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Italian Pages 280 [275] Year 2011
giuse ppe parini · alcune poes ie di r ipano eupilino
isbn 978-88-6227-359-6 isbn elettronico 978-88-6227-360-2 isbn (rilegato) 978-88-6227-395-4
Parini I_Sovracoperta 14/03/11 15.27 Pagina 1
A LC U N E P O E S I E D I R I PA N O E U P I L I N O GI U SE P P E PA R I NI a c u r a d i m a r i a c r i st i na a l b on i co i n t ro d u z i on e d i a n na b e l l i o
e d i z i on e na z i ona l e d e l l e o pe r e d i g i u s e p pe pa r i n i
PISA · ROMA FA B R IZ IO SE RRA E D I TO RE MMXI
ED I Z I O N E NA Z I O NALE DEL L E O P E R E D I G I U S E P P E PARIN I Istituita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (D. M. 2 giugno 1999)
d i retta da g io rg io ba roni
Commis s ion e scien ti f i ca Giorgio Baroni, Presidente Aurelio Aghemo (Direttore pro tempore della Biblioteca Nazionale Braidense), Segretario Tesoriere Carlo Annoni · Marco Ballarini · Paolo Bartesaghi · Anna Bellio Davide De Camilli · Marco Elefanti (Direttore amministrativo pro tempore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) Edoardo Esposito · Pietro Frassica · Bortolo Martinelli Silvia Morgana · Lorenzo Ornaghi (Rettore pro tempore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) Andrea Rondini · William Spaggiari · Corrado Viola
Ente che ha chiesto di istituire l ’ edizione
Istituzione conservatrice delle carte pariniane
Sede Biblioteca Nazionale Braidense Via Brera 28, i 20121 Milano, tel. 02/86460907, fax 02/72023910 MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
A LC U N E P O E S I E D I R I PA N O E U P I L I N O G I U S E P P E PA R I N I a c u r a d i m a r i a c r i st i na a l b on i co p r e s e n ta z i on e d i g i o rg i o ba ron i i n t ro d u z i on e d i a n na b e l l i o
P I SA · ROMA FA B R I ZI O SER R A ED I TORE MMXI
Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Fabrizio Serra editore®. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. * Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2011 by Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma * www.libraweb.net isbn 978-88-6227-359-6 isbn elettronico 978-88-6227-360-2
S OM M AR IO Presentazione Introduzione Nota al testo
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Alcune poesie di Ripano Eupilino A’ leggitori
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Rimario Indice metrico Indice dei capoversi Indice dei nomi Testi citati
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PR ES ENTAZIONE irca undici anni fa, correndo il centenario della morte di Giuseppe Parini, si diede vita a due inziative: una serie di celebrazioni e un’Edizione Nazionale delle opere, entrambe sotto l’egida del Ministero per i beni e le attività culturali. Le celebrazioni erano quanto mai necessarie dato che il Parini, pur considerato una delle tre corone della letteratura italiana del Settecento con Goldoni e Alfieri, appariva un po’ marginalizzato sino a permettere qualche dubbio sulla sua attualità. Si pose quindi tra gli altri il problema di verificare se la sua opera fosse ancora interessante a ridosso del nuovo millennio e, in caso affermativo, di capire le ragioni che avevano portato la critica, l’editoria, insomma il mondo della cultura, a ridurre lo spazio ad essa dedicato e a eludere i problemi filologici. Il numero e il livello di adesioni ai convegni e soprattutto il dibattito critico sviluppatosi, testimoniati dai relativi volumi di atti, hanno dimostrato che Parini è talmente attuale che la sua emarginazione dipende proprio dal fatto che la sua opera riesce ancor oggi a dividere e a suscitare polemiche. Da un esame complessivo della poesia e dell’impegno civile dello scrittore di Bosisio emerge che il suo successo letterario fu determinato in modo rilevante dall’immagine pubblica e dall’assunzione di responsabilità nella politica, nell’amministrazione, nell’organizzazione culturale, fattori che hanno lasciato traccia nell’opera e ne hanno condizionato pure la fortuna e persino le interpretazioni, con tentativi di appropriazione e di strumentalizzazione da parte di strutture ideologiche avvezze a operazioni del genere. La rilettura iniziata con il centenario e proseguita in questi anni ha portato tanto a una riscoperta della sua poesia e delle sue teorie artistiche, quanto a un riesame delle sue scelte civili in relazione al tempo e alla formazione ricevuta, con particolare riferimento al senso di giustizia, all’attenzione ai problemi ecologici, al progresso a vantaggio dell’uomo, all’educazione, al diritto alla vita, elementi che sono un tutt’uno con il suo modo d’intendere l’arte.
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presentazione Anche l’istituire un’Edizione Nazionale delle opere rispondeva a una necessità, essendo il Parini uno dei pochi maggiori a non aver goduto delle cure filologiche che tali prestigiose iniziative garantiscono: non soltanto egli è stato sorpassato in questo da nomi ben più marginali – e certo non per colpa del Ministero che solamente può approvare e promuovere iniziative che gli vengono proposte –, ma a tutt’oggi è persino privo di una moderna edizione critica complessiva. Nel 1999 si faceva riferimento a Tutte le opere edite e inedite di Giuseppe Parini, a cura di Guido Mazzoni, Firenze, Barbèra, 1925, oppure ai quattro volumi degli Scrittori d’Italia, Bari, Laterza, 1913-1929, a cura di Egidio Bellorini, o a edizioni critiche parziali, come quelle del Giorno (Parma, Guanda - Fondazione Pietro Bembo, 1996) e delle Odi (MilanoNapoli, Ricciardi, 1975), a cura di Dante Isella, della Gazzetta di Milano, a cura di Arnaldo Bruni, ivi, 1981, di Alcune poesie di Ripano Eupilino, in Edoardo Spoglianti, Parini giovanile, Faenza, Fratelli Lega, 1943, del Dialogo sopra la nobiltà, in Luigi Poma Stile e società nella formazione del Parini, Pisa, Nistri-Lischi, 1967, non mancando peraltro edizioni parziali commentate e rimanendo ancora importante, nonostante tutto, la raccolta delle Opere, pubblicate ed illustrate da Francesco Reina, Milano, Stamperia del Genio Tipografico, 1801-1804, in sei volumi. In questi ultimi anni le maggiori novità filologiche hanno riguardato le Prose, finalmente affrontate in modo sistematico dagli studiosi che completeranno il lavoro per la presente edizione. Gli undici anni passati dal decreto istitutivo si spiegano con difficoltà interne alla Commissione e con la scomparsa di circa la metà dei componenti originari. Il secondo male è stato doloroso, ma ha risolto il primo, mentre opportuni rimpasti hanno permesso la formazione di una compagine decisa a concludere i lavori in tempi ragionevoli. Superate dunque le difficoltà, si sono stabiliti i criteri e fatte le scelte fondamentali; si sono ripartiti i compiti e fatto uno scadenziario. Così nell’anno in corso usciranno almeno due volumi, forse tre. Alcune scelte generali meritano una segnalazione: criteri conservativi, stampa di tutto ciò che rimane, essenziali postille esplicative. Quest’ultimo punto può anche sorprendere, non essen-
presentazione 11 do usuale, ma corrisponde alla volontà di approntare uno strumento utile non soltanto per gli studiosi di Parini (che delle note potranno fare a meno e magari sorridere), ma anche per persone di buona cultura che, senza essere specialiste, desiderano usare l’Edizione Nazionale per l’affidabilità del testo senza perdere il piccolo aiuto rappresentato da una parca annotazione. Sembra di buon auspicio partire con Alcune poesie di Ripano Eupilino, opera prima, giovanile, ma valida al punto di assicurare al suo autore traguardi importanti nell’ambiente culturale del Ducato di Milano. Seguiranno a ruota le Polemiche linguistiche (1756-1760), primo volume delle prose, che saranno tutte a cura di Paolo Bartesaghi e di Silvia Morgana, tranne la parte dei soggetti per artisti, affidata a Pietro Frassica. Per il Giorno la Commissione ha deciso di valorizzare sia la tradizione a stampa, a partire dalle edizioni del Mattino e del Mezzogiorno volute e approvate dall’autore, sia la successiva evoluzione manoscritta del testo, così da salvaguardare il valore storico della versione conosciuta anche dai maggiori scrittori e critici, senza rinunciare a fissare l’ultima voluntas auctoris; sono curatori dei due tomi rispettivamente Edoardo Esposito e Giuseppe Savoca. Le Odi usciranno con introduzione del sottoscritto e curatela di Mirella D’Ettorre. Andrea Rondini sta preparando il volume degli scritti teatrali. Al complesso delle poesie varie, per la vastità della materia stanno lavorando Carlo Annoni (poesie sacre), Davide De Camilli (poesie in dialetto), Giovanni Biancardi (poesie satiriche), con il coordinamento di William Spaggiari. Del carteggio è incaricato Corrado Viola. Completerà l’opera la raccolta delle vite del Parini edite e inedite nel diciannovesimo secolo, che Marco Ballarini sta approntando. Trattandosi di circa tredici volumi in tutto, l’ipotesi di concludere, salvo imprevisti, nei prossimi tre anni appare ambiziosa, ma ragionevole.
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INTRODU ZIONE ragionevole aspettarsi che l’opera giovanile d’un autore manifesti, nella ricerca di accenti propri, soluzioni formali e stilistiche oscillanti tra i richiami d’una tradizione esemplare e le proposte dei contemporanei, tra lusinghe d’una sperimentazione innovativa ed esercizi poetici personali, nati da cultura, sensibilità e gusto formatisi in esperienze ancor brevi di scuola e di vita. Anche la scelta del genere nel quale l’artista pensa di esprimere i contenuti a lui più congeniali appare dubbiosa fino a quando egli non ha maturato una chiara coscienza del senso e della funzione della propria arte. Alcune poesie di Ripano Eupilino non contraddicono tale realtà, ma ritraggono un’immagine del loro poeta già netta nei tratti essenziali. Si pensi alle mai smentite fonti poetiche dal mondo greco e dalla latinità presenti nella raccolta: Mosco, Anacreonte, Catullo, Orazio, Giovenale.1 Pure la forza dell’indignazione morale e la riprensione dei vizi sociali e culturali, che saranno nutrimento degli scritti pariniani e che matureranno nell’energia e nell’amarezza della grande satira, si leggono nei versi della prima raccolta; si riconosce inoltre, in essa, il gusto di una lingua modulata sul razionalismo della tradizione classica antica e dell’umanesimo moderno, senza preclusioni verso le novità contemporanee, ma ostile alla falsità di pensiero e alla sproporzione o sconvenienza delle immagini. Matura entro il giovanile canzoniere il pariniano rigore di verità e bellezza che, in ricercata eleganza, mireranno a fondere sempre meglio quotidianità e letteratissime finezze.2
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1 Alessandro Verri, nell’articolo Le riverenze, che compare sul i tomo del «Caffè», definisce Parini «un nuovo Giovenale» e Pietro Secchi autore, nel tomo ii, dell’articolo Del Teatro, di Parini dice: «il nostro Orazio» (Il Caffè ossia brevi e vari discorsi distribuiti in fogli periodici, a cura di Sergio Romagnoli, Milano, Feltrinelli, 1960, rispettivamente p. 60 e p. 431). 2 Una puntuale analisi del primo Parini e del percorso che il poeta compì da Alcune poesie di Ripano Eupilino al Giorno si legge in Giulio Carnazzi, Forse
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introduzione La figura del Parini esordiente conoscerà aggiustamenti di linee: spariranno le logore leggerezze della petrarchesca Arcadia amorosa (già depurata dalla sensualità dell’Arcadia secentesca da Francesco De Lemene); sarà corretta la licenziosità del realismo bernesco e saranno trascurati echi burchielleschi «o certi scatenati esercizi da linguaiolo irridente»;1 si rafforzeranno, al contrario, i contorni dell’ironia e risalterà la polemica fisionomia morale e civile del futuro poeta delle Odi e del Giorno; emergerà la tensione verso una poesia sublime, tesa alla riforma delle lettere, possibile e utile se sostenuta da un governo illuminato. Quanto al genere favorito, la maturazione etico-letteraria porterà il Parini a prediligere la satira lasciando per via filoni di poesia, modi e metri, di cui, nella sua prima antologia, offre un selezionato campionario. L’ideale di poesia che sorregge il poeta di Bosisio, l’ingegno del giovane, deciso a percorrere la strada dell’arte letteraria e poetica, sono in parte scritti nelle essenziali righe che il Parini dedica A’ Leggitori per introdurre Alcune poesie di Ripano Eupilino. Breve testo, condotto secondo un’evidente strategia di tessitura formale, ma decisamente pratico nei ragionamenti, rivela il vivo senso della realtà caratteristico del suo estensore, che, disincantato giudice del tempo in cui si trova a vivere e delle mode letted’amaro fiel. Parini primo e satirico, Milano, Led, 2005. Il Carnazzi sostiene che negli anni tra il 1753 e il 1761: «si evolvono in esemplare sintonia la poesia e/o la satira dell’abate di Bosisio e si articolano in un complesso convergere di tensioni e di controspinte, riconducibili a un disegno che vorremmo considerare unitario nella sua composita e dotta varietas. Già è leggibile nella sua primaria e cruda e non mediata espressione quel fondo di risentita moralità civile che nutrirà poi il Giorno e perfino le più tarde Odi neoclassiche (ci ostiniamo a chiamarle ancora così). Tanto più avvertibile esso si manifesta negli anni in cui è alacre e aperta la formazione del Parini e la sua polemica si esprime in modi tradizionalmente autorizzati ma in una forma diretta che non esclude gli attacchi frontali. Sul piano di una progressiva conquista letteraria e morale (chi potrebbe disgiungere i due aggettivi?) niente affatto trascurabile pare il segmento della produzione pariniana che non solo prepara e accompagna la nascita del maggior poema satirico della nostra letteratura, ma che, anche considerato in sé, propone una voce forte e riconoscibile». (Ivi, pp. 9-10). 1 Ivi, p. 16.
introduzione 15 rarie e di costume che lo governano, si fa eloquente promotore della propria arte, sia presso il pubblico amante degli «ameni studj», sia presso i critici di professione. Consapevole sostenitore della poesia dilettevole, interessante e utile se di ottima fattura (di contro a pessime prove del secolo ‘versaiolo’), la concepisce sobria pur nella varietà, la realizza seguendo un «nuovo […] gusto» (riconoscibile nei testi alla luce di un ideale obiettivo di bellezza e di una corretta rappresentazione del vero) e sfida «certi matti abbajatori», «somari» pedanti. L’introduzione all’opera è stilata nel rispetto delle usuali norme retoriche, che dirigevano la scrittura delle pagine proemiali; nulla, in essa, è frutto d’improvvisazione, tutto è meditato e ha una ben calibrata funzione nel sostenere il debutto poetico dell’autore, che anche le difficili condizioni economiche, unite alla preoccupazione di soccorrere i due anziani genitori, preservarono dal «vaiuolo dell’Arcadia letteraria»,1 ossia dalla falsa letteratura dei perdigiorno. Chi apre il libro s’imbatte subito nella «Sdegnosa anima» (La caduta, v. 41) del Parini e nella franchezza della sua mente ardita, oltre che «illusa» (La caduta, v. 70), come egli teme che appaia ai destinatari del «volumetto», consegnato alle stampe nel 1752 per i tipi della tipografia Fratelli Agnelli in Lugano, ma con la falsa indicazione tipografica Giacomo Tomson, in Londra.2 Scrive dunque il Parini: «Io parrò forse troppo arrischia1 Raffaele Spongano, Il primo Parini, Bologna, Pàtron, 1963, p. 16. 2 Per il tono un po’ ribelle e poco costumato di alcune poesie, la giovane età, l’ordinazione sacerdotale ancora in corso al momento della pubblicazione e la mancanza di protezioni rilevanti, appariva consigliabile mantenere l’incognito adottando uno pseudonimo e dando una falsa indicazione della località di stampa. L’inganno sul luogo di stampa e sulla stamperia durò fino al 1999 quando la Bibliografia luganese del Settecento, curata da padre Callisto Caldelari, risolse le incertezze aperte sulla questione dal Reina, che proponeva Lugano, e dal Carducci, che parlò di Milano per i torchi di Giovan Battista Bianchi tralasciando di accertare un autorevole indizio a sostegno della tesi del Reina. Cita infatti il Carducci, nel suo saggio sul Parini principiante, un brano di Camillo Ugoni che racconta di un Parini solito esclamare: «Di nulla mai feci sì lunga e dura penitenza, o giovani, quanto dell’imprudente edizione luganese di certi versi purtroppo miei ed oggi dimenticati». Sulla controversia si veda la nota al testo nella presente edizione.
16 introduzione to mandando al Pubblico questa piccola parte delle mie Rime». A ventitré anni egli conta numerosi versi affidati a fogli sparsi e, nonostante la ritrosia dell’indole, che lo accompagnerà per il resto dei suoi anni, decide di esporsi stampandone un florilegio di «Sacri e Morali e Amorosi e Pastorali e Pescatorj e Piacevoli e Satirici e di molte altre guise». Era tramite più che affidabile fra il giovane del contado e il cenacolo del capoluogo lombardo don Ambrogio Fioroni, il curato di Canzo, accademico Trasformato, con il quale il Parini intratteneva rapporti di sincera e confidente amicizia. Il Fioroni ne incoraggiava il proposito di inserirsi nel mondo cittadino della cultura e di scrollarsi di dosso le molteplici limitazioni della nascita in provincia, che lo ingabbiava tra la plebe della città. Condizione svantaggiata, che il cantore del «vago Èupili» (La vita rustica, v. 34) sentiva impedimento alla libera espressione dei valori etici ed estetici che urgevano al suo cuore e alla sua mente e che erano sorgenti di indomita energia sul «lungo di speranze arduo sentier»: non «l’oro», né «l’inane decoro / De’ titoli», né «il perfido / Desío di superare altri in poter. // Ma di natura i liberi / Doni ed affetti, e il grato / De la beltà spettacolo».1 Il giovane inurbato aspira dunque a farsi conoscere e a far leggere i suoi versi dai letterati che contano; l’uso dello pseudonimo Ripano Eupilino, che, oltre al riferimento toponomastico al luogo natio, anagramma il cognome Parino (come figura nell’atto battesimale), se è coerente col riserbo del poeta ‘novello’ alla sua prima comparsa, è, al tempo stesso, una prudenza più esibita che reale. In effetti il Parini, alla «cautela» adottata nel pubblicare solo una scelta delle sue rime, non sacrifica la giovanile impazienza («una cotal mia vaghezza») di scendere in campo, né tace, nell’introdurre alla raccolta, «la moltitudine» dei suoi versi. Colloquiando amabilmente coi lettori, asseconda una vocazione sostenuta da netta coscienza del proprio valore, come pure da conoscenza, che si rivelerà vincente, dell’ambiente letterario milanese. Nella Milano di metà secolo si avviava al silenzio 1 Giuseppe Parini, Il messaggio, in Idem, Opere di Giuseppe Parini, pubblicate ed illustrate da Francesco Reina, ii, Milano, Stamperia e Fonderia del Genio Tipografico, 1802, p. 193.
introduzione 17 la grazia musicale della rimeria d’Arcadia e operava dal 1743, per merito di Giuseppe Maria Imbonati, la risorta Accademia dei Trasformati. Tra questi il Parini, probabilmente presentato dall’Agudio, venne accolto dopo la pubblicazione di Alcune poesie di Ripano Eupilino.1 Si era nel periodo d’oro del riformismo teresiano, che offriva spunti d’attualità e contenuti pragmaticamente vivi agli accademici scrittori, paladini della tradizione italiana e della lombarda tradizione giocosa da loro avvertita come valida via al realismo e alla semplice naturalezza e degnamente rappresentata dai seguaci settecenteschi di Carlo Maria Maggi e di Francesco Puricelli: quel Domenico Balestrieri e quel Carlo Antonio Tanzi, soci sostenitori dell’Accademia dal suo nascere, insieme ai tanti poeti che parteciparono alla raccolta burlesca, curata dal Balestrieri nel 1741, Lagrime in morte di un gatto.2 I componimenti poetici che Ripano Eupilino inserisce nella silloge fanno concessioni alle consuetudini e alle mode dei contemporanei, ma già molto ascoltano i richiami della sua vocazione congeniale ai principi della dottrina classica stabilita nel Quattrocento da Leon Battista Alberti, dagli umanisti italiani e dai loro successori. Il nuovo gusto, di cui l’autore parla sul finire dell’introduzione, e che maturerà nel corso delle successive ope1 Edoardo Spoglianti ritiene probabile che il Parini abbia assistito alle conferenze, tre all’anno, che l’Accademia teneva aperte al pubblico; infatti c’è rispondenza tra soggetti trattati nell’Accademia e quelli di Alcune poesie di Ripano Eupilino. Il sonno fu tema in un’adunanza del 1748 e compare nel sonetto pariniano O sonno placido che con liev’orme. (Edoardo Spoglianti, Parini giovanile, Faenza, Fratelli Lega, 1943). 2 La raccolta contiene ben centoquarantacinque poesie: sonetti, sonetti caudati, sonettesse (quando il poeta, per voler di più, aggiunge coda a coda), capitoli in terza rima, e, tra i metri propri della poesia narrativa, ottave e sestine. Tra gli autori, qui riuniti dal Balestrieri a polemizzare contro la trita arcadica consuetudine letteraria dei versi d’occasione, ricordo solo alcuni, noti ai frequentatori della poesia del primo Settecento: il canonico, amico del Parini, Giuseppe Candido Agudio, Giuseppe Baretti, Giuseppe Bartoli, Giuseppe Baruffaldi, Carlo Cantoni, Remigio Fuentes, Giorgio Giulini, Luigi Giusti, Carlo Imbonati, Francesco Puricelli, Biagio Schiavo, Carlo Antonio Tanzi, Girolamo Tartarotti, Vittore Vettori, Giampietro Zanotti. Accanto a questi compaiono le tre poetesse: Luisa Bergalli Gozzi, Francesca Bicetti de’ Buttinoni, Francesca Manzoni Giusti.
18 introduzione re, è il recupero di tale dottrina con il relativo senso del decoro, della misura, della bellezza insita nella natura, della funzione morale della poesia che a tale scopo, come la pittura, sceglie i suoi temi dalla storia umana e dai grandi modelli del passato (l’oraziano ut pictura poësis era ancora nobile concezione per Reynolds sul finire del Settecento). Il nuovo del Parini viene dal passato per superare i contemporanei: «Senzachè io non sento poi così bassamente di me medesimo, che non confidi, poterci essere in questo libro parecchj lavori che qual colla limatezza, alcuno colla novità, tale coll’evidenza, e tal altro col particolare, e nuovo suo gusto, invece di noja, diletto vi porgeranno». Nel presentare ai lettori la sua prima opera a stampa il poeta di Bosisio procede tra movenze di lingua e pensiero fedeli alla tradizione tre-cinquecentesca e propensioni al dettato ironico già decisamente personali. È pariniana la satira in apertura contro i «giudiziosi Uomini» canzonati dall’autore, fidente invece nel Pubblico, «giusto e sincero estimatore dell’Opere altrui». Li dice pedanti non per loro inadeguatezza, ma per lo stato della letteratura giunta «al suo colmo» (si piega al gioco derisorio anche l’interpretazione classicheggiante dell’arte); sono dunque ‘costretti’ a conoscere e a riprendere ogni «leggier macchia, che in un libro si trovi». Un’ironia che garantisce il Parini da ogni eventuale condanna dei suoi versi; nel contempo il poeta, accordando tanto rilievo al consenso dei lettori, è già uomo dell’Illuminismo e precursore della moderna sociologia della letteratura. In realtà è difficile credere che egli, solo basandosi sull’opinione del «Pubblico», avrebbe adottato o abbandonato una «maniera» di comporre, come afferma dove invita i lettori a sapergli dire «a qual maniera» debba «appigliarsi, e quale intralasciare». È qui piuttosto adombrata la polemica contro certa poesia suggerita dalla moda, influenzata dai riti della società colta.1 È comunque altresì pensabile che il Parini fosse disposto, in occasione del suo debutto poetico, a selezionare i componimenti secondo ragioni di opportunità e di utilità sociale oltre 1 Si veda, entro la raccolta, il sonetto lxxxii: Andate alla malora, andate, andate.
introduzione 19 che di gusto e di affetti personali. È omaggio all’eloquenza classica lo stile con il quale il futuro autore del Giorno propone, agli «amatori degli ameni studj», le novantaquattro scelte poesie del «picciol libretto» affinché, «biasimandole cortesemente» o «graziosamente commendandole», lo distolgano o lo incoraggino sul cammino del «poetico mestiere». L’adozione delle due forme avverbiali, che insistono sulla gentilezza, più ancora che sulla correttezza o imparzialità dell’atteggiamento di giudizio del «Pubblico», lungi dall’essere casuale è orientata verso l’oratoria persuasiva, che indirizza il futuro lettore al comportamento indicato. Chi legge, peraltro, accortamente responsabilizzato in maniera lusinghevole, è da subito ben disposto e invitato a rimanere tale se non vuole mescolarsi allo stuolo dei «matti abbajatori», come, nel concludere il discorso introduttivo, il Parini definisce, senza mezzi termini, scoperta ormai l’ironia, i «giudiziosi Uomini» delle prime battute. L’introduzione si apre su di loro e con loro si chiude. L’attacco ai villani giudici di professione, i «Correttori» pedanti «abbajatori», tra i quali un «asino d’Arcadia onnipotente», diventa irrisione nelle rime piacevoli entro la raccolta: «Su, Signor Correttore, in sul nasaccio / Mettetevi l’occhial del Gallileo, / E guardate un po’ quì questo libraccio, / Se vi par ch’e’ sia buono, o che sia reo. / […] / […] Oh ditemi ora / Se un asino d’Arcadia onnipotente / Può giudicar di voce alta, e canora».1 L’irriverenza si fa furente nel caustico sonetto caudato lix firmato da un giovane Parini battagliero e persino attaccabrighe allo scopo di prevenire e scongiurare temute valutazioni viziate da preconcetti: «Perchè sono un fanciullo, un garzoncello, / Volete dir, ch’io sono un ignorante? / Oh guata conseguenza da pedante, / Che sopra la berretta abbia ’l cervello», si sfoga, infine, nella sboccata reazione di lxxxi: «Voi me ne avete fatti tanti, e tanti / Di questi vostri attacci arcipoltroni, / Che se tornate a rompermi i . . . . / Vi tratterò da birbe, e da furfanti». Già ai 1 I versi sono del sonetto caudato lvii. Per questo e per i tre che lo seguono si rimanda alla ricostruzione critica di Raffaele Spongano nel suo Il primo Parini, Bologna, Pàtron, 1963, pp. 108-110.
20 introduzione contemporanei le rime piacevoli apparivano «troppo libere»; si perdonava il loro autore perché, ai tempi, tali libertà erano frequenti, ma, soprattutto, perché al di là delle espressioni sboccate si valorizzavano la perizia di un verseggiare agile e naturale entro «uno stile cólto, acre e faceto».1 Meno tollerante dei recensori settecenteschi il Carducci ne condannava la lubricità nonostante la rintracciasse «più tosto nelle parole che nei sentimenti».2 In trentatré sonetti (lv-lxxxvii), molti dei quali caudati (alcuni hanno due code come nel Burchiello, altri le moltiplicano anche fino a dieci), il Parini recupera lessico, trivialità, toni, invettive della convenzione burlesca, ne riprende i provocatori eccessi verbali e la minaccia della violenza fisica. Mentre compone uniformandosi alla beffa tipica del genere bernesco, capita che rinvii con tale franchezza a casi spinosi della propria biografia che la baldanza dell’atteggiamento sdegnoso si trasmette al ritmo delle strofe, le quali procedono spigliate nell’immediatezza del dire, riscattando i versi, vivi di risentita energia, dal puro tecnicismo di maniera (lix, lx, lxxi); accade pure a certe caricature satiriche dalle linee precise ed incisive (lvii, lxxii). Proprio nel senso vivo della realtà e nella concretezza dell’ideazione, in più luoghi presenti nelle varie sezioni delle Alcune poesie di Ripano Eupilino, è possibile riconoscere alcuni caratteri dell’ingegno e del genio pariniani: la forza, l’evidenza di certi quadri di vita (come quella campestre nei sonetti pastorali xvi e xvii che superano la prevalente sensazione d’artificio della contemporanea poesia arcadica), la snellezza, la schiettezza, la precisione di un dettato poetico incline peraltro all’ampio, ininterrotto svolgersi ritmico (si veda il sonetto pastorale magico xxix). Per l’alto concetto della poesia che lo anima, sulla scia del prediletto Orazio, il Parini affina il verso nell’esercizio della proprietà formale, della pulizia del disegno, della figurazione nitidamente incorniciata. Ciò è particolarmente evidente nei versi 1 «Novelle della repubblica letteraria per l’anno mdccliii», Venezia, Occhi, 1753, p. 8. 2 Giosue Carducci, Parini principiante, in Idem, Studi su G. Parini. Il Parini minore, xvi, Bologna, Zanichelli, Edizione Nazionale delle Opere, 1944, p. 23.
introduzione 21 magici (xxiv-xxx); questi, per la materia del loro canto, potrebbero aprire scenari ombrosi ed evocare atmosfere vaghe e indistinte, affidarsi a una lingua vibrante nella resa di sensazioni orride e violente, o prediligere ritmi popolani scomposti e caricati invece, endecasillabo dopo endecasillabo, destano suggestioni visive che non turbano, seppure affidate a gesti stregoneschi e a malìe amorose come nei sonetti xxiv e xxv. Atmosfere più fosche sono evocate in xxvi, xxvii e xxviii, dove anche la lingua e lo stile si acconciano a situazioni incerte e in mutamento senza peraltro che vada persa la perizia del Parini nel comporre rapidi schizzi figurativi. Nel xxix sonetto, il lungo volgere di riprese, anafore, pause, rime, strutture grammaticali e sintattiche crea effetti di crescente attesa dell’incantatrice, la quale, comparsa nella prima terzina, al colmo di un’azione magica raccontata dopo una particolareggiata serie di elementi e ingredienti macabri, non è affatto, alla resa dei conti, spaventosa come ci si aspetterebbe, perché prevale sull’inquietante contenuto la lenta intonazione e la calma articolazione delle frasi. Lo stesso gregge, oggetto del maleficio, è rappresentato in una scena che, per quanto rivelatrice di una situazione anomala, rimane distesa: «E con queste il mio gregge infermo rende, / Sicch’errando sen va per la campagna, / Nè d’erba, nè di rio vaghezza prende». Le rime amorose e galanti (i primi quattordici sonetti) si distinguono per il giro grave e pacato del verseggiare e per l’attitudine alla raffigurazione di situazioni reali; non evitano un linguaggio consunto e slavature comuni al petrarchismo di maniera, né alcuni arcaismi: «vosco» e «sui» nella terzina conclusiva del xiii sonetto. Frutto della tendenza all’assimilazione, che compare altrove nella raccolta (lxiii, lxvi, lxxxviii), è l’espressione popolare toscana, pure letterariamente acquisita: «vedella» al verso due nel sonetto quinto. In questo e nell’ottavo il poeta ritrae rispettivamente un pellegrino e l’amico Francesco Manzoni dinanzi alla sua donna. Nel quinto il giovane Parini rappresenta con spontaneità la soddisfazione e l’orgoglio dell’uomo innamorato, che legge negli occhi altrui l’ammirazione per la sua amata, la quale è tanto difficile da descrivere nel pieno della grazia e bellezza. Nell’ottavo, dopo la scelta illustre di «va-
22 introduzione ghi rai» del primo verso e certa enfasi nella seconda quartina, il poeta si fa semplice e schietto là, dove, chiedendo al Manzoni cosa pensa della donna, gli spiace che l’amico sia troppo tiepido nel lodarla: «Perchè allora ’l mio cor tu non avesti; / Che più nove bellezze in volto a lei / Colla scorta d’Amor vedute avresti!». È così efficace nella sua sincerità da farci sentire quanto resti avvilito il suo orgoglio d’innamorato. Ancor più liberamente espansivo chiude infine la poesia su uno scherzo di impossibile desiderata metamorfosi: «Anzi perchè cangiarme i’ non potei / Tutto in te stesso; e quel che tu godesti / Io medesimo, e più goduto avrei». Così anche la lezione dello Stil novo si affievolisce e traspare un modello di Paradiso terreno e vivo, esito non di astratta immaginazione, ma di vissute o avverabili vicende come quella teneramente ricordata nel sonetto vi. Esercizio di classica cesellatura di verso e attenta limatura sono le imitazioni e i rifacimenti di Mosco e Anacreonte (dal Parini letti nelle traduzioni latine) e le libere versioni da Catullo e Orazio (xxxi-xxxvii). Di particolare fattura il sonettino xxxv in ottonari, per l’analisi del quale rimane ancor oggi fondamentale l’attento studio dello Spongano nel suo Il primo Parini.1 Nei «poetici lavori varj di vario argomento, e di varie spezie», che compongono Alcune poesie di Ripano Eupilino, è evidente che tra i metri il Parini predilige il sonetto; tra classici, caudati e sonettesse se ne contano ottantasei più un sonettino di ottonari.2 Seguono tre capitoli, una pistola, tre egloghe pescatorie, l’ultima delle quali in forma dialogica. In tutte queste «guise» il poeta rifugge dalla leziosa e semplice scorrevolezza degli arcadi, da certa loro inconsistenza e facilità; e se concede spazio al canone dell’imitazione, la esercita sui modelli originali, scostandosi dalle riprese di essi offerte dall’Arcadia e, nel rispetto rigoroso che porta ai classici latini e italiani, si avvicina alle intenzioni dei Trasformati. 1 Raffaele Spongano, Due poeti, dodici traduzioni e una rondinella, in Idem, Il primo Parini, cit., pp. 69-93. 2 Per la fedeltà pariniana al sonetto, anche in tempo di fama e fortuna, si veda Giovanna Benvenuti, Precettor d’amabil rito. Studi su Giuseppe Parini, Franco Angeli, 2009, pp. 87-101.
introduzione 23 Che cosa infine si aspettasse il Parini dalla circolazione di queste poesie lo si può forse scoprire rileggendo, nell’egloga pescatoria che chiude la raccolta, le lodi di Telgone per i carmi di Alceo e di Nilalga: «Sien lodi al Ciel, che nell’età senile / Udir mi fa per queste piagge amene / Un sì tenero canto, e sì gentile // O quai candidi Cigni, o quai Sirene / S’ascoltaro ne’ fiumi, oppur nel mare / Cantar tai versi con sì dolci vene?». A entrambi Telgone dona infine in premio un vaso, concreto riconoscimento, anche «Se non egual […] al merto», del cantore. Un suggerimento per chi incoraggiava con elogi e pubbliche ricompense la cultura e le arti.
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NOTA AL TES TO l volume Alcune Poesie di Ripano Eupilino venne pubblicato da Giuseppe Parini nel 1752; il frontespizio reca la falsa indicazione tipografica: Londra, presso Giacomo Tomson. Il nome Ripano venne scelto dal poeta quale anagramma del cognome Parino; indicava inoltre il suo essere nato in una zona caratterizzata dalle rive del lago di Pusiano, anticamente denominato Eupili, da cui Eupilino. Non vi sono manoscritti anteriori alla stampa. L’opera non venne più ristampata dal poeta, ad eccezione di dieci componimenti che Parini scelse per il volume Rime degli Arcadi, Roma, Paolo Giunchi, vol. xiii, 1780, pp. 141-146.1 Gli esemplari a stampa reperiti per la presente edizione appartengono uno a collezione privata, gli altri alle seguenti biblioteche: - Biblioteca Ambrosiana di Milano: quattro esemplari, due ricevuti dall’eredità Reina-Bellotti (contenuti nel faldone S. P. 6/1); - Biblioteca Nazionale Braidense: un esemplare; - Biblioteca Comunale Centrale di Milano: un esemplare appartenuto alla Civica Raccolta “Achille Bertarelli”; - Biblioteca Trivulziana: un esemplare proveniente dal fondo originario della famiglia Trivulzio; - Biblioteca Comunale di Como: un esemplare senza note che ne attestino la provenienza; - Biblioteca Universitaria di Pisa: un esemplare appartenuto ad Alessandro d’Ancona
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Per quanto concerne il luogo di stampa, sulla base dell’incisione che orna il frontespizio, Callisto Caldelari ha dimostrato che 1 I componimenti scelti sono: Ecco Bromio, Pastori, ecco Lieo; Ahi quante, ahi quante di pietate ignude; Sì vaga pianta, e si gentile avea; Quella pianta gentil, ch’avea battuta; Accendi il foco, Elpin, mentr’io mi bendo; Sciogli, Fillide, il crine, e meco t’ungi; Colei, Damon, colei che più d’un’angue; Nè d’erba, nè di rio vaghezza prende; O sonno placido, che con liev’orme; Rondinella garruletta.
26 nota al testo l’opera venne edita a Lugano, dagli stampatori Agnelli:1 «L’incisione che orna il frontespizio è identica ad altre che figurano su edizioni Agnelli». Caldelari precisa inoltre: «Riteniamo di aver definitivamente attribuito agli Agnelli questa pubblicazione; l’incisione che orna il frontespizio è identica ad altre che figurano su edizioni Agnelli. Lo pseudonimo usato è l’antica denominazione del lago di Pusiano, terra natale del Parini».2 1 Callisto Caldelari, Bibliografia luganese del Settecento. Le edizioni Agnelli di Lugano. Libri. Periodici, Bellinzona, Casagrande, 1999, pp. 332-333: 333. La questione del luogo di stampa fu ampiamente dibattuta; secondo Reina, Londra doveva essere intesa come Lugano: «Gli amici di lui [Parini] mossi più dal desiderio di giovargli che di renderlo celebre, nel 1752 lo spinsero immaturo a pubblicare varie sue Poesie in Lugano colla data di Londra, e sotto il nome di Ripano Eupilino, dal vago Eupili suo, antica denominazione del lago di Pusiano» (in Giuseppe Parini, Opere, i, pubblicate e illustrate da Francesco Reina, Milano, Stamperia e Fonderia del Genio Tipografico, 1801, p. vi). Un riferimento analogo si trova in Cantù: «Ivi [Milano] dunque produceva il Parini le odi che componeva tratto tratto, e di cui la prima raccolta pubblicò a Lugano nel 1752 sotto il nome di Ripano Eupilino, anagramma il primo del suo nome, il secondo denotante la patria. Lavori da giovane e troppo lontani dalla perfezione; gli valsero però applausi e un diploma dell’Arcadia di Roma» (Cesare Cantù, L’Abate Parini e la Lombardia nel secolo passato. Studj, Milano, Giacomo Gnocchi, 1854, p. 232). Così, delineando la biografia di Parini, Ugoni annota: «benchè la povertà, stringendolo a cure d’insegnamento privato, gli togliesse ozio, l’ardore per lo studio lo rendeva industrioso a trovar tempo, se non agio, all’attenta lezione de’ classici e dei poeti singolarmente, e a sperimentare se il fondo proprio potesse dar versi, tanto che nel 1752 ne avventurò in Lugano colla data di Londra una prima raccolta sotto il nome di Ripano Eupilino. Divenuto poi professore e restío alla stampa, sentì di potere omai a’ consigli accoppiare l’esempio che li convalida, e sconfortando la gioventù dall’impazienza che la punge e tormenta di esporre in pubblico frutti immaturi d’ingegno, fu più volte udito premunirla del proprio esempio e sclamare con quell’accento che persuade: “Di nulla mai feci sì lunga e dura penitenza, o giovani, quanto dell’imprudente edizione luganese di certi versi pur troppo miei e oggimai dimenticati”» (Camillo Ugoni, Della letteratura italiana nella seconda metà del secolo xviii . Opera postuma, i, Milano, Tipografia di Giuseppe Bernardoni di Gio., 1856, pp. 363-364). La stessa indicazione si trova in Marino Parenti, Dizionario dei luoghi di stampa falsi, inventati o supposti, Firenze, Sansoni, 1951, p. 117. Invece secondo Carducci «il libro uscì a Milano dai torchi di Giovan Battista Bianchi» (Giosué Carducci, Studi su Giuseppe Parini. Il Parini minore, Bologna, Zanichelli, 1922, p. 4); questa ipotesi fu sostenuta anche da Mazzoni (in Giuseppe Parini, Tutte le opere edite ed inedite, raccolte da Guido Mazzoni, Firenze, Barbèra, 1925, p. 288). 2 Callisto Caldelari, Bibliografia luganese del Settecento. Le edizioni Agnelli di Lugano. Fogli. Documenti. Cronologia, Bellinzona, Edizioni Casagrande, 2002,
nota al testo 27 La raccolta comprende novantaquattro componimenti, preceduti dall’introduzione A’ leggitori; la prima parte, con cinquantaquattro sonetti, non ha titolo; segue una sezione intitolata Poesie piacevoli, con quattordici sonetti, diciannove sonetti caudati, tre capitoli e un’epistola in endecasillabi sdruccioli; infine vi sono tre egloghe pescatorie. Gli esemplari esaminati appartengono alla medesima impressione. Si fornisce la descrizione dei testi a stampa e dei manoscritti considerati per la presente edizione.1 Esemplare n. 1 Questo esemplare appartiene alla Biblioteca Ambrosiana; collocazione: S. N. V. vi. 81. È formato da otto fascicoli, che recano l’indicazione della lettera maiuscola sul margine basso del recto della prima carta di ogni fascicolo, talvolta seguita nelle altre da un numero (in cifre arabe), che indica la successione dei fogli nei singoli fascicoli; a causa dell’inserimento di una carta nel fascicolo B, la serie dei fascicoli è la seguente: A8 B9 C-G8 H6. In alto, ogni pagina reca, in cifre romane, la numerazione delle carte con le poesie (i-cxxiv); il frontespizio, l’introduzione A’ leggitori (due carte che seguono il frontespizio e precedono le poesie), l’errata corrige e la dichiarazione conclusiva dell’autore (una carta dopo le poesie) non sono numerati e non sono compresi nei fascicoli. L’esemplare è stato rilegato in cartone insieme alle seguenti prose: - Discorso recitato nell’aprimento della nuova cattedra delle Belle Lettere dall’Abate Giuseppe Parini Regio Professore Nelle pubbliche Scuole Palatine di Milano (un quaderno di 24 pagine); p. 712; dello stesso Caldelari si veda anche Editoria e Illuminismo fra Lugano e Milano, Milano, Edizioni Sylvestre Bonnard, 2005, pp. 173-179. 1 Per quanto riguarda i testi a stampa, i primi cinque corrispondono a quelli utilizzati anche da Alberto Chiari, Una curiosità pariniana, «Aevum», 33, ottobre-dicembre 1938, Milano, pp. 513-522 (poi in Alberto Chiari, Indagini e letture, Città di Castello, Macrì, 1946, pp. 195-205).
28 nota al testo - Due lettere intorno al libro intitolato I Pregiudizi delle Umane Lettere. In Milano, nella Regio-ducal corte. Con licenza de’ Superiori. 1756 (cinque quaderni per complessive 70 pagine, oltre all’introduzione e all’imprimatur; è la ‘corrispondenza’ tra Giuseppe Parini e l’abate Pier Domenico Soresi intorno al libro del padre Alessandro Bandiera I pregiudizj della Umane Lettere). Così rilegato il volume misura 13 × 20 cm. Sul verso del risguardo, incollato sulla parte interna del piatto anteriore, vi è la seguente dicitura, scritta a penna: “L’Autore di queste Poesie è l’Abbate Giuseppe Parino col nome anagrammatico di Ripano Eupilino per essere natio di Bosisio vicino al Lago Eupili detto di Pusiano”. La segnatura B. L. 40 è stata cancellata con un tratto a penna ed è stata aggiunta quella attuale: S. N. V. vi. 81. Sul recto del foglio di guardia, con la medesima grafia, compare l’elenco: Index Insertorum 1º Parino = Alcune Poesie ec. 2º Discorso Intorno alle belle Lettere 3º Soresi e Parino = Due Lettere intorno al Libro intitolato i Pregiudizi delle Umane Lettere. Dopo il foglio di guardia è posto il frontespizio: ALCUNE| POESIE|DI|RIPANO|EUPILINO|[incisione: medaglione] | LONDRA )( CI I CCLII|[linea di asterischi]|Presso Giacomo Tomson. L’ultima pagina con la dichiarazione del poeta reca l’aggiunta manoscritta a penna “Dello Stampatore”. Fra il primo e il secondo fascicolo, ovvero tra p. xvi e p. xvii sporgono due ritagli: il primo è il resto della carta che reca il frontespizio; il secondo è il resto del secondo foglio di guardia. Tra la p. xxii e la p. xxiii è stata inserita la carta xx.ii-xx.iii, incollata sui margini interni delle pagine che la comprendono. Tra p. cxii e p. cxiii, cioè tra settimo ed ottavo fascicolo sporge un ritaglio, che corrisponde alla carta con l’errata corrige.
nota al testo 29 Ad eccezione di pochi fogli con leggeri segni di consunzione, l’esemplare è in buono stato di conservazione. Sul frontespizio vi sono due piccoli buchi contornati da macchie d’inchiostro. Il dorso della copertina reca incollato in alto un foglietto con la scritta: “Parini e Soresi. Poesie e Lettere”; in basso quello che indica la segnatura S. N. V. vi. 81. Non vi sono timbri della biblioteca. Esemplare n. 2 Esemplare ambrosiano; collocazione: S. C. L. vii. 41. Il volume è rilegato in pelle di colore verde scuro; misura 13 × 20,5 cm. Questo esemplare è identico al n. 1 per il numero e l’ordinamento dei fascicoli. Per quanto riguarda la progressione delle pagine, invece, la carta xx.ii-xx.iii è stata inserita fra p. xx e p. xxi; l’aggiunta è dimostrata dal ritaglio (appartenente a tale foglio) che, in modo irregolare, sporge e in parte è incollato sulla p. xxi, in parte rimane sollevato. Detta carta è leggermente strappata nell’angolo in alto a destra. Nel volume non si notano altri ritagli; soltanto in fondo mancano i fogli di guardia: ne restano piccoli frammenti. Sul verso del primo foglio di guardia in cartoncino è indicata a penna la segnatura: S. C. L. vii. 41. A matita è segnato il numero 528. Sul verso del secondo foglio di guardia, in alto, c’è la scritta a penna: “di Giuseppe Parino, da Bosisio”.1 Sul frontespizio, in alto a sinistra, c’è scritto a matita in piccolo “Tagliato”. Sul dorso della copertina ci sono cinque rialzi con dorature; sempre dorate vi sono le scritte: Parini Poesie 1752. Taglio testa, davanti e piede delle pagine sono colorati in verde. 1 Secondo Chiari, tale scritta è di mano del Parini (Alberto Chiari, Una curiosità pariniana, cit., p. 516, n. 1).
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nota al testo
Esemplare S. P. 6/1 i,1, xix.
nota al testo
Esemplare S. P. 6/1 i,1, xxiv.
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nota al testo Ad eccezione di macchie di umidità, l’esemplare è in buono stato di conservazione. La rilegatura comprende un nastrino segnalibro. Vi sono timbri rotondi in azzurro della biblioteca sul verso del frontespizio e sulle pagine i, xxiii, cxxiv.
Esemplare n. 3 Esemplare ambrosiano; collocazione: S. P. 6/1 i,1. Risulta particolarmente significativo, perché reca ritocchi autografi di Parini. Il volume corrisponde all’esemplare n. 1 per numero e ordinamento dei fascicoli. Rilegato in cartone, misura 14 × 20,5 cm. Sul dorso e tra i fascicoli sono evidenti le corde della legatura. La carta xx.ii-xx.iii è stata inserita tra p. xx e p. xxi; il ritaglio corrispondente sporge tra p. xxviii e p. xxix, in cui è innestato; detto ritaglio ha una rigatura nera verticale. Tra p. xvi e p. xvii sporgono i ritagli della carta di guardia e del frontespizio (come nell’esemplare n. 1). Tra p. cxii e p. cxiii sporgono due ritagli; il primo corrisponde al foglio di guardia (incollato sulla copertina in fondo), il secondo alla pagina con l’errata corrige. Sul verso del foglio di guardia incollato alla copertina è indicata a matita la segnatura: S. P. 6/1 i,1. Il timbro circolare della biblioteca compare sul recto del secondo foglio di guardia, a p. xxxiii, a p. lxix, a p. cxv, sull’ultima pagina con la dichiarazione dell’autore e sul verso del piatto posteriore. Sulla copertina vi è la scritta a matita blu: i,1; a matita 63b. Nonostante alcune macchie di umidità, l’esemplare è in buono stato di conservazione. Dopo l’esplicita indicazione «Fine» al termine dell’egloga pescatoria, in un foglio aggiunto insieme al risguardo compare l’errata corrige: Non si sono accennate alcune Traduzioni sparse per entro al libro, sì per non far torto agli eruditi Lettori, che per lor medesimi le conosceranno, come per non caricare il libro d’inutili pedanterie.
nota al testo
Pref. pag. 2. 4. Pag.
Errori l. 1. ne l. 9. addunque
3. vers. 8. celò. 7. 11. disciorre. 10. 11. mei. 38. 3. cantando. 69. 9. te. 78. 21. Facevan. 79. 2. vedesti. 104. 21. In belico. 114. 8. marin i Pesci 120. 29. salpa Ivi 33. ombrina 122. 17. dell’limpid’onde
33 Correzione né adunque calò. disciorse. miei. contando. se. Facean vedessi. In bilico marini Pesci Salpa (nome di Pesce) Ombrina (come sopra) delle ecc.
Gli altri piccoli erroruzzi si rimettono alla discrezion de’ Lettori. Esemplare n. 4 Esemplare ambrosiano; collocazione: S. P. 6/1 i,2. Corrisponde al n. 1 per numero e ordinamento di fascicoli. Rilegato in cartone, misura 14 × 21 cm. Sul dorso e tra i fascicoli sono evidenti le corde della legatura. La carta xx.ii-xx.iii è inserita tra p. xxii e p. xxiii, impastata su entrambe. Tra p. xvi e p. xvii sporgono due ritagli: il primo, corrispondente al frontespizio, è impastato su p. xvi; il secondo corrisponde al foglio di guardia. Tra p. cxii e p. cxiii sporge il ritaglio che corrisponde al risguardo incollato sul piatto posteriore. Vi sono timbri rotondi della biblioteca sulla copertina, sul recto del secondo foglio di guardia, sul frontespizio, a p. i, p. xxi, p. liii, p. lxxxv, p. ci, sulla pagina con l’errata corrige, sulla pagina con la dichiarazione conclusiva dell’autore e sul verso del piatto posteriore.
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nota al testo Sulla copertina vi è la scritta a matita blu: i,2; a matita: 63,a. Salvo poche macchie, l’esemplare è in buono stato di conservazione.
