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Italian Pages 348 [356] Year 2011
COMMENTARIA ET LEXICA GRAECA IN PAPYRIS REPERTA (CLGP)
COMMENTARIA ET LEXICA GRAECA IN PAPYRIS REPERTA (CLGP) ediderunt
Guido Bastianini · Michael Haslam Herwig Maehler · Franco Montanari Cornelia Römer adiuvante Marco Stroppa
De Gruyter
COMMENTARIA ET LEXICA GRAECA IN PAPYRIS REPERTA (CLGP)
PARS I COMMENTARIA ET LEXICA IN AUCTORES VOL. 1 AESCHINES – BACCHYLIDES FASC. 4 ARISTOPHANES – BACCHYLIDES
EDITIO ALTERA
De Gruyter
ISBN 978-3-11-024591-2 e-ISBN 978-3-11-023901-0 BibliograęsĖe Information der DeutsĖen Nationalbibliothek Die DeutsĖe Nationalbibliothek verzeiĖnet diese Publikation in der DeutsĖen Nationalbibliograęe; detaillierte bibliograęsĖe Daten sind im Internet über hĴp://dnb.d-nb.de abruĠar. © 2012 Walter de Gruyter GmbH & Co. KG, Berlin/Boston Druė: Hubert & Co. GmbH & Co. KG, GöĴingen Lj Gedruėt auf säurefreiem Papier Printed in Germany www.degruyter.com
Prefazione alla prima edizione
Il primo volume dei Commentaria et Lexica Graeca in Papyris reperta ha assunto la seguente struttura: CLGP I.1: AESCHINES - BACCHYLIDES Fascicolo 1: Aeschines-Alcaeus (2004) Fascicolo 2: Alcman-Antimachus (in preparazione) Fascicolo 3: Apollonius Rhodius-Archilochus (in preparazione) Fascicolo 4: Aristophanes-Bacchylides (2006) L’ordine di pubblicazione dei fascicoli è determinato unicamente dal momento in cui i materiali sono pronti per la stampa. Per questo esce adesso il fasc. 4, anticipando i fasc. 2 e 3, che vedranno la luce probabilmente in ordine inverso, vale a dire il fasc. 3 nel 2007 e il fasc. 2 nel 2008. Ai criteri editoriali sono state apportate piccole modifiche di dettaglio, ma la struttura del CLGP rimane quella descritta e realizzata nel primo fascicolo del vol. I.1. Sono state qui inserite alcune tavole con le immagini di papiri, le cui riproduzioni non risultano pubblicate altrove oppure non sono facilmente accessibili. GUIDO BASTIANINI MICHAEL HASLAM HERWIG MAEHLER FRANCO MONTANARI CORNELIA RÖMER Firenze, ottobre 2006
Sul sito http://vitelli.ifnet.it/ si possono trovare informazioni aggiornate sul progetto CLGP; all’indirizzo [email protected] è possibile inviare aggiunte, correzioni, suggerimenti.
Prefazione alla seconda edizione
Poiché la prima edizione, pubblicata nel 2006, è esaurita, si è reso necessario preparare questa seconda edizione del fascicolo I.1.4 AristophanesBacchylides, nel quale è stata aggiornata la bibliografia e sono state incorporate nel testo aggiunte e correzioni. Il primo volume dei Commentaria et Lexica Graeca in Papyris reperta ha ora assunto la seguente struttura: CLGP I.1: AESCHINES - BACCHYLIDES Fascicolo 1: Aeschines-Alcaeus (2004) Fascicolo 2: Alcman-Antipho (in preparazione) Fascicolo 3: Apollonius Rhodius-Aristides (2011) Fascicolo 4: Aristophanes-Bacchylides (2006; 20122) È prevista in tempi brevi l’uscita di una seconda edizione anche del fascicolo I.1.1 Aeschines-Alcaeus.
GUIDO BASTIANINI MICHAEL HASLAM HERWIG MAEHLER FRANCO MONTANARI CORNELIA RÖMER Firenze, ottobre 2011
Criteri editoriali
I Commentaria et Lexica Graeca in Papyris reperta (CLGP) sono divisi in quattro parti: I) Commentaria et Lexica in auctores. Testi papiracei che contengono testimonianze dell’esegesi ad autori identificati. Questa parte sarà costituita da quattro volumi, a loro volta suddivisi in fascicoli: 1) Aeschines-Bacchylides 2) Callimachus-Hipponax 3) Homerus 4) Hyperides-Xenophon II) Commentaria in adespota. Testi esegetici riferiti a opere e autori non identificati, raggruppati secondo il genere letterario del testo commentato (epica, lirica etc.). III) Lexica. Prodotti di carattere lessicografico generale (i glossari a singoli autori sono nella parte I; non sono compresi i lessici bilingui). IV) Concordantiae et Indices. Un articolato sistema di riferimenti incrociati permetterà il reperimento dei materiali secondo diverse “chiavi” di accesso (per es. le citazioni degli autori e dei grammatici). La Parte I contiene i testi che appartengono alle seguenti tipologie: hypomnemata; hypotheseis; syggrammata; glossari a singoli autori; voci di lessici riportabili a un autore; marginalia (scholia e glosse). Sono stati tralasciati i testi che presentano segni marginali e varianti senza parole di commento e quelli di contenuto esclusivamente biografico, mentre sono inclusi i testi comprensivi di elementi sia esegetici, che biografici. A discrezione del curatore, inoltre, potranno essere considerati altri materiali di carattere esegetico. I termini ‘glossario’ e ‘lessico’ non sono usati come sinonimi: il glossario presenta i lemmi nell’ordine in cui compaiono in una determinata opera di un autore; nei lessici, invece, i lemmi mostrano un ordinamento alfabetico e possono essere tratti da autori e opere diversi.
VIII
Criteri editoriali
I papiri sono disposti per autori commentati, in successione alfabetica secondo la forma latina del nome. Per ogni autore si prevede una introduzione generale, cui seguono le schede in cui vengono trattati i papiri che conservano materiali esegetici relativi alle opere, ordinate alfabeticamente secondo la forma latina del titolo (quelle non identificate sono in fondo); quando questo criterio non risulta applicabile i testi sono in sequenza alfabetica per collezione papirologica. Un punto interrogativo dopo il numero contraddistingue i papiri assegnati a un autore in forma dubitativa. Se nessuna attribuzione risulta accettata dal curatore, il papiro sarà pubblicato fra i Commentaria in adespota. Se il carattere esegetico dell’opera non è sicuro, il punto interrogativo segue il titolo identificativo del genere dell’opera. Non sono numerati autonomamente, ma solo descritti in brevi schede, i frammenti sulla cui natura rimangono incertezze radicali. All’inizio di ogni scheda numerata sono fornite una serie di indicazioni così suddivise: Prov.: Provenit (luogo di ritrovamento secondo la denominazione latina al nominativo). Cons.: Conservatur (luogo di conservazione). Ed./Edd.: Edidit/Ediderunt (edizioni del testo; le abbreviazioni bibliografiche che compaiono qui possono trovarsi anche sotto la voce Comm.). Tab./Tabb.: Tabula/Tabulae (indicazioni delle riproduzioni esistenti). Comm.: Commentationes (numerazione in MP3 seguita da quella in Pack2, se differente; segue il numero di LDAB. Le sigle MP3 e LDAB rimandano ai repertori disponibili on line agli indirizzi: http://promethee.philo.ulg.ac.be/cedopal/index.htm e http://trismegistos.org/ldab/index.php. Segue la bibliografia in ordine cronologico e in forma abbreviata: le indicazioni bibliografiche complete si trovano nel Conspectus librorum). A un’introduzione sul papiro, nel caso dei commentari, segue la trascrizione letteraria dell’intero testo con i lemmi in grassetto. Nel caso delle annotazioni marginali, per alcuni papiri è preferibile fornire la trascrizione sia del testo letterario (a volte solo in parte), sia delle note, riproducendo fedelmente la posizione dei marginalia. In altri casi è riportato in primo luogo il lemma cui l’annotazione si riferisce (una parola, un verso) con a sinistra l’indicazione in grassetto del numero del verso nell’opera o del frammento nell’edizione di riferimento e, se opportuno, a destra il numero della riga nel papiro. In particolare: 1) è possibile riferire l’annotazione a un punto specifico del testo commentato: se il lemma è conservato, viene stampato in grassetto; se il lemma cade in parte o completa-
Criteri editoriali
IX
mente in lacuna, si fa uso delle parentesi quadre per indicare l’integrazione; 2) non è possibile riferire l’annotazione a un lemma specifico: al suo posto di trova un punto di domanda, fra parentesi quadre se riferito a una parte di testo non conservata. In secondo luogo si fornisce la trascrizione dell’annotazione, in base alla disposizione del testo originale sul papiro, corredata dall’apparato papirologico – riservato alla realtà grafica del papiro – e dall’apparato critico. Se nel papiro vi è lo iota mutum, nell’edizione del testo viene ascritto; in caso contrario, nel testo è sottoscritto. Le scritture anomale sul papiro sono indicate in apparato papirologico e normalizzate nel testo secondo gli usi correnti (ad es.: nel testo givnomai, in apparato geinomai pap.). I numeri romani si riferiscono alle colonne, i numeri arabi ai righi. Si è adottata la numerazione dei righi per colonne, anche quando nell’edizione originale compare la numerazione continua. La traduzione, se presente (vi sono casi in cui il curatore non ha ritenuto opportuno inserirla), è posta generalmente dopo gli apparati; a discrezione del curatore può trovarsi anche nelle note di commento. Minimi dettagli redazionali varieranno a seconda della lingua in cui sono scritti i contributi. Per la citazione dell’opera si adotterà il seguente criterio: il nome dell’autore, accompagnato dal numero che contrassegna il papiro, quindi dalla sigla della raccolta (ad es. Aeschylus 1 CLGP). Per i rimandi interni si utilizza il simbolo di una freccia (⇒), seguito dalle indicazioni della parte (in numero romano: ⇒ III, a significare CLGP III Lexica) o dal nome dell’autore cui si aggiunge il numero di riferimento del papiro (ad es. ⇒ Aeschylus 1). All’interno della sezione su un autore, il rimando a un papiro della stessa sezione è indicato con il solo simbolo ⇒ seguito dal numero. Le sigle dei papiri sono quelle della Checklist of Editions of Greek, Latin, Demotic and Coptic Papyri, Ostraca and Tablets, ed. J.F. Oates, R.S. Bagnall, S.J. Clackson, A.A. O’Brien, J.D. Sosin, T.G. Wilfong and K.A. Worp BASP Suppl. 9, 2001 (versione continuamente aggiornata da J.F. Oates e J.D. Sosin on line all’indirizzo: http://scriptorium.lib.duke.edu/papyrus/texts/clist.html.) Le riviste sono abbreviate secondo le sigle de L’Année Philologique. Bibliographie critique et analytique de l’antiquité gréco-latine, Paris 1928-. Per i nomi e le opere degli autori greci si utilizzano le abbreviazioni del Vocabolario della lingua greca di Franco Montanari (= GI2), pp. 4-42: in caso di autori omonimi, ivi diversificati con esponente, o di opere indicate con un numero (sciolto con un titolo greco, per es. Plutarco), si è ricorso ad abbreviazioni perspicue, confrontando il LSJ ed eventualmente il Thesaurus Linguae Graecae. Canon of Greek Authors and Works, by L. Berkowitz-K.A. Squitier New
X
Criteri editoriali
York-Oxford 1990 (versione on line aggiornata al sito www.tlg.uci.edu). Per gli scrittori e le opere latini si segue l’Oxford Latin Dictionary, Ed. by P.G.W. Glare, Oxford 1996. ELENA ESPOSITO MARCO STROPPA
Curatori
Aristophanes ELENA ESPOSITO FAUSTO MONTANA Aristoteles ELENA ESPOSITO FRANCO MONTANARI MARCO STROPPA Autoclides ELENA ESPOSITO Bacchylides ELENA ESPOSITO HERWIG MAEHLER Hanno collaborato inoltre: DAVIDE MURATORE SIMONA RUSSO RENZO TOSI Gli Editors sono citati in sigla: GB GUIDO BASTIANINI MH MICHAEL HASLAM HM HERWIG MAEHLER FM FRANCO MONTANARI CR CORNELIA RÖMER Edd. Editores omnes Si ringrazia per la disponibilità in occasione dell’esame degli originali: D. Bornemann (Bibliothèque Nationale et Universitaire di Strasburgo); N. Gonis (Sackler Library di Oxford); A. Martin (Musées Royaux d’Art et d’Histoire di Bruxelles); M. Pastoureau (Bibliothèque de l’Institut de France di Parigi); R. Pintaudi (Biblioteca Medicea-Laurenziana di Firenze); G. Poethke (Staatliche Museen zu Berlin Preussischer Kulturbesitz, Ägyptisches Museum und Papyrussammlung).
Revisori dei papiri
or = originale imm = immagine a stampa o digitale Aristophanes 1 Aristophanes 2 Aristophanes 3 Aristophanes 4 Aristophanes 5 Aristophanes 6 Aristophanes 7 Aristophanes 8 Aristophanes 9 Aristophanes 10 Aristophanes 11 Aristophanes 12 Aristophanes 13 Aristophanes 14 Aristophanes 15 Aristophanes 16 Aristophanes 17 Aristophanes 18 Aristophanes 19 Aristophanes 20 Aristophanes 21 Aristophanes 22 Aristophanes 23 Aristophanes 24 Aristophanes 25 Aristophanes 26 Aristophanes 27 Aristophanes 28 Aristophanes 29 Aristophanes 30 Aristophanes 31
GB/FAUSTO MONTANA/MARCO STROPPA GB/FAUSTO MONTANA/MARCO STROPPA GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO (perduto) FAUSTO MONTANA/JEAN-LUC FOURNET GB/FM/MARCO STROPPA GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO FAUSTO MONTANA GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO TRAIANOS GAGOS GB/MARCO STROPPA ROGER S. BAGNALL GÜNTER POETHKE CR MARCO STROPPA CR FAUSTO MONTANA GB/FAUSTO MONTANA/MARCO STROPPA GB/FAUSTO MONTANA/MARCO STROPPA (perduto) GB/FAUSTO MONTANA/MARCO STROPPA GB/FAUSTO MONTANA/MARCO STROPPA GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO GB/FAUSTO MONTANA/MARCO STROPPA GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO GB/FAUSTO MONTANA/MARCO STROPPA GB/FAUSTO MONTANA/MARCO STROPPA FAUSTO MONTANA GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO
or or or or or or or imm or or or or or or or or imm or or or or or or or or or imm or or
Revisori dei papiri
XIII
Aristophanes 32 Aristophanes 33 Aristophanes 34 Aristophanes 35
ROGER S. BAGNALL GB/FAUSTO MONTANA ELENA ESPOSITO ELENA ESPOSITO
or imm imm imm
Aristoteles 1 Aristoteles 2 Aristoteles 3 Aristoteles 4 Aristoteles 5 Aristoteles 6 Aristoteles 7 Aristoteles 8
GB/FM/MARCO STROPPA GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO HM GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO
or or or or or or or or
Autoclides 1
GB/MARCO STROPPA/ELENA ESPOSITO
or
Bacchylides 1 Bacchylides 2 Bacchylides 3 Bacchylides 4 Bacchylides 5 Bacchylides 6 Bacchylides 7
HM HM HM HM HM HM ELENA ESPOSITO
or or or or or or or
Per le immagini digitali sono stati consultati i seguenti siti: www.columbia.edu/cu/lweb/projects/digital/apis/index www.papyrologie.paris4.sorbonne.fr www.papyrology.ox.ac.uk/POxy/papyri/the_papyri Si ringraziano per l’invio di immagini digitali: S. Lazaris per P.Acad. inv. 3 d; T. Gagos per P.Mich. inv. 3690 (image digitally reproduced with the permission of the Papyrology Collection, University of Michigan, Graduate Library); M.-H. Marganne per numerose immagini dall’archivio del CEDOPAL di Liegi; G. Poethke per P.Berol. inv. 13929 (Staatliche Museen zu Berlin Preussischer Kulturbesitz, Ägyptisches Museum und Papyrussammlung).
Siglorum et compendiorum explicatio
ãaaaà ªaaaº ·aaa‚ (aaa) øaaaØ a≥a≥a≥ ª≤≤≤º º≤≤≤ª õaaaÕ |
litterae coniectura additae litterae coniectura restitutae litterae a librario deletae litterae per compendium a librario omissae litterae delendae litterae valde incertae numerus litterarum quae perierunt litterarum vestigia dubia litterae ex testimonio alio antiquo allatae versus finis
addit. ad l. app. app. crit. app. pap. ap. art., artt. c. ca. cap., capp. cett. cfr. cit., citt. cl. cod., codd. col., coll. coni. corr. d.h. del. dist.
additamentum ad locum apparato apparato critico apparato papirologico apud articolo, articoli carmen circa capitolo, capitoli ceteri confronta citato, citati collatus codex, codices colonna, colonne coniecit, coniecerunt etc. correctio, correxit, correxerunt etc. das heisst delevit, deleverunt distinxit, distinxerunt etc.
Siglorum et compendiorum explicatio dub. Ead. ed., edd. ed. pr. etc. es., ess. e.g. f., ff. fin. fl. fort. fr., frr. ibid. Id. in. inf. interl. inv. iudic. Kol. l., ll. l.c., ll.cc. leg. mal. mg. ms., mss. n., nn. nr., nrr. om. p., pp. pap. part. perg. pot. put. r., rr. restit. s., ss. s. sch. sch. ad l. scil.
dubitanter Eadem editor, editores, edidit, ediderunt editor vel editio princeps et cetera esempio, esempi exempli gratia folium, folia in fine floruit fortasse frammento, frammenti ibidem Idem initium inferiore interlinea inventario iudicavit, iudicaverunt etc. Kolumne linea, lineae locus citatus, loci citati legit, legerunt malim, malui, maluerunt etc. margine manoscritto, manoscritti nota, note numero, numeri omittit, omittunt pagina, pagine papiro particolarmente pergamena potius putavit, putaverunt rigo, righi restituit, restituerunt seguente, seguenti siehe scholium scholium ad locum scilicet
XV
XVI scr. sec. sim. s.l. s.v., s.vv. sup. suppl. susp. Taf. tav., tavv. trad. vd. v.l. v., vv. vgl. vol., voll. Z. z.T.
Siglorum et compendiorum explicatio scripsit, scripserunt secolo similiter, similius supra lineam sub voce, sub vocibus superiore supplevit, suppleverunt, supplementum etc. suspicans, suspicatur, suspicantur etc. Tafel tavola, tavole traduzione vedi varia lectio verso, versi vergleiche volume, volumi Zeile zum Teil
Conspectus librorum
ABBAMONTE 2004
ALLEN 1901 ALVONI 1997 ANDORLINILINGUITI 1989 ANDRIEU 1954 ARRIGHETTI 1968 ARRIGHETTI 1987 ATHANASSIOU 1999
AUSTIN 1973 AUSTIN 1980
BAGORDO 1998 BARBIS 1988
BARNES 1997
BARRON 1983 BASTIANINI 1995
BASTIANINI 2006
G. ABBAMONTE, Tipologie esegetiche nei commenti di Alessandro di Afrodisia: la parafrasi, in L’ultima parola. L’analisi dei testi: teorie e pratiche nell’antichità greca e latina, a cura di G. Abbamonte, F. Conti Bizzarro, L. Spina, Napoli 2004, pp. 19-34. T.W. ALLEN, rec. a GRENFELL-HUNT 1901, CR 15, 1901, pp. 425426. G. ALVONI, Etère ed olive. In margine ad Aristoph. fr. 148 K.-A., Eikasmós 8, 1997, pp. 83-88. I. ANDORLINI-A. LINGUITI, POxy 2087, col. II 6-10; col. II 42-44 in CPF I.1*, pp. 365-366; 337-338. J. ANDRIEU, Le dialogue antique. Structure et présentation, Paris 1954. G. ARRIGHETTI, Il POx XIII 1611: alcuni problemi di erudizione antica, SCO 17, 1968, pp. 76-98. G. ARRIGHETTI, Poeti, eruditi e biografi. Momenti della riflessione dei Greci sulla letteratura, Pisa 1987. N. ATHANASSIOU, Marginalia and Commentaries in the Papyri of Euripides, Sophocles and Aristophanes, PhD Thesis, University College London, London 1999. Comicorum Graecorum Fragmenta in Papyris reperta (CGFP), ed. C. AUSTIN, Berolini et Novi Eboraci 1973. C. AUSTIN, The Florence Papyrus of Ar. Thesm., in Miscellanea papyrologica, a cura di R. Pintaudi, Papyrologica Florentina VII, Firenze 1980, pp. 12-13. A. BAGORDO, Die antiken Traktate über das Drama. Mit einer Sammlung der Fragmente, Stuttgart-Leipzig 1998. R. BARBIS, La diplè obelismene: precisazioni terminologiche e formali, in “Proceedings of the XVIII International Congress of Papyrology. Athens 25-31 May 1986”, II, Athens 1988, pp. 473-476. J. BARNES, Roman Aristotle, in Philosophia Togata II. Plato and Aristotle at Rome, Ed. by J. Barnes and M. Griffin, Oxford 1997, pp. 1-69. J.P. BARRON, The Fifth-Century Horoi of Aigina, JHS 103, 1983, pp. 1-12. G. BASTIANINI, Tipologie dei rotoli e problemi di ricostruzione, in “Atti del V Seminario internazionale di papirologia”, a cura di M. Capasso, PapLup 4, 1995, pp. 21-41. G. BASTIANINI, Considerazioni sulle Diegeseis fiorentine (PSI XI
XVIII
BASTIANINI-LONG 1992 BEAVIS 1988 BEECROFT 2007-2008 BEEKES, EDG BILES 1999 BINGEN 1977
BLANCHARD 1974
BLANCHARD 1997 BLASS 1880 BLASS 1897 BLASS 1901 BONNER-SMITH 1938 BORKOWSKI 1975 BOSSI-TOSI 1979-1980 BOUDREAUX 1919 BROCKMANN 2004
CADELL 1966 CALAME 1983 CAMERON 2004 CAMPAGNER 2001 CAROLI 2005 CAROLI 2007 CASSIO 1981 CAVALLO 1967
Conspectus librorum 1219), in Callimaco, cent’anni di papiri, a cura di G. Bastianini e A. Casanova, Firenze 2006, pp. 149-166. G. BASTIANINI-A.A. LONG, PBerol inv. 9780 v, in CPF I.1**, pp. 268-451. C. BEAVIS, Insects and Other Invertebrates in Classical Antiquity, Oxford 1988. A.J. BEECROFT, Nine Fragments Attributed to Terpander, CJ 103, 2007-2008, pp. 225-241. Etymological Dictionary of Greek, by R. BEEKES, with the Assistance of L. VAN BEEK, Leiden-Boston 2010. Z. BILES, Eratosthenes on Plato Comicus: Didascaliae or Parabasis?, ZPE 127, 1999, pp. 182-188. Au temps où on lisait le grec en Égypte. Catalogue de l’exposition de papyrus et d’ostraca, (par) J. BINGEN avec la collaboration de M. Lewuillon-Blume et J. Quaegebeur, Bruxelles 1977. A. BLANCHARD, Sigles et abréviations dans les papyrus documentaires grecs: recherches de paléographie (BICS Suppl. 30), London 1974. A. BLANCHARD, Destins de Ménandre, Ktema 22, 1997, pp. 213225. F. BLASS, Neue Papyrusfragmente eines Historikers im Aegyptischen Museum zu Berlin, Hermes 15, 1880, pp. 366-382. F. BLASS, rec. a GRENFELL-HUNT 1897, LZ 48, 1897, col. 334. F. BLASS, rec. a GRENFELL-HUNT 1901, LZ 52, 1901, col. 1769. The Administration of Justice from Homer to Aristotle, by R.J. BONNER and G. SMITH, II, Chicago 1938. Z. BORKOWSKI, Une description topographique des immeubles à Panopolis, Warszawa 1975. F. BOSSI-R. TOSI, Strutture lessicografiche greche, BIFG 5, 19791980, pp. 7-20. P. BOUDREAUX, Le texte d’Aristophane et ses commentateurs, Paris 1919. C. BROCKMANN, Das Papyrusfragment und die ältesten byzantinischen Textzeugen der Analytika des Aristoteles, Philologus 148, 2004, pp. 50-59. H. CADELL, Papyrus de la Sorbonne (P.Sorb. I) nos 1 à 68, Paris 1966. Alcman. Fragmenta edidit, veterum testimonia collegit C. CALAME, Roma 1983. A. CAMERON, Greek Mythography in the Roman World, Oxford 2004 R. CAMPAGNER, Lessico agonistico di Aristofane, Roma-Pisa 2001. M. CAROLI, SILLUBOI o SILLUBA? (Cicerone, Ad Attico 4, 4a; 4, 8, 2; 4, 5, 4), S&T 3, 2005, pp. 39-49. M. CAROLI, Il titolo iniziale nel rotolo librario greco-egizio, Bari 2007. A.C. CASSIO, A ‘Typical’ Servant in Aristophanes (Pap. Flor. 112, Austin 63, 90 ff.), ZPE 41, 1981, pp. 17-18. G. CAVALLO, Ricerche sulla maiuscola biblica, Firenze 1967.
Conspectus librorum CAVALLO 1974
XIX
G. CAVALLO, Lo stile di scrittura ‘epsilon-theta’ nei papiri letterari: dall’Egitto a Ercolano, CErc 4, 1974, pp. 33-36 (= CAVALLO 2005, pp. 123-128). CAVALLO 1986 G. CAVALLO, Conservazione e perdita dei testi greci: fattori materiali, sociali, culturali, in Società romana e impero tardoantico, IV, Tradizione dei classici. Trasformazioni della cultura, a cura di A. Giardina, Roma-Bari 1986, pp. 83-172, 246-271 (= G. CAVALLO, Dalla parte del libro. Storie di trasmissione dei classici, Urbino 2002, pp. 49-175). CAVALLO 1991 G. CAVALLO, La scrittura greca libraria tra i secoli I a.C.-I d.C. Materiali, tipologie, momenti in HARLFINGER-PRATO 1991, pp. 11-29 (= CAVALLO 2005, pp. 107-122). CAVALLO 2005 G. CAVALLO, Il calamo e il papiro. La scrittura greca dall’età ellenistica ai primi secoli di Bisanzio, Papyrologica Florentina XXXVI, Firenze 2005. CAVALLO 2008 G. CAVALLO, La scrittura greca e latina dei papiri. Un’introduzione, Pisa-Roma 2008. CAVALLO-MAEHLER 1987 G. CAVALLO-H. MAEHLER, Greek Bookhands of the Early Byzantine Period: A.D. 300-800, (BICS Suppl. 47), London 1987. CAVINI 1989 W. CAVINI, Topica 109a34-35; b4-9; 9-12; 13-15, in CPF I.1*, p. 376. CGFP = AUSTIN 1973. CHADWICK 1996 J. CHADWICK, Lexicographica Graeca. Contributions to the Lexicography of Ancient Greek, Oxford 1996. CHAMBERS 1967 M.H. CHAMBERS, The Berlin Fragments of the Ath. Pol., TAPhA 98, 1967, pp. 49-66. CHAMBERS 1971 M.H. CHAMBERS, More Notes on the Text of the Ath. Pol., TAPhA 102, 1971, pp. 41-47. CHANTRAINE 1961 Morphologie historique du Grec par P. CHANTRAINE, Paris 19612. CHANTRY 1994 Scholia vetera in Aristophanis Plutum, ed. M. CHANTRY, Groningen 1994. CLARYSSE 1976 W. CLARYSSE, Notes on the Use of the Iota Adscript in the Third Century B.C., CE 51, 1976, pp. 150-166. COHN 1895a L. COHN, Apollonios nr. 77, in RE II/1, 1895, col. 135. COHN 1895b L. COHN, Apollonios nr. 78, in RE II/1, 1895, col. 135. COHN 1907 L. COHN, Euphronios nr. 7, in RE VI/1, 1907, coll. 1220-1221. COMPARETTI 1908 Papiri Greco-Egizii. Papiri Fiorentini, per cura di D. COMPARETTI, II, Milano 1908. CPF Corpus dei Papiri Filosofici. Testi e lessico nei papiri di cultura greca e latina, I.1*, Firenze 1989; I.1**, Firenze 1992; I.1***, Firenze 1999; III, Firenze 1995; IV, Firenze 2002. CPP Catalogue of Paraliterary Papyri, ed. by M. Huys (http://cpp. arts.kuleuven.be/) CRIBIORE 2001 R. CRIBIORE, Gymnastics of the Mind. Greek Education in Hellenistic and Roman Egypt, Princeton-Oxford 2001. CRISCI 1998 E. CRISCI, P.Flor. II 112, in Scrivere libri e documenti nel mondo antico, a cura di G. Cavallo, E. Crisci, G. Messeri, R. Pintaudi, Papyrologica Florentina XXX, Firenze 1998, pp. 132-133. CRISCI-DEGNI 2002 Papiri letterari della Biblioteca Medicea Laurenziana, dir. scienti-
XX
CRÖNERT 1901 CRÖNERT 1903 CRÖNERT 1908a CRÖNERT 1908b CRÖNERT 1922 CRUSIUS 1898
DAITZ 1970 DAITZ 1979 DARIS 1968 DAVIES 1971 DEBUT 1986 DEICHGRÄBER 1957 DELG
DE LUCA 2001
DEL CORSO 2006 DEL FABBRO 1979 DEMIAN´ CZUK 1912 DENNISTON 1954 DEVELIN 1989 DI BLASI 1997
DICKEY 2007
DIELS 1885
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EDMONDS 1957
ESPOSITO 2005 ESPOSITO 2006 ESPOSITO 2007
ESPOSITO 2009a ESPOSITO 2009b ESPOSITO 2010
ESPOSITO 2011 FARAGGIANA DI SARZANA 2009
FOURNET 2004
FOURNET-GASCOU 2008
FRACCAROLI 1902 FRASER 1972 FUNGHI-CAVINI 1989 FUNGHI-CAVINI 1995 GALLAVOTTI 1957 GARZYA 1981
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LASSERRE 1975
LATTE 1953 LEEUWEN 1909 LEEUWEN 1912 LGGA LLOYD-JONES 1958 LLOYD-JONES – PARSONS 1983 LOBEL 1951 LOBEL 1956 LOBEL 1968 LODI 1920 LORD 1986 LOUIS 1964 LOWE 1962 LSJ
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LUPPE 1975 LUPPE 1978a LUPPE 1978b LUPPE 1980a LUPPE 1980b LUPPE 1982 LUPPE 1984 LUPPE 1987 LUPPE 1988
LUPPE 1989a LUPPE 1989b LUPPE 1989c LUPPE 1992 LUPPE 1997a LUPPE 1997b LUPPE 1999 LUPPE 2000
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Conspectus librorum LUPPE 2001 LUPPE 2002a
LUPPE 2002b MAEHLER 1968 MAEHLER 1982
MAEHLER 1994
MAEHLER 1997 MAEHLER 1998 MAEHLER 2000
MAEHLER 2003 MAEHLER 2004 MANCUSO 2009 MANFREDI 2000
MANIERI 1990 MASTROMARCO 1974 MASTROMARCO 1975 MASTROMARCO 1978 MASTROMARCO 1983 MASTROMARCO 1993
MASTROMARCO 1994
XXVII
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XXVIII MASTROMARCO 1998
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Conspectus librorum MESSERI SAVORELLIPINTAUDI 1996 MESSERI SAVORELLIPINTAUDI 2002
METTE 1959 METTE 1968
MILNE 1927 MINNEN 1998
MINNEN-WORP 1993 MONTANA 1996a MONTANA 1996b MONTANA 2000
MONTANA 2001a MONTANA 2001b MONTANA 2002a MONTANA 2002b MONTANA 2004
MONTANA 2005
MONTANA 2006
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XXX
Conspectus librorum
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OLSON 1998 OLSON 2002 ORSINI 2005 OTRANTO 2000 OTRANTO 2001
PAGE 1971 PAPATHOMAS 2003
PARKER 1983 PARKER 1997 PASQUALI 1952 PCG PERRONE 2009a PERRONE 2009b PERRONE 2010
PERUSINO 1987 PFEIFFER 1968
XXXI
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XXXII PIRROTTA 2006
PIRROTTA 2009 PLATNAUER 1933
PMG PMGF POETHKE 1993 POLTERA 1997 PORRO 2004 POULTNEY 1979 PREISENDANZ 1928 PUGLIA 1997 RADT 1977 RADT 1985
RADT 1999 RASHED 2005 RE REES-BELL-BARNS 1959
REITZENSTEIN 1900 RHODES 1981 ROBBINS 1992 RONCONI 2005 ROSELLI 1979a ROSELLI 1979b ROSEN 1989
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Conspectus librorum
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SCHIRONI 2007
SCHIRONI 2009
SCHMID 1946 SCHMIDT 1848
SCHMIDT 1854
SCHMIDT 1918 SCHMIDT 1924 SCHREIBER 1975 SCHRÖDER 1999 SCHUBARTWILAMOWITZ 1907 SCHWYZER 1953 SCHWYZERDEBRUNNER 1950 SEGAL 1976 SEIDER 1970 SH SICKING 1964 SIFAKIS 1971 SLATER 1988 SLATER 2007 SLG SLUITER 2000
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STÄHLIN 1936 STARK 1972 STEINHAUSEN 1910
STEPHANOPOULOS 1983 STEPHANOPOULOS 1987 STEPHEN 1959 STERN 1967 STOREY 2002 STRECKER 1884 STROPPA 2008 STROPPA 2009 STROPPA 2010
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PARS I COMMENTARIA ET LEXICA IN AUCTORES Vol. 1 AESCHINES – BACCHYLIDES FASC. 4 ARISTOPHANES – BACCHYLIDES
ARISTOPHANES
La tradizione diretta delle commedie di Aristofane anteriore alla Rinascenza macedone nel IX secolo consta attualmente di una cinquantina di copie frammentarie di attribuzione certa o probabile1, datate fra il I secolo a.C. e il VII d.C., di cui oltre un terzo (18) riporta spiegazioni del testo letterario negli intercolumni o nei margini della pagina (Tavola 1, p. 10)2. Disponiamo inoltre di frammenti di 6 hypomnemata separati dal testo letterario (Tavola 2, p. 11) e di alcuni resti di lessici che riportano termini o espressioni del commediografo3. La documentazione di note marginali e commentari è più che raddoppiata rispetto a quella disponibile appena tre decenni or sono4. Oltre all’acquisizione di nuovi testimoni5, nel tempo intercorso sono state avanzate significative riconsiderazioni del testo, del contenuto e, in qualche caso, della natura stessa di testi già noti (per i casi puntuali si rimanda alla bibliografia e al commento dei singoli frammenti). Varie questioni specifiche s’intrecciano con due aspetti fondamentali e alquanto dibattuti, che valicano il milieu degli
1 Per l’esattezza, si contano 51 copie in frammenti di commedie aristofanee, che, sommate ai resti di 6 hypomnemata, portano a 57 il totale dei testimoni. Da MP3 (maggio 2006) risultano 55 testimoni complessivi, cui si devono però aggiungere P.Amh. II 13 (MP3 1626) ⇒ 29 e il fr. dubium P.Oxy. XI 1402 (MP3 1630) ⇒ 32 (?). Nel LDAB (maggio 2006) sono rubricati sotto il nome di Aristofane 65 papiri, alcuni dei quali di attribuzione largamente ipotetica. 2 L’attestazione di semeia critici ‘aristarchei’ isolati è molto limitata. Nel recto di P.Oxy. XIII 1617 ⇒ 21 è apposta l’ancora (č) a indicare l’omissione di due versi (Pl. 20-21). Il c figura in P.Oxy. II 212 (MP3 156; LDAB 343), testimone di commedia aristofanea forse identificabile con le Thesmophoriazusae Secundae o con le Lemniae (fr. 592 K.-A.) cui va unito P.Oxy. XXXVII 2808 (Ronconi 2005, che propone una datazione alla seconda metà del Ia, cfr. Cavallo 1991, pp. 17-18 = Cavallo 2005, p. 112); è probabile che qui il semeion abbia funzione esegetica, contrassegnando il tenore proverbiale dell’espressione w{çper ªçºelhvnh gΔ hJlivwi contenuta nel verso adiacente (col. II r. 15). Da segnalare, infine, che il presunto antisigma che ricorre due volte in P.Amh. II 13 (⇒ 29) con ogni probabilità collega un punto del testo poetico a una spiegazione marginale. 3 Sui lessici di tradizione papiracea che citano Aristofane vd., infra, le introduzioni ai frammenti curate da Elena Esposito. Per le menzioni di Aristofane sparse nella letteratura erudita concernente altri autori si rimanda alle sezioni riservate agli autori medesimi. 4 McNamee 1977, pp. 177 con la n. 32, 187-189: 11 testimoni, di cui resti di 8 copie con marginalia e 3 frammenti di hypomnemata. 5 Tra le nuove acquisizioni si deve qui segnalare il ricongiungimento di Bodl. Ms. Gr. Class. f. 72 (P), noto da tempo, con P.Acad. inv. 3 d, di prossima pubblicazione a cura di J.-L. Fournet.
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Aristophanes
studi aristofanei e interessano il più vasto territorio della tradizione dei testi fra la tarda antichità e l’epoca bizantina: da un lato, l’origine, la funzione e la forma degli hypomnemata, dei marginalia e dei lessici; dall’altro, il rapporto tradizionale sussistente sia tra queste forme esegetiche, sia tra di esse e scolii e lessici di tradizione medievale. Non è possibile, in questa sede, dar conto del dibattito, per il quale disponiamo di alcune recenti e dettagliate discussioni e mises au point; è del resto evidente e inevitabile che l’esame dei frammenti di esegesi aristofanea proceda sullo sfondo di quegli interrogativi generali e delle relative risposte avanzate in sede critica, interagendo con essi e influenzandoli in modo sostanziale6. La casualità e la localizzazione prevalente dei rinvenimenti (il fulcro è Ossirinco, da cui è accertata la provenienza di tredici testimoni, fra copie con marginalia e hypomnemata, nonché dei due lessici più significativi con citazioni di Aristofane)7 impediscono di assumerli a campione per un’esatta valutazione complessiva della tradizione testuale aristofanea nell’arco cronologico interessato. Alcuni dati oggettivi, tuttavia, sono stati e devono qui essere posti nella giusta evidenza. Le copie di commedie datate non oltre il III secolo sono meno della metà di quelle risalenti al periodo compreso fra il IV e il VII (rispettivamente 16 contro 35; di cui 5 contro 13 con marginalia esegetici): il fenomeno – confermato dai dati pertinenti a Ossirinco8 – è in controtendenza rispetto a quanto si osserva per Eschilo, Sofocle e Menandro (non per Euripide) ed è stato posto in connessione principalmente con le iniziative di recupero, selezione e conservazione degli autori classici da parte della corte costantinopolitana nel IV secolo e con la generalizzata sostituzione delle commedie di Menandro con quelle di Aristofane nei programmi delle istituzioni scolasti-
6 La più recente sintesi su commedia attica antica e filologia alessandrina è in Trojahn 2002, pp. 123-135, con bibliografia precedente (puntualizzazioni in Montana 2005, p. 9 n. 39; cfr. anche Mastromarco 2006). Selettivamente, sul rapporto tra esegesi su papiro e scolii: Maehler 1994 (sulla tradizione aristofanea: pp. 124-127); Lundon 1997; Athanassiou 1999; Luppe 2002a; Messeri Savorelli-Pintaudi 2002, pp. 37-57; Trojahn 2002. Sul rapporto tra lessicografia su papiro e lessicografia di tradizione medievale: Naoumides 1964; Id. 1969, pp. 199-201; Haslam 1994, pp. 1-45, 107-119; Esposito 2007. In generale sull’esegesi antica nei papiri: Papathomas 2003; McNamee 2007, passim; in particolare sull’esegesi a testi drammatici: Perrone 2009a, Perrone 2009b. A proposito del travaso di materiali esegetici dagli hypomnemata separati su rotolo ai margini dei testi letterari su codice, e della connessa discussione sulla genesi della scoliografia, offrono sintesi Dickey 2007, pp. 10-14; McNamee 2007, pp. 49-54 e 79-92; Montana (in stampa); limitatamente alla tradizione aristofanea: Montana 2006. 7 Da Lycopolis (o da Hermopolis Magna?) proviene il già ricordato P.Acad. inv. 3 d + Bodl. Ms. Gr. class. f. 72 (P) ⇒ 5, frammento di un codice di papiro del IV/Vp con resti dei Cavalieri muniti di note marginali. Dal Fayum provengono MPER N.S. III 20 ⇒ 15, frammento di codice papiraceo del Vp contenente un commentario alle Nuvole, e P.Louvre s.n. ⇒ 4, del VIp?, frammento di codice pergamenaceo ora perduto, recante gli Uccelli con note (da Arsinoe). 8 Krüger 1990, p. 253; cfr. Trojahn 2002, p. 201.
Aristophanes
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che a partire dalla stessa epoca9. Non deve sfuggire la correlazione del revival aristofaneo nel IV secolo con importanti fenomeni culturali contemporanei, emblematicamente riconducibili, in un rapporto forse scambievole di causaeffetto, all’estesa sostituzione del codex al volumen, in particolare: (a) la rinnovata dislocazione editoriale dei testi e dei relativi commenti, che produsse fra l’altro apparati di annotazione esegetica marginale più nutriti di quelli attestati per il passato, ricavati da hypomnemata di matrice alessandrina10 e raffrontabili da vicino con gli scolii medievali (dai quali, allo stato attuale e almeno per quanto concerne i papiri aristofanei, sembra differenziarli, da un punto di vista formale, essenzialmente la mancanza di un presupposto redazionale programmatico di compilazione da fonti esegetiche diverse)11, nonché la realizzazione di ‘nuovi’ commentari su codice12 rispondenti alle esigenze attuali della cultura e dell’istruzione13; (b) la selezione del patrimonio letterario ed esegetico tradizionale, che per Aristofane si tradusse nella scelta delle undici commedie conservate (i testimoni diretti di drammi perduti non si datano oltre il III secolo d.C.14, epoca a cui risalgono anche alcune liste papiracee di libri che ne conservano i titoli15). Se l’attuale assenza di testimoni di esegesi alle tre commedie superstiti a soggetto femminile (Lisistrata, Tesmoforiazuse ed Ecclesiazuse) non sorprende, in quanto il dato è in linea con la scarsità dei testimoni bizantini pervenuti di questi drammi e con l’esiguità dei relativi corpora scoliografici, la mancanza è, al contrario, vistosa per le Vespe e più ancora per le Rane, la continuità della cui fortuna è indiscussa e comprovata, oltre che dalla tradizione manoscritta del dramma, anche dalla ricchezza degli scolii, particolarmente generosi di erudizione alessandrina riportata in forma non anonima (si pensi, a titolo esemplificativo, all’inusuale ricorrenza delle menzioni esplicite di Aristarco
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Cavallo 1986; cfr. Maehler 1998, pp. 90-92; Cribiore 2001, pp. 199-201; Trojahn 2002, pp. 143149. Sull’arretramento di Menandro a vantaggio di Aristofane come effetto di lunga durata dell’atticismo nella sua versione più intransigente cfr. Blanchard 1997; Montana 2007. 10 Sugli stretti rapporti culturali di Ossirinco con Alessandria in epoca imperiale vd. Krüger 1990, pp. 202-203; cfr. Trojahn 2002 , p. 201 con la n. 3. 11 La constatazione del marcato rapporto di affinità tra i marginalia dei papiri a partire dal IVp e alcuni scolii medievali ai medesimi passi costituisce il filo conduttore della fondamentale indagine di Zuntz 1975 (1938, 1939). Per un quadro del dibattito sulla genesi della scoliografia si rimanda ai contributi citati alla n. 6. Per tracce di compilazione in marginalia esegetici su papiro vd. infra. 12 MPER N.S. III 20 ⇒ 15 (commentario alle Nuvole ) e MPER N.S. I 34 + P.Vindob. G 29833 C ⇒ 17 (commentario alla Pace), entrambi del Vp. 13 Trojahn 2002, pp. 135-143. 14 P.Oxy. II 212 (Thesmophoriazusae II o Lemniae?), seconda metà del Ia (cfr. supra, n. 2); P.Mich. inv. 3690 ⇒ 11 (Heroes con marginalia), I/IIp; P.Turner 4 (Poesis), fine IIp; P.Amh. II 13 ⇒ 29 (fab. deperd. con marginalia), IIIp. E inoltre gli hypomnemata P.Oxy. XXXV 2737 ⇒ 27 (Anagyrus?) e P.Flor. II 112 ⇒ 28 (fab. deperd.), del IIp. 15 Otranto 2000, in particolare pp. 29-38 (P.Oxy. XXXIII 2659); cfr. Otranto 2001, pp. 1057-1065.
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di Samotracia, il cui numero sfiora la ventina)16. La lacuna nella documentazione papiracea sarà da spiegare, in questa circostanza, come una bizzarria del caso che governa i ritrovamenti17 (Tavola 3, p. 12). Alcuni dettagli di questo quadro si precisano alla luce delle caratteristiche tipologiche dell’esegesi papiracea conservata. La documentazione ipomnematica databile entro il IVp consta di quattro volumina. Se di uno di essi (P.Oxy. LXVI 4509 ⇒ 25, commentario alle Vespe) è impossibile determinare con sicurezza le peculiarità, a causa dell’esiguità e della frammentarietà del testimone, gli altri tre (P.Oxy. VI 856 ⇒ 1, sugli Acarnesi18; P.Oxy. XXXV 2737 ⇒ 27, sull’Anagyrus?19; P.Flor. II 112 ⇒ 28, su commedia perduta20), a quanto è dato di vedere, costituiscono redazioni abrégées di commentari più estesi e di presumibile tradizione erudita (alessandrina). La qualità critica di alcuni interventi (in particolare la menzione di fonti letterarie, storiografiche, filologiche) e al contempo una certa sommarietà e incertezze formali o strutturali riscontrabili in vari punti del testo indicano che la facies attuale è il prodotto di interventi di tipo selettivo e compendiario, finalizzati all’adeguamento di instrumenta esegetici di livello cólto a necessità culturali e formative nuove, diverse rispetto al passato ma anche diseguali tra loro nella realtà attuale (il commentario agli Acarnesi è alquanto inferiore agli altri due per dimensione e tenore critico; ciononostante non restano occulti alcuni contatti con la medesima tradizione cui risalgono anche gli scolii medievali)21. La cronologia dei papiri, correlata con le nostre conoscenze di storia del testo e dell’esegesi aristofanea, suffraga l’ipotesi che i tre commentari possano affondare le loro radici in quello oggi perduto di Didimo (indizi positivi in tale direzione affiorano nel papiro fiorentino, nel quale due additamenta menzionano espressamente il Calcentero)22. Al medesimo àmbito ipomnematico aristofaneo di tradizione alessandrina-didimea
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Cfr. Muzzolon 2005. Che singole copie potessero contenere più di una commedia è ovvio ed è confermato dai codici papiracei P.Oxy. XI 1373 (Vp) e P.Berol. inv. 13231+21201+21202 (MP3 139; LDAB 378) (V/VIp), di cui si conservano frammenti pertinenti rispettivamente a Pace e Uccelli e a Pluto, Rane, Uccelli, Acarnesi. 18 Grenfell e Hunt ritenevano che in origine il rotolo contenesse una serie di succinti commenti anche ad altre commedie aristofanee, analoghi a quello agli Acarnesi. 19 Un rimando interno (fr. 1 I 19 pºroeivrhtai ejn ÔIppeu'çi) dimostra che il rotolo conteneva un corpus di hypomnemata a commedie aristofanee. 20 La mano principale è attribuita allo scriba di P.Oxy. XXI 2301 (⇒ Alcaeus 9) da Lobel 1951, p. 75, e da Krüger 1990, p. 194 nr. 15 (cfr. Trojahn 2002, pp. 200 n. 1, 203; Johnson 2004, p. 62); con maggior cautela si pronuncia Porro 2004, p. 145. La conclusione del commentario fiorentino coincideva probabilmente con la fine del rotolo. 21 McNamee 1977, p. 187; Athanassiou 1999, pp. 93-105; Maehler 2000, pp. 30-32; Trojahn 2002, pp. 178-179. In due punti il commentario ossirinchita agli Acarnesi sembra recare tracce di compilazione di interpretazioni diverse (fr. A I 5-6; II 23-24), peraltro in consonanza con gli scolii: dunque la compilazione si colloca a monte, in uno hypomnema anteriore a quello conservato. 22 Montana 2004: Montana 2009, pp. 46-51. 17
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potrebbe condurre l’etichetta P.Oxy. inv. 51 B 44/G(b) (MP3 157.11) del IIp, nella quale è riportato il titolo º≤ou ⁄ ΔAriçtªoºfaneivwn ⁄ ı uJp( )23. Diversamente, i commentari su codice del V secolo MPER N.S. III 20 ⇒ 15 (Nuvole) e MPER N.S. I 34 + P.Vindob. G 29833 C ⇒ 17 (Pace) rappresentano una risposta alla richiesta di attualizzazione dei prodotti esegetici tradizionali, combinando insieme l’eredità dell’erudizione (che il confronto diretto con gli scolii dimostra sfrondata, evidentemente perché determinati elementi erano ritenuti superflui o ingombranti rispetto allo scopo prefisso) con informazioni di tipo più essenziale o elementare, secondo una mistione che ricorda da vicino quella nota dagli scholia vetera24. Una certa varietà caratterizza le 18 copie frammentarie di commedie corredate di marginalia esegetici. Fatte salve le debite riserve sulla possibilità di una corretta valutazione di testimoni in genere alquanto parziali e sfigurati, sulla base della frequenza delle annotazioni e – ove si dia il caso – del loro rapporto di affinità con gli scolii di tradizione medievale si distinguono alcuni ‘tipi’25: — volumina datati fra il I e il III secolo d.C. con marginalia in genere piuttosto radi e brevi, prevalentemente glossografici: di questi, P.Mich. inv. 3690 ⇒ 11 e P.Amh. II 13 ⇒ 29 tramandano commedie non sopravvissute alla sele23 Questa trascrizione è desunta dalla didascalia che accompagna l’immagine del papiro, di prossima pubblicazione nei P.Oxy. L’immagine è disponibile nel sito web www.papyrology.ox.ac.uk/POxy/VExhibition/scribes_scholars/aristophanea (maggio 2006). La didascalia propone come possibile integrazione al r. 1 ΔAriçtavrºcou, che per la verità compete ad armi pari con Çummavºc≥ou e, forse, con Diduvºm≥ou (mentre è da escludere per ragioni paleografiche il nome dell’alessandrino Callistrato). Il numerale dovrà riferirsi senz’altro ad ΔAriçtofaneivwn (cfr. i titoli finali di P.Oxy. XXIV 2392 Dionu≥çivou e≥po≤ª ⁄ ΔAlkma'noç melªw'ºn d‹ ⁄ uJp(ovmnhma) e di P.Amh. II 12 ΔAriçtavrcou ⁄ ÔHrodovtou ⁄ a– ⁄ uJpovmnhma), sia che s’intenda quest’ultimo al genere neutro e il numerale come cardinale (“di sei opere di Aristofane”: FM), sia che si sottintenda kwmw/diw'n e al numerale si dia il valore di ordinale in genitivo singolare (“della sesta [delle commedie] di Aristofane”: GB), con riferimento a una lista o canone dei drammi. Per la formulazione cfr. anche P.Oxy. XXV 2433, etichetta del IIp: Çimonideivwn uJp(ovmnhma). Repertorio delle etichette librarie note in Hanson 2004, pp. 209-211; edizione e commento in Caroli 2007 (sull’etichetta ossirinchita, P 12, vd. pp. 191194) sulla denominazione antica delle etichette (sillyboi/sittyboi o sillyba/sittyba) cfr. Caroli 2005. 24 Sugli hypomnemata tardi vd. Maehler 2000; a proposito dei commentari tardi su codice: Stroppa 2008; Stroppa 2009. 25 Le condizioni materiali dei testimoni, che possono facilmente ingenerare equivoci ed errori nella valutazione delle loro caratteristiche originarie, sconsigliano di adottare in questa sede il criterio classificatorio messo a punto da Trojahn 2002, pp. 153-209, orientato a definire il livello culturale delle esegesi (peraltro instaurando una discutibile equivalenza di hypomnemata e marginalia sulla base dell’affinità dei contenuti esegetici: cfr. ibid., p. 211), dal quale risultano i seguenti tre gruppi (si segnala che nella raccolta della Trojahn non figurano BKT V 2, 108-110, P.Oxy. LXVI 4510 e P.Oxy. LXVI 4519): 1) wissenschaftliche Hypomnemata (P.Oxy. XXXV 2737; P.Flor. II 112; MPER N.S. I 34 + P.Vindob. G 29833 C); 2) einfache Kommentare (umfangreiche: BKT IX 5; P.Oxy. XI 1371; knappe: P.Oxy. VI 856; Bodl. Ms. Gr. class. f. 72 (P); P.Oxy. XI 1402; P.Bingen 18; MPER N.S. III 20; P.Oxy. LXVI 4509; P.Duk. inv. 643); 3) ‘Lesehilfen’ (P.Stras. inv. 621; PSI VI 720; P.Oxy. LXVI 4514; P.Louvre s.n.; P.Oxy. XIII 1617; P.Oxy. LXVI 4520; P.Oxy. LXVI 4521; P.Mich. inv. 3690; P.Amh. II 13). Per la discussione delle caratteristiche esegetiche dei singoli testimoni si rinvia ai rispettivi commenti.
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zione, mentre P.Oxy. LXVI 4521 ⇒ 22 (Pl.) conserva annotazioni scarsamente affini agli scolii medievali26; — codici del IV e V secolo con marginalia numerosi, spesso di ampia estensione e strettamente contigui agli scolii: P.Acad. inv. 3 d + Bodl. Ms. Gr. Class. f. 72 (P) ⇒ 5 (Eq.); BKT IX 5 ⇒ 6 (Eq.; membranaceo); P.Oxy. XI 1371 ⇒ 13 (Nub.); è possibile che in questo ‘tipo’ rientrino anche P.Bingen 18 ⇒ 9 (Eq.; membranaceo); P.Duk. inv. 643 ⇒ 18 (Pax); P.Oxy. XI 1402 ⇒ 32 (?) (fr. dubium); — codici datati fra il IV e il VI secolo con radi marginalia di natura glossografica, la cui sporadica consonanza con gli scolii medievali è riconducibile all’impiego di lessici: P.Oxy. LXVI 4514 ⇒ 20 (Pax); PSI VI 720 ⇒ 19 (Pax); P.Oxy. XIII 1617 ⇒ 21 (Pl.); P.Oxy. LXVI 4520 ⇒ 23 (Pl.); P.Stras. inv. 621 ⇒ 16 (Nub.; membranaceo)27. La tipologia dei frammenti di testo con marginalia conferma il IV secolo come punto di svolta. L’epoca precostantiniana è rappresentata da rotoli forniti in prevalenza di interventi glossografici non particolarmente consonanti con gli scholia vetera e riferibili agli àmbiti dell’istruzione grammaticale o della lettura privata (è il primo dei tre gruppi ora evidenziati): un tipo che non fatichiamo a immaginare alimentato da lessici, anche fortemente specializzati quale P.Oxy. XV 1801 ⇒ 3, e che trova continuazione in codici di epoca posteriore e dunque sembra non conoscere soluzione di continuità, salvo per la forma libraria (terzo gruppo). Al IV e al V secolo si data un numero non alto ma significativo di copie dalle caratteristiche visibilmente diverse rispetto alle altre, riccamente corredate di annotazioni, in buona parte tratte dalle medesime fonti ipomnematiche28 dalle quali più tardi attinsero gli scoliasti29 (secondo gruppo). Benché non sussistano indizi di parentela codicologica e redazionale talmente chiari da far pensare a un ben definito impianto culturale (o a un atelier) comune ai testimoni papiracei riconducibili a questo gruppo, tuttavia possono essere indicate alcune costanti o tendenze che li avvicinano sensibilmente: il formato piuttosto ampio; la prevalenza di scritture librarie e dunque di destinazioni pubbliche; una smaliziata mise en page dei marginalia, Non è possibile valutare in quest’ottica due rotoli, P.Oxy. LXVI 4510 ⇒ 2, del IIp (Ach.), a causa del suo stato gravemente frammentario, e P.Oxy. LXVI 4519 ⇒ 33 (?), del IIIp, con l’inizio del Pluto e resti alquanto ostici di una breve annotazione. 27 A questa categoria si deve forse assegnare P.Louvre s.n. ⇒ 4, deperditum. Gli scarni resti esegetici presenti in BKT V 2, 108-110 ⇒ 14, codice pergamenaceo del Vp di formato piuttosto piccolo, si sottraggono alla classificazione. 28 Si deve ritenere che al sostrato esegetico fondamentalmente derivato da hypomnemata eruditi si siano sovrapposti nel tempo interventi dettati dalle specifiche finalità per cui le copie erano allestite (ad esempio esigenze didattiche) e, più raramente, contributi di diretta derivazione lessicografica: McNamee 1992, pp. 65-81; Athanassiou 1999, pp. 143-147. 29 Nel caso di questi marginalia, tra le possibili fonti ipomnematiche (dirette o mediate da rifacimenti ed epitomi) accanto a Didimo deve essere ricordato Simmaco, espressamente menzionato nelle subscriptiones presenti nei mss. aristofanei VN (Nub.), VG (Av.) e V (Pax). 26
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orientata a sfruttare intensivamente anche i margini superiore e inferiore e lo spazio dello specchio di scrittura lasciato libero dall’eisthesis (a sinistra) o da versi brevi (a destra), nonché apparentemente strutturata in modo da riservare di preferenza il côté destro, più ampio, a spiegazioni contenutistiche di maggiore estensione e il sinistro, più stretto, a notae personarum, parepigraphai e glosse30; e, infine, la mistione (già rilevata sopra per i commentari su codice del V secolo) di interventi di matrice erudita, di glosse atticiste, di parafrasi del testo e di altre osservazioni di lingua o di contenuto (soprattutto storico e mitografico) più elementari e genericamente qualificabili come “scolastiche”. I codici BKT IX 5 ⇒ 6 e P.Oxy. XI 1371 ⇒ 13 si segnalano fra gli altri, per la stratificazione in atto di interventi esegetici che più mani ricavavano probabilmente non dal modello del testo letterario ma da fonti diverse e andavano organizzando per la prima volta nella pagina31. In questi rari casi, dunque, la compilazione si colloca non a monte (cioè a livello ipomnematico32), ma a valle del processo di annotazione; per mano, tuttavia, non di un solo scriba e, a quanto pare, in modo non organico né programmatico33. Non si sbaglierà, pertanto, a definire questo procedimento come formalmente intermedio tra la prassi di apporre note estraendole da un commentario o creandole al bisogno, attestata dalla grande maggioranza dei testimoni papiracei qui considerati, e la tessitura di contributi sistematicamente tratti da una selezionata rosa di modelli esegetici, quale si constata per gli scolii medievali34. FAUSTO MONTANA NOTA. Il testo degli scolii alle commedie di Aristofane è preso dalle edizioni pubblicate a Groningen, 1969-2007. Salvo diversa ed esplicita indicazione, gli scolii citati sono scholia vetera. 30
La disposizione asimmetrica dello specchio di scrittura rispetto alla pagina si riscontra anche in P.Oxy. LXVI 4520 ⇒ 23 (qui assegnato al terzo gruppo) ed è una caratteristica tutt’altro che isolata: cfr. e.g. P.Berol. inv. 13417 (MP3 201; LDAB 518), Callim. fr. 228 Pf., del IV/Vp. 31 Le affinità paleografiche di P.Oxy. 1371 con altri papiri coevi provenienti dal medesimo scavo (P.Oxy. XI 1369-1370, 1372-1374: Omero, Sofocle ed Euripide, oltre ad Aristofane) sono indizio del fatto “che essi facessero parte di una stessa biblioteca tardoantica – scolastica piuttosto che privata – la quale doveva contenere un buon numero di opere classiche” (Cavallo 1986, p. 117). 32 Cfr. supra, n. 21, e P.Oxy. XXXV 2737 (⇒ 27), fr. 1 I 19-27 con il commento. 33 L’accostamento di interpretazioni diverse all’interno della stessa nota marginale si riscontra in P.Acad. inv. 3 d + Bodl. Ms. Gr. Class. f. 72 (P) ⇒ 5, ad Eq. 41: la consonanza con gli scholia vetera dimostra tuttavia che l’intervento compilatorio risale alla fonte dell’annotatore, verosimilmente uno hypomnema. Per un altro caso di supposta compilazione in note marginali vd. P.Bingen 18 ⇒ 9 con il commento. 34 Il dato quantitativo (frequenza dell’annotazione, ricorso a più fonti esegetiche da parte di annotatori diversi) non è sufficiente ad annullare la differenza qualitativa (presupposti metodologici e fattori culturali) che intercorre fra marginalia dei papiri e scolii medievali: cfr. anche Montana 2005, pp. 13-15; Montana 2011.
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Copie papiracee e pergamenacee di commedie di Aristofane con marginalia esegetici sec. testimone forma commedia MP3 ___________________________________________________________________________ CLGP
11
I/IIp
P.Mich. inv. 369035
vol.
Heroes
155.1
2 22
IIp
P.Oxy. LXVI 4510 P.Oxy. LXVI 4521
vol. vol.
Ach. Pl.
137.01 152.12
29 33 (?)
IIIp
P.Amh. II 13 P.Oxy. LXVI 4519
vol. vol.
fab. deperd. Pl.?
1626 152.01
9 20
IVp
P.Bingen 18 P.Oxy. LXVI 4514
cm cp
Eq. Pax
142.1 150.01
IV/Vp
P.Acad. inv. 3 d + Bodl.Ms.Gr.class. f. 72 (P) cp PSI VI 72036 cp
Eq. Pax
141 150
BKT V 2, 108-110 BKT IX 537 P.Duke inv. 64338 P.Oxy. XI 1371 P.Oxy. XI 1402 P.Oxy. XIII 1617 (deperd.) P.Oxy. LXVI 4520
Nub. Eq. Pax Nub. ? Pl. Pl.
146 142 149.21 145 1630 152 152.11
5 19 14 6 18 13 32 (?) 21 23
Vp
cm cm cp cp cp cp cp
16 VIp P.Stras. inv. 621 cm Nub. 149 4 VIp? P.Louvre s.n. (deperd.) cm Av. 140 ___________________________________________________________________________ cm: codex membranaceus cp: codex papyraceus vol.: volumen
35 Datazione di GB. La cronologia proposta da R. Merkelbach (II/IIIp) è spostata al Ip da G. Cavallo (cfr. Mertens 1996, p. 342). 36 Datazione di GB. T. Lodi data il papiro non oltre il IIIp, G. Cavallo al IIp (cfr. Mertens 1996, p. 340). 37 G. Zuntz data al IVp; la datazione al Vp è di G. Cavallo (cfr. Mertens 1996, p. 337). 38 La datazione al IIIp, sostenuta dalla prima editrice (L.P. Smith), è spostata al Vp da H. Maehler.
Aristophanes
11
TAVOLA 2 Hypomnemata a commedie di Aristofane sec. testimone forma commedia Pack2/MP3 ___________________________________________________________________________ CLGP
28 27 25
IIp
P.Flor. II 112 P.Oxy. XXXV 2737 P.Oxy. LXVI 4509
vol. vol. vol.
fab. deperd. Anagyrus? Ve.
157 157.1 154.02
1
IVp
P.Oxy. VI 85639
vol.
Ach.
138
15 17
Vp
MPER N.S. III 20 cp Nub. 1725/146.1 MPER N.S. I 34 + P.Vindob. G 29833 C cp Pax 2865/149.2 ___________________________________________________________________________ cp: codex papyraceus vol.: volumen
39
Datazione di G. Cavallo (cfr. Mertens 1996, p. 336); Grenfell e Hunt datavano IIIp.
12
Aristophanes TAVOLA 3
40
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Ach.
Av.
Eccl.
Testimoni
Eq. Heroes Lys. Nub. Pax
Pl.
Poesis Ra.
di cui con marginalia
Th. Th. II? Ve.
ign.
dub.
Rapporto fra il totale dei testimoni papiracei delle commedie aristofanee e quelli corredati di marginalia40
Di due codici papiracei (P.Oxy. XI 1373, Vp; P.Berol. inv. 13231+21201+21202, V/VIp) sono pervenuti frammenti pertinenti a più commedie (rispettivamente Pax, Eq. e Pl., Ran., Av., Ach.). I due testimoni dubbi sono P.Oxy. XI 1402 ⇒ 32 (?), la cui presunta pertinenza ai Cavalieri è discutibile, e P.Oxy. LXVI 4519 ⇒ 33 (?), con l’inizio del Pluto preceduto da un’annotazione problematica.
1
P.Oxy. VI 856
sec. IVp
Commentario ad Ach. 97?-181?, 368-568, 571?-671 Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Bruxelles, Musées Royaux (inv. E. 5972). Edd.: GRENFELL-HUNT 1908, pp. 155-161; WILSON 1975, pp. VI-IX (da GRENFELL-HUNT 1908); TROJAHN 2002, pp. 13-20. Tabb.: WITTEK 1967, 11; TURNER 1987, nr. 73 (fr. A, coll. I-II). Comm.: MP3 138; LDAB 354 KÖRTE 1911, pp. 268-269; KÖRTE 1913, pp. 255-256; WHITE 1914, p. LXII; BOUDREAUX 1919, p. 169; ZUNTZ 1975, p. 28 (1938, p. 658); WITTEK 1967, p. 21; GELZER 1971, nr. 1; AUSTIN 1973, fr. 19; BINGEN 1977, p. 8 nr. 10; MCNAMEE 1977, pp. 187-188, 440; DEL FABBRO 1979, pp. 84 n. 53, 94, 95, 102, 119, 125 nr. 39; MCNAMEE 1981, passim; TURNER 1987, p. 122; KRÜGER 1990, p. 238; MAEHLER 1994, p. 124; MERTENS 1996, p. 336; ATHANASSIOU 1999, pp. 93-105; MAEHLER 2000, pp. 29-36; OLSON 2002, p. LXXV (P3); TROJAHN 2002, pp. 171, 177-180, 198; MONTANA 2004, pp. 374-376; MONTANA 2005, pp. 15-19; PERRONE 2010, pp. 89, 103.
Questi due frammenti di volumen restituiscono parti di due colonne consecutive di un commentario agli Acarnesi dalla facies molto condensata e dal contenuto alquanto selettivo. Il fr. A, di cm 5,9 × 11,9, conserva, oltre a un tratto di margine inferiore (alto attualmente cm 1,5), sulla sinistra la parte finale di 22 righi pertinenti ai vv. 97?-180 o 181 (col. I), sulla destra un’ampia porzione iniziale di 29 righi di una seconda colonna, relativi ai vv. 571?-671 (col. II); l’intercolumnio è molto esiguo e si riduce alle dimensioni di un vacuum in corrispondenza di alcuni righi (fra I 8 e II 12; I 12 e II 16; I 18 e II 22/23; I 22 e II 27/28). Il fr. B, di cm 5,1 × 10,2, contiene la parte centrale di 28 righi, con spiegazioni riguardanti i vv. 368-568. Pertanto fr. B + fr. A, col. II sono testimoni di una medesima colonna di scrittura (57 righi frammentari), con una lacuna nella parte alta (mancano il margine superiore e note ai vv. 181-367) e una frattura tra i due frammenti, di estensione incerta ma comunque esigua (possono essere cadute note ai vv. 568-571). Si può così calcolare che in origine il rotolo avesse un’altezza superiore a cm 30 e che ciascuna colonna constasse di almeno 70 righi1; e che la seconda colonna (i cui ultimi due righi cor-
1
Trojahn 2002, p. 180 n. 1, ipotizza una colonna di 90 righi circa per un’altezza di cm 35.
14
Aristophanes 1
rono più in basso dell’ultimo rigo della col. I) ospitasse il commento di quasi 500 versi della commedia (181-671), per cui l’intero hypomnema necessitava di circa 3 colonne appena. Inoltre, l’andamento delle fibre sul lato bianco dei due frammenti permette di determinare il loro allineamento verticale e di valutare con precisione l’ampiezza della lacuna a sinistra del fr. B (da 6 a 8 caratteri per rigo nei rr. 1-21)2. Grazie alla plausibile ricostruzione di fr. A II 28 (54 caratteri, ivi compresi punti in alto, dicola e lo spazio bianco che segue questi ultimi; cfr. anche fr. B 8) è possibile valutare la larghezza della seconda colonna intorno a cm 10. Poiché la prima colonna di commento concerneva un numero alquanto inferiore di versi (180 o 181) rispetto alla seconda, a meno di presumere che la parte iniziale avesse un’estensione molto maggiore del resto (ma nei 22 righi della col. I attualmente attestati sono coinvolti oltre 70 versi), si deve ritenere che il commento agli Acarnesi non occupasse interamente tale colonna ma all’incirca i suoi tre quarti inferiori e fosse preceduto da qualcosa d’altro (titolo, hypothesis, didaskalia? la conclusione di un commentario ad altra commedia?). Tutti questi elementi corroborano l’ipotesi che il volumen contenesse una serie di commentari dello stesso tipo3, posti uno di séguito all’altro senza soluzione di continuità. La scrittura, una maiuscola sottile e rapida inclinata a destra e disponibile al tratteggio corsivo (lettere vergate in un unico tratto, legature, frequente violazione del bilinearismo), già datata al IIIp dai primi editori, è assegnabile al IVp 4. Il lemma è seguito di norma da un punto in alto (non a fr. B 16 e fr. A II 10, 24, 29). La spiegazione è separata dal lemma successivo mediante il dicolon e uno spazio bianco. Paragraphoi poste sotto l’incipit di un rigo segnalano che in quel rigo ha termine una spiegazione. Lo scriba fa ampio uso di abbreviazioni per sospensione e, per parole più frequenti, ricorre a un sistema convenzionale di segni: gv = gavr, d v= dev, kv = kaiv, mv = mevn, p; = parav, !o = poihthvç, ≠ = provç, t; = tw'n5, fù = fhçiv o façiv, ÉÉ = eijçiv6. Diversamente da quanto affermato da più parti7, studi analitici hanno ravvisato significativi punti di contatto, al di là di divergenze nella formulazione, tra il commentario ossirinchita e gli scolii medievali agli Acarnesi. La McNamee è propensa a spiegare il fenomeno collegando lo hypomnema a una
2 Ringrazio A. Martin per avere consentito l’esame del lato bianco dei due frammenti e G. Bastianini per averlo effettuato. 3 Grenfell-Hunt 1908, p. 155. 4 G. Cavallo: cfr. Mertens 1996, p. 336. Un parallelo è P.Bodmer IV, il noto codice di Menandro (foto in Cavallo-Maehler 1987, pl. 5b). 5 Per questa abbreviazione cfr. McNamee 1981, p. 116 (usualmente t; = thvn, mentre l’abbreviazione più comune per tw'n è tv). 6 Per i due tipi di abbreviazioni cfr. Bastianini-Long 1992, pp. 276-281 e ⇒ Aeschylus 1, p. 20. 7 Grenfell-Hunt 1908, pp. 155-156; Zuntz 1975, p. 28 (1938, p. 658); Wilson 1975, p. VI; Olson 2002, p. LXXV.
P.Oxy. VI 856
15
“tradition of schoolmasters’ commentaries that was combined with learned material collated by Didymus and others and eventually became the basis of the mediaeval scholia”8. Athanassiou e Maehler concludono che il commentario e gli scolii medievali abbiano attinto dalle medesime fonti ipomnematiche antiche, ma per vie indipendenti9. In effetti, da un lato la derivazione da fonti comuni è comprovata da coincidenze nell’esegesi, a livello formale o, più spesso, di contenuto; dall’altro lato, il papiro esibisce talora la brevità caratteristica dell’epitomazione, a fronte di una maggiore ricchezza degli scolii (e.g. fr. A II 6-8, ad Ach. 595-597). In generale, il commentario ha le caratteristiche di uno strumento agile e sintetico, non molto più di “eine Art Lesehilfe für fortgeschrittene Schüler oder sonstige etwas vorgebildete Leser”10, che tuttavia lascia intravedere un’estrazione cólta e ben documentata. Vi predomina la delucidazione di marca lessicale, finalizzata all’immediata comprensione del testo (decodificare il vocabolario, isolare le espressioni proverbiali, fornire l’identità dei komodoumenoi)11 e condotta mediante le strutture esegetiche più semplici e consuete, come la glossa e la parafrasi, secondo un criterio economico che informa anche il commentario P.Flor. II 112 ⇒ 28. Sembra mancare, invece, l’attenzione critica a specifici problemi di natura testuale o letteraria. Assume un valore emblematico, in tal senso, il mancato ricorso a passi paralleli nella parte conservata e ricostruibile del commentario12, diversamente da quanto si osserva con frequenza negli scolii corrispondenti13. D’altro lato, l’attenzione verso i riferimenti aristofanei all’attualità politica pare selettiva: se l’allusione del v. 378 ai Babilonesi riceve una debita contestualizzazione (fr. B 2-5) e almeno quattro righi di commento (fr. A II 11-14) sono riservati alla figura storica di Megacle figlio di Cesira (citato al v. 614), al contrario vengono completamente ignorati i numerosi riferimenti del poeta alla vita politica interna ed estera di Atene presenti nei versi iniziali dell’agone (490 ss.), che invece si trovano puntualmente presi in esame negli scolii. Queste caratteristiche convergono a favore dell’ipotesi che il commentario rappresenti la riduzione di un modello più esteso. Una conferma proviene da due indizi interni. Il primo è un elemento di discontinuità nello stile dell’esegesi: se lo stato frammentario del papiro non inganna totalmente, in fr. A II 11-27 si osserva la sostituzione dello stile esegetico di tipo analitico –
8
McNamee 1977, p. 187. Athanassiou 1999, pp. 93-105; Maehler 2000, pp. 30-32; cfr. inoltre Trojahn 2002, pp. 178-179. 10 Trojahn 2002, p. 180. 11 In fr. B 18 è possibile che trovi posto una nota di argomento prosodico, sull’accentazione di çivkuoç. 12 Nonostante Del Fabbro 1979, p. 102. 13 Da confrontare, a titolo d’esempio, fr. A I 10 e lo sch. 127a I. 9
16
Aristophanes 1
a quanto pare prevalente nel resto e consistente nel frantumare il testo letterario scegliendovi parole o brevi espressioni da interpretare con glosse e note esplicative – con uno stile di tipo sintetico, che procede mediante la versione in prosa (compendio o parafrasi) di segmenti di testo più o meno lunghi raggruppabili in due sequenze: i rr. 11-18 svolgono la parafrasi o il riassunto dei vv. 599-619, i rr. 19-27 dei vv. 647-658. Il secondo indizio di epitomazione è un elemento di discontinuità nell’ordine dell’esegesi. Ai rr. 11-14 la spiegazione puntuale di v. 614 ajllΔ oJ Koiçuvraç dà lo spunto a una sorta di parafrasi digressiva sui versi precedenti (599-614), in parte già fatti oggetto, poco sopra, di puntuali interventi di tipo glossografico (rr. 9-10, sui vv. 603 e 605). Ne risulta alterata la continuità della spiegazione di versi successivi e contigui (r. 11 sul v. 614; rr. 11-14 sulla sequenza 599-614; rr. 15-17 sui vv. 614-617), come per effetto di un ripensamento in corso d’opera da parte del commentatore/epitomatore. I rr. 28-29 segnano il ritorno al procedimento per glosse isolate. Un’ulteriore traccia di compendio è da ravvisare nella menzione di un’interpretazione in forma anonima in fr. A II 24, façi; ga;r oiJ me;n ktl14. In definitiva, analogie e differenze intercorrenti tra lo hypomnema e gli scolii medievali si lasciano spiegare alla luce delle loro caratteristiche, assunte attraverso processi tradizionali autonomi e distinti. P.Oxy. VI 856 è l’esito dell’epitomazione di un commentario più ampio, forse frutto di compilazione e da collocare tra la fine dell’età ellenistica e la prima età imperiale (Didimo? Simmaco?). Gli scolii sono il risultato di una differente operazione redazionale di tipo compilativo, condotta su svariati materiali esegetici antichi. Fra questi ultimi poteva essere anche il commentario stesso di cui il papiro ossirinchita rappresenta una redazione abrégée.
Fr. A Col. I ä ä ä º≤≤≤ ºtinwn ºaiç kwºi≥ peri ºk≥aiu
5
14
Cfr. Trojahn 2002, p. 198.
(97?)
P.Oxy. VI 856
17
ºo≥i d(ev) f(açi)
(108?)
º≤ Kleiçq(evnhç)
(118)
ºabavllw(n). pwvgºw≥na ejco(nt- )
(120)
ejpi; tw'n pollou;ç xevnouºç decom(evnwn).
10
(127)
Qevºw≥roç.
(134)
Qevogniç: tragwidivaçº y≥ucro;ç po(ihthvç).
(140)
ºn tw'n kºatapel15 ªtavçontai:
(160)
ºmatoç fº(hçi) povlin.
(163?)
ºhi a ºt≥iç e[cwn
(163?)
ºenoiç
(166?)
ºo≥i (eijçi).
20
ºan mutªtwt-
ºç çklhroiv:
(174) (180 vel 181)
1 fibre dislocate; tratto orizzontale nella parte bassa del rigo, forse seguito da i; della terza lettera resta la parte inferiore (e ?) 6 ºo≥ minima traccia in basso nel rigo d vfù pap. 7 º≤ parte superiore di lettera curva (e o ç) kleiçq pap. 8 ballw Ú pap. 9 traccia minima di ºw≥ eco pap. 10 decom Ú pap. 11 ºw≥roçÚ pap. 12 !o Ú pap. 13 tw'n pap. 16 ºùpolinÚ pap. 20 ºo≥iÉÉÚ pap. 22 çklhroi: pap. —— 1 ºm≥i ≥n≥ Grenfell-Hunt 3-4 tºai'ç kw⁄ªmwidivaiç Grenfell-Hunt : tºai'ç kwv⁄ªpaiç Athanassiou 5 leg. GB : cruºçivou Athanassiou 6 e[niºoi vel a[llºoi Athanassiou 8 eujnouvcwi parºabavllw(n) Athanassiou : diºabavllw(n) ? 10 suppl. Grenfell-Hunt : oujdevpotev gΔ i[çcei quvra: paroimiva ejpi; ktl suppl. Trojahn 12 suppl. Grenfell-Hunt 15 fort. pevlth ga;r ei\doç mecanhvºmatoç Athanassiou 16 fºh(çi) Grenfell-Hunt 22 suppl. Grenfell-Hunt
Fr. B ä ä ä 1
ª
±7
ºinou. ouj≥k≥ ejna≥ç≥pidªwv(çomai):º oi|on≥ ª
ª±4 yhvfºo≥iç dikavzonteç crw'ntai ≤ª
yhfhdakei'n:º (368, 376) th;n pevru-º
(378)
ÔIerwnuvmou: po(ihthvç)º
(386)
ªçi kwmwºidivan: eijç tou;ç Babulwnivoªuç 5
ª
±6
º≤ouç t(w'n) ΔAqhnaivwn k(ai;) pedhª
ª
±5 uJºp≥o; Klevwnoç divkhn e[fuªge
ªtiç h\n koºmhvthç. tou' Çiçuvfou: oi|on ª
(391)
ª±3 parºo≥imivan “çkh'yin aJgw;n ouj d≥e ≥≤ª
(392)
18
Aristophanes 1 ª
±6 dºuvçpotmoç: eijçavgetai g(a;r) par≥ªa; tw'/ Eujripivdh/ wJç ejkpeptwkw;çº
(419)
ªejk th'ç baºçileivaç k(ai;) ptwco;ç perinªoçtw'n
lemma
º
(421)
10 ªeij ç av g eºt≥ai parΔ aujtw'i, uJpo; d(e;) Ceivrw≥ªnoç
lemma
º
(423?)
ª±2 ta; rJavºk≥h k(ai;) ta; çcivçmata. çkimaªlivçw: ª
±7
(444)
ºoiç rJhvmaçi. Thlevfwi dΔ aJgªw; fronw':
crevoçº
ªme;n oujdºevn: pr(o;ç) to; crevoç levgei. w{çpeªr hJ mhvthr: ªfullei'aº dovç: ta; çapra; fuvlla a} ek≤ª
çkavn-º
15 ªdika: lºa≥cavniovn ti. ejmporeuteva≥ ª ª ±7
º uJpe;r Laked(aimonivwn) ajndrw'n levg(ein): o≤ª
grammhv:
º≤enou( ) çikuwi Tiqwnw'i ejoik( ). ª
20 ªmevlh paºr≥oivnia. Çerifivwn: tw'n ΔAqªhnai±7
º
lemma?
(482, 483) (517, 520)
pefuçiggwmevnoi:º
(526)
çkovlia:º
(527, 532)
º
(542, 547)
ªejkkekauºmevnoi. povr≥na duvo: wJç pornª ª
(478) (480)
ª ±5 drºomevwn. parakekommevna ª ª ±6
(446, 455)
ijçcnav moiº (457, 469)
Palladivwn:
º( ) ta;ç trihvreiç o[nta≥ Pallavdªoç ajgavlmata
ªejn diktuvoºi≥ç≥: lev(gei) ejn gurgavqoiç. tricivªdwn: ª
±12
ª
±11
25 ª
±20
ª
±20
ª
±21
ª
±11
ºai. to;n d≥ª(e;)º Thvlefon ª º≤≤≤≤≤ª≤≤ oºujk a]n e[pªratte º≤ aujtw'n ª
(550, 551) (555) (556) (561?)
ajºg≥wnizo(men- ) tw≤ª º ou|toç deicª fulevtaº: ajpo; th'ç a(ujth'ç) fu≥ªlh'ç
(562-563?) (568)
ä ä ä 1 ºi asta verticale compatibile anche con n, non con h ºinouÚ pap., seguito da spazio bianco lo spazio bianco fra ena≥ç≥pid e oion≥ è congruo con un w scritto sopra il rigo per abbreviazione della parola e ora in lacuna 2 ≤ª estremità inferiore sinistra di un tratto obliquo (possibili h, k, n) 3 ºidian: pap., seguito da breve spazio bianco 4 º≤ tratto breve e sottile quasi orizzontale, lievemente discendente verso sinistra, che si congiunge in alto al successivo o: possibili t (Grenfell-Hunt) e g (cfr. fr. A II 26 legont) t; pap. kv pap. 6 ºmhthçÚ pap., seguito da spazio bianco çiçufou: pap. 7 d≥e ≥≤ª di d resta la parte sinistra senza base, di e la parte mediana; seguono due tracce fra loro distanti nella parte alta del rigo (m, c ?) 8 ºuçpotmoç: pap., seguito da breve spazio bianco gv pap. r≥ª minima traccia 9 kv pap. 10 d v pap. w≥ª porzione inferiore sinistra di w 11 kv pap. çciçmataÚ pap., seguito da spazio bianco 12 rhmaçiÚ pap., seguito da spazio bianco 13 ºen: ≠ pap. legeiÚ pap., seguito da spazio bianco 14 aJ pap. ≤ª parte bassa di tratto leggermente concavo a destra: probabile e, possibile a 15 tiÚ pap., seguito da spazio bianco 16 laked pap. leg pap. o≤ª possibile anche wª 17 ºomewn Ú pap., con spazio bianco prima e dopo il dicolon 18 º≤ in basso, tratto verticale leggermente inclinato; nella parte alta destra del rigo, traccia puntiforme: i oppure g, t ? enou pap. eoikÚ (ma la lettura del dicolon è incerta) pap. 19 ºmenoiÚ pap., seguito da spazio bianco porna— pap. duo: pap., seguito da breve spazio bianco 20 ºr≥oiniaÚ pap., seguito da spazio bianco 21 º( ) nell’interlinea, sopra la lacuna, è ben visibile un segno di sospensione (‹), mentre non resta niente della lettera cui esso era sovrascritto 22 le pap. gurgaqoiçÚ pap. 23 ºaiÚ pap., seguito da spazio bianco 24 º≤≤≤≤≤ª tracce su fibre
P.Oxy. VI 856
19
scomposte; le ultime sono un’asta verticale e un tratto inclinato verso destra nella parte bassa del rigo 25 º≤ traccia puntiforme bassa nel rigo 26 ºg≥wnizo pap. 28 º: minima traccia della stigme, seguita da breve spazio bianco thça— pap. —— 1-3 suppl. Grenfell-Hunt 2 ejpei; yhvfºo≥iç Grenfell-Hunt 4 ºt≥ouç Grenfell-Hunt : çtikºt≥ou;ç Körte pedi≥ª Grenfell-Hunt : pedh≥vªtaç Körte 5-6 suppl. Grenfell-Hunt 6 tou' : ta;ç comoediae codd. 7 parºo≥imivan Grenfell-Hunt oud≥e ≥≤ª leg. GB, ouj d≥e v≥c≥ªetai suppleverim : out≥o≥ç≥ ª Grenfell-Hunt 8-9 suppl. Grenfell-Hunt 9-10 tou' tuflou' Foivnikoç: tuflwqei;ç ga;r uJpo; tou' patro;ç eijçavgeºtai suppl. Körte : fort. ªtou' tuflou' Foivn(ikoç): tuflo;ç g(a;r)º ⁄ eijçavgeºtai 10 ceirw≥n≥ ª Grenfell-Hunt : Ceivrwnªoç qerapeuqei;ç ta;ç o[yeiç suppl. Körte 1117 suppl. Grenfell-Hunt 12 tºoiç Grenfell-Hunt : mikrºoi'ç ? 14 t≥ª GrenfellHunt 18 lemma [çik(uon) idoºi≥en Grenfell-Hunt ou(t ) Grenfell-Hunt pefuçiggwmevnoi: suppl. Grenfell-Hunt 19-20 suppl. Grenfell-Hunt 21 taº p(eri) taç GrenfellHunt Pallavdªoç ajgavlmata suppl. Grenfell-Hunt 22 suppl. Grenfell-Hunt tricªidwn Grenfell-Hunt 24 º≤≤≤≤i≥≤ª Grenfell-Hunt oºujk a]n e[pªratte supplevi 25 fort. lemma koujde;ºn≥ aujtw'n ªyeuvdetai (v. 561) 26 suppl. Grenfell-Hunt 27 deicªq Grenfell-Hunt 28 suppl. Grenfell-Hunt
Fr. A Col. II ä ä ä ª
±10
ºkhe≥≤ª
ª
±4 º t(w'n) aª≤≤≤≤º≤w≥ª
(571?)
ª≤ºk≥al≥( ) oiJ e{teroi tou≥ç≥≤ª (584) dein w{ç f(açi) k(ai;) oiJ h≤ª to; pterovn: to; ptero;n aijtei'º ä 5 i{na kaqei;ç eijç th;n favruga ej≥ªxemevçh/ kompolak(uvqou): ou{tw lev(gei)º (589) ä to;n Lavmacon o{t(i) kompaçth;ç ªh\n çpoudarc(ivdhç): çtra-º (595, 596) ä twnivdhç: p(ara;) to; çtrateuveçqaªi miçqarc(ivdhç): miçqo;nº (597) ä lambavnwn ejfΔ oi|≥ç≥ a]n p≥ª kovkkugeç: ej-º (598) ä rhmivan oiJ o[rn(eiç). Tiçamenªofain(ivppouç): Panourgip(parcivdaç): pa-º (603) ä 10 nourgivai. Gerhtoqeod(wvrouç): gerª (605) ä ajllΔ oJ Koiçuvraç: oJ Megaklh'ç: tª (614)
d(e;) k(ai;) o{çoi prodovtai (eijçi;n) oiJ m(e;n) a≥ª
(599-613)
ejkei'çe ei\ta punqavnet(ai) ≤ª th;n tavxin aujtw'n h ejmª ä 15 toi f(hçin) “oJ Koiçuvraç k(ai;) Lavmacªoç”
lemma?
º (614-619)
e[legon “ejxivçtw”: to; d(e;) ajpovªniptron ejkcevonteç profwnou'çin “ejxivçtw” i{nªa ä
lemma?
º
20
Aristophanes 1
Lavmacoç: ei\qΔ oJ Dikaiovp(oliç) “ouj dªh'tΔ ä caunopol(ivtaç): oi|on cauvnouç. o≥{ªte kai; baçileuvç ä 20 pe;r eJautou' levgwn “o{t(e) kai; baçileªuvç
uJ-º (635, 647) (648-651)
prw'ton m(e;n) povteroi tai'ç nauªçi; kratou'çin megalofroçuvnhn eJau(tou') tou' ª ä dia; d(e;) tau'tav f(hçi) Lakedaimo(n- ) ª po(ihthvn): f(açi;) g(a;r) oiJ m(e;n) aujto;n ejkei' ≤ª ä 25 oion ejjx w|n to; dikaçtiko;n ª
lemma?
º to;nº (652-654)
lemma
º (657-658)
k(ai;) pro;ç cavrin legont≤ª ei\qΔ ou{tw katevpratton ª ä flegurav: e[nqermoç. fªevyaloç: çpinqhvr. ejpanqrakivdeç: ijcquveçº ä h≥] kreva. oiJ d(e;) Qaçivan: to≥ª ä
(665, 668, 670) (671)
1 ≤ª resti di asta verticale 2 fibre scomposte ºt; pap. 3 ºk≥al≥ pap.; la prima lettera e la terza (soprascritta ad a) potrebbero essere anche, in entrambi i casi, k, l, c 4 fùkv pap. ≤ª resti di lettera tondeggiante, possibile q 5 i>na pap. 6 ot pap. 7 p; pap. 8 p≥ª tratto verticale inclinato verso destra 9 ornÚ pap., seguito da spazio bianco 10 nourgiaiÚ gerhtoqeod pap., con spazio bianco dopo il dicolon 11 oJ koiçuraç:omegaklhç: pap. 12 d vkv pap. ÉÉoimv pap. 13 punqanet pap. ≤ª tratto discendente da destra, quasi prono sul rigo (l ?); al di sotto, estremità di un tratto verticale che scende nell’interlinea 15 fù pap., kv pap. 16 exivçtw: pap. to il t è frutto di correzione (di un precedente ç ?) d v pap. 17 i>nª pap. 18 lamacoç: pap. eiq q corretto su t dikaiop pap. 19 caunopol: pap., caunouçÚ pap., seguito da spazio bianco 20 ot pap. kai aggiunto nell’interlinea 21 mv pap. 22 ea– pap. tou il t è scritto su correzione 23 d v pap., fùlakedaimo pap. 24 !o fùgvoimv pap. ≤ª traccia nella parte alta del rigo 25 w|n pap. 26 kv pap. ≤ª traccia residua congruente con e 28 flegura:enqermoçÚ pap., con spazio bianco dopo il dicolon 29 hkreaÚ oid v pap., con breve spazio bianco dopo il dicolon —— 1 ºkhç≥i ≥ª Grenfell-Hunt 2 fort. ajªqlhºt≥w'≥ªn ad v. 571 (sch. 571a) 3 ºk≥al≥(ei'tai) ad v. 574 ? (cfr. sch. 574b) 3-4 ojrrwº⁄dei'n ? 4 deinw'ç f(hçi) ? hqª Grenfell-Hunt 4-9 suppl. GrenfellHunt 7 miçqarc(ivdhç) de; o{ti ... miçqo;nº Grenfell-Hunt 8 p≥ªravxhi ? 8-9 diovti zw'çi kata; th;n ejº⁄rhmivan Körte 9 fort. Teiçamenªofain(ivppouç): Teiça(meno;ç) k(ai;) Faivn(ippoç) 10 fort. Gevrªhta kai; Qeovdwron 13 l≥ª Grenfell-Hunt : fort. compendium (pr(ovç) ? cfr. fr. B 13) 14 hJ Grenfell-Hunt : h] ? 15 Lavmacªoç. ei[ pote ejkcevoito ajpovniptra, suppl. Trojahn 16 apoªniptron suppl. Grenfell-Hunt ejkcevonteç supplevi 17 i{ªna mhv tiç brach/' tw'n pariovntwn suppl. Trojahn fort. w\ dhmokrativa: tau'ta lev(gei) oJº 18 Lavmacoç: lemma (v. 619 ?) GrenfellHunt ei[qΔ (sic) perperam Trojahn “ouj dªh'ta Athanassiou : oudª Grenfell-Hunt 1921 suppl. Grenfell-Hunt 21 lemma Trojahn povteron perperam Grenfell-Hunt 22 dub. eau(tou) tou Grenfell-Hunt 23 Lakedaimo(nivouç) Grenfell-Hunt Lakedaimo(nivouç) ªth;n Ai[g(inan) ajpaitei'n, i{na çcw'çi to;nº suppl. Trojahn 24 po(ihthn) lemma Grenfell-Hunt fort. k≥ªwmw/divaç Grenfell-Hunt 27 ei[qΔ Trojahn 28 yª perperam Turner suppl. GrenfellHunt ojptoi; post ijcquveç suppl. Trojahn
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Fr. A, col. I ... (97?) remi (?) ... (108?) dicono ... (118) Clistene ... (120) con la barba ... (127) [su] quanti ricevono [molti ospiti]. (134) ... Teoro. ... (140) [Teognide:] algido poeta [tragico]. ... (160) assaliranno: ... (163?) ... dice, la città. ... qualcuno (?) avendo ... sono. (174) ... agliat(a?) ... (180 o 181) rigidi: … Fr. B ... (368) non imbraccerò lo scudo: come [... (376) mordere gettoni: ... di gettoni] fanno uso quando giudicano ... [(378) la commedia dell’anno passato:] ai Babilonesi ... degli Ateniesi e ... fu citato in giudizio da Cleone ... [(386) di Ieronimo: era un poeta] dalla lunga chioma. (391) di Sisifo: come ... il proverbio (392) “la contesa non ... riguardi” ... (419) infelice: viene messo in scena infatti da [Euripide quando è stato spodestato dal] trono e come un mendico [se ne va] in giro. ... (421) viene da lui [messo in scena], poi da Chirone ... (423?) [i cenci] e gli stracci. (444) glielo metta in quel posto: ... con le (?) parole. (446) e a Telefo quel che [penso: ... (455) nessun bisogno]: intende “debito”. (457) come [tua madre: ... (469) foglie secche] dammi: le foglie marce che ... (478) [cerfoglio:] un’erba. (480) bisogna andarsene: ... (482) parlare a favore dei Lacedemoni: ... [(483) linea:] ... dei corridori. (517) adulterati ... [(520) ...] ... simile a Tiqwnovç. [ ... (526) aizzati:] infiammati. (527) due puttane: come puttan(e?) ... [(532) canzonette: canti] da simposio. (542) dei Serifii: degli Aten(iesi?) ... [(547) di Palladii:] ... le triremi, consistenti in [statue] di Pallade ... [(550) nelle reti:] cioè nelle reticelle. (551) di sardelle: ... (555) e Telefo ... (556) non avrebbe [fatto] ... (561?) di loro ... contendenti ... (562-563?) costui ... [(568) tribale:] della stessa [tribù] ... Fr. A, col. II ... gli altri ... come dicono anche i ... [(584) la penna: chiede la penna] per cacciarsela in gola e [vomitare ... (589) fanfarone: chiama così] Lamaco perché [era] millantatore ... [(595) intrigante: ... (596) combattivo:] da ‘combattere’ ... [(597) signore della paga:] che riceve [una paga] per ... [(598) merli:] ... solitudine questi uccelli. (603) Tisamen[ofenippi ... (603) Panurghipparchidi:] malefatte. (605) Geretoteodori: ... (614) ma il figlio di Cesira: Megacle; ... e quanti sono traditori, chi ... là, poi domanda ... la loro posizione ... dice (614) “il figlio di Cesira e Lamaco”... dicevano (617) “via di là!”: l’acqua sporca [versando] ... gridano “via di là”, affinché ... Lamaco: poi Diceopoli (619) “no [davvero]” ... (635) scioccopoliti: equivale a sciocchi. [(647) ora che anche il re] ... dicendo di se stesso “ora che anche il re ...” ... (648-651) anzitutto quali [siano superiori] con la flotta ... il proprio nobile sentire ... (652-654) “per questo” dice “gli Spartani ... poeta”: sostengono infatti alcuni che lì egli ... fra i quali (657-658) la (paga) dei dicasti ... e parlando in modo gradito ... e poi si comportavano così ... (665) infiammata: ardente. (668) [favilla: scintilla. (670) spiedini: pesci] o carne. (671) altri la Tasia: ...
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Fr. A, col. I 3 A tºai'ç kw⁄ªmwidivaiç, stampato dai primi editori, sembra preferibile tºai'ç kwv⁄ªpaiç, proposto da Athanassiou 1999, p. 93, come parte di una spiegazione di v. 97 a[çkwma, sulla scorta di significativi e convergenti paralleli scoliografici (sch. 97a (I) ... a[çkwma dev, oJ iJma;ç oJ çunevcwn th;n kwvphn pro;ç tw'/ çkalmw'/; sch. 97a (II) a[llwç: oJ th'ç kwvphç ojfqalmo;ç e[cei to; a[çkwma. kwvphç de; ojfqalmo;ç to; trh'ma; cfr. sch. Ran. 364b dermavtion w|/ ejn tai'ç trihvreçi crw'ntai, kaqΔ o} hJ kwvph bavlletai) e lessicografici (Sud. a 4183 A. ajçkwvmata: ta; ejn tai'ç kwvpaiç çkepaçthvria ejk devrmatoç, oi|ç crw'ntai ejn tai'ç trihvreçi, kaqΔ o} trh'ma hJ kwvph bavlletai). Lascia incerti solo il fatto di dover ammettere il plurale kwvpaiç nella spiegazione del singolare a[çkwma. 5-6 Dal r. 6 si può evincere che il commentario riferisse almeno due spiegazioni alternative riguardo a un lemma ignoto. Benché le tracce al r. 5 non consentano di restituire ajcavnaç ... cruºçivou (v. 108) in funzione di lemma (la proposta è di Athanassiou 1999, pp. 93-94), è plausibile che qui la spiegazione concernesse quel punto degli Acarnesi, proponendo, “sous forme abrégée bien sûr, les mêmes explications alternatives que les scholies des manuscrits” (Maehler 2000, p. 31): sch. 108a ajcavnh mevtron ejçti; Perçikovn, w{çper hJ ajrtavbh parΔ Aijguptivoiç. ejcwvrei de; medivmnouç ΔAttikou;ç me‹, wJç marturei' ΔAriçtotevlhç (fr. 582, 2 G.)15. a[lloi dev (Phanod. FGrHist 325, fr. 19; cfr. Hsch. a 8818 L.) façin o{ti kivçth ejçtivn, eijç h}n katetivqento tou;ç ejpiçitiçmou;ç oiJ ejpi; ta;ç qewrivaç çtellovmenoi. Lo scolio ha una stretta consonanza con AelD. a 202 E. 7-8 Una o più note sul Clistene menzionato al v. 118, bersagliato anche altrove da Aristofane come cinedo (Ran. 48, 57, 422), in quanto usava radersi il mento a fini estetici (Ach. 120; sch. 118 e 122). Al r. 7, Kleiçq(evnhç) è da ritenere parte della spiegazione, e non del lemma, in assenza di ano stigme e in virtù della traccia che lo precede (e o ç, mentre ad Ach. 118 il nome proprio è preceduto da ejçti). Al r. 8 è possibile diºabavllwn, ancora nell’àmbito di una spiegazione della satira aristofanea di Clistene, a completamento della nota su v. 118 Kleiçqevnhç oppure su v. 119 w\ qermovboulon prwkto;n ejxurhmevne. Athanassiou 1999, p. 94, ipotizza eujnouvcw/ parºabavllwn, sulla scorta dello sch. 118 dia; tou'to eujnouvcw/ (vv. 117, 121) aujto;n eijkavzei; Trojahn 2002, p. 14, con l’apparato, accoglie parºabavllw(n) nel testo. Il dicolon a fine r. 8 indica il termine della nota. 9 Cfr. vv. 120-121 toiovnde dΔ, w\ pivqhke, to;n pwvgwnΔ e[cwn ⁄ eujnou'coç hJmi'n h\lqeç ejçkeuaçmevnoç…. Lo sch. 120 rileva la parodia del fr. 187 W.2 di Archiloco (toihvnde dΔ w\ pivqhke th;n pugh;n e[cwn). Athanassiou 1999, p. 94, immagina nel papiro e.g. eijçavgei to;n Kleiçqevnh yeudh' pwvºgwna e[co(nta).
15 Cfr. Paus. Att. a 179 E.; Poll. X 164; su una linea affine Sb a 2591 C. ajcavnh: mevtron Boiwvtion pollw'n tinwn medivmnwn. ou{twç ΔAriçtofavnhç (Ach. 108).
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10 L’integrazione, dei primi editori, è ricavata dallo sch. 127a I tou;ç de; xenivzein: paroimiva ejpi; tw'n pollou;ç xevnouç uJpodecomevnwn “oujdevpotΔ i[çcei hJ quvra” (seguono paralleli da Eupoli, Callimaco, Pindaro); cfr. sch. 127b oujdevpotΔ i[çcei gΔ hJ quvra: paroimiva ejpi; tw'n pollou;ç xevnouç ajpodecomevnwn; Sud. i 717 A. Più ardita l’integrazione proposta da Trojahn 2002, p. 14, interamente plasmata sugli scolii citati. 11 Non lemma, ma conclusione di spiegazione, come segnalato dal dicolon. Lo scolio antico ad l. ricorda le menzioni di Teoro nelle Nuvole e nelle Vespe. 12 Cfr. sch. 11 Qevogniç de; ou|toç tragw/divaç poihth;ç pavnu yucrovç, ei|ç tw'n triavkonta, o}ç kai; ciw;n ejlevgeto; sch. 140a ou|toç oJ Qevogniç tragw/divaç poihth;ç yucrovç. Il secondo scolio prosegue con una considerazione estetica sul comico accostamento dello stile algido teognideo al gelo della Tracia. 14-15 Cfr. sch. 160a katapeltavçontai: katakontivçouçi, katapolemhvçouçi. pevlth ga;r ei\doç mhcanh'ç, ajfΔ h|ç ajkovntia kai; a[lla tina; ajfia'çin. h] katadramou'ntai. pevlth ga;r ajçpi;ç mikra; mh; e[couça iJmavnta. Sulla scorta dello scolio, Athanassiou 1999, p. 95 (cfr. Maehler 2000, pp. 31-32), suggerisce di integrare al r. 15 pevlth ga;r ei\doç mecanhvºmatoç e si mostra propenso a escludere che il commentario riportasse anche l’altra spiegazione, peraltro corretta, che interpreta pevlth come ajçpi;ç mikrav. Quest’ultima opinione, condivisa da Maehler, forse non è incontrovertibile, in quanto la spiegazione nel papiro poteva estendersi in parte anche nel r. 16. Ammettendo che ciascun rigo del commentario contenesse almeno una cinquantina di caratteri (cfr. fr. A II 28 con il commento) e considerando la possibilità di abbreviazioni, si potrebbe pensare, a titolo d’esempio, a kºatapel⁄ªtavçontai: katakontivç(ouçi) h] katadram(ou'çi), pevlth ga;r ei\doç mhcanhvºmatoç ⁄ ªh] ajçpivç mikrav. 16 I primi editori hanno supposto una connessione con v. 163 çwçivpoliç: cfr. lo scolio tricliniano 163c oJ çwçivpoliç: oJ tai'ç trihvreçi çwvzwn th;n povlin. 18 Il participio si attaglierebbe a una nota ancora al v. 163, cfr. sch. 163a oi[moi tavlaç ajpovllumai: dei' noei'n o{ti ejk tw'n ajgrw'n e[rcetai oJ Dikaiovpoliç, e[cwn fortivon çkorovdwn, kai; ejphreavzetai uJpo; tw'n xevnwn, wJç ejkeivnwn limwttovntwn kai; aJrpazovntwn ta; çkovroda. tou'to de; ei\pe porqouvmenoç parovçon kai; oiJ porqouvmenoi ajpovlluntai ktl. 19-20 Al r. 19 è possibile una forma participiale a spiegare v. 166 ejçkorodiçmevnoiç, parola conclusiva di verso e di battuta (che qui si tratti della parte finale del lemma è sconsigliato dall’assenza del punto in alto, benché esso talvolta sia omesso dallo scriba): cfr. sch. 166a II ajnti; tou' çfodroi'ç ou\çi kai; pikroi'ç genomevnoiç ktl. Cfr. anche P.Oxy. XI 1402 ⇒ 32 (?), fr. 1 recto. Al r. 20, Athanassiou 1999, p. 95, ritiene molto verosimile ojxuvterºo≥iv (eijçi), ancora nell’àmbito della spiegazione di ejçkorodiçmevnoiç e con riferimento ai galli. 21-22 Cfr. sch. 174a (= Sud. m 1492 A.) muttwtovn: ajnti; tou' çkovroda, ejx w|n oJ muttwto;ç givnetai. kataçkeuavzetai de; ajpo; turou' kai; çkorovdwn kai; wj/ou'. ajpo;
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tou' panto;ç ou\n kataçkeuavçmatoç to; mevroç ejdhvlwçe, toutevçti ta; çkovroda. Più sintetica la tradizione lessicografica: Poll. VI 70 oJ muttwtovç, tri'mma ejk çkorovdwn drimuv; S m 310 C. (= Hsch. m 2001 L., Phot. Lex. m 633 Th., Sud. m 1492 A.) uJpovtrimmav ti dia; çkorovdou (çkorovdwn Hsch.). 22 La glossa çklhroiv conviene tanto a v. 180 privninoi, così spiegato negli sch. 180a e 180b (cfr. Sud. p 2290 A. privninoi a[nqrakeç: çtereoi; kai; çklhroiv ktl), quanto a v. 181 ajteravmoneç, come nello sch. 181a (cfr. Hsch. a 8054 L. ajteravmwn: çklhrovç ktl; a 8055 L. ajteravmoçi: çklhroi'ç; Sud. a 4344 A. ajteravmwn: livan çklhrovç ktl). Nella Suda viene altresì accreditata l’equivalenza di ajteravmwn e ajtevramnon (a 4343 A. ajtevramnon: çklhro;n ... kai; ajteravmwn, ajkatapovnhtoç, çklhrovç ktl; cfr. S a 1050 C. ajtevramnon: çklhrovn, duçmetavblhton), espressamente respinta in Sb a 2340 C. ajteravmoneç: oujci; ajtevramnoi ktl. Fr. B 1 Si può ipotizzare oºi[nou, nell’àmbito di una spiegazione di v. 354 mhde;n i[çon i[çw/ fevron: cfr. sch. 354a ajnti; tou' divkaion kai; ejx i[çou, ajpo; metafora'ç tou' kirnamevnou oi[nou pro;ç i[çon u{dwr ktl. La prima traccia leggibile porta a escludere, invece, una forma di ejpivxhnoç, il ‘ceppo’ su cui Diceopoli è disposto a porre il collo se risulterà colpevole ai carbonai (vv. 355, 359, 365, 366). Lo sch. 368a spiega oujk ejnaçpidwvçomai con ajnti; tou' ouj kaqoplivçomai, oujk ajçpivdi peribalou'mai çemnunovmenoç, h] çkeuaçqhvçomai, ejpeidh; bracuvç eijmi. bouvletai de; eijpei'n o{ti ouj paraçkeuavçomai ejpi; poluv. Nel papiro si può pensare a una spiegazione del tipo oi|on ªouj kaqopliv(çomai) oppure oi|on ªouj paraçkeuav(çomai), seguito da dicolon. 1-2 L’oscillazione della tradizione diretta della commedia rende impossibile determinare quale precisa forma avesse in lacuna al r. 1 il lemma spiegato al rigo seguente (v. 376 yhfhdakei'n B, yhfodakei'n RA, yhvfw/ dakei'n G Ald sch. 376a (lemma EG); le due forme composte sono hapax assoluti). Se qui si stampa yhfhdakei'n, tuttavia non si intende prendere posizione per la sicura presenza nel papiro di una variante rispetto a un’altra. Al r. 2 è possibile anche restituire ª(toi'ç) yhvfoiçº o≥i |ç dikavzonteç crw'ntai k≥ªataginwvçkouçin (cfr. sch. 375) vel k≥ªatadikavzouçin (cfr. sch. 376a-c). 2-5 Aristoph. Babylonii, test. III K.-A. La spiegazione di v. 378 th;n pevruçi kwmw/divan si estende su tre righi, cogliendo lo spunto per un rapido accenno al contenuto dei Babilonesi (r. 4) e alla citazione in giudizio di Aristofane da parte di Cleone (r. 5). L’ampio sch. 378 (test. IV K.-A.) pare avere struttura analoga, ma contenuto e formulazione del tutto differenti: tou;ç Babulwnivouç levgei. touvtouç ga;r pro; tw'n ΔAcarnevwn ΔAriçtofavnhç ejdivdaxen, ejn oi|ç pollou;ç kakw'ç ei\pen. ejkwmwv/dhçe ga;r tavç te klhrwta;ç kai; ceirotonhta;ç ajrca;ç kai; Klevwna, parovntwn tw'n xevnwn. kaqh'ke ga;r dra'ma tou;ç Babulwnivouç ãejnà th'/ tw'n Dionuçivwn eJorth'/, h{tiç ejn tw'/ e[ari ejpitelei'tai, ejn w|/ e[feron tou;ç fovrouç oiJ çuvmmacoi. kai; dia; tou'to ojrgiçqei;ç oJ Klevwn ejgravyato aujto;n ajdikivaç eijç tou;ç poliv-
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taç, wJç eijç u{brin tou' dhvmou kai; th'ç boulh'ç tau'ta pepoihkovta, kai; xenivaç de; aujto;n ejgravyato kai; eijç ajgw'na ejnevbalen ktl. All’inizio della parte superstite del r. 4 i primi editori leggevano ºt≥ouç e alla fine, con qualche riserva, pedi≥ª. Körte 1911 proponeva eijçhvgage ga;r tou;ç çummavcouç wJç douvlouç ⁄ çtikºt≥ou;ç tw'n ΔAqhnaivwn kai; pedhvªtaç (integralmente accolto nel testo da Trojahn 2002, p. 15), richiamando a sostegno alcuni frammenti dei Babilonesi (frr. 90 e 99 K.-A.; cfr. frr. 650 e 871 K.-A.). Con la lettura ºt≥ouç compete ºg≥ouç, non trascurabile a motivo di una delle fonti del fr. 99 dei Babilonesi, Eustath. ad Hom. Il. p. 725, 30 (ad Il. VI 488) tripevdwn oJ pollavkiç pedhqei;ç kakou'rgoç dou'loç. Il commentario fornisce dunque una testimonianza sulla trama della commedia perduta, ricavabile induttivamente (e non senza incertezze) soltanto combinando le scarne notizie fornite dalle fonti erudite (test. IV e V K.-A.) con i citati frammenti del dramma. Sul dibattito cfr. Gil 1989, pp. 64-67. All’inizio del r. 5 Körte 1911, p. 269, integrava eijçacqei;ç uJºp≥o; Klevwnoç, recepito nel testo da Trojahn 2002, p. 15 (eijçacº⁄ªqei;ç uJºp≥o; Klevwnoç). 5-6 Sul tragediografo Ieronimo, figlio di Xenofanto, si diffonde lo sch. ad l. ou|toç oJ ÔIerwvnumoç melw'n ejçti poihth;ç kai; tragw/dopoio;ç ajnwvmaloç kai; ajnoikonovmhtoç, dia; to; a[gan ejmpaqei'ç gravfein uJpoqevçeiç kai; foberoi'ç proçwpeivoiç crh'çqai. ejdovkei de; krotei'çqai. ejkwmw/dei'to de; wJç pavnu komw'n. diovper “Ai>doç kunh'n (390) e[fh aujto;n paivxaç kwmikw'ç wJç kouriw'nta. L’aggettivo komhvthç è attributo indiretto di Ieronimo in Nub. 348 ka\/tΔ h]n me;n i[dwçi komhvthn ⁄ a[griovn tina tw'n laçivwn touvtwn, oi|ovnper to;n Xenofavntou ktl (= TrGF 31 test. 2 Sn.-K.) e non è da escludere che il commentatore avesse in mente questo passo aristofaneo. 6-7 I manoscritti aristofanei hanno concordemente al v. 391 ta;ç Çiçuvfou, tanto nel testo della commedia quanto nei lemmi degli scolii. Il pochissimo di commento che resta al r. 6 non consente di vedere contatti con lo sch. 391a, che delinea un sintetico profilo di Sisifo citando altresì Il. VI 153. Nella parte destra del r. 6 sono cadute in lacuna meno di trenta lettere, troppo poco per ritenere che vi trovasse posto anche un lemma tratto dal v. 392, commentato nel rigo successivo. Lì, del resto, il v. 392 è riportato propriamente non in funzione di lemma (come è invece propensa a ritenere Trojahn 2002, p. 16 apparato), ma all’interno della spiegazione, dopo l’accusativo appositivo parºo≥imivan. Pertanto si dovrà ritenere che la spiegazione di v. 391 tou' Çiçuvfou e quella del v. 392 fossero collegate, tanto sul piano logico quanto su quello sintattico: e.g. tou' Çiçuvfou: oi|on ªpanouvrgou, dio; k(ai;) ejphvgageº ⁄ ªth;nº paroimivan “çkh'yin ktl. Al r. 7 è segnalato il carattere proverbiale della sentenza di v. 392, il cui conio è attribuito dalla tradizione paremiografica antica a Ibico (fr. 344 D. ajgw;n provfaçin oujk ejpidevcetai, ou[te filiva, ap. Zenob. II 45). Il detto incontrò ampia fortuna letteraria (cfr. Gerber 1982, pp. 124-125, commento a Pind. O. 1, 81) ed è debitamente registrato nella lessicografia: Paus. Att. a 23 E. (=
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Phot. Lex. a 317 Th., Sud. a 328 A.) ajgw;n ouj devcetai çkhvyeiç. Le tracce estreme presenti nel papiro, leggibili su una fibra sporgente oltre la frattura destra, consentono di ipotizzare ouj d≥e v≥c≥ªetai, come nelle attestazioni lessicografiche del proverbio, con maggiore plausibilità paleografica rispetto a out≥o≥ç≥ ª letto dai primi editori. La spiegazione del v. 392 nel papiro appartiene al filone paremiografico che attraversa gli scolii ad Aristofane e che rimonta a Didimo (da cui la frequente consonanza degli scolii aristofanei con la raccolta di Zenobio, che da Didimo attinse): cfr. Athanassiou 1999, p. 97. È perciò degno di nota che gli scolii tacciano riguardo al proverbio di v. 392 (cosa che non accade per Ach. 127: cfr. supra, fr. A I 10 con il commento). 8-9 Il commentatore si limita a riferire gli elementi cruciali della rappresentazione euripidea di Oineo come un miserabile, richiamata da Aristofane ai vv. 418-419, laddove lo sch. 418a riassume l’intreccio della tragedia (la spaziatura dei caratteri evidenzia i punti di contatto con P.Oxy. VI 856): gevgraptai tw'/ Eujripivdh/ dra'ma Oijneuvç. meta; de; to;n qavnaton Tudevwç kai; ejpiçtravteuçin Diomhvdouç kata; Qhbaivwn aj f h/ r ev q h t h; n b a ç i l e iv a n Oijneu;ç dia; to; gh'raç uJpo; tw'n ΔAgrivou paivdwn ka i; p e r i hv/ e i t a p e i n ov ç, a[criç ou| ejpanelqw;n oJ Diomhvdhç “Agrion me;n ajnei'le, th;n baçileivan de; Oijnei' paradevdwke. La ricostruzione del r. 8 congetturata dai primi editori è conforme alla presumibile ampiezza originaria della colonna, su cui cfr. fr. A II 28 con il commento. 9-10 Körte 1911, p. 269, e Id. 1923, p. 256, ha riconosciuto la pertinenza dei due righi a v. 421 tou' tuflou' Foivnikoç (da ripristinare eventualmente come lemma in lacuna al r. 9) e vi ha integrato, ma con generosità eccessiva nella valutazione dell’ampiezza della lacuna iniziale, tuflwqei;ç ga;r uJpo; tou' patro;ç eijçavgeºtai parΔ aujtw/', uJpo; de; Ceivrwnªoç qerapeuqei;ç ta;ç o[yeiç ..., sulla base di [Apollod.] Bibl. III 13, 8 ou|toç ajpo; tou' patro;ç ejtuflwvqh katayeuçamevnhç fqora;n Fqivaç th'ç tou' patro;ç pallakh'ç. Phleu;ç de; aujto;n pro;ç Ceivrwna komivçaç, uJpΔ ejkeivnou qerapeuqevnta ta;ç o[yeiç baçileva katevçthçe Dolovpwn. Questa ricostruzione, senz’altro plausibile per il suo significato complessivo, lo è solo parzialmente per quanto attiene alla formulazione: in particolare, non abbiamo elementi per riconoscere una relazione diretta di questo punto del commentario con il passo citato di Apollodoro (cfr. Athanassiou 1999, p. 98; Maehler 2000, p. 32). Dal r. 10 discende che, nella versione euripidea del mito di Fenice, questi era sanato dal Centauro. Non sussistono scolii analoghi e non è raffrontabile con il papiro il tricliniano sch. 421 Foivnika levgei to;n ΔAmuvntoroç. Da notare la ripetizione a breve distanza della formula esegetica eijçavgeçqai parav tini, già impiegata al r. 8; l’anaforico (aujtw'i), in luogo del nome del poeta parodiato, si spiega con la frequenza delle allusioni a Euripide presenti nel passo comico e rilevate dal commentatore. 11 ta; rJavºk≥h k(ai;) ta; çcivçmata è spiegazione che può convenire a v. 423 lakivdaç, v. 426 duçpinh' ... peplwvmata, v. 431 çpavrgana, v. 432 rJakwvmata, v. 433
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tw'n rJakw'n. La prima occorrenza (preferita da Trojahn 2002, p. 15) si candida a essere quella implicata dal commentario per una ragione di economia dell’esegesi (è il primo della ricercata serie di sinonimi citati, uno soltanto dei quali è qui spiegato) e per il parallelismo con alcune attestazioni lessicografiche: Orion l 96, 27 St. ãlakivdeç:à ejpi; çcivçmatoç iJmativou; Hsch. l 200 L. lakivdeç: ta; lepta; tw'n ajrmevnwn çcivçmata; l 204 L. lakivç: rJagavç, ... çcivçma. Ma buone possibilità ha anche v. 431 çpavrgana, spiegato dallo sch. 431 ta; iJmavtia. kurivwç de; ta; rJavkh; cfr. Hsch. ç 1411 H. çpavrgana: deçmav, rJavkh. 11-12 Lo sch. 444a (cfr. 444b, Sud. ç 606 A.) spiega il verbo çkimalivzein nel senso proprio (‘saggiare con il dito’ se un uccello sta producendo l’uovo, da cui ‘palpare il culo’ a una donna) e in quello traslato (‘trattare con irriverenza’, ‘sbeffeggiare’; cfr. sch. 444c), idoneo a spiegare v. 444 rJhmativoiç çkimalivçw. Nel papiro, al r. 11 vi è spazio sufficiente per immaginare una spiegazione di tipo glossografico (e.g. ejxouqenivçw, cleuavçw, come nello scolio 444a); r. 12 ºoiç rJhvmaçi precisava senza dubbio il significato traslato del verbo, parafrasando altresì rJhmativoiç del testo comico. 12 Il lemma Thlevfwi dΔ aJgªw; fronw' (v. 446) era seguito presumibilmente da una succinta indicazione del tipo ejk Thlevfou Eujr(ipivdou): cfr. sch. 446 para; ta; ejk Thlevfou Eujripivdou. 12-13 Il commento individua l’ironia nell’uso di crevoç, il cui significato oscilla ambiguamente fra ‘bisogno’ (in tal senso lo impiega il personaggio Euripide al v. 454) e ‘debito’ (così Diceopoli al v. 455). Diversamente lo sch. 455, che spiega l’intero v. 455 mimei'tai to;n Eujripivdou carakth'ra tw'/ lovgw/. 13 L’esiguo spazio a disposizione nella lacuna, che segue il lemma w{çpeªr hJ mhvthr e precede il lemma successivo, ammette una spiegazione molto succinta, forse il solo nome della madre di Euripide (hJ Kleitwv), senza ulteriore commento sull’ironia aristofanea in proposito. Più estesamente lo sch. 457b çkwvptei aujth;n wJç lacanovpwlin, th;n Kleitwv. Ma cfr. anche infra, commento ai rr. 13-14. 13-14 Lo sch. 469a spiega ijçcnav moi fullei'a: ta; ajpolepivçmata tw'n lacavnwn. “ijçcna;” de; oi|on memarammevna kai; eujtelh' tw'n lacavnwn fuvlla ktl. La soluzione proposta da Grenfell e Hunt per questi due righi del commentario (integrare come lemma v. 469 ijçcnav moi ⁄ fullei'aº dovç: cfr. Trojahn 2002, p. 16) è naturale ed economica, ma non scevra di elementi d’incertezza, e cioè: l’assenza di ano stigme fra dovç e ciò che segue (benché fra lemma e glossa il punto sia omesso al r. 16 e in fr. A II 10, 24, 29); e la difficoltà di ricostruire il contenuto della proposizione relativa nella parte finale lacunosa del r. 14. Un’alternativa è che il lemma sia caduto interamente nella lacuna che precede dovç e che quest’ultimo sia parte della parafrasi. Altrimenti si può ritenere che la spiegazione di v. 457 w{çpeªr hJ mhvthr (r. 13) inglobasse una parafrasi di v. 469 ijçcnav moi fullei'a dovç, stabilendo un collegamento tra le due battute simili di Diceopoli, e.g. rr. 13-14 w{çpeªr hJ mhvthr: lacanovpw(liç) h\n,º ⁄ ªdio; k(aiv) fh(çi)º do;ç ta; çapra; fuvlla a} ejke≥ªivnh pwlei'. Athanassiou 1999, p. 99, che segue la lettura t≥ª dei primi editori
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(francamente improbabile), propone ejk tªw'n lacavnwn vel ejk tªh'ç mhtro;ç e richiama v. 478 çkavndikav moi dovç, mhtrovqen dedegmevnoç. 14-15 Cfr. sch. 478a (~ 478b) e[çti de; lavcanon a[grion eujtelevç; Hsch. ç 844 H. (~ Sud. ç 536 A.) çkavndix: lavcanon a[grion, paro; kai; çkandikopwvlhn to;n Eujripivdhn levgouçin, ejpeidh; lacanopwlhtrivaç uiJo;n aujto;n ei\naiv façi. 15-16 Gli scolii non spiegano v. 480 ejmporeuteva (tuttavia si può confrontare sch. 754c ejmporeuovman: wJdoipovroun), né v. 482 uJpe;r Lakedaimonivwn ajndrw'n levgein, la cui spiegazione si estendeva nel papiro per una ventina di lettere al massimo (se è corretto ammettere la presenza del lemma grammhv verso la fine del r. 16). 16-17 Da drºomevwn si ricava una spiegazione di v. 483 grammhv, sulla scorta dello sch. 483 ajrchv, ajfethriva, hJ legomevnh balbivç. ejk metafora'ç ou\n tw'n dromevwn. 17 Su v. 517 parakekommevna cfr. sch. 517a (~ Sud. p 358 A.) ajpo; metafora'ç tw'n ajdokivmwn nomiçmavtwn, a{per paravtupa levgetai kai; parakekommevna ktl. Si può qui supporre in lacuna una breve glossa: paravtupa o paravçhma. Da rilevare che il commentario omette di spiegare i numerosi riferimenti all’attualità politica e storica presenti nei versi iniziali dell’agone (490 ss.). 18 In virtù di çikuwi, Grenfell e Hunt restituiscono v. 520 çivkuon i[doºi≥en in funzione di lemma (benché dopo º≤en manchi la ano stigme), ma considerano enigmatica la menzione di Titono in questo punto del commentario (Tiqwnovn ricorre al v. 688 degli Acarnesi). Un altro elemento di incertezza è u costituito dall’abbreviazione o. Al di là delle diverse soluzioni congetturali ipotizzabili16, alcune ricostruzioni e intepretazioni del testo tràdito possono essere tentate. In prima battuta, si potrebbe intendere çivkuon i[doºi≥en: ouj çikuvwi Tiqwnw'i ejoik(ovç), “vedevano un cetriolo]: (un cetriolo) dall’apparenza non di un cetriolo decrepito”, nel senso che agli occhi dei sicofanti suscitava scandalo la vista ad Atene di cetrioli megaresi freschi e appena còlti, in violazione del decreto pericleo che vietava le transazioni commerciali con Megara; ma questa interpretazione implica un improbabile uso antonomastico di Tiqwnovç da parte del commentatore (parallelo a quello citato di Ach. 688). Sembra più probabile che siamo in presenza di un’osservazione di natura prosodica, relativa all’accentazione del sostantivo çivkuoç, come ha intuito Athanassiou 1999, p. 100, che tuttavia non è pervenuto a una conclusione soddisfacente. I termini çivkuoç e Tiqwnovç sono addotti come esempi dal gram-
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Si potrebbe pensare a una corruttela generatasi per contiguità della spiegazione del v. 520 e di quella del v. 688 (e.g. a[ndra Tiqwnovn: Tiqwnw/' ejoikovta), affiancate in colonne attigue nel modello del commentario. Una diversa possibilità è correggere tiqaçw'i (MH per litteras): ma l’aggettivo è usato molto raramente in riferimento a vegetali e mai, a quanto pare, nel significato qui eventualmente utile di ‘domestico’ nel senso di ‘locale’, ‘nostrano’ in contrapposizione a ‘straniero’ (i.e. megarese).
