare la scelta di SFRC.

RINGRAZIAMENTI Si desidera ringraziare gli Ingg. V. Venturi, D. Santacroce e P. Longo della Sidercem S.r.l. ed il Prof. E. Proverbio per il loro prezioso supporto.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

ETEROGENEITA’ E DANNI NEL CALCESTRUZZO: EFFETTI SULLA STIMA DELLA RESISTENZA ATTUALE M. BRIGANTE Dipartimento di Scienza delle Costruzioni, Università degli Studi di Napoli Federico II

SOMMARIO Il lavoro riporta i risultati sperimentali delle indagini non distruttive eseguite su alcuni edifici scolastici con strutture portanti in c.a., realizzati tra il 1953 ed il 1970. L’obiettivo di indagare sulla resistenza del calcestruzzo è stato perseguito con l’impiego di analisi a due e tre parametri, con la costante presenza degli ultrasuoni, accoppiati all’oscilloscopio. Le indagini US codificate, con il confronto con un modello teorico, hanno consentito di individuare una attendibile fascia di risultati, utilizzabili per le successive verifiche. ABSTRACT The NDE methods have a number of merits, when compared with destructive ones. At the same time, application of NDE methods to concretes is difficult because of their complex internal structure. So, the main goal of the present work is to propose an approach, which is able to adequately describe wave penetration of ultrasonic wave through the medium with multiple internal obstacles. In the context of possible applications we are interested in ultrasonic evaluation of mechanical properties of concrete, where influence of the internal dislocations like pores and cracks is of significant importance.

1. PREMESSE Determinare le proprietà elasto-meccaniche del calcestruzzo in strutture già realizzate, procedendo con analisi indirette di tipo non distruttivo per risalire alla “resistenza attuale” è piuttosto insidioso, a causa di molti fattori che influiscono sui risultati e, conseguentemente, sulle misure in situ. A tal scopo, in genere, si indaga in aree definite e su un materiale che ha completato il processo di indurimento e di trasformazione, impiegando tecniche sperimentali supportate da metodi di calibrazione e di validazione. . Tuttavia risultati delle indagini e delle prove conducono a valori di resistenze del materiale che ricadono in un campo alquanto ampio di variabilità, tanto da suscitare perplessità sull’utilizzazione dei dati. Questo effetto è esaltato nel caso che l’oggetto delle indagini sperimentali sia un calcestruzzo di resistenza medio-bassa (tra 20 e 25 N/mm2), come purtroppo sono i calcestruzzi più utilizzati in Italia, almeno fino agli anni ’70. Tecniche di misura combinate (a due o tre parametri) e l’impiego di analisi statistiche avanzate [1] [2] [3] possono contribuire a ridurre l’effetto della dispersione delle misure e

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l’incertezza nell’interpretazione dei risultati, a patto di poter garantire una totale padronanza delle tecniche sperimentali, una conoscenza delle condizioni di esercizio delle strutture indagate ed avere chiari gli obiettivi ed i limiti delle prove. Tutti i metodi combinati proposti in letteratura utilizzano i metodi ultrasonici (US); i cui valori sperimentali vengono inseriti in relazioni di tipo essenzialmente empirico e quasi sempre prive di confronti con modelli teorici. L’impiego di questi metodi è stato oggetto di critiche [4] [5] [6] per l’applicazione ai materiali opachi e porosi come il calcestruzzo, mentre sono idonei per materiali omogenei ed isotropi come l’acciaio. Tuttavia essi vengono utilizzati, in mancanza di alternative; essi, come detto, sono peraltro presenti in tutte le combinazioni a metodi multipli. E’ perciò opportuno che i risultati vengano accuratamente “filtrati” con metodi di controllo adatti all’impiego sulle strutture in c.a. In questo studio si riferisce di risultati ottenuti nel corso di numerose campagne di misura eseguite (tra il 2003 ed il 2006) su edifici appartenenti tutti all’area Campana, realizzati in c.a. con calcestruzzo di resistenza media e con tecnologie e tipologie strutturali molto simili tra loro. Gli edifici studiati, come illustrato nel presente lavoro, sono ubicati sia in ambiente marino che in aree collinari distanti dalla costa, accomunati – come detto – dall’epoca della costruzione che è compresa tra il 1953 ed il 1970. E’ stato applicando un modello descritto in precedenti lavori [7] [8] [9], studiato per l’impiego delle tecniche US che utilizza i principi delle rifrazioni multiple delle onde elastiche [10] [11] [12] [13] [14], e fornisce informazioni riguardo alle possibili cause che determinano “il tempo di ritardo” tra il segnale inviato e quello ricevuto dai trasduttori applicati al sistema in esame ed informazioni sul grado e tipo di danneggiamento. Emerge una sostanziale differenza tra le inclusioni (ostacoli) dovute a disomogeneità del mezzo, rispetto a quelle caratterizzate da vuoti (lineari o circolari), evidenziabile con una idonea analisi delle dati rilevati. In particolare, sui difetti di tipo lineare, coerentemente associabili ad un potenziale danneggiamento (lesioni), si apprezza la ulteriore azione dei carichi applicati. Il trattamento dei dati associato all’applicazione del modello [15] ha consentito di pervenire ad un insieme di valori finali della resistenza attesa, compresi in una fascia di confidenza sufficientemente ristretta. I risultati sono stati confrontati con quelli ai quali si perviene utilizzando le relazioni sperimentali più avanzate, a più variabili e con la costruzione delle curve di correlazione specifiche.

2. PROGETTO DEL PIANO DI PROVE SCELTA DELLE AREE DI PROVA Il progetto di un piano di prove e la scelta delle aree di indagine debbono scaturire da una preliminare analisi della struttura, fissando con chiarezza gli obiettivi e le finalità delle prove stesse, in maniera da evitare di intervenire più volte – in fasi successive – con attività di danneggiamento dell’immobile e l’esecuzione di prove ripetute. Le PND producono danni limitati, ma è pur vero che è necessario asportare l’intonaco e rendere libere ed ispezionabili le superfici di indagine. La presenza di elementi, anche se non strutturali, che inibiscono la perfetta ispezione degli elementi di indagine, richiede il ricorso a tagli, spicconature e piccole demolizioni che hanno influenza sui tempi e costi delle prove. E’ dunque necessario ridurre al massimo le ispezioni e definire in maniera ragionata la scelta delle aree di indagine. La normativa (OPCM 3274 e successive modifiche, capitolo11- Edifici esistenti) stabilisce differenti condizioni da assumere per le successive verifiche in ragione del grado di

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conoscenza e del livello di confidenza che si ha con la struttura in studio (figura 1). Ciò spinge ad approfondire le indagini, al fine di poter ridurre la severità delle ipotesi delle successive verifiche. Livello di Conoscenz a

Geometria (carpenter ie)

EDIFICI IN C.A. C.A.

E’ bene però osservare che (figura 1) i tre livelli di conoscenza ipotizzati dalla normativa presuppongono un maggiore grado di conoscenza sia dei dettagli strutturali che dei materiali (in parallelo). Non è dunque sufficiente approfondire solo la conoscenza dei materiali (che si potrebbe associare ad un maggior numero di prove) se, contemporaneamente, non si ha una Figura 1. Livelli di confidenza analogo approfondimento della conoscenza delle strutture. Da ciò discende che – non di rado – l’aumento del numero di prove, oltre il limite del necessario, costituisce un inutile accanimento sulle strutture, con scarso beneficio sui risultati e senza vantaggio sulle condizioni di analisi numerica. Il prospetto di figura 1 riporta i dati numerici e le percentuali degli elementi da indagare, ma in maniera schematica ed orientativa: la scelta delle aree di indagine, il posizionamento dei punti e delle aree di prova sono demandate completamente alle situazioni che si rilevano in situ. La scelta delle aree in maniera adeguata è uno degli elementi più importanti ai fini della corretta analisi dei risultati e di una corretta condotta del piano di prove. Dunque è opportuno effettuare la scelta ed individuare aree di indagine in maniera ragionata, tenendo conto del necessario approfondimento del livello di conoscenza delle strutture. Nella figura 2 è riportato un possibile percorso che prevede una serie di fasi successive e logiche che aiutano ad individuare le zone di prova. Dopo una prima fase di analisi delle documentazioni e la successiva di ispezione visiva dell’edificio, si passa al rilievo strutturale completo, Figura 2. Percorso operativo utilizzando solo indagini di prima approssimazione (evitando saggi e distruzioni) finalizzate alla ricostruzione di un progetto simulato, sul quale condurre una prima serie di verifiche di massima, utilizzando dati e normative dell’epoca della costruzione. Solo successivamente, dopo aver effettuato alcune proiezioni con i codici di calcolo attuali e nella più che probabile ipotesi che le verifiche (con i codici attuali) non siano soddisfacenti, si può pensare di sviluppare un programma di prove, concentrando l’attenzione (sia ai fini della scelta della tipologia di prova, che per stabilire modalità e numero delle prove stesse) nei punti critici emersi dalle precedenti analisi sulle strutture. Le prove, eseguite nei punti e nelle aree critiche, debbono avere il compito di rispondere ai requisiti risultati critici, debbono poi essere correttamente interpretate, utilizzando LC1

Da disegni di carpenteria originali con rilievo visivo a campione oppure rilievo exnovo completo

LC2

LC3

Dettagli strutturali

Proprietà dei materiali

Metodi di analisi

Progetto simulato in accordo alle norme dell’epoca e limitate verifiche in-situ

Valori usuali per la pratica costruttiva dell’epoca e limitate prove in-situ

Analisi lineare statica o dinamica

Disegni costruttivi incompleti + limitate verifiche in-situ oppure estese verifiche in-situ

Dalle specifiche originali di progetto + limitate prove in-situ oppure estese prove in-situ

Tutti

Disegni costruttivi completi + limitate verifiche in-situ oppure esaustive verifiche in-situ

Dai certificati di prova originali + limitate prove in-situ oppure esaustive prove in-situ

Tutti

Rilievo (dei dettagli costruttivi)

FC

1.35

1.20

1.00

Prove (sui materiali)

Per ogni tipo di elemento “primario” (trave, pilastro …)

Verifiche limitate

La quantità e disposizione dell’armatura è verificata per almeno il 15% degli elementi

1 provino di cls per 300 mq di piano dell’edificio, 1 campione di armatura per piano dell’edificio

Verifiche estese

La quantità e disposizione dell’armatura è verificata per almeno il 35% degli elementi

2 provini di cls per 300 mq di piano dell’edificio, 2 campioni di armatura per piano dell’edificio

Verifiche esaustive

La quantità e disposizione dell’armatura è verificata per almeno il 50% degli elementi

3 provini di cls per 300 mq di piano dell’edificio, 3 campioni di armatura per piano dell’edificio

RICERCA DOCUMENTAZIONE STORICA E TECNICA

data di costruzione, normativa di riferimento

Tra le modifiche intervenute: ai fini delle prove sui materiali è consentito sostituire prove distruttive – non più più del 50% - con un ampio numero (almeno il triplo) di prove non distruttive [a 2 o 3 parametri] calibrate preventivamente sui campioni (carote) estratti

ESTESA ANALISI

VISIVA

RILIEVO COMPLETO STRUTTURALE con prime indagini strumentali di aiuto

SIMULAZIONE DI PROGETTO con i dati ed ipotesi rispondenti alla norma dell’epoca

STUDIO E INTERPRETAZIONE DELLE INDAGINI

(vedi metodi e protocolli)

ANALISI DI MASSIMA

CON ATTUALI CODICI NORMATIVI IPOTESI DI MIGLIORAMENTO

ANALISI DEI PUNTI CRITICI

PROGRAMMA INDAGINI MIRATO ESECUZIONE PROVE

NO

SI

VALUTAZIONE SICUREZZA

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metodologie di analisi statistica e calibrazioni adeguate agli obiettivi affidati alle prove stesse. Di questo si discute nel punto successivo.

3. DETERMINAZIONE IN SITU DELLA RESISTENZA DEL CALCESTRUZZO 3.1. Aspetti generali La valutazione della resistenza in opera (resistenza attuale) del calcestruzzo è uno dei temi di maggiore interesse per l’ingegneria, per la crescente esigenza di dover indagare sullo stato di salute delle costruzioni esistenti, sia per ragioni di ordinaria manutenzione che per la valutazione della vulnerabilità e la individuazione di interventi di miglioramento strutturale. La resistenza in opera risente dello stato di esercizio della struttura, compreso le modalità di maturazione del calcestruzzo. Le indagini sperimentali dimostrano che essa è, sistematicamente, inferiore rispetto a quella nominale, con cadute di valori del 20% rispetto valore originario. Le misure ed i rilievi in situ conducono, al più, ad una stima della “resistenza attuale” contenuta in un intervallo che, purtroppo, può essere ampio, anche in maniera da rendere problematica la stesura di un rapporto tecnico e la restituzione di un giudizio sulle condizioni statiche della struttura. Particolarmente insidiosa, poi, è la utilizzazione di tecniche NDT che, pur vantaggiose per il limitato danneggiamento, richiedono adeguata conoscenza delle modalità di interpretazione dei risultati e della scelta delle aree di indagine. I tentativi di restringere l’intervallo puntano in due direzioni: da un lato stabilire protocolli adeguati, dall’altro individuare criteri di analisi con metodi di valutazione sempre più robusti. I casi analizzati nel corso delle indagini condotte sugli edifici riportati in questo lavoro hanno confermato le difficoltà prima indicate, ma hanno anche consentito di verificare che, con un ragionato protocollo di prove e con un’analisi attenta delle zone oggetto delle misure, è possibile pervenire a risultati alquanto confortanti e sufficientemente affidabili. La restrizione della fascia e l’attendibilità dei risultati sono temi che trovano in letteratura numerosi studi, con applicazioni di larga sperimentazione. Non mancano le critiche e le osservazioni rispetto all’impiego del tecniche NDT in assenza di modelli teorici di riferimento; esse comunque, in mancanza di altro, vengono applicate già da oltre un decennio. Le più diffuse, semplici ed economiche strumentazioni sono riportate nella figura 3, mentre nella successiva tabella 1 vengono indicate i simboli di identificazione delle prove. 3.2. Metodi combinati a due e tre parametri L’esigenza di ridurre le incertezze e gli errori che si possono verificare utilizzando metodi sperimentali hanno suggerito di evitare l’impiego di un singolo metodo. Vengono perciò previsti impieghi di due o tre metodi insieme, costruendo elementi di misura, rispettivamente, a due o tre parametri. Il criterio più utilizzato è quello a due parametri; quello a tre parametri comporta non poche complicazioni, soprattutto dal lato statistico, e richiede una più che specifica progettazione del piano delle prove, anche per quanto si dirà in seguito. In mancanza di normative italiane al riguardo, il riferimento sono le raccomandazioni RILEM 43-CND, che forniscono indicazioni sui principi di impiego simultaneo di più metodi. Condizione affinché due o più metodi possano essere utilizzati insieme è che: a) ciascun metodo sia correlato alla resistenza; b) sia applicabile ad elementi strutturali di varie dimensioni; c) le prove siano semplici e rapide, senza richiedere particolari preparazioni; d) i metodi associati a ciascuna tipologia abbiano livello di accuratezza comparabile; e) i metodi applicati non modifichino le prestazioni degli elementi strutturali indagati.

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Calcestruzzo

Parametri d'interesse Modulo elastico Resistenza a compressione

Metodi d'indagine Ultrasuoni

Strumenti necessari Rilevatore ad ultrasuoni

Estrazione Penetrazione Indice al rimbalzo

Apparecch. “Pull - Out” App. “Sonda Windsor” Sclerometro

Parametri d'interesse

Localizzazione e misura diametro copriferro corrosione

Muratura Parametri d'interesse Modulo deformabilità Resistenza Caratteristiche della sezione

Attrezzature per Prove non Distruttive

Metodi d'indagine

Variazione dell'intensità delle correnti indotte Mappatura del potenziale Elettrochimico

Martinetti Piatti (prova a 2 celle) Esempi di prove con i martinetti

Dati Rilevabili

Ultrasuoni Velocità ultrasonica longitudinale Ultrasuoni Velocità ultrasonica trasversale Oscilloscopio Attenuazione dell’onda ultrasonica Sclerometro Indice di rimbalzo Pull Out Resistenza a trazione Sonda Windsor Resistenza a compressione

Ferri d’armatura Strumenti necessari

Detettore di ferro (Pacometro) Semicella

Strumenti necessari

Rilievo delle velocità delle onde di compressione a bassa frequenza delle sezioni indagate Endoscopia

Metodi d'indagine

Strumentazioni

Simbolo USL UST A IR PO W

Tabella 1. Tipologia delle prove

Attrezzatura relativa Apparecch. per rilievi microsismici (sonica) Videoendoscopio Boroscopio rigido modulare

Figura 3 Strumentazioni per PND

Sempre dalle RILEM 43 CND vengono suggerite le seguenti possibilità di combinazione a due e tre parametri, utilizzando i simboli della tabella 1: [USL + IR];

[USL + PO];

[USL + IR + PO];

[USL + A];

[USL + IR + A];

[USL + UST];

(1)

[USL + A + UST];

(2)

Si osserva come, in tutte le possibilità di combinazione, sia a due che a tre parametri, siano previste le prove USL con la determinazione della velocità di propagazione longitudinale dell’onda ultrasonora, se non addirittura le USL e le UST insieme. Ciò rende giustificata l’attenzione in questo lavoro, ma anche della letteratura scientifica, sulla corretta determinazione dei risultati delle prove US, come in seguito è descritto. L’uso dei metodi combinati è riportato nelle raccomandazioni RILEM già citate. In particolare, nel seguito, si fa riferimento al metodo SonReb, molto diffuso ed impiegato, che utilizza l’accoppiamento degli USL con IR, in ragione di alcune peculiarità che rendono il matrimonio dei due metodi abbastanza felice. Le relazioni più diffuse sono: R c1 7,695 1011 I 1m,4 V2,6

, R c2 8,06 10 8 I 1m,246 V185

R c3 1,2 109 I 1m,058 V2,446

, Rc4 4 105 I 188148 V0,80840 m

Esse sono comunque state ottenute, costruendo curve e correlazioni sperimentali, basate sulle indicazioni delle raccomandazioni RILEM 43 CND. Secondo queste raccomandazioni la prova sperimentale consiste nella misura della velocità con US e nella determinazione dell’indice di rimbalzo nella stessa zona nella quale è misurata la velocità. Le operazioni prevedono la misura del tempo di transito dell’onda, con metodo diretto e sonde contrapposte, e indice di rimbalzo allo sclerometro. Ne conseguono la determinazione della velocità V = h/t, ovvero il rapporto tra la distanza tra le sonde ed il tempo letto alla strumentazione con ultrasuoni (la velocità è in m/s); l’indice di rimbalzo e il valor medio tra almeno dieci letture effettuate allo sclerometro. Può così essere determinata la resistenza a compressione utilizzano le relazioni prima riportate. Occorre un coefficiente di influenza, che può essere determinato per via semi-teorico o sperimentale. Il coefficiente semi-teorico tiene conto, secondo le raccomandazioni citate, delle differenze tra il calcestruzzo di riferimento e quello trovato in situ e può essere calcolato quando (e se) si conosce la composizione chimico-fisica del calcestruzzo oggetto di indagine, con la (3):

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C t C c ˜ C d ˜ C i ˜ C g ˜ C I ˜ C add ,

(3)

nella quale i coefficienti rispondono a: Cc tipo di cemento; Cd dosaggio di cemento; Ci natura dell'inerte; Cg frazione fine 0-1 mm dell'inerte; CI diametro della massima dimensione dell'inerte; Cadd eventuale aggiunta di additivo. L’eventuale e molto probabile non conoscenza dei coefficienti prima elencati, comporta il ricorso alla seconda opzione, per determinare il coefficiente sperimentale; in tal caso occorre operare prelevare carote dalle arre nelle quali, precedentemente, sono state rilevate le misure allo sclerometro e con gli ultrasuoni. sui valori ottenuti sulle carote estratte dai punti riferiti alle prove NDT, alle quali si applica il metodo SonReb. Il coefficiente è fornito dalla (4), che opera la sommatoria degli N valori associati al numero delle aree di prova del rapporto tra il valore della resistenza della carota dell’area i-esima ed il corrispondente valore, ottenuto nella stessa i-esima area, con la prova non distruttiva. Csp

1 N § Rrif ,i · ¦¨ ¸ N i 1 ¨© Rp,i ¸¹

(4)

Alla fine si individua una resistenza del calcestruzzo con la formula: Rattuale Ct ˜ R rif c

nella quale compare il coefficiente Ct ottenuto con uno dei criteri prima indicati, moltiplicato per la resistenza di riferimento. In letteratura esistono moltissimi riferimenti ed applicazioni del criterio esposto, con studi sperimentali e proposte di modifica. Le più significative conclusioni, concordi a tutte le applicazioni, sono quelle che suggeriscono una specifica correlazione e calibrazione, da attuare per ciascun esempio di studio, dal momento che è riconosciuto che il calcestruzzo – in tutte le sue applicazioni – è di volta in volta uguale solo a se stesso ed i risultati ottenuti in un caso non autorizzano ad applicarli ad un altro.

4. INFORMAZIONI DESUMIBILI CON INDAGINI US Le tecniche US rappresentano, nell’ambito delle NDT, uno dei metodi di confronto per le analisi a più parametri; anzi si è mostrato che questo metodo è sempre compreso in tutte le combinazioni a metodi multipli. E’ perciò utile che esse vengano esaminate con scrupolo, sia in fase di attività di sperimentazione che nella successiva fase di elaborazione dei dati. I metodi di rilevazione con tecniche US fondano sul principio che esista una relazione tra resistenza e velocità di propagazione delle onde elastiche nel calcestruzzo e che ad una resistenza maggiore corrisponda una maggiore velocità di propagazione. Non è possibile, però, conoscere il valore della resistenza una volta ottenuta la velocità di transito delle onde nel mezzo, se non ricorrendo a relazioni di carattere empirico. Le modifiche della struttura interna dovute al processo di indurimento, prima, ed al processo di applicazione del carico poi, incidono in maniera consistente, cosicché le misurazioni ed i dati associati alle tecniche di prova non possono essere presi come valori

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corrispondenti a parametri fisico-meccanici del materiale, ma debbono essere correlati e calibrati in maniera specifica. Le relazioni sperimentali non tengono conto di questi elementi. Esse infatti si limitano a misurare il tempo di transito del segnale tra il trasduttore trasmittente e ricevente, ma non sono in grado di dire nulla circa il percorso seguito dal segnale. La distanza tra i due trasduttori, determinata solo dalla loro reciproca posizione, non corrisponde, però, al percorso del segnale nell’interno del materiale. La velocità dell'onda di propagazione di impulsi acustici può dare informazioni sui moduli elastici dinamici se si conoscono (per materiali di isotropi) le due velocità di onda indipendenti (longitudinale ed trasversale), e la densità di massa del materiale. Questo metodo è stato ed è oggetto di severe critiche [4]. Infatti la tecnica “throughtransmission”, che è usata tipicamente nella valutazione del calcestruzzo, determina la velocità dal primo arrivo dell'impulso ricevuto. Però molti materiali, incluso il calcestruzzo, lavorano come un filtro per lo spettro di frequenza, quando l’impulso US passa attraverso il mezzo (Garnier e altri, 1995), ma la frequenza di risonanza del trasduttore non coincide con una frequenza dominante emessa attraverso il mezzo. Nel processo di trasmissione delle onde microsismiche il segnale subisce una serie di rifrazioni multiple (Multiple Scattering) prima di arrivare al trasduttore ricevente. Ne consegue che la distanza tra i trasduttori (utilizzata per il calcolo della velocità) non corrisponde al reale percorso seguito dal segnale. La complessità ed il numero delle rifrazioni dipende dal numero e tipo di ostacoli (inclusioni). La simulazione matematica delle inclusioni può effettuarsi schematizzando una serie di ostacoli, di tipo e quantità diversi tra loro, disposti in maniera casuale. Nella letteratura scientifica vi è un numero elevato di studi che si occupano dell’interazione tra ostacoli differenti, utilizzando modelli su base deterministica. La precisione dei metodi proposti è buona solo per frequenze molto basse; essi si basano sull’idea semplificata che il calcestruzzo sia formato da due componenti: l’aggregato e l’inerte, con pori e vuoti pieni di aria o acqua. Una diversa base di studio è quella di considerare modelli di tipo stocastico. Questi si basano sulla teoria di Twersky che considera N ostacoli e le relative onde incidenti, considerando solo la prima azione di rimbalzo pi, senza tener conto delle successive possibili rifrazioni pin che interessano un numero j di elementi diverso dal numero i degli elementi totali. Invece, considerando un numero N di ostacoli, è essenziale ai fini della bontà dei giudizi tener conto della molteplicità delle rifrazioni: pinc  ¦ p

pi

jzi

(5)

j

i

In altri lavori [8][15] è stato mostrato come la presenza di particolari ostacoli alla propagazione delle onde, costituisca un elemento di valutazione del grado di deterioramento del calcestruzzo. E’ stato valutato, con analisi numeriche e sperimentali, che ostacoli, vuoti, lesioni ecc. influenzano il tempo di transito, determinando un tempo di ritardo: t m ax

Ts

³

t m ax

t p( t ) dt /

0

³

I

p( t ) dt

¦

I

t i p ir /

i 1

0

¦

p ir

(6)

i 1

con una velocità effettiva (7) di propagazione dell’onda che dipende dal rapporto della distanza tra le sonde ed il tempo impiegato, visto come somma di due termini: il tempo di riferimento per un materiale perfetto ed il tempo di ritardo prima definito. cs

L TL  Ts

L L / c  Ts

c 1  cTs / L

,

(7)

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I risultati delle figure 4 e 5, che mostrano la differenza tra i casi esaminati.

Figura 4. Velocità in funzione di difetti lineari e circolari: perfectly reflecting boundary.

Figura.5. Velocità in funzione di difetti lineari e circolari: impedence boundary

Uno degli aspetti più significativi è l’estensione del procedimento al caso di inclusioni lineari, simulazione di lesioni e, quindi, di danneggiamento del materiale [15], con lo sviluppo di un modello numerico per stabilire la variazione della velocità legata al numero di inclusioni lineari (lesioni), partendo dallo studio di un modello con una sola inclusione lineare (fig. 6-7) per il quale è stato analizzato lo stato tensionale ad esso associato, illustrato in [15].

Figura 7 stress along the line of the crack

Figura 6 Horizontal crack. W yz x, y





P

W xz

x, y

Hg i 4S

Hg i S

P

y2  H 2 2 y  xi  x  H 2

>

>

2

2  x i  x 2 , @ > y 2  x i  x  H 2 2 @

y xi  x 2 y2  xi  x  H 2 @ > y2  xi  x  H 2

(8)

2 @

.

Nel caso di più crack interni ne consegue un sistema complesso che prevede la sovrapposizione multipla degli effetti reciproci, espressi dalle relazioni seguenti: W yz x i , 0 P





H 4S

I

¦ j 1

H

2



2

 x j  xi



2 2

> x j  xi  H 2 @ > x j  xi  H 2 @ 2

gi

(9)

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gj

I

H 4S

¦> x

H 4S

¦ > x

ji

 H 2 @ 2

 xi

j

I

j i

2

gj

j

 xi

 H 2 @ 2

2

,



(10)

W0 , i 1, 2, !, I . P

Lo stato tensionale complete è dato dalla (11), mentre la figura 5 illustra il caso di due lesioni collineari: W yz x , y P



W xz x , y P





2

2  xj  x @ gj ¦ 2 2 @> y 2  x j  x  H i 1 > y  xj  x  H 2

>

I

H 4S

y2  H 2

x x g @ > y  x

2

,

(11)

2

I

Hy ¦ S i1

@

2

j

2

y2  x j  x  H 2

>

j

2

j

 x H 2

2

@

.

Figura 8 Distribuzione dello stress nello spazio tra due lesioni collineari.

La composizione dell’effetto Multi Cracked (figura 9-10) è dato dalla (12).

Figura 10 Contributo mutuo

Figura 9. Una distribuzione deterministica di lesioni I

¦K

ij

 W 0 n iy ,

gj

i

(12)

1, 2, !, I .

j 1

I risultati dell’analisi numerica condotta sui modelli analizzati [15] hanno fornito valori del tempo di transito e velocità di propagazione, definite dalle (13) e (14); in particolare i valori di v1 e v2 tengono conto della rifrazione multipla e v2 considera anche l’incremento del numero di cracks, simulazione di un aumento di danneggiamento [15].

¦tp ¦p k

Ts 1

r k

(13)

k

r k

k

v1

v0 1  v 0 Ts

1

L

v2

,

v0 1  v 0 Ts

2

L

.

(14)

Respettivamente le figure 11e 12 riassumono i risultati del confronto.

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Figura11 Strength and ultrasonic velocity versus number of cracks.

Figura 12 Ultrasonic velocity versus strength: 1-v1/v0; 2-v2/v0.

5. APPLICAZIONE DEI MODELLI AI CASI REALI A partire dal novembre 2002, subito dopo il terremoto del Molise, sono state effettuate numerose indagini su strutture esistenti, ed in particolare su edifici scolastici, con l’obiettivo di valutarne il grado di vulnerabilità. Queste campagne di indagine effettuate con il personale e le attrezzature del Laboratorio del Dipartimento di Scienza delle Costruzioni dell’Università di Napoli Federico II hanno consentito di disporre di una rilevante banca dati, che ha permesso una serie di verifiche e di confronti tra i risultati cui si può pervenire utilizzando in maniera acritica le misure in situ con quelli ai quali invece si giunge utilizzando una valutazione più approfondita delle misure US. I casi esaminati dei quali si riferisce in questo lavoro riguardano esclusivamente costruzioni con impiego di calcestruzzo armato realizzato in opera, costruite nel periodo compreso tra il 1953 ed il 1970, con tipologia costruttiva e tecniche esecutive anch’esse simili, geograficamente collocate in un’area omogenea della provincia di Salerno, nei Comuni di Albanella, Campagna, Vietri sul Mare e Salerno. Un ulteriore elemento comune è costituito dalla resistenza del calcestruzzo impiegato nelle costruzioni, risultato di resistenza medio bassa (già dall’origine) compreso tra 20 e 25 N/mm2. Questa informazione è stata desunta dalla documentazione disponibile, relativa all’epoca della costruzione, e da dati informativi. I Il piano delle prove e la quantità delle prove medesime, compreso il numero distribuzione, è stato fissato con i criteri descritti al punto 2 (figure 1-2), utilizzando le strumentazioni riportate nella figura 3 e documentate nelle foto seguenti. I dati sono stati raccolti in tabelle del tipo riportato nella figura 13; la successiva elaborazione dei dati è stata effettuata con differenti modalità. La figura 14 mostra le differenze dei risultati ottenuti con le diverse procedure, mostrando come i risultati finali siano abbastanza coerenti. La prima serie di risultati è ottenuta con l’applicazione di un metodo combinato a due parametri (SonReb), senza alcuna analisi, ma con la mera applicazione della relazione. La seconda serie, invece, è ottenuta applicando lo stesso procedimento ma procedendo con una serie di aggregazione dei risultati, riferiti a strutture similari con carichi similari. La serie dei risultati finali, poi, oltre alle differenziazioni già introdotte, ha utilizzato una successiva analisi dei risultati ottenuti con la strumentazione US, accoppiata all’oscilloscopio, utilizzata in maniera da interpretare e definire la tipologia del calcestruzzo, con riguardo alle disomogeneità ed al grado di danneggiamento, forniti dall’applicazione dei criteri illustrati nel punto 4.

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FASI DELLE PROVE: PACOMETRO – SCLEROMETROSCLEROMETROULTRASUONI – SONDA WINDSOR

PACOMETRO

SCLEROMETRO

ULTRASUONI

WINDSOR

TABELLE DI MISURAZIONE c

Dim. area investigata [cm]

Misure sclerometriche Elemento*

Indice di rimbalzo

Misure ultrasoniche

Indice medio

Tipo**

--30 A 32 34 30 Pil 30 12 40x100 2 31,6 A 32 2° Piano 36 30 28 A 34 ---9 1,058 2,446 x Velocità VALORE SONREB R [Mpa] = 1,2 x 10 x Indice medio = Misure sclerometriche Dim. area Zona investigata Elemento* Indice di campione Indice medio Tipo** [cm] rimbalzo

Distanza sonde [cm]

Tempo [Psec]

40

111

40

110

40

111

Misure Windsor Velocità [m/sec]

3614,52

[mm]

Resistenza [MPa]

44

22

43

21,5

48

24

23,38 Misure ultrasoniche

Resistenza media [MPa]

22,5

Misure Windsor

Distanza Tempo Velocità sonde [Psec] [m/sec] [cm] --34 A 40 123 34 34 34 Pil 34 2 30x60 2 33,8 3373,04 A 40 116 32 2° Piano 34 34 34 117 A 40 34 ---9 1,058 2,446 21,20 x Velocità VALORE SONREB R [Mpa] = 1,2 x 10 x Indice medio = (*) 1 Trave -- 2 Pilastro -- 3 Parete (**) A Diretta -- B Semidiretta -- C Indiretta

[mm]

Resistenza [MPa]

45

22,5

42

21

41

20,5

Resistenza media [MPa]

21,3

Figura 13 Foto prove e tabelle dati Sonreb

Sonreb : prima correzione

50,00

60

45,00 50

40,00

40 Resistenza [MPa]

Resistenza [MPa]

35,00

30,00 Serie1

25,00

Serie1

30

20,00 20

15,00 10

10,00

5,00 0 0

0,00 0

20

40

60

80

100

120

140

5

10

15

20

25

30

160

Confronto dei risultati ottenuti con i tre metodi

Risultati finali 30

60,00 25

50,00

20

Resistenza [MPa]

Resistenza [MPa]

40,00

Serie1

15

Serie1 30,00

Serie2 Serie3

20,00

10

10,00

5

0,00 0

0 0

5

10

15

20

25

20

40

60

80

100

120

140

160

30

Figura 14 Risultati ottenuti con la elaborazione dei dati

6. CONCLUSIONI I risultati emersi dalla campagna di prove sono apparsi confortanti, con una ridotta dispersione dei valori sperimentali contenuti nell’ambito di una fascia di valori

859 &UROOLXQLFRSGI



sufficientemente ristretta; ciò ha consentito di indicare – con buona affidabilità – il valore stimato della resistenza del calcestruzzo in situ. A questi risultati si è giunti, con un processo di analisi progressiva dei dati, utilizzando gli ultrasuoni in maniera mirata per l’analisi differenziata dei difetti, con l’impiego delle considerazioni e dei modelli illustrati.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

DEGRADO DEI MATERIALI E DIFETTI COSTRUTTIVI: IL CASO DI PALAZZO GENTILE DI SAN’AGATA MILITELLO ANALISI ED INTERVENTO DI RECUPERO MEDIANTE APPLICAZIONE DI TESSUTI IN FRP. G. OCCHIUTO1 1

Maxfor s.rl. – Agenzia per la Sicilia

SOMMARIO Nell’ambito del restauro di Palazzo Gentile di Sant’Agata Militello, una delle volte dell’edificio, la “volta reale” situata all’ingresso dello stabile, presentava dei dissesti strutturali rilevanti, causati dal degrado del materiale costituente la volta stessa e da una putrella in ferro collocata all’altezza delle reni. Il peso e l’ossidazione di tale elemento avevano causato lo slittamento dei mattoni e la formazione di un quadro fessurativo preoccupante. La volta è costituita da un doppio strato di mattoni in foglio dello spessore di circa 4 cm cadauno uniti fra loro da un’intercapedine in malta di calce. Il degrado di tale malta ha creato una discontinuità nella struttura e la volta risultava essere composta non più dalla doppia fila di mattoni, ma da due volte distinte e separate, una intradossale e l’altra estradossale. Per tali ragioni si è deciso di consolidare la volta mediante l’utilizzo di materiale composito in fibra di vetro, applicato si all’intradosso che all’estradosso, e connettori in fibra aramidica opportunamente disposti.