Esemplare n. 5 Questo esemplare appartiene alla Biblioteca Nazionale Braidense; collocazione: AB. ix. 62. Numero e ordinamento dei fascicoli corrispondono all’esemplare n. 1. La carta xx.ii-xx.iii è inserita tra p. xx e p. xxi; nel volume non sono visibili ritagli, ad eccezione di quello incollato su p. cxxiv e segnato da una riga nera verticale, e di un piccolo ritaglio che si intravede tra p. xxviii e p. xxix. Il volume è rilegato in cartoncino leggero verde; misura 12,5 × 19 cm (non c’è unghiatura, perché il cartoncino è tagliato nello stesso formato delle pagine). Sul dorso è presente la scritta a mano, quasi cancellata, “PARINI”; in basso è stato incollato il foglio della biblioteca indicante la segnatura. Sulla parte interna del piatto anteriore è indicata la segnatura precedente (14 16 a 10) sia scritta a mano sia su un foglietto ivi incollato (ora sbarrato); vi è anche un biglietto rettangolare con la segnatura attuale: la scritta è: BIBLIOTECA NAZIONALE BRAIDENSE AB 9 62. Sul foglio di guardia compaiono la scritta a matita AB ix 62 e il timbro ovale nero con l’effigie della Minerva e la scritta R. BIBLIOTECA MEDIOLANENSIS. Sul frontespizio, nell’angolo in basso a destra, compare una B scritta a penna (con inchiostro nero); a metà pagina inoltre si intravede il timbro ovale rosso della biblioteca. Nell’ultima pagina, dopo la dichiarazione conclusiva dell’autore, è stato timbrato il numero di ingresso (169365). A p. iii «celò» viene corretto a matita in «calò» secondo l’errata corrige. A p. xx al v. 11 nella parola «disparte» la ‘s’ è stata ripassata con un segno a penna. Nel volume ricorrono dei segni curvi tracciati a penna (simili a delle U) all’inizio dei componimenti alle pagine iv, v, ix, x, xi,
nota al testo 35 xii, xiii, xviii, xx, xxv, xxxii, xxxvi, xxxxiv, xxxxv, xxxxvii, xxxxviii, xxxxix, l, li, lii, lxxiii. Poche le macchie di umidità; buono, comunque, lo stato di conservazione. Esemplare n. 6 Questo esemplare appartiene alla Biblioteca Comunale Centrale di Milano; collocazione: H vet. 18. Numero e ordinamento dei fascicoli corrispondono al n. 1. Il volume è rilegato con un foglio di carta; sul dorso la legatura è rinforzata da una striscia di carta dorata, in parte strappata, su cui è incollato il foglietto della biblioteca indicante la segnatura; questa è riportata anche nell’angolo in alto a destra, a matita. Sul verso della copertina sono incollati due biglietti: - un ex-libris (7 × 10,5 cm) recante la scritta: EX - LEGATO ACHILLE BERTARELLI. MCMXXXVIII NON SIBI SED CIVITATI SUAE - un biglietto della biblioteca (4 × 4,5 cm) con la scritta BIBLIOTECA COMUNALE DI MILANO H VET. 18 Mancano i fogli di guardia. Il volume misura 12,5 × 17 cm circa, perché le carte sono state tagliate nella parte superiore in modo ineguale. La carta xx.ii-xx.iii è stata inserita fra p. xx e p. xxi, incollata su p. xx; il ritaglio corrispondente è impastato sulla p. xxix. L’indicazione xx.ii-xx.iii è stata in parte tagliata. Non ci sono ritagli fra i primi due fascicoli, che appaiono nettamente separati. Sulla p. cxiii è incollato il ritaglio corrispondente alla carta con l’errata corrige. Sul frontespizio c’è il timbro rettangolare della biblioteca; sul verso c’è il timbro lineare con la scritta EX - LEGATO A. BERTARELLI - 1938. Vi sono inoltre scritte a penna sopra i puntini (per esplicitare espressioni colorite) nelle seguenti pagine: lii, lix, lx, lxxxi, lxxxiv, lxxxv, lxxxxii, lxxxxiii. L’inchiostro delle scritte è passato attraverso le pagine, rendendo talora difficoltosa la lettura.
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nota al testo A p. cxxiv ci sono il timbro rettangolare della biblioteca e due timbri lineari (indicanti il numero 30790 e la data 18.9.46). Dopo la dichiarazione conclusiva dell’autore, una scritta a matita indica il numero 9902. L’esemplare è in discreto stato di conservazione, ad eccezione del foglio con le pagine cxix-cxx-cxxi-cxxii che si stacca dalla legatura. Esemplare n. 7 Questo esemplare appartiene alla Biblioteca Trivulziana; collocazione: H 2833. Il numero e l’ordinamento dei fascicoli corrispondono al n. 1; nelle pagine centrali sono evidenti le corde della legatura. Il volume è rilegato in cartone (come il n. 3 e il n. 4); all’esterno si vedono i cordoncini della legatura. Misura 14 × 21,5 cm. Sul dorso della copertina, in basso, è incollato un foglietto con la scritta: TRIVULZIANA H 2833. Sul verso del foglio di guardia, in parte strappato, incollato all’interno del piatto anteriore vi è il timbro: 35 - 5. Sul recto del secondo foglio di guardia in basso a sinistra c’è il timbro con la segnatura, a destra il timbro rotondo della biblioteca con la scritta RACCOLTA TRIVULZIANA. Sulla medesima facciata, in alto, appare la scritta a penna: “Ripano (anagramma di Parino) Eupilino, cioè d’Eupili, ossia del Lago di Pusiano così detto anticamente. L’Ab. Parini era nativo di Bosisio terra posta sulla riva del d. Lago”. Timbri rotondi con la scritta RACCOLTA TRIVULZIANA sono alle pagine: xv, xxxi, liii, lxix, lxxxxv, cxii (a metà), cxiii, e sulla pagina con la dichiarazione conclusiva dell’autore (vicino al timbro è segnato il numero d’ingresso 13098, con inchiostro nero di biro). Il margine esterno di p. lxxxxv è strappato; quello di p. cix è tagliato. Alla fine del volume c’è soltanto la controguardia incollata sull’interno del piatto posteriore. La carta xx.ii-xx.iii appare perfettamente inserita tra p. xx e p. xxi; il ritaglio corrispondente, su cui compaiono rigature verticali irregolari nere, sporge tra p. xxviii e p. xxix.
nota al testo 37 Tra p. xvi e p. xvii sporgono quattro ritagli: il primo corrisponde alla seconda e ultima carta dell’avvertenza A’ leggitori; il secondo alla prima carta della suddetta avvertenza; il terzo corrisponde al frontespizio; il quarto al secondo foglio di guardia. Tra p. cxvi e p. cxvii sporgono due ritagli: il primo corrisponde alla carta incollata sulla parte interna del piatto posteriore; il secondo, con righe verticali nere corrisponde alla pagina con l’errata corrige. Ad eccezione di macchie di umidità, l’esemplare è in buono stato di conservazione. Si possono notare dei brevi segni orizzontali tracciati a penna, con inchiostro nero, davanti alle parole iniziali dei componimenti alle seguenti pagine: xv, xviii, xix, xx, xxii, xxv, xxvii, xxviii, xxxiii, xxxix. Esemplare n. 8 Questo esemplare appartiene alla Biblioteca Comunale di Como; collocazione: 14.10.3. Numero e ordinamento dei fascicoli corrispondono all’esemplare n. 1. Il volume è rilegato in cartone e misura 13 × 20 cm; al centro dei quaderni e sul dorso si vedono i cordoncini della legatura. La carta xx.ii-xx.iii è inserita tra p. xxii e p. xxiii; è in parte incollata su p. xxiii, in parte staccata. Sulla pagina xx.ii, sul margine interno, è visibile una riga verticale nera; il ritaglio corrispondente tra p. xxvi e p. xxvii appare strappato: si vede soltanto la rigatura nera verticale. Tra p. xvi e p. xvii sporgono due ritagli: il primo corrisponde al frontespizio, il secondo al foglio di guardia. La p. lxxi è attraversata da una piegatura trasversale, che ha provocato lo sfalsamento della stampa. Tra p. cxii e p. cxiii sporgono due ritagli: il primo corrisponde al risguardo incollato sulla parte interna del piatto posteriore; il secondo, con la rigatura verticale nera su entrambi i lati, corrisponde alla carta dell’errata corrige. Le pagine cxiv-cxv e cxvi-cxvii appaiono parzialmente incollate. Alla fine manca la carta di guardia.
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nota al testo Sulla copertina in alto vi sono dei numeri, in parte cancellati, con scritte a penna non leggibili. Sul dorso, parzialmente rovinato nella parte superiore, è applicato il foglietto con la scritta: BIBLIOTECA COMUNALE DI COMO S.14.F.10.N.3. Sul risguardo incollato sulla parte interna del piatto anteriore, in alto a sinistra, è incollato il foglio della biblioteca con la medesima scritta del dorso. Sulla pagina del frontespizio, in basso a destra, è visibile il timbro arancione: BIBLIOTECA Rª Città di Como COMUNALE. Uguale timbro compare sotto la dichiarazione conclusiva dell’autore nell’ultima pagina; in fondo è segnato con inchiostro di biro blu il n. 34381 v. f. (vecchio fondo). È presente qualche macchia di umidità; buono nel complesso lo stato di conservazione. Esemplare n. 9 Il volume appartiene alla Biblioteca Universitaria di Pisa e proviene dalla biblioteca di Alessandro d’Ancona, come indicato dall’ex-libris a stampa sul contropiatto anteriore. Sul verso della carta di guardia anteriore si legge la nota manoscritta: «“Questo volumetto non fu stampato a Lugano, come credesi, ma a Milano dal Bianchi” Salveraglio, Le Od. Par. VIII». Sul contropiatto posteriore c’è una nota di possesso: Alfonso Cerquetti (la grafia è la stessa della nota precedente). La legatura è ottocentesca in ottavo di pergamena, carta radicata; ottimo lo stato di conservazione. Sul dorso vi è il cartiglio con il titolo dell’opera. La carta xx.ii-xx.iii è stata inserita tra p. xx e p. xxi.
Esemplare n. 10 Questo esemplare appartiene alla collezione privata di Giovanni Biancardi.1 Numero e ordinamento dei fascicoli corrispondono all’esemplare n. 1. 1 Si ringrazia il signor Giovanni Biancardi per la gentile e preziosa collaborazione.
nota al testo 39 È rilegato in brossura muta azzurra, rinforzata con guardie, dorso rifatto; misura cm. 13,5 × cm. 21. Manca la pagina dell’errata corrige. La carta xx.ii-xx.iii è stata inserita tra p. xx e p. xxi; il corrispondente ritaglio sporge tra p. xxviii e p. xxix: appare strappato, con la riga nera del registro. La copertina è rinforzata con un foglio di guardia, a cui si aggiunge un foglio bianco prima del frontespizio. Dopo l’ultima pagina (cxxiv) c’è un foglio bianco (sul recto nell’angolo in alto a destra vi è la scritta a inchiostro H4); il foglio di guardia è incollato sulla copertina (con l’indicazione a matita: 4 cc., 124 pp. + 1 inserita). Tra p. xvi e p. xvii sporgono quattro ritagli, corrispondenti al foglio bianco iniziale, al frontespizio e alle due carte dell’introduzione A’ leggitori. Tra p. lxxxxvi e p. lxxxxvii sporgono due ritagli, corrispondenti a pp. cxiii-cxiv e a pp. cxv-cxvi. Tra p. cxvi e p. cxvii c’è il ritaglio che corrisponde all’ultimo foglio di guardia. Sono visibili all’interno le corde della legatura. L’esemplare è in buono stato di conservazione. Rime degli Arcadi In seguito al suo ingresso nell’Arcadia nel 1777 con il nome di Darisbo Elidonio, Parini scelse quindici componimenti, di cui dieci tratti dal Ripano Eupilino, per il volume xiii delle Rime degli Arcadi, pubblicato a Roma presso Paolo Giunchi nel 1780. Frontespizio dell’opera: RIME|DEGLI|ARCADI|TOMO DECIMOTERZO|A sua Eccellenza il Signor Conte|JACOP’ANTONIO|SANVITALE|Cavaliere degli Ordini di S. M. Cristianissima.|[incisione: medaglione]|IN ROMA 1780. Presso Paolo Giunchi.|[linee tipografiche]|Con Licenza de’ Superiori. I componimenti di Parini, indicato con il nome arcadico Darisbo Elidonio, sono stampati da p. 139 a p. 149:1 1 I componimenti tratti da Alcune poesie di Ripano Eupilino sono indicati in grassetto.
40 nota al testo - p. 139: Virtù donasti al sol, che i sei pianeti - p. 140: Questa, che or vedi, Elpin, crinita stella - p. 140: Quand’io sto innanzi a que’ due lumi bei - p. 141: Che pietoso spettacolo a vedersi - p. 141: Ecco Bromio, Pastori, ecco Lieo - p. 142: Ahi quante, ahi quante di pietate ignudi - p. 142: Sì vaga pianta, e si gentile avea - p. 143: Quella pianta gentil, ch’avea battuta - p. 143: Accendi il foco, Elpin, mentr’io mi bendo - p. 144: Sciogli, Fillide, il crine, e meco t’ungi - p. 144: Colei, Damon, colei che più d’un’angue - p. 145: Nè d’erba, nè di rio vaghezza prende - p. 145: O sonno placido, che con liev’orme - p. 146: Rondinella garruletta - pp. 146-149: Perché turbarmi l’anima Manoscritto Gambarelli Questo manoscritto appartiene alla Biblioteca Ambrosiana; collocazione S. P. 6/2 iii, 4. È formato da dieci fascicoli; rilegato in cartone, misura 21 × 30 cm. Sulla copertina, a matita blu, è indicata la segnatura iii, 4; c’è anche un foglietto con indicato il n. 15 (con l’aggiunta in blu di un 4). Sul risguardo incollato nella parte interna del piatto anteriore, nella parte superiore, si legge l’annotazione manoscritta: “Codice di mano d’Agostino Gambarelli, con giunte e correzioni tutte di mano del Parini”.1 1 Per Guido Mazzoni tale indicazione è da ascrivere a Francesco Reina ed è “Codice di mano d’Agostino Gambarelli, con giunte e correzioni fatte di mano del Parini” (in Giuseppe Parini, Tutte le opere edite ed inedite, cit., p. lxxv). Agostino Gambarelli (nato nel 1750 e morto suicida nel 1792) fu allievo e amico di Parini, tanto da convincerlo a pubblicare le Odi, di cui curò appunto la prima edizione (Milano, Giuseppe Marelli, 1791). Poeta dal carattere ombroso e malinconico, Gambarelli fu raccomandato da Parini a Giuseppe Baretti, affinché lo aiutasse durante il suo soggiorno in Inghilterra; tuttavia, dopo averne deluso le aspettative, preferì rientrare a Milano. Viene ricordato per il sonetto Laurea della signora Pellegrina Amoretti (Pavia, 1777) e per la canzone composta
nota al testo 41 I fogli sono numerati a matita in alto negli angoli esterni da 1 fino a 188. Il foglio con le facciate 7 e 8 è stata inserito successivamente, come si vede dai segni di incollatura su p. 9 (p. 7 della numerazione precedente), alterando così l’anteriore numerazione. Vi sono liriche da p. 1 a p. 162 (secondo la vecchia numerazione a penna p. 160); da p. 163 a p. 170 c’è l’indice per capoversi; da p. 171 a p. 183 vi sono i Frammenti; da p. 184 a p. 188 le pagine sono bianche. Le due diverse numerazioni coincidono fino a p. 6. Nell’Indice (pp. 163-170) i componimenti sono suddivisi a seconda del metro; gli incipit sono in ordine alfabetico e la numerazione corrisponde a quella originaria indicata a penna. Alla p. 84 della numerazione originale era indicato il componimento Perchè sono un fanciullo, un garzoncello (della raccolta Alcune poesie di Ripano Eupilino), poi ricoperto da tratti a penna; a questa pagina (cioè p. 86 della nuova numerazione) vi è il sonetto caudato Da un tal, che pare una mummia d’Egitto (della raccolta Alcune poesie di Ripano Eupilino); alla p. 164 dell’Indice, questo incipit è stato aggiunto all’elenco con inchiostro diverso, ma sempre per mano di Gambarelli. Vi sono timbri rotondi della biblioteca sulla copertina e su ogni pagina. Sono bianche le pagine 8, 184-188. Il manoscritto comprende i seguenti componimenti:1 - pp. 1-162: Sonetti. - p. 1: Scenda il poter dal tuo divino aspetto (nell’Indice è indicato con l’incipit originale, poi corretto: “Ardono, il credi, al tuo divino aspetto”) - p. 2: Scorre Cesare il mondo, e tutto ei splende - p. 3: Teseo Osiri Giason Bacco ed Alcide - p. 4: Allor che in terra ebbe soggiorno Astrea (sbarrato) - p. 5: Alto germe d’eroi, cui diè natura (sbarrato) per il busto di Parini scolpito da Franchi: Al celebre maestro G. Franchi per il ritratto dell’ab. Parini da lui scolpito in marmo (Rosa Germano, Di alcuni scolari di Giuseppe Parini, Lucca, Baroni, 1919). 1 Si indicano in grassetto le liriche appartenenti al Ripano.
42 nota al testo - p. 6: Bella gloria d’Italia alma Sirena (sonetto interamente ricoperto da tratti a penna; nell’Indice è cancellato e sostituito con il successivo, sulla pagina aggiunta) - p. 7: O povertà, che dal natio soggiorno - p. 7: Milan rammenta ancor quel lielo giorno - p. 9: Ben ti conosco al venerando aspetto - p. 10: Questa, che le mie forme eterne rende (sbarrato) - p. 11: Se a me il destin di celebrar contende - p. 12: Tanta già di coturni, altero ingegno - p. 13: Ecco, del mondo e meraviglia e gioco - p. 14: Virtù donasti al sol, che a sè i pianeti - p. 15: Questa che or vedi, Elpin, crinita stella - p. 16: Impavidi il novello astro vedrete - p. 17: Face orribil, se è ver che in ciel ti accendi (sbarrato) - p. 18: Occhio indiscreto, che a cercar ti stanchi - p. 19: Occhio indiscreto, or taci, e più non angi - p. 20: O Morte, o bella Morte, o cara Morte - p. 21: Sì, fuggi pur le glebe e il vomer duro - p. 22: Quell’io che già con lungo amaro carme - p. 23: Ah colui non amò; colui avversi - p. 24: Che spettacol gentil, che vago oggetto (sbarrato) - p. 25: Più non invidio chi vedralla ignuda? (sbarrato) - p. 26: La penitenza del mio fallo grave (sbarrato) - p. 27: La fetida del cor negra palude (sbarrato) - p. 28: Fior delle vergini, non pur che sono (sbarrato) - p. 29: Nice la brutta al vago Elpin porgea - p. 30: O bella Venere, per cui s’accende - p. 31: Grato scarpel su questo marmo incidi - p. 32: Mentre fra le pompose urne e i trofei (sbarrato) - p. 33: No non si pianga un uom d’ingegno eletto (sbarrato) - p. 34: Dove o pura Colomba affretti il volo (sbarrato) - p. 35: Stolta è costei, che in solitarie mura (sbarrato) - p. 36: Non a voi sorde mura esposte al danno - p. 37: Quanti celibi e quanti al mar consegna - p. 38: Vanne, o Vergin felice, entro al romito - p. 39: Mancava forse a te, Vergin prudente (sbarrato) - p. 40: Allor che il cavo albergo è in sè ristretto (sbarrato)
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nota al testo 43 p. 41: Quando costei su la volubil scena p. 42: Garzon bellissimo a cui con gli anni p. 43: Qual cagion, qual virtù, qual foco innato p. 44: Qual fra quest’erme inculte orride rupi (sbarrato per trasmissione d’inchiostro dalla pagina a fronte) p. 45: Che pietoso spettacolo a vedersi (sbarrato) p. 46: Volgi un momento sol, volgi un momento p. 47: Ecco la Reggia, ecco de’ prischi Incassi p. 48: L’arbor son io, Signor, che tu ponesti p. 49: Scendi propizia dall’ardente sfera p. 50: Precorre Imene, e rende luminosa p. 51: O tardi alzata dal tuo novo letto (sbarrato) p. 52: La verginella, che dal ciel condotta (sbarrato per trasmissione d’inchiostro dalla pagina a fronte) p. 53: E dove o Temi per l’aere vano (sbarrato) p. 54: Oh beato colui, che può innocente (sbarrato) p. 55: Signor, tra i fasti onde più sorge altera (sbarrato) p. 56: Mirate come scioglie e come affrena (sbarrato) p. 57: Se i lacci poi del tuo bel genio indegni (sbarrato) p. 58: Quanto t’invidio bello uccellino (sbarrato) p. 59: Quel, che la lebbra de’ peccati nostri (sbarrato) p. 60: Viva, o Signor, viva in eterno, viva (sbarrato) p. 61: Vedete, oh dio! vedete. Ecco la Morte (sbarrato) p. 62: O Povertà, che dal natio soggiorno p. 63: Milan rammenta ancor quel lieto giorno (sbarrato) p. 64: O Pan capripede, che tutto puoi p. 65: Endecasillabi, voi non diletti p. 66: Io son nato in Parnaso; e l’alme Suore (sbarrato) p. 67: Colei, Damon, colei, che più d’un angue p. 68: Nè d’erba nè di rio vaghezza prende p. 69: O Sonno placido, che con liev’orme p. 70: Filli, qualor con un bel nastro appeso (sbarrato) p. 71: Sciogli, Fillide, il crine, e meco t’ungi p. 72: Da questo cerchio, che sul lito io segno p. 73: Oimè che turbine rivoltoso p. 74: Quando il Nume improvviso al suol Latino (sbarrato) p. 75: Crispin non avea pan tre giorni è oggi
44 nota al testo - p. 76: Vate non trovasi che più bei versi - p. 77: Nel maschio umor più puro un verme sta (sbarrato) - pp. 78-79: Chiunque dice, che impossibil sia (sbarrato) - p. 80: Son le Furie d’Averno, a quel ch’io sento - p. 81: Muse pitocche, andatene al bordello (sbarrato) - p. 82: Molti somari ho scritto in una lista (sbarrato) - pp. 83-84: O monachine mie, questa fanciulla - p. 85: Il Pomo, che a le nozze di Pelèo (sbarrato) - p. 86: Da un tal, che pare una mummia d’Egitto (sbarrato) - pp. 87- 89: Offeso un giorno Amore - pp. 90-91: Qual prodigio fia mai? Quale inusato - p. 92: Spettatori gentili - pp. 93-94: Illustri Spettatori, ecco più ardite - pp. 95-99: Sorgi novella aurora, e il crin componi - pp. 100-101: Signor, poi che degnasti a i versi miei - pp. 102-107: Fogliazzi, amor di Temi, e delle Muse - pp. 108-110: Pingimi, o Musa, or che prescritto è il Fuoco (sbarrato) - pp. 111-117: Or ecco il Carnesciale; e in qual de l’anno (sbarrato) - pp. 118-120: Apollo passeggiò - pp. 121- 125: Lascia gracchiare a questi baciapile - pp. 126-132: O Sfregia, o Sfregia mio - pp. 133-138: Un dì costor, che per non esser sciocchi (sbarrato) - pp. 139-147: Io men gìa tutto sol, pensoso, e stanco - pp. 148-162: Io non so qual città dell’Indie un tempo (alcuni versi sono cancellati da tratti a penna e corretti) - pp. 163-170: Indice - pp. 171-183: Frammenti - pp. 171-173: Morbo crudele avea rapito a Filli - pp. 174-175: Te dal numero ancor de fidi amici - pp. 176-177: Diece lustri omai compiuto - pp. 178-179: Il Gatto andò alla casa del villano - p. 180: Alla Contessa Silvia Verza Curtoni Veronese. Silvia immortal, benchè da i lidi miei - p. 181: Per Improvvisatrice. Poi che tu riedi a vagheggiar dall’etra - p. 182: Per Nozze. Fingi un’ara o Pittor. Viva e festosa
nota al testo 45 - p. 183: Mandando un Esemplare de’ proprj versi ad una Dama. Rapì de’ versi miei picciol Libretto Fogli Gambarelli Questi manoscritti su fogli sciolti di formati diversi appartengono alla Biblioteca Ambrosiana; collocazione S. P. 6/2 iii, 8. Su un foglio aggiunto a quello che li racchiude sono chiamati “fogli volanti Gambarelli”. Sono numerati da p. 1 a p. 202 a matita negli angoli esterni in alto. Fino a p. 198 raccolgono componimenti; da p. 199 a p. 202 l’indice. Ogni carta reca il timbro rotondo della biblioteca. Sono bianche le seguenti pagine: 14, 18, 61, 62, 77 (reca la scritta a matita: In morte di Domenico Balestrieri), 150, 162. I fogli manoscritti comprendono i seguenti componimenti, indicati normalmente con gli incipit e, ove presenti, anche con i titoli:1 - p. 1: Vate non trovasi che più bei versi - p. 1: Che pietoso spettacolo a vedersi - p. 2: Endecasillabi, voi non diletti - p. 2: Volgi un momento sol volgi un momento - p. 3: Vedete, o Dio! vedete. Ecco la Morte - p. 4: Lungo il Sagrin mentre i Pastor le gote - p. 5: L’arbor son io, Signor, che tu ponesti - p. 5: Quel, che la lebbra de’ peccati nostri - p. 6: Precorre Imene, e rende luminosa - p. 6: O tardi alzata dal tuo novo letto - p. 7: La verginella, che dal ciel condotta - p. 7: Viva o Signor viva in eterno viva - p. 8: E dove o Temi per l’aereo vano - p. 8: Signor, tra i fasti onde più sorge altera - p. 9: Prologo. / Spettatori gentili - p. 10: Prologo alla rappresentazione dell’Achille in Sciro. / Illustri Spettatori, ecco più ardite 1 Si indicano in grassetto le liriche appartenenti al Ripano.
46 nota al testo - pp. 11-12: Signor, poi che degnasti a i versi miei - p. 13: Al brillar de’ vostri rai - pp. 15-17: Offeso un giorno Amore - pp. 19-22: 1786. La Tempesta - pp. 23-24: Alla marchesa Paola Castiglioni. 1790. Questi che il fiero Allobrogo (a matita è indicato il titolo Il dono) - pp. 25-27: Ode. / È pur dolce in su i begli anni - p. 28: 1769. La bella Primavera - pp. 29-30: Piramo e Tisbe. / Ahi qual fiero spettacolo - pp. 31-32: Alceste. Ne’ più remoti secoli - p. 33-39: Il Trionfo della Spilorcería. / Io men gía tutto sol pensoso - p. 40: 1780. In morte di Dom.co Balestrieri. / Vanne, o morte crudel, vanne pur lieta - p. 40: Sta flutta milanesa on gran pezz fà - pp. 41-42: 1773. Cantata, per la Festa del Principe Chigi. / Qual prodigio fia mai? Quale inusato - p. 43: Che spettacol gentil, che vago oggetto - p. 43: Più non invidio chi vedralla ignuda? - p. 44: 1752 Vanne, o vergin felice, entro il romito - p. 44: Mancavan forse a te, Vergin prudente - p. 45: La penitenza del mio fallo grave - p. 45: La fetida del cor negra palude - p. 46: 1759 Allor che il cavo albergo è in sè ristretto - p. 46: Fior delle vergini, non pur che sono - p. 47: O bella Venere, per cui s’accende - p. 47: Nice la brutta al vago Elpin porgea - p. 48: Quell’io che già con lungo amaro carme - p. 48: Ah colui non amò; colui che avversi - p. 49: Da un tal, che pare una mummia d’Egitto - p. 50: Qual fu? qual fu la scellerata mano - p. 50: Gira l’alta donzella, e in mille nodi - p. 51: Quando costei su la volubil scena - p. 51: Garzon bellissimo a cui con gli anni - p. 52: 1787 Grato scarpel su questa pietra incidi - p. 52: Sì, fuggi pur le glebe, e il vomer duro - p. 53: 1777 No, non si pianga un uom d’ingegno eletto
-
nota al testo 47 p. 54: Perchè sono un fanciullo, un garzoncello pp. 55-60: La Maschera. / Lascia gracchiare a questi baciapile pp. 63-65: Apollo passeggiò p. 66: Chiunque dice, che impossibil sia p. 67: 1786. Un Prete brutto vecchio puzzolente p. 68: Nel maschio umor più puro un verme sta pp. 69-75: Canzone. / O Sfregia, o Sfregia mio p. 76: Ho letto più volte, e considerato le vostre Rime (estratto da una lettera di Giorgio Gradenigo al Mag. M. Pietro Gradenigo) p. 78: Ode. / Te dal numero ancor de’ fidi amici pp. 79-83: Sopra la Guerra. / Fogliazzi, amor di Temi, e delle Muse pp. 84-86: L’Auto da Fe. / Pingimi, o Musa, or che prescritto è il Fuoco pp. 87-89: Brindesi. / 1778 / Volano i giorni rapidi p. 90: Viva in bando ogni tormento p. 90: All’improvviso. / Signor, poco dappoi pp. 91-98: Il Teatro. / Satira. / Or ecco il Carnesciale; e in qual de l’anno pp. 99-104: Satira. / Un dì costor, che per non esser sciocchi p. 105: Qual cagion, qual virtù, qual foco innato p. 105: Qual fra quest’erme, inculte, orride rupi p. 106: Ecco, del mondo e meraviglia e gioco p. 107: Ardono, il credi, al tuo divino aspetto p. 108: 1769. / Quando il Nume improvviso al suol Latino p. 108: 1774. / L’Arbor fatale, che di rami annosi (sbarrato) p. 109: 1785. / Allor che in terra ebbe soggiorno Astrea p. 110: 1789. / Alto germe d’eroi, cui diè natura p. 111: 1783. / Bella gloria d’Italia alma Sirena p. 112: 1784. / Scorre Cesare il mondo, e tutto ei splende p. 112: Teseo Osiri Giason Bacco ed Alcide p. 113: Tanto già di coturni, altero ingegno p. 114: Il Pomo che a le nozze di Pelèo p. 115: 1782. / Giunto a Cesare innanzi, umil deponi (il sonetto è sbarrato con segni a penna ed è preceduto dalla scritta “non è dell’Ab. Parini”) p. 116: 1767. / O Povertà, che dal natio soggiorno
48 nota al testo - p. 116: Milan rammenta ancor quel lieto giorno - pp. 117-120: Nel dì di San Bernardino da Siena. / Sorgi novella Aurora, e il crin componi - p. 121: Crispin non avea pan tre giorni è oggi - p. 121: Ecco la reggia, ecco de’ prischi Incassi - p. 122: Scendi propizia dall’ardente sfera - p. 122: Quanto t’invidio bello uccellino - p. 123: Oh beato colui, che può innocente - p. 123: O Pan capripede, che tutto puoi - p. 124: Mirate come scioglie e come affrena - p. 124: Se i lacci poi del tuo bel genio indegni - pp. 125-127: Idillio. (frammento) Morbo crudele avea rapito a Filli - p. 128: prosa in spagnolo, preceduta da una nota spese - p. 129: Mentre fra le pompose urne e i trofei - p. 129: Occhio indiscreto che a cercar ti stanchi - p. 130: Occhio indiscreto, or taci, e più non angi - p. 130: O Morte, o bella Morte, o cara Morte - p. 131: 1787. / Dove o pura colomba affretti il volo - p. 131: Stolta è costei, che in solitarie mura - p. 132: 1788. / Non a voi sorde mura esposte al danno - p. 132: Quanti celibi e quanti al mar consegna - pp. 133-134: Diece lustri omai compiuto - pp. 135-136: Il Gatto andò alla casa del villano - pp. 137-142: Ode. / Venerabile Impostura - pp. 143-148: Ode. / O beato terreno, / del vago Eupili mio - pp. 148-149: Ode. / Perchè turbarmi l’anima - pp. 151-154: Ode. / Aborro in su la scena - pp. 155-161: Ode. / Torna a fiorir la rosa - pp. 163-166: Ode. / 1787 / Invano invan la chioma - p. 167: Questa che or vedi, Elpin, crinita stella - p. 167: Impavidi il novello astro vedrete - p. 168: 1759. / Face orribil, se è ver che in ciel ti accendi - p. 168: Virtù donasti al Sol, che a sè i pianeti - p. 169: Filli, questo splendor, che con tant’arte - p. 169: Carca di merci preziose e rare - p. 170: Manzon, s’io vedrò mai l’aspro flagello
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nota al testo 49 p. 170: Rondinella garruletta p. 171: O Sonno placido, che con liev’orme p. 172: Oimè che turbine rivoltuoso p. 173: Io con nato in Parnaso, e l’alme suore p. 174: Filli, qualor con un bel nastro appeso p. 175: Colei, Damon, colei che più d’un angue p. 176: Nè d’erba nè di rio vaghezza prende p. 177: Sciogli, Fillide, il crine, e meco t’ungi p. 178: Da questo cerchio, che sul lito io segno pp. 179-193: La Ciarlataneria. / Cicalata. / Io non so qual città dell’Indie un tempo p. 193: Stava a l’ombra gentil di un gran cotale p 194: Son le furie d’Averno, a quel ch’io sento p. 195: O monachine mie, questa fanciulla p. 196: Muse pitocche, andatene al bordello p. 197: Molti somari ho scritto in una lista p. 198: Ahi quante, ahi quante di pietade ignudi p. 198: In man d’esecutori e di notai pp. 199-202: Elenco dei componimenti senza indicazione di pagina
Manoscritto Ambrosiano Questo manoscritto appartiene alla Biblioteca Ambrosiana; collocazione: S. P. 6/2 iii, 2. È composto da due fascicoli rilegati insieme; in tutto comprende 48 pagine (24 carte). La numerazione è indicata a matita negli angoli esterni in alto. La copertina è in cartone. Sul piatto anteriore all’esterno si legge la scritta “Uscita Cassa”; vi sono incise le lettere che compongono “Filatoria”. Vi sono anche tracciati a penna dei disegni geometrici e altre lettere. Vi sono indicati a matita il n. 64 e, in matita blu, la segnatura iii, 2. Sulla parte interna vi sono piccole scritte a penna. Il fascicolo misura 17,8 × 22,7 cm. Le pagine sono a righe, tracciate a penna, distanziate fra loro di 0,8 cm. Il margine superiore misura 1,8 cm (circa, perché tagliato in modo ineguale), quello inferiore 2 cm.
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nota al testo In filigrana si intravede la lettera P. Timbri rotondi della biblioteca sono presenti su ogni facciata destra nell’angolo in basso a destra, sulla copertina e sull’interno del piatto posteriore. Le pagine sono numerate a matita nell’angolo superiore esterno. A p. 1 il frontespizio è scritto a mano: Alcune|Poesie|di|Ripano|Eupilino|Stampate colla data di| Londra )( CI I CCLII.|[linea di asterischi]|presso Giacomo Tomson. A p. 2 sul retro del frontespizio vi sono i componimenti, numerati da 1 a 4: O sonno placido che con liev’orme, Oimè che turbine rivoltuoso, Io di Lidia il gran Re non mi rammento, Rondinella garruletta. Da p. 3 a p. 33 vi sono le Poesie Piacevoli, numerate da 1 a 33. Da p. 34 a p. 48 vi sono i Capitoli numerati da 1 a 3. Si dà notizia inoltre del manoscritto, posseduto dalla Biblioteca Ambrosiana (collocazione S. P. 6/2 iii, 5), così descritto: “Copie di sonetti e di qualche altra poesia di Parini, fatte di mano del Marchese Gian Giacomo Trivulzio, di Giovanni Perego, e di altri”. Non viene considerato nella presente edizione perché seriore e deteriore; comprende fogli numerati da 1 a 246, in parte raccolti in fascicoli, in parte sciolti. Nel fascicolo “g”, numerato da p. 95 da p. 114, si trovano i seguenti componimenti del Ripano Eupilino: - p. 103: Stava a l’ombra gentil di un gran Cotale - p. 104: In man d’Essecutori e di Notaj - p. 105: Ahi quante, ahi quante di pietade ignudi - p. 108: Carca di merci preziose e rare - p. 109: Filli, questo splendor, che con tant’arte - p. 111: Manzon, s’io vedrò mai l’aspro flagello Sigle S indica i testi a stampa. S1 indica il testo a stampa con le correzioni autografe di Parini (Biblioteca Ambrosiana S. P. 6/1 i,1) RA indica il Volume Rime degli Arcadi, xiii, Roma, Giunchi, 1780.
nota al testo 51 G indica il Manoscritto Gambarelli (Biblioteca Ambrosiana S. P. 6/2 iii,4) F indica i Fogli Gambarelli (Biblioteca Ambrosiana S. P. 6/2 iii,8) X indica il Manoscritto Ambrosiano (Biblioteca Ambrosiana S. P. 6/2 iii,2) Il testo della presente edizione è esemplato, come base di riferimento, su S1, cioè sull’esemplare considerato al n. 3, recante le correzioni autografe di Parini. I criteri seguiti sono strettamente conservativi: si è riprodotto il testo includendovi sia le correzioni autografe di Parini, sia le correzioni indicate nell’errata corrige (tranne la correzione di “In belico” con “In bilico”, perché lezione originaria: xc, 45). Si sono resi tuttavia necessari alcuni interventi dovuti a refusi tipografici. Essi sono: - ix, 10: eliminazione del punto per via del significato - xxi, 1: “I’” al posto del refuso “I” - xxvi, 6: integrazione della punteggiatura finale al verso sostituito da Parini - xxx, 12: “sozze” al posto di “sozza” per concordanza con il sostantivo - xxxvi, 14: la virgola finale è sostituita dal punto - xxxviii, 5: “I’” al posto del refuso “I” - xxxix, 4: eliminazione del punto alla fine del verso per via del significato - lix, 19: “adagio” per un refuso tipografico era stampato “a dagio” - lxiv, 11: il refuso “saren” (presente in X) è interpretato “sarem” - lxv, 14: la virgola finale è stata sostituita dal punto (presente in X) - lxvii, 23: il punto indicato in S1 è stato sostituito dalla virgola, presente in X, per via del significato - lxxix, 14: “alla ’ingiùe” (presente anche in X) viene corretto con “all’ingiùe” - lxxxviii, 9: integrazione del punto finale (mancante in S1 e in X) - lxxxviii, 90: “Tra se” è sostituito da “Tra te”
52 nota al testo - lxxxviii, 111: “dentro” è corretto con “drento” (presente anche in X) per la rima - xc, 24: si sostituisce il punto con una virgola - xc, 53: “le camicia” viene corretto con “la camicia” (come in X) - xc, 113: integrazione del punto finale - xcii, 19: “si” viene corretto con “sì” - xcii, 25: “diranno il pescator” viene sostituito da “diranno i pescator” - xcii, 26: “i misero” viene sostituito da “il misero” - xcii, 83: sostituzione del punto con una virgola - xciii, 48: sostituzione del punto con una virgola - xciii, 63: “La reti” di S1 è interpretato “Le reti” - xciv, 45: sostituzione della virgola finale con il punto - I “perche” e “finche” non accentati vengono accentati come gli altri “perchè” e “finchè”; sono inoltre conservati gli accenti gravi di S1 - Si è trascritta come “È” la “E’” con valore verbale - Nel componimento xciv i nomi dei personaggi sono indicati per esteso, anziché abbreviati Per il componimento lxxxix, 116 Mazzoni corregge “freno” con “segno”; la presente edizione conserva “freno”, perché non appare provato che sia un errore, anche se la suggestiva correzione di Mazzoni avrebbe il merito di salvare senso e rima.1 Nel testo a stampa originale, la seconda lettera della parola iniziale di ogni componimento è maiuscola; nella presente edizione tali lettere sono minuscole. Costituiscono una particolarità i seguenti componimenti: - xli, 1: O Sonno placido, che con liev’orme: per analogia con altri componimenti “Sonno” viene lasciato maiuscolo (come in F e in G, mentre in X e RA è minuscolo) - lxv, 1: O Anima bizzarra del Burchiello: per analogia con altri componimenti “Anima” è considerata maiuscola (in X è minuscola) 1 Giuseppe Parini, Tutte le opere edite ed inedite, cit., p. 333.
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Invece: - lxxxiii, 1: O Monachine mie questa fanciulla: si interpreta “monachine” (come in F e G, mentre in X è maiuscolo) - lxxxviii, 1: O Poffare! Ser Cecco, i’ son rimasto: si interpreta “poffare” (in X è maiuscolo) Nel testo a stampa pariniano le composizioni non sono numerate; nella presente edizione si è ritenuto utile numerarle seguendo l’ordine in cui sono poste tenendo anche conto della carta xx.ii-xx.iii inserita in S1. Storia editoriale Dopo l’edizione del 1752, ad eccezione delle liriche scelte per la raccolta Rime degli Arcadi (1780), finché visse l’autore il testo non fu più ristampato. Un’ampia scelta di componimenti del Ripano apparve in Giuseppe Parini, Opere, pubblicate ed illustrate da Francesco Reina, 6 voll., Milano, Stamperia e Fonderia del Genio Tipografico, 1801-18041 Reina scorporò la raccolta, suddividendo le liriche in volumi differenti: Volume ii nella sezione Poesie liriche. Sonetti: - p. 3: O Sonno placido che con liev’orme (con il titolo “Al Sonno”) Volume iii: Nella sezione “Poesie piacevoli” (pp. 1-194): - p. 53: ii – Oimè che turbine rivoltuoso - pp. 64-65: xii – Son le Furie d’Averno, a quel ch’io sento - pp. 66-67: xii – O monachine mie, questa fanciulla - pp. 75: xvii – In man d’essecutori, e di notai - pp. 76: xviii – Stava a l’ombra gentil di un gran cotale 1 Su questa edizione delle opere pariniane si veda lo studio: William Spaggiari, L’edizione Reina, in Interpretazioni e letture del Giorno, Gargnano del Garda (2-4 ottobre 1997), a cura di Gennaro Barbarisi, Edoardo Esposito, Milano, Cisalpino, 1998, pp. 117-160.
54 nota al testo - p. 77: xix – Colui che fece di grembiul grembiale - p. 78: xx – Su, signor correttore, in sul nasaccio - p. 79: xxi – Portate in una madia la civaja - pp. 80-81: xxii – Per che sono un fanciullo un garzoncello - pp. 82-83: xxiii – Che si scortica l’asino a la prova - p. 84: xxiv – Nencia, ti mando questo mio sonetto - p. 85: xxv – Nencia, te l’ho pur detto cento volte - p. 86: xxvi – Io, Nencia, sono stat’ieri a Fiorenza - p. 87: xxvii – Ah, Tofan, quella Gora, quella Gora - p. 88: xxviii – O Anima bizzarra del Burchiello - p. 89: xxix – Se costui fosse nato allor che i Vati - pp. 90-91: xxx – Ho visto i Geroglifici d’Egitto - p. 92: xxxi – Ti sono schiavo, ti son servitore - p. 93: xxxii – Ch’io possa diventare una ghiandaia - pp. 94-95: xxxiii – Voi avete a saper, buone persone - p. 96: xxxiv – Masin cotesto tuo calonacaccio - p. 97: xxxv – Da un tal che pare una mummia d’Egitto - p. 98: xxxvi – O Fortuna, Fortuna crudelaccia - p. 99: xxxvii – Molti somari ho scritto in una lista - pp. 100-101: xxxviii – M’ha invitato a ballar jeri ser Nanni - p. 102: xxxix – Nanni s’ha messo un mantellaccio in dosso - p. 103: xl – Nanni mi sbircia prima, e quindi arrappa - p. 104: xli – Se scorto pria t’avessi, o d’una gogna - p. 105: xlii – Signori cari, fate di star sani - p. 106: xliii – Ser Cecco mio voi siete spiritato - p. 107: xliv – Voi me ne avete fatti tanti e tanti - p. 108: xlv – Andate a la malora, andate, andate - pp. 109-110: xlvi – Muse pitocche, andatene al bordello - p. 111: xlvii – Sì vivi pur così, puttana vecchia Capitoli: - pp. 114-119: i – O poffare! Ser Cecco, i’ son rimasto - pp. 120-126: ii – Signor Curato, mi son pure accorto - pp. 127-132: iii – Manzon, s’i’ te l’ho detto, tu lo sai (col titolo “Al medico Manzoni”) Pistola: - pp. 143-146: Oh oh vedete s’i’ son pronto a scrivere
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Saggi di traduzioni libere: - p. 184: i – Deposta un giorno l’orrida facella - p. 185: ii – Rondinella garruletta - p. 186: iii – S’io mi credessi che con or la Morte - p. 187: iv – Se di Bacco il liquor nel mio cervello - p. 188: v – Io di Lidia il gran Re non mi rammento - p. 189: vi – Per molte genti, e molti mar condotto - p. 190: vii – O del vetro più chiaro ameno fonte Nella sezione “Poesie pastorali, campestri, pescatorie ed epigrammi”: Sonetti: - p. 197: i – Ecco Bromio, Pastori, ecco Lieo - p. 198: ii – Questo biondo covon di bica or tolto - p. 199: iii – Poi che ciascun vendemmiator si sente - p. 200: iv – Ahi quante, ahi quante di pietate ignudi - p. 201: v – Sì vaga pianta, e sì gentile avea - p. 202: vi – Quella pianta gentil ch’avea battuta - p. 203: vii – Da questo cerchio che sul lito io segno - p. 204: viii – Tirsi, non tel diss’io ch’all’aere fosco - p. 205: ix – Sciogli, Fillide, il crin, e meco t’ungi - p. 206: x – Già s’odon per lo cielo alti rimbombi - p. 207: xi – Accendi il foco, Elpin, mentr’io mi bendo - p. 208: xii – Colei, Damon, colei che più d’un angue - p. 209: xiii – Nè d’erba nè di rio vaghezza prende - p. 216: xx – Lungo ’l Sagrin mentre i pastor le gote Egloga pescatoria: - pp. 222-228: i – Licone: Dunque, Ninfa crudel, dunque a’ miei versi - pp. 229-233: ii – Sebeto: Or che già la stagion fiorita e bella - pp. 234-240: iii – Nilalga, Alceo, Telgone: O sciocco pescatore, e che stoltezza - p. 241: Sonetto i: Carca di merci preziose e rare - p. 242: Sonetto ii: I’ muojo al fine, al fine, o cruda Eumolpi
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nota al testo Edizioni critiche
Giuseppe Parini, Alcune poesie di Ripano Eupilino, in Idem, Tutte le opere edite ed inedite, raccolte da Guido Mazzoni, Firenze, Barbèra, 1925. Giuseppe Parini, Poesie, 2 voll., a cura di Egidio Bellorini, Bari, Laterza, 1929. Giuseppe Parini, Alcune poesie di Ripano Eupilino, in Edoardo Spoglianti, Parini giovanile, Faenza, Stab. Grafico Fratelli Lega, 1943. Giuseppe Parini, Alcune poesie di Ripano Eupilino, seguite dalle scelte d’autore per le Rime degli Arcadi e le Rime varie. Con il saggio di Giosue Carducci Il Parini principiante, Edizione critica a cura di Dante Isella, Parma, Fondazione Pietro BemboGuanda, 2006.
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Esemplare S. P. 6/1 i,1, frontespizio.
A’ L EGGITOR I
I
o parrò forse troppo arrischiato mandando al Pubblico questa piccola parte delle mie Rime in tempo, che, essendo ogni maniera di letteratura al suo colmo venuta, ogni leggier macchia, che in un libro si trovi, vien da giudiziosi Uomini conosciuta, e ripresa. Ma chiunque vorrà por mente al fine, ch’io mi son proposto, e alla cautela da me usata pubblicandole, credo che non potrà di soverchia arditezza, o temerità ragionevolmente accusarmi. Perciocche nè sciocca pompa di comparir tra’ saggi, nè vano disio di lode nè verun altro mio consimil pensiere mi ha confortato a dar fuori questo picciol libretto; ma puramente una cotal mia vaghezza, di saper dal Pubblico, siccome io penso, giusto e sincero estimator dell’Opere altrui, quale io sia per riuscir nel Poetico mestiere, mi ha stimolato a far ciò. Perocchè leggendo gli amatori degli ameni studj queste Poesie, e ora per l’un capo biasimandole cortesemente, e ora per l’altro graziosamente commendandole, e le lodi o i biasimi loro pervenendomi all’orecchio, io potrò, ove gli uni all’altre sopravanzino, lo incominciato cammin tralasciare, e dare alle Muse un eterno addio, e ove al contrario questi sieno soperchiati da quelle, animarmi a salir con più vigore il sacro giogo, e procacciarmi qualche fronda di lauro in Parnaso. Per tal motivo io ho voluto scerre da’ miei poetici lavori varj di vario argomento, e di varie spezie, acciocchè, veggendoli il Pubblico, mi sappia poi dire a qual maniera di comporre io debba appigliarmi, e quale intralasciare. Voi ci troverete adunque nel presente volumetto, componimenti e Sacri e Morali e Amorosi e Pastorali e Pescatorj e Piacevoli e Satirici e di molte altre guise, i quali ove di poco valor fossero, colla loro varietà almeno sarannovi di noja minore. La qual noja medesima io mi sono studiato a mio poter di tor via, con lo scerre sì poco numero di componimenti, non volendo colla mol-
S S1 scerre: scegliere; si rinviene anche nel Giorno: «E d’etere più puro abitatrici / Non fallibili scêrre il vero e il bello» (Il Mattino 740-741).
60 giuseppe parini titudine de’ miei pessimi versi il secolo nostro incomodare. Senzachè io non sento poi così bassamente di me medesimo, che non confidi, poterci essere in questo libro parecchj lavori che qual colla limatezza, alcuno colla novità, tale coll’evidenza, e tal altro col particolare, e nuovo suo gusto, in vece di noja, diletto vi porgeranno. Il che quantunque sia per negarmisi da certi matti abbajatori, che o per astio, o peraltra cotal loro passione vorranno, che io non ci abbia nulla di buono, spero che voi onesti, e discreti Lettori confesserete, esser vero, siccome alla prova potete conoscer leggendo. Al quale effetto io, senza più aggiugner, vi lascio. State sani. limatezza: «Perfezione minuziosa; raffinatezza di stile; accuratezza di esecuzione» (GDLI ix.74).
alcune poesie di ripano eupilino
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I
Voi, che sparsi ascoltate in rozzi accenti I pregi eccelsi della Donna mia, Non istupite, se tra questi fia Cosa, ch’avanzi ’l creder delle genti: Poichè sebbene per laudarla i’ tenti Le penne alzar per ogni alpestre via, Quel, che meglio però dir si devria, Riman coperto alle terrene menti. Nè sia chi dall’esterno mio dolore, Onde in pianti mi struggo a poco a poco, Misuri la pietà dentro al suo core: Perchè quantunque in ogni tempo, e loco, Far mostra i’ soglia del mio grande ardore, Assai maggior, ch’i’ non dispiego, è ’l foco.
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S S1 I . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. La raccolta inizia con un esplicito riferimento al primo sonetto dei Rerum vulgarium fragmenta di Francesco Petrarca: «Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono» (RVF i.1). Parini invita i lettori a non stupirsi delle eccellenti virtù della donna che ama, anche se superano ogni aspettativa e «’l creder delle genti» (v. 4); questa espressione è un altro richiamo a Petrarca: «manifesto accorger de le genti» (RVF xxxv.6) come pure la triade in rima «poco» «loco» «foco», ripresa nel iv sonetto. 3 fia: sarà. 5-6: sebbene per lodarla io tenti in ogni modo di rendere elevato il mio stile. 7 dir si devria: si dovrebbe dire. 13 Far mostra i’ soglia: sia solito mostrare. 14: il mio amore (foco) è molto maggiore di quanto io mostri.