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matico Erodiano in due sezioni diverse del quinto libro del Peri; kaqolikh'ç proçw/divaç (Peri; tovnou tw'n eijç oç ojnomavtwn), rispettivamente quella (I p. 127, 21 ss. L.) sui nomi eijç oç uJperdiçuvllaba paralhgovmena u çuneçtalmevnw/, i quali proparoxuvnetai (l’esemplificazione inizia proprio con çivkuoç, unico nome comune della serie) e quella (I p. 185, 19 ss. L.) sui nomi eijç wnoç aJpla' uJperdiçuvllaba, i quali ojxuvnetai (Tiqwnovç è il quinto esempio fra quelli prodotti). L’oscillazione dell’accento di çivkuoç/çikuovç, documentata nell’uso, in presenza di una codificazione grammaticale autorevole che sancisce la correttezza della pronuncia proparossitona, è motivo sufficiente a far sospettare nel commentario ossirinchita un intervento esegetico sull’argomento, ricostruibile e.g. to; “çivkuoç” barunºq≥e vn, ouj çikuw/', Tiqwnw/' ejoik(ovç), “çivkuoç con l’accento ritratto,] non simile a çikuovç, Tiqwnovç”; ovvero, qualora si preferisca u sciogliere o con ou{tw (con i primi editori), si può pensare a una breve discussione sulle due accentazioni, che terminava con le parole ... ou{tw “çikuw'/”, “Tiqwnw'/” ejoik(ovti), “... così çikuw'/, simile (per l’accento) a Tiqwnw'/”. Il ricorso a un secondo esempio di pronuncia ossitona, accanto a çikuovç, potrebbe essere stato richiesto al commentatore dall’assenza di notazione prosodica nel testo letterario a sua diposizione. E la scelta può esser caduta su Tiqwnovç, anziché su un altro esempio equivalente, per la convergenza di due fattori: uno esterno al commentario in sé, cioè la competenza dell’esegeta (o dell’epitomatore) rispetto al canone prosodico testimoniato da Erodiano e alla relativa esemplificazione; uno interno al commentario stesso, cioè l’occorrenza del ‘canonico’ Tiqwnovç negli Acarnesi, al v. 688 (hapax aristofaneo)17. 18-19 Cfr. sch. 526a pefuçiggwmevnoi: pefuçhmevnoi. fuvçigx levgetai to; ejkto;ç levpiçma tw'n çkorovdwn, hJ fuçivggh (~ Hsch. p 2138 H., Phot. Lex. p. 427, 17-18 P.). e[paixen ou\n kai; tou'to eijç Megarevaç o{ti polla; çkovroda e[couçin. h] peplhçmevnoi, ajpo; metafora'ç tw'n to;n a[nemon decomevnwn ajçkw'n h] fuçw'n. h] ejkkekaumevnoi, oijdou'nteç; e inoltre S f 234 C. (~ Moer f 32 H.; Hsch. f 1048 H.-C., Sud. f 860 A.) fuvçiggeç: ta; ejn tai'ç knhvmaiç ejkkauvmata. Nella lacuna a destra del r. 18 possono essere cadute circa 25 lettere, comprendenti il lemma pefuçiggwmevnoi e l’inizio della spiegazione, forse una prima glossa, seguita da una seconda al r. 19: e.g. ªpefuçhmevnoi h]º ⁄ ªejkkekauºmevnoi. 19 Considerando l’estensione della lacuna a destra, che doveva comprendere anche il lemma successivo (v. 532 çkovlia), la spiegazione di povrna duvo poteva consistere di circa 25 lettere, fra le quali wJç pornª. È dunque degna di nota l’integrazione immaginata da Athanassiou, p. 100: wJç povrnªhi th'i ΔAçpaçivai crh'tai. Non sembra giovare alla ricostruzione lo sch. 527 ΔAçpaçivaç povrna duvo: th'/ mia'/ touvtwn ejkevcrhto oJ Periklh'ç: diΔ h}n ojrgiçqei;ç e[graye to; kata; Megarevwn yhvfiçma ajpagoreuvwn devceçqai aujtou;ç eijç ta;ç ΔAqhvnaç. o{qen ejkei'noi 17 Sembra da escludere nel papiro una nota morfologica su genere e caso del termine, come nello sch. Ach. 520 çivkuon: ajpo; eujqeivaç th'ç “oJ çivkuoç”; cfr. Sud. p 400 A.
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eijrgovmenoi tw'n ΔAqhnw'n proçevfugon toi'ç Lakedaimonivoiç. hJ de; ΔAçpaçiva Periklevouç h\n çofivçtria kai; didavçkaloç lovgwn rJhtorikw'n: u{çteron de; kai; gameth; aujtou' gevgonen. 19-20 La spiegazione glossografica mevlh paºr≥oivnia del termine çkovlia non trova riflesso negli scolii agli Acarnesi ma ha significativi paralleli altrove: Grenfell e Hunt richiamano lo scolio tricliniano Ve. 1238c çkovlia de; levgetai ta; paroivnia mevlh ta; ejpi; çumpoçivoiç aj/dovmena ktl, ripreso con lievi modifiche nell’edizione Aldina, e lo sch. Ve. 1239 ejn toi'ç [scil. çkolivoiç] Praxivllhç fevretai paroinivoiç; si possono aggiungere sch. Ve. 1222b ejn kuvklw/ ga;r h\/don ta; çkovlia, a{ eijçi paroivniai wj/daiv; sch. Ran. 1302a çkovlia levgetai ta; paroivnia (paroithvi >a codd.) a[/çmata. La matrice atticista della spiegazione risulta da Paus. Att. ç 16 E. (= Phot. Lex. p. 523, 7 P., Sud. ç 643 A.; cfr. Hsch. ç 1057 H., sch. Plat. Gorg. 451e [2] G.) çkoliovn: hJ paroivnioç wj/dhv ktl. 20 Mentre lo sch. 542 tratteggia rapidamente l’entità e la posizione geografica dell’isola di Serifo (hJ de; Çevrifoç nh'çovç ejçtin eujteleçtavth pro;ç th'/ Qrav/kh/), il commentario ne indicava il connotato politico ( ºtw'n ΔAqªhnai-), quasi certamente ricordando l’appartenenza dei Serifii alla lega navale delioattica. Della spiegazione devono essere cadute circa 15 lettere, e.g. tw'n ΔAqªhnaivwn çummavcwn; o anche, con Athanassiou 1999, p. 100, ma prevedendo alcune abbreviazioni, tw'n ΔAqªhn(aivwn) çuvmmac(oi) oiJ Çerivfioi oppure tw'n ΔAqªhn(aivwn) nh'çoç hJ Çevrifoç. 20-21 Le proposte d’integrazione dei primi editori (che nella parte iniziale del rigo suppongono taº p(eri) taç) traggono ispirazione dallo sch. 547a ... pallavdia de; ejn tai'ç prwv/raiç tw'n trihvrwn h\n ajgavlmatav tina xuvlina th'ç ΔAqhna'ç kaqidrumevna, w|n ejpemelou'nto mevllonteç plei'n. 22 La spiegazione di v. 550 ejn diktuvoiç con ejn gurgavqoiç, priva di riscontro negli scolii agli Acarnesi, gode di significativi paralleli nella lessicografia: Poll. X 158; Hsch. g 1023 L.; Sud. g 508 A. (tutti su Aristoph. Daitaleis, fr. 226 K.-A.). 22-23 Al lemma tricªivdwn ben si attaglierebbe come spiegazione un convenzionale (tricivdeç vel trici;ç) ei\doç ijcquvwn, che ricorre nello sch. 551a (cfr. Sud. t 1038 A.). Per la prima parte, lacunosa, del r. 23 è possibile pensare alla continuazione della stessa nota su tricªivdwn (lo scolio citato prosegue i[çwç ou}ç kai; hJmei'ç kalou'men qrivççaç, ejpei; qrixi;n o{moia e[couçin ojçta', da cui si può ricavare nel papiro, e.g., w{çper aiJ qrivççºai) oppure alla spiegazione di v. 554 niglavrwn, con Grenfell e Hunt, che sulla scorta dello sch. 454 oJ nivglaroç krou'mav ejçti kai; mevloç mouçiko;n parakeleuçtikovn (~ Sud. n 366 A.) immaginano nel papiro “e.g. mevloç w|/ ... crw'ntºai or ... oiJ keleuçtºaiv”. 23-24 Spiegazione di vv. 555-556 to;n de; Thvlefon ⁄ oujk oijovmeçqa…, con scioglimento dell’interrogativa brachilogica, e.g. oijovmeqa o{tiº oJ≥ T≥h≥vl≥e ≥ªfoç oºujk a]n e[pªratte tau'ta…, sulla falsariga di v. 555 tau'tΔ oi\dΔ o{ti a]n ejdra'te. 25-26 aujtw'n si sposa bene con v. 561 divkaia pavnta koujde;n aujtw'n yeuvde-
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tai. Trattandosi del primo intervento del Semicoro B‹, d’ora innanzi contrapposto al Semicoro A‹ nel sostenere uno dei due contendenti dell’agone, è plausibile che al r. 26 debba essere letto ajºg≥wnizo(mevnwn) tw'ªn nel quadro di una spiegazione del diverso punto di vista asserito dal Semicoro in questi versi. In alternativa, il r. 26 potrebbe concernere la successiva battuta del Semicoro B‹ (v. 564), che precede l’invocazione in scena di Lamaco da parte del primo Semicoro: cfr. sch. 564a to; hJmicovrion to; çunagwnizovmenon aujtw'/ levgei o{ti mh; ajnacwrhvçh/ç ajllΔ a[nteipe: beltivwn ga;r e[çh/ (cfr. sch. 557 a[lhqeç w\pivtripte: ejntau'qa diairei'tai oJ coro;ç eijç duvo mevrh, kai; to; me;n ojrgivzetai ejfΔ oi|ç levgei oJ Dikaiovpoliç, to; de; kai; ajpodevcetai ktl). 27 I primi editori suppongono outoç deicª, forse pensando al tema della delazione (deivknumi) svolto nei vv. 557 ss., ma è possibile dividere outoç dei cª e vedervi una relazione con vv. 562-563 ei\tΔ eij divkaia, tou'ton eijpei'n au[tΔ ejcrh'n… ⁄ ajllΔ ou[ti caivrwn tau'ta tolmhvçei levgein. 28 La spiegazione di fulevta (v. 568), che non trova riscontro negli scolii agli Acarnesi, collima con parte della tradizione lessicografica atticista: Erot. fr. 60, p. 116 N. ... kai; Eijrhnai'oç (ÔRivnqoç codd.) ejn tw/' Peri; th'ç ΔAttikh'ç çunhqeivaç fhçivn: oiJ me;n ou\n ejk th'ç aujth'ç fulh'ç o[nteç fulevtai levgontai ktl; Orus a 27 A. ... dhmovthn de; to;n tou' aujtou' dhvmou, wJç fulevthn to;n th'ç aujth'ç fulh'ç ktl; Hsch. f 983 H.-C. fulevthç: ejk th'ç (aujth'ç) fulh'ç, o{ ejçtin oJmovfuloç. Fr. A, col. II 2 Le lettere superstiti e l’ampiezza della lacuna sono compatibili con t(w'n) ajªqlhºt≥w'≥ªn (così già Athanassiou 1999, p. 102) nell’àmbito di una spiegazione di v. 571 e[comai mevçoç raffrontabile con sch. 571a ajnti; tou' h{tthmai, ajpo; metafora'ç tw'n ajqlhtw'n tw'n ta; mevça lhfqevntwn. Per le interpretazioni antiche dell’espressione mevçon e[cein cfr. Campagner 2001, pp. 224-225. 3-4 Ammettendo che il r. 2 concernesse v. 571 e[comai mevçoç, e posto che i rr. 4-5 vertessero su v. 584 pterovn, ai rr. 3-4 poteva trovare spazio un breve profilo di Lamaco, la cui controfigura comica entra in scena al v. 572, oppure una spiegazione del gioco verbale Gorgwv/Mormwv, attorno al quale ruotano i vv. 574-582, con pointe ironica al v. 582 ajpevnegkev mou th;n mormovna (dunque rr. 3-4 ojrrwº⁄dei'n ?): cfr. Pax 474 e la nota ad l. in P.Duk. inv. 643r ⇒ 18, con gli sch. 474a e 474b, il secondo dei quali propone due spiegazioni diverse (ou{twç de; e[legon to; ejkfovbhtron: kai; ta; proçwpei'a ta; aijçcra; mormoluvkeia: cfr. qui oiJ e{teroi ... w{ç façi kai; oiJ h≤ª ?). Al r. 3, ºk≥al≥( ) favorisce il collegamento con sch. 574b ejk th'ç qhvkhç tou' o{plou, o} kalei'tai çavgma. M. Haslam richiama anche la possibilità che la spiegazione vertesse sulla contrapposizione dei due semicori ai vv. 557-571, oppure che facesse riferimento ad altri poeti comici (rr. 34 kwmw/º⁄dei'n ?). In questo quadro d’incertezza, non si può escludere neppure un’interpretazione della reazione timorosa di Diceopoli alla vista dell’elmo di Lamaco (r. 4 deinw'ç f(hçi) ? cfr. infra, rr. 15 e 23).
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4-5 Cfr. sch. 584 to; pterovn: to; ptero;n aijtei' i{na ejxemevçh/. eijwvqaçi ga;r oiJ duçemei'ç pterw'/ crh'çqai w{çte eujkovlwç ejmevçai. La contiguità del commentario con lo scolio è rilevata da McNamee 1977, p. 187. 5-8 Palmare e significativa, benché parziale, la somiglianza fra il commentario e gli scolii. Per la spiegazione di v. 589 kompolakuvqou cfr. sch. 589a (I) (~ Sud. k 2018 A.) mataiokovmpou kai; kompwvdouç ejn tw'/ kauca'çqai. parepoivhçe de; kai; parevplaçen o[nomav ti o[rniqoç dia; to; kompaçth;n ei\nai Lavmacon. Su v. 596 çtratwnivdhç cfr. sch. 596 ajnti; tou' çtrateuovmenoç, çtratiwvthç; su v. 597 miçqarcivdhç cfr. sch. 597 (~ Sud. m 1118 A.) miçqo;n lambavnwn. h] o{ti tou;ç tw'n çtratiwtw'n miçqou;ç h[çqien. Si è perciò legittimati a supporre, con i primi editori, che il r. 6 ospitasse nella sua parte destra caduta in lacuna una spiegazione di v. 595 (ouj) çpoudarcivdhç, su cui lo sch. 595 ouj çpoudavzwn peri; ajrch'ç. 8-9 La spiegazione di v. 598 kovkkugeç pone in rilievo il carattere solitario dei merli (Körte 1911, p. 269, proponeva di integrare diovti zw'çi kata; th;n ejºrhmivan, accolto nel testo da Trojahn 2002, p. 18): così forse è da intendere Hsch. k 3294 L. (ejpi; uJponohqevntwn pleiovnwn ei\nai, kai; ojlivgwn o[ntwn), richiamato dai primi editori. Diversamente, e in modo meno conveniente al passo comico, lo sch. 598 ajnti; tou' a[taktoi kai; ajpaivdeutoi. kai; ga;r oJ kovkkux ·to; zw'/on‚ a[mouçovn ti fqevggetai. 9-10 Cfr. sch. 603b touvtouç kwmw/dei' wJç panouvrgouç, tovn te Tiçameno;n kai; to;n Faivnippon kai; ÔIpparcivdhn kai; Gevrhta to;n falakro;n kai; to;n Qeovdwron ktl. Ammettendo con i primi editori lemmi abbreviati al r. 9 (cfr. r. 10 Gerhtoqeod(wvrouç)), per la spiegazione di v. 603 Teiçamenªofain(ivppouç) è disponibile una decina di lettere, e.g. Teiça(meno;ç) k(ai;) Faivn(ippoç), suggerito dallo sch. 603a oJ Tiçameno;ç wJç xevnoç kai; maçtigivaç kwmw/dei'tai, oJ de; Faivnippoç wJç çuwvdhç kai; hJtairhkwvç. La dimensione dei righi (circa 54 caratteri) consente però anche una diversa soluzione, e cioè che il lemma fosse costituito dall’intero v. 603, comprendente i due composti scritti per esteso e senza abbreviazioni (rr. 9-10), e che panourgivai sia la loro unica e comune spiegazione (cfr., nel citato sch. 603b, touvtouç kwmw/dei' wJç panouvrgouç). Su v. 605 Gerhtoqeodwvrouç cfr. lo scolio tricliniano 603c kai; wJç panouvrgouç de; touvtouç kwmw/dei' kai; to;n Gevrhta to;n falakro;n kai; to;n Qeovdwron ktl. Anche su questa base, è naturale pensare a Gevrªhta kai; Qeovdwron dopo il lemma del r. 10. 11-14 ajllΔ oJ Koiçuvraç (v. 614) è verosimilmente lemma completo, sia perché nel testo della commedia rappresenta l’inizio di un periodo sintattico, sia perché la spiegazione oJ Megaklh'ç che segue immediatamente non presuppone un lemma più ampio. Una persuasiva ricostruzione dell’andamento di questa sezione del commentario, confermata da alcuni non trascurabili dettagli (rilevati qui di séguito tra parentesi), è stata proposta da Athanassiou 1999, p. 103. Il lemma è immediatamente seguito da una puntuale esplicazione, r. 11 oJ Megaklh'ç; assai più estesamente lo sch. 614 oJ Megaklh'ç. Koiçuvra de; ejgevneto ΔAqhvnhçin euj-
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genh;ç gunh; kai; plouçiva, mhvthr tou' Megaklevouç, o}ç katabebrwkw;ç th;n oujçivan kai; u{çteron peplouthkw;ç ejk tou' ta; koina; pravççein levgetai. Nel séguito il commentatore ritornava sull’intero intervento sostenuto da Diceopoli dal v. 599 fino a quel punto, la cui unità di contenuto è determinata dall’allusione a personalità politiche del tempo, e ne offriva un’articolata delucidazione di tipo parafrastico. Dapprima (rr. 11-12) venivano qualificati come prodovtai a vario titolo i personaggi menzionati ai vv. 600-606 (r. 12 o{çoi prodovtai (eijçi;n) ~ v. 601 neanivaç oi{ouç çu; diadedrakovtaç; r. 12 oiJ me;n ... ~ vv. 602-606 tou;ç me;n ..., eJtevrouç de; ..., tou;ç dΔ ..., tou;ç dΔ ...). L’avverbio ejkei'çe (r. 13) si riferisce forse a una delle località vere e fittizie menzionate da Diceopoli ai vv. 602, 604 e 606 come teatro della viltà di questi individui refrattari alle armi (ejpi; Qra/vkhç, para; Cavrhti, ejn Cavoçin, ejn Kamarivnh/ kajn Gevla/ kajn Katagevla/). Il successivo ei\ta punqavnetai spiega le domande poste dal protagonista a singoli coreuti ai vv. 607-613, per trarre dalle loro risposte una conferma alle proprie insinuazioni. Al r. 14, th;n tavxin aujtw'n è interpretato da Athanassiou come un’osservazione sullo status sociale dei quattro coreuti, cui Diceopoli rivolge le proprie domande chiamandoli per nome; ma qui tavxiç va letto piuttosto in senso militare, alla luce del v. 600 oJrw'n poliou;ç me;n a[ndraç ejn tai'ç tavxeçin e della qualificazione come poliovç (v. 610) del primo coreuta menzionato da Diceopoli, Marilavdhç. Il commentatore chiudeva il cerchio delineato dal discorso del protagonista, indicando che Marilades e compagni rappresentano la categoria di cittadini comuni fedeli alle loro umili incombenze militari, in contrapposizione agli ambiziosi vili e fanfaroni, imboscati di rango (e.g. rr. 13-14 ei\ta punqavnet(ai) ª--- eij tau'tav pote ei\don lipovnteçº ⁄ th;n tavxin aujtw'n). Questa lunga sezione parafrastica interrompe la continuità fra spiegazioni di versi contigui (v. 614 e vv. 615 ss.) e riconsidera parti del testo comico già fatte oggetto poco sopra di interventi puntuali di tipo glossografico (rr. 910 sui vv. 603 e 605), ivi compreso v. 614 oJ Koiçuvraç (r. 11). Vi si potrebbe ravvisare l’indizio di un ripensamento o di uno scrupolo ermeneutico del commentatore, che pertanto si configurerebbe piuttosto come epitomatore di un commentario più ricco ed esteso. 15-17 La paragraphos sopra l’incipit del r. 15 segnala che nella metà destra (perduta) del r. 14 finiva una sezione del commentario, cui seguiva forse, ma non necessariamente, un nuovo lemma. In questo caso, infatti, il semeion potrebbe servire all’articolazione interna della spiegazione, distinguendo la parafrasi di tenore riassuntivo dei rr. 11-14 dal ritorno alla frase ellittica di v. 614 ajllΔ oJ Koiçuvraç kai; Lavmacoç, che sottintende affermativamente quanto appena negato riguardo a se stessi da parte dei coreuti, cioè la frequente partecipazione a missioni ufficiali e ambascerie (e.g. rr. 14-15 “ajlla;” toiou'º⁄toi, f(hçivn), “oJ Koiçuvraç kai; Lavmacoç”). Cfr. anche Athanassiou 1999, p. 103. In alternativa, in lacuna al r. 14 può essere caduto un lemma comprendente parte dei vv. 616-617 (e.g. ejxivçtw parhv/noun oiJ fivloi), la cui spiegazione
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ha richiesto al commentatore la ripetizione al r. 15 di oJ Koiçuvraç kai; Lavmacoç del v. 614 (e.g. “questi Megacle e Lamaco affliggevano con richieste di denaro gli amici, i quali dicevano loro ‘vattene’ ”: cfr. sch. 617a). Mentre i rr. 15-16 spiegavano l’uso dell’imperativo ejxivçtw come ironico traslato applicato a Megacle e Lamaco, scacciati dalla porta di casa dagli amici infastiditi dalle continue richieste di denaro, alla stregua di petulanti seccatori (vv. 615 e 617), i rr. 16-17 (to; d(e;) ajpovªniptron ejkcevonteç ---º ⁄ profwnou'çin “ejxivçtw” i{nªa) ospitavano la spiegazione dell’uso proprio di ejxivçtw in funzione di avvertimento (v. 616 w{çper ajpovniptron ejkcevonteç eJçpevraç): per la formulazione e per il contenuto, cfr. l’inizio dello sch. 617a eijwvqeçan, ei[ pote ejkcevoito ajpovniptra ajpo; tw'n qurivdwn, i{na mhv tiç brach'/ tw'n pariovntwn, “ejxivçtw” levgein (da qui Trojahn 2002, p. 18, trae integrazioni letterali alle lacune dei rr. 15 e 17, ottenendo per la verità una ridondanza esegetica scarsamente plausibile). Al r. 16 si può completare l’integrazione e.g. con ajpo; tw'n qurivdwn, secondo il citato sch. 617a. 18 In ragione della paragraphos sopra l’incipit del rigo, Grenfell e Hunt vedono in Lavmacoç: un lemma dal v. 619 e considerano spiegazione ciò che segue la ano stigme. In prossimità del bordo, oudª deve essere interpretato ouj dªh'ta (parole del v. 619: così Athanassiou 1999, p. 104). La spiegazione poteva allora consistere nel completamento dell’apodosi ellittica contenuta nella battuta di Diceopoli, che si chiude appunto con il nome Lavmacoç assunto a lemma: ouj dh't(a), scil. tau'ta ajnaçcetav, eja;n mh; ktl. Resterebbe tuttavia da spiegare a che cosa si riferisca ei\qΔ. Altrimenti, e con maggiore plausibilità, si può ritenere che Lavmacoç al principio del r. 18 non sia lemma, ma parte di una spiegazione iniziata al rigo precedente, con apposito lemma. In questo caso il r. 18 si presta a essere interpretato come residuo di una nota sull’assegnazione dei vv. 618 e 619 ai due personaggi in scena, resa opportuna dall’ambiguità del primo verso (w\ dhmokrativa, tau'ta dh'tΔ ajnaçcetav…), che potrebbe erroneamente essere posto in bocca a Diceopoli e che interrompe un intervento piuttosto lungo del protagonista (11 versi). La prima parte della nota (r. 17) potrebbe dunque essere stata ª--- w\ dhmokrativa: tau'ta lev(gei) oJº. Da notare che la congiunzione ei\ta è impiegata anche al r. 13 per distinguere sequenze del dialogo scenico; per un parallelo scoliografico cfr. sch. Ran. 607c. 19 Cfr. sch. 635 (~ Sud. c 150 A.) caunopolivtaç: kecaunwmevnouç peri; th;n politeivan h] th;n povlin. 19-22 I rr. 19-20 introducevano il commento dei vv. 647-651, nei quali il poeta vanta la propria fama presso il re di Persia. La ripetuta osservazione del contenuto autoreferenziale di questa sezione della parabasi (rr. 19-20 uJº⁄pe;r eJautou' levgwn; r. 22 megalofroçuvnhn eJau(tou')) fa da cornice alla spiegazione, che aveva andamento parafrastico al pari degli sch. 648 e 649a-d (è invece improbabile che il r. 21 rechi il v. 648 in funzione di lemma, in tal caso non letterale, come vorrebbe Trojahn 2002, p. 18).
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23-24 Parte di una parafrasi dei vv. 652-654 dia; tau'qΔ uJma'ç Lakedaimovnioi th;n eijrhvnhn prokalou'ntai, ⁄ kai; th;n Ai[ginan ajpaitou'çin: kai; th'ç nhvçou me;n ejkeivnhç ⁄ ouj frontivzouçΔ, ajllΔ i{na tou'ton to;n poihth;n ajfevlwntai. A motivo del d(e;) al r. 23, Grenfell e Hunt (p. 161) sospettano che la nota seguisse immediatamente la precedente, senza nuovo lemma (in tal caso, la paragraphos sotto il r. 22 non segnalerebbe la fine della spiegazione, ma di una sua sezione). Se si intende fhçi in inciso, come è tipico dei contesti parafrastici, si può sciogliere Lakedaimov(nioi), in nominativo, e ricostruire e.g. dia; d(e;) tau'ta, f(hçiv), Lakedaimov(nioi) ªth;n Ai[ginan ajpaitou'çin, i{na ajfevlwntai to;nº⁄ poihthvn (vel sim., cfr. sch. 652 dia; to; e[cein uJma'ç to;n ΔAriçtofavnhn, poihth;n a[riçton). Al r. 24 il commentario doveva riferire due spiegazioni distinte (la prima sicuramente in forma anonima: oiJ me;n) dell’allusione a un legame personale del poeta con Egina, al pari di quanto leggiamo nello sch. 654b (I) ... ejnteu'qen tine;ç nomivzouçin ejn Aijgivnh/ ta;ç kwmw/divaç poiei'n to;n ΔAriçtofavnhn dia; to; ejpenhnocevnai aujto;n “ajllΔ i{na tou'ton to;n poihth;n ajfevlwntai” uJma'ç, ouj th;n Ai[ginan. tai'ç ajlhqeivaiç ei|ç h\n tw'n ejn th'/ nhvçw/ klhrouchçavntwn. oujde;n de; ejkwvlue kai; eJtevrwqi çuggravfein, eij uJpo; Lakedaimonivouç hJ nh'çoç ejgegovnei18. La forma anonima dell’interpretazione citata (façi; ga;r oiJ me;n) è un indizio del carattere compendiario del commentario ossirinchita. In lacuna, dove sono cadute una quarantina di lettere circa (lemma seguente incluso), si può integrare e.g. k≥ªwmw/divaç (Grenfell e Hunt) poiei'n, oiJ de; o{ti keklhrouvchken. 25-27 Commento (con lemma perduto in lacuna al r. 24) dei vv. 657-658, nei quali Aristofane prende le distanze dai metodi politici dei demagoghi, senza nominarli: r. 25 ejjx w|n to; dikaçtiko;n chiama in causa l’uso demagogico dei salari (e in particolare la speculazione politica di Cleone sul compenso ai dicasti, istituito da Pericle: Aristot. Resp. Ath. 27, 3) e va letto nel contesto di una spiegazione di v. 657 oujdΔ uJpoteivnwn miçqouvç; r. 26 pro;ç cavrin legont≤ª è congruente con v. 658 katavrdwn (dovendosi scartare v. 657 qwpeuvwn, che precede oujdΔ uJpoteivnwn miçqouvç); l’uso del tempo imperfetto in r. 27 ei\qΔ ou{tw katevpratton comporta un riferimento alla realtà storica contemporanea ad Aristofane. Cfr. sch. 657a ouj qwpeuvwn: ouj kolakeuvwn, oujk ajpatw'n, oujdev tiçi miçqo;n didou;ç i{na aujto;n ejpainevçwçin; 658a (I) ou[te katavrdwn: katacevwn uJpoçcevçeiç; 658a (II) a[llwç: ouj katabrevcwn uJma'ç toi'ç ejpaivnoiç wJç futav. 28-29 I due righi scendono più in basso dell’ultimo rigo della col. I. La ricostruzione del r. 28, altamente probabile (fatta salva l’eventualità dell’uso di abbreviazioni da parte dello scriba), porta a un totale di 54 caratteri (compresi i punti in alto e i dicola con relativi spazi bianchi), corrispondenti approssimativamente a cm 10. 18 La seconda delle due spiegazioni scoliografiche è corretta in modo rilevante nello sch. 654b (II) a[llwç: oujdei;ç iJçtovrhken wJç ejn Aijgivnh/ kevkthtaiv ti ΔAriçtofavnhç, ajllΔ e[oike tau'ta peri; Kalliçtravtou levgeçqai, o}ç keklhrouvchken ejn Aijgivnh/ meta; th;n ajnavçtaçin Aijginhtw'n uJpo; ΔAqhnaivwn. Sulla questione vd. Imperio 2000, pp. 45-46.
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Per la spiegazione di v. 665 flegurav cfr. sch. 665b (~ Sud. f 530 A.) lamprav, fevggouça, lavmpouça, h] qermh; dia; tou;ç a[nqrakaç ktl. La restituzione di fªevyaloç (v. 668) è imposta dal fatto che questo è l’unico termine iniziante per f compreso tra v. 665 flegurav e v. 670 ejpanqrakivdeç, cui nel commentario si riferisce necessariamente r. 29 h≥] kreva. La presenza in lacuna della glossa çpinqhvr è accreditata dall’ampiezza delle sue attestazioni tradizionali in unione a fevyaloç, a partire dallo sch. 668a; cfr. P.Oxy. LXVI 4510 ⇒ 2, nota marginale ad Ach. 279? (ç≥ª integrato per ipotesi da N. Gonis come ç≥ªpinqh'ri o ç≥ªpinqhvr, spiegazione di feyavlw/), con i paralleli esegetici e lessicografici citati nel commento ad l. Su v. 670 ejpanqrakivdeç cfr. lo sch. 670, che menziona in prima battuta gli ijcquveç e poi include ogni genere di pietanza grigliata (leptoi; ijcquveç ojptoiv. pavnta de; ta; ejpi; ajnqravkwn ojptwvmena ejpanqrakivdaç ejkavloun), e inoltre sch. Ve. 1126, nel quale Ve. 1127 ejpanqrakivdwn ejmplhvmenoç è spiegato ijcquvdia ejçqivwn ojptav; Poll. VI 55 ... ejpanqrakivdaç de; ta; ejphnqrakwmevna ijcquvdia; Hsch. e 4195 L. ejpanqrakivdeç: ta; ejpΔ ajnqravkwn ojptwvmena ijcquvdia. Non è necessario né opportuno prevedere alla fine del r. 28 l’aggettivo ojptoiv come attributo di ijcquveç (Trojahn 2002, p. 19 apparato), che produrrebbe un’asimmetria di senso con il seguente kreva. Al v. 671 della commedia, Qaçivan sottintende a{lmhn. Gli scolii ad l. (cfr. Sud. q 58 A.) riferiscono una ridda di ipotesi sul sostantivo omesso, tra le quali è possibile che si celi la glossa del commentario: to;≥ ªpw'ma vel bavmma; to;≥ªn lavgunon vel oi\non vel zwmo;n (a{lmhç). FAUSTO MONTANA
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P.Oxy. LXVI 4510, frr. 5, 6, 22
sec. IIp
Note marginali ad Ach. 278?, 279? Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms. Ed.: GONIS 1999, pp. 122-134. Tab.: www.papyrology.ox.ac.uk. Comm.: MP3 137.01; LDAB 7171 LUPPE 2001, p. 189; LUPPE 2002b, p. 488; OLSON 2002, p. LXXV (P1); MONTANA 2005, pp. 8-9.
Di questo volumen, il più antico testimone diretto degli Acarnesi e della relativa tradizione esegetica, restano 23 frammenti di varia estensione (il più ampio, fr. 7, ha misure massime di cm 9,4 × 9,4), contenenti parti della commedia comprese tra il v. 55 e il v. 825. Se i frr. 6 (vv. 291-303) e 7 (vv. 316-335) conservano, rispettivamente, parte del margine superiore e di quello inferiore della colonna di scrittura, si può calcolare che ciascuna colonna contenesse 45 versi (se i due frammenti rappresentano parti della medesima colonna) o 22-23 versi (se i due frammenti attestano colonne diverse e consecutive). La datazione al IIp si basa sulla scrittura del testo letterario, “a small rounded hand, neat, but not properly formal”1. Il testo è corredato di segni di lettura, dicola (fr. 5, v. 279; fr. 8, v. 346; fr. 15, v. 820) e una paragraphos (fr. 9, post v. 384) a segnalare la fine della strofe del proagone; labili tracce d’inchiostro sotto la paragraphos sono interpretate nell’editio princeps come resti di una indicazione di intervento corale: c≥(orovç)2. La presenza di note marginali è ridotta a magre tracce di scrittura corsiva, situate in prossimità del bordo superiore dei frammenti che le conservano, a destra (fr. 5) o al di sopra (frr. 6, 22) del testo letterario. Sul fr. 15, nel quale Gonis ipotizza ancora la presenza di tracce di esegesi, cfr. infra, al termine del commento. L’esiguità di quanto resta dei marginalia impedisce il raffronto con altro materiale erudito e scoliografico.
1 2
Gonis 1999, p. 122. Gonis 1999, p. 130.
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Aristophanes 2
Fr. 5 v. 278
ªe{wqen eijrhvnhç rJofhvçei truvblºi≥o≥n
1
a≤≤≤ª la nota si trova immediatamente a destra del testo poetico ticali —— fort. ajn≥t ≥ªi; tou' ad truvblion Gonis
v. 279
≤≤≤ª parte inferiore di tre aste ver-
ªhJ d'Δ ajçpi;ç ejn tw'i feyavlwiº kremhvçetai ç≥ª
la nota si trova a destra del testo poetico —— ç≥ªpinqh'ri vel ç≥ªpinqhvr ad feyavlw/ Gonis
possibile anche o
Fr. 6 ? º≤ª ºa≥≤nª la nota si trova nel margine superiore (sopra il v. 291)
Fr. 22 ? º≤rd( ) ecª la nota si trova nel margine superiore
º≤ molto probabile o
º≤rd pap.
2
P.Oxy. LXVI 4510
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Fr. 5 v. 278 Gonis riferisce la nota ipoteticamente a v. 278 truvblºi≥o≥n, senza tuttavia escludere che possa trattarsi della parte finale di una spiegazione disposta su due righi di v. 277 ejk kraipavlhç, spiegato dagli scoliasti medievali hJ ejx eJwqinou' mevqh kraipavlh kalei'tai, hJ ajpo; cqizh'ç oijnopoçivaç. v. 279 L’unico termine di questo verso a ricevere un commento negli scolii medievali è feyavlw/, spiegato con kapnw'/. fevyaloi ga;r oiJ çpinqh'reç, da cui la proposta integrativa di Gonis. L’equivalenza fevyaloç = çpinqhvr è presupposta nel commento alla cosiddetta ‘elegia dell’ostrica’ (SH 984 = P.Louvre inv. 7733v, MP3 1763.3 [= Pack2 2911]; LDAB 7038; sec. IIª, col. II 2939), sia che al v. 6 dell’epigramma si restituisca fevyaloç (Lasserre 1975, p. 149), sia che vi si preferisca ajfevyaloç (Lloyd-Jones – Parsons in SH 983-984, sulla base di Hsch. a 8625 L. ajfeyavlou: a[neu çpinqh'roç lamprou'). L’età del papiro e la presenza della glossa nella lessicografia atticista (Paus. Att. f 6 E. fevyaloi kai; feyavlugeç: çpinqh'reç ajnaferovmenoi ejk tw'n kaiomevnwn xuvlwn; Moer. f 31 H. feyalou;ç tou;ç çpinqh'raç ΔAttikoiv) persuadono Lasserre 1975, pp. 156-157, 174, a ricondurla alle Levxeiç ΔAttikaiv di Aristofane di Bisanzio (ma non è accolta nell’ed. Slater). Allo sch. 279 e alle fonti ora citate si aggiungano Did. Lex. kom. fr. 50 Schm. yavlux, yavlugoç. tine;ç men ta;ç trivcaç ejdevxanto çhmaivnein th;n levxin, Divdumoç dev fhçi tou;ç ajçqenei'ç çpinqh'raç dhlou'n n th;n levxin. e[çti de; ajpo; tou' feyavlux (Schmidt; faiyavlmw/ç cod.), kai; kata; ajfaivreçin dhlonovti th'ç prwvthç çullabh'ç ejfulavxato aujto; oJ kanwvn; Hsch. f 334 H.-C. feyavlux: fevyeloç (sic), çpinqhvr, a[nqrax; S f 76 C. (= Phot. Lex. p. 645, 12-13 P.) fevyaloç: çpinqh;r oJ ajnaferovmenoç ejk tw'n kaiomevnwn xuvlwn; sch. Lys. 107b feyavlux: oi|on zwpuvrhma kai; çpinqhvr; Sud. f 239 A. fevyaloç kai; feyavlux: çpinqhvr ... oi|on zwpuvrhma, çpinqhvr ktl; f 240 feyavlw/: kaphleivw/. fevyaloi ga;r oiJ çpinqh'reç ktl; Sch. Aeschl. Pro. 362a ejfeyalwvqhº katekavh: fevyaloç ga;r oJ çpinqhvr; cfr. infine P.Oxy. VI 856 (⇒ 1), fr. A II 28, dove è restituito f≥ªevyaloç: çpinqhvr. Fr. 6 Quasi certamente resti di una nota, ca. cm 0,6 al di sopra di quanto rimane del v. 291 (çpeiçavmenoºç e[peit≥a≥ ªduvnaçai). Fr. 22 Frammento di collocazione incerta, recante poche lettere di testo poetico ( ºu≥menª ), precedute da una porzione di margine superiore con resti di annotazione. Gonis 1999, p. 133, vede la possibilità di riconoscere nel testo il v. 164 uJpo; tw'n ΔOdomavntwn ta; çkovroda porqouvmenoç e nella nota çkºov≥rd(a) (= çkºov≥r(o)d(a)) e[cªwn, da confrontare con lo sch. 163a dei' noei'n o{ti ejk tw'n ajgrw'n e[rcetai oJ Dikaiovpoliç, e[cwn fortivon çkorovdwn ktl. Una diversa possibilità, forse da preferire, è che la nota richiami la “salsiccia” (cordhv) menzionata due volte nella commedia (vv. 1040, 1119): un buon candidato è il v. 1130, nel quale Diceopoli rivolge al servo un comando (katavcei çu; to; mevli, scil. tou' plakou'ntoç, “sulla focaccia” menzionata al v. 1127), che ripete quello del v. 1040 katavcei çu; th'ç cordh'ç to; mevli. In tal caso, quanto resta del testo comico ben si
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adatterebbe alla parola finale del verso immediatamente precedente (v. 1129 feuxouvmenon). Avremmo pertanto, dall’alto verso il basso: nota sul v. 1130 nel margine superiore; v. 1129, primo della colonna di scrittura; v. 1130. Gonis 1999, p. 132, suppone la presenza di marginalia anche nel fr. 15, contenente resti di Ach. 821-825 preceduti da tracce di altri due righi: r. 1 ºn≤ª ; r. 2 º≤t≥oª . Pur ravvisando una compatibilità delle lettere del secondo rigo con Ach. 819 (ta; coirivdiºa≥ t≥oªivnun), che implicherebbe l’omissione del v. 820 nel testo del papiro, Gonis non sa spiegarsi le tracce del r. 1 e conclude: “but this may be a false problem if x and y [scil. i due righi problematici] were never intended to be part of the main text. The interlinear space between them is narrower than usual, so that one may think that they may be comments written above the column of writing, as in fr. 6”. Tuttavia, lo spazio tra i due righi è solo lievemente inferiore a quello che le separa dai resti del v. 821 e alle altre interlinee visibili nei frammenti del volumen. Inoltre, come Gonis rileva, le lettere superstiti dei due righi “seem to be in the same hand as the main text, unlike what happens in the other fragments preserving annotation (frr. 5 and 6)”. La soluzione del (falso) problema è piuttosto da ricercare altrove. Nei due righi si deve riconoscere effettivamente la regolare sequenza dei vv. 819-820: v. 819 toivnuºn ej≥ªgw; (cfr. Gonis: “after n traces on edge suggesting a left-hand arc”, dunque è possibile e≥); v. 820 kai; çºev≥ Ú toªu'tΔ ejkei'nΔ. La difficoltà di lettura del secondo rigo è originata dalla presenza di un dicolon aggiunto post scripturam nel poco spazio che separa epsilon e tau (la parola passa dal Sicofante al Megarese). Questa lettura è coerente con la dimensione della lacuna di sinistra: dei vv. 821-825 si sono perdute da 7 a 10 lettere iniziali; al v. 819 e al v. 820, in corrispondenza dei quali la lacuna è un poco più ampia, secondo la lettura qui proposta le lettere mancanti sarebbero rispettivamente 15 (fra cui quattro iota) e 11. FAUSTO MONTANA
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P.Oxy. XV 18011, col. II 18-19 = CGFP 343, 46-47 [⇒ III: Lexica]
sec. II/IIIp
Voce di lessico (Ach. 345)
bevloç: ΔAriçtofavnh(ç) ejn ΔAcarªneu'çi “ajlla; katavqou to; bevloç”, xivfoç ga;r a]n h\n levgein. e[gcoç di≤ª 18 il lemma è in ekthesis di ca. due lettere dopo beloç spazio bianco le lettere trascritte nell’interlinea sono frutto di una illusione ottica: poiché il frammentino che contiene beloç deve essere spostato in alto fino ad annullare la lacuna orizzontale che lo separa dal soprastante ºe≥reçcetoi, risulta chiaro che la traccia visibile sopra e di beloç è l’apice inferiore del r di ºe≥reçcetoi, la traccia orizzontale soprastante o di beloç è l’attacco della paragraphos che si conclude sotto il c di ºe≥reçcetoi ariçtofanh pap. 19 gar il tratto orizzontale di g è coperto dal lembo inferiore del frammentino dove si legge beloç (che deve essere spostato in alto): il g non può essere interpretato come un p la cui seconda asta verticale sarebbe visibile sul bordo della piccola frattura successiva; in realtà, quest’ultima traccia appartiene alla sacca di a; inoltre, se volessimo qui leggere p, avremmo una forma del tutto inconsueta, perché la prima asta verticale scenderebbe troppo sotto il rigo (cosa invece del tutto normale per un g) an scritto nell’interlinea superio-
1 P.Oxy. XV 1801 (MP3 2121; LDAB 5122) (cm 9,2 × 12,6), lacero su tutti i lati, scritto sul recto di un rotolo di papiro (il verso reca un trattato di grammatica, edito da Wouters 1979, nr. 18, pp. 225230) in una corsiva non molto accurata, mostra resti di un lessico in cui i lemmi sono ordinati alfabeticamente non oltre la seconda lettera (il pezzo a noi rimasto reca parte della sezione contenente la lettera b). Poiché si conservano due sole colonne (la parte destra della prima e quella sinistra della seconda), non è dato stabilire l’esatta lunghezza dei righi: di una trentina di caratteri circa, secondo l’editor princeps (Hunt 1922, p. 151); di circa 45 per Naoumides 1961, p. 86; di oltre 60 per Luppe 1967. Nonostante all’interno della cosiddetta letteratura strumentale (su cui cfr. ⇒ Aristoteles 2 n. 6) non manchino esempi di lessici con colonne estremamente ampie (cfr. P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812 in cui i righi conservati per intero, compreso il lemma, mostrano un’oscillazione tra i 48 caratteri di fr. 3 col. II 15 e i 56 di fr. 3 col. II 8), in quest’ultimo caso – considerato anche il modulo grande delle lettere – la lunghezza sarebbe davvero eccezionale e riterrei più probabile che essi comprendessero 45/55 caratteri. La maggior parte delle citazioni sono tratte dalla commedia e in particolare da Aristofane, ma dall’esiguo e in parte malandato stralcio a noi rimasto non si può stabilire se questo lessico fosse dedicato esclusivamente alla lexis comica. Tutti i lemmi sono registrati anche da Esichio, eccetto uno (col. II 17 ªbºe≥revçcetoi ⇒ 7, che occorre però nella Suda): nel nostro papiro tuttavia gli interpretamenta sono più estesi, soprattutto per quanto concerne le citazioni. Proprio l’individuazione di questo stretto rapporto con Esichio ha indotto a interrogarsi sulla authorship di tale lessico o quanto meno sulle sue eventuali fonti: il lessico di Artemidoro, la raccolta di levxeiç comiche di Didimo, di Teone o di altri eruditi e grammatici sono solo alcune delle possibilità prese in considerazione dagli editori (per una trattazione diffusa della questione cfr. ⇒ III: Lexica). In ogni caso, a giudicare dal tipo e dal contenuto delle glosse, dalla loro struttura, dai frequenti riscontri con gli scholia vetera aristofanei, si può senz’altro affermare il carattere dotto di questo prodotto: uno strumento evidentemente per addetti ai lavori. Su questo papiro cfr. pure Esposito 2009a, pp. 290-291.
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Aristophanes 3
re, sopra rh dopo legein spazio bianco dopo egcoç minimo spazio bianco di≤ª tratto curvo concavo a destra (possibili o, f) —— 18 bevloç º≤ª≤º≤≤ Austin 1973 post Luppe 1967 Acarªneuçi Hunt 1922 ejn ΔAcarªneu'çi ajlla; katavqou to; bevloçº Naoumides 1961 : ejn ΔAcarªneu'çi ajlla; mhv moi provfaçin, ajlla; katavqou to; bevloç. kai;º Luppe 1967 : ejn ΔAcarªneu'çi “ajlla; katavqou to; bevloç”, xivfoçº suppleverim : ejn ΔAcarªneu'çi “ajlla; katavqou to; bevloç”, çhmeiwtevon vel çeçhmeivwtai xivfoçº MH 19 ga;r a]n h\n levgein dispexi : parhn Hunt 1922 unde parh'n a]n levgein Naoumides 1961 Dioªklh'ç vel Divfªiloç dub. Luppe 1967
bevloç: Aristofane negli Acarnesi [“ma deponi il bevloç”]: si sarebbe potuto dire [xivfoç]; e[gcoç …
La fonte è Aristoph. Ach. 345 ajlla; mhv moi provfaçin, ajlla; katavqou to; bevloç. Con bevloç si indica in generale ‘tutto ciò che viene lanciato’; più specificamente un’ ‘arma da lancio’ e dunque, per metonimia, il ‘lancio’, il ‘colpo’, ma si trova usato anche – negli Acarnesi e in Soph. Ai. 658 kruvyw tovdΔ e[gcoç toujmovn, e[cqiçton belw'n – nel senso di ‘spada’. La ragione per cui il termine sarà stato glossato non risiederà tanto nella sua rarità, ma proprio nell’impiego all’interno del passo aristofaneo con un valore insolito, quello appunto di xivfoç, ‘spada’ (che sia così lo conferma anche Ach. 342 kai; çu; katavqou pavlin to; xivfoç, in cui ricorre pressoché la medesima espressione del v. 345, ma con xivfoç). Il significato dell’annotazione, pertanto, non doveva essere molto dissimile da quello di sch. Aristoph. Ach. 345 ajlla; katavqou to; bevloç: çhmeiwtevon o{ti ejpi; xivfouç to; bevloç tevqeike. kai; ”Omhroç pa'n to; ballovmenon. Luppe 1967, p. 63, basandosi evidentemente su quanto vedeva nella foto del papiro, suggeriva che le tracce che si notano sopra beloç fossero quelle di una parola che il redattore del lessico avrebbe erroneamente copiato al posto del lemma, e che invece doveva costituire l’interpretamentum. Per rimediare a tale errore lo scriba avrebbe quindi aggiunto, al di sotto, il reale lemma, ossia beloç2. In realtà, una risistemazione digitale del pezzo (confermata dalla visione autoptica del papiro) mostra che si tratta di un’illusione ottica (cfr. app. pap.) e bisogna tornare al testo stampato da Hunt 1922 nell’editio princeps. Alla fine del r. 18 integrerei il termine xivfoç: si verrebbe quindi ad avere l’equivalenza di xivfoç con e[gcoç, documentata ampiamente nella tradizione scoliastico-lessicografica3. In questa sistemazione del testo, che tra quelle valutate mi par2
Cfr. in app. crit. il testo che Austin stampa in CGFP 343, pp. 46-47, in base a questa ipotesi. Cfr. sch. vet. Soph. Ai. 95a, 1 ãe[gcoç:Ã xivfoç, sch. vet. Soph. Ai. 906a, 2-3 pa'n de; ajmunthvrion, kai; dovru kai; e[gcoç kalou'çin oiJ newvteroi, sch. rec. Soph. Ai. 95b ãe[gcoç:Ã e[gcoç para; to; e[cw, e[coç kai; e[gcoç. ijçtevon de; o{ti to; e[gcoç kai; xivfoç kai; dovru to; aujto; oi\den o[noma (scil. ”Omhroç). oJ de; Çofoklh'ç th;n çfaivran, Eustath. ad Hom. Il. p. 644, 46-50 çkophtevon dev ... wJç e[gcouç dunamevnou kai; tou' xivfouç levgeçqai. Çofoklh'ç (Ai. 907) ga;r e[gcoç peripete;ç eijpei'n ejtovlmhçen, w|/ peripevptwken Ai[aç, xivfoç o]n ejkei'no pavntwç. to; dΔ aujto; kai; bevloç tolmhrw'ç e[fh ejn tw'/ “e[gcoç e[cqiçton belw'n” (Soph. Ai. 658 e 3
P.Oxy. XV 1801, col. II 18-19
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rebbe la più plausibile, il gavr deve essere inteso, come di frequente, con il valore dei nostri due punti (cfr. Denniston 1954, p. 61). M. Haslam ipotizza che prima di xivfoç vi fosse un’espressione – derivata forse da un commentario – del tipo çhmeiwtevon o çeçhmeivwtai: una possibilità da prendere in sicura considerazione (cfr. pure il citato sch. Aristoph. Ach. 345), anche se in tal caso si verrebbe ad avere un rigo forse troppo lungo (59/60 caratteri, invece di 45/55, cfr. n. 1)4. Per quanto riguarda la citazione aristofanea, Naoumides 1961, p. 78, proponeva, a mio avviso plausibilmente, di integrare solo parte del verso degli Acarnesi ovvero ajlla; katavqou to; bevloç. Meno convincente la proposta di Luppe 1967, p. 92, che supponeva che nel r. 18 figurasse la citazione dell’intero verso aristofaneo (cfr. app. crit.). A questa ricostruzione si può obiettare soprattutto – oltre alla eccessiva lunghezza di un rigo così restituito (su cui cfr. nn. 1 e 4) – che mancherebbe nella glossa proprio l’indicazione della peculiare valenza di bevloç nel luogo degli Acarnesi, cioè della sua equivalenza con xivfoç. Circa invece la parola e[gcoç, separata da ciò che la precede tramite uno spazio bianco, si tratta con tutta probabilità, come ben vide Naoumides, di un secondo interpretamentum del lemma e non può essere legata a ciò che precede come voleva Luppe, che intendeva parh'n a]n levgein e[gcoç cioè “es wäre möglich, (statt bevloç) auch e[gcoç zu sagen” (p. 92). Tra l’altro all’inizio del r. 19 la prima lettera che si distingue non è p (Hunt) bensì g (cfr. app. pap.); l’an inserito interlinearmente inoltre non può essere collocato, per la sua posizione nel rigo di scrittura, se non prima di hn; leggere dunque parh'n a]n levgein (Naoumides) non pare possibile. A questo si aggiunga che un’espressione come parh'n a]n levgein, all’interno di materiali esegetici, sarebbe veramente anomala, al contrario di ga;r a]n h\n levgein che, pur non documentata altrove, a quanto mi risulta, in questa precisa forma – senza dubbio inconsueta per una spiegazione di un lessico e probabilmente derivante da un commento articolato, da cui il nostro redattore sta estraendo e copiando – appare comunque meno improbabile della prima (an aggiunto nell’interlinea era verisimilmente presente nell’antigrafo e, dapprima dimenticato dal copista, sarà stato aggiunto in un secondo tempo). Per ciò che concerne infine il di≤ª del r. 19, l’idea di Luppe che si tratti dell’inizio del nome di un commediografo (Diocle, per esempio, se si pensa a un rappresentante dell’ ΔArcaiva; Difilo, se a uno della Neva) appare suggestiva, nonostante nei frammenti superstiti dei due non occorra né bevloç, né e[gcoç. sch. vet. ad l. ãtovdΔ e[gcoç:à ajnti; to; xivfoç), wJç doqe;n uJpo; ejcqrou' tou' ”Ektoroç. dh'lon de; wJç ou[te ”Ektwr dovru e[dwken Ai[anti, o} taujtivzetai pro;ç e[gcoç, kai; o{ti ouj bavlletai e[gcoç to; kata; to; xivfoç. eJkhbolivan ga;r hJ tou' bevlouç levxiç dhloi'. i[çwç ou\n kai; ejpΔ ajmfoi'n tetovlmhken Çofoklh'ç kainovteron. 4 Cfr. tuttavia, in proposito, le osservazioni di Naoumides (⇒ 12 n. 2).
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Aristophanes 3
Anche l’ipotesi di M. Haslam che venga qui menzionata l’autorità di Didimo è sicuramente attraente, ma da escludersi, a mio avviso, sul piano paleografico (cfr. app. pap.). Si noti infine che, di tutti i passi che spiegano o discutono la parola bevloç, quelli che forniscono del termine una esegesi simile a quanto si legge nel nostro papiro sono – oltre a quelli citati – Hsch. b 497 L. bevloç: mavcaira ktl ed Eustath. ad Hom. Il. p. 1175, 48 ojxu; de; a[coç wJç oi|av ti bevloç h] xivfoç5, nonché sch. vet. Aeschl. Pr. 879c 1 a[rdiçº xivfoç. bevloç. hJ ajkmh; tou' pavqouç. oJrmhv. ELENA ESPOSITO
5
In proposito, cfr. anche Naoumides 1961, p. 107.
4
P.Louvre s.n.
sec. VIp?
Nota marginale ad Av. 1113 Prov.: Arsinoe. Cons.: perduto. Edd.: WEIL 1882, pp. 179-185; WHITE 1914, p. 208; McNamee 2007, p. 184. Comm.: MP3 140; LDAB 387 WHITE 1914, p. LXXVI; ZUNTZ 1975, p. 56 (1938, p. 686); GELZER 1971, nr. 12; AUSTIN 1973, fr. 42; MCNAMEE 1977, pp. 177, 187, 426; TURNER 1977, p. 102 nr. 11; HOLWERDA 1991, p. XX; MCNAMEE 1992, pp. 73, 75 nr. 1; MERTENS 1996, p. 337; TROJAHN 2002, pp. 55, 188, 190; MONTANA 2005, pp. 43-44.
Questo frammento pergamenaceo fu individuato da Weil1 “parmi les dernières acquisitions” del Louvre, dove tuttavia è da lungo tempo irreperibile2. Tra gli studiosi citati in bibliografia, il solo Weil risulta testimone autoptico del frammento e dalla sua testimonianza, per certi versi parziale, dipendiamo interamente. Si trattava di un sottile brandello che ritagliava una striscia diagonale della pagina, il cui andamento sul recto era da sinistra (in alto) verso destra (in basso). Weil vi riconobbe, lacunosi, i vv. 1057-1085 (recto) e 1101-1127 (verso) degli Uccelli, cioè parte della seconda parabasi (vv. 1058-1117) e dei versi immediatamente circostanti della commedia. Su entrambi i lati del frammento permanevano porzioni del margine interno, nella parte alta, e tratti di quelli inferiore ed esterno, nell’angolo in basso. Siamo così in grado di calcolare che il verso contenesse, in origine, 42 righi di testo3. Weil descrisse la scrittura del testo “en onciales carrées”, “régulière et distincte”, e notò la forma a croce dello y, chiedendosi se ciò potesse rappresentare un indizio cronologico. Poco sopra egli aveva ammesso per ipotesi, ma senza portare argomenti precisi, che il frammento si datasse, con altri venuti alla luce nel medesimo sito, al VI secolo4. L’esiguità e la vaghezza dei
1
Weil 1882, p. 179. Cfr. Holwerda 1991, p. XX: “J. Irigoin (...) meum in usum hoc fragmentum (...) strenue, sed frustra in Museo-Louvre quaesivit”. Anche ricerche più recenti hanno sortito esito negativo: Trojahn 2002, p. 55 n. 2. 3 Cfr. Weil 1882, p. 180; ma “41 or 44?” secondo Turner 1977. 4 Weil 1882, p. 179. 2
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Aristophanes 4
dati impone di considerare tale datazione come incerta. Quanto alle note marginali, apprendiamo dall’editore che “elles sont d’une écriture menue et tellement effacée qu’il est extrèmement difficile, pour ne pas dire impossible, de les déchiffrer en entier”5. Il testo della commedia era ampiamente corredato di accenti e apostrofi; i cambi d’interlocutore erano segnalati con paragraphoi sotto l’incipit dei versi interessati. I cola lirici erano posti in eisthesis e i tetrametri trocaici in ekthesis, rispecchiando la colometria riconducibile a Eliodoro. Delle note, “qui se trouvent sur la marge extérieure des deux pages”6 e, come si è visto, risultavano di ardua lettura, soltanto quella al v. 1113 è riportata e presa in esame nell’editio princeps.
Verso v. 1113
prhgorew'naç
13
provlogoç≥, hJ tw'n ojrnivqwn favrux 2 orniqw) perg. ?
gargarozzi
gozzo, la gola degli uccelli
La nota rispecchia, congiuntamente e in forma abbreviata, quelle che la tradizione medievale propone come due spiegazioni distinte di prhgorew'naç. La prima (provlogoç) è esplicitamente attribuita a Didimo (Comm. Aristoph., fr. 38 Schm.) nello sch. Av. 1113a Divdumoç: tou;ç brovgcouç tw'n ojrnevwn kurivwç, tou;ç legomevnouç prolovgouç (probovlouç Lh), o{ti çullevgetai ejn aujtoi'ç ta; çitiva. levgetai de; kai; ejpi; ajnqrwvpwn (cfr. Eq. 374) prhgorew;n pavlin oJ brovgcoç. eJkavteron de; ajpo; tou' proaqroivzein ejkei' th;n trofhvn = Sud. p 2412 A. prohgorew'naç (la nota è duplicata, ma in breve, nello sch. 1113b); cfr. Hsch. p 3259 H. prhgorewvn: tw'n ojrnevwn oJ provloboç (-logoç cod.), o{ti proçullevgetai ejn aujtoi'ç ta; çitiva; p 3566 H. provlogoç: ... oJ gargarew;n tw'n ojrnivqwn, o}n oiJ palaioi; prhgorewvn; Sud. p 2497 A. provloboç7.
5
Weil 1882, p. 184. Ibidem. 7 Provlogoç non è attestato in questo significato al di fuori dei passi eruditi citati e ha tutta l’aria di essere in realtà a sua volta una glossa di provloboç (e.g. Aristot. HA. 508b 27-30, PA. 674b 18ss.), 6
P.Louvre s.n.
47
L’altra spiegazione (hJ tw'n ojrnivqwn favrux) ricompare nello sch. Av. 1113da (V) favruggaç (favrtaç cod.) ojrnevwn = Sud. p 2412 A. fin. h] favruggaç ojrnevwn (cfr. gli scolii tricliniani 1113c e 1113db) e deve essere rapportata, anche per la formulazione, all’esegesi antica ai Cavalieri: sch. Eq. 374a to;n prhgorew'na: to;n legovmenon gargarew'na. (...) kurivwç de; hJ tw'n ojrnevwn favrugx, ejn h|/ ajgeivretai hJ trofhv. Diversamente, Poll. II 207 distingue la favrugx (çtomavcou ... ajrchv) dal gargarew;n kai; provlogoç (to; dΔ e[xw prou'con aujtou' [scil. çtomavcou] peri; to;n travchlon). La distinzione pare supposta anche nelle altre attestazioni lessicografiche, che ripetono l’equivalenza prhgorewvn = gargarewvn senza fare menzione della favrugx: Sud. p 2413 A. prohgorewvn: oJ legovmenoç gargarewvn, oJJ laimovç. prohgorew;n de; kurivwç oJ ejci'noç tw'n ojrnivqwn, o{pou proageivretai hJ trofhv, cfr. EM. p. 688, 33 G. e Zon. p. 1572 T., che ripete la voce della Suda suggellando ou{twç levgei ΔApollwvnioç. Poiché prhgorewvn è termine attestato soltanto nelle commedie di Aristofane, s’impone l’ipotesi che Apollonio sia da identificare con uno dei commentatori aristofanei di questo nome: il figlio di Cheride, citato nello sch. Ve. 1238b, o l’esegeta ricordato nello sch. Av. 1242c et alibi: forse un’unica persona, benché la questione sia da tempo dibattuta (Cohn 1895a, e Id. 1895b; Rutherford 1905, p. 432 n. 11; Boudreaux 1919, p. 77 n. 1) e resti ancora aperta (Montanari 1996a e 1996b; scheda Apollonius [8] Chaeridis filius, in LGGA). In definitiva, nella pergamena del Louvre sono fuse insieme due diverse spiegazioni tradizionali di prhgorewvn: la prima (prhgorewvn = [provloboç >] provlogoç, in riferimento a uccelli) risale a Didimo e concerne direttamente Av. 1113 prhgorew'naç; la seconda (prhgorewvn = favrugx, propriamente in riferimento a esseri umani), è mutuata verosimilmente dalla tradizione esegetica ai Cavalieri (Eq. 374 prhgorew'na). La lemmatizzazione delle due glosse nella pergamena al nominativo singolare provlogoç e favrux è indice della loro probabile derivazione da uno o più lessici8. FAUSTO MONTANA
precocemente sostituitasi ad esso nella tradizione anche per effetto della spiegazione o{ti (pro)çullevgetai ejn aujtoi'ç ta; çitiva (glossa pro lemmate: Slater 2007). 8 Cfr. McNamee 1992, p. 75 nr. 1.
5
P.Acad. inv. 3 d + Bodl. Ms. Gr. class. f. 72 (P)
IV/Vp
Note marginali a Eq. 41, 84, 93 Prov.: Lycopolis (vel Hermopolis Magna?) Cons.: P.Acad.: Paris, Bibliothèque de l’Institut de France, Académie des Inscriptions et Belles-Lettres; Bodl.Ms.: Oxford, Bodleian Library. Edd.: P.Acad.: J.-L. FOURNET in J.-L. FOURNET, J. GASCOU et al., P.Acad. (in preparazione). Bodl.Ms.: GRENFELL-HUNT 1905, pp. 212-217; ZUNTZ 1975, pp. 29-47 (1938, pp. 659677); MERVYN JONES 1969, pp. XXIV, 16, 29, 34; TROJAHN 2002, pp. 21-23; MCNAMEE 2007, pp. 184-185, FOURNET-GASCOU 2008, pp. 1061-1066. Tabb.: CAVALLO-MAEHLER 1987, 10a (%) (Bodl.ms); FOURNET-GASCOU 2008, p. 1060, 7-8; ⇒ I-II. Comm.: MP3 141; LDAB 364 KÖRTE 1911, p. 267; WHITE 1914, pp. LVII, LXXVI; LOWE 1962, p. 32; GELZER 1971, nr. 2; AUSTIN 1973, fr. 22; MCNAMEE 1977, pp. 177, 181-186, 419; TURNER 1977, p. 102 nr. 12; CAVALLO-MAEHLER 1987, p. 28 nr. 10a; MCNAMEE 1992, p. 73; MINNEN-WORP 1993, pp. 160 nr. 9, 178; MERTENS 1996, p. 337; MONTANA 2000, pp. 85-96; TROJAHN 2002, pp. 171, 180-181; FOURNET 2004, p. 176; MONTANA 2005, pp. 19-20; MONTANA 2006, pp. 23-24; MONTANA 2011, p. 149 n. 139.
Parte inferiore di un foglio di codice di papiro ora divisa fra Parigi e Oxford e ricostituita da J.-L. Fournet, contenente nel recto (%) i vv. 37-46 e nel verso ($) i vv. 86-95 dei Cavalieri, con note nei margini esterni delle due facce e in quello inferiore del verso. Riguardo all’origine del reperto, si deve registrare il disaccordo tra quanto Grenfell e Hunt riferiscono a proposito dei frammenti oxoniensi (Hermopolis) e la presenza della parte parigina tra le acquisizioni papiracee provenienti da Lycopolis. La discrepanza deve spiegarsi con una contaminazione di reperti di provenienza diversa, forse nella medesima sede antiquaria all’epoca dei rispettivi acquisti (Il Cairo, nel dicembre 1904 per Bodl.Ms. e all’inizio del 1905 per P.Acad.). L’omogeneità almeno cronologica del lotto cui appartiene il frammento parigino, quale risulta dai papiri documentari che ne fanno parte (datati in un periodo compreso fra il 420 e il 555), a fronte della presenza della parte oxoniense in una “box full of Byzantine papyri from Ashmunen”1, fa propendere per l’origine licopolitana. La parte oxoniense, nota dal 1905, consta di tre frammenti non combacianti. Il frammento maggiore (A) misura cm 6,6 × 7,7; gli altri due rispetti1
Grenfell-Hunt 1905, p. 212.
P.Acad. inv. 3 d + Bodl. Ms. Gr. class. f. 72 (P)
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vamente cm 1,9 × 2,1 (B) e cm 3 × 4 (C). Il piccolo fr. B si posiziona, guardando il recto, in alto a destra del fr. A, a breve distanza da esso. La parte parigina del papiro (fr. D: cm 4,4 × 6), in corso di pubblicazione a cura di J.-L. Fournet, si inserisce tra i frr. A e B e il fr. C della parte oxoniense, collimando parzialmente con essi e venendo a colmare buona parte della lacuna intermedia. Dal ricongiungimento si ottiene dunque una porzione di foglio con misure massime di cm 14 × 7,7. La parte superiore perduta del verso conteneva i vv. 47-85 dei Cavalieri: pertanto questa pagina comprendeva 49 righi di testo principale, per uno specchio di scrittura alto cm 22/23 e di larghezza variabile (fino a cm 10,8 nel recto, v. 43; cm 9 nel verso). Poiché nel recto figuravano i vv. 1-46, dunque tre versi in meno rispetto al verso, a parità di spazi interlineari, si deve immaginare che l’inizio della commedia fosse preceduto da qualcosa (titolo o materiale complementare come hypothesis o didaskalia). Nel recto sono preservati fino a cm 3 del margine esterno (fr. C) e cm 2,7 di quello inferiore (frr. C+D+A); nel verso fino a cm 2,3 del margine interno (fr. A), cm 2,5 di quello esterno (fr. C) e cm 3 di quello inferiore (frr. A+D+C). Se si considera l’estensione originaria, ricostruibile con buona approssimazione, della nota esegetica che trova posto nel margine inferiore del verso (cfr. infra), si può calcolare che la pagina fosse larga non meno di cm 18; ipotizzando che il margine superiore avesse una misura almeno pari a quella del margine inferiore attuale (cm 3), si ottiene un’altezza originaria della pagina di cm 28/29. Le dimensioni di cm 18 × 28/29 sono perfettamente consone al gruppo 5 di Turner 1977, individuato da codici datati per la maggior parte ai secoli IV-Vp. La cronologia suggerita dai dati codicologici trova conferma in quelli paleografici. La scrittura dei versi aristofanei è una corsiva chiara e regolare, per la cui datazione i primi editori di Bodl.Ms. indicarono il periodo 350-450p, richiamando il confronto con P.Amh. II 145 (lettera privata). Poiché questo papiro documentario è da datarsi allo spirare del IVp2, è possibile restringere la cronologia del testimone aristofaneo tra la fine del IVp e l’inizio del Vp3. Una seconda mano, individuata da inchiostro più scuro, è intervenuta sul testo operando delle correzioni e apponendo la maggior parte dei segni di lettura che vi si leggono (spiriti dolci e aspri, accenti, punteggiatura – compreso il dicolon a fine v. 95, ma eccetto tutti o la maggior parte degli apostrofi, che sono della prima mano). I segni di quantità sono probabilmente dovuti a una terza mano (inchiostro più chiaro e tratti più sottili). La scrittura delle note marginali è una corsiva affine alla mano principale del testo poetico, ma più libera e vergata con calamo più sottile, che E. Lobel4 giudicava un poco posteriore (Vp). 2 3 4
Zuckerman 1995, pp. 189-190. Cavallo-Maehler 1987 pensano alla seconda metà del IVp. Ap. Zuntz 1975, p. 29 (1938, p. 659).
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Aristophanes 5
L’unione dei frr. A, B e D restituisce nel recto quasi integralmente i vv. 3746 della commedia. Sul medesimo lato del fr. C si leggono lo i finale muto dell’ultima parola del v. 43 (noumhnivai) e l’inizio di tre righi di annotazione posti nel margine esterno, che affiancavano a destra il v. 43 e le interlinee ad esso immediatamente superiore e inferiore. Una traccia di scrittura marginale è riconoscibile anche sul bordo destro del fr. D recto, in corrispondenza del v. 41. Nel verso, i frr. A, B e D conservano buona parte dei vv. 86-95 dei Cavalieri; il fr. C è testimone delle due lettere iniziali dei vv. 93-95, di una glossa al v. 93 scritta nel margine sinistro e, insieme ai frammenti A e D, di quattro righi, mutili all’inizio e alla fine, di una lunga annotazione relativa a Qemiçtoklevouç (v. 84), posta nel margine inferiore della pagina. Il testo della commedia conservato nel papiro non si discosta da quanto è noto dalla tradizione medievale. Le note marginali consistono in spiegazioni di lunghezza e valore diseguali, oscillanti fra la glossa e l’excursus storicoaneddotico, e hanno sicuri e significativi punti di contatto con gli scholia vetera, a confronto con i quali risultano più brevi e sintetici. La collocazione della lunga nota su Temistocle nel margine inferiore del verso, distante dal passo commentato, induce a supporre che i margini laterali oggi perduti della pagina fossero occupati da altri interventi esplicativi.
Recto (%) v. 41 Aristophanis textus
a[groºikoç ojrgh;n kuamotrw;x ajkrªavºcoloç akrª≤ºcwloç pap.: w corretto da o nell’interlinea
aª sul bordo del fr. D, circa cm 0,7 a destra del v. 41 —— a[ªgroikoç (lemma)? Montana
v. 41
kuamotrwvx ª kuavmouç h[≥ç≥qion i{n≥ªa mh; kaqeuvdwçi h] o{ti kuavªmoiç ejcrw'nto pollavkiç ≤ª
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2 il rigo affianca a destra l’interlinea tra i vv. 42 e 43 i>n≥ª pap. 4 ≤ª segno basso nel rigo, in prossimità del limite di frattura (estremità inferiore di un tratto obliquo?) —— 1 o{ti kuavmouç Zuntz : e.g. kuamotrw;x o{ti kuavmouç Montana 2 º h[≥ç≥qion i{n≥ª Zuntz : ºu≥ç≥ oioni> p≥ª Grenfell-Hunt 2-3 suppl. Zuntz kaqeuvdwºiçi (sic) Zuntz 3 ºi≥çi h oti klaª GrenfellHunt 4 pollavkiç ajªnti; yhvfwn Zuntz
rosicafave [perché (?) ... ] mangiavano [fave] per [non dormire] o perché [utilizzavano] fave spesso ... Verso ($) ªQemiçtoklevouçº
v. 84
?
ªQeºm≥içtokl(evouç) Qemiçtok≥l≥h'ç ga;r ΔAqhna≥i '≥oç ejfugadeuvqh kai; paregevneto eijç tªh;n ≤10 ªPerºçw'n cwvran ka≥i ≥; e[laben duvnamin para; ·≤≤‚ Perçw'n kai; ejçtrateuvçato e≤ª
≤10
ª± 3 ºa≥k≤ent≥hi≤≤≤≤ metanohvçaç d≤≤≥≥hg≥en eJauto;n tou' bivou ai|ma ta≥ªuvrou piwvn. diaªbavllei toºu;ç ΔAqhn≥a≥iv≥o≥u≥ç wJç kakou≥;ç p≥ro;ç tou;ç eujergevt ≥ªaç. la nota occupa il margine inferiore 2 ·≤≤‚ a quanto pare, superficie erasa (·to‚ ? Fournet) e≤ª il prolungamento del tratto mediano di e pare convenire tanto a ejp≥ªi; quanto a eij≥ªç 3 k≤ la lettera incerta potrebbe essere una legatura o segno di abbreviazione (kI ?) t≥ possibile anche g ≤≤≤≤ la prima lettera incerta ha forma tondeggiante ed è abrasa sulla destra (ç, e, o ?); la seconda lettera è d o a; poi vi è una traccia sbiadita che potrebbe convenire a w, seguito apparentemente da i ≤≤≥h≥ tratto verticale (i, e, h ?) seguito da circa cm 0,2 di superficie ora priva di scrittura, nella quale resta tuttavia una minima traccia puntiforme appena sotto il rigo; segue h, ripartito tra i frr. D e A g≥, piuttosto che ç≥, cfr. r. 1 efugadeuqh, r. 4 euerget≥ª —— 1 tªh;n tw'nº Grenfell-Hunt fort. recte 2 ejpªi; Magnhçivan Grenfell-Hunt, Zuntz : fort. ejp≥ªi; vel eij≥ªç th;n ÔEllavda vel patrivda Montana 3 ºauqenthç edª Grenfell-Hunt : ºakienthiçaª Zuntz k(ai;) ? HM per litteras ejn t≥h'i oJdw'≥i ≥ ? GB dΔ ej≥x≥h'g≥en Montana : di≥h'g≥en ? Fournet ta≥ªuvreion ? Montana 3-4 suppl. Grenfell-Hunt
di Temistocle: Temistocle ateniese infatti fu mandato in esilio, riparò nel ... territorio dei Persiani e fu da loro dotato di un esercito; mosse in armi verso ... mutato avviso si tolse la vita [bevendo] sangue [di toro]. [Accusa] gli Ateniesi di comportarsi male verso i propri benefattori. di≥a≥pravttouçi
v. 93
ªeºu≥\ pravttouçi la nota si trova a sinistra del v. 93
concludono affari
se la passano bene
9
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v. 41 La lettera visibile sul bordo può attestare l’inizio della nota su kuamotrwvx (cfr. infra) oppure un’annotazione su un termine del v. 41 precedente kuamotrwvx. Il miglior candidato allo scopo è a[groikoç (cfr. sch. 41b-e), verisimilmente glossato anche in P.Oxy. LXVI 4521 ⇒ 22, ad Pl. 705, preferibile ad ajkravcoloç (cfr. sch. 41c, l) perché quest’ultimo nel testo poetico segue kuamotrwvx. Ma non si può escludere che una breve spiegazione di ajkravcoloç precedesse l’annotazione, piuttosto estesa, su kuamotrwvx. Diversamente da quanto supposto da Grenfell-Hunt 1905, p. 214, seguiti da Zuntz (cfr. inoltre Trojahn 2002, p. 21), non è necessario postulare a sinistra della nota su kuamotrwvx la caduta in lacuna di lettere pertinenti alla nota stessa: h di h[çqion e ç di çi possono essere lettere iniziali di rigo e sono verticalmente allineate fra loro (il sottostante pollavkiç si posiziona leggermente più a destra); inoltre, r. 3 çi è preceduto da uno spazio bianco ampio cm 0,2, alla cui sinistra, in prossimità del limite di frattura del frammento, resta la parte inferiore di un tratto verticale (i primi editori, sia pure dubitativamente, pensavano a i), che il ricongiungimento delle parti parigina e oxoniense conferma essere lo i finale muto di noºumhnivªaºi, ultima parola del v. 435. Ne consegue che il primo rigo conservato della nota (h[≥ç≥qion i{n≥ª ) affianca l’interlinea dei vv. 42-43 ed è perciò da escludere che fosse il rigo iniziale dell’annotazione. Il rapporto di circa 1 : 2 sussistente fra le interlinee della nota marginale e quelle del testo aristofaneo porta a ritenere che si sia perduto almeno un rigo iniziale, contenente fra l’altro il complemento oggetto di h[çqion, ovviamente restituibile in kuavmouç. Se la traccia di scrittura che nel fr. D recto affianca a destra il v. 41 (aª, cfr. supra) apparteneva anch’essa alla nota su kuamotrwvx, allora i righi di quest’ultima caduti in lacuna sono due. Diversamente, se a fianco del v. 41 si trovava una nota (o glossa) diversa da quella su kuamotrwvx, quest’ultima aveva inizio immediatamente sotto, dunque grosso modo a lato dell’interlinea 41/42 o del v. 42, ed è allora verisimile che fosse introdotta dal lemma. Dopo l’incerta lettura del r. 2 da parte dei primi editori (cfr. app. crit.), Zuntz vi riconobbe parte della spiegazione di Eq. 41 kuamotrwvx grazie al confronto con gli scolii antichi di tradizione medievale: sch. 41g dikaçtikovç, kuavmouç ejçqivwn. kuavmoiç de; ejcrw'nto oiJ dikaçtai; dia; to; mh; kaqeuvdein h] ajnti; yhvfwn (seguono considerazioni sulla v.l. kuamotrwvç); sch. 41h uJpo; tw'n kuavmwn trefovmenoç. pro; ga;r th'ç euJrhvçewç tw'n yhvfwn kuavmoiç ejcrw'nto ejn tai'ç ceirotonivaiç tw'n ajrcovntwn kai; ejn tai'ç ejkklhçivaiç: wJç kai; tw'n yhfizomevnwn ajrguvrion lambanovntwn kai; ceirotonouvntwn tou;ç didovntaç plevon (segue una breve spiegazione di ajkravcoloç, ancora al v. 41); e infine sch. 41i trefovmenoç uJpo; tw'n kuavmwn. pro; ga;r th'ç euJrhvçewç tw'n yhvfwn kuavmoiç ejcrw'nto. a[lloi dev façin o{ti
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Sulla pertinenza della traccia al testo della commedia cfr. già Montana 2000, p. 88.
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kuavmouç h[çqion. kuavmoiç de; ejcrw'nto dia; to; mh; kaqeuvdein. e[çti de; to; kuamotrw;x ajnti; tou' filovdikoç kai; çklhrovç. Della nota del papiro restano tracce sufficienti per stabilire che essa proponeva in breve spazio due spiegazioni alternative (r. 3 h] o{ti), la prima delle quali comprendeva il verbo ejçqivein (r. 2 h[çqion). In modo non dissimile da quanto leggiamo negli sch. 41g e 41i, l’annotatore doveva spiegare il vocabolo kuamotrwvx sia come allusione alla consuetudine ateniese di cibarsi di fave durante le assemblee e le udienze al fine di tenersi svegli sia, in alternativa, come riferimento all’uso delle fave in funzione di tessere di voto (nello sch. 41g e nel papiro le due spiegazioni hanno esattamente questa successione, mentre nello sch. 41i figurano nell’ordine contrario): l’accostamento compilatorio di spiegazioni diverse non è dunque da attribuire all’annotatore del papiro (come ritiene Trojahn 2002, p. 232 n. 1), ma deve essere fatto risalire a una fonte comune, cioè al medesimo hypomnema da cui derivano anche la nota al v. 84 e gli scholia vetera corrispondenti (cfr. infra). La ricostruzione proposta da Zuntz prevede ai rr. 2 e 3 complementi di 10 e 11 lettere, per un’annotazione comprendente 18-20 lettere per rigo e ampia approssimativamente cm 4. Con questa configurazione sono congruenti sia l’ipotesi di restituire al r. 1 il lemma seguito da o{ti e dall’oggetto kuavmouç (19 lettere), sia la ricostituzione del r. 4 offerta da Zuntz (pollavkiç ajªnti; yhvfwn, 17 lettere), benché la traccia di scrittura che qui segue pollavkiç, sul bordo del fr. C, apparentemente non si accordi con a6. v. 84 La ragione per cui la nota fu scritta nel margine inferiore della pagina, a una distanza di 11 righi di testo dal termine cui si riferisce, deve essere individuata nell’insufficienza a ospitarla dei margini laterali in corrispondenza del v. 84, forse anche perché occupati da altre annotazioni. Casi di questo genere in P.Oxy. XI 1371 ⇒ 13, ad Nub. 5, 52. Il testo conservato è suddiviso tra i frammenti C, D e A e presenta lacune sul lato sinistro e su quello destro. La dimensione della lacuna sinistra può essere determinata grazie al fatto che l’annotazione è preceduta dal lemma ªQeºm≥içtokl(evouç): supponendo che i quattro righi fossero allineati a sinistra, ricaviamo che devono essere cadute due o tre lettere iniziali dei rr. 2-3 e meno di una decina del r. 4. Al contrario, mancano riferimenti precisi per determinare l’ampiezza della lacuna a destra dell’annotazione. Ipotizzando che la nota si estendesse in modo simmetrico, verso sinistra e verso destra, rispetto alla sovrastante colonna di testo letterario, si può postulare che ai rr. 1-3 siano cadute fino a 10 lettere circa. Al r. 4 la scrittura è assai più distesa, evidentemente perché in questo punto del margine lo spazio disponibile superava le esigenze dell’annotatore.
6 Per una diversa ipotesi, che connette pollavkiç allo sch. 43b uJpovkwfon: o{ti pollavkiç ajkouvwn ouj proçepoiei'to, cfr. Montana 2000, p. 89 con la n. 11.
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Eq. 84 è la più antica attestazione della tradizione antica sul presunto suicidio di Temistocle con sangue di toro7. Il testo della nota del papiro ad l. è confrontabile in buona parte con gli sch. 84b I, 84b II e 84cd. Questi scolii (Meiners 1890, p. 318 con la n. 21) e la nota del papiro (Zuntz 1975, pp. 32-36 [1938, pp. 662-666]) sono da ricondurre nella forma e nella sostanza, probabilmente attraverso la mediazione di uno hypomnema ad Aristofane di età imperiale, alla sintesi storica di Aristodemo (FGrHist 104 F 1, 10, 1-5), autore vissuto non più tardi del IIp, epoca del P.Oxy. XXVII 2469 che conserva parte di una redazione compendiaria della sua opera. Il terminus ante quem dell’uso del resoconto storico di Aristodemo come fonte per la spiegazione del passo dei Cavalieri è il commento ad Aristofane di Simmaco (IIp?), che rigettava la tradizione del suicidio di Temistocle testimoniata appunto da Aristodemo (sch. 84b II Çuvmmacoç dev fhçi yeuvdeçqai peri; Qemiçtoklevouç. ou[te ga;r ÔHrovdotoç ou[te Qoukudivdhç iJçtorei'). Come rilevato da Zuntz, la nota marginale su Temistocle ha da un lato punti di contatto letterali con lo sch. 84b I, dall’altro coincidenze esclusive con l’excerptum di Aristodemo, cosicché si deve postulare la reciproca indipendenza tradizionale della nota stessa e dello scolio. Questo aspetto dell’analisi di Zuntz si arricchisce ora – grazie a P.Acad. inv. 3 d – di un nuovo elemento, cioè la contiguità della nota del papiro, r. 3 metanohvçaç, con Aristodemo, fr. 1, 10, 5 metenovhçen, a fronte di katagnou;ç eJautou' dello scolio medievale8. D’altro canto, poiché la conclusione esplicativa della nota (rr. 34) replica verbatim la chiusa dello sch. 84b I diabavllei tou;ç ΔAqhnaivouç wJç kakou;ç pro;ç tou;ç eujergevtaç, se ne evince che l’una e l’altro non derivano direttamente da Aristodemo o da una sua epitome, bensì da una fonte ipomnematica comune, nella quale la fonte storica era citata. Alla fine del r. 2 non è accettabile ejçtrateuvçato ejpªi; Magnhçivan di GrenfellHunt (accolto da Zuntz), esemplato su Aristod. FGrHist 104 F 1, 10, 5 (paragenovmenoç eijç Magnhçivan) e sch. 84b I (paragenovmenoç de; a{ma tw'/ çtrateuvmati eijç Magnhçivan). Nello scolio e in Aristodemo, infatti, si fa riferimento all’avvicinamento (paragenovmenoç) di Temistocle a Magnesia (sottoposta al dominio persiano e scelta da Temistocle stesso come propria residenza: Plut. Them. 29, 11; 31, 3-6), nelle fasi di allestimento della spedizione contro la Grecia richiestagli dal Gran Re. Nella nota del papiro, invece, ejçtrateuvçato allude chiara7 Cfr. Montana 2002a, pp. 262-263 con le nn. 14 e 15; altre fonti e sintesi bibliografica sull’argomento ibidem, p. 287 n. 63. Il gesto attribuito a Temistocle nell’aneddotica storico-politica trova un preciso parallelo mitografico nell’episodio del suicidio di Esone, compiuto anch’esso nella cornice di un rito sacrificale, come tramandato da [Apollod.] Bibl. I 9, 27 oJ de; aijthçavmenoç eJauto;n ajnelei'n quçivan ejpitelw'n ajdew'ç tou' taureivou çpaçavmenoç ai{matoç ajpevqanen (cfr. Diod. IV 50, 1; Val. Fl. I 767-826). 8 Considerazioni congetturali in proposito, anteriori al riconoscimento del frammento parigino, in Montana 2000, pp. 94-95.
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mente a un movimento ostile di truppe, che non ha senso intendere come rivolto a Magnesia, ma che s’indirizzava contro la Grecia (da cui le proposte d’integrazione registrate nell’apparato; cfr. sch. 84b II çtrato;n de; paralabw;n ajpΔ aujtou' ejpi; porqhvçei th'ç ÔEllavdoç)9. Al r. 3 permangono due problemi di lettura. In prossimità del bordo inferiore del fr. C, che lambisce la parte iniziale dell’annotazione, la scrittura è piuttosto sbiadita: Grenfell e Hunt leggevano ºauqenthç edª; Zuntz proponeva ºakienthiçaª, ma senza piena convinzione (cfr. Zuntz 1975, p. 29 [1938, p. 659] n. 2). Purtroppo i dubbi non sono dissipati dal contiguo fr. D, ove all’inizio del r. 3 non è possibile decifrare con assoluta certezza ciò che precede metanohçaç. Ci si dovrà accontentare, per il momento, di segnalare la possibilità che in questo punto la nota indicasse la località o la circostanza nella quale Temistocle venne a trovarsi subito prima di concepire l’idea del suicidio, al pari di quanto si legge nell’excerptum di Aristodemo: paragenovmenoç eijç Magnhçivan, ejggu;ç h[dh genovmenoç th'ç ÔEllavdoç metenovhçen ktl; quvwn de; th'/ Leukofruvnh/ ΔArtevmidi ktl. La lettura ejn t≥h'i oJdw'≥i ≥ converrebbe bene al senso e alle tracce, benché si possa restare legittimamente sorpresi dall’impiego da parte dello scriba di iota muti ascritti, rarissimi nei testi non propriamente letterari dei secoli IV-Vp (cfr. Clarysse 1976, pp. 150-151). Tra i papiri aristofanei, tuttavia, si possono segnalare due testimonianze di quest’uso in contesto di esegesi: BKT IX 5 ⇒ 6, nota marginale al v. 574, r. 3 (tw'i Klevªwni), e MPER N.S. III 20 ⇒ 15, lato ($), r. 1 (mºa≥vchi), entrambi del Vp, richiamate da G. Bastianini. Il secondo problema di lettura al r. 3 si pone ancora al punto d’incontro di due frammenti (D e A) e riguarda la forma verbale che segue il participio metanohvçaç. Lo spazio di circa cm 0,2 compreso fra d e hg≥en, quasi completamente illeggibile, ammette al massimo due lettere. Tra le soluzioni proposte, dΔ ej≥x≥h'g≥en (in luogo di ejxhvgagen, atteso a motivo della serie di forme verbali all’aoristo che precedono) gode di significativi paralleli, siti in parte nel contesto di valutazioni stoiche del suicidio dell’uomo saggio, in primis Chrysip. III 757 A. eujlovgwç tev façin ejxavxein eJauto;n tou' bivou to;n çofovn, kai; uJpe;r patrivdoç kai; uJpe;r fivlwn, ka]n ejn çklhrotevra/ gevnhtai ajlghdovni h] phrwvçeçin h] novçoiç ajniavtoiç (da notare che la giustificazione del suicidio uJpe;r patrivdoç è consona al caso di Temistocle); cfr. III 764 A. (eJauto;n ejxavgein ... tou'de tou' bivou) e 758 A. (th;n ejxagwgh;n th;n ejk tou' bivou); [Plut.] X oratorum vitae 837e (ejxagagw;n auJto;n tou' bivou, di Isocrate); sch. Soph. Ai. 560a Chr. (eJauto;n ejxavgei tou' bivou, di Aiace). Sono attestate espressioni affini: ejxavgein tou' zh'n eJautovn Plut. De communibus notitiis adversus Stoicos 1060d, 1076b; ejxavgein eJauto;n ejk tou' zh'n Pol. XXIII 16, 13; XXX 7, 8; XXXVIII 16, 5; ed ejxavgein eJautovn Zen. Cit. I 288 A.
9
Cfr. Montana 2000, p. 93 con la n. 19.
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(di Zenone); Chrysip. III 759, 766, 768 A.; Plut. De Stoicorum repugnantiis 1063c; Comp. Dem. et Ant. 6, 4 (di Antonio). L’inconveniente di questa lettura risiede nella difficoltà di leggere e≥x≥ (per l’esiguità dello spazio e la verticalità del primo tratto poco compatibile con e). L’altra opzione di lettura non è parimenti scevra di inconvenienti10. Ad ogni modo, il senso di questa espressione non lascia dubbi. v. 93 Non più di una generica affinità con lo sch. 93 eujtucou'çi. JEAN-LUC FOURNET FAUSTO MONTANA
10 J.-L. Fournet propone con molta esitazione di leggere di≥h'g≥en (per dihvãgaÃgen). Diavgw ha anche il significato di ‘staccare’, ‘allontanare’ (cfr. LSJ, s.v. VI), ma lo si trova normalmente con la costruzione tina; ajpov tinoç (Ios. AI. X 7, 8; Philostr. Her., Prooem. 3). Il grammatico bizantino Thomas Magister, Ecloga nominum et verborum Atticorum, p. 97, attesta tuttavia la costruzione tinav tinoç: diavgw to; diexavgw. Filovçtratoç: dih'ge ta;ç baçileivouç frontivdaç. kai; diavgw çe touvtou ajnti; tou' ajfiçtw''. Ma l’esempio che egli dà per illustrarla è un passo dell’Eroico di Filostrato in cui il genitivo è introdotto da ajpov (mh; kai; qruvpteçqaiv me fh;/ç diavgontav çe ajpΔ aujtou')! Benché il genitivo semplice non costituisca un’obiezione maggiore, è da notare che, anche in questo caso, la lettura fa difficoltà nella misura in cui ci sarebbe uno spazio più ampio del normale tra lo i≥ e lo h e resterebbe da spiegare la traccia puntiforme d’inchiostro che si trova tra queste due lettere.
6
BKT IX 5
fine sec. Vp
Note marginali a Eq. 545-546?, 546, 547, 550, 551, 552, 574, 580 Prov.: ? Cons.: Berlin, Ägyptisches Museum und Papyrussammlung der Staatlichen Museen, inv. 13929+21105. Edd.: ZUNTZ 1975, pp. 5-27 (1938, pp. 635-657) (13929); MAEHLER 1968, pp. 287-293 (13929+21105); MERVYN JONES 1969, pp. XXIV-XXV, 137-139, 144-145; IOANNIDOU 1996, pp. 4-5; TROJAHN 2002, pp. 28-31; MCNAMEE 2007, pp. 185-187. Tabb.: ZUNTZ 1975, Ia (13929v), Ib (21105v); CAVALLO-MAEHLER 1987, 24c 1-2 (21105rv); BKT IX (= IOANNIDOU 1996), I (21105r-v); MCNAMEE 2007, XXIV (13929r-v, 21105r-v) ⇒ VII (a) (13929r). Comm.: MP3 142; LDAB 367 GELZER 1971, nr. 3; UEBEL 1971, p. 186; AUSTIN 1973, fr. 24; ZUNTZ 1975, p. 130; MCNAMEE 1977, pp. 177, 181-186, 426; TURNER 1977, p. 102 nr. 13; LUPPE, 1980b, p. 184; CAVALLO-MAEHLER 1987, p. 56 nr. 24c; MCNAMEE 1992, pp. 73, 75 nr. 2; MAEHLER 1994, pp. 124-125; MERTENS 1996, pp. 337-338; MANFREDI 2000, pp. 96-97; MONTANA 2001b, pp. 21-22; TROJAHN 2002, pp. 170-173; MONTANA 2005, pp. 21-22; ORSINI 2005, pp. 51-52, 199, 211, 220; MONTANA 2006, pp. 21-22, 2728; MONTANA 2011, pp. 134-136, 149-150 n. 139.
Dopo l’edizione curata da Zuntz (1938) di P.Berol. inv. 13929, frammento di codice pergamenaceo, tre decenni più tardi Maehler pubblicò P.Berol. inv. 21105, riconoscendovi un altro frammento della medesima pagina. I due frammenti, acquisiti sul mercato antiquario e di provenienza ignota, non combaciano fra loro e restituiscono parti esigue dei vv. 545-554 (recto, lato pelo) e 574583 (verso, lato carne) della prima parabasi dei Cavalieri, accompagnati da un numero cospicuo di annotazioni marginali. In particolare, P.Berol. inv. 13929 (cm 3,5 × 3) conserva un lembo destro del recto del foglio, recante tracce delle lettere finali dei vv. 545-546 della commedia e residui di note marginali concernenti i vv. 545?-551: parte di queste note affianca i vv. 545-546 (tetrametri anapestici catalettici), parte è stata scritta nello spazio ad essi sottostante e corrispondente all’ampio margine destro dei vv. 547-550 (dimetri anapestici) e 551 (dimetro coriambico); l’altra faccia del foglio corrisponde a un tratto di margine sinistro del verso, contenente annotazioni ai vv. 574-580. P.Berol. inv. 21105 (cm 4 × 2,5), al contrario dell’altro frammento, restituisce una porzione sinistra del recto, con l’inizio dei vv. 549-554 e tracce di note nel margine adiacente; e un lembo del verso contenente parte della metà destra dei vv. 578-579
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e del v. 583 e resti di un’annotazione marginale che sfrutta anche lo spazio lasciato libero dal testo letterario fra il v. 580 e il v. 583. La datazione del codice al tardo V secolo risulta dalla scrittura maiuscola biblica, apparentemente nella sua variante egizia provinciale, impiegata per il testo letterario. Una seconda mano ha segnato accenti, spiriti aspri, apostrofi ed è intervenuta con correzioni. Sul lato carne si distinguono le lineeguida di scrittura orizzontali. Le note marginali devono essere assegnate ad almeno due mani distinte1. Una mano (A), di piccolo modulo, è responsabile certamente delle note ad v. 552 e v. 580 (a) e probabilmente della nota che affiancava i vv. 545-546 (di cui pochissimo è ancora leggibile)2. A una diversa mano (B), di modulo maggiore e alquanto frettolosa, dobbiamo le note ad v. 546 e v. 551 (b), mentre si resta in dubbio se a questa stessa mano oppure a una di modulo simile ma più accurata (B1) si debbano attribuire le note ad v. 547, v. 550 (b), v. 574, v. 580 (b) e forse v. 551 (a) (di cui rimane molto poco). Si segnalano due abbreviazioni in fine di rigo di annotazione, dra(ma)3 nella nota ad v. 547, r. 4 e calkopoºdw(n) nella nota ad v. 552, r. 1. Sulla base del testo superstite, Zuntz4 ha ricostruito un formato di pagina di cm 17 × 20, contenente una colonna di 30 versi alta cm 12 e con margini superiore e inferiore di cm 4 ciascuno (cfr. le classi V e VII di Turner 1977). A quanto si ricava dalla posizione reciproca dei versi e delle annotazioni, i dimetri anapestici dello pnigos (vv. 547-550), come anche i versi lirici dell’ode e dell’antode (vv. 551 ss. e 581 ss.), erano posti in eisthesis5. I due frammenti attestano un’elevata concentrazione di note marginali, almeno otto nel recto e tre nel verso, con dimensioni oscillanti fra due e cinque righi di scrittura, e con righi che talora si estendono fino a una trentina di lettere circa. In totale si contano almeno 26 righi di esegesi di varia lunghezza, a fronte di 20 versi di testo letterario. Le note si succedono nei margini destro e sinistro di ciascuna facciata della pagina, ma vengono sfruttati anche gli spazi dello specchio di scrittura rimasti liberi per la minor lunghezza di alcuni versi della commedia: cioè in corrispondenza dello pnigos (vv. 547-550) e dei dimetri giambo-coriambici con cui si apre l’antode (vv. 581-583). La mise en page documenta la stratificazione esegetica, senza consentire purtroppo di fissare una cronologia relativa delle mani, tranne forse l’anteriorità di B rispetto a B1 a motivo della reciproca posizione delle note ad v. 546 e v. 5476 e 1
Analisi paleografica di G. Bastianini e M. Stroppa. La mano è una semicorsiva “that can hardly be later than the end of the V century” (CavalloMaehler 1987, p. 56). 3 McNamee 1981, p. 26 s.v. dra'(ma). 4 Zuntz 1975, pp. 7-9 (1938, pp. 637-639). 5 Zuntz 1975, p. 8 (1938, p. 638); Maehler 1968, p. 289. 6 La distinzione delle due note (pubblicate da Zuntz come un’annotazione unica e continua) e delle rispettive mani spetta a G. Bastianini e M. Stroppa. 2
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del contenuto complementare delle due note ad v. 551. Questo composito apparato marginale si configura come giustapposizione di note e non come compilazione organica7. Tra le cospicue consonanze dei marginalia con i corrispondenti scolii medievali emerge la contiguità pressoché letterale della nota ad v. 580 (a) (scriba A) con lo sch. 580c (tràdito nei mss. VEG3QM); è altresì da rilevare la parziale affinità di due annotazioni della pergamena, ad v. 547 e v. 551 (b), con passi di hypotheseis dei Cavalieri.
Recto (lato pelo) (13929) vv. 545-546?
ªo{ti çwfronikw'ç koujk ajnohvtwç ejçphdhvçaç ejfºl≥u≥av≥r≥e≥ªi,
1-2 ªai[reçqΔ aujtw'/ polu; to; rJovqion, parapevmyatΔ ejfΔ e{nºdeka kwvpa≥i≥ç≥
Aristophanis textus
545 eflºu≥a≥ªrºeªi Ioannidou
546 kwvpa≥i ≥ç≥ perg.
kwªpaiçº Ioannidou
≤≤≤≤≤≤≤≤ ≤r≥o≥q≥i ≥a≥≤ ≤≤n≥u≥n≥≤≤ i tre righi della nota, non leggibili a occhio nudo, si trovano nel margine destro a fianco del v. 545
(13929) v. 546
ªai[reçqΔ aujtw'/ polu; to; rJovqion, parapevmyatΔ ejfΔ e{nºdeka kwvpa≥i≥ç≥
Aristophanis textus
kwvpa≥i ≥ç≥ perg.
2
kwªpaiçº Ioannidou
h≥n≥≤ polun upereç polu ≤≤≤ i quattro righi della nota si trovano nel margine destro: il r. 1 affianca il v. 546, i rr. 2-4 corrono a destra dei rr. 1-3 della nota ad v. 547 1 h≥n≥≤ la sequenza è immediatamente preceduta dal sigma finale di v. 546 kwvpaiç (da cui l’erronea lettura t≥h≥n≥ di Zuntz); la lettera finale incerta è di forma
7 Vd. infra, commento alle note ad v. 551 (a), v. 551 (b) e v. 580 (a). Cfr. l’introduzione a P.Oxy. XI 1371 ⇒ 13.
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Aristophanes 6
rotonda (possibili e, o, q) ce di scrittura —— 2 uJpΔ eãijÃreçªivaçº Zuntz
3 dopo upereç la pergamena è conservata ma non rimangono trac-
(13929) ªqovrubon crhçto;n lhnai?thnº
v. 547
[3]
ºrou e[painon ºn ejrettovntwn: ºorron touvtw≤ ºiç dedidavcqai to; dra'(ma) i quattro righi della nota occupano verisimilmente lo spazio subito a destra dei perduti vv. 547548 4 ºorron Schubart in Zuntz 1975, p. 5 (1938, p. 635): così anche GB; tºori ton Zuntz 4 dra perg. —— 1-4 perperam (ut videtur) adnotationes 546 et 547 coniungens, eu[cetai to;n tou' qeavtºrou e[painon polu;n ⁄ ªparapevmyai ajpo; tw'ºn ejrettovntwn: uJpΔ eãijÃreçªivaç ⁄ ga;r ±10 tºori to;n touvtwn polu≤≤≤ ⁄ ªdia; to; ejpi; Lhnaivoºiç dedidavcqai to; dra'(ma) suppl. Zuntz
[applauso Lenaico] scena ...
il consenso ... dei rematori ... il dramma è andato in
(21105) v. 550
faidro;ç lavmpoªnti metwvpw/
6
(a) ºçai º≤ la nota si trova nel margine sinistro a fianco del v. 550
2 º≤ breve tratto orizzontale
(13929) (b) eJauto;n nu'n oJ ΔAriºçtofavnhç ajpevçkw≥ªye la nota occupa lo spazio a destra del v. 550 —— eJauto;n nu'n oJ ΔAriºçtofavnhç ajpevçkw≥ªye: ⁄ falakro;ç ga;r h\nº suppl. Zuntz
BKT IX 5 luminoso nella lucida [fronte]
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[qui] Aristofane ironizzò [su di sé]
(21105) v. 551
i{ppiΔ
7
(a) oujk ajrgw'ç e[ºq≥hke to; ejpivqetºon la nota è posta nel margine sinistro a fianco del v. 551 —— 1-2 supplevi
di cavalli
[non senza motivo appose l’epiteto]
(13929) v. 551
i{ppiΔ a[nax Pªovçeidon
7
anax·po‚pª perg.
(b) nu'n to;n i{ppion Poçºeidw'na ejpikalei'tai ejpei; oJ coro;ç ejx iJppevºwn çunevªçthkenº la nota occupa lo spazio a destra del v. 551 —— 1-2 suppl. Zuntz
Poseidone signore di cavalli [adesso] invoca Poseidone [hippios, perché il coro] è composto di [cavalieri] (21105) v. 552
calkokrovtwn
8
calkopovºdw(n), toutevçtiº ta;ç oJpla;ç ijçcºu≥ra;ç ejcovntwn. la nota è posta nel margine sinistro a fianco del v. 552; il terzo rigo entra nel campo di scrittura del testo, invadendo l’interlinea sottostante al v. 552 1 ºdw– perg. —— 1-3 suppl. Maehler
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Aristophanes 6
dagli zoccoli bronzei
[dal piede di bronzo], cioè con gli [zoccoli] robusti.
Verso (lato carne) (13929) v. 574
ªKleaivnetonº
[1]
ou|toç ejpi; th'ç dhªmoçivaç çithvçewç h\n: o{n façin ªdiapepracevnai tw'i Klevªwni çtrathghvçanti katªa; Puvlon to; th'ç dhmoçivaç çithvªçewç yhv(fiçma).
5
la nota è posta nel margine sinistro, verosimilmente a fianco dei vv. 574-575 (perduti in lacuna) —— 1-5 suppl. Zuntz
[Cleeneto] questi era addetto al mantenimento a spese pubbliche. Dicono che sia stato lui a estendere [il decreto] sul mantenimento a spese pubbliche a favore di Cleone, quando fu stratego nella spedizione a [Pilo].
(21105) v. 580
ªkomw'çiº
7
(a) truºfw'çin h] ploutou'çin: to; ga;r koma'ªn e[legonº ejpi; tw'/ trufa'n kai; gauruvneçqai kªai; mevga froºnei'n: a[llwç te kai; tai'ç qrixi;n kom≥ªa'n eijç tiºm≥h;n çugkecwvrhtai aujtoi'ç. la nota è scritta nello spazio libero a destra del v. 581, al di sotto del v. 580, proprio a partire dal punto dove nel v. 580 si trovava il termine komw'çi, cui la nota si riferisce —— 1-4 suppl. Maehler
[che portiamo i capelli lunghi] che viviamo nel lusso o nell’agiatezza. [Dicevano] infatti che la chioma lunga esprimeva agiatezza e altezzosità e [superbia]. In particolare, portare i capelli lunghi viene da loro concordemente inteso come segno di distinzione.
BKT IX 5
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(13929) ajpeçtleggiçmevªnoiç
v. 580
7
apeçt·a‚leggiçmeª perg.
(b) ajpexeçmevnoiç kai; ajªlhlimmev≥nªoiç:º f≥a≥ç≥i ;≥n ga;r ç≥ªtleggivda th;n xuvçtran º≤ª la nota è scritta nel margine sinistro, a fianco del v. 580 2 f≥a≥ç≥ restano solo minime tracce della parte superiore delle lettere 3 º≤ª vertice di asta verticale (f ?) —— 1-2 ajªlhlimº⁄mev≥nªoiçº suppl. Zuntz 2 f≥a≥ç≥i ;≥n Luppe gar vel çar Zuntz : çar Maehler : gar Luppe 2-3 çªtleggiv⁄da th;n xuvçtranº suppl. Luppe
ben strigliati ripuliti e spalmati d’olio: chiamano infatti [stlengis la striglia.]
vv. 545-546? ≤r≥o≥q≥i ≥a≥≤ è evidentemente in rapporto con v. 546 rJovqion. Nello sch. 546b, che reca chiari segni di compilazione, risultano fuse una spiegazione di rJovqion (rJovqion to; ku'ma ajpo; tou' qow'ç h[goun tacevwç rJei'n. ajpo; tw'n ejreççovntwn methvnegken: o{tan ga;r çunecw'ç uJpo; pollw'n ejretw'n ejpi; plevon proevrcetai hJ nau'ç eijç to; provçqen ktl: l’etimologia da qow'ç rJei'n ricorre nella lessicografia e per Zuntz 1975, p. 10 [1938, p. 640], è di epoca tarda, compresa fra il II e il VI secolo d.C.) e una spiegazione di parapevmyatΔ ejfΔ e{ndeka kwvpaiç (cfr. infra, commento alla nota ad v. 547). Sono anche da richiamare Hsch. r 409 H. rJoqiavzein: ejlauvnein, ajpo; tou' yovfou th'ç eijreçivaç. oiJ de; th;n ajnakoph;n tou' u{datoç rJovqon façivn e Phot. Lex. p. 490, 20-23 P. = Sud. r 216 A. rJoqiavzouçin: rJoqiavzein de; to; ejrevççein eujtovnwç, cui segue la citazione di Aristoph. frr. 85-86 K.-A. (da confrontare con Cratin. fr. 332 K.-A.) e, nella Suda, di Ach. 807 per il significato traslato di ‘mangiare avidamente’; cfr. infine Eustath. ad Hom. Od. p. 1541, 44-49 oiJ de; u{çteron ΔAttikoi; th;n çuvntonon eijreçivan ou{tw (scil. rJovqion) façiv. kai; rJoqiavzein to; ejrevççein eujtovnwç. ejlevgeto de; rJoqiavzein, kai; o{te oiJ nau'tai ejpi; kwvpaiç devka tuco;n h] kai; pleivoçi paivonteç, ei\ta a{ma pauçavmenoi, wJç ejk çunqhvmatoç a{pax ajnefwvnoun, wJç kai; nu'n pote givnetai. kai; e[çti toiou'ton para; ΔAriçtofavnei to; “ai[reçqΔ aujtw'/ polu; to; rJovqion. parapevmyatΔ ejfΔ e{ndeka kwvpaiç”. toutevçti, eujfhmhvçate to;n dei'na rJoqiavzonteç nautikw'ç. Poiché ≤r≥o≥q≥i ≥a≥≤ non affianca il v. 546, in cui si trova rJovqion, ma il verso precedente, forse la nota non riguardava questo termine, ma la metafora marinaresca nel suo complesso (vv. 541-546).