1. INTERVENTO DI CONSOLIDAMENTO In funzione delle osservazioni svolte, sono stati progettati gli interventi; la linea guida progettuale è stata caratterizzata da minima invasività, per consentire la conservazione dell'esistente. Le fasi di intervento si possono così riassumere: 1. Rimozione dell'intonaco esistente nelle zone di applicazione del rinforzo in fibra di vetro G-sheet. 2. Preparazione del sottofondo, ove necessario per la collocazione degli FRP: stuccatura delle lesioni, rasatura di livellamento con malta fibrorinforzata a basso modulo Armocrete V2, smusso degli spigoli con raggio minimo 6-8 cm. 3. Applicazione del rinforzo con tessuti in fibra di vetro: applicazione del primer Armoprimer 200, applicazione dell'adesivo in stucco epossidico Armofix T, applicazione del

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tessuto e rullatura fino a completa impregnazione. Applicazione di adesivo di saturazione e spolvero con sabbia al quarzo per consentire i successivi trattamenti di intonacatura. 4. Re-intonacatura terminale ove necessario 5. Posizionamento di connettori in fibra aramidica Armogrip per l’ancoraggio delle fasce, in corrispondenza della trave di ferro per agganciare la volta intradossale a quella estradossale, vista la lesione presenteall’intradosso. 2. MATERIALI UTILIZZATI Per il consolidamento delle volte è stata utilizzata la tecnologia Armoshield della Maxfor s.r.l.. Le rasature preparatorie sono state realizzate con malta Armocrete, a basso modulo elastico, che si caratterizza per la buona compatibilità con le strutture murarie. Per il rinforzo strutturale sono stati adoperati tessuti bidirezionali in fibra di vetro Armoshield, tipo Armoshield G-Sheet AR 50/50 alcali resistenti aventi le seguenti caratteristiche: grammatura di 350g/mq tipo bilanciato bidirezionale, Modulo elastico > 65.000 N/mmq;Resistenza a trazione >1700 N/mmq; Allungamento a rottura 2,8%. I rinforzi sono stati applicati con l’utilizzo di resine compatibili Armofix T e MTX, su primer Armoprimer 200. Gli elementi di ancoraggio, connettori in fibra aramidica Armogrip A10 F20 aventi le seguenti caratteristiche: modulo elastico 120.000 N/mmq; resistenza a trazione 2.900 N/mmq; allungamento a rottura : 2,5 %. Questi sono stati inghisati e collegati sempre con l’utilizzo di resine epossidiche Armofix. Si riportano alcune foto rappresentanti le fasi di cantiere (da fig. 1 a fig. 18)

Figura 1 Vista della trave in ferro che taglia la volta estradossale

Figura 2 Superficie estradossale svuotata e ripulita

Figura 4 Vista della trave in ferro

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862

Figura 3 Spolvero della superficie



Figura 5 Stesura di betoncino dopo aver steso il Primer sulla superficie

Figura 6 Foratura all’estradosso per l’inserimento di piccoli ancoraggi per la successiva stesura di betoncino Armocrete

Figura 7 Stesura Armocrete quasi completata: il betoncino ci ha permesso tra l’altro di aumentare la sezione della volta

Figura 8 Fase di stesura dell’Armocrete

Figura 10 Fase di stesura del primer (Armoprimer 200)

Figura 9 Fase di applicazione della resina Armofix T

863 &UROOLXQLFRSGI



Figura 11 Fase di stesura della fibra : con il rullo si fapressione per far impregnare il tessuto di resina

Figura 12 Fase di applicazione del tessuto terminata : notare i risvolti sul muro n verticale e la fascia di chiusura

Figura 14 Lavoro lungo la trave in ferro terminato

Figura 13 Fase di applicazione del primer lungo la trave in ferro, a fianco della quale sono state stese due fascie larghe di tessuto appoggiate sulle alette della stessa

Figura 15 Fase di applicazione della fibra all’intradosso

Figura 16 Fase di applicazione della fibra all’intradosso

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Figura 18 Fase di applicazione della fibra all’intradosso

Figura 17 Fase di applicazione della fibra all’intradosso

3. SISTEMA DI CONNESSIONE ARMOGRIP AF IN FIBRA ARAMIDICA Armogrip è un connettore in fibra aramidica studiato appositamente per migliorare il sistema di ancoraggio dei materiali compositi e per limitare gli effetti della delaminazione a cui sono soggetti gli FRP se sottoposti a carichi elevati. Il connettore viene impregnato con resina epossidica all’interno della struttura e reso solidale ai compositi mediante l’apertura del fiocco e il suo incollaggio sul rinforzo già posizionato. Tale dispositivo è composto da filamenti in fibra aramidica disposti in fasci che sono a loro volta intrecciati a formare una treccia cava (fig. 19). Una estremità è lasciata libera in maniera tale da formare il fiocco che, una volta aperto, viene reso solidale con il rinforzo applicato. Figura 19 connettore in fibra aramidica

3.1 Sperimentazione I test di laboratorio eseguiti presso l’Università di Venezia, hanno condotto a degli ottimi risultati, dimostrando l’efficacia di questo sistema nel rinforzo di strutture mediante l’utilizzo di materiali compositi. La sperimentazione ha visto dei provini in cls rinforzati a flessione con fibre di carbonio Armoshield ed ancorati ad una estremità con i connettori in fibra aramidica Armogrip, sottoposti a delle prove di carico secondo lo schema riportato in figura (fig. 20). Il sistema è stato monitorato con dei trasduttori e degli estensimetri (fig. 21) al fine di rilevare gli spostamenti e le deformazioni all’aumentare del carico.

865 &UROOLXQLFRSGI



Figura 20 Schema di prova

Figura 21 Monitoraggio Sistema

3.2 Risultati Una parte dei risultati di tale prove possiamo osservarli dal diagramma di CaricoAbbassamento (fig. 23) il quale evidenzia che la presenza del connettore sia in grado d’incrementare il carico massimo di circa un 40% e di conferire quindi duttilità al sistema.

Figura 19

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Diagramma Carico-Abbassamento &UROOLXQLFRSGI



La presenza del connettore consente quindi: • • •

D’incrementare la capacità portante delle travi rinforzate in quanto limita se non impedisce il meccanismo di delaminazione del rinforzo all’estremo libero. Determina un incremento di portanza, rigidezza e deformabilità Offre benefici nel meccanismo di crisi aumentando la duttilità del sistema

Si riportano qui di seguito alcune fasi dell’applicazione dei connettori (da fig. 24 a fig. 31)

Figura 20 Resina fluida Armofix F nei due componenti A e B

Figura 24 Colatura nei fori di resina fluida per l’inserimento degli ancoraggi

Figura 27 Applicazione connettori Armogrip in aramidica : si nota lo sfiocco all’estradosso non ancora ancorato con la resina

Figura 26 Foratura per applicazione connettori Armogrip in aramidica

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Figura 21 Applicazione connettori Armogrip in aramidica : si nota lo sfiocco all’estradosso ancorato con la resina

Figura 22 Applicazione connettori Armogrip in aramidica : si nota lo sfiocco all’intradosso ancorato con la resina

Figura 24 Applicazione connettori Armogrip in aramidica : si nota lo sfiocco all’estradosso non ancora ancorato con la resina

Figura 23 Applicazione connettori Armogrip in aramidica : panoramica lungo la trave in ferro all’estradosso in si notano i fiocchi ancorati con la resina ed altri ancora da impregnare.

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Sessione VIII: Problematiche connesse ai crolli

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

ARCHITETTURA STRUTTURALE: DAL PROGETTO ARCHITETTONICO ALLA REALIZZAZIONE IN CANTIERE 1

2

V. D’AGUANNO , E. SIVIERO 1 2

Dipartimento di Costruzione dell'Architettura, Università IUAV di Venezia Dipartimento di Costruzione dell'Architettura, Università IUAV di Venezia

SOMMARIO Come purtroppo spesso accade, le erronee o improprie tecniche di cantiere utilizzate portano a danni anche irreparabili o comunque conducono a compromessi che alterano la concettualità del progetto. Questo è in genere il risultato di un non corretto approccio nei confronti del progetto di cantiere troppo spesso considerato come una fase “ovvia”, successiva al progetto architettonico e strutturale. Conseguenza di ciò è la banalizzazione delle problematiche ad esso legate e di cui si danno per scontate le possibili soluzioni. Tuttavia invece è proprio a partire da considerazioni di tipo costruttivo e dalla presa di coscienza dei vincoli imposti dal cantiere, che devono essere sviluppate le idee progettuali al fine di ottenere un buon risultato. Questo articolo mira a definire su un piano teorico e concettuale una corretta metodologia progettuale attraverso l’evidenziazione, anche per mezzo di alcuni esempi, di quelli che possono essere considerati degli atteggiamenti sbagliati nei confronti di un sistema complesso come quello della progettazione.

1. COSA SIGNIFICA “PROGETTAZIONE” 1.1 Interdisciplinarietà ed eticità Troppo spesso purtroppo nell’immaginario comune la figura del progettista è legata a quella dell’artista generatore di forme e di spazi che devono diventare contenitori di eventi. Si dimenticando che in realtà egli è principalmente coordinatore di varie discipline, nonché di varie figure professionali e che un progetto è un momento di sintesi estrema, è la risposta ottimale ad una compresenza di problematiche. Letteralmente il termine “progettazione” significa ideazione accompagnata da uno studio relativo alle possibilità di attuazione e di esecuzione. Basta soffermarsi a riflettere su tale definizione per intuire la molteplicità dei parametri in gioco e le serie responsabilità di cui deve farsi carico il progettista, responsabilità da esso stesso qualche volta dimenticate.

871

L’interdisciplinarietà della progettazione in generale e di quella delle grandi opere, quali ad esempio ponti, grattacieli e grandi coperture in particolare, costringe il progettista ad affrontare da punti di vista diversi le varie problematiche che di volta in volta si presentano: bisogna guardare al progetto con l’occhio dell’architetto, dello strutturista, del costruttore, dell’impiantista e sicuramente è necessario guardare con l’occhio di chi fruisce l’opera. E’ qui che entrano in gioco le responsabilità etiche del progettista. E’ necessario infatti garantire a chi usa il manufatto una certa funzionalità degli spazi, il comfort ambientale, bisogna garantirne l’incolumità attraverso la sicurezza strutturale e il rispetto delle normative ed inoltre è necessario tutelare la loro sicurezza psicologica. 1.2 Rapporto tra fruitore ed oggetto architettonico L’attenzione verso l’approccio psicologico al manufatto è tanto più importante quanto più si ha a che fare con opere “speciali” o “non convenzionali” dove la parte strutturale prende il sopravvento al punto da essere assimilata dall’architettura diventando essa stessa architettura. Ma se così è, allora l’essenzialità delle forme architettoniche permette una chiara lettura strutturale non solo ad un occhio esperto che sa attribuire un nome ad ogni elemento sulla base del ruolo che esso svolge nel complesso della struttura, ma anche ai non addetti ai lavori. Essi si avvalgono però di uno strumento più intuitivo e inconscio, ma altrettanto attendibile, e cioè la “percezione”. Le capacità percettive di cui ogni individuo è dotato lo conducono naturalmente a sviluppare una certa sensibilità, non razionalmente giustificabile, nei confronti del bello e del brutto, dell’armonia e della contraddizione, della sicurezza o dell’inaffidabilità delle realtà architettoniche che si ritrova a vivere. Per cui laddove comincia a venir meno la coerenza tra architettura e struttura, o laddove sono presenti piccoli errori progettuali, anche se non compromettenti dal punto di vista della sicurezza, si rischia di creare al fruitore una condizione di disagio psicologico che può decretare l’insuccesso dell’opera. Ad esempio la sensazione di “mal di mare” che si può provare attraversando un ponte tibetano o un qualsiasi ponte non sufficientemente irrigidito possono essere causa di disagio psicologico ed indurre ad un utilizzo sempre più ridotto del manufatto in questione.

Figura 1. Millennium Bridge, Londra 2000 (N. Foster)

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Figura 2. Oscillazioni orizzontali

Figura 3. Dettaglio dissipatori

Ricordiamo a tal proposito il caso del Millennium Bridge di Londra (figura 1) realizzato nel 2000 su progetto di Norman Foster. Posto sul Tamigi fra la Cattedrale di St Paul e la Tate Modern Gallery, lungo 328 metri, a due giorni dall’inaugurazione è stato subito chiuso a causa di eccessive oscillazioni orizzontali (figura 2) che impedivano ai passanti di rimanere in equilibrio. Durante la fase di progettazione infatti si era tenuto molto in considerazione dell’effetto delle oscillazioni verticali ed erano stati invece trascurati gli effetti delle oscillazioni orizzontali. Si è dovuto ovviare al problema aggiungendo a posteriori dei dissipatori (figura 3) che sono tra l’altro molto visibili. Ricordiamo che ha subito la stessa sorte il ponte pedonale Solferino (1998) di Marc Mimram, che a Parigi collega il Museo Orsay con i giardini delle Tuileries, anche se le oscillazioni non erano così intense (figura 4).

Figura 4. Passerella Solferino, Parigi 1998 (Marc Mimram)

2. IL PROGETTO DI CANTIERE Di certo nessun professionista del settore può essere in grado di gestire una macchina così complessa come quella della progettazione intesa nel senso più esteso del termine. Tuttavia per la buona riuscita del prodotto finito è necessario che ogni attore, pur con le sue specifiche competenze, non perda di vista nessuna delle varie problematiche in gioco. Purtroppo la tendenza di oggi è quella della scissione delle competenze e della conseguente settorializzazione di tutto il processo edilizio dalla progettazione alla costruzione in cantiere. Ci sono troppi attori che dialogano troppo poco tra di loro e qualche volta si assiste al trasferimento delle responsabilità dal progettista al costruttore il quale spesso si

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ritrova a dovere porre rimedio ad errori commessi in realtà in fase progettuale. Durante la progettazione infatti tra i parametri di cui si perde più facilmente il controllo è proprio quello della costruibilità dell’opera. Proprio perché posta a coronamento di tutto il processo edilizio e quindi ultima cosa in senso cronologico ad essere eseguita, viene spesso trascurata la sua influenza sulla concezione progettuale. La fase di realizzazione di un manufatto, diventa tanto più importante e determinante ai fini della suo successo, quanto più la sua concezione è strettamente legata a questioni di tipo tecnologicostrutturale. Come purtroppo spesso accade, le erronee o improprie tecniche di cantiere utilizzate portano a danni anche irreparabili o comunque conducono a compromessi che alterano la concettualità del progetto. Questo è in genere il risultato di un non corretto approccio nei confronti del progetto di cantiere troppo spesso considerato come una fase “ovvia”, successiva al progetto architettonico e strutturale. Conseguenza di ciò è la banalizzazione delle problematiche ad esso legate e di cui si danno per scontate le possibili soluzioni. Invece è proprio a partire da considerazioni di tipo costruttivo e dalla presa di coscienza dei vincoli imposti dal cantiere, che devono essere sviluppate le idee progettuali al fine di ottenere un buon risultato. Spesso, infatti, le scelte relative alle tecnologie da adottare così come le decisioni prese relativamente alla messa in opera di un manufatto ne influenzano il comportamento strutturale e di conseguenza la sua morfologia, a testimonianza del fatto che non è vero, come vuole l’opinione comune, che la progettazione parte dalla definizione morfologica dell’oggetto fine a se stessa. Il progetto su carta, architettonico o strutturale che sia, non deve essere considerato come il punto di partenza per poter giungere poi alla realizzazione finale dell’opera, bensì esso è da considerarsi il punto di arrivo. Per quanto possa sembrare banale e scontato un progetto, se ben concepito, altro non è che la rappresentazione bidimensionale del prodotto finito. Questa affermazione, pur nella sua semplicità e apparente ingenuità, implica un concetto che spesso sfugge a chi produce, nel caso specifico, architettura strutturale. Un manufatto durante la sua fase di realizzazione è un oggetto in divenire non solo perché viene montato pezzo dopo pezzo, ma soprattutto perché man mano che cresce cambiano in esso le sollecitazioni in gioco quindi cambia il suo comportamento strutturale. Quello che dovrebbe prevedere un progetto è il comportamento finale, e la forma che viene attribuita all’oggetto dovrebbe essere quella più idonea a quel tipo di comportamento. Per concludere, un buon progetto è davvero tale quando è concepito dopo aver preso atto anche della fase “in divenire” da cui è contraddistinto tutto il periodo di cantierizzazione. Solo allora un progetto è davvero il momento ultimo e consequenziale di un percorso concettuale volto alla corretta definizione morfologico-strutturale dell’oggetto architettonico. Un errore in questo senso o comunque un atteggiamento superficiale nei confronti di tali problematiche può condurre proprio al crollo strutturale. 3. PROGETTAZIONE: UN SISTEMA COMPLESSO La “progettazione” è un’operazione assai complessa e articolata, è un meccanismo costituito da tante piccole componenti non scindibili tra loro pena la comprensione di tutto il sistema.

874

Se una di queste componenti salta, il meccanismo comincia a funzionare male in quanto si perdono informazioni necessarie alla comprensione dell’intero sistema. Quindi anche il cantiere per i motivi appena esposti deve essere preventivamente pensato e progettato. Ogni piccolo passo che si compie durante la fase di costruzione deve avere la coscienza del risultato cui si vuole giungere. E’ possibile considerare la progettazione come un sistema complesso e fare riferimento alla teoria del caos e all’effetto farfalla per meglio definirlo. Tale teoria sostiene che piccole variazioni di un sistema non lineare, cioè complesso, possono provocare effetti catastrofici e comunque non prevedibili. Essendo il sistema complesso un sistema a più variabili che interagiscono tutte diversamente tra di loro, sue eventuali variazioni portano a conseguenze imprevedibili e difficilmente calcolabili. Se immaginiamo di ridurre tutto il processo di progettazione e costruzione ad un sistema numerico e di poterne calcolare la sua esatta evoluzione futura è necessario inserire in funzione i valori esatti delle condizioni iniziali. Ma se una sola di questa condizioni è di poco diversa da quella prevista, l’errore iniziale diventerà sempre più grande di passaggio in passaggio fino a giungere ad un risultato molto diverso da quello atteso. Inoltre, affrontare a progetto concluso problematiche che non sono state subito prese in considerazione significa inserire nel sistema condizioni diverse da quelle da cui ha avuto origine il progetto con conseguenze, anche in questo caso non prevedibili. 4. LA COPERTURA DELLO STADIO OLIMPICO DI ATENE Numerosi sono purtroppo gli esempi che è possibile citare come casi contenenti errori che hanno avuto ripercussioni a posteriori sul manufatto. Tra i più recenti si ricorda la copertura per lo stadio di Atene (figura 5) progettata da S. Calatrava in occasione delle olimpiadi del 2004. In questo caso se da un lato si assiste ad una impeccabile concezione cantieristica, perfettamente in linea con esigenze architettoniche e strutturali, dall’altro l’esistenza di alcuni errori strutturali commessi durante la fase di progettazione e a cui si è posto rimedio in fase costruttiva sta portando oggi a delle conseguenze abbastanza importanti come la presenza di alcune cricche in corrispondenza delle saldature.

Figura 5. Copertura dello Stadio Olimpico di Atene, S. Calatrava 2004

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La struttura della copertura consiste di due parti simmetriche, ciascuna delle quali costituita da una coppia di archi a sezione circolare: un arco superiore, detto “arch tube”, per portare le compressioni e uno superiore per portare le torsioni e chiamato appunto “torsion tube”. I due archi sono saldati all’estremità e sono collegati da cavi in trazione in modo da costituire un’unica struttura. Essi hanno una luce di 304 m e scaricano il loro peso su due appoggi detti “scarpe”. Ai due archi sono poi appese delle particolari capriate che sostengono i pannelli di policarbonato della copertura. Nonostante non ci siano stati particolari stravolgimenti tra la fase di appalto e la fase costruttiva, tuttavia i necessari approfondimenti soprattutto per condizioni di servizio, vibrazioni e deformazioni, hanno imposto irrigidimenti complessivi che hanno determinato un aumento di 1 m delle sezioni degli archi principali oltre ad una serie di altre modifiche alle travi di copertura, alle scarpe di appoggio e alle fondazioni che, alle luce dei nuovi fatti, dovevano essere necessariamente più profonde. Tutto ciò ha creato un non indifferente aumento del peso complessivo della struttura e un esubero di spesa. L’incremento di peso ha inciso non solo selle strutture permanenti, ma anche sulle pile provvisorie, nonché sulle loro fondazioni, necessarie per il montaggio degli archi. Il progetto di cantiere prevedeva infatti la realizzazione di 5 torri (figura 6) per ogni metà di copertura che assolvevano una duplice funzione: servivano per il montaggio degli archi e a montaggio concluso servivano da loro sostegno in attesa della realizzazione delle scarpe.

Figura 6. Montaggio delle pile provvisorie

Figura 7. Sollevamento arch tube

Figura 8. Sollevamento torsion tube

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Le torri avevano altezze diverse per assecondare la curvatura degli archi i quali a loro volta furono preassemblati a piè d’opera in quattro tronchi che furono poi sollevati uno alla volta e finiti di montare in quota (figure 7-8). Realizzate le “scarpe” o “steel supports” (figura 9) e posizionate sotto gli archi, le pile laterali provvisorie furono lentamente smantellate per permettere che il peso degli archi si scaricasse poco per volta sugli appoggi. Le pile intermedie invece furono lasciate perché servivano per l’assorbimento delle spinte laterali del vento che ancora la struttura non era in grado di assorbire.

Figura 9. Steel supports o Scarpe

Nel frattempo venivano tesati i cavi di collegamento tra gli archi e venivano montate a terra le travi girder e poco per volta sollevate secondo un ordine ben preciso (figura 10). E’ seguita poi la tesatura dei cavi di collegamento tra gli archi e le capriate e lo smontaggio delle altre torri provvisorie. Dalla seppur sintetica descrizione di cantiere appena fatta risulta evidente la minuziosa cura che è stata posta nella realizzazione di quest’opera. Tuttavia, in una fase ancora precedente, è saltato un anello della catena che riparato soltanto a livello locale ha compromesso alla fine l’intero sistema.

Figura 10. Montaggio delle travi girder

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5. CONCLUSIONI La corretta e totale gestione dell’interdisciplinarità dell’architettura produce conseguentemente la “buona architettura”; al contrario, la mancata risposta che la forma da alle necessità strutturali e costruttive conduce inevitabilmente ad una “architettura deteriorabile”, debole, malata. L’architettura per essere davvero tale non può rinunciare alla costruibilità; d’altro canto il sapere tecnico proprio dell’ingegnere, non può fare a meno di ricercare quella venustà, in grado di conferire alle sue realizzazioni la prerogativa di opere d’arte a tutti gli effetti. Il ruolo del progettista è fondamentale per la realizzazione di una buona architettura. Egli deve essere in grado di generare la forma ottima nella corretta interazione tra materia, forze e spazio facendo un diligente uso delle tecnologie a disposizione. Grazie allo sviluppo della tecnologia l’uomo è riuscito ad ottenere enormi conquiste nel mondo delle strutture e delle costruzioni riuscendo in imprese sempre più ambiziose. Pur tuttavia bisogna stare attenti, in quanto troppa ambizione potrebbe far perdere il controllo della realtà e annebbiare l’ingegno con il conseguente effetto Torre di Babele (figura 11).

Figura 11 Torre di Babele, dipinto di Pieter Bruegel, 1563

BIBLIOGRAFIA Salvadori M.: Perchè gli edifici stanno in piedi; Bompiani, Milano, 2003. Levy M, Salvadori M.: Perchè gli edifici cadono; Bompiani, Milano, 2002. Torroja E.: La concezione strutturale; Città Studi Edizioni, Torino, 1995 Blockley D. I.: The nature of structural design and safety; Ellis Horwood, Chichester, 1980. Feld J.: Construction failure; John Wiley & Sons, New York, 1968.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

DEMOLIZIONI CONTROLLATE E TECNICHE DI INDUZIONE DI CROLLI NELLE STRUTTURE M. VIARENGHI1, S. SCAINI2 1

STUDIO VIARENGHI “ ingegneria al servizio delle demolizioni”, Valenza (AL) 2 DEXPLO S.r.l. “ dealing with explosives 360°”, Parma

SOMMARIO Attualmente le tecniche in uso per la demolizione di strutture complesse, come costruzioni di edilizia civile e industriale, possono essere suddivise principalmente in tre grandi categorie: le tecniche di demolizione convenzionali con escavatori muniti di pinze e frantumatori, le tecniche di demolizione non convenzionali con esplosivo e gli smontaggi strutturali. Apparentemente un intervento di distruzione di una struttura sembrerebbe più semplice della sua costruzione, in realtà accade che la mancanza di dati certi sul manufatto da demolire, la presenza di limitati spazi al contorno e la complessità dell’interpretazione di uno schema strutturale preesistente, rendano un intervento di demolizione alquanto complesso; infatti, anche per le costruzioni come nella vita è applicabile il detto “esiste un modo ben standardizzato di nascere ed infiniti modi di morire”. Indipendentemente dalle tecnologie utilizzate, un intervento di demolizione eseguito a regola d’arte deve rispondere a diverse esigenze progettuali ed operative: ridurre il più possibile i costi e i tempi dell’intervento, garantire la sicurezza e la tutela dei lavoratori durante le operazioni di demolizione, non generare disturbo o impatto ambientale di alcun tipo ed ottimizzare il recupero delle macerie. Appare quindi evidente che ogni intervento di demolizione debba partire da una vera e propria “presa di contatto” con la struttura; che si traduce, nella maggior parte dei casi, in un’attenta analisi statica strutturale del manufatto oggetto della demolizione. ABSTRACT At the present time the techniques in use for the demolition of complex structures, like manufactured industrial or buildings, can be subdivided mainly in three great categories: the conventional techniques of demolition with excavators by cutter and crushers, the not conventional techniques of demolition with explosive and the structural dismantling. Apparently an work of a structure’s destruction would seem simpler of its construction, in truth it happens that the lack of sure data on the handmade one to demolish, the presence of limited spaces to the contour and the complexity of the preexistent interpretation of a structural outline, renders somewhat complex an work of demolition; in fact, also for the constructions as in the life it’s applicable the saying "very exists a way standardized to be born and infinites ways to die”.

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Independently from the involved technologies, a “state of the art” work of demolition must answer to planning stages and operating requirements: to reduce costs and the times of the work, to guarantee the emergency and the safety of the workers during the demolition operations, not to generate any disturbance or environmental impact and to optimize the recovery of rubble. It’s obvious that every work of demolition must take off from one true and own "taken of contact" with the structure; the result of this "taken of contact" is translate in the greater part of the cases in a careful structural static analysis of the handmade object of the demolition. 1. FASI DEL PROCESSO DEMOLITIVO La demolizione è costituita da una successione temporale di operazioni atte al raggiungimento di un risultato voluto nel modo qualitativamente migliore ed efficace ossia, a seconda dei casi, la demolizione parziale o totale, lo smontaggio,o la decostruzione di un manufatto costruito secondo i principi della scienza e tecnica delle costruzioni. L’intero processo demolitivo viene dedotto applicando uno schema che ha lo scopo di individuare le fasi progettuali e operative da seguire per l’esecuzione dell’intervento e definire in modo completo le loro interazioni. Indipendentemente dalla tipologia di manufatto da demolire, i diversi livelli di progettazione di un intervento di demolizione sono esemplificati nel diagramma di Figura 1 e possono essere suddivisi in tre fasi: fase pre-progettuale; fase progettuale e fase operativa.

Figura 1. Fasi del processo di demolizione

1.1. Fase pre-progettuale Ancor prima di scegliere il metodo di demolizione da adottare sarà necessario acquisire informazioni sul sito (contesto dell’intervento) e sul manufatto da demolire. L’analisi dell’ambiente esterno al manufatto deve essere rivolta alla corretta valutazione e

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quantificazione degli spazi che lo circondano, mettendo in evidenza eventuali vincoli architettonici o altri punti sensibili (strade, proprietà private, sottoservizi ecc..) che potrebbero essere danneggiati o disturbati dalla demolizione. Il risultato di queste analisi è una mappatura dei punti sensibili e una quantificazione degli spazi utili disponibili per l’allestimento del cantiere e l’esecuzione dell’intervento. In questa fase si deve prevedere anche la raccolta sistematica di tutte le informazioni e di tutto il materiale che possa interessare il manufatto da demolire; per strutture particolarmente datate, ove può essere difficile reperire i progetti originali, con conseguente difficoltà di ricostruzione delle condizioni statiche originarie, si dovrà prevedere una campagna di indagini conoscitiva che porti alla definizione dell’età dello stabile, delle dimensioni, delle masse, dei materiali impiegati nella costruzione, della presenza di amianto, degli elementi portanti, degli elementi prefabbricati, dei tipi di armatura utilizzati ed infine, ma non ultimo per importanza, della posizione e armatura dei corpi scala e ascensori, in quanto sempre realizzati con criteri diversi dalle restanti parti strutturali. Le informazioni appena elencate si traducono in un’attenta analisi strutturale globale del manufatto da demolire e di tutti gli elementi che lo compongono. La fase pre-progettuale deve, quindi, portare all’acquisizione di tutte le informazioni sul sito e sul manufatto da demolire caratterizzando il contesto della demolizione per il quale andrà definito il metodo migliore da utilizzare. 1.2. Fase progettuale Acquisiti i dati necessari alla demolizione si passa alla scelta della tecnica da utilizzare; tale scelta dipende da una serie di fattori interdipendenti che portano alla definizione del miglior metodo disponibile in funzione dei costi e dei benefici legati al caso in esame e delle tecnologie applicabili. I più importanti parametri che interverranno nelle scelta del metodo della demolizione sono: - i tempi di esecuzione dell’intervento; - lo schema statico della struttura da demolire; - i costi legati all’impiego di mezzi, attrezzature e manodopera; - il contesto nel quale si inseriscono i manufatti da demolire; - i disturbi prodotti dall’intervento di demolizione; - la sicurezza e la tutela degli addetti ai lavori. Nella fase progettuale verranno individuate: le attrezzature ed i mezzi da impiegare, siano essi mezzi meccanici o mezzi chimici (esplosivi, malte, etc.), le operazioni di bonifica (ove necessarie), le misure di sicurezza e di tutela da adottare in tutte le sequenze lavorative, gli impatti ambientali prodotti dall’intervento ed il piano di smaltimento/recupero dei rifiuti prodotti. 1.3. Fase operativa La fase operativa consiste nell’allestimento del cantiere e nell’esecuzione di tutte le operazioni individuate e quantificate nelle fasi precedenti ed ha lo scopo di portare al risultato voluto che, a seconda dei casi, può essere una demolizione totale, una demolizione parziale o un semplice smontaggio. Alla demolizione vera e propria seguiranno tutte le operazioni di rimozione, smaltimento e recupero delle macerie.

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2. TECNICHE DI DEMOLIZIONE Le tecniche attualmente in uso per la demolizione di strutture in c.a. come fabbricati capannoni o edifici possono essere suddivise in due grandi categorie: - Tecniche di demolizione convenzionali: demolizioni meccaniche e smontaggi - Tecniche di demolizione non convenzionali:demolizioni con esplosivi, malte espansive e water infusion. La scelta delle tecnica da utilizzare dipenderà a seconda del caso in studio dalla mole di dati ricavati durante la fase pre-progettuale ed elaborati/interpretati nella fase progettuale. 2.1. Demolizioni Meccaniche Queste tecniche utilizzano per la demolizione escavatori cingolati (Figura 2) muniti di martelli demolitori, pinze e cesoie montati su bracci idraulici da demolizione. L’escavatore viene affiancato alla struttura da demolire ed inizia le operazioni di smantellamento delle parti strutturali e non, mantenendo un’opportuna distanza dal perimetro del manufatto per rimanere sempre al di fuori della proiezione di caduta di eventuali detriti. Le fasi operative di una demolizione seguono la stessa logica, percorsa a ritroso, rispetto a quella della costruzione di un edificio in modo da evitare problemi di instabilità e crolli imprevisti durante la lavorazione.

Figura 2. Esempi di escavatori speciali dotati di braccio da demolizione

Nel caso più semplice di un edificio multipiano a travi e pilastri l’escavatore procederà dall’alto al basso, frantumando gli elementi portanti (travi pilastri solette e rampe delle scale) e facendo a cadere a terra le macerie risultanti. Il braccio dovrà avere un’altezza tale da poter raggiungere le massime quote operative mantenendo l’operatore ed il mezzo a distanza di sicurezza dall’edificio in demolizione. 2.2. Smontaggi strutturali In particolari contesti operativi, laddove non sussistono gli spazi operativi per la movimentazione dei mezzi d’opera oppure quando è necessario preservare alcune parti strutturali di un manufatto (un edificio con le facciate soggette a vincolo architettonico Figura 3) si procede ad vera e propria decostruzione strutturale operando direttamente con i mezzi d’opera al di sopra della struttura. La demolizione dei solai e delle strutture portanti verticali avviene in genere mediante

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l’utilizzo di miniescavatori portati in quota con autogrù ed operanti direttamente sui solai della struttura preventivamente puntellati in funzione del peso dei mezzi d’opera. In queste contesti è frequente l’uso di tecniche di demolizione mediante taglio a disco o filo diamantato delle parti strutturali in aderenza a quelle da preservare. Gli elementi sezionati vengono poi calati a terra a mezzo di apparecchi di sollevamento. Il materiale di risulta viene allontanato a mezzo di opportuni scivoli oppure utilizzando, laddove presenti ed utilizzabili , i vani ascensore.

Figura 3. Esempio di smontaggio delle strutture interne di una palazzina in pieno centro storico con facciate soggette a vincolo architettonico e realizzazione di un’opera provvisionale di sostegno delle parti rimaste in opera (foto di sinistra) . Particolare puntellamento solai soggetti a carico (foto di destra)

2.3. Demolizioni con esplosivo Fanno parte delle tecniche di demolizione non convenzionali la demolizione con esplosivo, la demolizione con malte espansive ed il water infusion. Nella demolizione con esplosivo si produce l’indebolimento della struttura, modificandone lo schema statico, mediante la detonazione di cariche di esplosivo piazzate in punti strategici della struttura; il cedimento o l’abolizione di alcuni degli elementi portanti crea un cinematismo che evolve in crollo per azione della forza peso. Le malte espansive sfruttano, invece, le proprietà chimiche di alcuni composti che, colati in fori realizzati in ben precisi punti della struttura da demolire, durante le reazioni di presa e indurimento subiscono un forte aumento di volume determinando la rottura del materiale stesso. La tecnica di demolizione chiamata water infusion consiste nel riempire la struttura da demolire o parti di essa con acqua, nell’immergervi delle cariche di esplosivo e farle esplodere; l’acqua agisce da eccellente mezzo di trasmissione dell’onda di pressione (shock wave) generata dalla detonazione delle cariche, che colpisce le pareti della struttura provocandone il cedimento e il successivo crollo. Nella seguente trattazione presenteremo nel dettaglio le sole demolizioni con esplosivo che per contenuti tecnici e campo di applicazione sono il metodo di demolizione non convenzionale più utilizzato. Le procedure e le tecniche di demolizione con esplosivo dipendono da diversi fattori, tra i più importanti si citano il tipo di manufatto,la sua altezza, le sue caratteristiche geometriche ed il contesto in cui si inserisce. Nel caso più semplice di edifici con prevalente sviluppo verticale, il compito dell’esplosivo è quello di “mettere a terra” l’edificio, provocandone il crollo, agendo sulla base di appoggio. Per esempio, nel caso di una costruzione realizzata con elementi che non resistono a trazione, basterà eliminare una parte della sezione resistente basale abbastanza estesa da far sì

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che la proiezione verticale del baricentro della struttura cada fuori dall’area di nocciolo di detta sezione, ed abbastanza alta da garantire che l’instabilità sussista anche dopo che l’intaglio si è richiuso, affinché l’azione della gravità completi l’abbattimento. Se sono presenti elementi capaci di resistere a trazione, la riduzione della sezione resistente dovrà assicurare che questi o cedano per superamento della resistenza a trazione o, caso più comune, che ne venga degradata la funzione strutturale da incastro a cerniera per disgregazione del calcestruzzo tra i ferri ad opera di cariche esplosive o del sovraccarico indotto dalla riduzione della sezione resistente. In qualche caso si ricorre anche, previa verifica statica, al taglio meccanico di indebolimento di parte dei ferri, per maggior sicurezza di effetto, o all’asportazione meccanica (senza esplosivo) di elementi “non portanti” o comunque di marginale importanza ai fini della stabilità. In ogni caso, la parte della costruzione effettivamente distrutta dalle cariche esplosive è solo una piccola frazione del totale, e il grosso dell’azione di disgregazione è fornito dall’energia gravitazionale della costruzione, ossia dalla caduta. L’edificio deve, quindi, acquisire una certa velocità di caduta e a questo riguardo si distinguono schematicamente tre casi: - Ribaltamento o caduta laterale (con o senza “accorciamenti”). E’ la soluzione più comune, almeno per costruzioni snelle, e consiste nel provocare la rotazione dell’edificio (integro, o intagliato a diverse altezze, simultaneamente o quasi all’intaglio di base, da tagli di accorciamento) rispetto ad un’ideale cerniera materializzata dalla parte risparmiata della sezione di base. In questo caso l’edificio impatta su un letto di caduta o direttamente sul suolo con una velocità notevole, trasformando in energia cinetica la quasi totalità dell’originaria energia gravitazionale, e subisce nell’impatto sollecitazioni dinamiche che lo disintegrano completamente. I tagli di accorciamento hanno la funzione di ridurre, ove necessario, la lunghezza dell’area di accumulo del macerie. - Caduta verticale, con o senza “accorciamenti”. In questo caso si abolisce completamente, per una certa altezza, la sezione resistente di base, e l’edificio cade verticalmente (integro o sezionato a diverse altezze dai tagli di accorciamento), ed acquisisce al momento dell’impatto una velocità dipendente dall’altezza del taglio di base. Questa altezza di caduta deve essere sufficiente a determinare sollecitazioni dinamiche idonee a disgregare la struttura, nella parte venuta in contatto col substrato (terreno di fondazione). Gli impatti successivi delle parti soprastanti non avviene più contro il substrato ma contro le macerie dei piani inferiori, che tendono ad attutirli. I tagli di accorciamento hanno la funzione di accrescere l’altezza di caduta libera, ravvivando il trasferimento di energia dalla originaria forma gravitazionale al lavoro di rottura man mano che il crollo procede; un’insufficiente altezza di caduta potrebbe infatti lasciare integra parte dell’edificio sul cumulo di macerie - Implosione: la vera e propria “implosione” implica la caduta convergente verso il centro della struttura da demolire e può essere ottenuta abolendo totalmente per una certa altezza, come nel caso precedente, la base di appoggio, ma temporizzando le esplosioni in modo che tale effetto distruttivo avvenga con un certo anticipo nella parte centrale rispetto alla periferia: lo scopo che si intende raggiungere è il contenimento completo del volume di macerie nell’area di base. Riuscire a contenere le macerie della struttura completamente all’interno del volume di controllo dipende anche dalla percentuale di vuoti che può contenere l’edificio che sta implodendo. La tecnica dell’implosione viene utilizzata per gli edifici che si inseriscono in aree

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altamente antropizzate, quando non esistono spazi al contorno ove far adagiare l’edificio senza causare danni; in questi casi si procede alla demolizione contenendo il più possibile le macerie all’interno del volume di controllo.

Figura 4. Demolizione con esplosivo di edifici multipiano ottenute con la tecnica del ribaltamento (foto di sinistra) e mediante implosione (foto di destra).