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giuseppe parini
II
Candido in Cielo, e di be’ raggi adorno Splendeva il Sole oltre l’usato stile, E vestivas’ il colle, e ’l prato umìle D’ogni fior più leggiadro intorno intorno: Qual su’ rami d’un faggio, e qual d’un orno, Ogni augel più canoro, e più gentile S’udia cantar, sicchè ’l più oscuro, e vile Facea col canto a Filomena scorno: Per le frondi degli alberi battea Zefiro l’ali, e ogni ruscel più mondo Saltellando tra’ sassi al mar correa; E con più dolce volto, e più giocondo Ridea Cupido, e l’amorosa Dea Il dì, che nacque la mia Donna al Mondo.
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S S1 II . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Immagini liete in crescendo accompa-
gnano la nascita della donna amata dal poeta. 2 l’usato stile: cfr. Petrarca: «l’usato stile» (RVF ccxxix.9). 4 intorno intorno: tutt’intorno (Petrarca, RVF cxix.105: il raddoppiamento dell’avverbio ha valore di superlativo). 5 orno: pianta arborea delle Oleacee. 7-8: sicchè ’l più oscuro, e vile / Facea col canto a Filomena scorno: al punto che persino il più sconosciuto e meno nobile degli uccelli superava nel canto l’usignolo (Filomena). 9-10 Per le frondi degli alberi battea / Zefiro l’ali: il vento di primavera Zefiro agitava le fronde degli alberi. 13 Ridea Cupido, e l’amorosa Dea: sorridevano Cupido e Venere. 14: cfr. Petrarca: «Il dì che costei nacque» (RVF cccxxv.61).
alcune poesie di ripano eupilino
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III
Il dì, che nacque la mia Donna al Mondo Dal lavoro immortal stupida sorse La Madre delle cose, e ’l guardo torse A mirar lo spettacolo giocondo. Indi volgendo il grave ciglio a tondo, Fisò le luci nell’età trascorse: Di poi sorpresa, e di se stessa in forse, Fin del suo centro le calò nel fondo. Poi disse: e qual sì nobile fattura Dell’antiche bellezze, e delle nove Gl’illustri pregi alteramente oscura? E di qual parte sì gran Donna move, Che coll’alta beltà vince Natura? Se nel Ciel non è fatta, i’ non so dove.
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S S1 III . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Il primo verso è uguale all’ultimo del sonetto precedente; si crea così un efficace collegamento che continua nelle liriche amorose successive con riprese di termini e rime. Anche qui un’atmosfera di gioia che si trasforma in rarefatto stupore: scrive infatti il poeta che, nel giorno in cui nacque la sua donna, persino la Natura si fermò e volse lo sguardo per ammirare tale lieto spettacolo. 2 stupida: stupita. 3 La Madre delle cose: la Natura. 5: rivolgendo all’intorno il suo sguardo pensoso (grave). 6 Fisò le luci: fissò gli occhi. 8 Fin del suo centro le calò nel fondo: rivolse il suo sguardo nelle profondità del creato. 9-11: quale creatura così nobile riesce ad oscurare superbamente le qualità delle bellezze antiche e nuove? 14: cfr. Petrarca: «L’opra fu ben di quelle che nel cielo / Si ponno imaginar, non qui tra noi» (RVF lxxvii.9-10).
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giuseppe parini
IV
Donna, se tu scorgessi il grande ardore, Che nel mio sen per tua beltà s’apprese, Ben diresti, che tal mai non accese In cor gentil d’innamorato Amore. Quì star vedresti quel divin Signore Temperando gli strali, ond’ei m’offese, Ed a’ colpi di lui senza difese Servir d’incude il mio medesmo core; E vedresti siccome mi divora Dolcemente del petto in ogni loco La bella fiamma, che vi cresce ognora; E tutti i miei pensieri a poco a poco, Come fanciulli timidetti ancora, Scaldars’intorno a sì leggiadro foco.
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S S1 IV . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. L’apparato di rime si connette al primo sonetto non solo per la terna «loco» «poco» «foco», ma anche per la ripresa di «ardore» e «core». Ricorrono immagini tipiche della lirica d’amore, in particolare di quella duecentesca. Il «cor gentil» dove un grande fuoco «s’apprese» è un esplicito riferimento al tema stilnovista dell’inscindibilità di amore e cuore cortese, espresso nella canzone di Guido Guinizzelli Al cor gentil rimpaira sempre amore. Tradizionale è anche l’immagine dell’innamoramento come una fiamma; nella stessa canzone di Guinizzelli si trova: «Foco d’amore in gentil cor s’aprende» (v. 11). 2: s’apprese: si attaccò, si propagò. Cfr. il dantesco «Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende» (Inf v.100). 5: quel divin Signore: Amore. 6: forgiando le frecce con cui mi ferì. 8: il mio stesso cuore è stato l’incudine su cui Amore ha temprato i suoi dardi.
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V
O pellegrin, che non vedesti mai La Donna mia, deh su vieni a vedella; Ch’io ti giuro, che mai altra più bella Nel tuo lungo girar vista non hai. D’esser uomo non più ti penserai Poichè sii giunto alla presenza d’ella: Tanto al su’ aspetto, e tanto a la favella Dolce in seno piacer ti sentirai. Vien, che nulla varrammi aver parlato, Quando tu nel bel guardo, e nel bel riso Mille cose più grandi avrai mirato. Vieni; e in partir da quel benigno viso, Se mai cercati alcun dove se’ stato, Tu rispondigli tosto: In Paradiso.
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S S1 V . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. L’autore invita un «pellegrin» a contem-
plare la sua donna; nell’allontanarsi da quel volto meraviglioso, se qualcuno gli domanderà da dove viene, il viandante potrà subito rispondere di essere stato in paradiso. 1 O pellegrin: viandante, forestiero. 13 Se mai cercati alcun: se qualcuno ti chiede.
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VI
Spesso mi torna il dolce tempo a mente, Quando seduto con la Donna mia, Io le narrava dolorosamente La pena del mio core intensa, e ria. Ella bassando gli occhi dolcemente, Il volto d’un rossor dolce copria, E per le labbra a consolarmi intente, A’ dolcissimi accenti il varco apria: E tanta gioja avea nel seno accolta; Ch’all’udir le parole alme, e gioconde, L’Alma sen giva pellegrina, e sciolta. Or nullo, fuorchè i sassi, i tronchi, e l’onde, Il mio sì lungo sospirare ascolta; E a consolarmi, oimè, chi mi risponde?
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S S1 VI . Sonetto: ABAB ABAB CDC DCD. Per il primo verso, è stata ipotizzata (Ettore Bonora, Introduzione, in Giuseppe Parini, Alcune poesie di Ripano Eupilino, a cura di Ettore Bonora, Milano, Mursia, 1991, p. 40) la contaminazione di due incipit petrarcheschi: «Tornami a mente, anzi v’è dentro» (RVF cccxxxvi) e «Nel dolce tempo de la prima etade» (RVF xxiii). Si può ravvisare un richiamo a Petrarca anche negli ultimi versi: per i riferimenti ai sospiri (RVF i.2) e alla natura, unica testimone della sofferenza del poeta (RVF xxxv.1: «Solo et pensoso i più deserti campi»). 1: cfr. Petrarca: «Torna a la mente il loco / E ’l primo dì ch’i’ vidi a l’aura sparsi / I capei d’oro, ond’io sì subito arsi» (RVF cxxvii.82-84). 8 accenti: parole; cfr. Petrarca (RVF v.4: «Il suon de’ primi dolci accenti suoi»). 10 parole alme: parole che danno vita. 11: l’anima se ne andava libera (il poeta era fuori di sé per la gioia).
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VII
Udrammi dunque Amor tristi, e dogliosi Condur sempre in lamenti e giorni, ed anni, Senza volger giammai gli occhi pietosi A mirar le mie pene, ed i miei danni? Dunque in vedere da’ pensier tiranni Girsen tant’altri alfin vittoriosi, Io solo in mezzo a’ disperati affanni Invidiando andrò gli altrui riposi? Ma stolto! a che le volontarie offese I’ vo piangendo, e quegli amati guai, Onde l’Alma non mai volle disciorse? E quante volte la Ragion cortese, Per sottrarmene pur la man mi porse, Io strinsi le catene, e la scacciai?
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S S1 VII . Sonetto: ABAB BABA CDE CED. Il poeta non riesce a liberarsi dalla
tirannia d’Amore. 5-6: Pertanto nel vedere tanti altri uscire infine vittoriosi dalla tirannia d’amore; girsen si rinviene in Dante (Inf xxviii.61: «Poi che l’un piè per girsene sospese»).
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VIII
Dunque, Manzon, scorgesti i vaghi rai, E ’l bel volto, e la man bianca, e gentile, Cui riveder col suo perverso stile A me ’l fiero destin non lascia mai? O te beato se comprender sai, Quanto piacere a null’altro simile Vien dal mirar Donna sì altera, e umìle, Ch’uom può trar fuore da’ più tristi guai! Perchè allora ’l mio cor tu non avesti; Che più nove bellezze in volto a lei Colla scorta d’Amor vedute avresti! Anzi perchè cangiarme i’ non potei Tutto in te stesso; e quel che tu godesti Io medesimo, e più goduto avrei!
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S S1 VIII . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Si rivolge all’abate Francesco Manzoni di Canzo, medico e membro dell’Accademia dei Trasformati dal 1756, per chiedergli se ha potuto vedere il viso e gli occhi di colei che il destino avverso non gli permette di avvicinare. 1: vaghi rai: occhi luminosi (Parini, Il Mattino 371-372: «Già la dama gentil i vaghi rai / Al novo giorno aperse»). 10-11: con la guida di Amore, sul suo volto avresti visto bellezze più particolari.
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IX
E pur ten riedi già, dolce pensiero, Dal vago aspetto del divin mio sole; E ’l volto mi descrivi, e le parole Dolci, e leggiadre, ond’io pur ardo, e spero. Deh pietoso mi dì per qual sentiero Sì breve alla mia Donna ognor tu vole; Ch’anch’io vo’ gir là ’ve quell’alte, e sole Bellezze un giorno prigionier mi fero. Anzi teco verrò; nè del desìo Temi, che penna men veloce, e snella M’abbia punto a tardar dal volo mio; Però che Amor coll’aurea sua facella D’ogni peso terren purgommi; ond’io Quale accesa mi muovo agil fiammella.
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S S1 IX . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. La rima «desìo» «mio» «io» ritorna identica nell’xi. Interlocutore del poeta è il «dolce pensiero», ossia il suo sentimento che può avvicinarsi alla donna amata e, quindi, descriverne il volto e le parole. 1 dolce pensiero: pensiero d’amore. 2 divin mio sole: la donna amata; cfr. Matteo Bandello: «né donna mai più vaga vidi in terra / come risplende il mio celeste sole» (Rime ccxx.5-6). 8 fero: fecero. 9-11: verrò con te; non devi temere per il mio desiderio, che io ritardi il mio volo perché ho ali meno veloci delle tue. 12 facella: «fiaccola ardente con cui Amore incendia i cuori» (GDLI v.560); cfr. Tasso: «Tu che suoli avivar l’aurea facella, / Tu, ministra d’Amor, tu l’estinguesti» (Rime xxxii.13-14), Marino: «Che sol fra tanti un cor piaghe non senta, / che gli sia la tua fiamma in tutto ignota, / soffrir non posso; o le favelle e i dardi / depon’ per tutti, o lei ferisci ed ardi» (Adone iii.35), Parini: «Deposta un giorno l’orrida facella» (Alcune poesie di Ripano Eupilino xxxi.1). 13 purgommi: mi purificò.
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X
Ecco ’l grand’arco in alto, e la saetta Dell’antico Signor, che mi spaventa; E come l’Alma il suo poter ne senta Tutta stammi dubbiosa in sen ristretta. Ahi che ’l crudo Tiranno aspra vendetta Fa dell’essermi sciolto, e mi tormenta! Nè sol di rilegarmi or si contenta; Ma in prigion mi rinchiude anco più stretta: E lontan dal bel cibo, ond’io vivrei, Vuol per somma fierezza, e crudeltate, Ch’io finisca per fame i giorni miei. O te felice te cento fiate, Tirsi che presso alla tua Donna sei, E viver puoi delle sembianze amate!
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S S1 In S1 al v. 11 “mei” è sottolineato due volte e corretto a matita con “miei” secondo l’errata corrige. X . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Il poeta si rivolge a Tirsi, felice perché
può vivere vicino alla sua donna; la scelta del nome di questo personaggio rimanda esplicitamente alla tradizione pastorale (vii Egloga di Virgilio). 2: cfr. Petrarca: «Quel’antico mio dolce, empio signore» (RVF ccclx.1). 4: l’anima del poeta è racchiusa in se stessa, quasi per proteggersi da Amore, del quale teme il potere. 9 lontan dal bel cibo: lontano dalla donna che amo (Luigi Tansillo, Poesie liriche lxxxii.5-8: «L’alma nudrita all’aria del bel volto / Come di tanto ben potea star priva? / Mancando il cibo, ond’ella si nudriva, / Io fui tra pochi dì morto e sepolto»). 12 fiate: volte (Dante, Pd xxxiii.17-18: «molte fïate / liberamente al dimandar precorre»). 13 Tirsi: è lo stesso nome di uno dei personaggi dell’Aminta di Torquato Tasso.
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XI
Quando fia mai quel dì, che tu ti sciolga, I’ dico all’Alma, da un sì basso affetto? O qual viltate, ch’ad amar si volga L’Alma, cosa immortal, mortale obbietto! Ella risponde: allor fia, ch’io disciolga Il bel nodo, ch’è intorno a me ristretto, Quando ’l Signor dell’Universo accolga Niun’ amore in ver me dentro al suo petto: Poichè com’ei con immortal desio Ama me, ch’appo lui son ombra vile, Sì rivolto a un bel corpo è l’amor mio. E s’egli in me vil Creatura umile Ama d’un Dio l’immago, in quello anch’io Amo l’idea d’un’Alma alta, e gentile.
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S S1 XI . Sonetto: ABAB ABAB CDC DCD. Rimprovera alla sua anima di amare un essere mortale, quando essa è «cosa immortal» (Petrarca, RVF ccclxv.1-2: «I’ vo piangendo i miei passati tempi / I quai posi in amar cosa mortale»; cfr. cxliv.8; ccvii.28; cclxiv.99). 5-6 allor fia […] ristretto: avverrà che io sciolga il nodo d’amore (smetterò d’amare). 7-8: quando Dio non proverà nessun amore per me (per l’anima). 10 appo lui: rispetto a lui.
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XII
Qual dolce spiritello entro alle dita Amarilli gentil nascoso avete, Che tanta, ognor ch’al suon voi le movete, Gioja versa ne’ cori alma, e gradita? Certo Amor, e non altri, è che v’incita La mano, in cui tanto piacer chiudete; Ond’ella poi, senza trovar mai quiete, Così lieve passeggia, e sì spedita. Sì certo, è Amor, che in un con voi pur tocca L’Ebano, che col fil d’or si connette; Poichè divino è ’l suon, ch’indi trabocca: E mentre avvien, che l’armonia ci allette, Ei dall’avorio della man ne scocca Le invisibili sue crude saette.
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S S1 XII . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Protagonista del sonetto è Amarilli,
personaggio dal tipico nome di pastorella fin dalle egloghe di Virgilio (i, ii, iii, viii, ix). Il poeta le chiede quale spirito faccia muovere le sue dita in modo così aggraziato sul suo strumento musicale. 8 passeggia: scorre sulle corde. 10 Ebano: metonimia per indicare la cetra: la cassa di risonanza è infatti di tale legno. 13 avorio della man: cfr. Marino: «una man d’avorio bianco» (Adone iii.94).
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XIII
Filli, qualor con un bel nastro appeso Lo strumento gentil dal sen vi pende, E la candida man, ch’or sale, or scende, Il suon tragge dal fil tremulo, e teso, D’esser mi par sovra le stelle asceso, Lo cui girar tant’armonia comprende, O che qui dove il vostro suon ne accende Sia di là qualche spirto a noi disceso. E sì cred’io; poichè non men che ’l suono, Celeste avete anco il sembiante, in cui Quel bel foco riluce, ond’arso i’ sono. Ed oh beato ben saria colui,
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S S1 F p. 174 G p. 70 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a destra. In G è segnato da un frego verticale tracciato a penna. 2 pende,] pende; G 3 ch’or sale,] che or sale F G 4 tremulo,] tremulo F G teso,] teso; F G 6 armonia] armonía F comprende,] comprende; FG 7 qui] quí, F G accende] accende, F G 9 poichè] poichè, F G che ’l suono,] che il suono, F che il suono G 11 riluce,] riluce F G i’] io F G 12 colui,] colui G XIII . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Rappresentazione iperbolica del sentimento che il poeta prova quando l’amata Fillide suona il suo strumento. 1 Filli: Fillide, nome arcadico femminile (cfr. Tasso, Rime cxx). 4 tragge: trae. 5-6: mi sembra di essere arrivato all’altezza delle stelle, nel cui moto rotatorio vi è una sublime armonia. 10 Celeste avete anco il sembiante: anche il vostro aspetto fisico è sublime.
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giuseppe parini Che di vosco finire avesse in dono A sì dolce concento i giorni sui!
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13 vosco: con voi. 14 concento: musica; nella stessa accezione si trova in Giovan Battista Marino: «tutto pria ricercò l’ordin sonoro, / indi con pieno, chiaro, alto concento / scoccò dolce canzon da l’arco d’oro» (Adone vii.230); sui: suoi.
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XIV
Fra gl’impeti d’Amore, e di Fortuna, Or da quella balzato, or da quest’onda, Non ch’io mai giunga ad afferrar la sponda, Pur non veggio un chiaror di speme alcuna. Ma irato maggiormente il Ciel s’imbruna, E la tempesta sovra me più inonda; Sicch’io non trovo parte, ove m’asconda Dal gran furor, che intorno a me s’aduna. S’i’ n’esco mai, di Libertate al tempio Le rotte spoglie vo’ sacrare, e voglio, Ch’elle ad ogni mortal servan d’esempio: E s’alcuno fia poi di tanto orgoglio, Che si fidi ad un mar sì crudo, ed empio, Deh sommergasi, o rompa in uno scoglio.
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S S1 XIV . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Il sonetto è interamente costruito sulla tempesta, metafora delle traversie amorose che affliggono il poeta. 9 S’i’ n’esco mai: se riesco a uscirne. 10 Le rotte spoglie vo’ sacrare: voglio consacrare i resti infranti. 13 fidi: affidi.
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XV
Ecco Bromio, Pastori, ecco Lieo Col tirso in mano, e co’ fanciulli accanto: Udite il suon medesmo, udite il canto, Col qual già in Tebe il grande ingresso ei feo. Ecco Sileno, che di vin s’empieo L’irsuta barba, e ’l setoloso manto, E percotendo va di tanto in tanto L’Asin, che sol di sua vecchiezza è reo. Tirsi quel bel monton, che t’addit’io Presso a quell’elce con un colpo atterra, Indi sacralo allegro al grasso Dio: E tu, Damon, che se’ robusto, afferra Sileno, e l’asinel; se non per Dio Che va ’l Cavallo, e ’l Cavaliere a terra.
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S S1 RA p. 141 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a destra. 2 mano,] mano RA 6 barba,] barba RA 9 Tirsi] Tirsi, RA monton] Monton RA 10 elce] Elce RA 13 Sileno,] Sileno RA asinel; se non per Dio] Asinel pigro e restio: RA 14 Cavallo,] cavallo RA Cavaliere] cavaliere RA XV . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Scena festosa della quale sono protago-
nisti Bacco e il suo inseparabile precettore Sileno, oltre a Tirsi e Damone, i cui nomi di pastori sono tipici della poesia bucolica. Alla fine Sileno ubriaco e l’asino, sua abituale cavalcatura, rischiano di cadere. Si manifesta così il gusto pariniano per le raffigurazioni caricaturali. 1 Bromio […] Lieo: nomi di Bacco. 2 tirso: bastone decorato con edera e pampini di vite. 3-4: nella tradizione mitologica, lo stesso Bacco aveva introdotto le celebrazioni a lui dedicate nella città greca di Tebe, capitale della Beozia. 9 che t’addit’io: che ti indico. 10 elce: quercia. 11 sacralo allegro: valore avverbiale; consacralo allegramente; grasso dio: Bacco. 14 Cavallo: ironicamente per asino.
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XVI
Questo biondo covon di bica, or tolto, Penda innanzi al tu’ altar, Santa Vacuna; Poichè felicemente oggi raccolto Dal Campo abbiam le spighe ad una ad una. Ecco che noi giacciam col sen disciolto Or che s’alza la Notte umida, e bruna: Tu ’l sudore ne tergi, e intorno al volto Colla dolce quiete i sogni aduna. Tai cose i mietitor da le fatiche Del dì tornati, poiché ’l sol cadea, Dicevano sdrajati in su le biche: E in tanto il bue, che ’l dì trainato avea, In disparte pascevasi di spiche, E lo stanco drappel non v’attendea.
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S S1 In S1 sul margine a sinistra del v. 2 vi è l’indicazione a penna di una “d” (con una linea di sottolineatura) perché nella parola “Penda” tale lettera si vede appena. XVI . Sonetto: ABAB ABAB CDC DCD. Scena campestre: i mietitori, stanchi per il lavoro compiuto durante la giornata, si riposano, non senza aver consacrato il frutto delle loro fatiche alla dea Vacuna. L’incipit riecheggia i versi di Tibullo «Flava Ceres, tibi sit nostro de rure corona / spicea, quae templi pendeat ante fores» (i, 1, 15-16). 1 covon di bica, or tolto: il fascio di grano tolto dal cumulo dei covoni. 2 tu’ altar: tuo altare (apocope); Vacuna: divinità degli antichi Sabini, dea del riposo invocata dopo le guerre o alla conclusione dei lavori agricoli. 5 col sen disciolto: discinti (Cesare Caporali, Vita di Mecenate iv.27: «giva disciolto, e scinto tutto»). 14: l’affaticato gruppo di mietitori non vi badava.
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XVII
Poichè ciascun vendemmiator si sente, Mentre toglie alla vite i pondi suoi, Tra gli scherzi, e le risa inni altamente Cantare al Domator de’ liti Eoi, Togli, Graspin, la cesta, ed il tagliente Picciolo ferro adunco, e andiam pur noi Tra le viti colà; ma tieni a mente Di non tanto mangiar, se ber tu vuoi. Vedi come quel tralcio il palo fasci? Quivi con Filli a sgrappolar ti metti, Dove l’uva mi par legata a fasci. Ma non far poi, che sì colei t’alletti Co’ cenni, o col gracchiar, che tu ne lasci Sotto l’avare frasche i grappoletti.
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S S1 XVII . Sonetto: ABAB ABAB CDC DCD. In tono scherzoso è descritta una ven-
demmia: il protagonista Graspin (da “graspo”, cioè grappolo) è invitato a non mangiare troppa uva per non restare senza vino. 2 i pondi suoi: i suoi pesi, cioè i grappoli. La descrizione realistica è nobilitata dal latinismo (pondus, peso). 4 Domator de’ liti Eoi: Bacco che secondo il mito aveva introdotto il suo culto in Oriente. 5 Graspin: nome parlante di un vendemmiatore. 5-6 tagliente / Picciolo ferro adunco: piccolo attrezzo ricurvo, falcetto adatto per la vendemmia. 10 sgrappolar: raccogliere i grappoli dalla pianta della vite; lo stesso termine ricorre in Francesco Maria Gualterotti (La vendemmia 14-15: «non berete / Se non venite à sgrappolar le viti»). 11 l’uva […] fasci: c’è uva in abbondanza. 12-13 t’alletti / Co’ cenni, o col gracchiar: ti attiri con i suoi gesti o le sue chiacchiere. 14 avare frasche: i rami sono detti avari, perché sembra che non abbiano voluto cedere i grappoli che, invece, Graspin si è dimenticato di raccogliere.
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XVIII
Ahi quante, ahi quante di pietate ignudi Fan prede i Lupi de le fresche Agnelle; Sicchè non val, ch’a vigilar su quelle Il povero Pastor fatichi, e sudi! Questa felice è ben, che i denti crudi De le belve non teme ingorde, e felle; Poichè dal branco de le pecorelle, Almo Pastor, la togli, e la rinchiudi. Quì non la guasteran fascini, o incanti: Ma vedrai come bella, e senza scabbia Di più candide lane ognor s’ammanti: E fia, che ’l Lupo indarno giri, ed abbia In fine a starsi all’ovil chiuso innanti, Alto ululando per disdegno, e rabbia.
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S S1 F p. 198 RA p. 142 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a destra. 2 Lupi] lupi F RA Agnelle] agnelle RA 3 Sicchè] Sì che F val,] val F ch’a] che a F 4 Pastor] pastor F fatichi,] fatichi F RA 6 ingorde,] ingorde F RA 7 pecorelle,] pecorelle RA 8 Pastor, la togli,] Pastor la togli RA 9 Quì] Qui RA fascini,] fascini F incanti:] incanti, RA 10 bella,] bella F 12 fia,] fia F Lupo] lupo F RA 13 all’ovil] a l’ovil RA 14 disdegno,] disdegno F RA XVIII . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD.
1 di pietate ignudi: privi di compassione. 6 felle: malvagie (Petrarca, RVF cccxxv.67 «luci impie et felle»). 9 fascini, o incanti: sortilegi degli invidiosi. 10 scabbia: malattia della pelle; cfr. Dante (Inf xxix.82 «e sì traevan giù l’unghie la scabbia»; anche in Pg xxiii.49), Luigi Alamanni (La coltivazione iv.858 «Non le gregge lavar, che scabbia ingombre»), Iacopo Sannazaro (Arcadia x.4344 «Costui non imparò putare o metere, / ma curar greggi da la infetta scabbia»).
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XIX
Sì vaga pianta, e sì gentile avea Con mie lunghe fatiche a tal ridutta; Che le sue fronde invidiar parea Ogni arboscello, anzi la selva tutta. Nè più di Borea, o d’Aquilon temea Contra i be’ rami suoi l’orrida lutta: Ma lieto alla sua dolce ombra sedea Pur cogliendone alfin le prime frutta. Quando Giove improvviso ecco disserra Fulmine, che col colpo i rami adorni In uno, e me con lo spavento atterra. Or giace il parto di sì lunghi giorni; Ed io stommi guardando in su la terra, Ch’alcun germoglio a pullular ritorni.
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S S1 RA p. 142 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a destra. Il v. 4 è cancellato da una riga orizzontale a penna; la correzione autografa è nello spazio tra prima e seconda quartina. 1 sì] si RA 2 ridutta;] ridutta, RA 7 alla] a la RA 11 con lo] co lo RA
4 Ogni arboscello della selva tutta; S 13 io] i’ RA
XIX . Sonetto: ABAB ABAB CDC DCD.
2 a tal ridutta: condotta a tale bellezza. 5-6: contro i suoi rami non temevo più la furia terribile del vento di tramontana (Borea o Aquilone). 9 improvviso: con valore avverbiale: improvvisamente; disserra: scaglia. 11 In uno: nello stesso momento. 12: Ora l’albero, coltivato così a lungo, giace a terra. 13 stommi: rimango.
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Quella pianta gentil, ch’avea battuta Con le folgori Giove in sul terreno, Così rapidamente era cresciuta, Ch’i’ n’avea colmo di dolcezza il seno. Ma ’l mio compagno agricoltor veduta Non prima l’ebbe, che, d’invidia pieno, Sentì pugnersi il cor d’aspra feruta, Sol volendo indiviso arbor sì ameno. Con ascosa pertanto ignobil arte I be’ frutti m’invola, e pien di duolo Me ’l tronco ad odorar lascia in disparte. Torna o Giove a cacciar l’arbore al suolo; Che chi niun vuol de’ suoi piaceri a parte Ben non merta costui di goder solo.
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S S1 RA p. 143 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a destra. 4 Ch’ i’] Ch’ i RA 6 pieno,] pieno RA 7 pugnersi] pungersi RA il RA 12 Torna o Giove] Torna, o Giove, RA
11 ’l]
XX . Sonetto: ABAB ABAB CDC DCD. Continuazione del sonetto precedente.
8: desiderando soltanto per sé un albero così fiorente. 10 I be’ frutti m’invola: mi sottrae i dolci frutti. 13: che chi non vuole condividere i suoi piaceri.
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XXI
I’ muojo alfine, alfine o cruda Eumolpi Su quest’umide reti entro a la barca Giacer mi vedi, e te non fia ch’io incolpi, Che d’un freddo sospir mi se’ ancor parca. Non temer più del mio tridente i colpi Squamoso gregge: alfin colui sen varca Ad altro lito, che di Tenie, e Polpi Ogni nassa traea dall’onde carca. Toglietevi o compagni or le mie canne (Ah mille volte le lor cime a voi Veder curve sia dato) e le mie reti. Questo legnetto sol meco verranne, Per varcare atra Stige i gorghi tuoi, Quando Caronte a un sì infelice il vieti.
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S S1 XXI . Sonetto: ABAB ABAB CDE CDE. Un pescatore è innamorato di Eumolpi; non corrisposto si sente morire. 1 Eumolpi: dal greco “donna dal bel canto”. 4: che non mi degni nemmeno di un sospiro poco affettuoso. 6 Squamoso gregge: perifrasi per indicare i pesci; si rinviene pure in Marino (Il Tempio 157: «Al vaneggiar de’ Zefiri amorosi / Scherzan per l’onde i popoli squammosi»; Rime marittime 37.7: «Havvi il pesce squamoso») e in Ippolito Neri (La presa di Saminiato xi.4: «Né Proteo mai sì varie forme prese, / fatto pastor dello squamoso armento»). 6-7 sen varca / Ad altro lito: passa ad un’altra riva (cioè a quella della morte). 8 nassa: cesta-trappola in cui i pesci riescono a entrare e non a uscire. 9 Toglietevi: prendete per voi. 10-11 Ah mille […] dato: augurio con cui il pescatore auspica che i suoi compagni possano vedere innumerevoli volte le cime delle canne da pesca piegate per il peso dei pesci che hanno abboccato. 12: verrà con me solo questa piccola imbarcazione. 14 Caronte: nel mito, colui che traghettava le anime dei trapassati da una sponda all’altra dello Stige.
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XXII
Lungo ’l Sagrin mentre i pastor le gote Gonfiando van su le ineguali canne Amico i so, ch’assai più dolce andranne Lor suon congiunto a le tue dolci note. E intanto che ’l commosso aere percote L’opposte rupi, da le sue cappanne Ogni Ninfa silvestre a udir verranne Tuo canto, che le fere addolcir puote. O te felice, al quale il destro Fato Tant’ozio dona, e a rustical concento Dentro al paterno suol vivi beato! Ahi! me non già infin ch’a forza intento
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S S1 F p. 4 In S1 le due terzine sono racchiuse, al margine esterno a sinistra, da un tratto di penna (quasi una parentesi), a sinistra del quale c’è una crocetta. Al v. 9 “al quale” è compreso da due tratti di penna, sopra e sotto. 1 ’l] il F pastor] Pastor F 2 canne] canne, F 3 i] io F ch’assai] che assai F 5 che ’l] che il F 6 cappanne] capanne F 10 dona,] dona; F 12 già] già, F ch’a] che a F XXII . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. La scena è ambientata lungo le spon-
de del Segrino, piccolo lago in Vallassina; probabilmente il poeta si rivolge all’amico Francesco Manzoni, l’abate di Canzo già coinvolto nel sonetto viii. Parini, preoccupato per l’esito incerto di una lunga lite giudiziaria, ne invidia amichevolmente la tranquillità. Dal 1740 al 1753 il poeta fu angustiato da una causa per l’eredità della prozia, Anna Maria Parino, che aveva disposto un lascito a suo favore qualora fosse diventato sacerdote. 2 ineguali canne: canne di flauti e zampogne dalla lunghezza diversa. 5-6 E intanto […] rupi: mentre l’aria addolcita dal canto rimbalza sulle rocce di fronte. 9 destro Fato: destino favorevole. 10 rustical concento: musica campestre.
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giuseppe parini A se mi tenga il dubitoso piato, Che nel Foro usar suol garrulo e lento.
13 se] sè F 13 dubitoso piato: esito incerto. 14: che in tribunale si svolge tra chiacchiere e lentezza.
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XXIII
Pendi mia cetra umil da questo salce Senza man, che ti svegli, e senza corde; Poichè a calmar le cure inique, e sorde Il tuo tenero suon punto non valce. Già presso è Morte coll’orribil falce, E ’l Veglio, che le cose atterra, e morde: Nè avvien, bench’i’ col mio gridar gli assorde, Ch’ognun di loro non mi segua, e incalce. Miser n’andrò fra gli amorosi mirti, E risonar farovvi ogni pendice, Mescendo il pianto mio con gli altri spirti. E tu ti rimarrai, se tanto lice, Tra’ Pastor d’este selve incolti, ed irti D’una picciol conforto ombra infelice.
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S S1 In S1 in alto a destra del componimento è visibile un tratto a penna obliquo. XXIII . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Il poeta si rivolge alla sua cetra che, inutile, pende da un salice poiché la musica non ha nessun potere contro la Morte e il Tempo. Parini si riferisce all’espressione biblica del salmo in ricordo della prigionia babilonese: «Ai salici di quella terra / appendemmo le nostre cetre» (Salmo 137 (136), v. 2). 1 salce: salice. 2: priva delle corde e senza alcuna mano che ti suoni. 4 non valce: non ci vale, non è sufficiente. 6: il Tempo, che annienta e consuma (morde) ogni cosa. 7-8: nonostante con le mie grida li renda sordi, la Morte e il Tempo (ognun di loro) continuano a inseguirmi e incalzarmi. 9 amorosi mirti: mirti sacri a Venere; vi è un riferimento al passo dell’Eneide di Virgilio in cui le ombre dei suicidi per amore nell’oltretomba vagano in un bosco di mirti (Eneide vi.442-444). 12 se tanto lice: se è permesso almeno questo.
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giuseppe parini
XXIV
Accendi il foco, Elpin, mentr’io mi bendo De le candide fascie il crine, e ’l petto; E non temer del mio cangiato aspetto, Or che ’l magico Nume in sen comprendo. Ecco la mano alla sacr’ara io stendo, E ’l vergin zolfo in su la fiamma getto, E tre grani d’incenso indi vi metto, Il suono alzando de’ miei versi orrendo. Già dall’acceso altar par, che si sciolga Il fumo inverso il Ciel salendo, e parmi, Che ’l Ciel commosso le mie preci accolga. Or quella fiera, che non vuol mirarmi, Per continuo pregare, a me si volga Almen per forza de’ possenti carmi.
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S S1 RA p. 143 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a destra. 2 crine,] crine RA 4 Nume] nume RA 5 alla] a la RA io] i’ RA 9 dall’acceso] da l’acceso RA par,] par RA 10 Ciel] ciel RA parmi,] parmi RA 11 Ciel] ciel RA 12 mirarmi,] mirarmi RA XXIV . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Inizia la serie dei sonetti (xxiv-xxx) in cui alle connotazioni bucoliche si aggiungono tratti magici e popolareschi. Qui un pastore tenta un sortilegio d’amore coinvolgendo il suo amico Elpino. 1 Elpin: Elpino, tradizionale (nell’Aminta di Tasso e nell’Arcadia di Sannazaro) nome poetico di pastore. 2 candide fascie: bende bianche, utilizzate durante i riti magici e i sacrifici. 8: elevando le imprecazioni del rito. 12 fiera: crudele, riferito alla donna.
alcune poesie di ripano eupilino
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XXV
Da questo cerchio, che sul lito io segno Colla verga tremenda, e in cui ti metto, Non partirti, o Damone, e tienti in petto Le sillabe possenti, ch’io t’insegno. Ecco son già presenti a un picciol segno Della mia man Tesifone, ed Aletto, E d’Ecate triforme il vario aspetto, E gli altri Numi dello Stigio Regno. Ecco io gl’invoco: O degli oscuri, e bui Fiumi d’Averno abitatrice schiera, Damone ascolta, o me in vece di lui. Fa per la forza della mia preghiera, Che la Donna, ch’un tempo amò costui, A poco a poco si distrugga, e pera.
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S S1 F p. 178 G p. 72 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a destra. 3 partirti,] partirti G Damone,] Damone; F G 4 possenti,] possenti F G 5 presenti] presenti, F G picciol segno] piccol cenno G 6 man] man, F G Tesifone,] Tesifone F G Aletto,] Aletto G 7 E d’Ecate] Ed Ecate F Ed Ecate, G 8 Numi] numi F dello] de lo F G Stigio] stigio G Regno] regno F G 9 oscuri,] oscuri F G 10 schiera,] schiera! G 11 lui.] lui: G 12 Fa] Fa, F G 13 Donna] donna F donna, G ch’un] che un F G
XXV . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Esempio di sortilegio ad mortem.
3-4: non allontanarti, Damone, e ricorda la formula potente che ti insegno. 6 Tesifone, ed Aletto: due Furie, divinità infernali; la terza era Megera. 7 Ecate triforme: la luna, adorata sotto tre aspetti: Luna nel cielo, Diana sulla terra, Ecate negli Inferi.
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giuseppe parini
XXVI
Tirsi, non tel diss’io, ch’all’aere fosco Noi l’aremmo trovata? or vedi come L’infame Strega con le sciolte chiome Va dell’erbe cogliendo intorno al bosco. 4 Tirsi, certo ella è dessa; i’ la conosco: Ecco m’ascondo, e chiamo lei per nome. Vedi, vedi, com’ella si dischiome, Come spiri dagli occhi acceso tosco. 8 Ahi ch’ella udimmi! ahi già n’ha scorti! or senti,
S S1 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a sinistra. Il v. 6 è cancellato da un tratto orizzontale di penna; un richiamo rimanda al margine inferiore con la correzione autografa. Al v. 8 un tratto di penna cancella “E qual” sostituendolo con “Come”. 6 Mi vuo’ tu udire a chiamar lei per nome? S
8 Come] E qual S
XXVI . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD; il v. 11 e il v. 13 sono legati da rima imperfetta (consonanza e assonanza tonica). Il protagonista, probabilmente Damone, si rivolge al pastore Tirsi, esortandolo a fare attenzione alla strega che si aggira per il bosco: se la maga riuscirà ad uccidere il bestiame, almeno loro dovranno cercare di salvarsi. 1 aere fosco: cfr. Dante: «Non era ancor di là Nesso arrivato, / quando noi ci mettemmo per un bosco / che da neun sentiero era segnato. / Non fronda verde, ma di color fosco; / non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti; / non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco» (Inf xiii.1-6), Bernardo Tasso «Sgombrando l’aere fosco» (Rime ii.vii.16) e Luigi Tansillo «tant’erti / Nuvoli in questo fosco aere fumanti» (Poesie liriche lxix.3-4). 2 aremmo: avremmo. 5 ella è dessa: è proprio lei. 7: guarda come si strappa i capelli; la stessa espressione si rinviene in Dante (Inf xxxii.100: «Perché tu mi dischiomi») e in Ariosto (Orlando furioso xv.87: «E tenendo quel capo per lo naso, / dietro e dinanzi lo dischioma tutto»). 8: e come emani dagli occhi un ardente veleno (tosco; cfr. Dante, Inf xiii.6: «non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco»).
alcune poesie di ripano eupilino Ch’all’orrende bestemmie ha sciolto il freno: Ah noi meschini, ahi sventurati armenti! Deh tre volte sputianci, o Tirsi, in seno; Che se ’l Gregge da lei ci viene or spento, Ah, Tirsi, ah noi possiam salvarci almeno.
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10: non trattiene più orribili imprecazioni. 12: formula di scongiuro, ripetuta tre volte, per evitare la maledizione della strega. 13: se il nostro gregge viene ucciso da lei.
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giuseppe parini
XXVII
Sciogli, Fillide, il crin, e meco t’ungi D’esto liquor, che nelle man ti spargo, Poi quest’osso più stretto a quel più largo, Che d’Uomo son, con le verbene aggiungi. Indi accendi l’Altar dal rio non lungi, Che lento va tra l’uno, e l’altro margo; E mentre io d’acqua il sacro altar cospargo, A questa cerea immago il cor tu pungi. Ecco l’ombre d’Averno al sacro loco Vengon scotendo l’atre faci; e ’l sole
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S S1 F p. 177 G p. 71 RA p. 144 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a destra. Al v. 1 “tutta” è corretto con “meco” senza cancellature. Al v. 9 “a questo” è cancellato da tratti di penna e corretto con “al sacro”. In F e in G i vv. 13-14 sono preceduti da virgolette. 1 crin] crine F G RA meco] tutta S 2 liquor,] liquor F G nelle] ne le F G RA spargo,] spargo; F spargo: G 4 Uomo] uomo F G RA 5 Altar] altar, F G altar RA lungi,] lungi F G 6 uno,] uno F G RA margo;] margo, RA 7 E] E, G cospargo,] cospargo RA 8 questa] quella RA immago] imago F G 9 ombre] Ombre F al sacro] a questo S loco] loco, RA 10 faci;] faci, RA XXVII . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Una maga insegna alla pastorella
Fillide un incantesimo per creare dissapori in una coppia. 2 D’esto liquor: con questo liquido. 4 aggiungi: annoda, lega insieme. 5-6: quindi accendi un fuoco sacro sull’Altare non lontano dal ruscello che scorre lentamente tra le due sponde. 10: atre faci: fiaccole scure; questa immagine ossimorica, che accentua la particolare caratterizzazione delle luci delle divinità infere, si ritrova in Giovan Battista Strozzi: «con sua face atra funesta» (Madrigali 62.4).
alcune poesie di ripano eupilino Per lo fumo s’oscura a poco a poco. Tu non temer; ma dì queste parole: La pace, che tra loro han l’acqua, e ’l foco Abbian gli amanti ancor Licida, e Jole. 11 s’oscura] si oscura RA 13 pace,] pace RA foco] foco, F G 14 Licida,] Licida F G RA
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acqua,] acqua F G RA
13-14: tra gli innamorati Licida e Iole ci sia l’accordo che esiste tra l’acqua e il fuoco (dunque, secondo il volere di Fillide, tra i due non vi dovrà più essere amore, bensì odio).
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giuseppe parini
XXVIII
Già s’odon per lo Cielo alti rimbombi Dei fulmini sonanti, e vanno preste L’oscure nubi a radunar tempeste, Volgete, amiche, pur, volgete i rombi. Tu dispogliati, o Nisa, infino ai lombi, Siccome i’ faccio ancor, d’ogni tua veste: E mentre i’ parlo alle ner’ombre, e meste, Volgete, amiche, pur, volgete i rombi. Ecco cercan ricovro, che gli scampi, Greggi, e Pastor sotto le querce antiche, E paventan le Ninfe i tuoni, e i lampi. L’uve di Tirsi, e di Damon le spiche Son peste, e tronche per le vigne, e i campi: Fermate pur, fermate i rombi, amiche.
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S S1 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a destra. XXVIII . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. A causa di una tempesta suscitata da una strega pastori e greggi cercano riparo; non hanno scampo i raccolti. 4 rombi: «Nome di svariati strumenti costituiti da un elemento girevole (un’assicella, una ruota, una trottola, ecc.) fissato a una o più cordicelle, usati nel mondo greco in cerimonie sacre, riti magici, evocazioni» (GDLI xvii.51). 5 Nisa: nome di fanciulla. 7 ner’ombre, e meste: gli spiriti oscuri e infelici richiamati grazie all’incantesimo. 9 ricovro, che gli scampi: riparo che li salvi. 11 paventan: temono.
alcune poesie di ripano eupilino
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XXIX
Colei, Damon, colei, che più d’un angue Intorno al crine scapigliato intesse, E con note ora chiare, ed or sommesse Può trar fuor della tomba un corpo esangue: Colei, ch’ugne di caldo, e vivo sangue L’uova di rospo ancor fumanti, e spesse, E una penna funebre aggiugne ad esse De la Strige, che ancor palpita, e langue:
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S S1 F p. 175 G p. 67 RA p. 144 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a destra. Al v. 5 “unge” è cancellato con un tratto di penna e corretto di sopra con “ugne”. Al v. 8 “D’una Strige” è cancellato e corretto sotto con “De la Strige”. Al v. 11 “una” viene cancellato e corretto con “la”. 1 colei,] colei RA un angue] un’angue RA 2 intesse,] intesse; G 3 chiare,] chiare F G 4 della] de la F G RA esangue:] esangue; RA 5 ch’ugne] ch’unge S che ugne RA caldo,] caldo F G RA 6 fumanti,] fumanti F G RA spesse,] spesse; F G 7 E una] E la F G funebre] funèbre F G 8 De la Strige,] D’una Strige, S D’una strige RA palpita,] palpita F G RA XXIX . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Un pastore si lamenta perché il suo gregge si è ammalato e rifiuta il cibo per il maleficio di una maga. 1 angue: serpente. La maga è descritta con serpenti attorcigliati ai capelli scarmigliati; la raffigurazione ricorda quella tradizionale delle Furie (Dante, Inf ix. 37-42: «dove in un punto furon dritte ratto / tre furïe infernal di sangue tinte, / che membra feminine avieno e atto, / e con idre verdissime eran cinte; / serpentelli e ceraste avien per crine, / onde le fiere tempie erano avvinte»). 3 note: formule magiche. 5 ugne: unge. 7-8: aggiunge una penna scura di un rapace notturno (civetta o gufo) che è ancor vivo e si lamenta; il termine “strige” si trova in Marino (Adone xiii.54-55: «forma i gemiti orrendi e gli ululati / de le Strigi notturne e de’ Buboni»).
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giuseppe parini Colei l’erbe, che in Colco, ed in Campagna Circe opraro, e Medea, coll’ossa incende Di bocca tolte a la digiuna cagna; E con queste il mio gregge infermo rende, Sicch’errando sen va per la campagna, Nè d’erba, nè di rio vaghezza prende.
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9 Colei] Colei, RA erbe,] erbe RA Colco,] Colco F G RA 10 opraro,] opraro F G RA Medea,] Medea RA coll’ossa] con l’ossa RA 11 a la] a una S RA 13 Sicch’errando] Sì, ch’errando F G Sicchè errando RA campagna,] campagna; F G 14 erba,] erba F G 9-11: la maga ha preso, togliendole di bocca a una cagna digiuna, le erbe che utilizzarono anche Circe e Medea, per bruciarle insieme alle ossa. Secondo il mito (Apollonio Rodio, Le Argonautiche iv.143-166 e iv.591; Omero, Odissea x.135-574; Virgilio, Eneide vii.10-24 e vii.280-283) Circe e Medea erano due maghe, che vivevano e praticavano l’arte magica (v. 10: opraro) la prima nell’isola Eea, qui indicata come la Campania, la seconda nella Colchide, sulle sponde del Mar Nero; cfr. Marino «empia Medea, / che ’l senso impètri e la ragione incanti. / Circe malvagia, iniqua Maga e rea, / possente in belve a trasformar gli amanti» (Adone xii.2). 12: con tali erbe fa ammalare il mio gregge. 13-14: tanto che il gregge vaga per la campagna, senza prender più gusto né per l’erba né per l’acqua.
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XXX
Nè d’erba, nè di rio vaghezza prende Il mio Gregge svenuto, e si rimbosca; E par, che ’l suo pastor più non conosca, Tanto nè i cenni, nè le grida intende. Or su le balze perigliose ascende, Or entra in tana insidiosa, e fosca; E giurerei, che più non riconosca Qual dell’erbette giova, e quale offende. Lasso! ben il diss’io quel dì, che alzarse Vidi l’infame Strega alta sei spanne Da terra colle chiome orride, e sparse;
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S S1 F p. 176 G p. 68 RA p. 145 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto nel mezzo. Al v. 4 “Poichè” (presente in S) è cancellato con due tratti orizzontali a penna ed è corretto con “Tanto”. Al v. 10 l’espressione “alto una spanna” è corretta a penna in “alta sei spanne”. Al v. 12 “della” e “canna” e al v. 14 “la mia capanna” sono corretti a penna in “delle”, “canne”, “le mie capanne”. 1 erba,] erba F G 2 Gregge] gregge F G RA rimbosca;] rimbosca, RA 3 par,] par F G RA che ’l] che il F G conosca,] conosca: F G 4 Tanto] Poichè S cenni,] cenni F G 6 insidiosa,] insidiosa F G RA fosca;] fosca, RA 7 giurerei,] giurerei F G RA 8 dell’erbette] de l’erbette F G RA giova,] giova F G 9 ben] bene RA 10 Strega] strega G RA alta sei spanne] alto una spanna S 11 colle] con le RA orride,] orride F G RA sparse;] sparse: RA XXX . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Il componimento si apre con la ripresa dell’ultimo verso del sonetto precedente: sono quindi descritte le conseguenze dell’incantesimo. 2: il gregge privo di forze si nasconde nei boschi. 7-8: si potrebbe giurare che il bestiame non sappia più riconoscere quali erbe giovino e quali siano pericolose.
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giuseppe parini Ch’ella mandò fuor delle sozze canne Terribil voce, e allor la Luna sparse Raggio di sangue in ver le mie capanne.
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12 delle sozze canne] della sozza canna S de le sozze canne F G RA 13 voce,] voce: F G 14 le mie capanne] la mia capanna S 12 sozze canne: gola orribile; questo significato si ritrova, fra gli altri, in Dante (Inf vi.25-27: «E ’l duca mio distese le sue spanne, / prese la terra, e con piene le pugna / la gittò dentro a le bramose canne»; anche in Inf xxviii.68) e Pulci (Morgante v.39: «La lingua tutta scagliosa e le canne»). 14 Raggio di sangue: come un triste presagio di morte.
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XXXI
Deposta un giorno l’orrida facella, E quell’arco crudel, che i petti schiaccia Prese Amore in ispalla una bisaccia, E un pugnitojo in cambio di quadrella: E posta sotto il giogo una vitella, O un giovenco che fosse, o due, li caccia Per lo incolto terren con una faccia D’un Villan, che si stizza, ed arrovella. Quasi ’l bellico a’ Numi si sconficca, D’Amor ridendo, che l’aratro muove, E la semenza per le zolle ficca. Quand’e’, rivolto al Ciel, grida: Ser Giove O fa di messe questa terra ricca, O ch’io di nuovo ti converto in bove.
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S S1 In S1 al v. 6 “gli” viene corretto con un segno a penna in “li”. 6 li caccia] gli caccia S XXXI . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Questo componimento è il primo di una serie di poesie che si ispirano a liriche di autori antichi, greci e latini (xxxixxxvii): rimaneggia un epigramma di Mosco (Bucolicorum Graecorum Theocriti Bionis Moschi Reliquiae, Epigr. vi (viii )) e descrive Amore che, dopo aver abbandonato il suo arco, inizia ad arare un terreno, attirando l’ilarità degli altri dèi. 4: prese un pungolo (pugnitojo) al posto delle frecce (quadrelle). 7-8: con […] arrovella: con il viso di un contadino che si irrita e si affatica. 9-10: agli dèi quasi scoppia l’ombelico per le risa, vedendo Amore mentre guida un aratro. 11: e pone i semi nelle zolle. 14: cfr. Ovidio, Metamorfosi ii.846-875, ove si narra la trasformazione di Giove in toro per rapire Europa, figlia di Agenore, discendente di Io e signore di Tiro.
