9 novembre 1938. La notte dei cristalli 8879728598, 9788879728591

Nell'ottobre del 1938 il governo della Germania nazista espulse più di dodicimila ebrei polacchi. Nei giorni seguen

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9 novembre 1938. La notte dei cristalli
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Martin Gilbert

La notte dei cristalli Collana diretta da Sergio Romano

Nell’ottobre del 1938, poche settimane dopo l'accordo quadripartito di Monaco, il governo della Germania nazista espul­ se più di dodicimila ebrei polacchi. Quat­ tromila furono accolti in Polonia, ma gli altri vennero lungamente trattenuti alla frontiera in condizioni miserevoli. Di lì, nei giorni seguenti, un'anziana coppia in­ viò una cartolina al figlio, residente a Pa­ rigi, per chiedere un po' di denaro. Non appena ricevette il messaggio dei genito­ ri. Herschel Grynszpan si armò di una pi­ stola e chiese di essere ricevuto dall'am­ basciatore di Germania. Quando venne introdotto nell’ufficio di un giovane di­ plomatico, Ernst vom Rath, e questi gli chiese la ragione della visita, Grynszpan estrasse la pistola e sparò cinque colpi. Era il 7 novembre. Poche ore dopo, la Germania fu teatro di quello che molti giornali definirono un «pogrom» e che culminò nella notte fra il 9 e il 10 novem­ bre. La parola russa pogrom significa strage, devastazione, massacro, e fu usata per de­ finire le sommosse antiebraiche che esplosero fra l'Ottocento e il Novecento soprattutto in Bielorussia, Ucraina e Moldavia. Ma il pogrom tedesco presen­ tò, rispetto al «modello» russo, alcune ca­ ratteristiche inedite. Ebbe luogo sull'inte­ ro territorio nazionale. Fu condotto da uomini che ostentavano l'uniforme delle SA, milizia del partito nazista. Fu pro­ grammato con cura e realizzato con me­ todica precisione. Più di mille sinagoghe (95 a Vienna) furono devastate e incen­ diate. Un incalcolabile numero di negozi fu distrutto e saccheggiato. Più di trenta­ mila persone vennero arrestate e avviate verso campi di concentramento. E molto di ciò che accadde quella notte fu visto, descritto e fotografato dai numerosi cor­ rispondenti stranieri che vivevano allora nei Reich. Mentre i pogrom russi erano caratterizzati, almeno in parte, da una specie di spontanea brutalità e avveniva­ no là dove la stampa internazionale non era presente, la «notte dei cristalli» andò in scena sotto gli occhi della pubblica opiln copertina: foto (D Ullstein Bild/Archivi Alinari, Firenze G rai ica Stu d io B aroni

I G I O R N I CHE H A N N O C A M B I A T O IL M O N D O C O L L A N A D I R E T T A DA S E R G I O R O M A N O

MARTIN GILBERT

9 NOVEMBRE 1938 LA NOTTE DEI CRISTALLI Traduzione di G abriella Cursoli

C O R B A C C IO

Titolo originale: Kristallnacht Traduzione dall’originale inglese di Gabriella Cursoli

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA Copyright © Manin Gilbert 2006 The author asserts the moral right to lx* identified as the author of this work Published by arrangement with HarperCollins Publishers Copyright (Q 2008 Casa Editrice Corbaccio s.r.l.. Milano

www.corbaccio.it ISBN 978-88-7972-859-1

PREMESSA

La storia è una catena di fatti che si allungano come un filo attraverso il tempo. Lo storico non può limitarsi a descrivere un anello. Deve cercare di spiegare come ciascuno di essi sia indissolubilmente legato al precedente e al successivo. Ma una forbice, occasionalmente, taglia il filo della storia e rompe l'ordinata sequenza dei fatti. Può essere un gesto eroi­ co, una battaglia, una giornata rivoluzionaria, un viaggio, un proclama, un manifesto, una scoperta. È un evento che si consuma spesso nell'arco di un giorno e cambia l'ordine delle cose, il passo della storia, la natura della vita. Quando fu presente alla battaglia di Valmy e assistette alla vittoria del­ l'esercito rivoluzionario francese, Goethe disse: « Qui e oggi comincia una nuova epoca della storia del mondo, e voi po­ trete dire di esserci stati ». Non tutte le giornate descritte nei libri di questa nuova collana hanno avuto la stessa importan­ za. Ma tutte hanno cambiato la storia dell'Italia, dell'Europa o addirittura del mondo. Sergio Romano

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INTRODUZIONE

La violenza contro gli ebrei residenti in Germania si scatenò a partire dalle prime ore del 10 novembre 1938 e proseguì senza interruzione, fino al calare della sera, in un turbinio di distru­ zione. Nel giro di alcune ore vennero incendiate e distrutte oltre un migliaio di sinagoghe. Dove si ritenne che il fuoco avrebbe potuto mettere in pericolo edifici non ebraici nelle vicinanze, gli autori delle aggressioni fecero a pezzi le sinago­ ghe con martelli e asce. Non si trattò di un'esplosione di vio­ lenza spontanea, ma di un attacco coordinato e globale. In centinaia di quartieri ebraici, truppe paramilitari delle Sturmabteilung, o sa - alcuni in uniforme con le camicie mar­ roni, altri in abiti civili - accesero dei falò e diedero alle fiam­ me mobili e libri presi dalle sinagoghe e da abitazioni private. Nelle strade si diede la caccia agli ebrei, che furono oltraggiati e malmenati. Decine di migliaia di case e negozi ebraici furono saccheggiati. Gli ebrei furono attaccati in ogni città tedesca, dalla capitale Berlino alle più piccole città e ai villaggi in cui vivevano, in tutto il Reich di Hitler. In ventiquattr'ore di vio­ lenza ne furono uccisi novantuno. Nel giro di quelle ventiquattr'ore, più di trentamila uomini ebrei fra i sedici e i sessantanni - un quarto di tutti gli uomini ebrei ancora in Germania - furono arrestati e inviati ai campi di concentramento. Là vennero torturati e tormentati per pa­ recchi mesi. Oltre un migliaio di loro morirono nei lager. La notte e il giorno di terrore presero il nome di Kristall­ nacht, Notte dei cristalli. Per coloro che perpetrarono la distru­ zione, il nome esprimeva sia il senso di trionfo sia il disprezzo

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che li aveva animati: trionfo per quanto avevano distrutto, disprezzo al pensiero del suono dei vetri infranti. Eppure, quella notte, ciascun ebreo tedesco fu colpito dalla paura e dalla sofferenza. Nessun avvenimento nella storia del destino degli ebrei tedeschi fra il 1933 e il 1945 fu coperto tanto ampiamente dai quotidiani proprio nel momento in cui si verificava. Pa­ recchie centinaia di giornalisti stranieri si trovavano in Ger­ mania, fra cui quelli appartenenti alle principali agenzie di stampa internazionali, che riferirono liberamente ciò che ave­ vano visto e sentito. In quel periodo non si era in guerra. Cinque settimane prima, la Germania aveva negoziato un accordo con la Gran Bretagna e la Francia per l'annessione della regione dei Sudeti, appartenente alla Cecoslovacchia: un accordo che aveva inaugurato « la pace per la nostra epo­ ca », secondo le parole del primo ministro britannico Neville Chamberlain. Il resoconto dettagliato delle dimensioni e della forza del­ l'attacco contro gli ebrei e le loro proprietà durante la Notte dei cristalli produsse ondate di sconvolgimento in tutti i paesi democratici, e pose efficacemente fine a qualsiasi tipo di at­ trattiva per il nazismo fra la gente comune e i rispettivi go­ verni. La Notte dei cristalli costituì un drammatico punto di svolta nella percezione del nazismo. Questo libro ha appunto inizio con le origini e gli avveni­ menti di quella notte, la cui memoria è ancora vivida in coloro che la vissero. Quindi, il testo prende in considerazione i sei anni che portarono a quel brusco scatenarsi di terrore. Conti­ nua poi delineando la reazione degli ebrei tedeschi, del go­ verno tedesco e del mondo di fronte agli eventi di quella notte. Quasi quattrocento anni prima, nel 1543, Martin Lutero, nella sua lettera pastorale Gli ebrei e le loro bugie, consigliava di « appiccare il fuoco » alle sinagoghe, e « se qualcuna non dovesse bruciare, dovrebbe essere coperta o disseminata di sporcizia, in modo che nessuno possa essere in grado di ve­ derne un mattone o una pietra. E questo deve essere fatto in

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onore a Dio... » Hitler e i suoi adepti seguirono tale consiglio per i loro personali fini di distruzione. In queste pagine sono presenti resoconti che narrano sia di tedeschi di buon cuore, sia di diplomatici stranieri che cerca­ rono di prestare il loro aiuto. Non si dovrebbe dimenticare il loro coraggio. Ma nulla può diminuire la sofferenza di coloro che furono le vittime di quella notte di terrore, o mitigare le terribili conseguenze causate agli ebrei tedeschi e alla condi­ zione umana in generale. La Notte dei cristalli costituì il pre­ ludio alla distruzione di un popolo intero, e un'indicazione di ciò che accade quando una società soccombe ai suoi istinti più bassi. M a r t in G ilbert