3. VERIFICHE STATICHE FINALIZZATE ALLE DEMOLIZIONI Per prevedere e di conseguenza controllare un crollo indotto in una struttura per azione dei mezzi meccanici o mediante l’utilizzo di esplosivi bisogna prima di tutto risalire allo stato di fatto della struttura in esercizio, individuando i carichi agenti per cui essa è stata progettata ed individuare le risorse tensionali che la stessa è in grado di opporre all’intervento di demolizione. Le verifiche statiche da eseguire su di una struttura da demolire considerano la struttura in due fasi della propria vita: - nella situazione prima della demolizione, ossia in esercizio, in modo da determinare lo stato tensionale presente dei materiali deputati alla portanza della struttura; - nelle varie fasi di demolizione, quando l’abolizione o il progressivo cedimento/rimozione di taluni vincoli crea nella struttura una ridistribuzione dei carichi ed una variazione delle condizioni statiche del manufatto. Il risultato dell’analisi statica porterà alla precisa quantificazione e temporizzazione di tutte le fasi del processo demolitivo, garantendo in ogni momento la stabilità globale e locale della struttura che progressivamente subisce alterazioni tensionali. Un’analisi statica di una struttura finalizzata alla sua demolizione necessita prima di tutto l’acquisizione di importanti parametri geometrici e di massa: - la determinazione del peso proprio della struttura - la determinazione della posizione del baricentro della struttura (in modo da individuare la naturale tendenza nella direzione del crollo) In assenza di rilievi precisi dello stato di fatto la massa dell’edificio può essere calcolata in modo speditivo con la formula (1) considerando la relazione empirica di Dusemberg e Freund:

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M [t]

V

FS ˜ J S g

(1)

dove: M [t] massa dell’edificio; V [m3] volume dell’edificio vuoto per pieno VPP; Fs [%] frazione di solido nell’edificio; 3 J S [kN/m ] peso di volume medio del solido; 2 accelerazione di gravità. g [m/s ] La posizione del baricentro allo stesso modo può essere approssimata oppure calcolata analiticamente con appositi programmi di calcolo Le suddette grandezze rappresentano il punto di partenza per le verifiche statiche da eseguirsi sulla struttura sia nel caso di demolizioni meccaniche sia nel caso delle demolizioni con esplosivo. La prima fase di calcolo consiste essenzialmente nella ricostruzione del comportamento reale della struttura confrontando la resistenza a compressione o presso flessione degli elementi portanti verticali con i carichi a rottura degli stessi elementi, in modo da quantificare le riserve tensionali che la struttura è in grado di offrire in presenza dei sovraccarichi prodotti dalle operazioni di demolizione o smontaggio oppure per il dimensionamento di un indebolimento specifico di alcune parti della stessa, durante le fasi propedeutiche di una demolizione con esplosivo, o ancora per la individuazione e quantificazione degli elementi da rimuovere per causarne il crollo. Le procedure logiche a cui si fa riferimento per l’analisi statica dell’organismo edilizio constano essenzialmente nella metodologia, ormai ampiamente collaudata, di verifica degli stati tensionali dei materiali costituenti la struttura dell’edificio. Constano quindi in tutte quelle operazioni necessarie all’analisi dell’organismo nel suo complesso in modo da prevenire eventuali situazioni di crisi in corso d’opera. 3.1. Principali verifiche statiche nel caso di una demolizione meccanica Nelle demolizioni meccaniche in genere e negli smontaggi, tolti alcuni casi particolari, si procede di fatto alla progressiva rimozione/demolizione dall’alto verso il basso degli elementi strutturali inducendo, quindi, uno scarico tensionale sulla struttura incrementando così le riserve tensionali stesse della struttura. In questi casi occorre, quindi, focalizzare l’attenzione non sulla resistenza complessiva dello scheletro strutturale ma sui singoli elementi progressivamente demoliti o la cui asportazione in sequenza produce dei cambiamenti nello schema statico locale. In genere le parti strutturali più sollecitate in una demolizione risultano i solai che con il progredire della demolizione vengono sovraccaricati con il peso delle macerie sovrastanti e sollecitati dinamicamente da urti causati dalla demolizione delle pareti o travi sovrastanti. L’esecuzione di tagli o sezionamenti con filo o disco in travi e pilastri produce una drastica variazione nello schema statico dell’elemento che, a seconda dei casi, può passare da iperstatico a isostatico o labile, necessitando nell’ultimo caso la predisposizione di strutture di sostegno provvisorie. Gli schemi in Figura 5 simulano il comportamento di un solaio soggetto a diverse condizioni di carico ritrovabili in un lavoro di demolizione di una struttura fortemente iperstatica realizzata su setti portanti e solai. L’andamento dello sforzo normale, del momento e del taglio degli elementi vengono ricavati con le regole classiche della scienza e tecnica delle costruzioni.

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SITUAZIONE REALE

Solaio soggetto al peso proprio

Solaio soggetto al peso proprio caricato sollecitato dal crollo di un setto

Solaio soggetto al peso proprio nelle prime fasi di demolizione con asportazione di una sezione in mezzeria

Trave a doppio incastro con carico puntuale maggiorato

Trave a mensola

MACERIE

Trave a doppio incastro SCHEMA STATICO CORRISPONDENTE

Solaio soggetto al peso proprio e a quello delle macerie derivanti dalla demolizione del solaio superiore

Trave a doppio incastro con carico uniforme distribuito

P

q

Figura 5. Situazioni di carico dei solai durante una demolizione e schemi statici utilizzati per le verifiche.

3.2. Principali verifiche statiche durante una demolizione con esplosivo Un discorso a parte merita l’analisi strutturale di una struttura da demolirsi mediante esplosivo, in questi casi infatti bisogna, da una parte garantire la stabilità delle struttura durante le operazioni di indebolimento della stessa, quasi sempre necessarie per ridurre la sezione resistente da eliminare con le cariche esplosive, dall’altra garantire la certezza di effetto dell’intervento, ossia il completo crollo del manufatto, nella direzione voluta a seguito della detonazione delle cariche esplosive. Per il dimensionamento degli indebolimenti strutturali, che in genere riguardano l’asportazione e la realizzazione di aperture nei vani ascensori (gli elementi strutturali a maggior rigidezza in un edificio) o in setti portanti della struttura, è necessario calcolare lo stato tensionale locale e globale a cui sono sottoposti i gli elementi verticali nell’ipotesi progettuale di indebolimento. Gli indebolimenti possono essere realizzati altresì per indirizzare la struttura nella direzione di caduta voluta. Vediamo ora i parametri e le verifiche propedeutiche all’induzione di un crollo in una struttura da demolire con esplosivo; a seconda della tecnica utilizzata (implosione o ribaltamento) che determina situazioni di calcolo differenti. Nel caso dell’implosione occorre trovare principalmente il numero dei piani da rimuovere La struttura minata si trova infatti istantaneamente ad essere privata di tutti i vincoli alla base, su di essa agirà la forza peso che tenderà a farla cadere con un’accelerazione pari all’accelerazione di gravità. A seconda dell’abbrivio che viene dato alla struttura, questa, toccando il suolo può frantumarsi totalmente, subire una frantumazione parziale o nella peggior delle ipotesi, rimanere in piedi compiendo semplicemente un moto rigido Nel caso del ribaltamento invece occorre verificare due condizioni cinematiche: Verifica delle condizioni cinematiche del crollo: nell’istante in cui avviene la chiusura del cuneo verificando che la risultante della forza peso di ogni modulo cada al di fuori del nocciolo di inerzia della sezione di base; - Verifica dell’efficacia della cerniera di rotazione: mediante una verifica a rottura per pressoflessione degli elementi strutturali non minati alla base, sotto l’azione del peso proprio della struttura.

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G G Cuneo reale

W W

Cuneo ideale

32.5°

7.4336

Indebolimenti meccanici

Asse cerniera rotazione Proiezione dell'asse baricentrico

7.95 11.5 BASE DI APPOGGIO

Figura 5. Situazioni di carico dei solai durante una demolizione e schemi statici utilizzati per le verifiche

Infine, in entrambe i casi, dato che nelle parti strutturali minate con l’esplosivo si ha un effetto dirompente immediato sul calcestruzzo ma nessun effetto sulle armature, è necessario scoprire, tramite lo scoppio dell’esplosivo, una parte dei ferri tale per cui si abbia instabilità per carico di punta (snervamento). Oltre ai metodi classici si riporta di seguito una formula speditiva (2) per la determinazione della lunghezza h da caricare in un pilastro per produrre lo snervamento dei ferri d’armatura. h>m@

dove: E [kg/m2] J [m4] P [Kg]

S EJ 2 P

(2)

modulo elastico del tondino momento di inerzia del tondino (J = 0,491 d4 con d diametro tondino) carico gravante sul singolo tondino

4. CONCLUSIONI Si spera che questa trattazione, seppur schematica e sicuramente non esaustiva, abbia contribuito in qualche modo a “fare ordine” in un settore così complesso ed in continua evoluzione, il quale necessiterà sempre più di tecnici dotati di conoscenze multidisciplinari in materia di ambiente, sicurezza, statica ed esplosivistica civileBibliografia [1] [2] [3] [4] [5]

Mancini R., Michelotti E. Scienza delle distruzioni, Politeko (2002) Berta G.: L’esplosivo strumento di lavoro, Italesposivi, Milano 1996. Coppe D.: Manuale pratico di esplosivistica civile, editrice PEI, Parma, 1998. The draft code of practice for demolition building. Duseberg G., Freund H.-U.: Verbesserte Prognose von Boden Bauwerkserschütterungen bei Abbruchsprengungen, Spreng- Info, n.2, 1996

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und

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

IDENTIFICAZIONE DI INPUT SISMICI DI RIFERIMENTO PER VALUTAZIONI DI AFFIDABILITA’ STRUTTURALE T. TROMBETTI1, S. SILVESTRI2, G. GASPARINI3, D. MALAVOLTA4 1

DISTART , Facoltà di Ingegneria , Università degli Studi di Bologna DISTART , Facoltà di Ingegneria , Università degli Studi di Bologna 3 DISTART , Facoltà di Ingegneria , Università degli Studi di Bologna 4 DISTART , Facoltà di Ingegneria , Università degli Studi di Bologna 2

SOMMARIO Negli ultimi anni il Performance Based Seismic Design (PBSD) è stato l’oggetto di una serie di lavori di ricerca scientifica nel campo dell’ingegneria sismica. L’obiettivo principale del PBSD consiste nella stima probabilistica delle prestazioni di una struttura soggetta all’azione sismica. Questa memoria riguarda principalmente la corretta identificazione degli input dinamici che si devono utilizzare nella PSDHA. Per una data struttura, la PSDHA viene realizzata attraverso l’applicazione di una serie di analisi dinamiche eseguite per diversi livelli sismici di progetto. Per ogni livello sismico di progetto viene eseguito un numero di analisi dinamiche (lineari o non lineari) utilizzando, come inputs dinamici, accelerogrammi storici. L’identificazione del gruppo di accelerogrammi associati ad un dato livello sismico di progetto è ottenuta attraverso l’associazione dell’input sismico ad un dato valore della probabilità di superamento, in un determinato periodo di osservazione T, di uno specifico valore di soglia di un dato ground motion parameter. Si definisce “EPI group” (“EqualProbability Input group”) un gruppo di n accelerogrammi (Equal-Probability inputs, EP inputs), tutti caratterizzati dallo stesso valore di probabilità (proprietà di Equal-Probability). In dettaglio, questa memoria (a) introduce un quadro generale per una trattazione organizzata e razionale degli ultimi contributi di ricerca per la corretta identificazione dell’EPI group e (b) identifica una proposta pratica per l’effettiva applicazione della metodologia basata sull’utilizzo di un IM vettoriale, composto da Peak Ground Acceleration (PGA) e Peak Ground Velocity (PGV), e di un’altra informazione (NFR, come definita dagli autori), ottenuta anch’essa dalla Hazard Analysis e riferita all’intero EPI group. I risultati presentati sono stati ottenuti con riferimento ad una città del sud Italia. ABSTRACT In recent years, Performance Based Seismic Design (PBSD) has played a central role for research works in the field of seismic engineering. The core idea of the PBSD is the probabilistic assessment of the structural performances due to seismic action. This paper focuses mainly on the correct identification of the dynamic inputs to be used in the PSDHA subtask. For a given structural model, PSDHA is generally carried out by means

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of series of dynamic analyses performed at different earthquake design levels. For each earthquake design level, a number of (linear or non-linear) dynamic analyses is performed using, as dynamic inputs, earthquake (historical ) records of acceleration time-histories. The identification of the earthquake group associated to a given earthquake design level is obtained through the association of the earthquake input to a given probability that a given ground motion parameter exceeds a specified threshold value, for a given site over a given observation time. An EPI group (Equal-Probability Input group) is a group of n seismic records (Equal-Probability inputs, EP inputs), all characterised by the same value of probability (Equal Probability property). In detail, this paper (a) introduces a general framework for the rationally-organised treatment of the latest research contributions for the correct identification of the EPI group, and (b) identifies a practical proposal for the effective application of the methodology based upon the use of a vector-valued IM composed of Peak Ground Acceleration (PGA), Peak Ground Velocity (PGV) and another information (NFR, as defined by the authors), obtained from Hazard Analysis as well, and referred to the whole EPI group. Results presented has been obtained with reference to a city in the south of Italy. 1. INTRODUZIONE Negli ultimi anni il Performance Based Seismic Design (PBSD) è stato l’oggetto di una serie di lavori di ricerca scientifica nel campo dell’ingegneria sismica. L’obiettivo principale del PBSD consiste nella stima probabilistica delle prestazioni di una struttura soggetta all’azione sismica [1], [2], [3]. Da un punto di vista pratico questa stima può essere portata a termine attraverso un’articolata procedura che può essere riassunta nei seguenti step: x analisi probabilistica di pericolosità sismica (Probabilistic Seismic Hazard Analysis): ha l’obiettivo di calcolare, per un dato sito e per un fissato periodo di osservazione, la probabilità di superamento di un particolare valore di uno specificato parametro sismico (ground motion parameter o Intensity Measure, IM); x analisi probabilistica della domanda sismica (Probabilistic Seismic Demand Hazard Analysis, PSDHA): ha l’obiettivo di calcolare l’indice medio annuale, OEDP (d ) , di un dato parametro di risposta strutturale (Engineering Demand Parameter, EDP) di superamento di un particolare valore di soglia d; x analisi probabilistica di capacità sismica o analisi di fragilità (Fragility Analysis): ha l’obiettivo di calcolare la probabilità che la struttura o i suoi componenti strutturali superino uno specificato stato limite dato l’EDP associato a quello stato limite; x analisi di affidabilità (Reliability Analysis): ha l’obiettivo di calcolare l’indice medio annuale di superamento del k-esimo stato limite di uno specifico sistema strutturale/geotecnico. Questa memoria riguarda principalmente la corretta identificazione degli input dinamici (“bins” [4], o “EPI groups”, come definiti dagli autori) che si devono utilizzare nella PSDHA. In dettaglio, questa memoria: x introduce un quadro generale (“metodologia per la creazione dell’EPI group”) per una trattazione organizzata e razionale degli ultimi contributi di ricerca (riguardanti ad esempio l’uso di IMs vettoriali e altri parametri come il parametro “ H ”, proposto recentemente [5]), per la corretta identificazione dell’EPI group;

890

x

identifica una proposta pratica per l’effettiva applicazione della metodologia basata sull’utilizzo di un IM vettoriale, composto da Peak Ground Acceleration (PGA) e Peak Ground Velocity (PGV), e di un’altra informazione (NFR, come definita dagli autori), ottenuta anch’essa dall’analisi di pericolosità (Hazard Analysis) e riferita all’intero EPI group; i risultati presentati sono stati ottenuti con riferimento ad una città del sud Italia. Applicando la metodologia secondo la proposta pratica presentata dagli autori si sono ottenuti EPI groups rappresentativi del sito in esame ed “efficienti” [4]. 2. PSDHA: IL RUOLO DELL’EPI GROUP Per una data struttura, la PSDHA viene realizzata attraverso l’applicazione di una serie di analisi dinamiche eseguite per diversi livelli sismici di progetto [6]. Per ogni livello sismico viene eseguito un numero di analisi dinamiche (lineari o non lineari) utilizzando, come inputs dinamici, accelerogrammi storici. Il gruppo di records sismici associati ad un dato livello sismico di progetto è comunemente chiamato “bin” [4]. L’identificazione del “bin” associato ad un dato livello sismico di progetto è ottenuta attraverso l’associazione dell’input sismico a una data probabilità P0 , definita come segue: P0

probabilità che un dato parametro sismico (ground motion parameter), che identifica uno specifico record sismico, superi uno specificato valore di soglia, per un dato sito (caratterizzato da una specifica latitudine e longitudine),

(1)

in un dato periodo di osservazione t

Al fine di meglio esprimere il lavoro di ricerca presentato in questa memoria, è utile introdurre la seguente notazione e definizione: Notazione P0 identifica un selezionato valore assunto da P0 (ad esempio P0

0.1 ).

Un selezionato valore di P0 corrisponde ad uno specifico livello sismico di progetto. Definizione 1 Un “Equal-Probability Input group” (EPI group ) è un gruppo di n records sismici (EqualProbability inputs, EP inputs), tutti caratterizzati dallo stesso valore di P0 . Definizione 2 L’insieme delle operazioni necessarie per associare un dato valore di P0 con un corrispondente EPI group è definito come “metodologia per la creazione dell’EPI group”. In Fig. 1 è rappresentata schematicamente l’interazione tra la probabilità P0 , la metodologia per la creazione dell’EPI group e la PSDHA. Nella stessa figura, viene anche evidenziata l’interazione fra ingegneri e sismologi.

891

Figura 1: Formulazione del problema

3. NECESSITÀ DELLO SVILUPPO DI UNA METODOLOGIA PER LA CREAZIONE DELL’EPI GROUP Il processo per la creazione dell’EPI group è stato oggetto di recenti lavori di ricerca, che si sono però concentrati sui diversi step del processo senza la formulazione di una metodologia generale. Questi lavori ([2], [3], [4], [5], [6], [7], [8], [9]) hanno portato all’identificazione di un numero considerevole ed articolato di informazioni che dovrebbero essere considerate nel processo (ad esempio i risultati della Hazard Analysis relativi alla PGA, PGV, S a (T1 ) , …, ed i risultati ottenuti dalla “disaggregation analysis” [5] relativamente alla magnitudo MS, alla distanza epicentrale R, al parametro “epsilon” [5], …). Queste informazioni sono anche complesse nella loro definizione e delicate nel loro utilizzo (ad esempio un articolo in stampa scritto da Baker and Cornell [10] ha fatto notare come l’informazione costituita dall’accelerazione spettrale fornita dalla Hazard Analysis è spesso male interpretata dagli ingegneri nel suo utilizzo). Di conseguenza, la formulazione di una metodologia organizzata in maniera razionale può essere necessaria per una migliore gestione del processo. 4. CARATTERISTICHE GENERALI DELLA METODOLOGIA PER LA CREAZIONE DELL’EPI GROUP Questa sezione descrive le caratteristiche generali della metodologia per la creazione dell’EPI group attraverso l’identificazione degli step e sub-step di cui il processo è composto, di come essi interagiscono fra loro, dei loro requisiti e proprietà e delle informazioni coinvolte in ognuno di essi. Come rappresentato schematicamente in Fig. 2, la metodologia per la creazione dell’EPI group può essere scomposta in due step: Analisi di pericolosità (Hazard Analysis) e Identificazione dell’Input (Input Identification).

892

Figura 2: Metodologia per la creazione dell’EPI group (i cerchi rappresentano quantità scalari, i rettangoli rappresentano operazioni, i cilindri rappresentano gruppi di records sismici, i rombi rappresentano test).

4.1. Analisi di pericolosità sismica (Hazard Analysis) Lo step costituito dalla Hazard Analysis associa ad ogni selezionata P0 una corrispondente “feature” F :

P0 o F

(2)

dove F identifica lo specifico valore della “feature” F . In generale, una “feature” F si costituisce di qualsiasi informazione ottenuta dalla Hazard Analysis e utile a identificare l’EPI group. La feature può essere scalare (F), se composta di una singola informazione, o vettoriale ( F ), se composta da più di un’informazione. In generale, da ora in poi ci si riferirà sempre ad una feature vettoriale F :

F

^F1

T

F2 ... Fi ... FN `

(3)

dove Fi indica l’i-esima informazione che compone il vettore F e N è il numero totale di informazioni che compongono il vettore F. Alcune delle features utilizzate nelle ricerche nel campo dell’ingegneria sismica sono la PGA (Peak Ground Acceleration), PGV (Peak Ground Velocity), S a T1 (pseudoaccelerazione spettrale al primo modo di vibrazione). Inoltre in questa memoria gli autori propongono come feature l’utilizzo della probabilità di avere sismi epicentrali e non epicentrali (con il nome di NFR, Near Field Ratio), definito come segue:

893

numero di inputs epicentrali (4) numero totale di inputs La probabilità di avere sismi epicentrali (NFR) è una quantità facilmente determinabile, rispetto all’Intensity Measure considerato, in termini di rapporto fra la CDF dell’IM relativo al caso di sismi epicentrali (R d 16 Km) e la CDF dello stesso parametro riguardante l’insieme totale dei sismi. A PGA, PGV, S a T1 , etc. ci si è sempre riferiti nelle passate ricerche NFR

parlando di IMs (Intensity Measures). L’utilizzo in questa memoria della più generica notazione “F” (feature) è dovuto al fatto che il parametro definito dagli autori, NFR, non può essere definito come un IM in quanto, secondo la sua definizione [6], esso: x È riferito all’EPI group, e non al singolo input (non è un ground motion parameter); x non è scalabile. 4.2. Identificazione dell’Input (Input Identification) L’Identificazione dell’Input può essere scomposta in tre step: x Extraction: consiste nella selezione di n records sismici dal database allo scopo di ottenere un EPI group ”di tentativo”; x Treatment: consiste nello scalare i records sismici. Questa operazione può essere portata a termine indipendentemente per ognuno degli inputs; x Feature Matching: consiste nel fatto che ogni feature Fi* , sia essa riferita all’intero EPI group o al singolo input, deve essere uguale (nella sua natura, caratterizzazione e valore numerico) al corrispondente Fi identificato nell’Hazard Analysis. È opportuno notare che, per una feature vettoriale F, può risultare difficile, se non impossibile, soddisfare esattamente il Feature Matching per tutte le features contemporaneamente. Perciò, può essere utile definire una gerarchia fra le features per distinguere quelle per cui il Feature Matching deve essere esattamente soddisfatto (tipicamente soltanto la prima, F1 ) e quelle per cui il Feature Matching può essere soddisfatto in maniera più approssimativa. F1*

F1

Fi  'Fi d Fi* d Fi  'Fi ,

i

2, ..., N

(5)

Per features riferite al singolo input, il Feature Matching può essere realizzato direttamente con riferimento ad ogni singolo j-esimo record sismico, verificando che:

F1* j

Fi , j

(6)

dove F1* j indica il valore assunto dalla i-esima feature del vettore F nel j-esimo record sismico. Per features riferite all’intero EPI group, il Feature Matching non può essere realizzato con riferimento al singolo input, ma all’intero EPI group. 4.3. Requisiti e proprietà All’interno dei diversi step del processo per la creazione dell’EPI group possono essere identificati una quantità di requisiti e proprietà, ognuno dei quali può essere in relazione con lo step stesso o con l’informazione in esso contenuto. In Tabella 1 sono illustrati i requisiti e

894

le proprietà suddette e come ognuna di esse è in relazione con ogni specifico step della metodologia. Il requisito di Coerenza (Consistency) si applica all’intera metodologia e consiste nel fatto che ogni informazione impiegata nella metodologia deve essere utilizzata in maniera coerente in tutti gli step. Il requisito di Computabilità (Computability, [4]) si applica alla Hazard Analysis / Feature e consiste nella capacità di correlare (attraverso la Hazard Analysis) specifici valori di probabilità P0 a specifici valori di feature F . Il requisito di Reperibilità (Availability) si applica al database e consiste nella capacità di identificare nel database n inputs sismici attraverso i quali (dopo l’Extraction e il Treatment) sia possibile soddisfare il Feature Matching. La proprietà di Rappresentatività (Representativeness) si applica all’EPI group e consiste nel fatto che un grande numero di informazioni significative (se non tutte), utili a identificare l’EPI group, disponibili dalla Hazard Analysis, venga utilizzato nella metodologia. La proprietà di Efficienza (Efficiency, [4]) si applica all’EPI group e consiste nel fatto che i valori di EDP, ottenuti attraverso l’esecuzione di analisi dinamiche non lineari utilizzando i records dell’EPI group come inputs sismici, siano caratterizzati da una variabilità piccola. La proprietà di (Ease Calculation) si applica alla Hazard Analysis / Feature e consiste nel fatto che la determinazione del valore della feature F debba essere non troppo difficoltoso. È da notare il fatto che la proprietà di Rappresentatività potrebbe introdurre alcune aleatorietà nelle informazioni utilizzate per identificare l’input sismico. Ciò può essere in conflitto con la proprietà di efficienza che, in questi particolari casi, sarà minore.

Requisito / Proprietà 1 2

Requisito di Coerenza (Consistency) Requisito di Computabilità (Computability)

step / Informazione a cui è applicato Intera Metodologia Hazard Analysis / Feature

3

Requisito di Reperibilità (Availability)

Database

4

Proprietà di Rappresentatività (Representativeness)

EPI group

5 6

Proprietà di Efficienza (Efficiency) Proprietà di Semplicità di calcolo (Ease Calculation)

EPI group Hazard Analysis / Feature

Importanza / Gerarchia È fondamentale che questo requisito sia soddisfatto. È fondamentale che questo requisito sia soddisfatto. È necessario per l’applicazione della metodologia. Potrebbe non essere soddisfatto ora, ma potrebbe esserlo in futuro, quando nuove registrazioni sismiche saranno disponibili. È consigliabile che sia il più possibile raggiunta. Tuttavia, a causa di difficoltà di calcolo o per carenza di Reperibilità, l’utilizzo delle informazioni viene limitato solamente ad alcune. È consigliabile per l’applicabilità della PSDHA. È consigliabile.

Tabella 1. Requisiti e proprietà degli step e delle features della metodologia

895

5. ESEMPIO APPLICATIVO 5.1. Applicazione della procedura di Hazard Analysis al territorio italiano In questa sezione è sviluppato un esempio applicativo per l’impiego della metodologia proposta. Il primo step consiste nella determinazione della CDF delle features selezionate (PGA e PGV), con riferimento al territorio italiano. Si è utilizzato: x Il catalogo NT4.1.1 [11], sviluppato nel 1997 dal Gruppo Nazionale Difesa Terremoti con lo specifico scopo di essere utilizzato come archivio dei dati per valutazioni di pericolosità sismica da essere realizzate utilizzando la metodologia di Cornell; x L’“analisi di completezza” proposta da Mulargia, Gasperini e Tinti [12] per filtrare i dati storici; x La zonazione ZS4 (Catalogazione ZS4, redatta dal GNDT nel 1996): suddivisione del territorio italiano in 80 aree (Zone Sismogenetiche) di attività sismica omogenea. È stato scelto lo specifico sito di una città del sud Italia. Per questo sito, le curve di pericolosità sismica (hazard curves) ottenute seguendo la metodologia proposta sono riportate in Fig. 3a e 3b, rispettivamente.

a) (b) Figura 3. Hazard curves relative a (a) PGA e (b) PGV, per un periodo di osservazione di 50 anni.

5.2. Utilizzo delle informazioni ottenute dalla Hazard Analysis su PGA, PGV e NFR Le hazard curves ottenute con riferimento a PGA e PGV e l’informazione riguardante il rapporto tra sismi epicentrali rispetto alla quale deve essere composto l’EPI group sono state utilizzate per definire una feature vettoriale F, allo scopo di determinare EPI groups rappresentativi ed efficienti, per un approccio di progetto probabilistico nell’ottica del PBSD (Performance Based Seismic Design, [1]). Si sono considerati tre livelli sismici di progetto, come mostrato in Tabella 2. Livello sismico di progetto Probabilità di superamento (%) Occasionale 50% in 50 anni Raro 10% in 50 anni Rarissimo 2% in 50 anni

TR (anni)

Indice medio annuale ( OEDP (d ) )

72 475 2475

0.0139 0.0021 0.0004

Tabella 2. I tre livelli sismici di progetto considerati.

I valori di PGA, PGV (ottenuti utilizzando le hazard curves precedentemente determinate) ed NFR associati con i tre livelli sismici di progetto considerati sono riportati in Tabella 3:

896

Probabilità di superamento (%) 50% in 50 anni 10% in 50 anni 2% in 50 anni

CDF

PGA (g)

PGV (cm/s)

NFR (%)

50% in 50 anni 90% in 50 anni 98% in 50 anni

0.078 0.210 0.475

3.40 12.28 45.20

45 95 100

Tabella 3. Valori di PGA, PGV e NFR associati con i tre livelli sismici di progetto considerati.

Allo scopo di confrontare l’efficienza degli EPI groups ottenuti considerando features differenti, sono stati considerate le seguenti: x Fa = PGA feature scalare considerata qui come riferimento; x Fb = {PGA,PGV,NFR} feature vettoriale, proposta dagli autori. Per le due features Fa ed Fb, e per ogni livello sismico di progetto considerato, è stato estratto dal PEER Center database (http://peer.berkeley.edu/smcat/) un gruppo di records sismici, a formare sei EPI groups. Ogni EPI group è composto da 20 accelerogrammi storici caratterizzati dai valori di PGA, PGV ed NFR riportati in Tabella 4. Livello sismico di progetto Occasionale EPIa=PGA Raro Rarissimo Occasionale EPIb = {PGA,PGV Raro ,NFR} Rarissimo Feature F

EPI group EPI1a EPI2a EPI3a EPI1b EPI2b EPI3b

PGA (g) prima dello scaling 0.07810% 0.21010% 0.47510% 0.07810% 0.21010% 0.47510%

PGA (g) dopo lo scaling 0.078 0.210 0.475 0.078 0.210 0.475

PGV (cm/s) prima dello scaling qualsiasi qualsiasi qualsiasi 3.4020% 12.2820% 45.2020%

PGV (cm/s) dopo lo scaling qualsiasi qualsiasi qualsiasi 3.4015% 12.2815% 45.2015%

NFR (%) qualsiasi qualsiasi qualsiasi 45 95 100

Tabella 4. Valori di PGA, PGV ed NFR associati ai tre livelli sismici di progetto considerati.

5.3. Confronto fra gli spettri di risposta ottenuti per gli EPI groups estratti L’efficienza di un EPI group può essere valutata anche attraverso l’esame delle caratteristiche degli spettri di risposta ottenuti per ogni EPI group. Per ogni accelerogramma di ogni EPI group si è calcolato lo spettro di risposta lineare. È stato poi ottenuto lo spettro medio e la deviazione standard per ogni EPI group. Le Fig. 4a, b e c confrontano gli spettri medi e le loro dispersioni (in termini di media r una deviazione standard) ottenuti per i gruppi EPI1a ed EPI1b, EPI2a ed EPI2b, EPI3a ed EPI3b, rispettivamente. Le figure mostrano chiaramente che gli spettri di risposta ottenuti per i gruppi EPI1b, EPI2b and EPI3b (caratterizzati dalla feature vettoriale) hanno deviazioni standard più piccole di quelle degli spettri di risposta ottenuti per i gruppi EPI1a, EPI2a and EPI3a (caratterizzati dalla feature scalare). In dettaglio, i coefficienti di variazione COV degli spettri di risposta corrispondenti ai gruppi EPI1a, EPI2a ed EPI3a sono uguali rispettivamente a 0.81, 0.89 e 0.68 (valori medi del COV per tutti i periodi fra 0.0 e 2.0 s), mentre i valori medi dei coefficienti di variazione COV degli spettri di risposta corrispondenti ai gruppi EPI1b, EPI2b ed EPI3b sono uguali rispettivamente a 0.47, 0.39 e 0.39. Si noti anche come la forma degli spettri di risposta sia relativamente simile per i gruppi EPI1a, EPI2a ed EPI3a, e ciò significa che, per gli accelerogrammi identificati attraverso la feature scalare, il contenuto energetico alle diverse frequenze non varia considerevolmente con la magnitudo. D’altra parte, per i gruppi EPI1b, EPI2b ed EPI3b, la forma degli spettri di risposta ottenuti differisce considerevolmente fra un gruppo e l’altro, indicando che, per gli accelerogrammi identificati attraverso la feature vettoriale, il contenuto energetico alle diverse frequenze varia considerevolmente con la magnitudo (principalmente

897

per periodi compresi fra 0.25 e 1.00 s). Le differenze osservate negli spettri di risposta ottenuti per i gruppi EPI1b, EPI2b ed EPI3b sono fisicamente più significative delle somiglianze osservate per i gruppi EPI1a, EPI2a ed EPI3a. Sa [g] 0.30

0.25 0.20

EPI1a: media EPI1a: media ± dev.std EPI1b: media EPI1b: media ± dev.std

0.15 0.10 0.05 0.00 0.00 0.25 0.50 0.75 1.00 1.25 1.50 1.75 2.00

Periodo [s]

Figura 4.

Sa [g] 0.8

Sa [g] 1.6

EPI2a: media EPI2a: media ± dev.std EPI2b: media EPI2b: media ± dev.std

0.7 0.6

1.4 1.2

0.5

1.0

0.4

0.8

0.3

0.6

0.2

0.4

0.1

0.2

0.0 0.00 0.25 0.50 0.75 1.00 1.25 1.50 1.75 2.00

Periodo [s]

EPI3a: media EPI3a: media ± dev.std EPI3b: media EPI3b: media ± dev.std

0.0 0.00 0.25 0.50 0.75 1.00 1.25 1.50 1.75 2.00

Periodo [s]

(a) (b) (c) Spettri medi di risposta e loro dispersione dei gruppi (a) EPI1a ed EPI1b, (b) EPI2a ed EPI2b, (c) EPI3a ed EPI3b.

5.4. Confronto dell’adeguatezza di features alternative per la stima delle risposte strutturali L’efficienza di un EPI group può essere valutata considerando anche la dispersione di un selezionato parametro di risposta strutturale (Engineering Demand Parameter EDP). Recentemente, Giovenale, Cornell ed Esteva [4] hanno proposto una metodologia (qui adottata) per la valutazione dell’efficienza di diversi EPI groups identificati a partire da differenti features, che può essere riassunta nei quattro step seguenti: x Valutazione delle risposte strutturali attraverso analisi dinamiche incrementali (Incremental Dynamic Analyses, IDA [6]), ognuna eseguita utilizzando avanzate tecniche computazionali (non lineari), come quelle offerte dal software ad elementi finiti OpenSees [13], qui adottato; x Utilizzo della duttilità sezionale (cioè il rapporto fra la curvatura massima, F max , e la curvatura allo snervamento, F y ) come parametro di misura della risposta strutturale; x

Utilizzo del coefficiente di variazione, COV, come misura della dispersione dei valori di duttilità sezionale ottenuti. Nel lavoro di ricerca presentato in questa memoria, allo scopo di ottenere un confronto significativo fra i diversi EPI groups estratti, sono state eseguite una serie di analisi dinamiche incrementali non lineari [6], con riferimento ad un determinato numero di sistemi ad un grado di libertà, ognuno caratterizzato da diversi valori di periodo di vibrazione e da differente comportamento post-elastico. Per brevità, nella sezione seguente, sono riportati i risultati riguardanti gli oscillatori n. I-1 e II-1, così come definiti in [4], che per semplicità verranno indicati come oscillatori n. I e II. 5.5. Risultati delle analisi Le Fig. 5a e b mostrano rispettivamente i risultati delle analisi dinamiche incrementali non lineari ottenuti per i due oscillatori n. I e n. II. In ascissa è riportata la duttilità sezionale, mentre in ordinata è riportata la PGA. Ogni punto rappresenta il risultato di una singola analisi dinamica non lineare, ottenuto dall’applicazione di un singolo accelerogramma di un determinato EPI group. I punti bianchi rappresentano i risultati ottenuti utilizzando i gruppi EPI1a, EPI2a and EPI3a, mentre quelli neri rappresentano i risultati ottenuti utilizzando i gruppi EPI1b, EPI2b and EPI3b. L’esame della Fig. 5 indica che, utilizzando gli EPI groups estratti con riferimento all’IM vettoriale, si ottengono risposte strutturali aventi dispersioni

898

minori di quelle ottenute utilizzando gli EPI groups estratti con riferimento alla sola PGA. Si può notare, ad esempio, che alcuni accelerogrammi del gruppo EPI1a (50% in 50 anni) conducono a duttilità sezionali che sono maggiori di quelle fornite dagli altri gruppi EPI2a (10% in 50 anni) ed EPI3a (2% in 50 anni), che indica una grande variabilità nelle risposte strutturali ottenute utilizzando, per definire gli EPI groups, solamente la PGA. Ciò non accade per gli accelerogrammi del gruppo EPI1b, la maggior parte dei quali conducono a duttilità sezionali più piccole di quelle fornite dagli altri inputs appartenenti ai gruppi EPI2b ed EPI3b, che indica una minore variabilità delle risposte strutturali ottenute utilizzando la feature vettoriale (cioè una maggiore efficienza degli EPI groups). Le Fig. 6a e b mostrano il COV delle duttilità sezionali ottenute per i sei EPI groups applicati ai due oscillatori n. I e n. II. Ancora una volta è evidente che, selezionando records in accordo con la feature vettoriale proposta, si ottiene un minore COV delle risposte strutturali (minore varianza) rispetto ai risultati ottenuti selezionando inputs attraverso la PGA. I risultati sono riassunti in Tabella 5.

PGA [g]

IMs = PGA e {PGA,PGV}, Risultati delle analisi, oscillatore I 0.50

PGA [g]

0.45

IMs = PGA e {PGA,PGV}, Risultati delle analisi, oscillatore II 0.50 0.45

0.40

0.40

0.35

0.35

0.30

0.30

0.25

0.25

0.20

0.20

0.15

0.15

0.10

0.10

PGA {PGA,PGV}

0.05 0.00 0

4

8

12

16

20

PGA {PGA,PGV}

0.05 0.00 0

24

Duttilità Sezionale

4

8

12

16

20

24

Duttilità Sezionale

(a) (b) Figura 5. PGA ed i risultati ottenuti in termini di duttilità sezionale per gli oscillatori n. I (a) e n. II (b).