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giuseppe parini
XXXII
Io di Lidia il gran Re non mi rammento, Ma spregiator di ricche gemme, e d’ori Della mia sorte umil vivo contento, E non invidio a’ Re gli ampj tesori. Sol concesso a me sia la guancia, e ’l mento Cosparger d’odoriferi liquori, Ed allo specchio d’un bel fonte intento Cingere il crin di porporini fiori. L’oggi m’importa, e l’avvenir non curo: Perciò questi miei dì labili, o tu Bacco, sien tuoi; ch’a te bevendo il giuro. Prima ch’un qualche mal mi dica: Orsù,
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S S1 X p. 2 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto in mezzo. Al v. 14 “s’ha” (presente in S) è cancellato con un tratto di penna e corretto con “hassi”. 2 spregiator] spreggiator X 3 contento,] contento X 6 liquori,] liquori X 9 curo:] curo X 10 Perciò] Percio X 12 ch’un] che un X XXXII . Sonetto: ABAB ABAB CDC DCD. Parini si ispira all’anacreontica greca
Non m’importano le ricchezze di Gige (Poetae lyrici Graeci, Anacreontica 7 [15]). Gige era il mitico re della Lidia, che le leggende resero celebre per la favolosa ricchezza; il tema dominante della lirica è il disprezzo dei beni bramati dagli uomini, come oro e pietre preziose: il protagonista, Anacreonte, dichiara di essere soddisfatto della sua vita semplice, senza preoccupazioni per il futuro. 1: il riferimento è a Gige, re della Lidia ed emblema della ricchezza. 5-6: mi sia consentito soltanto di cospargere le guance e il mento con acque profumate. 7: e osservandomi nello specchio di un limpido ruscello. 8: decorare i capelli con fiori color della porpora. 10 dì labili: giorni che scorrono in fretta. 11 sien tuoi: siano consacrati a te (Bacco).
alcune poesie di ripano eupilino Anacreonte andiamo al regno scuro: Getta ’l bicchier; non hassi a bever più. 14 hassi] s’ha S X 14: lascia il bicchiere, non si deve più brindare.
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XXXIII
S’io mi credessi, che con Or la Morte Si potesse tener lontan da noi, Vorrei ben dall’Occaso a’ liti Eoi Ir cercandomi ognor più amica sorte. E quand’ella picchiasse alle mie porte, Le direi: piglia, e va pe’ fatti tuoi. Ma se fuggir non posso i colpi suoi, A che piangendo far l’ore più corte? Dunque, poichè così fatal destino Io non posso evitar, mia cura sia Conversar cogli amici, e ber del vino; O su le piume colla Donna mia
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S S1 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a destra. Al v. 13 la punteggiatura presente in S è corretta con dei segni a penna. XXXIII . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. La lirica riprende l’anacreontica greca Se Plutone crescesse ai mortali il vivere (Poetae lyrici Graeci, Anacreontica 34 [23]). Il protagonista, poiché non può allontanare il momento della morte, dichiara di voler trascorrere la sua vita lietamente, godendo ogni possibile felicità. 1 con Or: con l’oro, cioè con la ricchezza. 3 dall’Occaso a’ liti Eoi: dall’occidente (Occaso) all’oriente (liti Eoi: sponde orientali). 4: andare (Ir) per cercare una fortuna sempre migliore. 8: a quale scopo rendere la vita più breve con il dolore? 12 su le piume: nel letto. In Dante non solo si rinviene questo significato (Inf xxiv.47), ma l’espressione stessa (Pg vi.149-150: «vedrai te somigliante a quella inferma / che non può trovar posa in su le piume»), che attraversa tutta la storia della poesia italiana (tra gli altri: Petrarca, Sacchetti, Ariosto, Tasso), ed è ripresa da Parini anche nelle Odi (Le nozze 17-18: «Bel vederla in su le piume / Riposarsi al nostro fianco»).
alcune poesie di ripano eupilino Passar scherzando i dì felici, infino Che la Parca ne sciolga ingorda, e ria.
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13 felici, infino] felici infino, S 14: fino a quando la Parca, avida e malvagia, mi scioglierà dalla vita.
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XXXIV
Se di Bacco il liquor nel mio Cervello Coll’ammirabil suo poter penetra, Ogni cura sen va nojosa, e tetra; Già mi par d’esser ricco, e d’esser bello: E vo cantando or questo carme, or quello, Or sedendo su l’erba, or s’una pietra, E col pensier calco la Terra, e l’etra, Dominando il destin secondo, e ’l fello. Stia fra l’arme a pugnar pure il guerriere, Ch’io sol questo desio nel cor mi porto, Di contender tra ’l fiasco, e tra ’l bicchiere. Dammi la tazza pur fanciullo accorto; Poichè involto in un dolce almo piacere Meglio è certo giacere ebbro, che morto.
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S S1 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a destra. La seconda quartina e la prima terzina sono comprese da un tratto di penna sul margine esterno a sinistra. XXXIV . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Parini si ispira all’anacreontica greca Quando Bacco m’invade, s’addormentano le cure (Poetae lyrici Graeci, Anacreontica 46 [26]). Sono descritti gli effetti del vino, che dissipa ogni preoccupazione e rende il protagonista lieto e fiducioso; la conclusione non manca di una sorridente ironia: piuttosto che morire, è meglio giacere ubriachi. 1-2: se il vino mi invade con la sua ebbrezza. 7: con la fantasia percorro la terra e il cielo (etra). 8: e sono padrone sia del destino favorevole (secondo) sia di quello avverso (fello). 11: dover decidere tra la bottiglia e il bicchiere.
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XXXV
Rondinella garruletta, Se non taci, un giorno affè Io vo’ far sopra di te Un’asprissima vendetta. Vo’ pigliarti stretta stretta, E legarti per un piè; Poi far quel, che Tereo fe Con cotesta tua linguetta. L’alba in ciel non anco appare,
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S S1 F p. 170 X p. 2 RA p. 146 In S1 il componimento è contrassegnato da una crocetta a penna in alto al centro. 1 garruletta,] garruletta X RA 3 Io] I’ RA 4 un’asprissima] un asprissima X 5 stretta,] stretta F 6 piè;] piè X piè, RA 7 quel,] quel F X RA fe] fe’ F RA fè X 9 alba] Alba X ciel] Ciel X XXXV . Sonettino di ottonari: abba abba cdc dcd. Si ispira all’anacreontica gre-
ca Che cosa vuoi, che cosa vuoi che ti faccia, o chiacchierina rondine? (Poetae lyrici Graeci, Anacreontica 25 [33]). 1 garruletta: chiacchierina; il termine si trova in Marino (Adone iii.14: «Il gorgheggiar de’ garruletti augelli») ed è ripreso dallo stesso Parini: «Sull’imbrunir del dì garrulo stormo / Di frascheggianti passere novelle» (La Notte 537-538). 2 affè: in fede, certamente. 7-8: si fa riferimento alla mitica vicenda del re della Tracia Tereo che, dopo aver approfittato della cognata Filomela, le strappò la lingua per non essere accusato. Ma la donna raffigurò l’accaduto grazie ad un ricamo, rendendolo così noto a sua sorella Procne; questa, per vendetta, uccise e diede in pasto a Tereo il loro figlio Iti. Gli dèi intervennero, trasformando Tereo in upupa, Filomela in rondine e Procne in usignolo (altre versioni invertono le parti delle due sorelle, rendendo Filomela l’usignolo e Procne la rondine). Il mito è narrato nelle Metamorfosi di Ovidio (vi.424-674). 9 non anco: non ancora.
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giuseppe parini Che con querula favella Tu ne vieni a risvegliare. Or che dorme la mia bella, Guarda ben, non la destare, Garruletta Rondinella.
11 risvegliare.] risvegliare, X
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13 ben,] ben X
10 con querula favella: col tuo canto fastidioso.
11 ne: ci.
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XXXVI
Per molte genti, e molti mar condotto, O mio Germano, finalmente io sono A quest’esequie miserande addotto, Per far l’ultimo a te funebre dono. E poichè te medesmo a me non buono Destino ahi tolse, e ’l tuo bel stame ha rotto Indegnamente, oimè, vo’ dir quì prono Su la tacita polve un vano motto. Questi doni però tu accogli intanto, Che ne’ funebri sacrificj offrìo De Maggiori il costume antico, e santo. Questi accogli pur tu; ch’assai del mio
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S S1 XXXVI . Sonetto: ABAB BABA CDC DCD. Il componimento è una libera traduzione del carme ci di Catullo Multas per gentes et multa per aequora vectus, composto per l’occasione in cui il poeta latino poté recarsi sulla tomba del fratello in Bitinia. 1: dopo essere passato attraverso molti paesi e molti mari. 2 Germano: fratello; con la stessa accezione si trova in Ariosto (Orlando furioso xxxvi.75: «Stava Marfisa con serena fronte / fisa al parlar che ’l suo german facea»), Tasso (Gerusalemme liberata i.40: «Baldovin poscia in mostra addur si vede / co’ Bolognesi suoi quei del germano, / chè le sue genti il pio fratel gli cede»), Marino (Adone ii.60: «Di Priamo è figlio, Imperador Troiano, / di Ganimede mio maggior germano»). 3: giunto a questa povera tomba. 6 stame: il filo della vita; secondo la tradizione mitologica, veniva reciso dalla Parca. 7 Indegnamente: ingiustamente; prono: chino. 8 tacita polve: le ceneri silenziose del fratello (che non può rispondere alle parole del poeta); vano motto: parole inutili (perché il fratello non le può sentire). 10-11: che le sacre usanze degli antenati (Maggiori) offrirono nelle celebrazioni funebri.
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giuseppe parini Sono grondanti ancor fraterno pianto; E addio per sempre, o mio germano, addio. 13: i doni sono bagnati dalle lacrime del poeta.
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XXXVII
O del vetro più chiaro ameno fonte, Degno di dolce vin, cinto di fiori Domane avrai un caprettin, cui fuori Spuntan le prime corna in su la fronte. Indarno ei mostra le sue voglie pronte Or a l’aspre tenzoni, or agli amori; Poichè avverrà, che i gelidi liquori Del suo sangue vermiglio esso t’impronte. Te l’ore atroci dell’ardente cane Non san toccar; tu doni a’ tauri, lassi D’arare, amabil fresco, e al vago armento. Però tra l’altre andrai chiare fontane; Ch’io l’elce canterò, ch’ombreggia i sassi Cavi, onde scorre il tuo loquace argento.
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S S1 XXXVII . Sonetto: ABBA ABBA CDE CDE. Il sonetto è la traduzione dell’ode
di Orazio O fons Bandusiae, splendidior vitro (Carmina, iii.13); Parini ricrea il nitore e l’eleganza dei versi latini mediante l’accorto utilizzo di enjambements, iperbati e inversioni. 1: splendida sorgente, più limpida del cristallo. 6 aspre tenzoni: combattimenti con gli altri capretti. 7 gelidi liquori: le fresche acque; cfr. Boccaccio: «freschi liquori» (Teseida v.69 e Caccia di Diana ii.26); in Sannazaro «gelido liquore» (Rime disperse xxvi.68) indica le lacrime. 8: ti macchierà con il suo sangue vermiglio. 9-11: le ore ardenti della canicola (cane, costellazione estiva) non riescono a sfiorarti: tu sai donare una gradevole frescura ai buoi, stanchi di arare, e agli armenti che pascolano (vago: vagante, che si sposta). 12: perciò sarai onorata insieme ad altre illustre sorgenti. 13-14: celebrerò il leccio che copre con la sua ombra la grotta dove scorrono le tue acque argentine e mormoranti.
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giuseppe parini
XXXVIII
Là dove Pindo al Ciel tanto s’innalza, Che le due corna infra le nubi asconde, E giù per quello van di balza in balza Con dolce mormorìo le placid’onde; I’ fui, Manzoni, e le fiorite sponde Osai calcar, dove succinta, e scalza Erra la schiera ognor de le gioconde Figlie di Giove, carolando, e balza. E visto appena, elle mi furo accanto, Di te chiedendo, e di quell’onda lieve Una bell’aureo vaso attinse intanto; Indi: Questo a lui porgi, e d’ogni greve Morbo il sollevi, e lo risvegli al canto. Disse, e mel porse colla man di neve.
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S S1 XXXVIII . Sonetto: ABAB BABA CDC DCD. In questo come nel seguente sonetto il poeta parla all’amico Manzoni. Qui descrive la sua ascesa sul Pindo, il monte greco sacro alle Muse, che sono al centro della raffigurazione in un’atmosfera pervasa di grazia e di serenità. La salita è metafora della creazione poetica. 2: al punto che le due cime sono nascoste dalle nuvole. 4 le placid’onde: le acque tranquille di un ruscello (vi potrebbe essere il riferimento a una delle due fonti che, sul monte Elicona, forniva l’ispirazione poetica); cfr. «placide onde» in Tasso (Rime v.14) e in Alessandro Sforza (Il Canzoniere 225.16). 6 calcar: percorrere. 7 Erra: vaga. 8 carolando, e balza: ballando e intrecciando danze. 9: non appena mi ebbero visto, le Muse mi furono vicino. Secondo la tradizione mitologica, le Muse erano figlie di Giove e di Mnemosine, personificazione della memoria; a partire dall’epoca classica, si stabilì a nove il loro numero: Calliope, Clio, Polinnia, Euterpe, Tersicore, Erato, Melpomene, Talia, Urania. 11: una delle Muse attinse dalla fonte in un vaso d’oro. 12-13: dai questo vaso a Manzoni, affinché lo sollevi da ogni pericolosa malattia e gli ridoni l’ispirazione poetica.
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XXXIX
Manzon, s’io vedrò mai l’aspro flagello Dell’irata fortuna un dì posarse, E ’l Cielo, che sinor nuvolo apparse Tornar sopra di me sereno, e bello Udraimi acceso di furor novello Versi cantar, e al canto mio placarse Ogni fera crudele, e cheti starse I fiumi, e a me condurse ogni arboscello. Ridi? non sai quanto Anfion poteo Su le pietre Tebane, e quanto impero Nelle selve di Tracia usava Orfeo? Ah così s’ammollisca il destin fiero; Che quanto il Trace, e quel Teban già feo, Di far tanto, e più ancora i’ non dispero. S S1 F
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p. 170
2 Dell’irata] De l’irata F posarse,] placarse; F 3 E ’l Cielo] E il cielo F sinor nuvolo] finor nubilo F apparse] apparse, F 4 sereno,] sereno F bello] bello; F 5 Udraimi] Udraimi, F 6 cantar,] cantare; F 7 crudele,] crudele; F 8 fiumi,] fiumi; F 9 non sai] Non sai, F poteo] potéo F 10 Tebane,] Tebane; F 11 Orfeo] Orféo F 13 Trace,] Trace F XXXIX . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Il poeta confessa di essere privo dell’ispirazione poetica ma attende un rasserenamento e di poter compiere imprese pari a quelle di Anfione e di Orfeo. Nel mito, Anfione (figlio di Zeus e Antiope) con il suono della sua lira era riuscito a smuovere le pietre per costruire le mura di Tebe; Orfeo, con il suo canto, addomesticava le belve. 2 irata fortuna: sorte avversa; cfr. Tasso: «fortuna irata» (Gerusalemme conquistata xv.25). 5: mi sentirai animato da una nuova ispirazione poetica. 8 condurse: rivolgersi. 9 poteo: poté. 12: così si addolcisca il crudele destino. 13 feo: fecero.
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giuseppe parini
XL
Per l’aspro calle, ond’a Parnaso uom giunge Io mossi ’l piede insin da’ più verd’anni, E già contando i miei sì lunghi affanni Fra me diceva: Or non puot’esser lunge. Ma Fortunata ahi che ’l tuo vol raggiunge Il lento passo mio co’ presti vanni; E lungi ancor da que’ beati scanni Lo tuo sommo valor m’insulta, e punge! Or vanne lieta pur, che ’n su la via Attendon le Sorelle alme, e divine La tua venuta assai più che la mia. Quivi non aspettar, ch’io giunga al fine Del mio cammin sì ratto; assai mi fia, Quando neve mi copra il fosco crine.
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S S1 Al v. 3 “cantando” di S, in S1 viene corretto a matita in “contando”, secondo le indicazioni dell’errata corrige originale. XL . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Si tratta di una lirica d’occasione: Parini si complimenta con una poetessa perché, con la sua arte, lo ha superato. 1: per il difficile sentiero (calle) attraverso il quale l’uomo può giungere alla perfezione poetica (Parnaso: monte della Grecia sacro ad Apollo, dio della poesia, e dimora delle Muse). 4 Or non puot’esser lunge: adesso non può essere lontano. 5-6: ma te beata ché il tuo volo ha raggiunto il mio lento passo con ali veloci. Il termine vanni indica sia le ali, anche nelle personificazioni, sia le aspirazioni; in Parini ricorre ancora nel Giorno: «Stuolo d’Amori / Invisibil sul foco agita i vanni» (Il Mattino 442-443); «un guardo / Sfugge da gli occhi tuoi, che i vanni audaci / Fulmina ed arde» (Il Meriggio 403-405). 7-8: il tuo alto valore mi rimprovera e mi sprona mentre sono ancora lontano dai seggi del Parnaso. 10 le Sorelle alme, e divine: le Muse, che danno l’ispirazione. 13 sì ratto: così velocemente. 13-14 assai […] crine: mi basterà arrivare quando i capelli, ora scuri, saranno incanutiti.
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XLI
O Sonno placido, che con liev’orme Vai per le tenebre movendo l’ali, E intorno ai miseri lassi mortali Giri coll’agili tue varie forme, Là dove Fillide secura dorme Stesa su’ candidi molli guanciali Vanne, e un’imagine carca di mali
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S S1 F p. 171 G p. 69 X p. 2 RA p. 145 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto al centro. 1 Sonno] sonno RA X placido,] placido X 3 ai] a i RA 4 coll’agili] co l’agili F con l’agili G RA forme,] forme; F G RA 5 Là] Là, F G 6 su’] su F G RA guanciali] guanciali, F G 7 Vanne,] Vanne X imagine] immagine G RA XLI . Sonetto in endecasillabi faleci: ABBA ABBA CDC DCD. Parini si ispira al-
la ricca tradizione di invocazioni al Sonno, quale dispensatore di pace e di tranquillità agli uomini. Tale immagine ricorre in opere di autori latini: Virgilio (Eneide ii.8-9; 268-269; v.835-836), Seneca (Hercules furens 1065-1098), Ovidio (Metamorfosi xi.623-626); si trova poi nelle liriche di poeti italiani come Giovanni Della Casa (O Sonno, o de la queta, umida, ombrosa), Torquato Tasso (Gerusalemme liberata vii, iv), Giovan Battista Marino (quattro sonetti de La Lira: O del Silenzio figlio, e de la Notte; Questi vinti dal duol possente e forte; Dunque la Notte ancor, ch’ha per costume; Da qual uscio del Ciel volando uscisti). In questa lirica, tuttavia, il poeta non chiede al Sonno la pace, ma lo invoca affinché rechi turbamento alla donna amata, che lo ha respinto. 1 con liev’orme: con passi leggeri. 4 varie forme: le diverse forme in cui il Sonno si può manifestare all’uomo (i sogni). 5 secura: tranquilla. 7 Vanne: vai; un’imagine carca di mali: una raffigurazione penosa.
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giuseppe parini In mente pignile trista, e deforme, Tanto a me simili quell’ombre inventa, E al color pallido, che in me si spande, Ch’ella destandosi pietà ne senta. Se tu concedimi favor sì grande, Con man vo’ porgerti tacita, e lenta Due di papaveri fresche ghirlande.
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8 pignile] pingile F G trista,] trista F G RA X deforme,] deforme. F G RA 10 pallido,] pallido F G X RA 11 ella destandosi] ella, destandosi, F G ella] Ella RA 12 sì] si X 13 tacita,] tacita F G RA X 8 pignile: dipingile. 14 papaveri: i fiori dedicati al Sonno, perché se ne ricava l’oppio, sostanza soporifera.
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XLII
Endecasillabi, cui porgerete Col vostro tenero suono conforto? Al mio certissimo Manzon, che smorto Mirate, e languido gir presso a Lete. Su richiamatelo, su lo scuotete, Prima che l’abbiano le cure assorto: Questi è quel Giovine saggio, ed accorto, Che delle lettere giunge alle mete. Alla sua cetera vid’io sovente Tendere i satiri l’orecchie acute, E le selvatiche Vergini attente. Endecasillabi dunque le argute Corde svegliategli, se di repente Cose udir piacevi dal ciel venute.
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S S1 XLII . Sonetto in endecasillabi faleci: ABBA ABBA CDC DCD. Parini si rivolge direttamente ai propri versi, affinché ridestino nel fidato amico Francesco Manzoni l’amore per la poesia. 3 certissimo: fedelissimo. 8: che può raggiungere i risultati che, come letterato, si era prefissato. 9-11: io ho visto spesso i satiri e le driadi (ninfe delle selve) ascoltare attentamente i suoi componimenti. 12-14: endecasillabi, ridestate in lui la vena poetica, se volete ascoltare immagini ispirate direttamente dal cielo.
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giuseppe parini
XLIII
Oimè che turbine rivoltuoso Di cure asprissime mi turba il sen! Porgimi, o Fillide, di vin spumoso Un orcio, o un ciotolo, ma che sia pien. Quest’è ’l dolcissimo caro, e giojoso Al cor dei miseri contravelen: Per questo a ridere torna giocoso L’imbriachissimo, vecchio Silen. Chi fu, che ’l barbaro fiero dolor Frenò dell’esule Vergine a Nasso, Se non quest’unico, dolce liquor?
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S S1 F p. 172 G p. 73 X p. 2 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto al centro. 4 ciotolo,] ciotolo X ma che sia pien] che ne sia pien X 5 Quest’è ’l] Questo è il F G caro,] caro F G 8 imbriachissimo,] ebbriosissimo F G imbriachissimo X 9 che ’l] che il F G 10 Frenò,] Freno X dell’esule] de l’esule F G Vergine] vergine F G Nasso,] Nasso X 11 unico,] unico FGX XLIII . Sonetto in endecasillabi faleci: ABAB ABAB CDC DCD.
1 rivoltuoso: che provoca tormento interiore. 6 contravelen: antidoto; cfr. Giambattista Basile: «contravveleno» (Il Pentamerone iv.ii.9). 9-11: che cosa riuscì ad attutire il profondo dolore di Arianna (esule Vergine a Nasso), se non proprio il vino? Viene rievocata una versione del mito di Teseo e Arianna: Teseo, che aveva combattuto e ucciso il Minotauro rinchiuso nel labirinto di Creta, fu aiutato ad uscirne da Arianna, figlia del re Minosse. L’eroe quindi condusse Arianna con sé, ma poi la abbandonò sull’isola di Nasso, dove venne raggiunta da Bacco, che la consolò con il vino (sulle diverse versioni del mito cfr. Plutarco, Vite parallele. Teseo 15-23 e Omero, Odissea xi.321-325).
alcune poesie di ripano eupilino Chi fia, che reggaci sul fianco lasso, Fugando il gelido, senile orror, Presso a quell’ultimo, dolente passo? 12 fia,] fia F G X
13 gelido,] gelido F G
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14 ultimo,] ultimo F G
12-14: chi potrà sostenere il nostro corpo ormai stanco, allontanando la fredda vecchiaia, quando si avvicina la morte?
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giuseppe parini
XLIV
Col guardo i’ vo su per l’aereo calle Fra le nubi cercando, e tra i pianeti, E veggio d’ogni stella entro a’ secreti Lati Dio, ch’ora quiete, or moto dalle. Scendo di poi le nevose spalle De’ monti, ed essi quai freschi arieti Veggio esultar di lui superbi; e lieti, Ch’abita ogni antro loro, ogni lor valle. Cerco la Terra tutta, e l’onda, e fuore Caccio lo sguardo ancor, ch’appena il regga, E veggio come in quell’immenso orrore, Solo non già, ma con se stesso ei segga. Torno coll’occhio alfin dentro al mio core; E solo nel mio cor par, che no ’l vegga.
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S S1 XLIV . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Inizia la serie dei nove componimenti (xliv-lii) dedicati ad argomenti morali e religiosi. Il poeta contempla la creazione, in cui riesce a percepire la presenza di Dio. 1 per l’aereo calle: per le vie del cielo. 3-4 secreti / Lati: le zone nascoste. 4 ch’ora […] dalle: che alternativamente fa stare ferme le stelle e le fa muovere. 5 nevose spalle: pendii innevati. 6 freschi arieti: giovani capretti. Questa immagine è tratta dal Salmo 114 (113A): «le montagne saltellarono come arieti, / le colline come agnelli di un gregge» (v. 4). 9 l’onda: il mare. 9-10: fuore […] ancor: di nuovo aguzzo lo sguardo in alto. 11 in quell’immenso orrore: nell’immensità che desta sgomento.
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XLV
Carca di merci preziose, e rare, Coll’aure amiche intorno agile, e presta Girsen vid’io senza curar tempesta Una nave superba in mezzo al mare. E per l’onde vicine al lito chiare, Col remo, il qual di faticar non resta, Di due tavole appena insiem contesta Un’umile barchetta i’ vidi andare. Sorse vento improvviso, e l’una tosto Alla ripa vicina in braccio corse, E ’l legno altier cadde tra l’onde assorto. Così ’l miser, diss’io, ch’al basso è posto Presto si salva; e chi più in alto sorse Miracol è se può ritrarsi al porto.
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S S1 F p. 169 In S1 il sonetto è contrassegnato da una crocetta a penna in alto al centro. 1 preziose,] preziose F 2 agile,] agile F 3 io] io, F tempesta] tempesta, F 8 i’] io F 10 Alla] A la F corse,] corse; F 11 E ’l] E il F 12 ch’al] che al F posto] posto, F 13 sorse] sorse, F XLV . Sonetto: ABBA ABBA CDE CDE. Lirica allegorica basata sul paragone
tra una nave superba che, sfidando il mare, naufraga nella tempesta, e una piccola imbarcazione che invece si salva, navigando vicino alla costa. 3 Girsen vid’io: ho visto procedere. 6: cfr. «La bufera infernal, che mai non resta» (Dante, Inf v.31). 7: formata soltanto da due assi unite insieme. 11: la nave superba precipitò sommersa (assorto) nelle acque. 14: cfr. «Però sarrebbe da ritrarsi in porto» (Petrarca, RVF lxxx.5).
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giuseppe parini
XLVI
Su queste pallid’ossa, e già da cento Anni sepolte in quest’oscuro avello, Qual già lusse color vermiglio, e bello, Ch’or sciolto in polve se ne porta il vento? Quì, superbe fanciulle, il guardo intento Fisate a rimirar l’aspro flagello, Che fa ’l Tempo, e la Parca intorno a quello Splendor, cui tanto commendar vi sento. Ecco i candidi avorj, ecco le rose, Che sì pregiano in voi gli stolti amanti, Misero avanzo di beltà famose. Anzi quaggiù voi vi specchiate innanti, Folli, cui ’l vero un cieco Amor nascose, Quel, che riman di tanti pregi, e tanti.
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S S1 XLVI . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Invito a riflettere sulla caducità della bellezza terrena: ciò che viene molto ammirato dagli uomini è destinato a diventare polvere. 1 pallid’ossa: scheletro, bianco perché antico. 2 avello: tomba; nello stesso significato ricorre anche in Dante (Inf ix.118: «Ché tra li avelli fiamme erano sparte») e in Pulci (Morgante II.31: «Io voglio andare a scoprir quello avello / Là dove e’ par che quella voce s’oda»). 3 lusse: risplendette. 4 se ne porta il vento: espressione che riprende quella petrarchesca «Quante speranze se ne porta il vento!» (RVF cccxxix.8). 6 Fisate: fissate, rivolgete con attenzione (cfr. Tasso, Gerusalemme liberata xiv.57: «Fisa egli tosto gli occhi al bel lavoro / del bianco marmo»); aspro flagello: terribile strazio; cfr. Girolamo Fontanella: «de l’ira divina aspro flagello» (Ode ii. Al sig. Gio. Andrea di Paolo.110). 7 la Parca: la divinità che recide il filo della vita. 8 cui tanto commendar vi sento: che vi sento esaltare così tanto. 9: ecco i denti bianchi come l’avorio e il roseo incarnato. 10: che gli sciocchi innamorati tanto apprezzano in voi.
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XLVII
Poichè dal braccio del Signor guidate Fuor dell’Egitto uscir l’Ebraiche Genti Fuggì timido il Mare, e le frementi Onde volse il Giordan là ’v’eran nate. E qual veggendo le caprette amate Fanno i Capri lascivi, ed insolenti, Saltaro i monti, e i colli soggiacenti, Come i saturi agnei per l’erbe usate. Perchè fuggisti, o Mare, e tu, Giordano, Perchè indietro tornasti? O colli, o monti Qual vi mosse a saltare impeto strano? E monti, e colli, e flutti umili, e pronti Chinarsi a lui, che col poter sovrano Fa di selci, e di rupi e stagni, e fonti.
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S S1 XLVII . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. La lirica è ispirata al Salmo 114 (113A),
in cui sono celebrati i prodigi che Dio operò durante l’esodo del popolo ebraico dall’Egitto. 2: il riferimento biblico è alla prigionia in Egitto del popolo d’Israele. 3 Fuggì timido il Mare: il mare si ritrasse (in modo che il popolo ebraico potesse passare). 3-4 le frementi […] nate: il Giordano fece rifluire le sue acque alla sorgente. 6 Capri lascivi, ed insolenti: arieti eccitati e vivaci. 8: come gli agnelli sazi dell’erba dei pascoli abituali. 11 impeto strano: forza misteriosa. 13-14: inchinarsi a Colui che col suo potere sopra ogni elemento può trasformare pietre e monti in stagni e sorgenti.
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XLVIII
Filli, questo splendor, che con tant’arte Fregi, e nodrisci, leggier fumo, ed ombra È certamente, cui Morte disgombra, O van gli anni struggendo a parte a parte. Volgi le Greche, e le Latine carte, Ove di gran beltà Donna le ingombra, E scorgerai come la Terra sgombra Ne fu ben tosto, e l’arse membra sparte. Ov’è l’Egizia, che cotanto piacque Al Roman Duce? Ov’è colei, che mosse Argo tutta a seguirla in mezzo all’acque? Anzi chi ’l corpo sol, chi le nud’osse; Chi la tomba m’addita, ov’ella giacque, Poiché ’l filo di lei breve troncosse?
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p. 169
2 Fregi,] Fregi F fumo,] fumo F 3 disgombra,] disgombra F 5 Greche,] Greche F carte,] carte F 7 Terra] terra F 8 fu] fù F 10 colei,] colei F 12 Anzi] Anzi, F nud’osse;] nude osse, F 13 addita,] addita F XLVIII . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD.
2 Fregi, e nodrisci: adorni e conservi. 3 cui Morte disgombra: che la morte fa dissolvere. 5-6: leggi i libri latini e greci in cui sono celebrate donne di grande bellezza. 8 arse membra sparte: i corpi bruciati e dispersi. 9 l’Egizia: Cleopatra (celebre nell’antichità per la sua bellezza). 10 Roman Duce: Marco Antonio (il condottiero romano invaghitosi di Cleopatra). 10-11 Ov’è […] acque: dov’è Elena, che spinse tutta la Grecia (Argo) a seguirla varcando il mare? Il riferimento è alla guerra di Troia, scatenata dal rapimento di Elena da parte di Paride.
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XLIX
Gira l’alta Donzella, e in mille nodi Tesse i teneri balli, e più ch’ai vasti Musici cori, attende alle sue lodi, Ond’avvien ch’ad ogn’altra ella sovrasti. E in tanto il Re preso ai soavi modi, Cui non è sì gran core il qual contrasti, Dice: Chiedi a me quel, di che più godi, Benchè mezzo il mio Regno anco non basti. Ella: Se tanto di tua grazia abbondo, Dammi, disse, Giovanni; e tosto un riso Fè sul volto apparir vago, e giocondo. Già non rise il Signor dal duol conquiso: Pur: Si faccia, rispose. Ahi Mondo, ahi Mondo Quanta legge t’impone un dolce viso! S S1 F
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p. 50
2 balli,] balli; F ch’ai] che ai F 3 alle sue lodi,] a le sue lodi F 4 Ond’avvien] Onde avvien F ch’ad] che ad F 5 in tanto] intanto F 8 Regno] regno F 11 Fè] Fe’ F vago,] vago F 12 Signor]Signor, F Mondo, ahi Mondo] mondo, ahi mondo, F XLIX . Sonetto: ABAB ABAB CDC DCD. Rievocazione dell’episodio evangeli-
co (narrato in Matteo 14.1-12; Marco 6.14-29) della danza di Salomè. 1 Gira l’alta Donzella: Salomè danza; alta perché principessa. 2-3 più ch’ai […] lodi: bada a mettere in mostra la sua bravura, più che a seguire il suono e il canto dei musicisti. 4: per cui ella supera ogni altra danzatrice. 5 il Re: il tetrarca Erode Antipa. 9-10 Se tanto […] Giovanni: disse: se sei così ben disposto verso di me, dammi Giovanni. La formulazione è ambigua; in realtà Salomè non chiede Giovanni (che potrebbe voler dire anche la sua liberazione) ma la sua testa. 10-11 e tosto […] giocondo: subito fece comparire un sorriso sul bel volto felice. Ha infatti così soddisfatto il desiderio di vendetta della madre Erodiade, che il profeta aveva accusato di adulterio.
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giuseppe parini
L
Chi è costui, che nell’umil suo letto Steso passa dal Mondo, e par, che rida? Egli è quell’Uom sì giusto, e a Dio diletto Del Divino Figliuol custodia, e guida. Chi son que’ duo, cui con sì dolce affetto Par, che ’l guardo languente ancor divida? L’uno è lo Dio, cui fu per Padre eletto, E l’altra è la sua Sposa onesta, e fida. E come mai fra così dolci aspetti Osa Morte por piè franca, ed ardita, Ond’uom sì grande al suo poter soggetti? Stolto, che pensi? di niun stral fornita Non è la Parca, onde costui saetti; Ma un’estasi d’amor lo trae di vita.
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S S1 L . Sonetto: ABAB ABAB CDC DCD. Personaggio centrale della lirica è San Giuseppe; la sua morte (cfr. I Vangeli apocrifi. Storia di Giuseppe il falegname xviiixxiii) è raffigurata non come un doloroso trapasso, bensì come un’estasi. 5 que’ duo: Gesù e Maria Vergine. 5-6: chi sono i due ai quali sembra che Giuseppe ancora rivolga con affetto lo sguardo, languido per la morte ormai vicina; divida: spartisca fra la moglie e il Figlio. 7 per Padre eletto: scelto come padre per la vita terrena di Gesù. 9 dolci aspetti: persone che ispirano dolcezza. 12-13 di niun […] saetti: la morte (indicata col nome letterario e pagano di Parca) non ha nessuna freccia per colpire San Giuseppe. 14: ma lo conduce fuori dalla vita terrena un’estasi divina.
alcune poesie di ripano eupilino
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LI
Che val, ch’entro a’ gemmati aurei palagi, Per le splendide sale Uomo s’inoltre, E coperto di bisso, e d’aurea coltre Su le morbide piume il corpo adagi? Che val, ch’ognor fuggendo i rei disagi Viva contento a regia mensa, ed oltre Ad umano dever non mai si spoltre Dalla gola, e dal sonno empj, e malvagi? Se Morte alfin nel più bel corso arresta Ogni dolce piacer, volgendo i passi L’Alma verso Acheronte ignuda, e mesta?
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S S1 LI . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Riflessione sulla caducità e sulla conse-
guente inutilità delle ricchezze: ogni uomo, anche se trascorre la vita in mezzo agli agi, è destinato a morire. Tema ricorrente in Parini: cfr. l’inizio dell’ode La vita rustica. 1 gemmati aurei palagi: palazzi adornati di gemme e d’oro. 2 s’inoltre: cammini. 3 bisso: tessuto leggero e prezioso; in Parini lo stesso termine ricorre altre volte: «O pur d’oriental candido bisso / Voluminosa benda indi a te fasci / La snella gola» (Il Mattino 1074-1075) e «O pur con lieve / Bisso il madido fronte a lui tergendo» (Il Vespro 129-130). 5 rei disagi: scomodità; cfr. Luigi Tansillo: «e por gli affanni e i rei disagi in bando» (Canzoniere cccxviii.7). 7-8 non mai […] malvagi: non si liberi (si spoltre: smetta di poltrire) dai vizi della gola e della pigrizia. Il verbo “spoltrire” è usato nella forma riflessiva; si trova in Dante: «Omai convien che tu così ti spoltre» (Inf xxiv.46). 9-11: se la morte infine pone termine ad ogni piacere nel momento migliore, obbligando l’anima, triste e priva del corpo (ignuda), a incamminarsi verso l’oltretomba (qui indicato con metonimia da Acheronte, tradizionalmente considerato un fiume degli inferi)?
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giuseppe parini Ed ivi a pochi giorni in cener vassi Il cadaver superbo; e non ci resta Che l’onor vano degli scritti sassi?
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12-13 Ed ivi […] superbo: lì il corpo tanto superbo in poco tempo è ridotto in cenere. 13-14 e non […] sassi: e non rimane altro che l’inutile gloria delle iscrizioni funebri.
alcune poesie di ripano eupilino
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LII
Egli è pur vero, Elpin, ch’altra Donzella Vie più vaga di Nice Iddio far puote: Dunque perchè in lei posi, ed altre ignote Beltà non cerchi assai miglior di quella? E poichè vista, o nell’idea tua snella Donna pinto hai di più vermiglie gote, Di più begli occhi, e più soavi note Vuo’ tu dir, che costei sia la più bella? No certamente; che la man di Dio Non s’abbrevia giammai; e in infinito Meta non troveresti al tuo disio. Dunque s’esser non puote un bel compito, Di cui l’Alma gentil solo ha desio, In Dio lo cerca, ove ogni bel sta unito.
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S S1 LII . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Lirica morale e religiosa: rivolgendosi a un giovane di nome Elpino, innamorato di Nice al punto da non vedere la bellezza di altre donne, il poeta lo esorta a cercare la bellezza perfetta, che esiste soltanto in Dio. 1 Egli è: forma pleonastica: è. 1-2: è vero, Elpino, che Dio può creare un’altra fanciulla molto più bella di Nice. 3 in lei posi: ti dedichi soltanto a lei. 5-8: poiché hai visto o hai dipinto nella tua sbrigliata fantasia una donna con le guance più vermiglie, dagli occhi più belli e con la voce più dolce, vorresti dire che questa è la più bella? 10 Non s’abbrevia giammai: non si pone mai nessun limite. 10-11: e in infinito […] disio: non troveresti mai un limite al tuo desiderio (di bellezza). 12-13: quindi se non può esistere un bello perfetto (compito), del quale soltanto l’anima nobile ha desiderio. 14: cercalo in Dio, in cui risiede ogni bellezza.
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giuseppe parini
LIII
Qual fu? qual fu la scellerata mano, Che le sacre di Pindo alme parole Ardì di violare, e ’l dritto, e sano Pensier volgere in torte insulse fole? Chi fu colui, che ’l calamo profano Osò condurre in su l’elette, e sole Pure voci del bel fiume Toscano, D’onde tanto piacer scorrer ne suole? O Muse, voi, che le Sorelle audaci Cangiaste in piche, a che stavate intente, Quando costui venne a turbar vostr’acque? E tu Febo, il gran telo ove si giacque, Che le zanne confisse un dì mordaci Al figliuol della Terra empio Serpente? S S1 F
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p. 50
1 mano,] mano F 3 violare,] violare; F dritto,] dritto F 6 elette,] elette F 8 D’onde] Donde F 9 Muse] muse F 12 tu] tu, F 14 della] de la F LIII . Sonetto: ABAB ABAB CDE ECD. Polemica contro un oscuro verseggiatore. 2: che le parole sante e vivificatrici della poesia. 4 torte insulse fole: espressioni astruse senza senso. 5 calamo profano: penna profanatrice. 7 fiume: fluente loquela. 9 le Sorelle audaci: riferimento al mito secondo cui le figlie di Pierio, re della Tessaglia, sfidarono le Muse nel canto; dopo essere state sconfitte, furono trasformate in gazze (piche). Il mito è narrato da Ovidio (Metamorfosi v.294-678). 12-14: e tu Apollo (dio della poesia), dov’è il dardo con cui un giorno colpisti il serpente, figlio della Terra (riferimento al mito del serpente Pitone, nativo della dea Terra, che vicino a Delfi uccideva persone e animali; Apollo lo uccise a colpi di freccia).
alcune poesie di ripano eupilino
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LIV
Io son nato in Parnaso, e l’alme Suore Tutte furon presenti al nascer mio; E mi lavaro in quel famoso rio, Mercè solo del quale altri non muore. Però mi scalda sì divin furore, Sebben giovine d’anni ancor son’io, Che d’Icaro non temo il caso rio, Mentre compro co’ versi eterno onore. So, che turba di sciocchi invida, e bieca
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S S1 F p. 173 G p. 66 In G il sonetto è segnato da leggeri fregi verticali tracciati a penna. 1 Parnaso,] Parnaso; G 6 son’io] son io F G chi invida,] sciocchi, invida F G
7 rio,] rio F G
9 scioc-
LIV . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Parini proclama con fierezza la propria vocazione poetica. 1 alme Suore: sorelle che danno vita (alla poesia): sono le Muse; cfr. Giovan Battista Strozzi «suore alme» (Madrigali 74.13). 3: mi immersero nella celebre sorgente Castalia. Questa era una fonte che sgorgava dal Parnaso e che, secondo una tradizione degli antichi romani, era ispiratrice di poesia; nel mito Castalia era una ninfa, che venne trasformata in sorgente da Apollo. 4: grazie alla quale soltanto (la fonte Castalia) l’uomo (altri) diventa immortale (grazie alla forza eternatrice della poesia). 5: perciò talmente mi infiamma l’ispirazione poetica. 7: che non ho paura di subire il tragico destino di Icaro. Il poeta, cioè, non teme che volando troppo alto per seguire l’ispirazione, potrebbe causare la propria rovina, come nel caso del mitico Icaro: figlio di Dedalo, quando si innalzò in volo per fuggire dal labirinto di Creta con ali tenute insieme dalla cera, ebbe l’ardire di avvicinarsi troppo al sole; così il calore sciolse la cera delle ali e Icaro precipitò nel mar Jonio (cfr. Virgilio, Eneide v.588-591 e vi.23-33 e Servio, Commentarii ad Aen. vi ,14).
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giuseppe parini Ognor mi guarda, e con grida, e lamenti Sì bel valore a troppo ardir mi reca. Ma non perciò mio corso avvien, ch’allenti: Nè l’età verde alcun timor m’arreca; Ch’anco Alcide fanciul vinse i serpenti.
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10 guarda,] guarda; F G grida,] grida F G 12 avvien,] avvien F G ch’allenti] che allenti F G 13 m’arreca] mi arreca G 11: attribuisce alla presunzione il mio valore poetico. 12: ma non per questo sarebbe opportuno frenare il mio slancio. 14: perché anche Eracle (Alcide, perché discendente di Alceo, il padre di Anfitrione che era marito di Alcmena: Eracle era nato da Alcmena e Zeus) giovanissimo uccise i serpenti (che Giunone per gelosia aveva mandato nella sua culla).
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P O E S I E P I ACE VOL I
LV
Stava a l’ombra gentil di un gran cotale Col suo germano un badial . . . .: Costui contra ’l dover, contra ragione Pigliò briga con uno, e gli andò male. Perciò rivolto al suo fratel carnale, Con gran rispetto, e grande sommessione: Frate, disse, se m’hai compassione, Mi vendica d’un Uom così bestiale. Allor l’altro . . . . . mosso a pietate Del fratel, che moria, scese in arena, Invitando il nemico a pugnalate. Ma il poverin, che aveva poca lena Rimase vinto dalle gran stoccate, S S1 F X
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p. 193 p. 3
1 a l’ombra] all’ombra X 2 badial . . . .] badial C. . . X 3 Costui] Costui, F dover,] dover X 4 Pigliò] Piglio X uno,] uno X 5 Perciò] Perchè F carnale,] carnale F 6 rispetto,] rispetto F sommessione:] sommessione, F 7 compassione,] compassione F 8 Uom] uom F X 9 altro. . . . .] altro C. . . X 10 moria] morìa F 12 lena] lena, F LV . Sonetto caudato: A(B)BA ABBA CDC DCD dEE eF(F). Il poeta descrive
con espressioni popolaresche la vicenda di due stolti, indicati come fratelli, che senza alcun motivo si sono fatti uccidere. 1 cotale: un tale, con valore spregiativo; il termine è usato dai poeti burleschi anche per indicare il membro virile; la locuzione “un gran cotale” indica «uno che ha l’aria di credersi molto importante» (GDLI iii.915). 2 badial…: grosso…; il termine censurato è sostituito da punti di sospensione anche ai versi 9, 16, 20. 3: in modo irragionevole, per motivi risibili. 10 moria: moriva; scese in arena: si preparò a combattere (per vendicare il fratello moribondo). 13 stoccate: colpi di stocco (tipo di pugnale).
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giuseppe parini Che gli passavan fino per la stiena. La miserabil scena Vide il cotal dei due . . . . ., e disse: Ecco che ognun di voi morì qual visse. Indi s’un marmo scrisse: O sciocchi perchè entrare in tai quistioni, Sapendo, ch’eravate due . . . .?
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14 passavan] passaron F 16 due. . . . .] due C. . . X e disse:] e disse X 18 Indi] Indi, F s’un] su un F scrisse:] scrisse X 19 sciocchi] sciocchi, F quistioni,] quistioni X 20 Sapendo,] Sapendo F due. . . .] due C. . . X 14: che lo attraversarono fino alla schiena (stiena, forma toscana popolare). 17 qual visse: come è vissuto, ovvero da stolto.
alcune poesie di ripano eupilino
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LVI
Colui, che fece di grembiul grembiale, E di candide ancor sacrate ha fatto, Io mi vo’ torre, quand’e’ voglia, a patto Di mostrargli, ch’egli è un animale. Un animal, che tutto intende male, Anzi che intende quanto intende un matto, E di lingua non sa niente affatto, Bench’e’ faccia il saccente, e ’l ser cotale. Già sparso è già per Elicona il caso, E le Muse sdegnate in modo strano Voglion mostrargli dov’e’ metta il naso: E gli Scrittori del parlar Toscano L’aspettan sulla strada di Parnaso, Ciascun di loro colla frusta in mano;
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1 Colui,] Colui X grembiale,] grembiale X strargli,] mostrargli X ch’egli] che egli X In X le parole in corsivo sono sottolineate.
2 fatto,] fatto X
4 mo-
LVI . Sonetto caudato: ABBA ABBA CDC DCD dEE. Parini si scaglia contro un letterato pedante, che aveva corretto alcune sue liriche, sostituendo dei termini con altri ritenuti più letterari. Lo stesso tema ritorna nei sonetti lvii, lviii, lix e lx. 3: io voglio impegnarmi, qualora lui lo voglia. 8 ’l ser cotale: il sapientone (GDLI iii.915). 9: la notizia si è già diffusa nel mondo dei letterati (qui designato con Elicona, il monte della Beozia sacro al dio della poesia Apollo e alle Muse). 13: lo aspettano sulla strada della vera poesia (indicata con Parnaso).
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giuseppe parini E acciò non prenda invano Persone ad emendar di lui più pratiche, Voglion dargli un Cavallo in su le natiche.
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15-16: affinché non corregga inutilmente persone più esperte di lui. 17 dargli un Cavallo: locuzione utilizzata per indicare una punizione fisica: si ritrova in Pietro Aretino (Ragionamenti 47: «Mi condusse sempre percotendomi, al monastero, et in presenza di tutte le suore mi diede un cavallo»).
alcune poesie di ripano eupilino
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LVII
Su, Signor Correttore, in sul nasaccio Mettetevi l’occhial del Gallileo, E guardate un po’ quì questo libraccio, Se vi par, ch’e’ sia buono, o che sia reo. L’avete visto questo scartafaccio? Egli è, se nol sapete, il Galateo, Che può giovare al vostro cervellaccio, Quanto ad uno ammalato un buon cristeo. Su via studiate, ed imparate a mente! Studiatelo, vi dico, alla malora, Se voi bramate d’imparar niente. Orsù avete imparato? Oh ditemi ora Se un asino d’Arcadia onnipotente Può giudicar di voce alta, e canora. E poi mi dite ancora, Se un Correttor pedante, come vui, È incivile, ignorante, o ambidui.
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LVII . Sonetto caudato: ABAB ABAB CDC DCD dEE.
1 Signor Correttore: il letterato che ha corretto i versi di Parini. 2: utilizzate il microscopio (fabbricato da Galileo Galilei intorno al 1612). 5 scartafaccio: volume; cfr. Antonfrancesco Grazzini: «pongasi mente a ogni mio scartafaccio» (Rime burlesche. Sonetti lxxxiii.13). 6 Galateo: trattato sulle buone maniere composto da monsignor Giovanni Della Casa tra il 1551 e il 1555 (edito postumo nel 1558). 8 cristeo: clistere; cfr. Luigi Pulci (Morgante xxv.325 e Sonetti contro Matteo Franco xi.13) e il Burchiello (Rime lxxxvii.5). 13 un asino d’Arcadia: un ignorante che ha studiato soltanto le liriche degli Arcadi. 16 vui: voi. 17 ambidui: entrambi (ossia incivile e ignorante).