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Aristophanes 6
v. 546 La nota, assegnabile a mano diversa (B) da quella della nota precedente (A?), verte ancora sul v. 546. Cfr. il commento alla nota ad vv. 545546? con le spiegazioni antiche ivi citate. v. 547 I quattro righi si adattano sulla destra al contorno sinistro della nota ad v. 546, fornendo così un marcato indizio di posteriorità. Per il contenuto cfr. ancora lo sch. 546b: ajxioi' ou\n to;n nu'n e[painon ... kai; mevcri pollou' aujto;n parapevmyai. Zuntz 1975, p. 9 (1938, p. 639), che non distingueva le note ad v. 546 e v. 547, vi intravedeva comunque due diverse spiegazioni del v. 546, relative rispettivamente ad ai[reçqΔ aujtw/' polu; to; rJovqion e a parapevmyatΔ ejfΔ e{ndeka kwvpaiç, ed evinceva l’eisthesis dei dimetri dallo slittamento del testo esegetico rispetto a quello poetico, per carenza di spazio a disposizione dell’annotatore (la spiegazione di v. 547 lhnai?thn era infatti posta a fianco del v. 548). È però verosimile che i quattro righi che affiancavano i vv. 547-548 costituissero un’unica annotazione su v. 547 qovrubon crhçto;n lhnai?thn, come può confermare l’omogeneità delle tre interlinee (cm 0,15); l’ultimo rigo si unisce bene ai precedenti, per il senso, come spiegazione della presenza in massa a teatro di rematori (dai quali il corifeo sollecita un fragoroso applauso) per il fatto che i Cavalieri andarono in scena nell’agone lenaico (r. 4 dia; to; ejpi; Lhnaivoiºç dedidavcqai Zuntz): cfr., anche per la formulazione, hyp. A5, p. 3, 10-11 M.J. ejdidavcqh to; dra'ma ejpi; Çtratoklevouç a{rcontoç dhmoçiva/ eijç Lhvnaia diΔ aujtou' ãtou'à ΔAriçtofavnouç. Come ha argomentato Maehler 1968, p. 289 n. 1, l’eisthesis dei versi più brevi si può dimostrare per altra via, grazie alla posizione reciproca dei vv. 580 e 583 e della nota ad v. 580 (a) in 21105v (cfr. infra, commento ad l.). v. 550 (a) Poiché sia faidrovç sia i{ppi(e) ricevono spiegazione nelle note ad v. 550 (b) e v. 551 (b) poste nel margine destro, Maehler 1968, p. 292, esclude che queste tracce di annotazione del margine sinistro possano riferirsi alle medesime parole. Tuttavia, come nel caso delle note ad v. 551 (a) e v. 551 (b) (vd. infra), non è da escludere qui un intervento aggiuntivo su faidro;ç lavmponti metwvpw/, tanto più in quanto la nota ad v. 550 (b) constata il riferimento autoironico del poeta alla propria calvizie, senza fornire una spiegazione letterale dell’espressione (parafrasi e interpretazione, benché date come alternative, sono invece compresenti nello sch. 550b, citato infra). Meno probabile che si tratti di una nota di contenuto metrico, a segnalare che con il v. 551 ha inizio la sizigia epirrematica (cfr. sch. 551b diplh': ei\ta ejpavgetai ejpirrhmatikh; çuzugiva ktl). v. 550 (b) Cfr. sch. 550b iJlaro;ç ªfaidro;çº to; mevtwpon. h] dia; to; falakro;n ei\nai to;n ΔAriçtofavnhn. v. 551 (a) Le poche lettere leggibili a sinistra del v. 551 appartengono a una mano diversa da quella che ha vergato la nota ad v. 551 (b) e sono scritte con un inchiostro più scuro. Maehler 1968, p. 292, si chiede se si trattasse di “eine Anmerkung zum Metrum (Heliodor)”, un’ipotesi che sembra persuadere Trojahn 2002 (pp. 29 apparato, 173 n. 1), benché non si riesca a restitui-
BKT IX 5
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re alcun testo di contenuto metricologico. Sulla scorta dello sch. 551c (oujk ajrgw'ç tw'/ Poçeidw'ni nu'n to; ejpivqeton e[qhke tou'to, ejpei; kai; aujto;ç oJ coro;ç çunevçthken ejx iJppevwn, consonante nella seconda metà con la nota ad v. 551 (b) della pergamena, vd. infra), è invece possibile che un annotatore (mano B1?) abbia recuperato dalla tradizione esegetica l’osservazione, tralasciata nella nota ad v. 551 (b) (mano B?), sull’efficacia dell’ammiccamento alla composizione del coro contenuto nell’epiclesi i{ppie. Di qui la proposta di restituzione. Del resto Zuntz 1975, p. 15 (1938, p. 645), mettendo a confronto l’annotazione ad v. 551 (b) della pergamena con lo scolio antico 551c, osservava che, se le parole oujk ajrgw'ç dello scolio “im Papyrus nicht gestanden haben sollten, so wäre das eine Kürzung des Schreibers; dem Sinne nach sind sie vorausgesetzt, und in der Vorlage werden sie gestanden haben” (cfr. Trojahn 2002, p. 172 n. 2)8. v. 551 (b) Cfr. il commento alla nota ad v. 551 (a), lo sch. 551c ivi citato e inoltre hyp. A3, p. 3, 5-6 M.J. oJ de; coro;ç ejk tw'n iJppevwn ejçtivn, oi} kai; ejzhmivwçan to;n Klevwna pevnte talavntoiç ejpi; dwrodokiva/ aJlovnta. Il richiamo alla composizione del coro per spiegare l’epiclesi i{ppi(e) è un procedimento critico analogo a quello impiegato per indicare la motivazione drammaturgica dell’ingresso del coro nell’orchestra in alcune hypotheseis attribuite ad Aristofane di Bisanzio, secondo l’analisi di Meijering 1985, pp. 91-102, il quale peraltro sottrae al grammatico alessandrino la citata hypothesis dei Cavalieri (ibid., pp. 100-101 n. 8), perché lì la ragione della composizione del coro è individuata in un fattore esterno al dramma (l’ostilità fra il demagogo e il ceto equestre). v. 552 La ricostruzione di Maehler riproduce letteralmente la prima parte dello sch. 552b; cfr. Sud. c 51 A. Rilevante la posizione di ejcovntwn, parola finale della nota, nell’interlinea fra il v. 552 e il v. 553. v. 574 Secondo la disposizione proposta da Maehler 1968, pp. 288-289, la nota affiancava i vv. 574-576, presumibilmente invadendone in qualche caso le interlinee (come nella nota ad v. 552 calkokrovtwn). Gli scolii mostrano di ignorare l’identità di Cleeneto9, il cui nome è storpiato in Klewvnumoç nello sch. Eq. 44c (II). La notizia di un intervento (stesura dello psephisma?) di Cleeneto per la concessione della sitesis al figlio, non attestata altrove, potrebbe avere origine autoschediastica (da Eq. 573-574), come pare dimostrare la penuria e contraddittorietà d’informazione che trapela dallo scolio ad l., la cui ultima parte è chiaramente imparentata con la nostra nota: sch. 574c ou|toç oJ 8 Sulle note introdotte dalla formula oujk ajrgw'ç (attestata negli scolii antichi ai Cavalieri, oltre che in 551c, anche in 407a, 426a, 490a, cui si deve aggiungere oujc aJplw'ç in 772b e 1310a; cfr. inoltre P.Oxy. XI 1371 ⇒ 13, ad Nub. 2, laddove gli scolii hanno oujk ajrgw'ç), riferibili in generale a un’esegesi di livello scolastico, cfr. Zuntz 1975, pp. 15-21, 27 (1938, pp. 645-651, 657); McNamee 1992, p. 69 n. 14. Ulteriori dettagli in Montana 2001b, pp. 21-22. 9 Su Cleeneto di Cidatene, identificato con il padre di Cleone (Thuc. III 36, 6; IV 21, 3; Aristot. Resp. Ath. 28, 3), cfr. Kirchner 1901, pp. 566 (nr. 8460), 582; Kroll 1921, col. 556; Davies 1971, p. 318; Traill 2001, p. 404 (nr. 574425).
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Aristophanes 6
Kleaivnetoç faivnetai katedhdokw;ç th;n oujçivan kai; hJdupaqhvçaç. oiJ dev, o{ti ou|toç e[graye yhvfiçma mh; dei'n toi'ç çtrathgoi'ç çivthçin. çpanivwç de; mevmnhtai tou' Kleainevtou kai; çcedo;n doqh'nai ejntau'qa movnon. çtocavzontai ou\n tineç o{ti ou|toç a]n ei[h oJ th;n çivthçin peripoihvçaç tw'/ Klevwni. v. 580 (a) La collocazione della nota, nell’area di scrittura del testo letterario rimasta libera fra il v. 580 (tetrametro trocaico) e il v. 583 (dimetro giambo-coriambico), e la disposizione reciproca di quanto resta di questi due versi consentono di determinare che i cola lirici erano posti in eisthesis (cfr. Maehler 1968, p. 289 con la n. 1). L’annotazione ha stretti rapporti con lo sch. 580c (VEG3QM) komw'çi: trufw'çi, ploutou'çi. to; ga;r koma'n ejpi; tou' trufa'n e[legon kai; gaurou'çqai kai; mevga fronei'n: a[llwç te kai; tai'ç qrixi; koma'n eijç timh;n çugkecwvrhtai aujtoi'ç; cfr. Sud. k 1980 A., s.v. koma/', che fonde insieme lo scolio citato e una spiegazione consonante di tradizione lessicografica (Hsch. k 3419 L.; S k 392 C.; Phot. Lex. k 912 Th.). Da confrontare inoltre gli sch. Pl. 170b, 572b, Nub. 545a. Ad a[llwç te kaiv sarà da attribuire non il significato di “und auch anders” (Trojahn 2002, p. 232 n. 1), possibile indizio di compilazione di esegesi diverse (compilazione eventualmente riconducibile non all’annotatore stesso ma alla sua fonte ipomnematica, vista la perfetta consonanza con lo sch. 580c), bensì quello di “besonders” (Trojahn 2002, p. 31). v. 580 (b) f≥a≥ç≥i ;≥n è ardua ma plausibile lettura di Luppe, così come ç sul bordo destro. Cfr. sch. 580d (I) ajpeçtleggiçmevnoiç: e[laion ajleifomevnoiç kai; çtavzouçi. çtleggi;ç de; hJ xuvçtra tou' ejlaivou; sch. 580d (II) ... h] ajpexuçmevnoiç kai; ejpanhvkouçin ajpo; ajleivmmatoç. ... h] ajpeçtleggiçmevnoiç ajnti; tou' ejgkekaqarmevnoiç, mattomevnoiç. çtleggi;ç ga;r hJ xuvçtra; e inoltre Luc. 17, 6 eij ajpoçtleggivçaçqai to; ajpoxuveçqai levgoiç. La spiegazione è riconducibile a Didimo sulla scorta di Sb a 1733 C. (~ Hsch. a 6061 L.; EM. p. 125, 43 G.) ajpeçtleggiçmevnon: ajpexuçmevnon. ou{twç ΔAriçtofavnhç. çtleggi;ç ga;r hJ xuvçtra. FAUSTO MONTANA
7
P.Oxy. XV 1801, col. II 17 = CGFP 343, 45 [⇒ III: Lexica]
sec. II/IIIp
Voce di lessico (Eq. 635) ªBºe≥revçcetoi: ajno≥vh≥t ≥oªiº. p≥e vp≥ªlaçtai parΔ ΔAriçtofavnei ä il lemma è in ekthesis di ca. tre lettere dopo ºe≥reçcetoi spazio bianco —— ªBºereçceqoi: anohtoªiº pep≥ªlaçtai parΔ Ariçtof(anei) Hunt 1922 (ªBºereçcetoi cum pap. Austin 1973) cl. sch. Aristoph. Eq. 634a ~ Sud. b 244 A. ejn ÔIppeu'çinº fin. Naoumides 1961
ªBºerevçcetoi: stolti; è stato coniato [da Aristofane] La fonte è verisimilmente Aristoph. Eq. 635 Berevçceqoiv te kai; Kovbaloi kai; Movqwn, in cui si ha una serie di ridicoli nomi inventati: si tratta dell’unica attestazione del nostro termine. In base a quanto si legge nel papiro prima della lacuna, nonché allo sch. Aristoph. Eq. 634a (II), 21 Berevçceqoi de; oiJ ajnovhtoi: pevplaçtai de; hJ levxiç, ripreso da Sud. b 244 A. Berevçceqoi: oiJ ajnovhtoi. pevplaçtai de; hJ levxiç para; ΔAriçtofavnei e ç 630, 27-28 A. Berevçceqoi de; oiJ ajnovhtoi: pevplaçtai de; hJ levxiç1, Hunt ipotizzò che nel nostro lessico si potesse rinvenire la medesima esegesi secondo cui berevçceqoç significherebbe ‘sciocco’ e sarebbe un neologismo creato da Aristofane. È possibile che si trovasse anche un riferimento all’opera in cui il termine veniva usato (cfr. la proposta di integrazione di Naoumides 1961, p. 78), sia perché in questo lessico spesso al nome dell’autore segue l’indicazione dell’opera, sia perché – pur non esistendo elementi per stabilire con precisione l’ampiezza della lacuna – si può congetturare che i righi fossero costituiti all’incirca da 45/55 caratteri (⇒ 3 n. 1). Non credo invece vi sia spazio sufficiente per la citazione, visto che immediatamente sotto il lemma si vede una paragraphos a indicare una separazione dal lemma successivo e a mostrare inequivocabilmente che la nostra glossa non poteva occupare più di un rigo di testo. Da notare che questa è l’unica glossa di P.Oxy. XV 1801 che non è presente in Esichio. La variante con terminazione -toi del nostro papiro, rispetto a -qoi di Aristofane, degli scolii e della Suda attesta un filone o comunque una tradizione lessicografica a cui appartiene anche Fozio (cfr. n. 1). ELENA ESPOSITO 1 Si tengano presenti inoltre sch. Tr. 635 Berevçceqoiv te kai; Kovbaloiº ajnovhtoi kai; eujtelei'ç, Phot. Lex. b 129 Th. Berevçcetoi: ajnovhtoi, Zon. p. 383, 1 T. Berevçceqoi. oiJ ajnovhtoi.
8
P.Oxy. XV 18031, fol. 1r, 9-16 = CGFP 25 [⇒ III: Lexica]
sec. VIp
Voce di lessico (Eq. 654-656)
10
15
çumforavn: ouj movnon th;n duçtucivan ajlla; kai; th;n çuntucivan w{çte kai; ajgaqw'n çumfora;n levgei(n) wJç ejn ÔIppeu'çin “ejpi; çumforai'ç ajga≥qai'çin eijçhggelmevnaiç eujaggevlia quvein”. ä
9 il lemma è in ekthesis di ca. due lettere 13 i>ppeuçin pap. 15 euaggeleia pap. —— 11-12 a⁄gaqhn Hunt 1922
11-12
a⁄gaqwn pap.
12
legei– pap.
çumforavn: non solo la sventura ma anche l’evento fortuito, tanto che si dice anche çumforav di cose liete, come nei Cavalieri: “alla luce delle liete çumforaiv annunziate, sacrificare per la buona notizia”.
P.Oxy. XV 1803 (MP3 2124.3; LDAB 6322) è un foglio (cm 16 × 29,7) proveniente da un codice papiraceo, scritto con inchiostro bruno in una libraria inclinata di tipo ogivale, che tramanda i resti di un lessico destinato verisimilmente non tanto allo studio erudito e scientifico, quanto piuttosto all’apprendimento del corretto uso della lingua attica (rispondono a questa finalità le osservazioni grammaticali, prosodiche, fonetiche; cfr. Hunt 1922, p. 163; Körte 1924, p. 247, che contestualizzano il testo nell’àmbito scolastico). La mise en page è ordinata: i lemmi sono leggermente in ekthesis e ogni glossa è separata da quella successiva tramite una paragraphos, accompagnata a volte da punti in alto o in mezzo. Si notano segni d’elisione, uno spirito aspro (fol. 2r, 7) e numerosi errori, poi corretti; l’arrangiamento alfabetico tiene conto solo della prima lettera. Le citazioni, frequenti e talora indicate dal tipico segno angolare > (cfr. fol. 1v, 2-7, 9-10), sono tratte dalla prosa (Tucidide, Senofonte, Demostene) e dalla commedia (Eupoli, Aristofane e soprattutto Menandro). Su questo papiro cfr. anche Esposito 2009a, pp. 295-296 e Stroppa 2009, p. 322.
1
P.Oxy. XV 1803, fol. 1r, 9-16
69
La fonte è Aristoph. Eq. 654-656 a[ndreç, h[dh moi dokei' ⁄ ejpi; çumforai'ç ajgaqai'çin eijçhggelmevnaiç ⁄ eujaggevlia quvein eJkato;n bou'ç th'/ qew'/: il passo esemplifica la dottrina secondo cui çumforav è vox media, adatta non solo ai contesti negativi, ma anche a quelli positivi. Analogo è il contenuto degli scolii: sch. 655a ejpi; çumforai'ç ajgaqai'çi: ejpi; ajgaqoi'ç pravgmaçi: mevçon de; o[noma hJ çumforav. dhloi' ga;r kai; to; kalo;n kai; to; kakovn, ejk th'ç proçqhvkhç tou' ejpiferomevnou. w{çper ou\n kai; nu'n proçqei;ç “ejpΔ ajgaqai'çin” oujk ajfh'ken ejpi; tou' ponhrou' noei'çqai, sch. Tr. 655b ejpi; çumforai'ç ajgaqai'çiº ejpΔ ajgaqoi'ç pravgmaçi e 655c mevçon ejçti; to; o[noma th'ç çumfora'ç, pote; me;n ejpΔ ajgaqou' pote; de; ejpi; kakou' lambanomevnhç, w{çper kai; nu'n proçqei;ç to; “ejpΔ ajgaqai'ç” oujk ajfh'ken ejpi; ponhrou' noei'çqai. La stessa esegesi di çumforav sta alla base dello sch. Aristoph. Eq. 405a (che spiega un famoso verso di Simonide [PMG 512], citato nel luogo aristofaneo) to; de; “çumforai'ç” ejpΔ ejçqloi'ç: tw'n mevçwn ga;r hJ çumforav. Si noti che in Sud. ç 1408 A. l’esegesi dei due passi è agglutinata: çumforav: tw'n mevçwn ejçtiv. dio; levgei Çimwnivdhç: pi'ne, pi'nΔ ejpi; çumfora'ç. oiJ de; levgouçi, pi'ne, pi'nΔ ejpΔ ejçqloi'ç. dhloi' de; hJ çumfora; kai; to; kalo;n kai; to; kakovn. dio; levgei, ejpi; çumforai'çin ajgaqai'ç. kai; tou'to eijpw;n oujk ei[açen ejpi; tou' kakou' noei'çqai. Da rilevare inoltre la somiglianza tra la spiegazione che si trova nel nostro lessico (çumforavn: ouj movnon th;n ⁄ duçtucivan ajlla; kai; th;n ⁄ çuntucivan) con quella di Hsch. ç 2356 H. çumforav: çuntuciva. çuvmptwma. ajtuciva, nonché in una tradizione imparentata (Phot. Lex. p. 550, 20 P. e Sud. ç 1407 A. çumforav: ajtuciva, kakw'n çuntuciva). Sempre in àmbito lessicografico, il valore di vox media per çumforav è documentato anche da S p 395 C. = Phot. Lex. p. 421, 6 P. = Sud. p 1266 A., Sud. k 1190 A., Lex. Vind. ç 11 N. Si pone su questa linea interpretativa anche Eustath. ad Hom. Il. p. 29, 32, p. 647, 38; Od. p. 1636, 23, p. 1788, 3-4. Negli Etimologici tale valore è testimoniato da EGud. p. 515, 12 St. = EM. p. 734, 48 G. Ulteriori paralleli nella scoliografia sono rappresentati infine da hyp. Aeschl. Ag. 1, 20 Sm., sch. Tr. Aeschl. Ag. 572a; sch. vet. Soph. OC. 1468, 2 e 1011; sch. Eur. Or. 605, 14. ELENA ESPOSITO
9
P.Bingen 18
fine sec. IVp
Note marginali a Eq. 998-1001, 1008-1012 Prov.: ? Cons.: Firenze, collezione privata. Edd.: MANFREDI 2000, pp. 95-104; TROJAHN 2002, pp. 32-33; MCNAMEE 2007, pp. 187-188. Tab.: P.Bingen (= MANFREDI 2000), 10. Comm.: MP3 142.1; LDAB 342 LUPPE 1980a, p. 249; MERTENS 1996, p. 338; LUPPE 2001, p. 189; MONTANA 2001a, pp. 161-172; TROJAHN 2002, pp. 171, 182-183; MONTANA 2005, pp. 22-24; MONTANA 2011, pp. 148-149.
Frammento di pergamena di collezione privata1, con dimensioni massime di cm 3,8 × 6,6 (ideali 5,2 × 8,8). Il lato carne (recto) del frammento ritaglia un tratto del margine destro della pagina, con resti di note ai vv. 998 ss. dei Cavalieri, senza traccia di versi della commedia; il lato pelo (verso) conserva parte dei vv. 1040-1058. La pagina conteneva pertanto 40 righi circa di testo letterario, con un formato di pagina riconducibile approssimativamente alle misure di cm 15 × 202 (classi VII o IX di Turner 1977). La scrittura del testo, piuttosto spigolosa e leggermente inclinata a destra, è datata da Manfredi alla fine del IV secolo. Le note, realizzate in una scrittura più sottile e di modulo minore, appartengono probabilmente alla medesima mano del testo letterario. I marginalia conservati nel recto si concentrano in due nuclei distinti di testo, rispettivamente di 5 righi e di 4 righi (più tracce di un quinto)3, che secondo il primo editore affiancavano rispettivamente i vv. 998-1002 e 10071012. Questa disposizione si ottiene collegando il primo rigo di annotazione al v. 998, che contiene ceçeivw, cui i rr. 1-3 della nota devono riferirsi; considerando poi che i marginalia presenti nel recto hanno interlinee mediamente equivalenti a quelle del testo conservato nel verso, si evince meccanicamente l’allineamento al v. 1007 del primo rigo del secondo nucleo di annotazioni. Le note hanno sicuri e significativi punti di contatto con i corrispondenti 1
Manfredi 2000, p. 95 n. 1. Manfredi 2000, p. 95. 3 Di questa scrittura marginale, forse affiancata al v. 1012 della commedia (sul quale la tradizione medievale degli scolii tace), non resta più di una lettera incerta ( ºe≥ª º≤ª ). 2
P.Bingen 18
71
scolii aristofanei di tradizione medievale. Se ne ricava che l’annotatore della pergamena traesse le sue osservazioni da un commento poi utilizzato anche dai compilatori degli scolii.
Recto ªceçeivwº
v. 998
[2]
uJºpo; tou' bavrªouç tw'n biblivwn tw'n tou;ç crºhçmou;ç e≥jc≥ªovntwn ceçeivw fhçivn ºou bavrouç t≥ª 1-2 suppl. Manfredi
3 tºou barouç t≥ªwn bibliwn suppl. Manfredi
[mi viene lo stimolo] per il peso [dei libri contenenti gli] oracoli [dice “mi viene lo stimolo”] ... peso ... v. 1000 ?
ªkai; nh; DivΔ e[ti gev mou[çti kibwto;ç plevaº
[4?]
º tou'to ekd≥i ≥≤ª (uJperw/'on) tou'tov ejç≥t ≥i ≥ªn eijç u{yoç dihvkwnº ⁄ oi\koç suppl. Luppe (vd. ad 1001)
v. 1001
ªxunoikivaº
[5?º
ºiko≤ ç≥un≥o≥ikivaª ≤ piccolo segno angolare con il vertice rivolto in alto: possibile n, ora privo dell’asta verticale destra —— ºo≥ikoç≥ Manfredi : fort. duºi>ko;n
v. 1008
ªperi; Lakedaimonivwn, peri; çkovmbrwn nevwnº m≥a≥lak≥o≥ª≤≤º ç≥k≥om≤ª nºe≥w≥ç≥t ≥i ; t≥e ≥t ≥ariceumevnouª ºa≥≤≤≤ª º tou;ç ejk Puvlou ei\ºdoç ijcquvoç≥ ª º ª º ª
ª
[12]
72
Aristophanes 9
1 m≥a≥lak≥o≥ª º( ): superficie molto tormentata e scrittura sbiadita 2 t≥e ≥t ≥ariceumenou perg., seguito da breve tratto di superficie illeggibile —— 1-2 malako(u') çkovmªbrou ⁄ nºewçti; tetariceumevnou Luppe 1-3 fort. malakoªu;çº çkovmb≥ªrouç ⁄ nºewçti; tetariceumevnouªçº ⁄ ªkºalei' tou;ç ejk Puvlou
[sugli Spartani, sugli sgombri freschi] sgombr(i?) delizios(i?) appena mess(i?) in salamoia ... quelli di Pilo ... un tipo di pesce ...
v. 998 La restituzione dei rr. 1-2 è garantita dalla prima parte dello sch. 998a ceçeivw: uJpo; tou' bavrouç tw'n biblivwn tw'n tou;ç crhçmou;ç ejcovntwn “ceçeivw” fhçivn. wJç de; e[ndon kai; a[llwn o[ntwn crhçmw'n to; “oujc a{pantaç ejkfevrw” fhçivn. La ripetizione di bavrouç al r. 3 rappresenta un problema4; l’ipotesi dell’intervento esegetico compilatorio, con la giustapposizione di note di diversa origine sullo stesso argomento, è adombrata da Trojahn 2002, p. 182. Un altro presunto caso di questo tipo, in BKT IX 5 (⇒ 6), 551 (a) (evocato da Manfredi 2000, ibid., n. 19), per il quale Maehler tendeva a escludere due note distinte concernenti la medesima parola, si spiega probabilmente con il fatto che là una seconda nota fu aggiunta da altra mano a scopo d’integrazione (cfr. supra, commento ad l.). È plausibile che, in modo analogo, il r. 3 della nota marginale della pergamena fiorentina contenesse un corollario alla spiegazione fornita ai rr. 1-2. Un’altra possibilità è che si trattasse di due note separate, la prima su ceçeivw e la seconda su koujc a{pantaç ejkfevrw (come nel citato scolio 998a), nelle quali le due espressioni fossero spiegate con il medesimo motivo, cioè il peso eccessivo dei volumina di oracoli: cfr. sch. 997c, nel quale l’identica espressione koujc a{pantaç ejkfevrw del verso precedente, pronunciata dal Paflagone, riceve sostanzialmente la stessa spiegazione riservata a ceçeivw nello scolio 998a: levgei o{ti toçou'ton a[cqoç baçtavzwn o{mwç a{pantaç ejxavgein oujk ejdunhvqhn tou;ç crhçmouvç. kai; oJ e{teroç oJmoivwç to; aujto; poiei'. v. 1000 ? Il rigo doveva affiancare il v. 1000 (kai; nh; DivΔ e[ti gev moujçti; kibwto;ç pleva), ma la restituzione del testo della nota marginale appare tutt’altro che immediata. La soluzione proposta da Luppe 2001, p. 189 (cfr. Trojahn 2002, pp. 32-33), di considerare questo rigo e l’inizio del successivo come parte di un’unica nota su uJperw/'on (v. 1001), si scontra con l’eccessiva distanza che li separa (cm 0,5): i tre righi precedenti (una o due note al v. 998) hanno interlinee non superiori a cm 0,15 e distano cm 0,3 dal rigo successivo, qui oggetto di commento, che apparteneva senz’altro a una nota diversa. v. 1001 Il rigo conteneva una spiegazione di xunoikiva duvo del v. 1001, che
4 Cfr. Manfredi 2000, p. 100: “non sappiamo che cosa pensare, se si esclude la possibilità di una seconda redazione dello stesso scolio”.
P.Bingen 18
73
difficilmente si sarà limitata a “eine orthographische Variante (xun- = çun-)” (Trojahn 2002, pp. 33, 182). Se è legittimo supporre che l’annotatore segnalasse l’uso del caso duale, come accade nello sch. 1001a (dui>kw'ç ejphvgage to; xunoikiva), si può pensare a duºi>ko;n (to;) çunoikiva. v. 1008 I rr. 1-2 sono da confrontare con sch. 1008a peri; çkovmbrwn nevwn: ei\doç ijcquvwn oiJ çkovmbroi parovmoioi toi'ç mikroi'ç quvnnoiç. “nevwn” dev, newçti; tetariceumevnwn. e[paixe de; wJç mavgeiroç. Il primo rigo dell’annotazione della pergamena riceve un poco di luce se richiamiamo (con Manfredi 2000, p. 100) un frammento di Archestrato di Gela (Hedypatheia, fr. 39, 6-10 Olson-Sens = fr. 38, 6-10 Montanari; SH fr. 169, 6-10), che invita a consumare lo sgombro dopo un moderato bagno in salamoia (nevon hJJmitavricon) e decanta la squisitezza (ejçqlo;n kai; malakovn) della varietà pescata nell’Ellesponto: ajlla; tritai'on e[cein çkovmbron pri;n aJlmuro;n u{dwr ⁄ ejlqei'n ajmforevwç ejnto;ãçà nevon hJmitavricon. ⁄ a]n dΔ ajfivkh/ kleinou' Buzantivou eijç povlin aJgnhvn, ⁄ wJraivou favge moi tevmacoç pavlin: e[çti ga;r ejçqlo;n ⁄ kai; malakovn. Al v. 7, la correzione ejnto;ãçà nevon (Bedrot) del tràdito entoneon (A) è preferita a ejnto;ãçà nevou di Brandt dai più recenti editori del frammento, che rilevano lo stretto parallelismo fra çkovmbron ... nevon hJmitavricon del poemetto ellenistico e çkovmbrwn nevwn di Eq. 1008 con il relativo scolio antico (newçti; tetariceumevnwn). Nei rr. 1-2 della nota della pergamena si ritrovano gli stessi punti di contatto verbale che interessano il passo comico (con lo scolio) e il frammento esametrico, con l’aggiunta di una forma dell’aggettivo malakovç: ne risulta perciò avvalorata l’idea di una possibile connessione diretta dell’esegesi antica di questo verso dei Cavalieri con il passo di Archestrato. La terminazione di t≥e ≥t ≥ariceumevnou ª costituisce un ulteriore problema, perché appare incongruente con il genitivo plurale çkovmbrwn nevwn presente nel testo della commedia. Luppe, che ammette il genitivo singolare malako(u') çkovmªbrou ⁄ nºewçti; tetariceumevnou, si domanda “stand der Singular statt des Plurals auch im Aristophanes-Text?” (cfr. Trojahn 2002, p. 33). Tuttavia, questa difficoltà si riduce considerandola in modo organico con quelle poste al r. 1 da m≥a≥lak≥o≥ª º( ) e al r. 3 da tou;ç ejk Puvlou, che non può riferirsi se non a tw'n Lakedaimonivwn del v. 1008. Si può presumere, cioè, che l’annotatore commentasse entrambi i termini (gli sgombri e gli Spartani), fornendone un’interpretazione congiunta, del tipo: malakoªu;ºç çkovmbªrouç ⁄ nºewçti; tetariceumevnouç ª ⁄ kºalei' tou;ç ejk Puvlou. In altri termini, il riferimento agli sgombri messi in salamoia verrebbe interpretato come una spiritosa metafora per identificare gli Spartani (da poco catturati a Pilo-Sfacteria), menzionati subito prima dal Salsicciaio. Questa restituzione risolve altresì l’apparente incongruenza ravvisata da Trojahn (ibid.) nell’ordine delle spiegazioni, per cui sembrerebbe che il termine çkovmbrwn (rr. 1-2) fosse spiegato prima di Lakedaimonivwn (r. 3), che nel testo comico lo precede. Su questa base, è possibile che anche lo sch. 1008a (ovvero il commento
74
Aristophanes 9
antico cui verosimilmente sia lo scolio sia la nota della pergamena risalgono) presupponesse l’identificazione sgombri = Spartani. L’osservazione finale dello scolio e[paixe de; wJç mavgeiroç andrebbe allora intesa non nel senso, generico e piuttosto scialbo, che l’ironia di Aristofane consista nel fare uso di un’espressione da cuoco (numerosi altri usi gergali analoghi vengono rilevati negli scolii che precedono quello al v. 1008), ma in senso più circostanziato: il personaggio (e il poeta dietro di lui) ironizzò, scilicet sugli Spartani appena menzionati, chiamandoli – come farebbe un cuoco – çkovmbroi nevoi, cioè newçti; tetariceumevnoi. La spiegazione stessa dell’accezione gastronomica di nevoç comporta del resto, in modo implicito ma facile e quasi automatico, l’identificazione degli sgombri newçti; tetariceumevnoi come metafora degli Spartani newçti; eJalwkovteç a Sfacteria5. La generica glossa ei\doç ijcquvoç/ijcquvwn ricorre negli scolii antichi ai Cavalieri: 361a (I) (lavbrax), 645a (ajfuvai), 662a (tricivdeç), 929a (teuqivdeç), 1004a (glavniç) e infine 1008a (çkovmbroi). Note del tipo “ei\doç + genitivo” ricorrono anche in P.Oxy. LXVI 4514 ⇒ 20, ad Pac. 1195 e 1196 e, forse, in PSI VI 720 ⇒ 19, ad Pac. 810; per altre attestazioni nell’esegesi su papiro vd. McNamee 1992, Appendix 2, pp. 76 (nrr. 7 e 11) e 78 (nr. 24). Qui (r. 4), come nello sch. 1008a, la glossa deve riferirsi ancora a çkovmbrwn del v. 1008, concludendo l’annotazione a questo verso: ne dà conferma l’omogeneità delle interlinee che separano fra loro questo rigo e i tre precedenti (cm 0,2-0,25). La formulazione al singolare (ijcquvoç), benché in riferimento a un plurale (çkovmbrwn), trova un parallelo nel citato sch. Eq. 361a (I) ajllΔ ouj lavbrakaç: lavbrax ei\doç ijcquvoç, e costituisce una ricontestualizzazione sintattica che ben si spiega al termine di una nota relativamente ampia, intesa propriamente a illustrare il senso della metafora aristofanea. Questo caso va dunque ad aggiungersi ad altri analoghi, caratterizzati da “normalizzazione” morfologica dovuta a ragioni di adeguamento al contesto sintattico del lemma e/o della sua spiegazione nello hypomnema di origine della nota marginale, illustrati da McNamee 1992, p. 68. È pertanto da escludere che il singolare della nota rappresenti un indizio di varia lectio nel testo letterario ora perduto della pergamena (v. 1008 çkovmbrou anziché çkovmbrwn: così Trojahn 2002, p. 182 con la n. 1). FAUSTO MONTANA
5
Cfr. Montana 2001a, pp. 166-170.
10
P.Oxy XV 1803, fol. 1v, 1-4 = CGFP 57 [⇒ III: Lexica]
sec. VIp
Voce di lessico (Geras fr. 134 K.-A.)
5
ª>º ª>º > > > ª>º
çtifrovn: o} oiJ po≥llo≥i ; çtrifnov(n), wJç ΔAriçtofavnhç Ghvrai: “kai; mh;ãnà uJpovçtifrovn ge th;(n) fw≥n≥h;n e[ceiç”. kai; Mevna(n)droç ejn Çunariçtwvçaiç “wJç ajei; çtif≥ra;ç ejçomev≥naç kai; nevaç talavnta≥toç”. ä
1 il lemma è in ekthesis di ca. una lettera çtrifno – pap. 3 mh pap. u>poçtir·i‚fnon pap., i cancellato con un tratto obliquo çe th – pap. 4 mena – pap. 6 ·a‚ei pap., a cancellato con un tratto obliquo çte≥f≥raç pap. solo tracce del secondo e di eçomenaç il ç finale è corretto su i —— 3 mh;ãnà Hunt 1922 ge th;n Körte 1924 : çu; th;n fwnh;n e[ceiç vel çe th;n fwnh;n e[cein Hunt 1922 6 çtifraç Hunt 1922
çtifrovn: ciò che comunemente si dice çtrifnovn, come Aristofane nella Vecchiaia: “e hai proprio la voce uJpovçtifron”. Anche Menandro nelle Donne che fanno colazione insieme: “come se fossero per sempre çtifravç e giovani disgraziatissimo”.
La citazione del luogo di Aristofane (fr. 134 K.-A.), al pari di quella di Menandro (fr. 343 K.-A., sintatticamente incompleta), è funzionale all’esemplificazione di un canone atticista, per cui çtifrovç – la cui accezione di base è ‘compatto’, ‘solido’, ‘forte’, ‘robusto’ (GI, p. 1971; LSJ, p. 1646) – è corrispondente attico di çtrifnovç, comunemente usato. Un puntuale parallelo lessicografico, almeno per la parte iniziale della nostra glossa, è costituito da Moer. ç 10 H. çtifro;n ΔAttikoiv: çtrifno;n ”Ellhneç. Secondo Chantraine (DELG, p. 1064 s.v. çtrifnovç), “il est difficile de rapprocher les deux mots étymologiquement”: l’accezione propria di çtrifnovç è “dense, serré, dur”; più possibilista Beekes (EDG, p. 1414 s.v. çtrifnovç), che non esclude una contaminazione di forme.
76
Aristophanes 10
L’aggettivo, nella precisa forma çtifrovç – e non uJpovçtifroç1 come nel luogo aristofaneo citato dal papiro –, si trova in Aristoph. fr. 148 K.-A. (Geras)2. Si tratta di una parola non di rado oggetto di studio grammaticale, etimologico, lessicografico, spesso insieme a çtufrovç/çtrufnovç3. Lo çtefraç che il papiro tramanda nel passo menandreo (considerato erroneo non solo dagli editori del comico, ma anche da quelli del lessico: çtifrovn è infatti l’elemento-cardine, che motiva la citazione) potrebbe dunque essersi generato per una sorta di sovrapposizione tra çtifrovç e vocaboli dalla analoga pronuncia e affine significato come çtevrifoç (cfr. DELG, pp. 1048 s.v. çtei'ra e 1064 s.v. çtrifnovç; confusioni con il vocalismo e sembrano facili, cfr. Hsch. ç 1782 H. çtevrfnion: çklhrovn, çtereovn). Si noterà che il copista – il quale incorre in numerosi errori che tuttavia spesso corregge – nel caso di upoçtrifnon opera uno strano intervento. Dapprima scrive infatti u>poçtrifnon; in séguito, volendo adeguare il termine a quella che ritiene la forma attica, lo modifica nell’assurdo u>poçtirfnon. Per quanto riguarda invece aei del r. 6, mutato in ei, il motivo della correzione non è ben chiaro: Hunt osservava che “if the a at the beginning of l. 6 has been correctly cancelled by the copyist, something has dropped out either before or after çtifraç” (p. 165). Non escluderei, tuttavia, che il copista avesse in mente costrutti di wjçeiv + participio come in [Hes.] Scut. 189, 198. Certamente con ajeiv le cose funzionano molto meglio. Da rilevare infine la consueta lemmatizzazione al neutro (cfr. Bossi-Tosi 1979-1980, pp. 10-11; Tosi 1988, p. 121). ELENA ESPOSITO
1 Il termine – in composizione uJpo- vale ‘un poco’ (cfr. DELG, p. 1160 e Alvoni 1997, p. 87 n. 27) – è usato nella forma uJpovçtrufnoç esclusivamente in àmbito medico, in riferimento a sostanze dal sapore aspro o dalla proprietà astringente. 2 Da notare che la situazione di Aristoph. fr. 148 K.-A., in cui si parla di etere drupepei'ç ed etere uJpoparqevnouç aJlmavdaç wJç ejlavaç ⁄ çtifravç sembra molto simile a quella del passo menandreo qui registrato (cfr. Kassel e Austin ad Men. fr. 343, e anche Alvoni 1997, p. 87 n. 26). 3 Hdn. Pros. cath. I p. 173, 4-10 (~ Orion p. 143, 10-11, p. 203, 13-15, p. 528, 8-9 L.); Hdn. Orth. II p. 584, 22-23 L.; Tim. p. 198 R.-K.; Hsch. ç 1875, 2006, 2053 H. (~ S ç 253 C., Phot. Lex. p. 543, 16 P. = Sud. ç 1203 A.); Io. In GA. 71, 3; Aet. Iatr. L. I 33; Phot. Lex. p. 544, 20 P. ~ Sud. ç 1233 A.; Herotian. De voc. Hippocr. 116, 2; EM. pp. 171, 32, 730, 23 ss. G.; Zon. p. 1670, 18 T.
11
P.Mich. inv. 3690
sec. I/IIp
Note marginali a Heroes fr. *322 K.-A. Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Ann Arbor, Michigan University Library. Edd.: MERKELBACH 1967a, pp. 97-99; ID. 1967b, pp. 161-162; AUSTIN 1973, fr. *58; KASSELAUSTIN 1984, fr. *322; TROJAHN 2002, pp. 69-70; MCNAMEE 2007, p. 196. Tabb.: MERKELBACH 1967a, III; www.columbia.edu/cu/lweb/projects/ digital/apis; ⇒ VIII (b). Comm.: MP3 155.1; LDAB 350 GELZER 1969, pp. 124-126, 131-133; GELZER 1971, nr. 26; UEBEL 1971, pp. 188-189; MCNAMEE 1977, pp. 54 n. 24, 177, 181, 411; MERTENS 1996, p. 342; ATHANASSIOU 1999, pp. 106-108; TROJAHN 2002, pp. 188, 192-193.
Frammento di rotolo di papiro di cm 11 × 7, acquistato nel 1925 dalla Michigan University Library e descritto come proveniente da Ossirinco. Conserva undici righi di testo letterario integri, e resti di un dodicesimo; il r. 8 e il r. 11 sono affiancati a destra, nello spazio conservato dell’intercolumnio (ampio ca. cm 3), da spiegazioni glossografiche, rispettivamente su uJdera'n e su rJi 'goç. La scrittura del testo poetico è riferibile al I/IIp1 per la sua appartenenza allo ‘stile intermedio’2 e per l’affinità con la grafia di P.Brem. 53. Le note marginali sono caratterizzate da corsività e dall’inclinazione delle lettere verso destra. Nel testo, i segni di lettura sono numerosi ma non sistematici; la glossa marginale uJªdrwºpia'n è corredata di spirito e accento. Sopra il primo omega di r. 12 bwbw'naç è aggiunto ou, nel quale la McNamee è propensa a vedere un intento non correttivo, ma esplicativo di una forma rara4. Esigue tracce di scrittura restano nel margine destro, a fianco dell’interlinea che precede il r. 1, a una distanza di circa cm 1,5 dal testo letterario, esattamente sul
1
Ip secondo Guglielmo Cavallo in Mertens 1996, p. 342; Merkelbach pensava al II/IIIp. Su questo stile vd. Menci 1984, pp. 51-56. 3 Documento del 117-119p, segnalatomi da G. Bastianini. 4 McNamee 1977, p. 54 n. 24. Non si deve ravvisare una correzione, invece, al r. 5 del testo. La lettura adikou·ni‚ç, lì prospettata da Merkelbach in seconda battuta (1967b, p. 161 n. 3) in luogo di adikountaç (ibidem e 1967a, p. 97; vd. qui tab. VIIIb) e ripresa da Austin e Kassel-Austin, deve essere sorta sulla base della foto del papiro pubblicata su ZPE 1, verosimilmente anteriore a un intervento di restauro delle fibre in questo punto. Ragioni metriche, poi, impongono di correggere adikouøntaØç. 2
78
Aristophanes 11
bordo superiore del frammento (annotazione?). I versi conservati sono dimetri coriambici A o ‘Wilamowitziani’, riferibili a una sezione lirica attribuita agli Heroes di Aristofane: Merkelbach pensava alla parabasi5, mentre Gelzer6, seguito da Kassel e Austin, propendeva per la parodo. L’attribuzione aristofanea è in genere accolta, a partire dalle considerazioni di Merkelbach7. Dopo aver dichiarato il ruolo “istituzionale” degli Eroi come dispensatori dei mali e dei beni agli uomini (rr. 3-4 hJmei'ç ejçmen oiJ tamivai ⁄ tw'n kakw'n kai; tw'n ajgaqw'n), nei successivi versi superstiti il coro sviluppa la prima parte dell’idea, il controllo esercitato sui mali: gli eroi non perdono di vista i malfattori e infliggono loro malattie di ogni sorta come punizione. Segue un breve catalogo di patologie variamente assortite (rr. 8-11 çplhnia'n bhvttein uJdera'n ⁄ koruza'n ywra'n podagra'n ⁄ maivneçqai leivchnaç e[cein ⁄ boubw'naç rJi 'goç puretovn), che richiama per antitesi l’elenco dei benefici promessi agli uomini dal coro degli Uccelli, come futuro contraccambio di un culto divino (Av. 723-736, pnigos della prima parabasi)8. Non vi sono ragioni cogenti per ritenere, come è stato supposto, che il brano facesse parte di una raccolta di excerpta9, né che il frammento papiraceo rappresenti l’excerptum stesso, fisicamente inteso (“Einzelblatt”), ad uso di un lessicografo interessato al campionario di terminologia medica contenuto nel passo10. Le glosse marginali concernono due delle patologie enumerate nell’elenco, rispettivamente idropisia (uJdera'n) e brividi (rJi 'goç), e sono confrontabili con la tradizione lessicografica atticista.
uJdera'n
8
uJªdrwºp≥i ≥a'n ºp≥i ≥a'n pap.; traccia dell’estremità inferiore di i e resti della parte destra di a, sovrastato dal circonflesso; prima del restauro del papiro, le due lettere si leggevano integralmente (cfr. ZPE 1, Taf. III) —— suppl. Merkelbach
5
Cfr. Sifakis 1971, p. 34. Gelzer 1969, pp. 124-126 e 131-133. 7 Merkelbach 1967b, p. 162, e 1968, p. 136. Gelzer 1969, p. 133, ha avanzato prudenti riserve (composero commedie dello stesso titolo anche Chionide, Cratete, Filemone e Timocle), raccolte da Gentili 1972, p. 141. 8 Per un parallelo aristofaneo sull’influenza maligna degli Eroi, cfr. Av. 1490, con il commento ad l. di Dunbar 1995, pp. 692-693. 9 Gelzer 1969, p. 129. 10 Trojahn 2002, p. 193 n. 3. 6
P.Mich. inv. 3690 essere idropico
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essere affetto da idropisia rJi'goç
11
rJi'goç oujk hjpivalon rJi 'goç pro lemmate habui, pro explicationis initio Merkelbach et cett.
brivido
non il brivido di febbre
8 Cfr. Moer. u 7 H. u{deroç kai; uJdra'n ΔAttikoiv: u{drwy kai; uJdrwpia'n ”Ellhneç; Hsch. u 60 H.-C. (= S u 11 C.; Phot. Lex. p. 615, 3 P.; Sud. u 45 A.) uJ‹d›erw'n: uJdrwpiw'n; e inoltre Poll. IV 187 u{deroç uJderia'n (v.l. uJdera'n). ÔUdrwpiavw è termine corrente della lingua medico-scientifica almeno a partire da Ippocrate (e.g. Aph. 7, 47); al contrario, uJderavw è attestato soltanto nel frammento degli Heroes e nei lessici citati (si può confrontare uJderaivnw in Hp. NatMul. 2). Di conseguenza, rispetto al termine raro, la glossa uJdrwpia'n rappresenta un sinonimo non soltanto usuale al tempo dell’anonimo annotatore (così Athanassiou 1999, p. 107), ma proprio del linguaggio medico a cominciare almeno dall’età classica. 11 Nella foto pubblicata con l’editio princeps (ZPE 1), anteriore al restauro del papiro, si legge rigoª≤≤≤ºkhpi>alon. L’annotazione distingue il rJi 'goç, menzionato nel testo comico, dal brivido connesso con lo stato febbrile, normalmente designato con il termine hjpivaloç (impiegato in coppia con puretovç in Ve. 1038 toi'ç hjpiavloiç ... kai; toi'ç puretoi'çin, cfr. Hp. Aër. 3 hjpiavlouç kai; puretouvç). Nel fr. 346 K.-A. (Thesm. II), Aristofane “glossa” hjpivaloç come puretou' provdromoç (commento, con ampia rassegna delle attestazioni letterarie, mediche ed erudite, in Deichgräber 1957, part. pp. 23 e 34-38); ma, accanto a questa accezione del vocabolo, nelle tradizioni medica ed erudita è presente anche quella di ‘febbre accompagnata da brividi’ (rJigopuvretoç). Entrambe convivono in Galeno, che identifica la prima come minoritaria nell’uso attico (De diff. febr. 2, 6: VII, p. 347 K. touvtou tou' gevnouç ejçti; kai; hjpivaloç pureto;ç ijdivwç ojnomazovmenoç, o{tan a{ma purevttouçiv te kai; rJigou'çi ... faivnontai de; tw'n ΔAttikw'n ajndrw'n e[nioi kai; to; pro; tou' puretou' rJi 'goç ou{twç ojnomavzonteç), e trovano spazio nella tradizione lessicografica e scoliografica: Moer. h 23 H. hjpivalon: to; pro; tou' puretou' yu'coç; Hsch. h 687 L. hjpivaloç: rJi 'goç pro; puretou' (= sch. Luc. Gall. 9, p. 90, 1 R.) ed h 688 L. hjpialw'n (Aristoph. Ach. 1165): rJigw'n. to; ga;r pro; tou' puretou' rJi 'goç hjpivalovn façin; sch. Aristoph. Ve. 1038a hjpivaloç to; pro; tou' puretou' kruvoç (segue la citazione del fr. 346 delle Thesm. II); ma sch. Aristoph. Ve. 1037 hjpivaloi dev eijçin oiJ rJigopuvretoi; e, nella lessicografia atticista, Phryn. Gramm. SP. 73, 8 De B. to; de; ãhjpivaloçà ... to; kalouvmenon
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Aristophanes 11
rJigopuvreton; AelD. h 13 E. hjpivaloç: oJ rJigopuvretoç = Phot. Lex. h 213 Th., Sud. h 433 A.; EM. p. 434, 7 G. hjpivaloç: çhmaivnei to;n rJigopuvreton ktl. Da questo quadro derivano due conseguenze per l’interpretazione della nota marginale: 1) è probabile che il termine rJi 'goç vi funga da lemma (cfr. Trojahn 2002, pp. 192-193), apposto dall’annotatore a scongiurare la possibile equivocità del testo e della relativa spiegazione, per la presenza al r. 11, cui la nota è affiancata, anche del termine puretovn: quasi a chiarire che, nel testo, i termini rJi 'goç e puretovn devono essere intesi come separati e distinti e non nel significato del composto rJigopuvretoç, equivalente a hjpivaloç; 2) il confronto con la tradizione medica ed erudita mostra che l’annotatore (o la sua fonte) aveva presente la terminologia medica specialistica e intendeva escludere l’equivalenza del rJi 'goç menzionato negli Heroes con l’hjpivaloç, tanto nella sua accezione di rJigopuvretoç quanto in quella di rJi 'goç pro; puretou' (cfr. Poll. IV 186, dove rJi 'goç ed hjpivaloç figurano contigui e in questa successione, come termini distinti, nella sezione dei noçhmavtwn ojnovmata). L’esegeta sembra perciò intendere rJi 'goç nel significato più comune, ‘brivido (di freddo)’. FAUSTO MONTANA
12
II-IIIp
P.Oxy. XV 1801, col. I 16-17 = CGFP 343, 16 [⇒ III: Lexica] Voce di lessico (Lys. 354)
16 ªbduvllein: ΔAriçtofavnhç ejn Luçiçtravthi: “tiv bduvlleqΔ h ºJ m≥aç' … ou[ tiv pou polªlai; dokou'men ei\nai…”
ºe≥nj Çatuvroiç: “ajllΔ o≥t{ an ºç≥, çavfΔ i[çte, kai; çofoi'ç” º≤ e ka]n o[nar çe movnon ºai
17 dopo çaturoiç spazio bianco ää 16-17 ªbduvllein: bdeluvtteçqai, miçei'n, uJfora'nº kai; eujtelivzein ⁄ ªΔAriçtofavnhç ejn Luçiçtravthi: tiv bdulleqΔ hJºma'ç… ou[ tiv pou pol⁄ªlai; dokou'men ei\nai; kai; ... º Kurz 1937 : ªbeinei'n: to; peraivnein:º kai; Eu[poliç ejn ⁄ ªAijxiv:º bebinhvkaçin uJºma'ç ou[ ti pou pol⁄ªloi;º ªkai; ΔEkfantivdhç (?)º Edmonds 1957 : ªbduvllw: ΔAriçtofavn(hç) ejn Luçiçtravthi: tiv bdulleqΔ hJºma'ç… ou[ tiv pou pol⁄ªlai; dokou'men ei\nai: trevmw kai; Krati'noçº Naoumides 1961 : ªbduvllein: eujtelivzein ⁄ ΔAriçtofavnhç ejn Luçiçtravthi: tiv bdulleqΔ hJºma'ç… ou[ tiv pou pol⁄ªlai; dokou'men ei\nai; kai; ... º Luppe 1967
ªbduvllein: Aristofane nella Lisistrata: “perché ve la fate sotto alla nostra vista? Sembriamo] forse troppo numerose?” ... nei Satiri: “ma qualora … sappiate chiaramente e con saggi (?)” ...
Il lemma, postulato da Kurz 1937, p. 169, è congetturale, ma le tracce della citazione di Aristoph. Lys. 354 tiv bduvlleqΔ hJma'ç… ou[ tiv pou pollai; dokou'men ei\nai…, nonché la successione alfabetica delle voci nel lessico (cfr. ⇒ 3 n. 1), lo rendono pressoché certo1 (da escludere, di conseguenza, le integrazioni avanzate da Edmonds). 1 La ricostruzione dello studioso che – non avendo visto il papiro e ingannato probabilmente dalla stessa editio princeps – poneva bduvllein nel rigo precedente è stata tuttavia dimostrata erronea da Naoumides 1961, pp. 91 e 97, il quale osservava come in P.Oxy. XV 1801 dopo il r. 15 si veda un rigo non scritto, chiaro segno che la spiegazione del lemma che inizia al r. 15 doveva essere breve e occupare soltanto il r. 15 e la parte iniziale del r. 16 (come quelle ai rr. 6-7, 8-9, 1415). Il rigo successivo a questo, quello che a noi interessa, doveva cominciare pertanto con una nuova glossa. Il º kai; eujtelivzein è come Kurz interpreta il kai Eupoliç en alla fine del r. 15 del papiro. Alla luce del medesimo fraintendimento si spiegano le congetture di Edmonds 1957, p. 446 (cfr. app. critico), e la sua proposta di riconoscere in Eupoli, fr. 459A la fonte della glossa e della citazione.
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Aristophanes 12
Il verbo bduvllw è raro: in letteratura occorre solo in Aristoph. Eq. 224, Lys. 354 e Luc. Lex. 10 (in quest’ultimo passo nella forma composta uJpobduvllein) e significa propriamente ‘farsela addosso’ (per la paura). Se il lemma è sicuro, ciò che non è dato stabilire è invece, in primo luogo, se esso venisse registrato alla seconda persona plurale – come nella fonte e nell’esegesi scoliastica (cfr. sch. ad l. tiv bduvlleqΔ hJma'çº tiv eujtelivzete. h] fobei'çqe kai; trevmete da cui Sud. b 208 A. bduvllete: eujtelivzete, fobei'çqe, kai; trevmete. ΔAriçtofavnhç: tiv bduvlleçqΔ hJma'ç… ou[ti pou pollai; dokou'men ei\nai… kai; mh;n mevroç gΔ hJmw'n ou[pw to; murioçtovn) – oppure all’infinito, con lemmatizzazione (cfr. Moer. b 4 H. bduvllein ΔAttikoiv: bdei'n ”Ellhneç e Hsch. b 393 L. bduvllein: dedievnai, trevmein h] bdei'n); in seconda istanza resta incerto se comparisse una spiegazione prima dell’indicazione della fonte (“Aristofane nella Lisistrata”) e quindi della citazione (tiv bduvlleqΔ hJma'ç ktl). Quanto alla prima questione, si osservi che in circa la metà dei casi di P. Oxy. 1801 si riscontra o si può ipotizzare lemmatizzazione (cfr. col. I 21 bevlekkoi ⇒ 24, col. II 12 bevmbix ⇒ 26, 20 bebuçmevnon ⇒ 30, 22 bergai'oç), nella restante metà i lemmi vengono registrati così come comparivano nella citazione (comunque al nominativo, singolare o plurale, all’accusativo singolare, ma anche, in col. II 29, al genitivo plurale). Per ciò che concerne la presenza o meno di una spiegazione dopo il lemma, ciò accade la maggior parte delle volte; meno spesso dopo la voce si ha direttamente la segnalazione dell’autore, quindi la citazione del locus classicus. Raramente sembra vengano riportate due differenti interpretazioni (cfr. col. II 12-13 bevmbix). Kurz 1937, p. 169, e Luppe 1967, p. 109, stampavano il lemma nella forma infinitiva (Luppe tuttavia riteneva possibile anche che esso fosse alla seconda persona plurale, cfr. pp. 90-91) e Kurz ipotizzava che bduvllein potesse essere accompagnato da bdeluvtteçqai, miçei'n, uJfora'nº kai; eujtelivzein, Luppe invece immediatamente da eujtelivzein (cfr. app. crit.). In ogni caso il dubbio espresso da Austin 1973, secondo cui già la ricostruzione proposta da Luppe presuppone righi troppo estesi (cfr. p. 342: “ego vereor ne ita nimis longae sint”) è condivisibile (cfr. ⇒ 3 n. 1). Anche a prescindere dalla precisa forma del lemma ritengo, con Naoumides, che a esso facesse séguito, come in col. II 22-23, 29-30 e 31-32, non un interpretamentum, ma l’indicazione dell’autore; quindi si poteva avere la citazione, infine l’interpretamentum (eujtelivzete o fobei'çqe o trevmete, cfr. sch. Aristoph. Lys. 354 e Sud cit. supra; oppure dedievnai o trevmein o bdei'n o qualcosa di analogo, cfr. sch. Aristoph. Eq. 224a bduvllei: katapevplhge, bdeluvttetai, toutevçti miçei', Hsch. cit. supra, o anche b 392 L. bduvllwn: trevmwn. h] bdevwn, o ancora Zon. p. 381, 4 T. bduvllei. fobei'tai, trevmei ktl) e il nome dell’autore dei Çavturoi2. Da notare che gli scolii mostrano, in 2 Anche con queste integrazioni il rigo può apparire troppo lungo, ma Naoumides in proposito osservava: “in such long lines, however, it is not uncommon that certain lines can differ by
P.Oxy. XV 1801, col. I 16-17
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conclusione, due interpretazioni del verbo: una per cui bduvllein equivale ad ‘avere paura’ (trevmein, fobei'çqai etc.); un’altra, invece, che attribuisce al termine il significato di ‘spregiare’ (cfr. eujtelivzein, miçei'n, bdeluvtteçqai), in base, probabilmente, proprio alla somiglianza di bduvllw con bdeluvççw ‘provare disgusto, orrore’. La glossa in ogni caso accostava al passo della Lisistrata un altro passo, tratto da un’opera intitolata Çavturoi. Una pièce teatrale con questo titolo è attribuita a vari drammaturghi: Callia, Cratino, Ecfantide, Frinico, Ofelio, Timocle (cfr. Cratin. fr. 217 K.-A. app. crit.). Körte 1924, p. 246, propendeva per Cratino o per Ecfantide; Kurz 1937, p. 138, e Luppe 1967, p. 94, per Ecfantide o più probabilmente per Frinico; Edmonds 1957, p. 446, per Ecfantide; Weinreich 1942, p. 125, e Naoumides 1961, p. 76, per Cratino. Appartengono forse alla nostra glossa anche i successivi rr. 18-20, ma mi parrebbe più verisimile, come ipotizza Luppe (p. 93), che con il r. 19 si passi a un altro lemma (egli congettura bdeluvttomai ⇒ scheda pp. 239-240): in caso contrario bduvllein verrebbe a essere seguito da tre o quattro citazioni (la prima ai rr. 16-17 tiv bduvlleqΔ … ei\nai, la seconda ai rr. 17-18 ajllΔ o≥t{ a ≥ n … çofoi'ç, la terza e la quarta ai rr. 19-20), la qual cosa pare inconsueta nel papiro. ELENA ESPOSITO
five or eight letters above or below the average (cf. P.Rainer 7). Besides, it is quite probable that at least one abbreviation would occur in the lost part of the line” (p. 98).
13
P.Oxy. XI 1371
sec. Vp
Note marginali a Nub. 2, 3, 5, 10, 41, 44, 45, 47, 52 Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Princeton, University Library (P.Princ. AM 9054). Edd.: GRENFELL-HUNT 1915, pp. 134-138; TROJAHN 2002, pp. 34-37; MCNAMEE 2007, pp. 188-190. Tabb.: P.Oxy. XI (= GRENFELL-HUNT 1915), VII ($); CAVALLO-MAEHLER 1987, 16a ($); MCNAMEE 2007, XXII (%); www.columbia.edu/cu/lweb/projects/digital/apis (%). Comm.: MP3 145; LDAB 372 SCHMIDT 1918, pp. 101-102; ZUNTZ 1975, pp. 47-55 (1938, pp. 677-685); ANDRIEU 1954, pp. 185-187; LOWE 1962, p. 32; DOVER 1968, pp. XCIXC (P2); GELZER 1971, nr. 5; IRIGOIN 1971-1972, p. 180; AUSTIN 1973, fr. 28; MCNAMEE 1977, pp. 177, 185-186, 421; TURNER 1977, pp. 15, 102 nr. 16; GRONEWALD 1982, pp. 61-62 n. 3; CAVALLO 1986, pp. 115, 117; CAVALLO-MAEHLER 1987, p. 40 nr. 16a; KRÜGER 1990, p. 243; MCNAMEE 1992, pp. [35], [37], [38], 73, 75 nr. 3; MCNAMEE 1994, pp. 177 n. 4, 178 n. 8; MERTENS 1996, p. 339; TROJAHN 2002, pp. 170, 174-177; MONTANA 2005, pp. 25-27; MONTANA 2006, pp. 22-23, 29-30.
Riquadro superiore esterno (cm 12 × 10,6) di un foglio di codice di papiro contenente l’inizio delle Nuvole: scarse lettere finali dei vv. 2-11 nel recto (%) e la metà sinistra dei vv. 38-48 nel verso ($), con note nei margini superiore ed esterno su entrambi i lati. Il recto recava dunque 37 righi e la pagina, secondo Turner, poteva misurare cm 25 × 33 (sua classe 2)1, con uno specchio di scrittura calcolabile in cm 10 × 20 circa. Attualmente i margini hanno approssimativamente le seguenti misure: nel recto, il superiore cm 4,5 e l’esterno cm 9,4; nel verso, il superiore cm 4,8 e l’esterno cm 5,2. Si trattava pertanto di un codice di formato piuttosto grande, con ampi margini bianchi a contornare il testo letterario. La scrittura di quest’ultimo, in inchiostro ora di colore bruno, è una maiuscola di grosse dimensioni, ovale e inclinata, datata dagli editori al Vp e non oltre la metà di tale secolo da Cavallo e Maehler, come pure la scrittura delle note del recto, una maiuscola di modulo minore da assegnare probabilmente alla medesima mano. Le note del verso sono attribuite dagli editori a tre mani differenti dalla precedente e a essa coeve, sulla base delle caratteristiche paleografiche e dell’aspetto attuale dell’inchiostro: una mano (“semi-uncial”)
1
Turner 1977, pp. 15, 102 nr. 16.
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ha scritto le note del margine sinistro, un’altra quelle del margine superiore e una terza il nome del personaggio a sinistra del v. 38. Una di queste mani è responsabile della correzione dell’ordine delle parole al v. 47 (agroikoçwnadª , realizzata contrassegnando con le lettere b e a rispettivamente a[groikoç e ajdªelfidh'n. Allo scriba del testo poetico spettano per lo più i numerosi spiriti e accenti ivi segnati, come anche le paragraphoi apposte a segnalare il cambio d’interlocutore e la croce (˛) tracciata al di sopra della paragraphos che precede la riga iniziale del verso, che la McNamee2 sospetta essere un semeion di demarcazione (“ruling mark”) finalizzato alla scansione del testo. Nel recto si leggono quattro interventi esplicativi: nel margine superiore, parti consistenti di un’annotazione su v. 5 oiJ dΔ oijkevtai rJe vgkouçin (la metà destra, lacunosa, di quattro righi di testo); nel margine destro, una nota di otto righi, quasi integra, su v. 2 w\ Zeu' baçileu', separata mediante paragraphos da un’altra annotazione immediatamente seguente su v. 3 oujdevpoqΔ hJmevra genhvçetai, introdotta da un semeion (İ), ampia due righi e mezzo e seguita a sua volta da paragraphos; poco più in basso si legge una glossa a ejgkekordulhmevnoç del v. 10. La seconda e la terza annotazione sono introdotte da lemmi conservati, ed è probabile che lo stesso avvenisse in quella relativa al v. 5, che fu vergata nel margine superiore evidentemente perché le due note ai vv. 2 e 3 avevano già occupato il margine a destra dei vv. 2-8. Nel verso, a sinistra del testo poetico restano cinque marginalia: la nota personae Feidip(pivdhç), accanto al v. 38; una breve nota sull’interiezione feu' al v. 41; tre glosse ai vv. 44, 45, 47. Nel margine superiore del verso si legge una nota di due righi preceduta da un semeion (É), lacunosa a destra, che lemmatizza e spiega singolarmente le parole lafugmou' Kwliavdoç Genetullivdoç del v. 52 (caduto in lacuna) e dovette essere lì dislocata per ragioni di spazio (cfr. la nota al v. 5 nel recto). La dislocazione di note lunghe nei margini superiori, anziché a fianco dei passi letterari interessati, è un fenomeno che si riscontra in altri codici tardoantichi di grande formato (McNamee 1994, incentrato su P. Vindob. inv. 29817, Pindaro, VIp). Cameron 2004, 164-178, ritiene di poter riconoscere in questo fenomeno una costante standardizzata nella prassi libraria di testi letterari, consistente nella trascrizione di materiali mitografici di una certa ampiezza nei margini superiore e inferiore della pagina da parte dello stesso scriba del testo principale, quindi non da fruitori e non occasionalmente né per finalità necessariamente scolastiche, in continuità con un uso che risalirebbe al rotolo. Fra gli esempi addotti, vi è il papiro ossirinchita delle Nuvole,
2
McNamee 1992, p. [38]. Così ritiene invece Trojahn 2002, p. 174, che trae la sua convinzione dall’assenza di note del primo scriba in quanto rimane del verso. 3
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Aristophanes 13
nel recto del quale la nota al v. 5 sarebbe stata scritta nel margine superiore perché consistente in una historia. Tuttavia la nota, oggetto peraltro di ampia ricostruzione, per ammissione dello studioso «is, to be sure, no mythographic» e con troppo grande sforzo è riconducibile a «what contemporary grammarians called historiai» (p. 167), dal momento che, a quanto pare, essa mette in successione osservazioni di tipo linguistico, glossografico, parafrastico ed esplicativo, disegnando così una vera e propria lezioncina scolastica. Bisogna rilevare, inoltre, che la nota su w\ Zeu' baçileu' del v. 2 delle Nuvole, contenente in effetti una breve historia (r. 3 e[cetai ga;r iJçtorivaç to; w\ Zeu' baçileu'), trova posto nel margine laterale destro del recto. Il modello ricostruito da Cameron, pertanto, non trova riscontro nel papiro aristofaneo. L’insieme dei dati consente alcune deduzioni e conclusioni riguardo alle caratteristiche dell’apparato esegetico e alla mise en page del codice. (1) Il margine destro delle due facciate era maggiore di quello sinistro e poteva ospitare annotazioni di più ampio respiro, vergate dallo scriba del testo letterario. Non vi è ragione di ritenere che questo scriba abbia desistito dall’apporre marginalia dopo la pagina iniziale delle Nuvole3: il frammento papiraceo rappresenta una parcella non piccola in termini assoluti, ma piuttosto modesta in rapporto alle dimensioni della pagina di questo codice di grande formato, cosicché è arbitrario dedurre dal poco che resta l’assenza di ulteriori interventi del primo scriba nella parte perduta del manoscritto. (2) La situazione visibile nel verso potrebbe attestare che il margine sinistro fosse stato riservato dagli altri annotatori all’indicazione dei nomi dei personaggi e a brevi note e glosse esplicative4. (3) La presenza, nei due margini superiori, di note distanti dai passi commentati (ad vv. 5, 52) è da spiegare con la ricchezza dell’apparato esegetico marginale: cfr. P.Acad. inv. 3 d + Bodl. Ms. Gr. class. f. 72 (P) ⇒ 5, ad Eq. 845. (4) L’impiego di lemmi, presenti o ricostruibili con buona probabilità in tutte le note più lunghe (ad vv. 2, 3, 5, 52), in tre casi può spiegarsi con la dislocazione della nota lontano dal passo commentato (ad vv. 3, 5, 52); ma in un caso (ad v. 2) la scarsa funzionalità del lemma induce a pensare che almeno questa nota derivi recta via da un commentario continuo separato dal testo della commedia6; l’ipotesi può essere estesa alle altre tre note sia in ragione della presenza in alcune di esse di semeia e paragraphoi, rispettivamente a introdurre e concludere gli interventi, sia per la collocazione di altre nei mar-
4 Sulla base degli scolii, Zuntz 1975, p. 49 n. 7 (1938, p. 679 n. 7), suppone che nel perduto margine sinistro del recto trovassero posto glosse a v. 2 crh'ma e v. 3 ajpevranton; altre glosse atticiste sono preservate dagli sch. 9aa-b e 9b. 5 Cfr. McNamee 1994, p. 178 n. 8. 6 Cfr. Zuntz 1975, p. 47 (1938, p. 677).
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gini superiori, che pare escludere l’utilizzo di un modello dotato di ordinata e regolare mise en page delle annotazioni7. (5) Le note vergate dal primo scriba nel recto hanno sensibili punti di contatto con scolii antichi di tradizione medievale (precisamente nelle redazioni dei mss. R e V), segno della derivazione da una fonte ipomnematica comune; al contrario, le annotazioni apposte dagli altri scribi nel verso intrattengono con gli scolii relazioni molto labili e sfumate. Due glosse (ai vv. 5 e 47) sono rapportabili in ultima analisi alla lessicografia di marca atticista. In definitiva, P.Oxy. XI 1371 attesta una stratificazione, ad opera di mani differenti, di interventi esegetici di tipo e provenienza diversi (verisimilmente uno hypomnema di destinazione scolastica, per le note del recto; lessici o marginalia tratti da un’edizione delle Nuvole, per le altre) e una sorta di ‘specializzazione’ – non sappiamo se intenzionale e programmatica, oppure semplicemente dettata dalla successione temporale degli interventi – nell’uso dei margini della pagina (notae personarum, brevi interventi e glosse nel margine sinistro; note più lunghe nel margine destro): una disposizione osservabile, come tendenza se non proprio come ‘regola’, anche in BKT IX 5 ⇒ 6 e, in certa misura, in P.Duk. inv. 643 ⇒ 18.
Recto (%) v. 2
5
ªw\ Zeu' baçileu'º
2
w\ Zeu' baçileu': oujc aJplw'ç crh; tou'ªtºo nomivzein eijrhkevnai to;n poihªthvºn: e[cetai ga;r iJçtorivaç to; “w\ Zeu' baçileu'” toiauvthç. toi'ç ΔAqhnaivoiç Puqovcrhçton ejgevneto kataklu'çai me;n ta;ç baçileivaç, proçthvçaçqai de; kai; çevbein Diva baçileva. w{çte to; lecqe;n th'ç iJçtorivaç e[ceçqai tauvthç crh; nomivzein. ä
la nota si trova nel margine destro; inizia al livello del v. 2 e termina al livello del v. 6 riaç pap. 6 baçileiaç: pap. 8 i>çtoriaç pap. —— 1 oujk aJplw'ç pap. : oujk ajrgw'ç sch. 5 katalu'çai sch. 8 tauvthç e[ceçqai sch.
7
Su quest’ultimo aspetto cfr. Trojahn 2002, p. 174.
3 i>çto-
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Aristophanes 13
o Zeus re: non si deve pensare che il poeta abbia introdotto questa battuta senza motivo: “o Zeus re” è infatti connesso al seguente episodio. Un responso pitico intimò agli Ateniesi di abolire il regime monarchico e di assumere a loro capo e venerare Zeus re. Perciò si deve pensare che l’espressione sia connessa a quell’episodio. v. 3
ªoujdevpoqΔ hJmevra genhvçetaiº
3
İ oujdevpoqΔ hJmevra genhvçetai: tou'to kai; ojrgizovmenoç kai; uJpokrinovmenoç duvnatai levgein. ä la nota si trova nel margine destro, immediatamente sotto la precedente, al livello del v. 7 oudepoqΔ pap. genhçetai: pap. 3 legein: pap.
1 İ
non farà mai giorno: questo (l’attore/il lettore) lo può pronunciare con tono d’ira o con enfasi retorica. v. 5
ªoiJ dΔ oijkevtai rJevgkouçinº
5
oiJ dΔ oijkevtai rJevgkouçin: ou{twç oiJ ΔAttikoi; dia; tou'º k≥. o≥i ≥jªkevtaºç nªu'ºn≥ oªuj tou;ç qeravpontaç movnon levgei, ajlla; pavntaç tou;ç kata; th;n oijkivºan: kaªqeuvdºouçi me;n ou\n oªiJ a[lloi, aujto;ç de; ajgrupnei'. kai; rJevgkouçin ejphvºgag≥en ªi{ºna ma'llon aujªtou;ºç≥ deivxh/ pavçhç≥ o[ntaç e[xw frontivdoç: i[dion ga;r tw'n mhde;n frontºi≥zovntwn to; baqevwç kaqeuvdein. la nota si trova nel margine superiore 2 ºan: pap. 4 kaqeudein: pap. —— 1-4 suppl. Grenfell-Hunt 3 ejphvºg≥ag≥en Grenfell-Hunt
[quelli di casa russano: gli Attici scrivono così, col] kappa. Con il termine oijkevtai [designa non solo i servi, ma tutti coloro che vivono nella casa]; quindi (il senso è) dormono [tutti gli altri, mentre lui solo è sveglio. Dice “russano”], perché non ci siano dubbi che sono privi di qualsiasi [preoccupazione: infatti è tipico di chi non ha pensieri] dormire profondamente. v. 10 ªejgkekordulhmevnoºç
10
katakekalummevnoç la nota si trova nel margine a destra del v. 10, distanziata di cm 1,7
[avvoltolato]
completamente coperto
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Verso ($) v. 41
feu'
4
feu# pap.
ka≥qΔ eJauto;n levg≥ei la nota si trova nel margine a sinistra del v. 41
ahimè
parla fra sé e sé v. 44
eujrwtiw'n
7
eurwtiw'n pap.
rJ≥uparovç la nota si trova nel margine a sinistra del v. 44
sozzo
sporco v. 45
bruvwn
8
bruvwn pap.
p≥lªhvºqwn la nota si trova nel margine a sinistra del v. 45
ricolmo
pieno v. 47
ajdªelfidh'n
10
th;n qugatevra tou' ajdelfou' la nota si trova nel margine a sinistra del v. 47; il r. 1 arriva a toccare la prima lettera del v. 47
nipote
la figlia del fratello
90
Aristophanes 13 v. 52
ªdapavnhç l≥a≥fugmou' Kwliavdoç Genetullivdoçº
É l≥≥a≥fu(gmou') trufh'ç h] kenwvçewç crhmªavtwn ejn w|/ tima'tai hJ ΔAfrodivth Genetul(livdoç) ª
Kwl(iavdoç) ± 20 º
la nota si trova nel margine superiore 1 il primo lemma è preceduto dal semeion É l≥a≥fu≥É trufhç pap. keneçewç pap., corr. Grenfell-Hunt 2 dopo afrodith tratto ricurvo concavo verso il basso, probabilmente con funzione separativa (trascritto come dicolon nell’ed. pr.) genetel pap., corr. Grenfell-Hunt —— 1 l≥≥a≥f(ugmou'): t≥(h'ç) trufh'ç Grenfell-Hunt, qui laf≥Ét≥É leg. Kwl(iadoç) naoç (vel topoç) eoikwç kwloiç suppl. Grenfell-Hunt
di squisitezza di lusso o dispendio di beni ... [Coliade: ...] nel quale è venerata Afrodite. Genetillide: ...
v. 2 Quasi letterale l’affinità della nota (qui di séguito “pap.”) con la redazione RV dello sch. 2a w\ Zeu' REQN baçileu' REQNM: oujk ajrgw'ç crh; tou'to nomivzein to;n poihth;n eijrhkevnai (eijrhkevnai to;n poihthvn RV pap.): e[cetai ga;r iJçtorivaç RVEQNMAMatr to; w\ Zeu' baçileu' RV (pap.) toiauvthç. toi'ç ΔAqhnaivoiç Puqovcrhçton (-crhçton RV pap., -crhvçtwç vel -crhvçtou ? cett.) ejgevneto katalu'çai me;n ta;ç baçileivaç, proçthvçaçqai de; RVEQNMAMatr kai; çevbein RV (pap.) Diva baçileva. RVEQNMAMatr w{çte to; lecqe;n th'ç iJçtorivaç tauvthç e[ceçqai crh; nomivzein RVEQNMMatr. Oltre a un’inversione nella parte finale (e[ceçqai tauvthç pap., tauvthç e[ceçqai sch.), due sono le differenze di maggior rilievo: aJplw'ç pap., ajrgw'ç sch.; kataklu'çai pap., katalu'çai sch. (la seconda lezione è preferita a ragione dagli editori e da Zuntz). Per le note del tipo oujk ajrgw'ç/oujc aJplw'ç cfr. BKT IX 5 ⇒ 6, ad Eq. 551 (a), con il commento. La semplice iJçtoriva riportata nella nota8 nei mss. RV è seguita da un’altra annotazione (2b), di tenore più colto, che cita come parallelo Hom. Il. X 15-16. v. 3 La nota è introdotta dal semeion İ, su cui vd. Turner 1987, p. 14 e McNamee 1992, pp. 18 con n. 51 e [37], che lo assimila all’obelos puntato e ne sottolinea la particolare connessione con hypomnemata: cfr. e.g. P.Flor. II 112 ⇒ 28, e P.Oxy. XXI 2306 ⇒ Alcaeus 11, dove il semeion è collocato nel margine sinistro a individuare i segmenti esegetici. La spiegazione ritorna più breve nello sch. 3b (senza lemma) tou'to kai; ojrgizovmenoç (oJriz- V) duvnatai levgein. Il participio uJpokrinovmenoç, assente nello scolio, indica brachilogicamente la possibilità di una resa della battuta affettando l’ethos del personaggio e dunque con enfasi retorica: cfr. Rutherford 1905, pp. 128-129, 134 con la n. 22
8 La nota è stigmatizzata da Zuntz 1975, p. 49 (1938, p. 679), come “ausführliche Unsinn” e ostentazione di falsa erudizione mitografica (ibidem n. 3).
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(kaqΔ uJpovkriçin, ejn uJpokrivçei, meqΔ uJpokrivçewç); Zuntz 1975, p. 50 (1938, p. 680). Qui non di parepigraphe si tratta, ma di una nota interpretativa non più direttamente connessa con la recitazione, bensì con la lettura: Zuntz, ibidem; cfr. Turner 1987, p. 13, che osserva come le parepigraphai “are written in mid line (I know of no certain example written in the margin), even though the preposition from which the technical term parepigrafhv is compounded would lead us to expect them in the margin”. v. 5 Coincidenze talvolta esili, ma significative, tra le lettere superstiti e gli sch. 4-5bb conferiscono plausibilità alla consistente ricostruzione proposta dagli editori. Quel che resta del disastrato r. 1 ( ºk≥ ), alla luce del séguito della nota, è accostabile allo sch. 5ba ou{twç ΔAttikoi; dia; tou' k; cfr. sch. 5bb ΔAttiko;n to; çch'ma e sch. Eq. 104a rJegv kei: dia; tou' k. L’estrazione atticista della spiegazione è comprovata da Moer. r 7 H. rJegv kein ejpi; tw'n koimwmevnwn ΔAttikoiv: rJegv cein ”Ellhneç, compendiato da Hsch. r 174 H. rJegv cein: ejpi;; tw'n koimwmevnwn. Il senso e la forma dei rr. 1-3 oijªkevtaºç ... ªajgrupnei'º sono recuperati dallo sch. 5a nu'n oijkevtaç ouj tou;ç qeravpontaç movnon levgei, ajlla; pavntaç tou;ç kata; th;n oijkivan. kaqeuvdouçin ou\n pavnteç. La precisazione sull’accezione ampia di oijkevtai risale perlomeno ad Aristoph. Byz. Syng. onom. fr. 316 Sl., con i numerosi paralleli ivi citati (fra i quali AelD. o 7 E.; Hsch. o 239 L., s.v. oijkevtai), che mostrano la derivazione atticista. Marcate le corrispondenze di quanto rimane ai rr. 3-4 ªkai; rJegv kouçinº ... kaqeuvdein con la redazione RV dello sch. 4 (che nei mss. segue il 5a) wJç tw'n a[llwn me;n ajmerimnouvntwn, aujtou' de; frontivzontoç. RVEQNBarbMatr dia; tou'to kai; rJegv kouçin ejphvgagen, i{na ma'llon aujtou;ç deivxh/ pavçhç o[ntaç e[xw frontivdoç: tw'n ga;r baqevwç kaqeudovntwn i[dion to; rJegv kein, RVEQNMBarbMatr tw'n de; mhde;n frontizovntwn to; baqevwç kaqeuvdein RV. Le note su oijkevtai e su rJevgkouçin sono legate da una stretta coerenza logica (sostenere il completo isolamento di Strepsiade) che dimostra la loro derivazione dal medesimo commento. v. 10 Cfr. sch. 10b ejgkekrummevnoç; sch. 10c ejgkekalummevnoç ktl, con ampia disquisizione su korduvlh in V. v. 41 Ausilio alla comprensione del testo, piuttosto che parepigraphe (come invece qui ritiene Zuntz 1975, p. 52 [1938, p. 682]; cfr. supra, commento al v. 3): a partire dall’interiezione feu' (nel papiro incorporata all’inizio del v. 41), Strepsiade pronuncia un monologo rivolto a se stesso. Cfr. sch. 41a ijdiva/ to; feu' e, come parallelo formale, sch. Nub. 291a tau'ta me;n kaqΔ eJautovn. v. 44 Negli scolii ad l. manca un corrispettivo della glossa del papiro, ma questa è sostanzialmente compatibile con lo sch. 44b, dove la vita cittadina è definita, in antitesi a quella rurale, ejpimelh;ç R kai; kaqavrioç RNM (cfr. Zuntz 1975, p. 52 [1938, p. 682])9. 9
L’annotazione è riportata tra le Marginal Notes Inflected Anomalously da McNamee 1992, p. 75 nr. 3: ma eujrwtiw'n, participio presente, risponde esattamente a rJuparovç.
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Aristophanes 13
v. 45 La glossa non ha un preciso parallelo negli scolii aristofanei. Si può tuttavia richiamare lo sch. 45a au[xwn kai; teqhlwvç, che in Sud. a 930 A. ajkovrhtoç (Nub. 44) ha la forma au[xwn kai; plhquvnwn kai; teqhlwvç. La coincidenza della glossa del papiro con lo sch. Soph. OC. 16 rappresenta un indizio a favore dell’identificazione della fonte in Didimo (Zuntz 1975, p. 53 [1938, p. 683]). v. 47 La spiegazione ricorre nello scolio tricliniano 47 (tou' ajdelfou' aujtou' qugatevra). Sulla scorta di Poll. III 22 (oJ dΔ ajdelfou' h] ajdelfh'ç uiJo;ç ajdelfidou'ç kai; hJ ajdelfou' h] ajdelfh'ç qugavthr ajdelfidh'), essa è forse riconducibile alla tradizione atticista e, in ultima analisi, al Peri; çuggenikw'n ojnomavtwn di Aristofane di Bisanzio (fr. 258 Sl. ajdelfidou'ç), al pari della spiegazione di oijkevthç al v. 5 (così Zuntz 1975, p. 53 [1938, p. 683]). v. 52 I resti dell’annotazione, scritti nel margine superiore, sono allineati a sinistra con le note disposte nel margine laterale sinistro sottostante. Non siamo in grado di valutare l’entità della lacuna verso destra. Poiché il primo dei due righi doveva spingersi in quella direzione almeno quanto il testo della commedia, possiamo calcolare fino a cm 10 di annotazione in lacuna, corrispondenti a oltre trenta lettere. La serie di note è preceduta dal segno É (cfr. McNamee 1992, pp. 17-18 e [35]), che in questo caso manteneva una propria funzionalità di richiamo a distanza e doveva ricorrere anche in prossimità del qui perduto v. 52. Ciò non esclude che si tratti di un retaggio dello hypomnema utilizzato come fonte dall’annotatore. Anche la presenza di lemmi, abbreviati per troncamento (McNamee 1981, pp. 17, 53; su questo aspetto un cenno è in Irigoin 1971-1972, p. 180), intende ovviare chiaramente alla distanza delle note dai termini oggetto di spiegazione. Gli scolii ad l. conoscono due spiegazioni di lafugmovç, influenzate rispettivamente da dapavnhç (v. 52) e da kataglwttiçmavtwn (v. 51). Il termine viene inteso come ‘ingordigia’, ‘insaziabilità’ negli sch. 52a-e, l’ultimo dei quali, tràdito in V e corretto sulla base della Suda, lo spiega con ejkdedih/thmevnh polutelh;ç t r u f hv. Sulla stessa linea si colloca il tardo scolio tomano-tricliniano 51c, che spiega lafugmovç come sinonimo di dapavnh, individuando le ragioni del traslato nell’analogia fra lo stile di vita dispendioso e il modo in cui cani e maiali trangugiano il cibo (lavptein, rJofou'n: cfr. Athen. VIII 362f lafuvttein kai; lapavzein to; ejkkenou'n kai; ajnalivçkein, con EM. p. 298, 15 G.; Hsch. l 438 L. lafuvxai: katapiei'n, ajnalw'çai) e concludendo che aiJ eujgenei'ç gunai'keç (scil. quale è la moglie di Strepsiade) toiau'ta pravttouçin (scil. ‘prosciugano’ i patrimoni) uJ p o; t h' ç a[ g a n t r u f h' ç. La contiguità semantica di lafugmovç, dapavnh e trufhv è presupposta anche dalla nota nel papiro, che riprende e sviluppa l’ultimo di questi termini nella perifrasi sinonimica kenwvçewç crhmavtwn, da confrontare con ejkkenou'n nel passo citato di Ateneo. La spiegazione riaffiora nella tradizione esegetica più recente: il ms. M (scholia anon.
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recc. p. 212 K.) glossa kenwvçewç pragmavtwn; Tz. ad Nub. 51a (p. 394 H.) interpreta katabrwvçewç kai; ejkkenwvçewç pragmavtwn. La seconda interpretazione antica intende il termine in senso erotico, come sinonimo di kataglwttivçmata del v. 51 (ancora lo scolio recente 51c e[çti de; kai; oj lafugmo;ç kata; mevn tinaç to; aujtov, scil. toi'ç kataglwttiçmavtoiç)10. Gli scolii riferiscono tre spiegazioni dell’epiclesi attica di Afrodite Kwliavç. Secondo la prima, essa fu scelta dal dedicatario del tempio in ricordo del logoramento degli arti (kw'la) causatogli dalle catene durante una prigionia (sch. 52fa-b; cfr. sch. 51c; EM. p. 550, 41-45 G.). Lo sch. 52g spiega invece che “mentre un sacerdote compiva un sacrificio, uno sparviero afferrò un coscio (kwlh'n) della vittima e andò a posarsi in quel luogo, che perciò fu denominato Kwliavç” (cfr. EM. p. 550, 45-46 G.). L’Aldina, infine, da un lato richiama l’aneddoto del dedicatario scampato alle catene, dall’altro riferisce l’opinione di quanti riconducono il nome alla conformazione del sito che ospitava il tempio di Afrodite, ejoikovta kwvloiç ajndrovç: cfr. sch. Lys. 2b Kwliavdoç ΔAfrodivthç iJerovn ejçtin ejn th/' ΔAttikh/'. oJ de; tovpoç kalei'tai Kwliavç: e[çti ga;r ejgkeivmenoç o{moioç ajnqrwvpou kwvlw/. L’affinità della parte finale della nota papiracea con la conclusione dello scolio dell’Aldina (e[nqa hJ qeo;ç tima'tai) è un buon indizio del fatto che l’annotatore riportasse la terza spiegazione, che pertanto sarebbe di tradizione antica: cosicché gli editori hanno fondati motivi per integrarla nel papiro. Gli scolii antichi su Genetullivdoç (sch. 52h, 52i; cfr. lo scolio recente 51c) mettono l’epiclesi in relazione con il ruolo di Afrodite nella procreazione. FAUSTO MONTANA
10 Zuntz 1975, p. 54 (1938, p. 684) vede questa interpretazione adombrata sia nella citata asserzione dello scolio tomano-tricliniano 51c sulla trufhv delle donne di rango, sia in trufhv del papiro.
14
BKT V 2, 108-110
sec. Vp
Nota marginale a Nub. 178 Prov.: ? Cons.: Berlin, Ägyptisches Museum und Papyrussammlung der Staatlichen Museen, inv. 13225+13226. Edd.: SCHUBART-WILAMOWITZ 1907 (= BKT V 2), pp. 108-110. Tab.: ⇒ VIII (a). Comm.: MP3 146; LDAB 366 DOVER 1968, pp. XCIX-C (P3); GELZER 1971, nr. 6; AUSTIN 1973, fr. 29; TURNER 1977, p. 102 nr. 17.
Due frammenti di un codice in pergamena con resti delle Nuvole, il primo dei quali (inv. 13225) è costituito da una striscia orizzontale di forma leggermente arcuata (circa cm 10,5 × 1,5) comprendente la parte più interna di un bifoglio, attraversata verticalmente dalla piega centrale. Si tratta del bifoglio centrale di un fascicolo: nel primo foglio si legge la parte iniziale di Nub. 177180 (recto, lato carne; trimetri giambici), con un margine interno (a sinistra) di circa cm 1, e la parte finale di Nub. 207-209 (verso, lato pelo; trimetri giambici), con un margine interno (a destra) di circa cm 1; nel secondo, l’inizio di Nub. 235-237 (recto, lato pelo; una battuta extra metrum in ekthesis, seguita da due trimetri giambici), con un margine interno (a sinistra), e la parte finale lacunosa di Nub. 265-267 (verso, lato carne; tetrametri anapestici catalettici, che occupavano la pagina fino alla piega centrale). Il secondo frammento (inv. 13226) consta di due pezzi che disegnano una forma irregolarmente triangolare e restituiscono una sezione diagonale di un foglio, con dimensioni massime di circa cm 16 × 6. Conserva parte di Nub. 935-942 (recto, lato pelo; versi lirici) e 959-973 (verso, lato carne; tetrametri anapestici catalettici); su entrambe le facce resta un margine esterno ampio o– cm 5. I vv. 959-960 (fr. 2v) sono affiancati a sinistra da un’abbreviazione (c ) interpretabile come cor(ovç)1: l’indicazione intende ovviare alla possibile confusione nell’assegnazione dei due versi, che seguono l’ode in metro lirico e costituiscono il katakeleusmos (l’invito a parlare rivolto dal coro al primo dei due contendenti all’interno dell’agone epirrematico), in tetrametri anapestici
1
Cfr. McNamee 1981, p. 108.
BKT V 2, 108-110
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catalettici così come i versi immediatamente successivi (vv. 961 ss., epirrhema del Discorso Giusto). La scrittura è una maiuscola biblica che, per una certa pesantezza dei tratti, sembra collocabile in una fase di decadenza del canone nel pieno V secolo2. Il primo foglio del primo frammento conteneva 30 righi per pagina, con presumibili dimensioni dello specchio di scrittura di cm 10/11 × 13. I versi più lunghi (tetrametri anapestici catalettici) si spingevano a destra in qualche caso occupando la pagina fino alla piega centrale, come si osserva nel f. 2v del primo frammento e forse anche nel verso del secondo. Ammettendo che la mise en page della commedia contemplasse margini interni di cm 1 e margini esterni di cm 5, si ricava un’ampiezza del foglio di cm 16/17; se è corretto valutare in circa cm 13 l’altezza della colonna di scrittura, è possibile che quella del foglio si aggirasse intorno ai 20 centimetri (cfr. le classi VII e VIII di Turner 1977)3. Negli ampi margini esterni del secondo frammento non si ravvisano resti di note esplicative del testo poetico. Tenui tracce di scrittura trovano posto, invece, nell’esiguo margine interno di fr. 1, f. 1r, tra la piega centrale e l’inizio del v. 178 delle Nuvole 4.
v. 178
kavmyaç ojbelªivçkon ei\ta diabhvthn labwvn
2
aujto;≥n ≤ª≤º≤wde≥i ≥ ≤≤≤≤ºe≥i la nota si trova nel margine sinistro; i tre righi affiancano rispettivamente l’interlinea che precede il v. 178, il verso stesso e l’interlinea che lo segue —— 1-2 auto≥n ⁄ ≤ª≤º≤wde≥i ≥ legi, probante Poethke per litteras : k≥ai ton ⁄ ≤≤wd≥≤≤ SchubartWilamowitz 2 k≥ªwºm≥w/de≥i '≥ ?
2
Cfr. Cavallo 1967, pp. 76-81. Si tratta di misure che ricadono nel formato di pagina (rapporto L/H oscillante fra 0,751-0,800 e 0,801-0,850) più diffuso per i codici di pergamena in maiuscola biblica del V secolo: Orsini 2005, pp. 190-191. 4 Presentando complessivamente i frammenti di questo e di altri due codici aristofanei berlinesi (inv. 13231 e inv. 13219) i primi editori asserivano l’assenza in essi di marginalia (SchubartWilamowitz 1907, p. 99: “das Museum besitzt Reste von drei Handschriften des Aristophanes; alles waren späte Bücher ohne Scholien”). Dando l’edizione del frammento inv. 13225, tuttavia, segnalavano la presenza di un’annotazione, assegnandola erroneamente al margine interno destro del f. 2v (Schubart-Wilamowitz 1907, p. 109). 3
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Aristophanes 14
Per la posizione, la nota è da riferire a Nub. 178 kavmyaç ojbelivçkon ei\ta diabhvthn labwvn, ove il Discepolo di Socrate descrive l’ingegnoso espediente messo in atto dallo spiantato maestro per rubare un mantello dalla palestra: simulando una lezione, Socrate ha piegato a uncino un obeliskos, lo ha impugnato come un compasso e quindi ha sottratto il mantello (Nub. 177-179). Quanto rimane della nota nella pergamena berlinese orienta a riconoscervi l’inizio di una spiegazione della pointe satirica nei confronti di Socrate, e.g. aujto;≥n ⁄ k≥ªwºm≥w/de≥i '≥ ⁄ ªwJç/o{ti...º, con r. 3 -ei possibile terminazione di una forma verbale; l’annotazione poteva comprendere un quarto rigo, posto a fianco del qui perduto v. 179, con cui si chiude il breve racconto dell’operazione. Cfr. sch. 179ca (R) diabavllei aujto;n wJç peri; ta;ç palaivçtraç tw'n paivdwn e{neken diatrivbonta. FAUSTO MONTANA
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MPER N.S. III 20
sec. Vp
Commentario a Nub. 186-213? Prov.: Arsinoites. Cons.: Wien, Nationalbibliothek, Papyrussammlung (P.Vindob. G 29423). Edd.: OELLACHER 1939, pp. 29-30; GRONEWALD 1982, pp. 61-64; TROJAHN 2002, pp. 38-39. Tab.: GRONEWALD 1982, Taf. Ib. Comm.: MP3 146.1 (= Pack2 1725); LDAB 375 KÖRTE 1941, p. 118; LUPPE 1992, p. 76; MAEHLER 1994, p. 124; MERTENS 1996, p. 339; ATHANASSIOU 1999, pp. 114-117; TROJAHN 2002, pp. 171, 183-184; MONTANA 2005, pp. 27-29; STROPPA 2008, p. 57; STROPPA 2009 (nr. 7); MONTANA 2011, p. 154 n. 159.
Frammento verticale oblungo (cm 4 × 13) di un foglio di codice papiraceo. La faccia perfibrale contiene i resti di 17 righi di un commentario alle Nuvole (vv. 186-213?), preceduti da cm 2,5 di margine superiore1. Sul lato opposto restano tracce di 16 righi, caratterizzati da interlinee di dimensione equivalente a quelle dell’altro lato e da lettere di forma e modulo riferibili alla stessa mano (o, ç, c, ei legati)2; le lettere isolate e le rare sequenze decifrabili con varia approssimazione non consentono di stabilire rapporti sicuri con il testo delle Nuvole né, dunque, di determinare il recto e il verso della pagina (vd. il commento). La datazione al Vp è su base paleografica. Le differenze di scrittura escludono che questo frammento e il coevo commentario aristofaneo MPER N.S. I 34 + P.Vindob. G 29833 C ⇒ 17 appartengano al medesimo codice. Si può ipotizzare un’ampiezza della colonna di scrittura intorno a cm 11/12, assumendo che il lemma e la spiegazione del v. 209 presenti ai rr. 11-12 avessero la stessa forma ed estensione che hanno nello scolio medievale ad l. Per una valutazione delle caratteristiche del commentario si devono combinare insieme due dati. Il primo è il passo piuttosto rapido dell’esegesi, che nei 17 righi leggibili copre 26 versi della commedia (vv. 186, 192, 195, 206, 209, 211; forse anche il v. 213). Il secondo è la coincidenza, a quanto è dato di vede1
L’identificazione del contenuto si deve a Gronewald 1982, p. 61, che ha superato in modo definitivo le precedenti ipotesi sulla natura poetica (tragica) del testo. 2 Ringrazio C. Römer per la revisione dell’originale. Si può escludere con certezza che il frammento provenga da un volumen (ipotesi di Trojahn 2002, p. 183 n. 1).
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Aristophanes 15
re, di alcune spiegazioni con scolii di tradizione medievale. Benché non si possa escludere che il frammento appartenga alla categoria di commenti di età imperiale ricordati dalla sottoscrizione apposta alle Nuvole nei mss. VN3, pare tuttavia più probabile che ci si trovi dinanzi a un commentario ad uso scolastico, ricavato da uno più erudito e completo poi utilizzato indipendentemente anche dai compilatori degli scolii medievali.
($)
5
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15
mºa≥vchi te ejnivkh≥ªçen zw'ºnt≥a≥ç h[gagen ª º hJmevraiç to≤ª º≤ ejk Puvlou ª uJºpo; th;n gh'n≥ ª Çtºr≥eyiavdhn h≤ª ºa≥nentwn anª ºarwçi≥n uJpo; tou'≥ ª º≤ç eJwvra g≥eª peºr≥ivmetroç ≤ª º≤hç wJç tªou'tΔ toºu'tov çoi dokei' ª º hJ dev tΔ Eu[boia ≤ª ºhçanteç≥ kaqa≤ª ei\ºpen to; periª ºall≤ª Eujºboiaª ä ä ä
(186)
(192) (195)
(202/206?) (209) (211)
1 iota ascritto di dimensioni ridotte e addossato alla lettera che precede, forse aggiunto post scripturam 4 º≤ esigue tracce compatibili con ç 5 tracce nell’interlinea sopra ghn≥ 6 ºr≥eyiadhn di r≥ ed e resta la parte superiore; lo i, piccolo e addossato ad a, è stato aggiunto in un secondo tempo ≤ª parte inferiore di asta verticale 9 º≤ parte inferiore destra di un occhiello (o, w ?) dopo ç breve spazio bianco 10 ≤ª possibile h (Gronewald), di modulo leggermente superiore al consueto e con il tratto verticale destro molto inarcato; oppure g legato a una successiva lettera curvilinea (e, o, r, w ?), con ispessimento in alto nel punto di legatura 11 º≤ possibile g spazio bianco dopo hç 12 parole separate da spazi bianchi 13 t
3 paragevgraptai de; ejk tw'n Faeivnou kai; Çummavcou kai; a[llwn tinw'n. L’ipotesi è di Gronewald 1982, pp. 61-62, che richiama le supposizioni in merito di Zuntz 1975, p. 114 (1939, p. 598).
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pap., seguito da spazio bianco invaso in alto da lacuna ≤ª tratto basso di lettera curvilinea (a, e, o, ç, w ?) 14 ≤ª minima traccia orizzontale in alto, compatibile con p 17 tracce nell’interlinea sopra boia —— 1 suppl. Gronewald (pollºach'i Oellacher) 2 suppl. Gronewald h[gagen ª Gronewald : h] tagevn≥ªtaç ? Oellacher 3 ejn ei[koçinº suppl. Trojahn toi≥ª Oellacher 4 toi'ºç≥ vel tou;ºç ? 5 suppl. Oellacher 6 Çtºr≥eyiavdhn legi et supplevi : º≤etadhn Oellacher : º≤e≤a/{dhn Gronewald : levºg≥ei≥ a/{dhn Athanassiou 7 fºanevntwn Oellacher 8 ºar≥wç enupotouª Oellacher 9 eJwrateª Oellacher 10 suppl. Gronewald : ºoimetr≥oçgo≥ª Oellacher 11 ºthç Oellacher 12 suppl. Oellacher 13 tΔ Oellacher : gΔ Gronewald, Aristophanis codd. Eu[boia wJªç Gronewald : Eujboivaç≥ ª Oellacher 14 ºh\çan te kaqa ≥ª Oellacher : kratºhvçanteç kaqavªper Athanassiou 15 suppl. Gronewald 16 ºajllaª Oellacher 17 suppl. Oellacher
1-4 Parte della spiegazione del v. 186 toi'ç ejk Puvlou lhfqei'çi, toi'ç Lakwnikoi'ç. Lo sch. 186a ricorda la spedizione cleoniana a Pilo-Sfacteria nel 425 a.C., senza però soffermarsi sull’episodio militare in sé (Puvloç cwrivon th'ç Lakwnikh'ç, e[nqa Klevwn çtrathghvçaç e[laben aijcmalwvtouç EMBarbMatr 186aa proanuvçantoç to;n povlemon Dhmoçqevnouç kai; Nikivou. EBarbMatr 186ab tou;ç triakoçivouç touvtouç aijcmalwvtouç ajpo; Çfakthrivaç e[laben. RV), ma per spiegare la battuta di Strepsiade: il phrontisterion di Socrate accoglie individui allampanati come gli Spartani catturati a Sfacteria. Il commentario del papiro, invece, dedicava maggior spazio agli aspetti militari e ai risvolti politici della vicenda, apparentemente parafrasando il resoconto tucidideo (IV 28, 4 ejnto;ç hJmerw'n ei[koçin h] a[xein Lakedaimonivouç zw'ntaç h] aujtou' ajpoktenei'n; IV 39, 3 ejnto;ç ga;r ei[koçin hJ m e r w' n h[ g a g e tou;ç a[ndraç, w{çper uJpevçth), come accade negli scolii medievali ai Cavalieri – satira par excellence dell’ ‘impresa’ di Cleone –, anzitutto negli estesi sch. 55a-55b; cfr. anche sch. Eq. 393a, 1054a. L’integrazione ejn ei[koçin all’inizio del r. 3 (Trojahn) è possibile, ma le condizioni del papiro non permettono di escludere altre formulazioni: ad esempio, to≤ª potrebbe essere parte di un indefinito, sostitutivo o epanalettico del numerale della fonte. Al r. 4 è plausibile toi'ºç≥ ejk Puvlou (= v. 186), nel contesto di una parafrasi conclusiva del verso comico, e.g. levgei ou\n o{ti toi']ç ejk Puvlou ªlhfqei'çi dokou'çin eijkevnai vel ejoivkaçi. È invece da escludere che ejk Puvlou sia parte di un lemma, in quanto in tal caso la spiegazione riconoscibile nei rr. 1-3 costituirebbe un’anticipazione difficile da giustificare. 5 Spiegazione di Nub. 192 ou|toi dΔ ejrebodifw'çin uJpo; to;n Tavrtaron, consonante in particolare, nella parte superstite, con la redazione RV dello sch. 192a ejrebodifw'çin: ta; uJpo; to; e[reboç difw'çi, MBarb ta; uJ p o; t h; n g h' n zhtou'çi RVMbisBarb kai; katamanqavnouçin RV. 6-8 La restituzione di Çtºr≥eyiavdhn al r. 6 esclude qui una spiegazione puntuale di v. 192 Tavrtaron, ipotizzata da Athanassiou 1999, p. 116 (levºg≥ei≥ a/{dhn h] t≥ªavrtaron), e suggerisce che in questi righi venisse spiegato piuttosto l’invito rivolto dal Maqhthvç di Socrate agli allievi, affinché rientrino nel
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Aristophanes 15
phrontisterion, dal quale sono usciti – a quanto pare – perché incuriositi dalla presenza di Strepsiade (v. 195): ajllΔ ei[çiqΔ, i{na mh; Δkei'noç uJmi'n ejpituvch/. Ai rr. 7-8, Gronewald 1982, p. 64, ipotizza e[xw fºanevntwn ajn[qrwvpwn tinw'n levgei aujtoi'ç eijçelqei'n, i{na mh; d]arw'çin uJpo; tou' [Çwkravtouç. Per il senso, cfr. sch. 195a kata; to; çiwpwvmenon a[llwn ejxelhluqovtwn ejk tou' frontiçthrivou Barb toi'ç filoçovfoiç fhçivn: o{ti ei[çite ãajnti; tou'Ã eijçevlqete, i{na mh; oJ Çwkravthç eu{rh/ hJma'ç ejntau'qa ejndiatrivbontaç RBarb. 9-11 Queste linee dovevano avere per oggetto una o più espressioni presenti nei versi compresi fra il 202 e il 206, che trovano spiegazione anche negli scolii medievali: v. 202 gewmetriva (r. 9 geªwmetrivan Gronewald); v. 206 gh'ç perivodoç (r. 10 peºrivmetroç Gronewald; r. 11 g≥h'ç ?). Per l’uso dell’imperfetto di oJravw (r. 9 eJwvra), in riferimento alla posizione e all’atteggiamento scenico di un personaggio, cfr. sch. Nub. 328a. 11-12 Lemma e spiegazione del v. 209 wJç tou'tΔ ajlhqw'ç ΔAttiko;n to; cwrivon, con coincidenze verbali che richiamano lo sch. 209 wJç tou'tΔ ajlhqw'ç R: ejn ejrwthvçei: “wJç tou'tov çoi dokei' ajttiko;n cwrivon, ejn w|/ kaqhvmenoi dikavzouçin…” RV. Questa interpretazione antica del verso presuppone che la battuta spetti non al Maqhthvç, ma a Strepsiade, come esplicitato dallo sch. 207 (Ald) (tine;ç e[nqen e{wç tou' “oiJ Δmoi; dhmovtai” tou' gevrontovç façin, e[nioi de; diairou'çin. kai; katΔ ejrwvthçin de; ei\nai to; tou' filoçovfou kai; ejn ajpofavçei duvnatai), richiamato da Athanassiou 1999, p. 117. Dalle coincidenze Gronewald 1982, p. 64, ricava la piena aderenza fra il papiro e lo scolio medievale. Accogliendo questa ipotesi e supponendo che il commentario recasse come lemma l’intero v. 209, si può calcolare un rigo-tipo del papiro di circa 45 lettere e una colonna di scrittura larga cm 11/12. 13-17 Spiegazione del v. 211 hJ dev gΔ Eu[boia, wJç oJra/'ç (Gronewald 1982, p. 64, che però non segue Oellacher nella lettura tΔ, varia lectio del papiro più debole di gΔ concordemente tràdito nei manoscritti medievali) e, con ogni probabilità, del successivo riferimento alla sottomissione dell’isola attuata da Pericle (v. 213), forse con lemma ad hoc tra il r. 14 e il r. 15 (Athanassiou 1999, p. 117). L’Eubea e Pericle figurano congiuntamente nello sch. 213a ejpoliovrkhçan aujth;n ΔAqhnai'oi meta; Periklevouç, kai; mavliçta Calkidevaç kai; ΔEretrievaç; cfr. sch. 213f Periklevouç çtrathgou'ntoç V kataçtrevyaçqai aujth;n pa'çavn fhçi Filovcoroç (FGrHist 328 F 118): kai; th;n me;n a[llhn ejpi; oJmologivaç kataçtaqh'nai, VBarb ÔEçtiaievwn de; ajpoikiçqevntwn aujtou;ç th;n cwvran e[cein V. Athanassiou vede la possibilità di integrare al r. 14 krat]hvçanteç kaqav[per, nel contesto di una digressione di argomento storico analoga a quella su PiloSfacteria (rr. 1-4): la proposta è corroborata dallo sch. 213e (... ejklhrouvchçan de; aujth;n ΔAqhnai'oi k r a t hv ç a n t e ç aujth'ç R) e dalla plausibilità paleografica della lettura kaqap≥[. L’integrazione al r. 15, proposta dubitativamente da Gronewald 1982, p. 64, pare avallata dallo scolio tomano-tricliniano 213c ...
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kai; dia; tou'tov fhçin “oi\da: uJpo; ga;r uJmw'n kai; Periklevouç paretavqh”, richiamato da Trojahn 2002, p. 39, in apparato. Le poche sequenze significative di lettere riconoscibili sulla faccia transfibrale (cei al sesto rigo dal basso, hmen≤oi al quartultimo rigo, ºenontaª al terzultimo e ºceinª al penultimo) consentono soltanto generiche ipotesi di ricostruzione testuale. La sequenza ºenontaª è compatibile con una spiegazione di Nub. 175 ejcqe;ç dev gΔ hJmi'n dei'pnon oujk h\n eJçpevraç (cfr. sch. ad l. dia; tou'to eijç au[xhçin kai; tw'/ kairw'/ çunecrhvçato, ei[ ge mevcri th'ç eJçpevraç aj n a m ev n o n t e ç fagei'n oujde; tovte ei\covn ti pareçkeuaçmevnon: nel papiro ajnamºevnontaª(ç) ?). La stessa sequenza e, al rigo seguente, ºceinª potrebbero essere traccia di lemmi tratti da Nub. 164 e 165 (proçkeivmenon, hjcei'n) oppure riferirsi a Nub. 178 kavmyaç ojbelivçkon (cfr. sch. 178a ajllΔ ejpei; e[deçma me;n oujde;n h\n, wJç ojbelivçkou dei'çqai, pro;ç de; to; ejpilabevçqai kai; aJrpavçai ti kai; k a t a ç c e i' n tou'to h\n crhvçimon, ojrqo;n o[ n t a , fhçiv, to;n ojbelivçkon e[kamyen, i{na diΔ aujtou' klevyai to; iJmavtion dunhqh':/ nel papiro e.g. ojbelivçkon e[kamyºen o[nta ªojrqovn ... pro;ç to; kataçºcei'nª ?). FAUSTO MONTANA
16
P.Stras. inv. 621
sec. VIp
Note marginali a Nub. 1371-1372, 1373, 1376?, 1378?, 1379, 1381, 1383?, 1384?, 1416 Prov.: ?. Cons.: Strasbourg, Bibliothèque Nationale et Universitaire. Edd.: REITZENSTEIN 1900, pp. 602-604; ZUNTZ 1975, pp. 55-56 (1938, pp. 685-686); HOLWERDA 1977, pp. III, 241-243 (Pg); TROJAHN 2002, pp. 40-42; MCNAMEE 2007, pp. 190-191. Tabb.: ⇒ III-IV. Comm.: MP3 149; LDAB 384 CRÖNERT 1901, pp. 511-512; WHITE 1914, p. LXXVI; KOSTER-HOLWERDA 1962, pp. 267-268; DOVER 1968, pp. XCIX-C (P5); GELZER 1971, nr. 9; AUSTIN 1973, fr. 33; ZUNTZ 1975, p. 130; MCNAMEE 1977, pp. 177, 186, 426; TURNER 1977, pp. 27, 103 nr. 20; MERTENS 1996, p. 340; TROJAHN 2002, pp. 188-189; MONTANA 2005, pp. 29-30.
Porzione esterna (cm 10,5 × 12) di un foglio di codice pergamenaceo, dalla superficie piuttosto deteriorata, specialmente nel recto (lato pelo), e lacerata in più punti. Contiene nel recto la parte finale dei vv. 1371-1391 e nel verso (lato carne) l’inizio dei vv. 1407-1428 delle Nuvole; è conservato il margine esterno, ampio circa cm 3,5/3,8, che ospita almeno cinque note nei due lati. Se ne può ricavare, con Reitzenstein1, che la pagina conteneva 36 righi, corrispondenti a uno specchio di scrittura di circa cm 15 × 18 (cm 16 × 18 Zuntz), e che il foglio misurava cm 20 × 26 (classe IV di Turner 1977: “c. 23B × 29H”). La scrittura del testo letterario, una maiuscola regolare e spaziata, è inclinata verso destra e presenta contrasto chiaroscurale secondo un angolo di scrittura molto aperto; si può attribuire al VIp inoltrato2. L’incisione delle linee-guida è ben visibile. Almeno le note al v. 1373 e al v. 1416 si possono assegnare alla mano del testo poetico3. La riscrittura di parti sbiadite del testo della commedia, gli accenti, le paragraphoi apposte nel verso a segnare il cambio d’interlocutore e almeno la nota ai vv. 13711
Cfr. Turner 1977, pp. 27, 103 nr. 20. Cfr. per esempio la terza mano di P.Cair. 10759, Libro di Enoch (Van Haelst 575; LDAB 1088), immagine in Cavallo-Maehler 1987, pl. 41c. 3 Koster-Holwerda 1962, p. 268. 2
P.Stras. inv. 621
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1372, in inchiostro più cupo, spettano probabilmente a mano diversa e più recente4. Dal recto si evince che le parti liriche del dramma erano poste in eisthesis: l’ultima parola del primo verso dell’antistrofe (v. 1391 kºardivaç) termina in corrispondenza del p di v. 1385 ajpavgcwn, da cui risulta una eisthesis della sezione lirica di circa 9 lettere (grosso modo cm 3). Niente rimane dei corti dimetri giambici dello pnigos (vv. 1386-1390), ma la rigatura visibile nella parte superstite della pergamena dimostra che erano distribuiti su cinque righi. Delle note marginali leggibili, tre hanno corrispondenze con gli scolii di tradizione medievale: la menzione della tragedia euripidea Aiolos, cui Aristofane allude parodicamente ai vv. 1371-1372 (gli scolii offrono in più una sintesi della trama del dramma); e inoltre la spiegazione di v. 1381 traulivzontoç, di tenore glossografico, e quella del generico tou'to tou[rgon di v. 1416. Al contrario, non hanno rapporti con gli scolii pervenuti gli altri due marginalia, relativi a v. 1373 ajravttw e a v. 1379 ejn divkh/; il primo è ritenuto varia lectio da Koster e Holwerda, piuttosto che glossema (così invece Zuntz5). Di altri marginalia non restano tracce sicure, nonostante Koster e Holwerda abbiano interpretato in tal senso vari segni isolati o tracce che si riscontrano qua e là sulla superficie della pergamena6. Una traccia minima è visibile nel recto, in corrispondenza del v. 1371, sul bordo superiore del frammento (vd. apparato). Sulla base della parziale convergenza fra gli scolii e le note della pergamena, Zuntz conclude: “auch hier also gleichsam ein Exzerpt aus der Vorlage, die unsere codices reichhaltiger wiederholen”7.
Recto vv. 1371-1372
1
ªEujripivdou rJh'çivn tinΔ, wJç ejkivneiº ªajdelfovç, w\lexivkake, th;n oJmomhtºri≥van aj≥d≥e≥lfhvn ejx Aijovlou 4
Reitzenstein 1900, p. 602. Zuntz 1975, p. 55 (1938, p. 685). 6 Koster-Holwerda 1962, p. 268: h allineato con il v. 1376 (tracce d’inchiostro, ma forse non scrittura), un t con il v. 1378 (segno isolato, forse diple?), un e con il v. 1379, un d con il v. 1383 e infine ancora un d con il v. 1384 (si tratta in realtà di grinze della pergamena). Della revisione dell’originale, anche in questi punti, sono debitore a M. Stroppa. 7 Zuntz 1975, p. 56 (1938, p. 686). 5
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Aristophanes 16
la nota si trova nel margine, a destra del v. 1372 sopra lo i di Aiolou, proprio al bordo superiore del frammento, si vede un tratto concavo verso l’alto (possibile o), seguito dalla parte inferiore di un tratto verticale (i oppure r), probabilmente resti di una nota al v. 1371
[una rhesis di Euripide: che un fratello, dio ci scampi, si faceva la] sorella uterina dall’Eolo ajravttw
v. 1373 Aristophanis textus
3
arravtw perg. (corr. Reitzenstein)
taravtt≥w la nota, in inchiostro più chiaro, si trova nel margine a destra del v. 1373
colpisco
sconvolgo v. 1379
ejn divkºh/ gavr
9
dikaivwç ª≤≤≤≤≤≤ºt≥ª la glossa affianca subito a destra il v. 1379
[a ragione]
giustamente ...
v. 1381
ªtraulivzontoçº
11
≤ª ºl≤zo≥≤≤≤ ç≥ a≥ª ºlal≤u≤≤≤ç ≤ª≤ºpa≤d≤a i tre righi si estendono in corrispondenza dei vv. 1381-1382 1 ≤ª parte superiore di tratto obliquo discendente da sinistra a destra (compatibile con y) ºl≤ si vede il tratto a destra e l’attacco del tratto di sinistra; poi un tratto obliquo discendente da sinistra a destra zo≥ di z restano i tratti orizzontali; segue un segno concavo verso l’alto 2 a≥ possibile anche o≥ 3 ≤a \\ perg. —— 1-3 non leg. Reitzenstein 1 ªyelºlªivºzon≥t ≥ªoçº Koster-Holwerda 1-2 ªa[nº⁄aªrqraº ? KosterHolwerda 2 lalªoºu'ªntoºç Koster-Holwerda 3 ªtºa; p≥aªiºd≥ªivºa ? Koster-Holwerda
[balbettante]
...