COV

Oscillatore I: Confronto fra le dispersioni

COV

1.2

1.0

Oscillatore II: Confronto fra le dispersioni 1.0

0.8

0.8 0.6

0.6 0.4

0.4 0.2

0.2

PGA {PGA,PGV}

PGA {PGA,PGV} 0.0

1

2

3

0.0

1

2

3

EPI group

EPI group

(a) (b) Figura 6. Confronto fra i coefficienti di variazione dei risultati ottenuti per gli oscillatori n. I (a) e n. II (b).

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EPIa: PGA Media Dev. Std. COV EPIb: {PGA,PGV,NFR} Media Dev. Std. COV

EPI1a 1.12 0.87 0.77 EPI1b 0.61 0.37 0.60

Oscillatore n. I EPI2a 3.04 3.38 1.11 Oscillatore n. I EPI2b 1.74 0.74 0.43

EPI3a 6.00 5.32 0.89

EPI1a 1.21 0.68 0.56

EPI3b 6.37 2.62 0.41

EPI1b 0.98 0.38 0.39

Oscillatore n. II EPI2a 2.54 1.82 0.72 Oscillatore n. II EPI2b 2.32 0.72 0.31

EPI3a 7.12 3.80 0.53 EPI3b 9.37 3.60 0.38

Tabella 5. Risultati ottenuti dagli studi IDA applicati sugli oscillatori n. I e II per le due features considerate.

6. CONCLUSIONI Nell’ambito del PBSD, questa memoria fornisce una metodologia per la corretta applicazione della PSDHA, basata su un’interpretazione critica della procedura di Hazard Analysis. Al fine di creare EPI groups da utilizzarsi nella stima delle prestazioni strutturali sotto eccitazioni sismiche, si è sviluppato un esempio di applicazione dell’Hazard Analysis con riferimento ad una città del sud Italia. I valori delle features ottenuti sono stati usati per identificare due differenti “regole” di estrazione dei records: una basata su una feature costituita dalla sola PGA, e un’altra basata su una feature vettoriale (qui proposta dagli autori) costituita da PGA, PGV e NFR. Si sono eseguite Analisi Dinamiche Incrementali non lineari utilizzando (a) il software OpenSees, (b) la duttilità sezionale come EDP, (c) strutture ad un grado di libertà rappresentative di differenti tipologie di edifici. I risultati mostrano che, utilizzando la feature vettoriale proposta, gli EPI groups ottenuti sono più “efficienti” e più “rappresentativi”. BIBLIOGRAFIA [1]

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

VALUTAZIONE DELLA PRESTAZIONE SISMICA DI UN EDIFICIO A STRUTTURA INTELAIATA IN C.A. PROVVISTA DI ELEMENTI CRITICI PER TAGLIO R. NUDO1, D. TURAZZA1, S. VITI1 1

Dipartimento di Costruzioni, Facoltà di Architettura, Università degli Studi, Firenze

SOMMARIO Nel presente articolo si affronta il problema della valutazione dell’influenza esercitata dagli elementi a configurazione tozza sulla risposta di una struttura intelaiata in c.a. sottoposta ad azione sismica. Nella prima parte del lavoro si conduce uno studio di validazione di una serie di modelli finalizzati alla valutazione della resistenza a taglio di elementi tozzi in c.a., studio che si avvale di una serie di dati sperimentali presenti in letteratura. Successivamente si analizza la risposta sismica di una struttura intelaiata in c.a. provvista di elementi tozzi, appartenente alla tipologia degli edifici industriali. In particolare, attraverso un’analisi non lineare di detta struttura si dimostra come la sua risposta alle azioni orizzontali risulti penalizzata dalla presenza di elementi che sviluppano crisi localizzate per taglio. ABSTRACT This paper deals with the problem of evaluating the influence of short elements on response of framed RC structures subjected to seismic actions. In the first part of the work a study of effectiveness of some models concerning evaluation of the ultimate shear strength of RC short elements is developed, based on a series of experimental data available in literature. In the second part of the paper, seismic response of an RC frame building belonging to the typology of industrial constructions, provided with shear critical elements, is analysed. The inelastic analysis of the structure points out a limited deformation capacity owing to the presence of short elements which develop brittle crisis due to shear.

1. INTRODUZIONE Com’è noto, le strutture intelaiate in c.a. presentano spesso elementi strutturali le cui dimensioni trasversali risultano comparabili con la loro lunghezza. Tali rapporti dimensionali, che più frequentemente riguardano l’elemento pilastro, si riscontrano, ad esempio, ai piani bassi di telai di altezza elevata, nei telai attestati su setti in c.a., oppure in particolari tipologie strutturali di solito adottate in ambito industriale. In tali situazioni si configurano pertanto elementi tozzi i quali, a causa della loro elevata rigidezza traslazionale, in occasione

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dell’evento sismico sono interessati da sollecitazioni di taglio di notevole intensità alle quali si accompagnano spesso componenti assiali altrettanto elevate. E’ noto come tale combinazione di sforzi determini configurazioni di crisi di tipo fragile a carattere locale, con conseguente pregiudizio della risposta complessiva della struttura. Negli anni passati sono state sviluppate numerose ricerche, a carattere sia teorico che sperimentale, finalizzate allo studio del comportamento di elementi in c.a. soggetti a rilevanti sollecitazione da taglio. Le modellazioni analitiche nella maggior parte dei casi sono state indirizzate alla valutazione della resistenza monotona a taglio di elementi tozzi; un numero minore di lavori è stato rivolto alla modellazione della risposta sotto carico trasversale ciclico. Dagli studi effettuati è in particolare emerso che per rapporti tra luce di taglio ed altezza della sezione (a/d) minori di 22.5 la risposta inelastica, e pertanto la crisi dell’elemento, risulta governata dallo sforzo di taglio. Tali risultati, assieme alle evidenze dei crolli e dei dissesti manifestatisi nelle strutture in c.a. in occasione di eventi sismici, hanno evidenziato l’incompatibilità tra elementi tozzi e comportamento dissipativo, criterio sul quale si basano i moderni codici di progettazione antisismica. Si pone però il problema dell’esistente e quindi la necessità di valutare la vulnerabilità sismica di un patrimonio edilizio in larga misura costituito, nel nostro Paese, da costruzioni in c.a. progettate e realizzate in assenza di criteri antisismici. Tale aspetto ha decretato un rinnovato interesse nei riguardi della modellazione degli elementi critici per taglio. Il lavoro qui presentato si suddivide in due parti. Nella prima parte sono state prese in considerazione alcune fra le più note modellazioni presenti in letteratura finalizzate alla valutazione della resistenza a taglio di elementi tozzi in c.a.; per esse si è proceduto a testarne l’attendibilità sulla base del confronto con una serie di dati sperimentali disponibili. Nella seconda parte viene sviluppata un’analisi di valutazione della risposta inelastica sotto azioni sismiche di un edificio campione la cui struttura presenta elementi a configurazione tozza.

2. MODELLI PER LA VALUTAZIONE DELLA RESISTENZA A TAGLIO DI ELEMENTI TOZZI IN C.A. 2.1. Modello di Shohara-Kato Nel modello di Shohara-Kato [1] si assume che la resistenza dell’elemento sia determinata dalla sovrapposizione di due meccanismi: un meccanismo a traliccio ed un meccanismo a puntone diagonale (Figura 1). In particolare si ipotizza che l’elemento tozzo sia costituito da un nucleo interno di calcestruzzo (di larghezza Eb) che assorbe lo sforzo di taglio attraverso un puntone inclinato e da due strati esterni inglobanti l’armatura longitudinale e trasversale che configurano un elemento a traliccio il cui comportamento è descritto dall’analogia di Mörsch (bielle di calcestruzzo inclinate a 45°). In tal modo la resistenza a taglio dell’elemento risulta dalla somma di due contributi: un primo contributo relativo al modello a traliccio, corrispondente alla forza di taglio che determina lo snervamento delle staffe, ed un secondo contributo fornito dalla componente trasversale della massima forza di compressione assorbita dal puntone diagonale. Il modello in questione consente di costruire dei domini d’interazione taglio (Q)-sforzo normale (N), per i quali è possibile individuare tre regioni (Figura 2): una regione centrale che corrisponde alla crisi per taglio e due regioni laterali che rappresentano la crisi per tenso/presso-flessione.

904

Figura 1. Meccanismi resistenti del modello di Shohara-Kato.

Figura 2. Dominio d’interazione taglio-sforzo normale per elementi tozzi.

La regione cui corrisponde la crisi per taglio è delimitata dai seguenti valori di sforzo normale: n'

0.5  Zl  Zt O  1  ]

(1)

n ''

0.5  Zl  Zt O  1  ]

(2)

in cui: n = N / bdfc q = Q / bdfc Zl = Al fyl/ bdfc Zt = At fyt/ bdfc O = L / d = 2a / d ]=z/d

(percentuale meccanica di armatura longitudinale) (percentuale meccanica di armatura trasversale)

905

Si ha inoltre: fc resistenza cilindrica a compressione del calcestruzzo, fyl ed fyt tensioni di snervamento rispettivamente dell’armatura longitudinale e delle staffe, L lunghezza dell’elemento ipotizzato in condizioni di momento antisimmetrico (condizione di doppio incastro), d altezza totale della sezione, a = L/2 luce di taglio, z distanza tra i correnti del traliccio ideale (distanza tra le armature longitudinali). Nel caso in cui O > Zl / Zt , la regione centrale del dominio q-n scompare e di conseguenza non si ha crisi per taglio dell’elemento; ne consegue che il suddetto rapporto tra le percentuali d’armatura rappresenta per l’elemento un valore di snellezza limite che separa il campo delle rotture fragili da quello delle crisi duttili: Olim = Zl / Zt

(3)

2.2. Modello di König Il modello di König et al. [2] consente di valutare la resistenza a taglio di un pilastro tozzo in condizioni di momento antisimmetrico attraverso la costruzione di una curva monotona taglio-deformazione. Tale curva è il risultato di un processo incrementale basato su un’analisi di tipo flessionale che si avvale di opportune ipotesi relative all’elemento tozzo. Si assume in particolare che l’elemento sia composto da due regioni triangolari fessurate (inclinazione delle fessure pari a T), poste in prossimità delle sezioni estreme, e da una porzione interna di calcestruzzo non fessurato (Figura 3). Per il calcestruzzo compresso si adotta il modello di Kent-Park [3] mentre per le armature si assume un legame elastico-perfettamente plastico. Le armature trasversali sono messe in conto soltanto attraverso la loro capacità di confinamento del calcestruzzo.

Figura 3. Configurazione del campione assunta nel modello di König et al.

906

Si assume inoltre che nelle regioni fessurate sia nulla l’aderenza tra barre d’armatura e calcestruzzo circostante. La procedura di costruzione della curva taglio-deformazione ha inizio con la valutazione dell’inclinazione delle fessure attraverso la seguente relazione empirica:

T 70q  100q u n t 20q

(4)

essendo n il valore adimensionale dello sforzo normale applicato all’elemento, positivo nel caso di trazione. Si assume quindi un valore della profondità x della zona compressa nella sezione di estremità che consente, a sua volta, di valutare la lunghezza del tratto di armatura tesa privo di tensioni d’aderenza; in tal modo risulta definita la geometria della regione fessurata. Si procede quindi fissando un valore della curvatura in una sezione d’estremità ed assumendo un valore di tentativo dello sforzo di trazione nell’armatura tesa. Utilizzando tali grandezze si perviene, attraverso considerazioni di equilibrio ed ipotizzando la conservazione delle sezioni piane, ad un valore della forza di taglio Q nella stessa sezione. Si passa quindi ad analizzare sezioni trasversali successive dell’elemento, caratterizzate da un incremento della profondità della zona compressa. Dalla distribuzione delle deformazioni in tali sezioni si ricava, per integrazione, l’allungamento complessivo dell’armatura e lo sforzo di trazione nella stessa; se questo valore differisce sensibilmente da quello assunto si itera fino a convergenza. Si ottiene così una prima coppia di coordinate taglio-curvatura; per ottenere i restanti punti della curva di risposta dell’elemento si procede reiterando la stessa procedura assegnando valori crescenti della curvatura. La condizione di crisi che determina l’arresto della procedura corrisponde convenzionalmente all’attingimento di un valore limite della deformazione del calcestruzzo opportunamente prefissato. 2.3. Modello di Umehara-Jirsa Il modello di Umehara-Jirsa [4] si basa sulla seguente formula empirica ricavata in base ai risultati forniti da prove sperimentali eseguite su elementi tozzi in c.a.:

Qu

a· min 0.2 N;1400A § 1150¨1  0.28 ¸A c f c  d¹ a/d ©

[kN]

(5)

dove A ed Ac rappresentano rispettivamente l’area totale della sezione e l’area del nucleo confinato, in m2, fc la resistenza del calcestruzzo in MPa ed N lo sforzo normale applicato, in kN. Appare evidente come la (5) tenga conto della geometria dell’elemento ma non della quantità d’armatura, sia longitudinale che trasversale. 2.4. Modello flessionale In tale procedura analitica [5] la resistenza del pilastro, ipotizzato come nei modelli precedenti in condizioni di momento antisimmetrico, viene definita come il valore della forza di taglio cui corrisponde l’attingimento della rotazione ultima in corrispondenza delle cerniere plastiche poste nelle sezioni d’estremità. A sua volta la rotazione ultima viene valutata in funzione delle caratteristiche meccaniche dei materiali; in particolare per l’acciaio è stato assunto un legame elastico-perfettamente plastico con deformazione limite posta pari a Hsu = 0.05, mentre per il calcestruzzo è stato assunto il modello di Kent-Park [3] con Hcu = 0.004. Si sottolinea come tale modellazione non consideri l’influenza dei meccanismi resistenti legati allo sforzo di taglio ai fini della valutazione della resistenza dell’elemento.

907

2.5 Confronto fra previsioni analitiche e risultati sperimentali I confronti analitico-sperimentali sono stati condotti sulla base dei dati riportati in Tabella 1. Test

a b d d1,2 (cm) (cm) (cm) (cm)

I.01 I.02 I.03 I.04 II.05 II.06 II.07 II.08 III.09 III.10 III.11 III.12 3.2 3.7 3.8 3.13 3.14 3.15 3.16 3.17 3.19 3.20 3.21 3.22 3.23 3.25 3.26 3.27 3.28 3.29 3.30 3.31 3.32 3.33 3.34 3.35 3.36 3.37 3.40 3.44 3.45 3.47 MT1 MT2 MT3 MT4 MT7 MT8

40 40 40 40 30 30 30 30 20 20 20 20 50 50 50 50 50 50 25 25 50 50 50 25 25 25 50 50 50 50 50 37.5 37.5 37.5 37.5 37.5 37.5 37.5 75 75 75 37.5 25 25 25 25 50 75

10 10 10 10 10 10 10 10 10 10 10 10 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25

20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 20 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25 25

UJO-PM UJO-PU UJC-PU UJC-MS UJC-US P1 P2 P3 P4 P5 P6

45.7 45.7 45.7 45.7 45.7 45 45 45 45 45 45

30.5 30.5 30.5 22.9 22.9 20 20 20 20 20 20

30.5 30.5 30.5 40.9 40.9 30 30 30 30 30 30

‡st 'st (cm) (cm)

n

fc (MPa)

fyl (MPa)

fyt (MPa)

1.8 1.8 1.8 1.8 1.8 1.8 1.8 1.8 1.8 1.8 1.8 1.8 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5

0 0.271 0 0.294 0 0.352 0 0.352 0 0.254 0 0.254 0.33 0.33 0.33 0 0 0.33 0.194 0.194 0.163 0.163 0.163 0.097 0.097 0.097 0.08 0.08 0.163 0.163 0.163 0.272 0.272 0.136 0.136 0.272 0.272 0.136 0.272 0.272 0.136 0.136 0.30 0.60 0.30 0.30 0.30 0.30

27.6 27.6 25.5 25.5 27.6 21.3 27.6 21.3 30.6 29.5 30.6 29.5 19.0 19.0 19.0 19.0 19.0 19.0 27.0 27.0 32.0 32.0 32.0 27.0 27.0 27.0 32.0 32.0 32.0 32.0 32.0 19.3 19.3 19.3 19.3 19.3 19.3 19.3 19.3 19.3 19.3 19.3 36.0 48.0 39.0 35.0 38.0 38.0

555 555 555 555 555 555 555 555 555 555 555 555 318 303 303 298 298 298 321 321 321 321 321 327 327 327 327 327 296 296 296 305 305 305 305 321 321 321 299 305 305 299 480 480 415 415 480 480

640 640 640 640 640 640 640 640 640 640 640 640 281 265 281 281 309 265 287 287 313 313 313 287 287 287 331 331 287 287 287 267 302 302 323 302 323 327 323 327 327 302 300 300 300 305 300 300

0.4 0.4 0.4 0.4 0.4 0.4 0.4 0.4 0.4 0.4 0.4 0.4 0.9 1.3 0.9 0.9 0.6 1.3 0.9 0.9 0.6 0.6 0.6 0.9 0.9 0.9 0.4 0.4 0.9 0.9 0.9 1.3 0.9 0.9 0.6 0.9 0.6 0.4 0.6 0.4 0.4 0.9 0.8 0.8 0.8 1.0 0.8 0.8

3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5 3.5

0 0 0.187 0.136 0.169 0 0.093 0.262 0 0.098 0.262

30.0 34.5 30.7 42.0 34.9 14.8 18.0 12.7 16.0 17.0 12.7

365 365 365 441 441 482 482 482 482 482 482

469 469 469 415 415 502 502 502 502 502 502

0.6 0.6 0.6 0.6 0.6 0.8 0.8 0.8 0.8 0.8 0.8

Af1,2

Qexp (kN)

8 8 5 5 7.5 7.5 5 5 8 8 5 5 8.1 6.5 6.2 5.3 4.6 4.4 3.33 4.17 6.25 7.69 6.25 4.55 5.56 3.70 5.56 3.70 4.17 5.00 4.17 4.69 4.69 5.77 5.00 4.17 3.75 3.41 4.55 3.85 5.1 4.69 5 5 5 5 5 5

2+2‡8 2+2‡8 2+2‡8 2+2‡8 2+2‡8 2+2‡8 2+2‡8 2+2‡8 2+2‡8 2+2‡8 2+2‡8 2+2‡8 3+3‡13 3+3‡16 3+3‡16 3+3‡19 3+3‡19 3+3‡19 3+3‡10 3+3‡10 3+3‡10 3+3‡10 3+3‡10 3+3‡13 3+3‡13 3+3‡13 3+3‡13 3+3‡13 3+3‡16 3+3‡16 3+3‡16 3+3‡13 3+3‡13 3+3‡13 3+3‡13 3+3‡10 3+3‡10 3+3‡10 3+3‡16 3+3‡13 3+3‡13 3+3‡16 2+2‡14 2+2‡14 2+2‡20 2+2‡20 2+2‡14 2+2‡14

26.9 48.3 27.4 46.4 36.2 55.2 36.0 58.2 48.0 79.4 51.2 90.2 112.0 130.0 124.0 120.5 113.0 161.0 177.0 190.0 106.5 105.5 104.5 169.5 185.5 185.5 109.5 105.5 155.5 163.0 150.3 131.0 127.8 111.4 111.8 102.2 106.1 83.0 81.3 63.9 52.8 145.0 330.0 410.0 360.0 360.0 200.0 140.0

6.64 6.64 6.64 8.90 8.90 10 10 10 5 5 5

3+3‡19 3+3‡19 3+3‡19 2+2‡19 2+2‡19 2+2‡16 2+2‡16 2+2‡16 2+2‡16 2+2‡16 2+2‡16

267.0 249.0 298.0 383.0 329.0 99.0 130.0 128.0 106.0 141.0 149.0

Tabella 1. Dati relativi a prove sperimentali su pilastri tozzi.

908

Si tratta di 59 campioni relativi a prove eseguite su campioni di diversa snellezza, con prevalenza di elementi tozzi (a/d d 2.5). In particolare, i dati riportati in tabella si riferiscono, nell’ordine, a prove eseguite da De Stefano-Nudo (12 campioni) [6], presso il Building Research Institute of Japan (30 campioni) [7], da Moretti-Tassios (6 campioni) [8], da Umehara-Jirsa (5 campioni) [9] e da Papanikolau (6 campioni) [10]. Gli stessi dati sono stati utilizzati per valutare le resistenze a taglio dei singoli elementi avvalendosi delle procedure analitiche illustrate in precedenza. I risultati ottenuti sono illustrati in Figure 4.

Figura 4. Confronto fra valori analitici (Qmod) e sperimentali (Qexp) della resistenza a taglio.

Da tali diagrammi è possibile rilevare come il modello di Shohara-Kato fornisca buoni risultati (scarto percentuale medio pari a 13.6%) che risentono in misura non sostanziale della snellezza dei campioni. Risultati migliori sono forniti dal modello di König et al. (s.p.m. = 8.8%), anch’esso poco condizionato dai valori di snellezza. Scarti più consistenti caratterizzano invece il modello di Umehara-Jirsa (s.p.m. = 26.8%) che alterna risultati decisamente positivi a valutazioni che si discostano sensibilmente dai valori sperimentali; tale esito era peraltro da attendersi vista la formulazione molto semplificata della procedura. Risultati molto buoni, e per certi versi sorprendenti, sono forniti dal modello flessionale (s.p.m. = 8.9%) il quale, come è lecito attendersi, evidenzia scarti crescenti al diminuire della snellezza dei pilastri. In base ai confronti effettuati, nelle applicazioni riportate in seguito si farà riferimento al modello di König.

909

3. APPLICAZIONE AD UN EDIFICIO ESISTENTE 3.1. Edificio campione L’edificio oggetto di studio (vedi Figura 5) è ubicato nel comune di Sansepolcro (AR), nella zona industriale “Trieste”, ed ha funzione di magazzino di una ditta di autotrasporti. La sua costruzione risale al 1970. Il comune di Sansepolcro risulta classificato sismico dal 1962; attualmente il suo territorio è collocato in Zona 2 (Ordinanza PCM 3274 [11]) ed è compreso fra i comuni a maggior rischio sismico della Toscana. I terremoti di maggiore intensità che è stato possibile rilevare nell'area di Sansepolcro, che fa parte della zona sismogenetica dell’Appennino Settentrionale, hanno avuto magnitudo compresa tra 4.9 e 6.0. Negli anni 1990, 1993 e 1997 nella stessa area sono state registrate sequenze sismiche di magnitudo massima pari a 4.1. L'evento sismico più recente si è verificato nel novembre 2001 ed ha avuto una magnitudo di 4.4. Il fabbricato presenta pianta rettangolare con lati di dimensioni 24 m×60 m circa e consta di un solo piano fuori terra. L’edificio contiguo ubicato sul lato nord-ovest, che ospita gli uffici della ditta, risulta strutturalmente indipendente. La struttura portante è costituita da telai in cemento armato disposti secondo due direzioni ortogonali. La copertura è realizzata con tegoli a “Y” in c.a.p. di luce pari a circa 15 m, collegati da lastre curve e pannelli di soffittatura, entrambi in fibrocemento. Le tamponature esterne, completamente assenti sul prospetto principale, e le pareti divisorie interne sono in realizzate in blocchi di calcestruzzo. I pilastri sono a sezione quadrata o rettangolare compatta (dimensione massima 45×45 cm). I telai principali, sui quali scarica la copertura, sono orditi in direzione trasversale e presentano quattro campate di simile ampiezza (6 m circa) con travi emergenti di altezza 60 cm. In direzione longitudinale la continuità strutturale si realizza solo in corrispondenza dei telai di bordo, mentre a livello dei pilastri interni non vi sono travi di collegamento fra i telai trasversali. I telai longitudinali sono suddivisi in quindici campate, di luce massima pari a m 5.40 circa e sono caratterizzati dalla presenza di pilastri tozzi: una trave intermedia individua infatti una fascia superiore finestrata che si estende fino alla quota d’imposta della copertura. Le ultime tre campate sul lato sud-est presentano caratteristiche geometriche differenti in quanto costituiscono un ampliamento del corpo di fabbrica originario. I pilastri tozzi, oltre che nei telai longitudinali, sono presenti nei telai trasversali di bordo che presentano, nella parte alta, un’interruzione della tamponatura per lasciare spazio alle superfici finestrate. Detti pilastri hanno altezza netta di 1 m, presentando quindi rapporti di snellezza a/d compresi tra 1.1 ed 1.6. L’altezza libera dei pilastri intermedi è pari a m 5.05, tranne che in corrispondenza del corpo aggiunto di sud-est, dove l’altezza dei pilastri risulta di m 6.35. Non essendo disponibili gli elaborati di progetto, al fine di formulare ipotesi attendibili circa le proprietà meccaniche dei materiali e la disposizione delle armature si è fatto riferimento ad alcuni rilievi statistici effettuati su edifici della stessa epoca realizzati nel comune di Sansepolcro. In particolare sono stati utilizzati i dati della campagna d’indagine effettuata dalla Regione Toscana sugli edifici strategici (scuole, ospedali, edifici industriali) [12]. Il metodo d’indagine si è basato sull’uso combinato di prove distruttive (carotaggi) e non distruttive (prove sclerometriche e ultrasuoni) per la valutazione della resistenza del calcestruzzo (le prove sono state effettuate principalmente sui pilastri). Le prove hanno indicato un calcestruzzo di resistenza media pari a circa 20 MPa. Relativamente alla qualità e disposizione delle armature ci si è riferiti alle consuetudini progettuali emerse dall’indagine; in particolare per i pilastri si sono supposte barre lisce FeB32k, diametro 16 mm, disposte

910

nella misura di tre per ogni lato, con armatura trasversale costituita da staffe lisce di 6 mm con passo di 18 cm.

Figura 5. Edificio campione: piante e sezioni.

911

3.2. Analisi strutturale Per valutare il comportamento dell’edificio nei confronti dell’azione sismica è stata sviluppata un’analisi statica non lineare (push-over analysis) per ciascun telaio componente la struttura. In particolare sono state ricavate le relative curve di capacità (Figura 6) riportanti in ordinate la forza orizzontale applicata al traverso superiore ed in ascisse il corrispondente spostamento dello stesso traverso. Ciascuna curva è stata costruita ipotizzando la formazione di cerniere plastiche alle estremità delle aste; i momenti plastici sono stati ricavati in funzione della componente assiale: Mp = f(N). L’analisi è stata interrotta, per tutti i telai meno uno (telaio Y4), nel momento in cui il numero di cerniere plastiche ha determinato la formazione di un meccanismo cinematico. L’esame dei diagrammi riportati in Figura 6 rivela come l’abbinamento elementi tozzitamponature determini conseguenze negative ai fini della risposta con riferimento specifico alle capacità deformative. In particolare, dal confronto tra i telai X1 ed X2, si rileva come il primo abbia acquisito maggiore resistenza dovuta alla presenza delle tamponature, vedendo però nel contempo compromessa la possibilità di sviluppare una risposta duttile. In aggiunta, il telaio X1 attinge una crisi prematura (contrassegnata con la sigla T) a causa della rottura per taglio di uno degli elementi tozzi posizionati nella sua parte superiore. I telai disposti in direzione trasversale evidenziano risposte che rivelano differenze ancora più marcate. In particolare i telai Y2 ed Y3, privi di tamponature, esprimono un comportamento sufficientemente duttile anche se la capacità deformativa complessiva risulta condizionata dalla formazione di meccanismi di piano dovuti al fatto che le plasticizzazioni si sono concentrate essenzialmente in corrispondenza dei pilastri. Il telaio Y4, provvisto di maglie completamente tamponate, presenta rigidezza e resistenza molto superiori rispetto agli altri telai, ma attinge la condizione di crisi in fase praticamente elastica, per eccesso di trazione in uno dei pilastri d’estremità. I telai Y1 ed Y5, provvisti di tamponatura parziale, attingono una crisi anticipata (contrassegnata con le sigle T1 e T5) a causa della rottura per taglio di uno dei pilastri tozzi che si vengono a configurare nella parte alta a causa dell’interruzione della tamponatura. Nel complesso, nessuno dei telai denuncia un comportamento soddisfacente, anche nei casi in cui la crisi è stata determinata da meccanismi di tipo flessionale; ciò a causa dell’assenza di un criterio gerarchico di progettazione all’epoca della realizzazione della struttura.

Figura 6. Curve di capacità dei telai componenti la struttura.

912

4. CONCLUSIONI Il problema della valutazione della vulnerabilità sismica delle strutture esistenti in cemento armato ha determinato un rinnovato interesse, da parte della comunità tecnico-scientifica, nei riguardi dello studio del comportamento degli elementi tozzi ed in particolare dei pilastri. Nel presente lavoro sono state pertanto esaminate alcune fra le più note procedure analitiche finalizzate alla valutazione della resistenza a taglio di elementi a snellezza ridotta e la loro attendibilità è stata testata sulla base di dati sperimentali disponibili in letteratura. Fra i modelli esaminati, quello di König ha mostrato il miglior accordo tra previsioni analitiche e risultati sperimentali. Lo stesso modello presenta inoltre il vantaggio di consentire la costruzione della curva di risposta monotona dell’elemento, con possibilità quindi di implementazione all’interno di un codice di calcolo. Anche il modello di calcolo basato sulla crisi di tipo flessionale ha fornito buoni risultati ma, com’era lecito attendersi, le sue capacità previsionali perdono di precisione al diminuire del rapporto a/d. Le analisi inelastiche condotte sull’edificio campione ed in particolare le curve di capacità dei vari telai hanno evidenziato risposte poco efficaci nei riguardi delle azioni orizzontali. In alcuni casi infatti si sono verificate crisi premature di tipo fragile dovute al collasso per taglio di elementi tozzi. Anche nel caso dei telai che hanno evidenziato crisi flessionali i livelli di duttilità attinti sono risultati bassi a causa dello sviluppo di meccanismi di crisi connessi prevalentemente a plasticizzazioni concentrate alle estremità dei pilastri. Tale esito è legato in larga misura alla presenza di tamponature rigide, che oltre a configurare gli elementi tozzi favoriscono lo sviluppo di meccanismi di piano notoriamente poco duttili. A tali problemi, derivanti essenzialmente dalla mancanza di un criterio di progettazione antisismica, se ne sommano altri legati essenzialmente alla quantità di armatura presente negli elementi strutturali ed alla qualità dei materiali, in particolare del calcestruzzo. Quanto sopra osservato è ovviamente riferito all’edifico esaminato, ma non è azzardato ipotizzare che le stesse patologie possano essere attribuite ad altre strutture appartenenti alla stessa tipologia, molto diffusa in Italia negli edifici industriali. Si delinea quindi uno scenario di vulnerabilità importante, meritevole di una valutazione attenta per le implicazioni socioeconomiche ad esso connesse.

RINGRAZIAMENTI Gli autori ringraziano l’Arch. M. Ferrini, responsabile del Servizio Sismico della Regione Toscana, per la preziosa collaborazione fornita nella stesura del presente lavoro.

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Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-21 Aprile 2006

SULLA VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO SISMICO DI EDIFICI ESISTENTI IN C.A. SECONDO LE RECENTI NORMATIVE

C. FAELLA1, D. DE SANTO1, E. MARTINELLI1, E. NIGRO2 1

2

Dipartimento di Ingegneria Civile,Università degli Studi di Salerno Dipartimento di Analisi e Progettazione Strutturale, Università “Federico II” di Napoli

SOMMARIO La presente memoria propone alcune considerazioni sui risultati ottenuti dalla valutazione della vulnerabilità sismica di edifici scolastici realizzati degli anni ’60 e ’70 con struttura in c.a. i quali sono stati oggetto di una indagine preventiva rivolta ad identificare le caratteristiche meccaniche dei materiali impiegati. Per la determinazione della vulnerabilità si è applicata la metodologia di valutazione delle prestazioni sotto sisma basata su analisi statiche non-lineari. I risultati delle analisi sono generalmente influenzati dalle ipotesi e dai modelli adottati per simulare il comportamento non-lineare delle membrature; nell’ambito delle analisi proposte, vengono utilizzati modelli a non-linearità concentrata nei quali sia le rotazioni plastiche che il comportamento elastico delle membrature in c.a., influenzato dal fenomeno della fessurazione, possono essere considerati adottando formulazioni semplici e consolidate. L’esposizione dei risultati delle analisi metterà in luce sia le particolarità del comportamento in funzione delle caratteristiche geometrico-meccaniche della struttura che alcune tendenze generali che si possono osservare in merito alla vulnerabilità sismica della classe di edifici analizzata. ABSTRACT The present paper presents the most relevant results of a wide campaign aimed to assess and quantify the seismic vulnerability of some RC school buildings constructed in Italy between the ’60 and the ’70 whose material properties and structural details have been reproduced as a result of in situ surveys and lab-tests of material samples. Seismic assessment and vulnerability evaluation are basically founded on non-linear pushover analyses carried out on the numerical models constructed for simulate the structural behavior. Numerical results in terms of displacement capacity and, consequently, seismic vulnerability can be usually affected by the hypotheses and the analytical formulations assumed in the model for reproducing the non linear behaviour of structural members. Lumped-plasticity-based models have been utilized in the proposed analyses adopting simple and well-established relationships for describing non-linear behaviour of RC members. Final discussion will be aimed to emphasize both the particular behaviour which characterizes structures of given geometric and mechanical properties and the general trends followed by seismic vulnerability of the considered class of buildings.

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1. INTRODUZIONE La maggior parte degli edifici con struttura portante in c.a. è stata progettata e realizzata in Italia nel trentennio tra gli anni ’50 e ’70, in anni di grande espansione economica e di limitate conoscenze nell’ambito della comunità scientifica internazionale in merito ai principi di una concezione antisismica delle strutture che si è affermata soltanto negli ultimi decenni. Tale mancanza di conoscenze si riflette nell’impostazione della normativa tecnica per le costruzioni che, rispetto alla progettazione antisismica, si è limitata in quegli anni a prescrivere limitazioni nella dimensione o nell’altezza delle strutture e ad assegnare valori limitati di azioni orizzontali equivalenti al sisma da considerare nel calcolo della struttura. Tali normative, già piuttosto semplicistiche e non soddisfacenti alla luce delle attuali conoscenze in materia di comportamento sismico delle strutture e, più in generale, di modelli di quantificazione della sicurezza strutturale, venivano peraltro applicate soltanto in aree piuttosto limitate del territorio nazionale il cui carattere di zona sismica derivava dall’eventualità che terremoti si fossero verificati negli anni precedenti. Per questa ragione ampie aree del territorio nazionale classificate come zone sismiche con pericolosità anche medio-alta non risultavano soggette alle suddette prescrizioni e le strutture che vi venivano realizzate erano generalmente concepite e realizzate considerando soltanto l’azione dei carichi verticali. La qualità non sempre soddisfacente dei materiali utilizzati per la realizzazione di queste strutture ed il possibile degrado delle proprietà meccaniche completano il quadro relativo allo stato della gran parte patrimonio edilizio italiano, generalmente caratterizzato da rilevanti livelli di vulnerabilità sismica. La problematica relativa alla valutazione delle prestazioni sismiche di strutture esistenti, dunque, riveste una notevole importanza per ragioni di carattere socio-economico e, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche in merito alla modellazione strutturale ed alla disponibilità di modelli affidabili per la descrizione del comportamento strutturale degli elementi, può essere affrontata anche alla luce delle indicazioni portate dai più recenti documenti normativi vigenti in campo nazionale (a partire dalla Ordinanza P.C.M. 3274 del 20 marzo 2003 e ss.mm.ii., [1]-[2]) ed europeo (Eurocodice 8, [3]-[4]). Inoltre, in ambito internazionale sono stati sviluppati specifici codici per la valutazione del comportamento di edifici esistenti ([5]) e per il loro rinforzo e adeguamento ([6]). Nella letteratura scientifica vengono proposte diverse metodologie per la modellazione della risposta sismica delle strutture che vanno dalle analisi statiche lineari a quelle dinamiche non-lineari; tuttavia, sebbene siano presenti strumenti di analisi di strutture in c.a. che utilizzano procedure assai raffinate come le analisi dinamiche non-lineari (dal contributo di Kunnath et Al., 1992 [7], al più recente codice OpenSees presentato da Fenves et Al. [8]), la complessità delle strutture esistenti, la conoscenza parziale delle loro caratteristiche geometrico-meccaniche unite all’incertezze sull’input sismico, non giustificano generalmente l’impegno computazionale richiesto da analisi di questo tipo, orientando la scelta verso metodi di analisi caratterizzati da livelli intermedi di complessità come le quelle dinamiche lineari e statiche non-lineari. Alla luce di tali considerazioni, nella presente memoria vengono utilizzate analisi statiche non-lineari (pushover analysis) utilizzate e discusse da diversi autori [9] come metodologia relativamente semplice e sufficientemente significativa per la valutazione del comportamento sismico delle strutture. In particolare, le analisi proposte sono state condotte su modelli a plasticità concentrata costruiti sulla base di proposte simili a quelle riportate in [11] ed adottate in definitiva nella normativa nazionale [2]. I modelli numerici delle strutture sono stati implementati utilizzando il codice SAP2000NL [10] nel quale è possibile pure tener conto dell’influenza dello sforzo normale sulla capacità rotazionale delle membrature. La curva di capacità ottenuta dalle suddette analisi statiche non-lineari può essere utilizzata come punto di partenza per l’applicazione di una serie di metodi semplificati per la

916

valutazione dello spostamento richiesto dal sisma. Alcune di queste procedure sono descritte in maniera comparata in [12] e nel seguito verrà utilizzato il cosiddetto Metodo N2 [13] proposto da Fajfar e recepito sia dall’Eurocodice 8 che dalla citata normativa italiana. Con l’ausilio di tale metodo è possibile valutare lo spostamento richiesto sulla struttura da un sisma di intensità assegnata; il confronto tra tale spostamento richiesto e la corrispondente capacità della struttura considerata consente di stabilire se questa è adeguata sismicamente. Più precisamente, il confronto tra domanda di spostamento e relativa capacità deve essere condotto con riferimento a diversi Stati Limite (Livelli di Performance) definiti in base a definite soglie di danneggiamento ammissibili sulla struttura in corrispondenza di sismi caratterizzati da Livelli di Pericolosità dipendenti anche dalla destinazione d’uso della struttura ed, in particolare, dall’Obiettivo di Performance sismica atteso per la struttura in oggetto. Si tratta cioè di inquadrare il problema della valutazione della verifica sismica elle strutture esistenti nell’ambito di un metodo Multi-Livello come previsto dalla metodologia del Performance-Based Design (PBD) alla cui filosofia sono improntate le più recenti normative. Nel seguito si farà riferimento ai diversi Stati Limite previsti dalla citata normativa nazionale ed ai corrispondenti Livelli di Pericosità sismica che devono essere considerati per ognuno di essi con particolare riferimento agli edifici scolastici. La verifica sismica delle strutture esistente e la ordinaria constatazione del suo mancato soddisfacimento, comporta la necessità di definire parametri che permettono di identificare il “grado di inadeguatezza” della struttura quantificando la distanza rispetto alla condizione limite di soddisfacimento di tale verifica anche al fine di individuare preliminarmente criteri razionali di scelta della tecnica di intervento più conveniente. Con tale obiettivo, nel seguito vengono introdotti due parametri rivolti a quantificare due aspetti della risposta sismica della struttura. Da un lato si definisce un parametro che esprime la distanza tra la capacità di spostamento della struttura con riferimento al raggiungimento di un certo Stato Limite e lo spostamento richiesto su di essa da un sisma di pericolosità commisurata a tale Stato Limite nell’ambito di un fissato Obiettivo di Performance; si può dimostrare che questo parametro è analogo a quello definito dalla normativa nazionale [14] per quantificare il costo dell’intervento di adeguamento sismico e l’entità del contributo statale per la sua realizzazione. D’altro canto si ritiene significativo introdurre un parametro che misuri l’estensione del danno ovvero il numero di elementi dotati di capacità minore della domanda che ad essi compete quando si impone alla struttura un valore dello spostamento pari a quello richiesto. Tale parametro, in particolare, viene definito in forma normalizzata e potrà essere il principale elemento di valutazione della natura dell’intervento di adeguamento sismico, consentendo di poter scegliere tra interventi di aumento della capacità delle membrature della struttura esistente, interventi di riduzione della domanda su di essa ovvero soluzioni combinate. 2. CARATTERIZZAZIONE DEL COMPORTAMENTO NON LINEARE DEGLI ELEMENTI STRUTTURALI La verifica sismica delle strutture esistenti e la valutazione della loro vulnerabilità può essere condotta per mezzo di una metodologia multi-livello assumendo come Stati Limite (ovvero Obiettivi di Performance, nell’accezione che si dà a questa espressione nell’ambito del Performance-Based Design) quelli previsti dall’Eurocodice 8 e dalla Normativa Italiana. Si assumono, dunque, i seguenti Stati Limite:  Stato Limite di Danno Limitato (DL);  Stato Limite di Danno Severo (DS);  Stato Limite di Collasso Incipiente (CO).