25 settembre 2005

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Il 18 ottobre 1938, su ordine di Hitler, più di dodicimila ebrei furono espulsi dalla Germania. Si trattava di ebrei polacchi che risiedevano legalmente in Germania da molti anni. Rice­ vettero l'ordine di abbandonare le proprie case in una sola notte, e fu loro consentito di portare con sé una valigia per ciascuno. Mentre questi ebrei venivano portati via, tutto ciò che avevano guadagnato e accumulato in Germania durante dieci, venti, trentanni di permanenza - i loro mobili, le stovi­ glie, la biancheria, i letti, le stufe e i fornelli, i libri - fu seque­ strato come bottino sia dalle autorità naziste sia, in centinaia di casi ben attestati, dai vicini degli ebrei stessi. I dodicimila espulsi furono condotti dalle proprie case alle stazioni ferroviarie più vicine, sotto il controllo di fucili e baionette della g e s t a p o . Qui furono fatti salire su treni diretti verso i confini della Polonia. Quattromila vennero accettati proprio dalla Polonia. Ma ottomila, a cui fu negato l'ingresso in quello Stato, furono costretti a restare al confine, almeno settemila di loro sui freddi pavimenti in pietra della stazione di confine polacca di Zbaszyn e in stalle nei dintorni. Qui, in condizioni difficili, attesero che il governo polacco acconsen­ tisse ad accoglierli. Altre centinaia, secondo quanto un quoti­ diano britannico raccontò ai lettori, « [furono] segnalati men­ tre vagabondavano, senza soldi e abbandonati a se stessi, in piccoli villaggi lungo la frontiera, nei pressi dei luoghi in cui erano stati condotti e lasciati dai tedeschi ».1 Un giornalista scrisse da Zbaszyn: « Nel mio taccuino ho il nome di un'anziana donna di novantatré anni che rientrava

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tra quelli condotti in Polonia e anche quello di un uomo non vedente di settantasei anni di Hannover, a cui non è stato permesso di portare con sé neppure un fazzoletto ».2 Mentre le autorità polacche esitavano a emettere permessi di entrata nel paese, gli espulsi attendevano a Zbaszyn, affa­ mati, sofferenti, confusi e pieni di rabbia. Almeno cinque si suicidarono. Una coppia di profughi, che aveva vissuto ad Hannover per più di ventisette anni, aveva un figlio diciasset­ tenne, Herschel Grynszpan, che viveva a Parigi. Dal confine, la sorella Berta gli inviò una cartolina che raccontava dell'e­ spulsione: « Nessuno ci ha detto che cosa stesse accadendo, ma ci siamo resi conto che questa sarebbe stata la fine ». Il suo appello finale diceva: « Non abbiamo un centesimo. Potresti mandarci qualcosa? » Herschel Grynszpan ricevette il breve ma angosciato mes­ saggio della sorella il 3 novembre. Il giorno seguente lesse un resoconto scritto delle deportazioni in un quotidiano yiddish di Parigi, che riferiva di un certo numero di casi di follia e suicidio fra i deportati. Grynszpan si sentì offeso e indignato. Il mattino di domenica 6 novembre comprò una pistola, carica di cinque proiettili, e il giorno successivo si recò in metropo­ litana all'ambasciata tedesca. Il suo piano era di uccidere l'am­ basciatore. Dopo aver detto al portiere che aveva « un docu­ mento importante» da consegnare, fu inviato nell'ufficio del terzo segretario, Ernst vom Rath. Questi gli domandò: « Ave­ vate un documento importante da darmi? » Grynszpan gridò: «Siete un sudicio crucco e qui, in nome dei dodicimila ebrei perseguitati, c'è il vostro documento».3 Grynszpan sparò cinque colpi. Due di questi colpirono vom Rath ma non lo uccisero. Una delle ferite del diplomatico, tuttavia, era estremamente grave, e l'uomo fu portato d 'u r­ genza alla clinica più vicina. Appena Hitler seppe dell'acca­ duto, ordinò al suo medico personale, il dottor Brandt, di volare a Parigi insieme al direttore della clinica universitaria di Monaco. I due medici partirono il 7 novembre, poco dopo mezzanotte. L'8 novembre, in Germania, i quotidiani del mat-

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tino accusarono gli ebrei di essere un popolo di assassini. Come prova dell'esistenza di una campagna ebraica contro la Germania nazista, i giornali sottolinearono che tre anni prima un ebreo tedesco, David Frankfurter, aveva sparato al capo dell'organizzazione nazista dei tedeschi residenti in Svizzera, Wilhelm Gustloff, uccidendolo. I quotidiani tedeschi del mattino attirarono anche l'atten­ zione dei lettori sul fatto che undici anni prima dell'assassinio di Gustloff, proprio a Parigi, dove Grynszpan aveva sparato a vom Rath, un ebreo polacco, Samuel Schwarzbart, era stato responsabile dell'omicidio dell'ucraino Simon Petliura, i cui soldati avevano massacrato decine di migliaia di ebrei in Ucraina, immediatamente dopo la Prima guerra mondiale. Nel corso dell'8 novembre furono annunciate le prime mi­ sure di punizione collettive. La pubblicazione di tutti i quoti­ diani e i periodici ebraici avrebbe dovuto cessare immediata­ mente. Questo divieto impedì agli ebrei la modalità di contat­ to più accessibile con la propria leadership, il cui compito consisteva nel consigliarli e guidarli, specialmente per quanto riguardava gli affari legati all'emigrazione. Un quotidiano in­ glese spiegò che si trattava di una misura presa «con l'inten­ zione di sconvolgere la comunità ebraica e defraudarla degli ultimi fragili legami che la tenevano unita». A quell'epoca c'erano tre quotidiani ebraici in tedesco di livello nazionale, quattro pubblicazioni culturali, parecchi giornali sportivi e moltissimi bollettini destinati alle comunità locali, di cui quel­ lo berlinese aveva una tiratura di quarantamila copie. L'8 novembre fu anche annunciato che i bambini ebrei non avrebbero più potuto frequentare le scuole elementari pubbli­ che « ariane », cosa che era stata consentita fino a quel momen­ to laddove non vi fossero scuole elementari ebraiche a suffi­ cienza. Nello stesso momento, tutte le attività culturali ebrai­ che furono sospese «a tempo indeterminato».4 I leader nazisti pensavano da tempo a una violenta azione di massa contro gli ebrei. Quando vom Rath rimase gravemente

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ferito, sembrò che fosse giunto il momento di attuare con subitanea prontezza i piani esistenti. Reinhard Heydrich, uno dei principali capi antisemiti del Terzo Reich, vicecoman­ dante della G e st a p o e delle SS sotto Heinrich Himmler, re­ sponsabile dei campi di concentramento, stava per avere il suo momento di gloria. L'8 novembre vide numerose di quelle che il ministro per la Propaganda Joseph Goebbels, antisemita al pari di Heydrich, chiamò « dimostrazioni spontanee » contro gli ebrei di Germa­ nia. A Londra fu riferito che una sinagoga era stata « incen­ diata fino alle fondamenta » a Hersfeld, nell'Assia, « la secon­ da a essere distrutta in quella regione nel giro di ventiquat­ tro re» .5 Un altro quotidiano inglese scrisse che i resoconti di quella notte sia da Kassel sia da Vienna riportavano « che le vetrine dei negozi ebraici [erano] state infrante » e che aveva­ no avuto luogo delle « manifestazioni contro le sinagoghe e danni causati all'interno di almeno una di esse dalla folla che vi [aveva] fatto irruzione». Il giornale aggiunse che si temeva che quella notte si sarebbero verificati dimostrazioni e attacchi alle vetrine a Berlino, « ma per quanto si è potuto verificare finora non vi sono state intemperanze antisemite fino a tarda ora ».6 Una settimana più tardi si venne a sapere che nella notte delT8 novembre e nelle prime ore del 9 erano iniziate le ese­ cuzioni degli ebrei incarcerati mesi prima nel campo di con­ centramento di Buchenwald/ Tempo dopo, una « fonte atten­ dibile » disse che il numero di ebrei uccisi nella notte fra l'8 e il 9 novembre ammontava a settanta.8 Sempre quella notte, gli ebrei della regione dell'Assia furono attaccati e portati via dalle proprie case. Scappati a Francoforte, vi giunsero « pieni di lividi e sanguinanti ».9 Nel corso del 9 novembre il console generale britannico nella città libera di Danzica, Gerald She­ pherd, riferì di « un'intensificazione della campagna antisemi­ ta » nella città, che nominalmente era sottoposta al controllo della Lega delle nazioni dal 1920.1 muri e le vetrine di negozi di proprietà ebraica erano stati « rovinati da slogan dispregia-