P.Stras. inv. 621
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Verso v. 1416
ªtou'to tou[rgonº
10
to; tuvpteçqai la nota affianca a sinistra, a distanza ravvicinata, l’inizio dei vv. 1416 e 1417
[questa cosa]
l’essere picchiato
vv. 1371-1372 Sch. 1372c (Pg) H. Più estesi gli scolii medievali ad l.: sch. 1372a th;n Kanavchn oJ Makareuvç. to; de; “ajlexivkake” dia; mevçou ajnapefwvnhtai. çhmeiou'tai de; to;n Eujripivdou Aijovlon: ejkei' ga;r ta;ç ajdelfa;ç gamou'çin ajdelfoiv. wJç ejpi; ÔHraklevouç de; to; “ajlexivkake”; sch. 1372b gevgraptai dra'ma Eujripivdh/ ou{tw legovmenon, Aijovloç: ejn w|/ parhvgage to;n pai'da Aijovlou Makareva fqeivronta Kanavchn th;n ajdelfhvn. v. 1373 Sch. 1373b (Pg) H. La pergamena è il più antico testimone della lezione eujqevwç ajravttw (arravtw perg., corr. Reitzenstein) al v. 1373, già congetturata da Meineke in luogo di eujqu;ç ejxaravttw di pressoché tutta la tradizione medievale (cfr. Crönert 1901, pp. 511-512; Pasquali 1952, p. 198) e rispecchiata, a quanto consta, nel solo ms. Cant. 1, del XIV sec. (cfr. Koster 1957, p. 137). La nota è stata interpretata come esplicativa da Zuntz 1975, p. 55 (1938, p. 685): “und zwar dürfte ajravttw erklärt sein als entstanden durch e[lleiyiç katΔ ajrchvn, oi|on leivbw -ei[bw, oder – was das gleiche wäre – durch ajpokophv” (con menzione, ibid. n. 4, di “schol. Eur. Hec. 361 oder Et. Gud. 98, 18 (l)afuvççw”); al contrario, intendono la nota come variante di ajravttw, in virtù di un t soprascritto nel testo della commedia, tra eujqevwç e ajravttw, Koster e Holwerda (p. 268; cfr. Holwerda, app. crit. ad sch. 1373b). Tuttavia, di questa varia lectio non c’è traccia nel resto della tradizione; inoltre la tesi sostenuta da Zuntz, che si tratti di una nota di carattere etimologico-grammaticale, pare avallata da EM. p. 746, 34 ss. G. tarachv: ejtumologei'tai me;n para; to; rJao/' n cei'çqai: paravgetai de; para; to; taravççw: tou'to para; to; rJw,' to; fqeivrw, rJaçv çw: meta; tou' çterhtikou' a, ajravççw: kai; pleonaçmw'/ tou' t, taravççw, taravxw, tetavraca. v. 1379 Sch. 1379b (Pg) H. Koster-Howerda 1962, p. 268, giudicano dikaivwç come glossa isolata, “inane sane interpretamentum eius generis, quod magistris byzantinis serioris aevi proprium esse statuere solent”. È tuttavia possibile che la nota avesse maggiore estensione. La parola è seguita da una lacerazione piuttosto ampia della pergamena, che lascia intravedere, a circa cm 2 da dikaivwç e presumibilmente sullo stesso rigo (la superficie è cor-
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rugata), una lettera t≥. I due studiosi ne sospettano la pertinenza a una perduta nota sul v. 1380 (scil. ad kai; pw'ç dikaivwç…): leivpei tuvpºt≥ªomai = sch. 1380. Meglio si può riferirla ancora a v. 1379 ejn divkh/ gavr (gΔ a[n codd. RVM), come séguito e completamento di dikaivwç (che sarebbe dunque parte di una parafrasi): dikaivwç ªga;r tuvpºt≥ªoio vel sim. v. 1381 Sch. 1381a (PgRVEM) H. I tre righi marginali furono individuati ma non decifrati dal primo editore (Reitzenstein 1900, p. 603, nota: “1381 Am Rand ein längeres, für mich ganz unleserliches Scholion”). Zuntz 1975, p. 55 (1938, p. 685), intuì che la nota doveva vertere su v. 1381 traulivzontoç. Si deve la lettura del testo superstite a Koster-Holwerda 1962, p. 268, i quali, riscontrando chiare affinità con lo scholium vetus ad l. (1381a traulivzontoç EMpr.: yellivzontoç RVENMalt. kai; RVE mhde;n e[narqron lalou'ntoç RVEMbis), ricostruirono in tal modo la nota della pergamena (rr. 1 e 2 di 16 lettere): yªelºliv≥zon≥t ≥o≥ç≥ ªkai; a[nº⁄a≥ªrqraº lalo≥u'n≥t ≥o≥ç, ªwJçº ⁄ ªtºa; p≥ai≥d≥iv≥a. La ricostruzione ha ampi margini di plausibilità; permane il dubbio sull’integrazione a[nº⁄aªrqraº, in quanto “spatium inter a≥ et lalªoºu'ªntoºç duas tantum vel ad maximum tres litteras continere potuit, ni fallimur” (ibid.). Al problema si può ovviare supponendo un’abbreviazione (e ritoccando altresì l’integrazione in direzione di un testo più affine a quello dello sch. 1381a), e.g. yªelºliv≥zon≥t ≥o≥ç≥, ªmh; e[nº⁄a≥ªrqr(on)º lalo≥u'n≥t ≥o≥ç, ªwJçº ⁄ ªtºa; p≥ai≥d≥iv≥a (rr. 1 e 2 di 15 lettere). Le lettere leggibili al terzo rigo sono seguite dal segno \\, da intendere con ogni probabilità come indicazione della fine di nota (cfr. Trojahn 2002, p. 41, apparato ad l.). v. 1416 Sch. 1416 (PgRVERs) H. Il glossema figura identico nel manoscritto R, un poco diverso in V (tuvptein), E (tuvpteçqai dhlonovti) e Rs (tuvpteçqai to;n pai'da). FAUSTO MONTANA
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MPER N.S. I 34 + P.Vindob. G 29833 C
sec. Vp
Commentario a Pax 408?-415, 457-466 Prov.: ? Cons.: Wien, Nationalbibliothek, Papyrussammlung (inv. 29780 + 29833 C). Edd.: GERSTINGER 1932, p. 167; GRONEWALD 1982, pp. 64-69; TROJAHN 2002, pp. 45-47. Tab.: GRONEWALD 1982, Taf. II a-b. Comm.: MP3 149.2 (= Pack2 2865); LDAB 376; CPP 0147 RADT 1977, p. 14; TURNER 1977, p. 123 nr. 431; DEL FABBRO 1979, pp. 126, 132; LUPPE 1992, p. 76; MAEHLER 1994, p. 124; MERTENS 1996, p. 340 (nr. 149.1); OLSON 1998, p. LI (P2); ATHANASSIOU 1999, pp. 117-121; TROJAHN 2002, pp. 157, 165-166; MONTANA 2005, pp. 35-39; MONTANA 2006, pp. 24-25; STROPPA 2008, pp. 57-58; STROPPA 2009 (nr. 8); MONTANA 2011, p. 154 n. 159.
Di questi due piccoli frammenti di codice papiraceo, il primo (cm 3,5 × 2,4; rr. 1-6 su entrambe le facce) fu edito nel 1932 da Gerstinger fra i MPER; il secondo (cm 2 × 1; rr. 7-9 su entrambe le facce) fu riconosciuto come appartenente al medesimo foglio di codice e come contiguo al primo, benché non combaciante con esso, da Hermann Harrauer1. L’identificazione del contenuto si deve a Gronewald, che ragionevolmente propende per interpretare il testo come commentario continuo (hypomnema), piuttosto che come note marginali, avendo valutato una consistenza originaria di ca. 35 lettere per rigo, equivalenti a un’ampiezza approssimativa di cm 14 (cfr. le proposte in apparato a recto, rr. 1-2 e verso, rr. 6-7). In effetti, la quantità di testo della Pace coinvolta negli interventi esegetici non è compatibile con una loro adeguata collocazione a fianco del testo letterario; parimenti, il numero dei righi conservati porta a escludere che i due frammenti appartenessero al margine inferiore o superiore di un foglio contenente versi della commedia (la possibilità è contemplata in via cautelare da Gronewald)2. Considerando l’ultimo verso della commedia commentato nel recto (v. 415) e l’ultimo commentato nel verso (v. 466), si può calcolare che la pagina del codice potesse contenere il commento di circa 50 versi.
1
In Gronewald 1982, p. 65. Gronewald 1982, p. 66 n. 1; cfr. anche Trojahn 2002, p. 45 n. 1; contra Turner 1977, p. 123 nr. 431 (“marginal commentary”). 2
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Nonostante una generica affinità paleografica con il coevo commentario alle Nuvole MPER N.S. III 20 ⇒ 15, fra i due papiri sussistono chiare discrepanze che negano la loro appartenenza al medesimo codice: il colore dell’inchiostro (qui nero cupo), il tratteggio di alcune lettere (specialmente e ed h), l’assenza nell’altro papiro di abbreviazioni per sospensione o troncamento, che in questo sono invece frequenti (due nel recto, rr. 6 e 8; tre nel verso, rr. 4, 6, 8)3. L’esiguità e lo stato frammentario del papiro lasciano aperti vari dubbi circa l’estensione e il livello del commento. Ne risulta altresì vanificata la possibilità di un confronto con il contenuto di un altro testimone papiraceo di esegesi alla Pace, P.Duk. inv. 643 ⇒ 18, anch’esso datato al Vp, nel quale al v. 466 sono riservati cinque righi di annotazione marginale. Gronewald integra lemmi lunghi, coincidenti con un verso intero o anche più, prospettando nella sostanza un commentario a lemmi continui. Tuttavia, questa ricostruzione non è esente da punti deboli. Per quanto riguarda il recto, vi è la possibilità che i primi righi superstiti concernessero i vv. 406-408 e non i vv. 410411 (dunque con un salto dell’esegesi dal v. 408 al v. 412 o 413); non vi sono elementi per ritenere che il v. 412 fosse spiegato (nulla su questo verso negli scolii medievali); se si accoglie la plausibile interpretazione dei rr. 6-9 proposta da Athanassiou (con lemma al r. 6 pºarevt(rwgon): vd. il commento), il lemma tratto dai vv. 414-415 si interrompeva a metà del secondo verso. Infine, nel verso non si rinvengono tracce di testo o spiegazione rapportabili ai vv. 458, 459 (?), 460-464. I resti del commento attestati nel recto risultano vertere su tutte le stesse parti di testo spiegate anche negli scolii di tradizione medievale e, in più, su v. 415 parevtrwgon (rr. 6-9); nel verso, il commento si differenzia dagli scolii per la menzione di Sofocle al r. 4 (ad v. 457). Un contatto con la lessicografia atticista è stato ravvisato a recto, r. 4, ad v. 413 teletavç = quçivaç? (cfr. sch. 413b). Nel verso, rr. 5-6, figurano due semeia: uno in forma di diple obelismene e un altro consistente in un tratto obliquo tra punti (cfr. il commento ad l.).
Recto (%) ä ä ä º me;n≥ g≥a;≥r≥ ª “Artºemiç çelhvªnh º i{na ta;ç telªeta;ç ºç teleta;ç tª 3
(408?) (413)
Cfr. McNamee 1981, p. 93 (Çofokl(h'ç)); Ead. 1985, pp. 212 (eijrhvnh), 213 (kaiv).
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ºç levgein telª pºarevt(rwgon) ≤≤ª º ÔErm≥h'≥ç≥ ª º k(ai;) hJmeª pºarevtªrwgon ä ä ä
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(415)
3 i>na pap. 6 ºaret pap. probabile k≥a≥[ 8 ºkù pap. —— 1 ºmen≥ t≤ª Gerstinger 1-2 oJº me;n ga;r ªh{lioç ΔApovllwn ejnenov⁄miçto, hJ de; “Artºemiç suppl. Gronewald 2 suppl. Gerstinger 3 telªeta;ç suppl. Gerstinger 3-4 telªeta;ç lavboien aujtoi; ⁄ tw'n qew'n (v. 413) suppl. Gronewald 4 ta;ºç suppl. Gerstinger 5 telªet- suppl. Gronewald 6 pºarevt(rwgon) Athanassiou : ajrethv (?) Gerstinger kauª Gerstinger 9 suppl. et ut lemma habuit (fort. recte) Gronewald
Verso ($)
5
ä ä ä º≤e≥p≥ª º≤wi: pote; d≥ª º “Arei to;n ΔEnªuavlion ºn Çofokl(h'ç) nª th;]n ÔEkavthn >— ª º≤çet(ai) İ ouj x≥ªullhvyeçqΔ… º Boiwtoªiv eijºrhvn(hç): ≤ª º≤ª ä ä ä
(457)
(465) (466)
2 º≤ asta verticale compatibile con h, i, n, meno probabile p º≤wi: pap. 4 çofoklù pap. 6 º≤ minima traccia che lambisce ç in alto a sinistra (ç o e?) º≤çetù pap. 8 ºrhnù: pap. —— 1 e≥p≥ª Gronewald : e≥r≥i ≥ª Gerstinger 3 tw'iº suppl. Gronewald ΔEnªuavlion suppl. Gronewald 5 suppl. Gerstinger 6 ºç≥çet(ai) Gerstinger ourª Gerstinger 6-7 lemma ouj x≥ªullhvyeçqΔ… oi|Δ ojgkuvlleçqΔ: oijmwvxeçqΔ, oiJº Boiwtoªiv (vv. 465-466) suppl. Gronewald 8 eijºrhvn(hç) Gronewald
Recto 1-2 Gronewald riferisce i due righi di spiegazione ai vv. 410-411 hJmei'ç me;n uJmi'n quvomen, touvtoiçi de; ⁄ oiJ bavrbaroi quvouçin (cfr. Athanassiou 1999, p. 117) e trae uno spunto d’integrazione (vd. l’apparato critico) dalla frase fina-
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le dello sch. 409-411b ejpieikw'ç oiJ bavrbaroi tovn te h{lion kai; th;n çelhvnhn qew'n ma'llon pavntwn çevbouçin. dia; tou'to de; kai; th;n Dh'lon kai; th;n “Efeçon ouj dielumhvnanto: oJ m e; n g a; r h{ l i o ç ΔA p ov l l w n ej n e n ov m i ç t o, hJ d e; “A r t e m i ç ç e l hv n h. Non è tuttavia necessario supporre anche nel papiro l’asimmetria di soggetto (il sole/Artemide) e predicativo (Apollo/la luna) nelle due coppie di termini, quale si osserva nello scolio (oJ me;n ga;r h{lioç ΔApovllwn ... hJ de; “Artemiç çelhvnh): cosicché sembra più appropriato ricostruire oJ] me;n≥ g≥a;≥[r ΔApovllwn h{lioç ejnenovº⁄ªmiçto ktl. La spiegazione in esame ricorre, oltre che nelle fonti scoliografiche citate, anche nel commentario su papiro alla cosiddetta ‘elegia dell’ostrica’, P.Louvre inv. 7733v = SH 984 (MP3 1763.3; LDAB 7038), in particolare i rr. 2627 ... hJ çelhvªnhº ⁄ k≥ai; hJ “Artemiç ≤ª≤≤≤≤≤≤≤º≤≤≤ k≥ai; oJ ΔApovllwn, nelle quali Lloyd-Jones e Parsons (SH, p. 500) ipotizzano di integrare i[≥ç≥h≥ g≥a≥;r≥ hJ çelhvªnhº ⁄ k≥ai; hJ “Artemiç, h≥|ªiper oJ h{lºi≥o≥ç≥ k≥ai; oJ ΔApovllwn4. Sussiste la possibilità che nel papiro la spiegazione si riferisse non ai vv. 410-411, ma al v. 408, cui lo sch. 409-411b è in realtà collegato nei manoscritti che lo tramandano. La prima parte dello scolio (ejpieikw'ç ... çevbouçin), con la notizia sul culto orientale di Helios/Apollo e Selene/Artemide, di ascendenza erodotea (I 131, 2, dei Persiani; cfr. IV 188, degli abitanti della Libia), è riecheggiata compendiariamente negli sch. 409-411a (dokou'çi ga;r oiJ bavrbaroi touvtouç mavliçta qerapeuvein tw'n qew'n) e 410-411, che menziona la fonte storiografica (o{ti oiJ bavrbaroi to;n h{lion kai; th;n çelhvnhn timw'çin, wJç ÔHrovdotoç iJçtorei'). La seconda parte dello scolio (dia; ... çelhvnh) adduce una prova storica del sacro rispetto dei Persiani verso le due divinità orientali omologhe di Apollo e di Artemide, cioè il fatto che essi abbiano risparmiato i loro massimi santuari greci, quello delio (Hdt. VI 97) e quello efesio (Strab. XIV 1, 5). Questa seconda parte è complementare e funzionale alla precedente (dia; tou'to dev): pertanto si può ragionevolmente ritenere che lo sch. 409-411b rispecchi, più ampiamente e più fedelmente degli altri due (409-411a, 410-411), il tenore dell’unico commento da cui essi sono derivati. L’andamento logico dello scolio implica che il commentatore avesse in mente non tanto i vv. 409411 (i Greci sacrificano agli dèi olimpi, i barbari solo ad Apollo e Artemide), rispetto ai quali suonerebbe tautologico, bensì (anche) i vv. 406-408 (Selene e Helios tradiscono i Greci a vantaggio dei Persiani), nei cui confronti esso 4 La duplice corrispondenza instaurata fra divinità del pantheon tradizionale e astri celesti è ricondotta da Lasserre, da un lato, alla riflessione teologica e cosmologica di marca stoica e, dall’altro, all’esegesi letteraria aperta all’interpretazione allegorica, che allo stoicismo si ispira. In relazione alla coppia Apollo-Artemide, il primo versante è ben rappresentato da Diogene di Babilonia (fr. 33 von Arnim kai; to;n h{lion me;n ΔApovllw, th;n de; çelhvnhn “Artemin), il secondo dal suo allievo Apollodoro di Atene (FGrHist 244 FF 95-99g, dal Peri; qew'n, e.g. F 99 ΔApovllwn oJ h{liovç ejçtin, “Artemiç de; hJ çelhvnh), cui Lasserre 1975, pp. 174-176, è propenso ad assegnare la paternità del commentario all’elegia anonima.
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svolge la funzione di un inquadramento storico e religioso. La tradizione manoscritta dei tre scolii conferma questa connessione: – gli sch. 409-411a e 409-411b sono contingui e consecutivi nei mss. VGLh, nei quali il collegamento è stabilito, secondo l’uso, con un dev all’inizio del secondo scolio (ejpieikw'ç de; ktl: Holwerda, app. crit. ad l.); lo sch. 409-411a è unito al v. 408 tramite lemmi (th;n ÔEllavda V; toi'ç barbavroiç prodivdoton G, con aggiunta di un semeion numerico su barbavroiçi nel testo; toi'ç barbavroiç Lh); parimenti, lo sch. 409-411b è unito al v. 408, nel ms. Vpr, dal lemma toi'ç barbavroiç; – diversamente dai due precedenti, lo sch. 410-411 (di contenuto analogo al 409-411a) è collegato in RVG a v. 410 touvtoiçi mediante semeia (İ o numero), in G anche con il lemma (erroneo) touvtoiçi de; tou;ç barbavrouç. Il legame che in VGLh vincola gli sch. 409-411a e 409-411b al v. 408 è chiaramente più solido di quello che in RVG unisce lo sch. 410-411 al v. 410. Analogamente ai tre scolii di tradizione medievale, anche i rr. 1-2 del commentario viennese si riferiscono al v. 408 (o ai vv. 406-408) più opportunamente che ai vv. 410-411. Questa conclusione non è priva di conseguenze sulla valutazione delle caratteristiche dello hypomnema (vd. supra, nell’introduzione al papiro, p. 108). 3-5 Il r. 3 riporta l’inizio del v. 413. Gronewald (seguito da Trojahn 2002, p. 46) ripristina l’intero verso in funzione di lemma e al r. 5 prospetta quçivaºç levgein telªetavç sulla base dello sch. 413b parathrhtevon, o{ti ejntau'qa ajnti; tou' “ta;ç quçivaç” kei'tai to; “teletavç”. L’equivalenza semantica è attestata nella lessicografia atticista: AelD. t *6 E. telethv: quçiva muçthriwvdhç = Phot. Lex. p. 574, 15 P., Sud. t 267 A., EM. p. 751, 11 G.; cfr. Hsch. t 424 H.-C. teletaiv: eJortaiv. quçivai. muçthvria; S t 76 C. telethv: quçiva. La restituzione nel papiro è fortemente ipotetica. 6-9 Al r. 6, dopo ºajret(hv) proposto da Gerstinger e il silenzio in proposito di Gronewald, Athanassiou 1999, p. 119, ha ritenuto di sciogliere e integrare pºarevt(rwgon) (v. 415) in funzione di lemma, anticipandolo così dal r. 9, dove lo voleva Gronewald (cfr. Trojahn 2002, p. 46); di conseguenza, i resti dei rr. 7-9 devono essere considerati parte della spiegazione. Poiché questa verte inequivocabilmente anche sul v. 414, se ne evince che il lemma comprendeva almeno parte di entrambi i versi (tau'tΔ a[ra pavlai tw'n hJmerw'n pareklevpteton ⁄ kai; tou' kuvklou parevtrwgon uJfΔ aJrmatwlivaç). I rr. 7-8 hanno minime ma precise coincidenze verbali con gli scolii al v. 414: sch. 414a çuntivqetai oJ ÔErmh'ç, kaiv fhçin, o{ti dia; tau'ta oJ me;n h{lioç parevklepte tw'n hJmerw'n, hJ de; çelhvnh tou' kuvklou; sch. 414b o{ti ejpeida;n i[çai aiJ hJmevrai kai; oiJ mh'neç gevnwntai, e[kleiyiç givnetai. Al r. 9 pºarevtªrwgon si può spiegare come parte di una parafrasi dei due versi (Athanassiou 1999, p. 120), oppure come ulteriore lemma di un’unica parola, cui fosse dedicata un’apposita spiegazione o glossa: per un caso del genere cfr. P.Oxy. LXVI 4509 (⇒ 25), fr. 1, 2-6.
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Verso 1-5 Almeno nella prima parte si tratta di una spiegazione del v. 457 “Arei de; mhv. - mhv. - mhdΔ ΔEnualivw/ ge. - mhv. Gli scolii medievali registrano le tesi contrapposte sulla possibile identità di Ares ed Enialio: sch. 457a pro;ç tou;ç oijomevnouç tw'n newtevrwn to;n aujto;n ei\nai “Area kai; ΔEnuavlion; sch. 457b katΔ ejpivqeton. tine;ç de; “Arewç kai; ΔEnuou'ç levgouçi to;n ΔEnuavlion, oiJ de; Krovnou kai; ÔRevaç; sch. 457c ΔAlkma'na levgouçin oJte; me;n to;n aujto;n levgein, oJte; de; diairei'n. Sulla scorta di r. 2 poted≥ª e di r. 3 ºareitonenª, Gronewald ricostruisce i rr. 1-3 sulla falsariga del citato sch. 457c: ΔAlkma'nº d≥e ;≥ p≥ªote; me;n to;n aujto;n ei\nai “Area ΔEnualºiv≥wi, pote; dªe; ouj to;n aujto;n ei\nai levgei tw'/º “Arei to;n ΔEnªuavlion (ricostruzione accolta a testo da Trojahn 2002, p. 47). La possibilità della menzione di Alcmane nel papiro, come nello sch. 457c, è avvalorata dalla successiva citazione, al r. 4, di un parallelo sofocleo (caduto in lacuna e richiamato da Radt 1977, p. 14). Il commentatore si riferiva verosimilmente ad Ai. 179 h] calkoqwvrax h[ (h[ codd., çoiv Reiske, alia alii) tinΔ ΔEnuavlioç, nel quale la tradizione manoscritta distingue le due divinità omologhe e uno scolio ad l. (179a Chr.) postilla: diaçtevllei to;n “Area ajpo; tou' ΔEnualivou wJç e{teron daivmona uJpourgo;n tou' meivzonoç qeou'. kai; dh'lon ejk tw'n çundevçmwn ktl. Persuade anche l’ipotesi che r. 5 ÔEkavthn testimoni un riferimento del commentatore al diwvnumon Artemide/Ecate, parallelo a quello di Ares/Enialio, suggeritogli dalla menzione di Artemide al v. 172 dell’Aiace (h\ rJav çe Tauropovla Dio;ç “Artemiç), al principio della stessa strofe corale cui appartiene il citato v. 179: cfr. Gronewald 1982, p. 68; Athanassiou 1999, pp. 120-121. Tutta questa parte del commentario, ricostruita congetturalmente e riguardante i paralleli sofoclei, non trova riscontro negli scolii medievali ad Aristofane. 5-6 Sfugge il contenuto del commento compreso fra i due semeia. È stato supposto che il segno in forma di diple obelismene segnalasse l’inizio della sequenza strofica in eisthesis dei vv. 459-472 (rilevato anche nello sch. 459a diplh' kai; ei[çqeçiç ãeijç perikoph;nà ajmoibaivan tou' corou' kai; tou' uJpokritou' ejn ejpeiçqevçei kai; parekqevçei: Gronewald 1982, p. 68), secondo un impiego attestato di questo semeion5. Tuttavia esso potrebbe assolvere qui una semplice funzione di scansione testuale fra note diverse6. Si può in tal caso ipotizzare
5
Turner 1987, p. 12 n. 60; Barbis 1988, pp. 473-476. Il segno è attestato nell’àmbito della prosa letteraria e paraletteraria, nel rigo all’interno della colonna di testo e apparentemente con la funzione di scandirlo, anche in P.Ryl. III 530 (IV p), contenente aforismi ippocratici accompagnati da parafrasi-commento; P.Mil.Vogl. I 15 (inizi del IVp), questionario medico; P.Oxy. IV 654 (metà o fine del IIIp), con detti di Gesù (cfr. Pl. I dell’ed. pr., ove il semeion è definito coronis da Grenfell e Hunt). Ringrazio Daniela Manetti per la segnalazione di questi paralleli. 6
MPER N.S. I 34 + P.Vindob. G 29833 C
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che nel papiro aristofaneo fra i due segni trovassero posto un breve lemma e un’osservazione di contenuto forse grammaticale (çuntavºç≥çetai ?). 6-8 Sul tratto obliquo puntato vd. McNamee 1992, p. 18, e cfr. P.Oxy. XI 1371 ⇒ 13, ad Nub. 3. Anche in questo caso Gronewald suppone che nello hypomnema figurasse un ampio lemma comprendente i vv. 465-466. I resti che si leggono al r. 8 (eijºrhvn(hç):) lasciano spazio alla suggestiva possibilità, purtroppo non verificabile, che la spiegazione coincidesse con quanto leggiamo nei margini di P.Duk. inv. 643r ⇒ 18 (note a v. 465 ojgkuvlleçqΔ e v. 466 oiJ Boiwtoiv) e negli sch. 465 e 466, in particolare nel secondo: o{ti mhde;n aujtoi'ç mevlei th'ç eijrhvnhç. ejpi; ga;r tou' ΔAlkaivou çponda;ç aujtoi'ç fhçi gegonevnai Filovcoroç (FGrHist 328 F 131) penthkontaetei'ç ΔAqhnaivoiç kai; Lakedaimonivoiç kai; toi'ç çummavcoiç plh;n Boiwtw'n kai; Korinqivwn kai; ΔHleivwn. Su questa base Gronewald si spinge a ipotizzare ai rr. 7-8 del papiro viennese o{ti mhde;n aujtoi'ç mevlei th'ç eijºrhvn(hç): ej≥ªpi; ga;r ΔAlkaivou ktl. FAUSTO MONTANA
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P.Duk. inv. 643
sec. Vp
Note marginali a Pax 464, 465, 466, 474, 513, 516 Prov.: ? Cons.: Duke University, Special Collections Library. Edd.: SMITH 1996, pp. 155-160; TROJAHN 2002, pp. 48-50; MCNAMEE 2007, pp. 191-192. Tabb.: SMITH 1996, XVII, Abb. 28; LUPPE 2002a, p. 70, Abb. 2 (recto); http://www.columbia.edu/cu/lweb/projects/digital/apis/. Comm.: MP3 149.21; LDAB 355 LUPPE 1997a, pp. 7-10; LUPPE 1997b, p. 98; OLSON 1998, pp. LI-LII (P3); ATHANASSIOU 1999, pp. 121, 125-126; LUPPE 2002a, pp. 56, 70; MONTANA 2002b, pp. 25-28; TROJAHN 2002, pp. 171, 185-187; MONTANA 2005, pp. 39-42; MONTANA 2006, pp. 24-25.
Questo piccolo frammento (cm 4,1 × 8,2) di un codice papiraceo contenente la Pace conserva nel recto (%) scarsissimi resti delle lettere finali dei vv. 474 e 476 e, a destra del testo comico, note marginali lacunose riferibili ai vv. 464, 465, 466 e 474; nel verso ($) si leggono magri resti della parte iniziale dei vv. 507-523, affiancati a sinistra da tracce molto esigue di due marginalia. La scrittura del testo e delle note, non priva di elementi di corsività, già assegnata al IIIp da L.P. Smith1, è datata al Vp da H. Maehler2. Le caratteristiche paleografiche e la qualità dell’inchiostro conducono a una medesima mano per il testo e per le note. Da segnalare l’uso di paragraphoi (verso) e dicola (recto) per indicare cambio di personaggio nel testo della commedia; il dicolon suggella anche la lunga nota al v. 466. L’eisthesis dei vv. 512-519 indica che la disposizione del testo seguiva la stessa colometria della tradizione medievale (cfr. sch. 512a e 512b). A breve distanza di tempo dall’editio princeps di Smith, Luppe ha proposto persuasivamente una diversa disposizione dei marginalia del recto rispetto al (qui perduto) testo comico, ritenendo che l’ampio tratto di margine esterno rimasto libero al di sopra delle note, alto circa cm 3,5, affiancasse i vv. 459-463 (w\ ei\a. ⁄ ei\a mavla. ⁄ w\ ei\a. ⁄ ei\a e[ti mavla. ⁄ w\ ei\a, w\ ei\a.), privi d’interesse per un annotatore. Lo studioso ha individuato nei primi due righi marginali due note distinte, la prima al v. 464 e la seconda al v. 465, e ha riferito 1 2
Smith 1996, pp. 155-157. In Athanassiou 1999, p. 126 con la n. 39.
P.Duk. inv. 643
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al v. 466 i cinque righi successivi (già riconosciuti da Smith come parte di un’unica annotazione di contenuto storico, sul pervicace bellicismo dei Beoti nel corso della Guerra Archidamica). Da questa disposizione, considerando l’altezza delle interlinee delle note e del testo (ricavabile, quest’ultima, dal verso del frammento) e tenendo conto del fatto che gli ultimi tre righi di annotazione presenti nel recto affiancavano sicuramente i vv. 474-476, Luppe deduce che nel testo della commedia mancassero i vv. 467-468 (ei\av nun. ⁄ ei\a w\) – che, a vero dire, potevano essere scritti di seguito al v. 466 –, nonché i corrispondenti vv. 494-495 dell’antistrofe, e che pertanto la pagina del codice contenesse 44 righi3. Dalla dimensione delle interlinee e delle lettere del testo principale si può calcolare uno specchio di scrittura di ca. cm 11 × 20; dal recto, se le ipotesi di ricostruzione delle note che vi trovavano posto sono valide, si evince un margine destro di almeno cm 6. Il frammento è dunque compatibile con le classi 1-5 di Turner 1977. Nel recto del papiro si leggono i resti di 10 righi marginali, appartenenti a 4 note distinte, a fronte di 16 versi della commedia. Dal verso del frammento, nel quale è lacunoso anche il margine sinistro (esterno), attiguo alle poche lettere conservate del testo comico, non possiamo ricevere una conferma diretta di questa concentrazione di interventi marginali; è tuttavia indicativo in tal senso il fatto che lo spazio qui lasciato libero dall’eisthesis dei vv. 512-519 rechi tracce di due marginalia (a sinistra dei vv. 513 e 516), il secondo dei quali una glossa atticista4. La quantità di annotazioni in rapporto al testo commentato è dunque piuttosto rilevante5, tanto più se si considera che i vv. 459-463 della commedia (recto) non richiedono spiegazione6. Questo elemento induce ad avvicinare congetturalmente questo papiro al tipo rappresentato da BKT IX 5 ⇒ 6 e da P.Oxy. XI 1371 ⇒ 13, con i quali sembra condividere anche altre rilevanti caratteristiche: la cronologia su base paleografica (Vp); un uso forse distintamente specializzato dei côtés destro (note contenutistiche di respiro relativamente ampio, talvolta apposte sfruttando lo spazio dello specchio di scrittura rimasto bianco per la presenza di versi più brevi) e sinistro (brevi note e glosse) di ciascuna pagina; la marcata vicinanza di forma e di contenuto dei marginalia con i corrispondenti scolii medievali. Questo papiro e MPER N.S. I 34 + P.Vindob. G 29833 C ⇒ 17, hypomnema alla Pace, offrono sino a ora l’unico caso di esegesi a un medesimo passo aristofaneo (Pax 466) in papiri diversi. Tuttavia le condizioni dei due testimoni non consentono di stabilire un preciso confronto, ma solo di intravedere una
3
Luppe 1997a, p. 9. Montana 2002b, pp. 25-28. 5 Di diverso avviso Trojahn 2002, p. 185. 6 Luppe 1997a, p. 8; cfr. Trojahn 2002, p. 165, sull’assenza di spiegazioni ai medesimi versi nello hypomnema MPER N.S. I 34 + P.Vindob. G 29833 C ⇒ 17. 4
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Aristophanes 18
possibile contiguità, grazie allo sch. 466 (citazione di Filocoro sullo scarso interesse dei Beoti per la pace con Atene). Si deve osservare come, in entrambi i papiri, l’uso di glosse atticiste fosse probabilmente associato alla citazione della fonte attidografica (Filocoro) indicata dagli scolii medievali ad Aristofane come la prediletta dai commentatori alessandrini per documentare gli avvenimenti storici del V secolo a.C. rispecchiati in commedia7.
Recto (%) v. 464
ªajllΔ oujc e{lkouçΔ a[ndreç oJmoivwçº
?
ªoujºc≥ oJ≥mobouv≥l≥w≥ç ªe{lkouçinº la nota si trova nel margine esterno, sulla destra del v. 464 (in lacuna) i segni in prossimità del bordo sinistro sono interpretabili come la metà destra di un c, seguita dalla traccia di una lettera di piccolo modulo —— legit et suppl. Luppe; povºl≥emon≥ a≥n≥t ≥i ;≥≤ª Smith
[ma gli uomini non tirano allo stesso modo] [non tirano] con animo concorde v. 465
ªojgkuvlleçqΔº
?
p≥eribavlleçªqºe ªto;n o[gkonº la nota si trova nel margine esterno, sulla destra del v. 465 (in lacuna) —— ªto;n o[gkonº suppl. Luppe
[insuperbite] v. 466
5
7
vi date [delle arie] [oiJ Boiwtoiv] o≥u|≥toi oujc e{lªkouçin, o{ti mhde;nº aujtoi'ç mev≥ªlei th'ç eijrhvnhç.º çpºo≥n≥dai; ej≥p≥ªepoivhnto toi'ç ΔAqh-º naivºo≥i ≥ç e≥ijç L≥a≥ªkedaivmona a[neu Boi-º wtºw'n.
Montana 1996a, pp. 174-180.
?
P.Duk. inv. 643
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la nota si trova nel margine esterno, sulla destra del v. 466 (in lacuna) 5 ºwn Ú pap. —— 1-5 legit et suppl. Luppe 1 oiJ Boiºw≥toi; Smith 2 º≤≤aujto;n≤≤ª Smith 4 º≤o≤oiç p≥l≥ªh;n Smith
[i Beoti] questi non tirano, [perché] a loro [non interessa affatto la pace.] Una tregua [era stata stipulata dagli Ateniesi] con [Sparta senza i Beoti]. v. 474
ªth'ç çh'ç mormovnºo≥ç≥
?
parªa; th;n Mormw; kai; th;n Gorgovnaº h}n ei\ªcen oJ Lavmacoç ejpivçhmon.º ou{tw≥ªç e[legon to; ejkfovbhtron.º la nota si trova nel margine esterno, sulla destra del v. 474, di cui restano le lettere finali ºo≥ç≥ seguite da dicolon —— 1-3 suppl. Smith
[la tua Mórm...one] deriva [da Mormò e Górgone,] che [Lamaco portava come insegna.] Così [designavano lo spauracchio].
Verso ($) ªoJmou'º
v. 513
7
e≥jg≥guvç la nota si trova nel margine esterno, sulla sinistra del v. 513, che è in eisthesis rispetto ai precedenti versi egΔguç pap. —— e≥g≥guç legi : º≤d≥i ≥Δ eiç Smith
[insieme] v. 516
vicino h[dªh Δçti; tou'tΔ ejkei'no
10
º≤≤≤e≥in≥ la nota si trova nel margine esterno, sulla sinistra del v. 516, che è in eisthesis due lettere; segue una lettera che presenta un’alta asta verticale (probabile k) —— fort. to; ejxºev≥l≥k≥e ≥in≥, ad v. 516 tou'tΔ ejkei'no (cfr. v. 511) : to; ajnºe≥l≥q≥e ≥i 'n≥ ? Trojahn
labili tracce di
118
Aristophanes 18
v. 464 La lettura di Luppe, oltre che paleograficamente plausibile, è avvalorata dalla consonanza con lo sch. 464 oujc oJmoqumado;n e{lkouçin. ÔOmobouvlwç invece di oJmoqumadovn può spiegarsi con il fatto che il secondo è termine non usuale, come dimostra la sua presenza nei lessici: Hsch. o 752 L. (glossato oJmou', oJmoyuvcwç) e S o 144 C. = Phot. Lex. p. 332, 21 P. e Sud. o 269 A. (spiegato oJmofrovnwç, oJmoyuvcwç). v. 465 Lo sch. 465 parafrasa to;n o[gkon peribavlleçqe, una spiegazione di ojgkuvlleçqai diffusa nella lessicografia: Hsch. o 48 L. o[gkon peribeblh'çqai e Phot. Lex. p. 615, 3 P. o[gkouç peribavlleçqai = Sud. o 24 A., che cita Av. 458 e 465 e, a seguire, riporta lo scolio citato. Luppe 1997a, p. 8, inferisce nel papiro la posposizione dell’oggetto to;n o[gkon, al contrario di quanto avviene nello sch. 465, valutando come insufficiente lo spazio di margine disponibile prima di p≥eribavlleçªqºe se si ammette che i perduti vv. 464 ss. fossero posti in eisthesis. v. 466 Lo sch. 466 spiega lo scarso impegno dei Beoti nelle operazioni di recupero di Eirene ricordando come nella realtà storica essi non fossero interessati alla pace con Atene e citando in proposito la testimonianza di Filocoro (FGrHist 328 F 131) o{ti mhde;n aujtoi'ç mevlei th'ç eijrhvnhç. ejpi; ga;r RVG tou' VG ΔAlkaivou çponda;ç RVG aujtoi'ç G fhçi gegonevnai Filovcoroç penthkontaetei'ç ΔAqhnaivoiç kai; Lakedaimonivoiç kai; toi'ç çummavcoiç plh;n Boiwtw'n kai; Korinqivwn kai; ΔHleivwn RVG. La prima parte dello scolio (o{ti ... eijrhvnhç) e quanto rimane all’inizio della nota nel papiro persuadono della loro sostanziale coincidenza e orientano la restituzione del testo in lacuna secondo la proposta di Luppe. Anche alcuni termini della testimonianza filocorea, riferita nella seconda parte dello scolio, trovano riscontro in tronconi di parola presenti nel papiro (çpondavç ~ ºo≥n≥dai; ΔAqhnaivoiç kai; Lakedaimonivoiç ~ ºo≥i ≥çe≥içl≥a≥ª ). Tuttavia, lo spazio che si può supporre disponibile nel margine non consente la restituzione di un testo ampio come nello scolio, obbligando a escludere la menzione della fonte e l’elenco completo delle comunità che ritennero di doversi astenere dalla tregua (cosicché è inevitabile integrare ªBoi⁄wtºw'n al termine della nota). Se la ricostruzione è corretta, dobbiamo concludere che l’annotatore del papiro abbreviò la sua fonte esegetica più di quanto abbia fatto il compilatore dello scolio. Una spiegazione dei vv. 465466, probabilmente consonante con la citazione di Filocoro presente nello sch. 466, si legge nel coevo frammento di hypomnema alla Pace su codice MPER N.S. I 34 + P. Vindob. G 29833 C (⇒ 17), rr. 6-88. Ciò non basta, ovviamente, a dimostrare un rapporto diretto fra i due testimoni. Ne consegue però la probabile derivazione delle note dei papiri e dello scolio da una medesima tra-
8 Gronewald 1982, p. 68, ricostruisce così l’inizio del commento viennese in questo punto: o{ti mhde;n aujtoi'ç mevlei th'ç eijºrhvn(hç): ej≥ªpi; ga;r ΔAlkaivou ktl.
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dizione esegetica, la cui matrice alessandrina è attestata dalla menzione della fonte attidografica9. v. 474 La restituzione (Smith) ricalca da presso lo sch. 474a (para; th;n Mormw; kai; th;n Gorgovna, h}n ei\cen oJ Lavmacoç RVG ejpivçhmon VG) e l’inizio dello sch. 474b (ou{twç de; e[legon to; ejkfovbhtron: kai; ta; proçwpei'a ta; aijçcra; mormoluvkeia ktl), che nei manoscritti medievali segue il precedente senza soluzione di continuità. La quantità di testo marginale che si presume sia andata perduta nel papiro è cospicua (rispettivamente 22, 19 e 19 lettere nella parte destra dei tre righi); del resto, le lettere superstiti trovano una precisa e persuasiva corrispondenza con termini significativi impiegati negli scolii citati. La consonanza testimonierebbe che gli sch. 474a e 474b costituiscono non due annotazioni distinte, ma un excerptum unico e continuo di uno hypomnema antico (qui sopra si è perciò mantenuto il dev in principio dello sch. 474b, soppresso da Holwerda 1982, p. 77, apparato critico ad l.). v. 513 La nota è vergata nello spazio lasciato libero dall’eisthesis, a sinistra e in prossimità del v. 513. Parte del ç finale invade lo spazio delimitato dalle paragraphoi apposte ai vv. 512 e 513. L’unica parola del v. 513 (kai; mh;n oJmou' Δçtin h[dh) cui i commentatori antichi abbiano riservato attenzione, almeno stando agli scolii medievali, è l’avverbio oJmou', che lo sch. 513 spiega come ajnti; tou' ejgguvç10. Da altre fonti strettamente connesse con l’esegesi aristofanea sappiamo che ejjgguvç era un’accezione di oJmou' propria del dialetto attico e che Pax 513 ne era assunto ad exemplum: sch. Eq. 245 wJç oJmou' proçkeimevnwn: to; oJmou' levgouçin ΔAttikoi; ajnti; tou' ejgguvç, wJç kai; ejn Eijrhvnh/ “kai; mh;n oJmou\çtin h[dh”; Hsch. o 820 L. oJmou' Δçtin (Pax 513): çcedo;n ejgguvç ejçtin. L’equivalenza di oJmou' ed ejgguvç è diffusa nella lessicografia atticista: Harp. s.v. oJmou', p. 223, 3 D. (con il comm., pp. 361-362) = o 22 K.; Dik. On. p. 192 B.; Lex. Rhet. p. 285 B.); cfr. Phot. Lex. s.v. oJmou', p. 334, 16 P.; Sud. o 292 A., s.v. oJmou'. La valenza ‘locativa’ di a{ma, oJmou', oJmovçe, oJmovqen, benché non espressa con l’avverbio ejgguvç, è comunque esplicitamente ricordata in altri lessici di tradizione atticista: Paus. Att. a 79 E.; Moer. o 2 H.; cfr. Sb k 149 C. L’interesse dei lessicografi è volto a rilevare l’uso principalmente negli oratori attici di età classica, ma si citano anche Omero e Menandro; e la spiegazione si riverbera, oltre che nell’esegesi aristofanea, in quella a Omero, Platone e Apollonio Rodio (sch.bT Hom. Il. XI 127-129; Eustath. ad Hom. Il. p. 878, 13 ss. et alibi; sch.T Hom. Il. XXIII 83b, 84a; sch. Plat. Phaed. 72c; sch. Ap. Rh. II 121). La frattura del papiro impedisce di determinare se la nota si estendesse verso sinistra (ad esempio nella forma ajnti; tou' ejgguvç, come nello scolio ad l.), una possibilità peraltro agevolata dall’eisthesis del testo poetico.
9 10
Su Filocoro e gli altri attidografi negli scolii ad Aristofane cfr. Montana 1996a, pp. 174-180. Per la lettura e≥jg≥guvç nel papiro cfr. Montana 2002b, p. 27.
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v. 516 La nota è da riferire quasi certamente a tou'tΔ ejkei'no, di cui espliciterebbe il significato (cfr. sch. 516a ajnhnevcqh hJ Eijrhvnh). Quanto è leggibile con sicurezza autorizza a pensare a un forma verbale all’infinito, come nello scolio tricliniano 516b (Lh) to; ajnelqei'n (così ipoteticamente Trojahn 2002, p. 50). Alla luce del v. 511 oi{ toi gewrgoi; tou[rgon ejxevlkouçi ka[lloç oujdeivç e della massiccia ricorrenza di forme del verbo e{lkw e di suoi composti, in riferimento a Eirene, nel testo della commedia11 e nella relativa esegesi12, si può congetturare to; ejxºev≥l≥k≥ein≥. Per la formulazione si confronti P.Stras. inv. 621 verso ⇒ 16, ad Nub. 1416 tou'to tou[rgon, spiegato to; tuvpteçqai. FAUSTO MONTANA
11 e{lkw: vv. 452, 464, 470, 478, 481, 504; ajnevlkw: v. 307; ejxevlkw: oltre al citato v. 511, anche vv. 294, 315, 506; xunanevlkw: vv. 417, 469. 12 e{lkw: sch. 297, 459c, 459d, 464b, 465, 470b, 472b, 482b, 505a, 509, 514-515a; ejxevlkw: sch. 315, 459c; xunevlkw: sch. vet. 469b.
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PSI VI 720
sec. IV/Vp
Note marginali a Pax 742-743, 747-748, 788-791, 794, 797, 799-802, 807-813 Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana. Edd.: LODI 1920, pp. 153-156; TROJAHN 2002, pp. 51-52; MCNAMEE 2007, pp. 192-193. Tabb.: www.accademiafiorentina.it; ⇒ V-VI. Comm.: MP3 150; LDAB 348 ZUNTZ 1975, pp. 28-29 (1938, pp. 658-659); GELZER 1971, nr. 11; AUSTIN 1973, fr. 36; TURNER 1975, p. 310; TURNER 1977, pp. 21, 103 nr. 21; MCNAMEE 1977, pp. 177, 181, 418; CAVALLO 1986, p. 114; KRÜGER 1990, p. 238; MERTENS 1996, p. 340; OLSON 1998, p. LII (P5); CRISCI-DEGNI 2002, PSI VI 720; TROJAHN 2002, pp. 188, 189; MONTANA 2005, pp. 42-43.
Due frammenti non combacianti del medesimo foglio di un codice di papiro contenente la Pace di Aristofane. Il primo frammento (a), spezzato in cinque parti non perfettamente contigue, misura complessivamente ca. cm 11,5 × 10, il secondo (b) ha misure massime di cm 10,5 × 8. Sul recto ($) dei due frammenti si leggono, lacunosi, i vv. 721-747 e 749-768 della commedia (anapesti della prima parabasi); il verso (%) conserva resti dei vv. 776-802 e 805-827 (ode e antode della prima parabasi, seguite da nove trimetri). Tracce di marginalia esegetici permangono nel fr. a recto (in una esigua porzione superstite del margine destro, cioè esterno, in prossimità del testo) e nei frr. a e b verso (anche in questo caso nel poco spazio rimasto del margine destro, qui interno). La parte conservata di margine esterno nel verso (fino a cm 2,9 nel fr. a, fino a cm. 3,4 nel fr. b, per effetto dell’eisthesis delle parti corali) non reca annotazioni. Il v. 819, nel fr. b, è preceduto dalla nota personae Trug(ai'oç)1. Il testo poetico commentato è vergato in una maiuscola di tipo rotondo, non molto accurata, in cui la marcata infrazione del bilinearismo (i, x, r, f, c, y) fa propendere per una datazione non tanto al IIp 2, quanto piuttosto al
1
Cfr. McNamee 1985, p. 219. Lodi 1920, p. 153; G. Cavallo, cfr. Mertens 1996, p. 340; Crisci-Degni 2002, PSI VI 720. Sulla base di questa datazione, Zuntz escluse di fatto il papiro dall’orizzonte del proprio studio. 2
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IV/Vp 3. Sono presenti elementi di corsività, come legature e nessi (ai, ei) e la tendenza a tracciare le lettere in un unico tratto; lo iota mutum è apposto in almeno due casi, non rilevati nell’editio princeps (fr. a recto r. 27, fr. a verso r. 22). Le note sono stese in una scrittura più minuta e veloce, ma non dissimile da quella del testo principale. Dal testo superstite si ricava una pagina di 56 righi e dimensioni di oltre cm 11,5 × 29 (classe 8 di Turner 1977: “B half H, B 14/12 × H 30/25”), con specchio di scrittura approssimativamente di cm 10 × 25 (manoscritto di grande formato)4. Le note marginali sono di lettura assai ardua e gravemente lacunose, a causa di incrostazioni sulla superficie, della perdita di alcune fibre e dell’avanzato sbiadimento dell’inchiostro. La prima editrice si doleva “di non veder nulla di chiaro nei piccoli scolii e glosse che vi occorrono”5; e indubbiamente nel tempo intercorso dall’editio princeps le condizioni del reperto si sono ulteriormente aggravate, cosicché per verificare alcune letture si deve ricorrere alla fotografia digitale (non senza qualche ulteriore beneficio). Il papiro ospita nel complesso un numero piuttosto elevato di brevi interventi esegetici, a quanto pare prevalentemente di tipo glossografico. Sulle orme di Zuntz6, la McNamee giudica questi marginalia come semplici note di un maestro di scuola, prive di significativi punti di contatto con gli scolii medievali7. Minime coincidenze espressive con gli scolii, rilevabili nella nota al v. 794 e in quella al v. 809/810, possono ritenersi del tutto casuali.
Recto ($) Fr. a vv. 742-743 ªtou;çº feuvgontaç kajxaªpºatw'ntaç kai; tupt≥ªomºev≥ªnouçº ejpivthdeç ªejxhvºlaçΔ ajtim≥w≥vçaç prªw'ºtoç kai; tou;ç douvlouç p≥a≥r≥ev≥l≥u≥ç≥e
22-23 par≥a≤≤≤[ ≤el≥a≤≤oç[
la nota si trova circa cm 1 a destra del testo poetico —— Aristophanis textus 23 p≥a≥r≥e ≥l≥u≥ç≥e legit GB : ≤≤≤≤≤≤≤e Lodi : ≤≤≤≤≤≤≤n Olson : parevluçen Aristophanis codd. RV, katevluçen cod. G Ald 3 Cfr., per esempio, P.Berol. inv. 17013 (MP3 1347; LDAB 3696), Filostrato, Eikones, foto in Cavallo-Maehler 1987, pl. 7b. Datazione di GB. 4 Turner 1975, p. 310. 5 Lodi 1920, p. 153. 6 Zuntz 1975, pp. 28-29 (1938, pp. 658-659). 7 McNamee 1977, p. 181.
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vv. 747-748 eijç ta;ç pleura;ç pollh/' çºtratia'i kajdendrotovmhªçeº to; nw'ton… toiau'tΔ ajfelw;n kaka; kai; fovrton kai; bwmoloceuvmatΔ ajgeºn≥n≥h'≥
27-28 u
çtrat o poll≥ª ≤roç≤ª
27 ºtratia'i pap. le due righe di annotazione si trovano subito a destra del testo poetico 28 all’inizio della nota le lettere incerte potrebbero essere due —— Aristophanis textus 27 çºtratia' Lodi mg. 1-2 legit GB 1 çtra≤≤≤≤t Lodi 2 p≥rovçw≥ªpa ?
Verso (%) Fr. a vv. 788-791
o[rtugaç oijkogenei'ç, guliauvcenaç ojrchçªta;ç º≤≤≤≤≤≤ nanofuei'ç, çfuravªdwn ajpoknivçmata, ºwn mh≥ªcaºnodivfaç ≤≤≤≤ª≤≤≤≤≤º≤≤n ª≤≤ºk≥o≥≤≤≤
11-14
13 nanof® ueiç pap. 14 ºnod® ifaç pap. —— mg. 3 ºk≥o≥ legit GB
v. 794
ei\ce to; dra'ªma th;ºn g≥alh'n
d≥r≥a≥m≥a≥ª≤≤≤≤º≤≤≤ª≤≤≤º≤≤≤≤≤≤≤
16
la nota si trova subito a destra del testo poetico —— Aristophanis textus th;ºn g≥alh'n legit et suppl. GB : g≥alh'n Aristophanis codd. mg. legit GB
v. 797
ªdºa≥mwvmata k≥a≥l≥l≥i ≥kovmªwnº
≤≤≤ª≤ejºn≥ a[≥ç≥t ≥e ≥i ≥
19
la nota si trova cm 1 a destra del testo poetico all’inizio della nota si vedono due aste verticali (gi, h, ag, ai ?) —— mg. g≥i ≥n≥ªo–, i.e. ginªov(mena), temptavit GB, a≥g≥w≥ªn, i.e. ajgw'ªn(aç), temptavi ≤≤≤ª≤≤ºn≥a≥ç≥t ≥e ≥i ≥ legit GB, ejºn≥ supplevi : ≤≤≤ª≤ºapath≤ Lodi
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vv. 799-802
uJmnei'n o{tan hj≥rina; me;n hJ≥ ejarinhv fwnh≥'i ≥ celidw;n ªhJºd≥ªoºmevnh keladh'i coro;n de; mh;≥ ªΔchiº M≥ovªrçiºmoç
21-23 fwnh'i boª
mh; e[chi≥≥ M≥ªovºrçimoç
21 u>mnein pap. hri;na pap. la nota si trova cm 0,4 a destra del testo poetico 22 la nota si trova cm 0,4 a destra del testo poetico; nello spazio che separa testo e spiegazione sono cadute alcune fibre 23 la nota si trova cm 0,2 a destra del v. 802, più in alto del rigo —— Aristophanis textus 22 fwnh Lodi keladh Lodi mg. 1 h≥] Trojahn 2 fwnh Lodi boªa/' Trojahn, boªa'i exspectaveris 3 ech Lodi
Fr. b vv. 807-813
to;n coºro;n ei\≥co≥n≥ ªaJdelfovç tºe kai; aujtovªç, a[mfºw ≤i≥ç≥ª Gorgovnºeç ojyofªavgoi º≤f≤≤≤ batidºoçkovpoi ”Arpuiai ba( ) ijc≥quv≥w≥n≥≤≤≤≤≤ graoçºovbai miaroiv, tragomavçkaloi çoª ijcqºuolu'mai
3-8
4 la nota si trova cm 1,2 a destra del testo poetico 5 le ultime lettere del testo poetico e l’inizio della nota (per uno spazio di circa cm 1,2) sono illeggibili 6 la nota si trova cm 0,4 a destra del testo poetico ba— pap. i>c≥qu≥w≥n≥ pap. 7 Aristoph. textus ºovbai pap. i resti della nota si trovano cm 0,3 a destra del testo poetico —— mg. 3 ba(tivdeç) ijcquvwn gevnoç vel ei\doç Trojahn
vv. 742-743 Il papiro ha la stessa successione dei due versi (tetrametri anapestici catalettici della parabasi) presente nei testimoni medievali della commedia (Bergk li invertiva). Poiché i due righi di annotazione sono allineati a sinistra, si può ragionevolmente supporre che si trattasse di un’unica nota; il fatto che il r. 1 si trovi in corrispondenza dell’interlinea tra i due versi può significare che sia andato perduto in lacuna un primo rigo, posto a fianco del v. 742. La tradizione medievale conosce una v.l. alla fine del v. 743. L’ingrandimento dell’immagine digitalizzata del papiro permette di leggere in questo punto delle tracce sicuramente compatibili con parevluçe (si vede la lunga asta del r, che esclude katevluçe); del resto, la lezione parevluçe sembra presupposta da par≥a≤≤≤ª al r. 1 della nota marginale. Dei numerosi scolii al v. 741, il 741a spiega mavttontaç, altri rilevano che Aristofane polemizza qui con Eupoli (741b) o con Cratino (741c) e che la ridicolizzazione di Eracle (nonché di Dioniso e Zeus) costituiva un tema
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ricorrente nella commedia del tempo (741e), come del resto negli Uccelli e nell’Eolosicone dello stesso Aristofane (741c); il 741d cita il parallelo di Ve. 5860 (servi ed Eracle come soggetti comici). vv. 747-748 Al r. 1 dell’annotazione è indubbia una spiegazione del metaforico pollh/' çtratia/', nesso alquanto usuale nelle narrazioni di eventi bellici, ignorato negli scolii ad Aristofane. Anche in virtù dell’abbreviazione, çtrat andrà ritenuto lemma, seguito dall’inizio della spiegazione; per quest’ultima si può pensare e.g. a ou{(tw) poll≥ªai; aiJ plhgaiv (cfr. sch. 747b dia; to; plh'qoç tw'n plhgw'n). Impossibile dire se il secondo rigo dell’annotazione sia la prosecuzione del primo; l’ampiezza dell’interlinea, equivalente a quella del testo poetico, pare andare contro questa possibilità. L’unico termine del v. 748 a essere spiegato negli scolii è bwmoloceuvmat(a), inteso bwmolovca çkwvmmata: un’accezione ‘buffonesca’ di bwmolovcoç attestata anche in Hsch. b 1389 L. bwmolovcoç: çkwvpthç. iJerovçuloç ktl (cfr. b 1389 L.; Phot. Lex. b 321, 322 Th.; Sud. b 486, 489 A.). Alla luce della testimonianza esichiana (e di S b 121 C., con essa consonante), alle tracce presenti nel papiro potrebbe corrispondere iJ≥e ≥roç≥ªulivai in funzione di glossa dell’accezione propria del termine. Una diversa possibilità di lettura, probabilmente meglio rispondente alla traccia iniziale della nota e indubbiamente più idonea alla spiegazione del termine nel passo commentato, è p≥rovçw≥ªpa, a delucidazione della generica espressione toiau't(a) ... kakav all’inizio del verso: il dimostrativo epanalettico richiama in effetti gli indegni personaggi e tipi teatrali che hanno attecchito nel genere comico, evocati nei versi immediatamente precedenti (vv. 739-747). vv. 788-791 Versi dell’ode parabatica, in responsione con i successivi vv. 809-813 dell’antode, parimenti disposti nel papiro su quattro righi8. Particolarmente nutriti gli scolii medievali a questi versi, soprattutto per la presenza di parole composte. Al r. 2, ºwn sarà da riferire a una spiegazione del raro çfuravdwn, di cui l’annotatore potrebbe avere fornito la forma corrispondente nella koine, çpuravdºwn (cfr. Poll. V 91, 10; Hsch. ç 2936 H.) oppure un sinonimo più corrente, e.g. ajpopathmavtºwn (cfr. sch. 790-791a çfuravda dev eijçi ta; tw'n aijgw'n kai; probavtwn ajpopathvmata ~ Sud. k 396, ç 1762 A.; e inoltre Phryn. Gramm. SP. s.v. oijçpwvth, p. 98, 7-9 De B.) o diacwrhmavtºwn (cfr. Hsch. ç 2936 H. çfuravdeç: ta; diacwrhvmata tw'n aijgw'n kai; probavtwn). L’hapax mhcanodivfhç riceve spiegazione negli scolii aristofanei (792a mhcanodivfaç de; ajpo; mevrouç: Xenoklh'ç ga;r oJ Karkivnou dokei' mhcana;ç kai; terateivaç eijçavgein ejn toi'ç dravmaçin ktl; 792b “mhcanodivfaç” ei\pen aujtouvç, ejpeidh; pollavkiç wJç tragw/doi;
8 Se ne può evincere una intenzionale divisione colometrica (hemiepes, prosodio, alcmanio, dimetro dattilico catalettico o adonio), diversa dall’interpretazione moderna (v. 788/789 ~ v. 809/810 esametro dattilico catalettico; v. 790/791 ~ v. 811/812/813 esametro dattilico: cfr. Parker 1997, pp. 6-7 e 276; Olson 1998, p. 225).
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mhcana;ç eijçevferon, hJnivka qeou;ç ejmimou'nto ajnercomevnouç h] katercomevnouç ejk tou' oujranou' h] a[llo ti toiou'ton; cfr. Sud. k 396, ç 1762 A.) e nelle Lexeis rhetorikai anonime edite da Naoumides, dove è glossato (196) mhcana;ç zhtou'ntaç. Si può presumere che la nota marginale nel papiro avesse tenore analogo, ma le tracce residue non incoraggiano una precisa restituzione. v. 794 Plausibile una spiegazione dell’ironia del v. 794/795, di decodificazione non immediata, come nello sch. 795 dra'ma ejpoivhçe (scil. Karkivnoç) tou;ç Muvaç: dia; tou'to kai; galh'n ei\pen ajpavgxai (= TrGF 21 test. 3d Sn.-K.). v. 797 La nota marginale verte sul raro e poetico da–mwvmata, di paternità stesicorea (fr. 212 D.). Mentre lo scolio antico ad l. non va oltre una spiegazione letterale del termine (sch. 798 ta; dhmoçiva/ aj/dovmena), diversamente è probabile che l’annotatore del papiro ne rilevasse la risemantizzazione nel nuovo contesto aristofaneo, cioè come riferimento alle competizioni teatrali nella cornice delle feste dionisiache urbane (la brachilogia ejn a[çtei ricorre in tal senso negli argumenta delle commedie; cfr. anche Hsch. d 1887 L.), richiamata da Aristofane nei versi subito seguenti attraverso l’evocazione della primavera attica (vv. 799 ss., vd. infra). Un parallelo, poetico ed esegetico, della contestualizzazione primaverile degli agoni teatrali attici, pure in presenza di un’invocazione alla Musa, è offerto da Av. 676 ss., dove fqevgmaçin hjrinoi'ç (v. 683) è così spiegato nello scolio 683a: ejarinoi'ç ei\pe, parovçon tw'/ e[ari ejn th'/ ΔAttikh'/ faivnontai ajhdovneç. to; de; o{lon pavlin pro;ç th;n Mou'çan. o{ti tw'/ e[ari ejn a[çtei telou'çi ta; Dionuvçia. vv. 799-802 Dattilo-epitriti dell’antode, disposti nel papiro su tre righi (i vv. 800-801 sono sullo stesso rigo)9. I marginalia che li affiancano potrebbero corrispondere ciascuno a una nota distinta, perché sono privi di allineamento a sinistra, conformandosi alla diversa lunghezza dei versi. Si noti, ad ogni modo, che la loro lettura in sequenza produce l’effetto di una parafrasi quasi completa del testo: (o{tan) hJ ejarinh; (scil. celidw;n) ⁄ fwnh'i boªa'i (to;n coro;n)º ⁄ mh; e[chi Mªovºrçimoç. Su v. 799 hjrinav, neutro plurale avverbiale, gli scolii alla Pace tacciono. Trojahn 2002, p. 52, interpreta la nota come “orthographische Variante”, ma nella lessicografia è ampiamente diffuso lo scioglimento della contrazione (hjrinovç da ejarinovç), e.g. Hsch. h 793 L. hjrinw'ç: ejarinw'ç; Sud. h 522 A. hjrino;n a[nqoç: ejarinovn; h 523 A. hjrino;ç kairovç: oJ tou' e[aroç; sch. Av. 683a hjrinoi'ç: ejarinoi'ç, 713aa (su hjrinovn) kairw'/ e[aroç, 1099a hjrinav: ejarinav. Il fatto che il neutro plurale sia spiegato con un femminile singolare potrebbe implicare un’interpretazione attributiva dell’avverbio ad sensum: hjrina; celidwvn = hJ ejarinh; celidwvn. L’ipotesi della variante testuale (comunque erronea per ragioni 9 A quanto pare, anche i dattilo-epitriti 779-780 dell’ode, in corresponsione con questi, nel papiro erano scritti sullo stesso rigo; Olson 1998, p. 38 (app. ad l.) pensa invece all’omissione del v. 780 da parte dello scriba.
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metriche) è eventualmente ammissibile non sul piano ortografico, ma nella terminazione: v.l. hJ ejarinhv oppure (hjrina;) h] ejarinhv, attributo di celidwvn; o anche (hjrina;) h] ejarinh/', attributo di fwnh/'. Nella nota che affianca i vv. 800-801 c’era verosimilmente boªa'i (cfr. Trojahn 2002, p. 51), glossa ignorata dagli scolii, ma non dai lessici: Hsch. k 2125 L. keladei': boa/'; S k 262 C. (= Phot. Lex. k 546 Th.; Sud. k 1280 A.) kelavdhçan (Il. VIII 542): ejbovhçan. Considerata la vicinanza al testo, l’annotazione a fianco del v. 802 dovrà essere interpretata come spiegazione e non come lemma. In tal caso, bisognerà intenderla come una parafrasi in prosa del passo, interrotta dalla lacuna a destra del frammento, ovvero come un chiarimento sulla prodelisione mh; Δch/ presente nel testo (così Trojahn 2002, pp. 52, 189). Lo sch. 803 verte sull’identità di Morsimos e Melanthios, bersagli del poeta in questo passo. vv. 807-813 Questa sequenza dell’antode consta di due aristofanii (vv. 807-808) seguiti, nell’interpretazione moderna, da un esametro dattilico catalettico (v. 809/810 Gorgovneç ojyofavgoi batidoçkovpoi ”Arpuiai) e da un esametro dattilico (v. 811/812/813 graoçovbai miaroiv, tragomavçkaloi ijcquolu'mai); la divisione colometrica dei vv. 809-813 nel papiro è identica a quella dei versi corrispondenti dell’ode (vv. 788-791, vd. supra). I quattro righi di annotazione concernevano probabilmente altrettanti punti distinti del testo letterario, come si evince anche dalla loro disposizione disomogenea nel margine, governata dalla lunghezza dei versi cui si affiancano. Difficile ricostruire la nota a fianco del v. 808. Gli sch. 808a e 808b concernono il rapporto di parentela intercorrente fra Morsimos e Melanthios, lo sch. 809 verte sulla punteggiatura dei vv. 808-809 (da cui forse qui e≥ij≥ç≥ ªto; “a[mfw” çtiktevon ?). Altrettanto problematica la nota che affianca Gorgovnºeç ojyofªavgoi, per la quale si può solo richiamare lo sch. 810 foberoi; eijç gaçtrimargivan. Per r. 3 ba( ) ijc≥quv≥w≥n≥≤≤≤≤≤cfr. sch. 811a batidoçkovpoi: bavtiç ei\doç ijcquvoç. h] kaqovlou oiJ ijcquveç, da cui la verisimile ricostruzione nel papiro, proposta da Trojahn 2002, p. 52, ba(tivdeç) ijcquvwn gevnoç vel ei\doç. McNamee 1981, p. 15, scioglie invece ba– come lemma: ba(tidoçkovpoi). La tipicità dell’espressione ei\doç ijcquvoç/ijcquvwn (cfr. P.Bingen 18 ⇒ 9, ad Eq. 1008; P.Oxy. LXVI 4514 ⇒ 20, ad Pac. 1195 e 1196; McNamee 1992, Appendix 2, p. 76 nrr. 7 e 11, p. 78 nr. 24) impedisce di ritenere la (probabile) consonanza della nota del papiro e dello scolio in questo punto come prova di un loro rapporto diretto. Al r. 4 è possibile che trovasse posto una glossa su graoçovbai, cfr. sch. 812a graoçovbai: ajpo; tw'n ijcquvwn ajpoçobou'nteç ta;ç grai?daç, wJç mh; ajgoravzein. h] grai?çi çugkoimwvmenoi: çobavdaç ga;r ta;ç povrnaç levgouçin. Eu[poliç (fr. 373 K.-A.) “para; th'/de çu; th'/ çobavdi kathgavgou”. FAUSTO MONTANA
20
sec. IVp
P.Oxy. LXVI 4514 Note marginali a Pax 1195, 1196, 1197, 1200, 1210, 1211 Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Edd.: GONIS 1999, pp. 143-146; TROJAHN 2002, pp. 53-54; MCNAMEE 2007, p. 193. Tab.: www.papyrology.ox.ac.uk. Comm.: MP3 150.01; LDAB 7175 2002, pp. 188, 190.
LUPPE 2001, p. 190; LUPPE 2002b, p. 488; TROJAHN
Porzione esterna (cm 7 × 11,3) di un foglio di codice di papiro contenente resti della Pace. Sopravvivono nel recto ($) la parte finale dei vv. 1195-1211 e cm 4 di margine destro, con note; nel verso (%) l’inizio dei vv. 1233-1247 con cm 4,8 di margine sinistro. Ciascuna pagina ospitava 36 versi e aveva dimensioni calcolabili in cm 18 × 25/32 (classi 3, 4 e 5 di Turner 1977). La scrittura del testo letterario, “a plain round one, with an overall informal stance”, si data con buone probabilità al IVp, come pure “the tiny near-cursive script” dei marginalia1. Sporadici segni di lettura, nonché paragraphoi (%) e dicola ($), apposti a segnalare il cambio d’interlocutore, sono riferibili alla medesima mano che ha vergato il testo. Le sei note (una settima, al v. 1194, è soltanto ipotizzabile sulla base di una labilissima traccia d’inchiostro sul bordo superiore del frammento) consistono quasi tutte in interventi glossografici, confrontabili ora con la tradizione lessicografica conservata, ora con quella degli scolii medievali. Le glosse ai vv. 1195, 1196 e 1200 spiegano al nominativo singolare (le prime due con la formula ei\doç + genitivo) sostantivi declinati in caso e numero diversi (cfr. il commento ad ll.). La nota al v. 1211 ha carattere parafrastico. v. 1195
ªajmuvlouçº ei\doç pla≥k≥ªou'ntoç
la nota si trova nel margine esterno, a destra del v. 1195 1
Gonis 1999, p. 143.
1
P.Oxy. LXVI 4514 [tortini]
129
un tipo di focaccia v. 1196
ªkollavbouºç≥
2
ei\doç a[rtou kalou' la nota si trova nel margine esterno, a destra del v. 1196
[panini]
un tipo di buon pane v. 1197
ªajnabravttwº
3
ajnazevw, qerm≥a≥i ≥vnw la nota si trova nel margine esterno, a destra del v. 1197 tere (ce?), a scopo di correzione —— qermaivnw ? Gonis
[arrostisco]
ze sono scritti sopra ad altrettante let-
cuocio, scaldo
v. 1200
k≥o≥l≥luv≥bo≥u
6
to; lepto;n novmiçma la nota si trova nel margine esterno, a destra del v. 1200
a un soldo
la moneta di piccolo taglio
v. 1210
ªproqevlumnonº ejk rJizw'n
la nota si trova nel margine esterno, a destra del v. 1210
[dal fondamento]
dalle radici
16
130
Aristophanes 20 v. 1211
ªou[ tiv pou lofºa/'ç
17
ouj pwlei'ç tou;ç l≥ov≥fouç. la nota si trova nel margine esterno e inizia a destra del v. 1211
[non “cimierizzi”]
non vendi i cimieri
v. 1195 Cfr. sch. 1195b-c a[muloi plakou'ntevç tineç: oiJ de; zwmoi; plakountwvdeiç o}n nu'n ajmuvlatovn façin; Athen. XIV 644f a[mhç plakou'ntoç gevnoç. ΔAntifavnhç (fr. 297 K.-A.): a[mhteç, a[muloi; XIV 647f a[lla plakouvntwn gevnh: ojçtrakivthç, ajttani'tai, a[mulon, turokovçkinon; Hsch. a 3842 L. ajmuvlouç: plakou'ntaç = Lex. Rhet. 326 N.; sch. Theocr. 9, 20/21e ... parovntoç aujtw'/ ajmuvloio h[toi plakou'ntoç. Il termine plakou'ç è generico e comprende un’ampia gamma di impasti, come Ateneo illustra diffusamente nella sezione dei Deipnosofisti da cui sono tratti i passi sopra citati (XIV 51 ss.). Note del tipo “ei\doç + genitivo”, assai frequenti negli scolii, si rinvengono infra, ad v. 1196, e in P.Bingen 18 ⇒ 9, ad Eq. 1008; per altre attestazioni nell’esegesi su papiro cfr. McNamee 1992, Appendix 2, pp. 76 (nrr. 7 e 11) e 78 (nr. 24). Per una discussione della genesi delle glosse marginali su papiro lemmatizzate al nominativo cfr. ibid., pp. 65-72; Athanassiou 1999, pp. 143-147. v. 1196 Per la formulazione cfr. supra, v. 1195 con il commento. Cfr. Athen. III 110f kollavbouç dΔ a[rtouç ΔAriçtofavnhç ejn Taghniçtai'ç (seguono i frr. 522 e 520, 6-8 K.-A.); Phot. Lex. k 871 Th. kovllaboi: ei\doç a[rtwn; sch. Ran. 507c ãei\doçà a[rtou mikrou' = Sud. k 1924 A. Lo sch. 1196 si diffonde nella descrizione di questo genere di pagnotta e sull’uso aristofaneo del termine: ei\doç a[rtwn. eijçi; de; mikroi; ajrtivçkoi ejk tw'n megavlwn kekollabiçmevnoi, ou}ç kaqavpax a[rtouç oujk hjxivoun kalei'n. kai; ejn Batravcoiç (vv. 505 e 507) mevmnhtai “a[rtouç”, e[peita “kollavbouç”. çchvmatoç dev ejçtin o[noma, w{çper kolluvran levgouçiv tineç. Il generico kalou' nella nota del papiro suona come il prodotto della sintesi (e della banalizzazione) compendiaria. v. 1197 Cfr. Hsch. b 1050 L. (= S b 90 C.; Phot. Lex. b 261 Th.; Sud. b 518 A.) bravççei: zevei, ajnabavllei; EGen. b 239 L.-L. (= EM. p. 211, 28 G.; Et.Sym. b 206) bravççw: to; zevw, o{per kai; ajnabravççw levgouçin ΔAttikoi; ejpi; tou' Êajtelevçmatoç lambavnonteç th;n levxin. ΔAriçtofavnhç (Pax 1197): “ajnabravttw kivclaç”, anti; tou' Êejyivw ktl; sch. Tz. Ran. 553a kai; kreva pro;ç touvtoiçin ajnavbraçta: kai; ajnabravzonta, zevonta. qermav. v. 1200 Lo sch. 1200 ricorre ancora alla formula “ei\doç + genitivo” per spiegare il termine: ei\doç eujtelou'ç nomivçmatoç. ajnti; tou' “oujde; ojbolou'”; cfr.
P.Oxy. LXVI 4514
131
Poll. IX 72 kollubiçthvç: ei[h dΔ a]n kai; kovllubon leptovn ti nomiçmavtion (la formulazione più prossima a quella della nota del papiro); Hsch. k 3348 L. kollubiçthvç: trapezivthç: kovlluboç ga;r ei\doç nomivçmatoç; S k 388 C. koluvmbwn: ei\doç nomivçmatoç; Phot. Lex. k 891 Th. kovlluboç: ejlavciçton: to; ga;r trikovllubon hJmivcalkon. v. 1210 Per proqevlumnoç = provrrizoç cfr. [Hdn.] Epim. 113, 18 B.; Hsch. p 3468 H.; Sud. p 2438 A.; sch. 1210b-c; sch. Eq. 528a. L’aggettivo provrrizoç è spiegato con ejk rJizw'n in S p 662 C. (lemma provrizon); Phot. Lex. p. 458, 8 P.; Sud. p 2580 A. v. 1211 Per questa banalizzante interpretazione di lofa'n (hapax neologico parallelo a verbi denominativi del lessico medico delle patologie) cfr. sch. 1211a lovfouç pollou;ç e[ceiç ejn pravçei. FAUSTO MONTANA
21
P.Oxy. XIII 1617
sec. Vp
Glosse a Pl. 34, 39, 51 Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: perduto (olim Louvain, Bibliothèque de l’Université, D.371.2). Edd.: GRENFELL-HUNT 1919, pp. 165-168; CHANTRY 1994, pp. XXVII, 15, 16, 18; TROJAHN 2002, pp. 56-57; MCNAMEE 2007, p. 194. Comm.: MP3 152; LDAB 369 LOWE 1962, p. 32; DARIS 1968, p. 21; GELZER 1971, nr. 18; AUSTIN 1973, fr. 54; DOVER 1977, pp. 140-141; MCNAMEE 1977, pp. 177, 424; TURNER 1977, pp. 17, 103 nr. 23; KRÜGER 1990, p. 243; MCNAMEE 1992, p. [30]; MERTENS 1996, p. 340; DI BLASI 1997, p. 77; TROJAHN 2002, pp. 188, 191.
Consistente porzione di un foglio di codice papiraceo, oggi perduto, che conservava Pl. 1-25 nel recto (con l’omissione dei vv. 20-21) e 32-56 nel verso. Dall’editio princeps si ricavano i seguenti dati: il frammento misurava cm 16,7 × 23,5 e aveva cospicue lacune sul lato destro del recto = lato sinistro del verso e nella parte inferiore; nel recto risultavano mancanti 6 righi, cioè i vv. 26-31, e nel verso 4 righi, vv. 57-60. Turner1 ha valutato il formato della pagina in cm 17 × 30 e lo ha assegnato alla classe 5. Il testo era vergato in una “mixture of uncial and cursive” riferibile al V secolo2. A parte pochi interventi apportati con inchiostro nero da una seconda mano, la mano principale era identificata da un inchiostro bruno e da una particolare accuratezza nel segnare spiriti, accenti, iota ascritti (in parte aggiunti in un secondo momento), punteggiatura (ivi compresi i dicola a indicare cambio di personaggio: vv. 38, 44, 48, 52) e in interventi di varia natura sul testo: cancellazioni e correzioni in interlinea, di tipo ortografico (vv. 1, 12, 33, 41); altre più sostanziali correzioni o aggiunte in interlinea: v. 37 adikoun corretto in adikon, v. 42 mh≥m≥eti corretto in mΔ evti, v. 49 tauqΔ in interlinea sopra wç, v. 55 hmwn in interlinea sopra o ti (ulteriori correzioni spettavano forse all’altra mano: v. 13 kaitoitina corretto in katovpin; v. 17 º≤a≥i ≥ in interlinea sopra la parte superstite di apokrinoºm≥enou≥); glosse marginali a destra dei vv. 34 e 51 e nell’interlinea del v. 39; la nota personae Crem(uvloç)3 a sinistra del v. 22, in corrispondenza della battuta che il
1 2 3
Turner 1977, p. 17. Grenfell-Hunt 1919, p. 165. McNamee 1981, p. 108.
P.Oxy. XIII 1617
133
personaggio pronunciava entrando in scena. L’omissione dei vv. 20-21 era segnalata nel margine a sinistra del v. 19 con l’ancora (č), “partly obliterated” secondo gli editori, i quali ipotizzarono che i versi mancanti fossero riportati nel margine inferiore della pagina, conformemente all’uso documentato4. Il formato della pagina, come ricostruito da Turner, esclude che il frammento appartenesse al medesimo codice da cui proviene P.Oxy. LXVI 4520 ⇒ 23, cui per il resto lo avvicinano le caratteristiche paleografiche, la cronologia e la presenza di sporadici interventi glossografici marginali.
Verso v. 34
ejktetoxeu'çqai
3
ejkbeblªh'çºqai, ajªpoleloipevnai la nota era nel margine (interno?), a destra del v. 34
essere stata scagliata v. 39
essere stata gettata via, venire a mancare
e[laken
8
ei\≥pen glossa interlineare
proferì
disse v. 51
rJevpei
20
f≥e v≥r≥ªetaiº la nota era nel margine a destra del v. 51: “the vestiges are very doubtful” edd.
inclina
4
si volge
Daris 1968, p. 21; McNamee 1992, pp. 11 e 13.
134
Aristophanes 21
v. 34 Per la metafora della vita ormai “scagliata come una freccia” cfr. Eur. Andr. 365. Le glosse del papiro non trovano riscontro nella tradizione esegetica aristofanea conservata ad l. (sch. 34b-d), né nei lessici Suda (e 642 A.) e di Zonara (p. 675, 1-4 T.) che ad essa attingono, né infine negli scolii al passo euripideo citato. v. 39 La glossa figura identica nei mss. VMNRsV57 di Aristofane (sch. 39c); cfr. inoltre Hsch. l 377 L. lavçkein: levgein, fqevggeçqai; l 378 L. lavçkeiç: levgeiç; Phot. Lex. l 112 Th. lavçke: levge. In contesto di scoliografia tragica cfr. lo scolio tricliniano ad Aeschl. Ag. 1427 Sm. e[lakeç: ei\peç; inoltre ei\pen è glossa interlineare per e[laken di Eur. Or. 162 nel ms. Hierosolymitanus patriarchalis 36 (sec. X/XI), per cui cfr. Daitz 1970, pl. 18; Id. 1979, p. 41. v. 51 Cfr. sch. 51a rJevpei: ajnti; tou' ejpifevretai; e sch. 51d rJevpei: fevretai, tràdito nelle recensioni Thomana e Tricliniana degli scolii e ampiamente diffuso nei manoscritti aristofanei. FAUSTO MONTANA
22
P.Oxy. LXVI 4521
sec. IIp
Note marginali a Pl. 690, 694, 695, 701-702, 705, 706?, 959, 963, 965 Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms. Edd.: GONIS 1999, pp. 166-172; TROJAHN 2002, pp. 59-61; MCNAMEE 2007, pp. 195-196. Tab.: P.Oxy. LXVI (= GONIS 1999), XVI. Comm.: MP3 152.12; LDAB 7182 LUPPE 2001, p. 191; LUPPE 2002b, p. 489; TROJAHN 2002, pp. 188, 192; MONTANA 2005, pp. 44-45.
Tre frammenti di un rotolo di papiro del II secolo, contenenti parti del Pluto, il più antico testimone manoscritto finora noto di questa commedia. La datazione è basata sulla scrittura del testo letterario, un’elegante maiuscola bilineare di medie dimensioni e rotondeggiante, con appendici ornamentali alle estremità delle lettere e contrasto di spessore, ottenuto con l’inclinazione del calamo, fra tratti orizzontali più sottili e tratti verticali e obliqui più spessi. Le note marginali sono in una minuta scrittura libraria, che ricorre ad abbreviazioni per sospensione (vv. 694, 701-702, 963), per la quale Gonis1 non esclude l’attribuzione al medesimo scriba della commedia. Partendo dall’osservazione che il fr. 2 conserva la parte superiore di una colonna e che tra il fr. 1 e il fr. 2 sono caduti 20 versi (cfr. infra), Gonis2 formula due ipotesi sulle dimensioni del rotolo, a seconda che la lacuna equivalga a un’intera colonna (in tal caso il testo era distribuito in colonne alte cm 10 ca. e il rotolo doveva avere un’altezza di cm 15 ca.) o che i 20 versi mancanti facessero parte della colonna di testo parzialmente conservata nel fr. 1 e che le colonne ora rappresentate dai frr. 1 e 2 fossero consecutive (con una conseguente altezza approssimativa di cm 19 per la colonna e di cm 25 per il rotolo). La prima ipotesi è compatibile con il tipo di rotoli di piccolo formato impiegato per copie di opere poetiche nei secoli Ip e IIp3, tra i quali tuttavia non figurano esemplari forniti di marginalia esegetici; la seconda, più proba-
1 2 3
Gonis 1999, p. 167. Gonis 1999, pp. 166-167. Turner 1987, nrr. 21, 39, 41.
136
Aristophanes 22
bile, farebbe rientrare il rotolo nel tipo di formato, assai diffuso, con altezza compresa fra cm 25 e 334. Il testo occupa il recto dei frammenti, mentre il verso è bianco. Il fr. 1, che consta di due pezzi combacianti, conserva la parte finale dei vv. 687-705 e cospicue porzioni dell’intercolumnio attiguo, nel quale trovano spazio i resti di varie note marginali, per un totale di otto righi attualmente riconoscibili. Nel fr. 2 si legge una sezione verticale centrale dei vv. 726-731. Nel fr. 3 resta la parte destra dei vv. 957-970 con tratti del vicino intercolumnio, in cui si leggono tre note marginali per un totale di quattro righi. I frr. 1 e 3 dimostrano dunque che il testo comico era corredato di annotazioni non sporadiche, anche di una certa ampiezza. Oltre ai marginalia, lo scriba fornisce alcuni ausilii di lettura, tutti nel fr. 3: il dicolon per segnalare il cambio di personaggio, alla fine dei vv. 961, 963 e 964; e probabilmente – a quanto sembra di poter inferire dallo spazio bianco alto cm 1 che separa ciò che rimane dei vv. 958 e 959 – l’indicazione dell’intermezzo corale mediante la didascalia COROU, usuale nei manoscritti del Pluto ma ora perduta nel nostro papiro5. A questo genere di notazioni si possono accostare le attribuzioni di battute (vv. 959 e 965), ancora nel margine destro del fr. 3: tuttavia, per l’estensione e lo sviluppo sintattico, nonché per la posizione rispetto al testo, questi marginalia “appear to be part of the annotation rather than conventional notae personarum”6. I marginalia esegetici pertengono in gran parte all’àmbito della spiegazione glossografica (con sicurezza le note ad vv. 694, 695 e 963: la prima e l’ultima introdotte da ajnti; tou'), mentre alle figure mitologiche di Iasò e Panakeia, menzionate ai vv. 701-702, erano riservati tre righi di annotazione. Nel complesso, l’apparato esegetico si lascia interpretare come di origine ipomnematica7 e intrattiene un rapporto di affinità, sia pure non eclatante, con le tradizioni lessicografica e scoliografica note.
Fr. 1 ªojda;xº
v. 690
4
(a) ojdª
ä 4
Johnson 1993, p. 47; Id. 2004, pp. 141-143. Gonis 1999, p. 171. 6 Gonis 1999, p. 168; Luppe pensa a “Regiebemerkungen”, un’ipotesi accettabile soltanto nel senso di una ripresa a scopo esegetico di antiche parepigraphai. 7 Cfr. Gonis, ibidem. 5
P.Oxy. LXVI 4521 la nota si trova immediatamente a destra del v. 690 zontale (paragraphos?) sotto o —— ojdªovnti (Gonis), vel potius ojdªou'çi
137
d parzialmente in lacuna
tratto oriz-
[con i] denti (?)
[addentando]
ªojda;x ejlabovmhn wJç pareivaç w]ºn o[fiç
v. 690
4
(b) pª ±10 ºd≥oçge≤ª ºo≥ª la nota è scritta subito sotto la nota 690a 1 il tratto mediano di e si allunga a formare una legatura con la lettera seguente, di cui resta un tratto curvo concavo verso il basso —— 1 pªareivaç: o“fewç ei\ºdoç ?
e[flwn
v. 694
8
ajnt(i; tou') e[qlwn la nota è scritta immediatamente a destra del v. 694 —— Aristophanis textus evflwn pap.
antù pap., cfr. nota a v. 963
e[flwn per e[qlwn ªh\nº
v. 695
9
h[mhn la nota è scritta sulla destra del v. 695
[fui]
mi trovai
vv. 701-702
ªou[k, ajllΔ ΔIaçw; mevn tiç ajkolouqoºu≥'çΔ a{ma ªuJphruqrivaçe chj PanavkeiΔ ajpeçºtravfh º a≥u|tai ΔAçkªlhpiou' º k(ai;) hJ≥ P≥anavke≥i ≥aª ºi ajpo; th'ç ijatr≥ªikh'ç
15-16
138
Aristophanes 22
i tre righi della nota sono disposti sulla destra del testo, a partire dal livello superiore del v. 702 fin quasi al rigo di base del v. 703 2 ºkù pap. i>atr≥ª pap. —— 1 ΔAçkªlhpiou' qugatevreç e.g. Gonis 2-3 wjnovmaçtaºi vel kevklhtaºi e.g. Gonis 1-3 au|tai ΔAçkªlhpivou qugatevreç. hJ ΔIaçw;º ⁄ k(ai;) hJ Panavkeia ªwjnomaçmevnai eij⁄çºi; ajpo; th'ç ijatrªikh'ç Luppe
[No, ma una certa Iasò, che lo seguiva, arrossì e Panakeia si voltò indietro] queste ... di Asclepio ... e Panakeia ... dalla medicina ªa[groikonº
v. 705
19
ºa≥≤hme≤ª ciò che resta della nota si legge a circa cm 1,4 dalla conclusione del v. 705 (tºo;≥n qeovªn), immediatamente preceduto da lacuna la seconda lettera potrebbe essere t≥ (o g ?) ≤ª tratto verticale ricurvo in alto e in basso verso sinistra: l ? —— ajthmelªh' vel ajthmevlªhton Gonis
[zotico]
...
v. 706 ?
ªma; DivΔ oujk e[gwgΔ, ajlla; çkatofavgon. ai] tavlanº
20
ºn≥oª traccia a destra del perduto v. 706, sotto il m della nota precedente da omicron di piccolo modulo
tratto verticale sormontato
Fr. 3 v. 959
ªa\rΔ w\ fivloi gevronteçº
5
grau'ãçà ejçtin hJ levgouça pro;ç to;n corovn la nota si trova sulla destra del v. 959; il r. 2 è al livello dell’interlinea tra il v. 959 e il v. 960 1 grau pap.
[dunque, cari vecchi] v. 963
è la vecchia che parla rivolgendosi al coro wJrikw'ç ajn≥t(i; tou') ka≥t ≥ªa; kairovnº
8
P.Oxy. LXVI 4521 la nota si trova immediatamente a destra del v. 963 —— suppl. Gonis
139
antù pap., cfr. nota al v. 694
a tempo
cioè nel [momento giusto]
v. 965
ªmh; dh'tΔ: ejgw; ga;r aujto;ç ejxeºl≥hvluqa:
10
oJ qeravpwn la nota si trova sulla destra del v. 965
[non ce n’è bisogno,] sono uscito [da solo]
il servo
v. 690 (a) La nota dista appena cm 0,2 dal v. 690. Intuitiva la restituzione di una forma di ojdou'ç, verisimilmente un dativo plurale, come nello sch. 690a ajnti; tou' toi'ç ojdou'çin aujth;n e[labon; cfr. gli scolii recenti ad l., e.g. 690a (MRs) toi'ç ojdou'çi ktl. Impossibile dire se la nota concernesse soltanto l’avverbio oppure l’intera espressione ojda;x ejlabovmhn, come negli scolii citati. La paragraphos tracciata sotto omicron iniziale separa questo rigo di annotazione da quello immediatamente successivo (690b). v. 690 (b) Vari elementi esteriori contribuiscono a riferire il rigo di annotazione ancora al v. 690 (anziché al v. 691, secondo una delle ipotesi di Gonis 1999, p. 169). La traccia iniziale di scrittura è immediatamente sottostante a 690 (a); è allineata verticalmente a 690 (a) e orizzontalmente all’interlinea sottostante al v. 690; inizia cm 0,2 al di sopra del secondo ç di ajºn≥e vçpaçªen, ultima parola del v. 691. La posizione di 690 (b) rispetto ai vv. 690-691 getta luce anche sulla paragraphos posta sotto omicron di 690 (a), la cui funzione di separatore ha senso se le due note concernevano parole diverse dello stesso verso (690) e la loro contiguità poteva ingenerare confusione nel lettore. A meno di pensare a una seconda nota su ojda;x ejlabovmhn, 690 (b) doveva concernere la seconda parte del verso, wJç pareivaç w]n o[fiç, nella quale il raro attributo può facilmente avere richiesto una spiegazione marginale, e.g. p≥ªareivaç: o[fewç ei\ºdoç ktl, secondo la formulazione dello sch. 690ba ei\doç o[fewç oJ pareivaç. ei[rhtai de; para; to; ejph'rqai ta;ç pareiavç ktl; cfr. Hsch. p 765 H., EM. p. 653, 39 G. L’attestazione aristofanea gode dello statuto di exemplum nella tradizione grammaticale: Amm. De voc. diff. 372 N. pareiai; kai; parei'ai diafevrouçin. pareiai; me;n ga;r ojxutovnwç aiJ tou' ajnqrwvpou, parei'ai de; properiçpwmevnwç o[feiç tine;ç metevwra ta; parei'a e[conteç: “wJç pareivaç w]n o[fiç”; Hdn. Orth. II pp. 563, 31-564, 1 L. pareivaç to; çhmai'non to;n o[fin dia; th'ç ei difqovggou gravfetai oi|on pareivaç pareivou kai; e[çtin hJ crh'çiç para; ΔAriçtofavnei ejn Plouvtw/ “ojda;x–o[fiç”.
140
Aristophanes 22
pareivaç dev ejçtin ei\doç o[fewç e[con ta;ç pareia;ç ejphrmevnaç. Per il séguito della nota si può pensare ad esempio a gevn≥ªuç e[con megavlaç (cfr. gli scolii recenti 690c oiJ ga;r çurivzonteç o[feiç megavlaç e[couçi pareiavç (thPstr), parei'ai o[feiç tw'/ çurivttein eujruvnouçi ta;ç pareiavç (Reg); Sud. p 585 A. ojnomavzontaiv tineç o[feiç ou{twç, para; to; pareia;ç meivzouç e[cein) che però non soddisfa bene la traccia sul bordo del frammento, oppure a gew'≥ªdeç (vel sim.), aggettivo riferito alla pelle del serpente ajmfivçbaina nello sch. Nic. Th. 372a (ma il pareivaç è detto purrovç in Ael. NA. VIII 12). v. 694 Nota glossografica: flavw è forma ionica e dorica, impiegata nella commedia attica come colloquialismo e corrispondente a qlavw, cfr. sch. 694b kai; ga;r fla'n to; qla'n, wJç “fhrçi;n ojreçkwv/oiçin” (Hom. Il. I 268); Hsch. f 567 H.C.; Sud. f 518 A. Atipica la sospensione antù per ajnti; o ajnti; tou' (Gonis 1999, p. 169), di consueto abbreviati an, a∫ e ant (McNamee 1981, pp. 7-8). v. 695 La forma postclassica dell’imperfetto di eijmiv funge da glossema, come altrove negli scolii (e.g. sch. Pl. 29a; 77) e nei lessici: Moer. h 2 H.; Phot. Lex. h 185, 188 Th.; Sud. h 366 A. vv. 701-702 I tre righi affiancano a destra quanto rimane dei vv. 701-702, dai quali li separa uno strappo nel papiro. A sinistra la nota può aver perduto fino a due lettere per rigo; imprecisabile l’entità della lacuna a destra. Gli scolii attestano che i commentatori antichi riconobbero nel v. 701 l’implicita affermazione di un rapporto di parentela di Iasò con Asclepio. Nello sch. 701a (VEQBarbV57Ald) si prende atto dell’affinità (parentela?) dei due personaggi (proçh'ke tw/' ΔAçklhpiw/' hJ ΔIaçwv); nello sch. 701b (RVE) la parentela pare essere interpretata come invenzione aristofanea, dunque non tradizionale (th;n ΔIaçw; pepoivhke qugatevra ΔAçklhpiou'). Lo sch. 701c (VEQBarbRsV57Ald) dà spazio alle ragioni di perplessità (a[xion ajporei'n): l’aporia assume evidenza nell’opposizione tra la testimonianza di Aristofane stesso, che altrove (Anfiarao, fr. 21 K.-A.) dice Iasò figlia dell’eroe argivo Anfiarao, e quella di un giambo di Ermippo (fr. 1 W.2), che invece la pone tra i figli di Asclepio. L’idea di fondo che accomuna i tre scolii è che la discendenza di Iasò da Asclepio rappresenti un dato non tradizionale e, quindi, problematico. I restanti scolii antichi al v. 701 e al v. 702 spiegano l’etimologia dei nomi ΔIaçwv, forse ancora all’interno del dibattito sulla presunta parentela con Asclepio, e Panavkeia: sch. 701da (REN; in EN la nota è interlineare) para; to; ija'çqai; 701db (VMEQBarbV57Ald) para; th;n i[açin wjnomaçmevnh; 702 (V) para; to; a[koç, th;n qerapeivan. Nella tradizione medievale, pertanto, prescindendo da alcune isolate glosse interlineari che nei mss. N e M identificano Iasò come figlia di Asclepio, riconosciamo due distinti blocchi di annotazioni. Uno più cospicuo, tràdito dai mss. VE(N)(M)QBarb(Rs)V57Ald in questa successione (cfr. ed. Chantry, app. crit. ad l.): 701a (Iasò ha elementi di affinità con Asclepio), 701db (etimologia di ΔIaçwv), 701c (il problema della paternità di Iasò: le testi-
P.Oxy. LXVI 4521
141
monianze discordi dell’Anfiarao di Aristofane e del giambo di Ermippo). Un secondo gruppo di scolii, più esiguo, attestato essenzialmente dal ms. Ravennate: 701da (etimologia di ΔIaçwv), riutilizzato in posizione interlineare anche da EN; 701b (Aristofane fa di Iasò una figlia di Asclepio), aggiunto da V in coda all’altra sequenza di note e da E alla glossa 701da. Lo sch. 702 (etimologia di Panavkeia), tramandato soltanto nel margine di V, può dare l’impressione di essere stato coniato in un secondo tempo, come pendant delle note etimologiche su Iasò. L’esame della tradizione scoliografica, rivolta principalmente a spiegare il nome di Iasò e a interrogarsi sul suo rapporto di parentela con Asclepio, può orientare la discussione sul contenuto originario della nota del papiro. Tra le ricostruzioni possibili, tre sembrano più probabili: (1) costoro [sono figlie] di Asclepio, e il nome Panakeia [deriva da a[koç, mentre il nome Iasò deriva] da ijatrikhv; (2) costoro [sono figlie] di Asclepio: [Iasò/Hygieia?] e Panakeia; [il nome Iasò deriva] dalla ijatrikhv (cfr. Gonis, pp. 169-170; di poco si discosta la ricostruzione proposta da Luppe 2002b, p. 489, qui riprodotta in apparato); (3) costoro [sono compagne, e.g. ajkovlouqoi] di Asclepio, e Panakeia [è sua figlia, mentre Iasò (scil. è menzionata perché il suo nome) deriva] dalla ijatrikhv. Ammettendo l’ultima ipotesi, la nota nel papiro rispecchierebbe il problematismo esegetico sul rapporto di Iasò con Asclepio, comune a tutta la tradizione scoliografica citata, e proporrebbe la considerazione etimologica come argomento risolutivo. Tuttavia, le cattive condizioni materiali del testo marginale non consentono di preferire alcuna ipotesi a scapito delle altre. v. 705 La nota affianca il v. 705, dal quale la separa una lacuna. “Agroikon è la sola parola di questo verso suscettibile di esegesi. ΔAthmelhvç o ajthmevlhtoç, proposti da Gonis, sono aggettivi di uso prevalentemente poetico nell’attico dell’età classica e adeguatamente attestati nella prosa dell’età imperiale e sembrano rispondere in modo conveniente alle tracce residue e al contesto esegetico. Si deve invece escludere ajnhvmeroç, dato come sinonimo di a[groikoç negli sch. Eq. 41c, 41d; cfr. Hsch. a 5058 L.; Sud. a 2415 A.; EGud. s.v. a[groikoç (p. 17 Stef.). Lo spazio che separa queste lettere dal v. 705 (cm 1,4 ca., contro distanze di cm 0,2/0,6 degli altri marginalia del papiro dal testo poetico) lascia supporre che l’inizio dell’annotazione sia andato perduto (e.g. antù = ajnti; tou'). v. 706 ? Gli scolii antichi 706a-b e lo scolio recente 706b si concentrano sull’appellativo çkatofavgoç assegnato da Carione ad Asclepio: lo sch. 706a stabilisce l’equivalenza con ajnaivçqhtoç, spiegata nello sch. 706b ajpo; tw'n para; Boiwtoi'ç bow'n oi} dia; th;n pollh;n ajnaiçqhçivan çkata; h[çqion; lo sch. rec. 706b mette in relazione çkatofavgoç con la prassi medica di esaminare le feci. Nel papiro si potrebbe perciò supporre, e.g., ajnaivçqhton geºn≥ov(menon)ª . L’aggettivo çkatofavgoç ricorre nella hyp. Eq. B 5 e 10 M.J. in riferimento al Salsicciaio,
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Aristophanes 22
avversario del Paflagone-Cleone, e nello sch. Pac. 48a per spiegare un’allusione scurrile rivolta a Cleone stesso (da cui, nel papiro, ... Klevwºn≥o(ç)ª ... ?). v. 959 Il primo rigo affianca il v. 959, il secondo l’interlinea fra i vv. 959 e 960. Lo sviluppo sintattico della nota e la sua collocazione a destra della colonna di testo (al pari di oJ qeravpwn al v. 965) la configurano come un vero e proprio intervento esegetico di attribuzione della battuta, piuttosto che come indicazione del personaggio al suo ingresso in scena (di cui un esempio in P.Oxy. XIII 1617 ⇒ 21): cfr. Gonis 1999, p. 168. La spiegazione è forse sembrata opportuna all’annotatore in ragione dell’antifrastica apostrofe ironicamente rivolta poco più avanti dal coro alla vecchia (v. 963 w\ meirakivçkh). Palmare l’affinità della nota con gli scolii antichi 959a e 959b, specialmente quest’ultimo: grau'ç pro;ç to;n coro;n tw'n gerovntwn hJ fivlh tou' neanivou V, tau'ta pro;ç to;n tw'n gerovntwn coro;n grau'ç tivç fhçin E; cfr. anche la glossa ad l. del ms. Rs, grau'ç tiç pro;ç to;n corovn fhçin. v. 963 La restituzione è favorita dallo sch. 963f kata; kairovn (cfr. Sud. w 185 A., s.v. wJrikw'ç). Da rilevare che nel ms. V (e, con discrepanze di vario tenore, nei mss. ad esso collegati) l’annotazione all’avverbio wJrikw'ç si dispiega come segue (cfr. ed. Chantry, app. crit. ad l.): sch. 963c+d+e+f ajnti; tou' newterikw'ç h] eujprepw'ç kai; koçmivwç h] piqanw'ç h] kata; kairovn (cfr. la voce citata della Suda: newterikw'ç h] eujprepw'ç h] kata; kairovn). A parte l’accumulo di glosse alternative in V, la nota del papiro e quella del testimone medievale sono identiche per struttura sintattica e parte del contenuto. v. 965 Cfr. il commento al v. 959. La nota rappresenta una presa di posizione nell’àmbito del problema, di cui è rimasto il segno nella tradizione medievale diretta del Pluto, sull’identificazione del personaggio (Cremilo o il servo Carione?) che in questa scena interloquisce con la Vecchia. Gli scolii alla commedia non affrontano la questione. Nel ms. V, come nella nota del papiro, la battuta è assegnata a Carione; la testimonianza di R è contraddittoria (cr oik = Cremuvloç oijkevthç); AMU concordano nell’assegnarla a Cremilo, con buone probabilità di essere nel giusto. Gonis 1999, p. 171, richiama, per la forma e per la posizione, la nota marginale o atlaç an( ) in P.Bodmer XXVIII, II 20 (cfr. Turner 1976, pp. 5, [8]). FAUSTO MONTANA
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sec. Vp
P.Oxy. LXVI 4520 Glosse marginali a Pl. 720, 729 Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms. Edd.: GONIS 1999, pp. 159-166; TROJAHN 2002, p. 58; MCNAMEE 2007, p. 194. Tab.: http://www.papyrology.ox.ac.uk. Comm.: MP3 152.11; LDAB 7181 2002, pp. 188, 191-192.
LUPPE 2001, p. 191; LUPPE 2002b, p. 489; TROJAHN
Frammento piuttosto ampio (cm 10,5 × 27,8) e logoro di un foglio di codice papiraceo, che preserva all’incirca i 3/4 inferiori interni. Nel recto (%) restano cm 3 di margine sinistro, i vv. 635-679 del Pluto (assai lacunosi all’estremità destra) e cm 2,8 di margine inferiore; il verso ($) contiene la metà destra dei vv. 698-738, affiancata da cm 4,3 di margine destro (nel quale trovano spazio due glosse marginali) e seguita da cm 3,8 di margine inferiore. La conservazione del margine inferiore consente di calcolare che nel verso si trovavano 59 righi, corrispondenti a una colonna di scrittura alta cm 30 circa. Il formato del foglio è valutabile approssimativamente in almeno cm 19 × 361, misure rapportabili alle classi 1 e 3 di Turner 1977. Occorre infine rilevare che le due colonne di scrittura del recto e del verso non si sovrappongono ma sono tra loro sfalsate, cosicché il margine destro di entrambe le facce doveva risultare più ampio di quello sinistro: una disposizione che si riscontra anche in altri testimoni papiracei coevi qui considerati e che in genere – ma, a quanto pare, non in questo caso – è funzionale di fatto a una densa annotazione marginale2. Nella scrittura si riconoscono due mani. Il testo, ora in un inchiostro bruno alquanto sbiadito, è realizzato in “a small informal one with occasional cursive tendencies”, datato da Gonis al Vp sulla base del confronto con P.Oxy. XIII 16143. La seconda mano, che è intervenuta con correzioni e cui probabilmente dobbiamo anche gli scarsi marginalia, si distingue per l’in-
1 2 3
Cfr. Gonis 1999, p. 160. Si vedano in particolare P.Oxy. XI 1371 ⇒ 13 e pp. 8-9. Cavallo-Maehler 1987, nr. 20b = Turner 1987, nr. 23.
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Aristophanes 23
chiostro più scuro ed è molto simile e coeva alla prima. Il testo è accuratamente corredato di segni di scansione testuale, fra i quali devono essere qui ricordati i dicola e le paragraphoi, a separare le battute dei personaggi. Alla seconda mano è da assegnare il semeion >— (diple obelismene)4 tra il v. 664 e il v. 665. Stando a quanto ne rimane, le note marginali ai vv. 720 e 729 hanno la circostanziata concisione e la semplicità di glosse elementari, di livello scolastico. Nel secondo caso, la spiegazione del termine letterario è preceduta da quest’ultimo in posizione di lemma, ma in una forma (hJmituvbion) che corregge quella presente nel testo (hJmituvmbion). Nonostante alcune marcate analogie di questo frammento con quanto sappiamo del perduto P.Oxy. XIII 1617 ⇒ 21, le caratteristiche codicologiche ricostruibili portano a escludere la loro provenienza da un medesimo manoscritto aristofaneo5.
Verso ($) v. 720
ªo[xeiº ... Ǫfhttºivªw/º
23
drimutavtw/ la nota si trova ca. cm 1 a destra del v. 720
[con aceto] di Sfetto v. 729
acutissimo hJmituvºmbion
32
hJm≥ituvbion≥ rJavk≥o≥ç≥ª h≥≤≤ª la nota inizia ca. cm 3 a destra del v. 729 —— 1 r≥Ja≥vk≥o≥ç J.R. Rea apud ed. pr. (p. 166) 2 fort. hJm≥i ≥ªtribevç Gonis, cl. sch. 729h
pezzuola
panno ...
v. 720 Cfr. sch. 720h tw/' drimutavtw/; sch. 720k o{ti drimu; o[xoç para; Çfhttivoiç 4 Gonis 1999, p. 165; cfr. Turner 1987, p. 12 n. 60; Barbis 1988, pp. 473-476. Vd. anche supra, MPER N.S. I 34 ⇒ 17, p. 112 n. 6. 5 Gonis 1999, p. 161.
P.Oxy. LXVI 4520
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ejgivneto; Hsch. o 942 L. o[xoç Çfhvttion: i[çwç oiJ Çfhvttioi ojxei'ç h\çan, dia; tou'to ei\pen o[xoç Çfhvttion, h[goun drimuv. v. 729 hJmituvbion funge da lemma della nota marginale, venendo a costituire, al tempo stesso, una correzione (non v.l.: cfr. Gonis 1999, p. 166) di hJmituvºmbion del testo. Il papiro conferma l’antichità dell’incertezza testuale, nota, oltre che dai testimoni medievali, anche da altre oscillanti attestazioni del termine, a partire da Poll. VII 71. La glossa rJavkoç trova riscontro negli scolii: 729e kurivwç to; ejpi; çtolh/' nekrou' rJavkoç; 729h rJavkoç hJmitribevç, da cui l’ipotesi di restituzione dell’aggettivo al r. 2 della nota, avanzata da Gonis 1999, p. 166. FAUSTO MONTANA
24
P.Oxy. XV 1801, col. I 21-27 = CGFP 343, 21-27 [⇒ III: Lexica]
sec. II/IIIp
Voce di lessico (Polyidus fr. 471 K.-A.)
25
ªbevlekkoi: ªtw'n belevkkwn” ª ª ª ªquroç ªqoç
ΔAriçtofavnhºç≥ ejn Poluivdwi: “kai; levºg≥ei de; peri≥; aujtw'n º tou'ton: “e[çtin º≤o≥u≥ª≤≤ºe≥ç para; toi'ç th;n º≤ª≤ w{ºç≥per oJ pivço≥ç kai; lavºi kriw'i tw'i to; mevgeº≤r≥≤≤ kalou'çin”.
21 poluidwi É kai pap. 23 dopo touton spazio bianco 24 le tracce precedenti ºe≥ç sono su un frammentino ora distaccato, la cui collocazione originaria risulta dall’ed. pr.: º≤le tracce, nella parte inferiore del rigo, sembrano quelle di un’asta verticale seguita da un tratto discendente a sinistra e un secondo tratto verticale (forse n) 25 º≤ª tratto verticale nella parte alta del rigo 26 ºi alla sommità di i sembra che arrivi la legatura della lettera precedente 27 º≤r≥≤≤resti nella parte alta del rigo di 3-4 lettere: la prima traccia è un tratto inclinato verso destra (probabile u; non si possono escludere e, k); dopo r resti di un tratto concavo in basso nella parte alta del rigo (forse o); resti di un tratto leggermente inclinato a destra, forse la seconda asta di un n —— 21 bevlekkoi Naoumides 1961 : bevlekoi Kurz 1937 : bevlekoç Hunt 1922 : bevlekkoç Edmonds 1957 ei\doç ojçprivwn Kurz 1937 : o[çpriav tina Naoumides 1961 ΔAriçtofavnh]ç Hunt 1922 22 belevkwn (belevkkwn Naoumides 1961) ... le]gei Hunt 1922 23 lovgon] tou'ton Hunt 1922 dub. [Fainivaç to;n trovpon] tou'ton Crönert 1922 [Fainivaç ejn toi'ç (vel ejn tw'i x) peri; futw'n to;n trovpon] tou'ton Kurz 1937 : ejn th'i x tw'n peri; futw'n Luppe 1967 23-25 e[çtin ⁄ ªde; o[çprion oujk ajfan]e;ç para; toi'ç th;n ⁄ [gh'n futeuvouçin Crönert 1922 25-27 lav⁄[quroç o{moioç ≤≤≤≤≤]i kriwpw'i to; mevge⁄qoç Hunt 1922 : lav⁄ªquroç to; ei\doç kai; tw']i kriwpw'i (scil. ejrebivnqwi cl. Thphr. HP. VIII 5) to; mevge⁄ªqoç o{moion Crönert 1922 : lavv⁄[quroç to; ei\doç kai; tw'i ejrebivnqwi tw']i kriwpw'i to; mevge⁄ªqoç o{moion Kurz 1937 : la⁄ªquroç o[çprion o{moion ? ... ºw≥i kriw'i tw'i to; mevge⁄ªqoç ejrebivnqou ? e[conti e.g. Luppe 1967 27 bevleºkon (bevlekºkon Naoumides 1961) kalou'çin Hunt 1922 sed ºkon non legitur: lavq]u≥r≥o≥n≥ supplendum
ªbevlekkoi: legumi (?); Aristofane] nel Poliido: “e [dei bevlekkoi” ... parla] di questi ..... così: “è ... accanto ai ... come il pisello e la veccia ... [simile (?)] al cece per grandezza ... [veccia (?)] chiamano”.
Che il lemma sia bevlekkoi1 appare indubitabile. La chiave dell’identifica1
La forma con doppio k sembra preferibile in base a EM. b 111 L.-L., cfr. infra.
P.Oxy. XV 1801, col. I 21-27
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zione si trova nei rr. 25-26 che possono essere messi a confronto con la spiegazione fornita da Hsch. b 485 L. bevlekkoç: o[çpriovn ti ejmfere;ç laquvrw/ mevgeqoç ejrebivnqou e[con (stretti, infatti, sono i rapporti fra il nostro lessico ed Esichio, cfr. ⇒ 3 n. 1). Il riferimento ad Aristofane inoltre conferma l’identificazione, perché una citazione simile si trova in EM. b 111 L.-L. bevlekkoi: o[çpria. “kai; tw'n belevkkwn”. ΔAriçtofavnhç. Si tengano inoltre presenti Zon. p. 383, 14 T. bevlekoç. o[çprion: e[oike de; toi'ç laquvroiç e Psell. Poem. 6, 448-449 w\\croç ei\\doç ojçprivou, ⁄ wJçauvtwç de; kai; bevlekoç, ejoikw;ç toi'ç laquvroiç che costituiscono gli unici altri luoghi in cui il termine bevlek(k)oç risulta attestato. La somiglianza con Esichio sembra limitarsi alla seconda parte dell’interpretamentum, cioè alla seconda citazione, conservata da Esichio ma in forma abbreviata e ridotta forse per la sua natura descrittivo-esplicativa. L’Etymologicum Magnum invece mostra affinità con P.Oxy. XV 1801 nella prima parte della glossa, ma ha omesso completamente il secondo riferimento. Zonara infine presenta un testo ulteriormente decurtato. Il nostro lessico riporta una glossa a un passo del Polyidus (fr. 471 K.-A.), in cui doveva trovarsi il kai; tw'n belevkkwn riportato dall’Etymologicum Magnum e che si può restituire ai rr. 21-22. Secondo Kurz 1937, pp. 150-151, e Naoumides 1961, p. 99, tuttavia, la citazione in P.Oxy. non si sarà limitata a kai; tw'n belevkkwn ma doveva contenere un intero trimetro giambico (di diversa opinione Luppe: “Kurz hält das Zitat für einen iambischen Trimeter, der zwar dem von ihm angenommenen Umfang der Lücke entspricht, sie aber nach der neuen Berechnung nicht ausfüllt”, p. 96). Quanto al lemma, il plurale di Kurz, Naoumides, Luppe, Austin 1973 appare preferibile al singolare di Hunt ed Edmonds, poiché suggerito (anche se non garantito) dal successivo peri; aujtw'n (se è esatta l’integrazione della citazione ai rr. 21-22, aujtw'n potrebbe richiamare non il lemma, bensì tw'n belevkkwn). Dopo il lemma doveva seguire una spiegazione (Edmonds 1957, p. 700, fr. 455A-460, invece stampa ªbevlekkoç: ΔAriçtofavnhºç ejn Polui?dw/: “kai; ªtw'n belevkkwn”º). A sostegno della proposta di Naoumides o[çpriav tina sta la glossa esichiana. Si vedano inoltre, ad esempio, anche Phot. Lex. b 278 Th. brivkala: o[çpriav tina, k 518 Th. kevdropa: o[çpria: kai; oi|on cevdropa. Crönert 1922, col. 425, ipotizzò che all’inizio del r. 23 vi fosse il nome dell’autore da cui era desunta la trattazione seguente e integrò Fainivaç, dato che il peripatetico scrisse un Peri; futw'n (frr. 36-50 W.). L’ipotesi è accettata da tutti gli editori successivi, ma è forse auspicabile una maggiore prudenza. Con e[çtin, preceduto da spazio bianco, inizia sicuramente una nuova sezione e, non escluderei, una citazione (lo fa sospettare il tou'ton precedente e[çtin). Nei rr. 25-26 lavªquroç ‘veccia’ risulta sicuro (cfr. la citata glossa esichiana), ed è probabile che prima del dativo kriw'i vi sia un’espressione che indichi “somigliante” (preferirei ejmferhvç, sempre in base ad Esichio). Nel r. 26 i primi
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Aristophanes 24
editori leggevano kriwpw'i, un hapax2, ma Luppe 1967, pp. 96-97, ha argomentato, giustamente, che la legatura fra w e p è del tutto improbabile e ha interpretato – seguito da Austin – kriw'i tw'i. Si potrebbe anche ipotizzare l’articolo prima del sostantivo (tw'ºi kriw'i tw'i). Per il r. 27, mi sembra senza dubbio plausibile, anche alla luce di Esichio, il mevge⁄ªqoç ejrebivnqou e[contiº, di Luppe. In conclusione, si può supporre che nella glossa si chiosasse il poco usato bevlekkoi con il più comune o[çpria; quindi non è escluso seguisse un excursus su vari legumi e sulle loro qualità, del tipo di quello che si legge in Gal. Alim. fac. VI 524, pp. 12 ss. K. (cfr. inoltre, in proposito, Poll. I 247, 4). ELENA ESPOSITO
2 Non si può certo citare il kriwpovç dello pseudo-euripideo fr. 955h, 2 K., testimoniato da Phot. Lex. a 2153 Th., dove si tratta di un sinonimo – dalla dubbia genuinità – di krioprovçwpoç ‘dalla testa di montone’.