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La generica struttura raggiunge uno degli Stati Limite definiti, quando il primo elemento strutturale raggiunge il corrispondente livello di impegno; in particolare, se la struttura viene analizzata con un modello a non-linearità concentrata, la capacità del singolo elemento può essere descritta in termini di rotazioni della corda, ovvero della congiungente il nodo con il punto sull’asta posto alla distanza pari alla lunghezza di taglio LV. In accordo con la Normativa Italiana [2] si assumono le seguenti espressioni per definire i valori di base della capacità rotazionale delle membrature strutturali: - Rotazione al limite di snervamento T y : d bf y · ¸¸  0.13 ˜ I y (1) fc ¹ nella quale si assume il seguente significato per i simboli: Iy curvatura al limite di snervamento dell’armatura; LV lunghezza di taglio assunta per l’elemento; h altezza della sezione trasversale; fc, fy resistenza a compressione del calcestruzzo e a snervamento dell’acciaio, rispettivamente; diametro (medio) delle barre longitudinali. db Rotazione al limite ultimo T u :

Ty

-

Iy

§ LV h  0.0013 ˜ ¨¨1  1.5 ˜ 3 LV ©

ª § 0.5L pl ·º ¸» (2) «T y  I u  I y ˜ L pl ˜ ¨¨1  L V ¸¹¼» © ¬« dove Iu è la curvature ultima valutata in corrispondenza del raggiungimento della deformazioni assiale ultimo Hcu del calcestruzzo e dell’acciaio, mentre la lunghezza della cerniera plastica Lpl può essere valutata come: Tu

1 Je

L pl





0.1 ˜ L V  0.17 ˜ h  0.24 ˜

d bf y fc

.

(3)

Le espressioni delle rotazioni introdotte sopra possono essere utilizzate anche per definire i valori in corrispondenza dei quali si ritiene raggiunto il generico stato limite SL. In particolare, si assumono le seguenti definizioni per i valori di rotazione che corrispondono al raggiungimento dei tre Stati Limite elencati sopra: - la rotazione al limite DL coincide con quella al limite di snervamento: T DL T y (4) -

-

la rotazione per lo Stato Limite di Danno Severo si ottiene dalla seguente relazione: 3 T DS ˜ Tu (5) 4 la rotazione per lo Stato Limite di Collasso Incipiente coincide con quella ultima: T NC

Tu

(6)

Ai valori di rotazione definiti dalle formule (1) e (2) devono essere associati il momento al limite di snervamento My ed il momento ultimo Mu, rispettivamente, che caratterizzano la sezione della membratura considerata. In questo modo è possibile definire una curva Momento-Rotazione bilineare per la cerniera plastica definita sul generico elemento strutturale. I valori di tali momenti e rotazioni dipendono in generale anche dallo sforzo normale N cui è sottoposta la membratura strutturale; tramite le relazioni (4)-(6) essa influenza anche il valore delle rotazioni in corrispondenza dei vari stati limite di interesse per la verifica della struttura.

918

Ad ognuno dei tre stati limite introdotti sopra viene associato dalla normativa ([2] e [4]) un sisma di progetto di periodo di ritorno variabile; per terremoti frequenti (probabilità di accadimento del 50% in 50 anni) si deve verificare lo Stato Limite DL, mentre agli altri due stati limite sono associati terremoti con probabilità del 10% e del 2% in 50 anni, rispettivamente. Infine, i valori dei momenti e delle curvature assunti per la descrizione devono essere determinati con riferimento a valori significativi della resistenza dei materiali ed a corrispondenti relazioni costitutive che ne descrivano il comportamento. Particolare interesse deve essere rivolto alla definizione del valore ultimo della deformazione del calcestruzzo che è necessario per determinare la curvatura ultima Iu: H cu

0.004  0.5

0.5 ˜ D n D s U s f y f cc

.

(7)

dove fcc rappresenta il valore della resistenza a compressione del calcestruzzo, mentre gli altri parametri dipendono dalle staffe, dal loro passo e dalla forma della membratura strutturale. Per la definizione di tali parametri si rimanda al citato documento normativo [2]. 3. PARAMETRI INDICATIVI DELLA PRESTAZIONE SISMICA DELLE STRUTTURE

La costruzione della Curva di Capacità ottenuta tramite una analisi statica non-lineare condotta sul modello a plasticità concentrata con cerniere plastiche descritte dalle relazioni riportate nel paragrafo precedente rappresenta il punto di partenza per la determinazione dello spostamento richiesto sulla struttura da un sisma di assegnate caratteristiche (ovvero descritto da un opportuno Spettro di Risposta Elastico di Progetto). Il Metodo N2 [13] può essere utilizzato per la determinazione dello spostamento richiesto sulla struttura 'd,SL in corrispondenza del sisma previsto per lo stato limite SL considerato. La verifica di vulnerabilità sismica si sostanzia nel confronto di tale valore con il corrispondente valore della capacità di spostamento 'c,SL che caratterizza la struttura allo stesso stato limite (Figura 1). Se risulta ' d,SL d ' c,SL SL , (8) allora la verifica sismica della struttura esistente in oggetto può ritenersi soddisfatta. Nel caso generale questa eventualità non si verifica e risulta utile definire alcuni parametri che esprimano il grado di inadeguatezza della struttura e diano una idea preliminare del tipo di deficienza che ne pregiudica la prestazione sotto sisma. 1000 900

Bilineare

V*/m* [cm/s2] Sa

800

Spettro elastico limite

700

Spettro inelastico

600

Punto di performance

500 400 300 200 100 0

0,0 10,0 20,0 25,0 ǻ5,0 Sd 15,0 c,SL ǻd,SL ' [cm] Figura 1. Rappresentazione grafica per la determinazione della Domanda in termini di spostamento

Un primo possibile Parametro di Vulnerabilità VDSP, volto ad esprimere la “distanza” della struttura rispetto alla condizione di soddisfacimento della verifica di vulnerabilità sismica, può essere definito come rapporto tra domanda e capacità in termini di spostamento per il generico stato limite SL:

919

VDSP,SL

' d,SL ' c,SL

(9)

ed estraendone il valore massimo: VDSP

max^VDSP ,SL ` . SL

(10)

È chiaro che la struttura è tanto più lontana dalla condizione di soddisfacimento della verifica quanto più il parametro VDSP risulta maggiore dell’unità. Si osserva che tale parametro qui definito in termini di spostamento risulta analogo al parametro D definito dalla normativa nazionale [14] nel documento in cui essa quantifica il costo dell’intervento di adeguamento sismico di una struttura e la percentuale di tale costo finanziabile dallo stato in ragione del livello di inadeguatezza della struttura in oggetto. In particolare, il citato documento normativo introduce i due parametri Du ed De: Du

­ PGA DS PGA CO ½ min® ; ¾ ¯ PGA10% PGA 2% ¿

(11)

indicatore del rischio di collasso e De

PGA DL PGA 50%

(12)

indicatore del rischio di inagibilità dell’opera. I simboli riportati nelle equazioni (11) e (12) hanno il seguente significato: - PGACO accelerazione stimata di collasso della struttura; - PGADS accelerazione stimata di danno severo; - PGADL accelerazione stimata di danno lieve. - PGA2% accelerazione al suolo attesa con probabilità 2% in 50 anni (SL CO); - PGA10% accelerazione al suolo attesa con probabilità 10% in 50 anni (SL DS); - PGA50% accelerazione al suolo attesa con probabilità 50% in 50 anni (SL DL). È possibile dimostrare che il parametro D è pari al reciproco del parametro di vulnerabilità VDSP con riferimento ad un fissato stato limite nel caso di strutture il cui periodo fondamentale di vibrazione ricade nel ramo a pseudo-velocità costante dello Spettro Elastico. L’adozione di un parametro di vulnerabilità definito in termini di spostamento risulta coerente con l’esigenza di definire metodologie di intervento per l’adeguamento di strutture per le quali l’incremento di capacità richiesto è direttamente collegato al parametro di vulnerabilità in termini di spostamento VDSP. Sempre nel caso in cui la struttura non sia verificata sismicamente, o, in altre parole, non sia soddisfatta la (8), ha senso definire un ulteriore parametro dal quale possa derivare una “misura” dell’estensione del danneggiamento indotto dal terremoto previsto per il generico stato limite SL, ovvero il numero di elementi che hanno superato la soglia di forza o spostamento in corrispondenza di uno spostamento 'd,SL imposto alla struttura. Poiché la modellazione strutturale, come accennato in precedenza, viene condotta secondo un approccio a non-linearità concentrata, è possibile definire con nSL il numero di cerniere plastiche che in tali condizioni, hanno superato il valore della rotazione TSL. Se ntot è il numero di cerniere plastiche considerate sul modello può essere definito il seguente parametro di danneggiamento normalizzato: n SL KSL (13) n tot In linea di principio, il parametro può variare tra 0 ed 1, a seconda che il danneggiamento (ovvero le membrature non verificate) riguardi solo poche sezioni o sia esteso a varie parti della struttura. Il valore di questo parametro (che in realtà dovrebbe tener conto nel calcolo di nSL dei risultati di analisi condotte con azioni di segno alterno e distribuzione variabile

920

secondo le prescrizioni di normativa) può orientare la scelta dell’intervento di adeguamento sismico della struttura: nei casi in cui K risulti vicino allo zero, un numero limitato di interventi localizzati di rinforzo delle membrature non verificate può essere risolutivo, mentre nel caso di Kpiù vicino all’unità è opportuno ricorrere ad interventi di tipo globale che riguardino l’inserimento di sottostrutture di controvento (ad es. pareti in c.a. o elementi reticolari in acciaio). 4. APPLICAZIONI Le metodologie formulate per la valutazione della vulnerabilità sismica delle strutture esistenti vengono applicate nel prosieguo ad una serie di edifici scolastici con struttura portante in c.a., ubicati in Campania. 4.1. Tipologie strutturali e caratteristiche dei materiali riscontrate in opera Gli edifici oggetto dell’indagine sono stati realizzati prevalentemente tra gli anni ‘50 e ’70 in ossequio alle normative vigenti all’epoca [15] [16] e, dunque, in assenza di specifiche prescrizioni antisismiche, come si è desunto dai criteri progettuali adottati dai progettisti, per gli elementi strutturali principali (solai, travi, pilastri). I carichi sulle travi sono generalmente determinati considerando la continuità dei solai; il progetto e la verifica di resistenza delle sezioni è stata condotta in maniera analoga al caso dei solai. Si è osservato spesso che le armature a taglio delle travi sono caratterizzate dall’utilizzo di ferri sagomati che integrano le staffe nella zona di estremità, giustificando l’adozione di diametri piccoli (I6 mm) per queste ultime. Le sezioni dei pilastri sono progettate a sforzo normale centrato, determinato col criterio delle aree d’influenza o dallo scarico delle travi e con riferimento alla tensione ammissibile ridotta pari al 70% della tensione ammissibile di progetto per presso flessione. Le armature dei pilastri sono dimensionate sulla base dei minimi normativi previsti dalle normative dell’epoca ([15], [17])in funzione delle dimensioni della sezione trasversale. Poiché le strutture in oggetto sono state progettate con esclusivo riferimento ai carichi verticali, si osserva in generale la presenza delle travi disposte solo ortogonalmente all’orditura dei solai e sul perimetro. Mancano in definitiva le travi interne di collegamento tra i pilastri paralleli all’orditura dei solai, quindi la carenza di strutture intelaiate sismoresistenti in una delle due direzioni principali. Quanto ai materiali, per ciascun edificio è stato disposto un programma di indagini articolato come segue:  prelievo campioni di calcestruzzo (carotaggi) e relative prove di rottura a compressione;  prove ultrasoniche nei siti dei carotaggi e sui campioni di calcestruzzo prelevati;  prove ultrasoniche sul calcestruzzo eseguite in altri siti;  prove di carbonatazione sulle carote prelevate;  prove di pull-out nel calcestruzzo;  prelievo di campioni di armatura e relative prove di trazione;  determinazione del grado di corrosione sui campioni di armatura prelevati;  misure pacometriche e saggi diretti per la individuazione dei ferri di armatura;  prove di carico su solai;  indagine per il rilievo delle fondazioni esistenti, costituita da prospezioni georadar e saggi diretti;  sondaggi geognostici per la stratigrafia e la caratterizzazione meccanica dei terreni. In linea generale, l’estensione del rilievo strutturale ed il numero di prove eseguito su materiali e strutture ha avuto l’obiettivo di raggiungere sempre almeno il Livello di

921

Conoscenza Adeguata (LC2), ed in molti casi il Livello di Conoscenza Accurata (LC3) (cfr. Tabella 1). CORPO Princip. Palestra S. M. "Dante Alighieri" S. M. e A.N. "Via Morelli e Silvati" Unico A,B,C,D,E Palestra S. M. "S. Tommaso" S. E. e M. "Borgo Ferrovia" A,C,P S. M. e A.N. "Rione Mazzini" Unico S. E. "Via Roma" A,B,C Princip. S. E. "S. Tommaso" Palestra I e II piano III e IV piano Palestra S. M. "Via F. Tedesco" SCUOLA

Calcestruzzo fcar,med Rc,med 16.6 20.8 25.9 32.4 17.4 21.8 18.7 23.7 29.9 37.4 17.2 21.5 18.2 23.5 15.3 19.7 18 22.3 23.9 30.5 35.2 43.7 16.6 20.8 14.2 17.8

Rc,min 15.9 25.3 16.6 16.4 26.9 15.8 18.1 14.3 16.3 27.1 29.4 19.6 12.9

Rck 17 28 18 20 25 18 20 16 18.5 27 32.9 17.3 14.3

Tipo FeB 22k FeB 22k AQ/70 FeB 32k FeB 38k AQ/42 FeB 38k FeB 32k AQ/42 AQ/52 FeB 32k FeB 32k FeB 32k

fy,med 223 232 489 497 477 280 415 455 296 362 382 382 377

Livello Conoscenza Acciaio fyk ft,med ft,med/fy,med LC 220 336 1.51 LC3 220 335 1.44 LC3 450 717 1.47 LC3 cls LC2 acciaio 320 767 1.54 LC3 380 722 1.51 LC3 280 420 1.50 LC3 380 472 1.14 LC3 320 658 1.45 LC3 cls LC2 acciaio 280 435 1.47 LC2 350 543 1.50 LC2 320 554 1.45 LC2 320 554 1.45 LC2 320 567 1.50 LC2

Tabella 1. Caratteristiche meccaniche dei materiali e Livelli di Conoscenza

L’interpretazione delle prove effettuate conduce a valori della resistenza cubica caratteristica del calcestruzzo Rck compresi nell’intervallo 16y 25 N/mm2. In alcuni casi la resistenza misurata risulta inferiore al valore adottato dai progettisti, che per le strutture degli anni 1950-70 è generalmente compresa tra 20 e 25 N/mm2. Si osserva che lo scarto tra il valore di progetto ed il valore reale della resistenza è parzialmente recuperabile con la riduzione dei fattori parziali di sicurezza per le verifiche allo s.l.u., operazione legittima se il numero di prove effettuate consente di ridurre parte dell’incertezza sulle caratteristiche meccaniche del calcestruzzo, pervenendo dunque al Livello di Conoscenza Accurata (LC3). Nella Tabella 1 sono riportate anche le proprietà meccaniche degli acciai utilizzati per le barre di armatura. I tipi di acciaio utilizzati negli edifici esaminati variano in funzione dell’epoca di costruzione, passando dalle barre lisce a barre ad aderenza migliorata. Nell’ambito delle barre lisce (prevalentemente nelle costruzioni tra il 1950 ed i primissimi anni ’70) si rileva l’utilizzo dei vari tipi di acciaio disponibili, quali ad esempio FeB22k, FeB32k, AQ/42, AQ/52, AQ/70.

Figura 2. Valori della deformazione ultima delle membrature delle strutture esaminate

La Figura 2 mostra i valori medi della deformazione ultima Hcu adottati per il calcolo delle varie strutture considerate, differenziando i valori relativi alle travi da quelli che corrispondono alle travi. Il valore della deformazione ultima risente dell’effetto di confinamento offerto dalla sia pur debole armatura trasversale; tale effetto è quantitativamente rilevante soprattutto nelle sezioni caratterizzate da rapporto base/altezza vicino all’unità e comporta un aumento di Hcu rispetto al valore rispetto al valore di 0.0035 usualmente utilizzato nelle verifiche di resistenza 4.2. Discussione di alcuni casi significativi Le analisi statiche non lineari sono state condotte, secondo le modalità prescritte nell’Ordinanza 3431/05 [2] considerando due distribuzioni di forze orizzontali (una

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distribuzione affine alla prima forma modale, ed una proporzionale alle masse) per ciascuna direzione principale e per ciascun verso. Da ognuna di queste analisi sono stati determinati i valori dello spostamento 'c,SL per i tre Stati Limite di cui si è detto nei paragrafi precedenti; con riferimento alle stesse curve di capacità e tramite l’ausilio del citato Metodo N2, sono stati valutati pure lo spostamento richiesto 'd,SL in corrispondenza degli stessi stati limite. E’ stato possibile, dunque, valutare tutti i parametri di vulnerabilità definiti nel paragrafo 3. La Figura 3 mostra il confronto tra i valori desunti per il parametro VDSP,SL determinati sulla base di analisi di spinta condotte assumendo una distribuzione delle forze orizzontali affine al primo modo delle strutture (asse X) o proporzionale alle masse (asse Y): per la categoria di strutture considerate non si osserva una chiara tendenza nel rapporto tra i due parametri, sebbene emerga che quelli derivanti da analisi condotte sotto azioni orizzontali proporzionali al primo modo siano generalmente maggiori di quelli ottenuti sotto forze proporzionali alle masse. Parametro di Vulnerabilità Vdsp SL DS

Parametro di Vulnerabilità Vdsp SL DL 4

Distribuzione di forze affine alle masse

Distribuzione di forze affine alle masse

4

3

2

1

3

2

1

0

0 0

1

2

3

0

4

1

2

3

4

Distribuzione di forze affine alla prima forma modale

Distribuzione di forze affine alla prima forma modale

a) Stato Limite di DL b) Stato Limite di DS Figura 3. Parametro di Vulnerabilità Vdsp con riferimento alle due distribuzioni di forze adottate

Rispetto alle due direzioni principali di spinta, per ciascun edificio, si verifica che le Curve di Capacità risultano spesso molto diverse, sia in termini di tagliante che di spostamento limite, conducendo a valori di vulnerabilità molto diversi per le due direzioni principali dell’edificio (Figura 4). Un tale comportamento è da ascrivere alla organizzazione tridimensionale degli edifici dettata essenzialmente dal fatto che le strutture in oggetto dovessero assolvere alla funzione di resistere solo ai carichi gravitazionali. La presenza, quindi, di telai diretti prevalentemente in una delle due direzioni principali conferisce alla struttura una resistenza e rigidezza più elevata di quella che si osserva nella direzione perpendicolare, dove, di contro, la deformabilità risulta maggiore, quindi gli spostamenti limite sono più elevati. La Figura 4 mostra questa differenza che spesso caratterizza le due direzioni principali della struttura in termini di parametro di vulnerabilità VDSP,SL definito dalla (9). In particolare per alcuni edifici, (Dante Alighieri, Borgo Ferrovia corpo C, S. Tommaso corpo C, F. Tedesco corpo B, Rione Mazzini) l’elevata deformabilità porta a valori della vulnerabilità maggiore allo Stato Limite DL rispetto a quelli riscontrati per gli Stati Limite successivi. Nelle successive figure (Figura 5) il parametro di vulnerabilità Vdsp,SL, viene correlato allo sforzo normale adimensionalizzato Qmed, medio tra i npil pilastri del piano terra di ogni struttura, dove lo sforzo normale Ni è valutato con riferimento alla combinazione di carico assunta originariamente nel progetto ed ottenuta, dunque, sommando i valori caratteristici dei carichi permanenti e dei sovraccarichi variabili:

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Ȟ med

n pil

1 n pil

˜ ¦ Ȟi i 1

1 n pil

n pil

Ni . b ˜ h i ˜ f ' cd 1 i

˜¦ i

(14)

Parame tro di Vulne rabilità Vdsp 5.0 4.5 4.0 3.5

V dsp

3.0 DL

2.5

DS 2.0

CO

1.5 1.0 0.5 0.0 dir X dir Y dir X dir Y dir X dir Y dir X dir Y dir X dir Y dir X dir Y dir X dir Y dir X dir Y dir X dir Y dir X dir Y "Dante Alighieri"

"Borgo Ferrovia" corp o A

"Borgo Ferrovia" corp o C

"S. Tommaso" corp o A

"S Tommaso" corp o C

"S Tommaso" corp o D

"Francesco Tedesco" corp o A

"Francesco T edesco" corp o B

Elem "S Tommaso"

"Rione M azzini"

Figura 4. Istogrammi riassuntivi della vulnerabilità riscontrata per le strutture esaminate

La Figura 5 pur mostrando che non esiste nessuna correlazione quantitativamente significativa tra il parametro VDSP,SL ed Qmed, mostra che , tendenzialmente, a strutture con pilastri soggetti ad tensioni normali maggiori corrispondono valori maggiori della vulnerabilità. 4,00

4,00

3,50

3,50 3,00

223

2,50

280

2,00

320 1,50

Vsdp,DS

Vsdp,DL

3,00

382

1,00

280

2,00

320 1,50

382

1,00

415

0,50 0,00 0,00

223

2,50

415

0,50

0,10

0,20

0,30

0,40

0,50

0,60

0,00 0,00

0,70

Q  m ed (G+Q, f'cd)

0,10

0,20

0,30

0,40

0,50

0,60

0,70

Q  m ed (G+Q, f'cd)

a) Stato Limite di DL b) Stato Limite di DS Figura 5. Correlazione tra il parametro di Vulnerabilità VDSP,SL e lo sforzo normale adimensionalizzato Qmed.

La Figura 5a si riferisce allo Stato Limite DL, mentre la Figura 5b riguarda lo Stato Limite DS. In entrambi i casi si riscontra questa tendenza ed, inoltre, si osserva come alle strutture realizzate con acciai di più alta tensione di snervamento fy,med corrispondono valori più bassi di VDSP,SL. Sulla base dei criteri di progetto assunti per le strutture, il valore di fy,med influenza indirettamente il rapporto tra le resistenze flessionali di travi e colonne; infatti, mentre le prime sono progettate per avere una certa resistenza flessionale commisurata alle sollecitazioni derivanti dai carichi verticali, le seconde sono armate in ragione percentuale rispetto alle loro dimensioni trasversali o, indirettamente, rispetto all’azione normale. Per

924

questa ragione due strutture identiche, armate con acciaio con diversa tensione di snervamento finiscono per avere valori diversi dei rapporti di resistenza tra trave e pilastro, con riflessi non solo sulla resistenza del singolo elemento, ma anche sul possibile meccanismo di crisi. Quanto al parametro KSL, la Figura 6 mostra la relazione che esiste tra esso ed il parametro di vulnerabilità VDSP,SL; si osserva che, con riferimento alle strutture considerate nelle analisi, non esiste né una correlazione quantitativamente rilevante tra le due grandezze né una tendenza generale che condizioni la variazione dell’uno al variare dell’altro. Pertanto si conferma l’idea che i due parametri siano indipendenti e rappresentino due aspetti diversi delle carenze che portano la struttura a non soddisfare la verifica sismica. 4.0

3.5

3.5

3.0

3.0

2.5 V dsp,DS

V dsp,DL

2.5 2.0

2.0 1.5

1.5

1.0

1.0

0.5

0.5

0.0

0.0 0

0.02

0.04

0.06

0.08

0.1

0.12

0.14

0.16

0

0.02

0.04

0.06

0.08

0.1

0.12

0.14

0.16

K DS

K DL

a) Stato Limite di DL b) Stato Limite di DS Figura 6. Rappresentazione comparata dei parametri VDSP,SL e KSL

La Figura 6a,b, riferita ai due Stati Limite DL e DS, riportano alcuni punti caratterizzati da valori simili di VDSP,SL e da valori assai variabili del corrispondente KSL. A parità del primo dei due parametri ed all’aumentare del secondo, un intervento di adeguamento sismico fondato sull’aumento della capacità locale dei singoli elementi può divenire via via più dispendioso, poiché maggiore è il numero di elementi su cui bisogna intervenire per garantire alla struttura una opportuna capacità di spostamento. Pertanto, su strutture con valori di KSL relativamente elevati, può essere opportuno un intervento di tipo globale per ridurre la domanda in termini di spostamento (tramite controventi metallici o pareti in cemento armato) e/o di forza (isolamento alla base). Di conseguenza, la parametrizzazione dei costi di intervento non può basarsi soltanto su un parametro di vulnerabilità come VDSP,SL (o l’equivalente proposto dalla normativa vigente [14]), ma deve fondarsi anche su un parametro che restituisca una misura del numero di elementi carenti rispetto alla domanda di spostamento dettata dal sisma sulla struttura. 5. CONCLUSIONI La metodologia di valutazione delle prestazioni sotto sisma basata su analisi statiche non lineari, nell’ambito di un metodo di verifica multilivello rappresenta uno dei possibili modi per misurare, attraverso la definizione di parametri di vulnerabilità, l’inadeguatezza di una struttura a sopportare un evento sismico. In linea di principio, sulla base di tali parametri è possibile, dunque, definire una “scala di priorità” per eventuali interventi di adeguamento sismico. Gli edifici oggetto d’indagine sono caratterizzati quasi sempre da un differente comportamento sismico nelle due direzioni principali esibendo valori minori della vulnerabilità sismica nella direzione in cui sono presenti anche i telai di spina. L’irregolarità strutturale è spesso evidenziata da differenti valori in termini di vulnerabilità per ciascun verso di spinta in una direzione. Inoltre, per la quasi totalità delle strutture si sono riscontrati modalità di crisi poco dissipative (incipienti meccanismi di piano) caratterizzate dal raggiungimento prematuro dei valori limite delle rotazioni nelle colonne.

925

Tale comportamento è dovuto spesso al notevole impegno dei pilastri testimoniato da valori di Qmed piuttosto elevati anche per condizioni statiche: i valori più elevati di vulnerabilità sismica sono stati determinati proprio nei casi di maggiore impegno delle colonne. Nella memoria sono stati definiti due parameri atti a descrivere la performance sismica di strutture non adeguate sismicamente quantificandone sia il grado di inadeguatezza (VDSP) che l’estensione delle parti richiedenti interventi specifici (K). Con riferimento alle strutture considerate, si è mostrato come i due parametri suddetti assumano valori indipendenti facendo riferimento a due aspetti diversi del comportamento strutturale. Per questa ragione si ritiene opportuno che la parametrizzazione del costo di intervento di adeguamento sia condotta con riferimento ad entrambi i parametri e non soltanto al primo come avviene attualmente. Futuri sviluppi della ricerca saranno dedicati proprio a questo aspetto, avendo come obiettivo la determinazione di criteri di scelta degli interventi di adeguamento sulla base di valutazioni economiche e funzionali. BIBLIOGRAFIA [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8]

[9] [10] [11] [12] [13] [14] [15] [16] [17] [18]

Ordinanza n. 3274 della Presidenza del Consiglio dei Ministri “Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e normative tecniche per le costruzioni in zona sismica” pubblicata sul supplemento ordinario 72 alla Gazzetta Ufficiale n° 105 del 8 maggio 2003. O.P.C.M. n. 3431 “Modifiche ed integrazioni all’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 20/03/2003” EuroCode 8: Design of Structures for Earthquake Resistance, - Part 1: General Rules, Seismic Action and Rules for Buildings, Draft no. 6, January 2003; EuroCode 8: Design of Structures for Earthquake Resistance, - Part 3: Strengthening and repair of buildings, Draft no. 3 (Final Project Team – Stage 34), January 2003; BSSC: NEHRP Handbook for the Seismic Evaluation of Buildings, Report FEMA 178, Building Seismic Safety Council, Washington D.C., (1995); FEMA 356: Prestandard and Commentary for the Seismic Rehabilitation of Buildings, Federal Emergency Management Agency, Washington D.C. (2000); Kunnath S.K., Reinhorn A.M., Abel J.F.: A computational tool for evaluation of seismic performance of reinforced concrete buildings, Computer and Structures, vol. 41, n°1, (1992); Fenves G., McKenna F., Scott M.H., Takahashi Y.: An Object-Oriented Software Environment for Collaborative Network Simulation, 13th World Conference on Earthquake Engineering, Paper 1492, 1-6 Agosto 2004, Vancouver, B.C. (Canada), (2004); Krawinkler H., Seneviratna G.: Pros and cons of a pushover analysis for seismic perfomance, Engineering Structures, Vol. 20, pp. 452-464, (1998); SAP2000 NonLinear, Structural Analysis Program – Manual – Computer and Structures, Inc. (2005); fib: Seismic Assessment and Retrofit of Reinforced Concrete Buildings, State of art report prepared by Task Group 7.1, (2003); fib: Displacement-based Seismic Design of Reinforced Concrete Buildings, State of art report prepared by Task Group 7.2, (2003); Fajfar P.: Capacity Spectrum Method Based on Inelastic Demand Spectra, Proceedings of the 12th European Conference on Earthquake Engineering, Paper 843, London, (2002); O.P.C.M. n. 3362 Modalità di attivazione del fondo per interventi straordinari finalizzati alla riduzione del rischio sismico del 08/07/2004, Gazzetta Ufficiale n° 165 16/07/2004. Regio Decreto 16/11/1939 n. 2229, Norme per la esecuzione delle opere in conglomerato cementizio semplice ed armato; Legge 5/11/1971 n. 1086, Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato, normale e precompresso ed a struttura metallica; D.M. 30/05/1972, Norme Tecniche alle quali devono uniformarsi le costruzioni in conglomerato cementizio, normale e precompresso, ed a struttura metallica; Faella C., De Santo D., Martinelli E., Candela M., Nigro E.: Indagini Conoscitive su alcuni edifici scolastici con strutture portante in c.a. per la valutazione della vulnerabilità sismica, Atti del 15° Congresso C.T.E., Bari, 4-5-6 novembre 2004.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

LA CUPOLA DELLA CHIESA S. MICHELE DI ALGHERO D. MELONI1 1

Dipartimento di Ingegneria strutturale, Facoltà di Ingegneria, Cagliari (dottorando).

SOMMARIO La chiesa S. Michele riveste un ruolo di primo piano nella vita sociale e culturale della città di Alghero ed è un prestigioso esempio del suo patrimonio architettonico e monumentale. Recenti lavori di restauro hanno rivelato un quadro fessurativo profondo e complesso a carico delle strutture di tamburo e cupola. Lo studio statico-strutturale che viene qui presentato è stato condotto tramite prove in situ parzialmente distruttive e non, consistenti in microcarotaggi, sondaggi, endoscopie e prove soniche, completate poi in laboratorio da prove chimico-fisiche sui campioni prelevati e da un rilievo dettagliato del quadro fessurativo. Le risultanze sperimentali e l’interpretazione del quadro fessurativo, hanno portato alla formulazione di una diagnosi confortata sia dalla modellazione numerica FEM, sia dal calcolo a rottura basato sui principi dell’analisi plastica delle murature. Dalla diagnosi è scaturita una proposta di consolidamento principalmente basata sulla predisposizione di cerchiature in fibra di carbonio. ABSTRACT S. Michele’s church has a main role in social and cultural life of city of Alghero and it’s a noteworthy example of its architectural and monumental heritage. Recent works of restoration have revealed a deep and complex cracking state involving the structures of the drum and the cupola. The structural study here presented has been carried out by means of “in situ” partially destructive and non-destructive tests, consisting of drilled micro-cores, surveys, endoscopies and sonic tests, completed with laboratory analysis of specimens and by means of a detailed survey on cracking state. The experimental results and examinations of the cracking state led to a diagnosis validated both by numerical FEM modelling and by failure analysis based on principles of plastic analysis of masonry. From the diagnosis stemmed a proposal of intervention primarily based on the application of hoops made of carbon fiber sheets.

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1. INTRODUZIONE La Chiesa di S. Michele, nel centro storico di Alghero, riveste un ruolo di primo piano nella vita sociale e culturale della comunità cittadina, oltre ad essere un prestigioso esempio del suo patrimonio architettonico-monumentale. L’impianto è a croce latina, col presbiterio rivolto con precisione ad Est. All’intersezione del transetto e dell’unica navata quattro arconi sorreggono il sistema tamburo-cupola, concluso in sommità dalla lanterna. Tra le peculiarità dell’impianto architettonico si nota la diversità nelle luci degli arconi, per la quale le sezioni del tamburo e della cupola risultano sensibilmente allungati nella direzione dell’asse N-S, e un’anomala rotazione di questi ultimi in senso orario attorno all’asse verticale, quasi per effetto di una torsione. L’estradosso della cupola è regolarizzato e appare come un ellissoide sul quale è steso un manto policromo di tegole smaltate. Le notizie storiche a nostra disposizione sono insufficienti, ma è probabile che la posa della prima pietra sia avvenuta attorno al 1670 sotto la direzione dell’architetto Spotorno. Dei fatti intercorsi nei tre secoli successivi non si ha notizia, fino alla metà del ‘900, in cui fu effettuato un radicale intervento di “restyling” architettonico su progetto di Antonio Simon Mossa, cui si devono i rivestimenti attuali di cupola e tamburo. Recenti lavori di restauro hanno svelato, con la totale rimozione degli intonaci e l’allestimento dei ponteggi, un quadro di dissesto più grave delle previsioni a carico della struttura muraria di tamburo e cupola, che hanno motivato il presente studio.

Figure 1 e 2. Viste della Chiesa S. Michele

2. STRUTTURA MURARIA Particolare attenzione è stata rivolta all’esame dei caratteri costruttivi della struttura muraria giudicando che abbiano un’incidenza primaria sul comportamento statico e in particolare sulla risposta deformativa della stessa. L’apparecchio murario della cupola e del tamburo si presenta variegato e caotico in termini di tessitura, ma è quasi totalmente costituito da un’arenaria calcarea dal colore giallo-

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grigiastro denominato localmente massacà, particolarmente facile da lavorare e utilizzato nella quasi totalità delle costruzioni del centro storico. Le strutture di fabbrica esaminate sono costituite sostanzialmente da tre diversi tipi di apparecchio murario: - Muratura in pietra concia con elementi selezionati, presenti nei sottarchi, nella trabeazione e nelle cornici, con sbalzi fino a 50 cm, spesso lavorati in modo da ricavarvi le modanature. - Muratura di tamponamento con scaglie di pietrame vario allettato con abbondante uso di malta, riscontrata nei parapetti delle finestre del tamburo. Qui l’analisi attenta ha svelato la presenza di strati di intonaco al di sotto della muratura che riquadrano una un vano ben più ampio, evidentemente parzialmente occluso in epoca non nota. - Muratura in concrezione gettata su casseforme, che caratterizza la cupola I sottarchi sono realizzati con un unico corso di elementi sagomati dello spessore di 30 cm, disposti secondo una direttrice policentrica e ornati da fregi, il raccordo tra questi avviene tramite pennacchi sferici e il carico viene quindi trasmesso a quattro pilastri dalla sezione quadrata di 142 cm di lato. Le pareti del tamburo hanno uno spessore di 70÷75 cm, al netto dei rivestimenti. La struttura è concepita con elementi d’angolo e specchiature di tamponamento che ospitano le finestre, senza ammorsamento mutuo e pertanto con funzionamento del tutto indipendente, contrariamente a quanto sarebbe suggerito dalle regole di buona esecuzione. Le finestre sono sovrastate da piattabande in pietra concia. Nella cupola il getto della muratura, scarsamente coeso, è unico senza infrapposizione di costolature. È stato complesso valutare l’entità dello spessore strutturale scorporato del massetto e degli strati di riempimento. Si è ritenuto di assumere uno spessore medio resistente di 45 cm, considerando non strutturale il restante, sebbene non si escluda che lo stesso manto di tegole e l’allettamento in malta cementizia molto dura, possano offrire un contributo irrigidente non trascurabile.