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giuseppe parini
LVIII
Portate in una madia la civaja Al nostro miccio, che ha ragliato bene, E dappoi gli montate in sulle stiene Voi altre mona Berta, e mona Baja. Fatelo correr su, e giù per l’aja, Frugandolo ben ben dietro alle rene: Crescetegli dell’acqua, e delle vene; E viva il nostro ciuco, e la ciucaja. Guata, com’egli al suon di que’ frugoni, Che gli passano insin drento al midollo, Sgambetta bene, e drizza gli orecchioni. Orsù fra tutte vel recate in collo, S S1 X
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LVIII . Sonetto caudato: ABBA ABBA CDC DCD dEE. Parini immagina le punizioni da somministrare a un asino, cioè a colui che si crede poeta senza averne le capacità. 1 madia: mobile a forma di cassa per impastare il pane: ricorre in Francesco Bracciolini (Sonetti a Lena iii.1-2: «Lena, quando talor nella pulita / Madia la molle pasta agiti, e muovi»); civaja: legumi secchi; si ritrova in Antonio Pucci (Proprietà di mercato vecchio 49-51: «Erbette forti da frittelle farne, / Recan con ceci e ogni altra civaia, / Ched in quel tempo s’usa di mangiarne»). 2 miccio: asino; si rinviene in Domenico Burchiello (Sonetti cxc.9-10: «Quando la sera ritornono e micci, / l’un l’altro in sulla schiena sì si morde») e in Giovan Battista Fagiuoli (Rime piacevoli i.127-129: «Chi pigliar da sé sol vuole ogn’impiccio / E solo vol mestare ogni faccenda, / L’ho per una gran testa, ma di miccio»). 3 sulle stiene: sulla schiena. 4 mona Berta, e mona Baia: il poeta usa in modo figurato le espressioni “dare la berta” e “dare la baia”, cioè schernire (Agnolo Bronzino, I Salterelli dell’Abbrucia viii.12: «converso il tutto in berta e ‘n baia»). 6: bastonandolo ben bene sulla schiena. 7: aumentate la razione dell’acqua e dell’avena. 8 ciucaja: razza di ciuchi. 9 Guata: guarda; frugoni: colpi. 10 insin drento: fin dentro. 12: sollevatelo tutte insieme.
alcune poesie di ripano eupilino E a suon di ribecacce, e pifferoni Conducetelo innanzi a mastro Apollo, Che gli vuol bene, e vuollo, Poich’egli è dotto, e così ben corregge, Addottorar nell’una, e l’altra Legge.
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13: al suono di ribeche (strumento a corde; ribeccacce ne è il peggiorativo) e di pifferi. 15 vuollo: lo vuole. 17: proclamare dottore sia in diritto civile sia in diritto canonico (nell’una, e l’altra Legge).
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giuseppe parini
LIX
Perchè sono un fanciullo, un garzoncello, Volete dir, ch’io sono un ignorante? Oh guata conseguenza da pedante, Che sopra la berretta abbia ’l cervello. Dove avete studiato? in un tinello? In una Galeazza di Levante, Voi, che fate di Pindo l’Amostante, E non ne siete pur Fante, o Bidello? Voi misurate a canna le persone: Se la barba per voi forma il sapiente, Chi sarà più sapiente d’un caprone? Io vi concedo, che non so niente; Ma benchè siate così gran barbone,
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S S1 F p. 54 X pp. 7-8 In S1 in alto a destra vi sono due brevi tratti a penna verticali tagliati da uno orizzontale. 1 garzoncello,] garzoncello X 2 dir,] dir F 3 pedante,] pedante F 4 abbia ’l] abbia il F 6 Galeazza] galeazza F Levante,] Levante F 7 Voi,] Voi F Amostante,] Amostante F 8 Fante,] fante F Bidello] bidello F 12 concedo,] concedo F 13 barbone,] barbone F LIX . Sonetto caudato: ABBA ABBA CDC DCD dEE eFF fGG gHH hII iLL.
1 garzoncello: ragazzo. 4: che io sia privo di ragione (espressione popolare). 5 tinello: stanza da pranzo, o piccolo contenitore per vino. 6 Galeazza di Levante: galea turca. 7: voi che vi comportate come il governatore (Amostante; si trova in Pulci, Morgante xv.8: «O amostante vile, superbo e sciocco») della poesia (Pindo). 8: e non ne siete nemmeno servitore (Fante) o custode. 9: voi giudicate le persone secondo l’apparenza.
alcune poesie di ripano eupilino Voi non siete alla fe, troppo valente. E benchè poi la Gente Vi stimi un bacalar di gran scienza Tra l’esser, e ’l parer c’è differenza. Direte: Conoscenza Non hai di me: ma piano andate adagio, Ch’anch’io so bene a quanti dì è San Biagio. Ma poich’io non ho agio, Non vo’ stare a dir cosa, che v’annoi; Che quel Prete il fè già ne’ versi suoi. O Nanni, io l’ho con voi: Che non credeste, che ’l mio gran furore Fosse tutto rivolto al Correttore. Voi siete il Protettore, Ch’avete tolto senz’ alcun motivo A difendere un bufol vero, e vivo. Or non abbiate a schivo, Ch’io v’abbia detto quel, che vi si deve. Qual’ asin dà in parete, tal riceve.
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14 fe,] fe F X troppo] troppo, X 15 Gente] gente F 16 scienza] scienza, F 17 esser,] essere F 19 piano] piano, F adagio] ad agio X 20 Ch’anch’io] Che anch’io F 22 cosa,] cosa F 23 Che] Chè F Prete] prete F fè] fe’ F 25 Che] Chè F che ’l] che il X 27 Protettore] protettore F 28 Ch’avete] Che avete F 29 vero,] vero F 30 schivo,] schivo X 31 quel,] quel F 32 Qual’asin] Qual asin X 14: voi davvero non avete molto giudizio. 16 un bacalar di gran scienza: un autorevole esperto; l’espressione si rinviene in Pulci (Morgante xxviii.46: «Vostri argumenti e vostri silogismi, / Tanti maestri, tanti bacalari, / Non faranno con loica o sofismi, / Ch’alfin sien dolci i miei lupini amari»). 20: espressione proverbiale per “conosco il fatto mio”. 23: quel prete lo ha già fatto nelle sue liriche (personaggio non identificabile). 24 Nanni: colui che ha difeso il correttore. 29 un bufol: un bestione. 30: non vi dia fastidio. 32: espressione proverbiale che indica che si riceve quello che si è dato; si trova nel Decameron di Boccaccio: «quale asino dà in parete, tal riceve» (ii.9.6) e si usa anche per «chi riceve un’adeguata vendetta per un’offesa fatta» (GDLI i.733).
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LX
Che si scortica l’Asino alla prova, Dice un proverbio, messer Nanni mio. Fin or credei, che in sen madonna Clio, E l’altre Muse vi covasser l’uova; Ma or m’avete dato una gran prova, Che voi siete un . . ., come son’ io; E sì vi giuro per lo vero Iddio, Che ben poco cervello in voi si trova. Poichè contra ogni legge, ogni ragione Pensier voi fate di patrocinare Questo vostro solenne animalone. Io vi consiglio a non ischiccherare Più ’l vostro scartabel per tal cagione, S S1 X
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pp. 8-9
2 proverbio,] proverbio X 13 cagione] ragione X
6 un . . .,] un C . . X
9 legge,] legge X
LX . Sonetto caudato: ABBA ABBA CDC DCD dEE eFF fGG (g)HH (h)II iLL lMM. Il poeta indirizza il componimento allo stesso personaggio del sonetto lix, Nanni, ammonendolo affinché non difenda più il pedante e non si intrometta nelle questioni poetiche. 1: espressione proverbiale per indicare che una persona si conosce davvero quando è messa alla prova (cfr. Matteo Bandello, Novelle iii.ii: «Colui che asino è e cervo esser si crede, al saltar del fosso se n’avvede»; si riscontra simile in Antonfrancesco Grazzini, Rime burlesche cxxi.15-17: «Chi non è liopardo, / o cervo alfine, e se lo pensa e crede, / al saltar della fossa se ne avvede»). 3-4: finora ho creduto che Clio (tradizionalmente, la musa della storia) e le altre Muse vi favorissero. 10-11: avete deciso di proteggere questo somaro (il correttore). 12 ischiccherare: scarabocchiare; nella stessa accezione si trova in Francesco Redi: «il mio Ippocrene […] si è secco affatto, ed in questa siccità non trovo più la via a schiccherare un verso» (Opere vii.75). 13 scartabel: taccuino; cfr. Pier Maria Cecchini: «far che la lezi sto scartabel» (L’amico tradito ii.viii).
alcune poesie di ripano eupilino Se non volete farvi cuculiare. Vi par da sopportare, Ch’altri su’ versi miei faccia del dotto, Senza farmene pure un picciol motto? E io dovrò star chiotto, Vedendo con maniera da pedante Lacerar le mie cose un ignorante? Questo di tante, e tante Rime, ch’ ho fatto per servir quel tristo, Io dico, questo guiderdone acquisto? O Cieli, o Santi, o C. . . . E dove mai si ritrovar tai leggi? E tu, Cielo il difendi, e tu ’l proteggi? O Dottor storcileggi . . . . Ma voi, ser Nanni, fate quel, ch’io dico; Non v’impacciate più pel vostro amico, Il qual non vale un fico. Nè vi movete più a nostro danno, Se non volete aver qualche malanno: Imperocchè quest’anno, A dirla chiaramente quì tra noi, È un anno climaterico per voi.
18 E io] Ed io X
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24 o C . . . .] o Cr. . X
14: se non volete farvi prendere in giro. 16-17: che un altro faccia il sapientone sulle mie poesie, senza nemmeno dirmelo. 18 star chiotto: stare zitto; cfr. Ludovico Leporeo: «attento e chiotto» (Leporeambi 94.10). 21-22: delle tante liriche che ho composto per ubbidire a quell’ingrato. 23 questo guiderdone acquisto: ottengo questa ricompensa. 27 O Dottor storcileggi: tu che interpreti le leggi in modo scorretto. 31: non fate più niente contro di me. 33 Imperocchè: poiché. 35 climaterico: infelice: si trova, tra gli altri, in Alessandro Tassoni (Dieci libri di pensieri diversi. v.v: «Climaterico significa pericoloso, ed è voce tolta da’ Caldei, che chiamano Climateras i pericoli della vita, e della roba»).
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LXI
Nencia, ti mando questo mio Sonetto, Per narrarti uno strano pensieraccio, Che m’è venuto d’impiccarmi a un laccio, Per amor dell’amore maladetto. Io te lo dico spiattellato, e schietto: Se non mi togli fuor di quest’ impaccio, Dentro un calappio la mia testa caccio, E ti fo quel bel giuoco netto netto. Gnaffe tel dico ve’, Nencia, e tu ’l sai: Mentre son vivo non vuoi farmi lieto, E dopo morte tu mi cercherai. Ma s’io tiro alla fin l’ultimo peto, Non varratti il picchiare, oppur potrai Picchiarmi allora all’usciolin di dreto. S S1 X
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1 Sonetto,] Sonetto X LXI . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. È il primo di tre sonetti rivolti a Nencia,
figura femminile il cui nome è ispirato a La Nencia da Barberino di Lorenzo de’ Medici. Parini offre una vivace e popolareggiante caricatura delle dichiarazioni di un contadino alla donna amata; per il particolare taglio scherzoso, la lirica richiama alcune rime del Berni (cfr. Rime lxxii Capitolo secondo alla sua innamorata). 5: ti parlo apertamente. 7 calappio: cappio; cfr. Lorenzo de’ Medici (Uccellagione di starne 24). 8: ti faccio lo scherzo di ammazzarmi. 9 Gnaffe: davvero, in fede mia (antica interiezione toscana); tel: te lo; ve’: vedi. 12: ma se alla fine muoio; grottescamente tira l’ultimo respiro non dalla bocca. 13 Non varratti: non ti basterà.
alcune poesie di ripano eupilino
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LXII
Nencia, te l’ho pur detto cento volte; Nol vo’ veder quel gaveggin di Beco: Gnen’ho pur date delle busse molte, Eppur vol far del cascamorto teco. Che sì, che s’io mi stizzo un giorno seco, Alle guagnel che gli fo dar le volte Con quel buon bacchio, che di notte reco: E dì, che gli sien poi dal Papa tolte. Sai pur, che s’io mi ficco un capricciaccio, Non mi va fuora della testa piùe: L’ha’ tu ben visto il dì di Berlingaccio, Quand’io fei tanto piato con quel bue S S1 X
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5 seco,] seco X LXII . Sonetto: ABAB BABA CDC DCD.
2: non voglio vedere quel vagheggino di Domenico (qui indicato col diminutivo popolare Beco). 3-4: anche se l’ho picchiato molte volte, continua a volerti corteggiare. 5: al punto che se un giorno perderò la pazienza. 6 Alle guagnel: alle guagnele; antica espressione toscana per dire “per il Vangelo” (guagnele è storpiamento di vangelia); si rinviene in Cecco Angiolieri (Rime xxxii.1: «Se Die m’aiuti, a le sante guagnele») e in Boccaccio (Decameron vi.6.8: «Alle guagnele non fo, anzi mi dico il vero»); gli fo dar le volte: gli faccio voltare la schiena (lo faccio scappare). 7 bacchio: bastone (Pulci, Morgante v.49: «pure attende a scaricare il bacchio»). 11 Berlingaccio: giovedì grasso, ultimo giovedì di carnevale (GDLI ii.185). 12 tanto piato: grave alterco, forte vocio di litigio (Boiardo, Orlando innamorato i.i.84: «Veggendo i duo baroni a cotal piato, / Tra lor con parlar dolce se mettia»; Parini, Il Mattino 749-750: «D’orribil piato risonar s’udìo / Già la corte d’Amore»).
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giuseppe parini In casa tuo cugino Menicaccio: Dì, allor chi corse meglio di noi due? 13 In casa tuo: in casa di tuo.
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alcune poesie di ripano eupilino
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LXIII
Io, Nencia, sono stat’ieri a Fiorenza, E t’ho comprato un bel gammurrin bianco; E se tu arai un po’ di pazienza, Un gonnellino i’ vo’ comprartel’anco. Omai di crazie son rimasto senza; Perciocch’io compro, e pago come un banco; Ma ho nascosto uno stajo di semenza, E quattro lire chiapperolle almanco. Per San Giovanni adunque il gonnellino Tu l’averai indosso senza fallo, Che tu proprio parrai un angiolino. Ma ricordati ve’ di conservallo Per la memoria del tuo gaveggino, Che ti vuol bene al corpo di cristallo. S S1 X
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1 ieri] jeri X
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LXIII . Sonetto: ABAB ABAB CDC DCD.
2 gammurrin: camicetta o giubbetto, allacciato in vita: si rinviene ad esempio in Agnolo Firenzuola (Rime burlesche e satiriche iii.52-53: «Il resto ch’ella tien poi rimpiattato / Sotto la coppa, o sotto il gamurrino»). 5 crazie: monete toscane d’argento. 6: poiché acquisto e pago in contanti (come un banco). 7 stajo: unità di misura. 9 Per San Giovanni: per la festa di San Giovanni (patrono di Firenze; la festività ricorre il 24 giugno). 10: lo indosserai sicuramente. 13 gaveggino: vagheggino, corteggiatore; cfr. Michelangelo Buonarroti il giovane: «E s’io son bella, io son bella per mene, / Nè mi curo d’aver de’ gaveggini» (La Tancia i.iv.1-2); Luigi Pulci: «Tu vuoi sempre di drieto e gaveggini» e «Quest’altri gaveggini stanno in bilico / per farti serenata a mio dispetto» (La Beca xx e xxii). 14 al corpo di cristallo: esclamazione in cui, per rispetto, si modifica il nome “Cristo”.
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giuseppe parini
LXIV
Ah, Tofan, quella Gora, quella Gora Tu non la vuo’ lasciare sguajataccio: Che sì, che s’io l’affilo un coltellaccio, Quell’animaccia te la cavo fuora! Oh che tu poss’andare alla malora! Che diacin ha’ tu seco, impiccataccio? S’io ti sbarro uno schioppo nel mostaccio, Che sì che le starai lontano allora? Io vo’, che tu la lasci pe’ suo’ fatti, Se no le voglion essere percosse: E sarem sempre come cani, e gatti. Fa, ch’io ti vegga; che ti rompo l’osse Con un baston, ch’alle spalle s’addatti; Ch’io non posso più star saldo alle mosse. E benchè il Duca fosse,
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1 Ah,] Ah X 3 sì] si X l’affilo] t’affilo X ston,] baston X ch’alle] che alle X
9 Io vo’] Io vuo’ X
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LXIV . Sonetto caudato: ABBA ABBA CDC DCD dEE. Scherzi e minacce verso Tofan affinché lasci stare Gora. 1 Tofan: forma abbreviata di Cristofano; Gora: femminile di Goro (forma toscana popolare per Gregorio). 4 te la cavo fuora: te la strappo (ti uccido). 6: che diamine hai con lei (seco), tu che sei degno di essere impiccato. 7 sbarro uno schioppo: sparo uno schioppettata; mostaccio: espressione dispregiativa per indicare il viso: si trova in Berni (Rime vii.107-108: «voi sol voleste passar Vienna, / voi sol de’ turchi vedeste i mostacci»). 14: che io non posso più stare fermo (le mosse indicano il punto di partenza delle gare di velocità). 15: se anche fosse un duca.
alcune poesie di ripano eupilino Quando mi salta ve’ il moscherino, Lo vorrei sbusecchiar per un quattrino.
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17 sbusecchiar] sbuseccar X 16: qualora mi saltasse la mosca al naso. 17 sbusecchiar: iperbole per sbudellare (GDLI xvii.720); espressione del dialetto milanese: “sbuseccà”, cioè togliere la busecca, il budello utilizzato per insaccare la carne, oppure la trippa.
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giuseppe parini
LXV
O Anima bizzarra del Burchiello, Che componesti tante belle cose; Sicchè s’odono ancora in versi, e in prose L’eccelse lodi del tuo gran cervello, Deh volgi da quel seggio aurato, e bello, Ove siedi coll’altre alme famose, Volgi, dico, le due luci amorose A questo nostro Poeta novello. Guatalo bene; e quando che la zanna Della Morte il rapisca al vulgo ignaro, Gli darai la man ritta in sulla scranna. O per mostrare a certe genti strambe Quanto lo stimi, e quanto l’abbi caro, Ti starà bene in mezzo delle gambe. S S1 X
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1 Anima] anima X
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LXV . Sonetto: ABBA ABBA CDC EDE. Destinatario dei versi è il poeta fioren-
tino Domenico di Giovanni, soprannominato il Burchiello (1404-1449), noto per le liriche bizzarre e per la singolare difficoltà del linguaggio. Parini, emulandone i modi, gli chiede di giudicare un giovane poeta considerato di poco valore. 3-4: tanto che si possono ancora sentire lodi in onore della tua abilità poetica. 5 seggio aurato: trono dorato (in Parnaso). 7 luci amorose: sguardo benevolo. 9 Guatalo: osservalo. 9-10 e quando […] ignaro: e quando la morte lo rapirà al popolo ignaro (per non essersi accorto del suo valore); sono utilizzate espressioni singolari ed esagerate, come zanna / Della Morte e vulgo ignaro, usate in senso fortemente ironico. 11: gli darai il posto alla tua destra (anche questo in senso ironico). 12 genti strambe: persone di scarso giudizio; trattasi degli estimatori del poetastro. 14: lo metterai in mezzo alle gambe; espressione salacemente allusiva.
alcune poesie di ripano eupilino
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LXVI
Se costui fosse nato allor che i Vati Si stavan spidocchiando al sollione, Aremmo visto tutte le persone A fargli degli onori sterminati: E visto arebbon certi sciagurati, Che finor lo stimarono un babbione, A mezzo giorno, ed a settentrione Andar la fama de’ suoi versi ornati. Il meno onore, che gli avesson fatto, Sarebbe stato il metterlo a cavallo D’un Liofante grosso tanto fatto; E giunto in Campidoglio coronallo, Gridando il popolazzo allegro, e matto: Ecco il novo Poeta Baraballo. S S1 X
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5 sciagurati,] sciaurati X
9 onore,] onore X
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LXVI . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD. Scherzi e beffardo trionfo per un verseggiatore. 6: che finora lo hanno considerato uno stupido. 7-8: la fama dei suoi versi preziosi estendersi verso sud e verso nord (in ogni direzione). 9 avesson: avrebbero. 11: di un enorme elefante. 14: il riferimento è a Gaetano Baraballo. Questi, soprannominato abate di Gaeta, era un pazzo a cui i romani nel settembre del 1514 offrirono per scherzo il trionfo. Baraballo fu condotto fino al Campidoglio su un elefante che si imbizzarrì: non potè così ricevere la corona di bietole e foglie di cavoli preparata per lui. Questo episodio è tramandato dalla Vita di Leone X composta da Paolo Giovio e viene ricordato anche nell’Asino di Niccolò Machiavelli (vi. 109-133).
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giuseppe parini
LXVII
Ho visto i geroglifici d’Egitto, E la Sfinge, e l’Arsmagna, ed il Caosse, Che tutt’infuriati in un conflitto Si davan delle sudice percosse. Chi sosteneva, che ’l presente scritto Contien drento i giudizj di Minosse, E chi diceva, che propio descritto Il lapis filosofico ci fosse. Facevano un romore, un chiasso, un frullo, Battendosi gli scudi, e le loriche, S S1 X
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7 propio] proprio X
8 ci] vi X
9 romore] rumore X
LXVII . Sonetto caudato: ABAB ABAB CDC DCD dEE eFF fGG gHH hII. Iro-
nica satira indirizzata a chi ritiene con presunzione di essere sapiente. Per raggiungere lo scopo, Parini utilizza la figura retorica della personificazione: ognuno dei libri citati nel sonetto vanta il proprio valore, giudicandolo superiore a quello degli altri. 2 la Sfinge: simbolo di ciò che è misterioso e che impedisce ai profani di conoscere il vero; l’Arsmagna: riferimento all’Ars magna (1273), opera del filosofo Raimondo Lullo; il Caosse: il Caos; il riferimento è al titolo di varie opere di età rinascimentale (Teofilo Folengo, Il Caos del Triperuno). 4: erano in grave conflitto. 5 Chi sosteneva, che ’l presente scritto: ciascuno dei libri sosteneva che il proprio testo. 6 i giudizj di Minosse: nella mitologia il re di Creta che, negli inferi, diventa il giudice delle anime. 8 lapis filosofico: pietra filosofale: nell’antichità era ricercata dagli alchimisti, poiché si riteneva che avesse la proprietà di trasformare in oro qualunque materiale. 9 frullo: «Rumore simile a un fruscìo o a un sibilo prolungato» (GDLI vi.399). 10 loriche: corazze; cfr. Tasso: «di loriche / e d’elmetti e di scudi eran coperti» (Gerusalemme liberata ix.89).
alcune poesie di ripano eupilino Ch’egli era proprio a vedergli un trastullo. A soccorrere ognun le parti amiche Son corsi i libri di Raimondo Lullo, E le iscrizioni, e le medaglie antiche. Colle sciocche, e mendiche Carte di tai, che l’antiquario fanno, E interpretan le cose, che non sanno. E armate ancor vi vanno Tutte unite le Mummie in un Museo, E la Romana guglia, e ’l culiseo Con dietro un gran corteo Di tumoli, obelischi, archi, e colonne, E simulacri d’Uomini, e di donne, Coll’armi, e colle gonne. Ma poichè disputato ebbono un pezzo, Non trovando a capir nè via nè mezzo Conchiusono al da sezzo; Ch’è d’uopo per capire opra sì bella, Che cavinsi all’Autore le cervella. 14 antiche.] antiche X 15 sciocche,] sciocche X 23 Uomini] uomini X donne,] donne X
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22 tumoli] tumuli X
13 Raimondo Lullo: filosofo e teologo catalano (1233/35-1315). 15-17: insieme a quegli inutili scritti di cui si occupano gli antiquari e che vogliono spiegare ciò che ignorano. 19: il verso allude probabilmente alle mummie raccolte da Frederik Ruysch, medico e anatomista olandese vissuto dal 1638 al 1731, scopritore di un metodo per la conservazione dei cadaveri. 20 Romana guglia: l’obelisco di piazza San Pietro a Roma; culiseo: Colosseo. 23 simulacri: statue. 27 al da sezzo: infine (Dante, Inf vii.130: «Venimmo al piè d’una torre al da sezzo»). 28: che è utile, per capire un’opera così bella.
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giuseppe parini
LXVIII
Ti sono schiavo, ti son servitore, Cecco, che se’ ’l mio bene solo solo. Deh lascial ir quel ragazzo d’Amore; Ch’Egli è una forca, ch’egli è un mariuolo. I’ te lo dico ve’ proprio col core; Tu vai pel bucolin dell’acquajuolo; E alle guagnele ch’i’ ho un gran timore, Che tu non tiri alfine anche l’ajuolo. Uh tristo me, se steso in sul cassone, Belle, e tirate, ahi poverin, le cuoja Avessi un dì a veder, il mio Ceccone; E scritto sopra per maggior mia noja: Quì giace un tale, che morì poltrone, Come i gatti per fregola, e per foja.
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S S1 X p. 17 In S1 al v. 9 “te steso” è corretto a matita in “se steso”, secondo l’errata corrige; in X rimane “te steso”. 4 Egli] egli X
mariuolo.] mariuolo X
7 ch’i’] ch’io’ X
LXVIII . Sonetto: ABAB ABAB CDC DCD. Come nei due sonetti successivi, Parini si rivolge a Ceccone; con tono scherzoso lo esorta a non disperarsi per Amore. 4: è un soggetto degno di essere impiccato, un delinquente. 6: tu ti struggi. Parini utilizza un’espressione toscana, “andarsene per il buco dell’acquaio”. 8: che tu alla fine muoia. L’ajuolo è un tipo di rete, utilizzata per catturare gli uccelli. 9 cassone: «Urna o arca sepolcrale» (GDLI ii.851): in questa accezione si trova in Benvenuto Cellini (La Vita i.xi: «Standomi in Pisa andai a vedere il Campo Santo, et quivi trovai molte belle anticaglie: cioè cassoni di marmo»). 13 poltrone: come una persona di poco valore. 14 foja: eccitazione; cfr. Bernardo Giambullari: «Questa tanta foia / non se la caverà al suo piacere» (Novella del grasso legnaiuolo xlviii).
alcune poesie di ripano eupilino
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LXIX
Ch’io possa diventare una ghiandaja, Ovvero un barbajanni, o un alocco, S’io sono un’altra volta sì balocco, Da star tanto menando il can per l’aja. La prima occasion, che buona paja Dimmi un furbo, Ser Cecco, e uno scrocco, S’io non carico l’arco, e non iscocco, E non do dentro alla pietra focaja. Non v’ha a esser più ragion nessuna; Ch’i’ non vo’ sentir altro brulichio, Che mi frughi pel ventre in su, e in giùe. L’occasion è come la fortuna. Se nolla chiappi in men che nol dich’io, Tu puoi ben correr, nolla grappi piùe. S S1 X
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3 un’altra] un altra X
9 nessuna] nessuno X
12 occasion] Occasion X
LXIX . Sonetto: ABBA ABBA CDE CDE.
1-2: che io possa trasformarmi in ghiandaia, barbagianni o allocco. 3-4: se un’altra volta sarò così stolto (balocco) da perder tempo inutilmente. 6 scrocco: scroccone, imbroglione. 7-8: espressioni che alludono alla consumazione dell’atto amoroso. 10-11: non voglio sentire il brontolio di un disturbo intestinale. 14 nolla grappi piùe: non la afferri più.
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giuseppe parini
LXX
Voi avete a saper, buone persone, Come il nostro Ser Cecco è innamorato, Io dico il nostro Ser Cecco Ceccone; Doh pover’uomo! ch’egli è un peccato. Egli è venuto maghero, e spolpato, Che gli traluce il fegato, e ’l polmone, E se gli vede andar per ogni lato Tututto il budellame a processione. E caccia fuor quegli occhi, e fa una cera; Ch’e’ par, ch’egli abbia visto Satanasso, E l’Orco, e la Beffana, e la Versiera: E va gridando in istrada: Oimè lasso! Come fece il Petrarca quella sera, O mattina, ch’e’ fu tratto in conquasso: Perocchè giunto al passo U’ quel furbo d’Amor tendeva il laccio S S1 X
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1 saper,] saper X mè] oimè X
persone,] persone X
5 spolpato,] spolpato X
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LXX . Sonetto caudato: ABAB BABA CDC DCD dEE eFF fGG gHH. Ispirandosi al modello di Francesco Berni e contrapponendosi a quello petrarchesco, Parini descrive le conseguenze dell’amore, accentuandone gli aspetti grotteschi e ridicoli. 5 maghero, e spolpato: magro e scheletrico. 6 che gli traluce: al punto che in trasparenza gli si vedono. 8 Tututto il budellame: davvero (tutto tutto) gli organi interni. 9 fa una cera: atteggia il viso. 10 Satanasso: il diavolo. 11 la Beffana, e la Versiera: la befana e una strega (o uno spirito infernale). 13-14: scherzoso riferimento al giorno in cui Petrarca si innamorò di Laura, il Venerdì Santo del 1327, come narrato nel sonetto Era il giorno ch’al sol si scoloraro (RVF iii). 14 fu tratto in conquasso: fu sconquassato. 16 U’: dove; tendeva il laccio: tendeva una trappola.
alcune poesie di ripano eupilino Fu preso come un merlo il Cristianaccio. Io dico: avaccio avaccio Noi vedremo ser Cecco ad ammalare, E non poter nè bere, nè mangiare, E le calze tirare; Perocchè Amor gli ha fatto una ferita, Ch’è larga almeno quattro, o cinque dita; Onde d’aver più vita Non ci sperare più, ser Cecco mio, Se non per un miracolo di Dio.
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17 il Cristianaccio: il poveraccio. 18 avaccio avaccio: molto presto; si riscontra frequentemente nella letteratura, da Dante (Inf xxxiii.106-107: «Avaccio sarai dove / di ciò ti farà l’occhio la risposta») a Pietro Bembo (Prose della volgar lingua ii.xxi.13: «E questa è Avaccio; che si dice in vece di Tosto»), al Burchiello (Rime lxi.5-6: «Dicono il mattutino avaccio, avaccio / Senza tonaca, o cotta, o piviale»). 21 le calze tirare: morire (GDLI ii.563); cfr. Anton Francesco Doni: «L’avaro non fa mai migliore opera che quando e’ tira le calze» (La Zucca. Cicalamento xxiii ); Cesare Caporali: «le Parche scapigliate, e scalze / Son giunte a quelle camere a terreno, / U’ Mecenate vuol tirar le calze» (Vita di Mecenate x.397-399). 22 Perocchè: poiché.
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LXXI
In man d’Essecutori, e di Notai, Che vuol dir di guidoni, e di furfanti, Io son ridotto a tale stato omai, Ch’io non confido più nè in Dio, nè in Santi. Non so di qual Religion sien mai, Se Turchi, Ebrei, Gentili, o Protestanti: Ma mi fo a creder, che questi cotai Sien’ affatto Ateisti tutti quanti. O che bestie, o che bestie son per Dio! E’ voglion pur del sangue mio cibarsi, E dicon, ch’egli è lor quello, ch’è mio. Voi Principi, cui dato a governarsi S S1 F X
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p. 198 pp. 19-20
1 Essecutori,] Esecutori F 2 guidoni,] guidoni F 4 Dio,] Dio F 5 Religion] religion F mai,] mai X 7 creder,] creder F 8 Sien’affatto] Sieno affatto F 10 cibarsi,] cibarsi; F 11 quello,] quello F 12 Principi,] Principi X LXXI . Sonetto: ABAB ABAB CDC DCD. Invettiva contro i notai e gli esecutori
testamentari, che Parini accusa di essere imbroglioni. Forse il sonetto fu composto in occasione della lunga causa che vide il poeta impegnato nell’ottenere il lascito a lui destinato dalla prozia e che si concluse nel 1753. 1 Essecutori: esecutori testamentari. 2 guidoni: imbroglioni; si riscontra in Gabriello Chiabrera (Sermoni vii.11: «qual sia guidon di rugginosa spada») e in Lorenzo Lippi (Il Malmantile racquistato i.65: «Un certo diavol d’una Mona Cionca, / Figliuola d’un guidone ignudo, e scalzo»). 6 Turchi: musulmani; Gentili: pagani. 8 affatto Ateisti: del tutto atei. 10 E’: essi. 11: dicono che appartiene a loro ciò che è mio. 12 Voi Principi: voi governanti. Parini si appella alle autorità, che hanno ricevuto da Dio il loro potere, affinché perseguano le persone che lo vogliono imbrogliare, asserendo che sono proprio loro i veri ladri da condannare.
alcune poesie di ripano eupilino Fu ’l Mondo da Messer Domeneddio, Son questi, questi i ladri da impiccarsi. 13 Mondo] mondo F
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LXXII
Da un tal, che pare una Mummia d’Egitto, Ma più fiero dei Draghi, e i Cocodrilli, Che va via per istrada ritto ritto, Sicchè pare appuntato cogli spilli, Deh guardatevi, o Genti, che ’l suo vitto È di quel dei Legati, e de’ Pupilli; E non va poi nell’operar sì dritto, Ma è pien di invenzioni, e di cavilli. Ei non istima coscienza un’acca, E pur ch’egli arricchisca la sua schiatta, Cerca render l’altrui povera, e fiacca. Ei mi s’appicca come una mignatta,
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S S1 F p. 49 G p. 86 X pp. 20-21 In S1 in alto a sinistra vi sono due tratti verticali a penna tagliati da due orizzontali. In G c’è un frego verticale a penna. 1 Mummia] mummia F G Egitto,] Egitto F 2 dei Draghi, e i Cocodrilli,] de’ draghi e cocodrilli; F G Draghi X 3 ritto,] ritto F G 4 Sicchè] Sì, che F G spilli,] spilli; F 5 guardatevi,] guardatevi F G Genti,] genti; F Genti; G che] chè G 6 dei] de’F Legati,] Legati F G Pupilli] pupilli F G 8 di invenzioni,] d’invenzioni F G 9 un’acca,] un’acca; F G un acca X 10 schiatta,] schiatta X 11 povera,] povera F G LXXII . Sonetto caudato: ABAB ABAB CDC DCD dEE eFF.
1: da uno rinsecchito come una mummia. 2 Cocodrilli: coccodrilli. vv. 5-6: fate attenzione, poiché il suo nutrimento è sfruttare i legati testamentari e i pupilli (a lui affidati). 12 mignatta: sanguisuga: «appiccossi come una mignatta» (Luigi Pulci, Il Morgante xxv.4); in senso figurato indica un usuraio, come spiegato da Lorenzo Lippi: «Diciamo Mignatta, o Mignella a uno, che è stretto del suo, e volentieri pigli di quello d’altri» (Note al Malmantile vi.58).
alcune poesie di ripano eupilino E dal mio sangue mai non si distacca, S’io v’adoprassi l’ugne d’una gatta. Per me la cosa è fatta. Se mai non viene un Diavol, che lo grappe Dirittamente in mezzo delle chiappe; Sicch’Egli non iscappe, E dar gli faccia un maladetto crollo, Finchè si rompa un dì l’osso del collo.
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12 mignatta,] mignatta F G 15 fatta.] fatta; F G 16 Diavol,] diavol F Diavol G 17 chiappe;] chiappe F G 18 Sicch’Egli] Sì, ch’egli F G iscappe,] iscappe; F G 14: se anche provassi a staccarlo con le unghie di una gatta. 16 che lo grappe: che lo afferri. 18: cosicché non possa scappare. 19: e lo faccia cadere.
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O Fortuna, Fortuna crudelaccia, Che se’ fatta per mia disperazione; Fortuna non più nò, ma Fortunaccia, Ha a durare un pezzo sta Canzone? Vogliam finirla, e volger quella faccia Un poco ancora alle buone persone? Che sì che mi daresti roba a braccia, S’io t’avessi la ciera d’un briccone? S’io fossi, verbigrazia, una puttana, O un castrato, o una cantatrice, O un bel marmocchio, ovvero una ruffiana? Allora sì diventerei felice: Ma perchè osservo la legge Cristiana, Ognun mi scaccia, ognun mi maladice, E son sempre infelice. Ma vivrò, sguajataccia, al tuo dispetto; S S1 X
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1 crudelaccia,] crudelaccia X 4 a durare] da durare X 8 ciera] cera X 9 fossi,] fossi X puttana,] puttana X 10 cantatrice,] cantatrice X 13 perchè] perche X 14 maladice,] maledice X 16 sguajataccia,] sguajataccia X al] a X LXXIII . Sonetto caudato: ABAB ABAB CDC DCD dEE eFF. Invettiva nei confronti della sorte, che non vuole arridere al poeta. Il registro linguistico è basso, per enfatizzare il tono aggressivo del discorso. 4: questa situazione deve durare ancora per molto? 7-8: mi favoriresti in abbondanza (a braccia), se io avessi l’aspetto (ciera) di un furfante? 9 verbigrazia: ad esempio. 10 un castrato: un cantante evirato; cantatrice: cantante. 11 un bel marmocchio: un bel giovane; in questo contesto, l’espressione assume il significato di ragazzo equivoco.
alcune poesie di ripano eupilino E se ti grappo un dì per quel ciuffetto, Te lo strappo di netto: Sicchè i ragazzi a vederti sì bella, T’abbian’ a gridar dietro: Vella, vella. 19 bella,] bella X 17: se ti afferro per il ciuffo. 20 Vella: vedila, guardala.
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Molti somari ho scritto in una lista, Che pretendon saper di Poesia, E ne san tanto quanto un Ateista Ne può sapere di Teologia. Se t’incontran talotta per la via, Tosto di non vederti fanno vista; Eppur se chiedi lor, Dante chi sia? Dicon, che Dante gli era un Secentista. Ti citano il rimario del Ruscelli, Come farebbe un Turco l’Alcorano, E ne san quanto i gufi, e i falimbelli.
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S S1 F p. 197 G p. 82 X p. 22 In G il componimento è segnato da un frego verticale a penna. 1 lista,] lista F G 2 Poesia] Poesìa F G 3 tanto] tanto, F G 4 Teologia] Teologìa F G 7 sia?] sia, G 8 Dicon,] Dicon F G Secentista] secentista F G 9 Ruscelli,] Ruscelli F G 11 gufi,] gufi F G LXXIV . Sonetto caudato: ABAB BABA CDC DCD dEE eFF. Parini denuncia coloro che, senza essere tali, pretendono di definirsi poeti; il tono è scherzoso, ma la lirica è un’implicita rivendicazione, da parte dell’autore, di essere un vero poeta. 1-2: ho scritto un elenco di molti ignoranti, che hanno la pretesa di essere poeti. 3 Ateista: ateo. 5 talotta: talora. 9-10: sanno citare il rimario del Ruscelli, come un musulmano saprebbe citare il Corano (Alcorano). Parini si riferisce al trattato Del modo di comporre in versi nella lingua italiana (1559) del viterbese Girolamo Ruscelli (nato intorno al 1504, morto a Venezia nel 1566): l’opera era infatti corredata da un rimario. 11 falimbelli: tipo di uccelli; il termine si usa per indicare una persona fatua, leggera: si trova un riscontro in Tassoni: «zerbin de la contrada e falimbello» (La secchia rapita iii.40).
alcune poesie di ripano eupilino E se ti leggon un Sonetto strano, Si van ringalluzzando, e si fan belli, E dicon, ch’è di stile alto, e sovrano. Or questa lista in mano Io dotti, o Nume, che in Parnaso imperi; Acciocchè gli conoschi questi Seri Fuor dei Poeti veri; E tu, Pegaso, se ti montan suso, Rompi pur loro con un calcio il muso.
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12 strano,] strano X 13 ringalluzzando,] ringalluzzando F G 14 dicon,] dicon F G alto,] alto F G 16 dotti,] dotti F Nume,] Nume F G imperi;] imperi, F G 17 gli] li F G 18 dei] de’ F G dai X veri;] veri: F G 19 tu,] tu X 13 Si van ringalluzzando: si esaltano. 16: ti do (dotti), Apollo (in Parnaso imperi: tu che governi il regno della poesia). 17: affinché tu conosca questi messeri (Seri). 18: distinguendoli dai veri poeti. 19-20: Pegaso, se vogliono montarti sopra, rompi i loro musi con un calcio. Nel mito Pegaso era il cavallo alato che, con un calcio, aveva fatto scaturire la fonte Ippocrene, sorgente della poesia.
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giuseppe parini
LXXV
M’ha invitato a ballar jeri Ser Nanni In cima quattro scale sott’ un tetto. Dall’una banda era appoggiato un letto, E dall’altra un armadio con tre scanni. Da un’altra parte v’erano de’ panni Sur un appiccatojo, e a dirimpetto Il focolar, la pentola, il soffietto, Le stoviglie, e uno spiedo, che ti scanni. In un cantuccio v’erano de’ piatti Posti s’un acquajuol mezzo distrutto, Uno sgabello, e due cenci disfatti. Del resto v’era luogo dappertutto Di saltare in un mucchio come i gatti, V’era ’l bisogno, vi mancava tutto. I Sonatori a lutto Suonavan una razza di Strumenti, Che ti metteva i brividi ne’ denti. Ambidue gli occhi spenti Aveva l’uno, e l’altro era storpiato,
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S S1 X pp. 23-24 In S1 al v. 41 “Facevan” è corretto a matita secondo l’errata corrige in “Facean”. LXXV . Sonetto caudato: ABBA ABBA CDC DCD dEE eFF fGG gHH hII iLL
lMM mNN nOO oPP. In forma grottescamente realistica, il poeta descrive l’ambiente particolare in cui si è svolto un ballo cui era stato invitato: i personaggi sono rappresentati con toni vivaci e caricaturali. 3 banda: parte. 4 scanni: sedili. 6 appiccatojo: attaccapanni. 7 soffietto: mantice per ravvivare il fuoco. 10 acquajuol: acquaio. 11 cenci disfatti: stracci. 12: vi era spazio ovunque. 15: i musicisti vestiti di scuro. 17: che facevano stridere i denti.
alcune poesie di ripano eupilino E un, che come un ladro era stracciato Ci vedea sol da un lato. Le sonate, ch’avean in mente fitte, Eran di quelle, che facea Davitte. Stavano ritte ritte In sulle panche che parean steccate Certe brutte fanciulle indiavolate. Eran tutte malate: Chi aveva ’l caca sangue, e chi la tosse, Chi non cacava, e chi avea le mosse; E la meno, che fosse, Avea la rogna, aveva il mal franzese, E ’l benefizio non avea del mese. Un scopator di Chiese, Un beccamorto, un zaffo, un ciabbattino, Un gabelliere, un lanzo, ed un facchino, Ed anche un cherichino, Di que’, che in Chiesa servono alle Monache, Un oste, un cuoco, e per finir le cronache Due Frati senza tonache, 28 caca sangue] cacasangue X Chiesa] chiesa X
31 avea] aveva X
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37 que’,] que’ X
22: le musiche che conoscevano. 23: erano vecchie come quelle di Davide (l’autore di salmi biblici). 24-25: stavano sulle panche così dritte da sembrare infilate con degli stecchi. 26: delle ragazze brutte come il demonio. 28: c’era chi aveva la dissenteria e chi la tosse. 29 le mosse: la diarrea. 30: la meno malata. 31 il mal franzese: la sifilide; cfr. Agnolo Bronzino (In lode della galea i.179 e i.311) e Francesco Berni (Rime ii.8; iii.9; x.44; xxxiv.20). 32: non aveva il ciclo mensile. 34 zaffo: sbirro o sgherro, anche in senso spregiativo; si rinviene in Nicolò Franco (Rime contro Pietro Aretino 168.8: «senz’essere da i zaffi attorniato») e in Pietro Giannone (Vita scritta da lui medesimo x.283: «mi vidi circondato da gran turba di birri, che in Venezia chiamano “zaffi”» e «accorrendo da tutte le parti maggior numero di zaffi»). 35 gabelliere: addetto alla riscossione dei dazi; lanzo: soldataccio.
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giuseppe parini Con certi visi di bertucce, o monne Facean conversazion con quelle Donne, A cui putian le gonne D’un odor d’ogni sorta di malanni. O i begli inviti, che mi fa ser Nanni!
41 Donne] donne X
44 O i] Ohi X
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inviti,] inviti X
40 monne: scimmie; il termine è utilizzato da Giovanni Battista Ramusio: «Simie sono de diverse sorti, alcune dette monne, con la coda, altre dette babuini, senza» (Descrizione dell’Africa ix.43). 42 putian: puzzavano.
alcune poesie di ripano eupilino
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LXXVI
Nanni s’ha messo un mantellaccio in dosso, Che stu ’l vedessi, ti parrebbe un matto: Credo, che sel facesse il Re Minosso, Quando Giudice ad Inferos fu fatto. Egli è cencioso, rattoppato, e grosso, Ne cola il brodo, e l’unto liquefatto: Era già nero, ed or diventa rosso Per la vergogna d’esser così fatto. Fa Nanni in somma sì trista figura Con quello straccio in sulle spalle storto, Ch’io ne disgrado la mala ventura. Il primo dì, che in tal foggia l’ho scorto, Io ebbi a spiritar della paura, Temendo, ch’e’ non fosse il beccamorto.
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S S1 X p. 25 In S1 al v. 2 “vedesti” è corretto a matita secondo l’errata corrige in “vedessi”; in X rimane “vedesti”. 5 cencioso,] cencioso X
7 nero,] nero X
8 così] cosi X
LXXVI . Sonetto: ABAB ABAB CDC DCD.
2 stu ’l vedessi: se tu lo vedessi. 3 sel facesse: lo indossasse; Minosso: Minosse, il re di Creta che, nella mitologia, divenne giudice delle anime negli inferi (ad Inferos). 5 Egli è: il mantello; grosso: spesso, a causa dei rattoppi. 11: che io sfido la sfortuna (a vestirsi così male). 13-14: quasi impazzii per la paura, temendo che fosse il becchino.
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giuseppe parini
LXXVII
Nanni mi sbircia prima, e quindi arrappa Ogni via per fuggirmi o manca, o destra, E s’imbavaglia dentro della cappa Quel musin da colpir colla balestra. Che sì, che un giorno tanto si rattrappa, E s’imbacucca, ch’Egli s’incapestra. Deh corri, Farfanicchio, e poi lo grappa, E lo disvogli con maniera destra. E col puntel de’ cozzi un buon sommesso Gli rileva dal suol quel pa’ d’occhiacci, E fa, ch’e’ guardi ben, s’io son quel desso. Poi diragli pian pian senza minacci: Se lo noja vedermi così spesso, Che tu coll’ugne lo torrai d’impacci.
S S1 X
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pp. 25-26
6 imbacucca] imbaccucca X
10 quel] que’ X
LXXVII . Sonetto: ABAB ABAB CDC DCD. L’autore descrive le sue bellicose
intenzioni nei confronti di Nanni che, in ogni modo, cerca di evitarlo. 1-2 arrappa / Ogni via: imbocca in fretta ogni strada. 3-4: e si nasconde nella cappa quel viso che meriterebbe un colpo di balestra. 5-6: se si rattrappisce e si copre tanto, un giorno rischia di strangolarsi (s’incapestra). 7 Farfanicchio: diavoletto. In Dante si trova il nome di Farfarello (Inf xxi.123 e xxii.94); lo grappa: afferralo. 8: e scoprilo abilmente. 9: a forza di botte e di pugni. 10: fagli alzare dal suolo gli occhi (pa’: paio). 11: fa’ in modo che guardi bene come sono. 12 senza minacci: senza minacciarlo. 13 Se lo noja: se lo disturba. 14: con le unghie potrai togliergli tale fastidio (cioè potrai cavargli gli occhi).
alcune poesie di ripano eupilino
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LXXVIII
Se scorto pria t’avessi, o d’una gogna Degno, dell’altrui opre usurpatore, Io t’are’ fatto tanto disonore, Che ne saresti morto di vergogna. Oh va cacciati adesso entro una fogna, Se tu non vuoi provar di che tenore Sia la mia penna, quand’ell’è in furore, Bue, piluccone, asinaccio, carogna. Io non so chi mi tien, corpo di. ., Ch’io non ti sforzi or ora a dispogliarti Di tutto quanto ha’ tu del fatto mio; E ch’io non pongami a perseguitarti, Con verseggiar sì attossicato, e rio, Che di tua man tu vada ad impiccarti. S S1 X
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p. 26
9 tien, corpo di . .,] tien corpo di D. ., X 14 vada] vadi X
12 perseguitarti,] perseguitarti X
LXXVIII . Sonetto: ABBA ABBA (C)DC DCD. Contro un plagiario.
1: se ti avessi conosciuto prima. 3: ti avrei arrecato tanto disonore. 7 quand’ell’è in furore: quando la mia penna è irata. 8 piluccone: ladro. 9 corpo di …: esclamazione censurata; l’espressione “corpo di Dio” (ipotizzabile grazie alla rima) è sostituita da punti di sospensione. 11: di tutto quello di mio che hai preso. 12 non pongami: non mi metta. 13: con dei versi così velenosi e malvagi.
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giuseppe parini
LXXIX
Signori cari, fate di star sani, Almeno almen finchè non vi malate, E per amor del Cielo vi guardate Di non ire a ingrassare i Petronciani. E voi, Piovano, quelle vostre mani Non le tenete mica scioperate; Ma a scriver belle cose le adoprate In versi ora Latini, ora Toscani. Così coll’arte, ch’ogni orgoglio placa, Non temerete quella vecchia piùe, Che tira colpi da matta imbriaca. E chiaro il vostro nome ognora piùe
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S S1 X pp. 26-27 In X il sonetto è preceduto dall’indicazione tra parentesi “per il Curato Fioroni di Canzo”. 1 cari,] cari X
9 ch’ogni] che ogni X
LXXIX . Sonetto: ABBA ABBA CDC DCD.
4: di non andare a nutrire le melanzane (Petronciani): cioè cercate di non morire. Il termine “petronciani” si ritrova in Boccaccio (Commedia delle ninfe fiorentine xxvi.38: «i lunghi melloni e i gialli poponi co’ ritondi cocomeri, e gli scrupolosi cedriuoli e’ petronciani violati con molti altri semi, de’ quali la terra vie più s’abellia») e in Burchiello (Sonetti xix.10-11: «l’odor degli agli cotti e’ petronciani / fanno piacere al papa»). 5 Piovano: quasi certamente il pievano Ambrogio Fioroni, amico del poeta. 7-8: scrivete di argomenti piacevoli in versi italiani e latini. 10: non avrete più (piùe) timore della morte (quella vecchia). 12 chiaro: illustre, famoso; ognora piùe: sempre più.
alcune poesie di ripano eupilino N’andrà per sino in India Pastinaca, Laddove l’acque corron all’ingiùe.
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13-14: arriverà persino nell’India Pastinaca, dove le acque scorrono all’ingiù. Parini richiama la novella di Boccaccio in cui frate Cipolla nomina tale località per indicare un paese molto lontano: «alle montagne de’ Bachi pervenni, dove tutte l’acque corrono alla ’ngiù. E in brieve tanto andai adentro, che io pervenni mei infino in India Pastinaca» (Decameron vi.10.41-42).
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giuseppe parini
LXXX
Ser Cecco mio voi siete spiritato Sì per santa Nafissa a dir, ch’io muojo, Perchè son d’una Donna imbertonato, Più che d’una carogna un avvoltojo. Voi mi fate un supposto sgangherato A dire, che perciò mi spolpo, e scuojo; Ch’io non son mica come voi bruciato, Tenero di calcagna, cascatojo. Cancher vi mangi: il vo’ pur dir; gli è vero, Sì ch’egli è ver, ch’io son propio disfatto D’una ragazza, che vale un impero.
S S1 X
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pp. 27-28
6 spolpo,] spolpo X
scuojo;] scuojo: X
10 propio] proprio X
LXXX . Sonetto caudato: ABAB ABAB CDC DCD dEE eFF.