25
P.Oxy. LXVI 4509
seconda metà del sec. IIp
Commentario a Ve. 36-41 Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms. Edd.: GONIS 1999, pp. 113-118; TROJAHN 2002, pp. 43-44. Tabb.: P.Oxy. LXVI (= GONIS 1999), XV; http://www.papyrology.ox.ac.uk. Comm.: MP3 154.02; LDAB 7170 LUPPE 2001, p. 190; LUPPE 2002b, p. 489; TROJAHN 2002, pp. 171, 184-185; MONTANA 2005, pp. 30-34; PERRONE 2010, pp. 95-96, 103.
Cinque frammenti di rotolo papiraceo, il più ampio dei quali (fr. 1: cm 3,8 × 7,5) sul recto conserva nove righi lacunosi di commento a Ve. 36-41, seguiti da brandelli del margine inferiore (estensione massima del margine: cm 2,4). La scrittura, una semicorsiva diritta e nitida, caratterizzata da occasionali variazioni nel ductus di alcune lettere e da frequenti legature, è assegnata alla seconda metà del IIp dal primo editore1. Si tratta del più antico testimone noto di un commentario a una commedia conservata di Aristofane. Gli altri frammenti hanno caratteristiche materiali e paleografiche che suggeriscono la loro appartenenza al medesimo rotolo del fr. 1, benché non sia chiaro se contengano anch’essi parti del commento alle Vespe. Il fr. 2 misura cm 2 × 4, mentre la superficie dei frr. 3-5 non supera o supera di poco il centimetro quadrato. Sul verso dei frr. 2 e 3 permangono tracce di un testo documentario, in una scrittura corsiva databile alla prima metà del IIIp. Nel fr. 5 i pochi righi di scrittura sono affiancati a sinistra da un esiguo tratto di margine. Mancano segni di lettura. Nel fr. 1 si incontrano due abbreviazioni per sospensione (rr. 4 e 8). Nel fr. 2 lo scriba stesso, a quanto pare, ha corretto un proprio errore barrando due lettere (r. 2). Dal frammento maggiore, nonostante la perdita del margine sinistro (che avrebbe fornito informazioni sull’impiego di segni critici o altri metodi di segnalazione dei lemmi, come l’ekthesis), si ricavano alcuni dati sulle caratteristiche di questo commento. Vacua potevano precedere (r. 8) e seguire (r. 6) un lemma. È possibile che alcuni lemmi avessero la lunghezza di un intero
1
Gonis 1999, p. 114.
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Aristophanes 25
verso o quasi (probabilmente r. 2, forse rr. 8-9), se non di più2. Il rapporto fra i lemmi e la relativa spiegazione mostra una larga generosità verso i primi, cosicché i vv. 36-41 dovevano essere riportati quasi per intero (tranne forse il v. 37). La ripetizione di ejmpeprhmevnhç (v. 36: rr. 2 e 5-6) dimostra che singole parole della commedia, cui si voleva riservare una spiegazione puntuale, potevano essere ripetute come lemma anche a breve distanza. Parimenti fªavllain j, (v. 39: r. 8) ricorre anche al v. 35 e dunque doveva avere già ricevuto spiegazione nella parte del commento immediatamente precedente a quella conservata: si conferma così l’intenzione del commentatore di riprodurre in abbondanza il testo letterario. Riguardo al contenuto e al livello del commento, il poco che ne rimane nel fr. 1 è sufficiente appena per farsi l’idea che osservazioni di maggior respiro (rr. 2-5, sulle ragioni dell’ironia aristofanea nei confronti della voce di Cleone) si alternassero ad altre di tipo lessicale (r. 6, spiegazione di ejmpeprhmevnhç). I contatti sicuri con gli scolii di tradizione medievale si limitano ai rr. 3-6 (nei quali Ve. 36 offre lo spunto per una spiegazione della satira aristofanea di Cleone e per la cui ricostruzione si deve ricorrere al confronto con scolii diversi, non tutti relativi alle Vespe: sch. Ve. 34, 36a ed Eq. 137c-e, 248a-b) e al r. 6 ejmpefuçhmevªnhç (= sch. 36b). Nei rr. 7-10 del frammento si riconoscono attualmente soltanto piccoli resti dei vv. 38-41 (lemmi e forse anche una ripresa del testo letterario in sede di spiegazione), che lasciano aperte varie possibilità d’interpretazione della struttura e del contenuto originario di questo punto del commento. Su questa fragile base, Gonis e Luppe hanno elaborato un’ipotesi di ricostruzione copiosamente basata sugli scolii3.
Fr. 1
5
ä ä ä ]≤≤≤ª fwnh;ºn ejm≥p≥e≥p≥rhmevn≥ªhç uJo;ç: to;ºn≥ Klevwna kako≥ª º Paflagov(na) aujto;n≤ª paºf≥lavzein. h\n de;≤ª ejmpeprh-
(36)
2 Gonis 1999, pp. 114, 117, ritiene che i rr. 8-10 costituissero un unico lemma, comprendente i vv. 39-41 (salvo poi ipotizzare con W. Luppe, a p. 117, una spiegazione di dhmovn del v. 40 al r. 9). 3 Gonis 1999, p. 117; vd. infra, nel commento. La ricostruzione è accolta come sostanzialmente sicura da Trojahn 2002, pp. 43 e 185.
P.Oxy. LXVI 4509
151
mevnhºç≥: ejmpefuçhmevªnhç º≤on toujnuvpnion ≤ª kºw≥≥mw/(dei'). eijqΔ hJ miara; fªavllainΔ 10
boveiºon dhmovn ≤ª bouvºl≥etai≥ dii>çtavn≥ªai
(36) (38) (39) (40) (41)
4 paflago pap. ≤ª breve tratto concavo a destra, forse o 5 ≤ª asta verticale, compatibile con h o k 6 ºç≥ minime tracce, quasi certamente di ç, seguite da vacuum di cm 0,2 7 º≤ tratto basso, incurvato a destra verso l’alto, quasi unito al seguente o: possibili h, k, l, m, p ≤ª due tracce puntiformi sul bordo del frammento, una a metà e una alla base del rigo (e ?, ç ?) 8 ºw≥mw pap., seguito da vacuum di cm 0,4 hq pap. 9 tracce sul bordo destro, possibile o —— 1-2 fort. lemma favllaina pandokeuvtria e[couça ⁄ fwnh;ºn ktl (vv. 35-36) 2 suppl. Gonis 3 toºn≥ Gonis kakov≥ªfwnon Luppe ap. ed. pr. 4 oj≥ªnomavzei Gonis 5-6 suppl. Gonis 7 fort. kaºk≥o;n (perperam pro v. 38 kavkiçton ?) 8-10 suppl. Gonis 9 o≥ªi[moi (v. 40)? : d≥ªhmovn e.g. Luppe ap. ed. pr.
... (36) voce di troia] tronfia: [ ... ] Cleone [... ] lo [ ... ] Paflagone [ ... ] agitarsi. Era [ ... tronfia]: gonfiata[. ... ] (38) il sogno [ ... ] mette in ridicolo. (39) e poi l’immondo [mostro ... ] (40) grasso [di bue ... (41) vuol] fare a pezzi [
Fr. 2 ($) ä ä ä
Fr. 3 ($) ä ä ä
Fr. 4 ($)
Fr. 5 ($)
ä ä ä
ä ä ä
º≤aiª
º≤ª
º≤an≥ª
≤ª
º≤iç·mi‚çu≤ª
ºm≥ou≤ª
º≤a≥taª
po≤ª
ºkolaçanª
ºçonª
º≤çonª
le≤ª
ºrtazouç ≥ª
ºein≥ª
5 ºn≥iouç≤≤≤ª
º≤oiª
º≤eno≤ª
ä ä ä
≤≤ºe≥ª ä ä ä
ä ä ä
º≤mª ä ä ä Fr. 2 1 º≤ estremità inferiore di un tratto obliquo discendente, che si incontra a destra con la metà inferiore di un’asta verticale: probabile n 2 º≤arco di piccolo raggio, compatibile con o ef ≤ª tratto ascendente inclinato a destra, sormontato dall’inizio di un tratto discendente: m, piuttosto che l 4 ≤ª asta verticale: i, h 5 ≤≤≤ª un primo segno è interpretabile come parte superiore di l o d o come metà sinistra di m; seguono due tratti alti, il primo incurvato verso il basso e il secondo orizzontale 6 º≤ breve segno basso curvilineo unito al successivo e (legatura?) ≤ª ano stigme? 7 º≤ parte superiore di un tratto verticale Fr. 3 1 º≤ª breve segno orizzontale basso 2 ≤ª estremità inferiore di tratto obliquo ascendente 4 º≤ tratto orizzontale alto, legato a o Fr. 4 1 º≤ tracce di asta verticale che scende sotto il rigo (r ?) 2 º≤ tratto orizzontale a metà
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Aristophanes 25
altezza nel rigo: ºk≥ Gonis 3 º≤ parte terminale di tratto obliquo discendente (a ?) Fr. 5 1 ≤ª tratto concavo verso l’alto nella parte bassa del rigo 2 ≤ª tratto concavo a destra, probabilmente la parte sinistra di ç 3 ≤ª possibili p oppure g legato a breve tratto verticale alto (go, ge ?) —— Fr. 2 1 º≤ai≥ª º≤ª Gonis 2 tºo≥i 'ç çum≥ªmavcoiç ? Gonis 4 eJoºrtavzouçi≥ ? Gonis Fr. 5 3 lep≥ªavç ? Gonis
Fr. 1 Mancano elementi sicuri per stabilire con esattezza l’ampiezza della lacuna a sinistra e a destra. Gonis 1999, p. 116, pensa a righi di circa 40 lettere, con caduta di 3-4 lettere all’inizio di ciascun rigo, e formula un’ipotesi di ricostruzione dell’intero frammento sulla base della tradizione scoliografica medievale e avvalendosi di alcune proposte congetturali di Luppe (p. 117): fwnh;ºn ejmpeprhmevnªhç uJo;ç: eijç to; kraktiko;n kwmw/(dei') ⁄ to;ºn Klevwna: kakovªfwnoç ga;r h\n. ejn de; toi'ç ÔIppeu'⁄çinº Paflagov(na) aujto;n ojªnomavzei para; to; th'/ fwnh'/ ⁄ paºflavzein. h\n de; kªai; th;n o[yin ajrgalevoç. ejmpeprhmev⁄nhºç: ejmpefuçhmevªnhç, prh'çai ga;r to; fuçh'çai. o[zei kav⁄kiçºton toujnuvpnion bªuvrçhç çapra'ç: wJç burçopwvlhn ⁄ kºwmw/(dei'). hjqΔ hJ miara; fªavllainΔ e[couça trutavnhn i{çth ⁄ boveiºon dhmovn: dªhmo;n pro;ç to; dh'mon. to;n dh'mon hJmw'n ⁄ bouvºletai dii>çtavnªai. 2-5 Quanto rimane di questi righi e il fatto che ejmpeprhmevnhç sia quasi certamente ripetuto ai rr. 5-6, dove riceve una puntuale spiegazione, dimostrano che qui trovava spazio una considerazione di carattere generale, relativa al trattamento riservato da Aristofane a Cleone nelle sue commedie, fra le quali i Cavalieri (r. 4 Paflagov(na)): di analogo tenore è lo sch. 34. È perciò verisimile che il lemma abbracciasse anche parte del v. 35, nel quale è introdotta l’immagine della favllaina pandokeuvtria (‘balena ingorda’), mostro figura di Cleone. Sulla base di ºç≥ al r. 6 (cfr. infra), al r. 2 si ricava la desinenza in genitivo di ejm≥p≥e ≥p≥rhmevn≥ªhç, che è lezione di G e degli sch. RVAld ad l., contro -hn di RV e sch. Luc. Tim. 30, p. 116, 13 R. Al r. 3 gode di plausibilità kakov≥ªfwnon, proposto da Luppe (ap. Gonis 1999, p. 116) sulla scorta di sch. Eq. 248a tou'to de; kai; eijç to; kakovfwnon aujtou' (scil. Klevwnoç). Ai rr. 4-5, la presenza del nome Paflagwvn, con la relativa etimologia da paflavzw, è indizio di un testo non molto dissimile dallo sch. 34 fin. kai; Paflagovna para; to; paflavzein th/' fwnh/': cfr. sch. Eq. 919a; Eustath. ad Hom. Il. p. 360, 28 et alibi; P.Oxy. XXXV 2741, fr. 1 B III 19-20 (commentario) = Eup. fr. 192, 135-136 K.-A. Gonis 1999, p. 116, ritiene possibile che nella nota fosse menzionato espressamente il titolo dei Cavalieri, come accade in P.Oxy. XXXV 2737 ⇒ 27. Difficile rinunciare a collegare r. 5 h\n de; ≤ª con lo sch. 36a (R) h\n de; kai; th;n o[yin ajrgalevoç, anche per la compatibilità paleografica della traccia di scrittura sul bordo destro del frammento con la lettera k.
P.Oxy. LXVI 4509
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5-6 Il vacuum che al r. 6 segue la traccia iniziale è da interpretare come separazione del glossema ejmpefuçhmevªnhç dal relativo lemma, che lo precedeva e che sarà stato inevitabilmente ejmpeprhmevnhºç≥ (peraltro già presente sopra, r. 2). In alternativa si può pensare a uJo;ºç≥, ma in tal caso il vacuum non avrebbe senso. Per la spiegazione cfr. sch. 36a (R) = 36b (VAld) prh'çai ga;r to; fuçh'çai; Hsch. p 3274 H., s.v. prh'çai. 6-8 Nella traccia che al r. 7 precede on – l’estremità inferiore destra, orizzontale e leggermente incurvata, di una lettera che si accosta dal basso al successivo omicron – sembra arduo riconoscere t, atteso per completare il possibile lemma kavkiçºt≥on toujnuvpnion. Questa lettera è tuttavia ammessa da Luppe (ap. Gonis, p. 117), che pensa a un ductus anomalo (in aujto;n, r. 4, t si lega a o con l’estremità destra del tratto superiore). Su questa strada, per la lettera successiva a toujnuvpnion, di cui restano due tracce puntiformi sul bordo destro del frammento, Gonis pensa a b di b≥ªuvrçhç (v. 38), compatibile con la restituzione del v. 38 come lemma, ai rr. 6-7: o[zei kav⁄kiçºt≥on toujnuvpnion b≥ªuvrçhç çapra'ç. Tuttavia, questa restituzione delle due lettere incerte è discutibile. Per la prima, la scelta sembra doversi orientare non tanto su t, quanto fra h, k, l, m e p, tutti caratterizzati, nel frammento, dall’incurvatura dell’estremità inferiore destra: a meno di pensare a una varia lectio o a un errore dello scriba nel riportare il testo della commedia (kaºk≥o;n per kavkiçton), quanto resta del r. 7 costituisce dunque non il lemma, ma parte della spiegazione (ipotesi contemplata anche da Gonis, ibid.), e.g. duvçoçºm≥on toujnuvpnion (l’aggettivo esplicita un elemento della satira aristofanea del cuoiaio Cleone negli sch. Eq. 44c (I), 44d). Parimenti, ci sono scarse probabilità che la lettera incertissima sul bordo destro del rigo sia b. Ne consegue che il lemma o[zei kavkiçton toujnuvpnion (v. 38) doveva occupare la parte destra del precedente r. 6 (soluzione possibile se lì non integriamo, con Gonis e Luppe, prh'çai ga;r to; fuçh'çai: cfr. supra). È infine possibile che la spiegazione proseguisse al r. 8, senza interruzione né nuovo lemma (Gonis e Luppe pensano invece a buvrçhç çapra'ç in funzione di lemma), soffermandosi sull’allusione satirica al mestiere di Cleone, già contenuta in o[zei kavkiçton: e.g. (rr. 6-8) ªo[zei kavkiçton toujnuvpnion: ⁄ duvçoçºm≥on toujnuvpnion o{≥ªti wJç burçopwvlhn to;n Klev⁄wna kºw≥mw/(dei'). Cfr. sch. 38a o{ti burçopwvlhç oJ Klevwn e, per l’espressione, sch. 35 kwmw/dei' de; pantacou' to;n Klevwna çkovptwn. 8-10 Nei tre righi lacunosi si distribuiscono la prima parte dei vv. 39 e 40 e la parte finale del v. 41. Il quadro è compatibile tanto con l’ipotesi di un unico lungo lemma, esteso ai tre righi, quanto con quella di due o addirittura tre lemmi distinti, intercalati da spiegazioni assai brevi ora assorbite dalle lacune fra i rr. 8-9 e i rr. 9-10. Gli scolii di tradizione medievale a questi versi concernono in parte parole singole (sch. 39 trutavnhn; 40a boveion), in parte l’intero v. 41 (sch. 41a, 41b).
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Aristophanes 25
Frr. 2-5 Non si rilevano coincidenze significative con il testo delle Vespe o di altre commedie, né con i relativi scolii di tradizione medievale. Per quanto concerne il fr. 2, Luppe (ap. ed. pr., p. 118) ipotizza un riferimento alle traversie (r. 3 ºkolaçanª ) causate ad Aristofane dalla messa in scena dei Babilonesi alla presenza di esponenti delle città alleate (r. 2 tºo≥i 'ç çum≥ªmavcoiç) durante la celebrazione delle Dionisie (r. 4 eJoºrtavzouçi≥). Tuttavia, sulla scorta di quanto evinciamo dalle allusioni di Aristofane all’episodio (Ach. 381-382 e 502-503), è legittimo dubitare che il verbo kolavzein sia idoneo a descrivere l’esito del procedimento giudiziario intentato contro di lui da Cleone nel 426 a.C.4 Restando nel campo delle ipotesi congetturali, si può pensare a una rievocazione della decimazione degli abitanti di Mitilene (r. 1 Mitulhºn≥aiª ?), feroce punizione (r. 3 ºkolaçanª ) per la defezione dalla symmachia con Atene (r. 2 çum≥ª ) e il passaggio fra gli alleati di Sparta (r. 5 Lakedaimoºn≥ivouç ?), sostenuta con vigore da Cleone (428/7 a.C.): Thuc. III 218, 25-50, dove è da notare in particolare, nel discorso del demagogo dinanzi all’assemblea per rafforzare la decisione di punire in massa i Mitilenesi, III 40, 4 touvçde xumfovrwç dei' k o l av z e ç q a i e, in prossimità della conclusione, 40, 7 k o l av ç a t e de; ajxivwç touvtouç te kai; toi'ç a[lloiç x u m m av c o i ç paravdeigma çafe;ç kataçthvçate. Allora per r. 4 ºrtazouçª si può forse richiamare Thuc. III 3, 3 ΔApovllwnoç Maloventoç e[xw th'ç povlewç eJorthv, ejn h|/ pandhmei; Mutilhnai'oi eJortavzouçi. Per evidenti ragioni, il ricordo di questo episodio storico ben si inserirebbe nell’esegesi aristofanea alle commedie anticleoniane (un dramma perduto, se non le stesse Vespe o i Cavalieri: cfr. infatti sch. Eq. 834a, compendio del resoconto tucidideo: Meiners 1890, pp. 281-282): l’evento rappresenta sia l’emblematico esordio politico di Cleone (Thuc. III 36, 6), sia il movente originario della più vivace satira politica aristofanea, a partire dai Babilonesi. FAUSTO MONTANA
4
Cfr. Perusino 1987, p. 23 n. 15; Mastromarco 1993, pp. 345-346; Id. 1994, pp. 47-48.
26
P.Oxy. XV 1801, col. II 12-13 = CGFP 343, 40-41 [⇒ III: Lexica]
sec. II/IIIp
Voce di lessico (Ve. 1531)
12
b≥ªevmbixº: periçt≥r≥ªoºfhv. ΔArªiçtofavnhç ejn Çfhxivn: “bevmbikeç ejgg≥ªenevçºq≥wn”, e[nio≥ªiº de; çch'mªa
12 prima e dopo periçt≥r≥ª ≥ºfh spazio bianco —— 12 bªembixº: p≥e ≥r≥i ≥çt≥r≥ªoºfh Arªiçtofanhç ? Hunt 1922 12-13 en Çfhxin: bembikeç egº⁄ªgeneçºqwn Hunt 1922 in comm. (qui dub. prop. et pe⁄rªi orniºqwn), Kurz 1937 in textu : ejn Çfhxivn: rJi 'pte çkevloç oujravnion: bevmbikeç ejgº⁄ªgenevçºq≥wn Luppe 1967 13 çch'm≥ªav ti tragikh'ç ojrchvçewç Luppe 1967 cl. sch. Aristoph. Ve. 1530 : çch'mªa çunouçivaç Crönert 1922
bªevmbixº: giravolta; Aristofane [nelle Vespe: “fate le trottole”]; alcuni invece una figura ...
Il lemma è congetturale ma pressoché sicuro. Il termine dopo la lacuna iniziale infatti è periçtrofhv, che costituisce la chiosa di bevmbix in Phot. Lex. b 127 Th. bevmbix: oJ rJovmboç. kai; hJ periçtrofh; tw'n çtrovmbwn1. Inoltre in P.Oxy. XV 1801 l’interpretamentum doveva essere seguito dall’indicazione dell’autore, dell’opera, quindi dalla citazione del locus classicus: che dunque ar[ siano le lettere iniziali di Aristofane è estremamente probabile. Al fatto che bevmbix occorre più di una volta in Aristofane (Av. 1461, 1462, Ve. 1531) si dovrà aggiungere anche che il nome del commediografo appare in circa la metà dei riferimenti conservati nel nostro papiro. Le lettere riconoscibili all’inizio del r. 13 infine, come suppose già Hunt, pur dubbiosamente, sembrano confermare che venisse qui citato Aristoph. Ve. 1531 bevmbikeç ejggenevçqwn, dove si ha l’invito a fare piroette a guisa di trottola. L’annotazione si conclude con il
1 Altre esegesi del vocabolo simili a quella testimoniata dal nostro papiro sono fornite da sch. Aristoph. Ve. 1531a bevmbikeçº periforaiv, periagwgaiv (.) VG3LhAld, toutevçti çãtrÃofaiv VG3; sch. Hom. Il. XIV 413 çtrovmbon: tine;ç to;n a[trakton ajpo; tou' periçtrevfeçqai, oiJ de; to;n bevmbika, oiJ de; to;n rJovmbon, oiJ de; çtrogguvlon livqon ktl ~ Eustath. ad Hom. Il. p. 995, 64-66 çtrovmbon dev tineç me;n a[trakton noou'çin ajpo; tou' çtrobei'çqai kai; dinouvmenon perifevreçqai, e{teroi de; th;n paizomevnhn bevmbika, h}n kai; çtrovban bouvlontai levgein oiJ ijdiwtivzonteç, a[lloi to;n rJovmbon, tine;ç de; livqon çtrogguvlon, Hsch. b 503 L. bevmbix: rJovmboç. çtrevbla. divnh. h] çuçtrofh; ajnevmou.
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Aristophanes 26
richiamo di una particolare esegesi: Crönert 1922, col. 425, ipotizzava çch'mª≥ a çunouçivaç, tuttavia, non si può sottovalutare l’osservazione di Naoumides 1961, p. 102, secondo cui esso non trova conferma nella nostra tradizione. Lo studioso, notando che bevmbix era spesso spiegato con rJom v boç, riteneva possibile che alcuni grammatici l’avessero interpretato con çch'ma gewmetrikovn. Più plausibile l’integrazione di Luppe çch'mª≥ av ti tragikh'ç ojrchvçewç, che si fonda su sch. Aristoph. Ve. 1530 rJip ' te çkevloç oujravnion: Eujfrovnioç ou{tw fhçi;n ojnomavzeçqai çch'mav ti ¢th'ç RVG ¢tragikh'ç RVG ªtragw/dikh'ç LhAldº ojrchvçewç (.) RVGLhAld: bevmbikeç. Lh. Se infatti il vocabolo in sé significa ‘trottola’2 è indubbio che il contesto possa alludere a una specifica danza. ELENA ESPOSITO
2 Tale valore è ampiamente rispecchiato dagli scolii e dai lessici: cfr., ad esempio, sch. Aristoph. Av. 1461a, b, c, sch. Ald. Aristoph. Ve. 1517b, 1; sch. Aeschl. Pr. 887b, 7; Sud. b 236 A.; EGen. b 94 = EM. b 118 = ESym. b 80 L.-L.; Zon. p. 382, 25-27 T. Altri significati che gli antichi esegeti documentano sono i seguenti: 1) EM. p. 551, 23-24 G. tou;ç bevmbikaç kwvnouç levgouçi ~ Zon. p. 1279, 12 T., 2) sch. Nic. Al. 183a, 6-8 ãkai; aiJ bevmbikeç de; tw'n çfhkwdw'n eijçin ei\\doç meliççw'n, a}ç e[nioi bovmbukaç kalou'çiÃ, sch. Nic. Th. 805-812, 9-11 bevmbix dev ejçti zw'/on çfhkoeidevç, mevlan kata; th;n croiavn, kevntrw/ crwvmenon wJç oiJ çfh'keç, 3) sch. Opp. Hal. V 222, 1-4 bevmbikaç: pomfovlugaç, o[gkouç, ta; legovmena bombokuvmata, oiJonei; kou'fa kuvmata h] çuçtrovfouç (-ofa;ç) eJlikavwn, h[wç. çtrouvmbaç, 4) sch. Tr. Aristoph. Ve. 1518 çtrofh; kwvlwn i‹.
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P.Oxy. XXXV 2737
sec. IIp
Commentario all’Anagyrus? Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms. Edd.: LOBEL 1968, pp. 39-45; AUSTIN 1973, fr. *56; KASSEL-AUSTIN 1984, fr. 590; TROJAHN 2002, pp. 62-68. Tabb.: P.Oxy. XXXV (= LOBEL 1968), V, VIII; www.papyrology.ox.ac.uk. Comm.: MP3 157.1; LDAB 345 METTE 1968, p. 534; HOFMANN 1970, pp. 1-10; GELZER 1971, nr. 24; LUPPE 1971a; LUPPE 1971b, pp. 117-118; PAGE 1971, p. 98; SIFAKIS 1971, pp. 116 n. 31, 117 n. 53, 119 n. 19; UEBEL 1971, p. 188; LUPPE 1972b; GELZER 1972; LUPPE 1973; MASTROMARCO 1974, pp. 18-19; LUPPE 1975, pp. 183-186; MASTROMARCO 1975; SUTTON 1976; DOVER 1977, p. 146; MCNAMEE 1977, pp. 188-189, 438; TAMMARO 1977, pp. 95-96; LUPPE 1978b; MASTROMARCO 1978; DEL FABBRO 1979, pp. 83 n. 51, 88, 101, 102, 110, 120, 121-122, 126 nr. 71; SUTTON 1980; LUPPE 1982; CALAME 1983, pp. 305, 617-618; MASTROMARCO 1983; LUPPE 1984; GIL 1984-1985; RADT 1985, pp. 11, 414, 459; STEPHANOPOULOS 1987; LUPPE 1988; SLATER 1988; GIL 1989, pp. 60-63; KASSEL-AUSTIN 1989, p. 432 (test. 7); LUPPE 1989a; LUPPE 1989c; ROSEN 1989; GILULA 1990; GOSTOLI 1990, pp. 125-132; KRÜGER 1990, p. 232; NERI 1994-1995, pp. 266-268; MERTENS 1996, p. 343; BAGORDO 1998, pp. 133-134 (F 18); MASTROMARCO 1998, pp. 61-68; SONNINO 1998, pp. 31-34; BILES 1999; LUPPE 1999; MASTROMARCO 1999; LUPPE 2000; STOREY 2002; TROJAHN 2002, pp. 156, 158-159, 195-196; IMPERIO 2004, p. 182 con la n. 17; MONTANA 2004, pp. 377-382; MONTANA 2005, pp. 45-49; PIRROTTA 2006; MONTANARI 2008b; MANCUSO 2009; PIRROTTA 2009; MONTANA 2009, pp. 43-44; PERRONE 2010, pp. 91-92, 103; HARTWIG 2010.
Due frammenti di rotolo, con parti cospicue di tre colonne di un commentario a commedia aristofanea, identificabile ipoteticamente con l’Anagyrus. Il fr. 1 (misure massime cm 15,9 × 26,7 ca.) conserva, con lacune, 34 righi di una colonna e 36 righi della colonna consecutiva, con ampia porzione del margine inferiore (altezza massima osservabile di cm 5,3 ca.); si contano 17/22 lettere per rigo; l’intercolumnio integro è ampio cm 2 ca.; dell’intercolumnio a destra della col. II resta un tratto largo cm 0,7/1. Se si considerano le misure del frammento, la stratificazione di fibre visibile sul verso del bordo destro e il profilo piuttosto netto di quest’ultimo, si può ragionevolmente concludere che il fr. 1 attesti un intero kollema. Il fr. 2 è costituito da una striscia oblunga (cm 3,2 × 17,3) contenente la parte iniziale di 24 righi (più traccia di un venticinquesimo) di una colonna, il cui rapporto con le
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Aristophanes 27
altre due non può essere stabilito con sicurezza; resta inoltre un tratto del margine superiore (cm 3) e, nella parte alta a fianco della colonna di scrittura, non più di cm 0,5 dell’intercolumnio sinistro. Il carattere ipomnematico del contenuto risulta dall’alternanza di testo e relativa spiegazione e dall’impiego di semeia funzionali a questa articolazione: di norma, la paragraphos sotto il rigo in cui si conclude il lemma, la diple obelismene – tracciata corsivamente in un sol tratto, così da assomigliare a una diple – sotto il rigo in cui si conclude la spiegazione. Altri espedienti di mise en page, applicati dallo scriba in modo non del tutto sistematico, sono l‘uso di spazi bianchi fra lemmi e spiegazioni e l’ekthesis dei primi. Nella parte finale del rigo sono introdotte talvolta, come riempitivo, virgolette singole o doppie (fr. 1 I 2, 4, 13, 14, 21; II 15, 22, 24). La scrittura è di tipo informale, inclinata a destra, con caratteri in genere ben staccati, e fa un uso estremamente parsimonioso dei segni di lettura (soltanto dieresi). Lobel la data al tardo II sec. d.C.1 Nella parte leggibile non si riscontrano abbreviazioni, tranne, occasionalmente, quella della nasale in fine di parola e di rigo (fr. 1 I 5, 22, 24, 27). La paternità aristofanea del dramma commentato è garantita dal rimando a un precedente hypomnema della commedia I cavalieri, senza menzione esplicita del nome di Aristofane (fr. 1 I 19 pºroeivrhtai ejn ÔIppeu'çi)2. Osservando le sequenze metriche ravvisabili nei lemmi, E. Fraenkel3 ha riconosciuto nel testo oggetto del commento parti di una parabasi: fr. 1 I 5-10 anapesti (rhesis parabatica), 19-[21] dattili (ode), 27-29 trochei (epirrhema); fr. 1 II 18 dattili (antode), 19-22 (e 25-26, 33-34?) trochei (antepirrhema). L’identificazione della commedia con l’Anagyrus si deve a Mette4 e a Hofmann, il quale la argomentò sulla base di vari indizi: 1) la possibilità, ricostruita congetturalmente, che in fr. 1 I 1-5 sia indicato l’anno di rappresentazione della commedia commentata (arcontato di Antifonte, 418/7 a.C.: l’Anagyrus è collocato fra 419 e 412 da Geissler5); 2) l’impiego nella sezione anapestica della parabasi (fr. 1 I 5-10) dell’immagine tratta dall’àmbito dei balnea pubblici ateniesi, interpretata come metaforica allusione del commediografo all’indole plagiaria di un poeta rivale, al pari di quanto comunemente si ritiene per il fr. 59 K.-A. dell’Anagyrus (cfr. fr. 58 K.-A., dove la metafora delle tre mantelline ricavate da un solo grande mantello è parimenti intesa come allusiva al plagio artistico subìto); 3) la coincidenza testuale di quan-
1 2 3 4 5
Lobel 1968, p. 39. Lobel 1968, p. 43. Ap. Lobel 1968, p. 39. Cfr. Luppe 1971a, p. 93 n. 5. Geissler 1925, p. 50.
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to rimane in fr. 1 II 33-34 thn≥ª º ⁄ braçmevnhn (brag- pap., corr. Lobel) con il fr. 51 K.-A. dell’Anagyrus = Phot. Lex. a 1404 Th.6 I primi due argomenti portati da Hofmann suonano piuttoto deboli. Il primo si presta all’obiezione che difficilmente la datazione della commedia poteva essere ritardata a tal punto nel commento7. Il secondo urta contro la discrepanza fra il metro dei frr. 58 e 59 K.-A. dell’Anagyrus (eupolidei8, interpretati come provenienti dalla rhesis parabatica della commedia sulla base del parallelo di Nub. II 518-562) e gli anapesti di P.Oxy. XXXV 2737, fr. 1 I 5109. Al contrario, la testimonianza di Fozio pare cogente, tanto che il radicale scetticismo di Gelzer non poté opporle se non il secco verdetto “dass ihre Zuweisung zum ‘Anagyros’ falsch ist”10. Sulla base di elementi contenutistici dei lemmi e del commento, lo studioso avanzava cautamente l’ipotesi di vedere nel papiro frammenti del Proagone11. Sul fronte opposto, l’identificazione proposta da Hofmann fu accolta da Uebel e poi da Luppe, che la supportò in due distinti contributi. Da un lato12 egli mise in collegamento la menzione di Terpandro (e di Ione) nello hypomnema, fr. 1 I 22, a proposito del lemma kuvknoç uJpo; pteruvgwn, con il fr. 62 K.-A. dell’Anagyrus, tràdito in Sud. a 1701 A., s.v. ajmfianaktivzein, ove al verbo è attribuito il significato di intonare il nomos orthios di Terpandro, che si apriva con il verso ajmfiv moi au\tiç a[nacqΔ eJkathbovlon ajeidevtw frhvn (PMG 697 = Terp. fr. 2 Gostoli; cfr. Phot. Lex. a 1304 Th.). Dall’altro lato, in risposta all’obiezione metrica di Gelzer, Luppe13 rilevò che gli eupolidei dei frr. 58 e 59 K.-A. potrebbero provenire da una sezione diversa dalla parabasi14 o anche dalla parabasi di una diversa redazione dell’Anagyrus; inoltre15 corroborava il proprio accostamento con il fr. 62 K.-A. dell’Anagyrus, rilevando la responsione metrica del terpandreo ajmfiv moi au\tiç a[nakta con il lemma cruçokovma filovmolpe del papiro ossirinchita, ripreso da un melos di Alcmane (fr. 1 II 18-19: [inizio dell’] antode della parabasi). L’ode e l’antode parabatiche della nostra commedia, pertanto, si sarebbero aperte entrambe con una invocazione ad Apollo, la prima improntata a Terpandro, la seconda ad Alcmane; del rifacimento dell’orthios al principio dell’ode resterebbe memoria nel commen-
6
ajnabebraçmevnh: ajnakekinhmevnh (= Hsch. a 4193 L.). ΔAriçtofavnhç ΔAnaguvrw/ “thvndΔ e{wlon ajnabebraçmevnhn”. 7 Luppe 1971a, p. 96; Gelzer 1972, p. 152 n. 74. 8 Sulle attestazioni comiche di questo tipo di verso cfr. Poultney 1979. 9 Non serve a neutralizzare la contraddizione il fatto di attribuire i frr. 58 e 59 alla seconda parabasi dell’Anagyrus, come voleva Hofmann 1970, pp. 7-8, in quanto la seconda parabasi prevede strutturalmente la sola sizigia epirrematica ed è priva di rhesis: Gelzer 1972, pp. 150-151. 10 Gelzer 1972, p. 151. 11 Gelzer 1972, p. 152 n. 77. 12 Luppe 1971a, pp. 101-102. 13 Luppe 1973, pp. 278-281.
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tario ossirinchita (nell’indicazione di Terpandro come modello, da parte di Aristarco) e nella testimonianza della Suda (che ricorda genericamente la ripresa del nomos orthios nell’Anagyrus). Se le considerazioni di Luppe hanno persuaso alcuni (ad esempio Gil)16, altri (Sifakis) hanno prestato fede allo scetticismo di Gelzer o ne hanno raccolto le ragioni come motivo di dubbio fondato. Austin 1973 stampa il frammento come “*56 Aristophanes? ΔAnavguroç”; Kassel-Austin 1984 lo pongono tra gli incertarum fabularum fragmenta aristofanei e, a proposito degli argomenti addotti da Hofmann, osservano nell’apparato ai rr. 67-68 (fr. 1 II 33-34): “sed scrupulum iniciunt cum explicatio [scil. dialelumevnhn ei\ta nenagmevnhn pavlin] ab illa [scil. ajnakekinhmevnh] diversa in qua Photium Aristophanis verba laudantem cum Hesychio consentire videmus (fr. 51) tum numeri parabasis (cf. fr. 58. 59)”. Dei due motivi di esitazione, il secondo, come si è visto, risale a Gelzer ed è stato ridimensionato da Luppe; quanto al primo, in realtà la discrepanza fra l’interpretazione presente nello hypomnema e quella lessicografica non esclude di per sé che l’oggetto delle spiegazioni fosse il medesimo. D’altro canto, si deve registrare un complesso di coincidenze che si avvicina alla prova: allo stato attuale, il mediopassivo di ajnabravttw ricorre unicamente nelle voci citate di Esichio e Fozio e (in parte ricostruito) nel commentario riportato in P.Oxy. XXXV 2737, sostanzialmente nella medesima forma (femminile singolare del participio perfetto alla diatesi mediopassiva; il nominativo nei lessici si spiega come lemmatizzazione) preceduta da dimostrativo (thnª nel papiro) e da una parola di 5-6 lettere (spazio utile nella lacuna del papiro). Ci si dovrà pertanto chiedere, con Luppe, se queste coincidenze possano essere frutto unicamente del caso17. Il commentario non copre l’intero testo della parabasi, ma al contrario è molto selettivo. Non vi è traccia dello pnigos; a quanto è dato di vedere, i lemmi conservati o riconoscibili provengono da una quindicina circa di versi o cola lirici delle quattro sezioni che compongono la sizigia epirrematica: ad esempio, dell’antode ricevono spiegazione due parole soltanto. Questa selettività, unita ad altri indizi, suggerisce che il commentario costituisca l’epitome di uno hypomnema più ricco ed esteso, il cui tenore erudito è testimoniato dalla menzione di fonti filologiche alessandrine (fr. 1 I 21-26 Aristarco, Eufronio, oJ de; th;n paraplokhvn18; II 10-11, 31? Eratostene). L’omissione dei 14 Cfr. Cratin. fr. 105 K.-A., dai Malthakoi, in eupolidei e di contenuto difficilmente consono a una parabasi. 15 Luppe 1973, pp. 281-288. 16 Gil 1984-1985; Id. 1989, pp. 60-63. 17 Luppe 1973, p. 279. 18 I.e. oJ de; Peri; th'ç paraplokh'ç gravyaç: vd. il commento ad l. L’identità dell’autore di questo scritto permane ignota; sulla teoria retorico-letteraria della paraplokhv, ovvero l’impiego letterario di estratti e citazioni da opere altrui, cfr. Lobel 1968, p. 43.
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titoli delle opere antiche da cui le interpretazioni sono tratte suona come un primo indizio di epitomazione19. Inoltre, varie asprezze sintattiche ed espressive, in genere intese dai moderni come errori e corruttele imputabili al commentatore, possono essere lette come tracce di manipolazione. Un esempio significativo è offerto dall’uso impreciso dell’avverbio prw'tºon in fr. 1 I 4 (cfr. il commento ad l. e fr. 1 II 14). Le presunte corruttele si concentrano in particolare nella spiegazione del lemma tratto dall’ode, fr. 1 I 21-27: rr. 21-22 sintassi problematica per effetto del participio do⁄ªkoºu'n, di restituzione pressoché certa; rr. 23 e 25 ellissi di un verbum putandi; rr. 24-25 oJ de; th;n ⁄ ªpºaraplokhvn, brachilogico per oJ de; th;n paraplokh;n (vel Peri; th'ç paraplokh'ç) gravyaç; rr. 26-27 ejk tw'n eijç ”Omh⁄ªrºon (scil. ajnaferomevnwn) u{mnwn. A ciò si aggiunga la possibilità che il lemma risulti dalla decurtazione di uno originariamente più lungo (cfr. il commento ad l.)20. La facies attuale del testo è dunque il risultato del rimaneggiamento (epitome) di uno hypomnema più antico, il cui terminus post quem è dato dalla citazione di una interpretazione aristarchea (fr. 1 I 21-23)21. I dati sono congruenti con la possibilità che lo hypomnema originario fosse quello di tradizione alessandrina più accreditato tra la fine dell’età ellenistica e la prima età imperiale, e cioè quello di Didimo22. Fra gli interessi dell’epitomatore non sembrano rientrare problemi testuali né aspetti di grammatica, lingua e stile, tranne quando egli non vi sia costretto dall’incompletezza del testo a lui disponibile della commedia (fr. 1 I 11-12 ªoºuj fevretai to; loipo;n ⁄ ªtou' çºtivcou). Le osservazioni più cospicue consistono nella contestualizzazione cronologica e storica del dramma e del teatro comico in genere (fr. 1 I 1-5, 27-34; II 1-8, 8-17; fr. 2, 11-14?, 15-20?), nell’individuazione di nessi intertestuali (fr. 1 I 19-27; II 18-19, 29-33; fr. 2, 21-22), nella parafrasi di passi di più difficile comprensione letterale (fr. 1 II 19-27, 33-35). Benché questa connotazione del commentario possa essere stata determinata, almeno in parte, dalle caratteristiche intrinseche della parabasi
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Cfr. Trojahn 2002, p. 198. Sarà invece da intendere come vero errore fr. 1 II 34 -bragmevnhn per -braçmevnhn (cfr. r. 35 nenagmevnhn), forse generatosi per cattiva lettura di un sigma del modello, interpretato come gamma. 21 La cronologia dell’esegeta Eufronio (fr. 1 I 23-24), da molti identificato con il poeta tragico (Strecker 1884, pp. 7-9; Susemihl 1891, I, pp. 281-282; Cohn 1907; Pfeiffer 1968, pp. 160-161 [pp. 260-261 dell’ed. ital.]; Fraser 1972, II, p. 663 n. 100), è verosimilmente da abbassare alla generazione successiva ad Aristofane di Bisanzio (Henderson 1987, p. LXII n. 18). Sugli hypomnemata aristofanei di Eufronio vd. Aristoph. test. 113 K.-A. 22 Cfr. McNamee 1977, p. 189. La diversa spiegazione di ªajnabeºbraçmevnhn nel papiro e in Esichio e Fozio, enfatizzata da Kassel-Austin 1984 ad l., non vanifica questa ipotesi di attribuzione, sia perché siamo in presenza di una epitome dello hypomnema, sia per la stessa natura aperta e selettiva della tradizione lessicografica, sia infine perché in Esichio confluirono spiegazioni tratte non dal commento di Didimo alle commedie, bensì dalla sua Levxiç kwmikhv. 20
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Aristophanes 27
comica aristofanea più antica, nella quale si concentrano in modo particolare i riferimenti polemici o parodici del poeta alla realtà storica e artistica coeva, è inequivocabile che l’attenzione selettiva dell’epitomatore si sia soffermata prevalentemente sugli aspetti storico-letterari del testo, a discapito di quelli filologici e linguistico-grammaticali.
Fr. 1 Col. I
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ä ä ä ≤≤≤≤≤ºtoç toutª ≤≤≤≤≤ºtatonde≥ª≤≤≤ºon ≤≤≤≤ºt≥a ajpo; Diotivmou, ejfΔ ou|≥ prw'tºon oiJ ΔAriçtofavnouç Daitºa≥lei'ç ejdidavcqhçan. th;(n) ≤≤≤≤ºmhn i{zouçin o{pwç balaneuvºçh/ ejn leiyudrivai pou ≤≤≤≤ºm≥atoç au\qiç ajpantlhvçaç to;º palaio;n louvtrion a≥ª≤≤ ≤≤≤≤ºwtoç: meta; to; pª≤≤ ≤≤≤ oºuj≥ fevretai to; loipo;n≥ tou' çºtivcou. tavcΔ a]n ou\n to; nu' n º a≥jçafe;ç lovgou tou' eJxh'ç tw'n çºtivcwn çafe;ç a]n h\n ≤≤≤≤ºplhrwmª≤≤ºoª≤≤≤]çti≥ª ≤≤º≤≤lhnogen≥ª≤≤≤≤≤≤ºt≤ª ≤≤ºf≥hç≥ª ºlouvtrion≥ª≤≤≤≤≤º≤ª ä lºevgouçiv tineç aj≤ª pºroeivrhtai ejn ÔIppeu'çi. kuv>ä knºoç uJpo; pteruvgwn toiovnde ≤≤ºto me;n ΔAriçtavrceion dokoºu'n o{ti Terpavndrou ejçti;(n) hJº ajrch≥v, Eujfrovnioç de; o{≥ti ejk tºw'n “I≥ªw]noç melw'n, oJ de; th;(n)
P.Oxy. XXXV 2737 25
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pºarapl≥okh;n o{ti ejk tw'n ΔAlkºma'noç. e[çti dΔ ejk tw'n eijç ”Omhrºon u{mnwn≥. ajllΔ ejcrh'n coro;(n) >ä di]dovntaç t≥o;n ejp≥i;≥ Lhnaivwi] çkopeªi'ºn e≤ª≤≤≤ºoç≥ª ºeçtipª ºi ]n≥eiq≤ª ºetai ]çtwn≤ª º≤ª ºwn ma º≤ª ºw≥neiçton º≤twnde L]hnai>ko;n
Col. II
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ä ä ä ≤≤≤ºn ei\nai ta; qeaª ≤ºa≥i >ka to; de; Lhnai>kª ≤≤≤≤≤ºr≥ivwç ejndoxoª ≤≤≤≤≤ºi≥ tavca kai; dia; to; eª ≤≤≤ çuºmmacª≤≤≤≤ºhdh afª ≤≤≤≤≤º≤a≥≤ª ºn kataq[ ≤ª prºagmat[euçomenª ºroçt≤[ >ä povlin e≥ª ºdh ta; Di≥onuvçia: fh≥[çi; de;º k≥a≥i ; ΔEratoçq≥e vä nhç peri; Plavtwnoç o{ti e{wç me;n a≥[l≥l≥oiç ejdivdou ta;ç kwmwidivaç eujdokivmei, diΔ auJtou' de; prw'ton didavxaç tou;ç ÔRabdouvcouç kai; genovmenoç tevtartoç ajpewvçqh pavlin eijç≥ tou;ç Lhnai>kouvç. >ä cruçokovma≥ filovmolpe: ΔAlä kma'≥noç h≥J aj≥rchv. wJç divkaion >ä eujqevwç katapalaiv≥ein ejçti;
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Aristophanes 27 touvto≥u≥ªç toºu≥;ç nevouç didaçkavloªuç: toºu'to bouv≥letai ä levgein: k≥ªatºa≥palaiveç≥qai touvt≥[ou]ç≥ tou;ç≥ ª≤≤≤≤≤º uJpo; tw'n ª≤≤≤≤≤≤≤ didaçkavºlwn. eujteªlºwnt≥ai: ai≤ª ª ºi≥ ojlig≥≤ª ≤ª≤≤≤º≤n≤ª >ä mattonto≥[ toujbolou' çª ä dΔ o{ti ≤≤ato≥ª legon malª ejrivwn. thvn≥ªdΔ e{wlon ajnabebraçmevnhn: dialelumªevnhn >ä ei\ta nenagmevnhn pavliªn. ≤≤≤o≥i≥n≥oç ejçti pavntwç wª
Fr. 1, col. I 2 ºon› pap. 4 ariçtofanouç› pap. 5 thä pap. 6 i>zouçin pap. 10 dopo ºwtoç spazio bianco 13 exhç›› pap. 14 hn› pap. 16 º≤ tratto curvilineo sotto il rigo: possibile l’estremità inferiore di una lettera (t, c) ≤ª possibile i oppure h 17 ª º forse breve spazio bianco in lacuna 19-20 lieve traccia destra della diple obelismene 19 dopo ippeuçi breve spazio bianco 20 u>po pap. 21 do› pap. 22 eçtiä pap. 24 i>≥ª pap. thä pap. 27 u>mnwn≥ ä pap.; segue spazio bianco coro pap. 27-28 visibile la parte destra della diple obelismene 29 ≤ª resti di asta verticale (k ?) 31 n≤ª dopo n, possibile parte inferiore sinistra di e 34 ai>k pap. Col. II 2 ºa≥i > estremità destra ascendente di a legato a i; quest’ultimo è sovrastato da dieresi con i due punti legati (cfr. r. 17) ai>kª pap. 3 ºr≥ porzione destra di occhiello, compatibile anche con o 7 ≤ª tratto obliquo discendente a sinistra 8 ç a inizio di rigo in due tratti (come a fr. 2, 22), di cui l’inferiore parzialmente in lacuna ≤[ traccia alta nel rigo 9 e≥ breve tratto curvo prossimo al bordo della lacuna 10 dopo nuçia breve spazio bianco 15 geno›› pap. 17 ai>k pap., con i due punti legati 18 dopo filomolpe breve spazio bianco 19 dopo a≥rch breve spazio bianco 21 o≥uª≥ tracce esigue 22 bou≥letai› pap. 24 u>po pap. twn›› pap. 25 dopo ºlwn minimo spazio bianco eut lettere legate 26 ≤ª parte inferiore sinistra ricurva (a, e, ç ?) 27 ºi≥ possibile anche ºn≥ ≤ª traccia nella parte superiore del rigo 28 ≤ª tracce inferiori di h, p o t≤ º≤esigua estremità inferiore di tratto verticale dopo n, tratto concavo verso l’alto; possibile e (Austin) 29 o≥[ non impossibile a[ 31 ≤≤at delle prime due lettere incerte resta la parte inferiore; la prima pare e (Lobel) piuttosto che o (Luppe); la seconda può essere i o r 34 bragmenhn pap. 36 ≤≤≤o≥i ≥ superficie interamente o parzialmente illeggibile; la traccia d’inchiostro nella parte bassa del rigo può essere l’inizio in ekthesis o la paragraphos ——
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Fr. 1, col. I 2 ΔAn⁄tifw'nºta Hofmann deªuvterºon vel devªkatºon (quod probavit Hofmann) Lobel : a[rconºta tovnde≥ ?, ªe{ktºon Luppe 3 o[nºta vel a[rconºta (quod probavit Hofmann) Lobel : dΔ o[nºta Luppe 4-5 suppl. Lobel 6 dΔ aujcºmh;n Uebel 7 suppl. Lobel 8 çmhvgºmatoç Lobel 9 suppl. Lobel 9-10 a≥ªuj⁄toi'ç prºw'toç Luppe 10-11 pªrw'⁄toç Luppe 12 suppl. Lobel 13 nu'nº a≥jçafe;ç fort. Lobel : prºo≥çafe;ç Luppe 14 suppl. Lobel 15 peºplhrwmªevnºoª Lobel 15-16 diΔ ejkºplhrwvmªatºoªç tou'º çtiv≥⁄ªcouº p≥lh;n dub. Luppe 17-18 louvtrion ªdΔ ei\na]i≥, ªo} ⁄ l]evgouçiv tineç Luppe 18 ajp≥ªovlouma vel ajp≥ªovloutron vel ajp≥ªovniptron (quod probavit Luppe) Lobel 21 fort. ti.º to; Lobel : tou'ºto Luppe : çeº Gelzer : h«nº to; ? HM per litteras 2122 ÊΔAriçtavrceion do⁄ª≤≤ºunÊ Luppe 23-27 suppl. Lobel 25 ejk perperam om. KasselAustin 27 ãajnaferomevnwnà u{mnwn Austin (post Lobel) 28-29 suppl. Lobel 29 ºo≥≤eçtipª≤ºi Luppe Col. II 1 me;ºn Luppe qevaªtra vel qeavªmata Luppe 1-2 Lh⁄nºa≥i ≥>ka; Lobel (dub.), Austin : ei[⁄rºh≥ka Luppe 3 oJmºo≥ivwç Luppe : metºrivwç Stephanopoulos : kuºrivwç ? Austin 4-5 eªi\n⁄ai ? Austin 5 suppl. Lobel 7 suppl. Lobel 8-9 tw/' de; “pºro;ç th≥;ªn ⁄ povlin” ç≥ªhmaivnetaiº dh; Luppe 10 suppl. Luppe º≤i≥ Lobel : º k≥a≥i ;≥ Luppe 23-24 suppl. Lobel 25 didaçkavºlwn Lobel : a[llwn didaçkavºlwn Luppe 25-26 eujte≥⁄ªl (lemma) Luppe 31 ΔE≥r≥ato≥ªçqevnhç Lobel : o≥i J≥ ΔAtªtikoi; Luppe 31-32 e[º⁄legon Luppe 32 fort. mal[lovç obliquo casu Lobel 3334 ajnabeº⁄braçmevnhn corr. (34 bragmevnhn pap.) et suppl. Lobel thvnªdΔ e{wlon suppl. Hofmann cl. Phot. Lex. a 1404 36 pavºr≥o≥i ≥noç (lemma) et wjªi⁄nwmevnoç Luppe
Fr. 1, col. I ... da Diotimo, al cui tempo furono messi in scena per la prima volta i Banchettanti di Aristofane. Lasciano sedimentare la ..., affinché un nuovo bagno venga preparato in carenza d’acqua ... e poi togliendo via l’acqua vecchia ... dopo (la parola) ... non è riportato il resto del verso. Forse dunque l’[attuale] oscurità della costruzione di questi versi si dissiperebbe ... integra... acqua sporca ... dicono alcuni ... è stato già detto nei (scil. nel commento ai) Cavalieri. Così (?) il cigno, battendo le ali: [questo (?)] il parere di Aristarco, cioè che sia l’inizio (aut che questo inizio sia) di Terpandro, mentre Eufronio (ritiene) che provenga da un canto di Ione e l’autore della Paraploke da un componimento di Alcmane. È ripreso dagli Inni omerici. Ma bisognava che coloro che assegnavano il coro considerassero quello del Leneo ... Lenaico ... Col. II ... che i ... sono ..., mentre il Lenaico ... rinomat(o?) ... forse anche a causa del ... alleat(i?) ... per gestire gli affari ... la città ... le Dionisie: anche Eratostene [afferma] riguardo a Platone che fino a quando affidò ad altri le proprie commedie godette di buona fama, mentre quando mise in scena per la prima volta egli stesso i Rhabduchoi e conseguì il quarto posto, fu respinto nuovamente ai concorsi Lenaici. Chiomadoro amante del canto: (è) l’inizio (aut questo inizio è) di Alcmane. Che è giusto questi abbattano subito i registi, i nuovi: vuol dire questo: che questi ... siano abbattuti dai ... [registi] ... impastando ... dell’obolo ... perché ... dicevano (?) ... della lana (?). Questa [di ieri] ribollita: disciolta e poi di nuovo fatta rassodare ... è completamente ...
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Fr. 2 (Col. III ?)
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oç kekramª ä paraceª fhçin eª kekramª tallaª≤º≤ª >ä kou;ç pª ä nu'n fª fakouv≥ªç defaª tou;ç fakoªuvç >ä pro;ç th;n e≤ª ä i{na dramaª tai coro;ç ka≥ª prw'ton tª >ä menoumª mian araª h Trikoru≥ª ä o{ti tond≥ª ton kwª tadΔ ÔErmiªpp ä de th;n ajrcªh;n çcuvlou. aª >ä paça dh paª D≥ivrkhç ajgcª ºt≥ª ä ä ä
fa-
Aij-
5 º≤ª traccia inclinata a destra nella parte alta del rigo (e ?) 11 ≤ª traccia verticale nella parte inferiore del rigo (i ?) 12 i>na pap. 13 a≥ª residuo di tratto curvilineo, interpretato come parte dell’occhiello di a (Lobel) 22 dopo çculou spazio bianco —— 5, 8, 10 suppl. Lobel 17 fort. Trikovru≥ª(n)qoç Lobel, cl. Aristoph. Lys. 1032 20, 21 suppl. Lobel 23 dΔ hJ paªtri;ç nara'ç te Mette cl. Aeschyl. fr. 764 M. (= 347 R.), probante Luppe 24 a[gcªi fuvretai pevdon Mette : ajgcªigeivtoneç e.g. Luppe
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Fr. 2 (col. III ?) ... temperat(o?) ... versare (?) ... dice ... temperat(o?) ... lenticchie ... ora ... lenticchie ... le lenticchie ... verso la ... affinché dramma (?) ... coro ... dapprima ... Tricorito ... in quanto ... Ermi[ppo] ... l’inizio ... di Eschilo. ... tutta poi ... di Dirce ...
Fr. 1, col. I 1-5 La datazione arcontale dei Banchettanti, che segnano l’esordio di Aristofane come autore di commedie (428/7 a.C.: test. IV K.-A., cfr. Anon. De com. [Proleg. de com. III] = test. V K.-A. ejdivdaxe de; prw'ton ejpi; a[rcontoç Diotivmou dia; Kalliçtravtou), sarà servita al commentatore non tanto per fornire la cronologia del dramma oggetto dello hypomnema23, quanto in relazione a un’altra commedia aristofanea24. Nessuna delle proposte d’integrazione dei rr. 1-3, qui registrate in apparato, appare risolutiva, anche perché esse non soddisfano le dimensioni della lacuna iniziale del r. 325. Da rilevare l’uso impreciso dell’avverbio prw'tºon, restituito con sicurezza al r. 4 (cfr. la citata testimonianza V K.-A.), a indicare ovviamente la prima volta che andò in scena non la commedia i Banchettanti, ma un dramma di Aristofane in assoluto. Luppe 1971a, pp. 95-96, si chiede “ob jene sprachlich ungenaue Ausdrucksweise zu Lasten des Verfassers des Kommentars geht oder ob sie auf einer späteren Verkürzung beruht”. Cfr. fr. 1 II 14 con il commento. 5-10 Tetrametri anapestici catalettici, parte (finale, probabilmente)26 della rhesis parabatica. Tra le integrazioni proposte, r. 6 dΔ aujcºmh;n (F. Uebel)27 e rr. 9-10 a≥ªuj⁄toi'ç (Luppe28), muovono nella direzione di ricostruire un’immagine metaforica, tratta dall’àmbito dei balnea pubblici ateniesi. Hofmann ha interpretato la metafora come allusiva all’attitudine plagiaria di un rivale di Aristofane, richiamando il fr. 59 K.-A. dell’Anagyrus (ajlla; pavntaç crh; paralou'çqai kai; tou;ç çpovggouç eja'n; cfr. fr. 58 K.-A. ejk de; th'ç ejmh'ç clanivdoç trei'ç aJplhgivdaç poiw'n) e intendendo (p. 6) “während einer Trockenheit badet jemand im alten Badewasser eines anderen, d.h. jemand plagiiert den Inhalt einer Komödie eines anderen Dichters, in diesem Falle des Aristophanes”; e
23 Questa è l’opinione di Hofmann 1970, pp. 4-5, che integra ΔAntifw'nºta (418/7) to;n devªkatºon ⁄ ªa[rconºta ajpo; Diotivmou, così criticato da Luppe 1971a, p. 96: “eine Anspielung auf eine frühere Aufführung hätte innerhalb der Parabase nichts Auffälliges. Dass die Datierung des behandelten Dramas selbst mitten im Kommentar erörtert worden wäre, ist mir weniger wahrscheinlich”. 24 Luppe 1971a, p. 96, pensa ipoteticamente all’arcontato di Alkaios, 422/1, anno di rappresentazione della Pace; cfr. Gelzer 1972, p. 152 n. 74. 25 Cfr. Lobel 1968, p. 42: “but comparison with those [scil. supplements] of ll. 4-5 rules out o[n]ta as too short and a[rconºta as too long”. 26 Luppe 1971a, p. 97. 27 Ap. Luppe 1971a, p. 97 con n. 2. 28 Luppe 1971a, p. 97.
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individuava in Eupoli il rivale oggetto dell’allusione29. Diversamente Luppe 1971a, p. 98, non vede motivi per una polemica ad personam di Aristofane e pensa piuttosto a una generica accusa contro la scarsa creatività e la ripetitività dei commediografi suoi concorrenti (cfr., e.g., Nub. 546-548). Rilevando il plurale i{zouçin e l’assenza di riferimenti a un bagno “altrui”, presupposto nel testo da Hofmann, e accogliendo al r. 6 l’integrazione di Uebel, Luppe traduce i rr. 5-7 “sie lassen [den Schmutz] sich setzen, damit ein neues Bad bereitet wird” e interpreta “einfallsarme Konkurrenten bringen ein und dieselbe Idee zum zweite Male auf die Bühne”. All’ipotesi di una polemica personale, ma con il commediografo Platone, pensa invece Gelzer30, il quale ricorda il successivo riferimento a questo autore in fr. 1 II 11. A r. 8 çmhvgºmatoç è ipotesi di Lobel 1968, p. 42, da lui ritenuta più adatta di rJuvmºmatoç alla dimensione della lacuna e a esso equivalente per significato secondo lo sch. Lys. 377 e Hsch. r 494 H., s.v. rJuvmmata = sch. Plat. Rp. IV 429e (richiamati da Hofmann 1970, p. 5 n. 7; cfr. Luppe 1971a, pp. 98-99), cui si aggiunga S r 61 C. Ai rr. 9-11 Luppe (1971b, p. 117 con la n. 3; 1971a, p. 99) ricostruisce, con buona plausibilità, a≥ªuj⁄toi'ç prºw'toç. meta; to; pªrw'⁄toç. 10-15 Il commentatore segnala l’incompletezza della tradizione della commedia a lui disponibile: l’ampiezza del lemma che precede è pertanto funzionale a presentare il problema31. La difficoltà posta dall’inizio del r. 13 non ha trovato soluzione preferibile a quella avanzata per ipotesi da Lobel 1968, p. 42, e qui adottata. Il testo, piuttosto contorto, significherebbe “perhaps the obscurity of what is said in the following could have been obviated by ...”. prºo≥çafe;ç (“anschliessende”) di Luppe32 non risponde bene alla traccia sul bordo sinistro; inoltre l’integrazione è esigua rispetto alla lacuna iniziale e l’aggettivo è hapax del linguaggio medico (Hp. Morb. IV 56), non adeguatamente supportato dal ‘parallelo’ di sch. Nub. 60 ouj me;n ç u n a p t ev o n pavnta to;n çtivcon ktl. Per una notazione di tenore analogo cfr. P.Oxy. XXV 2434 (commentario a componimento di lirica corale, IIp), fr. 1(a), 16-19 a[l⁄lh grafh; ... ⁄ pavnu çafh;ç ajpo; th'ç prokeimªev⁄nhçº ejxhghvçewç. Per l’uso grammaticale di eJxh'ç (‘successione’, ‘costruzione’) vd. Chadwick 1996, p. 110; ⇒ Aeschylus 10 (?). Al r. 15, in concorrenza con peºplhrwmªevnºoª di Lobel, ejkºplhrwvmªatºoªç di Luppe trova un buon parallelo formale nello sch. Av. 1343 meta; tou'ton eJno;ç çtivcou fevrouçiv tineç diavleimma, kai; ΔAriçtofavªnouçº (scil. tou' grammatikou': fr.
29
Cfr. Sonnino 1998, pp. 31-34. Gelzer 1972, p. 152. 31 Luppe 1971a, p. 99. Paralleli scoliografici della formulazione ouj fevretai to; loipo;n tou' çtivcou ibid. e in Lobel 1968, p. 42. 32 Luppe 1971a, p. 99 con la n. 4. 30
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394 Sl.) plhvrwma ou{twç ktl33, forse di ascendenza didimea34. Si può altrettanto bene supporre una protasi del tipo eij peplhrwmevnoç h\n oJ çtivcoç oppure ejkpeplhrwmevnou tou' çtivcou (MH per litteras). 16-19 Sotto l’inizio lacunoso del r. 17 resta traccia di una paragraphos e, come pare, ºf≥hç≥ è seguito da vacuum: perciò con queste lettere doveva terminare un lemma e il successivo louvtrion rappresenta l’inizio della spiegazione. Considerando il contenuto dei righi precedenti, si può supporre che ai rr. 16-17 fosse riportata una ipotesi di integrazione del testo poetico lacunoso, contrassegnata dal semeion alla stregua di un lemma e quindi seguita dal rimando al commento ai Cavalieri a proposito di louvtrion. Luppe 1971a, p. 100 con la n. 1, ricostruisce louvtrion ªdΔ ei\naºi≥, ªo} ⁄ lºevgouçiv tineç ajp≥ªovniptron, ⁄ pºroeivrhtai ejn ÔIppeu'çi, e richiama, per la costruzione della frase, sch. Ach. 106, 381, 961, Lys. 801. Il commentatore antico rinvia a una spiegazione di Eq. 1401 to; lou'tron, per il quale disponiamo dello scolio medievale to; ajpovlouma kai; rJuparovn, o{ ejçti to; ajpovloutron35. Il verbo pºroeivrhtai (cfr. P.Flor. II 112 ⇒ 28, fr. C II 12-13) potrebbe costituire un indizio della posteriorità della commedia qui commentata rispetto ai Cavalieri, sempre che anche in questo caso valga la tendenza all’ordinamento editoriale cronologico dei drammi, talora osservata nelle edizioni su papiro di Aristofane e spesso confermata dagli scolii36. 19-27 I rr. 19-20 ospitano il lemma, un hemiepes riferibile all’ode della parabasi. Dall’assenza di commento allo pnigos, Luppe 1971a, p. 100, evince che in questa commedia quella parte della parabasi doveva essere piuttosto breve, come ad esempio nei Cavalieri (vv. 547-550). La deduzione non è tuttavia ineccepibile, se si considera che dell’ode, la quale doveva offrire maggiori difficoltà o spunti di commento rispetto allo pnigos, nel papiro è riportato soltanto il lemma in esame. La selettività dello hypomnema, coniugata al calibro delle fonti erudite menzionate (qui e in fr. 1 II 10-11, 31?), andrà interpretata piuttosto come frutto di un intervento di epitomazione condotto su un commento più accurato ed esteso. Pare darne conferma la spiegazione ai rr. 21-27, che pone diversi problemi a livello testuale e interpretativo, verisimilmente per effetto di un rimaneggiamento (vd. infra). Al r. 21 ºto me;n (i.e. to; me;n) è inteso come correlato a r. 23 Eujfrovnioç de; e come probabile inizio della spiegazione da Lobel 1968, p. 43, che ritiene 33 Luppe 1971a, p. 99 n. 2; cfr. Dover 1977, p. 146 (con paralleli scoliografici e considerazioni sulla terminologia filologico-grammaticale: diavleimma, plhvrwma). Il testo dello scolio agli Uccelli è discusso, perché si è ritenuto inverosimile che Aristofane di Bisanzio abbia ‘falsificato’ un verso mancante: cfr. il commento di Slater al frammento del grammatico (p. 153). 34 Holwerda 1967, p. 263 con la n. 3. 35 Lobel 1968, p. 42. 36 Così Lobel 1968, p. 43 con la n. 1; cfr. Hofmann 1970, p. 3 con la n. 4; scettico Gelzer 1972, p. 141 n. 3.
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lemma tutto ciò che precede a partire dal r. 19 e lega to; al successivo do⁄ªkoºu'n, participio sostantivato, la cui restituzione gli appare “unavoidable”, ma che non manca di sollevare in lui perplessità di ordine linguistico e sintattico (in effetti dokou'n richiederebbe il dativo della persona, come in Thuc. I 84, 2 para; to; dokou'n hJmi'n, e la costruzione con l’infinitiva, non con o{ti). Luppe ha supposto in un primo tempo37 che toiovnde facesse parte non del lemma ma della spiegazione (toiovndΔ ej⁄çtiº to; me;n ΔAriçtavrceion, interpretato “derartig ist wenigstens die Lesart des Aristarch” rinviando all’espressione oiJ ΔAriçtavrcãeÃioi ou{twç presente nel commentario all’Iliade [F 221] P.Oxy. II 221 XI 15)38 e ha posto do⁄ª≤≤ºun fra cruces; in un secondo momento39, lo studioso ha recepito le argomentazioni di Gelzer sulla pertinenza di toiovnde al lemma40 e ha proposto di leggere tou'ºto in principio di r. 21 ed esteso la porzione di testo interessata dalle cruces (ÊΔAriçtavrceion do⁄ª≤≤ºunÊ). Questa costituirebbe la prima corruttela di una serie di tre che segnano questo punto del commentario41. Le altre sarebbero l’espressione oJ de; th;n paraplokhvn ai rr. 2425 (in luogo di oJ de; Peri; th'ç paraplokh'ç gravyaç) e la caduta di ajnaferomevnwn al r. 27 fra eijç ”Omhron e u{mnwn42. Rispetto alle conclusioni di Luppe, va precisato, in linea generale, che le anomalie testuali si lasciano leggere come esiti di un drastico intervento compendiario nei confronti di un dettato più esteso, piuttosto che come corruttele tradizionali in senso proprio. Alla possibilità che il passo del papiro risenta dei dissesti prodotti da un’epitomazione allude, in termini generali e dubitativi, Luppe stesso43; parimenti Gelzer 1972, p. 145, qualifica il testo come “defektiv” e Trojahn 2002, p. 159 n. 1, ritiene che siamo in presenza di un excerptum44. Per quanto concerne do⁄ªkoºu'n, la restituzione è avvalorata dalla mancanza stessa di alternative valide. Il participio, non potendo essere inteso come attributivo di to; vel tou'ºto me;n ΔAriçtavrceion perché il verbo non ammette
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Luppe 1971a, p. 100. Il nesso toiovçde tiç ricorre nella prosa attica, come ricorda Calame 1983, p. 618, commento ad Alcm. fr. °231. 39 Luppe 1973, p. 283; Id. 1975, p. 186. 40 Gelzer 1972, pp. 147-148, rileva il parallelo di Av. 769 ss., incipit dell’antode parabatica, toiavde kuvknoi ktl. 41 Luppe 1971a, p. 101; cfr. Id. 1973, p. 282. 42 Cfr. Lobel 1968, p. 43; in Austin 1973 e in Kassel-Austin 1984 è stampato ãajnaferomevnwnà nel testo; così anche Trojahn 2002, p. 63. 43 Cfr. Luppe, 1971a, p. 102: “da der Kommentartext hier an mehreren Stellen u. a. durch leichtfertige Auslassungen verderbt ist, darf man wohl zweifeln, ob an jenen anfangs erwähnten Stellen (I 4f. [...] – II 13ff. [...]) die missverständliche Ausdrucksweise auf den V e r f a s s e r des Kommentars zurückgeht” (spaziato dell’autore). 44 “Trotz der relativen Länge der Erklärungen wirkt das Ganze eher wie ein Exzerpt aus einem noch umfangreicheren Kommentar”. 38
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costruzione con o{ti, non deve avere altra funzione se non quella sostantivata: “[questo] (è) il parere di Aristarco”; la subordinata introdotta da o{ti avrà pertanto valore epesegetico (“cioè che ...”) in dipendenza dal (probabile) tou'ºto prolettico. A proposito di rr. 24-25 oJ de; th;n ⁄ paraplokhvn, Lobel 1968, p. 43, ne ha dimostrato validamente45 il carattere ellittico portando il parallelo di sch.T Hom. Il. XIX 326 oJ de; th;n mikra;n ΔIliavda. Analogamente, si può intendere come brachilogia, conseguente a un intervento di riduzione del testo, rr. 26-27 tw'n eijç ”Omhron (scil. ajnaferomevnwn) u{mnwn. Nella medesima direzione va l’ellissi del verbum putandi, solo a forza ricavabile dal precedente dokou'n sostantivato, a r. 23 Eujfrovnioç de; e rr. 24-25 oJ de; th;n paraplokhvn. L’idea che questa parte del commentario rechi segni di compendio si sposa con l’interpretazione articolata e organica che ne ha dato ancora Luppe46. Questi ha coniugato la menzione di Terpandro (SLG 6 = fr. 1 Gostoli) con Sud. a 1701 A., s.v. ajmfianaktivzein (= fr. 62 K.-A. dell’Anagyrus), che interpreta il verbo come intonare il verso iniziale del nomos orthios terpandreo, ajmfiv moi au\tiç a[nacqΔ eJkathbovlon ajeidevtw frhvn (PMG 697 = Terp. fr. 2 Gostoli), reimpiegato da Aristofane nell’Anagyrus47; e ne ha tratto la conclusione che nell’ode le parole kuvknoç uJpo; pteruvgwn ktl fossero precedute dall’imitazione di quell’incipit (e.g. ajmfiv moi au\ ...). La ripresa48 del medesimo verso di Terpandro all’inizio dell’antode parabatica delle Nuvole (v. 595 con lo sch. 595c) e il fatto che l’antode dell’Anagyrus qui attestata contenesse (e, verosimilmente, si aprisse con) un’invocazione ad Apollo plasmata su un incipit di Alcmane (fr. 1 II 18 cruçokovma filovmolpe, SLG 1 = PMGF S1 = fr. 1 C., peraltro in possibile corresponsione con ajmfiv moi au\tiç a[nakta: cfr. Luppe 1973, pp. 287-288) favoriscono la supposizione che l’imitazione del verso di Terpandro aprisse l’ode e si saldasse con kuvknoç uJpo; pteruvgwn, anch’esso ripresa di un incipit cletico, h.Ap. 1 Foi'be, çe; me;n kai; kuvknoç uJpo; pteruvgwn livgΔ ajeivdei, come rilevato dal nostro anonimo commentatore (rr. 26-27). Alla testimonianza della Suda sul reimpiego aristofaneo del verso iniziale del nomos orthios si somma quella di Phot. Lex. a 1304 Th.49, dalla quale Luppe ricava il senso dei rr. 23-24 del commentario: Eufronio interpretava l’incipit dell’ode aristofanea come ripresa di un melos di Ione – il quale, iuxta Fozio, a sua volta aveva imitato il nomos orthios (di Terpandro, cfr. Montanari 2008b).
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Pace Luppe 1971a, p. 101. Luppe 1971a, pp. 101-102; Id. 1973, pp. 281-288. 47 Sud. a 1701 A. a[/dein to;n Terpavndrou novmon, to;n kalouvmenon “Orqion, o} aujtw'/ prooivmion tauvthn th;n ajrch;n ei\cen: ajmfiv moi aujto;n a[naktΔ eJkathbovlon ajoidevtw frhvn. e[çti de; kai; ejn Eujnaiva/ (Cratin. fr. 72 K.-A.) kai; ejn ΔAnaguvrw/ (Aristoph. fr. 62 K.-A.). 48 Non parodia: Kugelmeier 1996, pp. 90-91. 49 ajmfi; a[naktaç: ajrchv tivç ejçti novmou kiqarw/dikou' Boiwtivou h] Aijolivou, h] tou' ΔOrqivou. ou{tw Krati'noç (fr. 72 K.-A.) kai; ΔAriçtofavnhç (Nub. 595; fr. 62 K.-A.; fr. 591, 53-56 K.-A. = P.Flor. II 112, ⇒ 28, frr. E+D+C I 5-8) kai; “Iwn (TrGF 19 fr. 53c Sn.-K. = SLG 316 = fr. 85 L.). 46
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Secondo questa ricostruzione, pertanto, Terpandro e Ione furono indicati rispettivamente da Aristarco e da Eufronio come modello dell’incipit dell’ode non riportato nel commentario; un terzo grammatico, l’ignoto autore del Peri; paraplokh'ç, pensava invece a un melos di Alcmane (SLG 2 = PMGF S 2 = Alcm. fr. °231 C.)50; l’autore anonimo del commentario, infine, individuava l’origine di kuvknoç uJpo; pteruvgwn dal modello pseudomerico (dunque r. 26 e[çti dΔ non deve essere necessariamente inteso in senso avversativo rispetto a ciò che precede). Rileggendo questa ipotesi nella prospettiva che riconosce nel nostro commentario un’epitome, si dovrà ritenere che i rr. 19-27 compendino un commento comprendente in origine un lemma più lungo, costituito dall’incipit dell’orthios terpandreo (omesso nel papiro) e dall’incipit pseudomerico (rr. 1920), e una spiegazione delle complesse relazioni intertestuali sottese al passo aristofaneo51 articolata in almeno due parti: (a) sul modello terpandreo (rr. 21-23) e sul suo rapporto con un melos di Ione (rr. 23-24); (b) sulla derivazione di kuvknoç uJpo; pteruvgwn ktl da Alcmane (rr. 24-26) o da h.Ap. 1 (rr. 26-27). Quanto all’espressione aristarchea Terpavndrou ejçti; [hJ] ajrchv (rr. 22-23), sussistono due possibili interpretazioni, a seconda che si riferisca [hJ] ajrchv all’incipit dell’ode comica (“l’inizio [dell’ode] è di [= è tratto da] Terpandro”) oppure all’esordio di un componimento o dei componimenti del citarodo arcaico (“[il testo in oggetto] è l’inizio di Terpandro”) 52. La prima ipotesi confermerebbe la ricostruzione proposta da Luppe, secondo cui l’imitazione dell’orthios terpandreo apriva l’ode comica (cfr. 1 II 18-19, dove la stessa situazione si ripeterebbe per l’imitazione di Alcmane in principio di antode: vd. il commento ad l.). La seconda ipotesi soddisferebbe anch’essa la ricostruzione di Luppe, indicando in un incipit terpandreo il modello dell’imitazione comica; per di più, essa potrebbe implicare l’esistenza di un’edizione alessandrina di Terpandro, altrimenti ignota53, che si aprisse con il nomos orthios54; a meno di ritenere “che Aristarco si riferisse non ad un’edizione critica curata nel suo ambiente, ma più semplicemente alla vulgata tradizionale di Terpandro, precedente al periodo alessandrino”55. La sequenza di tre interpretazioni diverse, seguite da quella dell’autore
50 Questo riferimento ad Alcmane resta oscuro per Luppe 1971a, p. 102 n. 2; Gelzer 1972, pp. 145149 con la n. 47 a p. 147, ritiene che il grammatico si riferisca al modello di kuvknoç uJpo; pteruvgwn e lo riconosca in Alcm. PMG = PMGF 1, 99-101 = fr. 3, 99-101 C. paivdwn dekªa;ç a{dΔ ajeivdºei: ⁄ fqevggetai dΔ ªa[rΔº w{ªtΔ ejpi;º Xavnqw rJoai'çi ⁄ kuvknoç. La possibilità è ammessa, accanto a quella di una ripresa alcmania a noi ignota dell’incipit terpandreo, da Luppe 1973, p. 288. 51 Cfr. Gelzer 1972, p. 146. 52 Cfr. Lobel 1968, p. 43: “the first words of Terpander’s poems”. 53 Come ricorda Gelzer 1972, p. 146. 54 Per questa possibilità vd. P.Flor. II 112 ⇒ 28, frr. E+D+C I, interl. 9-10 con il commento. 55 Gostoli 1990, p. 127.
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del commentario, ha suggerito alla Trojahn la definizione di “katenenartige Struktur”56, discutibile per due ordini di ragioni. Da un punto di vista storico-tradizionale, essa sembra implicare che le catene bibliche sorte nel VI secolo abbiano avuto a modello questo genere di note ipomnematiche – un’ipotesi, respinta dalla Trojahn stessa in quanto “recht unwahrscheinlich”, convergente con l’opinione di quanti vedono nelle catene un prodotto derivato dai marginalia papiracei e il diretto ‘modello di ispirazione’ delle raccolte scoliografiche57. Dal punto di vista formale, essa stabilisce un’equivalenza tra due tipi di intervento esegetico non congrui: da un lato, l’occasionale ripresa di interpretazioni precedenti all’interno di uno hypomnema, allo scopo di discuterle criticamente (l’appannamento della componente critica nel nostro commentario è da ritenersi una conseguenza dell’epitomazione); dall’altro, la giustapposizione compilatoria di excerpta di origine diversa in margine al testo commentato, secondo un principio sistematico di tipo eminentemente redazionale (concentrare in breve spazio e in successione ravvicinata interventi critici su un medesimo passo). 27-34 Il testo riportato come lemma, in tetrametri trocaici catalettici (antepirrhema), contiene un giudizio sui criteri di assegnazione del coro (scil. da parte dell’arconte re in carica: per la formulazione cfr. Cratin. fr. 17 K.-A. o}ç oujk e[dwk(e) ... corovn) ai concorrenti del concorso lenaico (rr. 28-29 to;n ejpi; Lhnaiv⁄ªw/º deve sottintendere ajgw'na: cfr. Ach. 504 ouJpi; Lhnaivw/ ... ajgwvn): il commediografo si rammarica della mancata attenzione dell’arconte verso un aspetto, la cui individuazione ci è impedita dalla lacuna. Benché restino incerti la reale estensione del lemma e l’inizio del relativo commento, è presumibile che il lemma stesso, per la sua perspicuità, non s’interrompesse con çkopei'n58, come invece sembrano intendere Kassel e Austin. Col. II 1-8 Il commento verte sugli agoni drammatici ateniesi, argomento comune ai righi conclusivi della col. I, cosicché si è autorizzati a credere che all’inizio della col. II siano caduti soltanto pochi righi di testo59. Ai rr. 1-2, Austin 1973 accoglieva congiuntamente le integrazioni qevaªtra (Luppe; in alternativa, lo studioso pensava a qeavªmata), e Lh⁄nºa≥i ≥>ka; (Lobel, con riserve dello stesso sulla lettura ai>). Per la verità le due ipotesi non sembrano compatibili per il senso (in Kassel-Austin 1984 il testo in questo punto
56
Trojahn 2002, p. 196 con la n. 1. Cfr. ad esempio Irigoin 1994, pp. 77-79. 58 Cfr. Lobel 1968, p. 43: “after çkopei'n something expressing ‘the qualifications of the applicant’ would be suitable, but eij cannot be read”. 59 Luppe 1971a, p. 103. 57
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è stampato senza supplementi) e, poiché il secondo gode di un’elevata plausibilità, il primo è probabilmente da scartare. Luppe 1971a, pp. 104-105, ricostruisce così ipoteticamente fino al r. 8: ditta; ⁄ me;ºn≥ ei\nai ta; qeav≥ªmata ei[⁄rºh≥ka, to; de; Lhnai>kªo;n oujc ⁄ oJmºo≥ivwç e[ndoxoªn dokei' ⁄ ei\naºi≥. tavca kai; dia; to; e[ªa⁄roç çuºmmavcªouçº h[dh ajfªi⁄knei'çºq≥a≥ªi e[xwqeºn kataqªeº⁄a≥ªçomevnouç kai; prºagmatªeuº⁄çomevn≥ªouç. Cfr. Ach. 504-506 aujtoi; gavr ejçmen ouJpi; Lhnaivw/ tΔ ajgwvn, ⁄ kou[pw xevnoi pavreiçin: ou[te ga;r fovroi ⁄ h{kouçin ou[tΔ ejk tw'n povlewn oiJ xuvmmacoi. 8-10 Il lemma è segnalato inequivocabilmente dall’ekthesis dei rr. 9-10 e dalla paragraphos sotto r. 10. Di parere diverso Luppe60, il quale, restituendo fªhçi; de;º k≥a≥i ;≥ al r. 10, in ragione del dev intende ciò che precede immediatamente come parte della spiegazione e, per ragioni metriche, esclude che del lemma facciano parte rr. 9-10 ºdh ta; Di≥o⁄nuvçia; interpreta quindi la paragraphos che segue il r. 10 come segno di articolazione interna del commento (cfr. fr. 2, 19-20) e, ai rr. 7-10, restituisce prºagmatªeuº⁄çomevnªouç. tw/' de; “pºro;ç th≥;ªn ⁄ povlin” ç≥ªhmaivnetaiº dh; ta; Dio⁄nuvçia ktl. Austin 1973 accoglieva l’integrazione di Luppe al r. 10, ma riteneva di dover mantenere come lemma il testo compreso tra la diple obelismene sotto r. 8 e la paragraphos sotto r. 10; in Kassel-Austin 1984, il supplemento è relegato in apparato ma è accolta la delimitazione del lemma proposta da Luppe, sia pure con riserva61. Anche a prescindere dalla segnalazione del lemma messa in opera dallo scriba, gli argomenti addotti da Luppe per la sua lettura della sequenza non sono cogenti: le congiunzioni de; kai; restituite al r. 10 possono spiegarsi in riferimento al contenuto del lemma stesso (cfr. infra, ad rr. 10-17); e la sequenza metrica – +++ – ++ ( ºdh ta; Dionuvçia) non è incompatibile con il tetrametro trocaico catalettico, nel quale la soluzione del longum è ammessa in tutte le sedi: cosicché la sequenza in questione potrebbe equivalere a – + – × – (metron trocaico con il secondo longum soluto, seguito dal primo longum, anch’esso soluto, del metron successivo), oppure a × – + – × + (elemento libero finale di un metron trocaico, seguito da dieresi mediana; altro metron con il primo longum soluto; inizio di un terzo metron, con il primo longum soluto o meno). 10-17 La testimonianza di Eratostene (Plat. Com. test. 7 K.-A.; Bagordo 1998, pp. 133-134, F 18), tratta con ogni probabilità dal Peri; th'ç ajrcaivaç kwmw/divaç, è nota soltanto da questo papiro ed è l’unica attestazione del titolo ÔRabdou'coi62. Essa contiene alcune informazioni sugli agoni comici atenie-
60
Luppe 1971a, p. 105; Id. 1975, pp. 183-185. App. ad l.: “facilius intellegeretur paragraphus l. 44 si post t a; D i o n uv ç i a inciperet explicatio”. 62 Sul titolo del dramma e sulla figura istituzionale dei rhabdouchoi ad Atene vd. Mancuso 2009; Pirrotta 2009, pp. 270-271. 61
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si, che hanno sollevato un intenso dibattito principalmente intorno a due questioni: il numero dei concorrenti ammessi a questi agoni durante la Guerra del Peloponneso e la ragione del “ritorno” (ajpewvçqh pavlin) di Platone al concorso lenaico dopo l’insuccesso dei Rhabdouchoi alle Grandi Dionisie. A partire dall’espressione di rr. 15-16 genovmenoç tevtartoç, Luppe63 ha ripetutamente messo in discussione la tesi tradizionale della riduzione del numero dei concorrenti da cinque a tre nel periodo bellico per contenere le spese dello Stato, fondata sull’evidenza di graduatorie di tre soli commediografi attestate per Dionisie e Lenee dalle hypotheseis di vari drammi aristofanei, dagli Acarnesi alle Rane64. Facendo leva prevalentemente sull’argomento cronologico (la rappresentazione dei Rhabdouchoi, e dunque il quarto posto di Platone, è da porsi fra il 420 e il 416 a.C.), Mastromarco ha avanzato l’ipotesi che la riduzione del numero dei commediografi concorrenti negli agoni abbia interessato soltanto le fasi del conflitto più critiche per Atene, e cioè dal suo scoppio fino alla pace di Nicia (421 a.C.) e poi di nuovo a partire dalla spedizione siciliana (416-415 a.C.)65. Più di recente, Mastromarco ha ritenuto di individuare in Av. 786-789 un argomento a favore della tesi della riduzione della durata degli agoni, e dunque del numero dei concorrenti, nel corso (di alcune fasi) della guerra, interpretando il passo come testimonianza della rappresentazione pomeridiana delle commedie, dopo quella mattutina di ciascuna delle tre tetralogie tragiche, alle Dionisie del 414 a.C.66 In séguito Luppe ha ulteriormente sostenuto la propria idea accordando pieno credito alla testimonianza della hypothesis I delle prime Nuvole (423 a.C.; test. 1 K.-A.), secondo cui Aristofane avrebbe desistito dal portare in scena la seconda redazione della commedia perché deluso da insuccessi teatrali “ancora più gravi”: ajtucw'n de; polu; ma'llon kai; ejn toi'ç e[peita oujkevti th;n diaçkeuh;n eijçhvgagen. Qualora si ritenga la testimonianza attendibile, secondo lo studioso se ne dovrebbe evincere che nei concorsi successivi alle Dionisie del 423 Aristofane si sia piazzato peggio che terzo, dunque quarto o quinto, e che pertanto non vi sia stata riduzione dei concorrenti neppure nel periodo della guerra anteriore al 421 a.C.67 Si deve tuttavia osservare che l’attendibilità della hypothesis a partire da diovper è stata messa in discussione (Kaibel ap. K.-A.) ed è palesemente erronea la sua parte conclusiva, che segue immediatamente la frase sopra citata (aiJ de; deuvterai Nefevlai ejpi; ΔAmeinivou a[rcontoç). Inoltre, l’insuc-
63
Luppe 1972b; Id. 1982, pp. 157-159; Id. 1984; Id. 1988; e ancora Id. 1989c, in risposta alle critiche mosse da Slater 1988. 64 Cfr. Körte 1905, p. 428, con ampio e autorevole séguito. 65 Mastromarco 1975; cfr. Storey 2002; contra Hartwig 2010, che fissa al 421 la rappresentazione dei Rhabdouchoi. 66 Mastromarco 1998, con la replica di Luppe 1999, e la risposta di Mastromarco 1999. 67 Luppe 2000.
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cesso (ajtucw'n) potrebbe essersi aggravato non a livello di graduatoria finale, bensì sul piano del gradimento delle commedie da parte del pubblico ovvero della selezione preliminare al concorso operata dall’arconte. L’interpretazione dei rr. 16-17 ajpewvçqh ⁄ pavlin eijªçº tou;ç Lhnai>kouvç proposta da Lobel (i poeti che si piazzavano oltre il terzo posto alle Grandi Dionisie avevano diritto al coro per le Lenee dell’anno seguente)68 fu respinta da Luppe in quanto comporterebbe una illogica discriminazione nei confronti proprio dei concorrenti che avessero conseguito un piazzamento migliore: “der Ausdruck ajpewvçqh pavlin eijç tou;ç Lhnaikouvç bezeichnet offenbar eine gewisse ‘Rückstufung’. Ob diese auf einem tatsächlichen Aufführungsreglement oder nur auf Deutung des Eratosthenes beruht, wage ich nicht zu entscheiden”69. A brevissima distanza di tempo, lo stesso Luppe si pronunciò a favore della seconda tesi, supponendo che l’erudito avesse dedotto la rinuncia del poeta a presentarsi alle Dionisie da una prolungata assenza del suo nome nelle Didascaliae aristoteliche70. All’opposto, la tesi di una precisa regolamentazione antica in materia è stata assunta da Mastromarco71, che vi ha visto la spiegazione di un caso del tutto eccezionale nella carriera di Aristofane, cioè il fatto che nel 422, l’anno successivo alla débâcle delle Nuvole, egli partecipò al concorso lenaico con due drammi (Proagone, sotto il nome di Filonide, e Vespe), mentre non gareggiò alle Dionisie72.
68
Lobel 1968, p. 44. Luppe 1971b, p. 118. 70 Luppe 1971a, p. 106; cfr. Id. 1982; Id. 1989a. 71 Mastromarco 1974, pp. 18-19; Id. 1978; e specialmente Id. 1983: ajpewvçqh non può implicare un’astensione volontaria del drammaturgo dalle Dionisie. 72 Il dibattito si è poi esteso. D.F. Sutton, partendo dal presupposto che l’espressione eijç tou;ç Lhnai>kouvç sottintenda poihtavç (e non ajgw'naç), ha sostenuto l’esistenza ad Atene di due distinte categorie di poeti, definite in funzione dell’accesso all’agone lenaico e a quello dionisiaco: poeti anziani alle Dionisie e giovani alle Lenee (Sutton 1976), ovvero poeti di prim’ordine alle Dionisie e di livello inferiore alle Lenee (Sutton 1980). La tesi, pur non reggendo alla critica di Luppe 1982, pp. 148-154 (cfr. Mastromarco 1983, p. 30), ha trovato eco nei Select Addenda di J. Gould e D.M. Lewis alla ristampa della seconda edizione di The Dramatic Festivals of Athens di A. Pickard-Cambridge (Oxford 19682, rist. 1988, p. 359) ed è stata accolta da Gilula 1990, la quale ha sostenuto che, se norma o prassi vi fu, essa dovette consistere in un limite minimo di età per gli autori aspiranti alle Dionisie: lo sbarramento spiegherebbe tanto il periodo giovanile ‘segreto’ della carriera di Aristofane, quanto il ritorno forzato del troppo giovane Platone alle Lenee. A giudizio di Rosen 1989, la testimonianza di Eratostene si riferirebbe a un episodio di esclusione di Platone da parte dell’arconte eponimo alla selezione per il concorso dionisiaco (ma genovmenoç tevtartoç non può non riferirsi alla graduatoria agonale). In seguito Biles 1999, sviluppando un’ipotesi di E. Fraenkel (ap. Lobel 1968, p. 44 n. 1) e aderendo alla tesi di Luppe, ha ritenuto che Eratostene inferisse l’informazione sugli esordi di Platone non dalle Didascaliae aristoteliche, ma dalla parabasi del suo Pisandro, come sembra potersi evincere da Sud. a 3946 A. ΔArkavdaç mimouvmenoi: ejpi; tw'n eJtevroiç ponouvntwn ... tauvth/ de; th/' paroimiva/ kevcrhtai Plavtwn ejn Peiçavndrw/ (fr. 106 K.-A.). dia; ga;r to; ta;ç kwmw/divaç aujto;ç poiw'n a[lloiç parevcein dia; penivan, ΔArkavdaç mimei'çqai e[fh (cfr. Paus. Att. a 151 E.; Phot. Lex. a 2817 Th.). Ma il frammento del 69
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Quanto alla ragione per cui il commentatore introdusse la testimonianza di Eratostene su Platone, Mastromarco73 ha osservato che non è necessario supporre nel testo un riferimento di Aristofane al rivale, “da escludere già solo per la circostanza che un incidente del tutto simile era toccato ad Aristofane con le Nuvole”. Lo studioso ritiene che il richiamo alla vicenda di Platone possa essere stato introdotto per illustrare un’allusione autobiografica di Aristofane all’insuccesso delle Nuvole. Il commentatore avrebbe còlto, cioè, la “circostanza del tutto singolare che la carriera di Aristofane e quella di Platone ebbero, almeno nelle fasi iniziali, uno svolgimento affatto parallelo”: entrambi affidarono ad altri la regia delle loro prime commedie e in tal modo conseguirono buoni piazzamenti negli agoni dionisiaci (r. 13 eujdokivmei deve alludere a primi e secondi posti: Mastromarco 1983, p. 30 n. 5); al contrario, i loro esordi registici in tale concorso (Nuvole e Rhabdouchoi) furono segnati dall’insuccesso. A questa convincente analisi si può aggiungere un tassello. Il trait d’union fra testo commentato (lacunoso) e citazione della testimonianza di Eratostene su Platone può essere stato non generico (nel testo, allusione di Aristofane al fiasco delle Nuvole; nel commento, osservazione che anche Platone andò incontro all’insuccesso esordendo come regista alle Dionisie con i Rhabdouchoi), ma puntuale e circostanziato. Si può supporre, cioè, che Aristofane stesso stabilisse un parallelismo, satirico e insieme solidale, fra il proprio inopinato insuccesso e quello occorso al collega e rivale, in un contesto di autogiustificazione o di rimprovero al pubblico per la sua ingrata volubilità, in modo non dissimile da quanto avviene nella parabasi dei Cavalieri (vv. 526-536), dove il poeta esordiente spiega i propri timori di un prematuro insuccesso, portando l’esempio del triste declino anche di drammaturghi affermati, quali Magnete, Cratete e, soprattutto, il diretto rivale Cratino. In tal modo si giustificherebbe altresì che la spiegazione abbia inizio con fhçi; de; kai; ΔEratoçqevnhç ... : Eratostene c o nf erm a ciò che il poeta dice. L’ipotesi di un riferimento di Aristofane all’episodio, a una distanza di tempo relativamente breve, è congruente con la cronologia presunta delle due commedie (420/416 per i Rhabdouchoi, 419/412 per l’Anagyrus). Le dimensioni e la qualità stessa del dibattito sulle questioni sollevate dal passo (l’origine, l’attendibilità e l’esatto significato dell’informazione attribuita a Eratostene) sono un indice eloquente della sua spiccata problematicità. L’aporia è per certi versi paradossale, se si considera che, a parte la lacu-
Pisandro sarà da intendere piuttosto come un riferimento di Platone alla propria giovanile apprenticeship al servizio di commediografi più anziani ed esperti, come ha argomentato Pirrotta 2006, pp. 73-81 e 2009, pp. 21-26. 73 Mastromarco 1983, pp. 33-35.
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na iniziale (r. 10), questa sezione del commentario è l’unica a essere pervenuta sostanzialmente integra e perfettamente intelligibile nel suo senso letterale. La difficoltà interpretativa discende dai sottintesi del commentatore in merito alle procedure di selezione applicate ai concorsi drammatici ateniesi; se non (anche) dalla decurtazione del passo, di cui potrebbe essere spia l’uso tutt’altro che ineccepibile di prw'ton: “mettendo in scena per la prima volta (cioè in realtà esordendo come regista con) i Rhabdouchoi”. Si confronti il caso analogo di prw'tºon in fr. 1 I 4 con il commento. 18-19 SLG 1 = PMGF S1 = fr. 1 C.; cfr. Av. 217 oJ cruçokovmaç Foi'boç. Come fr. 1 I 22-23 Terpavndrou ejçti;(n) ªhJº ajrchv, parimenti qui ΔAlkma'noç hJ≥ ªajºrchv può essere inteso sia “der Anfang (des ersten Gedichts) Alkmans”74, sia “the beginning (sc. of Aristophanes’ stanza) belongs to Alcman”75. Secondo la plausibile ricostruzione di Luppe ricordata supra (commento a fr. 1 I 20-27), i versi iniziali dell’ode e dell’antode parabatiche della commedia oggetto del commentario dovevano essere imitazioni di celebri incipit poetici, rispettivamente, di Terpandro e di Alcmane. 19-25 A parere di Lobel 1968, p. 44, la nota di commento trae origine dall’ambiguità sintattica del testo poetico, insita nell’infinitiva katapalai≥vein ... ⁄ touvto≥u≥ªç toºu≥;ç nevouç dida⁄çkavloªuç, che rende necessario distinguere soggetto e oggetto dell’azione verbale e stabilire se tou;ç nevouç debba essere associato a touvtouç oppure a didaçkavlouç: da cui la scelta dell’esegeta di parafrasare il lemma, volgendo la costruzione da attiva a passiva. Il caso ha voluto che della spiegazione siano caduti in lacuna proprio alcuni dei termini maggiormente implicati, cosicché non è dato ricostruire con certezza l’interpretazione fornita dal commentatore (si può soltanto escludere che egli intedesse didaçkavlouç come oggetto). Tammaro 1977, p. 96, propende per la sospensione del giudizio, esprimendo però una leggera preferenza per touvtouç oggetto e tou;ç nevouç didaçkavlouç soggetto (il che implicherebbe rr. 24-25 uJpo; tw'n ⁄ ªnevwn didaçkavºlwn), intendendo touvtouç come “i vecchi poeti comici”, rivali dei nuovi. Con maggior determinazione Luppe 1978b, p. 20 con la n. 1, correggendo e integrando una propria ipotesi avanzata in precedenza76 e sottoposta a critica da Tammaro, esclude che al commentatore la frase potesse apparire ambigua a motivo dell’infinitiva, in quanto touvtouç (oggetto) è separato da tou;ç nevouç didaçkavlouç (soggetto) dalla dieresi mediana del verso, e individua la ragione del commento piuttosto nella necessità di esplicitare il generico touvtouç: k≥ªatºapalai≥ev ç≥ q≥ ai touv⁄t≥ªouºç≥ t o u; ç≥ ªn ev o u çº (scil. didaçkavlouç) uJpo;
74 75 76
Luppe 1973, p. 284 n. 27; così già Gelzer 1972, pp. 142-143; e poi Calame 1983, p. 305. Page 1971, p. 98. Luppe 1971b, p. 117; Id. 1971a, p. 106.
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tw'n ⁄ ªa[ l l w n didaçkav]lwn (così anche Austin 1973, mentre in KasselAustin 1984 è accolta la posizione prudenziale di Tammaro). 25-27 La parziale restituzione di eujte⁄ªl- (Luppe 1971b, p. 117 n. 4; Id. 1971a, p. 106) e la sua identificazione come parte di un nuovo lemma (Id. 1978b) sono permesse dalla presenza del breve spazio bianco che separa la parola dal precedente ºlwn, nonché da ojlig≥≤ª in sede di spiegazione, che è raffrontabile con varie glosse erudite dell’aggettivo eujtelhvç: AelD. e 76 E. (= Sud. e 3767 A.) eujtelhvç: ejpΔ ajreth'ç oJ feidwlovç, kai; ojligodavpanoç; Hsch. e 7235 L. eujtelevç: ojlivghç dapavnhç; Athen. II 40e polutelei'ç oiJ polla; ajnalivçkonteç kai; eujtelei'ç oiJ ojlivga. Se si ammette, con Luppe, che il testo poetico si estendesse fino a r. 26 ºwnt≥ai, il lemma constava di una porzione di tetrametro trocaico dell’antepirrhema (eujte⁄ª– × – + ºwntai). 29-33 La posizione dei semeia e l’ekthesis non lasciano dubbi sul fatto che i rr. 29 e 30 ospitino un lemma77. La lettura ΔE≥r≥ato≥ªçqevnhç al r. 31 (Lobel, seguito da Austin; cfr. Bagordo 1998, p. 134, F 18) richiede un secondo soggetto nel poco spazio rimanente della lacuna, così da giustificare il plurale e[º⁄legon (rr. 31-32). Con minore plausibilità rispetto alle tracce del r. 31, Luppe ha proposto çªhmeiwtevonº| dΔ o{ti o≥i J≥ ΔAtªtikoi; ... e[º⁄legon. Al r. 29 mattonto≥ª “könnte zu e[⁄matton, ej⁄mavttonto, mavttontoç (oder einem Kompositum dieses Wortes) sowie zu einer entsprechenden Form eines längeren, auf -mavttein (bzw. -mavççein) endenden Verbs (wie laimavttein, farmavttein) gehören” (Luppe 1971a, p. 107). 33-35 La coincidenza testuale ravvisabile fra i rr. 33-34 e il fr. 51 K.-A. dell’Anagyrus, tràdito in Phot. Lex. a 1404 Th. ajnabebraçmevnh: ajnakekinhmevnh (= Hsch. a 4193 L.). ΔAriçtofavnhç ΔAnaguvrw/ “thvndΔ e{wlon (th;n de; ai[wlon b, corr. Reitzenstein) ajnabebraçmevnhn”78, costituisce l’argomento fondamentale per l’identificazione della commedia oggetto di questo hypomnema (cfr. supra, nell’introduzione al papiro). La posizione della diple obelismene fra i rr. 34 e 35 costituisce un problema: poiché normalmente il semeion è posto sotto il rigo in cui termina il commento (ed inizia eventualmente un nuovo lemma), ci si aspetterebbe di trovarla sotto il rigo precedente79. D’altro canto, se i rr. 33-34 ospitano il lemma, il secondo di essi dovrebbe essere in ekthesis e seguito dalla
77 Diversamente Luppe 1971a, p. 107 (cfr. Id. 1975, p. 185), ha argomentato che la presenza ravvicinata della paragraphos e del d(ev) (r. 31) individuino un’articolazione interna del commento, segnata dalla ripetizione di un termine del lemma precedente (un’ipotesi analoga a quella avanzata dallo studioso per i rr. 8-10). Secondo lo studioso, toujbolou' di r. 30 farebbe dunque parte della spiegazione. 78 La porzione di testo da ΔAnaguvrw/ ad ajnabebraçmevnhn è tràdita nel solo b, il ms. berlinese del Lessico foziano. 79 Lobel 1968, p. 44: “the diple should have been inserted one line higher”; cfr. Luppe 1971a, p. 108: “die Diple unter Zeile 33 fehlt”.
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paragraphos. Queste incongruenze hanno suscitato dubbi sulla natura del r. 35, inteso da alcuni come lemma senza commento80. L’identificazione del lemma grazie al fr. 51 K.-A. induce a pensare a un errore dello scriba nella segnalazione della fine di spiegazione al r. 33 e della fine del nuovo lemma al r. 34. Il problema non interferisce con la questione cruciale del rapporto intercorrente fra la spiegazione e quella esichiana-foziana (i.e. didimea, almeno in linea teorica) del participio ajnabebraçmevnhn. Come si è ricordato nell’introduzione al papiro, Kassel-Austin 1984 dubitano che la commedia commentata sia l’Anagyrus, condividendo l’obiezione metrica di Gelzer e ritenendo incongruenti la glossa del papiro e quella lessicografica. Per quanto concerne questo secondo aspetto, tuttavia, la discrepanza non è tale da escludere che l’oggetto delle spiegazioni fosse il medesimo81. Per di più, la sostanziale contiguità semantica delle glosse dialelumevnh e ajnakekinhmevnh risulta anche se esse vengono intese – come qui si preferisce – nel significato di ‘sciogliere, allentare, risvegliare mescolando’ un alimento o un preparato rassodati: senso congruente con il successivo ei\ta nenagmevnhn pavliªn, “poi di nuovo fatta rassodare”: ‘sciogliere’ e ‘rassodare’ esprimono in successione le conseguenze della bollitura (ajnabravttein), specialmente nel caso di alimenti fluidi e minestre quale la fakh', cui ipoteticamente Edmonds vorrebbe riferire ajnabebraçmevnhn (apparato ad fr. 45A: “sc. fakh'n; cfr. ajnabraçmovç”): la supposizione trae supporto dai fakoiv ripetutamente menzionati nel fr. 2 del commentario. Al r. 35 nenagmevnhn: “exspectaveris nenh(ç)mevnhn, cf. Ar. Nub. 1203, Eccl. 838, 840” (Austin ad l.; cfr. Lobel 1968, p. 44). 36 A favore della presenza di un lemma al r. 36, nonostante la mancanza della diple obelismene sopra il rigo a segnare la fine di una precedente spiegazione (si è visto che subito sopra, interl. 34-35, l’uso dei semeia è impreciso), è la posizione della traccia di scrittura iniziale del rigo stesso, un poco più a sinistra del sovrastante ei\ta, riferibile a una paragraphos o all’inizio del testo in ekthesis (non rilevata da Lobel). Luppe 1971a, pp. 108-109, suggerisce pavºr≥oi≥ n≥ oç: e[çti pavntwç wjªi⁄nwmevnoç richiamando Phryn. Gramm. SP. p. 118, 12 De B. u{poinoç: oJ oijnwvmenoç (corr. w/nj wmevnoç ?). Austin 1973 e Kassel-Austin 1984 (apparato) accolgono pavºr≥oi≥ n≥ oç come lemma. L’integrazione wjªi⁄nwmevnoç (Luppe) non è compatibile, per ragioni di spazio, con l’ipotesi della contiguità di fr. 1, col. II con il fr. 2. Poiché infatti fr. 2, 1 contiene senz’altro un lemma (oç kekramª: vd. il
80 Hofmann 1970, p. 9; Luppe 1971a, p. 108, che ripristinerebbe il ritmo trocaico correggendo ei\ta ãde;Ã o ei\tΔ aãu\Ã. 81 Cfr. Hofmann 1970, p. 9: “dialelumevnhn ... deckt sich mit der Erklärung bei Photios”; Luppe 1971a, p. 108: “die (etwa synonymen) Erklärungen ajnakekinhmevnh und dialelumevnh zeigen, dass ajnabravttein an dieser Stelle nicht ‘aufkochen’ heisst, was H.[ofmann] annimmt, sondern ‘worfeln’ (‘winnow’ L.[obel])”; e ancora Luppe 1973, p. 279 (per bravttw nel significato di ‘ventilare’ cfr. Aristoph. fr. 282 K.-A.).
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commento ad l.), per poter ritenere contigui i due frammenti del commentario deve essere soddisfatta una di queste due difficili condizioni: (a) fr. 1 II 36 contiene lemma e relativa spiegazione; in questo caso, la spiegazione terminerebbe nel rigo stesso e nel nuovo lemma di fr. 2, 1 bisognerebbe intendere oç come relativo (o{ç); risulterebbe tuttavia piuttosto arduo integrare la lacuna finale di fr. 1 II 36 (wjªmovç ?); oppure: (b) fr. 1 II 36 ospita interamente un lemma (in metro giambico o trocaico), che prosegue in fr. 2, 1; in questo caso, per wª ±2 º⁄oç, quasi certamente un aggettivo, si disporrebbe di wJªrikº⁄o;ç82, sillabato in modo maldestro, o di w{ªriº⁄oç83. Fr. 2 (col. III?) 1-5 La paragraphos sotto il primo rigo e l’ekthesis del rigo stesso indicano che qui terminava un lemma (eventualmente seguito dall’inizio della spiegazione). Le sequenze kekramª (rr. 1 e 4) e paraceª (r. 2) suggeriscono “a reference to the mixture of water and wine for drinking” (Lobel 1968, p. 44), un contesto che di per sé invoglia sia alla restituzione di pavºr≥o≥i ≥noç nell’ultimo rigo di fr. 1, col. II, sia alla supposizione che quest’ultimo e il fr. 2 siano consecutivi (ma vd. l’apparato e il commento a fr. 1 II 36). Da notare che la forma verbale kekramª, presente nel lemma (r. 1), è ripetuta in sede di commento (r. 4). 6-10 L’ekthesis del r. 6 e i semeia che lo delimitano non danno spazio a dubbi sulla sua natura lemmatica. Lobel 1968, p. 44, ha visto la triplice occorrenza di fakouvç (rr. 5-6, 8, 10), “a note on lentil porridge, elsewhere referred to as fakh' by Aristophanes (10 times), but favkoi [sic] as here at Pherec. Koriannwv (fr. 67, 3 seq.)” = fr. 73, 3-4 K.-A. (B.) ijdou; kuvlix çoi kai; travpeza kai; fakoiv. ⁄ (A.) mhv moi fakouvç, ma; to;n DivΔ, ouj ga;r h{domai. 11-14 Il lemma al r. 11 è delimitato dai semeia ed evidenziato dall’ekthesis. In r. 12 drama è verisimilmente singolare in ragione del seguente corovç (Luppe 1971a, p. 109, che suggerisce i{na dra'ma ªpoih/,' ejn w/| eijçavgeº⁄tai coro;ç k≤ª ). 15-17 Il lungo lemma poteva avere inizio al r. 14. In r. 15 menoumª si può vedere la parte finale di un participio (-mevnou: così Luppe 1971a, p. 109), oppure una forma del futuro di mevnw. Al r. 16 pare inevitabile separare ºmian araª , con Luppe (l.c.). Una forma di Trikovruª(n)qoç (o dell’aggettivo Trikoruvªçioç) è supplemento proposto per il r. 17 da Lobel 1968, p. 44, che richiama Lys. 1032 ejmpivç ... Trikoruçiva.
82 Cfr. Aristoph. Ach. 272 (wJrikh;n ... th;n ... Qra/'ttan), fr. 245 K.-A. (wJriko;n de; meiravkion), Pl. 963 (wJrikw'ç). Nel papiro l’aggettivo si riferirebbe alla persona definita pavroinoç. 83 L’aggettivo, equivalente a wJrai'oç e di uso poetico arcaico e postclassico, non è mai attestato in Aristofane.
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18-20 Per r. 19 ton kwª, Luppe 1971a, p. 110, pensa a soluzioni del tipo to;n kwªmw/dovn, to;n kwªmikovn, to;n kwªmw/divaç poihthvn. Il nome di Ermippo (test. *9 K.-A.) è restituito al r. 20 da Lobel 1968, p. 44. La paragraphos sotto r. 20 scandisce in due parti la spiegazione del lemma riportato ai rr. 15-17. 21-25 Le integrazioni di Lobel al r. 21 (th;n ajrcªh;n e Aijº⁄çcuvlou) appaiono sicure. Prevenendo la possibilità di errore nella valutazione della menzione di Eschilo, opportunamente l’editor princeps avvertiva (p. 44) che, tecnicamente, “from the position of the diple it is to be inferred that 23 seq. are a lemma from the comedy, not a quotation from Aeschylus”; il che non esclude, peraltro, che il lemma stesso coincida con una citazione eschilea (“to be sure, they might be both at once”). L’ammonimento di Lobel fu tuttavia trascurato da Mette 1968. Questi – oltre a operare per primo l’identificazione con l’Anagyrus del dramma aristofaneo commentato nel papiro ossirinchita84 – ritenne di riconoscere nei rr. 21-24 un possibile fragmentum novum degli ΔArgei'oi (o ΔArgei'ai) di Eschilo (fr. ?263A* M.), collegando r. 24 Divrkhç con il fr. 764 M. (= 347 R.) nara'ç te Divrkhç, da dramma eschileo incerto: e[labe (Aristophanes)º de; th;n ajrcªh;n ej k t w' n t o u' A ij º ç c uv l o u ΔA ª r g e iv w n, ejn ai|ç:º pa'ça dΔ hJ paªtri;çº ⁄ õ nara'ç te (?)Õ ⁄ Div≥r≥k≥h≥ç a[gcªi fuvretai pevdon. La presenza della diple obelismene sotto il r. 22 e un breve vacuum dopo r. 22 ºçcuvlou dimostrano però la diversa pertinenza dei rr. 21-22 (parte finale del commento al lemma dei rr. 15-17, posta in evidenza rispetto a ciò che precede dalla ripetizione della paragraphos sotto r. 20) e dei rr. 23-24 (nuovo lemma, il cui inizio è da porre a r. 22 aª ); cfr. Luppe 1971a, p. 110. Ne consegue che probabilmente il papiro è testimone di due distinti frammenti di Eschilo parodiati da Aristofane: da un lato, nei rr. [20]-22 l’esegeta rilevava la ripresa dell’incipit di un dramma eschileo, da ricercare nel lemma dei rr. 15-16 (fr. 451b R.), e nella parte ora perduta del r. 21 ne citava il titolo (necessariamente breve, considerata l’ampiezza della lacuna: per Luppe Lavi >oç, dunque th;n ajrcªh;n tou' Lai?ou); dall’altro lato, il lemma dei rr. 23-24 potrebbe contenere una resa parodica del citato fr. 347 R., per il quale Hartung 1855, p. 42, pensava ancora al Laio: cfr. Mette 1959, p. 254 (ad fr. 764: Laio oppure Edipo); Luppe, l.c.; Uebel 1971, p. 188. FAUSTO MONTANA
84
Cfr. Luppe 1971a, p. 93 n. 5, e supra, nell’introduzione al papiro.
28
P.Flor. II 112
sec. IIp
Commentario a commedia non identificata Prov.: Oxyrhynchus? Cons.: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana. Edd.: COMPARETTI 1908, pp. 9-18; DEMIAN´CZUK 1912, frr. 19-31; EDMONDS 1957, frr. 140A, 141 Ia-IVf; AUSTIN 1973, fr. 63; KASSEL-AUSTIN 1984, fr. 591; TROJAHN 2002, pp. 7180; MCNAMEE 2007, pp. 196-197 (note interlineari e nota marginale). Tabb.: P.Flor. II (= COMPARETTI 1908), II; KASSEL 1977, I (frr. C+D+E); CRISCI 1998, XLII (fr. C); CAVALLO 2008 [93] (Fr. C, col. II); www.accademiafiorentina.it; ⇒ VII (b). Comm.: MP3 157; LDAB 347 CRÖNERT 1908a; ID. 1908b; LEEUWEN 1909; STEINHAUSEN 1910, p. 39; KÖRTE 1911, pp. 269-271; LEEUWEN 1912; KÖRTE 1913, pp. 254-255; BOUDREAUX 1919, pp. 168-169; GEISSLER 1925, p. 62; ZUNTZ 1975, p. 28 (= 1938, p. 658); TAILLARDAT 1959, p. 64; SICKING 1964; ARRIGHETTI 1968, p. 96 (cfr. ID. 1987, p. 221 con la n. 195); TURNER 1968, p. 115 (= ID. 2002, p. 134 n. 37); SNELL 1971, pp. 133, 141; GELZER 1971, nr. 25; LUPPE 1972a; UEBEL 1974, pp. 334, 364; LUPPE 1975, pp. 186-187; KASSEL 1977, pp. 54-57; MCNAMEE 1977, pp. 189, 197 n. 52, 439; LUPPE 1978a; DEL FABBRO 1979, pp. 88, 95 n. 81; CASSIO 1981; KASSEL-AUSTIN 1983, p. 85 (Crates test. {13}); STEPHANOPOULOS 1983, p. 45; GIL 1989, p. 71; GOSTOLI 1990, pp. 49-50, 128-132; KRÜGER 1990, p. 194 (nr. 15); MCNAMEE 1992, pp. 18 nn. 50 e 51, [37], [43]; MERTENS 1996, p. 343; CRISCI 1998, pp. 132-133; CRISCI-DEGNI 2002, P.Flor. II 112; MESSERI SAVORELLI-PINTAUDI 2002, p. 42; TROJAHN 2002, pp. 156, 160-163, 196-197; JOHNSON 2004, p. 62; MONTANA 2004, pp. 376-377, 380-382; MONTANA 2005, pp. 49-51; CAVALLO 2008, p. 117; MONTANA 2009, pp. 44-51; PERRONE 2010, pp. 87-89, 103.