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tivi e, almeno in un caso, le vetrine erano state rotte». La proprietà di una fabbrica di cioccolato ebraica era stata trasfe­ rita, sotto costrizione, a « un importante nazionalsocialista ». Parecchi ebrei, « come anche le donne ariane con cui avevano intrattenuto relazioni intime, sono stati trattenuti con una mi­ sura di sicurezza detentiva, sebbene non vi sia alcuna giusti­ ficazione legale per una simile azione».10 La sera di mercoledì 9 novembre giunse a Berlino la notizia che vom Rath era morto per le conseguenze delle ferite subite. Le stazioni radiofoniche tedesche osservarono due minuti di silenzio. Non si sapeva quali sarebbero state le conseguenze della morte di vom Rath. Un quotidiano britannico riferiva: « Le notizie giunte stanotte dalla Germania non indicano al­ cuna estensione immediata di ritorsioni ufficiali contro gli ebrei, ma sembra che le manifestazioni non ufficiali stiano diventando più intense. Numerose sinagoghe sono state in­ cendiate da folle infuriate... » Nell'elegante viale Unter den Linden a Berlino, le folle si riunirono in direzione dell'Ufficio del turismo francese, dove alcuni ebrei erano in fila, come facevano ogni giorno, aspet­ tando gli orari e le informazioni di viaggio di cui avevano bisogno per emigrare. La folla costrinse l'Ufficio del turismo a chiudere, mentre ripeteva: «Abbasso gli ebrei! Vanno a Pa­ rigi per raggiungere l'assassino!»11 Un quotidiano berlinese descrisse Grynszpan come « solo uno dei componenti di una gang di banditi».12 Un quotidiano britannico notò che molti ebrei tedeschi era­ no stati imprigionati per un certo tempo nei campi di concen­ tramento, e fece alcuni commenti a proposito dei « grandi atti di barbarie» a cui erano stati sottoposti. 11 tasso di mortalità fra quegli ebrei era talmente alto - nei lager « soccomb[eva]no per il pessimo trattamento o [erano] trascinati verso il suici­ dio» - che un individuo rilasciato di recente sostenne che « anche in periodi normali » nei campi di concentramento gli ebrei « muoiono come mosche in autunno». Il quotidiano ag-

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giungeva: « Si deve temere che gli ebrei saranno trattati ancora peggio, come ritorsione per Tassassinio di un diplomatico tedesco. La stampa e la radio tedesche imputano all'intera comunità ebraica la responsabilità del crimine».15 Mentre vom Rath giaceva gravemente ferito a Parigi, Hitler era a Monaco a un incontro di capi del Partito nazionalsocia­ lista e uomini delle sa in uniforme, le camicie marroni, per la celebrazione annuale del putsch del 1923 (il «putsch della bir­ reria »), il colpo di Stato con cui aveva tentato di prendere il potere nella capitale bavarese. La sera del 9 novembre gli venne riferito che vom Rath era morto. Goebbels, ministro per la Propaganda di Hitler che si trovava a Monaco con lui, gli riferì che in parecchie città tedesche era già divampata la violenza contro gli ebrei. Goebbels registrò la risposta di Hi­ tler nel proprio diario: « Egli ha deciso: si deve permettere che le dimostrazioni continuino. La polizia non deve intervenire. Per una volta gli ebrei avrebbero dovuto percepire la rabbia del popolo ». Goebbels aggiunse: « lo impartisco immediata­ mente le istruzioni necessarie alla polizia e al Partito. Quindi parlo brevemente allo stesso modo ai capi del Partito. Applau­ si fragorosi. Tutti si mettono immediatamente al telefono. Ora le persone agiranno».14 L'azione che seguì fu velocissima e travolgente. « L'orgia è cominciata nelle prime ore di stamattina », riferì un corrispon­ dente di un giornale inglese da Berlino, «col divampare di incendi quasi simultanei in nove delle undici sinagoghe...»15 Un altro quotidiano britannico raccontò: «I problemi sono iniziati quando masse semiubriache armate di palanchini e mattoni hanno preso a spaccare vetrine nella parte ovest della città, maltrattando gli ebrei e tappezzando negozi con mani­ festi... » I manifesti dicevano: «Führer! Liberaci dalla piaga ebraica! » Nel giro di un'ora e mezzo, almeno duecento negozi di proprietà ebraica erano stati distrutti.10 Goebbels era deliziato, scrivendo nel suo diario: « Come ci si aspettava, l'intera nazione è in tumulto. Quest'uomo morto

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sta costando caro agli ebrei. I nostri bravi ebrei ci penseranno due volte, in futuro, prima di sparare tranquillamente a di­ plomatici tedeschi».1' Nel suo primo resoconto completo Sir George Ogilvie For­ bes, diplomatico britannico senior in Germania e consigliere dell'ambasciata a Berlino, che aveva assistito alla devastazio­ ne nella capitale, scrisse: « Ho osservato in modo particolare la condotta dei gruppi che seguivano ogni banda di predatori. Non ho udito alcuna espressione che denotasse vergogna o disgusto, ma nonostante la completa passività di molti di quelli che restavano a guardare, ho invece notato il largo, vacuo sorriso che spesso, senza volerlo, tradisce una coscienza sporca ».I8 Berlino fu soltanto una di oltre un migliaio di città, cittadine e villaggi in tutta la Germania in cui si verificarono eventi terri­ bili, quando ancora era buio. « Nel cuore della notte » scrisse Laurie Lowenthal, che allora aveva quattordici anni, ricordan­ do gli avvenimenti accaduti nella città di Aschaffenburg, «fummo svegliati dal suono degli spari. Il cugino di mio pa­ dre, Ludwig Lowenthal, e il suo socio d'affari vivevano al primo piano di casa nostra con la famiglia. Due uomini ne sfondarono la porta d'ingresso e gli spararono a bruciapelo mentre era a letto. L'ambulanza lo portò in ospedale. Nel frattempo suo cognato, Alfons Vogel, fu sequestrato, condotto nei boschi vicini, legato a un albero e usato per le esercitazioni di tiro al bersaglio, e ucciso. »19 Gli ebrei residenti in Germania costituivano una comunità stabilitasi nella zona da lungo tempo. I loro primi insediamen­ ti risalivano a circa duemila anni prima, durante l'epoca ro­ mana. Due anni prima della Notte dei cristalli, Laurie Lowen­ thal aveva vinto un premio a scuola per avere ripercorso le origini genealogiche della sua stessa famiglia fino al periodo del suo arrivo in Germania, quasi trecento anni prima. Gli ebrei erano anche patrioti tedeschi. Combattendo per la Ger­ mania nel corso della Prima guerra mondiale, dodicimila di

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loro erano rimasti uccisi in combattimento. Uno degli zii di Laurie Lowenthal, ufficiale in un reggimento dell'esercito te­ desco, era stato ucciso in combattimento dopo tre mesi dallo scoppio della Prima guerra mondiale. Uno dei suoi cugini era morto al fronte nell'ottobre del 1916. Il padre stesso di Lamie era stato premiato con la Croce di ferro durante la guerra. Le luci dell'alba illuminarono scene di orribile distruzione in tutta la Germania. Quella sera l'agenzia di stampa Reuters riferì che tra le città in cui erano state bruciate le sinagoghe vi erano Stettino sul Baltico, Costanza presso il confine con la Svizzera, Essen e Düsseldorf nella zona industriale della Ruhr, oltre che Krefeld, Cottbus, Brandeburgo, Offenburg e Eberswalde.20 La sinagoga di Essen, costruita nel 1913, era considerata una delle più belle della Germania. A Magonza furono distrutte sei sinagoghe come anche la scuola ebraica, il museo e la biblioteca ebraica, e l'antico cimitero ebraico, in cui le pietre tombali più vecchie risalivano a più di novecento anni prima. Milletrentadue anni prima della Notte dei cristal­ li, un concilio ecclesiastico a Magonza aveva decretato che chi avesse ucciso un ebreo intenzionalmente avrebbe dovuto es­ sere punito come qualsiasi altro assassino. Ad Aschaffenburg Laurie Lowenthal vide le fiamme pro­ venire dalla direzione della sinagoga, si precipitò sul posto, ma trovò il percorso bloccato dalle camicie marroni.21 Nella città austriaca di Graz, in cui il rabbino era l'illustre storico David Herzog e dove il premio Nobel Otto Loewi, eminente ebreo austriaco, aveva insegnato farmacologia all'università fino ai tempi dell'annessione alla Germania, furono distrutte sia la magnifica sinagoga sia l'attigua scuola ebraica, ognuna delle quali si stagliava con fierezza sulle sponde del fiume.22 A volte la distruzione delle sinagoghe ebbe luogo in città dove non vi erano ebrei. Quelli che risiedevano a Eisenstadt, in Austria, erano stati espulsi immediatamente dopo l'annessio­ ne tedesca in marzo. Questo non impedì alla folla di distrug­ gere l'interno della sinagoga. Quindi l'edificio fu demolito.25

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11 console generale britannico a Monaco, Donald St Clair Gainer, segnalò devastazioni simili in tutta l'Austria: una si­ nagoga a Linz « fu incendiata e rasa al suolo »; quella di Sali­ sburgo « venne distrutta e ciò che conteneva fu gettato sulla strada »; nelle località di villeggiatura di Bad Hallein e Bad Gastein « gli alberghi e le pensioni ebraiche furono saccheg­ giati ». Gainer notò che in Austria gli attacchi furono intrapresi « dalle s a austriache, la maggior parte delle quali in uniforme, e la polizia aveva chiaramente ricevuto istruzioni di non in­ tervenire». Si disse che diciannove sinagoghe erano state «completamente distrutte dal fuoco». Tutte le brigate dei vi­ gili del fuoco di Vienna « furono utilizzate al massimo » per­ ché gli incendi non divampassero, « poiché a un certo momen­ to sembrò sussistere un grave rischio di esplosione riguardan­ te ampi settori della città». 11 corrispondente del Times da Vienna raccontò a Gainer che mentre era tratto in arresto alla stazione di polizia e prima di essere rilasciato « [aveva osser­ vato] un certo numero di ebrei rannicchiati negli angoli delle strade, talmente terrorizzati che non erano neppure in grado di ricordare il proprio nome; un anziano ebreo coi capelli e la barba bianchi giaceva a terra, brutalmente preso a calci da un membro delle s a , mentre la polizia stava a guardare ». Quella notte, secondo le parole amare di Gainer, « Vienna presentava uno spettacolo sorprendente, con violenti incendi che divampavano dappertutto in città ed ebrei rincorsi lungo le strade, ingiuriati e assaliti da folle di teppisti orgogliosi di appartenere a una delle più grandi e civilizzate nazioni del mondo ».2A Nella Notte dei cristalli, a Vienna furono distrutti in tutto novantacinque sinagoghe e luoghi di preghiera. Un corrispondente di un quotidiano inglese da Monaco inviò una lista di quattro città della Germania meridionale dove « furono fatti a pezzi negozi e bruciate sinagoghe ». Si trattava della stessa Monaco, di Norimberga, di Bamberg e Bayreuth.25 Quest'ultima era stata consacrata nel 1760. Le testimonanze provenienti da Norimberga il 10 novembre de-