Figure 3 e 4. Vista esterna del tamburo e particolare del cantonale

3. CAMPAGNA DI INDAGINE L’asportazione di intonaci, rivestimenti e parte delle stuccature ha consentito di prendere visione diretta dell’apparecchio murario e del dissesto che lo interessa. Ciò che è emerso sin dalle prime analisi è la scarsa qualità del lapideo, di aspetto poco compatto, consistenza

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tenera e tendente allo sfarinamento. Rilevante è la difficoltà di distinguere una vera e propria tessitura e la mancanza frequente di ammorsamenti. È stato realizzato in questa fase un dettagliato rilievo del quadro fessurativo. Si è predisposta l’estrazione di campioni cilindrici di piccolo diametro (‡ 30÷50 mm) nelle zone più rappresentative della cupola e del tamburo, mediante carotatore a rotazione, al fine di analizzare la stratigrafia muraria mediante endoscopio o l’esame diretto della carota, nonché prelevare campioni da destinarsi alle prove di laboratorio. Per l’endoscopia è stato utilizzato un endoscopio rigido a “luce fredda” ad illuminazione trasmessa mediante fibre ottiche e campo visivo di 360°, introdotto in fori appositamente realizzati, di diametro pari a 20÷50 mm, o in quelli del microcarotaggio. La metodologia sonica si colloca nell’ambito dei controlli non distruttivi capaci di caratterizzare le proprietà elastomeccaniche della muratura. Le indagini si basano sull’osservazione della risposta offerta dal materiale, in termini di velocità apparente di propagazione, allorchè viene attraversato da un impulso sonico generato mediante un apposito martello strumentato e rilevato da un trasduttore ricevente. Considerando che il fenomeno è legato alle caratteristiche fisiche ed meccaniche del materiale attraversato (densità U, modulo elastico dinamico E, modulo di poisson Q), il metodo consente di valutare in termini qualitativi lo stato di conservazione dei materiali esaminati. La tecnica è stata impiegata sulle pareti del tamburo, sui pennacchi sferici e all’intradosso della cupola, laddove possibile “per trasparenza”, diversamente per via indiretta o “per riflessione”. Le mappe di velocità hanno mostrato una notevole variabilità, da attribuirsi alla succitata disomogeneità, nell’apparecchiatura muraria nel tamburo e risultati meno dispersi, ma bassi, nei pennacchi sferici e nella cupola, indice di minore qualità meccanica; non sono state comunque individuate soluzioni di continuità tali da impedire la propagazione degli impulsi sonici. Sui campioni prelevati in situ sono state infine effettuate analisi fisico-chimiche e petrografiche. Il lapideo mostra clasti provenienti da sabbie medie calcaree, probabilmente di origine eolica e a stratificazione incrociata, con ridotta presenza di cemento, cui consegue la scarsa compattezza e la tendenza alla disgregazione per azione meccanica. La malta di allettamento è stata impastata con sabbie della stessa natura dell’arenaria, probabilmente per macinazione della stessa e la presenza di frammenti di laterizio ha suggerito che sia stata idraulicizzata artificialmente.

4. MANIFESTAZIONI DI DISSESTO E LORO INTERPRETAZIONE 4.1. Aspetti generali Nell’analisi si è fatto riferimento alle sole problematiche di tipo statico-strutturale, tralasciando quelle connesse al deterioramento chimico-fisico dei materiali, principalmente legate alle infiltrazioni d’acqua piovana e alla condensa. Si osserverà soltanto che nel corso degli ultimi interventi degli anni ‘50 si è fatto largo uso di malte cementizie, probabilmente con l’intenzione di assicurare la massima protezione al manufatto. In realtà tale scelta col tempo si è rivelata deleteria per il fatto di aver impedito alla muratura una naturale traspirazione, oltre a non aver conseguito il suo obiettivo vista la diffusa fessurazione per l’eccesso di rigidezza, soprattutto a fronte delle deformazioni di origine termica.

4.2. Quadro delle lesioni I fusi del padiglione della cupola si mostrano sconnessi l’uno rispetto all’altro per effetto di

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profonde lesioni, di larghezza superiore al centimetro, che corrono lungo i diedri, fin quasi al coronamento e che l’analisi endoscopica ha svelato essere passanti. Conseguentemente le porzioni hanno preso a lavorare in modo indipendente l’una dall’altra, rimanendo connesse solo in una fascia sommitale a circa 150 cm dall’apice. Ovviamente un quadro fessurativo di tale entità non può che associarsi ad una deformazione complessiva della cupola con aumento del “diametro”, che, data la bassa deformabilità delle murature, ha un’entità che può essere dedotta dall’ampiezza stessa delle lesioni. L’indagine ha messo in luce l’assenza di cerchiature metalliche, sorprendentemente sono stati invece rinvenuti diversi ordini di elementi in ginepro annegati nel getto, la cui utilità statica è però assai discutibile a maggior ragione per lo stato di deterioramento che li investe.

Figure 5 e 6. Lesioni nella cupola e nel tamburo

Allo scenario appena descritto si aggiungono ancora le lesioni verticali nella mezzeria di alcuni dei fusi e quelle in prossimità della quota in cui questi si riconnettono, dirette orizzontalmente, ma di entità più modesta. Il fatto che questo quadro fessurativo non emerga sulla copertura, è un palese indizio del fatto che si sia manifestato in età precedente alla posa del manto di copertura attuale, con probabilità sin dai tempi dell’ultimazione dell’opera. Questo non significa che la struttura non abbia subito in epoca recente ulteriori deformazioni, anzi l’esame della copertura, così come del rivestimento del tamburo, mostra lesioni non trascurabili, talvolta riconducibili a quelle interne. La fessurazione sopra descritta tende a propagarsi nel tamburo sottostante attraverso la cornice di imposta della cupola. Quest’ultima è composta da elementi monolitici in pietra concia che, per effetto degli spostamenti impressi dal dissesto, appaiono in più punti sconnessi e discosti l’uno dall’altro. La distribuzione della trama di fessure è intimamente legata alla tessitura della muratura e alla presenza delle aperture delle finestre, con una generale tendenza a sconfinare all’interno dei settori più piccoli, per effetto sia dell’irregolarità dell’impianto sia della presenza di “vie di minor resistenza”. Anche le piattabande appaiono sconnesse per effetto delle deformazioni che smuovono i conci, tra cui viene meno il debito contrasto.

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Le lesioni sopra descritte tendono infine a confluire nello spazio occupato dai pennacchi, che a loro volta mostrano sintomi di schiacciamento. Gli archi non mostrano cenni di innesco di meccanismi di collasso, essendo assenti le corrispondenti lesioni in chiave, alle reni o alle imposte, ma sono anch’essi affetti da fenomeni di schiacciamento. 4.3. Interpretazione del quadro fessurativo Come noto le strutture in muratura vengono concepite con un certo grado di iperstaticità interna, conseguita con l’ammorsamento delle varie parti dell’apparecchio murario, o come nel caso specifico con la continuità del getto. Allorché lo stato di sforzo non è compatibile con le caratteristiche costitutive della muratura, per l’inadeguatezza dello schema statico originario o per una variazione delle condizioni al contorno (carichi o vincoli), la struttura tende a sviluppare un quadro fessurativo, che può condurre all’innesco di meccanismi di collasso o al raggiungimento di un nuovo stato di equilibrio con minor grado di iperstaticità. Nel caso di una cupola, assimilabile con approssimazione ad una volta elastica di spessore sottile, la risoluzione del problema statico rimane fortemente caratterizzato dalla soluzione membranale, che porge il ben noto stato di sollecitazione in cui le tensioni di trazione, dirette secondo i paralleli, equilibrano la spinta indotta dalle compressioni meridiane in un sistema “autocerchiante” [1]. Questo stato di sollecitazione è ammissibile nel caso di materiale elastico resistente a trazione, ma è incompatibile con le caratteristiche della muratura, che come noto, mal sopporta le tensioni di trazione. A queste pertanto si deve imputare la parzializzazione e la fessurazione verticale che dalle imposte risale verso l’apice, conducendo verso uno schema costituito da spicchi che si contrastano come archi rampanti nella fascia sommitale compressa [2, 3, 4]. Quest’ultima grazie al peso della lanterna svolge un’azione stabilizzante. Tutto ciò avviene con una dilatazione delle dimensioni di base, ovvero con una deformazione che tende a “spanciare” la cupola, spingendo sulle strutture di supporto. Il caso sotto esame si discosta dallo schema generale per lo spessore non propriamente sottile, la mancanza di simmetria assiale della struttura, che come già detto ha i due assi differenti, e per la forma a padiglione. Lo stadio finale fessurato può ancora ammettere l’equilibrio purché le strutture di piedritto siano in condizione di contrastare l’azione di spinta, o per la presenza di provvedimenti in grado di operare una cerchiatura dell’imposta. A parte l’uso di elementi esterni di cerchiatura, elemento essenziale per assicurare l’equilibrio del sistema è la resistenza passiva offerta alla spinta dai muri di piedritto, in questo caso del tamburo, o perché dotati di contrafforti, o per il peso proprio. Nel caso di S. Michele nessuna delle suddette precauzioni è stata adottata nella costruzione della cupola. Nel tamburo la presenza di elementi non ammorsati vicendevolmente, la scarsa qualità della stessa e la già commentata presenza di vani finestrati di dimensione eccessiva, poi in qualche modo “corretta”, hanno favorito il cedimento, laddove sarebbero stati necessari maggiore massa e robustezza. Questo fatto è chiaramente leggibile non solo nell’ampiezza delle lesioni di cupola e tamburo, ma anche nell’apertura dei giunti delle piattabande e delle cornici.

5. MODELLAZIONE MATEMATICA 5.1. Generalità Per suffragare le interpretazioni precedenti si è predisposto una modellazione matematica del

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sistema tamburo-cupola, tramite il metodo degli elementi finiti. Tale metodologia è ormai consolidata in tutti gli ambiti dell’ingegneria strutturale e costituisce uno strumento impareggiabile per la risoluzione dei problemi più complessi, laddove l’approccio analitico classico risulta carente. Purtroppo i codici FEM nascono per la modellazione di manufatti in materiale omogeneo, isotropo ed elastico lineare e benché abbiano subito una costante evoluzione sono ancora limitati nella modellazione di materiali a comportamento elastofragile, in particolare le murature. Gli ostacoli principali sono la mancanza di omogeneità, di isotropia e talvolta di periodicità della tessitura (opus incertum), ma soprattutto il danneggiamento legato principalmente all’esigua resistenza a trazione che induce forti non linearità ed è foriero di difficoltà di natura numerica. A questo si aggiungano le complessità specifiche delle murature storiche e monumentali: difficoltà di definizione esatta delle caratteristiche geometriche dei manufatti, della tessitura e degli ammorsamenti, l’impossibilità di determinare in modo esaustivo le proprietà meccaniche e tutta una serie di aspetti legati per esempio al metodo costruttivo [8,10]. Il caso sotto esame presenta tutte le difficoltà suddette ecco perché i risultati nel seguito illustrati sono stati recepiti esclusivamente nel loro aspetto qualitativo. 5.2. Il modello FEM Il modello ripropone la struttura nelle tre dimensioni attraverso una serie di semplificazioni e regolarizzazioni per facilitarne la costruzione. Le sezioni adottate sono state debitamente epurate degli spessori considerati non strutturali (rivestimenti, decori, intonaci, ecc.). Quanto alle irregolarità dell’impianto, si è scelto di non riprodurre la descritta distorsione che la cupola mostra rispetto all’asse verticale, che a giudicare dalla simmetria del quadro fessurativo risulta di scarso rilievo strutturale, mentre è stata restituita la forma oblunga. Oltre alla consistenza geometrica il modello incorpora i parametri fisici e meccanici caratteristici dei materiali e le ipotesi statiche, necessarie ad effettuare l’analisi strutturale. Si è cercato di riprodurre la complessità costruttiva dell’impianto murario diversificando le proprietà dei materiali del modello secondo le distinzioni già esposte al paragrafo 2. MAT1 rappresenta la muratura a getto di cui è costituita la cupola con riferimento al solo spessore strutturale, stimato in base ai sondaggi effettuati. MAT2 indica il pacchetto di copertura sovrastante la struttura muraria vera e propria, cui è stato attribuito un modulo elastico minimo in modo da escluderne la partecipazione, tenendone in conto il peso. MAT3 si riferisce alla muratura, come quella degli elementi d’angolo del tamburo, caratterizzata dall’uso di pietra concia e una qualità superiore. MAT4 caratterizza la muratura di scarsa qualità, già definita “di tamponamento”, riscontrata nel riquadro delle finestre e nel parapetto delle stesse. Nella tabella 1 sono riportati il peso specifico (U), il modulo elastico (E), il modulo di Poisson (Q) e la resistenza a trazione (ft) dei materiali. Questi valori sono stati definiti con riferimento alle risultanze delle indagini di laboratorio e in situ, soprattutto quelle soniche, alla luce dell’esperienza e della letteratura scientifica di settore. Il modello matematico è in grado di captare la non linearità di risposta della struttura all’applicazione dei carichi, legata alla ridotta resistenza a trazione del materiale. Nello specifico si è adottato per i materiali MAT1, MAT3, MAT4 un modello costitutivo elastico lineare, ma con la possibilità di un danneggiamento simulato con la brutale perdita di rigidezza al superamento della soglia di resistenza a trazione, secondo giaciture ortogonali

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alla direzione delle tensioni principali massime, recependo in sostanza un criterio di rottura alla Rankine. In nessun caso è stata implementata l’eventualità di un collasso per schiacciamento, giudicata meno influente sulla risposta strutturale globale.

Figure 7, 8 e 9. Immagini del modello FEM MAT1 U = 23 KN/m3 E = 7000 N/mm2 Q = 0,15 ft = 0,10 N/mm2

MAT2 U = 20 KN/m3 E = 1,00 N/mm2 Q = 0,15 ft = /

MAT3 U = 24 KN/m3 E = 10000 N/mm2 Q = 0,15 ft = 0,30 N/mm2

MAT4 U = 23 KN/m3 E = 4000 N/mm2 Q = 0,15 ft = 0,10 N/mm2

Tabella 1. Parametri meccanici dei materiali

Si è cercato inoltre di mettere in conto la mancanza di ammorsamento in alcuni punti della muratura, attraverso la semplice sconnessione dei nodi. I carichi presi in considerazione corrispondono ai pesi propri della struttura, di gran lunga prevalenti su eventuali azioni variabili che possano insistere sulla copertura (neve, vento, ecc.). la lanterna non è stata modellata, ma se n’è tenuto in conto il peso, stimato in 4,7 ton, distribuendo sul coronamento

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della cupola un carico verticale equivalente di 47,8 KN/m2. L’intera struttura è stata infine supportata alla base in modo rigido, avendo scelto di non mettere in conto eventuali cedimenti di imposta. 5.3. Analisi dei risultati Nelle figure 10 e 11 si osserva la deformata qualitativa della struttura, amplificata per chiarezza di rappresentazione, che evidenzia la tendenza allo “spanciamento" della cupola ed il correlato effetto di spinta sulle pareti del tamburo. Con i moduli elastici adottati la soluzione porge un valore di spostamento orizzontale di 0,52 cm all’imposta della cupola. Tale valore è registrato nei fusi Est ed Ovest, cui compete una spinta maggiore, per effetto del profilo meno acuto indotto dalla forma oblunga della cupola.

Figure 10 e 11. Deformazioni del modello a seguito dell’analisi non lineare.

Figure 12 e 13. Rappresentazione del quadro fessurativo risultante dall’analisi.

Molto eloquenti sono le figure 12 e 13, in cui sono rappresentate alcune viste del quadro fessurativo captato durante l’analisi, cioè i punti e le giaciture rispetto alle quali sono stati superati i limiti di resistenza a trazione imposti. Confrontando tale rappresentazione col

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quadro fessurativo riscontrabile nella realtà si è riscontrata una forte analogia a conferma dell’ipotesi che i soli carichi permanenti unitamente alle caratteristiche geometrico-strutturali siano sufficienti a determinare un quadro fessurativo molto simile a quello riscontrato nella realtà. È opportuno rilevare che pur essendo presenti dei picchi di oltre 1,6 N/mm2, nella pratica poco rilevanti, la tensione di compressione è mediamente al di sotto dei 0,50 N/mm2, valore senz’altro compatibile con la resistenza di una muratura anche di scarsa qualità. Infine si rileva che l’analisi effettuata restituisce, a carico interamente applicato, una struttura danneggiata ma non nell’imminenza del collasso. 6. CALCOLO A ROTTURA Per valutare il livello di sicurezza teorico della cupola abbiamo operato un calcolo a collasso secondo i fondamenti dell’analisi plastica delle murature, servendoci in particolare del Safety Theorem di Heyman e del concetto di coefficiente di sicurezza geometrico [2, 3, 4]. L’analisi prende le mosse dai presupposti già illustrati sul comportamento statico di volte e cupole, che consente di inquadrarne a priori i meccanismi generali di collasso. La cupola possiede certamente un comportamento tridimensionale di parziale collaborazione tra i fusi, ma nel calcolo, che inquadra lo stato limite ultimo della struttura, supporremo di considerare la condizione di equilibrio di un singolo settore isolato, assimilando il suo comportamento a quello di un arco rampante. Tale impostazione è senza dubbio a vantaggio di sicurezza unitamente alle altre ipotesi alla base del metodo, stabilendo un limite inferiore (lower bound) del coefficiente di sicurezza. Le altre ipotesi sono: resistenza a trazione della muratura nulla; resistenza a compressione infinita; assenza di meccanismi di collasso per scorrimento. Com’è noto l’obiettivo dell’analisi è la ricerca di una linea delle pressioni, ovvero la curva inviluppo delle successive risultanti di compressione, che risulti interna alla sezione trasversale del fuso sotto esame. Viene pertanto costruito il poligono funicolare di un sistema di forze che annovera: i pesi propri dei conci in cui è stato discretizzato il volume, i corrispondenti sovraccarichi dovuti alla sovrastruttura, la quota di peso della lanterna, e la spinta in chiave dovuta al contrasto mutuo (figura 14). Poiché il problema è notoriamente indeterminato, è necessario procedere per iterazioni successive, ipotizzando diversi valori della spinta, finalizzate alla determinazione di una linea delle pressioni che possa essere stesa all’interno dello spessore strutturale della cupola con la minima eccentricità rispetto all’asse. Il tracciamento del poligono funicolare svela la tendenza alla formazione di una cerniera cilindrica estradossale, ad una quota di circa un metro dall’apice, cui deve necessariamente corrispondere una lesione all’intradosso, il che richiama l’attenzione sulle lesioni orizzontali a circa 130÷140 cm dall’apice della cupola, già descritte, che confermano la veridicità del risultato. I valori di spinta corrispondenti sono di 73,86 KN per i fusi Est-Ovest e di 62,30 KN per quelli Nord-Sud. Il fatto che la linea delle pressioni trovata sia interna allo spessore consente di affermare, sulla base del Safety Theorem, che la struttura è di per sé stabile, con un margine di sicurezza che può essere quantificato tramite un coefficiente di sicurezza geometrico, rapporto tra lo spessore reale e quello dell’arco fittizio strettamente sufficiente a contenere la linea delle pressioni. Nel caso dei fusi Nord-Sud tale margine è piuttosto ristretto ed è pari a circa: 0,45/0,38=1,20.

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g P3 P4 P5

P2

P1

Pc H

Pc P1

H

P2 P3 P4

P5

P7

P6

R

P8 P9

P10 sezione 1 P7

P11 sezione 2

P8

P12 sezione 3 sezione 4

P9

sezione 5 sezione 6

P13 P14 P15

Figure 14 e 15. Tracciamento della linea delle pressioni e meccanismo di collasso corrispondente.

La verifica dello stato di sollecitazione nelle sezioni corrispondenti alle cerniere su indicate porge valori di compressione media di 0,50÷0,70 N/mm2, come già era risultato dall’analisi FEM, in genere sopportabile da una muratura di resistenza medio-bassa. Nell’ipotesi di cedimento delle imposte, ampiamente dimostrata anche dalla modellazione FEM, il meccanismo di collasso può essere definito solo coinvolgendo nell’analisi il tamburo; pertanto prolungheremo il poligono funicolare a partire dalla linea delle pressioni precedentemente tracciata, tenendo in debito conto la presenza dei vani finestrati. Come si osserva dalla figura 15, la curva delle pressioni sfiora la superficie esterna del tamburo ad una quota prossima all’arcone d’imposta, delineando il meccanismo indicato di fianco. La cinematica del meccanismo concorda con le risultanze dell’analisi FEM e può giustificare buona parte del quadro fessurativo presente nella struttura, pur nei limiti di incertezze quali quelle legate all’effettiva consistenza geometrica degli elementi del tamburo. Emerge in modo palese il ruolo stabilizzante del peso del tamburo, che ha l’effetto di “verticalizzare” la linea delle pressioni che fuoriesce dall’imposta della volta.

7. PROPOSTA DI INTERVENTO Dalle suddette considerazioni è scaturita una proposta di consolidamento che, tenendo in debito conto i principi informatori degli interventi sui beni culturali e ispirandosi in particolar modo al criterio del minimo intervento, si sviluppa secondo le seguenti linee guida: - Ripristino della compattezza e della coesione dell’impianto murario, elevandone il tenore di resistenza, per mezzo di iniezioni di legante colloidale, compatibile con le caratteristiche della muratura quali emergono dalle indagini di laboratorio, risarcitura delle lesioni e integrazione a cuci e scuci. - Favorire l’utile collaborazione tra gli elementi strutturali privi di ammorsamento per carenza costruttiva o per effetto del quadro fessurativo e assicurare le parti in incipiente distacco, tramite i suddetti interventi e all’occorrenza microchiodature.

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- Contenimento della spinta della cupola e aumento del margine di sicurezza rispetto al meccanismo di collasso illustrato, mettendo in opera adeguati provvedimenti di cerchiatura passiva, introducendo risorse che consentono alla linea delle pressioni di fuoriuscire dai limiti della sezione senza determinarne il collasso. La scelta è ricaduta sui compositi fibrorinforzati nella forma di tessuti mono- o pluri-direzionali in fibre di carbonio, impregnati in situ con specifiche malte idrauliche, con i quali si costituisce una fascia adiacente all’imposta dalle eccezionali caratteristiche di resistenza e rigidezza specifiche, col vantaggio di una sostanziale indifferenza alle escursioni termiche, di non introdurre carichi aggiuntivi, una notevole durabilità e reversibilità..

8. CONCLUSIONI La lettura del quadro fessurativo, coadiuvata dalla campagna di indagine, ha condotto all’interpretazione del dissesto in atto nel complesso tamburo-cupola della Chiesa S. Michele come conseguenza dell’inadeguatezza delle strutture del tamburo, incapaci di far fronte alla spinta esercitata dalla cupola sovrastante. La modellazione FEM, condotta con attenzione alla composizione del tessuto murario e al comportamento non lineare delle murature ha avvallato tale ipotesi rappresentando un quadro fessurativo coincidente con quello in atto e visualizzando il meccanismo predetto. Quest’ultimo è stato ulteriormente verificato col calcolo a rottura che ha inoltre fornito una misura del coefficiente di sicurezza della struttura.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

RICOSTRUZIONE E RESTAURO DELLA CATTEDRALE DI NOTO S. TRINGALI 1, R. DE BENEDICTIS 2 1

Architetto – Libero Professionista, Ispica (RG) 2 Ingegnere – Libero Professionista, Siracusa

Il centro storico di Noto è uno dei maggiori esempi dell’architettura barocca siciliana. La città venne quasi totalmente distrutta dal terremoto del 11 gennaio 1693 che sconvolse la Sicilia Sud-Orientale. Fu riedificata a valle secondo i piani del vicario generale per la ricostruzione, duca Giuseppe Lanza di Camastra, in ciò coadiuvato dall’ingegnere militare fiammingo Carlos Grunemberg. La Chiesa Madre, dedicata a San Nicolò e a San Corrado, fu iniziata nei primi anni del XVIII secolo, e riedificata nel 1776; nel 1844 divenne cattedrale e sede vescovile. Ha un impianto rettangolare a tre navate e cappelle laterali. Il prospetto, a due ordini corinzi, è caratterizzato dalle due torri campanarie laterali e da un largo marcapiano. Il 13 marzo 1996 la cattedrale di Noto vedeva crollare, per un improvviso cedimento di uno dei suoi pilastri, tutta la navata centrale e quella destra, uno dei quattro piloni che sorreggevano la cupola, gran parte della cupola stessa, del tamburo e della copertura dell’ala destra del transetto. Il crollo avveniva quasi sei anni dopo l’ultimo terremoto abbattutosi sul Val di Noto, in un’area da sempre soggetta a forti eventi sismici di lungo periodo di ritorno. Le cause del crollo possono ricondursi al collasso per schiacciamento di uno dei pilastri della navata destra, dovuto alla pessima fattura originaria, cui deve aggiungersi l’effetto di altri interventi eseguiti in passato nella chiesa, quali, ad esempio, la sostituzione sulla navata centrale del tetto in legno con un solaio piano in cemento armato. Per considerando le cause di aggravio sopra citate e le lesioni comparse nei pilastri a seguito del terremoto del dicembre 1990, le dimensioni degli stessi erano tali che una analisi dei carichi alla loro base avrebbe fornito ancora valori lontani da soglie di pericolo. La causa scatenante, come è stato possibile verificare dopo lo sgombero delle macerie, viene addebitata quindi alla pessima qualità del materiale di riempimento dei pilastri, costituito per la maggior parte da grossi ciottoli di fiume, per forma tondi e lisci, caoticamente disposti e legati con malta assai scadente. Tale circostanza non era possibile accertare con le normali indagini non distruttive, ordinariamente condotte sui monumenti di questo tipo. I progettisti incaricati, l’Arch. Salvatore Tringali e l’Ing. Roberto De Benedictis, con il laborioso lavoro di sgombero delle macerie, protrattosi da gennaio ad ottobre del 1997, hanno ottenuto importanti risultati riguardo all’acquisizione dei seguenti elementi, necessari a redigere il progetto di ricostruzione: x dati utili alla comprensione del meccanismo e delle cause del crollo, attraverso la descrizione del tipo e della posizione degli elementi crollati;

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x x

conoscenza dettagliata delle caratteristiche costruttive della chiesa pre-crollo; accurate indagini, in sito e in laboratorio, attraverso prove tecniche sui materiali e sulle strutture, sia nelle porzioni rimaste illese sia su quelle collassate. Dette indagini sono state condotte con il supporto delle più prestigiose Università.

Foto 1: Particolare delle fondazioni dei pilastri. Per aumentare la solidità strutturale in fondazione, i plinti dei singoli pilastri sono stati collegati con archi rovesci.

L’intervento di ricostruzione intende restituire al paesaggio urbano di Noto, oggi profondamente vulnerato, l’icona della Cattedrale, mantenendo nel monumento il suo originario valore espressivo, inscindibilmente legato alla materia ed alla tecnica con cui è realizzato. Per questo motivo, oltre alla “riproposizione delle forme”, uno degli obiettivi primari è stato quello di rileggere la cultura della costruzione muraria (vedi disegno) per declinarla nuovamente con moderna consapevolezza tecnica (vedi foto 2 e 3). L’intervento di ricostruzione parla quindi un linguaggio coerente, non solo formalmente ma anche “meccanicamente” con le parti residue e con la natura originaria della fabbrica. Il senso del progetto è racchiuso dalle prime righe della relazione che accompagna il progetto di ricostruzione. “…La ricostruzione di una chiesa Cattedrale rappresenta il momento di massima aggregazione per una comunità, cristiana e no. Ricostruire una Cattedrale dalle rovine di uno spaventoso crollo è sicuramente intervento di grande “drammaticità” perché esso rappresenta, per la complessità e l’eterogenea valenza simbolica, un atto di continuità con il passato vissuto con i dubbi e le perplessità del presente. Come è facile desumere dalla lettura dei fatti storici che ne hanno caratterizzato la vita, questo edificio sacro ha avuto controverse vicissitudini costruttive sin dal primo impianto, tanto da segnarne profondamente il destino… ”. Il progetto ha mosso così i suoi passi da un’accurata e lunga fase di rilievo tecnologico, materico e strutturale della chiesa crollata. Ogni elemento, ogni concio è stato per questo cercato, studiato e disegnato, ogni parte interrogata. Un percorso a ritroso, se si vuole, verso la riappropriazione di conoscenze che in quell’epoca erano parte integrante del sapere comune di ogni architetto, di ogni capomastro, e

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che oggi – dopo un breve periodo della nostra storia moderna in cui ha frettolosamente tagliato i ponti con il nostro passato – possiamo nuovamente riacquisire solo attraverso uno studio approfondito di quei monumenti.

Foto 2: Spiccato dei pilastri della navata di destra

Foto 3: Ricostruzione dei pilastri in muratura

Si è cercato in definitiva di dare corpo e significato alla richiesta della collettività di ricostruire la chiesa com’era, non in quanto assunzione acritica, né alibi tecnicista, ma quale consapevole proposizione culturale. Strutturalmente, l’intento è stato quello di partire da ciò che già esisteva, individuando o riconoscendo nell’edificio originario quelle intrinseche “risorse” che potessero consentirgli non solo di essere ricostruito ma anche di resistere ad un ulteriore terremoto di notevole intensità. Gli interventi di progetto seguono così la logica di correggere i difetti della struttura, integrarne le qualità ed aggiungervi ciò che ad essa manca. Ma in modo puntuale solo dove è necessario e facendo sì che correzioni e adattamenti non parlino un linguaggio culturalmente e tecnicamente estraneo alla costruzione originaria ma ne costituiscano semmai una coerente evoluzione. La tecnica costruttiva impiegata è quindi integralmente quella muraria ma, come si è detto, con “aggiornamenti” ed accorgimenti che derivano dalle più attuali ricerche sulle strutture e sui materiali. Quasi tutte le parti residue dal crollo sono mantenute ed integrate nella nuova costruzione, ad eccezione dei pilastri della navata sinistra che, pur non crollati, presentavano le stesse pessime caratteristiche costruttive di quelli del lato destro ed erano diffusamente lesionati, perciò non è stato possibile ripararli senza imporre alla chiesa una pregiudizievole dissimmetria strutturale. E’ stato necessario pertanto demolirli e ricostruirli con la stessa tecnica muraria con cui sono rifatti quelli della navata destra. La cupola crollata il 13 marzo 1996 non è quella originaria, e danneggiata dal terremoto del 1848 delle quali nulla o quasi si conosce, ma la terza, ultimata nel 1862, oramai

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storicizzata nella memoria di generazioni da quasi un secolo e mezzo. Ed è questa la cupola venuta a mancare nello sky-line di Noto. La sua ricostruzione, più che la ricostituzione di un monumento, è un atto di restauro urbano, la reintegrazione dell’immagine di una città; per tutta la collettività, la restituzione di un simbolo carico di significati e valori.

Foto 4: Taglio dei pilastri della navata sinistra

Foto 5: Ricostruzione pilastri navata sinistra

Viene ricostruita in pietra, con poche ma importanti correzioni per assicurarne le volute prestazioni di sicurezza sismica. Il moncone residuo sarà smontato poiché la ricostruzione dovrà necessariamente essere realizzata per anelli interi concentrici sovrapposti; in questa fase è impossibile pensare ad un reimpiego generalizzato dei blocchi crollati, in quanto gravemente danneggiati nella caduta. I lavori hanno certamente sofferto, per un lungo periodo iniziale, delle difficoltà incontrate nell’impiantare un cantiere del tutto atipico, nonché nell’avviare a regime interventi inusuali e la cui qualità dipende in modo determinante dall’esperienza e dalla capacità delle maestranze impiegate. Ad oggi, sono stati ricostruiti il pilone e tutti i pilastri della navata destra crollati e le relative opere di fondazione eseguite con plinti in muratura collegati da archi rovesci in muratura armata. Sono stati altresì realizzati tutti i nuovi archi in pietra della navata destra, sia quelli longitudinali fra i pilastri che quelli trasversali fra i pilastri ed il muro esterno. Sono stati ultimati altresì i nuovi cupolini della navata destra (vedi foto n° 6-7). Nella navata sinistra, residuata al crollo, dopo la realizzazione dei castelli metallici che hanno consentito il sostegno provvisorio delle murature del lato sinistro durante la demolizione ed il successivo rifacimento dei relativi pilastri e pilone, si è proceduto successivamente all’importante e difficile operazione di sostituzione, uno per volta, dei pilastri della navata sinistra (vedi foto n° 4 -5).

942

Foto 6: Vista dei cupolini in costruzione della navata destra

Foto 7: La struttura dell’elemento costruttivo in esame è realizzata con una doppia calotta, l’una concentrica all’altra. Tale accorgimento permette a quella esterna di compiere macroscorrimenti e dilatazioni, preservando quella interna.

Foto 8: La costruzione degli archi timpano della navata centrale

Operazione quest’ultima rilevatasi, in seguito agli accertamenti condotti, imprescindibile in un’area ad alto rischio sismico quale è quella del Val di Noto. Tali pilastri, infatti, usciti illesi dal crollo hanno tuttavia accusato dopo il disastro l’insorgenza di un preoccupante quadro fessurativo a causa della stessa scarsa qualità costruttiva che aveva provocato il crollo degli altri pilastri nella navata destra, pertanto l’operazione di ricostruzione con le medesime caratteristiche di quelli delle navate crollati è

943

risultata necessaria, essendo impossibile conservarli senza rischiare un’asimmetria strutturale nella cattedrale e la persistenza di una loro insanabile debolezza costruttiva. Ad oggi inoltre sono stati ricostruiti gli arconi timpano ed il tetto della navata centrale e del transetto, mentre si sta lavorando alla nuova volta in canne e gesso della navata principale, ed alla ricostruzione dei pennacchi e della porzione mancante del tamburo, sul quale dovrà essere successivamente impostata la nuova cupola. Il lasso quinquennale contrattualmente previsto per dare ultimata l’opera, è assai breve tenendo conto quale sia l’impegno e la difficoltà che comporta la sfida di ricostruire oggi, con le stesse tecniche murarie antiche, una cattedrale del XVIII secolo crollata per oltre due terzi. Non va dimenticato, infatti, che la parte residua dal crollo era costituita solo dai muri esterni, dall’abside e dalla navata laterale sinistra. Questo cantiere in questa città ubicata nell’estremo Sud è meta di studiosi e di tecnici che vogliano abbinare un tuffo nella storia, alla conoscenza di una tecnica costruttiva che rivisita e ripropone in chiave moderna l’ars aedificatoria dei nostri padri.

944

CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

VALUTAZIONE DEL MODULO ELASTICO SECANTE E DINAMICO DEL CALCESTRUZZO SU STRUTTURE ESISTENTI M. GALLO1, E. LO GIUDICE2, G. NAVARRA3, M. M. SACCO4 1

Sperimentatore del Laboratorio DISMAT s.r.l., Canicattì (AG) 2 Direttore del Laboratorio DISMAT s.r.l., Canicattì (AG) 3 Sperimentatore del Laboratorio DISMAT s.r.l., Canicattì (AG) 4 Vice Direttore del Laboratorio DISMAT s.r.l., Canicattì (AG)

SOMMARIO La memoria riguarda la valutazione del modulo elastico del calcestruzzo e la sua variazione dopo cicli di carico e scarico, eseguita su carote prelevate da una struttura esistente. L’approccio sperimentale segue le linee di un programma di ricerca nazionale ed europeo (CEN/TC 104/SC 1/TG 8) che ha lo scopo di definire le nuove norme per la determinazione del modulo elastico secante (MES). ABSTRACT The purpose of this paper is to investigate the variation of static and dynamic modulus of elasticity on concrete cores extracted from an existing structure. The approach used is that of an experimental research program (CEN/TC 104/SC 1/TG 8) to define the testing procedure for the modulus of elasticity.

1. INTRODUZIONE La normativa in vigore UNI 6556 del 1976 prevede che la determinazione del Modulo Elastico Secante (MES) del calcestruzzo venga effettuata nella fase di scarico del ciclo di prova, senza tenere conto della deformazione permanente che il campione accumula nelle precedenti fasi. La proposta di norma europea, attualmente in discussione (CEN/TC 104/SC 1/TG 8) prevede, invece, che il calcolo sia effettuato in fase di carico, con cicli diversi, per ampiezza e numero, rispetto a quelli previsti dalla UNI 6556. Per studiare la dipendenza del modulo elastico dal valore del carico massimo al quale si effettuano i cicli, le prove sperimentali sono state eseguite con tre diverse procedure di caricamento. La prima, secondo le indicazioni della UNI 6556, ha considerato tre serie di cicli tra la tensione massima e minima di prova. La seconda procedura (nel seguito indicata

945

con pr.A1) ha previsto tre cicli iniziali per la stabilizzazione delle letture ed il controllo sulla centratura del provino e 10 cicli di uguale ampiezza fra i valori di tensione massima e minima di prova. La terza procedura (pr.A2) è del tutto simile alla seconda, ma differisce, rispetto a questa, per i valori di tensione massima e minima di prova che sono pari al doppio della pr.A1.