Sei frammenti di rotolo, contenenti sul recto parti di un commentario a commedia aristofanea non identificata, bianchi sul verso. I frammenti furono acquistati al Cairo e possono essere assegnati con buona probabilità all’area ossirinchita su base paleografica (vd. infra). Pubblicando l’editio princeps, Comparetti contrassegnò i frammenti con lettere da A a E, senza trovare elementi puntuali e decisivi per stabilirne l’ordine reciproco, tranne constatare che il fr. C è successivo ai frr. A e B. Il fr. A, cm 6,5 × 9,9, conserva parti della metà inferiore di due colonne di testo attigue (24 righi attestati per ciascuna colonna), la prima delle quali seguita in basso da un brandello bianco in parte abraso (resto del margine inferiore secondo Comparetti, con riserve di Luppe)1 e tra loro sepa-
1
Luppe 1972a, p. 78.
184
Aristophanes 28
rate da un intercolumnio di cm 1,5/1,7; la seconda colonna poteva verisimilmente contenere 26/28 lettere circa per rigo (cfr. rr. 15 e 19-21, con l’app. crit.) e avere perciò la stessa larghezza delle colonne attestate nel fr. C (vd. infra). Il fr. B, cm 2,5 × 9,5, consiste in una porzione vagamente diagonale, da destra in alto a sinistra in basso, della parte inferiore di una colonna di testo (24 righi attestati) soprastante cm 0,9 di margine inferiore. Il fr. C è formato da due pezzi combacianti (denominati a e b da Comparetti), con misure complessive di cm 15,6 × 11,6, e restituisce la metà inferiore di due colonne (rispettivamente 18 e 25 righi attestati), interamente conservate nella loro larghezza (23/28 lettere per rigo, corrispondenti a cm 5,5 circa, con leggero restringimento nella parte bassa della seconda colonna) e seguite da tratti di margine inferiore (cm 0,8 al massimo sotto la col. I, fino a cm 2,5 sotto la col. II); resta parte dell’intercolumnio a sinistra della col. I (cm 1), mentre quello comune alle due colonne misura cm 1,2/1,4; a destra della col. II, lo spazio bianco tra il testo e il bordo del frammento raggiunge in più punti cm 2,4, attestando che questa colonna doveva essere anche la penultima del rotolo2 (o almeno di questo commentario) e che la successiva e ultima colonna era occupata dalla scrittura soltanto nella sua parte alta, ora perduta. Il fr. D (cm 2,1 × 3,4) e il fr. E (cm 3 × 3,6), testimoni di parti di una decina di righi ciascuno, come è stato mostrato da Edmonds e da Kassel (vd. infra) si posizionano in prossimità del bordo superiore sinistro del fr. C, portando a 25 i righi attestati della prima colonna di questo frammento. Una volta stabilito che il fr. C segue gli altri, per la collocazione reciproca di A e B Comparetti non individuò indizi cogenti, ma escluse comunque che il testo presente in B potesse appartenere a una della colonne di scrittura attestate in A: “talché in tutto avremmo qui tre pezzi [scil. frr. A, B, C] di un maggior frammento che conteneva la metà inferiore di cinque colonne di scrittura, l’ultima delle quali era la penultima di tutto il volume” (p. 10). Riguardo ai frr. D ed E, l’editore intuì che essi “devono appartenere alla parte superiore di queste colonne”, ma non poté riconoscervi puntuali elementi di continuità materiale o testuale. Un passo in direzione del loro ricongiungimento fu compiuto da Wilamowitz3, che riconobbe un preciso nesso testuale tra il fr. E e il fr. D (cfr. frr. C+D+E I 5-8 con il commento). Successivamente, Edmonds ipotizzò una ricollocazione complessiva dei frammenti4. Egli postulò che il fr. B precedesse fr. A col. I, e ne affermò la pertinenza alla medesima colonna di scrittura, adducendo il parere favorevole in proposito di M. Norsa, “who has confirmed the joinings”5. In CGFP (= PCG) Austin, pur giudicando infonda-
2 3 4 5
Comparetti 1908, p. 10; Luppe 1972a, p. 86; Trojahn 2002, p. 162 con la n. 3. Apud Crönert 1908b, col. 1391. Edmonds 1957, p. 608. Ibidem, n. 3.
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te le integrazioni proposte dall’editore inglese, aderì a questa ipotesi, mentre Luppe, in assenza di elementi probanti, l’ha prudenzialmente respinta6, peraltro riscontrando in proposito, per via privata, pareri dubbiosi dello stesso Austin e di Gelzer7. Al contrario, la collocazione dei frr. D ed E immediatamente al di sopra di fr. C I, operata da Edmonds (e intuita da Comparetti e da Wilamowitz), ha resistito alle critiche portate da Luppe, grazie alla conclusiva difesa da parte di Kassel adiuvante Pintaudi8. Questa collocazione dei frammenti nell’originale consente ora di apprezzarne a pieno la correttezza inoppugnabile (cfr. qui tab. VIIb). Il fr. C consta di parti di due kollemata, la cui linea di giunzione affianca immediatamente a destra la seconda colonna di scrittura di tale frammento. Che il kollema destro sia originario, e non aggiunto posteriormente, è dimostrato dal fatto che nella parte alta di questa colonna la scrittura valica in più punti la linea d’incontro dei due kollemata. Per il resto, né le caratteristiche materiali dei frammenti, né il contenuto del testo conservato consentono ipotesi precise circa il formato del volumen. Resta dunque puramente ipotetica la cifra di 45/50 righi per colonna, supposta da Comparetti9; al più si può ricostruire che la seconda colonna del fr. C constasse di almeno 27 righi10. Il primo editore (p. 10) descrisse la scrittura del testo come “di buona mano e ben ferma; unciale piccola, verticale, regolare, bene allineata e spazieggiata, chiara quindi e nitida” e la datò al IIIp. Al secolo precedente la collocano altri, fin da Crönert11 e Schubart12. Pubblicando P.Oxy. XXI 2301 (⇒ Alcaeus 9), frammento di poesia eolica con note marginali, E. Lobel ne accostava la scrittura principale a quella del papiro fiorentino, spingendosi a osservare che “in fact, so far as one may base an opinion on a facsimile, I think the writer may well be the same”, e la datava al II secolo13. A favore
6 Luppe 1972a, pp. 75-76, 80. Per un indizio sfavorevole all’ipotesi di Edmonds cfr. infra, commento a fr. B 14-15. 7 Luppe 1975, p. 187. I dubbi espressi da Luppe sulla veridicità del consenso di Norsa avocato a sé da Edmonds sono superati dall’evidenza offerta da due lettere, inviate da Edmonds, da Cambridge, alla papirologa italiana e la cui esistenza è stata segnalata da R. Pintaudi (in Kassel 1977, p. 56 n. 10), ora Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, carteggio Norsa 2.249 e 2.250, datate rispettivamente 19 marzo 1939 e 5 aprile 1939. Nella prima lettera lo studioso inglese chiede la verifica sull’originale di tre ipotesi di ricongiunzione testuale (frr. B+A 8-9 e 10-11; frr. C+D+E I 89); nella seconda esprime la propria grata soddisfazione per la risposta inviata dalla Norsa in data 24 marzo [1939], nella quale la studiosa gli ha confermato la validità della ricostruzione. 8 Kassel 1977, pp. 54-57 e Taf. I; da cui l’assenso di Luppe 1978a, p. 161. 9 Comparetti 1908, p. 10, che formula l’ipotesi “confrontando questo con altri papiri di scrittura simile e di egual modulo, quale ad es. il nostro n.° 113” (= P.Flor. II 113, opera filosofica, IIp). 10 Cfr. Luppe 1972a, p. 84; infra, commento a fr. C II 1-10. 11 Crönert 1908a, col. 1199. 12 Apud Zuntz 1975, p. 28 (= 1938, p. 658), n. 2. 13 Lobel 1951, p. 75; Krüger 1990, p. 194 nr. 15; cfr. Trojahn 2002, pp. 200 n. 1, 203; Johnson 2004, p. 62 (#A15). Sull’identificazione dei due scribi si esprime con cautela Porro 2004, p. 145.
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della possibilità che essi siano il prodotto dello stesso àmbito culturale, e dunque della provenienza ossirinchita anche del papiro fiorentino, si è finora mancato di porre nel debito rilievo la somiglianza fra la scrittura degli additamenta interlineari e marginali presenti in P.Flor. II 112 (vd. infra) e quella dei marginalia esegetici di P.Oxy. XXI 2301, fr. 1 (a)14. Più di recente, a proposito della scrittura principale del nostro hypomnema, Crisci ha richiamato i paralleli di P.Oxy. XVII 2076 (Saffo, tavola in Turner 1987, nr. 18) e di P.Lond.Lit. 96 (Eronda, tavola in Turner 1987, nr. 39), datati da Turner tra la fine del Ip e l’inizio del IIp, concludendo che “il frammento fiorentino dovrebbe essere un po’ più recente, e quindi del II piuttosto che della fine I secolo d.C.”15. Lo scriba del testo principale omette spiriti, accenti, apostrofi e, di frequente, lo iota muto. Alcune correzioni (e.g. fr. C II 13 udreu corretto in i>dru) sono imputabili a una mano diversa, assai meno accurata: forse la stessa cui sono da riferire sia le lettere ouke aggiunte nello spazio intercolonnare sinistro attiguo a frr. C+D+E I 10, sia la correzione di fr. C II 4 (ep barrato nel testo, kataqh s.l.), sia infine tre additamenta di contenuto esegetico posti nelle interlinee 7/8 e 9/10 di frr. C+D+E I e nel margine inferiore sotteso alla medesima colonna16. L’articolazione del commentario è affidata a un sistema di segni: la paragraphos sotto l’inizio del rigo indica la fine di una spiegazione; la stessa funzione separatoria è affidata a vacua nel testo (fr. B 13, 20; frr. C+D+E I 19; fr. C II 10, 15, 20, 21, 25), più raramente a dicola, almeno in qualche caso introdotti apparentemente in un secondo tempo (frr. C+D+E I 5, 18, 22); il semeion İ, posto nel margine a sinistra del testo, generalmente all’altezza del primo o del secondo rigo della spiegazione, con ogni probabilità scandisce le diverse sezioni del commentario (per questo uso cfr. P.Oxy. XXI 2306 ⇒ Alcaeus 11)17. Talvolta nella parte finale del rigo è introdotta una virgoletta come riempitivo (fr. A I 18, 19; frr. C+D+E I 21; fr. C II 6, 17?), un espediente adottato anche dallo scriba del commentario P.Oxy. XXXV 2737 ⇒ 27. La paternità aristofanea della commedia si evince con sicurezza da due rimandi del commentatore, uno agli Uccelli (fr. C I 10) e uno alla Pace (fr. C II 16), non corredati del nome dell’autore e accompagnati semplicemente da e[legen e e[fh. Permane invece irrisolta l’identificazione della commedia, di cui
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Cfr. Lobel 1951, Plate IX. Crisci 1998, p. 133; cfr. Cavallo 2008, p. 117. 16 Per altri casi di marginalia in hypomnemata cfr. McNamee 1977, p. 197 n. 52. 17 Sul semeion cfr. Turner 1987, p. 14; McNamee 1992, pp. 18 con n. 51 e [37] (che lo assimila al dotted obelus). Il suo uso non è limitato a hypomnemata, ma ricorre anche in marginalia esegetici di probabile derivazione ipomnematica: cfr. infra, frr. C+D+E I mg. inf. con il commento; e P.Oxy. XI 1371 ⇒ 13 (ad Nub. 3). 15
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dai lemmi e dalle spiegazioni presenti nel commentario si possono ricavare pochi dati: che tra i personaggi vi era un gevrwn, oggetto di pestaggio e del furto della veste (frr. C+D+E I 18-22); che il coro era composto da gevronteç (fr. C II 20-21); che il dramma andò in scena non prima del 410 a.C., perché (frr. C+D+E I 24-[25]) “il figlio di Skellias” Aristocrate (evocato con il patronimico anche in Av. 126) dievtatte çu;n Qh⁄ramevnei tovte kai; aujto;ç ta; pravgma⁄ªtaº, allorquando cioè i due uomini politici cooperarono alla restaurazione della democrazia dopo l’esperienza oligarchica del 41118. Per la rappresentazione del dramma si potrà allora pensare, con Körte, ad agoni teatrali posteriori al 411 e tenuti in anni nei quali Aristocrate conobbe una particolare esposizione pubblica come stratego, dunque 409, 406 e 40519. Diversamente, Sicking propende per l’anno nel quale Teramene ricopriva la carica di stratego e Aristocrate, all’epoca tassiarco, era stato eletto stratego per l’anno successivo20. È rimasta priva di séguito l’ipotesi che il dramma sia da individuare nel Triphales, sostenuta dal primo editore in modo opinabile rilevando nel testo possibili allusioni ad Alcibiade21, come pure l’idea di van Leeuwen che possa trattarsi dell’Anagyrus, basata sul fatto che qui, in frr. C+D+E I 5-6 (cfr. rr. 7-8), così come nel fr. 62 K.-A. dell’Anagyrus, Aristofane imita l’incipit del nomos orthios di Terpandro (PMG 697 = fr. 2 G.; cfr. P.Oxy. XXXV 2737 ⇒ 27, fr. 1 I 1927 con il commento)22. L’argomento di van Leeuwen non è cogente, in quanto Aristofane imitò il nomos terpandreo almeno anche in Nub. 595 e potrebbe avere fatto lo stesso in altre commedie perdute23; inoltre, l’Anagyrus è escluso dalla cronologia, essendo da porre tra il 419 e il 412 a.C.24 Al Geras pensò in un primo tempo Crönert25, che pare essersi poi allineato al parere negativo espresso in proposito da Wilamowitz26. Questa ipotesi fu tuttavia rimessa in auge da Edmonds, il quale da un lato27 ritenne di poter riconoscere in fr. A II 1-2 resti del fr. 139 K. = 145 K.-A. del Geras (fr. 141 IIa E.) e dall’altro28 asserì
18 Cfr. Thuc. VIII 92, 2-4; Aristot. Resp. Ath. 33, 2. Su Aristocrate: Kirchner 1901, p. 131 (nr. 1904); Davies 1971, pp. 56-57; Traill 1995, pp. 152-153 (nr. 171045). 19 Körte 1911, p. 270. 20 Sicking 1964, p. 160, che indica il 410 a.C. Tuttavia i due uomini politici ricoprirono le suddette cariche durante il regime dei Quattrocento, dunque tra l’estate e l’autunno del 411: Develin 1989, pp. 160-161. Contra Luppe 1972a, p. 83, non vede la necessità di ricercare questa combinazione di circostanze. 21 Comparetti 1908, p. 11; “sine causa” per Austin. 22 Leeuwen 1909, pp. 67-70. 23 Cfr. Luppe 1972a, p. 76. 24 Cfr. Geissler 1925, p. 62 n. 1. 25 Crönert 1908a, col. 1200. 26 Citato in Crönert 1908b, col. 1391. 27 Edmonds 1957, p. 610. 28 Edmonds 1957, pp. 614-615 n. 10.
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che nello spazio bianco attiguo a fr. C II 24-25 resterebbe traccia “in faded ink” del titolo della commedia che era commentata di séguito alla nostra, Ghrutavdou ajrc(hv), e ipotizzò una successione alfabetica di più commedie aristofanee nel rotolo. La tesi, supportata con tali argomenti, fu recepita da Sicking e da Gelzer29; al contrario, Taillardat mostrò l’aleatorietà del primo argomento di Edmonds e mise in dubbio l’autenticità stessa del secondo30. In effetti, l’originale non reca traccia alcuna di scrittura nel punto indicato da Edmonds. L’identificazione della commedia qui commentata con il Gerytades, proposta cautamente da Körte, incontrò maggiori consensi31. Körte ritenne utili indizi, consoni con quanto è noto della trama della commedia, la menzione di poeti (Iophon e Philocles in fr. A II 12 e 19), la composizione del coro, costituito da vecchi (fr. C II 20-21), e il riferimento a una divinità femminile (la ΔArcaiva Poivhçiç ?) fatta risalire in forma di statua dall’Ade (ajnhvgagon) per essere installata nell’ajgorav (fr. C II 10-12). Tuttavia lo studioso riconosceva la mancanza di prove decisive a favore della propria ipotesi e Sicking ha rimarcato la scarsa consistenza anche degli argomenti addotti32. Ha così prevalso una linea aporetica33, che ha persuaso gli editori dei PCG a classificare lo hypomnema tra le incertae fabulae34. Il terminus post quem per la composizione del commentario è costituito dalla citazione di Callistrato, allievo ad Alessandria di Aristofane di Bisanzio verso l’inizio del IIa, in frr. C+D+E I 14. A giudizio di Comparetti, l’assenza di interventi di critica testuale e metrica e una certa elementarità dell’espressione possono far pensare a “un estratto di altro commento maggiore”, attribuibile all’intervento unitario e individuale di “un grammatico dei tempi imperiali, posteriore a Didymo, anteriore a Symmaco”35. Che lo hypomnema fiorentino rappresenti una redazione del commentario di Didimo fu asserito
29
Sicking 1964, pp. 158-161; Gelzer 1971, col. 1555. Taillardat 1959, p. 64. In séguito Luppe 1972a, p. 76, ha osservato come i due righi iniziali di fr. A II siano da ritenersi parte di una spiegazione, e non di un lemma, in quanto sono seguiti da una paragraphos. Cfr. anche Luppe 1975, p. 187: “... Edmonds’ Zuordnung des Kommentars zum Gh'raç, die auf einer angeblichen – nur von Edmonds gelesenen! – Randbemerkung beruht”. 31 Körte 1911, pp. 269-271; Id. 1923, p. 255. Cfr. Geissler 1925, p. 62; Schmid 1946, pp. 209-210; Taillardat 1959, p. 64; Arrighetti 1968, p. 96; Gil 1989, p. 71; cfr. anche Austin, apparato ad fr. 63: “probabilius”. 32 Körte 1923, p. 255; Sicking 1964, p. 159. 33 Cfr. Luppe 1972a, p. 76: “wird sich über den Titel der Komödie auch nichts Sicheres sagen lassen”; nonostante la cauta apertura all’ipotesi di Körte, gli ha fatto eco Austin 1973, apparato ad fr. 63: “nihil certi affirmari potest”; e cfr. ancora Luppe 1975, p. 186. 34 Contra Gil 1989, p. 71, convinto sostenitore dell’attribuzione al Gerytades. Al quadro delle ipotesi si possono aggiungere i Taghniçtaiv, con i quali sono compatibili – a quel poco che ne sappiamo – sia la cronologia (tra il 415 e il 400 a.C.: Geissler 1925, p. 49) sia, a livello di plot, la combinazione dell’elemento simposiale e di quello ultramondano. 35 Comparetti 1908, pp. 11-12; cfr. Körte 1923, p. 255: “der Kommentator schreibt, etwa wie der Berliner Didymos, Stellen des Dichters aus und erläutert sie sachlich, nicht grammatisch”. 30
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da Crönert a conclusione di un’analisi degli additamenta esegetici presenti nel papiro36; una tesi raccolta e per certi versi radicalizzata da Luppe, per il quale l’ampia citazione da Andocide in fr. C II 1-10 escluderebbe che si tratti di un’epitome37. Tuttavia, gli indizi raccolti da Crönert furono giudicati assai labili da Boudreaux, che riconduceva il testo attuale all’esegesi didimea, ma attraverso una o più mediazioni38: cosicché le addizioni esegetiche, recanti espressamente il nome di Didimo, in frr. C+D+E I, interlinea 9/10 e margine inferiore, sarebbero da attribuire a un lettore che disponeva di un altro hypomnema (scil. di una diversa redazione dello hypomnema di Didimo)39. Sulla stessa linea, Gelzer ha definito il commentario “Exzerpt aus Didymoskommentar mit Nachträgen aus einem anderen Exemplar des Didymos”40. Questa interpretazione aveva incontrato a suo tempo la critica di Zuntz, per il quale gli stessi additamenta didimei sarebbero la dimostrazione che lo hypomnema non risale a Didimo41. La questione è stata ripresa in séguito, in termini riconducibili nella sostanza alla posizione di Boudreaux e tali da superare l’obiezione di Zuntz, dalla McNamee, secondo la quale P.Flor. II 112 deve derivare “from a source independent of Didymus’ commentary, or at least so altered after two centuries that it was substantially different from the commentary of Didymus which was consulted by the annotator of this papyrus”42. Almeno due caratteristiche generali del commentario sembrano giocare a favore di quest’ultima interpretazione: (a) il suo sostrato cólto, che ne indica la matrice erudita e, in ultima analisi, alessandrina (nel commentario principale si contano dieci citazioni di otto autori diversi, tra i quali lo stesso Aristofane, volte a spiegare menzioni nel testo o riferimenti intertestuali: Plat. Com. fr. 71, 8 K.-A.; Iophon TrGF 22 test. 3 Sn.-K.; Philocles TrGF 24 test. 9? Sn.-K.; Terp. PMG 697 = fr. 2 G.; Callistrat. Alex. fr. novum; Aristoph. Av. 884; And. 1, 110. 116; Aristoph. Pax 923, 925; Il. V 253; Cfr. Perrone 2010, 36 Crönert 1908a, col. 1199: “da nun aber auch der Haupttext ohne Zweifel auf Didymos zurückgeht, so ist schon die Erkenntnis wertvoll, dass das uJpovmnhma des grossen Grammatikers in zwei späteren Bearbeitungen benutz worden ist, wozu die erhaltenen Aristophanesscholien allenthalben Parallelen bieten”. Cfr. Crönert 1908b, col. 1391. 37 Luppe 1972a, p. 89; cfr. Trojahn 2002, p. 162 con la n. 4. 38 Boudreaux 1919, p. 168 n. 6: “il semble reposer sur un uJpovmnhma ou sur quelques ujpomnhvmata anonymes, qui tenaient leur science de Symmaque ou de Didyme”. 39 Boudreaux 1919, p. 169 n. 2. 40 Gelzer 1971, col. 1555. 41 Zuntz 1975, p. 28 (= 1938, p. 658). 42 McNamee 1977, p. 189. A margine della questione si deve osservare (sia pure con tutta la cautela richiesta da questo genere di procedimenti di attribuzione: cfr. White 1914, pp. LXIX-LXX; Gudeman 1921, col. 678; Wilson 1983, p. 93) la presenza in fr. C II 23 di uno stilema esegetico (mhvpote) che la critica ottocentesca su Didimo indicava come caratteristico segnatamente dell’illustre grammatico alessandrino (cfr. Boudreaux 1919, pp. 110-119, con bibliografia precedente a p. 110 n. 8).
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pp. 87-89); (b) la totale assenza di osservazioni di carattere testuale e linguistico-grammaticale, segno degli specifici interessi (e disinteressi) del destinatario del commentario nella sua forma attuale43 e, al tempo stesso, probabile indizio di compendio di uno hypomnema originariamente più esteso (cfr. il caso, in tal senso più chiaro, di P.Oxy. XXXV 2737 ⇒ 27).
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ä ä ä º≤ ºt≥h≥n≥≤n≤≤i ºap≤ª º≤erdane≥i ≥ç≥ º≤çkeiw≥ç≤ ºpragma º≤eufranen º≤w eijç to; g≥ª≤º º≤to pro; tou º≤≤≤pe≥ º≤i≥napwr ºç≥ kai; lei ºnoç le º≤içwn≥ ºa≥çeiçei≥≤≤ º≤oqen ºxevlqw º≤aek ºpoçto º≤b≥eç zh ºe≥çtouç ºm≥atwn ºkatal ºh≥dor
43 Pare molto difficile, perciò, pensare a una destinazione scolastica, come vorrebbe Comparetti 1908, p. 11.
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ä ä ä qeª coª ä apt≤ª andª otiçuª nomazª ä parem≤ª oiç legoª ej-º pibavtai ≤ª çqai ≤ª ä çhton≥ª o{ti ΔIofªw'n ä th;n tevcnhn k≤ª crh; p≥olu; nikw'n ª≤º≤ª guç p≥r≥w'toç h] deuvtero≥ªç triv-º toç d≥ªe;º çcedo;n a{pax ≤ª çtai ejoivkaçin aiJ didaªçkalivai tou' pleivçtou mevrouç ≤ª ä wJç pikrovn tiç ajnevkrage≥ªn. tivç a[ra potΔ a[lloç ejçti;n ajnti; Fªiloklevouç… çªuºnªeºcw'ç aujto;n pikro;n ªkalei': th;n poivh≥çin ga;r kata; to;n nou'n ≤ª ta;ç kwmªw/divaºç≥ melo≤ª tioumel≥ª ≤≤≤≤≤º≤≤≤≤ª
Fr. A, col. I 1 º≤ asta verticale preceduta da una minima traccia in basso a sinistra ad essa appoggiata: forse ºn≥ oppure ºa≥i ≥ ? 2 ≤n≤≤ resti di un’asta verticale in basso, dopo n resti di un tratto verticale in basso, poi un tratto orizzontale a metà rigo (forse e ?) 3 ≤ª tracce della parte sinistra di una lettera tondeggiante 4 º≤ resti di un tratto leggermente inclinato a sinistra 5 º≤ parte finale di un tratto orizzontale in alto ç≤ minima traccia a metà altezza nel rigo 7 º≤ asta verticale 8 º≤ tracce di una piccola forma tondeggiante a metà altezza nel rigo 9 º≤ traccia orizzontale a metà altezza nel rigo (forse e) 10 º≤≤≤ traccia orizzontale in basso, resti di un’asta verticale, un punto a metà rigo, asta verticale 11 º≤ tratto orizzontale in alto 14 º≤ tratto obliquo discendente a destra (forse a ?) 15 ≤≤ minima traccia in alto seguita più a destra da un tratto orizzontale prolungato (forse e) 16 º≤ minima traccia in alto 18 º≤ minima traccia in basso ek› pap. 19 to› pap. 20 º≤ traccia a metà rigo
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Aristophanes 28
Fr. A, col. II 3 ≤ª parte sinistra di una lettera rotondeggiante 7 ≤ª traccia di un’asta verticale 9 ≤ª tratto concavo verso l’alto (e, q, ç ?) 10 ≤ª tracce orizzontali in alto e in basso (x oppure z ?) 12 i>of pap. 13 ≤ª traccia tondeggiante in basso a sinistra (forse a ?) 14 ne≥ikwn pap. º≤ª traccia puntiforme in basso 16 ≤ª tratto curvo schiacciato, concavo a destra (forse f piuttosto che o) 18 ≤ª parte inferiore di un’asta verticale seguita sulla destra in alto da una traccia minima 22 ≤ª asta verticale alla cui metà superiore è addossato un minimo tratto (forse k ?) 23 ≤ª asta verticale —— Fr. A, col. I 2 leg. Kassel-Austin 4 g supra e≥i ≥ leg. Comparetti 5 leg. Kassel-Austin 9 ºto Comparetti pro; tou' Edmonds : proç≥ p≥u≥ Comparetti 10 leg. Kassel-Austin : º≤≤≤≤p≤≤ Comparetti 11 ºe≥ Comparetti 12 ºç kai; Edmonds : ºkal Comparetti 14 içwn≥ KasselAustin : içw≥ ≤i Comparetti 15 ºa≥çeiç e≥i≥ Comparetti 18 aek Kassel-Austin : a eka≥ Comparetti : aeku≥ Luppe 19 leg. Kassel-Austin : poçi ta Comparetti : ≤o≥çt≥≤≤ Luppe 20-21 tiºneç zh⁄ªtou'çin Crönert 22 ºmatwn Edmonds : ºa≥ktwn Comparetti : º≤t≥twn Luppe : º≤a≥twn Austin 24 leg. Kassel-Austin : lºo≥idor Comparetti : ºhãiÃdΔ or Edmonds : º≤ido≥r Luppe, Austin Fr. A, col. II 1-2 ajkolouº⁄qeªi'n et e[º⁄coªnta (= Aristoph. fr. 145 K.-A.) Edmonds 2 ce≥ª Comparetti 5 o{ti Luppe 7 paremªfaivnei ? Edmonds cl. sch. Ran. 404 8 oiç legoª (probaverunt Austin, Kassel) vel lepuª Edmonds : o≥i eleg≥eª Comparetti : o≥iç≥ dΔ ejg≥w;≥ ª Luppe 8-9 ejº⁄pibavtai Edmonds 11 nª Comparetti : ≤ª Luppe 13 ka≥ªkovç Crönert 14 nªeºikwnª (i.e. nikw'n) Comparetti 14-15 o{ti oJ ΔIofw'n poº⁄l≥u;ç≥ ªprºw'toç e.g. Comparetti : eujº⁄ªqºu;ç≥ pªrºw'toç Luppe 15-16 deuvteroªç fevretai, trivº⁄toç Comparetti : deuvteroªç h\n, kaivtoi trivº⁄toç Edmonds : deuvteroªç ejgevneto, trivº⁄toç Hoffmann (ap. Snell 1971, p. 133), Luppe 16 d≥ªe;º: ouj Edmonds f≥ªerein gar ekaº⁄çtai Comparetti : o{≥ªqen de; ojnomaº⁄çtai; e.g. Hoffmann, Snell 17 didaªçkaliai ek Comparetti 18 ªta timiwtera ? Comparetti : g≥ªegonevnai e.g. Hoffmann, Snell 19 anekragªen Comparetti : ajnevkragΔ ªaujtivka van Leeuwen tivç a[raº Luppe cl. Pac. 1045 : ≤≤≤≤≤ dhº Comparetti : ouj dhvº Wilamowitz, van Leeuwen : tivç a[ra dhvº Edmonds 20 suppl. Wilamowitz, probavit van Leeuwen : ΔAntifªw'ntoç, o{tiº ⁄ Edmonds 21 ªkalei' Edmonds, probaverunt Kassel-Austin : ªfaçi Wilamowitz : ªlevgouçi Körte th;n poiv-º⁄ Wilamowitz 22 ka≥t ≥a≥ t≥o≥n≥ Comparetti : k≥ ≤≤≤ t≥o≥ ≤ Luppe h≥ª Comparetti 23 kwmªwidivaºç≥ melon≥ª Kassel-Austin : kwmªwidiaç aºmelouª : dª Edmonds : k≥ª Kassel-Austin Comparetti 24 tioumel≥ª Kassel-Austin : ≤o≥u≥ m≥e ≥l≥ª Comparetti : o{º⁄ti ouj mevmªfetai Edmonds : ≤(≤)≤u≥ m≥e ≥l≥ª Luppe º≤≤≤≤ª om. Comparetti : º≤≤ª Luppe
Fr. B
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ä ä ä ºm≥akuª ºnoutª ºo≥iwn k≤ª ºt≥akh uf≥ª ºeghmeª ºparalloª ºpedhtª º≤in oino≤ª
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ºn≥ neokr≥ª ºtomen≥ª º≤a≤≤ª ºt≥on çpa≥ª ºoun≤≤≤n≥ta e≤ª ºp≥o≥nwn ç≥≤ª ºt≥i “dwvãçÃw fevrwõn º n≥eokra'ta≥v t≥i ≥ç p≥õoieivtw” ºp≤ª≤º k≥aphlivdwn ª º≤dialiqou≤ª≤º≤tifª ºqeiçfwª ºu≥ genhvçomai ª ºe≥iç perikwª pºerienevgkai a≤ª ºw≥n keramwnª ºn≥oion euzwn≤ª º kai; Z≥e≥u' Çw'≥ter ª
Fr. B 3 ≤ª asta verticale 8 º≤ possibile e oppure ç ≤ª traccia inclinata a destra (possibile l) 9 ºn≥ possibile anche ºa≥i ≥ oppure ºd≥i ≥ 11 º≤ piccolo tratto in alto concavo a sinistra (possibile r, oppure w ?; r≥ Kassel) ≤≤ª asta verticale seguita a breve distanza da una traccia puntiforme in basso 12 ≤≤≤ asta verticale seguita da due tracce puntiformi in basso ≤ª tratto curvo concavo verso il basso con una traccia orizzontale a sinistra, a metà altezza del rigo (q ?) 13 dopo ºp≥o≥nwn spazio bianco ≤ª traccia in alto addossata a ç, tratto orizzontale nella parte inferiore del rigo, traccia puntiforme sotto il rigo 16 ≤ª traccia concava a destra (possibile o oppure e) 17 º≤d tracce di asta verticale ≤ª possibile t º≤t resto di asta verticale 20 dopo ºe≥iç spazio bianco 21 ≤ª asta verticale accostata ad a 23 ≤ª breve tratto concavo a destra (o oppure w) —— Fr. B 2 ºnouª Comparetti : o}ºn oujk ª Edmonds : ºnou≤ª Kassel-Austin 3 ºiwn Comparetti : ºnivwn Edmonds : º≤iwn Kassel-Austin ka≥ª vel kh≥ª Kassel-Austin 7 ºpedht≤ª Kassel-Austin (“o≥ª vel e≥ª vel w≥ª ”) : Kallivaç ejnº Pedhvtªaiç e.g. Körte 9 º≤i Comparetti, Kassel-Austin neoke Comparetti : fort. neokr≥ªat- Kassel cl. l. 15 11 ºar≥ª ? Comparetti : ºr≥a (“vix ºr≥af≥”) KasselAustin 12 hJ ªajºntiv≥q≥eªçiç Comparetti : pavnta qeª Edmonds : h≥a≥nti≥q≥e ≥ª vel h≥a≥nta≥q≥e ≥ª Kassel 13 ºp≥o≥ Kassel-Austin : ºp≥w Comparetti : ºto Edmonds 14 levgonºt≥i ? dww pap., corr. Hagedorn 14-15 suppl. Hagedorn cl. Plat. Com. fr. 71, 8 K.-A., probaverunt KasselAustin 15 º neovkrata… tivç kª Edmonds : ºe o Kr≥a≥t ≥ªhºç≥ içhª Comparetti 18 mºe≥qei;ç fwªnhvn ? Comparetti 20 ejn toºi'ç peri; kwªmw/divaç e.g. Crönert : perikwªnh'çai Edmonds : perikwªmavzein ? 21 suppl. Comparetti ap≥ª Comparetti : anª Edmonds 23 eujz≥wn≤ª Kassel-Austin : eudwnª Comparetti : eu[zwnoªi Crönert : eujzwvnwªn Edmonds 24 Z≥e ≥u' Çw'≥ter ª leg. GB : ªtoºuç e≥terªouç Comparetti : t≥ªoºu;ç eJtevrªouç Austin : t≥o≥u;ç eJtevrªouç Kassel-Austin
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Aristophanes 28 Frr. C+D+E, col. I
ä ä ä º≤ª ºoud≥ª º≤anexanapª º≤xhª º≤ª º≤ª ºr≤≤≤≤ª ºm≥ation. ajmfiv m≤ª ±2 ±1 a[nºqrwpon ≤ª≤ºhvth: para; th;n xa≥ª ±2 ±3 º≤akhn ajrc≥h≥vn: ajmfiv moi au\tªiç
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kuvk≥nwn pall≥ªeºuv≥k≥wn: k(ai;) tou'to tou' Boiwtivou ªnovmou.
a[naªkºta. tw'n ma;n h[te bivan h[te kleª ±2 a: to; øªajºnti; tou'Ø h[te a≥jnti; tou' ei[te ·oujk≥ªe ‚ Divdumoç ª≤≤º tou' prooimiv≥ªoºu≥ tou' pªrºwv≥t ≥ou novmou.
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oujk ejto;ç ªejºgw; metªa;º d≥e≥ªi'ºp≥non: oujk≥a≥t ≥a≥t ≥ª ≤≤ª≤≤ºei tiç ta; nu'n to; ejto;ç a]n eijk≥ªovtwªç.º oJra'iç a[rΔ wJç ejnh'n ti kajn kiq≥ªavä r≥w≥ªiº k≥akovn: pro;ç th;n paroimivan profe≥vªrºe≥t ≥a≥ªi, wJºç Kallivçtratoç, e[çtin kiqavrª≤º≤m≥ª≤º≤ª≤ kºakovn. to; de; plh'reç: oJrw' ä wJç ejnh'n ti. ªw{ºçper peleka'ç platuä givzwn: kai; ejn toi'ç “Orniçin “peleka'nti” e[legen. oi[moi tou' ceivlouç: to;n gevr≥ªontºa ejpΔ ajlhqeivaç tuvptouçin. w[moi ä th'ç ajlevaç, h}n a{nqrwpovç mΔ ajpoduvçaç feuvgeªiºøç≥Ø çugkuvyaç: th'ç ejk tw'n plhgw'n qermaçivaç. ajlla; dh'tΔ ejç tou' çtraä thgou' kwmavçw tou' Çkellivou: ei[rhtai o{ti ΔAriªçºt≥okravthç dievtatte çu;n Qhramevnei tovte kai; aujto;ªçº ta; pravgma-⁄⁄ªta
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Did(um- ) ª ajntigrafenª ±4 ºekto≤≤≤ª e≥i ≥ç≥k≥≤≤≤ª≤º≤≤ª
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ä ä ä õ“kathgovrhçan dev mou kai;Õ peri; th'ç iJkethrivÕa≥ç≥ õwJç kataqeivhn ejgÕw;≥ õejn tw/' ΔEleÕu≥çinivwi, novmoçÕ dΔ e≥i ≥[h pavõtrioç, o}Õç a]n kataqh'i iJkethÕrivan muçthrivoiç teqnavnai”. kai; meºtΔ ouj pollav: “e[peita de; novmon pavÕtrion levg≥eiç, hJ de; çthvlh parΔ h/| e{çtÕhkaç cilivaç dracma;ç keleuvei ojfeÕivlein ejavn tiç iJkethrivan qh'/ ejÕn tw'i ΔEleuçinivwi”. fevre nun ejgw; tºh;≥n daivmonΔ, h}n ajnhvgagon, ejç th;n ajgºo≥ra;n a[gwn iJdruvçwmai boi?: proeivrºh≥tai o{ti e[legon cuv≥t ≥raiç iJdruveçqai kai; iJereivw/, oi|on boi÷ h] oJtwiou'n. kai; ejn th'i Eijrhvnhi e[fh. deu'rΔ w\ ä pºovtn≥ia bavd≥iz≥e. gennai'on dev ç≥oi tacevwç uJpakouvein: o{ti gennai'on ajnti; tou' çuggenevç, pro;ç to; parΔ ÔOmhvä rwi. ejlafro;n oi|av tiç movlubdoç: o{ti ouj kalw'ç paivzei, ajlla; ejpei; gerovntwn oJ corovç. e[kuça nu'n ejntau'ä qΔ ejgw; tauvthn dokw'n formo;n plevke≥i≥n: mhvpote oiJ plevkonteç tou;ç formou;ç proçh'gon to; çtovma, w{çte kaªtºevcein h] ejpiçfivggein. a{ma de ºekavqiçan, ajtrevmaç e[laboªnº
Frr. C+D+E, col. I 1 º≤ª traccia orizzontale in basso 2 º≤ breve tratto orizzontale in alto 3 º≤ minimi resti di un tratto orizzontale in alto, addossati vicino alla sommità di un tratto verticale 4 º≤ª minima traccia sul rigo di base º≤ª parte terminale di un’asta discendente sotto il rigo di base (f oppure y) 5 ≤≤≤≤ª un’asta verticale seguita a distanza da tracce puntiformi sul rigo di base dopo ºm≥ation dicolon aggiunto nella parte alta del rigo m≤ª addossata a destra di m rimane l’estremità inferiore di un tratto verticale che scende un po’ sotto il rigo di base: mi≥ª ? 6 ≤ª asta verticale vicino al precedente n (quindi non t); non si vedono tracce sulla destra, né in alto né più in basso (quindi i ?); nell’interlinea superiore tra n e ≤ª resti di un breve tratto leggermente
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Aristophanes 28
concavo verso l’alto (forse primo punto di una dieresi? oppure aggiunta o correzione interlineare?) sopra x traccia di scrittura 7 º≤ resti di un tratto in basso addossato alla base di un’asta verticale dopo arc≥hn≥ spazio bianco addit. s.l. 8 l≥ª traccia discendente dall’estremità destra del l precedente ºu≥ traccia nella parte alta del rigo dopo ºu≥kw ≥ n spazio bianco 8 ana il primo a sembra aggiunto all’inizio del rigo post scripturam dicolon prima di tw'n, aggiunto dalla mano delle note interlineari addit. s.l. 10 ºw≥t ≥ estremità superiore di un tratto ascendente (w≥), unita in alto a una lettera a forma di 7 (t≥) 10 le lettere ouke sono state aggiunte post scripturam, a quanto pare dalla mano delle annotazioni interlineari k≥at≥ a ≥ t≥ ª≥ lettere ripartite tra i frr. E e C, sulla linea di giunzione 11 ≤≤ª la prima traccia sembra la parte inferiore di un m; segue traccia puntiforme sul rigo di base 12 dopo la lacuna un punto di inchiostro, forse il punto inferiore di un dicolon aggiunto 15 º≤m≥ traccia tondeggiante a metà rigo º≤ª minima traccia a metà rigo 18 dopo elegen dicolon aggiunto 19 dopo tuptouçin breve spazio bianco 21 plh› pap. 22 dopo qermaçiaç dicolon aggiunto 23 çkeliou pap. mg. inf. did @ pap. Fr. C, col. II 3 ºu≥çeiniwi pap. 4 ·ep‚ii>ke pap., la dieresi è di prima mano; nell’interlinea sopra ep, cancellato con un tratto di calamo, kataqh 6 nomon› pap. 9 i>kethrian pap. 10 eleuçeiniwi pap., segue spazio bianco 12 i>druçomai pap. boi> pap. 13 udreu pap. a.c.: i> corretto su u, e cancellato 14 i>ereiw pap. (della dieresi rimane solo il punto di sinistra) boi> pap. 15 dopo efh spazio bianco 17 dopo upakouein breve spazio bianco 20 dopo paizei breve spazio bianco 21 dopo coroç spazio bianco 23 touç› pap. —— Frr. C+D+E, col. I 1 ºq≥u≤ª Comparetti : º≤≤z≤çun≤ª Edmonds : ºouç≥ª Kassel-Austin 2 º≤a≥n≥q≥i Kassel-Austin : ºd≥h≤ Comparetti : ºt≥a≥n≥≤ Luppe 3 º≤xhª Comparetti : º≤zhª Luppe : aºu≥xhª vel hºu≥xhª ? 5 ºrh≥ Kassel-Austin komºmavtion Wilamowitz 5-6 lemma ajmfiv mª¤o‹ºi≥ possis : ajmfiv mªoi au\⁄tΔ a[nºqrwpon g≥ªuºhvth Luppe 6 Xavªnqoio Crönert 6-7 para; th;n ·x≥a≥‚ ªpro⁄oiºm≥i ≥akh;n Luppe 7 ajrc≥h≥vn leg. Kassel s.l. 8 kukliwn Comparetti otiª Comparetti : am≥ª Luppe pal≤ª±2º≤k≥wn leg. GB, pall≥ªeºuv≥k≥wn supplevi : perªiºwdw'n Edmonds kai; tou'to tou' Boiwtivou Edmonds : kai gar touto tou boiwtiou Comparetti : tou'to tou' Boiwtivou KasselAustin ªnovmou Wilamowitz 8 klevªmm- Luppe : kle≥ªptwn Comparetti 9 to; leg. Pintaudi ªajºnti; tou' del. Kassel prob. ·oukªe‚ (i.e. ·oujk ej-‚) s.l. 10 ªejkº Edmonds : ªde;º ? prooimivªoºu Edmonds : prooimªivouº Comparetti tou' pªrºwv≥t ≥ou legi et supplevi : tou tª et ?tou Comparetti : tou' teªtavºrtou Edmonds : tou' Pªuºq≥i vou ? Kassel : tou'ãtoà to≥ªu' ΔOrºq≥i vou Luppe 10 ªejºgw; metªa;º d≥eªi'ºp≥non Luppe ou≥k≥ a≥p≥≤ª Comparetti : oujk≥ ≤≤≤ª Kassel-Austin : ouj≥k≥ ? ·aj≥l≥ªovgwç‚, ouj≥ m≥a≥t ≥a≥ªivwç vel m≥av≥t ≥h≥ªn p.c.? Luppe : oujk≥ a≥[t ≥o≥p≥ªon ? oujk≥ aj≥t ≥av≥k≥ªtwç ? 11 levgºo≥i Luppe 12-14 suppl. Kassel 13 rwi kakovn Kassel-Austin 14-15 ki⁄qavrªoºu≥ k≥ªaºi≥; ªkºakovn Kassel-Austin 21 ºççug pap., corr. Luppe : o çuç Comparetti Fr. C, col. II 1-10 And. De myst. 110; 116 1-3 ita disposuit Edmonds, probavit Luppe : ªkathgorhçº⁄ªan de mou kai peri thç i>kethriaç wçº ⁄ ªkataqeihn egw en twi Eleuºçeiniwi Comparetti, probaverunt Kassel-Austin 4 de; h\n And. codd. (dΔ ei[h corr. Bekker) kataqh leg. Edmonds, probavit Luppe : ean qh Comparetti 10-11 ej⁄ªgw; Wilamowitz : eg≥⁄ªw Comparetti 12 suppl. van Leeuwen, Wilamowitz i>druçomai pap., corr. van Leeuwen 16 pºovtn≥ia bavd≥iªzºe Hagedorn : oti diabebh≥ªkºe Comparetti : o{ti diabavdiªzºe Luppe 20 kalw'ç Edmonds : kakw'ç Comparetti : ka≤w'ç Luppe 25-26 de; ⁄ ªejpei;º ? Comparetti : dΔ ej⁄ªpei;º (lemma) Edmonds
Fr. A, col. II ... perché Iof[onte] ... l’arte ... bisogna conseguendo molte vittorie ... primo o secondo ... terzo una volta appena ... le Didascalie sembrano ... per la massima parte ... Che grido acre! Chi altri mai sarà, se non è Filocle?: [definisce] costui ripetutamente “acre”; [le sue composizioni], infatti, per il contenuto ... le commedie cant(?) ... Fr. B ... “... distribuirò portando ... qualcuno tèmperi il vino” ... di ostesse ... sarò ... far circolare ... degli orci (?) ... e Zeus Salvatore ...
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Frr. C+D+E, col. I ... a me dell’uomo ...: imitazione dell’inizio ... “Di nuovo a me del sire”. di candidissimi cigni: anche questo (è) del [nomos] beotico. Di cui o con la forza o con [l’inganno (?)]: h[te in luogo di ei[te. Didimo ... del proemio del primo nomos. niente di strano se io dopo il pasto: non ... oggi “(oujk) ejtovç” si [direbbe] a]n eijkovtwç. vedi, anche nel rombo c’era qualcosa di cattivo: frase formata sul proverbio, come sostiene Callistrato, “... rombo ... è ... cattivo”. Per esteso: vedo che c’era qualcosa. schiamazzando come un pellicano: anche negli Uccelli usava peleka'nti. Ahi, il mio labbro!: bàttono il vecchio per davvero. Povero me, che calore, denudandomi, costui mi ha lasciato! – e se ne scappa a testa bassa: il bruciore per le percosse. Suvvia, andrò a far baldoria dallo stratego figlio di Skellias: si è detto che a quel tempo Aristocrate collaborò anche lui con Teramene al riordino della situazione politica ... mg. inf. Didimo ... Fr. C, col. II ... “mi accusarono anche della supplica, che io l’abbia rivolta al santuario di Eleusi, e che sia norma tradizionale che se uno rivolge una supplica ai Misteri debba morire”. E poco più avanti: “e poi parli della norma tradizionale, mentre la stele davanti alla quale ti trovi impone a chi rivolga una supplica al santuario di Eleusi un’ammenda di mille dracme”. Ebbene, la dea che ho ricondotto, la porterò nel mercato e la consacrerò con un bue: si è detto sopra che dicevano “consacrare (una statua) offrendo pentole (di legumi) e una vittima”, ad esempio un bue o un’altra qualsiasi. Ha usato questa espressione anche nella Pace. Apprèssati, o veneranda. Si confà alla tua indole dare ascolto in fretta: gennai'on nel senso di çuggenevç, come nell’uso omerico. leggero come piombo: non è buona ironia, ma (la battuta si spiega) in quanto il coro è formato da vecchi. qui baciando ora costei m’è parso di stare a intrecciar stuoie: forse coloro che intrecciavano le stuoie avvicinavano ad esse la bocca, così da tenerle ferme o legarle strette. e insieme ... sedettero (?), lentamente presero (?) ...
Fr. A, col. I Non sussistono ragioni materiali né testuali per ritenere che fr. A I e fr. B siano testimoni di una medesima colonna di scrittura, come congetturò Edmonds 1957, p. 608 (cfr. supra, nell’introduzione al papiro pp. 184-186; infra, commento a fr. B 14-15). Fr. A, col. II 1-2 In queste poche lettere Edmonds 1957, p. 610 (fr. 141 IIa), ritenne di potere riconoscere resti del fr. 139 K. = 145 K.-A. del Geras aristofaneo (õeij pai-
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darivoiç ajkolouÕ⁄qeõi'n dei' çfai'ran kai; çtleggivdΔ e[Õ⁄coõnta), un’ipotesi respinta in quanto aleatoria da Taillardat 1959, p. 64, e dimostrata errata da Luppe 1972a, p. 76, che ha osservato come i due righi iniziali di fr. A II siano da ritenersi parte di una spiegazione, e non di un lemma, perché seguiti da paragraphos. 5 “o{ti ... gehört wohl zu einer Erläuterung” (Luppe 1972a, p. 78): cfr. fr. C II 17, 19-20. 7 Edmonds integra paremªfaivnei, per cui cfr. sch. Ran. 404 e[oike de; paremfaivnein o{ti litw'ç h[dh ejcorhgei'to toi'ç poihtai'ç. Tuttavia, la posizione del semeion İ a fianco del r. 9 dovrebbe indicare che la spiegazione non aveva inizio prima del r. 8. 8 Inizio di lemma a giudizio di Luppe 1972a, p. 78, che legge o≥iç≥ dΔ ejg≥w;≥ª. Tuttavia, d e w sono senz’altro da escludere; inoltre, stando alla disposizione dei semeia, non v’era nuovo lemma prima del r. 10. 11-12 Esiguo segmento esegetico, definito da due paragraphoi piuttosto ravvicinate, il cui lemma si estendeva probabilmente dalla seconda parte del r. 10 alla fine del r. 11, se r. 12 o{ti segna l‘inizio di una spiegazione come in fr. C II 17, 19-20 (Luppe 1972a, p. 78). La restituzione ΔIofªw'n (non necessariamente in nominativo) è sicura. Iofonte (TrGF 22 test. 3 Sn.-K.) è da identificare con il poeta tragico figlio di Sofocle (preso di mira da Aristofane anche in Ran. 73-79) sulla base del contesto immediatamente successivo. 13-14 Lemma (trimetro giambico?) di contenuto drammaturgico, non è chiaro se ancora in relazione a Iofonte: vi si parla di techne (cfr. Aristoph. fr. 156, 2 K.-A., dal Gerytades, dove si dice che gli emissari inviati all’Ade sono stati scelti e{na dΔ ajfΔ eJkavçthç tevcnhç) e vittorie (per polu; nikw'n cfr. Ach. 651, Nub. 1335) e nella spiegazione si menzionano piazzamenti e didaskaliai (rr. 15-17). 14-18 La ricostruzione prospettata da Comparetti (o{ti oJ ΔIofw'n poº⁄l≥u;ç≥ ªprºw'toç h] deuvteroªç fevretai, trivº⁄toç d≥ªe;º çcedo;n a{pax, f≥ªevrein ga;r e{kaº⁄çtai ejoivkaçin aiJ didaªçkalivai ejk ⁄ tou' pleivçtou mevrouç ªta; timiwvtera ?) comporta due punti di debolezza semantica e sintattica: rr. 14-15 poº⁄l≥u;ç≥, inteso a esprimere la frequenza dei piazzamenti migliori da parte di Iofonte, e rr. 16-17 e{kaº⁄çtai, predicativo (?) di aiJ didaªçkalivai. Ai rr. 14-16, nel linguaggio delle hypotheseis alessandrine basate sulle Didaskaliai aristoteliche (cfr. r. 17 aiJ didaªçkalivai, con articolo: Luppe 1972a, p. 78), viene ripercorsa la carriera di un poeta, verosimilmente un tragediografo considerato il contesto, il cui prestigioso palmarès contava vittorie e secondi piazzamenti, a fronte di un unico [terzo] posto: per la formulazione cfr. Vita Soph. 8 nivkaç dΔ e[laben k‹ ..., pollavkiç de; kai; deuterei'a e[labe, trivta dΔ oujdevpote (richiamato da Luppe 1972a, p. 78, che propone rr. 14-15 eujº⁄ªqºu;ç≥ e intende che il commentatore si riferisca a precoci successi del tragediografo, perciò sospetti e presi a bersaglio dalla satira aristofanea). Il profilo può corrispondere a quello dello stes-
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so Iofonte menzionato sopra, che, stando allo sch. Ran. 73, hjgwnivçato kai; ejnivkhçe lamprw'ç e[ti zw'ntoç tou' patro;ç aujtou'. dio; ajmfibavllei mhvpote tou' Çofoklevouç ei[h eijrhkw;ç tragw/divan (cfr. la hypothesis dell’Ippolito di Euripide, p. 2, 9-10 Schw., testimone del secondo posto di Iofonte alle Dionisie del 428, dietro a Euripide e davanti a Ione: Comparetti 1908, p. 13). Nonostante le integrazioni di Comparetti e di Luppe, vi sono pochi dubbi che la lettera con cui ha inizio il r. 15 sia g: si può pensare a ejgº⁄g≥uvç preceduto da numerale, a indicare approssimativamente (cfr. e.g. Aristoph. Ve. 660) il numero complessivo di primi e secondi posti. L’integrazione dei rr. 16-18 proposta exempli gratia da H. Hoffmann e B. Snell (cfr. Snell 1971, p. 133, apparato ad TrGF 22 test. 3), o{≥ªqen de; ojnomaº⁄çtai; ejoivkaçin aiJ didaªçkalivai ejkº ⁄ tou' pleivçtou mevrouç g≥ªegonevnaiº, benché possa non soddisfare pienamente per il senso (a causa di ojnomaçtaiv), offre tuttavia una soluzione interessante sotto vari punti di vista, avendo il pregio della plausibilità sintattica e comportando righi di 26 e 27 lettere, compatibili con le dimensioni supposte della colonna. Diversamente, Luppe 1972a, p. 78, interpreta -º⁄çtai come forma di perfetto mediopassivo, predicato di una subordinata dipendente da ejoivkaçin seguito da infinito, e.g. o{ti d(e;) ... -º⁄çtai, ejoivkaçin aiJ didaªçkalivai dhlou'n vel fevrein (il r. 17 consterebbe così di 31 lettere, un numero un po’ alto in sé, ma comprendente 7 o 8 iota). Questa ipotesi è tuttavia più debole dell’altra, in quanto implica l’esclusione dal periodo precedente di r. 18 tou' pleivçtou mevrouç, che Luppe 1972a, pp. 78-79, è propenso a interpretare come lemma, ritenendo di scorgere, nell’interlinea 17/18, resti di una paragraphos – di cui però non v’è traccia nell’originale. 19-24 Il lemma (trimetri giambici) è restituibile con piena verisimiglianza nella sua interezza, grazie a due felici integrazioni: r. 19 tivç a[raº (Luppe), inizio di trimetro come in Pac. 1045 tivç a[ra potΔ ejçtivn…, preferibile a ouj dhvº di Wilamowitz e van Leeuwen e a tivç a[ra dhvº di Edmonds; e r. 20 Fªiloklevouç (Wilamowitz, probavit van Leeuwen; TrGF 24 test. 9? Sn.-K.), congettura garantita dalla ricorrente satira aristofanea sullo stile di questo tragediografo (r. 21 pikrovn; cfr. Steinhausen 1910, p. 39): Ve. 462 (con lo sch. Ve. 462b), Thesm. 168, Av. 281 e soprattutto sch. Av. 281 (= TrGF 24 test. 2 Sn.-K.) o{çoi de; ÔAlmivwnoç aujtovn façin, ejpiqetikw'ç levgouçi dia; to; pikro;n ei\nai. a{lmh ga;r hJ pikriva; cfr. Sud. f 378 A. Filoklh'ç: ... ejpekalei'to de; Colh; dia; to; pikrovn. Al contrario, non trova sostegno ΔAntifªw'ntoç di Edmonds: Taillardat 1959, p. 64. Come parallelo del lemma aristofaneo così ricostruito, Luppe richiama Nub. 653 tivç a[lloç ajnti; toutoui; tou' daktuvlou…, dal quale evince che ajnti; Fªiloklevouç ha il senso di “simile a Filocle (ma non lui)”, “visto che non è Filocle”, concludendo che pertanto il tragediografo era chiamato in causa nel dialogo della commedia senza però essere portato in scena. La successiva spiegazione (rr. 21-24, non contrassegnati dal semeion nel margine) sottolinea genericamente la frequenza della satira aristofanea con-
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tro Filocle (per quest’uso di çunecw'ç cfr. gli scolii ad Ach. 846, Pac. 831b, Lys. 107), i cui difetti stilistici, secondo lo sch. Ve. 462b, si annidavano precisamente ejn th/' melopoii?a/ (cfr. qui rr. 21-22 th;n poivº⁄hçin, 23 melo≥ª ?, 24 melo≤ª ?). Fr. B Le precarie condizioni del testo e l’impossibilità quasi totale di distinguere lemmi e spiegazioni lasciano trapelare appena che il passo comico qui commentato poteva evocare una situazione di simposio (r. 8 oinoª ; r. 9 neokr≥ª ; r. 21 pºerienevgkai; r. 22 keramwnª ; e soprattutto rr. 14-15 = Plat. Com. fr. 71, 8 K.-A.) o d’osteria (r. 16 k≥aphlivdwnª ; r. 20 perikwªmavzein ?, cfr. Ve. 1025 palaivçtraç perikwmavzein periwvn), forse collegata a un evento nuziale (r. 5 ºeghmeª ; r. 23 eujzwn≤ª ?, ma vd. commento ad l.) e accompagnata o conclusa da una libagione (r. 24 º kai; Z≥e≥u' Çw'≥ter ª ). 13 Il vacuum che segue ºp≥o≥nwn potrebbe segnare la fine di una spiegazione e l’inizio di un nuovo lemma, come e.g. in fr. C II 21. Cfr. infra, r. 20 con il commento. 14-15 La citazione da Platone comico (fr. 71, 7-8 K.-A. çtevfanon e[peitΔ eJkavçtw/ ⁄ dwvçw fevrwn tw'n xumpotw'n. neokra'tav tiç poieivtw), individuata da D. Hagedorn (ap. Kassel 1977, p. 56 n. 12), doveva essere fornita nel commentario come parallelo (r. 14 levgonºt≥i ?), a quanto pare per esteso e occupare parte almeno dei rr. 14-15. L’assenza di una sequenza di lettere compatibile con la citazione da Platone in fr. A I depone a sfavore dell’ipotesi che esso sia pertinente alla medesima colonna attestata dal fr. B (come invece vorrebbe Edmonds, seguito da Austin e Kassel: cfr. supra, nell’introduzione): a meno di supporre che il verso platonico fosse citato per segmenti, oppure che non di citazione si tratti, bensì di variazione parodica aristofanea (dunque lemma). 20 Come al r. 13, il vacuum che qui precede perikwª può avere la funzione di separatore fra spiegazione e lemma. Ne risulterebbe erronea l’ipotetica integrazione di Crönert ejn toºi'ç peri; kwªmw/divaç (Luppe 1972a, p. 80). Al contesto simposiale, che si è supposto sulla base di alcuni elementi lessicali presenti nel frammento, si adatterebbe una forma del verbo perikwmavzein, che Aristofane usa in Ve. 1025; cfr. qui frr. C+D+E I 23 kwmavçw. 23 Probabile una forma dell’aggettivo eu[zwnoç (eu[zwnoªi Crönert, eujzwvnwªn Edmonds; eujz≥wn≤ª Kassel e Austin). Non si può escludere una divisione eu\ zw'n (cfr. Av. 754 zw'n hJdevwç). 24 La lettura º kai; Z≥e≥u' Çw'≥ter ª (G. Bastianini) non è priva di interessanti implicazioni. Il vocativo depone piuttosto decisamente a favore della natura lemmatica dell’espressione. L’invocazione può essere intesa come generica esclamazione di sorpresa o disappunto (cfr. Dinar. 1, 36 w\ devçpoinΔ ΔAqhna' kai; Zeu' Çw'ter; nonché frequentemente nella Nea, e.g. Men. Dysc. 690, Epitr. 907 etc.), oppure come circostanziata epiclesi nel contesto di una çpondhv seria o faceta (la libagione in onore di Zeu;ç Çwthvr teneva abitualmente la terza e ulti-
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ma posizione dopo quella agli dèi Olimpi e quella agli eroi o agli dèi ctonii), congrua con il contesto simposiale ravvisato nel frammento nonché topos letterario in senso proprio e figurato (Pind. I. 6, 1-13 con gli scolii ai vv. 4 e 10a; Aeschl. Suppl. 24-27 con lo scolio al v. 26, Ag. 1386-1387, Eum. 759-760, fr. 55 R.; Soph. fr. 425 R.; Plat. Phil. 66d, Ch. 167a, Rp. 583b con gli scolii ad ll.; cfr. anche sch. Arat. 14) e specificamente comico, spesso in coppia con la libagione ΔAgaqou' Daivmonoç, come attesta Athen. XV 692f (cfr. e.g. Eriph. fr. 4 K.-A.; Antiph. fr. 3 K.-A.; Alexis fr. 234 K.-A.; e inoltre sch. Aristoph. Pac. 300a, deipnhvçanteç me;n ejperrovfoun ΔAgaqou' Daivmonoç, ajpallavtteçqai de; mevllonteç e[pinon Dio;ç Çwth'roç). Una delle attestazioni comiche delle due libagioni simposiali, Diph. fr. 70 K.-A., è citata ancora da Ateneo (XI 486f) a proposito del termine metavniptron o metaniptrivç, spiegato hJ meta; to; dei'pnon ejph;n ajponivywntai didomevnh kuvlix (cfr. Hsch. m 1033 L.): l’espressione meta; dei'pnon ricorre nel papiro fiorentino, nel lemma di fr. C+D+E I 10, e può costituire una conferma dell’ambientazione postprandiale e simposiale della scena attestata nel fr. B. Frr. C+D+E, col. I 5-8 Wilamowitz (ap. Crönert 1908b, col. 1391) riconobbe in r. 7 ajmfiv moi au\tªiç l’incipit del nomos orthios terpandreo (PMG 697 = fr. 2 G.) e collegò tou' Boiwtivou (scil. ªnovmouº) della nota interlineare che segue il lemma con il termine prooivmion posto in interlinea nel fr. D, anticipando così il ricongiungimento dei tre frammenti più avanti operato da Edmonds e corroborato definitivamente da Kassel (vd. supra, nell’introduzione). Luppe 1972a, pp. 87-88, e Id. 1978a, pp. 162-163, ha visto ai rr. 5-6 il lemma e ne ha proposto la restituzione ajmfiv mªoi au\⁄tΔ a[nºqrwpon g≥ªuºhvth44: l’aggettivo, possibile reminiscenza aristofanea dell’Efesto epico ajmfiguhveiç (e.g. Il. I 607), risulta attestato unicamente in Hsch. g 978 L. = Theognost. Can. 108 (An. Oxon. II, p. 19 Cr.) guhvthç: cwlovç. I rr. 6-8 sono occupati dalla spiegazione, con la citazione del modello imitato da Aristofane; Luppe integra para; th;n ·x≥a≥‚ ªpro⁄oiºm≥i ≥akh;n ajrc≥h≥vn45, supportato da varie testimonianze scoliastiche e lessicografiche che spiegano il verso terpandreo usando i termini ajrchv/a[rceçqai e prooivmion/prooimiavzein: sch. Nub. 595c; Hsch. a 3944 L.; Phot. a 1304 Th.; Sud. a 1700, a 1701 A. Va detto che la lettura g≥ª al r. 6 (Luppe) non è inoppugnabile.
44 Nel papiro, tuttavia, sembra di potersi leggere amfi mi≥ª; se così è, si può comunque pensare che tale sequenza sia stata emendata in moi con l’aggiunta in alto, tra m e i, di un o ora perduto in lacuna: ajmfiv mª¤o‹ºi≥≥. 45 Sopra lo x di r. 6 c’è un segno (vedi app. pap.) che potrebbe essere un punto posto sopra la lettera per cancellarla; si può presumere che un segno simile fosse posto anche al di sopra della lettera successiva (a) e che sia caduto in lacuna.
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s.l. 8 Il testo microscopico vergato con spiccata corsività nell’interlinea ha inizio esattamente sopra tw'n ma;n ed è da intendere non come annotazione al commentario, bensì come vero e proprio additamentum comprendente un lemma tralasciato nel testo principale e la relativa spiegazione: lo dimostra il fatto che la stessa mano ha apposto il dicolon dopo r. 7 a[naªkºta e da quel punto ha iniziato a scrivere nell’interlinea46. Ne consegue, a quanto pare, sia che il suddetto lemma è imitazione aristofanea di un’espressione terpandrea dal nomos Boiotios (fragmentum novum), sia che questa denominazione e quella di nomos orthios erano ritenute sinonimiche, se dall’orthios proviene l’incipit ajmfiv moi au\tiç a[nakta citato subito prima e se nell’additamentum k(ai;) tou'to è da intendere alla lettera (“anche questo”), con puntuale riferimento al lemma precedente. La possibile equivalenza delle due denominazioni è nota da tempo, del resto, anche da Phot. a 1304 Th.47 (l’ipotesi non figura tra quelle moderne sull’orthios ricordate da Gostoli 1990, pp. XVII-XXII). Diversamente, Luppe 1978a, p. 163, interpretava il testo interlineare come un’annotazione supplementare al lemma precedente e univa ad essa anche la nota s.l. 10: “der eigentliche Kommentar enthielt nur eine allgemeine Erklärung (Verweis auf den Proömienanfang). Das erste Interlinearscholion bringt als zusätzliche Information, dass dies der Anfang des Boiwvtioç novmoç sei, das zweite, dass es sich Didymos zufolge um den “Orqioç novmoç handle”. Questa ricostruzione è raccolta con prudenza da Gostoli 1990, pp. 128-12948, e persuade Trojahn 2002, p. 196 con la n. 249. Il lemma, individuato dal vacuum che precede k(ai;), consta di due termini in genitivo plurale (forse concordanti con tw'n del lemma di r. 8). kuk≥nwn risponde alle tracce meglio di kukliwn (Comparetti, seguito dai successivi editori) e impone il confronto con l’aristofaneo kuvªknºoç uJpo; pteruvgwn attestato nello hypomnema P.Oxy. XXXV 2737 ⇒ 27, fr. 1 I 19-20, la cui spiegazione rinvia fra l’altro a Terpavndrou ... ªhJº ajrchv (SLG 6 = Terp. fr. 1 G.). Per il secondo termine del lemma, le tracce e la dimensione della lacuna (nella quale cadono gran parte della quarta e della quartultima lettera della parola) lasciano ammettere pall≥ªeºuv≥k≥wn, aggettivo bene attestato nella poesia tragica (e.g. Aeschl. Eum. 352 palleuvkwn de; pevplwn, Eur. Med. 30 pavlleukon devrhn) e impiegato da Eustazio nel contesto di una breve disquisizione sul lessico
46 Devo a G. Bastianini la lettura della parte iniziale del testo interlineare e l’interpretazione del rapporto con il testo principale sia di questo additamentum sia di quello s.l. 10. 47 ajmfi; a[naktaç: ajrchv tivç ejçti novmou kiqarw/dikou' Boiwtivou h] Aijolivou, h] tou' ΔOrqivou. ou{tw Krati'noç (fr. 72 K.-A.) kai; ΔAriçtofavnhç (Nub. 595; fr. 62 K.-A.; oltre al presente passo di P.Flor. II 112 = fr. 591, 53-56 K.-A.) kai; “Iwn (TrGF 19 fr. 53c Sn.-K. = SLG 316 = fr. 85 L.). 48 Sulla problematica definizione del rapporto dell’orthios con gli altri sette nomoi, o tipi di nomos, che la tradizione antica attribuisce a Terpandro, cfr. Gostoli 1990, pp. XVII-XXII. 49 Che l’annotazione s.l. 8 concerna il lemma sottostante (tw'n ma;n h[te bivan ktl) è un’ipotesi adombrata da Edmonds 1957, p. 612 n. 6.
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della canizie (ad Hom. Od. p. 1968, 39 ss.) in cui si accosta la chioma completamente canuta al candore integrale del cigno: dokei' de; ajlwpovcrouç oJ rJhqei;ç ei\nai oJ kai; wjmogevrwn: oJ ga;r pavlleukon e[cwn kavra50 pw'ç a]n ajlwpovcrouç ei[h, kuvknw/ a[llwç ejoikw;ç h[ tini toiouvtw/, ei[ ti ejpiçth'çai crh; tw'/ iJçtorikw'/ Kuvknw/ tw'/ ejk geneth'ç legomevnw/ pepoliw'çqai: eij mh; a[ra uJpoqetevon kaqa; lagwouvç tinaç kai; muvaç, ou{tw kai; ajlwvpekaç oJloleuvkouç, oJpoi'ai pollai; faivnontai: ajfΔ w|n eijko;ç rJhqh'nai ajlwpovcroun to;n ajkribw'ç poliovn. Il paragone topico tra la canizie e le piume del cigno (e.g. Eur. Her. 692-694; Ba. 1365) ricorre, con comparazione iperbolica, in Aristoph. Ve. 1064-1065 kuvknou poliwvterai dh; ⁄ ai[dΔ ejpanqou'çin trivceç, in un contesto pure indicato da Didimo (fragmentum novum in sch. Aristoph. Ve. 1064a) come imitazione di un componimento del poeta lirico Timocreonte di Rodi (PMG 733). 8-9 Il metro e la forma mavn indicano con certezza che il lemma è tratto da una sezione lirica. La restituzione klevªmmº⁄a (Luppe 1978a, p. 163) lascia perplessi a causa dell’anomala divisione di parola, benché sia suffragata da attestazioni del nesso klevptein kai; biavzeçqai o equivalenti (e.g. Soph. Phil. 644; Plat. Rp. 413b, Leg. 933e; Dion. H. X 32, 2: tutti richiamati da Stephanopoulos 1983, p. 45) e susciti interesse anche perché realizza una sequenza metrica analoga a quella della parte finale dell’incipit del nomos orthios terpandreo (PMG 697 = fr. 2 G.: reiziano; struttura dattilica a giudizio di Robbins 1992), modello del lemma dei rr. 5-6. La diplografia ªajºnti; tou', già sospettata da Austin (app. ad l.: “obscura: fort. voluit e.g. ‘h[te’ ajnti; tou' ‘ei[te’ ”) è stata accertata da Kassel 1977, p. 57, con l’ausilio di Pintaudi. La stessa mano che ha inserito l’additamentum interlineare s.l. 10 si è preoccupata di cancellare le lettere alla fine del r. 9, appartenenti al nuovo lemma (dunque con ogni probabilità oukªe, cfr. Kassel 1977, p. 56), e di riscriverle all’inizio di r. 10, per stabilire una continuità tra la spiegazione contenuta nel r. 9 e l’additamentum stesso. Per un identico motivo l’aggiunta interlineare sporge di quattro lettere (didu) nello spazio intercolonnare sinistro. Come nel caso della scrittura interlineare s.l. 8, pertanto, qui non si tratta di un’aggiunta alla spiegazione del lemma dei rr. 5-6, imitazione dell’incipit terpandreo ajmfiv moi au\tiç a[nakta (così ipotizza Luppe: vd. supra, commento al testo s.l. 8), bensì di una prosecuzione del commento del lemma di rr. 8-9 tw'n ma;n h[te bivan h[te kleª ±2 º⁄a, che sotto l’autorità didimea si rivela rifacimento di un passo di un nomos da intendere inevitabilmente anch’esso – in virtù del contesto – come terpandreo (altro fragmentum novum). Secondo la restituzione tou' pªrºwvt≥ o≥ u novmou, Didimo riconoscerebbe nel lemma un riferimento al prooimion del nomos di apertura della raccolta di Terpandro: forse di un’edizione alessandrina, 50 Cfr. Eur. Hec. 500 pavlleukon kavra (di Ecuba), interpretato in senso letterale con riferimento alla canizie di Ecuba negli sch. ad l., come traslato in Hsch. p 241 H. pavlleukon: eujhvmeron (se la glossa è da riferire al passo dell’Ecuba).
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come parrebbe suggerire anche la già ricordata espressione aristarchea Terpavndrou ... [hJ] ajrchv presente in P.Oxy. XXXV 2737 (contra Gostoli 1990, p. 127). Se davvero orthios e Boiotios sono denominazioni diverse di un identico componimento e se esso apriva la raccolta terpandrea (il Boiotios è il primo nell’ordine, dei sette citati da Heracl. Pont. ap. [Plut.] De mus. 4, 1132d = test. 28 G.51), se infine, come pare, è ad esso che Didimo alludeva secondo l’additamentum, si affaccia allora la possibilità che l’imitazione aristofanea di Terpandro nella commedia testimoniata dal papiro fiorentino abbracciasse più versi o espressioni della sezione proemiale dell’orthios (cfr. Montana 2009). 10-12 Il lemma, ricostruito da Luppe 1978a, p. 163, consiste assai probabilmente nella prima parte di un trimetro (oujk ejtovç in posizione iniziale: Av. 915, Eccl. 245, Lys. 138, Pl. 404 e 1166), fino alla cesura eftemimere. Sulle lettere ouke vd. il commento al testo s.l. 10. La spiegazione non riguarda meta; dei'pnon (su cui vd. il commento a fr. B 24), ma verte unicamente sul significato di oujk ejtovç, del quale doveva essere fornita in primo luogo una glossa: le tracce, di ardua decifrazione perché poste sulla linea di giunzione dei frr. C ed E, lasciano ammettere ouj m≥a≥t ≥a≥ªivwç o m≥av≥t ≥h≥ªn, per i quali cfr. sch. Eccl. 245, Lys. 138, Pl. 404a, 1166b (forse esito di correzione per Luppe 1978a, p. 164, da ouj≥k≥ ·aj≥l≥ªovgwç‚: cfr. sch. Pl. 404a.a); altrimenti si può pensare a oujk≥ a≥[t ≥o≥p≥ªon o anche a oujk≥ aj≥t ≥av≥k≥ªtwç, per i quali si dispone di paralleli scoliografici; da ricordare inoltre le glosse oujk ajlhqw'ç ed ejtovç = ejtw'ç da ejtevwç nello sch. Pl. 404b. La spiegazione glossografica era seguita da un breve commento sul corrispettivo corrente dell’espressione. Luppe interpreta questa seconda parte integrando ªouj levgºo≥i ≥ tiç ta; nu'n to; ejto;ç a]n eijk≥ªovº⁄twªçº e unendo sintatticamente a]n eijkovtwç all’ottativo levgoi (dunque nel senso “è naturale che oggi nessuno userebbe il termine ejtovç”). Tuttavia, anche prescindendo dal problema posto dall’integrazione levgºo≥i ≥ (la prima lettera nel frammento è e; cfr. Kassel-Austin ad l.: “levgºo≥i [sic] Luppe, sed ºe≥i multo probabilius esse monet Hagedorn”), è verisimile che a]n eijkovtwç non sia parte del giro di frase della spiegazione, ma rappresenti il sinonimo esplicativo stesso del desueto (oujk) ejtovç. 12-16 La restituzione di questo segmento esegetico si deve a Kassel 1977, pp. 54-57, che ha definitivamente superato tutti i precedenti tentativi di ricostruzione congetturale (in particolare Comparetti 1908, p. 15; Luppe 1972a, pp. 81-82), fornendo al tempo stesso la dimostrazione della contiguità del fr.
51 Poll. IV 65 = Terp. test. 38 G. elenca otto nomoi terpandrei contro i sette di Eraclide Pontico (e menziona il Boiotios al secondo posto). Se si deve credere alle esplicite testimonianze (47 e 48 Gostoli) che indicano in sette il numero dei nomoi, l’assenza dell’orthios dall’elenco di Eraclide comporta che questa denominazione fosse alternativa a una delle altre sette. Cfr. Gostoli 1990, pp. XVII-XIX, che sembra propendere per l’identificazione dell’orthios con il Terpandreios, avanzata da Wilamowitz.
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D alla prima colonna del fr. C. Il lemma (trimetro giambico) contiene un’espressione proverbiale attestata anche in Pherecr. fr. 43, 4 K.-A. e[neçtin ejn kiqavrw/ ti kakovn (raffrontabile con il trimetro proverbiale e[neçti kajn muvrmhki kajn çevrfw/ colhv: sch. Av. 82; Sud. ç 256 A.). La spiegazione riferisce il parere di Callistrato – l’allievo di Aristofane di Bisanzio e commentatore di Aristofane – sulla natura paremiografica dell’espressione (un documentato àmbito d’interessi dell’Alessandrino: cfr. Schmidt 1848, p. 326 n. 52) e cita il proverbio anche in una formulazione più sintetica, non ricostruibile con certezza a causa delle cattive condizioni del papiro nella prima parte del r. 15 (ki⁄qavrªoºu≥ k≥ªaºi≥; ªkºakovn Kassel-Austin). Tolte le due occorrenze del nome di Didimo nelle note aggiunte da seconda mano, questa è l’unica menzione di un erudito nei frammenti dello hypomnema fiorentino. Per la costruzione pro;ç th;n paroimivan cfr. infra, fr. C II 18-19 pro;ç to; parΔ ÔOmhv⁄rwi con il commento. Per to; de; plh'reç, qui impiegato per esprimere una “syntactical completion of an elliptical utterance” (Dover 1977, p. 146), cfr. e.g. sch. Ve. 528a to; plh'reç tou' lovgou: ktl (altri paralleli in Dover, l.c.; Kassel-Austin, app. ad l.). 16-18 Lemma di ritmo anapestico o dattilico. La citazione di Av. 884 peleka'nti (cui adde v. 1155 peleka'nteç) è introdotta dal commentatore per evidenziare l’uso attico di peleka'ç, in opposizione a pelekavn della koine: cfr. sch. Av. 884 peleka;n mevntoi pelekavnoç koinw'ç, peleka'ç peleka'ntoç ΔAttikw'ç, peleka'ç peleka' Dwrikw'ç. Per platugivzwn cfr. Eq. 830 (del Paflagone); Eub. fr. 114, 3 K.-A. ch'na platugivzonta. La paragraphos attesa sotto il r. 18 è verisimilmente caduta nello squarcio che mutila l’inizio del r. 19 e coinvolge anche l’interlinea soprastante. 18-19 Il lemma è costituito di anapesti o dattili. Dalla spiegazione pare potersi evincere che un personaggio di età avanzata (il protagonista?) subiva un pestaggio; ejpΔ ajlhqeivaç implica un precedente accordo tra questo e altri personaggi per inscenare una finta aggressione, poi terminata con percosse vere. 19-22 Tetrametri anapestici (van Leeuwen) o esametri (Luppe). Nonostante il lungo lemma, la spiegazione verte unicamente su ajleva, per il quale cfr. Eccl. 540-542 e[peiqΔ i{nΔ ajleaivnoimi tou'tΔ hjmpeçcovmhn. ⁄ çe; dΔ ejn ajleva/ katakeivmenon kai; çtrwvmaçin ⁄ katevlipon, w\ner, con lo sch. Eccl. 540 ajleaivnoimi: qermanoivmhn. 22-26 Il papiro dà çkeliou, con un solo l come in IG I2 772 ΔAriçtokravthç Çkelivo ajnevqhken, assimilata ai casi di semplificazione di doppio l da Threatte 1980, pp. 512 (“Çkelivo for Çkellivo–”), 514; cfr. Barron 1983, p. 1 n. 6. La forma con doppio l, del resto, è qui richiesta dal metro (tetrametro trocaico catalettico) ed è attestata in Av. 126 kai; to;n Çkellivou bdeluvttomai (cfr. gli scolii ad l.) e in Plat. Gorg. 472b (codd.). Nel caso in cui la frase delimitata dal lemma fosse interrogativa, kwmavçw sarebbe congiuntivo aoristo con valore deliberativo (Luppe 1972a, p. 83).
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Il rimando interno (r. 23 ei[rhtai; cfr. fr. C II 12-13 proeiv⁄ªrºh≥tai, con il commento) trova numerosi paralleli nella scoliografia, e.g. sch. Ach. 106 o{ti pavntaç tou;ç ”Ellhnaç ΔIavonaç ejkavloun oiJ bavrbaroi proeivrhtai (i.e. sch. Ach. 104a). È presumibile che ad Aristocrate (Kirchner 1901, p. 131, nr. 1904; Davies 1971, pp. 56-57; Traill 1995, pp. 152-153, nr. 171045) si alludesse altrove nella commedia qui commentata, e che pertanto il lettore venga rinviato a un passo del medesimo hypomnema. Il riferimento aristofaneo a questo personaggio politico in qualità di stratego e il sincronismo stabilito dal commentatore (tovte) fra la rappresentazione della commedia e la restaurazione della democrazia dopo l’esperienza oligarchica del 411 ad opera di Teramene e dello stesso Aristocrate (Thuc. VIII 89, 2 e 92, 2-4; Aristot. Resp. Ath. 33, 2) individuano come date possibili per la messa in scena del dramma il 409, il 406 o il 405 (cfr. Körte 1911, p. 270). A parere di Sicking 1964, p. 160, è probabile che si debba scegliere una data più a ridosso dell’avvenimento, quando Teramene ricopriva la carica di stratego e Aristocrate, allora tassiarco, era stato eletto stratego per l’anno successivo (410 a.C.; ma i due uomini politici ricoprirono quelle cariche nella seconda metà del 411, durante il regime dei Quattrocento, e da tale posizione cospirarono contro di esso: Develin 1989, pp. 160-161). Al contrario, Luppe 1972a, p. 83, non vede la necessità di ricercare questa combinazione di eventi e assegna un significato attuale al titolo di çtrathgovç attribuito dal commediografo ad Aristocrate. Nel margine sottostante la col. I si leggono i resti di un’annotazione tratta dal commentario di Didimo: che in tal modo vada inteso did @ ª nessuno dubita, benché non tutti vedano un segno di abbreviazione nel tratto che nel papiro segue queste lettere in alto a destra: cfr. Luppe 1972a, p. 83; McNamee 1981, p. 24 s.v. Divdumo(ç). Sul contenuto della nota è tuttavia impossibile pronunciarsi. A giudizio di Comparetti 1908, p. 16, ajntigrafenª “pare accenni piuttosto a controversia che a copia, e ciò secondo il più comune uso di ajntigravfw non equivalente di ajpogravfw malgrado l’ajntivgrafon equivalente di ajpovgrafon”; cfr. Luppe, l.c. Pertanto non si tratterebbe di una subscriptio attestante la fonte (o il “modello”) dello hypomnema, “nel qual caso non lì ma in fine dell’opera o della copia dovevano essere scritte quelle parole” (Comparetti 1908, p. 10), bensì di “una nota di Didymo ad un luogo che può esser quello ove in questa colonna la stessa mano segnò il nome di Didymo nell’interlinea (ll. 2-3) forse dicendo Divdumoç a[llwç” (Comparetti 1908, p. 16). Crönert 1908b, col. 1391, intese antigrafen esattamente nel significato escluso dal primo editore (“copiato”, “estratto”) e, pur supponendo anch’egli che la nota si riferisse all’additamentum didimeo posto s.l. 10 della colonna soprastante, la interpretò come indicazione della sua fonte: Did(uvmou) ªçcovlionº ⁄ ajntigrafe;n ªejk tw'nº tou' ª (sulla stessa linea, ma con maggior dovizia congetturale, Edmonds 1957, p. 614 n. 2). Lo stato miserevole della nota consiglia di
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sospendere prudenzialmente il giudizio, limitandosi a segnalare due dati di fatto e correlati interrogativi: 1) La nota è contrassegnata dal semeion İ, identico agli altri che affiancano la soprastante colonna dello hypomnema. Non avrebbe perciò senso intendere il semeion come richiamo al punto del testo principale cui la nota marginale si riferiva; d’altro canto, ne risulta confermato il carattere esegetico della nota (dunque non subscriptio). 2) did @ ª si trova in corrispondenza della metà della colonna soprastante, mentre i due righi successivi sono allineati a sinistra con essa. Può did @ ª avere rappresentato il richiamo al punto dello hypomnema cui la nota si riferiva? Forse alla nota interlineare della col. I che cita l’Alessandrino? (è l’ipotesi adombrata da Comparetti 1908, p. 16, e sposata da Crönert, l.c.). Oppure did @ ª costituisce un’aggiunta supra lineam al testo della nota marginale, che dunque inizierebbe al rigo successivo, con ajntigrafenª ? (ipotesi non inammissibile, benché poco soddisfacente dal punto di vista sintattico). Fr. C, col. II 1-10 Due citazioni letterali da Andocide, De myst. 110 (rr. 1-5) e 116 (rr. 6-10), di estensione piuttosto ragguardevole e inusuale nell’àmbito dell’esegesi ad Aristofane su papiro. I due passi concernono la pena prevista per la profanazione dei misteri eleusini e attestano indirettamente che nel lemma perduto si doveva far menzione di ciò. La disposizione dei rr. 1-3 immaginata da Edmonds e sottoscritta da Luppe, con 25 lettere al r. 2, e 22 (di cui tre w) al r. 3, sembra più consona all’ampiezza della colonna, che conta da 23 a 28 lettere per rigo (e 28 solo eccezionalmente), rispetto a quella prospettata da Comparetti e condivisa da Austin e Kassel, con 28 lettere al r. 2 e 29 (tre w) al r. 3. Le esigue tracce al r. 2, sul bordo del frammento, non favoriscono la ricostruzione. La stretta curva che resta verso l’inizio del r. 3 pare adattarsi a w (egÕwõ) meglio che a q (kataÕqõeihn, se si adottasse l’ipotesi di Comparetti). Reintegrando l’inizio del periodo andocideo si recuperano nel papiro due righi quasi interi di testo, che salgono a tre se si ammette, con Luppe 1972a, p. 84, che la citazione fosse preceduta da una formula del tipo ΔAndokivdhç ejn tw'i Peri; tw'n muçthrivwn. Si ottiene in tal modo il numero massimo di righi per colonna (27) ricostruibile per questo rotolo. Al r. 4 e≥i ≥[h conferma la correzione operata da Bekker (dΔ ei[h) su de; h\n della tradizione manoscritta di Andocide. La correzione sopralineare kataqh'/ (r. 4) è varia lectio rispetto a qh/' dei manoscritti di Andocide, verosimilmente indotta da rr. 2-3 õkataqeiv⁄hnÕ. In un primo tempo lo scriba del commentario aveva scritto EPI, senza dubbio per cattiva lettura di QHI nel suo modello; successivamente, lui stesso o un correttore ha barrato EP e ha aggiunto supra lineam KATAQH, mantenendo dun-
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que lo iota del testo come iota mutum di kataqh/' (Luppe, l.c., interpreta invece ·ejpi;‚ nel testo e kataqh'ãià s.l.). 10-15 Il lemma (due trimetri giambici completi) fu interpretato da Körte 1911, pp. 269-271, come consacrazione della statua di una divinità, per ipotesi la personificazione dell’ ΔArcaiva Poivhçiç, ricondotta dal protagonista sulla terra dall’Ade (ajnhvgagon): una situazione scenica che, a parere dello studioso, potrebbe orientare all’identificazione del dramma commentato con il Ghrutavdhç. L’argomentazione è tuttavia poco stringente (cfr. Sicking 1964, p. 159). Per il resto, l’espressione iJdruvçwmai boi? e la situazione descritta riecheggiano altre scene aristofanee di consacrazione, che suggellano la restaurazione di valori o concetti personificati caduti in desuetudine, come nei casi di Eirene (Pax 922 ss., con gli scolii al v. 923; a Diallaghv pensava, per il papiro fiorentino, Edmonds 1957, p. 615 n. c) e di Pluto (Pl. 1191 ss., con gli sch. Pl. 1197 e 1198). Per ajnavgein nel significato di “ricondurre su (dall’Ade)” cfr. Av. 698 e Ran. 77 (richiamati da Cassio 1981, p. 17 n. 1). Il rimando interno (rr. 12-13 proeiv⁄ªrºh≥tai) è analogo al precedente, frr. C+D+E I 23 ei[rhtai. Il passaggio all’azione da parte del personaggio, che la costruzione fevre nu'n + congiuntivo (iJdruvçwmai è correzione di van Leeuwen, ap. Crönert 1908b, col. 1391) qualifica come esito di un proposito concepito in precedenza e dunque forse manifestato nella parte perduta del dramma, induce a pensare che il rimando del commentatore sia a questo stesso hypomnema. In caso contrario, ci si attenderebbe un riferimento circostanziato come in P.Oxy. XXXV 2737 ⇒ 27, fr. 1 I 19 pºroeivrhtai ejn ÔIppeu'çi; sempre che non vada intesa in tal senso la citazione, qui immediatamente seguente (r. 15), del parallelo testuale della Pace (vv. 923 e 925). Per la formulazione cfr. sch. Pac. 923a cuvtraiç iJdrutevon: oJte; me;n tai'ç cuvtraiç o[çprion h{ywn, oJte; de; a[llo ti polutelevçteron iJerei'on, kai; ou{twç i{druon: kai; pro;ç to; quovmenon e[legon boi÷ iJdruveçqai h] aijgi; h] probavtw/ h] oi|on a]n h\/ to; iJerei'on, w{çper ejn Plouvtw/; sch. Av. 43 o{ti de; cuvtraiç i{druon ei[rhtai ejn Eijrhvnh. Nello sch. Pac. 923c sono riportati in extenso, come paralleli, Pax 1091, Pl. 11971198 e il fr. 256 K.-A. dalle Danaidi aristofanee (citato anche nello sch. Pl. 1198) – con le quali non può identificarsi il dramma oggetto dello hypomnema fiorentino, in ragione del coro qui composto di vecchi (cfr. infra, rr. 20-21; Comparetti 1908, p. 17). 15-19 Il lemma è costituito da un trimetro giambico completo e da parte di un secondo trimetro, fino alla cesura pentemimere. La corretta lettura e restituzione di rr. 15-16 deu'rΔ w\ ⁄ ªpºovtn≥ia bavd≥iªzºe da parte di Hagedorn (ap. Kassel-Austin, app. ad l.) ha permesso di superare le precedenti incertezze interpretative della battuta scelta come lemma 52, nella
52
Cfr. Comparetti 1908, p. 17; Luppe 1972a, p. 85.
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quale un personaggio si rivolge all’effigie di una divinità femminile 53. È stato messo in evidenza54 che due connotati di questa divinità corrispondono alla fisionomia mitica e cultuale del dio Hermes: da un lato la virtù connaturale fuori dalla norma, evocata da gennai'on (hapax omerico in Hom. Il. V 253 ouj gavr moi gennai'on ajluçkavzonti mavceçqai ⁄ oujde; kataptwvççein, orgogliosa risposta di Diomede a Stenelo, che gli suggeriva la fuga dinanzi al nemico); dall’altro la funzione par excellence di servitore solerte (tacevwç uJpakouvein), anzitutto nei confronti di Zeus, quale viene delineandosi nel corso del V secolo e che si traduce nel personaggio posto da Aristofane al servizio di Trigeo nella Pace. La figura di Hermes è poi congruente con l’idea di un’ascesa dall’Ade, implicata da r. 11 ajnhvgagon, consona al dio psychopompos. L’ipotesi si scontra, tuttavia, con il fatto che il destinatario della frase gennai'on dev çoi tacevwç uJpakouvein è divinità femminile, come attestano rr. 15-16 w\ ⁄ ªpºovtnia, e che essa deve coincidere con ªtºh;n daivmonΔ, h}n ajnhvgagon di r. 11. Si affaccia perciò la possibilità che la figura divina messa in scena sia quella di Iride, che condivide con Hermes la prerogativa della velocità alata55, posta a zelante servizio degli Olimpi e prevalentemente di Zeus56, spesso inviata a dirimere controversie o conflitti57, incaricata da Zeus di attingere l’acqua dello Stige, qew'n mevgan o[rkon, quando occorra sondare l’onestà dei giuramenti divini 58. In considerazione del lemma successivo (r. 19 ejlafro;n oi|av tiç movlubdoç) e della relativa spiegazione (rr. 19-21 o{⁄ti ouj kalw'ç paivzei, ajlla; ejpei; ge⁄rovntwn oJ corovç), l’invocazione rivolta alla (statua della) divinità, affinché si metta in cammino da sola, andrà letta come un primo – comico e fallimentare – tentativo di spostarla, cui segue di necessità la richiesta di aiuto al coro. L’inizio della spiegazione è indicato da Turner 1968, pp. 114-115 (= Turner 2002, p. 134) come esempio del valore esegetico di o{ti nel significato di (to; çhmei'on) o{ti; cfr. supra, fr. A II 5 ?, 12; infra, rr. 19-20. L’equivalenza di gennai'on e çuggenevç (r. 18) è confrontabile con sch. Hom. Il. V 253a {ouj ga;r moi;} gennai'on: çhmeiou'ntaiv tineç o{ti ou{twç ei[rhtai ejggenevç, pavtrion; e inoltre Ap. Soph. Lex. Hom. p. 54, 17 B.; sch. Pind. P. 8, 61 Dr.; Hsch. g 353 L.; EM. p. 226, 6 G.; Eustath. ad Hom. Il. p. 545, 39-40. Per rr. 18-19 pro;ç to; parΔ ÔOmhv⁄rwi cfr. frr. C+D+E I 13 pro;ç th;n paroimivan; sch. Pl. 48d pro;ç to; ÔOmhrikovn; sch. Lys. 1257 pro;ç to; para; tw'/ ΔArcilovcw/. 53
Cfr. Kassel-Austin ad l.: “w\ povtnia Pac. 520. 657 presentis deae invocatio”. Cassio 1981. 55 Cfr. tacei'a in Hom. Il. VIII 399, XV 158; Av. 1204; tacevwç in h.Ap. 3, 108; sull’affinità con Hermes cfr. sch. Av. 1203. 56 Av. 1253 th'ç diakovnou, spregiativamente, come di Hermes in Aeschl. Prom. 942. 57 Hom. Il. VIII 397 ss., XV 143 ss.; Hes. Th. 780 ss.; h.Cer. 314-324; h.Ap. 102-114; Av. 1202 ss. 58 Hes. Th. 783-785. 54
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19-21 Il lemma (parte di un trimetro) va inteso ironicamente in riferimento alla statua della divinità evocata sopra (rr. 11 e 16). Come si evince da o{ti (cfr. supra, r. 17 con il commento), nel testo della commedia il verso era contrassegnato da un semeion per stigmatizzare la cattiva (i.e. facile e banale) ironia del poeta (il papiro ha kalwç, letto da Edmonds, nonostante l’esitazione in proposito di Luppe 1972a, p. 85; per il senso cfr. kakw'ç paivzein in sch. Av. 609). Questo giudizio estetico negativo viene tuttavia ridimensionato (ajllΔ), in quanto la battuta troverebbe il proprio fondamento realistico nell’età avanzata dei personaggi che compongono il coro: una considerazione di tipo funzionale che ricorda il procedimento applicato in alcune hypotheseis attribuite ad Aristofane di Bisanzio per spiegare la ragione drammaturgica dell’ingresso del coro nell’orchestra (Meijering 1985, pp. 91-102). Per l’espressione cfr. sch. Pac. 352a ejpeidh; gevrwn h\n oJ corovç; e inoltre BKT IX 5 ⇒ 6, ad Eq. 551b, con sch. Eq. 551c. Da queste righe trapela perciò la stratificazione di due punti di vista interpretativi diversi e la presa di posizione a favore del secondo. 21-25 Lemma in metro giambico, verosimilmente parte di due trimetri (due dimetri completi secondo Luppe 1972a, p. 85). Pare fuor di dubbio che l’azione del fabbricante di stuoie sia evocata in senso metaforico, ma si resta incerti sul significato di tauvthn: “se si tratta di donna, come pare, dovremmo pensare che questa fosse vecchia e tutta ruvida di grinze, tanto che a colui, nel baciarla, paresse di posar le labbra su di una stuoia” (Comparetti 1908, p. 17). Un formo;ç çcoivninoç è menzionato nel fr. 168 K.-A. di Aristofane, dal Gerytades. Da notare mhvpote in principio di nota, stilema che pare ricorrente nell’esegesi didimea (Boudreaux 1919, pp. 110-119, con bibliografia precedente a p. 110 n. 8). Per proçh'gon to; çtovma, Luppe (l.c.) richiama sch. Pac. 1167 kajpevcw: tw'/ çtovmati proçavgw. 25-26 La lacuna che invade l’inizio del r. 26 e l’interlinea immediatamente soprastante impedisce di verificarvi la presenza di una paragraphos (stampata da Comparetti e da Kassel e Austin, benché nel papiro non ne resti traccia) a separare la spiegazione che si chiude con ejpiçfivggein da un eventuale nuovo lemma. Mentre Edmonds intende a{ma dΔ ej⁄pei;º ejkavqiçan, ajtrevmaç e[laboªn come lemma (fr. 141f), recisamente contrario è il giudizio di Luppe 1972a, p. 85, secondo cui il testo “nach Inhalt und Rhythmus nur Kommentar sein kann” (la prosodia è analizzabile, ad esempio, come giambica solo ammettendo una sequenza continua di soluzioni); lo studioso ipotizza una ‘Regie’-Bemerkung a{ma de; ⁄ ªkai;º ejkavqiçan. D’altro lato, è difficile immaginare all’interno di una spiegazione sia l’avverbio ajtrevmaç, che non consta appartenere al linguaggio dell’esegesi, sia gli aoristi ºekavqiçan ed e[laboªn (cfr. il lemma precedente, r. 21 e[kuça, spiegato a r. 24 con l’imperfetto proçh'gon): a meno di pensare alla parafrasi di una o più forme verbali presenti nel testo poetico (ma in tal caso nel commentario mancherebbe il lemma parafrasato).
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L’insieme sembra consono al racconto in prima persona da parte di un personaggio (cfr. e[kuça), forse sottoposto a un rituale purificatorio o iniziatico dinanzi a una collettività, alla maniera del parodico racconto del risanamento di Pluto ad opera di Asclepio in Pl. 653-748. FAUSTO MONTANA
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inizio sec. IIIp
Note marginali a commedia non identificata Prov.: ? Cons.: New York, Pierpont Morgan Library. Edd.: GRENFELL-HUNT 1901, pp. 4-5; DEMIAN´ CZUK 1912, fr. 4; EDMONDS 1957, fr. 22A; AUSTIN 1973, fr. *61; KASSEL-AUSTIN 1984, fr. 593; TROJAHN 2002, pp. 81-83.; MCNAMEE 2007, pp. 197-198. Tabb.: P.Amh. II (= GRENFELL-HUNT 1901), V; WEITZMANN 1970, 106. Comm.: MP3 1626; LDAB 357 ALLEN 1901, p. 425; BLASS 1901; FRACCAROLI 1902, p. 347; CRÖNERT 1903, pp. 355-356; PLATNAUER 1933, p. 157; WEITZMANN 1970, pp. 119, 250-251 (trad. it. 1991, pp. 152-153, 154-155 n. 206); GELZER 1971, nr. 28; ZUNTZ 1975, pp. 29, 75 con n. 1 (1938, p. 659; 1939, p. 559 con n. 1); MCNAMEE 1977, p. 417; MCNAMEE 1992, p. [31]; MERTENS 1996, p. 343; LUNDON 1997, p. 76 n. 8; ATHANASSIOU 1999, pp. 111-113; TROJAHN 2002, pp. 188, 193-194; MONTANA 2005, pp. 51-53; PERRONE 2010, pp. 96-98, 103.
Frammento di volumen (cm 12,1 × 13,4), con resti di due colonne di testo poetico e marginalia. Della col. I si legge la parte finale di 20 righi, della col. II l’inizio di 5 righi e tracce di un sesto. È conservato un tratto di margine superiore (cm 2,1 nel punto di massima altezza, in corrispondenza di quanto rimane della seconda colonna); l’intercolumnio è piuttosto ampio, toccando la misura minima di cm 5 tra col. I 4 e col. II 4, cosicché si è portati a presumere che questo spazio fosse stato lasciato appositamente libero in vista di marginalia esegetici1. Resti di annotazione si leggono in effetti sia nell’intercolumnio sia nel margine superiore. Il testo poetico è scritto in una libraria che si può classificare come una maiuscola biblica non completamente aderente al canone (alcuni t scendono sotto il rigo, le aste laterali di m tendono a essere divaricate): appare plausibi-
1
Grenfell-Hunt 1901, p. 4; cfr. CLGP I 1.1, p. 32 n. 2, e inoltre Weitzmann 1970, p. 119 (= pp. 152153 dell’edizione italiana); Lundon 1997, p. 76 n. 8; Athanassiou 1999, p. 113; Trojahn 2002, pp. 81, 194. L’ampiezza degli intercolumni rispondeva a ragioni puramente estetiche secondo Zuntz 1975, p. 75 (1939, p. 559), che ribadì il proprio parere anche in merito a P.Amh. II 13 in una lettera privata del 25.IV.1951 indirizzata a K. Weitzmann: Weitzmann 1970, addendum alle pp. 250-251 (= pp. 154-155 n. 206 dell’edizione italiana).
P.Amh. II 13
213
le una datazione intorno all’inizio del IIIp2. Una mano diversa, a quanto pare, ha aggiunto i marginalia in una corsiva di piccole dimensioni ma nitida, inclinata verso destra, ed è responsabile di alcuni segni di lettura e di due correzioni nel testo principale (col. I 1, 12). Le due mani sono quasi certamente coeve. L’assegnazione del testo ad Aristofane3 discende dalla presenza in col. I 2 dell’espressione ejx uJptivaç, che Polluce attesta per il commediografo e per Platone filosofo (VII 138 nei'n ejx uJptivaç mavqhma kolumbhtw'n ΔAriçtofavnhç [fr. 593, 2 K.-A.] ei\pe kai; Plavtwn [Resp. VII 529c] ), e secondo il parere di Allen, ripreso da Fraccaroli e da Platnauer, è corroborata dalla nota marginale ad I 1, che segnala un riferimento al commediografo Magnete: cfr. Eq. 525 (Mavgnhç) ejxeblhvqh preçbuvthç w[n. Quanto alla possibilità di individuare il titolo o il contenuto del dramma di cui il papiro è testimone, nonostante i tentativi di ricostruzione del frammento operati da Edmonds e benché Allen credesse di riconoscervi indizi congrui con quanto sappiamo dei Banchettanti, purtroppo ci si deve attestare sulla posizione di aporia espressa dai primi editori4. Le annotazioni marginali recano l’impronta dell’esegesi erudita, con prevalenza dell’interesse per gli aspetti lessicali (una nota di stile ad I 1, due glosse introdotte da ajnti; tou' ad I 5 e 19, una coppia sinonimica ad I 12; forse anche la nota mutila nel mg. sup.) e per la delucidazione di riferimenti del commediografo a persone e cose a lui coeve e pertanto di comprensione non più immediata per il lettore (ad I 1 e 15). Un segno di richiamo (antisigma?) collega la spiegazione posta nel margine superiore con il r. 4 della col. II.
Col. I º≤çΔ h] mh; Δmbavlw:
1
1 çΔh' mh;Δmbalw: pap.; al di sopra del secondo m, che è barrato, n —— Aristophanis textus ºi≥ç Demian’czuk ejkbalw'ºn çΔ h\ mh; Δmbalw' Allen : fort. ejkbavlºw GrenfellHunt
2 Esame paleografico e datazione di G. Bastianini. Il volumen non è stato considerato da Cavallo 1967 né da Orsini 2005. 3 Dell’attribuzione non è pienamente persuaso Zuntz 1975, p. 29 (1938, p. 659). 4 Grenfell-Hunt 1901, p. 4.
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Aristophanes 29 e≥i [≥(rhtai) para; to; fortik(o;n) ejk≥pravç≥w≥n≥ h] mh; Δmpraç≥≤≤ª≤º≤≤≤≤a≥i ≥rou( ) eijç Mavgnhta
la nota inizia a destra del r. 1 1 il rigo sporge in ekthesis di due lettere rispetto ai sottostanti ei – pap. fortik pap. 2 a≥i ≥rou pap. —— 1 ei – legit Bastianini : ≤t≥ Grenfell-Hunt : eit = e≥i [≥(rh)t(ai) Crönert : o{t(i) Allen : mhvp(o)t(e) Edmonds ek≥ praç≥w≥n Grenfell-Hunt 2 Δm praç≥o≥i ≥ªçº Grenfell-Hunt “perhaps ajpo; kairou'” Allen : ªejn toi'ç ajnafºero(mevnoiç) Blass
ti ... o non (ti) butto ... a Magnete (… ?)
frase plasmata sul modo di dire comune “… o non …”
ºl≥ev≥gein Aristophanis textus
5
ejkºl≥e v≥gein suppl. Grenfell-Hunt
ajn(ti; tou') çullevgein la nota si trova a destra del r. 5
an pap.; cfr. I 19
º Buzantivou ºi≥a≥poliç
12 13
12 buzantion pap., con n finale barrato e u aggiunto nell’interlinea —— Aristophanis textus 13 ºi≥a≥ poliç Grenfell-Hunt : ºi≥a≥ povliç Demian’czuk, Austin : patrºiva povliç Edmonds : ºi≥ a≥[poliç ?
to; tevloç th;n da≥≥p≥ªavnhn povteron ajpol≥≤ª qew'i twª la nota si trova ca. cm 0,5 a destra del testo e ha interlinee regolari (cm 0,2): il primo rigo affianca il r. 12 del testo 1 a≥≤ª scrittura quasi completamente sbiadita: occhiello schiacciato e vertice di a, il cui tratto destro forse si incurva in alto nel legarsi alla lettera successiva (come in ap al r. 2?), di cui restano labili tracce 2 l≥≤ª il tratto destro di l≥ termina in lacuna, da dove emerge poco oltre un secondo labile segno apicale —— 1 thn≥ d≥aªpavnhn Grenfell-Hunt : th;n da≥ª Austin 2 ajpol≥ª Austin : ajpom≥ª, dub. ajpol≥ª, GrenfellHunt : fort. a[≥pol≥i ≥ªç, ΔA≥pol≥l≥ª ?
P.Amh. II 13 º≤oç h\rxΔ ejgwv:
215 14
º≤ base di un’asta verticale che non sembra scendere sotto il rigo: t forse più probabile di r hrxΔegw: pap. —— Aristophanis textus provteºr≥oç vel falakºr≥ovç Allen
ma≥dª kimo≥ª 1 cm 0,4 a destra del testo 2 cm 0,2 più a destra del r. 1 —— 1 madªw'n Allen 2 kim≥ª Austin
ºll≤≤i≥ou: ou: pap. —— Aristophanis textus
15
ajºllΔ hjxivou vel ÔEºllhnivou Grenfell-Hunt
pai≥vz≥ei para; ª cm 0,2 a destra del testo parte superiore del corpo centrale di z molto inarcata a destra, quasi a chiudere un occhiello con la parte inferiore —— pa≥iv≥z≥e ≥i ≥ dub. Allen, Austin : p≥ai≥ç≥e ≥i Grenfell-Hunt
ejfhºmevrwi Aristophanis textus
19
suppl. Grenfell-Hunt : thºmevrw/ Edmonds
ajn(ti; tou') çhmerinw'i cm 0,3 a destra del testo
del giorno
an pap.; cfr. I 5
nel senso di ‘odierno’
Col. II Ć o}ç kaivper o[ntaª
4
il semeion, piuttosto compresso e lievemente angolato, si trova cm 0,5 a sinistra del testo e ricorre identico a sinistra della nota scritta nel margine superiore
216
Aristophanes 29 Ć ejpiçtomiei': t≥oç≥ª
la nota si trova nel margine superiore, cm 1,6 sopra la col. II; a sinistra, a una distanza di cm 0,5, stesso semeion apposto a II 4 epiçtomiei: pap., seguito da spazio bianco ç≥ª visibile soltanto la metà sinistra —— ejpiçtomiei' t≥oç≥ª Austin fort. t≥o; ç≥ªtovma
il quale, benché …
zittirà: ...
Col. I 1 Se è chiaro che la nota fornisce il modello idiomatico di un’espressione presente nel testo poetico, il dettato preciso dell’uno come dell’altra resta oscuro. La ricorrenza di h] mhv nel testo e nella nota e la forma di congiuntivo aoristo nel testo favoriscono l’impressione che il detto esprima l’incertezza rispetto a una deliberazione in corso5. La sequenza eijç Mavgnhta (Magnes test. 10 K.-A.) potrebbe intendersi come citazione di un parallelo dell’espressione commentata oppure come spiegazione di un riferimento puntuale del testo poetico a questo commediografo; Blass ricostruiva “ªejn toi'ç ajnafºero(mevnoiç), (mit Abkürzung geschrieben) eijç Mavgnhta .... (es folgte wohl noch ein Wort, also Titel)”. La menzione di Magnete e la presenza di un composto di bavllw nel testo principale suggeriscono il confronto con Eq. 525 (Mavgnhç) ejxeblhvqh preçbuvthç w[n; da cui, sulla base di quanto resta della nota marginale, l’integrazione di Allen ejkbalw'ºn nel testo della commedia. Va in tutt’altra direzione l’ipotesi, sviluppata da Perrone 2010, pp. 97-98, che in eijç mavgnhta vede il possibile riferimento a un lancio di dadi (mavgnhç) ricordato da Poll. VII 204 e Hsch. m 22 L. 5 L’integrazione ejkºl≥e v≥gein dei primi editori non è suffragata da paralleli lessicografici; ejklevgw e çullevgw sono accostati, non però come sinonimi, in Sud. d 183 A. dekateutavç: tou;ç telwvnaç tou;ç th;n dekavthn ejklevgontaç kai; çullevgontaç. ou{twç ΔAntifw'n (fr. 10 Blass). Si può pensare anche al semplice levgein: Hsch. l 499 L. levgoito: çullevgoito; Sud. l 225 A. levgw: to; lalw'. çhmaivnei de; ... kai;; to; çullevgw ktl. Per an = ajn(ti; tou'), ricorrente anche nella nota ad I 19, cfr. P.Oxy. LXVI 4521 ⇒ 22, ad Pl. 694, 963 (antù); McNamee 1981, p. 7. 12-13 L’allineamento a sinistra, la reciproca distanza interlineare assolutamente regolare (cm 0,2) e il fatto che soltanto il primo rigo affianchi esattamente un verso del testo letterario (r. 12) fanno propendere per la pertinenza
5
Cfr. e.g. Zenob. IV 19 ‘H dei' celwvnhç kreva fagei'n, h] mh; fagei'n: th'ç celwvnhç ojlivga kreva brwqevnta çtrovfouç poiei', polla; de; kaqaivrei. o{qen hJ paroimiva. e{teroi de; ejpi; tw'n ajrcomevnwn oJrma'n ejpiv ti pra'gma, çtraggeuomevnwn dev. façi; de; aujth;n Teryivwnoç ei\nai (~ Diogen. V 1; Apostol. VIII 42; cfr. Athen. VIII 337ab; Hsch. h 108 L.; Sud. h 85 A.).
P.Amh. II 13
217
dei tre righi marginali a un’unica nota, che si apriva con una glossa e proseguiva probabilmente con la parafrasi di una porzione di testo (povteron ...) comprendente forse r. 13 ºi≥a≥poliç, se vi si divide ºi≥ a[poliç6 e si ripristina a[pol≥i ≥ªç nel secondo rigo della nota marginale. Al r. 1 da≥p≥ªavnhn (da≥ªpavnhn Grenfell-Hunt), sinonimo di tevloç (lemma?), gode dell’ampio avallo della lessicografia atticista: AelD. t 7 E. tevloç oiJ ΔAttikoi; tavttouçi kai; ajnti; tavxewç kai; tavgmatoç kai; dapavnhç, e[nqen oJ polutelh;ç kai; eujtelh;ç kai; oJ çuntelhvç, ktl (~ Sud. t 267, 270, 281 A.); cfr. AelD. e 76 E., s.v. eujtelhvç (~ Hsch. e 7235 L., Sud. e 3767 A.); p 49 E., s.v. polutelevç (~ Hsch. p 2929 H., Sud. p 2008 A.); Paus. Att. a 166 E., s.v. ajtelh' (~ Hsch. a 8043 L.; Sud. a 4339 A.). Con l’accezione religiosa di tevloç che trapela dall’annotazione del papiro (r. 2 ΔApovl≥l≥ª ?, nisi a[pol≥i ≥ªç, vd. supra; r. 3 qew'i) è particolarmente confacente Sud. t 267 A. telethv: quçiva muçthriwvdhç. hJ megivçth kai; timiwtevra. ajpo; tw'n ginomevnwn eijç aujta;ç dapanhmavtwn. telei'n gavr famen to; dapana'n. kai; polutelei'ç, tou;ç polla; ajnalivçkontaç: kai; eujtelei'ç, tou;ç ojlivga. 14 L’appartenenza dei due righi marginali a una medesima nota si evince dal fatto che il primo corre a fianco del r. 14 del testo letterario mentre il secondo, rientrato a destra di cm 0,2 rispetto al precedente senza apparenti motivi esterni, affianca l’interlinea tra il r. 14 e il r. 15. Da segnalare la proposta testuale combinata di Allen, nel quadro di una ricostruzione del frammento comico come parte di una scena agonale dei Banchettanti: nel testo, r. 14, falakºro;ç h\rxΔ ejgwv:, in margine madªw'n, sull’esempio di sch. Pl. 266e madw'nta: falakrovn. 15 La locuzione paivzein parav ti(na) è corrente negli scolii per definire l’ironia di stampo caricaturale e parodico. L’integrazione ÔEºllhnivou nel testo (Grenfell-Hunt), ispirata da Eq. 1253 ÔEllavnie Zeu', ben si presterebbe a un contesto di parodia religiosa o letteraria (tragica): cfr. sch. Eq. 1253a ÔEllavnioç Zeu;ç ajpo; tou' aujcmou' pote genomevnou, o{te oJ Aijako;ç çunagagw;n tou;ç Panevllhnaç ejxilewvçato to;n Diva. tou'to de; levgei oJ ajllantopwvlhç, eijlhfw;ç to;n çtevfanon. ÔEllavnioç de; Zeu;ç tima'tai ejn Aijgivnh/. 19 La restituzione ejfhºmevrwi dei primi editori è altamente probabile. Non si può tuttavia escludere una forma dell’aggettivo thvmeroç (thºmevrw/ Edmonds), attestato nell’usus aristofaneo dagli scolii (al femminile thmevra, tràdito thvmera) e ignorato dalla maggioranza degli editori moderni: sch. Nub. 699ba (E) dwvçw thvmeron: tine;ç “thvmera”. wJç ejn ÔOlkavçin (fr. 420 K.-A.) “ijw; kakodai'mon, tiv a[ra peivçei thvmeron (thmeron perperam Holwerda)…” ajnti; tou' “oJ çhmerinovç”, kai; e[çti Êto; tetagmevnwçÊ (corrigendum tetagmevnon) ejpi; çwvmatoç: to;
6
La ripartizione fra due parole di due sillabe brevi risultanti da una lunga soluta (quale si potrebbe avere qui in quinta sede, ammettendo ºi≥ a[poliç) è fenomeno tollerato entro certi limiti nel trimetro giambico della commedia. È invece da escludere un anapesto in ultima sede.