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scrivono una giornata di terrore. Un quotidiano inglese rac­ conta: « Le camicie marroni irruppero nelle abitazioni degli ebrei, strapparono le tende, stracciarono tappeti e rivestimenti di sedie e divani con i coltelli e fecero a pezzi i mobili. [...] Bambini terrorizzati e singhiozzanti vennero tirati giù dai propri letti, che vennero quindi ridotti in pezzi ». Il giornale aggiungeva: « Molti dei devastatori erano giovani adolescen­ ti».26 Un quotidiano americano riferiva che nella Friedrichstrasse «al centro di Berlino, le folle hanno spinto via la polizia nella loro caccia al bottino ». Lo stesso giornale riportava che a Co­ lonia « le folle ruppero le vetrine di quasi ogni negozio ebrai­ co, entrarono con la forza in una sinagoga, ne rovesciarono i sedili e ruppero i vetri delle finestre ». A Salisburgo, la sina­ goga venne distrutta e i negozi di proprietà ebraica « saccheg­ giati ». A Vienna, dove, secondo i resoconti, ventidue ebrei si tolsero la vita, «autocarri carichi di ebrei furono portati a Doliner Strasse dalle sa e costretti a demolire una sinagoga ». Secondo le testimonianze anche a Potsdam, Treuchtlingen, Bamberg, Brandeburgo, Eberswalde e Cottbus le sinagoghe furono saccheggiate, demolite o date alle fiamme.2' Quella di Treuchtlingen risaliva al 1730. Il console generale britannico a Francoforte, Robert Smallbones, inviò a Londra un rapporto sugli avvenimenti nella città di Wiesbaden. Scrisse che la violenza era iniziata alle sei del mattino, «con l'incendio di tutte le sinagoghe». Du­ rante il giorno « gruppi organizzati di entrambe le formazioni politiche » - sia le camicie marroni delle sa sia le camicie nere delle ss - « fecero visita a ogni negozio e ufficio ebraico, di­ struggendo vetrine, beni, attrezzature». Furono arrestati oltre duemila ebrei. Ogni sinagoga della regione era stata demolita e « tutti i rabbini con altri leader e insegnanti religiosi [erano] in stato di arresto ».28 Nella provincia del Mecklenburg, il quotidiano nazista lo­ cale riferì come nella città di Schwerin tutti gli esercizi com­ merciali ebraici fossero stati contrassegnati il 9 novembre, al

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fine di essere distrutti il giorno seguente, e attaccati il 10 no­ vembre, mentre allo stesso tempo la sinagoga « era resa ina­ gibile ». A Rostock fu appiccato il fuoco al luogo di culto, e i negozi ebraici attaccati. A Güstrow «la sinagoga, il tempio presente nel cimitero ebraico e il negozio di un orologiaio ebreo furono incendiati, un certo numero di vetrine furono infrante e il contenuto dei negozi distrutto, e tutti gli abitanti ebrei presi in custodia ». A Wismar, tutti gli ebrei erano stati arrestati.29 La distruzione delle sinagoghe fu attestata da ampie testi­ monianze fotografiche. A Zeven, nella piazza centrale, si fece un falò degli arredi interni della sinagoga, e si ordinò al di­ rettore della scuola di condurre i propri studenti a guardare il rogo. Questi ultimi furono fotografati mentre si riunivano per lo spettacolo.50 A Ober-Ramstadt, mentre la sinagoga era in fiamme, fu scattata una fotografia dei pompieri che protegge­ vano dal fuoco un'abitazione nelle vicinanze.51 Anche la sina­ goga di Siegen fu fotografata in fiamme.52 Analoga documen­ tazione esiste su quella di Eberswalde.53 11 quartiere ebraico di Regensburg era il più antico della Germania, poiché era stato edificato novecentodiciotto anni prima della Notte dei cristalli, quando la sua sinagoga, consa­ crata nel 1841, fu distrutta. Documentazione fotografica della comunità ebraica relativa a quegli avvenimenti comprendeva fotografie di vetrine infrante e di uomini ebrei mentre veni­ vano fatti marciare a Dachau, accompagnati da sa in uniforme che ridevano. Gli ebrei furono costretti a portare uno striscio­ ne: «Auszug der Juden», «esodo degli ebrei ».34 Presso lo Yad Vashem Holocaust Archive a Gerusalemme vi sono immagini fotografiche della distruzione di sinagoghe in altre quattro città: Wiesloch, Korbach, Eschwege e Thal­ fang.35 Quella di Eschwege era stata consacrata circa un secolo prima, nel dicembre del 1838. Quella di Thalfang nel 1822. Nello studio di Adolf Diamant sulle sinagoghe bruciate, sac­ cheggiate e distrutte durante la Notte dei cristalli si trovano fotografie di più di novanta luoghi sacri in fiamme o in ma-

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eerie, e di targhe collocate nel dopoguerra sui luoghi dove sorgevano sinagoghe distrutte. Fra quelle divorate dal fuoco si annoverano le sinagoghe delle città universitarie di Heidel­ berg e Tübingen.’6 A Brema, il 10 novembre, tre autopompe e sette scale dei pompieri presero posizione alle due di notte nella strada dove si trovavano la sinagoga e l'edificio amministrativo della co­ munità ebraica. Erano ancora là tre ore più tardi, alle cinque, quando la sinagoga fu incendiata e « completamente sventra­ ta », secondo quanto riferì il console britannico T.B. Wildman. Mentre questa bruciava, il palazzo dell'amministrazione ebraica fu saccheggiato da uomini delle SA. Allo stesso tempo, si diede fuoco alla casa di preghiera del cimitero ebraico. Ne­ gli attacchi a negozi ebraici « si ordinò a un autista di dirigere il proprio camion contro le vetrine dei vari negozi e, quando questi rifiutò, un uomo delle s a lo costrinse a farlo ». Il rap­ presentante delle s a , quindi, «confiscò i beni, o una certa parte di questi, per il Winterhilfe! », l'iniziativa di beneficenza tedesca che si teneva ogni inverno. Sulle vetrine devastate dei negozi furono poste delle targhe preparate il giorno preceden­ te: VENDETTA PER VOM RATH, MORTE ALL'EBRAISMO INTERNA­ ZIONALE E ALLA FRA MASSONERIA, NON SI FANNO AFFARI CON RAZZE LEGATE AGLI EBREI e ABBASSO L'EBRAISMO.

Il console riferiva anche che una sarta ebrea. Lore Katz, fu costretta a scendere in strada in camicia da notte e fu in grado di prendere un cappotto solo dopo che i vestiti del suo nego­ zio furono saccheggiati. Si disse che parecchi ebrei si fossero tolti la vita. Altri furono obbligati ad abbandonare le proprie case durante la notte sotto la minaccia delle armi; « un uomo di nome Rosenberg, padre di sei figli, che viveva nella Neudstadt, oppose resistenza e fu ucciso».3' Si calcola che novantuno ebrei furono uccisi in Germania du­ rante la Notte dei cristalli. Le notizie relative ad alcuni di questi assassinii si devono a diplomatici e corrispondenti di

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nazioni estere. Il corrispondente del Daily Telegraph da Berlino scrisse: « [...] si ha notizia che il custode della sinagoga di Prinzregentstrasse abbia perso la vita nell'incendio con la sua famiglia ». Il corrispondente aveva anche appreso « da fonte affidabile» che due ebrei erano stati linciati nella parte orientale di Berlino e altri due in quella occidentale. «Si ha notizia di un certo numero di ulteriori vittime da altre parti del paese ». Si verificarono anche episodi di umiliazione. A Dortmund, un ebreo rumeno « [quella] mattina fu costretto a strisciare per un percorso di quattro chilometri, picchiato di continuo dai teppisti ».3S La comunità ebraica di Dortmund era già stata obbligata a vendere ai nazisti la sua Grande sinagoga, costruita nel 1900: era stata smembrata prima della Notte dei cristalli. La sinagoga che era rimasta fu distrutta quella notte. Quella di Heilbronn, consacrata nel 1877, andò in fiamme con la sua alta cupola.39 La prima testimonianza della presenza di ebrei a Heilbronn risale alla metà dell'xi secolo: consiste in un'iscrizione in ebrai­ co che venne rinvenuta nel muro dell'antica sinagoga, costrui­ ta nel 1357. Analogamente, a Bad Homburg, una città termale che era stata un famoso luogo d'incontro di intellettuali ebreo­ russi al principio del secolo, la sinagoga - consacrata il 9 no­ vembre 1866 - fu distrutta durante la Notte dei cristalli.'10 A Bassum - anche qui il luogo di culto fu distrutto - la cinquantaseienne Josephine Baehr assistette all'arresto del proprio marito e alla demolizione della loro casa. La donna si suicidò.41 A Glogau, dove venne appiccato il fuoco a en­ trambe le sinagoghe esistenti, Leonhard Plachte fu gettato fuori da una finestra, perdendo la vita.42 A Jastrow, dove pure la sinagoga fu distrutta. Max Freundlich, padre di tre figli, morì mentre veniva arrestato.43 A Beckum, in cui le due sina­ goghe e la scuola ebraica furono completamente rase al suolo, fu assassinato Alexander Falk. Aveva novantacinque anni.44 Durante la giornata del 10 novembre il capo della polizia tedesca, Heinrich Himmler, emise un'ordinanza che proibiva