1: caro ser Cecco, siete fuori di testa. 2 per santa Nafissa: esclamazione che si ritrova in Alessandro Tassoni (La secchia rapita vi.70: «de’ Sardi rotto e prigioniero, / Santa Nafissa a bestemmiar si volse») e in Pietro Aretino (Strambotti a la villanesca lii: «ogni chierico e la pasqua beffana, / santa Nafissa e santa Verdiana»). Per il significato osceno di tale espressione cfr. La Statua della Foia ovvero di Santa Nafissa di Annibal Caro. 3 imbertonato: dominato dalla passione; termine utilizzato nella poesia comica e, tra gli altri, da Nicolò Franco (Rime contro Pietro Aretino 289.3-4: «hai l’Aretin di donne imbertonato / tante che le daria l’anima e ’l core»). 4: più di quanto un avvoltoio sia preso da una carogna. Cfr. Boccaccio: «non altramenti che si gitti l’avoltoio alla carogna» (Decameron vi.10.21). 5: avete un’idea del tutto esagerata. 6 mi spolpo, e scuojo: dimagrisco e mi consumo. 7 bruciato: arso (dall’amore). 8: le due espressioni indicano la persona che si innamora facilmente. 9: vi prenda un malanno: lo voglio proprio dire, è vero. 10-11: sì, è vero che sono proprio innamorato di una ragazza magnifica.
alcune poesie di ripano eupilino E vo’ giuocar, che se ’l vedeste un tratto Quel visin, che m’ha fatto prigioniero, Voi n’andereste in frega come un gatto. Ma pur non m’han mai tratto In sì sciocco pensier due luci belle, Di voler per amor tormi la pelle. E non stimo covelle Il mal d’amore, s’io ne son guerito Solamente con polli, e pambollito. 16 belle,] belle X
19 guerito] guarito X
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20 polli,] polli X
12-14: scommetto che se vedeste improvvisamente quel viso che mi ha conquistato, andreste per lei in calore come un gatto. 17: di volermi uccidere per amore. 18 covelle: niente, un nulla; cfr. Pietro Aretino: «non porrò farte né dirte covelle» (Strambotti a la villanesca 87.7).
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giuseppe parini
LXXXI
Voi me ne avete fatti tanti, e tanti Di questi vostri attacci arcipoltroni, Che se tornate a rompermi i . . . . Vi tratterò da birbe, e da furfanti. Voi siete una tormaccia di pedanti, Che non volete intender le ragioni; E perchè fate i saggi, e i dottoroni, Stimate gli altri goffi, ed ignoranti. Che c’è egli drento in que’ vostri libracci A non volere, che sien letti mai, Quando voi nol volete ignorantacci? Il Diavol, credo, che vi salti omai Su que’ vostri muffati granellacci, E vi faccia gridare: ahi ahi ahi ahi. S S1 X
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p. 28
3 i . . . .] i C. . . X
4 furfanti.] furfanti, X
LXXXI . Sonetto: AB(B)A ABBA CDC DCD. Violenta invettiva contro i letterati
pedanti che hanno criticato i versi di Parini. 2 attacci arcipoltroni: attacchi, critiche disoneste. 3: il termine volgare è sostituito da punti di sospensione. 5 tormaccia: un gran numero (in senso dispregiativo). 13: su quei vostri testicoli ammuffiti.
alcune poesie di ripano eupilino
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LXXXII
Andate alla malora, andate, andate, E non mi state a rompere i . . . . . Io non vo’ più sentir queste sonate. Che vestizioni, che professioni? Doh maladette usanze indiavolate! Possibil, che Dottor non s’incoroni, Non si faccia una Monaca; o un Frate Senza i Sonetti, senza le Canzoni? Che debb’io dire? che costei le spalle Ardita volge ai tre nemici armati, Ch’alla cella sen va per dritto calle? Ch’amor disperasi, e gl’innamorati . . .? S S1 X
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pp. 28-29
2 i . . . . .] i c. . . X 6 incoroni,] incoroni X 12 innamorati . . .] innamorati . . X
11 Ch’alla] Che alla X
LXXXII . Sonetto: A(B)AB ABAB CDC DCD. In modo deciso e con un linguaggio colorito Parini critica l’usanza di comporre liriche d’occasione, rivolgendosi a quei poeti di scarso valore che scrivono su commissione; riprenderà lo stesso tema nel Giorno (Mezzogiorno 905-939; Vespro 327-344). Il lessico, di registro volutamente basso, serve per esprimere la sincera indignazione dell’autore. 1: l’invito è rivolto ai poeti che compongono liriche d’occasione su commissione. 3 sonate: poesie d’occasione, sviolinate. 4 vestizioni: riti che accompagnano l’ingresso in un ordine religioso; professioni: professione dei voti. 9-11: che cosa devo dire? Che questa fanciulla con coraggio volta le spalle a tre pericolosi nemici e che se ne va verso la sua cella monacale per la via più sicura? I tre nemici armati sono probabilmente Amore, Invidia e Garrito (cioè le chiacchiere della gente), citati da Parini nel sonetto Vanne, o vergin felice, entro al romito (Poesie varie ix). 12: che Amore e gli innamorati sono disperati?
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giuseppe parini E dalle, e dalle, e dalle, e dalle, e dalle Con questi cavolacci riscaldati! 14: con questi argomenti tante volte ripetuti.
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alcune poesie di ripano eupilino
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LXXXIII
O monachine mie, questa fanciulla È una fanciulla tutta bella, e buona; Bella, e diritta della sua persona, Che come a Donna non le manca nulla. Ella poppava quand’ell’era in culla; Poi per forza di Cerere, e Pomona È venuta una bella pollastrona, Che finor dette al Mondo erba trastulla. Ella ha poi un cervel non dal suo sesso, Che mai non fece una minchioneria, Se a sorte mai non la facesse adesso.
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S S1 F p. 195 G pp. 83-84 X pp. 29-30 In S1 il componimento è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a sinistra. 1 mie,] mie X 2 bella,] bella F G buona;] buona: G 3 Bella,] Bella F G X 4 Che] Chè F G Donna] donna F G X 5 culla;] culla: F G 6 Cerere,] Cerere F G 7 pollastrona,] pollastrona X 8 Mondo] mondo FG 9 sesso,] sesso; F G 10 Che] Chè F G minchioneria] minchionerìa F G LXXXIII . Sonetto caudato: ABBA ABBA CDC DCD dEE eFF fGG gHH. La lirica è una parodia dei componimenti encomiastici, già criticati nel sonetto lxxxii; in questo caso, con sorridente ironia, il poeta saluta l’ingresso in convento di una fanciulla. 6: mangiando di gusto; Cerere è la divinità delle messi e Pomona la dea dei frutti. 8: che finora non ha concluso nulla, prendendo in giro gli altri. 9: ha un’intelligenza che non è tipica delle donne.
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giuseppe parini Ella è in oltre così divota, e pia, Ch’ella sera, e mattina dice spesso Il Pater nostro, e l’Avemmaria. In fine ella saria Se Iddio daralle grazia, ch’ella viva Propio il caso per la contemplativa, E per la vita attiva, Poichè a far berricuocoli, e ciambelle Non c’è un pajo di man come son quelle. Ei bisogna vedelle; Ch’io vi so dir, che non varria danajo A petto a lei il miglior ciambellajo, O bericuocolajo: E s’ella vale un mezzo mondo a falle Ne val più di millanta a manucalle.
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12 così] sì F G cosi X divota,] devota F G 13 sera,] sera F G 14 Pater nostro,] Pater nostro F Paternostro G Avemmaria] Avemmarìa G 15 In fine] Infine, F G saria] saria, F sarìa G 16 grazia,] grazia F G grazie X viva] viva, F G 17 contemplativa,] contemplativa F G 18 attiva,] attiva; F G 19 berricuocoli,] berricuocoli F G 21 vedelle;] vedelle X 22 dir,] dir X varria] varrìa G 23 A petto] Appetto F G 24 bericuocolajo:] berricuocolajo; G 25 falle] falle, F G
12-14: Parini descrive un comportamento abituale per quei tempi, non necessariamente corrispondente a una profonda convinzione religiosa: è anzi un’implicita critica alla devozione di facciata. 16 daralle: le darà. 17 Propio il caso: davvero fatta apposta. 19 berricuocoli: dolci con miele; cfr. Lorenzo de’ Medici: «Berricuocoli, donne, e confortini! / Se ne volete, i nostri son de’ fini» (Canzona de’ confortini 1-2). 22-24: rispetto a lei, non varrebbe un soldo il miglior pasticciere (bericuocolajo). 25 falle: farle. 26: ne vale più di mille a mangiarle (manucalle).
alcune poesie di ripano eupilino
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LXXXIV
Son le furie d’Averno, a quel ch’io sento, Tre, Megera, Tesifone, ed Aletto; Ma al Mondo se ne contan per portento Infino a sei sotto un medesmo tetto. Son sei sorelle tutte d’un aspetto, Il Ciel ne guardi s’elle fusson cento: Cacolle la Natura per dispetto Un dì, ch’ella si messe un argomento. C’è ancor chi dice, ch’elle usciron fuora Prima di tutti quanti gli altri mali Dal maladetto vaso di Pandora. Chi volesse fondar cento Spedali, S S1 F G X
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p. 194 p. 80 pp. 30-31
1 furie] Furie G 6 Ciel] ciel G
3 Mondo] mondo F G X
5 aspetto,] aspetto; F G
LXXXIV . Sonetto caudato: ABAB BABA CDC DCD dEE eFF fGG. Parini descrive il terribile aspetto di sei sorelle, paragonabili alle Furie. 1-2: il poeta cita le furie, Megera, Tesifone ed Aletto, per gli antichi romani le tre divinità del mondo infernale, assimilabili alle Erinni della tradizione greca. 4: fino a sei nella medesima abitazione. 6 fusson: fossero. 8 argomento: clistere (in Anton Franceso Doni, La zucca. Chiachiera iv : «s’ella s’amalasse: la fa stufare in una bussola a diete, a panatine, acque cotte, con una provision di pillole, d’impiastri, unzioni e argomenti da fare stentare la morte, non che una donna»). 11: secondo il mito narrato da Esiodo (Le Opere e i Giorni i.69-105), Pandora fu la prima donna, creata da Efesto ed Atena; ricevette da Zeus, con l’ordine di non aprirlo, un vaso che conteneva tutti i mali: per la curiosità, lo aprì e tutti i mali si diffusero per il mondo; soltanto la Speranza, che era sul fondo, rimase nel vaso, poiché Pandora aveva richiuso il coperchio. 12 Spedali: ospedali.
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giuseppe parini O Lazzeretti, lo farebbe ognora, Ch’egli potesse aver queste cotali Veraci, e naturali Immagini del morbo, e della peste, Fatte senza livello, e senza seste Dalle veloci, e preste Mani della Natura esterrefatta Da quella materiaccia contrafatta, La qual par proprio fatta, Per far le tentazioni a Sant’Antonio In forma di Fantasma, o di Demonio.
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13 Lazzeretti] Lazzaretti X ognora,] ognora F G X 15 Veraci,] Veraci F G 16 morbo,] morbo F G X peste,] peste X 17 livello,] livello F G 18 veloci,] veloci F G X 20 contrafatta] contraffatta F G 21 fatta,] fatta F G X 23 Fantasma] fantasma G Demonio] demonio G 14-16: se potesse vedere queste realistiche sembianze della malattia e della peste. 17: fatte senza livello e senza compassi; il poeta intende dire che sono senza alcuna proporzione nelle forme.
alcune poesie di ripano eupilino
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LXXXV
Muse pitocche, andatene al bordello, Poichè da questo vostro mestieraccio, Mentre per soddisfare a ognun m’avaccio, Io non ne cavo un marcio quattrinello. M’ho io dunque a beccar sempre il cervello Sopra qualche sguajato suggettaccio, Che innanzi che l’onor, ch’io gli procaccio, Merteria di remar sopra un vascello? Eccoti, Apollo mio, la tua ghirlanda Io te ne incaco, ch’ella sia immortale;
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S S1 F p. 196 G p. 81 X pp. 31-32 In S1 il componimento è contrassegnato da una crocetta a penna in alto a sinistra. In G è segnato da un frego verticale a penna. 1 pitocche,] pitocche X 6 suggettaccio] soggettaccio G 7 Che] Che, G onor,] onor G 8 Merteria] Merterìa F G 9 Eccoti,] Eccoti F G mio,] mio F G ghirlanda] ghirlanda; F G 10 incaco,] incaco F G immortale;] immortale F immortale, G LXXXV . Sonetto caudato: ABBA ABBA CDC DCD d(E)E eFF fGG gHH. Con
toni aspri e irruenti, Parini si sfoga nei confronti della poesia encomiastica che, nonostante i suoi sforzi, non è abbastanza remunerativa. 1 pitocche: avare. 3: mentre mi affanno (m’avaccio) per accontentare tutti; Parini allude ai suoi componimenti encomiastici. 4: non ne guadagno nulla. 5 beccar: tormentare. 6 sguajato suggettaccio: brutto soggetto. 7-8: anziché l’onore che gli procuro, meriterebbe di remare su una nave (come galeotto). 9: l’autore si rivolge ironicamente ad Apollo, dio della poesia, per restituirgli la ghirlanda che adornava la fronte dei poeti. 10: me ne infischio che sia immortale.
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giuseppe parini Poichè frutto nessun non mi tramanda. Almen ci fosse ancor qualche cotale De’ prischi Eroi! ma qual ragion comanda D’ingrandir co’ miei versi uno animale, Un sciocco, uno stivale Che s’acconventi? ovvero una . . . ., Che per colpa de’ padri il Mondo lascia, E d’un velo si fascia; E giunta in Munister po’ po’ in quel fondo Fa forse peggio, che non fece al Mondo? Ah l’uno, e l’altro pondo Mi sia strappato via con le tanaglie, Piuttosto che lodar queste canaglie. Un asino, che raglie Sia ben degno cantor di quella gente, Che a chi canta per lor non dan mai niente.
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13 Eroi] eroi G ma] Ma G 16 una . . . .,] una bagascia F G una b. . ., X 17 Mondo] mondo F G lascia,] lascia X 19 Munister] Munister, F G 20 peggio,] peggio F G Mondo] mondo F G 21 uno,] uno F G 22 tanaglie,] tanaglie F G 24 asino,] asino F G X 25 gente,] gente F G 11: poiché non mi arreca nessun vantaggio. 13 De’ prischi Eroi: degli eroi antichi. 13-15: ma quale motivo impone di celebrare (ingrandir) con le mie liriche uno stolto o un uomo disutile (stivale) che entra in convento? 16 ovvero una…: il termine volgare è sostituito con punti di sospensione. 18: si fascia del velo conventuale. 19: arrivata nel monastero, poi, vivendo in quel luogo così ritirato (po’ po’ in quel fondo). 20: si comporta in modo più riprovevole che durante la vita secolare. 21-22: che io venga evirato (pondo: testicolo; tanaglie: tenaglie).
alcune poesie di ripano eupilino
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LXXXVI
Sì vivi pur così, . . . . . vecchia, Con questi tuoi . . . . sciocchi. Sì nelle sceleraggini sì invecchia, Ove tu fai cotenna, e ti balocchi. Mi poss’esser tagliato via un’orecchia, E cavati di testa ambedue gli occhi, Se gelosia mi punge, o mi morsecchia, O mi trapassa il cor con degli stocchi. Mi vergogno del ben, che t’ho voluto, E s’io ne sento una favilla in petto Poss’io essere un gran . . . . . . . . Stu mai pigli marito, io gli prometto, Che in men d’un mese, sia pur egli astuto, A portare il Cimier sarà costretto. E finalmente aspetto Di vederti venir fuor del bordello In mezzo alla sbirraglia, ed al bargello S S1 X
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pp. 32-33
1 così, . . . . .] cosi, p. . . X vecchia,] vecchia X 5 un’orecchia,] un orecchia X 8 stocchi.] stocchi X 11 gran . . . . . . . .] gran becco . . . X 12 prometto,] prometto X 13 astuto,] astuto X 17 sbirraglia] sbiraglia X LXXXVI . Sonetto caudato: ABAB ABAB CD(C) DCD dEE eFF. Lirica di intonazione burlesca, dal registro linguistico tipico della poesia comica. 1: il termine volgare, come al v. 2 e al v. 11, è sostituito da punti di sospensione. 4: dove ingrassi e ti diverti. 7 morsecchia: morde, tormenta. 8 stocchi: stoccate, colpi. 12 Stu: se tu. 14 il Cimier: le corna. 17 bargello: birro, guardia; si trova in Berni (Rime lv: «Voi vedete il bargello a voi venire / con una certa grazia e leggiadria, / che par che voglia menarvi a dormire»).
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giuseppe parini Con al collo il cartello E la mitera in capo in sur un miccio, E ’l Boja dreto a dartene un carpiccio.
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18-20: con un cartello sul petto indicante il reato, con la mitra in testa, a cavallo di un asino (miccio) e, dietro, il boia a somministrarti un sacco di colpi.
alcune poesie di ripano eupilino
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LXXXVII
Masin cotesto tuo Calonacaccio, Che ruba i versi, e l’opere stampate, Poi dice, ch’egli stesso le ha inventate, Bench’ei di poetar non ne sa straccio. Oh va digli, ch’egli è un bell’asinaccio, Vestito delle pelli, che ha rubate; Ma che tu lo conosci alle ragliate, Oh va digliene pure in sul mostaccio. Digli, ch’e’ vada tra la gente sciocca A fare il dotto, e colla cera brusca Nomi, ed aggiunti, satire gli scocca. Ma no, ch’ogn’altro pregio un solo offusca: Dagli soltanto il titol, che gli tocca. S S1 X
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p. 33
2 versi,] versi X 3 dice, ch’egli] dice che egli X 5 asinaccio,] asinaccio X 11 satire] e satire X 12 no, ch’ogn’altro] no’, che ogni altro X 13 titol,] titol X LXXXVII . Sonetto caudato: ABBA ABBA CDC DCD dE(E). Il sonetto, rivolto
a Masino, è un’invettiva contro un canonico plagiario, che ha copiato dei versi facendoli passare per propri. 1 Calonacaccio: canonicaccio. 4: benché non si intenda per niente di comporre poesia. 7: lo si può riconoscere dai versi scadenti che fa. 8 mostaccio: muso; si rinviene in Francesco Berni (Rime xii.29 e xxxvi.16) e in Pietro Aretino: «dandogli de i pugni nel mostaccio» e «se il mostaccio altrui ti sguarda» (Strambotti a la villanesca 14.5 e 88.1). 9 ch’e’: che egli. 10 colla cera brusca: con il viso corrucciato; cfr. Giovanni Botero: «brusca cera» (Della ragion di Stato ix.192). 11 Nomi, ed aggiunti: nomi e aggettivi. 12: un solo titolo (quello di canonico) offusca tutti gli altri.
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giuseppe parini Sa’ tu quel, ch’e’ vuol dire in lingua Etrusca? Va, leggila la Crusca, E troverai, che in buona locuzione Calonaco vuol dir proprio . . . . .
14 quel,] quel X
15 Va,] Va X
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17 proprio . . . . .] proprio c. . . X
14 lingua Etrusca: toscano; cfr. Agnolo Firenzuola (Rime burlesche e satiriche xxvii.2 e xxviii.2). 17 Calonaco: in senso scherzoso significa testicolo (cfr. Franco Sacchetti, Il Trecentonovelle lxx.5 e cxxx.7).
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CA P I TOL I
LXXXVIII
O poffare! Ser Cecco, i’ son rimasto Propio come s’io fossi senza un corno: Non mi sa buono nè dormir, nè pasto. Io vo pur dietro a sbirciare d’intorno, Per vederti una volta, vezzo mio; Ma in van io guato e di notte, e di giorno. Tu se’ scappato senza dirmi addio; E starai lieto, e farai buona ciera, Mentr’io ti cerco a Oriente, a Bacìo. Doh che gli venga un Orco, una Versiera, E se lo portin via quel can, quel tristo Cagion, che tu ne desti buona sera. Giuro sul berrettin dell’Antichristo, Ch’i’ vorre’ propio colle man sbranallo S S1 X
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pp. 34-38
6 in van] invan X
13 Antichristo] Anticristo X
LXXXVIII . Capitolo in terzine dantesche concluso da un verso isolato (in rima con il secondo verso dell’ultima terzina) e da quattro versi a rime alternate. Componimento di genere burlesco, in cui Parini esorta ser Cecco a corteggiare una ragazza; lo mette poi in guardia da un canonico che lo vuole ingannare. 2: proprio come se fossi stato privato di un corno (di una parte di me). 8 farai buona ciera: ti divertirai. 9 a Bacìo: a settentrione; si riscontra ad esempio in Poliziano (Rime cxiii: «Non è ver ch’Amor sie orbo, / anzi vede insino a’ cuori: / non vorrà che questi fiori / sempre mai stieno a bacìo»). 10 Versiera: strega, moglie del diavolo: termine usato anche come imprecazione; fra gli altri si rinviene in Pulci (Il Morgante xxi.27: «Mai non si vide più sozza figura, / Tanto ch’ella pareva la versiera, / E Satanasso n’arebbe paura») e in Anton Francesco Grazzini (Rime. Ottave lvii.17-18: «Suo padre fu Satanasso o Plutone, / la madre dovette esser la Versiera»). 12: la causa per cui ci ha lasciato. 14: che io vorrei proprio farlo a pezzi con le mani.
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giuseppe parini Se ’l conoscessi, se l’avessi visto. Al corpo, al sangue, ch’i’ vorre’ cacciallo Dentro ’n un cesso, dentro ’n una fogna, A far co’ vermi, e colle botte un ballo. Non ti par’ egli degno d’una gogna D’un cartoccio turchin, d’un asinello, E d’una frusta, e d’una gran vergogna. Ma ritorniamo a te, Ser Cecco bello, Come va la faccenda? E la Signora Ti fruga nel pensier, ti da martello? Vatt’ella consumando ad ora ad ora, Povero meschinello, poveraccio, Oppure ti dà sosta una qualch’ora? Ti senti tu del caldo, oppur del ghiaccio? Se’ vivo, sano, verde come un aglio? Oppure se’ ravvolto in uno straccio? I’ ho tanta paura, che mi quaglio Allor, ch’io penso a cotesto tuo stato, E mi pare d’avere addosso un maglio. Ma spero, che rimedio arai trovato A questo rodimento maladetto, E quel gran ruzzo te l’avrai cavato.
19 par’egli] par egli X 33 addosso] adosso X
25 ora,] ora X
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26 poveraccio,] poveraccio X
18 botte: rospi. 20 cartoccio turchin: foglio azzurro (che, come un cartoccio, veniva messo in testa a chi era condotto alla gogna, a dorso di un asino). 24 ti da martello: ti tormenta. 25 Vatt’ella consumando: ti consuma. 29: espressione proverbiale per indicare una buona salute. 30: o sei avvolto nelle coperte (perché malato). 31 che mi quaglio: che mi perdo d’animo. 33: mi sembra di essere colpito da un maglio (espressione che deriva dall’usanza di uccidere il bestiame con un maglio di legno). 36 ruzzo: capriccio, desiderio; si trova, tra gli altri, in Benvenuto Cellini (Vita i.cxx: «vedendosi in tanta cattività, gli potria uscire il ruzzo del capo»).
alcune poesie di ripano eupilino Se no cerca di trarre alcun diletto Da qualche foresozza ben tarchiata, Ch’elle sono per Dio di core schietto. Falle col chittarin la serenata, Ch’e’ non c’è ristio di pigliar l’acceggia: Dalle la ben venuta, e ben trovata. E quando, che la zappa, o la marreggia, Va a ritrovarla, e presso le ti metti, E lì ciarla, e sghignazza, e cuccuveggia. Dalle de’ nastri, dalle de’ merletti, E qualche stringa, e qualche coreggiuolo, E de’ bigheri ancor, degli spilletti. E così passeratti il tempo a volo Senza pensare alle ribalderie Senz’alcun dispiacere, senza duolo. Legger potràle delle poesìe Nuove, bizzarre, chiare, ed allegrocce, Come sarebbe, a un mo’ di dir, le mie; E poi farle le dolci carezzocce, E qualche baciolino anche appiccarle
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42 venuta,] venuta X 45 lì] li X 48 spilletti.] spilletti X 51 duolo.] duolo X 52 potràle] potràlle X poesìe] poesie X 53 allegrocce,] allegrocce X 38 foresozza: contadinotta; è accrescitivo di forese, cioè che proviene dalla campagna; se ne ha un esempio in Boccaccio: «Monna Belcolore […] era pure una piacevole e fresca foresozza, brunazza e ben tarchiata» (Decameron viii.2.8-9). 40: suonale una serenata con la chitarra. 41: che non corri il rischio di trascorrere la notte al freddo. Questa espressione si riferisce al linguaggio dei cacciatori: aspettare di notte l’acceggia (cioè la beccaccia). 43: quando zappa o vanga (GDLI ix.831: marreggiare significa «Lavorare il terreno in superficie con la marra»). 44: vai a trovarla e mettiti vicino a lei. 45 cuccuveggia: da coccoveggiare, ossia civettare (GDLI iii.246). 47 coreggiuolo: cinturino. 48 bigheri: «Guarnizione di nastro, trine o merletti ai bordi di un abito» (GDLI ii.225). 52 potràle: le potrai. 56 appiccarle: darle.
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giuseppe parini In su quelle gotuzze vermigliocce. Ma sta! Dove vo io con queste ciarle? Son’elle cose da dirle al Ceccone, Che saprà ben da se stesso cercarle? Eh via che gli è propio un Dottorone In questo mestieraccio così fatto, E le sa tutte meglio che un Nasone. E io son pur si scimunito, e matto? Gli è come portar cavolo a legnaja A insegnare a ser Cecco in questo fatto. Desso è una fonte, desso è una ceppaja Di be’ trovati, e voler dirne a lui Gli è giusto come metter stoppia in aja. Ma queste cose le non fan per nui: Lascianle andar, e discorriamo adesso D’altri affari, che fanno per noi dui. Deh fatt’in qua, deh fatt’un po’ più presso, E senti due parole nell’orecchio Intorno a quel passato tuo successo. Quel messer lo Calonaco, quel vecchio, Il qual vuol farti una pedina, il quale Vuol fartela vedere in uno specchio;
58 ciarle?] ciarle X
69 Gli è giusto] Gli giusto X
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71 andar,] andar X
63 Nasone: Publio Ovidio Nasone, poeta latino di età augustea qui ricordato nel contesto di un corteggiamento in quanto autore dell’Ars amandi. 65: è come fare una cosa inutile. Il modo di dire nasceva dal fatto che Legnaia era un paese, vicino a Firenze, molto noto per la coltivazione di ortaggi. 67 Desso: proprio lui; ceppaja: una selva (cioè una gran quantità). 68 Di be’ trovati: di belle idee. 69: è proprio come sprecare il tempo (nel senso che non serve a nulla mettere della stoppia sull’aia). 71 Lascianle: lasciamole. 76 lo Calonaco: il canonico; se ne trovano esempi in Franco Sacchetti (Il Trecentonovelle xxxiv.103: «Veggendosi il calonaco di fuori così serrato, gli parve essere a mal partito») e in Machiavelli (Vita di Castruccio Castracani 7: «nacque già uno Antonio che, diventato religioso, fu calonaco di San Michele di Lucca»). 77: che vuole impedirti di raggiungere il tuo scopo. 78: che vuole imbrogliarti.
alcune poesie di ripano eupilino Quello sguajato tristo facimale, Quel disgraziato, quel sciaguratello, Che gli venga un gavocciolo, un cassale, S’è tolto quel pensiere del cervello? Oppur v’è ancora dentro incapponito? Chiamalo in giostra, chiamalo in duello. E s’egli accetta così fatto invito Statti lieto, Ceccon, che ’l tuo gran guajo In una mezz’oretta gli è fornito. Io getto anch’io ’n un canto questo sajo, E armato tutto come un Paladino Tra te e me ne farem giusto un pajo. E lì colpi da Orlando, e da Zerbino Gli menerem sul capo, e sulle braccia, Finchè disteso l’abbiamo supino. O ve’ che spaventosa figuraccia Faremo noi con quegli stocchi in mano! Affè ch’alle persone il cor s’addiaccia. Tu parrai un bargello, uno scherano; Perchè quel tuo visin gli è propio buono Da spiritare un povero Cristiano. O via lasciamo, perch’io stanco sono,
85 così] cosi X 88 anch’io ’n un canto] anch’io ’n canto X che alle X 98 Perchè] Perche X
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96 ch’alle]
79 facimale: chi compie cattive azioni (Lorenzo Lippi, Note al Malmantile x.35: «“Facimale” uomo maligno e da fare ogni sciagurataggine»). 81 gavocciolo: bubbone, tumefazione; è usato anche come imprecazione (Francesco Berni, Rime xxiii: «Oh, te venga ’l gavocciolo e la rabbia»); cassale: malattia mortale (Agnolo Firenzuola, Ragionamenti i.iv: «se io non te ne fo pentire, che mi venga una cassale che mi ammazzi»). 87 fornito: finito. 88: anch’io butto in un angolo la veste talare. 91: riferimento ai paladini Orlando e Zerbino, cantati da Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso. 96: tanto che alla gente il cuore si gelerà per la paura. 97 bargello: birro; scherano: sgherro. 99 Da spiritare: per spaventare.
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giuseppe parini Di scriver giù di queste tantafere, Che farebbon scoppiar di verno il tuono. E voi intanto, il mio buon Messere, State allegro, e aspettatevi, che presto Fo conto di venirvi a rivedere. E se mai quella birba, quel capresto D’Amor mi dona un becco d’un contento, Non mi vedrete più doglioso, e mesto. Ma dentro nelle risa infino al mento, Negli spassi, ne’ gusti, ne’ piaceri Vo’ sempre, che ci stiam ficcati drento. E lasciamo gracchiare a questi Seri, Che gl’impacci si prendono del Rosso, A questi sciocchi veri, veri, veri, Che ’l canchero gli roda infin sull’osso. Poscritta. Ser Finocchio ha ricevuto Le lettere, al barbier da voi lasciate, Ed ancor egli vi fa un bel saluto, Cogli altri amici dalle passeggiate.
115 osso.] osso X
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117 lettere,] lettere X
101 tantafere: discorsi privi di senso (Francesco Berni, Rime lv.63: «nelle mie filastrocche e tantafere»). 102: che farebbero scoppiare un temporale in inverno. 106 capresto: capestro, cioè degno della forca. 107 un becco d’un contento: un po’ di soddisfazione. 112 Seri: abbreviazione di “messeri”, signori. 113: modo di dire riferito a chi si prende una briga che non gli spetta. 115: che siano consumati da un malanno. 116 Ser Finocchio: soprannome di un conoscente dell’autore e del destinatario della lirica.
alcune poesie di ripano eupilino
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LXXXIX
Signor Curato, mi son pure accorto, E l’ho sentito del sicuro a dire, Che s’io non fossi vivo sare’ morto; E che se noi abbiamo da spedire Qualche nostro affaruzzo di presente, Bisogna farlo prima di morire. Perchè m’ha detto ancor di molta gente, Che quando un Uomo ha tirato le calze, E’ non c’è modo di far più niente. Però conviene, ch’io mi sbracci, e scalze, E ch’io venga con quattro miei versacci, A trovarvi costì fra queste balze. E intanto ch’io son vivo, e fuor d’impacci, Meni le mani come i berrettai, E ch’io faccia ben presto, e ch’io mi spacci, Prima che tornin più fitti che mai, E mi vengano sopra difilato,
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S S1 X pp. 38-44 In X il componimento è preceduto dall’indicazione “Al Curato Fioroni di Canzo”. 5 presente,] presente X
10 conviene,] conviene X
LXXXIX . Capitolo in terzine dantesche concluso da un verso isolato in rima
con il secondo verso dell’ultima terzina; il v. 116 e il v. 118 sono legati da rima imperfetta (consonanza parziale e assonanza: «freno» e «sdegno»). Al v. 134 la geminata «spiatellatta» è in sede di rima con le scempie «lavata» (v. 136) e «sassata» (v. 138). La lirica è indirizzata a un «Signor Curato» (v. 1): nel codice Ambr. iii, 2 è intitolato “Al Curato Fioroni di Canzo”, cioè Ambrogio Fioroni, amico di Parini e già ricordato nel sonetto lxxix. 8: quando una persona è morta. 10: perciò conviene che mi dia da fare.
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giuseppe parini E m’empiano d’un fregolo di guai. Perchè se voi lo sapeste il mio stato Parrìa, ch’io vi contassi delle baje, E vi direi il ver, Signor Curato. Ma queste ciarle sieno le sezzaje: Ne parleremo poi quando non ci abbia Dell’altre cose più gioconde, e gaje. E perch’io pajo un gufo in una gabbia, O in su la gruccia a far rider gli uccelli, Mi rincresce scoprirmi, e monto in rabbia. Intanto io vi ringrazio di que’ belli Saluti, che di spesso voi mi fate Or per bocca di questi, ed or di quelli. Ma certo, Signor caro, v’ingannate A tenermi per un virtuosaccio, A darmi quelle lodi sperticate; Ch’io veramente sono un suggettaccio, Che studio solamente il Pecorone, E in altre cose non vaglio uno straccio. Io sono, verbigrazia, un Compagnone, Che mi piace di ridere, e gracchiare Co’ miei amici in conversazione. Io non mi curo molto di studiare Perchè mi dicon, che chi studia troppo
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20 Parrìa] Parria X 25 gabbia,] gabbia X 27 rabbia.] rabbia, X 28 Intanto io] Intanto X 34 suggettaccio,] suggetaccio X 36 straccio.] straccio X 37 Compagnone,] Compagnone X 18 un fregolo: un sacco. 20 Parrìa: sembrerebbe; baje: bugie, storie. 22 le sezzaje: le ultime (Boccaccio, Decameron viii.3.57: «per certo questa fia la sezzaia che tu ci farai mai»). 34-35: perché sono davvero un cattivo soggetto e leggo soltanto il Pecorone (espressione per indicare un libro di scarso valore). Il Pecorone è una raccolta di novelle dell’autore trecentesco Giovanni Fiorentino. 36: per altre cose non valgo niente. 37 verbigrazia: per esempio. 38 gracchiare: chiacchierare a voce alta.
alcune poesie di ripano eupilino Va a ristio di morire, o d’impazzare. Io, che vi corro, come di galoppo, Verso la casa di Monna Pazzia, Per Dio che vi cadrei senz’altro intoppo. E poi perchè volete, ch’io mi dia Allo studiar, ch’or non si stima un’acca, E sol si stima la poltroneria? E dappoi che la nuca ti si stracca In sur i libri, infine a capo d’anno Tu fai l’avanzo, che facea ’l Cibacca. Togliamoci, Signor, da questo inganno Di volere studiar sino alla morte, E mandiamogli i libri al lor malanno. Oggi co’ libri non si fa più sorte; Non è più ’l tempo, che Berta filava; E le genti dabbene sono morte. Non è più ’l tempo, che si regalava Di scudacci lampanti, e di fiorini Un Sonettuzzo, che finisse in ava. Adesso se ne van sbrici, e meschini Involti dentro a un piccolo tabarro I Poeti, ch’un tempo eran divini:
47 ch’or] che or X Poeti che un X
acca,] acca X
61 sbrici,] sbrici X
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63 Poeti, ch’un]
42 ristio: rischio. 43-44: io che sto diventando pazzo velocemente. 48: e si valorizza soltanto la pigrizia. 51: espressione toscana, cioè avanzo di Cibacca che, per il capo d’anno, avanzava i piedi fuori dal letto (cioè era morto): «quando si vuole esprimere, che dove alcuno si credeva avanzare, o non ci avanza, o ci scapita» (Voc. Acc. Crusca i.329). 56: espressione per ricordare che ormai i tempi antichi sono trascorsi. 59: in cambio di lucidi scudi e di fiorini. 60: un sonetto con rime facili. 61 sbrici: mal ridotti (GDLI xvii.706: «che indossa abiti miseri e consunti»).
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giuseppe parini E forz’è, che uno spirito bizzarro Si pasca sol di fumo, e invano aspetti, Di pigliare la lepre con il carro. O sieno delle volte benedetti Più di millanta color, ch’hanno il Mondo Dentro a’ loro preteriti perfetti! E fra questi voi siete, il mio giocondo Signor Curato, il quale non avete Adesso d’altri un bisognino al Mondo. E vi godete la vostra quiete, E mangiate, e beete, e poi dormite, Quando n’avete voglia, e che potete. Voi ne farete pur delle stampite In su quel chittarrone alto, e sonoro, Che potrebbe trar l’anime da Dite. E sempre intorno il leggiadretto coro Avrete delle Muse, che lontane Se ne stan dagli strepiti del Foro: E scriverete con ambe le mane In prosa, e in versi roba sì squisita, Da mangiarsela tutta senza pane,
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64 forz’è] forz è X 68 millanta color, ch’hanno] millanta, color che hanno X 70 siete,] siete X 71 Curato,] Curato X 77 chittarrone] chittarone X alto] almo X 64-66: per forza uno spirito estroso (cioè un poeta) deve nutrirsi di fumo, e perseguire con pazienza i propri scopi (pigliare la lepre con il carro: GDLI viii.962). 67 sieno: siano. 68-69 color […] perfetti: coloro che non si preoccupano del mondo (preteriti perfetti: indica il passato remoto più lontano). 76 stampite: canzoni (GDLI xx.66: «composizione musicale strofica, di origine trobadorico-provenzale, fortemente ritmata e accompagnata talvolta da un testo, la cui struttura melodica è composta dall’alternarsi di brevi temi diversi con un ritornello»). 78: che potrebbe far risuscitare i morti (Dite nella mitologia è il regno degli inferi). 81 strepiti del Foro: controversie giudiziarie. Forse è un’allusione alla causa sostenuta da Parini per ottenere l’eredità dalla prozia, Anna Maria Parino.
alcune poesie di ripano eupilino E leccarsene ancor l’ugne, e le dita. Oimè che versi, oimè che dolci prose, Oimè che roba corpo di mia vita! Quand’io ci vo pensando a queste cose, Mi sdilinquisce dentro al petto il core, Come s’io fossi in mezzo a un pa’ di Spose, E ch’ambedue mi amassono d’amore E facesson tra loro a chi più bene Mi vuole, e ’l dimostrassono di fuore. La parità quì non ci calza bene: Ma io l’ho detta per un verbigrazia, Per una cosa, che in bocca mi viene. Che non credeste già per mia disgrazia, Ch’io me le andassi così nominando, Perchè le Donne mi fossero in grazia. Ch’io vi giuro per la Spada d’Orlando, E per lo ’ncanto di Madonna Tessa, Ch’io le vorre’ vedere tutte in bando. Ma sta quistion lasciamola soppressa, Acciò col dire scorger non mi faccia; Perchè Tal burla, che poi si confessa.
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86 prose,] prose X 89 core,] core X 90 Spose,] Spose X 91 amore] amore, X 93 vuole,] vuole X fuore.] fuore, X 94 bene:] bene; X 96 cosa,] cosa X 98 così] cosi X 99 Donne] donne X 100 Spada] spada X 85 ugne: unghie. 89: mi commuovo, il mio cuore si intenerisce. 94: l’esempio delle due spose non è adatto. 95 per un verbigrazia: per citare un esempio (Francesco Berni, Rime lii.127129: «Ma questo par che sia contro alla fede, / però sia detto per un verbigrazia, / che non si dica poi: “Costui non crede”»). 101: per l’incanto di monna Tessa; riferimento alla novella di Boccaccio in cui monna Tessa, con un finto incantesimo, inganna suo marito, Gianni Lotteringhi (Decameron vii.1). 103: ma lasciamo perdere tale questione. 104: affinché, parlando, io non mostri i miei sentimenti. 105: perché capita che, per scherzo, ci si riveli.
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giuseppe parini Io vo scrivendo giù questa cosaccia, Senza considerar quel, ch’io mi faccio, E ci do drento a forza delle braccia. E voi direte: Guata cervellaccio, Che non sa nè men E’ quel, che si dica, Che vuol far del saccente, ed è un babaccio. E forse monterete in sulla bica, Ch’io v’assordi con questi noncovelle, E direte: Oh che ’l Ciel ti maladica! Ma, poter della Luna, e delle stelle! Chi cercherebbe di tenere a freno Un cervel, ch’abbia in capo le girelle? Orsù frenate un micolin lo sdegno, E lasciate, ch’io empia questo vano, Ch’io non v’aggiungo, se mi dessi un Regno. Se vedeste il Signor Prete . . . . . . Il quale sta a . . . . ., ed è mio Zio, Fategli da mia parte un baciamano. E ditegli, ch’io son vivo ancor io, E ch’e’ farebbe il meglio a ricordarsi
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107 quel,] quel X faccio,] faccio X 110 quel,] quel X 111 saccente,] saccente X 114 Ciel] ciel X 116 Chi] Ci X 117 cervel,] cervel X 121 Prete . . . . . .] Prete Caspano X 122 sta a . . . . .,] sta a Proserpio, X 125 ch’e’] che X 109 Guata: guarda, bada. 110: che non sa nemmeno quel che si dovrebbe dire. 111 babaccio: sempliciotto, sciocco (Giovanni Battista Fagiuoli, Rime vii.607608: «Se no, fia quella casa in doglia, e ’n lutto, / Se la governa un timido babbaccio»). 112: forse vi adirerete. 113 noncovelle: chiacchiere. 117: un uomo dal cervello così strambo. 118 un micolin: un pochino. 119: permettete che io riempia questo vuoto (cioè concluda la mia poesia). 120: che non aggiungerò cose superflue, nemmeno in cambio di un regno. 121: al posto dei punti di sospensione, nel cod. Ambr. iii, 2 vi è l’integrazione “Caspano”: si tratta di Francesco Caspani, zio materno di Parini e cappellano di Proserpio. 122: nel cod. Ambr. iii, 2 vi è l’integrazione “Proserpio”.
alcune poesie di ripano eupilino Alcuna volta un po’ del fatto mio; E ch’ei farebbe bene a dimostrarsi, Che non sol di parole ei m’è Parente: Ma e’ dirà, che i tempi sono scarsi. E intanto che mi cade nella mente, Vi raccomando ancor quel vanerello Dell’Antognin, che si farà valente. Egli è un ragazzo virtuoso, e bello; Ma s’ho a dirla propio spiatellatta, Egli è un po’ leggerino di cervello. Bisogna fargli una buona lavata; Ch’io vi prometto da quell’Uom, che sono, Che non gli sarà mica una sassata. Egli ha portato giù dal Cielo in dono Un grande ingegno, e se ’l coltiverà, Certo, ch’ei si farà molto più buono. Convien dirgli, che s’e’ non studierà La Logica sportel d’ogni scienza, Ch’egli non saprà mai quel che dirà: E s’e’ non pianterà buona semenza, Che delle frutta ne ricorrà poche, Come gl’insegnerà la sperienza. Ma sento che gridate: O quid est hoche? Saprò ben dir senza, che tu m’insegni: Hanno a menare i paperi a ber l’oche?
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133 virtuoso,] virtuoso X 134 spiatellatta] spiatellata X 137 Uom,] uom X 139 Cielo] cielo X 142 s’e’] s’ei X 147 gl’insegnerà] gli insegnerà X 148 O] o X 130: intanto che mi sovviene. 131 vanerello: sciocchino. 134 propio spiatellatta: proprio tutta. 136: bisogna fargli una lavata di testa (cioè rimproverarlo). 138: che non sarà come una sassata (che non gli farà male). 140 se ’l: se lo. 142 s’e’: se egli. 143 sportel: porta d’accesso. 146 ne ricorrà: ne coglierà. 148 O quid est hoche?: O quid est hoc? Cosa è questo? 150: gli ignoranti devono forse suggerire consigli alle persone assennate?
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giuseppe parini Per questo io pianto quì d’Ercole i segni, E dico: Non plus ultra, o Musa mia, Che gli Uditori ne son pregni, pregni: E sono stiavo di Vossignoria.
151 quì] qui X
segni,] segni X
152 Non] non X
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153 Uditori] uditori X
151: pongo i limiti indicati da Ercole (le colonne che segnavano i confini occidentali del mondo conosciuto dagli antichi). 152 Non plus ultra: non oltre. 153: perché gli ascoltatori sono assai sazi. 154 stiavo: schiavo.
alcune poesie di ripano eupilino
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XC
Manzon, s’i’ te l’ho detto, tu lo sai, E s’i’ non te l’ho detto, tel vo’ dire: Quand’i’ te l’arò detto, il saperai. Son risoluto di voler morire, E non ci voglio metter tempo in mezzo: Guarda capricci, che soglion venire. I’ mi volea morire sino ha un pezzo. Ma non ci ho mai potuto trovar modo, Ch’a questa cosa non ci sono avvezzo. Ho attaccato un bel capresto a un chiodo, E delle volte diece sono stato Per cacciare la testa drento al nodo: Ma prima di far questo ci ho pensato, Ch’egli è una morte da furbo, da baro, Cioè a dir quel morire impiccato. S S1 X
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pp. 44-48
2 vo’] vo X 3 te l’arò] tel arò X 12 drento] dentro X
9 Ch’a] Che a X
avvezzo] avezzo X
XC . Capitolo in terzine dantesche concluso da un verso isolato in rima con il
secondo verso dell’ultima terzina. I vv. 40 e 42 sono legati da rima imperfetta (consonanza parziale e assonanza: «sorti» e «morbi»). Componimento di stampo burlesco in cui l’autore, rivolgendosi all’amico Francesco Manzoni, enumera i possibili modi di suicidarsi, per concludere però che non ha nessuna intenzione di morire. 1 Manzon: Francesco Manzoni (ricordato nel sonetto viii e in altri luoghi della raccolta); s’i’: se io. 2 tel vo’: te lo voglio. 3 te l’arò: te l’avrò; il saperai: lo saprai. 7: è da molto tempo (il verbo “avere” ha la funzione di essere: cfr. GDLI i.875876) che io volevo perfino morire. 9: che a questa idea non sono abituato. 10 capresto: capestro.
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giuseppe parini Che già ch’ho a fare questo passo amaro, I’ non vorre’ po’ poi, che le persone M’avessono a stimare un bel somaro Perch’i’ non abbia fatto elezione Di qualche morte almen da galantuomo, Non mica da furfante, e da briccone. Se ci fusse stampato qualche tomo, Il qual mostrasse tutte le maniere Di far tirar le calze a un pover’uomo, Io men vorre’ di fatto provvedere, E ci vorre’ poi tanto studiar suso, Ch’io ne trovassi alcuna a mio piacere. Quel povero Bertoldo i’ non l’accuso, Che non trovò mai pianta da impiccarsi: Gli ebbe ragione di restar confuso. Perocchè quando si tratta di farsi Del male, dicon que’, che provat’hanno, Ch’egli è molto difficil contentarsi. E’ non è già, che rechi loro affanno Quella paura del morire: a quella I disperati non vi baderanno. Ciò, che ti fa beccar ben le cervella Gli è quel cercarla bella; che di morti Se ne stenta a trovare alcuna bella.
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19 Perch’i’] Perch’io X 21 furfante,] furfante X 22 tomo,] tomo X 24 uomo,] uomo X 29 impiccarsi:] impiccarsi X 34 E’] E X 35 morire:] morire, X 16: poiché devo decidermi a compiere questo passo doloroso. 17: io non vorrei poi che la gente. 19: perché io non abbia scelto. 24: di far morire un uomo. 28-30: non accuso Bertoldo per non aver trovato una pianta a cui impiccarsi: ebbe ragione di rimanere incerto. Il riferimento è al racconto di Giulio Cesare Croce: Bertoldo fu condannato dal re all’impiccagione, ma ottenne di essere giustiziato a un albero di sua scelta; in tal modo, non trovandone uno che gli piacesse, si salvò la vita (Le astuzie di Bertoldo. 147). 32: come dicono coloro che hanno provato. 37: ciò che ti fa arrovellare. 39: è difficile trovare una bella morte.
alcune poesie di ripano eupilino E benchè ce ne sieno di più sorti, Le sono però certe porcherie, Da fare disonore a tutti i morbi. E questo è il caso, che di tante vie, Che ci ha d’andare a veder ballar l’Orso, In bilico tu stai tra ’l no, e ’l sie, Ove al contradio, senza far discorso, S’ella fusse una morte, che piacesse, Te la beresti, come bere un sorso. Ma, verbi grazia, se qualcun ti desse Nel petto d’un pugnale, o nelle stiene, O con un ciotto il capo ti rompesse, Ti par egli una cosa, che stia bene, Sporcarti la camicia, e ’l giubberello Del sangue, che vien fuora delle vene? E’ m’è venuto ancora entro al cervello, Ch’i’ mi potre’ andare a annegare; E questo mi parrebbe un modo bello: Ma quel doversi poi tutto bagnare Que’ pochi panni, che tu hai indosso, Non mi finisce ben di contentare. Mi si potrebbe risponder, ch’io posso, Se pure ho di morir pensier veruno, Innanzi tratto trarmeli di dosso:
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42 morbi.] morti X 44 Orso,] orso X 45 tra ’l no] tra ’l no’ X 49 verbi grazia] verbigrazia X 53 camicia,] camicia X 56 potre’] potrei X 60 mi] ti X 61 risponder,] risponder X 44 veder ballar l’Orso: espressione popolaresca che indica il morire (Lippi, Il Malmantile racquistato ii.25: «quand’ella del tutto ferma il corso, / Di’ ch’io sia ito a veder ballar l’orso»; nelle Note si precisa: «Di’ che son morto. Uno di quei tanti detti, usati dalla plebe buffona, per levarsi la trista idea della morte»). 45: sei nell’incertezza tra il no e il sì. 46 al contradio: al contrario; senza far discorso: senza discussioni. 50 nelle stiene: nella schiena. 51 ciotto: sasso. 55-56: ho pensato anche che potrei andare ad annegarmi. 62 veruno: qualche. 63 Innanzi tratto: prima della decisione (di annegarsi).