218
Aristophanes 29
de; thvmeron ejpi; crovnou levgetai; sch. Nub. 699bb (RV; cfr. Sud. t 509 A.) thvmeroç: oJ çhmerinovç. kai; e[çti tetagmevnon ejpi; çwvmatoç. to; de; thvmeron ejpi; crovnou levgetai. kai; ejn th/' Eijrhvnh/ (fr. 420 K.-A. [Holkades] = 296 Kock, Edmonds [Pax II]) “ijw; Lakedai'mon, tiv a[ra peivçh/ thvmera (thmevra Holden, Edmonds)…”. ajnti; tou' “çhmerinhv”. Cfr. sch. Hom. Il. I 424a cqizovç ã ... pavnteçÃ: ejpirrhmmatikw'ç wJç kai; to; thvmeroç para; toi'ç ΔAttikoi'ç. Ne acquista luce la voce esichiana t 789 Schm. thvmeron: ΔAttikoi; thvmeroç (thvmeroç seclusit Schmidt) kai; thvmera levgouçin (cfr. Hdn. Orth. II p. 590, 19 L., dove però thvmeroç manca). Col. II 4 Un segno di richiamo in forma di antisigma precede di mezzo centimetro sia la nota aggiunta nel margine superiore, sia col. II 47. Il punto in alto e il vacuum che nel papiro seguono ejpiçtomiei' sembrano lasciare pochi dubbi che si tratti di un lemma seguito dalla spiegazione8. In tal caso, nel testo poetico si dovrà reintegrare o}ç kaivper o[ntaª – ejpiçtomiei' + – 9. Le tracce che seguono il vacuum sono compatibili con una spiegazione meramente lessicale, e.g. to; çªtovma kaqevxei vel ejfevxei: cfr. Poll. II 102 kai; ejpiçtomivçai to; ejpiçcei'n levgonta; VIII 154-155 ... ejpiçtomivzein ... ejpifravttein to; çtovma; Phot. e 1730 Th. (= Sud. e 2634 A.) ejpiçtomiei'n: ejmpodivçai, kataçcei'n. Nessun contributo fattivo proviene dallo sch. Aristoph. Eq. 845a ejpiçtomivzein: kataçigavzein, né da Hsch. e 5256 L. ejpiçtomivzwn: fimw'n. ejlevgcwn. FAUSTO MONTANA
7
Editori e commentatori definiscono unanimemente il segno come antisigma. La sua funzione in questo caso, tuttavia, non pare ricadere nell’àmbito della critica testuale, ma è di semplice richiamo. 8 Per Grenfell-Hunt 1901, p. 5 “perhaps ejpiçtomiei' ... was a line which had dropped out of the text after line 4; cf. Pap. Oxy. I. 16 [Tucidide, Ip ?], col. III. 3 [Thuc. IV 39, 1], where the same sign is used to denote an omission” (sul semeion di P.Oxy. I 16, cfr. McNamee 1992, pp. 14 n. 27, [32]). Dopo Allen 1901, p. 425, e Edmonds 1957, p. 960 n. 11, ha sposato questa tesi Austin 1973, p. 25 (app. crit. ad l.: “fort. versum omiserat librarius et postea addidit”; cfr. anche app. crit. ad Aristoph. fr. 593 K.-A.), che richiama come parallelo fr. 248, 1 Austin (= P.Ryl. I 16, II-IIIp, adespotum novae comoediae), e più di recente vi aderiscono Athanassiou 1999, p. 113, e Trojahn 2002, pp. 83, 223 n. 1. Tuttavia i primi editori non escludevano l’altra possibilità, cioè che “the word ejpiçtomiei' may have occurred in line 4 and what follows in the margin was an explanatory note” (p. 5). Su questa linea Crönert 1903, p. 356, riteneva che il segno “diente also zur Verbindung von Text und Erklärung, wie ähnliche Zeichen in byzantinischen Hss. sehr häufig vorkommen”. McNamee 1992, p. 14, nella trattazione dell’uso postaristarcheo di antisigma registra tra le sue funzioni, accanto a quella prevalente di introdurre “textual revisions, especially variants and textual comments”, anche quella di individuare “errors or corrections or even informational notes”. 9 E.g. o}ç kaivper o[nta ªtovndΔ ejpiçtomiei' lavlon, “che lo zittirà, benché sia un chiacchierone”. In commedia l’anapesto è ammesso nelle prime cinque sedi del trimetro, non nell’ultima: pertanto qui ejpiçtomiei' va posto obbligatoriamente a cavallo fra il secondo e il terzo metron del verso.
30
P.Oxy. XV 1801, col. II 20-21 = CGFP 343, 48-49 [⇒ III: Lexica]
sec. II/IIIp
Voce di lessico (fabula incerta fr. 733 K.-A.)
20
bebuçmªevºnon: plh'reç Thl≥ª gh; bebuçmevnh”: ΔAriçtof≥ªavnhç ejn
pu-]
ä
20 il lemma è in ekthesis di ca. due lettere dopo bebuçmª≤ºnon spazio bianco dopo plhreç spazio bianco 21 dopo bebuçmenh spazio bianco —— 20-21 suppl. Hunt 1922 20 thi≥ ª Hunt 1922 Thl≥ªekleivdhç ejn ... kai; pu-º Luppe 1967
bebuçmªevºnon: pieno … ªpuºgh; bebuçmevnh” Aristofane in ...
La forma bebuçmevnon è attestata, in opere comiche – da qui sembra attingere infatti il compilatore del nostro lessico (cfr. ⇒ 3 n. 1) – solo in Aristofane (Ach. 463 dovç moi cutrivdion çpoggivw/ bebuçmevnon e Th. 506-507 to; dΔ eijçevfere grau'ç ejn cuvtra/, to; paidivon, ⁄ i{na mh; bow/vh, khrivw/ bebuçmevnon). Quanto a bebuçmevnh, il participio perfetto femminile non occorre se non in passi tardi e in nessun luogo comico conosciuto. La situazione di P.Oxy. XV 1801 è rispecchiata da vicino soltanto da Esichio b 447 L. bebuçmevnh: peplhrwmevnh. pefragmevnh e b 448 L. bebuçmevnon: plh'reç dove la prima glossa dipende evidentemente dal medesimo passo che si trova citato nel nostro papiro (da tenere presente, in proposito, lo stretto legame tra Esichio e P.Oxy. XV 1801 cfr. ⇒ 3 n. 1), mentre la seconda potrebbe derivare da Omero (d 134 nhvmatoç ajçkhtoi'o bebuçmevnon) come pensa Latte, o meglio, come io credo – proprio alla luce della testimonianza di P.Oxy. XV 1801 –, da un’opera comica. Va detto, in proposito, che in questo papiro compaiono citati anche altri autori, oltre a quelli di opere comiche, ma, a quanto sembra, mai in prima istanza (cfr. pure Naoumides 1961, p. 91). Nella Suda (b 224 A.) si ha la conflazione in un unico articolo di due glosse, di cui la seconda, che chiosa bebuçmevnon, è tratta da Aristofane. Si legge infatti bebuçmevna: laqrai'a, h] peprwmevna [h.e. peplhrwmevnaº (= S b 41 C. = Phot. Lex. b 123 Th.) kai; bebuçmevnon, peplhrwmevnon. kekalummevnon. ΔAriçtofavnhç: dovç moi cutrivdion çpoggivw/ bebuçmevnon. h] o{ti cuvtran e[feron, ejn h|/ h\n çpovggoç peplhrwmevnoç mevlitoç, h}n ejtivqeçan ejn tw/' çtovmati tw'n paivdwn, dia; to;
220
Aristophanes 30
ejkmuza'n: h] o{ti oiJ pevnhteç ta; trhvmata th'ç cuvtraç çfhnou'çi çpovggoiç. h] tetrhmevna pantacou'. Negli altri materiali esegetici e lessicografici il participio perfetto di buvw, quando compare come lemma, è declinato differentemente rispetto a P.Oxy. e dipende dunque verisimilmente da loci classici diversi rispetto a quelli citati dal nostro papiro (a meno che il neutro singolare in P.Oxy. XV 1801 non sia effetto di lemmatizzazione). Stabilire il preciso ordo verborum all’interno della glossa non è semplice. Il termine plh'reç al r. 20 è preceduto e accompagnato da spazio bianco: deve quindi considerarsi la spiegazione. Su quanto segue si possono fare diverse ipotesi: (a) dopo plh'reç comincia la citazione aristofanea, tratta da dramma ignoto, che continua nel rigo successivo. Si dovrebbe in questo caso supporre che bebuçmªevºnon sia frutto di lemmatizzazione1: la qual cosa non costituisce certo un problema considerato che in circa la metà dei casi i lemmi sono registrati nella forma in cui compaiono nel locus classicus citato, mentre nell’altra metà si ha verisimilmente una forma lemmatizzata. Un ostacolo a questa interpretazione è costituito piuttosto dal fatto che al lemma o al lemma + spiegazione sembra di norma far seguito il nome dell’autore e l’opera e non direttamente la citazione, come si avrebbe in questo caso; (b) dopo plh'reç si potrebbero avere due brevi citazioni aristofanee, tratte dal medesimo dramma sconosciuto: nella prima comparirebbe bebuçmevnon mentre parte della seconda sarebbe quella che è conservata non integralmente al r. 21. L’obiezione più forte a queste due proposte, entrambe avanzate da Naoumides 1961, p. 108, ed entrambe basate sull’osservazione che “since Aristophanes’ name appears without the connection kaiv, it was clearly the first (and only) reference”, è – come per il caso (a) – il fatto che nel papiro sembra rispettato lo schema secondo cui il nome dell’autore e il titolo dell’opera precedono sempre la citazione: qui si avrebbe invece l’opposto. Un’altra possibilità (c) – sostenuta da Luppe 1967, p. 98, e accolta da Austin 1973 (cfr. Telecl. fr. 57 K.-A.) – è che dopo plh'reç sia indicato il nome di un commediografo (lo studioso suggerisce Teleclide, unico nome di poeta comico che si adatterebbe alle tracce nel papiro)2, l’opera, e una sua citazione conclusa da un kaiv che introdurrebbe la citazione aristofanea con bebuçmevnh, quindi il nome di Aristofane e il dramma: pu⁄gh; bebuçmevnh costituirebbe, in altri termini, una sorta di nuovo lemma3. Questa prospettiva appare sicura1
Cfr. Bossi-Tosi 1979-1980, pp. 8-13; Tosi 1988, pp. 120-123. Si osservi che la lemmatizzazione al neutro è normale anche con citazione in cui compaia un nominativo: un esempio è in Erot. d 8 N. divkaion: ejpi; tou' ijçcurou' fhçin: “tiv ga;r dikaivh movcleuçiç oujk a ‘ n kinhvçeien…” (Hp. IV 92, 7 L.), ajnti; tou' ijçcurav. movnon ga;r to; divkaion kai; e[ulogovn ejçti kai; aJplou'n, ktl. 2 Luppe ritiene inoltre che vi sia spazio per l’indicazione di un’opera il cui titolo dovrebbe essere di 8-11 caratteri e dunque, tra quelle tramandate, egli indica ΔAmfiktuvoçin, ΔAyeudevçin, JHçiovdoiç, Prutavneçin, Çterroi'ç. 3 “Ich vermute darin ein neues Lemma, das mit kai; angeschlossen war” (p. 98). Qualcosa di
P.Oxy. XV 1801, col. II 20-21
221
mente convincente: i riferimenti a Teleclide nei materiali esegetici e lessicografici di tradizione medievale non sono peraltro infrequenti e una sua citazione è stata riconosciuta anche in un lessico papiraceo del II sec. d.C., P.Berol. inv. 13360 (MP3 2122.1; LDAB 4560)4; il ricorso a una lemmatizzazione interna, per spiegare il vacuum prima di ΔAriçtof≥ª , non appare d’altronde una difficoltà insuperabile; problematiche in quanto troppo lunghe rispetto allo spazio disponibile non possono dirsi neppure le integrazioni proposte: a ciò si ovvia con facilità supponendo, ad esempio, che la citazione sia stata omessa. Un’altra possibile soluzione (d), forse da non scartare, è che dopo plh'reç potesse esservi il nome di un commediografo (Teleclide?), l’indicazione dell’opera, la citazione che si doveva concludere con pu⁄gh; bebuçmevnh, quindi una pausa segnalata dallo spazio bianco, poi ΔAriçtof≥ªavnhç ejn + titolo dell’opera, a segnalare un’altra occorrenza, questa volta in Aristofane, del participio perfetto, seguita o no da breve citazione (l’assenza di citazione del passo aristofaneo poteva dipendere dal fatto che in Aristofane era usata la stessa espressione citata precedentemente, o dall’esigenza del lessicografo di risparmiare spazio, o da altri motivi); la mancanza di un kaiv di collegamento tra i due autori citati – al contrario di quanto si riscontra in col. I 15 e col. II 6 e 16) – non può considerarsi, credo, una seria difficoltà per l’interpretazione proposta. In questo papiro, inoltre, accanto a glosse che recano il riferimento a un solo autore e a una sola opera, ve ne sono altre in cui si ha l’impressione che i riferimenti siano due (cfr. col. I 9-10a, 15-15a, 16 ss., 21-27; col. II 1-11; e forse 15-16 e 22-27). M. Haslam, infine, ipotizza (e) che il lemma fosse riferito originariamente ad Aristoph. Ach. 463, ma che tra l’interpretamentum (plh'reç) e il riferimento aristofaneo si fosse ad un certo punto interposta la menzione di Teleclide. Per ciò che concerne infine il sostantivo precedente bebuçmevnh, già Hunt sospettava che si trattasse di pughv: il supplemento pur non incontrando il favore di Kurz (cfr. pp. 132-133) – che riconosceva in thi≥ª--- ⁄gh bebuçmevnh i resti di un tetrametro trocaico – è degno di sicura considerazione. Esso mi sembra infatti trovi una probante conferma in Luc. Mort.Peregr. 9 aJlovmenoç dievfuge, rJafani'di th;n pugh;n bebuçmevnoç. ELENA ESPOSITO analogo aveva sostenuto Kurz 1937, pp. 132-133. Egli più precisamente riteneva che la glossa bebuçmevnon: plh'reç si riferisse ad Aristoph. Ach. 463 e bebuçmevnh a un luogo sconosciuto al pari della glossa esichiana e concludeva: “es sind hier also, sei es nun durch ein blosses Abschreibversehen oder aber durch ungeschickte Kompilatorenarbeit, zwei Artikel in einem zusammengeflossen”. Kurz tuttavia non dà alcuna indicazione sulla ricostruzione congetturale del testo. 4 Cfr. Gronewald 1981.
31
P.Oxy. XV 1801, col. II 31-32 = CGFP 343, 59-60 [⇒ III: Lexica]
sec. II-IIIp
Voce di lessico (fabula incerta fr. 794 K.-A.)
bhvrhkeç: ΔAriç≥t ≥ofavn≥ªhç ejn ª≤≤≤≤≤≤º b≥hvrh≥ªkeçº fur≥avªmata 31 il lemma è in ekthesis di ca. due lettere dopo bhrhkeç spazio bianco —— 31 suppl. Hunt 1922 32 ªe[çti de; oJº bhvrhªxº fuvraªmav ti çtrogguvlon, ajfΔ ou| aiJ mavzai givnontaiº Kurz 1937 : ªei[çi(n) dΔ aiJº b≥hvr≥hªkeçº Luppe 1967 e.g.
bhvrhkeç: Aristofane in … “… bhvrhkeç”: impasto
Al r. 31 Hunt, e successivamente Austin 1973, dopo il nome di Aristofane integrano anche ejn, considerato che abitualmente in questo papiro il nome dell’autore è accompagnato da ejn + titolo dell’opera. A ciò forse seguiva la citazione, che doveva terminare con bhvrhkeç (così Edmonds 1957, p. 772, fr. 755A)1. Kurz 1937, p. 134, Luppe 1967, p. 103, e Austin ritenevano invece che la glossa fosse costruita diversamente e che bhvrhkeç non facesse parte della citazione bensì della spiegazione. Questo è certo possibile, anche se va rilevato che, quando nell’àmbito di una esegesi si trova la formula esplicativa e[çti / eijçi; de; ktl – qui integrata dai tre editori (cfr. app. crit.) –, molto raramente viene ripetuto il lemma2. Nella maggior parte dei casi è direttamente introdotto il sinonimo3. Sotto il r. 32 il papiro è rotto: non si può stabilire, dunque, se la glossa fosse qui conclusa o continuasse.
1 Il bhvrhªx di Kurz non è plausibile sul piano paleografico: la lacuna infatti ha un’ampiezza pari a circa 3 lettere. Va ricordato, d’altronde, che Kurz non aveva visto il papiro: per questo motivo molte delle sue integrazioni non possono essere accolte. 2 Alcuni esempi: Hsch. e 6627 L. ejtnhvruçiç: e[paixen ΔAriçtofavnhç (fr. 822 K.-A.), ajnti; ãtou'Ã favnai th;n Êçanivda th;n ejtnhvruçin eijpwvn: para; to; e[tnoç. e[çti de; ejtnhvruçiç ..., Sud. a 261 A. ajgkuvriçma: ei\\doç palaivçmatoç. kai; ajgkurivçaç, ajnti; tou' katapalaivçaç h] th'/ ajgkuvlh/ katabalwvn. e[çti de; ajgkuvriçma kai; çkeu'oç ajgreutiko;n çuvkwn. ΔAriçtofavnhç: diabalwvn, ajgkurivçaç, ktl, a 288 A. a[gnoia: ei[ tiç levgoi a[gnoian ei\\nai çtevrhçin ejpiçthvmhç, aJmartavnei. e[çti de; a[gnoia e{xiç mocqhra; kai; hjpathmevnh. 3 Cfr. e.g. Hsch. l 659 L. lepadeuovmenoç: çunavgwn lepavdaç. eijçi; de; qalavççiai kovgcai mikraiv, proçfuovmenai tai'ç pevtraiç, p 4260 H. ptuvceç: merivdeç. kai; aiJ tw'n ojrw'n ajpoklivçeiç. eijçi; de; aiJ favraggeç, Sud. a 2497 A. ajnqevrikeç: aiJ tw'n çtacuvwn probolaiv. ta; a[kra. ÔHrovdotoç de; tou;ç kaulouvç fhçi tw'n
P.Oxy. XV 1801, col. II 31-32
223
Del termine si occuparono già i primi commentatori della commedia, Licofrone ed Eratostene (fr. 26 Str.), come testimonia Didimo (fr. 25, p. 44 Schm., ex Athen. IV 140a): l’esegesi profuravmata (lett. ‘cose impastate prima’, cfr. GI p. 1850) era di Eratostene, di contro al toluvpai (‘focacce a forma di palla’, GI p. 2131) di Licofrone; Didimo, dal canto suo, si opponeva a entrambi, pensando che bavrakeç significasse semplicemente ma'zai. Nel luogo di Ateneo, fonte di Didimo, si legge infatti: ΔEpivlukoç (fr. 4 K.-A.)4 ... diarrhvdhn levgwn mavzaç ejn tai'ç kopivçi parativqeçqai – tou'to ga;r aiJ bavrakeç dhlou'çin, oujci; toluvpaç, w{ç fhçi Lukovfrwn, h] ta; profuravmata tw'n mazw'n, wJç ΔEratoçqevnhç. Da questa dialettica esegetica deriva una tradizione lessicografica che rispecchia ora uno, ora più di questi interpretamenta: cfr. Tryph. (fr. 118 V. ex Athen. III 114f) parΔ ΔAqhnaivoiç me;n fuçth;n th;n mh; a[gan tetrimmevnhn5, e[ti de; kardamavlhn kai; bhvrhka kai; toluvpaç kai; ajcivlleion, Poll. VI 77 kai; bhvrhkeç de; ma'zaiv eijçi memagmevnai dihqhmevnwn tw'n ajlfivtwn, aiJ de; dandalivdeç pefrugmevnwn kriqw'n, kai; provkwna kai; prokwvnia ta; ejx ajfruvktwn kriqw'n a[lfita ktl, Hsch. b 213 L. bavrakeç: ta; profuravmata th'ç mavzhç. ΔAttikoi; de; bhvrhkaç. dhloi' de; kai; th;n toluvphn (attribuita da Lentz a Hdn. Orth. II p. 481, 9), Hsch. b 216 L. bavrbax: iJe vrax, para; Livbuçi. ªkai; fuvrama çtrogguvlon, ajfΔ ou| aiJ mavzai givnontai. kai; ejrivwn toluvpaiº6, b 570 L. bhvrax: mavza megavlh, b 572 L. ~ Lex. Rhet. p. 226, 1 B. bhvrhkeç: mavzai ojrqaiv. oiJ de; aJplw'ç mavzaç. a[lloi mavzaç a[nwqen kevrata ejcouvçaç, t 1104 H. toluvph: ta; profuravmata tw'n mazw'n, a} kai; bhvrhkaç kalou'çin ktl, Phot. Lex. b 134 Th. bhvrhkeç: ta; furavmata ejx w|n aiJ ma'zai givnontai, EM. b 56 L.-L. bavrhkeç: … çhmaivnei de; kai; th;n toluvphn, Eustath. ad Hom. Od. p. 1414, 30-31 bhvrhkeç, furavmata mazw'n, kai; aiJ toluvpai tw'n ejrivwn. o{ti de; toluvph kai; mavzhç h\\n ei\\doç, dhloi' oJ gravyaç to;, kardamuvlh kai; toluvph kai; ajcivlleion. ELENA ESPOSITO
ajçfodevlwn. eijçi; de; a[qrauçtoi. h] ajnqerivkwn, ajnqhrw'n h] lamprw'n, EM. p. 644, 49-51 G. ojcetokravnia: ta; khlwvneia, h] ejkcuvçeiç aiJ legovmenai tw'n mhcanhmavtwn. eijçi; de; au|tai xuvlinai h] keramevai. oiJ de; façi; tou;ç uJponovmouç kai; tou;ç uJpo; th;n gh'n ojcetouvç, EGen. a 1133 = EM. a 1744 L.-L. ajrginou'çai: ajrgilwvdeiç. eijçi; de; aiJ toiau'tai eijç karpw'n ajnevçeiç fau'lai ktl. 4 Il frammento di Epilico costituisce, a parte quello di Aristofane (fr. 794 K.-A.), l’unica altra attestazione letteraria del termine. 5 Cfr. pure Moer. f 10 H. fuçth' periçpwmevnwç to; fuvrama tw'n ajlfivtwn, o{tan mh; gevnhtai ma'za: fuvrama de; ”Ellhneç. 6 Qui giustamente Latte espunge, poiché il lessicografo ha confuso la voce con bavrax.
32 (?)
P.Oxy. XI 1402
sec. Vp
Note marginali a commedia aristofanea? Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Princeton, University Library, P.Princ. inv. AM 9047. Edd.: GRENFELL-HUNT 1915, pp. 246-247; ZUNTZ 1975, pp. 57-60 (1938, pp. 687-690); MERVYN JONES 1969, pp. XXIV, 123, 131; TROJAHN 2002, pp. 24-27; MCNAMEE 2007, pp. 198-199. Tab.: www.columbia.edu/cu/lweb/projects/digital/apis. Comm.: MP3 1630; LDAB 370 SCHMIDT 1854, p. 299; KÖRTE 1924, p. 143; PLATNAUER 1933, p. 158 n. 4; GELZER 1971, nr. 22; AUSTIN 1973, fr. *23; MCNAMEE 1977, pp. 177, 184-186, 422; TURNER 1977, p. 115 nr. 289; KRÜGER 1990, p. 243; MERTENS 1996, p. 343; TROJAHN 2002, pp. 171, 182; MONTANA 2005, pp. 20-21; PERRONE 2010, p. 98.
Tre piccoli frammenti papiracei con magri resti di testo e note marginali, parte di “a find of Byzantine literary fragments”1 composto anche da P.Oxy. XI 1369-1374 (frammenti da Sofocle, Euripide e Aristofane: per 1371 ⇒ 13), 1385, 1391, 1394, 1396, 1397 (frammenti omerici), 1401 (frammento tragico: Euripide?), 1403 (Aristofane?) e altri esigui frustuli. I tre frammenti sono datati su base paleografica al Vp. Differenze di scrittura e di mise en page portano a escludere che 1371-1374 (contenenti, rispettivamente, resti di Nub. con marginalia; Ran.; Pax ed Eq.; Ve.), 1402 ed eventualmente 1403 appartenessero a un medesimo manoscritto. La possibile pertinenza di P.Oxy. XI 1402 al numero dei testimoni di Aristofane risultò ai primi editori non tanto dagli scarsissimi resti del testo letterario, quanto dal contenuto della nota marginale conservata nel recto (%) del frammento maggiore (fr. 1: cm 4,1 × 4), vergata in una scrittura libraria assegnabile al Vp: la presenza di una spiegazione di çkovrodon o çkorodivzein orientava verso Ach. 166 o Eq. 494. Successivamente Zuntz2 ritenne di riconoscere nel verso ($) del fr. 1 le lettere iniziali dei vv. 529 e 530 dei Cavalieri e, nel relativo margine sinistro, resti di annotazioni ai vv. 527 ss. di questa commedia (la sezione della prima parabasi con il profilo artistico di Cratino); conseguentemente, Zuntz collegò ai vv. 494 ss. del dramma le tracce di note 1 2
Grenfell-Hunt 1915, p. 134. Zuntz 1975, pp. 58-59 (1938, pp. 688-689).
P.Oxy. XI 1402
225
presenti sul recto del medesimo frammento, che dovevano affiancare a destra il testo comico. Tuttavia questa ipotesi di restituzione contrasta con alcuni dati oggettivi (vd. il commento). Il fr. 2 (cm 3,5 × 2) reca misere tracce di note marginali, solo ipoteticamente rapportabili ad esegesi aristofanea, e del fr. 3 (cm 4,3 × 3,1) è dubbia la pertinenza tanto al medesimo codice3 quanto ad Aristofane. Fr. 1 recto (%) º≤ote bªoºuvlonta≥ªi tou;ç ajlºektruovnaç p≥ªro;ç ajllhvlouç mavceºçq(ai) çkovroda tªiqevaçin ejn toi'ç mºukth'rçin ª
5
º≤eiçp≥in≥ª ºun≥ ke≤ª ºpar≥w≥ª u
1 º≤ esigue tracce di lettera di grande modulo bª ≥º pap. ta≥ªi oppure tùª pap. 3 ºçqù pap. —— 1-4 suppl. Grenfell-Hunt 3 tªrivbouçin Zuntz cl. Hsch. ç 1113 H. (ajnatri'yai) 5 lemma h{xºeiç pavlin (Eq. 497) Zuntz 6 kea≥ª Grenfell-Hunt : kelªeuvei e sch. Eq. 497a (parakeleuveçqai) Zuntz 7 ºpar≥wª Grenfell-Hunt : ºparwªidw'n e sch. Eq. 497a (çkwvptei) Zuntz
... quando vogliono che i galli [combattano fra loro, mettono (loro)] dell’aglio nelle narici ... Fr. 1 verso ($) ä ä ä ºa≥coun ºn≥w≥i: º≤i≤qe
5
ºo≥uç ek º≤n≥aon ºu≥çeo( )
ä ä ä 3
Grenfell-Hunt 1915, p. 246.
≤ª at≥ª ä k≤≤ª ª ≤ª ä
226
Aristophanes 32 (?)
4 º≤ estremità destra di un tratto orizzontale, forse di e la lettera incerta dopo i è abbondantemente sfigurata da un foro 7 ºu≥çeo pap. —— 1-3 ªeJauto;n parevbalen ⁄ oJ Kra(ti'noç) potamw'/ kanºa≥cou'n⁄ªti kai; dwdekakrouvºn≥w≥i ad Eq. 526 suppl. Zuntz 2 textus ai≥ª Zuntz 4 iç≥qe Grenfell-Hunt textus ka≥k≥ª Grenfell-Hunt : kai≥ª Zuntz 5-6 kai; tou'to ajrch; mevloºuç (sic) ejk ⁄ ªtw'n Eujneidw'n e sch. Eq. 530a Zuntz 7 ºuçeo( ) Grenfell-Hunt ejmnhmovneºuçe vel ejdeivknºuçe, o{(ti) e sch. Eq. 532b, 531a Zuntz
Fr. 2 ($)
(%)
º≤t≥a drevpana e≥ª
º ≤≤≤ l≥e ≥g≥ei
ºtazovmenoç:
ºkuna
($) 1 º≤forse o, ma di modulo pressoché doppio rispetto agli o del rigo seguente —— 1 ºo≥ ≥( )≤t≥a Grenfell-Hunt 1-2 ej≥ªx⁄eºtazovmenoç Körte
Fr. 3 ($)
(%)
º≤r≥ª ºpet≤ª
ºn≥uç
p≥≤≥ª oi≤≤ª ä to≥≤≤ª i≥t ≥w≥ª
Fr. 1 recto (%) Nell’àmbito dell’esegesi aristofanea, cfr. sch. 494b (I) e (II) e, per la formulazione, sch. Ach. 166a (II) ejçkorodiçmevnoiç: ajnti; tou' çfodroi'ç ou\çi kai; pikroi'ç genomevnoiç, meteilhfovçi tw'n çkorovdwn, ajpo; metafora'ç tw'n ajlektruovnwn. touvtoiç ga;r o{te mevllouçi mavceçqai çkovroda divdotai ejçqivein, i{na qermanqevnteç ojxuvteroi gevnwntai, wJç kai; ejn ÔIppeu'çiv (494) fhçin: i{nΔ a[meinon, w\ ta'n, ejçkorodiçmevnoç mavch/; e inoltre Hsch. e 6249 L. ejçkorodiçmevnoç: çkovroda bebrwkwvç. ΔAriçtofavnhç ejn ΔAcarneu'çi (166) paivzei a{ma me;n o{ti çkorodofagou'çin oiJ Qra'/keç, a{ma de; o{ti paroxuvnontai oiJ ajlevktoreç pro;ç ta;ç mavcaç, o{tan ejmfavgwçi tw'n çkorovdwn; ç 1113 H. çkorodivçai: to; pro; th'ç mavchç çkorovdoiç ajnatri'yai tou;ç ajlektruovnaç. L’affinità del lessico esichiano e degli scolii conduce a una fonte comune, nella fattispecie l’esegesi aristofanea di Didimo (Schmidt 1854, p. 299; Zuntz 1975, p. 60 [1938, p. 690]).
P.Oxy. XI 1402
227
All’interno di questa tradizione apparentemente omogenea si deve rilevare una sottile bipartizione. Soltanto la nota del papiro afferma che l’aglio era applicato ejn toi'ç mºukth'rçin, mentre su questo aspetto gli scolii a Eq. 494 sono vaghi o reticenti: 494b (I) çkovroda didovaçin aujtoi'ç; (II) i{na gevnh/ ... wJç oiJ ajlektruovneç. Il citato sch. Ach. 166a (II) sostiene che ai galli çkovroda divdotai ejçqivein, un’interpretazione favorita dal ripetersi delle azioni di ‘inghiottire’ (l’aglio), ‘mordere’ e ‘mangiare’ nel passo commentato dei Cavalieri (493 ejpevgkayon, 496 davknein e kateçqivein, 497 ajpofagwvn). Nel lessico di Esichio, in un caso si afferma che l’aglio veniva fatto inghiottire ai galli (e 6249 L. o{tan ejmfavgwçi tw'n çkorovdwn), mentre ç 1113 H. potrebbe presupporre l’idea dello sfregamento dell’aglio sul becco (to; ... çkorovdoiç ajnatri'yai tou;ç ajlektruovnaç). Se dall’accordo di Hsch. e 6249 L. e dello scolio Ach. 166a (II) dobbiamo ricavare l’interpretazione didimea, nell’annotazione del papiro (e in Hsch. ç 1113 H.?) si può riconoscere una spiegazione alternativa e forse posteriore ad essa, volta a correggerla (ai galli non si faceva mangiare l’aglio, ma lo si metteva loro nelle narici). Nei rr. 5-7, Zuntz rilevava elementi di affinità con lo sch. 497a (lemma h{xeiç pavlin), nel quale si sostiene che Aristofane alluda satiricamente all’aggressività di Cleone nei confronti degli altri demagoghi suoi rivali. Tuttavia la restituzione di h{xeiç pavlin nel papiro in funzione di lemma è inaccettabile per ragioni paleografiche. Fr. 1 verso ($) La lettura at≥ª al r. 2 del testo letterario4, contro ai≥ª sostenuto da Zuntz5, esclude che qui si abbia l’inizio del v. 529 dei Cavalieri di Aristofane (a\/çai dΔ oujk h\n ejn çumpoçivw/ ktl). Contro quella ipotesi cospira anche la presenza della paragraphos sotto il rigo, che non avrebbe alcun senso dopo Eq. 529. Ne è pertanto vanificata l’ingegnosa ricostruzione operata dallo studioso6. Allo stato
4 Grenfell-Hunt 1915, p. 246, stampano ATª; questa lettura è sostanzialmente condivisa, sia pure con qualche esitazione, da E.H. Kase ap. Zuntz 1975, p. 58 (1938, p. 688). 5 Zuntz 1975, p. 59 (1938, p. 689). 6 Gli sch. Eq. 526a e 527b (I) (cfr. Sud. a 4576 A., d 1441 A.) ricordano come Cratino nella Putivnh si paragonasse a un fiume impetuoso capace di travolgere tutto ciò che incontra sul proprio cammino: Cratin. fr. 198 K.-A., in particolare v. 2 kanacou'çi phgai; dwdekavkrounon çtovma, sulla base del quale Zuntz 1975, p. 59 (1938, p. 689), integrò potamw'/ kanºa≥cou'n⁄ªti kai; dwdekakrouvºn≥w≥i nella nota marginale di P.Oxy. XI 1402. La nota del papiro è sovrastata da uno spazio bianco di circa cm 1,4. Zuntz 1975, pp. 57-58 (1938, pp. 687-688), prestando fede alla revisione autoptica di E.H. Kase (ma a fronte del silenzio in proposito dei primi editori, nonché contro l’evidenza attuale), ammise in questo spazio la presenza di due righi di annotazione, nel primo dei quali sarebbero leggibili le lettere af, e ritenne di integrare dia; tw'nº aj≥f≥ªe⁄lw'n (Eq. 527): eJauto;n parevbalen ⁄ oJ Kra(ti'noç) potamw'/ kanºa≥cou'n⁄ªti ktl. Al venir meno dell’identificazione da lui proposta, cadono parimenti le ipotesi di Zuntz riguardo agli ultimi tre righi dell’annotazione marginale. Per i rr. 4-5 Zuntz richiamava sch. Eq. 529b Dwroi' çukopevdile: Krativnou (fr. 70 K.-A.) mevlouç ajrchv ktl; sch.
228
Aristophanes 32 (?)
attuale, non è possibile avanzare su basi sicure una proposta alternativa d’identificazione del frammento7. Fr. 2 Grenfell e Hunt ipotizzavano un nesso con Ran. 576 (drevpanon) e 605 (kunoklovpon): cfr. sch. Ran. 605 kunoklovpon: to;n klevyanta to;n kuvna to;n Kevrberon. Altri accostamenti sono possibili: per $, con sch. Eq. 166b (II) klaçtavçeiç: ejk rJizw'n ajnatrevyeiç. e[nqen klaçthvrion to; drevpanon, w|/ kladevouçi kai; xuvla kai; klhvmata ·ejn tai'ç ajmpevloiç‚; e con sch. Pac. 1203 tw'n drepavnwn te lavmbane: calkeu;ç w]n drevpanon aujtw'/ dw'ron divdwçin eijrhvnh/ prevpon, kai; oJmologei' cavrin wJç th'ç tevcnhç aujtou' h[dh crhmatizouvçhç; per %, con sch. Eq. 289a kunokophvçw çe: tupthvçw çe kaqavper kuvna. tou'to de; wJç mavgeiroç levgei. e[çti ga;r kuvwn ijcqu;ç poiovç. ktl (cfr. lo scolio tricliniano 289b, nel quale levgei precede kuvna). FAUSTO MONTANA
Eq. 530a tevktoneç eujpalavmwn: (...) kai; tou'to de; ejk tw'n Eujneidw'n (Eujmenidw'n codd.; corr. Meursius, contra Kassel-Austin 1983, p. 156) Krativnou ktl. E nel r. 6 lo studioso vedeva un altro cenno alla Putivnh (e.g. ejn th'/ Putivnh/ ejdeivknºuçe o{(ti) ª ), sulla scorta dello sch. Eq. 531a paralhrou'nta: diaporou'nta kai; ajçchmonou'nta. tau'ta ajkouvçaç oJ Krati'noç (fr. 213 K.-A.) e[graye th;n Putivnhn, deiknu;ç o{ti oujk ejlhvrhçen: ejn h|/ kakw'ç levgei to;n ΔAriçtofavnhn wJç ta; Eujpovlidoç levgonta. 7 Le lettere superstiti del testo letterario e la paragraphos che le separa sono compatibili con Ve. 14-15 (Çw.) ... ⁄ ajta;r çu; levxon provteroç. (Xa.) ejdovkoun aijeto;n ⁄ kataptavmenon eijç th;n ajgora;n mevgan pavnu ktl (si deve tuttavia notare che riguardo a questi versi gli scolii medievali tacciono). La spiegazione sull’uso dell’aglio per aizzare i galli, presente nel recto del frammento, potrebbe trovare allora una ragion d’essere, per la verità non immediata, in Ve. 63 muttwteuvçomen (cfr. lo sch. ad l., che si dilunga sulla metafora e sulla triturazione dell’aglio).
33 (?)
inizio sec. IIIp
P.Oxy. LXVI 4519 Note marginali a commedia aristofanea? Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms. Ed.: GONIS 1999, pp. 158-159; MCNAMEE 2007, p. 194. Tab.: P.Oxy. LXVI (= GONIS 1999), XVI. Comm.: MP3 152.01; LDAB 7180 2006, p. 93 (nr. 214).
LUPPE 2001, p. 191; LUPPE 2002b, p. 489; DEL CORSO
Frammento di rotolo (cm 4,4 × 10,8) contenente la parte iniziale (non più di sette lettere per rigo) dei vv. 1-16 del Pluto di Aristofane, con il verso bianco. Sopra il primo verso della commedia resta un margine di cm 2,21; a sinistra del testo poetico è conservato un margine bianco per una larghezza massima di cm 2,2. La scrittura, in stile severo di modulo medio, orienta a datare il papiro verso l’inizio del IIIp (Gonis 1999, p. 158; cfr. il repertorio di Del Corso 2006, p. 93). In alto a sinistra del primo verso, a meno di un centimetro dal testo letterario, si legge la parte destra di tre righi tracciati in una minuta scrittura corsiva databile alla stessa epoca, che pone vari problemi di decifrazione e di interpretazione.
º≤ar≥i –t ≥hn≥t≤≤ª º≤ ºw≥–hn kaira≥ª ºn º≤tw– bot≥≤ª º≤ 1 º≤ parte destra di tratto arrotondato a metà altezza nel rigo; in basso, estremità di un breve tratto apparentemente orizzontale (r ?) i –t ≥ pap., forse con vacuum tra le due lettere: il tratto orizzontale inizia in alto a destra di i e sovrasta quasi interamente t≥, che pare esito di correzione n≥ frutto di correzione ≤≤ª in prossimità della lacuna, esigua parte sinistra di una lettera apparentemente di piccolo modulo unita al t precedente, seguita dall’estremità inferiore di un
1 Se sopra il v. 1 si trovava in origine il titolo del dramma (ma la cosa non è comunque probabile), esso rimaneva al di sopra del campo di scrittura della colonna stessa: cfr. Bastianini 1985, pp. 26-27.
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Aristophanes 33 (?)
tratto che scende alquanto sotto il rigo 2 ºw≥– pap. spazio bianco dopo hn anche o≥ª 3 tw– pap., seguito da spazio bianco —— 1 º≤ar≥i –t ≥hn≥t≤≤ª GB : ºra≤i–g≥– h≥n≥tù≥ª º≤ Gonis 3 ºç≥a tw– Gonis : ºk≥tw– ?
a≥ª possibile
Non si ravvisano punti di contatto con la tradizione esegetica medievale concernente il Pluto, tali da far ritenere questi resti come pertinenti a materiale introduttivo su questa commedia (cfr. Gonis 1999, pp. 158-159). La posizione nello spazio bianco precedente la colonna di scrittura è compatibile con l’ipotesi che si tratti di marginalia, forse riferibili all’ultima colonna di testo di un dramma (eventualmente, ma senza possibilità di prova, di Aristofane), che nel rotolo precedesse il Pluto. Oppure, meno improbabilmente, potrebbe trattarsi di una notazione riguardante Aristofane in generale, scritta nell’agraphon iniziale del rotolo: la lettura º≤ar≥ al r. 1 (G. Bastianini), in presenza del tratto orizzontale che segue in alto il successivo iota, dà luogo alla suggestiva ipotesi che il rigo ospiti un nome proprio in forma abbreviata, forse ΔAri( ) 2. FAUSTO MONTANA
2 Le tracce che seguono immediatamente la lacuna iniziale escludono Kariv(wn), il personaggio del Pluto.
34 (?)
P.Sorb. I 71, col. II 4 = CGFP 342, 15 [⇒ III: Lexica]
sec. II/IIIp
Voce di lessico (Pax 425?)
cruçivç:
fiavlh cruçh'.
dopo cruçiç spazio bianco
cruçivç: ampolla d’oro.
Con il termine cruçivç si può indicare una ‘coppa’ o un ‘vaso d’oro’, come nel nostro caso, oppure un ‘capo d’abbigliamento ricamato in oro’ (in particolare in Luciano: con riferimento a un abito in Nigr. 11, 6; a sandali in DDeor. 6, 2, 10). Si tratta di un vocabolo ampiamente attestato. Andrà tuttavia rilevato che P.Sorb. I 7 sembrerebbe un lessico comico e in tale àmbito – ove converrà cercare il locus classicus da cui la glossa dipende (cfr. n. 1) – si incontra in Cratino (fr. 132 K.-A., in cui è peraltro documentata anche un’antica corruttela, rJuçivç, cfr. Athen. XI 496e, Hsch. r 526 H.), in Ferecrate (fr. 134 K.-A.), in Ermippo (fr. 38 K.-A.)2, in Aristoph. Ach. 74 ejx uJalivnwn ejkpwmavtwn kai; cruçivdwn, Pax 425 oi[mΔ wJç ejlehvmwn ei[mΔ ajei; tw'n cruçivdwn.
1 Il frammento di rotolo (cm 13,6 × 6), edito per la prima volta da Cadell 1966 (MP3 2126.2; LDAB 5132 ⇒ III: Lexica), redatto in una grafia veloce che risente dell’impostazione ad alternanza di modulo di certe scritture d’ufficio databili tra la fine del II e gli inizi del III d.C., serba i resti di un lessico presumibilmente comico: le parole qui registrate appartengono infatti, tutte tranne una, alla lingua dei poeti comici e occorrono nei frammenti di Magnete, Cratino, Ferecrate, Ermippo, Eupoli, Aristofane, Teopompo comico ed Eubulo. Data l’esiguità del frammento non è possibile stabilire tuttavia se il volume di papiro di cui faceva parte fosse interamente dedicato alla lexis comica. Si tratta di un testimone indubbiamente meno significativo di altri dello studio e della ricezione di Aristofane nell’antichità: il commediografo infatti non viene esplicitamente citato (l’interpretamentum del resto è essenziale e non comporta mai citazioni). In base, però, ai raffronti con la tradizione scoliastica e lessicografica, non si può affatto escludere che proprio Aristofane sia la fonte delle glosse cruçivç e yhvneç (⇒ 35 [?]). Tra l’altro anche se, evidentemente, non si tratta di un prodotto raffinato, d’erudizione (Debut 1986, p. 266, lo scheda come papiro scolastico), appare innegabile che questo vocabolario abbia la sua fonte in opere dotte. Non a caso tutte le glosse compaiono spesso molto simili, se non identiche, negli scholia vetera nonché in vari filoni lessicografici. Su questo papiro cfr. anche Esposito 2009a, pp. 292-293. 2 Cratino ed Ermippo sono testimoniati da Ateneo XI 496e e 502a-b Ferekravthç de; h] oJ pepoihkw;ç
232
Aristophanes 34 (?)
Il passo aristofaneo è con ogni evidenza la fonte di Sud. c 570 A. cruçivç: hJ cruçh' fiavlh. oi[mΔ wJç ejlehvmwn ei[mΔ ajei; tw'n cruçivdwn. ajnti; tou' h{ttwn (in cui il finale ajnti; tou' h{ttwn non riguarda il lemma, ma è una chiosa di ejlehvmwn). Dato che il lessico – come si è detto – parrebbe caratterizzarsi come comico, è possibile che anche la nostra annotazione derivi da Aristofane, anche se, è opportuno rimarcarlo, non mancano concorrenti all’interno della commedia. Alquanto ampia è, del resto, la tradizione lessicografica che testimonia questa glossa: evidenti paralleli sono costituiti da Hsch. c 788 H.-C. *cruçivda: th;n cruçh'n fiavlhn, c 791 H. cruçivç: pothvrion. oiJ de; fiavlh cruçh' e Harp. c 13 K. (p. 307, 14-15 D.) cruçivç: hJ fiavlh: Dhmoçqevnhç ejn tw/' katΔ ΔAndrotivwnoç, ΔAriçtofavnhç Eijrhvnh/, che richiama due diversi loci classici, Demosth. 22, 76 e Aristoph. Pax 425, su cui cfr. gli scolii rispettivi (180, 2 D.) cruçivdeç de; cruçai' fiavlai (YL) e 425ba cruçivda th;n fiavlhn (si noti la lemmatizzazione all’accusativo); sch. Tr. 425bb tw'n cruçivdwnº th'ç fiavlhç, 425c 2 tw'n cruçivdwn, dia; th;n cruçh'n fiavlhn RVG. Cfr. pure sch. Aristoph. Ach. 74a cruçivdwn: cruçw'n fialw'n, sch. Tr. 74b cruçivdwnº tw'n ejk cruçou' pothrivwn. Altre attestazioni lessicografiche di esegesi simili a quella del nostro papiro sono costituite da Moer. c 27 H. cruçivda th;n cruçh'n fiavlhn ΔAttikoiv, Poll. VI 98, 10 s. cruçi;ç de; kai; ajrguri;ç fiavlai me;n a[mfw, VII 102, 25 s. cruçivdeç de; fiavlai, Lex. Rhet. p. 316, 14 B. cruçivdeç tivneç levgontai: fiavlai cruçai', Sb a 2104 C. ajrgurivç: ajrgura' fiavlh, wJç cruçi;ç hJ cruçh' (= Phot. Lex. a 2776 Th.), Thom. Mag. Voc. Attic. 395, 5-9 R. cruçivdeç kurivwç aiJ ajnatiqevmenai toi'ç qeoi'ç cruçai' fiavlai ... katacrhçtikw'ç de; kai; pa'ça ejk cruçou' fiavlh cruçivç levgetai. Come si sarà notato, già a partire dalla testimonianza di Ateneo e poi da quelle lessicografiche la glossa ha carattere atticista. ELENA ESPOSITO
tou;ç eijç aujto;n ajnaferomevnouç Pevrçaç fhçiv: çtefavnouç te pa'çi kwjmfalwta;ç cruçivdaç. ΔAqhnai'oi de; ta;ç me;n ajrgura'ç fiavlaç ajrgurivdaç levgouçi, cruçivdaç de; ta;ç cruça'ç. th'ç de; ajrgurivdoç ªfiavlhçº Ferekravthç me;n ejn Pevrçaiç ou{twç mnhmoneuvei: ou|toç çuv, poi' th;n ajrgurivda thndi; fevreiç… cruçivdoç de; Krati'noç ejn Novmoiç: cruçivdi çpevndwn gevgrafe toi'ç o[feçi piei'n didouvç: kai; ”Ermippoç ejn Kevrkwyi: cruçivdΔ oi[nou pançevlhnon ejkpiw;n uJfeivleto ktl.
35 (?)
P.Sorb. I 7, col. III 1 = CGFP 342, 23 [⇒ III: Lexica]
sec. II/IIIp
Voce di lessico (Av. 590?)
yh'neç: ta; ejk tw'n ojlªuvnqwn kwnwvpia. yhdeç pap., seguito da spazio bianco; d cancellato con un tratto obliquo e corretto con una lettera, verisimilmente n, di cui si vede sul bordo di frattura la base del primo tratto verticale —— suppl. Cadell 1966
yh'neç: i [moscerini] dei fichi selvatici.
Il lemma indica il culex ficarius, un insetto che depone le proprie uova nei fichi1. La fonte – poiché P.Sorb. I 7 attinge alla lexis comica (⇒ 34 [?] n. 1) – potrebbe identificarsi in Aristoph. Av. 590 ei\\qΔ oiJ kni'peç kai; yh'neç ajei; ta;ç çuka'ç ouj katevdontai: il termine infatti non ricorre altrove nei comici2 e tale passo aristofaneo, tra l’altro, è citato come emblematico nella tradizione grammaticale da Hdn. Mon. lex. II p. 922, 13-15 L. ajnadravmwmen ejpi; ta; paradeivgmata, Zhvn, mhvn, çplhvn, çfhvn, yhvn. ΔAriçtofavnhç: ei\\qΔ oiJ kni'peç kai; yh'neç ajei; ta;ç çuka'ç ouj katevdontai e Poll. VII 144, 2-6 ta; de; zw'/a ta; ejn toi'ç çuvkoiç yh'neç kai; kni'peç, ΔAriçtofavnouç eijpovntoç: kni'peç kai; yh'neç ta;ç çuka'ç ouj katevdontai3. Da notare che questa glossa non è isolata, ma trova un puntuale parallelo in Hsch. y 149 H. yh'neç: kwnwvpia ta; ejn toi'ç ojluvnqoiç ginovmena ~ Gloss. in Hdt. I 193, 28 Ash. yh'neç. kwnwvpia ta; ejn toi'ç ojluvnqoiç toi'ç a[rçeçi ~ Sud. y 70 A. yh'neç: kwnwvpia, ta; ejn toi'ç ojluvnqoiç ginovmena. oi{tineç kai; tw'n ojluvnqwn periap-
1
Per le antiche conoscenze su di esso rinvio a Beavis 1988, pp. 212-216. Questo vocabolo compare però, oltre che nella trattatistica scientifica (cfr. infra), anche in Hdt. I 193, 28. 3 Escluderei che la nostra glossa derivi invece, ad esempio, dall’esegesi di Aristoph. Eq. 522-523 kai; yavllwn kai; pterugivzwn ⁄ kai; ludivzwn kai; yhnivzwn il cui scolio relativo (522a) recita yavllwn ·tou;ç Barbitivdaç tavççouçin oiJ lovgoi‚ ã: tou;ç Barbitiçta;ç a ‘ n levgoi:Ã dra'ma dev ejçti tou' Mavgnhtoç. hJ de; bavrbitoç ei\\doç ojrgavnou mouçikou'. “pterugivzwn” de; o{ti kai; [Orniqaç ejpoivhçe dra'ma: e[graye de; kai; Luvdouç kai; Yh'naç kai; Batravcouç. e[çti de; crwvmatoç ei\\doç to; batravceion: ajpo; touvtou kai; batraci;ç iJmavtion. ejcrivonto de; tw'/ batraceivw/ ta; provçwpa, pri;n ejpinohqh'nai ta; proçwpei'a. to; “yhnivzwn” de; ei\\pen wJç pro;ç tou;ç Yh'naç ajnafevrwn. Questa ipotesi potrebbe trovare un supporto, a mio avviso però tutt’altro che decisivo, nel rigo seguente del papiro yhnivzwn: ejpi; Mavgnhªt-. 2
234
Aristophanes 35 (?)
tomevnwn tai'ç çukai'ç pepaivnouçi ta; çu'ka ktl, EM. p. 818, 30 G. yh'neç: aiJ mikrai; mui'ai: ejx ou| kai; proeyhniçmevnoç. kai; yh'naç levgouçi to; çpevrma tw'n foinivkwn, Zon. p. 1871, 20-22 T. yh'neç. oiJ tw'n foinivkwn karpoi; kai; oiJ klavdoi. kai; o[noma ijcquvwn. kai; ta; ejn toi'ç ojluvnqoiç ginovmena kwnwvpia. Alquanto numerosi sono inoltre i passi, nella lessicografia e nella scoliografia, che fanno oggetto della loro trattazione questi insetti, mettendo probabilmente a frutto materiale di derivazione aristotelica (cfr. HA. 557b 26 ~ Ar. Byz. HA. 1, 36 L., 821a 14, nonché, sempre in àmbito peripatetico, Thphr. HP. II 8, 1, II 8, 2, II 8, 3, CP. II 9, 5, II 9, 6, II 9, 9, II 9, 12, V 1, 8)4. ELENA ESPOSITO
4 Cfr. Hsch. e 5860 L.; Phot. Lex. a 1933 Th. ~ Sud. a 2381, e 2933 A.; Phot. Lex. e 15 Th. e p. 624, 25 P.; EGen. a 860 = EGud. (c) a 1262 = EM. 1398 = ESym. 1022 L.-L.
Aristophanes - schede
235
SCHEDE
P.Berol. inv. 9965 (MP3 2121.01; LDAB 7028), col. II 7 e 20 (sec. III-IIa) [⇒ III: Lexica]. Frammento di lessico ordinato alfabeticamente non oltre la seconda lettera, di cui si conservano 3 colonne (la prima e la terza solo parzialmente). Le parole appartengono alla lexis omerica/epica, tragica, alla poesia ellenistica e sono attestate in Esichio1. Alla col. II 20 vi è una glossa che indica un uso della parlata ateniese (ΔAqhnai'oi) tale per cui blimavzw ‘palpo’ è sinonimo di baçtavzw ‘soppeso’. Non sarebbe assurdo pensare che la fonte fosse Aristoph. Av. 530, in cui oiJ dΔ wjnou'ntai blimavzonteç si riferisce all’atto di chi, comprando le galline, le palpa cercando di comprenderne peso e valore, sia perché laddove la voce è attestata nel greco del V sec. (Soph. fr. 484 R2., Cratin. fr. 335 K.-A., Aristoph. Av. 530, Lys. 1164 e forse Pherecr. fr. 232 K.-A.), l’unico passo in cui blimavzw sembra usato con il valore di baçtavzw è quello aristofaneo di Av. 530, sia soprattutto alla luce di Hsch. b 741 L. blimavzein: to; titqolabei'n. oiJonei; qlivbein, h] baçtavzein, kai; to; tou;ç o[rniqaç ejk tw'n çthqw'n peiravzein. ΔAriçtofavnhç “Orniçin2. Nel papiro, tuttavia, a ben vedere, si legge non bleªiºm≥ªavºzei: baçtavzei ΔAqhnai'oi3 ma bleªiºm≥ªavºz≥ei: baçtavçei ΔAqhnai'oi4: vista la chiosa (baçtavçei) è presumibile che bleimavzei sia un errore del copista per bleimavxei (cfr. Hsch. b 743 L. blimavxai: Êbaçtavçai. ajtimavçai ~ Choerob. Orth (II p. 184, 16 Cramer) blimavxai to; baçtavxai (= EGud. p. 274, 8 de Stef.). Se le cose stanno così, non si può pensare certo (al contrario di quanto si farebbe leggendo bleªiºm≥ªavºzei: baçtavzei) a un processo di lemmatizzazione e dunque la fonte non parrebbe il passo aristofaneo, ma un altro in cui compare il futuro. Non si può ecludere, tuttavia, come ha evidenziato Ucciardello 2006, p. 45, che la corruttela si annidi non nel lemma, bensì nell’interpretamentum e che baçtavçei sia quindi un errore fonetico (scambio ç/z) per baçtavzei. In questo caso la fonte potrebbe essere, negli effetti, Aristoph. Av. 530. 1
Cfr. Esposito 2009a, pp. 287-288. Cito il testo così come ha proposto di stamparlo Tosi 1975-1977, pp. 294-295; la glossa esichiana trova riscontri in sch. Aristoph. Av. 530b, c, f; Phot. b 170 Th. (ma cfr. pure b 168 e 169 Th); Sud. b 341 A. 3 Così Poethke 1993, p. 18. 4 Questa glossa è rispecchiata molto da vicino da Hsch. b 675 L. [blaçtavzein: blimavzein] [oiJ aujtoiv] dove, come ha mostrato Tosi, blaçtavzein deve considerarsi corruzione di baçtavzein e oiJ aujtoiv di oiJ ΔAttikoiv. Che le espunzioni di Latte – già criticate con argomentazioni convincenti da Tosi 1975-1977, pp. 294-295 – siano erronee, trova nel nostro papiro una decisa conferma. Altre glosse esichiane che chiosano il verbo sono b 79 L. Êbaimavzein: Êbaçileuvein, h[ Êbaçtavzein (per cui Tosi 1975-1977, p. 294, ha sottolineato che evidentemente baimavzein è corruzione di blimavzein) e la citata b 743 L. blimavxai: Êbaçtavçai. ajtimavçai. 2
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Aristophanes - schede
Ancora più ipotetico è che derivi da Aristofane la glossa di col. II 7 blavx: mw'roç: jAqhnai'oi. E tuttavia anche qui non si può del tutto scartare che la fonte fosse Aristoph. fr. 672 K.-A., con lemmatizzazione al nom. sing., sulla base soprattutto di EGen. AB b 129 L.-L. (EM. b 153 L.-L., ESym. b 116 L.-L.) blavx: oJ eujhvqhç kai; ajrgo;ç kai; ajnovhtoç. ΔAriçtofavnhç: bla'keç, fugergoiv: “blavx te kai; hjlivqioç gevnwmai” (Xen. Cyr. I 4, 12). ei[rhtai de; ajpo; tou' malakovç, kai; to; uJpokoriçtiko;n mavlax, wJç bwmolovcoç bw'max, plouvçioç plouvtax: mavlax ou\n kai; kata; çugkoph;n kai; troph;n blavx. eijç de; to; lexiko;n to; ÔRhtoriko;n eu|ron ejgw; eijrh'çqai th;n levxin ajpo; ijcquvoç tino;ç oJmoivou çilouvrw/, ajcrhvçtou o[ntoç wJç mhde; kuvna aujtw'/ crh'çqai: Politeivaç dV (432d): “blakikovn te hJmw'n to; pavqoç”, wJç eij levgoi tiç pleumonivan ajpo; tou' qalattivou zwv/ou o[ntoç ajnaiçqhvtou. oiJ dΔ ajpo; tou' pro;ç th'/ Kuvmh/ cwrivou th'ç Blakeivaç, ou| mevmnhtai kai; ΔAriçtotevlhç (fr. 525 Rose). kai; ejn ΔAlexandreiva/ de; tevloç ti blakennovmion, o} oiJ ajçtrolovgoi telou'çi dia; to; tou;ç mwrou;ç eijçievnai pro;ç aujtouvç. Si tengano inoltre presenti Lex.Cyr. (ex Brem. G 11) b 103 (p. 53 Hagedorn) blavx: mw'roç; Hsch. b 671 L. *blavx: mwrovç, ajpov tinoç ijcquvoç duçwvdouç. S h] oJ dia; nwqeivan hJmarthkw;ç ejn toi'ç prodhvloiç; Hsch. b 664 L. bla'ka kai; blakeuvein: to;n ajrgo;n kai; ajrgei'n jAqhnai'oi. e[nioi probatwvdh AS; cfr. inoltre Ael. Dion. b 16 Erbse blavx: malakovç, cau'noç, ejklelumevnoç h] mwrovç = Sud. b 314 A. ~ S b 56 Cunn., Phot. b 160 Th. Alternativamente si tratterà di un luogo perduto5. ELENA ESPOSITO
*** P.Grenf. II 12 (MP3 1625; LDAB 356) (sec. IIp) Ritaglio (cm 8,7 × 10,9) ricavato da un volumen contenente sul recto l’inizio di otto righi di testo poetico (i primi sette in metro giambico, l’ottavo in eisthe-
5 La forma, come aveva già notato Ucciardello 2006, p. 45 n. 30, ad esempio, ricorre al nominativo anche in Heracl. B 87 D.-K. e in Xenoph. Cyr. I 4, 12, ma difficilmente saranno questi i loci classici alla base del lemma. Si noti invece come ancora in Aristoph. Av. 1324 ricorra l’avverbio blakikw'ç sulla base di una varietà ittica di cui si parla in Erot. b 9 (p. 28, 15-21 Nachmanson) blakeuvein: ojligwrei'n. ajllav ge to; ejpi; plei'çton diatrivbein ou{twç ei[rhtai. e[çti ga;r ei\doç ijcquvoç legomevnou blakovç, o}ç ejn tw'/ çunouçiavzein duçapoluvtwç e[cei. ou| mevmnhtai kai; ΔAriçtofavnhç ejn “Orniçi. levgetai de; katΔ eujqei'an ptw'çin blavx. Lo studioso rileva inoltre, giustamente, come Poethke 1993 (ed. pr.) stampi mw'roç quale testo del papiro (in cui non si hanno accenti), con accento perispomeno, valutato dai grammatici come tipicamente attico (vd. Hdn. I p. 192, 26-27 Lentz mwro;ç kai; mw'roç ΔAttikw'ç), laddove Esichio e, a quanto sembra, il Brem. G 11 del Lex.Cyr. (cfr. Hagedorn 2005, ad loc.) hanno l’accento di koiné mwrovç; se il passo sotteso pertiene alla commedia attica, allora l’accentazione corretta è quella perispomena privilegiata nell’editio princeps.
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sis) affiancati a sinistra da annotazioni e seguiti in basso da ampio margine inferiore (cm 6 circa). Il verso è stato riutilizzato per il testo, scritto lungo le fibre, di una domanda oracolare destinata al tempio di Soknopaiou Nesos, riferibile su base paleografica al IIIp (Messeri Savorelli-Pintaudi 1996, che datano alla fine del IIp il testo letterario e i marginalia del recto: ibidem, p. 186 n. 8; cfr. van Minnen 1998, p. 145 n. 137). L’appartenenza del testo letterario al genere drammatico si basa essenzialmente su due dati: (1) il riferimento nel testo stesso a una “Melanippe” (v. 7 kata; th;n Melanivpªphn, restituito da J.P. Mahaffy ap. ed. pr.), che indusse i primi editori a sospettare la provenienza del frammento dalla Melanippe desmotis di Euripide (Grenfell-Hunt 1897, p. 24; cfr. Jouan-Van Looy 2000, p. 353; Kannicht 2004, p. 537), ma pare meglio inquadrabile come allusione comica a un modello serio (Crusius 1898, p. 82; cfr. adesp. com. fr. 1005 K.-A.); (2) la probabile presenza, nei marginalia che affiancano i rr. 6-7 del testo poetico, di una spiegazione relativa alla gogna (penta⁄ªçuvriggon --- xºuvl ≥ on suppl. Blass) utilizzata come strumento di pena dei condannati, menzionata anche in Aristoph. Eq. 1049 (cfr. sch. 1049a-c). In presenza di indizi così modesti e labili, le proposte di identificazione con drammi aristofanei avanzate in passato (Thesmophoriazusae II: Blass 1897, Kuiper 1913, p. 238; Gerytades: Crusius 1898) non escono dal terreno delle pure ipotesi. Edizioni recenti: MCNAMEE 2007, p. 452; PERRONE 2009b, pp. 25-29 ⇒ Comoedia 2. FAUSTO MONTANA
*** P.Hib. II 172 (MP3 2129; LDAB 3535), col. I 15 = SH 991, 15 (sec. IIIa) [⇒ III: Lexica] L’integrazione ªiJppovºlofoç è sicura: nel papiro, infatti, il termine si trova inserito in un gruppo di composti il cui primo elemento è iJppo- o iJppio-. Esso significa ‘ornato di criniera equina’ e compare, all’interno della produzione letteraria greca, oltre che in alcuni passi più tardi del nostro P.Hib. II 172 (cfr. Iambl. fr. 1, 30; AP. append. I 217, 4; Jo. Camat. Introd. in Astr. 3287), solo in Aristoph. Ran. 818 e[çtai dΔ iJppolovfwn te lovgwn koruqaivola neivkh. Escluderei, tuttavia, che la fonte sia il passo aristofaneo, poiché si tratta di un vocabolo di patina aulica ed epica che negli scholia D ad Hom. Il. VI 9 è posto a chiosa di iJppodaçeivhç e che lo stesso Aristofane usa insieme ad altri epiteti di stampo omerico, in contesto paratragico. P.Hib. II 172 sembra peraltro attingere proprio alla lexis epica, tragica e della poesia lirica corale. ELENA ESPOSITO
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P.Mert. II 55 (MP3 2130; LDAB 2601; CPP 0523) (sec. IIp) Frammento di papiro (cm 4,2 × 7,8) di provenienza ignota, recante sulla faccia perfibrale l’inizio di quindici righi di testo, bianco sul lato opposto. Da quanto si legge, si tratta con ogni evidenza di un passo erudito concernente la festa attica delle Sciroforie, con spiegazione dell’origine del nome dall’impiego rituale da parte del celebrante, nel corso della processione, di uno çkivron (r. 5), cioè uno çkiavdeion l≥e ≥ªukovn (r. 3); a quanto pare, il testo cita Apollonio di Acarne (rr. 5-6) e scritti peri; mhnw'ªn ---º ⁄ kai; quçiw'n kaªi; (?) ---º ⁄ mwn ΔAttikw'n ª (rr. 7-9) e forse proseguiva spiegando il nome del mese di Sciroforione (rr. 11-12). I primi editori (Rees-Bell-Barns 1959) definirono genericamente il testo “etymological fragment” (a un glossario pensava Pack, cfr. MP3 2130 e LDAB 2601) e lo attribuirono cautamente al grammatico Lisimachida sulla base di Harp. s.v. çkivron, che lo cita. Questa attribuzione è respinta da De Luca 2001, che ha riconosciuto due distinte tradizioni su çkivron (forse risalenti entrambe in ultima analisi a Filocoro): una facente capo ad Apollonio di Acarne, attestata nel frammento papiraceo e nello sch. Aristoph. Eccl. 18; l’altra da ricondurre effettivamente a Lisimachida, attestata da Arpocrazione e ripresa in Sud. ç 623 A., s.v. çkivron. Su questa base, De Luca (p. 116) ipotizza “l’appartenenza del papiro ad uno hypomnema, di ottimo livello, ad Aristofane”, le cui informazioni sarebbero confluite nello scolio al v. 18 delle Ecclesiazuse. La natura del testo appariva ipomnematica anche a Turner 1960, p. 216, che però non si era sbilanciato sull’identità dell’autore commentato. Allo stato attuale, l’ipotesi di De Luca resta una congettura. Cfr. ora Esposito 2009a, pp. 263, 289 (nr. 6). FAUSTO MONTANA
*** P.Oxy. XIII 1611 (MP3 2290; LDAB 5430; CPP 0050) (sec. IIIp) Settanta frammenti di un rotolo (il più ampio dei quali, fr. 1, misura cm 18,6 × 26,5 e conserva alcune lettere finali di una colonna e gran parte delle quattro colonne successive) contenente un’opera in prosa che mette in sequenza la discussione di questioni varie di critica letteraria, secondo un impianto miscellaneo di tipo erudito ed esegetico che sembra confacente alle raccolte di età alessandrina e romana note con il nome di çuvmmikta (GrenfellHunt 1919, p. 132). Spingono in questa direzione la mise en page e alcune caratteristiche formali, come l’impiego di o{ti e l’ekthesis al principio di una
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nuova sezione, nei due casi osservabili (fr. 1, rr. 38, 101). Fr. 1, rr. 28-37, è un excerptum sul numero dei giudici in un agone comico (da cui l’inclusione del rotolo nei Poetae Comici Graeci, adesp. com. fr. 1033 K.-A.), nel quale sono riferite le testimonianze in proposito dei commediografi Lisippo (fr. 7 K.-A., dalle Bacchae) e Cratino (fr. 177 K.-A., dai Ploutoi). Sulla base di questo e di altri aspetti dell’opera è stato supposto congetturalmente (Arrighetti 1968, pp. 95-98; Id. 1987, p. 224 con la n. 195; cfr. Trojahn 2002, p. 208) che si tratti di estratti (luvçeiç, ajporivai, zhthvmata) ricavati da uno hypomnema a commedia antica (aristofanea?), forse risalente a Didimo. Al di là del problema che investe il genere e l’àmbito contenutistico di questo scritto, resta del tutto incerta la sua pertinenza ad Aristofane. Cfr. Montanari 2008a; Perrone 2009b, p. 115; Perrone 2010, pp. 99-100. FAUSTO MONTANA
*** P.Oxy. XV 1801, col. I 19-20 = CGFP 343, 19-20 (sec. II/IIIp) [⇒ III: Lexica] Ai rr. 16-20 di questo papiro – che conserva un lessico con citazioni tratte per lo più da autori comici e che mostra molte somiglianze in particolare con il lessico di Esichio (cfr. ⇒ 3 n. 1) – si legge ⇒ 12: 16 ªbduvllein: ΔAriçtofavnhç ejn Luçiçtravthi: “tiv bduvlleqΔ hJºm≥aç' … ou[ tiv pou polªlai; dokou'men ei\nai…”
ºe≥nj Çatuvroiç: “ajllΔ o≥t{ an ºç≥, çavfΔ i[çte, kai; çofoi'ç” º≤ e ka]n o[nar çe movnon ºai
Non è escluso che i rr. 19-20 si riferiscano alla medesima glossa dei rr. 1618, benché sia forse più probabile, come ipotizza Luppe 1967, p. 93, che con il r. 19 si passi a un altro lemma. In caso contrario infatti bduvllein verrebbe a essere seguito da tre o quattro citazioni (la prima ai rr. 16-17 tiv bduvlleqΔ … ei\nai, la seconda ai rr. 17-18 ajllΔ o≥{t ≥an … çofoi'ç, la terza e quarta ai rr. 19-20), la qual cosa parrebbe inusuale nel papiro. Egli congettura dunque bdeluvttomai e suggerisce di completare i rr. 19-20 nel modo seguente: [bdeluvttomai: miçw' ... ejn ... bdeluvttomaivº ç≥e ka]n o[nar çe movnon ⁄ [i[dw. ? kai; ΔAriçtofavnhç ejn “Orniçin: kai; to;n Çkellivou bdeluvttomºai ? Che tale lemma comparisse nel nostro papiro sembra assolutamente plausibile, per diverse ragioni. Innanzitutto si noti che voci riconducibili a questa radice sono registrate in Esichio (cfr. Hsch. b 382-391 L.) prima di bduvllwn (b
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392 L.) e bduvllein (b 393 L.), nonché in EM. p. 192, 22-38 G., testi che – come si è detto – rispecchiano più volte P.Oxy. XV 1801; il verbo inoltre in àmbito comico occorre solo in Aristofane (cfr. Ach. 586, 599, Eq. 252, 1157, 1288, Nub. 1133, Pax 395, Av. 126, 151, 1501, Plut. 700) e in Menandro (fr. 362, 6 K.-A.) e P.Oxy. XV 1801 contiene, per l’appunto, citazioni in gran parte aristofanee. Esistono tuttavia diverse altre possibilità oltre a quella prospettata da Luppe, sia quanto a lemmi che potrebbero essere registrati, sia per ciò che concerne la sintassi della glossa. Pertanto, data la lacunosità del papiro e la paternità incerta del testo citato, ritengo più prudente non azzardare alcuna ricostruzione ed eventuale attribuzione. ELENA ESPOSITO
*** P.Oxy. LXVI 4508 (MP3 2291.02; LDAB 7169) (sec. IIp) Il primo di questi quattro frammenti di rotolo, contenenti un testo in prosa, menziona probabilmente le Horae di Aristofane (fr. 1, 6-11): ºç fulakh'ç piª ⁄ Cºariavdhç tw'n ª ⁄ º≤wn Kallivou ª ⁄ ΔAriçºtofavnhç ejn≤ª (ejn ”W⁄ªraiç ? Gonis) ⁄ pºaravgei ta;ç ”Wrªaç ⁄ -ºouvçaç pro;ç toª . Lo sch. Luc. 21, 48, informa che Callia figlio di Ipponico era oggetto dell’ironia del poeta in questa commedia perduta (fr. 583 K.-A.) e Aristofane lo prende di mira anche in Ran. 428-430 e 501. Gonis 1999, p. 110, non esclude la possibilità – accanto ad altre – che nell’opera si debba riconoscere uno hypomnema, forse a un dramma comico. Ad ogni modo, poiché il commediografo vi è espressamente citato per nome, si può escludere con una certa sicurezza che a lui appartenga l’opera oggetto di commento (così Luppe 2002b, p. 488; cfr. Trojahn 2002, pp. 208-209). Cfr. Perrone 2009a, p. 207; Perrone 2009b, pp. 96-100 ⇒ Comoedia 11 (?). FAUSTO MONTANA
*** P.Ryl. III 483 (MP3 1629; LDAB 344) (sec. IIp) Frammento di volumen (cm 7,5 × 12 circa) con resti di due colonne di testo poetico ascrivibile a commedia antica (adesp. com. fr. 1075 K.-A.), bianco sul verso. L’intercolumnio conservato ospita tre annotazioni marginali, riferibili in base alla posizione a col. I, rr. 4 (le(ivpei) to; ejçtiv), 5 (ajn(ti; tou') malavtthi) e 9-10 (resti quasi illeggibili di una dozzina di lettere). L’attribuzione del frammento poetico ad Aristofane fu sostenuta da Körte
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1941, p. 118 (nr. 963), per l’occorrenza del raro verbo monokoitevw (r. 5 del papiro) in Aristoph. Lys. 592, nonché di forme di turbavzw ed ejkfagei'n (rispettivamente rr. 8 e 11) in varie commedie conservate di Aristofane. Al di là di questi generici indizi, allo stato attuale non è possibile accertare né rafforzare questa ipotesi di attribuzione. Cfr. McNamee 2007, p. 453; Perrone 2009b, pp. 59-62 ⇒ Comoedia 7. FAUSTO MONTANA
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I papiri non hanno restituito molto dell’esegesi antica delle opere di Aristotele, ma qualche considerazione di un certo interesse può essere suggerita anche dagli scarni resti che sono qui raccolti. Senza riprendere i ben noti problemi relativi alle vicende della biblioteca privata di Aristotele e alla circolazione delle sue opere (evoluzione e consolidamento del corpus, formazione dei trattati essoterici, edizioni nei primi secoli dell’età imperiale), possiamo considerare che, per circa tre secoli dopo la morte del filosofo nel 322, le opere esoteriche siano state poco lette e conosciute (se non in ambienti e da persone in qualche modo legati alla tradizione di scuola), mentre le opere essoteriche dovettero godere di una maggiore fruizione. La situazione cambiò dopo l’edizione di Andronico di Rodi. Rimane quantomeno problematico valutare sia l’incidenza effettiva (in senso filologico-editoriale) del suo intervento, sia l’entità dell’impatto del suo lavoro sulla reale circolazione degli scritti aristotelici: ma da allora le opere acroamatiche divennero note e l’Aristotele pervenuto deve essere sostanzialmente quello determinato verso la fine del I sec. a.C. dalla copia o “edizione” (qualunque cosa fosse) allestita da Andronico (con possibili variazioni in séguito). Resta forse discutibile quanto larga sia stata la diffusione e conoscenza di Aristotele che si produsse in concreto, ma non si può dubitare che sia iniziata da qui una cospicua fortuna editoriale ed esegetica, incarnata vistosamente da un grande numero di interpreti, commentatori e traduttori1. Un solo testimone papiraceo di esegesi aristotelica appartiene all’arco cronologico della prima fase di questo percorso, che va da Andronico (I sec. a.C.) fino all’opera di Alessandro di Afrodisia: il prodotto esegetico ai Topici ⇒ 7, della fine del I sec. d.C., viene definito “commentario”, termine la cui applicazione a questo caso richiede attente precisazioni2, oppure “parafrasi”, ter1 Riferimento canonico a Moraux 1984. L’attenta revisione delle testimonianze fatta da Barnes 1997, pp. 1-69, deve indurre alla prudenza rispetto alle opinioni più diffuse e ad esprimersi con una cautela, che spero di avere adottato in modo opportuno; cfr. sull’introduzione alla storia del testo anche Rashed 2005, pp. CLXXXVI-CCXXII (pp. CXCVI ss. sul cosiddetto Andronicus auctus). 2 Ritengo che individuare come una categoria il “commentario a lemmi continui” sia nel complesso piuttosto aleatorio (cfr. soprattutto Del Fabbro 1979, pp. 70-78: gli esempi citati sono assai differenti fra loro e la questione deve essere riconsiderata) e mi pare preferibile ricorrere alla definizione di “edizione commentata”: vd. infra e ⇒ 7.
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mine altrettanto bisognoso di chiarificazioni e soprattutto da non intendere con un valore troppo riduttivo. L’unica parte di cui si riesce a capire qualcosa del contenuto sono i righi di esegesi che seguono il primo lemma nella col. I (rr. 10-14), nei quali si trovava senz’altro almeno qualche elemento che va al di là della semplice trascrizione parafrastica del testo aristotelico a scopo di comprensione letterale e che lascia intravvedere un certo sforzo di spiegazione del senso del discorso. Dato che questo è il solo punto almeno parzialmente comprensibile, sarà azzardato pensare che fosse un caso isolato o eccezionale in un contesto generalmente del tutto elementare e modesto: sarà più plausibile che elementi di questo genere fossero presenti con una qualche regolarità. È vero che siamo abbastanza lontani dal commentario di Alessandro di Afrodisia, il primo ai Topici che sia pervenuto e che era stato preceduto da quelli perduti del suo maestro Ermino e del più antico Sozione. Per questo papiro, Sozione (I sec. d.C.) è l’unico, a nostra conoscenza, che potrebbe teoricamente entrare in gioco per motivi cronologici, ma non è certo il caso di avanzare spericolate attribuzioni3. L’opera testimoniata nel frammento appartiene a una fase piuttosto iniziale della filologia sulle opere esoteriche e ancora abbastanza vicina alle vicende “librarie” di Andronico: dunque nel pieno del periodo, anteriore ad Alessandro di Afrodisia, che appare caratterizzato da uno sforzo filologico ed esegetico di base, volto a ordinare e chiarire il difficoltoso materiale ritrovato4. Due caratteristiche appaiono essenziali: 1) il testo dei Topici è presente per intero, diviso in pericopi il cui peso è quantitativamente pressappoco paritario in confronto alla relativa esegesi, che viene intercalata in eisthesis rispetto ai righi del testo aristotelico5; 2) il discorso esegetico è caratterizzato da una parafrasi intesa alla decodifica più o meno letterale del testo, nel corso della quale si aggiungono occasionalmente elementi di spiegazione del contenuto. Un’opera alla quale si adatta la definizione di “edizione commentata”6, veicolo di un lavoro che credo si collochi bene in quella prima fase della filologia aristotelica, caratterizzata dall’impegno a mettere ordine editoriale nelle
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Cfr. Moraux 1984, pp. 215-216; Funghi-Cavini 1995, p. 18. Cfr. su questa linea le osservazioni di Abbamonte 2004, part. pp. 29-33. 5 Mi pare corretto descrivere in questo modo l’assetto del testo e la sua impaginazione, piuttosto che al contrario, cioè testo aristotelico in ekthesis rispetto ai righi di commento. Benché eisthesis ed ekthesis siano termini e nozioni evidentemente relativi, credo che lo scriba inizi il suo lavoro sulla base di una data larghezza “regolare” della colonna di scrittura, rispetto alla quale potrà realizzare righi in ekthesis oppure in eisthesis. Mi pare indicativo il fatto che qui per Aristotele, come per Callimaco nel papiro di Lille (vd. infra), sia il testo commentato a occupare la larghezza piena della colonna, mentre i righi di commento sono rientrati: un simile rapporto è possibile e accettabile se fra testo e commento non c’è un grosso squilibrio quantitativo, mentre sarebbe più difficile da immaginare e realizzare quando ai lemmi del testo commentato seguisse un ben più esteso commento. 6 Cfr. infra e n. 11. 4
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opere esoteriche di Aristotele anche per mezzo di sforzi esplicativi di accompagnamento del tutto essenziali7. Naturalmente, Moraux poteva ben dire che questo singolo ritrovamento non deve far concludere che i commentari ad Aristotele dei secoli I a.C.-I d.C. fossero tutti di questo tipo, cioè “fossero di misura modesta e passassero solo di poco la lunghezza dello scritto commentato, mentre lo sviluppo verso analisi testuali estremamente ampie si sarebbe verificato solo nel II sec. d.C., forse con Aspasio e Alessandro”8: tuttavia in queste parole si percepisce quella tendenza a svalutare oltre misura l’esegesi testimoniata nel papiro, di cui già abbiamo detto e da cui è opportuno guardarsi. Possiamo addurre almeno un parallelo significativo. Il ben noto papiro di Lille di Callimaco, contenente versi della parte iniziale del III libro degli Aitia con commento9: il testo callimacheo è riportato per intero e si alterna con parti esegetiche in eisthesis; l’esegesi consiste per lo più in glosse o parafrasi, ma occasionalmente offre notizie di ordine storico o linguistico (notevole una dettagliata nota prosopografica su una questione dinastica)10. Questa “edizione commentata”11 fu prodotta in Egitto poche generazioni dopo la morte del poeta, essendo il papiro databile alla prima metà del II sec. a.C.12: la filologia callimachea muoveva dunque proprio i primi passi e le opere del poeta avevano conosciuto anche problematiche di sistemazione editoriale13. Le analogie fra le situazioni in cui furono prodotti il commento ai Topici di Aristotele del I sec. d.C. e il commento agli Aitia di Callimaco della fine del III sec. a.C. appaiono abbastanza chiare per ritenere che la formula e presentazione libraria della “edizione commentata”, con le caratteristiche che abbiamo visto, rispondesse a esigenze affini. Forse, nei primi tempi di una filologia aristotelica alle prese con i testi procurati da Andronico di Rodi, si ritenne utile l’adozione di un modello che aveva dato prova di sé in condizioni confrontabili e paragonabili, pur con le evidenti differenze. In verità, non vorrei che questi due esempi inducano a connettere per forza il modello della “edizione commentata” alle fasi iniziali del percorso esegetico su un autore: una connessione possibile, ma non necessaria. Più prudentemente, mi accontenterei di ritenere individuata una tipologia libraria ed esegetica nella quale si presenta un testo completo, diviso in pericopi accompagnate e intercalate
7 Per i quali, dato il tipo di opere, esito a usare il termine “elementari”, soprattutto se inteso con un valore unicamente ed eccessivamente riduttivo. 8 Moraux 1984, l.c. sopra alla n. 3: cito dalla trad. it., II 1, p. 211. 9 P.Lille inv. 76d + 78abc + 79 + 82 + 84 (MP3 207.3; LDAB 527). 10 Testo in SH 254-265 (add. in Suppl. SH 254-265). 11 Così la definivo in Montanari 1976, p. 147; cfr. Del Fabbro 1979, pp. 70-71, e Messeri SavorelliPintaudi 2002, pp. 46-49; Montanari 2006, pp. 11-13. 12 Cfr. Turner 1987, p. 126 e tavv. 75 a-b; così anche Bastianini 2006. 13 Cfr. Montanari 2002, pp. 76-77; sulla filologia callimachea cfr. da ultimo Bastianini 2006.
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da un’esegesi di tenore prevalentemente parafrastico, con la possibile presenza aggiuntiva di altri contenuti esplicativi, determinati dal carattere del testo commentato: un prodotto evidentemente diverso dallo hypomnema, dalla nuda parafrasi interlineare e dal glossario (anche continuo), che poteva rispondere a specifiche esigenze in varie situazioni, anche ma non necessariamente nelle fasi iniziali del percorso critico su un autore o un’opera. In un periodo ben più tardo dell’esegesi aristotelica, compreso cioè cronologicamente fra il commento di Temistio (IV sec.) e quello di Giovanni Filopono (V-VI sec.), si colloca l’esemplare degli Analitici Posteriori del V sec. restituito dal frammento di Berlino ⇒ 1. Le due pagine del foglio di codice (siamo appena dopo l’inizio dell’opera) erano corredate di scolii, che oggi purtroppo risultano quasi del tutto illeggibili: le poche lettere ancora leggibili nel margine inferiore del verso lasciano intravvedere o supporre moduli scoliastici, quali l’inizio con o{ti e la possibile frase introdotta da i{n(a), ma è tutto quello che si può dire. Si tratta dell’unico testimone aristotelico con scolii che conosciamo, una volta definitivamente esclusa la presenza di annotazioni nei margini dell’Athenaion Politeia in P.Berol. inv. 500914. Passi di Aristotele sono utilizzati in cinque voci di lessico sicure (⇒ 2-6) più una dubbia (⇒ 8): tutte provengono da due soli lessici, i cui testimoni appartengono ai secc. II e III, vale a dire P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812 (⇒ 3, 4, 6, 8) e P.Oxy. XVII 2087 (⇒ 2, 5). Tre di queste voci riguardano le Politeiai: sicura è quella dalla Resp. Ath. (⇒ 5), assai probabile quella dalla Resp. Soleorum (⇒ 6), dubbia quella dalla Resp. Thessalorum (⇒ 8); due derivano dalla Historia Animalium (⇒ 3, 4); una è tratta dal Peri; dikaioçuvnhç (⇒ 2). È ben noto il fatto che nei reperti papiracei (e dunque fino all’età tardoantica) abbiamo relativamente poche copie e molte citazioni di Aristotele, le cui opere vengono spesso utilizzate anche in prodotti esegetici, quali commentari a Omero, a Demostene (di Didimo), a Callimaco, i commenti veterotestamentari di Didimo Cieco e altro ancora15: una ricca tradizione indiretta, nella quale la prevalenza quantitativa spetta alle Politeiai e alla Historia Animalium, testi la cui fortuna antica comprende anche una epitome di Eraclide Lembo delle Politeiai e una di Aristofane di Bisanzio della Historia Animalium. Benché i numeri siano piccoli, le citazioni nei lessici su papiro risultano coerenti con questo dato complessivo, nel quale rientrano. Una parola ancora merita la fortuna dell’Athenaion Politeia. Se si guarda alla tradizione diretta nei papiri, resta rilevante che non soltanto sia l’unica Politeia di cui si siano conservate copie, ma anche sia rappresentata da due
14 Cfr. scheda p. 266. Devo dunque rinunciare completamente a questo argomento, che utilizzavo in Montanari 1993, pp. 16 ss. 15 Raccolti in CPF I 1*, pp. 251-395. Per Platone invece nei papiri la tradizione diretta è ben più ricca di quella indiretta: cfr. CPF I 1***.
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frammenti (almeno)16, e per di più sia l’unica opera aristotelica di cui si sia ritrovata più di una copia. Questo dato non perde valore perché i numeri sono piccoli: sarei anzi piuttosto dell’idea che ne acquisti, cioè che l’esiguità dell’insieme renda ancor più significativa la proporzione. Se si considera nel suo complesso la presenza di Aristotele nella letteratura erudita in generale, si trova che l’Athenaion Politeia si rivela come una delle opere più citate. Come ho già osservato altrove17, credo ci siano sufficienti indizi e fondati motivi per ritenere che la sua fortuna sia stata legata al valore che essa aveva non solo in àmbito storico e storico-istituzionale, ma anche in quello della letteratura erudita, all’interesse che rivestiva un simile trattato per filologi, grammatici, lessicografi, in genere interpreti di testi. Molta letteratura del passato (pensiamo al teatro, soprattutto alle commedie di Aristofane18, ma anche all’oratoria e alla storiografia) era ateniese, e Atene restava il principale emblema di quella grande letteratura dei secoli precedenti che l’età alessandrina aveva avvertito come un patrimonio da conservare e interpretare, e al quale dedicò le sue assidue cure. Il libro di Aristotele su Atene non poteva non essere importante. FRANCO MONTANARI
16 Resta infatti da definire cosa sia P.Oxy. inv. 2B 76/F (8-11) = CPF I 1*, p. 282, Aristoteles 9 (T?), di cui si attende ancora l’edizione: cfr. scheda p. 269. 17 Cfr. Montanari 1993, dove si trovano anche i dati complessivi, basati sulla raccolta del CPF. 18 Cfr. per questo Montana 1996a (l’opera aristotelica fu consultata da eruditi ed esegeti antichi in alternativa soprattutto all’Atthis di Filocoro, per documentare aspetti istituzionali della polis; in appendice: liste e tabelle riassuntive sulla tradizione indiretta); Id. 1996b; cfr. inoltre la scheda Callistratus, in LGGA.
1
P.Berol. inv. 5002 = CPF I.1* 24.1
Vp
Marginalia perduti ad Analytica Posteriora I 71b 19-72a 38 Prov.: Arsinoites? Cons.: Berlin, Ägyptisches Museum (inv. 166 = 5002). Edd.: LANDWEHR 1885, pp. 21-29; FUNGHI-CAVINI 1989, pp. 251-256 (CPF I.1* 24.1). Tab.: CPF IV.2, pl. 10. Comm.: MP3 158; LDAB 402 MORAUX 1976, pp. 50-51; TURNER 1977, p. 103, nr. 26; FUNGHI-CAVINI 1989, pp. 251-256; BROCKMANN 2004, pp. 50-59.
P.Berol. inv. 5002 è costituito da 3 frammenti di un foglio di codice (cm 17 × 18,5; 6,3 × 8 e 2 × 2,6) del quale sono conservati anche i margini (superiore almeno cm 2,4; inferiore cm 3,3; interno cm 2,2; esterno cm 4); da questi dati si può ricostruire un formato di cm 18 × 31. La scrittura è un esempio di maiuscola inclinata affine alle tipologie presenti nel codice Freer III (Vangeli)1 e nel PSI II 126 (Menandro, Aspis)2, assegnabili, rispettivamente, al IV/V sec. d.C. e alla prima metà del. V sec. d.C.; il nostro codice sembra da collocare più probabilmente nell’àmbito del V sec. d.C.3 Il testo conserva Analytica Posteriora I 71b 19-72a 38, presenta sul recto e sul verso annotazioni marginali, praticamente illeggibili, in una scrittura di dimensioni molto ridotte. La visione autoptica del papiro alla luce di una lampada a ultravioletti ha permesso di individuare con certezza la presenza e la disposizione delle note marginali, ma – date le pessime condizioni di conservazione – non è stato possibile trascriverne il testo4. In particolare, sul recto (ï) (= APo. I 71b 19-72a 10) nel margine inferiore, subito sotto il r. 42, l’ultimo del testo principale, ci sono ancora tracce di scrittura, almeno due righi, che si estendono per tutta l’ampiezza dello specchio
1
Cfr. Cavallo 1967, p. 119 e tav. 108 (= Cavallo-Maehler 1987, tav. 15a). Cfr. Cavallo-Maehler 1987, tav. 15b. 3 Di questo codice sono state proposte anche altre datazioni: V/VIp (LDAB 402), VI/VIIp (MP3 158); al V sec. d.C. pensa M.S. Funghi in CPF I.1* 24.1, p. 252. 4 Già Landwehr 1885, p. 24, segnalando la presenza di scolii, forse di un’unica mano, in una grafia curata, con tratti sottili, senza legature, non li trascrive per la difficoltà di decifrazione. 2
P.Berol. inv. 5002
249
di scrittura; essi sono attribuibili alla mano più piccola, la stessa che ha steso gli altri scolii. Nel margine interno, a sinistra dell’ultimo rigo del testo principale (r. 42) e del primo rigo di scolii, ci sono altri due righi di annotazione (nel primo forse è possibile trascrivere ≤≤≤≤t≥i ≥). Sul verso (î) (= APo. 72a 10-38) sono presenti scarsi resti di 5 scolii, che indico con (A), (B), (C), (D) e (E). Nel margine esterno: una annotazione di tre righi, che comincia a sinistra del r. 23 e termina a sinistra dell’interlinea fra i rr. 24 e 25 (= APo. 72a 25-26) (A); una annotazione di tre righi, che comincia a sinistra del r. 28 e termina a sinistra dell’interlinea fra i rr. 29 e 30 (= APo. 72a 28-29) (B); una annotazione di almeno dieci righi, che comincia a sinistra dell’interlinea fra i rr. 36 e 37 e termina a sinistra del r. 41 (= APo. 72a 32-37) (C). Nel margine superiore si vedono 4 righi, mutili sulla destra (D). Nel margine inferiore si vedono 6 righi (il r. 1 in ekthesis di circa due lettere), che si estendono per tutta la larghezza dello specchio di scrittura (E). Per quest’ultima annotazione, è possibile fornire la trascrizione delle lettere iniziali dei primi 3 righi: r. 1 otihduotim≥wª ; r. 2 i≥n≥om≤al≤≤ª ; r. 3 a≥l≥l≥ (ex. gr. r. 1: o{ti h] duvo tim≥wª ; r. 2: in (i{nΔ ?) oJ mh; ajl≥l≥- vel ajl≥h≥q≥-). MARCO STROPPA
2
P.Oxy. XVII 20871, col. II 42-44 = CPF I.1* 24.35T [⇒ III: Lexica]
sec. IIp
Voce di lessico (Peri; dikaioçuvnhç fr. 84 R. = 7,1, 7,2, 7,4 G.)
ajn≥a≥r≥rica'çqa≥i≥: to; ajntecªovm(en)on] toi'ç poçi;n [a{]m≥a≥ tai'ç ce≥r≥ç≥i ;≥n aj(na)ba≥[ivnein] k≥(ai;) ΔAriçtotevl(hç) e≥jpΔ E≥uj≥rubav≥to≥u≥.
1 P.Oxy. XVII 2087 (MP3 2120; LDAB 4806) è un frammento che contiene lemmi inizianti per a, ordinati alfabeticamente non oltre la seconda lettera. Nel papiro (cm 12,6 × 16,5), mutilo su tutti i lati, si distinguono tre colonne: la meglio conservata è quella centrale che reca 44 righi di testo; della I e della III rimangono, rispettivamente, alcune lettere finali e iniziali di rigo (nella col. III si hanno resti di scrittura solo all'altezza dei rr. 34-42 della col. II). In alcuni punti la superficie è erasa. La scrittura, molto simile a quella di PSI XI 1219 (diegeseis degli Ai[tia di Callimaco), è una informale rotonda di piccole dimensioni, ad asse verticale, dal tratto veloce e sicuro, non particolarmente accurata, né nella realizzazione grafica, né nel trattamento dei contenuti. Al pari di quanto si osserva in PSI XI 1219 è innegabile, invece, una notevole attenzione nell’utilizzo, all'interno della scrittura, del sistema delle abbreviazioni. Esse sono sostanzialmente di due generi: 1) di tipo documentario, consistenti nell’omissione della parte finale di una parola e sopraelevazione della lettera scritta come ultima, prima del troncamento: cfr. e.g. col II rr. 12 Qoukud(idhç) arçenik(wç), 22 yuc(hç), 41 Hrodot(oç), 44 Ariçtotel(hç); 2) di origine dotta e attestate tipicamente nei commentari. Si tratta di brachigrafia, ovvero rappresentazione di parole brevi (preposizioni, particelle, congiunzioni, articoli, preverbi), tramite la sola lettera iniziale scritta nel rigo, sopra la quale vengono apposti segni non alfabetici, individuabili in tratti ascendenti o discendenti verso destra. In alcuni casi si nota anche l’estensione di questo metodo d’abbreviazione a sequenze di suono identiche a quelle indicate sopra (preposizioni, particelle, congiunzioni, articoli, preverbi), poste però all’interno di parola, a prescindere da qualunque legame etimologico: cfr. e.g. col. II rr. 9 aplo(un), 13 aid(e)çiç, 27 yeudom(en)ouç, 30 hgo(un)tai, 40 ballom(en)oi. Naturalmente, benché in P.Oxy. XVII 2087 le preposizioni, i preverbi, le congiunzioni e le varie particelle siano abbreviate con sistematicità (a differenza di articoli e sostantivi), laddove la preposizione sia elisa, e dunque non sia completa (rr. 12 epaqla, 20 a≥n≥e(pi)meikton), l’abbreviazione non si attua (per le abbreviazioni nei papiri, cfr. in particolare Blanchard 1974, McNamee 1981 e 1985, nonché Bastianini-Long 1992, pp. 276-281, Bastianini 2006, pp. 156-158). Ad essere registrate sono parole attestate in scrittori di prosa (tra gli autori citati Erodoto, Platone, Tucidide, Eschine Socratico, Aristotele, Demostene). Si riconoscono infine consonanze con diversi lessici di tradizione medievale – in particolare con Frinico, Polluce, Arpocrazione, Timeo, Esichio, le Levxeiç rJhtorikaiv, la Çunagwghv, Fozio, la Suda – con gli Etymologica e con Eustazio. Il testo che qui stampo è sostanzialmente quello da me stabilito in Esposito 2005 (a cui rimando per una disamina delle problematiche connesse a questo specifico passo), con alcune variazioni emerse da un rinnovato esame dell’originale. Riferimenti a questo papiro si possono trovare anche in Esposito 2009a, in part. alle pp. 289-290.
P.Oxy. XVII 2087, col. II 42-44
251
42 il lemma è in ekthesis di ca. una lettera dopo an≥a≥r≥ricaçqa≥i ≥ spazio bianco 43 a;ba≥ª pap. k≥v pap. ariçtotel pap. ää 42 an≥a≥r≥ricaçqai Hunt 1927 to anel[qein] Hunt 1927 43 [k(ai) a]m≥a Hunt 1927 sed k non legitur ce≥r≥ªçºi≥ a≥n≥ab≥a≥[inonta]ç Hunt 1927, qui in comm. prop. cerçin ãanÃab. : c≥e ≥r≥ªçºi;≥n≥ aj(na)ba≥ªivnonta]ç≥ Andorlini-Linguiti 1989 44 Z≥w≥w≥n≥ fuçe≥[w]ç Hunt 1927 : p≥(eri;) t≥(h'ç) fuvç(ewç) t≥(w'n) ªzwv/wnº Andorlini-Linguiti 1989 dub.
ajnarrica'çqai: salire attaccandosi con piedi e mani insieme; anche Aristotele (lo usa) riferito a Euribato.
Il lemma, qui glossato, significa ‘arrampicarsi’ e il passo aristotelico a cui allude – come ho dimostrato in Esposito 2005 – è tratto non dal De Natura Animalium come si è finora ritenuto, bensì dal Peri; dikaioçuvnhç, opera di cui ci sono giunti solo pochi frammenti per tradizione indiretta. Aristotele usava questo verbo in riferimento a un famoso ladro chiamato Euribato2, che secondo i testimoni antichi (cfr. Aristot. fr. 84 R. = 7, 1; 7, 2; 7, 4 G., a cui va aggiunta la testimonianza di Eustath. ad Hom. Od. p. 1864, 24 ss.), riuscì, con astuzia, a sfuggire alle guardie che lo sorvegliavano: poiché questi erano desiderosi di vedere come egli penetrasse nelle case salendo lungo le pareti, si racconta che lo liberarono e lo esortarono a dar prova anche a loro della sua abilità. Euribato, così, dopo essersi adattato alle mani delle spugne e ai piedi una morsa aculeata, si arrampicò e sparì dalla vista dei suoi carcerieri. Il verbo è di uso attico (cfr. Moer. a 190, 33 H. ajnarrica'çqai ΔAttikoiv, probaivnein ajnevrpwn ”Ellhneç). Il dettato della glossa risulta quasi identico a quello che si legge nella Çofiçtikhv proparaçkeuhv di Frinico (p. 32, 1-4 De B.) ajnarica'çqai: pavnu ΔAttikh; hJ fwnhv. çhmaivnei de; to; toi'ç poçi; kai; tai'ç cerçi;n ajntecovmenon ajnabaivnein, oi|on ajnevrponta. OiJ de; duvo rr gravfonteç aJmartavnouçin. Non è questo, peraltro, l’unico caso, nel nostro papiro, di somiglianza stretta con voci di tale opera frinichea3. Ciò dimostra che i due lessici possono considerarsi certamente imparentati, benché non sia forse lecito parlare di una dipendenza diretta, quanto piuttosto di una dipendenza da una fonte comune: le stesse glosse occorrono infatti nel papiro in un ordine diverso rispetto a quello che si riscontra in Frinico. In àmbito scoliastico e lessicografico oltre alla glossa di Frinico si possono citare diversi altri paralleli in cui tale lemma viene chiosato in maniera analoga a quanto si legge nel nostro papiro. Cfr. sch. Aristoph. Pax 70a, b, e, f; Hdn. Path. II p. 387, 5 ss. L. (testimoniato da EGen. a 805 = EM. a 1287 = ESym. 976 L.-L.; cfr pure EGud. p. 133, 17-21 Stef.), 2 Euribato o Euribate era nome, tra gli altri, di diversi proverbiali furfanti, tanto che esso si trova usato come equivalente di ‘canaglia’, ‘farabutto’, ‘traditore’. Da qui anche il verbo eujrubateuveçqai ‘comportarsi come Euribato’, ovvero da imbroglione (cfr. Hoefer 1907). 3 Cfr. Esposito 2005, p. 84 n. 18.
252
Aristoteles 2
Hsch. a 45494 e 7444 L., Phot. Lex. a 1641 e 1869 Th., Sud. a 2049 e 2313 A., Lex. AiJm. a 138 D., EM. a 1288 L.-L., Zon. p. 206, 20 ss. T. Non crea particolari difficoltà spiegare come mai – benché nessun autore risulti citato nella glossa prima di Aristotele e oltre a lui – nel papiro si legga k≥(ai;) ΔAriçtotevl(hç). Il compilatore del lessico, con ogni verisimiglianza doveva trovare nella sua fonte sia la menzione di Aristoph. Pax 70 (indicato come locus classicus alla base di Phryn. Gramm. SP. p. 32, 1-4 De B.), sia quella di Aristotele ma, poiché nel repertorio che si accingeva a redigere (il nostro P.Oxy. XVII 2087) gli importava includere evidentemente solo scrittori di opere storiche e filosofiche5, avrà sicuramente decurtato tutte le citazioni non pertinenti, dimenticandosi però di eliminare il kaiv di raccordo tra un autore citato e l’altro6. ELENA ESPOSITO
4
Cfr., in proposito, quanto osservato in Esposito 2005, p. 85. Cfr. Esposito 2005, pp. 79-80. 6 Appare qui del tutto evidente come ci si trovi dinnanzi a “letteratura d’uso strumentale” (secondo la definizione di Garzya 1981, p. 118, ma cfr. pure Tosi 2003, p. 153; altri preferiscono “secondary literature”, cfr. Sluiter 2000, p. 183, oppure “commentary literature”, cfr. Mejor 2003), a opere aperte (cfr. Sluiter 2000, pp. 191-192), che sono state modificate a seconda delle esigenze e degli interessi del trascrittore o, più in generale, dei centri culturali in cui venivano utilizzate, senza rispetto alcuno dell’originale, eliminando cioè nella fonte quanto si riteneva inutile, o inserendo materiali desunti da altra fonte: si veda, al riguardo, anche Esposito 2007. 5
3
P.Oxy. XV 1802 + LXXI 48121, fr. 3 col. II 21-22 = CPF I.1* 24.34T [⇒ III: Lexica]
sec. II/IIIp
Voce di lessico (HA. IX 615b)
mevroy: ei\doç ojrnevou o{per ajntektrevfei tou;ç kª≤≤≤≤≤≤≤≤≤≤ ΔAriªçºtotevlhç ejn h‹ Peri; tw'n ejn toi'ç zwv/oiç morivw≥[n. 21 il lemma è in ekthesis di ca. tre lettere merou pap. dopo merou spazio bianco oper, e corretto su o 22 h– pap. ää 21 meroy Hunt 1922 kªhdemonaç dub. Hunt 1922 : kªomivçantaç Schmidt 1924 : kªataghravçkontaç (scil. gonevaç) dub. Messeri Savorelli 1989 : keimevnouç e[ndon patevraç vel sim. (genevtoraç, gonevaç, tokevaç) suppleverim2 : kªatamevnontaç e[ndon HM
mevroy: tipo di uccello che nutre a sua volta i [genitori che rimangono nel nido (?)]; Aristotele nell’VIII libro Sulle parti degli animali.
La fonte è Aristot. HA. IX 615b peri; me;n ou\n tw'n pelargw'n, o{ti ajntektrevfontai, qrulei'tai para; polloi'ç: façi; dev tineç kai; tou'ç mevropaç taujto; tou'to poiei'n, kai; ajntektrevfeçqai uJpo; tw'n ejkgovnwn ouj movnon ghravçkontaç ajlla; kai; eujquvç, o{tan oi|oiv tΔ w\çin: to;n de; patevra kai; th;n mhtevra mevnein e[ndon. La stessa notizia è fornita anche da Aelian. NA. XI 30 (che parla del mevroy anche in I 49 – su cui si basa sch. Opp. Hal. I 157, 3-5 e Glycas Ann. p. 89, 17-18 B. – e lo
1 P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812 (MP3 2127; LDAB 5091), redatto in una scrittura molto veloce di medie dimensioni, conserva cospicui resti (cm 34,3 × 16,5 [fr. 3]) di un lessico caratterizzato da un ordinamento alfabetico rigoroso. In esso vengono registrati dati mitografici (cfr. fr. 3, col. II 17), vocaboli desueti o usati in significati rari, voci dialettali greche, nonché parole straniere (persiane, lidie, caldee, albane), un particolare, quest’ultimo, che – unitamente ai vari riferimenti a scrittori, spesso poco noti se non del tutto sconosciuti di opere su Scizia, Asia, Babilonia – denota un innegabile interesse per paesi e realtà geograficamente e culturalmente lontane ed estranee. Molti dei termini che vi compaiono non trovano riscontro nella restante tradizione scoliastica e lessicografica; un buon numero sono a noi tramandati dal solo Esichio, ma si notano coincidenze anche con la scoliografia, con il lessico di Fozio, la Suda, Zonara e con gli Etymologica (cfr. Hunt 1922, pp. 155-162; nonché Esposito 2009a, pp. 289-290). Il papiro ha ricevuto di recente una nuova edizione prima parziale (Schironi 2007 con rec. di Esposito 2010), poi complessiva e corredata di trad. e comm. (Schironi 2009 con rec. di Esposito 2011 e Valente, in corso di stampa). Cfr. al riguardo anche i contributi ad alcune singole glosse in Esposito 2009b. 2 Riprendo qui quanto argomentato in Esposito 2006.
254
Aristoteles 3
menziona in V 11, VIII 6 e 2) oJ mevroy ãoJÃ o[rniç tauvth/ toi dokei' dikaiovteroç ei\\nai tw'n pelargw'n: ouj ga;r ajnamevnei ghravçantaç trevfein tou;ç patevraç, ajllΔ a{ma tw'/ fu'çai ta; wjkuvptera tou'to ejrgavzetai, da cui attinge evidentemente Apostolio (centuria 15, 99, p. 655 L.-Schn.). Ma si vedano anche, in àmbito latino, Plin. Nat. X 51 merops vocatur genitores suos reconditos pascens, pallidus intus colore pennarum, superne cyaneo, primordi subrutilo. nidificat in specu sex pedum defossa altitudine, nonché sch. Bern. Verg. G. IV 14 (p. 956 H.) meropes galbeoli. hae genitores suos recondunt iam senes et alere dicuntur in similitudinem ripariae avis, quae in specu ripae nidificat3. Il passo aristotelico era presente a sch. Aristoph. Av. 1354a fhçi; de; ΔAriçtotevlhç ajlhqh' ei\n\ ai to;n peri; tw'n pelargw'n lovgon, oJmoivwç de; aujtoi'ç poiei'n kai; tou;ç ajerv opaç. dio; kai; ejn toi'ç çkhvptroiç ajnwtevrw me;n pelargo;n tupou'çi, katwtevrw de; potavmion i{ppon dhlou'nteç wJç uJpotevtaktai hJ biva th'/ dikaiopragiva/. oiJ ga;r pelargoi; dikaiopragei'ç o[nteç ejpi; pterw'n baçtavzouçi tou;ç patevraç geghrakovtaç (ripreso in modo quasi identico in Sud. a 2707, 2 A.), sch. Aristoph. Av. 1357 to;n patevra pavlin trevfein V: peri; tou' tou;ç pelargou;ç ajntitrevfein to;n patevra ΔAriçtotevlhç iJçtorei' proçqei;ç aujtoi'ç kai; tou;ç aje vropaç VEG levgwn ou{twç: peri; me;n ou\n tw'n pelargw'n o{ti ajntitrevfontai, qrulei'tai para; polloi'ç. façi; de; kai; tou;ç aje vropaç tou'to poiei'n, Hsch. m 885 L. mevropeç: a[nqrwpoi … kai; o[rneav tina, wJç ΔAriçtotevlhç e forse – malgrado manchi la menzione esplicita – anche a Eustath. ad Hom. Il. p. 97, 37-38 dh'lon de; o{ti kai; o[rniqevç tineç levgontai mevropeç, w||n tavca pro;ç diaçtolh;n ejntau'qa provçkeitai to; ajnqrwvpwn (quest’ultima osservazione non è però aristotelica). Nel testo del nostro lessico, al r. 21, il lemma è facilmente sanabile; quanto al termine in lacuna, di cui si vede solo la lettera iniziale, la prima cosa che viene in mente è che esso debba verisimilmente significare ‘genitori’ o ‘anziani’ (scil. genitori) (cfr. il supplemento di Messeri Savorelli 1989, p. 336). Poiché tuttavia, a quanto risulta, tra i vocaboli che esprimono il primo concetto non ne esistono di appropriati comincianti per k si può ipotizzare anche in questo punto4 un errore dello scriba (pªatevraç ? gªenevtoraç ? gªonevaç ? tªokevaç ?), oppure optare per la seconda possibilità e dunque per un’integrazione come quella di Messeri Savorelli kªataghravçkontaç (scil. gonevaç). Esiste però forse un’alternativa: nel passo aristotelico, a ben vedere, dei genitori che vengono nutriti dai loro figli si dice che essi “restano dentro” al nido (to;n de; patevra kai; th;n mhtevra mevnein e[ndon), concetto messo in evidenza anche da Plinio (genitores suos reconditos pascens), e dallo sch. Bern., dove addirittura – a dimostrazione di quanto esso fosse importante – il verbo non indica più uno stato dei genitori ma una vera e propria azione compiuta dai figli (recondunt). Mi
3 4
Su questo particolare uccello si veda Thompson 1936, pp. 201-203. Cfr. oltre a merou per meroy, fr. 3 col. III r. 8 mieçthr per miaçtwr, r. 10 arconiaç per armoniaç.
P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 3 col. II 21-22
255
domando dunque se anche nel nostro lessico i genitori non siano caratterizzati come ‘nascosti’, ‘restanti dentro’, ovvero kªeuqomevnouç o – come mi suggerisce H. Maehler – kªatamevnontaç e[ndon, una proposta quest’ultima che, seppure forse leggermente longior spatio, ha l’indubbio pregio di ricalcare il testo aristotelico. A ben vedere, in definitiva, la soluzione migliore potrebbe essere kªeimevnouç e[ndon, che oltre ad essere più breve di kªatamevnontaç e[ndon, riprenderebbe ugualmente il passo della Historia Animalium, ma lo semplificherebbe banalizzandolo, in linea con una tendenza tipica della letteratura scoliastica e più generalmente ‘d’uso strumentale’ (per cui cfr. ⇒ 2 n. 6)5. Evidentemente Aristotele vuole così creare un perfetto corrispettivo della situazione usuale, per cui i figli implumi restano nel nido, mentre i genitori vanno a cercare il cibo. Si noti infine che non necessariamente il riferimento dato al r. 22 “is mistaken both as to the treatise and the number of the book” (Hunt 1922, p. 161): esso si riferisce evidentemente a un assetto del corpus aristotelico diverso da quello della nostra tradizione manoscritta6. ELENA ESPOSITO
5
Anche da un punto di vista paleografico tali integrazioni appaiono adeguate: in questo papiro infatti i righi conservati per intero (comprensivi del lemma) mostrano un’oscillazione tra i 48 caratteri (fr. 3 col. II 15) e i 56 (fr. 3 col. II 8). Nel nostro rigo fino a kª si contano 36 lettere. I participi proposti a colmare la lacuna, seguiti da patevraç o simili, rientrerebbero in questi limiti o li supererebbero di poco (con kªatamevnontaç e[ndon si avrebbero 58 caratteri). Si tenga presente inoltre, al riguardo, quanto osservato in ⇒ Aristophanes 12 n. 2. Schironi 2009, pp. 94-95, tra le varie alternative, predilige kªeimevnouç e[ndon tokevaç (o gonevaç). 6 Sulla complicata e controversa questione della tradizione e sistemazione del corpus aristotelico cfr. selettivamente Keaney 1963, pp. 52-58; Louis 1964, pp. VII-VIII, XVIII-XX; Düring 1966, in particolare pp. 506-510 (pp. 569-574, ed. it.); Lord 1986, pp. 152-157, con bibliografia.
4
P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 3 col. III 4 = CPF I.1* 24.34T [⇒ III: Lexica]
sec. II/IIIp
Voce di Lessico (HA. IX 627b 31-628b 30)
m≥h'trai: ei\doç meliççw'n, ΔA≥riªçºtotevlhç ej≥n h≥‹ Pe≥r≥[i; tw'n ejn toi'ç zwv/oiç morivw(n). il lemma è in ekthesis di ca. tre lettere dopo m≥htrai≥ spazio bianco h≥p≥ corretti su un precedente toi (saut du même au même: il redattore stava evidentemente per scrivere en toiç) ää suppl. Hunt 1922 cl. fr. 3 col. II 22
mh'trai: un tipo di api; Aristotele nell’VIII libro Sulle [parti degli animali].
Aristotele (HA. 553a 29-30) afferma che le api regine si chiamano mhtevreç, in quanto sono in grado di generare (in opposizione alle api operaie). Il termine mhvtra ricorre spesso in HA. 627b 31-628b 30, dove viene riferito però alle vespe (come anche in altri passi dove si incontra mh'trai, cfr. GA. 761a 6). Che il nostro lessico si rifacesse a tale trattazione, designandola con Peri; tw'n ejn toi'ç zw/oi'ç morivwn 1, appare indubbio alla luce del fr. 3 col. II 22 (⇒ 3): del tutto plausibile, dunque, l’integrazione di Hunt. Un significativo parallelo, privo di ulteriori riscontri nella tradizione lessicografica si trova in Hsch. m 1291 L. mhvtra: ei\doç çfhkovç. Per il tipo generico di nota ei\doç + genitivo cfr. anche ⇒ Aristophanes 9, p. 742. ELENA ESPOSITO
1
Le oscillazioni nella designazione di quest’opera sono strettamente interdipendenti dalla complessa storia della tradizione del corpus aristotelico (cfr. ⇒ 3 n. 6). 2 Cfr. pure il commento a questa glossa di Schironi 2009, pp. 98-99.
5
P.Oxy. XVII 2087, col. II 6-10 = CPF I.1* 24.45T [⇒ III: Lexica]
sec. IIp
Voce di lessico (Resp. Ath. 54, 2)
6
10
ªajdikivoºu≥: ΔAri≥ç≥t ≥o≥tev≥l(hç) ejn t≥h≥'/ Pªoºliteiva/, t(w'n) ≤ª≤≤º≤ [≤≤≤≤ºi≥t(wn) ªoºiJ dikaçt≥a≥i ; kloph;n≥ m(e;n) h] dwr≥ªodwºkivan dekaplw/' k(ata)k≥r≥ªivnºo≥uçi, eij d(e;) ãtiçà a[llw≥ç ajdikhvçeien aJplo(u'n) a≥u≥jtw'/ ti≥mw'≥ntai, o} kalei'tai ajdikivou.
6 ariçtotel tv pap. ≤ª traccia discendente sul rigo di base compatibile con u meglio che con i, escluso a º≤minima traccia puntiforme sotto il rigo di base 7 tv pap. mv pap. 8 k; pap. d v pap. 9 h sembra ripassato su un precedente o aplo‹ pap. ää 6 ªajdikivoºu Hunt 1927 in comm. en ªAºq≥(hnaiwn) Politeia t(hn ?) Hunt 1927 : ejn ªAºq≥(hnaivwn) Politeiva/ t(o;n) ªkak(w'ç)º Naoumides 1961 : ejn t≥h'/≥ Pªoºliteiva/ t(w'n) ΔA≥ªqhnaiv(wn)º AndorliniLinguiti 1989 7 ª≤≤≤≤º≤ t(hn) Hunt 1927 : a[rxanºt(a) Naoumides 1961 : ªtoºuv≥t(wn) AndorliniLinguiti 1989 dub. ªoºiJ Naoumides 1961 : ªeºij Hunt 1927 8 ãtiçà MH 9 aploun Hunt 1927 : aJplou'≥ Andorlini-Linguiti 1989 autw Hunt 1927
ajdikivou: Aristotele nella Costituzione (scil. degli Ateniesi); tra … i giudici condannano il furto o la corruzione al pagamento del decuplo; se invece uno fosse colpevole di altro (scil. reato di appropriazione) gli assegnano la pena del semplice risarcimento, e ciò è chiamato ajdikivou.
La fonte è Aristot. Ath. 54, 2 ka]n mevn tina klevptontΔ ejxelevgxwçi, kloph;n oiJ dikaçtai; katagignwvçkouçi kai; to; gnwçqe;n ajpotivnetai dekaplou'n. ejan; dev tina dw'ra labovnta ejpideivxwçin kai; katagnw'çin oiJ dikaçtaiv, dwvrwn timw'çin, ajpotivnetai de; kai; tou'to dekaplou'n. a]n dΔ ajdikei'n katagnw'çin, ajdikivou timw'çin, ajpotivnetai de; tou'qΔ aJplou'n, ejan; pro; th'ç q‹ prutaneivaç ejkteivçh/ tiç, eij de; mhv, diplou'tai. Si parla delle tre diverse ammende che corrispondono alle rispettive colpe di furto, corruzione, malversazione. In realtà, dalle testimonianze antiche, non è chiaro quali delitti rientrassero nella divkh ajdikivou: in ogni caso “the minimal penalty suggests that they were not serious wrongs”1. Il compilatore del
1
Rhodes 1981, p. 598; cfr. Bonner-Smith 1938, p. 257 n. 2.