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agli ebrei il possesso di armi. Quella sera, un quotidiano lon­ dinese riferiva che secondo le disposizioni di Himmler « ogni ebreo che [fosse stato] trovato in possesso di armi [sarebbe stato] condannato a vent'anni di prigione».4^ In testa a molti degli attacchi contro gli ebrei e delle azioni vandaliche a danno dei negozi si trovavano ragazzi in età scolare. Ulrich von Hassell, un diplomatico tedesco che per­ cepiva come un'infamia quanto stava accadendo - e che fu giustiziato nel 1944 per aver partecipato all'attentato contro Hitler - annotò nel suo diario, cinque giorni dopo la Notte dei cristalli, che gli organizzatori « erano sufficientemente sfaccia­ ti da mobilitare classi di studenti (a Feldafing, sullo Starbergersee, hanno armato addirittura gli alunni con dei matto­ ni) ».46 Un mese dopo la Notte dei cristalli, von Hassell pranzò con un anziano membro del ministero degli Esteri tedesco, che - secondo le parole contenute nel suo diario - « confermò la storia che gli insegnanti avevano armato gli studenti con dei bastoni, in modo che potessero distruggere i negozi ebrai•

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ci... »

Alle diciassette del 10 novembre Goebbels ordinò di ferma­ re le «dimostrazioni». L'ordine fu trasmesso alla radio da qualsiasi città e cittadina, dopo di che la polizia e gli ufficiali del Partito nazista cominciarono a mandare a casa i dimo­ stranti appagati ed esausti. Molte sinagoghe erano ancora in fiamme. Quella notte il consolato americano a Breslau dovette essere evacuato, poiché una sinagoga nei pressi stava « bru­ ciando in maniera pericolosa ».4H La nuova sinagoga di Bre­ slau, edificata sessantasei anni prima, fu distrutta, mentre la Sklowar, costruita nel 1790, lo fu solo in parte. In seguito fu usata dai nazisti come cantina e magazzino. La sinagoga Storch rimase in piedi, ma le truppe d'assalto si impossessa­ rono dei Rotoli della Legge, che vennero portati nel cortile e bruciati. Quindi la g e s t a p o arrestò sia il rabbino, il dottor Moshe Hoffman, sia il cantore, che con seicento uomini ebrei di età compresa tra i sedici e i sessantanni furono deportati a Buchenwald.

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Gli ebrei cercarono ovunque di sfuggire alla rete della g e A Magdeburgo Ephraim Handler, un leader della co­ munità ebraica, fu salvato dalla retata e dalla deportazione a Sachsenhausen da parecchi amici non ebrei, che lo aiutarono a prendere il treno notturno per Berlino. Quando le truppe ven­ nero a cercarlo, era già distante molti chilometri. Proprio pri­ ma che scoppiasse la guerra fu in grado di recarsi in Palestina grazie a un visto palestinese. Suo figlio Leo, che nella Notte dei cristalli si trovava in Palestina e aveva prenotato il viaggio di ritorno in Germania via mare, passando da Trieste, ricevet­ te un messaggio in codice che lo avvertiva di non tornare. Si diresse allora in Inghilterra.4^ Ephraim Handler era stato sal­ vato dal buon cuore di tedeschi tanto coraggiosi da prendere posizione contro l'odiosa maggioranza dei compatrioti. Sono rimaste testimonianze relative a tre villaggi tedeschi dove nella Notte dei cristalli i preti delle parrocchie locali e i sindaci evitarono un massacro. Si tratta dei paesi di Warmsried, Derching e Laimering.50 Quasi nessuna comunità ebraica residente nei villaggi fu risparmiata dalla devastazione. Nel paese di Hoengen, presso la frontiera olandese, truppe d'assalto e residenti locali lavo­ rarono alacremente, fianco a fianco, per demolire la piccola sinagoga con asce e martelli da fabbro. Eric Lucas assistette alla scena in cui lo zio Michael, il macellaio del paese, guar­ dava disperato i Rotoli della Legge che venivano gettati di mano in mano « fin quando raggiunsero la strada, all'esterno. Alcune donne strapparono la guarnizione blu e il velluto e ognuna tentava di impossessarsi di parte dell'argento che adornava i Rotoli. Disadorni e aperti, i Rotoli giacevano sul fangoso sentiero autunnale, dei bambini vi misero i piedi so­ pra e altri strapparono pezzi della bella pergamena su cui era scritta la Legge - quella stessa Legge che avevano tentato invano di comprendere, da oltre mille anni, le persone che la dilaniavano ».51

stapo.

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Il giorno dopo gli episodi di distruzione, spiegando il motivo per cui non aveva ordinato alla polizia di fermare i devastatori durante la Notte dei cristalli, Goebbels raccontò durante un incontro con i corrispondenti della stampa estera a Berlino: « Non potevo intimare ai nostri poliziotti di sparare a dei tedeschi, poiché intimamente simpatizzavo per loro ».52 Formulando una coraggiosa risposta a fronte della distru­ zione e della brutalità, il pastore della cattedrale di St Hedwig di Berlino, Bernhard Lichtenberg - che era stato cappellano militare durante la Prima guerra mondiale - concluse ogni celebrazione serale tenuta dopo la Notte dei cristalli con una preghiera « per gli ebrei e i poveri prigionieri dei campi di concentramento ».,i In un fondamentale articolo sulla Notte dei cristalli, pub­ blicato mentre il fumo delle sinagoghe pervadeva ancora tutta la Germania, quando le rovine di parecchie migliaia di negozi erano ancora sparse per le strade e migliaia di ebrei tedeschi e austriaci stavano curando le proprie ferite o erano condotti ai campi di concentramento, il Times commentava: « Nessun propagandista estero determinato a screditare la Germania davanti al resto del mondo potrà mai superare il racconto di incendi e percosse, di assalti condotti con perfidia su gente indifesa e innocente, che ieri ha funestato quel paese».54 Note 1 « Expelled Jews' Dark Outlook », The Times, la novembre 1938. 2 « 7000 Jews Still at Frontier », Neil's Chronicle, 1“ novembre 1938. 3 Archivi di Stato tedeschi, Potsdam, cit. in Rita T halmann , E mma ­ nuel F einermann , La nuit de cristal, pp. 33, 42. 4 « Nazis Planning Revenge on Jews », News Chronicle, 9 novembre 1938. 5 «Sinagogue Set on Fire», The Times, 10 novembre 1938. 6 «Germany Begins Reprisals against the Jews », Manchester Guardian, 9 novembre 1938. 7 Inviato diplomatico. Manchester Guardian, 15 novembre 1938. 8 Inviato diplomatico, Manchester Guardian, 18 novembre 1938. 9 « Extent of German Pogrom », Manchester Guardian, 18 novembre 1938.

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10 Gerald Shepherd, rapporto del 9 novembre 1938, Foreign Office, fo 371/21637. 11 « Diplomatic Dies: Nazi Rage », Daily Herald, 10 novembre 1938. 12 « Lokalanzeiger », 9 novembre 1938, cit. in Manchester Guardian, 10 novembre 1938. 13 « Death of Shot Diplomatist, Reprisals Likely », Manchester Guardian, 10 novembre 1938. 14 Diario di Goebbels, cit. in S a u l F r ie d l a n d e r , Nazi Germany and the Jews: The Years of Persecution, 1933-1939, p. 272 (trad. it. La Germania nazista e gli ebrei). 15 « Nazi Attacks on Jews », The Times, 11 novembre 1938. 16 « Streets in Ruins », Evening Standard, 10 novembre 1938. 17 E lke F r ö h l ic h (a cura di). Die Tagebücher von Joseph Goebbels, 10 no­ vembre 1938. 18 S ir G e o r g e O g ilv ie F o rbes , bollettino n. 1224, 16 novembre 1938, Foreign Office, fo 371/21637. 19 L aurie Lowenthal , La mia infanzia in Germania, dattiloscritto inviato all'autore il 6 giugno 2005.

20 Si veda la carta geografica a p.261 per le località in cui furono distrutte le sinagoghe che sono citate in questo capitolo. 21 L a u r i e L o w e n t h a l , La mia infanzia in Germania. 22 M eir L a m e d , «Graz », in Encyclopaedia Judaica, voi. 7, colonna 864, con fotografia della sinagoga e della scuola prima della distruzione. 23 A h a r o n F u erst , Y e h o u d a M a r t o n , «Eisenstadt», in Encyclopaedia Judaica, voi. 6, colonna 548. 24 D. S t C lair G a in e r , rapporto dell'll novembre 1938, Foreign Office, f o 371/21637. 25 «Special Reports of the Pogroms in Germany», News Chronicle, 11 novembre 1938. 26 « Here is what Happened in Other Towns », Daily Herald, 11 novembre 1938. 27 «Jews Victim of day of Vengeance», Washington Post, 11 novembre 1938. 28 Robert T ownsend S mallbones, telegramma dell'll novembre 1938, Foreign Office, fo 371/21637. 29 Niederdeutscher Beobachter, 10 novembre 1938, riportato dal console generale britannico, Amburgo, 11 novembre 1938, Foreign Office, FO 371/21367. 30 Arredi di sinagoga a Zeven, fotografia: archivio fotografico dello United States Holocaust Memorial Museum. 31 Una sinagoga brucia a Ober-Ramstadt, fotografia: archivio fotografico dello United States Holocaust Memorial Museum.