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giuseppe parini Ma cotesto non m’entra in conto alcuno; Perch’i’ sono un cotale innocentino, Che non vorre’ scandolezzar nessuno. Ci sarebbe un segreto pellegrino; Cioè ch’i’ mi cacciassi un palo dreto; Ma questo è un morir da Saracino: Oltrechè mi parrebbe un po’ indiscreto, Quel non poter mai più per quella via Trarre un sospir, che somigliasse a un peto. Un altro bel segreto ci sarìa, Che mi potrebbe torre d’ogn’impaccio; E l’abbruciarmi credo, che ciò sia: S’e’ non fosse, che qualche ignorantaccio Sarebbe, che direbbe, che quel foco Fusse in pena di qualche peccataccio. Ma questa cosa monterebbe poco, Che se di fummo ci fusse un po’ meno, Non ti so dir se sarebbe un bel giuoco. E quantunque alcun dica, che ’l veleno Sia la più bella morte, che si faccia, Nè anche questa mi contenta appieno. E la ragion, perch’ella mi dispiaccia, È, che par che tu sii morto perduto;
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68 ch’i’] ch’io X dreto;] dreto X 70 Oltrechè] Oltrecchè X 72 sospir,] sospir X 75 abbruciarmi] abbrucciarmi X credo,] credo X 76 fosse,] fosse X 81 so] sò X giuoco] gioco X 83 morte,] morte X faccia,] faccia X 85 ragion,] ragion X dispiaccia,] dispiaccia X 64: ma tale idea non mi convince affatto. 65-66: perché sono una persona così pudica da non voler scandalizzare nessuno. 68: che io morissi impalato. 69: si riferisce al fatto che tale tipo di uccisione era un supplizio usato dai Turchi. 75: credo che sia il darmi fuoco. 78: fosse la condanna di qualche grave peccato. 79 monterebbe: importerebbe. 80: se ci fosse meno fumo (fummo).
alcune poesie di ripano eupilino Tanto diforme ti rende la faccia. Perchè il vederti nero divenuto, E gonfio, agli occhi reca tanta noja, Che si vorrebbe piuttosto esser muto. Or tu, che se’ staggito già per boja, Manzoni, vorre’ mo’, che mi dicessi Qualche bel modo di tirar le cuoja, Ma qualche modo, che non mi spiacessi; E se fusse possibil, cosa ancora, Che a chi l’adopra mal non gli facessi. Sovviemmi ch’allor quando la Signora Non ti volea veder vivo, nè morto, Che tu n’andavi in cerca molto allora. A quanto però io mi sono accorto, Non potesti far pago il tuo disio, Dappoi ch’i’ vedo, che non se’ ancor morto. Ora Manzoni, che debb’io fare io, Posciachè dopo tanto affaticarmi Io non trovo una morte a modo mio? Sa’ tu quel, ch’i’ vo’ far? voglio chetarmi E soprastare pazientemente, Finchè la morte vengh’ella a trovarmi. Chi sa, che s’ella la mia brama sente,
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87 diforme] difforme X 88 Perchè] Perche X 89 gonfio,] gonfio X 91 tu,] tu X 95 possibil,] possibil X 102 Dappoi] Da poi X i’vedo,] io veggo X 106 quel,] quel X 108 Finchè] Finche X 109 sa] sà X 86-87: sembra che tu sia morto condannato, tanto ti sfigura il volto. 91: adesso tu, che sei stato assoldato (staggito; “staggire” significa propriamente “pignorare”) per fare il boia. 92 vorre’ mo’: vorrei che adesso. 93-94: qualche bel modo di morire, perché non mi dispiaccia. 95-96: e, se fosse possibile, un modo che non sia doloroso per chi vi fa ricorso (adopra). 97 Sovviemmi: mi ricordo; la Signora: cioè la donna amata da Francesco Manzoni. 104 Posciachè: poiché. 106: sai quello che voglio fare? Voglio tranquillizzarmi. 107 soprastare: soprassedere.
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giuseppe parini Non provvegga da sezzo a’ fatti miei, Meglio ch’i’ non fare’ forse al presente? D’arte sì fatta ella ne sa per sei: In queste cose tiene il principato. Vo’ far così; voglio aspettarla lei. In tanto per mostrar, che ti son grato, Quel bel capresto te lo dono a tene; I’ dico quel, ch’avevo apparecchiato, O ad alcun altro, che mi voglia bene.
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113 principato.] principato X 114 lei] Lei X 115 In tanto] Intanto X mostrar,] mostrar X grato,] grato X 117 I’] Io X 110: non provveda alla fine ai miei desideri. 111: meglio di quanto potrei fare io adesso.
alcune poesie di ripano eupilino
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XCI Pistola
Oh oh vedete s’i’ son pronto a scrivere A’ cari amici miei, Signor Fantastico? Quattro corsi di Luna ancor non compiono Dacchè voi ne lasciaste inconsolabile, Ch’i’ son tosto da voi con una pistola. O buon! direte, Che maniera nobile Di scusarsi gli è questa, Astratto amabile? Ma pian, barbier; che se vorrete intendere Quel, ch’i’ vo’ dir, son certo scuseretemi. In primis quel cotal, che preso avevasi Lo ’mpegno di cercar quel Prete eccetera, È andato tutto giorno abbindolandomi E di oggi in doman sempre traendola, Ch’i’ n’era quasi divenuto sazio.
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S S1 XCI . Epistola in endecasillabi sdruccioli sciolti. Componimento burlesco rivolto al «Signor Fantastico» (v. 2), soprannome di un amico di Parini; dal fatto che doveva preparare le prediche per l’Avvento (vv. 80 sgg.) si deduce che era un religioso. 3 corsi di Luna: mesi. 4: da quando voi mi avete lasciato sconsolato. 5: che io subito vi scrivo un’epistola. 7 Astratto: soprannome dell’autore. 8 Ma pian, barbier: ma attenzione; richiama la locuzione milanese: «Pian barbee che l’acqua la scòtta», per avvertire di essere cauti quando si intraprende qualcosa che potrebbe essere pericoloso (Eugenio Restelli, I proverbi milanesi 211). 10-11: prima di tutto (In primis) quel tal che si era assunto l’impegno di cercare quel prete. 12 tutto giorno: di continuo. 13: tirando per le lunghe la questione da un giorno all’altro. 14: tanto che ne ero quasi stanco.
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giuseppe parini Pure alla fine spiattellato dissemi, Che ’l Prete era impegnato, ed altre chiacchiere, Da far morir di stizza un Uom, che supplica. Onde pensar potrete, quanti cancheri, Quanti malanni, e quante pesti, e fistoli I’ gli agurassi in sulla testa subito. Allor m’accorsi io ben di quel proverbio, Che dice, che costor, che troppo abbajano, Solo di vento il corpo si riempiono: Quest’è una vera escusazion legittima, Che val per quante mai potessi addurvene. Ma perchè voi siete un Ser tal difficile A credere alle prime cacabaldole, Ce ne vorrebbe almeno un’altra simile: Ma diacin dove mai la debb’io prendere? Eh via che risoluto son di dirvela. Dunque sappiate, che Monna Pigrizia Mi s’è fatta sì amica, ed amorevole, Che lontano da quella io mai non trovomi; Ed è così vezzosa, e carezzevole, Che mi fa tutto imbietolir, e struggere. O se voi la vedeste quando giacesi In letto meco, come stretto pigliami, E al collo mi s’attacca, ed aggavignasi, Ch’e’ non c’è modo, ch’i’ mi possa movere. Talor mi grappa stanco in s’una seggiola, E così forte per le braccia stringemi,
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15: alla fine mi disse apertamente. 18-19: potete immaginare quanti accidenti e malattie. 20: io gli augurassi che gli capitassero subito. 26 Ser tal: una persona. 27 cacabaldole: lusinghe, moine; cfr. Pietro Aretino (Strambotti a la villanesca 13.8). 29 diacin: esclamazione: diamine. 33: che io non mi trovo mai lontano da lei (dalla pigrizia, qui personificata). 35 imbietolir: rammollire. 38 aggavignasi: si avvinghia. 40 grappa: afferra.
alcune poesie di ripano eupilino Sicchè mi scappa di studiar la voglia. Di mezzo giorno sur un letto sdrajomi A gambe aperte col civile all’aria, Ed ella pronta al lato mio si corica, E mi fa certe carezzoccie amabili, Ch’i’ sento andarmi tutto il core in succhio. In sulla sera poi ella dilettasi, Di venirsene meco a pigliar aria, Verso la porta, che conduce a Bergomo. Onde n’andiamo adagio adagio, dandole Io ’l braccio, e lietamente discorendola. E vi so dir, ch’ell’è una bella giovane Ben tarchiata, ritonda, e sì vermiglia, Che la pare una mela propio propio. Oh se vedeste come gnene perdono Dietro gli occhi coloro, che la guatano! Principalmente que’, che sempre stannosi Il giorno intero a scriver negli studj, E tutti gli Artigian, che s’affaticano Nelle botteghe a far lor opre varie! Nè solo i ricchi mercatanti, e gli Orafi, Ma i facchini, i mugnai, i pizzicagnoli, E tutte queste razze la vorrebbono: Or s’io n’ho la ragion, consideratelo, E se con una compagnia sì nobile Poss’io trovar una buon’otta a scrivere. Or ch’io son certo, che perdoneretemi,
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44 civile: termine figurato e scherzoso per il deretano (Lorenzo Lippi, Il Malmantile racquistato vi.78: «ciascuno alla Real presenza / Alza il civile, e abbassa giù le corna»). 47: che mi sento sciogliere. 50: verso la porta orientale, che conduce alla via per Bergamo (Bergomo). 52 discorendola: chiacchierando con lei. 55: che sembra proprio una mela. 56-57: se vedeste come perdono gli occhi coloro che la guardano (nel senso che sono incantati ad ammirarla). 63 pizzicagnoli: salumieri. 64: ogni tipo di categoria (di lavoratori) la vorrebbe. 67 otta: ora.
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giuseppe parini Non occor, ch’io mi fermi in altre chiacchiere; Che già fatta ho un’agliata arcigrandissima. Ma gnaffe, messer nò, tacer non voglio, E intanto che la Musa in testa frugami Vo’ cicalar finchè mi pare, e piacemi, Poichè alla fine tanto se ne sa A mangiarne uno spicchio quanto un aglio. Or dite, Signor mio, come passatela? Si va a spasso, si gode, o pur si studia? Sopra i libri ci vien suso la polvere, O sì rompon leggendoli, o si stracciano? Ho inteso dire, che l’Avvento prossimo Ha a toccare a voi a far le prediche. Bravo bravo, studiate, affaticatevi, E ’l sapere, ch’avete in quel cocuzzolo, Mettetelo in palese, dimostratelo, E sgridate i Villani, e convertiteli. Ma l’ora è tarda, e ’l nostro messer Pagolo M’aspetta presto a Casa colla lettera. Iddievidielbondie, Signor Fantastico; Vi fo una sberrettata profondissima, E vi bacio la mano dottorevole.
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70 agliata: espressione proverbiale che indica una lunga cicalata (Anton Francesco Grazzini, Sonetti lxxxi.5-8: «E ’l Gello, buon maestro al paragone, / come sa ben ciascun, di far l’agliata, / in presenza di tutta la brigata, / vestito alla civil fa l’orazione»). 71 gnaffe: in fede mia (Pietro Bembo, Prose della volgar lingua iii.lxxvii: «“Gnaffe”, che disse il Boccaccio nelle sue novelle, è parola del popolo, né vale per altro, che per un cominciamento di risposta e per voce che dà principio e via alle altre»). 72: intanto che la Musa mi ispira. 73: voglio comporre cicalate finché mi pare e piace. 74-75: perché alla fine il fiato sa di aglio sia a mangiarne uno spicchio sia uno intero: quindi, intende il poeta, avendo ormai iniziato, vale la pena concludere. 76 come passatela: come ve la passate. 80-81: ho sentito che dovete preparare le prediche per il prossimo Avvento (periodo di preparazione al Natale). 83-84: mettete in mostra tutto il vostro sapere. 86 Pagolo: Paolo. 88 Iddievidielbondie: state bene. 89-90: mi levo con rispetto il capello e vi bacio la mano da dottore.
alcune poesie di ripano eupilino
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XCII Egloga pescatoria Licone
Dunque, Ninfa crudel, dunque a’ miei versi Non vuoi porgere orecchio, e vuoi, ch’io pera Con tanto pianto, onde il mio volto aspersi? Ben di natura sì maligna, e fiera Son pesci in Mar fra i Ceti, e le Balene, Ch’allor senton piacer quand’uom dispera. Ben cantan più gioconde le Sirene, Mentre s’avveggon, che l’incauto pino Allettato dal canto a lor sen viene. E va tanto correndo il Bue marino Sopra ’l veloce notator, che ’l vede Provar nell’acque l’ultimo destino. Ma come tanta crudeltà risiede, Ninfa, in te, che non sei di squame cinta, E non hai fesso in doppia coda il piede? Almen t’avesse il tuo furor sospinta
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S S1 In S1 al v. 128 (p. cxiv, riga 8) un segno a matita corregge “marin i” in “marini”, secondo l’errata corrige. XCII . Terzine dantesche concluse da un verso isolato in rima con il secondo
verso dell’ultima terzina. Il protagonista, Licone, si rivolge ad una fanciulla che rifiuta di ascoltare la sue preghiere e le sue dichiarazioni d’amore. 3: con le molte lacrime di cui ho bagnato il mio volto. 5 Ceti: cetacei. 8 incauto pino: nave poco prudente. 9: attirato dal canto si avvicina a loro. 12 l’ultimo destino: la morte. 14: in te che non sei un animale marino. 15: e non hai per piede una coda biforcuta (cioè non sei una sirena).
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giuseppe parini A saziarti un dì del sangue mio, E a lasciar questa vita un giorno estinta. Ma, lasso, il core hai sì crudele, e rio, Che più spietata dei marini mostri Conceder non mi vuoi quel, che desio. Alfine andrò negl’infernali chiostri Quando sii sazia de’ tormenti miei, E fia, ch’a dito allora ognun ti mostri. Costei, diranno i pescator, costei Fece morire il misero Licone; Punitela dal Cielo, o sommi Dei. Vedi Mopso, Dameta, e Celadone, Ch’amati essendo dalle Ninfe loro Cantan pe’ liti ognor dolci canzone. Son’io forse men bello di costoro? Ho pur le luci del color dell’onde, Ho pur le chiome del color dell’oro. E se nel volto mio non si diffonde Quel bel vermiglio, che la guancia tinge, Per la tua crudeltate egli s’asconde. Pur nessuno di loro i flutti cinge, Com’io, con tante, e sì diverse reti; Nè contra i pesci tanti ferri stringe. E sai ben tu se ’l Padre mio mi vieti, D’andar col pesce alla Città sovente, Onde i giorni trarrei felici, e lieti.
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22 infernali chiostri: negli inferi (chiostri, cioè recinti, indica che non si può tornare indietro). 24: allora ognuno ti indicherà (come la causa della morte di Licone). 28: nomi di pastore: Mopso e Dameta si trovano nelle Egloghe di Virgilio; Celadone significa “rondine di mare”. 30 pe’ liti: lungo i litorali; canzone: canzoni (plurale della forma antica canzona). 32: eppure ho gli occhi color del mare. 33: ho i capelli biondi come l’oro. 34-35: se sul mio viso non si diffonde quel bel colore roseo che tinge le guance (se il mio volto è pallido). 36: tale colore (egli) si nasconde a causa della tua crudeltà. 39: né pesca tanti pesci come me.
alcune poesie di ripano eupilino Poich’io compro or un fiasco, ora un tridente; E se ’l denaro il genitor mi chiede Tosto cento, e più scuse io volgo in mente: E gli vo raccontando, ed ei sel crede, O che ’l perdei, nel ritornar, per via, O che mancante il comprator mel diede. E se non fosse così cruda, e ria, Qual meco è sempre, la mia Pescatrice, Spesso qualche bel dono anch’ella avria. Ma come mai, come sperar ciò lice, Se questa fera impietosir non ponno Tanti sospiri, che ’l mio petto elice? Quando fia mai quel dì, che in lieto sonno Riposar mi sia dato, e in me si posi Colui, ch’è del mio cor Signore, e Donno? Ahi che prima vedrò gl’impetuosi Carabi pace aver colla Murena, E l’Anzie andar co’ Labraci spinosi, Pria di state vedrò bianca la Mena Ch’io possa dire un dì: Quest’è quel giorno, Quest’è l’ora, ch’io debbo uscir di pena. Ben diece volte ha rinnovato il corno Cinzia dal cominciar de’ miei lamenti; Eppur mai sempre a querelarmi io torno; O se co’ remi faticosi, e lenti
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48: o che l’acquirente me ne ha dato di meno. 53 non ponno: non possono. 54 elice: emette. 57: colui che è padrone e signore (Donno, dal latino dominus) del mio cuore (cioè Amore). 59 Carabi: granchi (dal latino carabus). 60 Anzie: tipo di pesci; Labraci: spigole. 61: prima dell’estate vedrò Mena (una contadina, quindi generalmente abbronzata) bianca, pallida. 62-63: prima che io possa dire un giorno: questo è il momento in cui le mie sofferenze devono finire. 64-65: sono trascorsi dieci mesi dall’inizio dei miei tormenti. Cinzia è la luna; il trascorrere dei mesi è indicato dal mutare delle fasi lunari. 66: eppure ricomincio sempre a lamentarmi.
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giuseppe parini Guidando vo la piccoletta barca, O se distendo la mia rete ai venti. E non è Ninfa così al pianger parca, Che, nell’udirmi sospirar, non abbia Di lagrime la guancia umida, e carca. Talor mi getto in sulla nuda sabbia, E vo la dura terra, e i duri sassi Per lo dolor mordendo, e per la rabbia. Nè val, che un qualche pescator, che passi, Pietoso mi sollevi, e dia conforto, Perchè accrescendo il mio dolor più vassi. L’altrier pensando al mal, che in seno io porto, Ahi disperato, fui per affogarmi, S’un mio compagno non si fosse accorto, Che veggendomi all’onde avvicinarmi In viso smorto, e nel guardar travolto, Non so dove lontan venne a menarmi. E di certo, o crudel, non andrà molto, Che in fondo all’acqua estinto mi vedrai, Comunque io siami o disperato, o stolto. E forse allor qualche pietate avrai Del mio misero caso, alfin bagnando Di qualche lagrimetta i tuoi be’ rai. Ma v’è nel Nilo un fier Dragon, che quando Ha divorato l’uomo, alfin sen giace Sopra l’ossa spolpate lagrimando. Nè piange no, la belva aspra, e rapace Per pietà; ma perchè più non ritrova, Ond’empiere la bocca ampia, e vorace. Tal, s’avverrà, ch’a te dagli occhi piova
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70-72: non vi è una ninfa così restia al pianto da non avere le guance cosparse di lacrime quando mi sente sospirare. 76 Nè val: non basta. 78: il mio dolore si va (vassi) accrescendo ulteriormente. 83 nel guardar travolto: con lo sguardo torvo. 85 non andrà molto: non passerà molto tempo. 87 siami: io sia. 91 fier Dragon: il coccodrillo. 96 Ond’empiere: con cui riempire.
alcune poesie di ripano eupilino Stilla di pianto sul mio caso amaro, Ciò non fia per pietà, che ’l cor ti mova; Ma perchè del mio strazio a te sì caro Non potrai saziar quel fiero petto, In crudeltà sì mostruoso, e raro. Sotto qual clima, e sotto quale aspetto Di fiera Stella il primo dì vedesti, E qual tana ti diè la culla, e ’l tetto? Certo in mezzo del Mare, empia nascesti Fra l’orche, e le Balene, e le Pistrici, E dalle poppe loro il latte avesti; E fra i pesci dell’Uomo i più nemici Conversasti mai sempre, e l’Ariete, La Tuli, e lo Scorpion ti furo amici. Ma poss’io perder la più bella rete, Se non ti penti un dì di tanta asprezza, Poichè andate saran l’ore più liete. Allor maledirai la tua fierezza, E ti dorrai di non avere il frutto Goduto a tempo della tua bellezza. Empia, ma che farai poichè distrutto Fia lo splendor, che subito si strugge Fuori che consumarti in rabbia, e ’n lutto? Siccome Acciuga al foco si distrugge,
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98 Stilla: lacrima (Pietro Metastasio, L’Olimpiade iii.iv: «non verserei per lui stilla di pianto»). 99: ciò non sarà dettato dalla pietà. 100-102: ma perché non potrai più nutrire con la mia sofferenza il tuo cuore orgoglioso, così eccezionale nella crudeltà. 103-104: in quale stagione e sotto quale crudele costellazione sei nata. 107 Pistrici: mostruosi cetacei; si riscontra ad esempio in Boiardo (Orlando innamorato ii.xiii.57: «Diverse forme de mostri marini, / Rotoni e cavodogli assai vi ne era; / E fisistreri e pistrice e balene / Le ripe aveano a lei d’intorno piene») e in Marino (Adone xvii.119: «Altri portato è da una Foca in spalla, / Altri da una Pistrice, altri da un’Orca»; Rime marittime 39.7-8: «La Murena le spine, e la Pistrice / Depon l’orgoglio, e seco ogni altro mostro»). 110 Conversasti: vivesti. 111 Tuli: millepiedi. 119: la bellezza che si consuma rapidamente.
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giuseppe parini Vostra frale beltà, Donne superbe, E com’onda del Mar sen passa, e fugge. Abbi dunque pietà delle mi’ acerbe Pene, o leggiadra Pescatrice, e bella, E vienne meco a riposar sull’erbe. Così non ti dirò più cruda, e fella, Nè delle fiere, o dei marini Pesci Più dura, più spietata, e più rubella. Prendi l’esca, e la canna, o bella, ed esci Quì dove io giaccio in su la mia barchetta, E in quest’acqua i tuo’ rai confondi, e mesci. Quì l’onda pura, cristallina, e schietta, A far preda di Lucci, e di Carpioni Le Pescatrici, e i Pescatori alletta. Vieni: ho serbato un cestellin d’Agoni, Ch’in una tratta ho presi stamattina; E vo’, che sien, se quì verrai, tuoi doni. Ma lasso! a che pregar? costei s’ostina Tanto contra di me, quant’io mi doglio; E sono i preghi miei l’onda marina, Che in van batte, e ribatte in uno scoglio.
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122 frale beltà: bellezza fragile, caduca. 127: così non ti chiamerò più crudele e cattiva. 128-129: né dirò che sei più spietata e restia delle belve e dei mostri marini. 136 Agoni: pesci d’acqua dolce. 137 in una tratta: in una sola retata. 141-142: le mie preghiere sono come le onde del mare che inutilmente battono e ribattono gli scogli.
alcune poesie di ripano eupilino
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XCIII Egloga pescatoria Sebeto
Or che già la stagion fiorita, e bella Fa tutte intorno rallegrar le cose, E i pesci, e i Pescatori allegri, e pronti Correndo vanno in questa parte, e in quella, E le lor Ninfe di ligustri, e rose Sulla riva del Mar cingon le fronti: Ora ch’ogni animal lieto s’abbraccia Col suo compagno in sulle verdi erbette, E la tenera vite all’olmo appresso Stretto lo tien con amorose braccia, E di soavi, e belle lagrimette Per lo dolce piacere il bagna spesso; Sol’ io lontan da’ conosciuti liti Mesto, dolente, abbandonato, e solo La mia perdita piango, e la mia Ninfa. Qual’altro Pescator fia, che s’additi, Che tante abbia cagion d’amaro duolo, Sia pur di questa, o di remota Linfa?
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S S1 XCIII . Sestine di endecasillabi: ABCABC. Componimento di genere pastorale,
in cui il protagonista, Sebeto, si lamenta del suo profondo dolore provocato dalla morte della donna amata. 1: la primavera. 4: si affrettano da una parte all’altra. 5 ligustri: arbusti sempreverdi con piccoli fiori bianchi (Marino, Adone xx.195: «Bianca vie più che tenero ligustro»). 6: sulle sponde del mare si adornano la fronte. 16-18: quale altro pescatore si può indicare come colui che abbia tanti motivi di dolersi, sia che abiti vicino a queste acque sia vicino ad acque lontane (remota Linfa).
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giuseppe parini Son’ io Sebeto il Pescator sì vivo, Che in su la spiaggia de la gran Sirena Così lieto garzon fui già creduto? Quel, che col suono, e col cantar giulivo, Fuori dell’onda in su la secca arena I più timidi pesci avria tenuto? Son’ io colui, che in pescatorj giochi Sovr’ogn’altro compagno il pregio ottenni, E ch’a ingannar coll’esca, e colla rete I semplicetti pesci avea sì pochi Uguali in sulla riva, ond’io qua venni? O canne, o reti mie, non più vedrete Il vostro Pescatore, e se ’l vedeste, Non credereste mai, che desso i’ fia! Or vengan pur le grasse Tinche a riva Coi lascivetti Lucci, e colle preste Occhiate i Persici, ora che la mia Fiocina giace irruginita, e priva D’una man, che la spinga, e ’l mio tridente Fitto laggiù nell’arenoso fondo D’alga, e di musco si ricopre intorno. Ahi misero Sebeto, e chi ti sente Alleviar colla voce il grave pondo Di quel mal, che ti preme e notte, e giorno? Questo lito, quest’onda, e queste piante Non t’odon già; che se potesse udirti
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20: sul lido di Napoli. La gran Sirena è Partenope, che nel mito diede il nome alla città. 21: fui ritenuto un giovane (garzon) tanto felice. 25-26: sono io che, nelle gare tra pescatori, ho ottenuto il premio su ogni altro. 32 che desso i’ fia: che sia proprio io. 34 lascivetti: scherzosi; cfr. Bernardo Tasso: «lascivetti amori» (Rime iii.xxix. 70 e Ode xiii.70) e «lascivetti augelli» (Ode xxxvii.35); Ludovico Leporeo: «Scendete al ballo lascivetti e destri» (Leporeambi lxxvi.1). 36 irruginita: arrugginita. 39 musco: lichene. 41 pondo: peso, cioè dolore.
alcune poesie di ripano eupilino Una cosa insensata, udresti ancora Le scabre selci alla tua voce infrante, E l’onde algenti, e quest’incolti, ed irti Alber aspri ululati mandar fuora, Accompagnando i tuoi tristi lamenti. Ma voi veloci Pesci, e leggiadretti, Che per quest’acque ognor scherzando andate, Se mai vi fece andar più tardi, e lenti Amor, che incende ancora i vostri petti, Abbiate voi del mio dolor pietate. Quell’io, ch’un tempo mi credei felice Sovr’ogni Pescator, che ’n onda peschi, Or sono a tal, colpa d’Amor, ch’io stimo, Uom non esser in riva, od in pendice, Cui peggio Amor colla sua pania inveschi Dal principio del core infino all’imo. Ove son’iti que’ felici giorni, Quando soletto nella mia barchetta Le reti a’ Pesci in sul mattin tendea, Senza ch’un labbro, o due begli occhi adorni Mi ferissero il cor d’aspra saetta? Ben sciolto allora a mio piacer godea. Lieto cantando in su le rive amene, E dolci balli colle Ninfe bionde, E co’ leggiadri Pescator tessendo
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45 Una cosa insensata: qualcosa priva dei sensi, priva di vita. 46 scabre: aguzze. 47 algenti: gelide; si rinviene in Tasso (Gerusalemme liberata xx.2: «da i tracii nidi / vanno a stormi le gru ne’ giorni algenti») e in Marino (Adone v.22: «Fonticel di bell’ombre algente ed atro, / inghirlandato di fiorita treccia, / qui dal Sol si difende»). 56: più di ogni altro pescatore che peschi nelle acque. 59-60: a cui Amore con la sua trappola (pania) abbia invischiato di più il cuore, da cima a fondo. 61 son’iti: sono andati. 64-65: senza che una bocca o due splendidi occhi ti colpissero al cuore con una freccia crudele. 68-69: intrecciando piacevoli balli con le bionde ninfe e gli agili pescatori.
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giuseppe parini Al suon di corde e d’incerate avene. Ma poichè Amore il suo velen m’infonde, Fin dentro al seno i’ vo sempre piangendo; Sicch’io non spero di trovar riposo, Perfin, ch’i Pesci di quest’onde fuori Uscir non veggia, e gir volando intorno. Poichè i begli occhi, e ’l bel volto amoroso Più non riveggio, onde n’uscian splendori, Che rendean da per tutto un chiaro giorno. Ben ebbe un cor di fiera Tigre, o d’Orso Colui, ch’al Mondo quel bel lume tolse Che nel mio cor sì dolce stral confisse. Deh perchè non correste in suo soccorso, Belle Ninfe del Mar? Perchè non volse Nettuno il ferro, e l’uccisor trafisse? Ma, lasso, indarno il mio dolor mortale Vo disfogando ai duri sassi, e all’onda, I quai nè senso, nè pietà non hanno: E ’l mio nemico Amor vieppiù m’assale, E con vista più lieta, e più gioconda, Par, che si rida del crudel mio danno. Io starò quì su quest’ignota piaggia Sol fra me rammentando il rio destino, Finchè l’aspra mia vita il duol mi tolga:
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70 incerate avene: con le zampogne, dalle canne unite con la cera (Tasso, Gerusalemme liberata vii.6: «Ma son, mentr’ella piange, i suoi lamenti / rotti da un chiaro suon ch’a lei ne viene, / che sembra, ed è di pastorali accenti / misto e di boscareccie inculte avene»). 71-72: poiché Amor mi avvelena fin nel profondo del cuore, io continuo a piangere. 78: che illuminavano tutt’intorno come fosse giorno. 79: ebbe davvero un cuore crudele (espressione ripresa da Petrarca, RVF cclxxxiii.14: «un cor di tigre, o d’orso»). 80: colui che ha tolto al mondo quella luce (ha ucciso). 81: che nel mio cuore conficcò una freccia così piacevole. 84 il ferro: l’arma con cui la donna amata da Sebeto è stata uccisa. 91 piaggia: lido.
alcune poesie di ripano eupilino E se fia mai, ch’un dì quì a giugner aggia Qualche buon Pescator d’altro confino, Fra poche pietre il cener mio raccolga. Così non fia, che in riva d’Acheronte Andar mi faccia il rigido Nocchiere, Vagando ancor nel sempiterno orrore E ’l mio cadaver sottoposto all’onte, Qui non rimanga dell’ingorde fiere Miserando spettacolo d’Amore.
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94: se accadrà che un giorno debba qui giungere. 95 d’altro confino: di un altro paese. 97-99: così non accadrà che Caronte (rigido Nocchiere) mi faccia percorrere le rive d’Acheronte nell’orrore eterno. Secondo l’antica tradizione greca, i morti insepolti non potevano essere condotti da Caronte nell’oltretomba, oltrepassando il fiume Acheronte, ma erano costretti a rimanere sulle sue rive. 100-101: e il mio corpo non sia preda dell’assalto di belve feroci. 102: esempio doloroso di ciò che l’Amore ha potuto fare.
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giuseppe parini
XCIV Egloga pescatoria Nilalga, Alceo, Telgone Nilalga O sciocco Pescatore, e che stoltezza Meco ti spinge a far tenzon col canto, Con quella voce, che gli orecchi spezza?
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Alceo O sublime cantore, e perchè tanto Or t’abbassi a venir meco in contesa, Tu, che riporti sovr’ogni altro il vanto?
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Nilalga Il ver tu dì, e s’a te sol vien resa Da’ rozzi Pescator la palma, è solo, Perch’or l’insania per virtute è presa.
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Alceo Il ver tu dì; poichè se in questo suolo S S1 In S1 a p. cxx, riga 29, “salpa” è corretto a matita in “Salpa”, come indicato dall’errata corrige; lo stesso alla riga 33, dove “ombrina” è corretto in “Ombrina”. Così a p. cxxii, riga 17, “dell’limpid’onde” diventa “delle limpid’onde”. XCIV . Terzine dantesche concluse da un verso isolato in rima con il secondo
verso dell’ultima terzina. L’egloga è caratterizzata dalla varietà stilistica: si riscontrano diversi registri linguistici, da quello realistico a quello aulico. Si presenta come una gara di canto fra due pescatori, Alceo e Nilalga, mentre Telgone assiste come arbitro. 2: ti spinge a gareggiare con me nel canto. 5-6: perché ti degni di gareggiare con me, tu che ti vanti di superare tutti. 9: perché ora la follia è scambiata per merito.
alcune poesie di ripano eupilino È chi è ranocchio, ed usignuol si stima, Tu se’ per verità di quello stuolo.
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Nilalga Or non se’ tu, che d’uno scoglio in cima L’altrier cantasti così dolcemente, Che mi parevi una stridente lima? Ben mi sovvien, che sendovi presente Una schiera di rane, sbigottite Saltar tutte nell’acqua prestamente.
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Alceo Or non se’ tu, che le tue voci udite, Ogni canoro augel presto si tacque, Sendo le piche a cantar teco uscite? Ben mi sovvien, che ’l dolce canto piacque Tanto alle Dive, che nell’onde stanno, Che crepavan di riso infondo all’acque.
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Nilalga Sì mi sovvien, e non è mica un anno, Che tu togliesti al giovine Licone Due belle canne con aperto inganno. E perch’ei volea dir la sua ragione Tu saltasti di barca, ed adirato Gli corresti vicin con un bastone.
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Alceo Anzi io quelle da lui avea comprato, E mi ricordo ben, che in pagamento A lui dieci ami, ed una lenza ho dato,
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18 Saltar: saltarono (persino le rane sono scappate al sentire la voce di Alceo). 19-20: ora non sei tu quello per cui, dopo aver sentito la tua voce, ogni uccello smise di cantare. 21 piche: gazze. 23 alle Dive: alle divinità (in questo caso le Nereidi, dee minori delle acque). 31 quelle: quelle canne.
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giuseppe parini Ma perchè poi non si trovò contento, Non mi voleva dar le canne: ond’io Gli corsi addosso, e lo colpìi sul mento.
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Telgone O Giovinetti, e qual folle desio Vi conduce a piatir? Non delle risse Ma del canto esser debbe il parer mio.
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Nilalga Taci amico: Telgone il ver ci disse, Sien d’altro i nostri versi, e guadagniamo Il bel dono, che Cromi a noi prescrisse.
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Alceo Taci pure, Nilalga, e rivolgiamo I nostri canti a dir l’alma beltate Della tua Ninfa, e di colei, ch’io bramo.
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Nilalga La Pescatrice mia le chiome aurate Propio ha dell’or, onde la Salpa splende, E gli occhi rilucenti ha dell’Orate.
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Alceo La Pescatrice mia le gote accende Della porpora vaga, e ’l suo bel seno Dell’Ombrina il color candido rende.
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Nilalga Per corre i Pesci mai non mi vien meno 38 piatir: litigare (Boccaccio, Decameron. Conclusione 4: «non intendo di piatir con voi, che mi vincereste»). 46-47: la mia pescatrice ha i capelli del color dell’oro di cui risplende la salpa (pesce marino con striature gialle). 51 Ombrina: pesce marino dal ventre argenteo. 52 corre: prendere.
alcune poesie di ripano eupilino Qualche froda, ed astuzia; eppur son stretto Al girar di quel ciglio almo, e sereno.
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Alceo Da quel dì, ch’a nuotare i’ fui costretto, Mai timore non ebbi, eppur m’annego Nel dolce latte di quel bianco petto.
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Nilalga Vien, Pescatrice mia vieni ti prego; Io vo’ farti un bel don di due fiscelle: Vedi, che i giunchi io vo torcendo, e piego.
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Alceo Vien, Pescatrice mia, vieni: due belle Canne vo’ darti tremule, e leggiere: Vedi, son secche, ed han bionda la pelle.
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Nilalga Io vo’ darti un bel vaso, ove le schiere Degli animali mansueti, e domi Dipinti sono, e delle crude fiere.
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Alceo Io vo’ darti un bel vaso, ove già Cromi, Il vecchio, e saggio Pescatore, incise Di cento pesci sconosciuti i nomi.
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Nilalga Quì meco un dì la Donna mia s’assise, E mi fe cerchio del bel braccio al fianco, E poi mi diede un dolce bacio, e rise. Allora i Pesci al destro lito, e al manco
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59 fiscelle: ceste rotonde di vimini o di giunchi (Tasso, Gerusalemme liberata vii.6: «vede un uom canuto a l’ombre amene / tesser fiscelle a la sua greggia a canto»). 63 pelle: scorza. 65 domi: domestici.
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giuseppe parini Invidiosi corsero, e tornaro Traendo il dorso faticoso, e stanco. Alceo Quì un dì, che insiem le Ninfe si lavaro, Vidi le membra della Donna mia Trasparir nell’umor lucido, e chiaro. Allor le Dive dell’ondosa via Stavan sospese rimirando, e poi Ognuna tinta di rossor partia.
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Nilalga Perciò se lieti, o bianchi liti, a voi Tornan le Tenie molli, e i Melanuri, Sì a quest’ombre torniam lieti ancor noi.
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Alceo Perciò se i gorghi limpidetti, e puri Piacciono al Luccio, e al presto Ghiozzo i sassi, Piacete a noi, bei siti ombrosi, e oscuri.
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Nilalga Sante Muse, i miei versi incolti, e bassi Ergete sì col vostro almo furore, Sicchè cantando il mio compagno io passi.
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Alceo Sante Muse, col vostro almo splendore Sì ’l mio canto guidate oscuro, e vile, Ch’io porti sol di vincitor l’onore.
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79 le Dive: le Nereidi. 81: ognuna si allontanava rossa per la vergogna (di essere superata in bellezza). 83 Tenie: grossi pesci di forma allungata; Melanuri: pesci dal corpo ellittico. 86 al presto Ghiozzo: al veloce ghiozzo (genere di pesci sia di mare sia d’acqua dolce). 88 incolti, e bassi: rozzi e di poco valore. 92-93: ispirate il mio canto umile, così che soltanto io abbia l’onore della vittoria.
alcune poesie di ripano eupilino Telgone Sien lodi al Ciel, che nell’età senile Udir mi fa per queste piagge amene Un sì tenero canto, e sì gentile! O quai candidi Cigni, o quai Sirene S’ascoltaro ne’ fiumi, oppur nel mare Cantar tai versi con sì dolci vene? Dovresti pur le glauche luci alzare, O Nereo Padre delle limpid’onde, E ben superbo di tai carmi andare. Deh chi mi presta un’onorata fronde, Ond’io cinga le chiome ai Pescatori, In cui tal spirto il Santo Apollo infonde? Felici voi, che i vostri lieti amori Vedransi scritti per gli scogli, e d’alga Orneragli ogni Ninfa, e di bei fiori. E i Pescator mirando a quanto salga Anche in povero lito il canto, e i versi: Quì scrisse Alceo, diranno, e qui Nilalga. Nilalga Orsù, Telgone, omai devria sapersi, A qual di noi la prima lode apporti Il cantar carmi più leggiadri, e tersi.
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Telgone Combatteste ambidue sì alteri, e forti Nella lotta gentil, ch’io non saprei, 99 vene: vena poetica, cioè ispirazione. 101 Nereo: dio del mare, figlio di Oceano e padre delle Nereidi. 103 onorata fronde: la palma della vittoria. 105 spirto: ispirazione; Apollo: dio della poesia. 108 Orneragli: li adornerà. 109 a quanto salga: a quale altezza ascenda. 113-114: a chi di noi spetti la vittoria per aver cantato i versi più leggiadri e limpidi. 116 lotta gentil: ossimoro per indicare la gara di canto.
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giuseppe parini Qual sopra l’altro il maggior pregio porti. Ma perchè senza premio andar non dei, Alceo si tenga il destinato vaso; Che tu n’avrai Nilalga uno de’ miei. Nè ti pensar, che ’l minor don rimaso, O Pescator ti sia; perchè vedrai, Che forse ancor hai migliorato il caso. Un picciol nappo di corallo avrai, Che viene infin dall’Indica marina, Se ’l ver mi disse quegli, onde ’l comprai. Questo l’ebbe già in don la mia Lucrina, E mi ricordo ancor, bench’ei sia molto, Ch’io gliel diedi sul lito una mattina. Scorger ben puoi, che per man dotta è scolto Poichè tant’opra, e tanto studio vedi In sì piccolo spazio essere accolto. Quì sta intagliato un Pescator, che in piedi D’un alto scoglio i bei guizzanti armenti Colla canna, e coll’amo avvien, che predi. Son tre fanciulli appresso a lui ridenti, Che la preda raccolgono sul lito, E poi si stanno a scherzar seco intenti. Ed eccon’un, che intrepido, ed ardito Un suo compagno stringe pe’ capelli; Perocchè innanzi un pesce gli ha rapito.
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117: chi dei due ottenga la vittoria sull’altro. 118 dei: devi. 119 il destinato vaso: il vaso promesso da Cromi al vincitore (v. 42). 123: che forse hai avuto una sorte migliore. 124 picciol nappo: piccolo vaso; si rinviene in Ariosto (Orlando furioso xlii.98: «Ora essendo la cena terminata, / ecco un donzello a chi l’ufficio tocca, / pon su la mensa un bel nappo d’or fino, / di fuor di gemme, e dentro pien di vino») e in Marino (Adone xiv.256: «Prendo il nappo leggiadro, e prima inchino / l’alta mia Dea, poi reverente assorgo»). 125: che arriva persino dai mari indiani. 128 bench’ei sia molto: nonostante sia accaduto molto tempo fa. 130: puoi vedere bene che è stato scolpito (scolto) da una mano abile (dotta). 132 accolto: contenuto. 134 guizzanti armenti: i pesci. 135 avvien, che predi: è occupato a pescare.
alcune poesie di ripano eupilino Quì poscia i piedi candidetti, e belli Si stan lavando quattro giovinette, All’ombra d’una schiera d’Arboscelli. Sono sedute sulle molli erbette, E colla gonna oltre ’l ginocchio alzata Mostran le gambe alabastrine, e schiette. Intanto di Tritoni una brigata Del mal cauto drappello, ed inesperto Si sta ridendo dopo un sasso, e guata. Or questo vaso, da Maestro esperto Sì ben scolpito, o Pescator, ti dono, Se non egual delle due voci al merto, Almen egual del tuo compagno al dono.
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147 alabastrine, e schiette: candide e lisce. 148 Tritoni: divinità marine minori, al seguito di Nettuno. 149: del gruppetto di giovinette incaute e inesperte (poiché si lasciano scorgere dai Tritoni). 150 dopo un sasso: dietro uno scoglio. 153: se non è pari al merito delle tue canzoni.
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giuseppe parini
Tutte l’espressioni, che a qualunque orecchio più delicato possano suonar male, si attribuiscano alla libertà della Poesia sì Amorosa, che Satirica, Berniesca, o di qual altra specie essa sia, e non già a’ sentimenti dell’animo dell’Autore, che crede da buon Cattolico, e in ogni luogo e tempo vuol essere Figliuolo ubbidiente della Santa Chiesa.