2. RISULTATI SPERIMENTALI – MODULO ELASTICO SECANTE Le carote sono state prelevate dalle pile del viadotto sulla S.S. 189 km 42+220 a servizio della S.P. 21 “ Casteltermini - Passofonduto”. Delle dodici carote estratte da tre diversi elementi strutturali, tre sono state utilizzate per ricavare la resistenza media del calcestruzzo (C9, C3 e C7) e nove per la valutazione del MES secondo lo schema riportato in Tabella 1. Le carote A2, B2 e C2 sono state ricavate tutte da una prima pila, le A6, B6 e C6 da una seconda pila e le A8, B8 e C8 da una terza pila. Nei paragrafi successivi vengono riportati per ciascuna procedura la storia di carico imposta e i risultati relativi a tre carote; per ciascuna delle carote è riportata la storia di carico effettiva associata al diagramma tensionedeformazione. Gli accorciamenti dei provini sono stati misurati con trasduttori di spostamento induttivi e, in alcuni casi, anche con estensimetri elettrici; i dati sono stati registrati con centralina HBM MGCplus.

peso Design.

dimensioni

resistenza

procedura P (kg)

d (mm)

h (mm)

fc (MPa)

3,043

94,70

192,0

27,8

2,998

94,75

191,0

23,6

C7

2,986

94,65

193,0

25,5

A2

3,707

94,10

235,2

3,655

94,00

235,0

A8

3,586

93,90

234,5

B2

2,957

94,00

187,5

2,992

94,40

187,4

B8

2,877

94,00

187,7

C2

3,099

94,40

192,0

3,065

94,50

190,0

2,912

94,80

190,0

C9 C3

valutazione resistenza

UNI 6556

A6

B6

C6 C8

pr. A1

pr. A2

Tabella 1. Caratteristiche dimensionali delle carote provate

946

Figura 1. Carota strumentata e centralina HBM MGCplus

In Figura 2 è schematizzato il generico ciclo di carico-scarico imposto al campione durante la prova (2a), il relativo diagramma tensione-deformazione ottenuto (2b) e la rappresentazione tipo dei valori del MES al corrispondente ciclo (2c). Un valore rappresenta il modulo calcolato in fase di scarico [(•) “scarico”], un valore rappresenta il modulo in fase di carico senza considerare il tempo di attesa [(*) “no attesa”] e un valore rappresenta il modulo in fase di carico dopo il tempo di attesa [(+) “carico”].

2

3

4

1

5

MES (MPa)

3

tensione (MPa)

carico (kN)

2

1 5

carico scarico no attesa

4

0

tempo (s)

deformazione (Pm/m)

1

2

3

cicli

2a 2b 2c Figura 2. Ciclo di carico – scarico (2a); tensione-deformazione (2b); valori del MES al relativo ciclo (2c)

Più precisamente, facendo riferimento al generico ciclo, i valori del MES riportati con “scarico” nei successivi diagrammi del tipo 2c sono calcolati tenendo conto della deformazione restituita allo scarico in corrispondenza dei punti 3 e 4 dei diagrammi tipo 2b. I valori del MES indicati con “carico” si riferiscono alla deformazione raggiunta dopo il tempo di attesa, cioè alla fine della fase a carico costante (fra i punti 1 e 3). I valori del MES rappresentati con la dicitura “no attesa” fanno riferimento alle deformazioni rilevate alla fine della fase di carico (tra i punti 1 e 2 dei diagrammi tipo 2b). 2.1. Procedura UNI 6556 Sono previste almeno tre serie di cicli ad ampiezze diverse fra una tensione di base pari ad 1/30 della resistenza cilindrica a compressione fc, determinata come media delle resistenze di tre provini (Tabella 1), e una tensione massima pari ad 1/3 fc. In Figura 3 viene riportata la storia di carico imposta secondo la procedura UNI 6556. Nel caso in esame sono stati considerati tre diversi livelli di tensione ugualmente spaziati; per ogni livello si sono effettuati tre cicli di carico-scarico, ritenuti sufficienti per la stabilizzazione delle letture. L’attesa prevista alla tensione più alta di ciascun ciclo di carico è stata di 90 secondi.

947

120

UNI 6556

carico (kN)

90

60

30

0 0

200

400

600

800

1000

1200

tempo (s)

Figura 3. Storia di carico imposta secondo la norma UNI 6556 (1976)

Le carote, contrassegnate con A2, A6, A8, hanno rapporto altezza/diametro (h/d) pari a 2.5 (Tabella 1). In Figura 4 sono riportati i diagrammi carico-tempo dell’effettiva storia di carico sopportata da ciascun provino e le rispettive curve tensione-deformazione. 10

150

A2

A2 8 tensione (MPa)

carico (kN)

120

90

60

6

4

2

30

0

0 0

200

400

600

0

800

200

A6

A6 8 tensione (MPa)

120 carico (kN)

600

10

150

90

60

6

4

2

30

0

0 0

200

400

600

0

800

200

400

600

deformazione (Pm/m)

tempo (s)

10

150

A8

A8 8 tensione (MPa)

120 carico (kN)

400

deformazione (Pm/m)

tempo (s)

90

60

6

4

2

30

0

0 0

200

400

600

800

0

200

400

deformazione (Pm/m)

tempo (s)

Figura 4. Cicli della storia di carico effettiva per le carote A2, A6 e A8, secondo la norma UNI 6556

948

600

La norma in vigore richiede che la valutazione del MES in corrispondenza ad una data tensione sia effettuata allo scarico del ciclo di prova. Tuttavia, in questa sede vengono presentati i risultati di MES relativi ad ogni ciclo sia in fase di carico che di scarico, secondo le modalità precedentemente descritte (Figura 2). In questo modo è stato possibile valutare le variazioni del MES fra cicli successivi di una stessa prova e fra le diverse procedure di carico. Inoltre, come si evince dai diagrammi, nessuna delle tre carote ha completato la storia di carico imposta, rendendosi, in ogni caso, impossibile la valutazione del MES in corrispondenza della tensione massima di prova fc/3. 35000

A2

MES (MPa)

30000

25000

20000

15000

carico scarico no attesa

10000

0

1

2

3

4

5

6

7

cicli 35000

A6

MES (MPa)

30000

25000

20000

15000

carico scarico no attesa

10000

0

1

2

3

4

5

6

7

cicli 35000

A8

MES (MPa)

30000

25000

20000

15000

carico scarico no attesa

10000

0

1

2

3

4

5

6

7

cicli

Figura 5. Valori del MES in funzione del numero dei cicli per le carote A2, A6 e A8

949

2.2. Procedura A1 La proposta di norma, redatta dalla Commissione UNICEMENTO – Calcestruzzo – Sottogruppo di Lavoro: Metodi di Prova - ancora in fase di discussione, prevede 3 cicli iniziali fra la tensione fc/30 e fc/9 e 10 cicli di uguale ampiezza fra la tensione minima di prova pari a fc/9 e quella massima di fc/3. 120

pr. A1

carico (kN)

90

60

30

0 0

400

800

1200

1600

2000

2400

tempo (s)

Figura 6. Storia di carico imposta secondo la procedura A1 120

15

B2

B2

tensione (MPa)

carico (kN)

12 80

40

9

6

3

0

0 0

600

1200

1800

0

2400

200

400

600

deformazione (Pm/m)

tempo (s)

15

120

B6

B6

tensione (MPa)

carico (kN)

12 80

40

9

6

3

0

0 0

600

1200

1800

0

2400

200

400

600

deformazione (Pm/m)

tempo (s)

120

15

B8

B8

tensione (MPa)

carico (kN)

12 80

40

9

6

3

0

0 0

600

1200

1800

2400

0

200

400

deformazione (Pm/m)

tempo (s)

Figura 7. Cicli della storia di carico effettiva per le carote B2, B6 e B8, sottoposte alla procedura A1

950

600

Le carote sottoposte a questa procedura, contrassegnate con B2, B6 e B8 (Tabella 1), hanno rapporto altezza/diametro pari a 2. La storia di carico imposta è riportata in Figura 6, dove si nota che il tempo di attesa di 90 secondi al carico massimo, si ripete anche al carico minimo. La storia di carico effettiva delle singole carote, con i relativi diagrammi tensionedeformazione, è riportata in Figura 7 e le curve del MES in funzione del numero dei cicli in Figura 8. Dai grafici emerge che solo la carota B2 non è riuscita a sopportare tutti i cicli. 35000

B2

MES (MPa)

30000

25000

20000

15000

carico scarico no attesa

10000 0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

cicli

35000

B6

carico (kN)

30000

25000

20000 carico scarico no attesa

15000 0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

cicli

35000

B8

MES (MPa)

30000

25000

20000 carico scarico no attesa

15000 0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

cicli

Figura 8. Valori del MES in funzione del numero dei cicli per le carote B2, B6 e B8

951

2.3. Procedura A2 Questa procedura segue le linee della Pr.A1, ma impone cicli di carico con livelli di tensione massima e minima pari al doppio dei valori precedenti, secondo la storia riportata in Figura 9. 160

pr. A2

carico (kN)

120

80

40

0 0

400

800

1200

1600

2000

2400

tempo (s)

Figura 9. Storia di carico imposta secondo la procedura A2

200

25

C2

C2 20 tensione (MPa)

carico (kN)

160

120

80

15

10

40

5

0

0

WA ER 0

500

1000

1500

2000

0

2500

200

400

800

1000

1200

1400

1600

25

200 C6

C6

160

20 tensione (MPa)

carico (kN)

600

deformazione (Pm/m)

tempo (s)

120

80

15

10

40

5

0

0

WA ER 0

500

1000

1500

2000

0

2500

200

400

800

1000

1200

1400

1600

25

200

C8

C8

160

20 tensione (MPa)

carico (kN)

600

deformazione (Pm/m)

tempo (s)

120

80

15

10

40

5

0

0

WA ER 0

500

1000

1500

2000

2500

0

400

800

1200

1600

deformazione (Pm/m)

tempo (s)

Figura 10. Cicli della storia di carico effettiva per le carote C2, C6 e C8, sottoposte alla procedura A2

952

2000

Per le carote C2, C6 e C8, il rapporto altezza/diametro è stato mantenuto pari a 2 (Tabella 1) e le deformazioni sono state acquisite anche con estensimetri elettrici a resistenza (ER), come è visibile in Figura 10 dalle due curve tensione - deformazione riportate per ciascun provino. I valori del MES all’aumentare del numero dei cicli sono riportati in Figura 11 e sono relativi ai soli dati acquisiti con i trasduttori di spostamento (WA) per coerenza con i risultati presentati per le altre due procedure. 34000

C2

WA

MES (MPa)

29000

24000

19000 carico scarico no attesa

14000 0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

cicli

31000

C6

carico scarico no attesa

carico (kN)

27000

23000

19000

WA 15000 0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

cicli

35000

C8

carico WA scarico no attesa

MES (MPa)

30000

25000

20000

15000 0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

cicli

Figura 11. Valutazione del MES in funzione del numero di cicli per le carote C2, C6 e C8

953

3. RISULTATI SPERIMENTALI – MODULO ELASTICO DINAMICO Per sei delle nove carote sulle quali è stato calcolato il MES, è stato valutato anche il modulo elastico dinamico (MED) prima che le stesse venissero sottoposte ai cicli di carico. Il MED, inteso anche come “modulo tangente all’origine”, è stato ricavato sia tramite la frequenza di risonanza estensionale sia con il metodo ultrasonico. La frequenza di risonanza estensionale, secondo quanto indicato nella UNI 9771, è acquisita con un accelerometro rigidamente fissato su una base della carota posta orizzontalmente su un supporto in gomma. Il modulo di elasticità dinamico (espresso in Pa) è ricavato tramite la seguente relazione:

Ed

4 ˜ h 2 ˜ f e2 ˜ U ˜ C1

in cui fe è la frequenza di risonanza estensionale espressa in hetz, h l’altezza del provino in metri, U la massa volumica in kg/m3 e C1 un fattore di correzione pari a: C1

1

S 2 ˜ v2 ˜ J A ˜ h2

dove Q è il rapporto di Poisson, J il momento di inerzia della sezione in m4, A l’area della sezione in m2. Nel secondo caso, si valuta la velocità di propagazione degli ultrasuoni V (in km/s), secondo quanto indicato dalla UNI EN 12504-4, come: V

h /T

con h altezza del provino in mm e T tempo di attraversamento dell’impulso ultrasonico in Ps. Il modulo elastico dinamico, in MPa, è legato alla velocità degli impulsi con l’espressione:

Ed

V2 ˜U˜

1  Q ˜ 1  2Q 1 Q

dove V è in km/s e U in kg/m3. In Tabella 2 sono riportati i MED valutati con i due metodi. (UNI EN 12504-4)

Frequenza di risonanza

A2

28828

31466

A6

22840

26212

A8

27195

25069

B2

29633

34099

B6

29465

31236

B8

25327

29771

Design.

Ultrasuoni

(UNI 9771)

Tabella 2. Valori del modulo elastico dinamico

954

4. CONCLUSIONI I campioni di prova sono stati prelevati da tre diverse pile di un viadotto esistente. Per quelli provenienti dallo stesso elemento strutturale è stato poi valutato il Modulo Elastico Secante (MES) con tre diverse procedure di carico e, per sei campioni, anche il Modulo Elastico Dinamico (MED) con due metodi diversi. Dalla Tabella 2 si può dedurre che i valori del MED calcolati con il metodo degli ultrasuoni sono meno attendibili rispetto a quelli determinati tramite la frequenza di risonanza. A riprova di tale deduzione si consideri il confronto proposto in Figura 12, in cui vengono riportati tutti i valori del MES e, per le carote A2, A6, A8 e B2, B6, B8, anche i valori del MED ottenuti secondo la UNI 9771. Il diagramma sottolinea che i valori relativi alla carota A8 sono inferiori rispetto a quelli di A6, che risultano ancora minori di quelli di A2. Lo stesso andamento è mostrato dai risultati relativi alle carote B8, B6 e B2. Tale tendenza non è, invece, confermata dal metodo ultrasonico, che fornisce il MED di A6 minore di quello di A8 e il MED di B2 in pratica uguale a quello di B6 (Tabella 2). 35000

MES MED

MES e MED (MPa)

30000 25000 20000 15000 10000 5000 0

A2

A6

A8

B2

B6

B8

C2

C6

C8

Figura 12. Modulo elastico secante e dinamico

In Tabella 3 sono riportati, accanto ai valori numerici del MES ottenuti per ciascun provino come media di quelli calcolati per i singoli cicli in fase di scarico, i soli valori del MED ricavati dalla frequenza di risonanza estensionale e la loro differenza percentuale dal MES. La Tabella 3 mostra il modulo elastico dinamico sempre maggiore rispetto a quello secante, con differenze comprese fra il 2.4 ed il 9.5%. I valori del MED ottenuti con il metodo ultrasonico (Tabella 2) sono, invece, quasi tutti minori dei rispettivi valori del MES, probabilità non accettabile anche da un punto di vista teorico. L’analisi dei risultati (Tabella 3 e Figura 12) suggerisce un’ulteriore considerazione sulla forte variabilità del modulo elastico secante a seconda della zona di prelievo delle carote. Si confronti, ad esempio, il modulo della carota A2 con quello della A8, prelevate da elementi diversi, i cui moduli, calcolati con la stessa procedura, differiscono del 19.5 %. Stessa cosa si può dire delle carote B2 e B8, i cui moduli differiscono del 16.5 %. Inoltre, il MES ha mostrato notevole dipendenza dal livello di carico a cui il campione è stato sottoposto. A tale scopo si confronti, invece, il modulo di carote prelevate dallo stesso elemento strutturale, come la A2, la B2 e la C2. Il MES della carota C2, valutato con cicli di carico più elevati, è inferiore rispetto a quello della carota A2 del 29% e rispetto a quello della carota B2

955

addirittura del 33.5%. Le carote A6, B6 e C6, prelevate da una seconda pila, rispecchiano identico andamento. Il MES della carota C6 differisce da quello della carota A6 del 29% e da quello della carota B6 del 30%. Così come il MES della carota C8 è inferiore rispetto a quello della carota A8 del 17% e rispetto a quello della carota B8 del 25%. Se ne deduce che la pr.A1 ha fornito sempre, a parità di elemento strutturale, risultati del MES più elevati, come è subito evidente dal diagramma di Figura 12. La pr.A2, a causa della maggiore ampiezza dei cicli, che provoca un probabile danneggiamento del campione, fornisce i valori più bassi.

MES (MPa)

MED (UNI

30445

31466

3.4

24636

26212

6.4

A8

24488

25069

2.4

B2

32588

34099

4.6

29766

31236

4.9

B8

27181

29771

9.5

C2

21652

Design.

Procedura

A2 A6

B6

C6 C8

UNI 6556

Pr.A1

Pr.A2

9771)

(MPa)

'MES-MED %)

20739 20257

Tabella 3. Valori del modulo elastico secante e dinamico a confronto e loro differenza percentuale

Un segno del danneggiamento, invece, subito dal campione durante la prova può essere legato alla diminuzione del modulo elastico secante al progredire del numero dei cicli. Tale diminuzione, ad esempio, valutata in fase di scarico tra il primo e l’ultimo ciclo è stata di 8.4% per la carota A6, di 8.7% per la carota B6 e di 9.8 % per la carota C8. L’abbattimento del MES al di sotto di una certa percentuale, riferita al valore iniziale del primo ciclo, potrebbe essere considerata come un preavviso di rottura. Infine, un’interessante osservazione deriva dal confronto dei valori del MES calcolati in fase di carico senza considerare il tempo di attesa a carico costante e in fase di scarico. Nei diagrammi presentati del MES in funzione del numero dei cicli le due curve “scarico” e “no attesa” sono in pratica sovrapposte dopo il primo ciclo. Ciò sembra confermare che il calcolo del MES allo scarico, tenendo conto, quindi, della sola componente elastica restituita, è equiparabile con un calcolo effettuato in fase di carico, ma senza attendere l’intervento di altre componenti di deformazione. È doveroso precisare, infine, che la sperimentazione eseguita è solo a carattere esplorativo poiché la numerosità campionaria non consente generalizzazioni dei comportamenti osservati. Tuttavia i risultati ottenuti possono rappresentare una guida per indagini future sul modulo elastico del calcestruzzo.

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BIBLIOGRAFIA [1] UNI 6556 – Prove sui calcestruzzi - Determinazione del modulo elastico secante a compressione, 1976. [2] DIN 1048/Part 1 – Test Method for concrete – Freshly Mixed Concrete, Hardened Concrete of Specially Produced Samples, 1978. [3] ISO 6784 – International Standard – Concrete – Determination of static modulus of elasticity in compression, 1982. [4] BS 1881/Part 121 – Method for determination of static modulus of elasticity in compression, 1983. [5] ASTM C 469- Standard Test Method for Static Modulus of Elasticity and Poisson’s Ratio of Concrete in Compression, 1994. [6] Norme tecniche per le costruzioni – D.M. 14 settembre 2005. [7] UNI 9771 – Calcestruzzi indurito - Determinazione della frequenza fondamentale di risonanza flessionale, estensionale e torsionale, modulo elastico secante a compressione, 1990. [8] UNI ISO 5348 – Vibrazioni meccaniche ed urti – Montaggio meccanico degli accelerometri, 1987. [9] BS 1881/Part 209 – Testing concrete – Recommendations for the measurement of dynamic modulus of elasticity, 1990. [10] UNI EN 12504-1 – Prove sul calcestruzzo nelle strutture – Carote – Prelievo, esame e prova di compressione, 2002. [11] UNI EN 12504-4 – Prove sul calcestruzzo nelle strutture – Determinazione della velocità di propagazione degli impulsi ultrasonici, 2005. [12] Bollettino Ufficiale CNR n. 195.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

IL DAVID DI MICHELANGELO: CROLLO ANNUNCIATO, CROLLO EVITATO? A. BORRI, A. GRAZINI Dipartimento di Ingegneria Civile ed Ambientale, Università di Perugia

SOMMARIO Nel presente lavoro sono riassunti gli studi effettuati dagli autori sulle condizioni statiche del David di Michelangelo. Dopo aver ricordato le principali vicende che, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, possono aver portato al quadro fessurativo presente, vengono descritte le analisi diagnostiche condotte ed i risultati delle analisi FEM eseguite sul modello strutturale. Viene quindi analizzata la situazione attuale, considerando in questa sede, date le caratteristiche del Convegno, le sole problematiche “ordinarie” (peso proprio e vibrazioni ambientali, escludendo le azioni sismiche), descrivendo quindi le ulteriori indagini avviate al fine di identificare l’attuale stato di danneggiamento strutturale della statua, ABSTRACT This work presents an account of the results of diagnostic analyses on the static condition of the Michelangelo’s David. After summarizing the events that may have affected (in the mid-1800s) the statue’s stability and the state of the main lesions on the statue, the authors present the results of the Finite Elements Method (FEM) tests conducted on the digital model of the statue’s surface. Then, the current situation was analyzed, considering the ordinary condition (self weight and environmental vibration excluding seismic problems). Lastly the new experimental and numerical investigations, (aimed to identify the structural damage suffered by the statue) will be showed. 1. PREMESSA Il presente lavoro riguarda le problematiche statiche di una “struttura” particolare, la statua del David di Michelangelo, che, pur nella sua specificità ed unicità, ha vissuto e continua a vivere il percorso tipico delle costruzioni storiche: la realizzazione, il degrado, le vicissitudini strutturali, le fessurazioni, le necessità (e le mancanze) di manutenzione statica, il rischio di collasso via via crescente.

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Peraltro, nella “storia” strutturale del David si ritrovano qui molti dei temi che caratterizzano il presente Convegno: insufficiente resistenza del materiale, deterioramento, durabilità, “difetti” progettuali, anche se è evidente che non si tratta qui di “errori”, ma di audacia progettuale ed ardimento realizzativo di un giovane Michelangelo desideroso di stupire i suoi contemporanei. In occasione delle celebrazioni dei 500 anni del David furono avviate varie indagini, che spaziavano dalla qualità dell’aria dell’ambiente in cui si trova la statua alla rugosità superficiale del marmo, dai test microbiologici alla analisi delle croste e della patina superficiale, dal monitoraggio di temperatura e umidità alla analisi termografica. Una di queste indagini, condotta dagli autori con la supervisione dell’Ing. Luciano Marchetti, Presidente della Sezione Beni Culturali della Commissione Grandi Rischi, ha riguardato la diagnosi delle lesioni esistenti e la verifica di stabilità della statua. Dopo tre anni di studi, e dopo gli ultimi monitoraggi e i rilievi sperimentali eseguiti per conto della Galleria dell’Accademia di Firenze, vengono riportate nel presente articolo alcune considerazioni in merito alle analisi diagnostiche eseguite ed alle valutazioni di vulnerabilità e dei rischi strutturali riguardanti il capolavoro michelangiolesco. Si possono qui anticipare alcune particolarità del David che ne condizionano da sempre il comportamento meccanico, particolarità che, come si vedrà, hanno portato al quadro fessurativo presente e che, con grande evidenza, influiscono ancor oggi sulle condizioni di stabilità della statua: - la qualità del marmo, di scarsa resistenza e di facile degrado, specie se esposto per secoli, come in questo caso, a variazioni termiche e alle intemperie; - il tipo di figura - un corpo maschile nudo, quindi con una sezione resistente molto limitata, in particolare, nella zona delle caviglie; - la posizione che Michelangelo gli ha dato, con uno sporgere in avanti e di fianco della figura (sta qui l’audacia e l’ardimento strutturale) che porta a tensioni di trazione in zone che proprio per questo motivo, come vedremo, si sono lesionate e fessurate. Un’ulteriore particolarità che occorre considerare per una corretta verifica di stabilità del David è la sua “vita attesa”, cioè la durata temporale che è possibile prevedere (e garantire) per una tale opera. Da ciò derivano, evidentemente, tipologie e livelli dei rischi e delle azioni che devono essere messi in conto nelle diverse analisi. Normalmente, per una struttura ordinaria (un edificio, un ponte, etc): 1) si accetta che nel corso della sua vita di esercizio possa danneggiarsi (purchè non collassi) per eventi straordinari (quali, ad esempio, il sisma); 2) si accetta che possa usurarsi e degradarsi (processo inevitabile) mettendo però in opera, nel tempo, quegli interventi di manutenzione, evidentemente non solo “estetica”, che possono ripristinare le condizioni di sicurezza adeguate; 3) si accetta comunque l’idea che, per quanto la si possa prolungare, la “vita attesa” della costruzione abbia comunque un termine finito (non fosse altro per la sua inevitabile perdita di funzionalità). Per i motivi suddetti, nel progettare o verificare una struttura ordinaria si adottano parametri legati a quanto la struttura può “sperimentare” in un periodo di tempo correlato con la sua utilizzazione nel corso della vita umana, e quindi, in definitiva, piuttosto limitato. Così, il terremoto con cui si progetta o si verifica una struttura è quello che ha, nell’arco dei successivi 50 anni, una probabilità non trascurabile di avvenire; considerazioni analoghe vengono fatte per le azioni legate al vento, mentre per le azioni lente nei materiali a comportamento viscoso si assumono quelle che possono avvenire nell’arco di pochi anni, e così via.

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La verifica strutturale del David, ovviamente, non può essere affrontata con questi parametri. Il David da cinque secoli guarda scorrergli davanti generazioni e generazioni di persone, e ha davanti a sé, data la sua natura ed il suo valore, una prospettiva temporale illimitata. Ragionare per questa statua usando come metro quanto può essere sperimentato nel breve periodo appare non solo inadeguato, ma anche pericolosamente miope e fuorviante. Come non ricordare il noto “tacchino induttivista” di Popper, che, basandosi sulla sua “esperienza” di vita condotta sino a quel punto, è felice e contento perché il suo padrone (il fattore) anche oggi gli ha portato da mangiare, e quindi tutto va bene: evidentemente, crede lui, il suo padrone gli vuole bene. Il tacchino è sereno e tranquillo solo perché incapace di prevedere, a causa della limitatezza della sua analisi e della sua visione, quello che accadrà a Natale… In altre parole: il ricordo di un sisma a Firenze è lontano nel tempo. Ben pochi dei contemporanei hanno vissuto l’esperienza del terremoto in quella città (l’ultimo sisma di rilievo è del 1919). Se ragionassimo come il tacchino di Popper diremmo: “anche oggi non c’è stato il terremoto”, e quindi: “tutto va bene, stiamo pure tranquilli…”. Ma se si adotta una scala temporale adeguata alla vita attesa del David ci si accorge che, inevitabilmente, prima o poi avverrà a Firenze un sisma di intensità elevata. Probabilmente non interesserà nessuno di noi, ma il David ci sarà, e sarà lì a subirlo, con scarse probabilità di superarlo indenne. Ma non è solo il problema sismico che deve destare preoccupazioni. Considerando la vita del David (passata e futura) occorre infatti mettere in conto alcuni fenomeni (quali, ed esempio, vibrazioni e fenomeni viscosi e di fatica, sia statica che dinamica) che, se possono talvolta essere trascurabili nel breve periodo, con tempi così lunghi possono avere effetti di rilevanza inattesa. Tanti crolli di edifici secolari avvenuti nel passato, anche recente, talvolta associati un po’ semplicisticamente con il termine generico di “degrado”, sono spiegabili in questo modo. Per salvaguardare il David sarà quindi necessario mettere in conto gli effetti più ampi prevedibili dopo cinquecento anni di “esercizio” di questa struttura e con tanti secoli ancora davanti: per il rischio sismico il valore massimo atteso per la zona in cui si trova la statua; per le vibrazioni ambientali i massimi effetti derivanti dal ripetuto avvenire di tali azioni nel tempo; per i fenomeni viscosi l’influenza di stati di sollecitazione permanenti di rilievo (fatica statica), e così via.

2. PROCESSO DIAGNOSTICO: ANAMNESI ED ESAME OBIETTIVO Come nello studio delle problematiche statiche di qualunque manufatto, anche in questo caso occorre seguire il percorso: processo diagnostico (anamnesi - esame obiettivo - indagini strumentali) – diagnosi, volto ad individuare, sulla base dei sintomi osservati, le origini e le cause della “malattia” [1]. Particolare rilievo ha assunto, in questo caso, una approfondita anamnesi, che è consistita nella indagine volta alla ricostruzione della storia della statua, delle situazioni che ha subito nel corso del tempo, dei suoi trascorsi, sia fisiologici che patologici. Rinviando a [2] per un panorama completo delle vicende che hanno interessato il David nel passato, si riportano qui le notizie storiche che si ritengono più rilevanti per le finalità del presente studio:

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1504 - La statua viene collocata davanti a Palazzo Vecchio, contro le indicazioni di coloro (come Giuliano da Sangallo e Leonardo da Vinci) che suggerivano un luogo riparato dalle intemperie, essendo il marmo “tenero e cotto” e quindi facilmente deperibile. 1843 - Intervento di pulitura di Aristodemo Costoli. Lorenzo Bartolini scrive al riguardo: “La pulitura del Davidde di Michelangelo viene assai bene”. Non si fa menzione alcuna di lesioni, che, se presenti, avrebbero certamente richiamato l’attenzione del pulitore. 1847 - Clemente Papi esegue un calco a tasselli della statua, causando certamente un notevole (pur se temporaneo) aggravio di peso (qui stimato in 5.000-6.000 Kg). In quella occasione in una lettera di Girolamo Ballati Neri si definisce l’opera “quasi pericolante”. 1851 - Antonio Manetti denuncia “sensibili degradazioni da incuter serio timore sulla sua sicurezza, in specie se avvenisse una qualche scossa anche leggera di terremoto”. 1852 - Una prima commissione incaricata di esaminare lo stato di conservazione della statua rileva l’esistenza di due lesioni: un cretto “assai visibile” nel “broncone” (il tronco dell’albero cui il David con la gamba destra si appoggia) ed una pelatura “quasi impercettibile a occhio nudo” che ricorre circolarmente sulla parte inferiore della gamba sinistra. Nella commissione c’è chi giudica tali manifestazioni superficiali ed originari del marmo, e chi invece le mette in relazione alla inclinazione della statua. 1866-69 - Una seconda commissione rileva nella parte destra quattro cretti, di cui due sono confluenti in uno solo, mentre nella parte inferiore della gamba sinistra si constata l’esistenza di parecchi “peli”. Si osserva che le vibrazioni della statua, “quando la si percuote”, non sono quelle che si dovrebbero avere se il marmo “fosse veramente saldo” e non presentasse soluzioni di continuità. Successivamente (nel 1869) si indica la necessità di porre la statua al coperto e di collegarla stabilmente ad una parete retrostante. 1871 - L’ing. Luigi Del Sarto relaziona dettagliatamente sul quadro fessurativo, evidenziando sulla parte destra (sul tronco) un cretto di apertura di quasi un millimetro. Sulla gamba sinistra rileva “alcune appena visibili pelature della estensione di pochi centimetri”. Nel giudizio di stabilità conclude che “il Colosso non si trova più sulla verticale nella quale venne dall’Autore collocato, essendosi leggierissimamente inclinato nella parte davanti..”. 1872 - Una terza commissione rileva che esistono diversi cretti ben visibili nella gamba sinistra e nel tronco dell’albero e di questi uno è particolarmente rilevante per estensione e per profondità. A seguito di ciò venne messo in opera un puntellamento della statua in loco, mediante un ponteggio di legno. 1873 - La statua viene trasportata alla Accademia di Belle Arti, e qui, infine, posta sul suo nuovo piedistallo (quello originario viene demolito). Si ritiene a questo punto non più necessario un intervento di consolidamento. 2003 - Esame obiettivo: quadro fessurativo attuale. Il quadro fessurativo che interessa le zone della gamba sinistra e del “broncone” (Fig. 1) risulta assai più ampio di quello rilevato nel 18711. Le fratture nel tronco sono più numerose e di lunghezza sensibilmente maggiore, ed arrivano ora ad interessare anche il tratto inferiore del tronco stesso, che appare sostanzialmente indebolito nella capacità di trasferire sollecitazioni di trazione al sottostante basamento. La lesione più importante, evidenziata nel 1871, si è richiusa ed ha ora una apertura di pochi decimi di millimetro. Nella gamba sinistra le lesioni, pur essendo ancora definibili come “pelature”, risultano più numerose e di lunghezza maggiore di quanto rilevato nel 1871. 1 Il peggioramento del quadro fessurativo rispetto a quanto rilevato nel 1871 ha una indubbia rilevanza sul comportamento meccanico attuale della statua, ma appare comunque correlato al trasporto del 1873 tra Piazza della Signoria e la Galleria dell’Accademia e al posizionamento sul nuovo piedistallo..

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Figura 1. Quadro fessurativo attuale sulla gamba sinistra e sul “broncone”, con evidenziate le principali lesioni.

3. PROCESSO DIAGNOSTICO: IPOTESI DIAGNOSTICHE E LORO VERIFICA Già nel passato si era ipotizzato che l’origine delle fessurazioni sulla statua fosse associata ad una sua inclinazione. Prescindendo da quali potessero essere le possibili cause di tale inclinazione (analizzate in [3]), si è voluto verificare, attraverso un modello numerico, la veridicità di questo legame rotazione-lesioni. Le modellazioni condotte sono state varie, con differenti livelli di approfondimento e sofisticazioni. La descrizione dei modelli ed un esame approfondito dei risultati è riportato in [3], mentre in questa sede vengono riportati i risultati di maggior rilievo, ottenuti dal modello tridimensionale agli elementi finiti che ha permesso di identificare il comportamento strutturale del David. Tale modello è stato ottenuto partendo dal rilievo con laser-scanner (v. Fig. 2) eseguito dall’ISTI-CNR in collaborazione con l’Università di Stanford, che ha fornito una superficie costituita da oltre 50 milioni di triangoli, semplificata in seguito, per un più agevole utilizzo a fini strutturali, a 20.000, 50.000 e 100.000 triangoli.

Figura 2. Due immagini del processo di acquisizione del modello digitale (ISTI-CNR e Stanford University).

Tali superfici, opportunamente trattate e regolarizzate, hanno consentito di rappresentare il volume solido della statua che è poi servito per la definizione degli oltre 400.000 elementi finiti del modello FEM (figura 3).

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Sono state quindi eseguite, mediante un codice di calcolo ampiamente utilizzato in ambito scientifico [4], le analisi strutturali rivolte a valutare lo stato tensionale nei vari punti della statua, prima nello stato di perfetta orizzontalità del basamento, poi per varie inclinazioni del basamento stesso. Tra le azioni considerate non sono stati considerati i carichi dovuti al calco del 1847, in quanto queste azioni, almeno per le parti interessate dal quadro fessurativo sotto esame, o si scaricavano attraverso il calco stesso direttamente sul basamento, o comunque agivano su sezioni notevolmente ispessite dal gesso.

Figura 3. Modello strutturale e convenzioni sui segni

L’analisi condotta in condizione di “verticalità” della statua (cioè di orizzontalità della superficie intradossale del suo basamento) mostra chiaramente come nelle zone posteriori del broncone e della caviglia sinistra si trovino i punti di maggiori tensioni di trazione. Tale distribuzione tensionale (figura 4) illustra chiaramente il ruolo fondamentale giocato dal broncone nell’equilibrio globale della statua. In questo senso si può osservare come il broncone rappresenti un elemento vitale per la statica della statua: senza di esso il David non sarebbe in grado di sopportare le trazioni dovute all’eccentricità dei carichi e sarebbe rovinato ancor prima di essere terminato2. Il confronto tra le immagini ottenute dalla analisi FEM e la situazione fessurativo della statua non lascia margini a possibili dubbi: le zone in cui si sono formate le lesioni coincidono con quelle maggiormente sollecitate a trazione (figura 5). Da una analisi di sensitività condotta per indagare sulla risposta strutturale della statua a diverse possibili inclinazioni è risultato evidente come, pur variando l’entità delle tensioni in gioco, i massimi di trazione restano comunque localizzati nelle zone sedi delle fessurazioni. E’ da notare che le analisi condotte sono di tipo elastico-lineare, in quanto lo scopo dell’indagine era quello di conoscere quali fossero, per la statua nelle condizioni originarie (cioè non fessurata), le zone interessate dai valori più elevati di tensioni di trazione, essendo queste zone, per prime, oggetto di fessurazioni3.

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Il broncone, ovviamente, non è stato messo a caso in quella posizione: conscio dei meccanismi elementari e della resistenza del materiale utilizzato Michelangelo ha certo compreso l’importanza statica di un elemento in grado di assorbire in quel punto le tensioni di trazione che nascevano dalla distribuzione delle masse in gioco.

3 E’ evidente che, da lì in avanti, se si vuole ottenere la risposta strutturale del manufatto, occorrerà procedere ad analisi in campo non lineare, che però in questa fase, dato che l’indagine è rivolta principalmente alla comprensione delle cause che hanno originato le prime fessurazioni, non sono necessarie.

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Figura 4. Distribuzione delle tensioni verticali nel David nelle condizioni attuali.

Figura 5. Confronto tra quadro fessurativo e zone di massima tensione di trazione.

I risultati ottenuti dalle elaborazioni FEM permettono di mettere in chiara ed indiscutibile relazione l’inclinazione della statua con il quadro fessurativo rilevato e quindi di associare le lesioni ad un movimento del basamento del David avvenuto, come detto, nella seconda metà dell’Ottocento. Resta però indefinito l’aspetto quantitativo, non essendo nota l’inclinazione che effettivamente venne a realizzarsi.