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32 Riproduzione in Y it z h a k A r a d (a cura di), A Pictorial History of the Holocaust, p. 58. 33 Sinagoga incendiata nel corso della Notte dei cristalli, United States Holo­ caust Memorial Museum, Fotografia 55542. 34 Der Fotoalbum der Jüdischen Gemeinde Regensburg, Kristallnacht 9-10 No­ vember 1938, Jüdische Gemeinde Regensburg, 16 giugno 2005. 35 Archivi fotografici Yad Vashem: 26891 (Wiesloch), 51741 (Eschwege), 63788 (Korbach), 5995/4 (Thalfang). 36 A d o l f D ia m a n t , Zerstörte Synagogen vom November 1938, pp. 127-226. 37 T B. W il d m a n , console britannico di Brema, rapporto del 12 novem­ bre 1938, Foreign Office, f o 371/21637. 38 « Jews Shot Dead », Daily Telegraph, 11 novembre 1938. 39 Fotografie della sinagoga di Heilbronn prima e durante la distruzione: Lionel Kochan, « Kristallnacht », in Encyclopaedia Judaica, voi. 10, co­ lonna 1265. 40 Fotografia della sinagoga di Bad Homburg prima della distruzione. B e r n h a r d B r il l in g , « Homburg », in Encyclopaedia Judaica, voi. 8, colonna 943. 41 Pagine di testimonianze (Josephine Baehr), Archivio Yad Vashem. 42 Pagine di testimonianze (Leonhard Plachte), Archivio Yad Vashem. 43 Pagine di testimonianze (Max Freundlich), Archivio Yad Vashem. 44 Pagine di testimonianze (Alexander Falk), Archivio Yad Vashem. 45 « Anti-Jews Riots Raging », Evening News, 10 novembre 1938. 46 Vom Andern Deutschland, 25 novembre 1938 (trad. it. Diario segreto 19381944). 47 Ibid., 11 dicembre 1938. 48 «Eye for an Eye, Tooth for a Tooth», News Chronicle, 11 novembre 1938. 49 A r if u (L e o ) H a n d l e r , conversazione con l'autore, 28 giugno 2005. 50 A n t h o n y R e a d , D a v id F is c h e r , Kristallnacht: The Nazi Night of Terror, p. 105 (trad. it. La notte dei cristalli). 51 E r ic L u c a s , « I Sovrani », Kibbutz Kfar Blum, Palestina, 1945. 52 Cit. in Evening Standard, 11 novembre 1938. 53 H.D. L e u n e r , Wiien Compassion was a Crime: Germany’s Silent Heroes, p. 10.

54 « A Black Day for Germany», Tlte Times, 11 novembre 1938.

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Le violenze della Notte dei cristalli di cui si hanno le più ampie testimonianze si verificarono a Berlino, la città tedesca in cui risiedeva il maggior numero di corrispondenti stranieri. Hugh Greene, rinviato del Daily Telegraph dalla città tedesca, scrisse: « Durante gli ultimi cinque anni ho assistito a nume­ rosi scoppi di antisemitismo in Germania, ma mai a nulla di tanto disgustoso come in questa occasione». Iniziato nelle prime ore del mattino e proseguito « fino a tarda notte », il pogrom - come lo defini il giornalista - « pone un sigillo defi­ nitivo sullo stato di illegalità degli ebrei tedeschi ». Donne tedesche che rimproveravano dei ragazzi in fuga da un nego­ zio ebraico ridotto in macerie con dei giochi in mano « rice­ vettero sputi e furono attaccate dalla folla ».* Max Kopfstein aveva tredici anni. « Mio padre aveva l'abi­ tudine di recarsi alla sinagoga ogni mattina » ricordava, « do­ po di che tornava a casa per la colazione e quindi partiva per andare in ufficio. Il mattino del 10 novembre 1938 papà tornò a casa molto prima del solito, dicendoci che le sinagoghe di Berlino erano in fiamme. Le torce non avevano attaccato la nostra sinagoga, quella di Münchener Strasse, poiché era si­ tuata in un cortile e c'era pericolo che l'incendio potesse esten­ dersi agli edifici circostanti ». Il racconto di Max Kopfstein continuava: «Non sapendo che cosa ci riservasse la giornata, non mi fu permesso di an­ dare a scuola, tuttavia papà si recò ugualmente al lavoro, non prima però che ci accordassimo su un codice da usare - 'Ci sono ospiti' - per avvertirlo, nel caso in cui i nazisti fossero

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giunti a cercarlo. Mamma e io eravamo soli a casa. Qualche tempo dopo suonò il campanello. Mamma aprì la porta d'in­ gresso del nostro appartamento piuttosto spazioso. Là in piedi c'erano due agenti della g e s t a p o in abiti civili, che chiesero di vedere mio padre, Walter Kopfstein. Mamma rispose che pa­ pà era in ufficio, facendomi allo stesso tempo un segno con la mano dietro la schiena. Scesi in strada dall'entrata posteriore del nostro alloggio, e corsi alla cabina telefonica pubblica al­ l'angolo della via, da dove chiamai mio padre in ufficio per dirgli: 'Ci sono ospiti'. Poi ritornai a casa». Nel frattempo, la g e s t a p o aveva chiesto alla madre di Max Kopfstein di telefonare al marito « e dirgli di tornare imme­ diatamente a casa, e di non dire niente altro, e così lei fece. Quindi attesero. Dopo poco, domandarono a mia madre: quanti anni ha suo marito? Mamma rispose, non so se inten­ zionalmente o meno, fornendo l'anno della nascita di mio padre: '85', invece della sua età: all'epoca, cinquantatré anni. Loro fraintesero, pensando che avesse ottantacinque anni, ed esclamarono: 'Cosa, così vecchio?'; dopo di che se ne andaro­ no ».2 A Berlino, quel giorno, altri sfuggirono per un soffio alle persecuzioni. Hannelore Heinemann non aveva ancora tre anni quando due agenti della GESTAPO si presentarono all'ap­ partamento della sua famiglia chiedendo di suo padre e del nonno, che avevano appena lasciato l'alloggio per un luogo sicuro. La madre, Paula, disse agli agenti che nessuno dei due uomini era in casa, e questi se ne andarono. La sera dopo tornarono gli stessi agenti della g e s t a p o . Questa volta la cu­ stode, non ebrea, del palazzo, la signora Müller, li fermò nel­ l'androne del palazzo. La donna disse loro: « Il signor Heinemann e il signor Silberstein non vivono più qui. Fidatevi della mia parola. Sono rimaste soltanto la moglie e la figlia. Perché volete disturbare una giovane donna e una bimba di due anni? Certamente non costituiscono una minaccia per il Reich ». Gli uomini si voltarono e tornarono indietro. Anni dopo, Paula Heinemann avrebbe detto a sua figlia:

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« Persone come la signora Müller erano la prova concreta che non tutti erano antisemiti in Germania, e che alcuni si pren­ devano cura degli esseri umani ». Quando - alcune settimane prima - era stato avvertito di essere su una lista di arresti della G e s t a p o , Heinrich Silberstein, che aveva combattuto nell'e­ sercito tedesco durante la Prima guerra mondiale, non era riuscito a capacitarsi del fatto che fosse possibile « un simile tradimento nei confronti degli ebrei tedeschi ». « Ma io sono un cittadino che rispetta la legge» protestò con il suo ex com­ militone, un funzionario civile di rango superiore, non ebreo, che era venuto ad avvisarlo. « Questo è assurdo! Ci dev'essere un errore. »} Nelle prime ore del 10 novembre, mentre la g e s t a p o si pre­ parava ad appiccare il fuoco alla sinagoga di Oranienburger Strasse, il capo del distretto di polizia locale, il luogotenente Wilhelm Kriitzfeld, insistette affinché si fermassero. Disse agli uomini della g e s t a p o che la sinagoga costituiva un monu­ mento storico, un edificio municipale da preservare. Questo era assolutamente vero; da anni era considerata un monu­ mento grazie alla sua importanza dal punto di vista architet­ tonico. La g e s t a p o si allontanò e non vi fu alcun incendio, almeno fino al 22 novembre 1943, nel corso di un'incursione notturna britannica durante la quale ebbe luogo il bombarda­ mento di Berlino. Una fotografia della sinagoga in fiamme risalente a quella notte del 1943 è spesso riprodotta per errore come una fotografia scattata durante la Notte dei cristalli. Krützfeld, d'altra parte, fu severamente ripreso per il suo atto di sfida ben riuscito.4 La parte restante della distruzione dei luoghi ebraici di Berlino procedette senza intoppi. Nel tardo pomeriggio del 10 novembre un quotidiano serale londinese descrisse come durante il giorno, « con grande precisione », gruppi di s a e di uomini delle ss « in borghese, che avanzavano su motociclette con i sidecar pieni di pietre, si [erano] recati in punti conve­ nuti, da cui gettavano le pietre contro le vetrine e poi se ne