R IM AR IO à coltiverà lxxxix.140 dirà lxxxix.144 studierà lxxxix.142 abbia abbia xviii.12; lxxxix.23; xcii.71 gabbia lxxxix.25 rabbia xviii.14; lxxxix.27; xcii.75 scabbia xviii.10; xcii.73 aca imbriaca lxxix.11 Pastinaca lxxix.13 placa lxxix.9 acca acca lxxii.9; lxxxix.47 Cibacca lxxxix.51 distacca lxxii.13 fiacca lxxii.11 stracca lxxxix.49 acci granellacci lxxxi.13 ignorantacci lxxxi.11 impacci lxxvii.14; lxxxix.13 libracci lxxxi.9 minacci lxxvii.12 occhiacci lxxvii.10 spacci lxxxix.15 versacci lxxxix.11 accia abbraccia
xciii.7
addiaccia lxxxviii.96 bisaccia xxxi.3 braccia lxxiii.7; lxxxviii.92; lxxxix.108; xciii.4 caccia xxxi.6 cosaccia lxxxix.106 crudelaccia lxxiii.1 dispiaccia xc.85 faccia xxxi.7; lxxiii.5; lxxxix.104; xc.83; xc.87 figuraccia lxxxviii.94 fortunaccia lxxiii.3 schiaccia xxxi.2 accio asinaccio lxxxvii.5 avaccio lxx.18; lxxxv.3 babaccio lxxxix.111 Berlingaccio lxii.11 caccio lxi.7 calonacaccio lxxxvii.1 capricciaccio lxii.9 cervellaccio lvii.7; lxxxix.109 coltellaccio lxiv.3 cristianaccio lxx.17 faccio lxxxix.107 ghiaccio lxxxviii.28 ignorantaccio xc.76 impaccio lxi.6; xc.74 impiccataccio lxiv.6 laccio lxi.3; lxx.16 libraccio lvii.3 Menicaccio lxii.13 mestieraccio lxxxv.2 mostaccio lxiv.7; lxxxvii.8
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rimario
nasaccio lvii.1 peccataccio xc.78 pensieraccio lxi.2 poveraccio lxxxviii.26 procaccio lxxxv.7 scartafaccio lvii.5 sguajataccio lxiv.2 straccio lxxxvii.4; lxxxviii.30; lxxxix.36 suggettaccio lxxxv.6; lxxxix.34 virtuosaccio lxxxix.32
agio lix.21 Biagio lix.20
ace giace xcii.92 rapace xcii.94 vorace xcii.96
agna cagna xxix.11 campagna xxix.9; xxix.13
aglie canaglie lxxxv.23 raglie lxxxv.24 tanaglie lxxxv.22 aglio aglio lxxxviii.29 maglio lxxxviii.33 quaglio lxxxviii.31
agi adagi li.4 disagi li.5 malvagi li.8 palagi li.1
ai ahi lxxxi.14 avrai xcii.88; xciv.124 berrettai lxxxix.14 cercherai lxi.11 comprai xciv.126 cotai lxxi.7 guai vii.10; viii.8; lxxxix.18 hai v.4 mai v.1; viii.4; lxxi.5; lxxxi.10; lxxxix.16 notai lxxi.1 omai lxxi.3; lxxxi.12 penserai v.5 potrai lxi.13 rai viii.1; xcii.90 sai viii.5; lxi.9; xc.1 saperai xc.3 scacciai vii.14 sentirai v.8 vedrai xcii.86; xciv.122
agio adagio
aja aja lviii.5; lxix.4; lxxxviii.69
aci audaci liii.9 mordaci liii.13 acque acque xlviii.11; liii.11; xciv.24 giacque xlviii.13; liii.12 piacque xlviii.9; xciv.22 tacque xciv.20 aggia aggia xciii.94 piaggia xciii.91
lix.19
rimario Baja lviii.4 ceppaja lxxxviii.67 ciucaja lviii.8 civaja lviii.1 focaja lxix.8 ghiandaja lxix.1 legnaja lxxxviii.65 paja lxix.5 aje baje lxxxix.20 gaje lxxxix.24 sezzaje lxxxix.22 ajo bericuocolajo lxxxiii.24 ciambellajo lxxxiii.23 danajo lxxxiii.22 guajo lxxxviii.86 pajo lxxxviii.90 sajo lxxxviii.88 alce falce xxiii.5 incalce xxiii.8 salce xxiii.1 valce xxiii.4 ale animale lvi.4; lxxxv.14 assale xciii.88 bestiale lv.8 carnale lv.5 cassale lxxxviii.81 cotale lv.1; lvi.8; lxxxv.12 facimale lxxxviii.79 grembiale lvi.1 immortale lxxxv.10 male lv.4; lvi.5 mortale xciii.85
quale lxxxviii.77 stivale lxxxv.15 alga alga xciv.107 Nilalga xciv.111 salga xciv.109 ali ali xli.2 cotali lxxxiv.14 guanciali xli.6 mali xli.7; lxxxiv.10 mortali xli.3 naturali lxxxiv.15 Spedali lxxxiv.12 alle calle xliv.1; lxxxii.11 dalle xliv.4; lxxxii.13 falle lxxxiii.25 manucalle lxxxiii.26 spalle xliv.5; lxxxii.9 valle xliv.8 allo Baraballo lxvi.14 ballo lxxxviii.18 cacciallo lxxxviii.16 cavallo lxvi.10 coronallo lxvi.12 conservallo lxiii.12 cristallo lxiii.14 fallo lxiii.10 sbranallo lxxxviii.14 alza balza xxxviii.3; xxxviii.8 innalza xxxviii.1 scalza xxxviii.6
235
236
rimario
alze balze lxxxix.12 calze lxxxix.8 scalze lxxxix.10 ambe gambe lxv.14 strambe lxv.12 amo bramo xciv.45 guadagniamo xciv.41 rivolgiamo xciv.43 ampi campi xxviii.13 lampi xxviii.11 scampi xxviii.9 ana cristiana lxxiii.13 puttana lxxiii.9 ruffiana lxxiii.11 anco almanco lxiii.8 anco lxiii.4 banco lxiii.6 bianco lxiii.2 fianco xciv.71 manco xciv.73 stanco xciv.75 anda comanda lxxxv.13 ghirlanda lxxxv.9 tramanda lxxxv.11 ande ghirlande
xli.14
grande xli.12 spande xli.10 ando bagnando xcii.89 bando lxxxix.102 lagrimando xcii.93 nominando lxxxix.98 Orlando lxxxix.100 quando xcii.91 ane cane xxxvii.9 fontane xxxvii.12 lontane lxxxix.80 mane lxxxix.82 pane lxxxix.84 angue angue xxix.1 esangue xxix.4 langue xxix.8 sangue xxix.5 ani mani lxxix.5 petronciani lxxix.4 toscani lxxix.8 sani lxxix.1 anna scranna lxv.11 zanna lxv.9 anne andranne xxii.3 canne xxi.9; xxii.2; xxx.11 capanne xxx.14 cappanne xxii.6 spanne xxx.10 verranne xxi.12; xxii.7
rimario anni affanni vii.7; xl.3 anni vii.2; xl.2 danni vii.4 malanni lxxv.43 Nanni lxxv.1; lxxv.44 panni lxxv.5 scanni xl.7; lxxv.4; lxxv.8 tiranni vii.5 vanni xl.6 anno affanno xc.34 anno lx.33; lxxxix.50; xciv.25 baderanno xc.36 danno lx.31; xciii.90 fanno lxvii.16 hanno xc.32; xciii.87 inganno lxxxix.52; xciv.27 malanno lx.32; lxxxix.54 sanno lxvii.17 stanno xciv.23 vanno lxvii.18 ano Alcorano lxxiv.10 baciamano lxxxix.123 cristiano lxxxviii.99 Giordano xlvii.9 invano lvi.15 mano liii.1; lvi.14; lxxiv.15; lxxxviii.95 profano liii.5 sano liii.3 scherano lxxxviii.97 sovrano xlvii.13; lxxiv.14 strano xlvii.11; lvi.10; lxxiv.12 toscano liii.7; lvi.12 vano lxxxix.119
237
ante amostante lix.7 levante lix.6 ignorante lix.2; lx.20 infrante xciii.46 pedante lix.3; lx.19 piante xciii.43 tante lx.21 anti amanti xlvi.10 ammanti xviii.11 furfanti lxxi.2; lxxxi.4 ignoranti lxxxi.8 incanti xviii.9 innanti xviii.13; xlvi.12 pedanti lxxxi.5 protestanti lxxi.6 quanti lxxi.8 santi lxxi.4 tanti xlvi.14; lxxxi.1 anto accanto xv.2; xxxviii.9 canto xv.3; xxxviii.13; xciv.2 intanto xxxvi.9; xxxviii.11 manto xv.6 pianto xxxvi.13 santo xxxvi.11 tanto xv.7; xciv.4 vanto xciv.6 appa arrappa lxxvii.1 cappa lxxvii.3 grappa lxxvii.7 rattrappa lxxvii.5 appe chiappe
lxxii.17
238
rimario
grappe lxxii.16 iscappe lxxii.18
cercarle lxxxviii.60 ciarle lxxxviii.58
arca barca xxi.2; xcii.68 carca xxi.8; xcii.72 parca xxi.4; xcii.70 varca xxi.6
armi affaticarmi xc.104 affogarmi xcii.80 avvicinarmi xcii.82 carmi xxiv.14 chetarmi xc.106 menarmi xcii.84 mirarmi xxiv.12 parmi xxiv.10 trovarmi xc.108
are alzare xciv.100 ammalare lxx.19 andare xlv.8; xciv.102 annegare xc.56 appare xxxv.9 bagnare xc.58 chiare xlv.5 contentare xc.60 cuculiare lx.14 destare xxxv.13 gracchiare lxxxix.38 impazzare lxxxix.42 ischiccherare lx.12 mangiare lxx.20 mare xlv.4; xciv.98 patrocinare lx.10 rare xlv.1 risvegliare xxxv.11 sopportare lx.15 studiare lxxxix.40 tirare lxx.21
aro amaro xc.16; xcii.98 baro xc.14 caro lxv.13; xcii.100 chiaro xciv.78 ignaro lxv.10 lavaro xciv.76 raro xcii.102 somaro xc.18 tornaro xciv.74 arro bizzarro lxxxix.64 carro lxxxix.66 tabarro lxxxix.62
argo cospargo xxvii.7 largo xxvii.3 margo xxvii.6 spargo xxvii.2
arse alzarse xxx.9 apparse xxxix.3 placarse xxxix.6 posarse xxxix.2 sparse xxx.11; xxx.13 starse xxxix.7
arle appiccarle
arsi cibarsi
lxxxviii.56
lxxi.10
rimario contentarsi xc.33 dimostrarsi lxxxix.127 farsi xc.31 governarsi lxxi.12 impiccarsi lxxi.14; xc.29 ricordarsi lxxxix.125 scarsi lxxxix.129 arte arte xx.9; xlviii.1 carte xlviii.5 disparte xx.11 parte xx.13; xlviii.4 sparte xlviii.8 arti dispogliarti lxxviii.10 impiccarti lxxviii.14 perseguitarti lxxviii.12 asci fasci xvii.9; xvii.11 lasci xvii.13 ascia fascia lxxxv.18 lascia lxxxv.17 aso caso lvi.9; xciv.123 naso lvi.11 Parnaso lvi.13 rimaso xciv.121 vaso xciv.119 assi bassi xciv.88 lassi xxxvii.10 passi li.10; xcii.76; xciv.90 sassi xxxvii.13; li.14; xcii.74; xciv.86 vassi li.12; xcii.78
239
asso conquasso lxx.14 lasso xliii.12; lxx.12 Nasso xliii.10 passo xliii.14; lxx.15 Satanasso lxx.10 asti basti xlix.8 contrasti xlix.6 sovrasti xlix.4 vasti xlix.2 asto pasto lxxxviii.3 rimasto lxxxviii.1 ata alzata xciv.146 brigata xciv.148 guata xciv.150 lavata lxxxix.136 sassata lxxxix.138 serenata lxxxviii.40 tarchiata lxxxviii.38 trovata lxxxviii.42 ate andate lxxxii.1; xciii.51 adoprate lxxix.7 amate x.14; xlvii.5 aurate xciv.46 beltate xciv.44 crudeltate x.10 fate lxxxix.29 fiate x.12 frate lxxxii.7 guardate lxxix.3 guidate xlvii.1 indiavolate lxxv.26; lxxxii.5 ingannate lxxxix.31 inventate lxxxvii.3
240 lasciate lxxxviii.117 malate lxxv.27; lxxix.2 nate xlvii.4 orate xciv.48 passeggiate lxxxviii.119 pietate lv.9; xciii.54 pugnalate lv.11 ragliate lxxxvii.7 rubate lxxxvii.6 scioperate lxxix.6 sonate lxxxii.3 sperticate lxxxix.33 stampate lxxxvii.2 steccate lxxv.25 stoccate lv.13 usate xlvii.8 ati armati lxxxii.10 innamorati lxxxii.12 ornati lxvi.8 riscaldati lxxxii.14 sciagurati lxvi.5 sterminati lxvi.4 vati lxvi.1 atiche natiche lvi.17 pratiche lvi.16 ato adirato xciv.29 apparecchiato xc.117 beato xxii.11 bruciato lxxx.7 cavato lxxxviii.36 comprato xciv.31 curato lxxxix.21 dato xciv.33 difilato lxxxix.17 fato xxii.9
rimario grato xc.115 imbertonato lxxx.3 impiccato xc.15 innamorato lxx.2 lato lxx.7; lxxv.21 mirato v.11 parlato v.9 peccato lxx.4 pensato xc.13 piato xxii.13 principato xc.113 sgangherato lxxx.5 spiritato lxxx.1 spolpato lxx.5 stato v.13; lxxxviii.32; lxxxix.19, xc.11 storpiato lxxv.19 stracciato lxxv.20 trovato lxxxviii.34 atta contrafatta lxxxiv.20 esterrefatta lxxxiv.19 fatta lxxii.15; lxxxiv.21 gatta lxxii.14 mignatta lxxii.12 schiatta lxxii.10 spiattellatta lxxxix.134 atti addatti lxiv.13 disfatti lxxv.11 fatti lxiv.9 gatti lxiv.11; lxxv.13 piatti lxxv.9 atto affatto lvi.7 disfatto lxxx.10 fatto lvi.2; lxvi.9; lxvi.11; lxxvi.4; lxxvi.8; lxxxviii.62; lxxxviii.66
rimario gatto lxxx.14 liquefatto lxxvi.6 matto lvi.6; lxvi.13; lxxvi.2; lxxxviii.64 patto lvi.3 tratto lxxx.12; lxxx.15 ava ava lxxxix.60 filava lxxxix.56 regalava lxxxix.58 azia disgrazia lxxxix.97 grazia lxxxix.99 verbigrazia lxxxix.95 e affè xxxv.2 fe xxxv.7 piè xxxv.6 te xxxv.3 ea attendea xvi.14 avea xvi.12; xix.1 battea ii.9 cadea xvi.10 correa ii.11 dea ii.13 godea xciii.66 parea xix.3 sedea xix.7 temea xix.5 tendea xciii.63 eca arreca liv.13 bieca liv.9 reca liv.11
241
ecchia invecchia lxxxvi.3 morsecchia lxxxvi.7 orecchia lxxxvi.5 vecchia lxxxvi.1 ecchio orecchio lxxxviii.74 specchio lxxxviii.78 vecchio lxxxviii.76 eco Beco lxii.2 reco lxii.7 seco lxii:5 teco lxii.4 ede chiede xcii.44 crede xcii.46 diede xcii.48 piede xcii.15 risiede xcii.13 vede xcii.11 edi piedi xciv.133 predi xciv.135 vedi xciv.131 egga regga xliv.10 segga xliv.12 vegga xliv.14 egge corregge lviii.16 legge lviii.17 eggi leggi
lx.25
242 proteggi lx.26 storcileggi lx.27 eggia acceggia lxxxviii.41 cuccuveggia lxxxviii.45 marreggia lxxxviii.43 egni insegni lxxxix.149 pregni lxxxix.153 segni lxxxix.151 egno insegno xxv.4 regno xxv.8; lxxxix.120 sdegno lxxxix.118 segno xxv.1; xxv.5 ego annego xciv.56 piego xciv.60 prego xciv.58 ei avrei viii.14 costei xcii.25 dei xcii.27; xciv.118 lei viii.10; xc.114 miei x.11; xc.110; xcii.23; xciv.120 potei viii.12 saprei xciv.116 sei x.13; xc.112 vivrei x.9 ella arrovella xxxi.8 bella v.3; xxxv.12; lii.8; lxvii.28; lxxiii.19; xc.39; xcii.125; xciii.1
rimario cervella lxvii.29; xc.37 donzella lii.1 ella v.6 facella ix.12; xxxi.1 favella v.7; xxxv.10 fella xcii.127 fiammella ix.14 quadrella xxxi.4 quella lii.4; xc.35; xciii.4 rondinella xxxv.14 rubella xcii.129 snella ix.10; lii.5 vedella v.2 vella lxxiii.20 vitella xxxi.5 elle agnelle xviii.2 ciambelle lxxxiii.19 covelle lxxx.18 belle lxxx.16; xciv.61 felle xviii.6 fiscelle xciv.59 girelle lxxxix.117 noncovelle lxxxix.113 pecorelle xviii.7 pelle lxxx.17; xciv.63 quelle xviii.3; lxxxiii.20 stelle lxxxix.115 vedelle lxxxiii.21 elli arboscelli xciv.144 belli lxxiv.13; lxxxix.28; xciv.142 capelli xciv.140 falimbelli lxxiv.11 quelli lxxxix.30 Ruscelli lxxiv.9 uccelli lxxxix.26
rimario ello arboscello xxxix.8 asinello lxxxviii.20 avello xlvi.2 bargello lxxxvi.17 bello xxxiv.4; xxxix.4; xlvi.3; lxv.5; lxxxviii.22; lxxxix.133; xc.57 bidello lix.8 bordello lxxxv.1; lxxxvi.16 Burchiello lxv.1 cartello lxxxvi.18 cervello xxxiv.1; lix.4; lxv.4; lxxxv.5; lxxxviii.82; lxxxix.135, xc.55 duello lxxxviii.84 fello xxxiv.8 flagello xxxix.1; xlvi.6 garzoncello lix.1 giubberello xc.53 martello lxxxviii.24 novello xxxix.5; lxv.8 quattrinello lxxxv.4 quello xxxiv.5; xlvi.7 sciaguratello lxxxviii.80 tinello lix.5 vanerello lxxxix.131 vascello lxxxv.8 empio empio xiv.13 esempio xiv.11 tempio xiv.9 en contravelen xliii.6 pien xliii.4 sen xliii.2 Silen xliii.8 ena arena
lv.10; xciii.23
lena lv.12 Mena xcii.61 murena xcii.59 pena xcii.63 scena lv.15 sirena xciii.20 stiena lv.14 ende accende xiii.7; xciv.49 ascende xxx.5 comprende xiii.6 incende xxix.10 intende xxx.4 offende xxx.8 pende xiii.2 prende xxix.14; xxx.1 rende xxix.12; xciv.51 scende xiii.3 splende xciv.47 endo bendo xxiv.1 comprendo xxiv.4 orrendo xxiv.8 piangendo xciii.72 stendo xxiv.5 tessendo xciii.69 ene amene xciii.67; xciv.95 avene xciii.70 balene xcii.5 bene lviii.2; lxxxix.92; lxxxix.94; xc.52; xc.118 rene lviii.6 sirene xcii.7; xciv.97 stiene lviii.3; xc.50 tene xc.116 vene lviii.7, xc.54; xciv.99 viene lxxxix.96; xcii.9
243
244 enni ottenni xciii.26 venni xciii.29 eno almeno xxvi.14 ameno xx.8 appieno xc.84 freno xxvi.10; lxxxix.116 meno xc.80; xciv.52 pieno xx.6 seno xx.4; xxvi.12; xciv.50 sereno xciv.54 terreno xx.2 veleno xc.82 enta contenta x.7 inventa xli.9 lenta xli.13 senta x.3; xli.11 spaventa x.2 tormenta x.6 ente altamente xvii.3 attente xlii.11 dolcemente vi.5; xciv.14 dolorosamente vi.3 gente lix.15; lxxxv.25; lxxxix.7 intente vi.7; liii.10 mente vi.1; xvii.7; lvii.9; lxxxix.130; xcii.45 niente lvii.11; lix.12; lxxxv.26; lxxxix.9 onnipotente lvii.13 parente lxxxix.128 pazientemente xc.107 presente lxxxix.5; xc.111; xciv.16
rimario prestamente xciv.18 repente xlii.13 sapiente lix.10 sente xvii.1, xc.109; xciii.40 serpente liii.14 sovente xlii.9; xcii.41 tagliente xvii.5 tridente xcii.43; xciii.37 valente lix.14; lxxxix.132 enti accenti i.1 allenti liv.12 armenti xxvi.11; xciv.134 denti lxxv.17 frementi xlvii.3 genti i.4; xlvii.2 insolenti xlvii.6 intenti xciv.138 lamenti liv.10; xcii.65; xciii.49 lenti xcii.67; xciii.52 menti i.8 ridenti xciv.136 senti xxvi.9 serpenti liv.14 soggiacenti xlvii.7 spenti lxxv.18 strumenti lxxv.16 tenti i.5 venti xcii.69 ento argento xxxvii.14 argomento lxxxiv.8 armento xxxvii.11 cento xlvi.1; lxxxiv.6 concento xxii.10 contento xxxii.3; lxxxviii.107; xciv.34
rimario drento lxxxviii.111 intento xxii.12; xxxii.7; xlvi.5 lento xxii.14 mento xxxii.5; lxxxviii.109; xciv.36 pagamento xciv.32 portento lxxxiv.3 rammento xxxii.1 sento xlvi.8; lxxxiv.1 spento xxvi.13 vento xlvi.4
fiera xcii.4 pera xxv.14; xcii.2 preghiera xxv.12 schiera xxv.10 sera lxx.13; lxxxviii.12 versiera lxx.11; lxxxviii.10
enza conoscenza lix.18 differenza lix.17 Fiorenza lxiii.1 pazienza lxiii.3 scienza lix.16; lxxxix.143 semenza lxiii.7; lxxxix.145 senza lxiii.5 sperienza lxxxix.147
ere bicchiere xxxiv.11 fiere xciii.101; xciv.66 guerriere xxxiv.9 leggiere xciv.62 maniere xc.23 messere lxxxviii.103 nocchiere xciii.98 piacere xxxiv.13; xc.27 provvedere xc.25 rivedere lxxxviii.105 schiere xciv.64 tantafere lxxxviii.101
eo corteo lxvii.21 cristeo lvii.8 culiseo lxvii.20 empieo xv.5 feo xv.4; xxxix.13 Galateo lvii.6 Gallileo lvii.2 Lieo xv.1 museo lxvii.19 Orfeo xxxix.11 poteo xxxix.9 reo xv.8; lvii.4 era cera lxx.9 ciera lxxxviii.8 dispera xcii.6
erbe acerbe xcii.124 erbe xcii.126 superbe xcii.122
eri imperi lxxiv.16 piaceri lxxxviii.110 Seri lxxiv.17; lxxxviii.112 veri lxxiv.18; lxxxviii.114 ero dispero xxxix.14 fero ix.8 fiero xxxix.12 impero xxxix.10; lxxx.11 pensiero ix.1 prigioniero lxxx.13 sentiero ix.5
245
246 spero ix.4 vero lxxx.9 erra afferra xv.12 atterra xv.10; xix.11 disserra xix.9 terra xv.14; xix:13 ersi aspersi xcii.3 sapersi xciv.112 tersi xciv.114 versi xcii.1; xciv.110 erto esperto xciv.151 inesperto xciv.149 merto xciv.153 esa contesa xciv.5 presa xciv.9 resa xciv.7 eschi inveschi xciii.59 peschi xciii.56 esci esci xcii.130 mesci xcii.132 Pesci xcii.128 ese accese iv.3 apprese iv.2 chiese lxxv.33 cortese vii.12 difese iv.7
rimario franzese lxxv.31 mese lxxv.32 offese iv.6; vii.9 eso asceso xiii.5 appeso xiii.1 disceso xiii.8 teso xiii.4 essa confessa lxxxix.105 soppressa lxxxix.103 Tessa lxxxix.101 esse desse xc.49 esse xxix.7 intesse xxix.2 piacesse xc.47 rompesse xc.51 sommesse xxix.3 spesse xxix.6 essi dicessi xc.92 facessi xc.96 spiacessi xc.94 esso adesso lxxxiii.11; lxxxviii.71 appresso xciii.9 desso lxxvii.11 presso lxxxviii.73 sesso lxxxiii.9 sommesso lxxvii.9 spesso lxxvii.13; lxxxiii.13; xciii.12 successo lxxxviii.75 esta arresta
li.9
rimario contesta xlv.7 mesta li.11 presta xlv.2 resta xlv.6; li.13 tempesta xlv.3 este meste xxviii.7 peste lxxxiv.16 preste xxviii.2; lxxxiv.18; xciii.34 seste lxxxiv.17 tempeste xxviii.3 vedeste xciii.31 veste xxviii.6 esti avesti viii.9; xcii.108 avresti viii.11 godesti viii.13 nascesti xcii.106 vedesti xcii.104 esto capresto lxxxviii.106 mesto lxxxviii.108 presto lxxxviii.104 estra balestra lxxvii.4 destra lxxvii.2; lxxvii.8 incapestra lxxvii.6 ete ariete xcii.110 avete xii.2; lxxxix.71 chiudete xii.6 Lete xlii.4 liete xcii.114 mete xlii.8
247
movete xii.3 porgerete xlii.1 potete lxxxix.75 quiete xii.7; lxxxix.73 rete xcii.112; xciii.27 scuotete xlii.5 vedrete xciii.30 eti arieti xliv.6 lieti xliv.7; xcii.42 pianeti xliv.2 reti xxi.11; xcii.38 secreti xliv.3 vieti xxi.14; xcii.40 eto dreto lxi.14; xc.68 indiscreto xc.70 lieto lxi.10 peto lxi.12; xc.72 etra etra xxxiv.7 penetra xxxiv.2 pietra xxxiv.6 tetra xxxiv.3 etta alletta xcii.135 barchetta xcii.131; xciii.62 garruletta xxxv.1 linguetta xxxv.8 ristretta x.4 saetta x.1; xciii.65 schietta xcii.133 stretta x.8; xxxv.5 vendetta x.5; xxxv.4 ette allette
xii.12
248
rimario
connette xii.10 erbette xciii.8; xciv.145 giovinette xciv.143 lagrimette xciii.11 saette xii.14 schiette xciv.147 etti alletti xvii.12 aspetti l.9; lxxxix.65 benedetti lxxxix.67 grappoletti xvii.14 leggiadretti xciii.50 merletti lxxxviii.46 metti xvii.10; lxxxviii.44 perfetti lxxxix.69 petti xciii.53 saetti l.13 soggetti l.11 spilletti lxxxviii.48 etto Aletto xxv.6; lxxxiv.2 affetto xi.2; l.5 aspetto xxiv.3; xxv.7; lxxxiv.5; lxxxvi.15; xcii.103 ciuffetto lxxiii.17 costretto lxxxvi.14; xciv.55 diletto l.3; lxxxviii.37 dirimpetto lxxv.6 dispetto lxxiii.16; lxxxiv.7 eletto l.7 getto xxiv.6 letto l.1; lxxv.3 maladetto lxi.4; lxxxviii.35 metto xxiv.7; xxv.2 netto lxi.8; lxxiii.18 obbietto xi.4 petto xi.8; xxiv.2; xxv.3; lxxxvi.10; xcii.101; xciv.57
prometto lxxxvi.12 ristretto xi.6 schietto lxi.5; lxxxviii.39 soffietto lxxv.7 sonetto lxi.1 stretto xciv.53 tetto lxxv.2; lxxxiv.4; xcii.105 eve deve greve lieve neve riceve
lix.31 xxxviii.12 xxxviii.10 xxxviii.14 lix.32
ezza asprezza xcii.113 bellezza xcii.117 fierezza xcii.115 spezza xciv.3 stoltezza xciv.1 ezzo avvezzo xc.9 mezzo lxvii.26; xc.5 pezzo lxvii.25; xc.7 sezzo lxvii.27 ia apria vi.8 avria xcii.51 avemmaria lxxxiii.14 copria vi.6 mia i.2; vi.2; xxxiii.12 devria i.7 dia lxxxix.46 fia i.3; xl.13; xciii.32 mia i.2; vi.2; xxxiii.12; xl.11; lxxxix.152; xciii.35; xciv.77 minchioneria lxxxiii.10
rimario partia xciv.81 pia lxxxiii.12 pazzia lxxxix.44 poesia lxxiv.2 poltroneria lxxxix.48 ria vi.4; xxxiii.14; xcii.49 saria lxxxiii.15; xc.73 sia xxxiii.10; lxxiv.7; xc.75 teologia lxxiv.4 via i.6; xl.9; lxxiv.5; xc.71; xcii.47; xciv.79 vossignoria lxxxix.154 ica bica lxxxix.112 dica lxxxix.110 maladica lxxxix.114 icca ficca xxxi.11 ricca xxxi.13 sconficca xxxi.9 iccio carpiccio lxxxvi.20 miccio lxxxvi.19 ice cantatrice lxxiii.10 elice xcii.54 felice lxxiii.12; xciii.55 infelice xxiii.14; lxxiii.15 lice xxiii.12; xcii.52 maladice lxxiii.14 pendice xxiii.10; xciii.58 pescatrice xcii.50 iche amiche xxviii.14; lxvii.12 antiche xxviii.10; lxvii.14
249
biche xvi.11 fatiche xvi.9 loriche lxvii.10 mendiche lxvii.15 spiche xvi.13; xxviii.12 ici amici xcii.111 nemici xcii.109 pistrici xcii.107 ico amico lx.29 dico lx.28 fico lx.30 ida divida l.6 fida l.8 guida l.4 rida l.2 ie mie lxxxviii.54 poesìe lxxxviii.52 porcherie xc.41 sie xc.45 ribalderie lxxxviii.50 vie xc.43 ile gentile ii.6; viii.2; xi.14; xciv.96 senile xciv.94 simile viii.6 stile ii.2; viii.3 umìle ii.3; viii.7; xi.12 vile ii.7; xi.10; xciv.92 illi cavilli
lxxii.8
250
rimario
Cocodrilli lxxii.2 Pupilli lxxii.6 spilli lxxii.4 ima cima xciv.13 lima xciv.15 stima xciv.11 imo imo xciii.60 stimo xciii.57 ina Lucrina xciv.127 marina xcii.141; xciv.125 mattina xciv.129 ostina xcii.139 stamattina xcii.137 ine crine xl.14 divine xl.10 fine xl.12 infa Linfa xciii.18 Ninfa xciii.15 inge cinge xcii.37 stringe xcii.39 tinge xcii.35 ini divini lxxxix.63 fiorini lxxxix.59 meschini lxxxix.61 ino angiolino
lxiii.11
cherichino lxxv.36 ciabbattino lxxv.34 confino xciii.95 destino xxxiii.9; xcii.12; xciii.92 facchino lxxv.35 gaveggino lxiii.13 gonnellino lxiii.9 infino xxxiii.13 innocentino xc.65 marino xcii.10 moscherino lxiv.16 paladino lxxxviii.89 pellegrino xc.67 pino xcii.8 quattrino lxiv.17 saracino xc.69 supino lxxxviii.93 vino xxxiii.11 Zerbino lxxxviii.91 inta cinta xcii.14 estinta xcii.18 sospinta xcii.16 io addio xxxvi.14; lxxxviii.7 bacìo lxxxviii.9 brulichio lxix.10 Clio lx.3 desio ix.9; xi.9; lii.13; xcii.21; xciv.37 disio lii.11; xc.101 Dio xv.11; xv.13; lii.9; lxx.26; lxxi.9 Domeneddio lxxi.13 Iddio lx.7 io ix.13; xi.13; xv.9; liv.6; lx.6; lxix.13; lxxxix.124, xc.103; xciv.35
rimario mio ix.11; xi.11; xxxvi.12; liv.2; lx.2; lxx.25; lxxi.11; lxxviii.11; lxxxviii.5; lxxxix.126; xc.105, xcii.17; xciv.39 offrìo xxxvi.10 rio liv.3; liv.7; lxxviii.13; xcii.19 zio lxxxix.122 ire dire lxxxix.2; xc.2 morire lxxxix.6; xc.4 spedire lxxxix.4 venire xc.6 irti irti xxiii.13; xciii.47 mirti xxiii.9 spirti xxiii.11 udirti xciii.44 ise assise xciv.70 incise xciv.68 rise xciv.72 iso conquiso xlix.12 paradiso v.14 riso v.10; xlix.10 viso v.12; xlix.14 isse confisse xciii.81 disse lv.16; xciv.40 prescrisse xciv.42 risse xciv.38 scrisse lv.18 trafisse xciii.84 visse lv.17
ista ateista lxxiv.3 lista lxxiv.1 secentista lxxiv.8 vista lxxiv.6 isto acquisto lx.23 Antichristo lxxxviii.13 tristo lx.22; lxxxviii.11 visto lxxxviii.15 ita ardita l.10 dita xii.1; lxx.23; lxxxix.85 ferita lxx.22 fornita l.12 gradita xii.4 incita xii.5 spedita xii.8 squisita lxxxix.83 vita l.14; lxx.24; lxxxix.87 ite Dite lxxxix.78 dormite lxxxix.74 sbigottite xciv.17 stampite lxxxix.76 udite xciv.19 uscite xciv.21 iti additi xciii.16 liti xciii.13 ito ardito xciv.139 compito lii.12 fornito lxxxviii.87 guerito lxxx.19 incaponnito lxxxviii.83
251
252
rimario
infinito lii.10 invito lxxxviii.85 lito xciv.137 pambollito lxxx.20 rapito xciv.141 unito lii.14 itte Davitte lxxv.23 fitte lxxv.22 ritte lxxv.24 itto conflitto lxvii.3 descritto lxvii.7 dritto lxxii.7 Egitto lxvii.1; lxxii.1 ritto lxxii.3 scritto lxvii.5 vitto lxxii.5 iva attiva lxxxiii.18 contemplativa lxxxiii.17 priva xciii.36 riva xciii.33 viva lxxxiii.16 ivo giulivo xciii.22 motivo lix.28 schivo lix.30 vivo lix.29; xciii.19 occa sciocca lxxxvii.9 scocca xii.13; lxxxvii.11 tocca xii.9; lxxxvii.13 trabocca xii.11 occe allegrocce
lxxxviii.53
carezzocce lxxxviii.55 vermigliocce lxxxviii.57 occhi balocchi lxxxvi.4 occhi lxxxvi.6 sciocchi lxxxvi.2 stocchi lxxxvi.8 occo alocco lxix.2 balocco lxix.3 iscocco lxix.7 scrocco lxix.6 oche hoche lxxxix.148 oche lxxxix.150 poche lxxxix.146 ochi giochi xciii.25 pochi xciii.28 oco foco i.14; iv.14; xxvii.13; xc.77 giuoco xc.81 loco i.12; iv.10; xxvii.9 poco i.10; iv.12; xxvii.11; xc.79 odi godi xlix.7 lodi xlix.3 modi xlix.5 nodi xlix.1 odo chiodo xc.10 modo xc.8 nodo xc.12
rimario oglio doglio xcii.140 orgoglio xiv.12 scoglio xiv.14; xcii.142 voglio xiv.10 ogna carogna lxxviii.8 fogna lxxviii.5; lxxxviii.17 gogna lxxviii.1; lxxxviii.19 vergogna lxxviii.4; lxxxviii.21 oi annoi lix.22 eoi xvii.4; xxxiii.3 noi xvii.6; xxxiii.2; lx.34; xciv.84 poi xciv.80 suoi xvii.2; xxxiii.7; lix.23 tuoi xxi.13; xxxiii.6 voi xxi.10; lix.24; lx.35; xciv.82 vuoi xvii.8 oja boja xc.91 cuoja lxviii.10; xc.93 foja lxviii.14 noja lxviii.12; xc.89 ojo avvoltojo lxxx.4 cascatojo lxxx.8 muojo lxxx.2 scuojo lxxx.6 ole fole liii.4 Jole xxvii.14 parole ix.3; xxvii.12; liii.2
253
sole ix.2; ix.7; xxvii.10; liii.6 suole liii.8 vole ix.6 olga accolga xi.7; xxiv.11 disciolga xi.5 raccolga xciii.96 sciolga xi.1; xxiv.9 tolga xciii.93 volga xi.3; xxiv.13 ollo Apollo lviii.14 collo lviii.12; lxxii.20 crollo lxxii.19 midollo lviii.10 vuollo lviii.15 olo acquajuolo lxviii.6 ajuolo lxviii.8 coreggiuolo lxxxviii.47 duolo xx.10; lxxxviii.51; xciii.17 mariuolo lxviii.4 solo xx.14; lxviii.2; xciii.14; xciv.8 stuolo xciv.12 suolo xx.12; xciv.10 volo lxxxviii.49 olpi Eumolpi xxi.1 colpi xxi.5 incolpi xxi.3 polpi xxi.7 olse tolse xciii.80 volse xciii.83
254 olta accolta vi.9 ascolta vi.13 sciolta vi.11 olte molte lxii.3 tolte lxii.8 volte lxii.1; lxii.6 olto accolto xciv.132 disciolto xvi.5 molto xcii.85; xciv.128 raccolto xvi.3 scolto xciv.130 stolto xcii.87 tolto xvi.1 travolto xcii.83 volto xvi.7 oltre coltre li.3 inoltre li.2 oltre li.6 spoltre li.7 ombi lombi xxviii.5 rimbombi xxviii.1 rombi xxviii.4; xxviii.8 ombra disgombra xlviii.3 ingombra xlviii.6 ombra xlviii.2 sgombra xlviii.7 ome chiome xxvi.3 come xxvi.2
rimario dischiome xxvi.7 nome xxvi.6 omi Cromi xciv.67 domi xciv.65 nomi xciv.69 omo galantuomo xc.20 tomo xc.22 uomo xc.24 ona buona lxxxiii.2 persona lxxxiii.3 pollastrona lxxxiii.7 Pomona lxxxiii.6 onache cronache lxxv.38 monache lxxv.37 tonache lxxv.39 onda asconda xiv.7 gioconda xciii.89 inonda xiv.6 onda xiv.2; xciii.86 sponda xiv.3 onde asconde xxxviii.2; xcii.36 bionde xciii.68 diffonde xcii.34 fronde xciv.103 gioconde vi.10; xxxviii.7 infonde xciii.71; xciv.105 onde vi.12; xxxviii.4; xcii.32; xciv.101
rimario risponde vi.14 sponde xxxviii.5 ondo abbondo xlix.9 fondo iii.8; lxxxv.19; xciii.38 giocondo ii.12; iii.4; xlix.11; lxxxix.70 mondo ii.10; ii.14; iii.1; xlix.13; lxxxv.20; lxxxix.68; lxxxix.72 pondo lxxxv.21; xciii.41 tondo iii.5 one animalone lx.11 babbione lxvi.6 barbone lix.13 bastone xciv.30 briccone lxxiii.8; xc.21 cagione lx.13 canzone lxxiii.4; xxcii.30 celadone xcii.28 caprone lix.11 cassone lxviii.9 Ceccone lxviii.11; lxx.3; lxxxviii.59 compagnone lxxxix.37 compassione lv.7 conversazione lxxxix.39 disperazione lxxiii.2 dottorone lxxxviii.61 elezione xc.19 Licone xcii.26; xciv.26 locuzione lxxxvii.16 Nasone lxxxviii.63 Pecorone lxxxix.35 persone lix.9; lxvi.3; lxx.1; lxxiii.6; xc.17 polmone lxx.6
255
poltrone lxviii.13 processione lxx.8 ragione lv.3; lx.9; xciv.28 settentrione lxvi.7 sollione lxvi.2 sommessione lv.6 oni agoni xcii.136 arcipoltroni lxxxi.2 canzoni lxxxii.8 carpioni xcii.134 doni xcii.138 dottoroni lxxxi.7 frugoni lviii.9 incoroni lxxxii.6 orecchioni lviii.11 pifferoni lviii.13 professioni lxxxii.4 quistioni lv.19 ragioni lxxxi.6 onio Antonio lxxxiv.22 demonio lxxxiv.23 onne colonne lxvii.22 donne lxvii.23; lxxv.41 gonne lxvii.24; lxxv.42 monne lxxv.40 onno donno xcii.57 ponno xcii.53 sonno xcii.55 ono buono xxxvi.5; lxxxviii.98; lxxxix.141
256
rimario
dono xiii.13; xxxvi.4; lxxxix.139; xciv.152; xciv.154 prono xxxvi.7 sono xiii.11; xxxvi.2; lxxxviii.100; lxxxix.137 suono xiii.9 tuono lxxxviii.102
Gora lxiv.1 malora lvii.10; lxiv.5 ognora iv.11; lxxxiv.13 ora lvii.12; lxxxviii.25; lxxxviii.27 Pandora lxxxiv.11 signora lxxxviii.23; xc.97
onte Acheronte xciii.97 fonte xxxvii.1 fronte xxxvii.4 impronte xxxvii.8 onte xciii.100 pronte xxxvii.5
orbi morbi
onti fonti xlvii.14 fronti xciii.6 monti xlvii.10 pronti xlvii.12; xciii.3 oppo galoppo lxxxix.43 intoppo lxxxix.45 troppo lxxxix.41 or dolor xliii.9 liquor xliii.11 orror xliii.13 ora allora lxiv.8; xc.99 ancora iv.13; lvii.15; xc.95; xciii.45 canora lvii.14 divora iv.9 fuora lxiv.4; lxxxiv.9; xciii.48
xc.42
orde assorde xxiii.7 corde xxiii.2 morde xxiii.6 sorde xxiii.3 ore Amore iv.4; lxviii.3; lxxxix.91; xciii.102 ardore i.13; iv.1 core i.11; iv.8; xliv.13; lxviii.5; lxxxix.89 correttore lix.26 disonore lxxviii.3 dolore i.9 fuore xliv.9; lxxxix.93 furore liv.5; lix.25; lxxviii.7; xciv.89 muore liv.4 onore liv.8; xciv.93 orrore xliv.11; xciii.99 protettore lix.27 servitore lxviii.1 signore iv.5 splendore xciv.91 suore liv.1 tenore lxxviii.6 timore lxviii.7 usurpatore lxxviii.2
rimario ori amori xxxvii.6; xciv.106 fiori xxxii.8; xxxvii.2; xciv.108 fuori xxxvii.3; xciii.74 liquori xxxii.6; xxxvii.7 ori xxxii.2 pescatori xciv.104 splendori xciii.77 tesori xxxii.4 orme deforme xli.8 dorme xli.5 forme xli.4 orme xli.1 orni adorni xix.10; xciii.64 giorni xix.12; xciii.61 ritorni xix.14 orno adorno ii.1 corno lxxxviii.2; xcii.64 giorno lxxxviii.6; xcii.62; xciii.42; xciii.78 intorno ii.4; lxxxviii.4; xciii.39; xciii.75 orno ii.5 scorno ii.8 torno xcii.66 oro coro lxxxix.79 costoro xcii.31 foro lxxxix.81 loro xcii.29 oro xcii.33 sonoro lxxxix.77
257
orse corse xv.10 disciorse vii.11 forse iii.7 porse vii.13 sorse iii.2; xlv.13 torse iii.3 trascorse iii.6 orso discorso xc.46 orso xc.44; xciii.79 soccorso xciii.82 sorso xc.48 orte corte xxxiii.8 morte xxxiii.1; lxxxix.53; lxxxix.57 porte xxxiii.5 sorte xxxiii.4; lxxxix.55 orti apporti xciv.113 forti xciv.115 morti xc.38 porti xciv.117 sorti xc.40 orto accorto xxxiv.12; xlii.7; lxxxix.1; xc.100; xcii.81 assorto xlii.6; xlv.11 beccamorto lxxvi.14 conforto xlii.2; xcii.77 morto xxxiv.14; lxxxix.3; xc.98; xc.102 porto xxxiv.10; xlv.14; xcii.79 smorto xlii.3 scorto lxxvi.12 storto lxxvi.10
258
rimario
osca conosca xxx.3 fosca xxx.6 riconosca xxx.7 rimbosca xxx.2 osco bosco xxvi.4 conosco xxvi.5 fosco xxvi.1 tosco xxvi.8 ose amorose lxv.7 cose lxv.2; lxxxix.88; xciii.2 famose xlvi.11; lxv.6 nascose xlvi.13 prose lxv.3; lxxxix.86 rose xlvi.9; xciii.5 spose lxxxix.90 osi dogliosi vii.1 impetuosi xcii.58 pietosi vii.3 posi xcii.56 riposi vii.8 spinosi xcii.60 vittoriosi vii.6 oso amoroso xciii.76 giocoso xliii.7 giojoso xliii.5 riposo xciii.73 rivoltuoso xliii.1 spumoso xliii.3 osse caosse
lxvii.2
fosse lxiv.15; lxvii.8; lxxv.30 Minosse lxvii.6 mosse xlviii.10; lxiv.14; lxxv.29 osse xlviii.12; lxiv.12 percosse lxiv.10; lxvii.4 tosse lxxv.28 troncosse xlviii.14 osso dosso lxxvi.1; xc.63 grosso lxxvi.5 indosso xc.59 Minosso lxxvi.3 osso lxxxviii.115 posso xc.61 rosso lxxvi.7; lxxxviii.113 osto posto xlv.12 tosto xlv.9 ostri chiostri xcii.22 mostri xcii.20; xcii.24 ote gote xxii.1; lii.6 ignote lii.3 note xxii.4; lii.7 percote xxii.5 puote xxii.8; lii.2 otto addotto xxxvi.3 chiotto lx.18 condotto xxxvi.1 dotto lx.16 motto xxxvi.8; lx.17 rotto xxxvi.6
rimario ova mova xcii.99 piova xcii.97 prova lx.1; lx.5 ritrova xcii.95 trova lx.8 uova lx.4 ove bove xxxi.14 dove iii.14 Giove xxxi.12 move iii.12 muove xxxi.10 nove iii.10
bui xxv.9 colui xiii.12 costui xxv.13 cui xiii.10 dui lxxxviii.72 lui xxv.11; lxxxviii.68 nui lxxxviii.70 sui xiii.14 vui lvii.16 ulla culla lxxxiii.5 fanciulla lxxxiii.1 nulla lxxxiii.4 trastulla lxxxiii.8
u orsù xxxii.12 più xxxii.14 tu xxxii.10
ullo frullo lxvii.9 Lullo lxvii.13 trastullo lxvii.11
udi crudi xviii.5 ignudi xviii.1 rinchiudi xviii.8 sudi xviii.4
una aduna xiv.8; xvi.8 alcuna xiv.4 bruna xvi.6 fortuna xiv.1; lxix.12 imbruna xiv.5 nessuna lxix.9 una xvi.4 Vacuna xvi.2
ue bue lxii.12 due lxii.14 giùe lxix.11 ingiùe lxxix.14 piùe lxii.10; lxix.14; lxxix.10; lxxix.12 ugge distrugge xcii.121 fugge xcii.123 strugge xcii.119 ui ambidui
lvii.17
unge giunge xl.1 lunge xl.4 punge xl.8 raggiunge xl.5 ungi aggiungi xxvii.4 lungi xxvii.5 pungi xxvii.8 ungi xxvii.1
259
260 uno alcuno xc.64 nessuno xc.66 veruno xc.62 ura fattura iii.9 figura lxxvi.9 natura iii.13 oscura iii.11 paura lxxvi.13 ventura lxxvi.11 uri melanuri xciv.83 oscuri xciv.87 puri xciv.85 uro curo xxxii.9 giuro xxxii.11 scuro xxxii.13 usca brusca lxxxvii.10 Crusca lxxxvii.15 etrusca lxxxvii.14 offusca lxxxvii.12 uso accuso xc.28 confuso xc.30 muso lxxiv.20 suso lxxiv.19; xc.26
rimario uta battuta xx.1 cresciuta xx.3 feruta xx.7 veduta xx.5 ute acute xlii.10 argute xlii.12 venute xlii.14 uto astuto lxxxvi.13 creduto xciii.21 divenuto xc.88 muto xc.90 perduto xc.86 ricevuto lxxxviii.116 saluto lxxxviii.118 tenuto xciii.24 voluto lxxxvi.9 utta frutta xix.8 lutta xix.6 ridutta xix.2 tutta xix.4 utto dappertutto lxxv.12 distrutto lxxv.10; xcii.118 frutto xcii.116 lutto lxxv.15; xcii.120 tutto lxxv.14
INDIC E M ETR IC O Sonetti ABBA ABBA CDC DCD i, ii, iii, iv, v, viii, ix, x, xii, xiii, xiv, xv, xviii, xxii, xxiii, xxiv, xxv, xxvi, xxvii, xxviii, xxix, xxx, xxxi, xxxiii, xxxiv, xxxv (ottonari), xxxix, xl, xli, xlii, xliv, xlvi, xlvii, xlviii, li, lii, liv, lxi, lxvi, lxxviii, lxxix, lxxxi, lxxxvii Sonetti caudati: lv (+ dEE eFF), lvi (+ dEE), lviii (+ dEE), lix (+ dEE eFF fGG gHH hII iLL), lx (+ dEE eFF fGG gHH hII iLL lMM), lxiv (+ dEE), lxxv (+ dEE eFF fGG gHH hII iLL lMM mNN nOO oPP), lxxxi (+ dEE eFF fGG gHH), lxxxiii (+ dEE eFF fGG gHH), lxxxv (+ dEE eFF fGG gHH), lxxxvii (+ dEE) ABBA ABBA CDE CDE xxxvii, xlv, lxix ABBA ABBA CDC EDE lxv ABAB ABAB CDC DCD vi, xi, xvi, xvii, xix, xx, xxxii, xliii, xlix, l, lxiii, lxviii, lxxi, lxxvi, lxxvii, lxxxii, lxxxvi Sonetti caudati: lvii (+ dEE), lxvii (+ dEE eFF fGG gHH hII), lxxii (+ dEE eFF), lxxiii (+ dEE eFF), lxxx (+ dEE eFF), lxxxvi (+ dEE eFF) ABAB ABAB CDE CDE xxi ABAB ABAB CDE ECD liii
262
indice metrico
ABAB BABA CDC DCD xxxvi, xxxviii, lxii Sonetti caudati: lxx (+ dEE eFF fGG gHH), lxxiv (+ dEE eFF), lxxxiv (+ dEE eFF fGG) ABAB BABA CDE CED vii
Capitoli lxxxviii, lxxxix, xc: terzine dantesche
Pìstola xci: endecasillabi sciolti sdruccioli
Egloghe pescatorie xcii, xciv: terzine dantesche xciii: sestine di endecasillabi ABCABC
I N D IC E DEI C APOVE RSI Accendi il foco, Elpin, mentr’io mi bendo Ahi quante, ahi quante di pietate ignudi Ah, Tofan, quella Gora, quella Gora Andate alla malora, andate, andate Candido in Cielo, e di be’ raggi adorno Carca di merci preziose, e rare Che si scortica l’Asino alla prova Che val, ch’entro a’ gemmati aurei palagi Chi è costui, che nell’umil suo letto Ch’io possa diventare una ghiandaja Colei, Damon, colei, che più d’un angue Col guardo i’ vo su per l’aereo calle Colui, che fece di grembiul grembiale Da questo cerchio, che sul lito io segno Da un tal, che pare una Mummia d’Egitto Deposta un giorno l’orrida facella Donna, se tu scorgessi il grande ardore Dunque, Manzon, scorgesti i vaghi rai Dunque, Ninfa crudel, dunque a’ miei versi Ecco Bromio, Pastori, ecco Lieo Ecco ’l grand’arco in alto, e la saetta Egli è pur vero, Elpin, ch’altra Donzella Endecasillabi, cui porgerete E pur ten riedi già, dolce pensiero Filli, qualor con un bel nastro appeso Filli, questo splendor, che con tant’arte Fra gl’impeti d’Amore, e di Fortuna Già s’odon per lo Cielo alti rimbombi Gira l’alta Donzella, e in mille nodi Ho visto i geroglifici d’Egitto Il dì, che nacque la mia Donna al Mondo I’ muojo alfine, alfine o cruda Eumolpi In man d’Essecutori, e di Notai Io di Lidia il gran Re non mi rammento Io, Nencia, sono stat’ieri a Fiorenza
xxiv xviii lxiv lxxxii ii xlv lx li l lxix xxix xliv lvi xxv lxxii xxxi iv viii xcii xv x lii xlii ix xiii xlviii xiv xxviii xlix lxvii iii xxi lxxi xxxii lxiii
264
indice dei capoversi
Io son nato in Parnaso, e l’alme Suore Là dove Pindo al Ciel tanto s’innalza Lungo ’l Sagrin mentre i pastor le gote Manzon, s’i’ te l’ho detto, tu lo sai Manzon, s’io vedrò mai l’aspro flagello Masin cotesto tuo Calonacaccio M’ha invitato a ballar jeri Ser Nanni Molti somari ho scritto in una lista Muse pitocche, andatene al bordello Nanni mi sbircia prima, e quindi arrappa Nanni s’ha messo un mantellaccio in dosso Nè d’erba, nè di rio vaghezza prende Nencia, te l’ho pur detto cento volte Nencia, ti mando questo mio Sonetto O Anima bizzarra del Burchiello O del vetro più chiaro ameno fonte O Fortuna, Fortuna crudelaccia Oh oh vedete s’i’ son pronto a scrivere Oimè che turbine rivoltuoso O monachine mie, questa fanciulla O pellegrin, che non vedesti mai O poffare! Ser Cecco, i’ son rimasto Or che già la stagion fiorita, e bella O sciocco pescatore, e che stoltezza O Sonno placido, che con liev’orme Pendi mia cetra umil da questo salce Perchè sono un fanciullo, un garzoncello Per l’aspro calle, ond’a Parnaso uom giunge Per molte genti, e molti mar condotto Poichè ciascun vendemmiator si sente Poichè dal braccio del Signor guidate Portate in una madia la civaja Qual dolce spiritello entro alle dita Qual fu? qual fu la scellerata mano Quando fia mai quel dì, che tu ti sciolga Quella pianta gentil, ch’avea battuta Questo biondo covon di bica, or tolto Rondinella garruletta Sciogli, Fillide, il crin, e meco t’ungi Se costui fosse nato allor che i Vati
liv xxxviii xxii xc xxxix lxxxvii lxxv lxxiv lxxxv lxxvii lxxvi xxx lxii lxi lxv xxxvii lxxiii xci xliii lxxxiii v lxxxviii xciii xciv xli xxiii lix xl xxxvi xvii xlvii lviii xii liii xi xx xvi xxxv xxvii lxvi
indice dei capoversi Se di Bacco il liquor nel mio Cervello Ser Cecco mio voi siete spiritato Se scorto pria t’avessi, o d’una gogna Signor Curato, mi son pure accorto Signori cari, fate di star sani S’io mi credessi, che con Or la Morte Sì vaga pianta, e sì gentile avea Sì vivi pur così, … vecchia Son le furie d’Averno, a quel ch’io sento Spesso mi torna il dolce tempo a mente Stava a l’ombra gentil di un gran cotale Su queste pallid’ossa, e già da cento Su, Signor Correttore, in sul nasaccio Tirsi, non te ’l diss’io, ch’all’aere fosco Ti sono schiavo, ti son servitore Udrammi dunque Amor tristi, e dogliosi Voi avete a saper, buone persone Voi, che sparsi ascoltate in rozzi accenti Voi me ne avete fatti tanti, e tanti
265 xxxiv lxxx lxxviii lxxxix lxxix xxxiii xix lxxxvi lxxxiv vi lv xlvi lvii xxvi lxviii vii lxx i lxxxi
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INDIC E DEI NOM I Alceo xciv.111 - 119 Alcide liv.14 Aletto xxv.6; lxxxiv.2 Amarilli xii.2 Amor vii.1; viii.11; ix.12; xii.5-9; xxxi.10; xlvi.13; lxx.16-22; lxxxviii.107; xciii.53-57-59-88 Amore iv.4; xiv.1; xxxi.3; lxviii.3; xciii.71-102 Anacreonte xxxii.13 Anfion xxxix.9 Antichristo lxxxviii.13 Antognin lxxxix.132 Antonio, Sant’ lxxxiv.22 Apollo lviii.14; lxxxv.9; xciv.105 Aquilon xix.5 Astratto xci.7 Bacco xxxii.11; xxxiv.1 Baja lviii.4 Baraballo lxvi.14 Beco lxii.2 Berlingaccio lxii.11 Berta lviii.4; lxxxix.56 Bertoldo xc.28 Biagio, San lix.20 Borea xix.5 Bromio xv.1 Burchiello lxv.1 Caronte xxi.14 Cecco lxviii.2; lxix.6; lxx.2 19 - 25; lxxx.1; lxxxviii.1 - 22 66
Cecco Ceccone lxx.3 Ceccon lxxxviii.86 Ceccone lxviii.11; lxxxviii.59 Celadone xcii.28 Cerere lxxxiii.6 Cibacca lxxxix.51 Cinzia xcii.65 Circe xxix.10 Clio lx.3 Cromi xciv.42 - 67 Cupido ii.13 Dameta xcii.28 Damon xv.12; xxviii.12; xxix.1 Damone xxv.3 - 11; Dante lxxiv.7 - 8 Davitte lxxv.23 Dio xi.13; xv.11 - 13; xliv.4; l.3-7; lii.9-14; lxx.26; lxxi.4 - 9; lxxxviii.39; lxxxix.45 Domeneddio lxxi.13 Ecate xxv.7 Elpin xxiv.1; lii.1 Ercole lxxxix.151; Eumolpi xxi.1 Fantastico xci.2 - 88 Farfanicchio lxxvii.7 Febo liii.12 Filli xiii.1; xvii.10; xlviii.1 Fillide xxvii.1; xli.5; xliii.3 Filomena ii.8 Finocchio, Ser lxxxviii.116
268
indice dei nomi
Gallileo lvii.2 Giovanni xlix.10 Giovanni, San lxiii.9 Giove xix.9; xx.2 - 12; xxxi.12; xxxviii.8 Gora lxiv.1 (due volte) Graspin xvii.5 Icaro liv.7 Iddio lii.2; lx.7; lxxxiii.16 Jole
xxvii.14
Licida xxvii.14 Licone xcii.26; xciv.26 Lieo xv.1 Lucrina xciv.127 Lullo, Raimondo lxvii.13 Manzon viii.1; xxxix.1; xlii.3; xc.1 Manzoni xxxviii.5; xc.92 - 103 Masin lxxxvii.1 Medea xxix.10 Megera lxxxiv.2 Mena xcii.61 Menicaccio lxii.13 Minosse lxvii.6 Minosso lxxvi.3 Mopso xcii.28 Nafissa, Santa lxxx.2 Nanni lix.24; lx.2 - 28; lxxv.1 44; lxxvi.1 - 9; lxxvii.1 Nasone lxxxviii.63 Nencia lxi.1 - 9; lxii.1; lxiii.1
Nereo xciv.101 Nice lii.2 Nilalga xciv.43 - 111 - 120 Nisa xxviii.5 Orfeo xxxix.11 Orlando lxxxviii.91; lxxxix.100 Pagolo Pandora Pegaso Petrarca Pomona
xci.86 lxxxiv.11 lxxiv.19 lxx.13 lxxxiii.6
Rosso lxxxviii.113 Ruscelli lxxiv.9 Satanasso lxx.10 Sebeto xciii.19 - 40 Signor xlvii.1 Silen xliii.8 Sileno xv.5 - 13 Telgone xciv.40 - 112 Tereo xxxv.7 Tesifone xxv.6; lxxxiv Tessa lxxxix.101 Tirsi x.13; xv.9; xxvi.1 - 5 - 12 14; xxviii.12 Tofan lxiv.1 Vacuna, Santa
xvi.2
Zefiro ii.10 Zerbino lxxxviii.91
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comp osto i n c a r att e re da n t e m on otype da lla fabr iz i o se rr a e d i to re, p i sa · ro m a . sta m pato e ri l e gato n e l la t i p o g r a f i a d i agna n o, ag na n o p i sa no (pisa ).
* Marzo 2011 (cz 2 · fg 21)
ED I Z I O N E NA Z I O NA LE DEL L E O P E R E D I G I U S E P PE PARIN I Istituita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (D. M. 2 giugno 1999)
d i retta da g io rg io ba roni Giuseppe Parini, Alcune poesie di Ripano Eupilino, a cura di Maria Cristina Albonico, introduzione di Anna Bellio, 2011, pp. 280.