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4. ENTITA’ DELLA INCLINAZIONE Una volta accertato che a causare le lesioni è stata una inclinazione della statua è apparsa subito chiara l’importanza di riuscire a conoscere in qualche modo l’entità della rotazione, in quanto da essa sarebbe stato possibile risalire, indirettamente, alla resistenza a trazione del marmo del David, elemento fondamentale per ogni possibile successiva analisi. La rotazione che era avvenuta nella seconda metà dell’Otttocento poteva essere vista infatti come una vera e propria “prova sperimentale” eseguita sul David, prova che era giunta sino alla fessurazione di alcune zone della statua, superando quindi, in quelle zone, la resistenza a a trazione. Conoscendo l’entità della rotazione, dal modello FEM sarebbe stato semplice ricavare il valore della tensione massima di trazione raggiunta, e questo avrebbe costituito un limite superiore per la resistenza del marmo del David. Purtroppo, dai documenti storici che ci sono pervenuti non era possibile desumere di quale entità si trattasse, date le diverse (e talvolta vaghe) indicazioni che si possono trovare nelle varie relazioni. Si è pensato allora di seguire una strada resa oggi possibile dalle moderne tecniche fotogrammetriche che consentono di effettuare rilievi a partire da immagini fotografiche. Sono state quindi fatte delle ricerche sia presso l’archivio storico degli Alinari, sia presso i discendenti di Anton Hautmann, un fotografo che nel periodo 1858-1862 aveva lavorato a Firenze (figura 6). Utilizzando le diverse fotografie raccolte è stato possibile valutare ([3]) l’effettiva inclinazione che il David aveva in quel periodo: era stata di circa un grado in avanti4.

Figura 6. Coppia di foto stereoscopiche del David eseguite da Anton Hautmann nel periodo 1858-1862.

L’analisi FEM eseguita con modello della statua inclinata di un grado in avanti ha fornito come tensione massima di trazione (raggiunta proprio nella zona realmente fratturata) il valore di 2,1 N/mm2 . Tale valore rappresenta un limite superiore per la tensione di rottura del

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Certo, adesso che il meccanismo causa-effetto (inclinazione-lesioni) è chiaro e, soprattutto, quantificato, impressiona la vulnerabilità del Colosso: è bastato che il basamento si inclinasse di un angolo di tale modestissima entità per metterlo a dura prova e quasi portarlo alla rovina.

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materiale con cui è stato realizzato il David, poiché quando si aveva quella inclinazione si erano già aperte, nel broncone, alcune fessurazioni5.

5. INFLUENZA DEL DEGRADO SULLA RESISTENZA A TRAZIONE Perché, una volta raggiunta la tensione di rottura al lembo teso la sezione non si è rotta completamente? Non considerando per il momento la ridistribuzione delle tensioni nella sezione parzializzata pressoinflessa (che comunque verrà poi messa in conto per il calcolo del momento ultimo) la risposta potrebbe essere: perché gli strati più interni del marmo del David hanno una resistenza a trazione superiore a quella dello strato superficiale, indebolito per essere stato per secoli alle intemperie. Quindi: è stata raggiunta la crisi sullo strato esterno e perciò questo si è fessurato, però gli strati interni, di qualità superiore, hanno continuato a resistere, mantenendo l’equilibrio nella sezione fessurata. Per cercare di capire quale differenza di comportamento ci si può attendere, per un marmo di questo tipo, tra lo strato esterno soggetto alle intemperie per secoli e le parti interne dello stesso si è cercato un frammento marmoreo “simile” (per quanto possibile) al marmo del David, sia per caratteristiche fisiche, sia per essere stato, come lui, per secoli alle intemperie. Il frammento è stato reperito tra quelli dismessi e non più utilizzati presso l’Opera di S. Maria del Fiore (Opera del Duomo) a Firenze, e su tale elemento sono state fatte alcune prove sperimentali. Il confronto dei risultati delle prove eseguite sui provini presi nelle zone superficiali esterne dell’elemento e di quelle eseguite sui provini presi all’interno dello stesso ha consentito di valutare le possibili differenze di comportamento in gioco. Dall’elemento marmoreo sono stati estratti 6 campioni dalla parte esposta agli agenti atmosferici e 6 campioni all’interno del pezzo di marmo e che quindi hanno subito in misura minore i fenomeni atmosferici. Le prove di flessione del materiale hanno mostrato per il marmo in esame una resistenza ultima a trazione di poco superiore a 3 N/mm2 nel caso di provini estratti nelle zone non esposte a agenti atmosferici, che si riduce a poco più di 2 N/mm2 nel caso di quelli più soggetti ad agenti atmosferici, con una diminuzione quindi delle caratteristiche di resistenza pari al 33%. Si noti come il valore di crisi per il marmo degradato per effetto delle intemperie sia molto vicino al valore di 2.1 N/mm2 trovato con l’analisi FEM sul David inclinato di un grado e per questo fessurato. Si può quindi pensare che le lesioni presenti sulle zone inferiori della statua si siano estese solo alla zona superficiale esterna, indebolita a causa del deterioramento del materiale, scarsamente durabile, causato dall’azione degli agenti atmosferici, mentre la parte interna del materiale, esente da effetti di riduzione delle caratteristiche meccaniche e quindi con migliori proprietà, è riuscita a mantenere l’equilibrio, evitando il collasso della statua. Il risultato più significativo delle prove effettuate sta nel rapporto tra le due tensioni di rottura: le parti non degradate si sono rotte per valori maggiori rispetto a quelle degradate, ma, in sostanza, non così diversi. In altri termini: non è possibile attendersi per le parti interne dal marmo del David capacità di resistenza molto superiori a quelle dello strato esterno.

5 Le prime fratture vengono infatti rilevate nel 1852, prima cioè delle fotografie dalle quali è stata ricavata l’inclinazione di un grado in avanti.

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interno

esterno

Figura 7. Diagrammi tensione-deformazione per un marmo esposto e non esposto all’azione degli agenti atmosferici

6. VERIFICHE Dalle prove effettuate sui campioni di marmo estratti dal pezzo di marmo precedentemente menzionato è stato possibile ricavare i diagrammi tensione-deformazione, sia per il marmo esterno soggetto all’attacco degli agenti atmosferici, sia per quello interno. Si può notare, dai diagrammi riportati in Figura , come il comportamento del marmo interno sia di tipo lineare con un breve tratto plastico, mentre il marmo esterno sia caratterizzato da un comportamento elastico fragile e con una rigidezza minore rispetto a quello interno. Ipotizzando un comportamento lineare anche a compressione (ipotesi del tutto lecita, viste le modeste tensioni di compressione in gioco) si è calcolato, mediante una apposita procedura numerica, il momento ultimo della sezione a livello della lesione più significativa (figure 9 e 10). Trascurando lo strato corticale (che si è supposto dell’ordine di pochi millimetri) si è considerato per il materiale interno valori della resistenza a trazione compresi tra 3 e 4 N/mm2, da cui, assumendo un Jm pari a 2, si ottiene una variabilità tra 1,5 e 2 N/mm2. Il confronto tra momento sollecitante e momento ultimo porta ad un coefficiente compreso (date le incertezze sopradette) tra 2.5 e 2.8, valori che, pur nella loro positività, appaiono certo non adeguati alla rilevanza del manufatto6.

Figura 8. Distribuzione delle sollecitazioni normali lungo la sezione critica.

6 Si pensi, ad esempio, che per una qualsiasi struttura in muratura si richiedono di norma coefficienti di sicurezza non inferiori a 3, proprio per cautelarsi dalle possibili incertezze.

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Figura 9. I due legami (ipotesi max-min) considerati nella valutazione del momento ultimo.

Figura 10. Diagrammi momento curvatura relativi ai due legami considerati.

Problemi maggiori appaiono quando si considera la problematica sismica. Date le caratteristiche del presente Convegno non vengono qui riportate le analisi sismiche eseguite e le relative considerazioni (per esse si rinvia a [3]). Basti qui dire che in una situazione già di precarietà statica, con valori delle tensioni di trazione vicine a quelle di rottura, varie sezioni fessurate (quindi con presenza di “punte” di concentrazione delle tensioni), condizioni di vincolo del basamento che non consentono oscillazioni rigide, probabile amplificazione dovuta alle caratteristiche del terreno, etc, etc, il quadro che si ottiene è quello di una elevata quanto indubbia vulnerabilità sismica. Ma non è solo il sisma, evento imprevedibile e che speriamo il più remoto possibile, a richiedere una adeguata attenzione. Più insidioso, perché presente quotidianamente, è il problema delle vibrazioni ambientali e della fatica, sia statica che dinamica, a questo problema correlate. Per indagare su questo aspetto sono stati disposti sul basamento del David alcuni accelerometri (figura 11), evidenziando che la statua sta “vivendo” quotidianamente una serie di oscillazioni dinamiche causate da input ambientali che si ripetono con una certa frequenza. Di tali rilevamenti sono in corso le relative elaborazioni e ne verrà dato conto in un prossimo articolo. Si può comunque anticipare che le sollecitazioni derivanti dalle vibrazioni osservate non sono trascurabili, soprattutto per l’effetto (fatica dinamica) che possono avere su un materiale assoggettato già da cinquecento anni a sollecitazione di trazione non lontane da quella di collasso (fatica statica).

Figura 11. Accelerometri posizionati sul basamento ottocentesco per il rilievo delle vibrazioni ambientali.

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7. CONCLUSIONI Per quanto riguarda i carichi statici il David non si trova oggi in una situazione diversa da quella di 100 e più anni fa, dopo il suo collocamento in Galleria nella corretta posizione “verticale”. Tale intervento ha certamente diminuito le sollecitazioni di trazione e “richiuso” le fessure che si erano aperte, ma è anche vero che il trasporto nella nuova collocazione ha aggravato ulteriormente un quadro fessurativo già allarmante, aprendo nuove lesioni e prolungando quelle presenti, indebolendo quindi ulteriormente quelle sezioni. Nell’ottocento il problema è stato studiato con gli strumenti e le conoscenze allora disponibili, e dopo la sua sistemazione in Galleria si è pensato, forse un po’ semplicisticamente, che ogni problema fosse risolto. Oggi, un contesto culturale e scientifico ben diverso ci consente di avere, grazie a metodologie e tecniche sperimentali molto avanzate, una approfondita conoscenza della situazione (e quindi una maggiore consapevolezza dei rischi connessi). Grazie a questa conoscenza si ha la possibilità (o meglio il dovere) di garantire, attraverso politiche di prevenzione concrete (da fare ora, “in tempo di pace”, e non all’indomani dell’ennesima tragedia imprevista) un adeguato livello di protezione a persone e beni culturali soggetti ai diversi rischi ambientali. E’ vero che per il David restano da indagare, per completare il quadro conoscitivo, alcuni punti, quali ad esempio la reale situazione delle fessure aperte e la situazione al di sotto del basamento michelangiolesco, sia per quanto riguarda la struttura ed il terreno di fondazione, ma la loro conoscenza, in ogni caso, non potrà migliorare la situazione attuale. Appare quindi necessario cominciare ad esaminare da subito una qualche ipotesi di intervento capace di ridurre l’attuale livello dei rischi presenti. Anche perché gli studi, le analisi, i controlli ed il monitoraggio rappresentano certo i passi fondamentali di un processo di reale tutela (e protezione) di un’opera, ma se a questi non seguono le dovute attenzioni e gli opportuni provvedimenti tutto rimane nel limbo delle buone intenzioni.

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CRASC’06 Convegno Nazionale CROLLI E AFFIDABILITA' DELLE STRUTTURE CIVILI Università degli Studi di Messina Messina, 20-22 Aprile 2006

ASPETTI INTRISECHI ED ESTRINSECHI DEL CROLLO DI UN EDIFICIO IN MURATURA NEL CENTRO STORICO DI PALERMO A. DAMIANI1 1

Ingegnere, Libero Professionista, Torino

SOMMARIO Nella nota s’illustrano le cause che hanno condotto al crollo parziale, in più riprese, dell'isolato "L" all'interno del Quartiere Capo di Palermo, riconoscibile, anche se con forme diverse dalle attuali, nel disegno della Città di Palermo conservato presso l'Archivio di Stato di Torino (1713 ÷ 1719). Dall'analisi storica svolta sull'edificio, la situazione edilizia è permanente fino al 1980 circa, quando, a seguito di “crolli spontanei”, ultimo quello del 7 Marzo 1996, nell'isolato vennero a mancare alcuni corpi edilizi. Il quadro fessurativo, nelle unità edilizie A e B, manifestava l’esistenza di cause perturbatrici che avevano generato alterazioni nell’assetto statico del complesso edilizio, con l’innescarsi di soluzioni di continuità nella massa per rottura del materiale murario. Tra le cause perturbatrici, oltre la vetustà, nemica inesorabile delle costruzioni, e la non perfetta tecnica esecutiva adottata in fase di costruzione, si distinguono due aspetti: uno intriseco e l’altro estrinseco. L’articolo movendo dalle cause, descrive la genesi del quadro fessurativo con riferimento alla determinazione delle direttrici delle tensioni principali, o ideali, massime, rispetto alla tangente alla linea fessurativa. La nota si completa con un’ampia documentazione illustrativa relativa agli aspetti generanti il crollo. ABSTRACT The note shows the seismic adjustments of the isolated “L” inside the Capo area of Palermo, in the district “Monte di Pietà”, as part of an activity to restore the historical centre of Palermo. It is included in the “Piano Particolareggiato Esecutivo” drawn up by the Council. There is a delineated dependence on the geotechnical characteristics of the foundations of the structure.

1. INTRODUZIONE L'isolato "L" ricade all'interno del Quartiere Capo, nel Mandamento Monte di Pietà; esso è delimitato a Nord d alla Piazza S. Anna al Capo, ad Est dal Vicolo e dalla Piazzetta San

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Paolino, a Sud da Via dei Carrettieri e, ad Ovest, dai Cortili Mangano e Salerno (Fig. 1). Dall'analisi storica svolta sull'edificio in esame, risulta una situazione edilizia sostanzialmente permanente, eccetto alcune modifiche catastali (divisioni particellari), fino al 1980 circa, quando, a seguito di alcuni crolli, nell'isolato in esame vennero a mancare i corpi edilizi prospicienti la Via dei Carrettieri. Nel settembre 1995 è avvenuto un primo crollo di alcuni orizzontamenti e coperture delle unità edilizie prospicienti la Piazzetta San Paolino; il 7 Marzo 1996 si è verificato infine il crollo del corpo edilizio prospiciente il Cortile Salerno. L’isolato "L" è costituito da un corpo di fabbrica con pianta di forma trapezoidale della lunghezza di circa 40 m, con un muro di spina centrale continuo, con unità edilizie, associate a schiera, a due, tre e quattro elevazioni. Prima dell'ultimo crollo del Marzo 1996 l'edificio era costituito da quattro unità edilizie sui Cortili Mangano e Salerno (A, B, C, D) e tre sul Vicolo e sulla Piazzetta San Paolino (E, F, G). Le unità E e D sono prospicienti anche Piazza S. Anna al Capo (Fig. 2). Nel seguito le unità A, B, F e G, si identificheranno anche con il termine “corpo B”, le restanti con il termine “corpo C”.

Figura 1. Planimetria dell’isolato

Figura 2. Localizzazione delle unità edilizie

2. CENNI SULLA MORFOLOGIA DEL SOTTOSUOLO I terreni su cui sorge la città di Palermo sono costituiti da una successione calcarenitica quaternaria ascrivibile al Siciliano, di spessore variabile, dell'ordine di 80 ÷ 90 metri lungo le fasce prossime alla costa, e che va via via assottigliandosi, procedendo verso monte fino a ridursi ad un vero e proprio crostone. La morfologia dell'area nella quale ricade l'edificio in esame è caratterizzata da una sensibile acclività che, a meno invero di trascurabili modifiche subite nel corso dei secoli a seguito di crolli, accumuli e riedificazioni nel centro storico di Palermo, risulta correlabile con la pendenza della antica sponda sinistra del Fiume Papireto. Le indagini eseguite nell'area in esame hanno confermato la presenza di una coltre detritica di materiale originatosi prevalentemente dal disfacimento remoto o recente di preesistenti

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costruzioni; al di sotto della coltre detritica il tetto della formazione calcarenitica è stato rinvenuto in posizione digradante verso il tracciato del menzionato fiume Papireto. Nell'ambito della pur regolare situazione geomorfologica del centro storico di Palermo occorre ricordare la presenza nel sottosuolo, in particolare all'interno dell'ammasso calcarenitico tenero, di cavità naturali adattati dall'uomo, di diverse tipologie ed epoche (aree cimiteriali, cave, qanat, pozzi, fossati, etc. ...). Con riferimento a quanto riportato nella letteratura tecnica ed, in particolare, alla carta delle cavità (Fig. 3), si nota la presenza della grotta dei Beati Paoli e delle Grotte di Via Cappuccinelle, a distanza dall'edificio tale da non interferire in alcun modo con essa [1, 2, 3, 4].

Figura 3. Carta delle cavità con evidenziata l’area di sedime (4, 13 e 18, Grotta di via Cappuccinelle; 7, Grotta dei Beati Paoli)

3. DESCRIZIONE DELL’OPERA E DEI DISSESTI STATICI L’isolato “L”, classificato come “catoio” nel P.R.G. del Centro Storico del Comune di Palermo, di dimensioni in pianta 40×21 m2, ha un’altezza fuori terra di 16,30 m, alla linea di gronda, lato Piazza S. Anna al Capo; l’altezza raggiungeva circa 20 m sul Cortile Mangano, in corrispondenza dell’unità edilizia A. Gli elementi strutturali portanti sono costituiti di murature tradizionali di conci di calcarenite e in talune limitate zone di muratura caotica ed incoerente, di spessore variabile da 0,65 a 0,30 m, con solai a struttura lignea con deformazioni cospicue, anche dell’ordine di 10 cm, imputabili sia alla degradazione della fibra legnosa sia a marcescenza (v. figg. 4 e 5); faceva eccezione il solaio di calpestio dell'unità edilizia D, che era costituito di cordoli di c.a. e del primo piano dell'unità B, dove una trave di c.a., poggiata sul muro di spina e sul muro perimetrale sul cortile Mangano, sorreggeva la tramezzatura del secondo piano. Tutti gli altri solai erano provvisti all’intradosso di controsoffitti con supporto di incannucciato rivestito di gesso, di forma piana o a volta ribassata.

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circa 10 cm

Figure 4 e 5. Stati deformativi e livello di conservazione della struttura portante dei solai

Le modifiche sostanziali della volumetria dell’isolato si verificano a partire dai primi anni ottanta, quando, a causa di alcuni crolli l’isolato perse gli apparati edilizi prospicienti la via dei Carrettieri. In quegli anni la realizzazione di una costruzione di cemento armato sul terrapieno di via dei Carrettieri, ha isolato i resti edilizi della testata meridionale dell’isolato, favorendone l’uso come discarica occasionale per immondizie e detriti compromettendo la stabilità delle unità edilizie. L’unità edilizia A, caratterizzata da un prospetto di un certo pregio rispetto alle altre adiacenti, è crollata il 7 Marzo 1996; in essa si denotavano i dissesti strutturali dovuti al sisma del 1968 ed alla realizzazione della costruzione di cemento armato ad un piano fuori terra che, sovrapposta ai resti del crollo verso via dei Carrettieri, ha avviato, come sopra accennato, un movimento dei terreni di fondazione e la conseguente rototraslazione dell’edificio.

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La tipologia edilizia comprendeva un corpo scala centrale e due corpi laterali a tre elevazioni fuori terra ed una parziale sopraelevazione realizzata in tempi successivi. L’unità B, coinvolta anch’essa nell’ultimo crollo del 1996, era interessata, alle due estremità, da ampie lesioni; in particolare, la fessura da distacco tra l’unità in esame e la A, dopo un tratto verticale proseguiva orizzontalmente fino a raggiungere l’apertura del secondo piano e quindi il piano di gronda dopo un altro breve tratto sub-verticale in zona di mezzeria del maschio murario (Fig. 6). L’unità edilizia D, all’estremità del complesso, dopo la fine della seconda guerra mondiale, è stata riedificata con lo stesso ingombro planimetrico ed altimetrico della precedente. La tipologia è simile alle altre, anche se caratterizzata da un elevazione in più. Riguardo l’unità edilizia E, si evidenziava il dissesto del muro d’ambito prospiciente il vicolo San Paolino, laddove un maschio murario manifesta un cedimento, dell’ordine del centimetro, con conseguente acclarato quadro fessurativo in fase progredita. L’unità edilizia F è stata parzialmente interessata dal crollo del Settembre 1995, che ha coinvolto alcuni orizzontamenti e parte del vano scala; la copertura, a falda unica rivestita con listelli e con coppi alla siciliana, è interamente crollata. In gran parte dei locali di piano terra si ammassarono i detriti conseguenti al crollo del Marzo 1996 (Fig. 7). L’unità G, a due elevazioni fuori terra, risultava interamente fatiscente e caratterizzata da numerose lesioni in fase progredita. Nell’unità edilizia C non si sono riscontrate caratteristiche salienti difformi da quelle sopra descritte.

Figura 6. Quadro fessurativo lato Cortile Mangano–Cortile Salerno, con evidenziata la parte crollata il 07.03.96

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Figura 7. Quadro fessurativo lato Vicolo San Paolino, con evidenziata la parte crollata il 7 Marzo 1996

4. DIAGNOSI DEI DISSESTI: ASPETTI INTRISECHI ED ESTRISECHI Il quadro fessurativo, caratterizzante il prospetto lato Cortile Mangano – Cortile Salerno, manifestava, prevalentemente nelle unità edilizie A e B, l’esistenza di cause perturbatrici che avevano generato alterazioni nell’assetto statico del complesso edilizio, con l’innescarsi di soluzioni di continuità nella massa per rottura del materiale murario, evidenti nelle fotografie a corredo, sulle quali si poteva distinguere in modo inequivocabile la parte di struttura prossima al crollo oltre che, probabilmente, a definirne le cause (v. figg. 8 e 9).

Figura 8. Prospetto ante-crollo lato Cortile Mangano–Cortile Salerno, con gravissime lesioni sul lato in destra

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Figura 9. Prospetto post-crollo lato Cortile Mangano–Cortile Salerno.

Tra le cause perturbatrici, oltre la vetustà, nemica inesorabile delle costruzioni, e la non perfetta tecnica esecutiva adottata in fase di costruzione, si distinguono, in particolare, due aspetti. Il primo, intrinseco, attiene alla carenza fra gli ammorsamenti tra le murature (v. figg. 10 e 11), quello estrinseco, manifestatosi attraverso la lesione verticale tra le unità anzidette e la presenza di altre lesioni sub-verticali, riguarda la rototraslazione tra le unità A e B, dovuta all’abbassamento non uniforme del piano d’imposta essenzialmente dell’unità A, a seguito del richiamato sovraccarico rappresentato dalla costruzione di c.a. eseguita nei primi anni ottanta e dalla presenza di antichi interventi ipogei sul fronte di scavo lato corpo B, riguardanti la realizzazione di vani al di sotto della quota di posa delle fondazioni dell’edificio (v. fig. 12).

Figura 10 e 11. Discontinuità muraria nella sezione di innesto di due muri normali

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Quanto sopra è stato confermato dalla presenza di fratture caratterizzanti il crostone di calcarenite, mediamente cementata a tratti vacuolare, al di sotto della parete laterale esterna dell’unità A (v. fig. 13).

Figura 12 e 13. Interventi ipogei sul fronte scavo al di sotto della quota di posa delle fondazioni (a destra). In primo piano una frattura del crostone di calcarenite (a sinistra).

Come è noto a seguito del cedimento terminale la reazione effettiva del terreno si annulla e il muro resta soggetto al trascinamento attivo “P” per unità di lunghezza che induce la trasformazione del diagramma della reazione originaria della sede imposta. Intuitivamente il muro, considerato quale solido elastico, sotto l’azione del peso del tronco terminale a “sbalzo”, subisce una deformazione alla flessione e al taglio, deformazione che determina l’accentramento del carico e quindi della reazione d’appoggio nella regione contigua alla sezione “X” posta al limite del cedimento e quindi, uno sgravio del carico stesso e conseguentemente della reazione nel contiguo tratto di muro per la tendenza al sollevamento della sovraincombente parte di struttura. L’aggravio massimo della reazione unitaria si è verifica, naturalmente, nella sezione “X” posta al limite del cedimento dove la contrazione sotto carico del terreno ha assunto il maggior valore. In questo caso il diagramma del carico nella parte relativa alla lunghezza L della base di risultante “P” interessata dal trascinamento attivo e reattivo, rimane rettangolare, il diagramma originario della reazione invece si trasforma in un diagramma di reazione effettiva con il quale ha in comune la risultante R in valore, coassiale e di senso contrario a P. In sintesi ciò vuol dire che lo sgravio totale della reazione del terreno, relativo al tratto di elemento sede del cedimento, aumentato dallo sgravio parziale della reazione corrispondente al tratto di muro imposto, deve uguagliare l’aggravio della reazione del terreno corrispondente al tronco imposto contiguo a quello del cedimento. Ne deriva che in una sezione del tratto di muro imposto lo sforzo tagliante e il momento si annullano come pure in tutte le sezioni del restante tronco imposto [5].

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5. GENESI DEL QUADRO FESSURATIVO 5.1. Stati sollecitativi Come è noto le tensioni normali che agiscono da sole sulle facce del cubetto elementare sono chiamate tensioni principali. Quella più grande, in valore algebrico, è detta tensione principale massima è viene indicata con il simbolo V1, quella più piccola è detta tensione principale minima e viene indicata con il simbolo V3 e la terza, intermedia tra le due precedenti, è la tensione principale media indicata con il simbolo V2. Da queste, attraverso le note relazioni che legano le tensioni principali, per mezzo del coefficiente di Poisson, determinato lo stato di dilatazione nelle tre direzioni principali, quest’ultime moltiplicate per il modulo di Young del materiale, consentono di addivenire alle tensioni ideali Vi1, Vi2 e Vi3, rispettivamente massima, media e minima. Esse hanno la stessa direzione e verso delle corrispondenti dilatazioni principali H1, H2, H3 e delle tensioni principali V1, V2, V3 in ogni punto del solido. Come è noto la tensione ideale massima è rappresentativa del cimento subito dal materiale nel punto considerato, più di quanto non lo sia la tensione principale massima dal momento che la prima risulta dalla partecipazione di tutte le tensioni principali e non di una sola (criterio di De Saint Venant) [6]. 5.2. Fratture dei solidi piani I muri di fabbrica hanno una delle dimensioni (spessore) molto più piccola delle altre due (lunghezza e altezza) e sono sollecitati da forze riconducibili nel loro piano medio, pertanto nello studio della frattura dei solidi piani ci si riferisce al sistema di assi coordinati ortogonali x, y, z con x e y giacenti nel piano medio. Nell’assenza di forze o di loro componenti normali nel piano medio, le tensioni elementari interne, in un punto generico P(xy), si riducono alle sole Vx, Vy, Wz applicate al cubetto elementare in P(xy). Facendo ruotare il cubetto elementare intorno ad un asse passante per il suo baricentro e parallelo all’asse delle z e variando l’orientamento delle facce parallele a quest’ultimo, variano anche le tensioni normali e tangenziali su esse agenti: fra gli infiniti orientamenti ne esiste uno e uno solo che annulla la tensione tangenziali lasciando agenti le sole tensioni normali. Queste tensioni normali sono l’una la tensione principale massima, V1, l’altra la tensione principale minima V2. In aderenza con le ipotesi fatte, si ammette che la frattura elementare del materiale si produca normalmente alla linea sostegno della tensione principale massima. In un solido fessurato sono ben riconoscibili i due cigli fessurativi f e f1 e in questo i punti corrispondenti A A1, B B1 ecc. In prima battuta si potrà supporre che le congiungenti A A1, B B1 rappresentino le linee d’azione delle corrispondenti tensioni principali massime che hanno determinato la frattura con la collaborazione delle minime [7]. Quanto sopra consente di ricostruire, per ogni frattura, almeno nella fase iniziale, il cubetto elementare orientato con quattro dei suoi spigoli nella direzione della tensione ideale massima, perché la linea di questa è individuata dal breve segmento di retta che congiunge due punti corrispondenti generici dei cigli della frattura. Il riconoscimento delle varie coppie di punti corrispondenti è reso possibile dalle deviazioni delle superfici di frattura dal loro andamento teorico, deviazioni che danno luogo a

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vari cigli fessurativi (sinuosi o fittamente spezzati) che rendono ben leggibile la corrispondenza fra i punti anzidetti(v. fig. 14 e 15).

f

f1

A A1

B

B1

A A1 B B1 SOLIDO IN POSTO

SOLIDO IN SEDE DI CEDIMENTO

f

f1

Figura 14. Cigli fessurativi e punti corrispondenti

Vmax Vmax SOLIDO IN POSTO

SOLIDO IN SEDE DI CEDIMENTO

t Vmax Vmax

Figura 15. Tangente t alla direttrice fessurativa e linea della tensione principale Vmax nel punto di tangenza

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5.3. Isostatiche e isodinamiche In un solido piano finito, in equilibrio sotto la forza delle azioni esterne applicate e delle reazioni dei vincoli, lo stato interno di tensione è definito dal valore delle tensioni elementari Vx, Vy, Wz che assumono in ciascuno dei suoi punti. In un certo numero di punti si possono determinare il valore della tensione ideale massima Vi1, della minima Vi2 e delle corrispondenti direzioni principali K1 e K2, scrivendo in ciascun d’esse il valore delle tensioni ideali massime, tracciando, con un breve tratto rettilineo la sua linea d’azione e con un breve tratto rettilineo discontinuo normale al precedente, la linea d’azione della tensione ideale minima. Riinfittendo questi punti, ci si accorge che i brevi tratti rettilinei inviluppano una famiglia di curve dette isostatiche di massimo e che i brevi tratti discontinui, inviluppano un’altra famiglia di curve dette isostatiche di minimo [8]. Le due famiglie costituiscono due congruenze di curve ortogonali. Per ogni generico punto passano due curve isostatiche: una di massimo, l’altra di minimo. La tangente alla prima, in un suo punto generico e sostegno della linea d’azione della tensione ideale massima agente nel punto e la tangente alla seconda nello stesso punto, è sostegno della tensione ideale minima. Interpolando linearmente tra i valori si possono individuare i punti nei quali la tensione ideale massima assume un valore costante. Collegati con una curva detti punti e ripetuta la procedura per più valori della tensione considerata, potrà tracciarsi, nel piano, un’ulteriore famiglia di curve dette isodinamiche di massimo. Ciascuna di esse è il luogo geometrico dei punti a pari tensione ideale massima [5]. Procedendo analogamente per le tensioni ideali minime si addiviene alla famiglia di curve dette isodinamiche di minimo. Se la tensione ideale massima delle massime in un certo punto P(xy) supera la capacità alla resistenza del materiale, questo subisce una frattura elementare 'f che, sulla base delle ipotesi assunte, risulta normale a quella tensione e sovrapposta all’elemento di isostatica di minimo per il punto che si definisce punto di originaria rottura. Se nella propagazione della frattura tutte le rotture elementari sono dislocate lungo la stessa isostatica di minimo, in tutti i punti della frattura resta verificata la condizione di ortogonalità fra la tangente alla curva fessurativa e la linea sostegno della tensione ideale massima. Resta da osservare che nella pratica le condizioni di ortogonalità anzidette possono non essere soddisfatte. Graficamente si può determinare una curva detta direttrice della tensione ideale originaria, luogo geometrico dei punti di tangenza delle isostatiche di massimo con le isodinamiche di massimo sede delle tensioni ideali massime che ammettono il loro massimo geometrico variando lungo l’isostatica. Questa curva è anche definita direttrice fessurativa perché sede della rottura del materiale murario. La direttrice fessurativa < nei suoi ripiani può insorgere in tre modi diversi (v. fig. 16): a) a ramo unico lungo la stessa isostatica di minimo; b) a rami multipli, lungo più isostatiche di minimo; c) a ramo unico al di fuori delle isostatiche di minimo. Nei primi due casi, le coppie di punti corrispondenti dei cigli sono normali alle tangenti alla linea media della frattura nei punti considerati. Nel terzo caso questa ortogonalità non sussiste.

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Rami fessurativi

Figura 16. Rami fessurativi multipli lungo due isostatiche di minimo con i ventri dislocati lungo la direttrice fessurativa

BIBLIOGRAFIA [1] Jappelli R., Cusimano G., Liguori V. Valore C., 1981. Contributo alla conoscenza del sottusuolo della città di Palermo. Atti della Riunione del Gruppo di Ingegneria Geotecnica del C.N.R., Roma 1981, pp. 271-289. [2] Gueli D., 2002. Palermo sotterranea. Regione Siciliana, Assessorato dei beni culturali e ambientali e della pubblica istruzione [3] Todaro P., 1988. Il sottosuolo di Palermo. Flaccovio Editore - Voll. I e II, Palermo [4] Valore C., 2000, Additional contribution to report nr 2: The role of calcarenites in the urbanization of Palermo. Proc. Of the 2nd Int. Symp. On Hard Soils – Soft Rocks, Naples Italy, October 1998, Vol. III, pp 1269-1281 [5] Mastrodicasa S, 1993, Dissesti statici delle strutture edilizie. Hoepli Editore – Milano [6] Timoschenko S., 1949, Résistence des matériaux. II Partie, Librairie polythechnique C.H. Berangér, Paris et Liège [7] Mastrodicasa S., 1934, Note introduttive allo studio dei fenomeni fessurativi. Annali dei Lavori Pubblici. Stabilimento tipo-litografico del Genio Civile, Roma [8] Mastrodicasa S., 1922, Applicazioni delle linee isostatiche allo studio dei fabbricati lesionati per cedimento delle fondazioni. Giornale del Genio Civile. Stabilimento tipo-litografico del Genio Civile, Roma

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INDICE DEGLI AUTORI Albanesi T., 717 Alibrandi U., 263 Antonucci P.L., 817 Anzani A., 239, 405, 609 Ascione F., 753, 739 Augenti N., 57, 169, 189 Baratta A., 251, 301 Barizza P., 123 Barni F., 691 Barroero M., 111 Belli P., 525 Benedettini F., 313, 325 Benfratello S., 561 Betti M., 703 Binda L., 239, 405, 609 Bontempi F., 3 Borino G., 429 Borri A., 959 Boscato G., 275, 287 Brigante M., 337, 849 Brighesella B., 513 Caiazza R., 781 Calzona R., 25 Campanella G., 839 Capuozzo S., 43, 145, 585 Carocci C.F., 157, 489 Carpinteri A., 369, 609 Cascio D., 111 Cascone S., 501 Caterino N., 131 Cavaleri L., 573 Cennamo C., 85, 301 Chiaia B., 111 Ciampoli M., 223 Cilia M., 729 Colajanni P., 793 Coppola L., 653 Corbi I., 251, 301, 525 Cosenza E., 43 Costanzo D., 111 Crea F., 817 Cucchiara C., 573 Cultrone R., 729 D’Aguanno V., 871 D’Arrigo A., 263 D’Urso M.G., 337 Damiani A., 971 De Benedictis R., 939 De Canio G., 621, 665

De Majo A., 65 De Santo D., 915 Di Lorenzo C., 251 Epasto G., 839 Fabbrocino F., 177 Faella C., 597, 915 Ferro G., 383 Fisciano R., 43 Frontera P., 817 Fuschi P., 395 Galano L., 691 Gallo M., 945 Gallotta M., 349 Garavaglia E., 239 Gasparini G., 889 Gentile C., 313, 325 Giambalvo R., 561 Giambanco F., 77 Giaquinto P., 621 Giordano A., 753 Giuffrè E., 549 Giuliani L., 211 Grammatico S., 561 Grazini A., 959 Greco R., 535 Iemmolo R., 429 Indelicato F., 149 Ipperico M., 383 Iraci Sareri S., 665 Jurina L., 95 Lacidogna G., 369, 609 Lauriano V., 359 Lazzari L., 827 Lazzari M., 453 Letizia F.S., 807 Levorato M., 549 Lo Giudice E., 945 Majowiecki M., 453 Malavolta D., 889 Mancusi G., 739 Manfredi G., 43 Mantegazza G., 769 Marchese S., 817 Martinelli E., 597, 915 Mazzoleni M., 95 Meloni D., 927 Menditto G., 201 Mezzina M., 465, 535 Migliore M.R., 807

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Modano M., 65, 177 Mongelli M.L., 621 Muneratti E., 189 Muscolino G., 665 Navarra G., 561, 945 Neri F., 489 Niccolini G., 369 Nigro E., 597, 915 Nudo R., 903 Nuti C., 717 Occhipinti C., 501, 729 Occhiuto G., 861 Occhiuzzi A., 131 Orefice R., 525 Ormellese M., 827 Paciello S., 597 Paglini M., 677 Palmeri A., 665 Parrinello F., 429 Pasquino M., 65, 177 Pastore T., 653 Pedeferri P., 827 Petrazzuoli S.M., 585 Pignata V., 383 Pisano A., 395 Poggi M., 621, 665 Polese M., 43 Porco F., 465 Priolo S., 561 Proietto L., 349 Pucinotti R., 641 Ranieri N., 621 Recupero A., 769, 781 Ricciardi G., 263 Russo S., 275, 287 Sacco M.M., 945 Saetta A., 441, 453 Salvadori N., 349 Scaini S., 879 Sceusa G., 769 Sciarretta F., 275, 287 Scilipoti C.D., 781 Scotta R., 441 Selleri F., 703 Sibilio E., 223 Silvestri S., 889 Siviero E., 123, 189, 513, 871 Spinella N., 793 Spinelli P., 691 Sturiale C., 665 Tertulliani A., 417

Tocci C., 477 Tolaccia P., 513 Tonietti U., 677 Tringali S., 939 Trombetti T., 889 Turazza D., 903 Uva G., 465, 535 Valente G., 417 Vanzi I., 717 Verderame G.M., 43 Viarenghi M., 879 Vignoli A., 703 Vitaliani R., 441, 453 Viti S., 903 Voiello G., 85 Wolff M., 211 Zanchettin A., 123 Zingone G., 573, 621 Zordan T., 513 Zuccaro G., 585

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