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andavano ». Ma non era tutto. « Le folle subito li hanno segui­ ti. Questo pomeriggio decine di sinagoghe erano in fiamme, migliaia di negozi ebraici erano ridotti in macerie, e molte migliaia di ebrei in prigione». Nel pomeriggio, il corrispondente dell'Exchange News Agency da Berlino vide un ebreo di mezza età «rincorso per le strade, chiunque gli si trovasse vicino lo colpiva. Un poli­ ziotto assisteva alla scena sorridendo ». Più tardi, quello stesso pomeriggio, la devastazione continuava. L'elegante Kurfür­ stendamm di Berlino era « in rovina. Mucchi di vetri rotti e beni distrutti tratti dai negozi erano sparsi per tutta la strada. Gli incendi stavano ancora divampando». Undici sinagoghe berlinesi erano in fiamme. 5 Più tardi, Serem Freier ricordò: « In fondo alla strada, una banda di tedeschi era intenta a infrangere la vetrina della panetteria dove ogni venerdì eravamo abituati ad acquistare il nostro pane azzimo. Nel giugno del 1938 era stata approvata una legge che decretava che tutti i negozi ebraici avrebbero dovuto rinnovare le proprie insegne secondo uno stile stan­ dardizzato, in modo da facilitarne Videntificazione. I tedeschi, quindi, non ebbero difficoltà a trovare bersagli adeguati per i loro attacchi. La banda si diresse verso la nostra abitazione. La nostra cuoca ci spiegò che la sua presenza a casa nostra era illegale. Era venuta da noi in un periodo in cui le normative permettevano che l'impiego presso famiglie ebraiche fosse consentito soltanto a tedeschi oltre i cinquantanni d'età. Tut­ tavia, nel frattempo, era stata promulgata una nuova legge. Era stato vietato a tutti i tedeschi di lavorare in nuclei dome­ stici ebrei. Ci disse che se i nazisti fossero entrati in casa no­ stra, sarebbe scappata. Poiché la casa aveva due scale, sarebbe corsa giù da quella non utilizzata dai nazisti. Fortunatamente, questi ultimi non salirono da nessuna delle due scalinate. Fu solo più tardi che venimmo a sapere che quel giorno i com­ ponenti della Gioventù hitleriana avevano fatto irruzione in molte abitazioni ebraiche, in cui il mobilio era stato distrutto e gli appartamenti ridotti in macerie. Nelle strade gli ebrei era-

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no stati perseguitati e assaliti da bande di nazisti. Passammo una giornata di paura ». Verso sera, secondo quanto scrisse più tardi Serem Freier, «ci raggiunse la notizia che Göring aveva parlato alla radio chiedendo alle bande naziste di smetterla di provocare altri danni ». La mattina seguente, quando Serem Freier si svegliò, i suoi genitori « non si vedevano da nessuna parte ». Nelle pri­ me ore del mattino, quando suo padre si rese conto che erano in corso deportazioni degli ebrei, era uscito in strada a offrire aiuto e sostegno. Durante il giorno, tuttavia, un ufficiale della G e st a p o gli disse che era sulla lista delle persone che doveva­ no essere arrestate e gli consigliò di andarsi a nascondere. Di conseguenza, sparì. «Si nascose presso diversi nostri amici, fino a quando pochi giorni dopo ottenne un visto turistico per andare in Italia e partì immediatamente per quel paese. Da lì si diresse in Inghilterra, dove rimase per i dieci anni successivi. »6 Il Daily Herald riferì da Berlino: «Sembra che i grandi centri commerciali abbiano subito un'incursione aerea. Gli scaffali sono stati strappati dai muri, il mobilio rotto, le insegne lumi­ nose ridotte in frammenti ». ' 11reporter del Nezos Chronicle vide saccheggiatori « rompere con particolare attenzione le vetrine delle gioiellerie e, ridacchiando, imbottirsi le tasche dei ninnoli e delle collane che cadevano sui marciapiedi». In Friedrich­ strasse un pianoforte a coda « fu trainato sul marciapiede e demolito con accette, tra urla di esultanza e applausi ».8 Secondo quanto riportato dal corrispondente del Daily Te­ legraph a Berlino: « Pareva che persone normalmente decorose fossero completamente in preda a odio razziale e isterismo. Ho visto donne elegantemente vestite battere le mani e grida­ re di gioia, mentre rispettabili madri borghesi sollevavano i loro bimbi perché vedessero lo 'spettacolo' ».9 Un ragazzino ebreo, Paul Oestereicher, ricordò in seguito co­ me stesse camminando con sua madre in una delle principali

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arterie commerciali di Berlino, guardando le vetrine tutto ec­ citato, quando in pochi secondi la gioia svanì. «Quelli che parevano essere centinaia di uomini, agitando grandi bastoni, saltarono giù da dei carri e iniziarono a distruggere tutte le vetrine intorno a noi. »10 Miriam Walk, che viveva in un appartamento al primo piano di fronte alla sinagoga di Levetzowstrasse, ricordava di aver osservato « i nazisti che bruciavano tutti i libri in stra­ da » e anche i Rotoli della Torah. « Ancora oggi riesco a sentire l'odore acre di bruciato e la paura: cosa sarebbe accaduto dopo? »11 Helga Leib andava a scuola a Berlino. La mattina del 10 novembre partì da casa verso le sette e quaranta, come al solito, «per prendere il tram che portava alla mia scuola, che si trovava nella Grosse Hamburger Strasse, circa cinque minuti a piedi da Alexanderplatz. Era una mattina fredda, scura e i finestrini del tram erano appannati, così non riuscivo a vedere fuori. Neanche durante la mia passeggiata di cinque minuti vidi nulla di diverso dal solito. Arrivata in classe, tro­ vai tutti molto tranquilli, ma non riuscivo a capire il perché. Quando il nostro insegnante arrivò, spiegò la situazione e ci disse che dovevamo tornare tutti di nuovo a casa. Non ci fu permesso di fermarci di fronte alla scuola. Venimmo fatti uscire da scuola a due per volta, a brevi intervalli di distanza. Durante il ritorno a casa vedemmo le vetrine infrante dei negozi, ed era tutto molto strano e spaventoso ».l2 Quel giorno a Berlino c'era un'altra scolara, Chava Rechnitz. Poiché i suoi genitori vivevano nella piccola città di Ratisbona, sull'Elba, Chava risiedeva a Berlino, a casa dell'amica Dörte. Andando verso la scuola sulla s-Bahn, la ferrovia su­ burbana, la ragazzina e la sua amica « trovarono la scuola e la sinagoga adiacente in fiamme, come anche una casa per an­ ziani ebraica, situata sul lato opposto della strada. Molti gio­ vani hitleriani giravano lì intorno, applaudendo e gridando: 'Raus mit den luden' ('Abbasso gli ebrei'). Tornammo a casa e indossai il mio più bel vestito e la giacca migliore, preparai

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soltanto una piccola valigia e presi un treno per tornare a Ratisbona... »15 Il quindicenne Gerd Bocian ricordò come, situati al pian­ terreno vicino all'alloggio della sua famiglia, ci fossero una piccola casa di preghiera e un seminario. L'ebreo ultrareligio­ so che lo dirigeva, il rabbino Kupferstoch, era stato conside­ rato un eroe in Germania, per aver fornito una mappa di importanza fondamentale all'esercito tedesco nel 1914 - pe­ riodo in cui l'uomo viveva nella Polonia russa -, prima della battaglia di Tannenberg. Per questo motivo, Kupferstoch e gli studenti del suo seminario erano stati ricevuti dal Kaiser a Berlino. L'esercito tedesco rese onore al suo contributo pa­ triottico a quella battaglia cruciale - si disse addirittura che egli avesse un salvacondotto (Schutzbrief) firmato da Hitler - e quando i teppisti delle sa giunsero per demolire il suo semi­ nario, due poliziotti tedeschi armati di pistole erano già là a fare la guardia e non li lasciarono passare. Gerd Bocian riflet­ té: «Probabilmente questo salvò l'edificio in cui ci trovava­ mo».14 Anche l'undicenne Miriam Litke si trovava a Berlino du­ rante la Notte dei cristalli. « Vivevamo in un condominio che ospitava la nostra sinagoga, Beth Zion, nel cortile posteriore » scrisse la ragazza in seguito. «Poiché dietro la sinagoga si trovava un'industria di prodotti chimici, ai nazisti non fu permesso di incendiarla (è ancora in piedi). Tuttavia mia ma­ dre, mio fratello e io li osservammo dalla nostra finestra oscu­ rata, mentre gettavano nel cortile quanto era contenuto nella sinagoga. Le panche, i Rotoli della Torah, i libri di preghiere, erano tutti ammucchiati per terra. Potevamo udire i nazisti parlare tra loro, urlare, gridare. Sentimmo: ‘Da oberi wohnen auch noch Juden’, 'Ci sono ancora degli ebrei che abitano lassù'. Temevamo che sarebbero saliti nel nostro appartamento al primo piano e ci avrebbero fatto del male. Invece se ne anda­ rono dopo aver compiuto la loro devastazione. » Più tardi quel mattino, ricordò Miriam Litke, « quando si verificarono le irruzioni nei negozi ebraici, le vetrine di cri-