258
Aristoteles 5
nostro lessico riassume in maniera piuttosto sommaria la cosiddetta divkh ajdikivou rispetto a quanto si legge nel testo aristotelico. Il lemma, che come ben vide Hunt, deve essere senz’altro ajdikivou (scil. divkh meglio di grafhv proposto da Hunt, cfr. infra n. 2 i vari paralleli lessicografici) si trova spiegato in numerosi altri lessici2. In nessuno di essi, tuttavia, compare la citazione della fonte; la spiegazione, inoltre, è circoscritta alla sola ajdikivou divkh, a differenza di quanto avviene nel nostro caso. Se il senso generale dell’interpretamentum è chiaro, non altrettanto può dirsi del suo preciso dettato. Il lemma risulta seguito dall’indicazione dell’autore e dell’opera, quindi dalla spiegazione (come al r. 22 del medesimo papiro Plat(wn) P(eri) yuc(hç) exaraiwçai). In base all’evidenza paleografica, al senso e alla sintassi della glossa, nonché alla lunghezza media dei righi del papiro, al r. 6 mi sembra che l’unica possibilità – considerato che dopo en e prima di politeia, q non si legge – sia di interpretare ejn th'/ Politeiva/, ipotizzando che la Costituzione degli Ateniesi venisse indicata come la Costituzione per antonomasia. Va detto in proposito che quando questo trattato aristotelico è citato dalle fonti antiche la maggior parte delle volte viene designato come (hJ) ΔAqhnaivwn politeiva, meno spesso con (hJ) Politeiva tw'n ΔAqhnaivwn, né mancano attestazioni del semplice Politeiva3, a differenza di quanto accade per le varie Politeiai, le cui citazioni esplicite sono generalmente accompagnate da didascalie analitiche4.
2 Cfr. Poll. VIII 31, 10 ss. kai; ijdiwtika; me;n dikw'n ojnovmata ... kloph'ç, ... ajdikivou, ktl, Harp. a 31 K. (p. 10, 10-12 D.) = Sb 338 C. = Phot. Lex. a 362 Th. = Sud. a 486 A. ajdikivou: oi|on ajdikhvmatoç. e[çti de; o[noma divkhç. ajpotivnutai de; tou'to aJplou'n, eja;n pro; th'ç q‹ prutaneivaç ajpodoqh'/: eij de; mh;, diplou'n katabavlletai, Hsch. a 1134 L. ajdikivou: ei\\doç divkhç ΔAqhvnh/çin, Lex. Rhet. p. 199, 32 B. = EGen. a 70 = EM. a 260 ~ Et.Sym. a 136 L.-L. ajdikivou: o[noma divkhç kata; tw'n oJpwçou'n ajdikouvntwn. th'ç de; divkhç to; tivmhma ajrguvriovn ejçtin ajpotinuvmenon aJplou'n, Phot. Lex. a 364 Th. ajdikivou: ei\\doç divkhç ΔAqhvnhçin ou{tw kaloumevnhç. ajdivkion dev tinevç façi th;n ejpi; tw'/ ajdikhvmati tiqemevnhn zhmivan: kai; ga;r Kleivdhmoç ejn th'/ prwvth/ tw'n ΔAtqivdwn ou{tw gravfei (FGrHist 323 F 4): “novçou ga;r toi'ç Aijginhvtaiç genomevnhç kai; manteuomevnoiç prohnevcqh to; ajdivkhma kai; kategnwvçqh ejpi; touvtw/ to; ajdikivon”, a 365 Th. ajdikivou: levgetai hJ divkh kata; tw'n th;n povlin ajdikouvntwn. to; de; tivmhma aujth'ç ajrguvriovn ejçtin ajpotinnuvmenon aJplou'n. 3 Cfr. e.g. Hsch. e 6887 L. eujquvnaç: timwrivaç. divkaç. to; dou'nai lovgon ejfΔ eJkavçtw/ aJmarthvmati. ªΔAriçtotevlhç ejn th'/ Politeiva/ ktlº, S e 881 C. ~ Phot. Lex. e 2049 Th. ~ Sud. e 3253 A. ejçcatiavn: e[çcaton tovpon gh'ç: h] ta; nomh;n e[conta cwriva, wJç kai; ΔAriçtotevlhç ejn tw/' h‹ th'ç Politeivaç, Phot. Lex. p. 288, 12-13. P. ejk th'ç ΔAriçtotevlouç Politeivaç ktl, p. 393, 10 P. = Sud. p 521 A. pavredroç: ΔAriçtotevlhç ejn th'/ Politeiva/ fhçiv ktl, p. 404, 16-17 P. peza;ç movçcouç: ajnti; tou' eJtaivraç: ejlevgonto gavr tineç ou{twç wJç ΔAriçtotevlhç ejn th'/ Politeiva/ ktl. Sulla citazione dell’Athenaion Politeia nella tradizione indiretta, e più in particolare nella scoliografia, nella lessicografia e nelle opere esegetiche in generale, si veda Montanari 1993, p. 16; Montana 1996a e Id. 1996b con specifico riguardo rispettivamente alle pp. 170-172; 50-52. 4 Cfr. Montana 1996b, p. 51 n. 112.
P.Oxy. XVII 2087, col. II 6-10
259
Dopo politeia si distingue chiaramente un t con il segno dell’abbreviazione: ci si attende a questo punto – prima di ªoºiJ dikaçt≥ai≥ ; kloph;n≥ m(e;n) ktl – un genitivo partitivo di un sostantivo che indichi ‘reati’ (del tipo ajdi⁄khmºavtwn, che in questo caso però non parrebbe compatibile con le tracce) o ‘colpevoli’5. Poiché nel r. 7 si legge una terminazione ºi≥t(wn) l’integrazione più probabile parrebbe polºi≥t(w'n), preceduto magari da un aggettivo o un participio. Quale esso sia, se la lettera iniziale è u (cfr. app. pap.), è difficile stabilire. Si potrebbe pensare a qualcosa come uJ(per)bavn⁄ªt(wn)º. Quanto al supplemento di Naoumides 1961, anche se plausibile sotto l’aspetto semantico, risulta innanzitutto longius spatio; inoltre se davvero arxanta fosse abbreviato, t dovrebbe essere sopraelevato rispetto al rigo di scrittura: un t sormontato da un tratto ascendente verso destra non può che stare per t(wn)6. Anche la proposta di Andorlini-Linguiti 1989 per il r. 6 non convince a pieno: dopo t(wn), ultima lettera del rigo che si legge, non c’è spazio sufficiente per A≥ªqhnai(wn) peraltro paleograficamente discutibile, e giudicherei tout(wn) (r. 7) – ammesso che si possa leggere – un’integrazione troppo generica. Il tiç suggerito da M. Haslam in fine r. 8 rende certamente la sintassi della glossa meno bizzarra: la sua assenza all’interno di un riassunto così poco accurato del passo aristotelico, tuttavia, non stupirebbe. Al r. 9 il redattore del nostro lessico voleva scrivere sicuramente aploun e non aplou: in caso contrario non avrebbe utilizzato quel tipo di abbreviazione (⇒ 2 n. 1). ELENA ESPOSITO
5 Cfr. il passo simile di Dinar. Dem. 60, 6 ajllΔ oiJ novmoi peri; me;n tw'n a[llwn ajdikhmavtwn tw'n eijç ajrgurivou lovgon ajnhkovntwn diplh'n th;n blavbhn ojfeivlein keleuvouçi, peri; de; tw'n dwrodokouvntwn duvo movnon timhvmata pepoihvkaçin ktl, nonché Aristog. 17; Hyp. Dem. col. 24. 6 Per le caratteristiche grafiche del papiro ⇒ 2 n. 1.
6
P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 3 col. III 5-7 = CPF I.1* 24.50T [⇒ Lexica III]
sec. II/IIIp
Voce di lessico (Resp. Soleorum)
mh'trai: ejn Tarçw'/ kai; Çovloiç ta≥;ç devltouç ejn ai|ç a≤ª oijkivaç mhvtraç proçagoreu≥veçqai, ai}≥ kai; dhmªoçivai, ΔAriçtotevlhç ejn th'/ Çolevwn Politeiva/. 5 il lemma è in ekthesis di ca. quattro lettere dopo mhtrai spazio bianco ≤ª al di sotto della coda di a visibile, sul rigo di base, un tratto obliquo, inclinato verso destra: possibili l, o p a ponte (secondo Hunt 1922 n oppure p o i) 6 a·ç≥‚i≥ forse pap. (cfr. pure Hunt e Messeri Savorelli 1989) 7 poleiteia pap. ää 5 an≥ªagrafouçi vel ap≥ªografouçi taç Hunt 1922 : ajp≥ªogravfontai katΔº Messeri Savorelli 1989 6 a}ªçº kai; dhmªoçiou'çqai:º Schmidt 1924 a}ç≥ kai; dhmªoçivaç Messeri Savorelli 1989
mhvtrai: che a Tarso e a Soli le tavole sulle quali [registrano (?)] le case siano chiamate mhvtrai ed esse siano pubbliche (lo dice) Aristotele nella Costituzione di Soli.
La glossa attesta il valore particolare assunto dal termine mhvtra in determinate aree geografiche. Tale valore di ‘tavoletta su cui registrare case’ (ap≥ªografouçi proposto da Hunt appare il supplemento più soddisfacente, sotto l’aspetto semantico, e non impossibile sotto quello paleografico, cfr. app. pap.)1, che non ha stringenti paralleli nella tradizione scoliastica e lessicografica, può forse, però, essere messo in relazione, come ben vide Hunt, con Hsch. m 1291 L. mhvtra: ... kai; oJ klh'roç uJpo; Çolevwn, wJç Kleivtarcoç ktl. Tra i vari significati che il termine klh'roç possiede, infatti, vi è anche quello di ‘lotto di terreno’, ‘terreno di proprietà’, ‘proprietà’ (cfr. LSJ p. 1130 s.v. mhvtra B). Il fatto che Esichio chiosi mhvtra con klh'roç sembra indicare che mhvtra dal valore di ‘tavoletta su cui registrare le case, le proprietà’ (“matrice”, nella traduzione di Messeri Savorelli), finisca per designare, per esteso, la proprietà stessa e i due termini a Soli appaiano interscambiabili. Che la fonte sia
1 Esistono, del resto, come noto, documenti in cui venivano per l’appunto schedati proprietà e immobili, cfr. ad es. Borkowski 1975.
P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 3 col. III 5-7
261
Aristotele non è del tutto certo, ma è sicuramente possibile: se da una parte, infatti, non risulta che il filosofo avesse scritto una politeiva riguardante Soli, dall’altra il fr. 582 R. = 587 G. ejk Çovlwn th'ç Kilikivaç: wjnovmaçtai de; hJ povliç ajpo; Çovlwnoç tou' Lindivou, w{ç fhçin ΔAriçtotevlhç proverebbe quantomeno l’interesse di Aristotele per Soli (cfr. Messeri Savorelli 1989, p. 373)2. Il costrutto di accusativo e infinito della glossa presuppone che sia sottinteso un verbo di dire, del tipo fhçiv. ELENA ESPOSITO
2
Sulla tradizione indiretta delle Politeiai aristoteliche si veda Montanari 1993, nonché Montana 1996a. 3 Cfr. pure il commento a questa glossa di Schironi 2009, pp. 99-101.
7
P.Fay. 3
fine sec. Ip
Topica 109a 34-35, 109b 4-9, 9-12, 13-15 con commento Prov.: Theadelphia. Cons.: London, British Library, inv. 815. Edd.: GRENFELL-HUNT-HOGARTH 1900, pp. 87-89; FUNGHI-CAVINI 1995, pp. 14-18 (= CPF III 2). Tab.: CPF IV.2, 73. Comm.: MP3 165; LDAB 392 W. CRÖNERT 1903, p. 367; GUDEMAN 1921, col. 703; MILNE 1927, nr. 180, pp. 147-148; MORAUX 1976, I, pp. 458-459; MCNAMEE, 1977, pp. 32 nr. 40, 33 nr. 43, 153-154; DEL FABBRO 1979, p. 101; MORAUX 1984, pp. 215-216; CAVINI 1989, p. 376 (= CPF I.1* 53T); FUNGHI-CAVINI 1995, pp. 14-18 (= CPF III 2); ABBAMONTE 2004, pp. 19-34; MONTANARI 2006, p. 9.
Frammento di rotolo (11,8 × 12) che conserva 3 colonne incomplete. Le dimensioni del rotolo non sono ricostruibili: si può indicare l’ampiezza di una colonna (cm 5,5: ca. 22 lettere), ma non l’altezza. Le caratteristiche paleografiche, il confronto con testi paralleli e il contesto archeologico concorrono a datare il papiro alla fine del I sec. d.C.1 Il testo contiene un commentario al II libro dei Topici di Aristotele, di cui sono individuabili quattro distinte pericopi (I 6-9 = 109a 34-35; II 8-17 = 109b 4-9; III 5-10 = 9-12; III 15-20 = 13-15); tre di esse sono brani consecutivi e questa caratteristica fa pensare che qui il commentario procedesse “a lemmi continui”2, ma non possiamo sapere se, nella sua interezza, l’opera si configurasse come una “edizione commentata”3. Da questa struttura si può inoltre 1
Cfr. Grenfell-Hunt-Hogarth 1900, p. 87, e Funghi-Cavini 1995, p. 14. Una struttura “a lemmi continui”, pur con l’omissione di brevi passi, si ritrova nei commentari di Alessandro di Afrodisia (cfr. Abbamonte 2004, p. 34, con una dettagliata analisi della struttura del commentario al I libro dei Topici di Aristotele, in particolare del rapporto fra testo di Aristotele e corrispondente commento di Alessandro). 3 Cfr. pp. 241-242. Più che di un tipo di commentari “a lemmi continui”, cioè di commentari in cui era sistematicamente riportato l’intero testo commentato diviso in pericopi in funzione di lemma, pare opportuno fare riferimento all’idea di “edizioni commentate” (cfr. Montanari 2006, part. pp. 11-13): in questo genere di libri, infatti, sembrano avere pari peso il testo da interpretare e l’esegesi; inoltre prevale la parafrasi, ma il contenuto non è unicamente parafrastico in senso stretto. Questo accade anche in P.Fay. 3. I prodotti citati da Del Fabbro 1979, pp. 70-78, presentano caratteristiche assai differenti e difficilmente riconducibili a una tipologia unica, descrivibile come categoria a sé stante. 2
P.Fay. 3
263
desumere che il testo perduto tra la fine di col. II e l’inizio di col. III contenesse uno o due righi con la fine della citazione di 109b 4-9 e il commento a questo brano, la cui parte conclusiva è testimoniata dai resti di III 1-5. Inoltre il testo perduto tra la fine di col. I e l’inizio di col. II doveva contenere la parte finale del commento a 109a 34-35 e verisimilmente due lemmi, 109a 35-38 e 109b 1-4 con il rispettivo commento: la parte finale di quest’ultimo è conservata a col. II 1-84. La scansione fra testo commentato e sezione esegetica è segnalata da accorgimenti redazionali: lo scriba non va a capo con l’inizio del testo aristotelico, ma lascia uno spazio bianco alla fine del commento al passo precedente e prosegue nel rigo5; similmente, alla fine del passo aristotelico il relativo commento doveva iniziare nel rigo, dopo uno spazio bianco (non sopravvive nessun esempio). Ogni successivo rigo del commento è scritto in eisthesis per l’ampiezza corrispondente a circa due lettere. Le parole conservate della sezione esegetica sono troppo poche per stabilire precisamente le caratteristiche dell’opera6. Il tipo di esegesi sembra essere costituito essenzialmente dalla parafrasi, ma in qualche punto il commento presenta elementi aggiuntivi: una forma prescrittiva (col. I 11 çkevptou mh;), una espansione (col. I 12-13 h] gevnoç h] o[⁄ªnoma), una spiegazione (col. I 13 ga;r). I primi editori e Funghi-Cavini 1995, p. 18, hanno sottolineato in base a col. III 5-157 che la quantità di commento equivale alla quantità di testo commentato, ma la proporzione fra testo aristotelico e commento potrebbe essere stata anche molto diversa nelle parti perdute (non è possibile infatti ricostruire il formato del rotolo). Non c’è un’analisi approfondita dal punto di vista filosofico8, ma una parafrasi molto puntuale che sembrerebbe riguardare il testo intero e non passi scelti9. Per l’utilizzo di un metodo esegetico volto a spiegare alla lettera il testo dell’opera aristotelica piuttosto che a fornire interpretazioni di ordine filosofico, questo commentario è stato considerato come possibile testimone di una tradizione esegetica inaugurata da Andronico di Rodi e a cui si rifarà nel II/III sec. d.C Alessandro di Afrodisia nei suoi commentari10.
4
Nei Commentaria in Aristotelis Topicorum libros octo di Alessandro di Afrodisia sono riportate le pericopi aristoteliche 109a 34-35, 109b 9-10 e 109b 13-14. 5 Questo accorgimento è visibile a coll. I 6 e II 8, ma è sicuro che fosse così anche a col. III 5 e 15. 6 Cfr. CPF III, p. 18. 7 Cfr. Grenfell-Hunt-Hogarth 1900, p. 87, e CPF III, p. 18. 8 Cfr. i commentari di Alessandro, in cui il commento presenta in primo luogo la parafrasi e in secondo luogo approfondite considerazioni di tipo filosofico. 9 Cfr. CPF III 9 = BKT II (IIp), commentario anonimo al Teeteto di Platone, in cui i lemmi non sono continui e in genere non sono molto lunghi; spesso invece è molto lunga e articolata la sezione di commento, dove per prima cosa è presentata (anche se non sempre) la parafrasi. 10 Cfr. Abbamonte 2004, pp. 30-32.
264
Aristoteles 7 Col. I
5
10
ä ä ä ºh≥n ºwn ºono ºei ºa≥i ≥ (109a 34-35) º≤ªº≤ªºa≥ ei|ç≥ m≥e;≥n dh; tovpoç to; ejpºiblevpein eij to; katΔ a[llon tinºa;≥ trovpon uJpavrªcºon≥ wJç çumbebhºk≥o;ç ajpodevdwken. º≤e≥≤≤a≥i eij tovde twi çumbevbºhken çkevptou mh; º≤ ejçtin h] gevnoç h] o[noma º≤etai ga;r tou'to ºan katΔ a[llon me;n ä ä ä
3 ºono HM, ºonoi ed. pr., º≤no≤ Funghi-Cavini 6 dopo ºa≥ spazio bianco —— 3 fort. ºono⁄ªmat- HM 10 º≤e≥≤≤a≥i fort. º≤e≥i ≥t ≥a≥i HM; an ªaJmartavºn≥etai ? Funghi-Cavini, cl. 109a 35-36 10-11 tw'/ ãeÃi[⁄dei prop. ed. pr. 11 suppl. ed. pr. 12 fort. ºu≥ HM 13 suppl. ed. pr.
Col. II
5
ä ä ä ≤≤≤≤≤≤≤≤ª ≤≤≤kª≤≤º≤ht≤ª ≤eç≥a≥ª≤≤≤º≤d≤n ga;ªr k≥ei≤≤e≥n≥wnª gorhma≥t≤n≥o≥ª kecrw'çqai ou[tªe gevnoç ou[te≥ i[dion duvnatai ei\nai ajlla; çumbebhkovç. ajpΔ oujdeno;ç gavr gevªnºo≥uç parwnuvmªwºç hJ kathgo-
10
rºiva kata; tou' ei[douç levgetai, ajlla; pavnta ta; gevnh çunwnuvmwç
(109b 4-9)
P.Fay. 3
265
tw'n eijdw'ªnº kathgorei'ªtºai kai; ga;r to; o[≥ªnºoma kai; to;n l≥o≥vªgoºn ejpidevcetai to;n tw'n genw'n≥ ta; 15
ei[dh. oJ ou\n kecrwçmevnon≥ ei[paç to; leuko;n ou[te wJç gevnoç ajpodevdwken ejpeªiºd≥h; p≥ªaºrw⁄ªnuvmwç ä ä ä
8 dopo çumbebhkoç spazio bianco 11 nell’interlinea sopra çu è scritto oª≤º 15 ºei› pap. —— 2 fort. ç≥u≥≤k≥ª HM 3 fort. ç≥k≥e ≥a≥ª , e≥l≥e ≥a≥ª vel sim. HM 4-5 kathº⁄gorhmata Funghi-Cavini : kathº⁄govrhma t≥h≥;n≥ aª ed. pr. : fort. t≤≥io≤≥ª , non to≥i ≥ou≥ª HM 6 suppl. ed. pr. 11 pavnta çunwnuvmwç ta; gevnh codd., oJmwnuvmwç manus altera s.l. pap. 13 tou[noma codd.
Col. III
5
10
15
20
ä ä ä ≤≤ºh≥ç≥o≥≤ª ≤≤ºk≥aiª ≤≤ºc≥rwç≥ª kathgoºr≥iva f≤ª ≤≤ºt≥o≥n≥ª oJ ga;r oJriç(109b 9-12) mo;ç kai;º t≥o≥; i[dªion oujdeni; a[llw/ uJpavrcºei, k≥e≥vªcrwçtai de; polla; kai; tw'n a[llwn,º oi|on ª a[nqrwpoç i{ppoç. dh'lonº ou\n o≥{ªti wJç çumbebhko;ç ajpodºe≥vdwk≥ªen. ≤≤º≤hkª ≤≤º≤≤≤ª to kl≤ª dª≤ºno≤ª mª a[lloç to; (109b 13-15) ejpib≥lªevºp≥ªein oi|ç uJpavrcein h] p≥a'çin h]≥ m≥ªhdeni; ei[rhtai. çkopei'n de; katΔ ei[dªh kai; mh; ejn toi'ç ajpeivroiç: oJ≥dw/' g≥ªa;r ma'llon kai; ejn ejlattoçin ªhJº çkevyªiç. eih hd≤ª
266
Aristoteles 7
25
pavçaiç d≥ª cei touª qwª≤≤º≤≤ª f≥≤ª ä ä ä
3 ºc≥rwç≥ª HM : º p≥rwtª ed. pr., Funghi-Cavini suppl. ed. pr. 6-7 uJº⁄ªpavrcºei k≥e ≥vªcrwçtai HM : uJpavrº⁄ªcei kevcrwçtai ed. pr., Funghi-Cavini 8 livqoç a[nqrwpoç i{ppoç D, fort. pap. propter spatium 10 ajpodevdwken pap. cum CDL, Ross : ajpodivdwçin ABu, edd. 22 d≥ ª HM : tª FunghiCavini
col. I … (109a 34-35) Uno [di questi schemi comuni (cioè un luogo comune)] consiste nell’esaminare se (l’oppositore) ha attribuito a un oggetto [come accidente] ciò che invece gli appartiene [in qualche altro modo diverso]. ... se questo a ... è un accidente, sta’ attento a non ... è o un genere o un [nome] ... infatti questo ... in qualche altro [modo diverso ...] col. II ... essere colorato né [genere] né proprio può essere, ma accidente. (109b 4-9) Infatti da nessun genere per derivazione da altro nome la categoria è detta secondo la specie, ma tutti i generi per derivazione da uno stesso nome sono enunciati delle specie; e infatti le specie ricevono il nome e la definizione dei generi. Quindi chi dice che il bianco è colorato, non ha attribuito (‘colorato’) né come genere, poiché per derivazione da altro nome ... col. III … categoria … (109b 9-12) [Infatti la definizione e] il proprio [non appartengono a nient’altro, invece molte anche delle altre cose] sono colorate, per esempio [... l’uomo il cavallo.] Dunque [è chiaro] che [come accidente] ha attribuito. ... (109b 13-15) [Il secondo di questi schemi comuni] consiste nell’esaminare [a quali cose (un oggetto) è detto appartenere: o] a tutte o [a nessuna. Bisogna fare una ricerca] secondo le specie [e non in ciò che è] infinito; infatti la ricerca sarà fondata [più saldamente] su un metodo [e in un minor numero di cose]. ... a tutte ... MARCO STROPPA
8 (?)
P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 2 col. I 8 = CPF I.1* 24.51T [⇒ III: Lexica]
sec. II/IIIp
Voce di lessico (Resp. Thessalorum?) ejn th'/ Qeççºa≥lw'n Po≥liteiva/ poleiteia pap. ää Ariçtotelhç en th Qettºalwn politeia Hunt 1922 dub.
Poiché ad Aristotele è attribuito un trattato sulla Costituzione dei Tessali (lo scritto aristotelico è noto da diverse testimonianze antiche, cfr. frr. 496-500 R. = 293, 489, 2-3, 502, 503, 504, 1-4, 984 G.), Hunt ipotizza che proprio il nome dello Stagirita sia da integrare prima del riferimento a tale opera1. In realtà molti si occuparono della Tessaglia2, e proprio una Qeççalw'n politeiva scrisse anche Crizia (test. 20 Gentili-Prato = VS 88 B 31). Aristotele tuttavia, viene citato più volte in questo papiro: nel fr. 3 col. III 7 (⇒ 6) è menzionata un’altra sua politeia e forse anche nel fr. 2 col. I 4. Inoltre, poiché il lessico mostra un ordinamento alfabetico rigoroso e il fr. 1 conserva la lettera iniziale (k-) di cinque lemmi, mentre il fr. 2 col. II reca le prime due lettere (la-) di quattro lemmi, è verisimile che anche nella col. I del fr. 2 fossero registrati lemmi inizianti con la- e il nostro “will have come from the end of the k- series or early in the la- series” (Keaney 1980; cfr. pure Messeri Savorelli 1989, p. 374). Se l’integrazione è corretta dunque – e, come osserva Keaney, la Qeççalw'n politeiva è l’unico titolo nella serie delle politeiai che in questo caso appare congruo – allora è possibile che la glossa riguardasse il termine lavgunoç ‘fiasco’, ‘bottiglia’, ‘misura di vino’3 citato da Ateneo (XI 499d) dalla Qeççalw'n politeiva (cfr. fr. 499 R. = 503 G.). In ogni caso, va rilevato che sembrerebbe preferibile la forma Qeççalw'n a quella in t geminato stampata da Hunt, visto che nel papiro si legge meliççw (fr. 3 col. II 4), meliççaç (fr. 3 col. II 6), meliççwn (fr. 3 col. III 4). ELENA ESPOSITO 1
Sulla tradizione indiretta delle Politeiai aristoteliche si veda Montanari 1993 e Montana 1996a. Cfr. Stählin 1936, coll. 85-91. 3 La parola, tra l’altro, viene spiegata da alcuni grammatici, compare nel lessico atticista di Moeris (l 9 H.), nell’onomastico di Polluce (VI 14), ed è oggetto di esegesi in Sud. l 33, 1 A.; EGud. p. 360, 11 ss. St.; EM. p. 554, 19 G.; Eustath. ad Hom. Il. p. 764, 18; Zon. p. 1284, 5 T. 4 Cfr. pure il commento di Schironi 2009, pp. 101-102. 2
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SCHEDE
P.Berol. inv. 5009 (MP3 164; LDAB 398) (IVp) Il papiro è stato edito per la prima volta da Blass 1880, pp. 366-382, in séguito da Diels 1885, pp. 1-57 (con fac-simile), e da Chambers 1967, pp. 4966, che ha potuto collazionare il testo con quello di P.Lond.Lit. 108. I due fogli frammentari di un codice papiraceo conservano Resp. Ath. 12, 3-4 (fr. Ia [ï]), 13, 1-5 (fr. Ib [î]), 21, 4-22.3 (fr. IIa [î]), 22, 4-7 (fr. IIb [ï])1. Il fr. I conserva in realtà anche una parte dell’altra metà del bifoglio: si vede la piegatura mediana e il margine interno delle due pagine, con resti di testo troppo esigui per consentire una sicura identificazione con parti già note, per cui è impossibile dire se questo foglio così malridotto precedesse o seguisse, nel codice, il foglio connesso. Da un confronto diretto tra il fr. I e il fr. II risulta con sufficiente evidenza che il fr. II non appartiene allo stesso bifoglio del fr. I: le rispettive facce perfibrali, in effetti, non mostrano nessuna somiglianza nella struttura delle fibre all’interno di quello che dovrebbe essere, nell’ipotesi, un unico kollema. Le dimensioni del campo di scrittura nelle singole pagine sono ricostruibili in cm 11 ca. per la larghezza e in cm 20 per l’altezza; il margine interno (visibile nel fr. I) misura cm 1,5, quello esterno (visibile nel fr. II) almeno cm 4, quello inferiore (ugualmente visibile nel fr. II) misura cm 5 ca. Il margine superiore è andato perduto con i righi iniziali di ogni pagina in entrambi i frammenti. Dall’autopsia dell’originale è emerso che sul fr. II è stato eseguito un restauro antico; kolleseis “regolari” sono ben visibili in Ib (î) a circa cm 3,5 a destra dal bordo di frattura e in IIa (î) a circa cm. 4,5 dal margine; invece una kollesis anomala è ben visibile in IIa (î) e IIb (ï): il margine esterno del foglio è stato dunque rinforzato con una striscia di papiro, le cui fibre sono disposte perpendicolarmente al foglio stesso: verticali dalla parte di IIa, orizzontali dalla parte di IIb. La striscia è incollata sopra il lato b (ï)2. La scrittura, di tipo rotondo e non costante, è databile al IV sec. d.C.3: omi-
1 Dal controllo autoptico eseguito da G. Bastianini, F. Montanari e M. Stroppa con l’aiuto di una lampada a raggi ultravioletti risulta che il r. 25 è l’ultimo della pagina sia nel fr. IIa sia nel fr. IIb: al di sotto si trova il margine inferiore che reca sporadiche tracce di inchiostro che sembrano impronte o macchie casuali, non scrittura. Per una presentazione dettagliata dei risultati dell’esame autoptico del papiro, vd. Stroppa 2010. 2 Il caso di questo codice aristotelico è dunque da aggiungere alla trattazione di Puglia 1997 (part. pp. 57-61 per le modalità di restauro). 3 Per la datazione è utile un confronto con P.Köln III 134, Omero, Iliade (cfr. Cavallo-Maehler 1987, pl. 9b) e P.Cair.Isid. 2, dichiarazione di Aurelio Pancrazio, del 298p; cfr. inoltre P.Berol. inv. 5026 = PGM I 2, pp. 18-30 (riproduzione parziale in Preisendanz 1928, Abb. I; riproduzione del
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cron talvolta piccoli, r con occhiello grande e asta verticale che scende sotto il rigo, a con sacca grande e occhiello piccolo in alto, k in due movimenti, in cui la parte superiore destra è tracciata in legatura con l’asta verticale. Secondo Chambers 1967, p. 62, nei margini esterni sarebbero presenti tracce di marginalia ormai illeggibili4. Dall’indagine autoptica non risulta la presenza di scolii, nemmeno sottoponendo il papiro alla luce di una lampada a raggi ultravioletti, per far risaltare la presenza di inchiostro; le tracce di inchiostro non sono resti di scolii svaniti, ma semplici sbavature o impronte lasciate dal contatto con altri fogli. MARCO STROPPA
*** P.Hib. II 172 (MP3 2129; LDAB 3535), col. V 2 (sec. IIIa) [⇒ III: Lexica] Il composto kallivteknoç, ‘dai bei figli’, è originariamente epiteto di Latona, Niobe e quindi anche di Artemide, Apollo e delle Nereidi5 ed è attestato prima del III sec. a.C. – epoca in cui si data P.Hib. II 172 – nel solo »n Aristotele (fr. 672 R. = T 1, p. 24 G. çunevgraye (scil. Aristoteles) ... ejlegei'a w ajrchv “kallitevknou mhtro;ç quvgater”). Poiché il nostro repertorio attinge alla poesia epica, lirica e tragica è del tutto improbabile che la fonte sia Aristotele: egli, piuttosto, avrà ripreso un poetismo già in uso6. ELENA ESPOSITO
*** P.Lond.Lit. 164 (MP3 157.2 = Pack2 1501; LDAB 390) (sec. II-IIIp) Il frammento di rotolo conserva due colonne di scrittura, il cui testo è stato identificato da Roselli 1979a, pp. 13-16, come l’epitome di HA. II 169-177
papiro intero in Merkelbach-Totti 1990, Taf. 1). Mi sembra opportuno escludere una datazione della scrittura al II sec. d.C., come suggerito da Blass, Diels e Chambers, che propone come paralleli P.Lond.Lit. 132 (Iperide) = Roberts 1956, nr. 13b, e identifica erroneamente la scrittura con una informale rotonda. 4 Cfr. anche Rhodes 1981, p. 3. 5 Cfr. Habicht 1996, p. 159. 6 Di parere opposto è Habicht 1996, p. 157 n. 4: “vermutlich von dort [scil. Aristoteles] ist das Wort in das auf einem Papyrus bewahrte poetische Onomastikon des dritten vorchristlichen Jahrhunderts, PHib. 2, 172, 105, eingegangen”.
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scritta da Aristofane di Bisanzio: cfr. CPF I.1* 24.36T. L’opera di Aristofane testimonia l’interesse per gli scritti di argomento zoologico di Aristotele, cui hanno attinto frequentemente gli autori di opere esegetiche (cfr. p. 244). MARCO STROPPA
*** P.Oxy. XXXV 2744 (MP3 2865.1; LDAB 4824) (sec. IIp) Il testo presenta alcune caratteristiche dei commentari sia per l’impostazione editoriale sia per il contenuto. Sono citati infatti brani di opere diverse di Aristotele: HA. 578a 32-b 5, a col. I 1-11, HA. 559a 12-14, a col. I 37-II 3 (entrambe le citazioni sono riprese in CPF I.1* 24.31T) e Problemata Inedita II 153 a col. II 24-36 (= CPF I.1* 24.40T). Se per le citazioni riportate nella seconda colonna abbiamo l’evidenza che siano in ekthesis, non è sicuro che la citazione che compare alla prima colonna lo fosse, poiché il margine sinistro non è conservato. Inoltre il brano da HA. 578 precede quello da 559: sembra perciò da escludere che l’oggetto principale dell’esegesi sia un’opera di Aristotele e anzi risulta verisimile che il filosofo sia citato come testo parallelo per corroborare le spiegazioni fornite dall’autore. La stessa funzione sembrano avere anche le altre citazioni di Aristofane, Dinarco e Ameria7 riportate nel testo, nessuna delle quali è in ekthesis. Dalla porzione di testo superstite non risulta chiaro neppure l’argomento trattato; si parla genericamente di animali e Luppe 1970, pp. 39-40, ipotizza, seguito da Roselli 1979b, pp. 10-11, che i lemmi possano essere clouvnhç (?), tevtrix e bolai'a e che l’autore possa essere Didimo. È quindi difficile formulare ipotesi su quale sia l’autore commentato e anche su quale argomento sia affrontato dall’esegeta. Considerando l’esiguità del testo sopravvissuto, anche il tipo di opera esegetica potrebbe non essere un commentario, ma un trattato. MARCO STROPPA
7
Sulla citazione di Ameria nel papiro cfr. Valente 2005, pp. 284-285.
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*** P.Oxy. XLVII 3320 (MP3 2592.1; LDAB 4814) (sec. IIp) Il frammento di rotolo contiene i resti di due colonne; il testo presenta somiglianze con Aristotele, Analytica Priora A 33 (47b 29 ss.), ma nell’editio princeps si afferma esplicitamente che il frammento non appartiene all’opera aristotelica. L’editore specifica inoltre che è improbabile che il rotolo da cui proviene questo frammento contenesse un commentario. L’ipotesi più concreta è che il testo appartenga agli Analytica Priora scritti da Teofrasto o Eudemo, entrambi perduti, che pare riprendessero da vicino l’opera di Aristotele. MARCO STROPPA *** P.Oxy. inv. 2B 76/F (8-11) = CPF I.1* 24.9 (MP3 163.1; LDAB 401) (IVp) Il papiro, ancora inedito, è stato oggetto di parziale edizione da parte di Chambers 1971, p. 43. Alcune considerazioni sul testo e alcune ipotesi sulle caratteristiche di questo testimone della Respublica Atheniensium sono formulate da Montanari 1993, pp. 11-14: potrebbe trattarsi della citazione o della parafrasi del passo aristotelico Resp. Ath. 7, 3 all’interno di una trattazione esegetica (forse anche di un commentario), ma allo stato attuale delle conoscenze non è possibile trovare conferma a queste ipotesi. MARCO STROPPA *** Par. Gr. 1330, unità manoscritta antiquior C, ff. 16, 18, 96-98 (LDAB 129690) (sec. V/VI p) Si tratta di 5 fogli palinsesti in cui è stata identificata la stessa mano e lo stesso contenuto, riutilizzati per comporre il Par. Gr. 1330, del XIII/XIV, che riporta “nomocanoni” e testi monastici8. In questo codice sono state recentemente identificate da Faraggiana di Sarzana 2009 tre unità manoscritte antiquiores: A, testi del corpus dello Pseudo Dionigi intercalato da commento; B, testi di Gregorio di Nazianzo; C, antico commentario ad Aristotele.
8
Cfr. Faraggiana di Sarzana 2009, pp. 199-204 per l’elenco dettagliato.
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L’unità C, scritta in maiuscola biblica, è databile su base paleografica al V/VI secolo ed è possibile una provenienza dalla Siria. Faraggiana di Sarzana 2009, pp. 216-222, presenta la trascrizione di alcuni righi e una dettagliata descrizione codicologica, proponendo di identificare il testo con un commentario ad Aristotele (Analitici Primi?). La maggior parte del testo riconosciuto come appartenente al codice “aristotelico” è composto da schemi, costituiti da parole collegate insieme da linee. In due pagine, f. 97v e f. 98r, è riconosciuto un testo continuo, disposto a tre colonne per pagina. Poiché la trascrizione del testo è ancora parziale, non è possibile arguire se si tratta di un commentario in senso stretto oppure di una tipologia particolare di esegesi, la cui caratteristica distintiva sembra essere la realizzazione di schemi. MARCO STROPPA
AUTOCLIDES 1
P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 3 col. III 8-9 Voce di lessico
miavçtwr: oJ eijdwvç ejauto;n mh; kaqaro;n ai[matoªç dei' kai; miaivnwn. Aujtokleivdhç ejn tw'/ ejpigr≤ª 8 il lemma è in ekthesis di ca. tre lettere mieçthr pap. dopo mieçthr spazio bianco ää 8 miaçtwr Hunt 1922 : mieçthvr Jacoby (FGrHist 353 F 6) : miaçthvr ? LSJ add. s.v. aimatoªç kai elqwn ina mh Hunt cl. Phot. Lex. m 441 Th. : ai[matoªç parevrcetai i{na mh; ktl malim, e.g. 9 miaivnein vel miaivnei Jacoby (FGrHist 353 F 6) ejpigraªfomevnwi ΔExhghtikw'i Crönert 1922 : epigraªmmati Hunt 1922
miavçtwr1: colui che, consapevole di non essere immacolato [sopraggiunge dove non (?)] bisogna e contamina. Autoclide nel … Vissuto sicuramente prima di Didimo (I a.C.-I d.C.) che lo cita (fr. 15, p. 39 Schm.), forse attorno al 200 a.C., come suggerisce Jacoby (1949, pp. 16, 252), Aujtokleivdhç qui menzionato deve con ogni verisimiglianza identificarsi con l’autore, di origine ateniese, di un’opera intitolata ΔExhghtikonv (-kav), che trattava dell’interpretazione delle tradizioni e delle norme religiose. Egli tuttavia è spesso stato confuso, dagli antichi e dai moderni almeno fino alla fine dell’Ottocento, con ΔAntikleivdhç, lo storico ateniese della prima età dei Diadochi (FGrHist 140)2. L’unico parallelo lessicografico che sembra rispecchiato da P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812 è Phot. Lex. m 441 Th. miavçtwr: o{tan tiç auJto;n mh; kaqaro;n eijdw;ç parevrcetai i{na mh; dei', memivgmenoç (memiaçmevnoç Naber, che propose anche, pur dubbiosamente, memoluçmevnoç), già individuato da Hunt e sulla cui base l’editore avanzava il supplemento del r. 8. Alla luce di questo stesso parallelo preferirei l’integrazione proposta in apparato parevrcetai i{na mh; ktl. Quanto poi ad epigraªmmati, ipotizzato dubbiosamente da Hunt, migliore appare l’ejpigraªfomevnwi ΔExhghtikw'i di Crönert 1922 (cfr. Clid. FGrHist 323 F 14 ejn tw'/ ejpigrafomevnw/ ΔExhghtikw/)' 3. ELENA ESPOSITO 1 2 3
Sul campo semantico del termine cfr. Parker 1983, pp. 108-109, nonché Georgantzoglou 2002. Cfr. LGGA s.v., con bibliografia. Su questa glossa cfr. pure Schironi 2009, pp. 101-102.
BACCHYLIDES
Die Lieder des Bakchylides, soweit sie sich in öffentlichen oder privaten Archiven erhalten hatten und von dort in die königliche Bibliothek in Alexandria gelangt waren, wurden dort im 3.Jahrhundert v.Chr. ediert und kommentiert. Nach dem Tod des Dichters, wohl um 450 v.Chr. oder bald danach, wurden seine Lieder, anders als manche in Athen populäre Lieder des Simonides und Pindar, anscheinend lange Zeit nicht mehr gesungen, gelesen oder zitiert; jedenfalls finden wir bis zum Beginn des 3. Jahrhunderts v.Chr. keine direkten Hinweise darauf. Nach unserer Kenntnis ist Kallimachos der Erste gewesen, der sich wieder mit den Liedern des Bakchylides beschäftigt hat. Das Hypomnema P.Oxy. XXIII 2368 ⇒ 4 zitiert Aristarch, der einem Lied den Titel ‘Kassandra’ gegeben und es als Dithyrambus bezeichnet habe, während Kallimachos es zu Unrecht als Paian klassifiziert habe. Letzteres bezieht sich vermutlich auf seinen monumentalen Katalog der alexandrinischen Bibliothek, die Pinakes. Dass die erste Klassifizierung der Lieder des Bakchylides von Kallimachos vorgenommen wurde, ist auch deswegen anzunehmen, weil er nachweislich auch zumindest die Epinikien des Simonides und Pindars klassifiziert hat (Callim. Frr. 441 und 450 Pf.). Kallimachos scheint auch Themen und Motive von Bakchylides entlehnt und in seinen eigenen Dichtungen verwendet zu haben, etwa in der Erzählung von Herakles’ Besuch bei Molorchos im 3. Buch der Aitia (Frr. 54-59 Pf.), die von Bakchylides’ dramatischer Schilderung des Kampfes des Herakles mit dem nemeischen Löwen im Epinikion 13 (Vers 44-57) angeregt sein könnte. Dass Bakchylides’ Dichtungen in der ersten Hälfte des 3. Jahrhunderts v. Chr. in Alexandria bekannt waren, zeigt auch P.Hib. II 172 ⇒ 7 (?) (Mitte des 3.Jh., = SH 991), eine Liste poetischer Composita aus epischer, chorlyrischer und tragischer Dichtung; vier dieser Composita finden sich sonst einzig bei Bakchylides, sind also höchst wahrscheinlich vom Kompilator dieser Liste aus den in Alexandria verfügbaren Liedern entnommen worden. Auch die Edition seiner Dichtungen ist aller Wahrscheinlichkeit nach im 3.Jh.v.Chr. vorgenommen worden. Dazu gehörte die Kolometrie, d.h. die Abteilung der Texte in Strophen, Triaden und kurze Verse (kola) auf der Grundlage der metrischen Responsionen und der regelmäßig an gleicher Stelle innerhalb
276
Bacchylides
des metrischen Schemas wiederkehrenden Satz- und Wort- (oder Wortgruppen-) Enden. Diese Umstellung in der Darbietung der LyrikerTexte und der chorlyrischen Passagen des attischen Dramas, die noch bis zur Mitte des 3.Jh.v.Chr. in Lesetexten in langen Zeilen wie Prosa geschrieben worden waren, geht auf Aristophanes von Byzanz (ca. 260-180 v.Chr.) zurück. Er hat auch Pindars Dichtungen auf 17 Buchrollen verteilt: dºih/vrhtai de; aujtªoºu' (scil. Pindars) tªa; poihvmata uJpΔ ΔAriçtofavnºouç eijç bibliva i—z— (P.Oxy. XXVI 2438, 35-36); das setzt eine kritische Edition voraus. Man kann daher annehmen, dass die kritische Ausgabe der Dichtungen des Bakchylides ebenfalls von ihm besorgt wurde, denn ihre Textanordnung, Kolometrie und Ausstattung mit Lesezeichen (Paragraphos, Koronis usw.) in den Papyri entspricht der Ausstattung der kritischen Ausgaben des Pindar-Textes in Papyri der Kaiserzeit. Auch die Kommentierung der Lieder des Bakchylides hat in hellenistischer Zeit begonnen. Ein Kommentar zu den Epinikien ist zwar erst für Didymos bezeugt (Amm. De voc. diff. 333 N. Divdumoç ... ejn uJpomnhvmati Bakculivdou ejpinivkwn; das Zitat daraus bei Ammonios bezieht sich anscheinend auf Bacchyl. 13, 123), aber Didymos hat vor allem die Kommentare seiner Vorgänger ausgewertet. Vermutlich hat er auch andere Bücher des Bakchylides kommentiert; dann wäre es nicht unmöglich, dass er auch der Verfasser des Hypomnema ist, aus dem ein Stück in P.Oxy. XXIII 2368 ⇒ 4 erhalten ist1. Die dort geführte Diskussion um die Klassifizierung eines Liedes mit dem Titel ‘Kassandra’ (s. oben) könnte durchaus von Didymos stammen, der auch eine Schrift Peri; lurikw'n poihtw'n verfasst und darin Fragen der Klassifizierung erörtert hat2. Von ganz anderer Art ist dagegen das andere Hypomnema, von dem Fragmente auf Papyrus erhalten sind, P.Oxy. XXIII 2367 ⇒ 1. Es enthält, soweit man sehen kann, nur einfache Worterklärungen und Paraphrasen auf einem recht bescheidenen Niveau; ein Verfasser lässt sich nicht benennen. Ebenso wenig lassen sich die Quellen der Randnotizen in anderen Bakchylides-Papyri (⇒ 2, 5 und 6) oder der Verfasser des Prosatextes BKT IX 187 ⇒ 3 benennen; auch die Identität des Ptolemaios, der in einer Randnotiz zu P.Oxy. XI 1361 (⇒ 6) Fr. 4 (= Bacchyl. Fr. 20A, 19) zitiert wird, bleibt ungewiss3. HERWIG MAEHLER
1 2 3
Das hat Pfeiffer 1968, 222 vermutet. Vgl. Pfeiffer 1968, 277. Vgl. Maehler 1982, 33-34.
1
P.Oxy. XXIII 2367
sec. I/IIp
Kommentar zu Bakchylides’ Epinikien Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms. Edd.: LOBEL 1956, 41-50; SNELL-MAEHLER 1970, 122-127 (Pap. M); MAEHLER 1997, 122123; MAEHLER 2003, 118-119. Tab.: P.Oxy. XXIII (= LOBEL 1956), VIII. Comm.: MP3 182; LDAB 439 SNELL-MAEHLER 1970, XIV-XV; IRIGOIN 1993, XXXIV; MAEHLER 1982, I, 33, 42-43; MAEHLER 2004, 27, 30, 95, 104.
Erhalten sind 34 zum Teil sehr kleine Fragmente einer Rolle, deren Vorderseite einen von mehreren Händen geschriebenen Urkundentext trägt. Die Rückseite (↓) enthält, soweit erkennbar, Reste eines Kommentars zu Bakchylides’ Epinikien. Die Fragmente 1-7 lassen sich mit Sicherheit auf Stellen der Epinikien 3-5 beziehen, Fr. 8 nimmt anscheinend auf c. 5, 80 Bezug, Fr. 25 möglicherweise auf c. 13, 62-64; die übrigen lassen keinen sicheren Bezug erkennen. Die größeren Stücke machen den Eindruck eines recht anspruchslosen Kommentars, der überwiegend aus Worterklärung und einfacher Paraphrase auf einem sehr bescheidenen Niveau besteht. Lobel 1956, 41, hat die Schrift in des späte 1. oder die erste Hälfte des 2.Jh.n.Chr. datiert. Fr. 1 (ad c. 3, 63-65)
5
ä ä ä º ÔEll≥ªavd ºçka≥ª crºuço;n ª mºegavlwª ºhnouto≤ª plºeivona c≥ªruçovn ä ä ä
... Hellas (?) ... Gold ... groß ... mehr Gold
278
Bacchylides 1 Fr. 2 (ad c. 3, 67-68) ä ä ä º≤≤ª º≤kª eu\ levºg≥ein≥ ªpavreçtin o{ çtiç mh; fqºo≥≥vnw≥ªiº p≥ªiaivnetai: dei' to;n a[nºqrwp(on) eu\ levg(ein) fqovnºwi pie ºo≥fqo≥ª º≤ia≤ª ä ä ä
5
5 ºqrwpeuleg Pap. —— 6 lege piaiv⁄ªnetai
6 pie ğ Pap. 7-8 uJpºo; fqovªnou trevfetai ?
Preisen [soll, wer nicht] sich an Missgunst [weidet: man soll den] Menschen preisen ... sich an Missgunst weidet ... Missgunst ...
Fr. 3 (ad c. 3, 73-76) ä
5
10
ä ä º≤ª ºa≥fq≥ª ºi≥ ejfºhvmeroi≥ ªo[ntºeç ta; duºn≥ata; ejreuvna º o{ti ojligocrovnioç me;n ejçtin oJ bivoç ? º≤ hJ pte≤ª rou' ç ça ej l pi; ç diºa≥fqeivrei to; tw'n ajnqrwvpwn nºo≥≥vhma: ejlpivzont- ga;r ajei; oiJº a[nqrwpoªiº pl≥ªoºu≥th'çai ma'llonº kai; ejpitucei'n tw' n mh; parov ºn≥twn≥ ª≤≤≤º≤ª ºt≥wn ≤ª ºntai≤ª ä ä ä
P.Oxy. XXIII 2367
279
6 º≤ Spur der Spitze eines Buchstabens: t, g oder ç möglich ≤ª “probably the upper curve of a ‘filler’” (Lobel) 10 epitucein ğ Pap. 12 ≤ª Anfang eines Querstrichs (t ?) 13 ≤ª Spur eines runden Buchstabens —— 3 suppl. Lobel 4 suppl. Lloyd-Jones 6 suppl. Maehler 7-10 suppl. Lobel (ajei;, ma'llon Maehler) 11 suppl. Maehler
... in den Tag hinein lebend ... suche das Mögliche ... weil [das Leben (?)] kurze Zeit währt ... die geflügelte [Hoffnung] verdirbt das Denken [der Menschen]; es hoffen nämlich die Menschen auf [immer noch mehr (?)] Reichtum, und dass sie bekommen, [was sie nicht haben (?)] ...
Fr. 4 (ad c. 3, 83-87)
5
10
eu[fºraªiºn≥e v çou to;n qumovn: tou'to gºa;r panto;ç kevrdouç to; a[riçtovnº ejçtªiºn fronev o nti çunetºav: eJautw'i ? çuneta; fronou'ºnti a} levgein çoiv, ÔIevrwn, bouvloºmai: baqu;ç ? ºton du º fh(çin) ajneºi≥ to; u{dwr ajei; gºa;r m≥e vnei kaqarovn ? º≤qh ºn º≤ ä ä ä
4 eau ğ Pap. 8 fh – Pap. 13 º≤ ğ Pap. —— 1-3 suppl. Lobel 5-6 suppl. Maehler 10-11 suppl. Maehler
... erfreue dein [Herz,] denn [das] ist von allem [Gewinn der beste. Dem Nachdenkenden Verständliches:] was dir selbst [verständlich ist, wenn du bedenkst,] was ich [dir, Hieron,] sagen will. Tief ... schwer [zu ersteigen (?)] ... das Wasser [... immer (?)] nämlich bleibt [es rein (?)] ...
280
Bacchylides 1 Fr. 5 (ad c. 4, 10)
5
ä ä ä touºtevçtin ª u{ºmnouç ejpe≥vªbalen ? ejºpevçeiçen ª mºetafoªrikw'ç levgei ajnti; tou'º ej≥piç≥k≥ªedavçai ä ä ä
2 suppl. Maehler
4-5 mºetafoªr- Lobel, cetera Maehler
... das heisst ... hat Lieder auf ihn [geworfen (?)] ... hat geschüttelt über ... [sagt er] in übertragenem Sinne [anstelle von] ‘überschütten’ ...
Fr. 6 (ad c. 4, 15-16)
5
1 ajlla; çªuv ?
ä ä ä ºa≥l≥l≥açª ºnoç mª º e≥jpicqoªni ejºpemhvçªato ºo peri; ÔIevªrwnoç ä ä ä 2 mªovnoç ?
3 ejpicqoªnivwn ?
4-5 suppl. Lobel
... aber du (?) ... als einziger (?) ... unter den Menschen hat erreicht... über Hieron ...
P.Oxy. XXIII 2367
281
Fr. 7 (ad c. 5, 26-36) ä
5
10
15
ä ä º ≥ª ajllºhgorikw'ç o≥ª duçpaivºp≥ala tracev≥ªa av nwma'i dΔ ej n ajºtruvtwi c·e‚e≥ªi ajnti; tou' ajkataºp≥onhvtwi ca≥vªoç de; levgei to;n aijºqevra: leptov≥tri≥ªca ≤≤≤≤≤≤≤≤to;n aijºeto;n ejn tw'i oujrªanw'i gnwçqh'naiº fh(çi;n) uJpo; tw'n ajnqrwvpwn o{ti ejkpºrephvç ejçtin: fevretai ga;r çu;nº tw'i ajnevm(wi): ou{twøiØ nu'n kai; ejmoi; polºlhv ejçtin oJd≥ov≥ç w{çper ºi ≥ aijetw'i eijç tªo; uJmnei'n ta;ç nivkaºç tou' ÔIevrwnoç kai; tw'n a[llwn tou'º Deinomevnouç uiJw'n ºa≥≥loi de¤o‹ eirª eu\ e[ºrdwn de; mªh; kavmoi qeovç: ºe≥u\ pªoiºw'n oJ ªqeo;ç ºn mh≥ª ä ä ä
5 twi> Pap. 8 fh– 10 anem 11 odoç ğ Pap. 15 deoeir Pap. —— 3 suppl. Lobel 5-6 suppl. Maehler (aijºqevra Lobel) 6-7 leptovtriªca: aJpalovtrica ? 7 aijºeto;n Lobel 8-10 Maehler (fevªretai Lobel) 11 Maehler (polºlh; Lobel, qui confert sch. Pind. I. 6, 31 pollai; kai; megavlai aiJ tw'n ejgkwmivwn oJdoiv) 12-15 suppl. Maehler 16-18 suppl. Lobel
... allegorisch ... zerklüftet: rauh. [Er schwingt im] unvergänglichen Raum: [anstelle von] ‘unerschöpflich’. ‘Raum’ [nennt er] den Äther. Feingefiedert: [zartgefiedert (?)] der Adler, sagt er, werde am Himmel von den Menschen [erkannt,] weil er hervorsteche, [denn] er wird mit dem Wind dahingetragen. So steht [auch mir jetzt] viel Weg offen, [wie ... ] dem Adler, um die Siege Hierons [und der anderen] Deinomenes-[Söhne] zu besingen ... Segen zu spenden möge Gott nicht müde werden: Gutes zu tun ... [der Gott (?)] ... nicht ...
282
Bacchylides 1 Fr. 8 (ad c. 5, 80?)
5
ä ä ä ejnºdu≥k≥ev≥ªwç ºe p≥ollaª yºuc≥ai; tou≤ª ºh≥rou ç≥≥ta'q≥ªiv tΔ ejn cwvrai aujtou'º ejpivçceç kªai; galhvniçovn çouº th;n yucªhvn º pr≥o≥≤ ≤≤≤ª ä ä ä
1 suppl. Lobel 2-3 pollaªi; ... yºucai; Lobel (ad c. 5, 64 ?) an pr≥ov≥p≥e ≥m≥y≥ªon legi possit (cfr. c. 5, 81 proi?ei)
4-6 suppl. Lobel
7 dubium
... unablässig ... viele ... Seelen ... Bleib stehen [auf der Stelle]: verhalte dort und [beruhige deine] Seele ...
Fr. 9 ä
5
ä ä ºn≥oçtoª ºhn≤eç≥ç≥ª º ejpelqovn< ºei eij mhv pou ºn≥≥ta ejcon ä ä ä
5 econ ğ Pap. —— 2 tºh;n Qeççªal- Lobel
... herbeikommend (?) ... wenn nicht irgendwo ...
P.Oxy. XXIII 2367
283
Fr. 10 ä
ä
Fr. 11 ä ä ºeparª ºn≥epª ä ä
ä
5
ä ä ºhi ª ºhi ª ºç≥un ªºç≥un ª º≤≤fi º≤≤fi ª ª ajnºqrwvpajoiç ª poiç ª nºqrwv º≤≤≥ª≤º≤ º≤≤≥ ª ª≤º≤ ª ä
ä
ä
3 º≤≤ “only one letter might be represented” (Lobel), ºh ? 4 ºqrwpoiçª Pap.
Fr. 13
Fr. 12
5
ä ä º≤≤ª º≤≥afoª º≤qht≤ª ºu≥xhª º≤≤ª ä ä ä
ä
ä
2 º≤ anscheinend e, hochgestellt 3 º≤ wohl Interpunktion (Hochpunkt), eher als Spur eines Buchstabens nach qht Spur eines runden Buchstabens: oª oder eª ?
5
ä ä º≤≤ª ºthª ºw≥p≥onª ºm≥h≥ti≥fª º≤≤≤≤ª ä ä ä
1 ºo≥i ≥ª sim. 3 ºw≥p≥ dubium; ºw≥≤t≥ fuisse potest (Lobel) 5 ºp≥i ≥n≥t ≥ª possis (Lobel)
284
Bacchylides 1 Fr. 15
Fr. 14
5
ä ä º≤eª ºmh—d—ª ºççon o{ ejçtin≥ª ºeççon epeitª ºhi ta twª ºenouç≥ª ä ä ä
ä
ä
1 º≤ Rest einer Unterlänge und Spur eines Bogens links der Mitte des e —— 1 ºr vel ºf 3 pta'ºççon = c. 13, 84 ? 34 “ºççon and ºeççon seem clearly part of a lemma” (Lobel)
5
2 º≤ Spur eines Buchstabens auf halber Höhe vor h– —— 2 ºf≥ possis fh(çivn) ? 3 oºnom- 4 i≥p≥ª possis 5 Dio;ç uiJovªn ?, nescio an ad c. 5, 79 referendum sit 7 º≤ t vel g
Fr. 16 ä
ä ä ºi≥o≥ª º≤h– ap≥o≥ª ºnomat≥ª ºnka≤≤ª ºd≥ioç uioª ºo≥noi du≥ª º≤≥aç maca≥ª
Fr. 17
ä ä ºareiaª ºn epiçhª ºç e{neka ª ºtai tiçei≥ª
ä
5
ä ä ºnhtai t≥ª ºh≥≥mauª ºeklhª ºd≥hlonª ºdeiçinª
P.Oxy. XXIII 2367 Fr. 18 + 22 ä
ä
ä ºnª ei\naªi ≤teçt≥ª º≤fhi≥ª º≤≤ª ä ä
5 ä
285 Fr. 19 ä
ä ä º≤≤ª ºn·≤≤≤‚ª ä ä ä
3 vor t Spur eines runden Buchstabens 4 vor f eine winzige Spur der Spitze eines Buchstabens nach fh eine Haste —— 3 e≥t vel o≥t 4 ºu≥f ? i≥ª , sim.
Fr. 20 ä ää ä ä º≤≤thª º≤≤thª ºo≥ton≥ª ºo≥ton≥ª ºn lovgon d≥ª ºn lovgon d≥ª ºlueiç≥ª ºlueiç≥ª ºm≥u≥onª ºm≥u≥o5nª ºa≥delo#ª ºa≥delo# ª ºl≥lw diaª ºl≥lw diaª ºhçona≤ª ºhçona≤ª º≤eagwn≥ª º≤eagwn≥ª ä ä ää ä ä
Fr. 21
ä
5
4 über ç≥ ein Punkt: Interpunktion oder Spur eines Buchstabens ? 8 nach a Fuß einer aufsteigenden Diagonale 9 º≤ Spur einer fallenden Diagonale —— 8 dª, lª sim. 9 ºd possis
ä ä ä ºp≥ein t≥ª º≤ª≤ºmenª ºqrwª ºr≥aiaª 5 ºei gar≥ª º≤≤tª ä ä ä 4 ºr vel ºf ? 6 ºe≥l≥, ºç≥a≥ sim.? 6 ºe≥l, ºç≥a≥ sim.?
286
Bacchylides 1 Fr. 24
Fr. 23 col. I
5
col. II ä ä ä º≤ ª º ª º aª º dª º ≤ª º deª º emª º n≥≤ª ä ä ä
ä
5
ä
ä ä ºpoª ºour≥ª ºod ºçwª ºei≥pª ºtw≥ª ºoeª º≤ª ä ä
5 ≤ª Spur eines runden Buchstabens —— 5 oª, eª, qª sim.
Fr. 26
Fr. 25 ä
ä ºqrª ºqanª ºfoçª ä ä
ä
ä
ä ä º≤ª ºç≥tra≤ª ä ä ä
ä
2-3 fort. ad c. 13, 62-64 spectant
Fr. 27
Fr. 28 ä
ä 2 º≤ eine Haste —— 2 ºn≥ikon≥ª possis
ä ä ºk≥a ª º≤iko≤ª ä ä
≤ª Spitze eines Buchstabens
ä
ä ä º ª ºa≥cwª ºh– eª ä ä ä 2 fºh(çivn) ?
P.Oxy. XXIII 2367
287 Fr. 30
Fr. 29 ä
ä
ä
º≤ 𪠺an ª º≤ª ä ä
ºkaiemª ä ä ä
ä
Fr. 32 Fr. 31 ä º≤eiç≥ª º≤eiau≥ª ºe≥ª ä ä
ä ä ºze≥≤a≥ª º≤enª
1 ºze≥t ≥a≥ªi ?
ä
1 º≤ Ende einer fallenden Diagonale Spur eines runden Buchstabens —— 1 ºl≥ vel ºd≥ 2 ]f, ]o ?
2 º≤
Fr. 34 Fr. 33 ä ä
ä
ä ä ºneª º≤h≥ª ä ä
2 º≤ Ende eines Querstrichs —— 2 ºg, ºt sim.
ä
ä ä ºe≥ª ºacª ºadª º≤≤ª ä ä
1 ºeª, ºoª sim. 4 hasta, dein littera rotunda: ºnoª ?
Fr. 3 5-8 Wenn in Z. 5-8 ojligocrov⁄ªniovç me;n ejçtin oJ bivoºç≥ zu ergänzen ist und wenn, wie Lobel vermutet hat, die Schriftspur nach pte zu einem Zeilenfüller (ğ) gehört, dürfte die Paraphrase in Z. 7 mit hJ pte⁄ªrou'çça ejlpi;ç weitergegan-
288
Bacchylides 1
gen sein; diºa≥fqeivrei umschreibt offenbar das mit uJp[ beginnende Verb in V. 75 des Haupttextes, das Snell zu uJpªoluveiº ergänzt hat. Fr. 4 4-5 eJau⁄ªtw'i = çeautw'i: im klassischen und nachklassischen Attisch steht oft die 3. Person auch für die 1. und 2. Person des reflexiven Personalpronomens, vgl. Schwyzer-Debrunner 1950, 197-198; Gignac 1981, 169. 6-9 Die Zeilen 6-9 könnten beispielsweise gelautet haben baªqu;ç me;n aijqhvr: levgei aujºto;n duvªçbaton, to; de; ajmivantovnº fh(çin) ajneªpiqovlwton. Fr. 7 4 nwma'i: der Bakchylides-Papyrus A hatte nwmai⁄tai, vom Schreiber (A1) zu nwma⁄tai korrigiert. Die ursprüngliche Schreibung nwmai⁄tai könnte dafür sprechen, dass in seiner Vorlage die aktive Form nwma'i gestanden hatte. Auch der Sinn verlangt das Aktiv (vgl. Soph. Fr. 941, 11; AP. IX 339); die mediale Form ist erst spät belegt. Ausserdem zeigt die Responsion, dass die Verse 26-27 gegenüber den folgenden vier Triaden des Liedes eine lange Silbe zuviel aufweisen. Die mediale Form wäre auch zu lang für diese Zeile des Kommentars. 5 Das Trema über dem iota adscriptum dürfte ein Schreiberversehen sein; vielleicht hatte die Vorlage hier Interpunktion. 15 deoeirª: das hochgestellte omikron braucht nicht eine Abkürzung anzuzeigen, sondern könnte ein versehentlich ausgelassenes Pronomen (o} ei[rªh⁄ªtai) oder den Artikel (oJ eijrªh⁄ªmevnoç) nachtragen. Fr. 20 6 Was zwischen del und o über der Zeile hinzugesetzt wurde, sieht wie die linke Hälfte eines nach unten offenen Halbkreises ( # ) aus; dass damit P oder G gemeint sein könnte, erscheint sehr zweifelhaft. Fr. 25 Diese Zeilen könnten sich auf c. 13, 62-64 beziehen: brotw'n: ajnºqrªwvpwn kai; o{tanº qanªavtoio kuavneon nevºfoç ª Fr. 34 Dieser kleine Fetzen war in Lobels Edition nicht enthalten; die Abbildung im Internet zeigt ihn kopfstehend. HERWIG MAEHLER
2
sec. II/IIIp
P.Oxy. XXIII 2363 Scholien zu Bakchylides, Epinikion 14B Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Edd.: LOBEL 1956, 28-30; SNELL-MAEHLER 1970, 50-51 (Papyrus L); MAEHLER 1982, I, 136 (Papyrus L); IRIGOIN 1993, 205-210; MAEHLER 2003, 51-52. Tab.: P.Oxy. XXIII (= LOBEL 1956), VI. Comm.: MP3 176; LDAB 444
MAEHLER 1982, II, 306.
Das erhaltene Fragment ist 8,6 cm hoch und 8 cm breit; links ist ein Rand von 1 cm erhalten. Mit der 7. Zeile beginnt das Epinikion 14B; rechts neben den Zeilen 10 (= c. 14B, 4) und 13 (= c. 14B, 7) stehen Reste von Randnotizen in einer sehr kleinen, leicht nach rechts geneigten, geübten Buchschrift, die nicht identisch ist mit der Hand, die den Text, die Akzente und den Titel am linken Rand geschrieben hat.
c. 14B, 1-4
4
ÔEçtiva cruçovqronΔ, euj< dovxwn ΔAgaqokleada'n a{tΔ ajfne≥ªw'n ajndrw'n mevgan o[lbon aje vxeiç hJmevna mevçaiç ajguiai'ç th;n ÔEçtivan levgªei to; mevçon th'ç povlewç o{ti
ªoujº mov(non) to;; pu'r tou'to aj≥ªlla; kai; hJ eJçtiva ªejn tw'/ prutaneivw/ (?)
Scholion: 2 ª≤≤ºm≥otopurtoutoa≥ª Pap.
Die Hestia nennt er (= der Dichter) [den Mittelpunkt der Stadt, weil nicht] nur das Feuer dieser (ist ?), sondern [auch der Herd im Prytaneion (?).
290
Bacchylides 2 c. 14B, 5-8 5
Phneio;n ajmfΔ eujwvdea Qeççalivaªç mhlotrovfou ejn guavloiç: kei'qen kai; ΔAriçtotevlhç Kivr< PhnãeÃio;ªn eujwvdh levgei o{ti ? ran pro;ç eujqaleva molwvn
Scholion: p≥≥h≥n≥ioª Pap.
Den Peneios [nennt er ‘duftend’, weil ... (?)
Sch. zu 14B, 1-4 Das Scholion versucht anscheinend zu erklären, warum Hestia “in der Mitte der Straßen” sitzt. Dem Kommentator war vermutlich die Erklärung bekannt, die auch im Scholion zu Pind. N. 11, 1a wiedergegeben ist: pai' ÔRevaç, a{ te prutanei'a levlogcaç, ÔEçtiva: ta; prutanei'av fhçi lacei'n th;n ÔEçtivan parovçon aiJ tw'n povlewn eJçtivai ejn toi'ç prutaneivoiç ajfivdruntai, kai; to; iJero;n pu'r ejpi; touvtwn ajpovkeitai. Der Mittelpunkt der Stadt war das Prytaneion, wo auch das heilige Feuer brannte. Sch. zu 14B, 5 Vielleicht stand hier nur PhnãeÃiovªç: potamo;ç Qeççalivaç, wie in Sch. Callim. H. 4, 105a und Sch. Theocr. 1, 67a, was allerdings hier eine ganz überflüssige Erklärung wäre. Daher ist eher anzunehmen, dass hier das Beiwort eujwvdea erklärt war. Simonides (PMG 577b) gibt es dem Wasser der Musenquelle in Delphi; Flüsse hingegen werden zwar öfters “blumig” genannt, weil an ihren Ufern Blumen wachsen, aber dass der Duft dem Fluss selbst zugeschrieben wird, ist ungewöhnlich und bedurfte wohl einer Begründung. HERWIG MAEHLER
3
sec. IIp
BKT IX 187 Prosa mit Zitat von Bakchylides 15, 56 (= Dith. 1) Prov.: ? Cons.: Berlin, Ägyptisches Museum, inv. 21281v. Ed.: IOANNIDOU 1996, nr. 187. Tab.: BKT IX (= IOANNIDOU 1996), 76. Comm.: MP3 2291.01; LDAB 4584.
Erhalten sind drei Fragmente: Fr. 1 ist 7,1 cm hoch und 6,8 cm breit, Fr. 2 4,4 x 1 cm (Verso unbeschrieben), Fr. 3 2,4 x 0,8 cm. Die Schrift der Recto- wie der Verso-Seite kann in das 2.Jh.n.Chr. datiert werden; die Hand der RectoSeite (→) lässt sich mit der von P.Vindob. G 29824 (= MP3 330) vergleichen (Seider 1970, Taf. XIII 26). Die Schrift der Verso-Seite (↓) ist weniger sorgfältig. Keine Akzente oder sonstige Lesezeichen. Auf der Rückseite eines mythographischen Prosatextes (Ioannidou 1996, 221-222, nr. 186) steht ein anderer Prosatext, dessen Charakter nicht deutlich ist; vielleicht geht es um die metaphorische Bedeutung von pai'deç, die mit dem Zitat von Bakchylides 15, 56 illustriert wird. Da die auf das Zitat folgenden Zeilen anscheinend Paraphrase des Verses sind, könnte der Text aus einer philologischen Abhandlung stammen (Kommentar oder Monographie?).
Fr. 1
5
ä ä ä Spuren von 2 Zeilen ≤≤≤≤ºz≤≤≤ep≥≤≤≤ouª ª≤ºo≥fª≤≤≥ºutikwç to≤ª t≥an l≥e ≥ip≥i ≥w≥ a≥ç≥co≤≤ª ≤uç ouci ta≤ª≤≤º≤ª≤≤º≤≤≤a≥ª w{çper ejn≥ ª≤≤≤º≤ª≤≤ºhç≥e ≥ª atrwn pai'deç kai; ª p≥ªaºi'deç ajnti; tou' gª
Fr. 2 vacat
Fr. 3 ä ä ä º≤≤≤ª º≤mª ºç≥oª ä ä ä
292 10
Bacchylides 3 pavntaç filoçovfouªç to; dΔ eJxh'ç oJ Bakculivd≥ªhç ou{t(wç): ojlbivwn ªpaºi'devç nin aiJreu≥'ªntai çuvnoikon ª ª
º th;n divkhn oio≥ª ºa tw'n eujdai≥ªmovnwn Spuren einer Zeile ä ä ä
11 out Pap. —— 4 ejfªodeºutikw'ç longius spatio ut videtur çovªfwnº ⁄ p≥ªaºi'deç MH 9 gªeivtoneç ? MH) 14 ªgeivtonºa ?
7-8 ijº⁄atrw'n pai'deç ? 8-9 + fr. 3, 3 kai; ªfiloº12-13 lev⁄geiº th;n divkhn oiJo≥ªnei; ? (vel oiJ o[ªlbioi
(8-14) ... die Kinder der Ärzte (?) und ... Kinder anstelle von [Nachbarn (?)] ... alle Philosophen ... Das Folgende sagt Bakchylides [so: gesegnet sind,] deren Söhne sie sich [zur Hausgenossin] wählen. [Er nennt (?)] das Recht gewissermaßen ... [den Nachbarn (?)] der Glücklichen ...
7-8 ijºatrw'n pai'deç steht vermutlich einfach für oiJ ijatroiv, vgl. Ap. Soph. 157, 9 ui|eç ΔAcaiw'n: perifraçtikw'ç oiJ ΔAcaioiv, kai; ejn tw'/ e[qei filoçovfwn pai'deç ajnti; tou' filovçofoi: kai; ”Omhroç pai'deç Trwvwn ajnti; tou' oiJ Trw'eç (Hinweis von M.W. Haslam). HERWIG MAEHLER
4 sec. IIp
P.Oxy. XXIII 2368 Kommentar zu Bakchylides 22-23 Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms.
Edd.: LOBEL 1956, 51-54; SNELL-MAEHLER 1970, 128-129 (Papyrus B); LLOYD-JONES – PARSONS 1983, 136 nr. 293 (Zeile 9-19); KÄPPEL 1992, 296; MAEHLER 1997, 124-125; IERANÒ 1997, 124-126; MAEHLER 2003, 120-121 (Papyrus B). Tab.: P.Oxy. XXIII (= LOBEL 1956), VI. Comm.: MP3 177.1; LDAB 441 GALLAVOTTI 1957, 420-422; LLOYD-JONES 1958, 19-20; PFEIFFER 1968, 130, 222; MAEHLER 1982, 30-31, 33, 41; LUPPE 1987, 9-12; KÄPPELKANNICHT 1988, 19-24; LUPPE 1989b, 23-29; RUTHERFORD 1991, 5-12; KÄPPEL 1992, 28, 38-43, 285; IRIGOIN 1993, XXXVI; IERANÒ 1997, 322-323; MAEHLER 1997, 167, 268-273; UCCIARDELLO 1996-1997, 61-88; SCHRÖDER 1999, 110-121; MAEHLER 2004, 25-29.
Erhalten ist ein Fragment von 22,5 cm Höhe und 6,5 cm Breite mit Teilen von 2 Kolumnen mit dem unteren Rand; oben, links und rechts abgebrochen. Die Schrift ist eine kleine, geübte Buchschrift, die große Ähnlichkeit mit der des Alkaios-Kommentars P.Oxy. XXI 2306 ⇒ Alcaeus 11 aufweist, wahrscheinlich mit ihr identisch ist. Keine Akzente oder sonstige Lesehilfen, aber Paragraphoi unter Kol. II 17, 24, 25 und 28, und Koronis unter Kol. II 28; ein Zeilenfüller in Kol. I 10; kleine diagonale Striche, z.T. mit Punkten (Verweiszeichen?) vor Kol. II 2, 8, 9, 18. Abkürzungen sind durch hochgestellte Buchstaben angegeben: Kol. I 9 ariçtarc und 20 dionuçio.
Kol. I
5
ä ä ä º≤ ª º≤tikaª º≤nont≤ª ºo≥umenª º≤qa çu;n ª mevºl≥oç w{çte meta; pro-
294
Bacchylides 4 ≤≤≤≤≤≤ºaç ejrcovmeqa. A≤ª≤º ã–––à ºdron iJera'n a[wtoªnº 10
15
20
25
30
35
40
tauvthn tºh;n wjidh;n ΔArivçtarc(ovç) ge me;n diqºurambikh;n ei\< naiv fhçiºn≥ dia; to; pareilh'fqai ejn aºujth'i ta; peri; Kaççavndraç,º ejpigravfei dΔ aujth;n kai; Kaççºavndran, planhqevnta dΔaºujth;n katatavxai ejn toi'ç pºaia'çi Kallivmacovn fhçin wJçº ouj çunevnta o{ti º≤≤ma koinovn ejçti tou' dºiquravmbou: oJmoivwç de; oJ Fºaçhlivthç Dionuvçio(ç). ºe≥≥ion tevmenoç to º≤ai to; th'ç ΔAqhna'ç ºa dΔ ajcw; ktupei' lig≤≤ai çu;nº aujlw'n pnoa'i ≥ areºthi tw'n aujlw'n ºevlikton de; ajnti; tou' ≤≤≤≤º≤≤t≥wç ejpei; de º≤≤≤≤arco≥ç e[peita ajpo; tou' cºavriç prevpei e{wç tou' ≤≤≤≤º≤ionwn noo≥ª ºd≥eqen≥t ≥hnª ºumi≥ª≤ºato eª ºutoª≤≤º≤oomª ºqai≥ª≤≤≤ºitrª º≤ª º≤h≥≤≤ª º≤ª ºk≥t ≥o≥ ª ºa≥ eª ºb≥la≥p≥t ≥e ≥ ºt≥ai≥ kai; oJ ºnaª≤º tanuºhkhç ejk ºntª≤ºçta≥
P.Oxy. XXIII 2368 ºtoute≥< ºç≥≤ª ºa≥r≥≤ª
45 Kol. II
5
10
15
19
22
26
ä ä ä ª İ tª tª ª ºt≥≤ª t≥ª kª teª :@ n≥e ≥ª o§ duª el≤ª te≤ª mª nu≤ª kaª teçª fhçiª laip≥ª ä :@ ramª º ondª . . . . . . . º paraª º tibai≥ª º netaª ä º ª º≤≤≤≤ª ä º e≥eip≤ª º moitª º nan nan≥ª ä º aª º≤≤ª
295
296
Bacchylides 4 . 31
35
.
.
. º≤iopª º≤aitoeª ºu≥mnoª º≤akedaª ºwnh≤≤ª ]armoª
Kol. I 2 º≤ Spur eines Querstrichs, vielleicht e 3 º≤ oberer Querstrich anscheinend eines g, darunter eine Spur auf der Zeile ≤ª Rest einer Senkrechten, vielleicht h (Lobel) 5 º≤ Fuß einer Senkrechten 7 ≤ª linke Hälfte eines Kreises, darin oberhalb der Mitte die Spur eines Querstrichs (nach Lobel eher e als q) 18 º≤≤ anscheinend tg, kaum gg 22 º≤ Ende einer fallenden Diagonale: k ? 24 ai≤are, der Buchstabe nach ai anscheinend a, über die Grundlinie eines d geschrieben oder horizontal durchgestrichen? 27 º≤≤ Spitze einer Senkrechten, dann Spur einer zweiten; ik möglich (Lobel) 28 º≤≤≤≤ anscheinend die unteren Teile von el (oder em ?), dann eine Spur auf der Zeile, danach wahrscheinlich t c≥≤≤, eç oder oç 30 º≤ Ende einer fallenden Diagonale: a oder l ? 31 qe≤≤≤ Spitzen zweier (?) Buchstaben, dann (vor hn) ein Querstrich eines g oder t 32 ≤ª Fuß einer Senkrechten 33 º≤ Spur des oberen Querstrichs eines p (Lobel)? 35 º≤ Querstrich zum h ≤≤ª Oberfläche beschädigt: vielleicht puª, aber die Spuren können trügerisch sein 45 º≤≤≤ª sehr unsicher: ºarmª, ºeinª (“a likelier combination”, Lobel)? Kol. II 1 die Zeile war eingerückt 4 ≤ª ein runder Buchstabe 13 ≤ª Senkrechte mit Anfang einer fallenden Diagonale (n ?) 24-25 links neben der Paragraphos unter n vielleicht Spuren einer gelöschten Koronis 25 º≤≤≤≤[ vielleicht aute≤ª (Lobel) oder autarª 31 º≤ Spur einer Senkrechten: p ? (Lobel) 32 º≤ rechtes Ende eines Querstrichs auf der Zeile 33 unter o ein Punkt 34 º≤ Spur auf der Zeile, l möglich 35 ≤≤ª der erste Buchstabe anscheinend t, falls nicht der scheinbare Querstrich nur verlaufene Tinte ist (Lobel); danach eine bogenförmig steigende Diagonale: l ? —— col. I 3 ºT, ºG Hª, Iª 5 ºI sim. çu;n ªproqumivai(çin) dub. Snell qui verba poetae haec esse vidit (= c. 22), sed pro⁄ªqumivºaç spatium l. 7 non expleret: pro⁄ªquvmou qeºa'ç ? 7 Eª pot. quam Qª 78 ΔAq≥ªana'n eu[anºdron Lobel, fivlanºdron Sn., fuitne faiºdro;n ... a[wtoªn ? 9 suppl. Lobel 10 me;n supplevi, ma'll(on) Sn. 11-16 suppl. Lobel 17 suppl. Luppe 18 ºTGM vel ºE≥≥GGM sec. Lobel (ejpivfqºegøgØma ?) : obloquitur Luppe qui aut ºGHM legendum aut GGM in GHM corrigendum esse censet (muvqou dihvºghma); ipse çuvçºthma malim 19 tou' dº Luppe, kai; dº Lobel 20 suppl. Lobel 21-22 to; ΔErevcqºe≥ion tevmenoç to; ªiJero;n (Sn.) pavºl≥ai to; th'ç ΔA. ? 23 qeçpeçivºa ? 23-24 li⁄ªgeivai (Lobel) vel li⁄ªgura'i (Sn.) çu;nº Lobel 24 post pnoai L in D mutatum (Lobel) vel deletum (Sn.); mihi quidem A videtur fuisse 26-27 ºevlikton de; ajnti; ⁄ ªtou' ... elºiv≥k≥twç dub. Lobel 27 ejpei; de; verba poetae esse censet Lobel 28 ºEMIT vel ºELª≤ºIG sim. CEÇ vel COÇ 29-30 supplevi e.g. 30 ºL vel ºA, vix ºM, non ºK, Pºa≥iovnwn ? 31 IAGHNª, ANTHNª vel sim. 35 ºTHPUª ? 40-41 tanu⁄ªavkhç ajnti; tou' tanuºhvkhç suppl. Lobel, Sn., vel tanu⁄ªmavkhç ajnti; tou' eujmºhvkhç ? col. II signa ante versus 2, 8, 9, 18 quid significent non liquet; ad textum poetae referenda videntur 26 eeipe≥ª pars lemmatis esse potest 29 A versu qui infra coronidem in marginem paulo proicitur novum carmen incipere videtur 33 gºumnoª ? 34 L≥akedaªim< ?
P.Oxy. XXIII 2368
297
8-20 [des heiligen Athen] glänzendes (?) Kleinod: von [diesem] Lied hat Aristarchos [jedenfalls gesagt], es sei ein Dithyrambos, weil darin die Geschichte von Kassandra enthalten sei, und hat ihm [auch] den Titel “Kassandra” beigeschrieben, Kallimachos dagegen, [sagt er], habe es irrtümlich [unter die] Paiane eingeordnet, da er nicht verstanden habe, dass [Mythenerzählung (?)] das Gemeinsame des Dithyrambus ist. Ähnlich auch Dionysios von Phaselis. 21-22 [Erechth]eus’ (?) Heiligtum: das Heiligtum, das seit alters der Athena gehörte 23-25 [gewaltig]es Rufen lärmt [mit dem hellen] Blasen der Oboen: es ist angenehm (?) durch den Klang der Oboen 26-27
[dreifach (?)] gewunden: anstelle von ...
29-30
[von] Anmut ziert bis zu Gesinnung der Paioner (?)
40-41
hoch[gewachsen (?)]: von hoher Statur (?)
Kol. I 5-7 Wenn º≤qa der Schluss eines verbum finitum in der 1. Person Plural ist, könnte ejrcovmeqa (7) dessen Paraphrase sein. Daraus hatte B. Snell geschlossen, dass º≤qa çunª ein Teil des Lemmas sein muss, und çu;n ªproqumivai umschrieben, was der Scholiast vielleicht mit meta; proªquvmou qeºa'ç ergänzt hat (meta; proªqumivºaç wäre um 2-3 Buchstaben zu kurz für die Lücke in Zeile 7). 7-8 Aus den einigermaßen sicher ergänzten Zeilen 9-14 geht hervor, dass die Zeilen 7-8 den Anfang eines Dithyrambus zitieren, = Bakchylides c. 23, vgl. dazu Maehler 1997, II 36-37 und 268-273. 14-19 Aristarchs Kritik wird sich auf seine Pivnakeç beziehen (Frr. 429-452 Pf.). Warum Kallimachos das Lied zu den Paianen gestellt hatte, erfahren wir nicht, aber Aristarchs Kriterium für die Zuordnung des Liedes wird klar definiert: weil es die Geschichte Kassandras erzählte, muss es ein Dithyrambus sein. Der Zusatz ejpigravfei dΔ aujth;n ⁄ kai; Kaççºavndran lässt vermuten, dass das Lied, solange es unter die Paiane eingereiht war, keinen Titel trug und dass erst Aristarch ihm den Titel “Kassandra” gab, nachdem er es als Dithyrambus identifiziert und re-klassifiziert hatte. 17-19 Lobel hatte ergänzt ªdia; to; ijh,v º ouj çunevnta o{ti ⁄ to; ejpivfqºegøgØma koinovn ej⁄çti kai; dºiquravmbou in der Annahme, das ejpivfqegma sei der Ausruf ijh.v Aber der Ausruf ijhv kommt, wie Lobel selbst betont hat, in Dithyramben nicht vor,
298
Bacchylides 4
und in 18 kann kaum º≤≤GGMA gelesen werden; eher scheint ]TGMA dazustehen. Luppe 1989b, 26, vermutet, dass der 2. Buchstabe ein Vokal sein müsste und an Stelle eines H steht; er ergänzt daher in 18 [muvqou dihvºghma (und davor, in 17, [fhçin wJçº ), was einen guten Sinn ergibt: das, was dem Dithyrambus als Gattung “gemeinsam” (koinovn) ist, also sein Kennzeichen, ist die Mythenerzählung. Allerdings scheint mir der erste Buchstabe nach der Lücke eher ein T zu sein: [muvqou çuvçºthma ? Vgl. Aristot. Poet. 1451b12 çuçthvçanteç to;n mu'qon und 1456a12 mh; poiei'n ejpopoiiko;n (= poluvmuqon) çuvçthma tragwidivan. 19-20 Soll oJmoivwç heissen, dass auch Dionysios das Lied als Dithyrambus klassifizierte (MH), oder dass Dionysios denselben Fehler machte wie Kallimachos, oder dass er dieselbe Kritik an ihm übte? Vgl. Sch. Pind. N. 11 inscr. a, wo Didymos zitiert ist: oujde; o{lwç ... ejcrh'n th;n wjidh;n tauvthn eijç tou;ç ejpinivkouç çunew'çqai ... çuntaktevon ou\n, fhçi;n oJ Divdumoç, eijç ta; Parqevnia, kaqa; kai; toi'ç peri; to;n Façhlivthn ajrevçkei. 21-22 Das Lemma ª≤≤≤≤≤≤ºe≥ion tevmenoç wird als toª≤≤≤≤≤≤≤ºl≥ai to; th'ç ΔAqhna'ç erklärt, vielleicht to; ⁄ iJero;n pavºl≥ai to; th'ç ΔAqhna'ç, “das seit alters der Athena gehörende Heiligtum”. Das Lemma könnte [to; pavnqºeion tevmenoç gewesen sein, d.h. das Heiligtum, das ursprünglich allein Athena gehört hatte, war ein Heiligtum “aller” Götter; die Prozession der Panathenäen galt ja den Zwölf Göttern. Möglich wäre auch [to; ΔErevcqºeion tevmenoç, was sich auf Ilias II 547-551 beziehen könnte, wonach Athena Erechtheus “in ihrem eigenen, reichen Tempel” (eJw'i ejn pivoni nhw'i, 549) einsetzte; vgl. Od. VIII 81 (ΔAqhvnh) du'ne dΔ ΔErecqh'oç pukino;n dovmon. 23-25 Das Lemma [? qeçpeçivºa dΔ ajcw; ktupei' li⁄geivai (oder li⁄gura'i) çu;nº aujlw'n pnoa'i war vielleicht paraphrasiert mit ajrev⁄çkei hjch'iº th'i tw'n aujlw'n, oder ajre⁄çto;n poiei'º th'i tw'n aujlw'n ⁄ hjch'i, vgl. Hsch. a 7125 L. ajrevçaçqai: iJlavçaçqai. ajreçto;n poih'çai. Der Buchstabe nach pnoai sieht nicht wie L oder D aus, eher wie A, das aber vielleicht durchgestrichen ist. 26-27 Das Lemma (triºevlikton oder tetraºevlikton ?) war anscheinend mit ajnti; ªtou' ≤≤≤≤º≤≤t≥≥wç glossiert, d.h. das Adjektiv war als Adverb gebraucht. ejpei; dev: Lemma (so Lobel und Snell) oder Glosse? 28 º≤≤≤t≥arcoç: Eigenname oder Adjektiv? ΔArivçtarcoç, pleivçtarcoç kann nicht gelesen werden; vielleicht ]K≥lªeºiv≥t ≥arc≥o≥ç≥? oder *qºe≥m≥iv≥t ≥arco≥ç≥? 28-30 Mit e[peita ªajpo; tou' cºavriç prevpei e{wç ⁄ tou' ≤≤≤≤º≤ionwn noo≥≥ª wird offenbar ein langes Lemma oder ein ganzer Versabschnitt zusammengefasst. 40-41 Wenn tanu ein Teil des Lemmas ist und ºhkhç zu dessen Glosse gehört, könnte man an tanu⁄mavkhç ajnti; tou' eujmºhvkhç denken: “groß, hochgewachsen” war vielleicht von Kassandra gesagt. HERWIG MAEHLER
5
sec. II/IIIp
P.Oxy. XXIII 2361 Fr. 2 Scholien zu Bakchylides, Fr. 19 Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: Oxford, Sackler Library, Papyrology Rooms. Edd.: LOBEL 1956, 19-20. Tab.: P.Oxy. XXIII (= LOBEL 1956), V. Comm.: MP3 181; LDAB 445.
Das kleine Fragment 2 des P.Oxy. XXIII 2361 enthält nur die letzten zwei Buchstaben eines Verses und zwei Randnotizen von derselben Hand, aber in etwas kleinerer Schrift, die sich auf einen Vers in der folgenden (verlorenen) Kolumne beziehen.
ä ä ä º≤ anpr≥ª ºt≥i: pindª º
≤ª
ä ä ä
Schol.:
ajn(ti; tou') pr≥ª Pivnd(aroç) ª
Anstelle von pr≥ª ... º Pindar ª HERWIG MAEHLER
6
sec. Ip
P.Oxy. XI 1361 Fr. 4 und 5 + P.Oxy. XVII 2081(e) Fr. 2 Scholien zu Bakchylides, Fr. 20A, 20C und 20E: Enkomien (?) Prov.: Oxyrhynchus. Cons.: London, British Library, inv. 2443.
Edd.: GRENFELL-HUNT 1915, 70-83; HUNT 1927, 80; SNELL 1961, 92-104 (= Papyrus P); IRIGOIN 1993, 232-243; MAEHLER 1997, 76-89, 324, 336-337; MAEHLER 2003, 93-102; MAEHLER 2004, 255-256. Tabb.: P.Oxy. XI (= GRENFELL-HUNT 1915), III (Fr. 4). Comm.: MP3 179; LDAB 436
MILNE 1927, 36; MAEHLER 1997, 324-326, 336-337.
Der Text des Papyrus ist in einer ziemlich großen, sorgfältigen, runden Buchschrift geschrieben, die dem 1.Jh.n.Chr. zugewiesen werden kann. Ganz vereinzelt sind rechts erklärende Glossen von einer anderen, sehr kleinen Hand hinzugesetzt.
Fr. 4, 8-10 = Bacchyl. Fr. 20C, 8-10 8 10
uJmnhvçaç to;n ªejn Kivrrai qΔ eJlovnta ªpoºççi; laiyªhºr≥o≥ªi'ºç Ferªevnikon ejn ΔAlf≥≥ªeºw'i te nivkan fereª t≥ª≤ºu≥ç≤ª
Scholion:
Ferevªnikoç kevlhç ÔIevrwnoç t≥ªoºu'≥ Çu≥≥ªrakoçivwn baçilevwç (?)
Ferevªnikoç Grenfell-Hunt, cetera Maehler
Pherenikos, [Rennpferd des Hieron, des Königs (?) der Syrakusier
P.Oxy. XI 1361 Fr. 4 und 5 + P.Oxy. XVII 2081(e) Fr. 2
301
Fr. 5 I, 5-9 = Bacchyl. Fr. 20A, 11-15 11
mouvnhn e[ndon e[cw≥≥ªn kovrhn (?)
]≤ upo patroç en≥ª
ªleºukai; dΔ ejn ªkºefalªh'i ≤≤≤≤≤≤≤≤≤tºrivceç
[“Arºe≥o≥ç≥ cruçolovfou pai'< ªdaº l≥≥ev≥gouçi calkøeØomivtran 15
5
ª
≤ª≤≤≤≤≤≤≤ºeindª ≤_ ª≤≤≤≤≤≤≤ºl≥≥eiç≤ª
ªtaºnupevploio kovrhç
9
sch. ad v. 12: [kefalh'i: th'ºç uJpo; patro;ç ejn ªoijkiva/ katecomevnhç vel throumevnhç, scil. Marphvççhç. sch. ad v. 14: post eiç vestigium aut interpuncti aut litterae (tª ?)
[Auf dem Kopf:] der vom Vater im [Haus Verwahrten
Fr. 5 I, 13-14 = Bacchyl. Fr. 20A, 19-20 19
[ejdavºmaççe kraterav tΔ ejk< ptol karte≥≥ª≤≤≤≤≤≤≤ºe≥i ≥n≥ a ªdovmen oºuj qevlontΔ ajnavgkhøiØ
13
Fr. 5 I, 24 = Bacchyl. Fr. 20A, 30 [– – – ++ – + wjºku;ç a[ggeloç
k≥ªaºl≥l≥i ≥ç≥fu≥r≥an
Fr. 21, 5 = Bacchyl. Fr. 20E, 9 [– – – ++ – + ºo≥≥mavcan
ª
ºon
P.Oxy. XVII 2081(e): Addendum zu P.Oxy. XI 1361 (= Papyrus P) Fr. 2, 2-7 = Bacchyl. Fr. 20D, 6-11 Die Verse 6-11 des Liedes 20D werden in den Editionen (Snell 1961, 101-102; Snell-Maehler 1970, 102-103; Irigoin 1993, 241; Maehler 1997, 90; Maehler 2003, 100-101; Maehler 2004, 76) nach der Kolometrie des Papyrus Q (= P.Oxy. XXIII 2362 Fr. 1) dargeboten. Das in P.Oxy. XVII 2081(e) = ‘Addendum’ zu Papyrus P erhaltene Scholion zu Vers 6 dieses Liedes ist aber mit dieser
302
Bacchylides 6
Kolometrie nicht zu vereinbaren. Deshalb hat W.S. Barret (Brief an B. Snell) für Papyrus P die folgende Kolometrie vorgeschlagen: 6
pai'deç devka tΔ hjiq> evouç dªevka tΔ eujploºkavmou≥ª≥ ç a{ma ºa eçtin peri ª koãuvÃraç tanuavkeçin ijoi'ç: ta;n de; path;r ejçidw;n
9
ºegenhçqai ex ª ºeraç epta kai ª ºhç deka kai dª ºç≥ kai pªiºndaro≥ç≥ª
uJyivzugoç oujranovqen Zeu;ç ejlevhçen ajnakevçtoiç kataºte≥ªiºr≥o≥mev≥ªnan a[ceçin ktl
Scholion:
5
diaforºa; ejçti;n peri; ªtou' ajriqmou' Omh fh– gºegenh'çqai e}x ªuiJou;ç kai; e}x qugatºevraç, eJpta; kai; ªeJpta; Eujripivdºhç, devka kai; dªevka Bakculivdhºç kai; Pªivnºdaro≥ç≥ ª
sch. suppl. Barrett (per litteras)
Es gibt [Dissens] über [die Zahl (scil. der Kinder Niobes). Homer sagt,] es seien [sechs Söhne und sechs] Töchter gewesen, Euripides sieben und [sieben, Bakchylide]s und Pindar zehn und [zehn.]
Bacchyl. Fr. 20C 8-10 Das Scholion erklärt den Namen des Rennpferdes. Bacchyl. Fr. 20A 12 Das Scholion erklärt kefalh'ç: auf dem Kopf der Tochter, die von ihrem Vater im Haus zurückgehalten wird, werden die Haare weiss. 14 Das Scholion zu Vers 14 könnte sich auf Euenos, Sohn des Ares und der Demonike, beziehen (vgl. Apollod. I 7, 59; Plut. Parall. min. 40 = Mor. 315e aus Dositheos, Aijtwlikav Buch I = FGrHist 290 F 1), oder auf eines der Epitheta; eine plausible Ergänzung ist noch nicht gefunden (thrºei'n ? frourºei'n ?). 19 Das Scholion zu Vers 19 beruft sich auf einen Ptolemaios; Grenfell & Hunt dachten an Ptolemaios von Askalon oder Ptolemaios Pindarion (vgl. Susemihl 1891-92, II 155-158). Es ist unklar, ob es sich um eine Glosse oder eine Textvariante handelt. 30 Anscheinend eine Variante, die vermuten lässt, dass im Text [– kallivçfuron – + wjºku;ç a[ggeloç gestanden hat. Das Epitheton würde sich auf
P.Oxy. XI 1361 Fr. 4 und 5 + P.Oxy. XVII 2081(e) Fr. 2
303
Marpessa beziehen (kovrhn V. 25). Im ersten der beiden Hexameter, die Pausanias in seiner Beschreibung der ‘Kypselos-Lade’ zitiert, auf der die Geschichte von Idas und Marpessa dargestellt war (V 18, 2), wird das Mädchen kallivçfuroç genannt. Bacchyl. Fr. 20E 9 Im Text stand ein Beiwort Sarpedons (ajtarbºo≥≥mavcan Snell), das die Randglosse vielleicht mit [eu[yucºon wiedergab. Bacchyl. Fr. 20D Teile des Liedes sind in zwei Papyri überliefert, P.Oxy. XVII 2081(e) = Pap. P, und P.Oxy. XXII 2362 Fr. 1 Kol. II = Pap. Q. Das Scholion des Pap. P bezieht sich auf Vers 6 des Liedes, der von den zehn Söhnen und zehn Töchtern Niobes spricht. Im Pap. Q sind die Verse 7-10 in einer von Pap. P etwas abweichenden Kolometrie überliefert. In Pap. Q, Fr. 1 II 5, steht links neben paideç ein c, das wohl auf das in Pap. P erhaltene Scholion zu dieser Stelle verweist. HERWIG MAEHLER
7 (?)
P.Hib. II 172, coll. I 4, 19, II 8, III 9, V 10 [⇒ III: Lexica]
sec. IIIa
Voci di repertorio poetico?
col. I 4 = SH 991, 4 ªmelaºm≥farhvç
L’integrazione di Turner è sicura: il termine si trova infatti all’interno di una serie di aggettivi che iniziano per melan-. Il suo significato è ‘dal nero manto’. Le uniche attestazioni letterarie di tale composto a noi note sono in Bacchyl. 3, 13-14 oi\de purgwqevnta plou'ton mh; melam⁄farevi > kruvptein çkovtwi (su cui cfr. Maehler 1982, p. 44) e in TrGF 660, 6 Sn.-K. melamfarevoç. Alla luce di ciò e del fatto che tale repertorio attinge alla poesia epica, lirica corale e tragica, non si può escludere dunque che la fonte sia Bacchilide.
col. I 19 = SH 991, 19 iJppodivnhtoç L’unica attestazione del termine è in Bacchyl. 5, 1-2 Eu[moire≥ ªÇºurakªoçivwºn ⁄ iJppodinhvtwn çtrataªgºev. Il composto – su cui si è soffermato Stern 1967, pp. 37-38, 40-41 – potrebbe avere il significato di ‘che corre sui carri’, o ‘che è vorticosamente trascinato dai carri’. Gli aggettivi in -toç, infatti, possiedono di norma valore passivo, ma possono impiegarsi anche in senso attivo soprattutto quando entrano in composizione1. Tuttavia, se la fonte è Bacchilide, in cui il vocabolo si riferisce a un comandante, si dovrà scegliere la prima opzione semantica, poiché – come osserva opportunamente Maehler 1982, p. 85 – “ist es gewiß kein Kompliment für einen Wagenlenker, passiv im Wagen ‘gewirbelt’ zu werden”.
1
Ciò avviene spesso in poesia, cfr. Chantraine 1961, p. 284.
P.Hib. II 172, coll. I 4, 19, II 8, III 9, V 10
305
col. II 8 = SH 991, 32 ªkºuan≥≥ªovºp≥r≥wira L’aggettivo detto di navi (‘dalla prua scura’), compare, nella forma femminile, in Bacchyl. 17, 1 kuanovprwira me;n nau'ç e in Simon. fr. 20 W.2 kuanoprwvi >ran (testimoniato da EM. p. 692, 25 G.)2. Il composto è già omerico, ma in Omero si trova solo la desinenza femminile in -roç3.
col. III 9 = SH 991, 57 aJliderkhvç L’aggettivo, il cui valore parrebbe essere ‘che guarda il mare’4, non risulta attestato altrove. Nell’àmbito tuttavia della produzione epica, lirica corale, tragica, su cui si basa il nostro repertorio – a parte poluderkevç di Hes. Th. 451, 755 ed eujderkevç di Aeschl. fr. 281a, 30 R. – composti in -derkhvç si incontrano con una certa frequenza solo in Bacchilide (cfr. 16, 20 ojbrimoderkei', 17, 70 panderkeva, 9, 12 xanqoderkhvç, fr. 61, 1 ijoderkevi >). Non escluderei dunque che anche in questo caso la fonte possa essere Bacchilide.
col. V 10 = SH 991, 113 aijolovprumnªoç Il composto, che significa ‘dalla poppa variopinta’, occorre solo in Bacchyl. 1, 1145. ELENA ESPOSITO
2
Cfr. in proposito Manieri 1990, pp. 92 e 98, e Poltera 1997, pp. 381-382. Cfr. Kurt 1979, pp. 57-59, e Maehler 1997, p. 184. Sull’uso e la funzione degli epiteti in Bacchilide, particolarmente istruttivi risultano Segal 1976 e Maehler 1982, pp. 24-25 (cfr. p. 31, in maniera specifica, sui composti bacchilidei presenti in P.Hib. II 172). 4 I composti in -derkhvç hanno per lo più valore attivo. Tuttavia in Bacchilide (17, 70 panderkhvç) come anche, forse, in Agath. AP. XI 372 (ajderkhvç) e in Opp. Al. I 47, Cyn. I 102 e 451, III 263 e 290 (duçderkhvç) è documentato un significato passivo del composto, cfr. Maehler 1997, p. 196. 5 Sempre soltanto in Bacchilide si incontra leptovprumnoç (17, 119), mentre eu[prumnoç (13, 150) è prima di tutto omerico (Il. IV 248). Cfr. Kurt 1979, pp. 65-66, Maehler 1982, p. 15. 3
INDEX PAPYRORUM
BKT V 2, 108-110 = Aristophanes 14 (tab. VIIIa) BKT IX 5 = Aristophanes 6 (tab. VIIa) BKT IX 187 = Bacchylides 3 CPF I.1* 24.9 = Aristoteles - scheda MPER N.S. I 34 = Aristophanes 17 MPER N.S. III 20 = Aristophanes 15 P.Acad. inv. 3 d + Bodl. Ms. Gr. class. f. 72 (P) = Aristophanes 5 (tabb. I-II) P.Amh. II 13 = Aristophanes 29 P.Berol. inv. 5002 = Aristoteles 1 P.Berol. inv. 5009 = Aristoteles - scheda P.Berol. inv. 9965 = Aristophanes - scheda P.Bingen 18 = Aristophanes 9 P.Duk. inv. 643 = Aristophanes 18 P.Fay. 3 = Aristoteles 7 P.Flor. II 112 = Aristophanes 28 (tab. VIIb) P.Grenf. II 12 = Aristophanes - scheda P.Hib. II 172, coll. I 4, 19, II 8, III 9, V 10 = Bacchylides 7 (?) P.Hib. II 172, col. I 15 = Aristophanes - scheda P.Hib. II 172, col. V 2 = Aristoteles - scheda P.Lond.Lit. 164 = Aristoteles - scheda P.Louvre s.n. = Aristophanes 4 P.Mert. II 55 = Aristophanes - scheda P.Mich. inv. 3690 = Aristophanes 11 (tab. VIIIb) P.Oxy. VI 856 = Aristophanes 1 P.Oxy. XI 1361 + P.Oxy. XVII 2081(e) = Bacchylides 6 P.Oxy. XI 1371 = Aristophanes 13 P.Oxy. XI 1402 = Aristophanes 32 (?) P.Oxy. XIII 1611 = Aristophanes - scheda P.Oxy. XIII 1617 = Aristophanes 20 P.Oxy. XV 1801, col. I 19 = Aristophanes - scheda P.Oxy. XV 1801, col. I 16-17 = Aristophanes 12 P.Oxy. XV 1801, col. I 21-27 = Aristophanes 24 P.Oxy. XV 1801, col. II 12-13 = Aristophanes 26
Index papyrorum P.Oxy. XV 1801, col. II 17 = Aristophanes 7 P.Oxy. XV 1801, col. II 18-19 = Aristophanes 3 P.Oxy. XV 1801, col. II 20-21 = Aristophanes 30 P.Oxy. XV 1801, col. II 31-32 = Aristophanes 31 P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 2, col. I 8 = Aristoteles 8 (?) P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 3, col. II 21-22 = Aristoteles 3 P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 3, col. III 4 = Aristoteles 4 P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 3, col. III 5-7 = Aristoteles 6 P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 3, col. III 8-9 = Autoclides 1 P.Oxy. XV 1803, fol. 1r, 9-16. = Aristophanes 8 P.Oxy. XV 1803, fol. 1v, rr. 1-4 = Aristophanes 10 P.Oxy. XVII 2087, col. II 6-10 = Aristoteles 5 P.Oxy. XVII 2087, col. II 42-44 = Aristoteles 2 P.Oxy. XXIII 2361 Fr. 2 = Bacchylides 5 P.Oxy. XXIII 2363 = Bacchylides 2 P.Oxy. XXIII 2367 = Bacchylides 1 P.Oxy. XXIII 2368 = Bacchylides 4 P.Oxy. XXXV 2737 = Aristophanes 27 P.Oxy. XXXV 2744 = Aristoteles - scheda P.Oxy. XLVII 3320 = Aristoteles - scheda P.Oxy. LXVI 4508 = Aristophanes - scheda P.Oxy. LXVI 4509 = Aristophanes 25 P.Oxy. LXVI 4510, frr. 5, 6, 22 = Aristophanes 2 P.Oxy. LXVI 4514 = Aristophanes 20 P.Oxy. LXVI 4519 = Aristophanes 33 (?) P.Oxy. LXVI 4520 = Aristophanes 23 P.Oxy. LXVI 4521 = Aristophanes 22 P.Ryl. III 483 = Aristophanes - scheda PSI VI 720 = Aristophanes 19 (tabb. V-VI) P.Sorb. I 7, col. II 4 = Aristophanes 34 (?) P.Sorb. I 7, col. III 1 = Aristophanes 35 (?) P.Stras. inv. 621 = Aristophanes 16 (tabb. III-IV) Par. Gr. 1330, unità antiquior C = Aristoteles - scheda
INDEX TABULARUM
Tab. I: P.Acad. inv. 3 d + Oxford Bodl. Ms. Gr. class. f. 72 (P) recto ⇒ Aristophanes 5 (ricomposizione digitale) Tab. II: P.Acad. inv. 3 d + Oxford Bodl. Ms. Gr. class. f. 72 (P) verso ⇒ Aristophanes 5 (ricomposizione digitale) Tab. III: P.Stras. inv. 621 recto ⇒ Aristophanes 16 Tab. IV: P.Stras. inv. 621 verso ⇒ Aristophanes 16 Tab. V: PSI VI 720 recto ⇒ Aristophanes 19 Tab. VI: PSI VI 720 verso ⇒ Aristophanes 19 Tab. VII: (a) BKT IX 5 (P.Berol. inv. 13929 recto) ⇒ Aristophanes 6; (b) P.Flor. II 112, frr. C+D+E col. I 7-11 e margine inferiore ⇒ Aristophanes 28 Tab. VIII: (a) BKT V 2, 108-110 (P.Berol. inv. 13225) ⇒ Aristophanes 14 (b) P.Mich. inv. 3690 ⇒ Aristophanes 11
INDICE CLGP I.1.4
Prefazione alla prima edizione (2006) Prefazione alla seconda edizione (2011) Criteri editoriali Curatori Revisori dei papiri Siglorum et compendiorum explicatio Conspectus librorum ARISTOPHANES 1 - P.Oxy. VI 856. Commentario ad Ach. 97?-181?, 368-568, 571?-671 2 - P.Oxy. LXVI 4510, frr. 5, 6, 22. Note marginali ad Ach. 278?, 279? 3 - P.Oxy. XV 1801, col. II 18-19. Voce di lessico (Ach. 345) 4 - P.Louvre s.n. Nota marginale ad Av. 1113 5 - P.Acad. inv. 3 d + Bodl. Ms. Gr. class. f. 72 (P). Note marginali a Eq. 41, 84, 93 6 - BKT IX 5. Note marginali a Eq. 545-546?, 546, 547, 550, 551, 552, 574, 580 7 - P.Oxy. XV 1801, col. II 17. Voce di lessico (Eq. 635) 8 - P.Oxy. XV 1803, fol. 1r, 9-16. Voce di lessico (Eq. 654-656) 9 - P.Bingen 18. Note marginali a Eq. 998-1001, 1008-1012 10 - P.Oxy. XV 1803, fol. 1v, 1-4. Voce di lessico (Geras fr. 134 K.-A.) 11 - P.Mich. inv. 3690. Note marginali a Heroes fr. *322 K.-A. 12 - P.Oxy. XV 1801, col. I 16-17. Voce di lessico (Lys. 354) 13 - P.Oxy. XI 1371. Note marginali a Nub. 2, 3, 5, 10, 41, 44, 45, 47, 52 14 - BKT V 2, 108-110. Nota marginale a Nub. 178 15 - MPER N.S. III 20. Commentario a Nub. 186-213? 16 - P.Stras. inv. 621. Note marginali a Nub. 1371-1372, 1373, 1376?, 1378?, 1379, 1381, 1383?, 1384?, 1416 17 - MPER N.S. I 34 + P. Vindob. G 29833 C. Commentario a Pax 408?415, 457-466 18 - P.Duk. inv. 643. Note marginali a Pax 464, 465, 466, 474, 513, 516 19 - PSI VI 720. Note marginali a Pax 742-743, 747-748, 788-791, 794, 797, 799-802, 807-813 20 - P.Oxy. LXVI 4514. Note marginali a Pax 1195, 1196, 1197, 1200, 1210, 1211
V VI VII XI XII XIV XVII 3 13 37 41 45 48 57 67 68 70 75 77 81 84 94 97 102 107 114 121 128
21 - P.Oxy. XIII 1617. Glosse a Pl. 34, 39, 51 22 - P.Oxy. LXVI 4521. Note marginali a Pl. 690, 694, 695, 701-702, 705, 706?, 959, 963, 965 23 - P.Oxy. LXVI 4520. Glosse marginali a Pl. 720, 729 24 - P.Oxy. XV 1801, col. I 21-27. Voce di lessico (Polyidus fr. 471 K.-A.) 25 - P.Oxy. LXVI 4509. Commentario a Ve. 36-41 26 - P.Oxy. XV 1801, col. II 12-13. Voce di lessico (Ve. 1531) 27 - P.Oxy. XXXV 2737. Commentario all’Anagyrus? 28 - P.Flor. II 112. Commentario a commedia non identificata 29 - P.Amh. II 13. Note marginali a commedia non identificata 30 - P.Oxy. XV 1801, col. II 20-21. Voce di lessico (fabula incerta fr. 733 K.-A.) 31 - P.Oxy. XV 1801, col. II 31-32. Voce di lessico (fabula incerta fr. 794 K.-A.) 32 (?) - P.Oxy. XI 1402. Note marginali a commedia aristofanea? 33 (?) - P.Oxy. LXVI 4519. Note marginali a commedia aristofanea? 34 (?) - P.Sorb. I 7, col. II 4. Voce di lessico (Pax 425?) 35 (?) - P.Sorb. I 7, col. III 1. Voce di lessico (Av. 590?) Schede - P.Berol. inv. 9965, col. II 7 e 20 - P.Grenf. II 12 - P.Hib. II 172, col. I 15 - P.Mert. II 55 - P.Oxy. XIII 1611 - P.Oxy. XV 1801, col. I 19-20 - P.Oxy. LXVI 4508 - P.Ryl. III 483
132
ARISTOTELES 1 - P.Berol. inv. 5002. Marginalia perduti ad Analytica Posteriora 71b 19-72a 38 2 - P.Oxy. XVII 2087, col. II 42-44. Voce di lessico (Peri dikaioçuvnhç fr. 84 R. = 7,1, 7,2, 7,4 G.) 3 - P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 3, col. II 21-22. Voce di lessico (HA. IX 615b) 4 - P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 3, col. III 4. Voce di lessico (HA. IX 627b 31-628b 30) 5 - P.Oxy. XVII 2087, col. II 6-10. Voce di lessico (Resp. Ath. 54, 2) 6 - P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 3, col. III 5-7. Voce di lessico (Resp. Soleorum) 7 - P.Fay. 3. Commentario a Topica 109a 34-35, 109b 4-9, 9-12, 13-15 8 (?) - P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 2, col. I 8. Voce di lessico (Resp. Thessalorum?)
243
135 143 146 149 155 157 183 212 219 222 224 229 231 233 235 236 237 238 238 239 240 240
248 250 253 256 257 260 262 267
Schede - P.Berol. inv. 5009 - P.Hib. II 172, col. V 2 - P.Lond.Lit. 164 - P.Oxy. XXXV 2744 - P.Oxy. XLVII 3320 - CPF I.1* 24.9 - Par. Gr. 1330, unità manoscritta antiquior C, ff. 16, 18, 96-98
268 269 269 270 271 271 271
AUTOCLIDES 1 - P.Oxy. XV 1802 + LXXI 4812, fr. 3, col. III 8-9. Voce di lessico
273
BACCHYLIDES 1 - P.Oxy. XXIII 2367. Kommentar zu Bakchylides’ Epinikien 2 - P.Oxy. XXIII 2363. Scholien zu Bakchylides, Epinikion 14B 3 - BKT IX 187. Prosa mit Zitat von Bakchylides 15,56 (= Dith. 1) 4 - P.Oxy. XXIII 2368. Kommentar zu Bakchylides 22-23 5 - P.Oxy. XXIII 2361 Fr. 2. Scholien zu Bakchylides, Fr. 19 6 - P.Oxy. XI 1361 Fr. 4 und 5 + P.Oxy. XVII 2081(e) Fr. 2. Scholien zu Bakchylides, Fr. 20A, 20C und 20E: Enkomien (?) 7 (?) - P.Hib. II 172, coll. I 4, 19, II 8, III 9, V 10. Voci di repertorio poetico?
275 277 289 291 293 299
Index papyrorum Index tabularum
307 309
300 304
TAB. I
P.Acad. inv. 3 d + Oxford Bodl. Ms. Gr. class. f. 72 (P) recto = Aristophanes 5
TAB. II
P.Acad. inv. 3 d + Oxford Bodl. Ms. Gr. class. f. 72 (P) verso = Aristophanes 5
TAB. III
P.Stras. inv. 621 recto (Photo et Collection de la Bibliothèque Nationale et Universitaire de Strasbourg) = Aristophanes 16
TAB. IV
P.Stras. inv. 621 verso (Photo et Collection de la Bibliothèque Nationale et Universitaire de Strasbourg) = Aristophanes 16
TAB. V
PSI VI 720 recto = Aristophanes 19
TAB. VI
PSI VI 720 verso = Aristophanes 19
TAB. VII
(a) BKT IX 5 (StaatliĖe Museen zu Berlin – PreussisĖer Kulturbesitz, ÄgyptisĖes Museum und Papyrussammlung Inv.-Nr. P 13929 recto) = Aristophanes 6
(b) P.Flor. II 112, frr. C+D+E col. I 7–11 e margine inferiore = Arsitophanes 28
TAB. VIII
(a) BKT V 2, 108-110, fr. 1, f. 1r e f. 2v (StaatliĖe Museen zu Berlin PreussisĖer Kulturbesitz, ÄgyptisĖes Museum und Papyrussammlung Inv. -Nr. P 13225) = Aristophanes 14
(b) P.MiĖ. inv. 3690 (Image digitally reproduced with the permission of the Papyrology Collection, University of MiĖigan, Graduate Library) = Aristophanes 11