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stallo erano infrante, il saccheggio e la distruzione di beni continuava, i miei parenti che abitavano vicino mi chiamaro­ no. Mio zio, Gershon Fachler, era proprietario di un grande magazzino di mobili sul Kastonienallee, un bel viale fiancheg­ giato da alberi di castagno. Mi chiese di recarmi là e osservare cosa stava accadendo al suo negozio e di far attenzione che i 'dipendenti non rubassero'! Ripensandoci, si può capire quan­ to fosse assurda l'idea di inviare una ragazzina di undici anni a guardare la distruzione del proprio negozio da parte dei nazisti. Ma certamente mio zio con la sua barba non ci poteva andare, e neppure i suoi figli già adulti, così mandarono me, una ragazza dalla pelle chiara, i capelli chiari, gli occhi azzur­ ri, con i codini. Rimasi lì in piedi, insieme a una folla di gente che stava chiaramente godendosi lo 'spettacolo'. Cosa ci si aspettava che facessi? Evitare che tutti si dessero al saccheg­ gio? Dopo un po' notai che delle donne mi stavano osservan­ do e udii per caso una che diceva a un'altra: 'Questa è una bambina ebrea'. A queste parole, decisi di andare a casa ».15 Le sinagoghe che bruciavano costituirono lo spettacolo mag­ giormente visibile a Berlino il 10 novembre. Entro le otto del mattino era stato appiccato il fuoco ad almeno trenta di esse. A Londra, quel giorno, un quotidiano della sera riportò che molti di quegli incendi « stavano ancora ardendo con ferocia nel pomeriggio». Analogamente bruciavano molti negozi e attività commerciali. Agli ebrei che tentarono di entrare nei loro locali in fiamme « per salvarne i beni fu impedito di farlo. Rimasero lì accanto e guardarono bruciare le loro proprietà, mentre la folla li scherniva ». Gli incendi delle sinagoghe furono accompagnati da sac­ cheggi e atti vandalici. Prima che la folla facesse irruzione nella sinagoga di Fasanenstrasse per appiccarvi il fuoco, per prima cosa «tolsero gli arredi e gli ornamenti dall'altare, li gettarono sulla Wittenbergplatz, vi appiccarono il fuoco, e ballarono intorno al falò». Quindi, dopo aver incendiato la sinagoga, affittarono trenta taxi « perché li portassero a fare

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un giro delle devastazioni e degli incendi » nell'area del Kur­ fürstendamm. Grandi folle circondavano le sinagoghe princi­ pali mentre venivano incendiate, « guardando le fiamme che le divoravano, acclamando selvaggiamente quando il tetto crollava». I pompieri dirigevano gli idranti solo sui palazzi adiacenti non ebraici, per salvarli dal rogo. Dalla zona del Kurfürstendamm, la massa si spostò verso le altre due aree principali che accoglievano negozi ebraici a Berlino, quelle di Unter den Linden e dell'Alexanderplatz. Qui uno dei più grandi centri commerciali europei, l'Israel's Department Store, un edificio di quattro piani, fu « saccheg­ giato e devastato », mentre una « folla di migliaia di persone » stava a guardare. Circa settecento dei milleduecento impiegati fuggirono mentre la banda di vandali entrava nel palazzo. Dopo aver descritto la razzia, l'annunciatore della radio ber­ linese dichiarò: «Tutto ciò è poca cosa. Abbiamo bisogno di misure più decise. Questo è il segnale ». Di certo, il segnale fu compreso - e preso in considerazione. Come riferito da un quotidiano londinese della sera, già men­ tre le sinagoghe e i negozi ebraici di Berlino erano ridotti a cumuli di macerie e cenere, « le folle cominciarono a penetrare nelle case e negli appartamenti degli ebrei, a picchiarne gli occupanti e a distruggerne i mobili. Quando la polizia venne chiamata in soccorso, si strinse nelle spalle e rifiutò di inter­ venire ».16 Quella sera Eugen Lehmann scrisse da Berlino a suo figlio, che si trovava già in Gran Bretagna: « Adesso sono le diciotto e trenta e riesco a ragionare a fatica. Ciò che è accaduto a noi ebrei in Germania a partire dalle quattro e trenta di stamattina è indescrivibile. Nell'intera Germania non esiste sinagoga che non sia stata incendiata o che non stia ancora bruciando, non vi sono più vetrine di negozio che non siano rotte». In un grande magazzino di proprietà ebraica della città « entro le quattordici tutti i vetri erano in frantumi », in un altro « accad­ de a mezzogiorno » e in un altro « alle sette di mattina ecc. ecc.

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Ti puoi immaginare in che stato sia ridotta la merce espo­ sta ».*' Il corrispondente da Berlino del News Chronicle riportò «due scene singolari » a cui aveva assistito quel giorno. Una consistette nella vista di passanti che scagliavano pietre contro la vetrina di un negozio, mentre sul balcone sopra il negozio stesso « un'ebrea con i capelli grigi stava in piedi, sfidando i colpi e lanciando imprecazioni alla folla sottostante, che stava distruggendo la sua fonte di sopravvivenza ». L'altra scena ebbe luogo fuori da un ristorante di proprietà di un ebreo ungherese, dove una massa di giovanotti prese il locale come bersaglio, gettando pietre attraverso i vetri rotti delle finestre « per tirare giù vasi, barattoli, piatti di peltro e targhe dai muri », mentre alTinterno del ristorante un ragazzino in età scolare «collezionava i proiettili, li metteva in una borsa di carta, e li buttava alla gente dal primo piano, in modo che potessero ricominciare daccapo ». Il corrispondente notava che « il tedesco medio pareva con­ templare la situazione in modo indifferente o stupefatto». Riferiva anche che alcuni ebrei erano stati « rincorsi per le strade da giovani nazisti, presi a pugni e fatti cadere a terra ». Una delle «caratteristiche maggiormente deplorevoli» di questa gran quantità di attacchi «consistette nel numero di giovani che vi presero parte allegramente ». Lo stesso cronista riportò anche un brano dell'Angriff, il giornale di Goebbels, che dichiarava: « L'atto dell'assassinio si abbatte su tutta la comunità ebraica. Ogni individuo ci deve rendere conto di ogni dolore, ogni crimine, ogni disgustosa azione di questa razza criminosa contro i tedeschi; ogni ebreo è responsabile, senza pietà per nessuno. L'ebraismo mondiale vuole combat­ terci. Lo può fare secondo i suoi stessi parametri: occhio per occhio, dente per dente».1* Sempre il medesimo giornalista assistette a una scena di coraggio: « L'insolita vista di due ufficiali dell'esercito tedesco in uniforme, che intervennero al fine di evitare la distruzione di un negozio e che rischiarono un linciaggio da parte di una

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folla urlante». Gli ufficiali furono costretti a fare marcia indie­ tro, le mani sugli stiletti. Nel frattempo, la folla gridò loro: « Ci dovete la vostra stessa uniforme ». Questi due soldati parvero al cronista inglese « le uniche persone rimaste nel Reich che osassero prendere posizione a favore di un atteggiamento di decoro e moderazione».14 Note 1 «German Mobs' Vengeance on Jews», D aily Telegraph, 11 novembre 1938. 2 K ristallnacht, memorie comunicate da Kopfstein all'autore, 6 giugno 2005.

3 H anneiore H eadley, B lond C hina Doll: A Shangai Interlude, 19391953, pp. 20-21. 4 Museo della sinagoga di Orianenburger Strasse, Berlino. 5 «Streets in Ruins», E vening Standard, 10 novembre 1938. 6 Serem Freier, lettera all'autore, 19 giugno 2005. 7 « Like Air Raid », D aily H erald, 11 novembre 1938. 8 «Eye for an Eye, Tooth for a Tooth», N e w s Chronicle, 11 novembre 1938. 9 «German Mobs' Vengeance on Jews», D aily Telegraph, 11 novembre 1938. 10 P aul O estereicher, cit. in «Terror, on Berlin's Night of Broken Glass », The Tim es, 9 novembre 1978. 11 M iriam Spira (nome da nubile: W alk), lettera all'autore, 3 giugno 2005. 12 H elga Leib, lettera all'autore, 5 giugno 2005. 13 C hava Coi in (nome da nubile: Rechnitz), lettera all'autore, 3 giu­ gno 2005. 14 Jerry (Gerd) Bocian, conversazione con l'autore, 14 settembre 2005. 15 Miriam Litke, lettera all'autore, 12 giugno 2005. 16 «Streets in Ruins», E vening Standard, 10 novembre 1938. 17 Anne L. F o x , Between the Lines: Letters from the H olocaust, p. 31.

18 « Eye for an Eye, Tooth for a Tooth », N e w s Chronicle, 11 novembre 1938. 19 «Powerless Officers», N ew s Chronicle, 11 novembre 1938.

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Il regime nazista aveva raggiunto Vienna nel marzo del 1938, con l'annessione tedesca dell'Austria. Otto mesi più tardi gli ebrei di Vienna furono coinvolti nel terrore della Notte dei cristalli, come tutti gli abitanti ebrei del Reich. «Vedere le nostre sinagoghe che prendevano fuoco» ricordò Bronia Schwebel, « vedere proprietari di attività commerciali passar­ vi di fronte con cartelli sulle spalle: 'Mi vergogno di essere ebreo', mentre i loro negozi erano saccheggiati, faceva paura e spezzava il cuore. Non erano solo i loro negozi a essere violati, erano le loro vite... »1 Felix Seiler, che all'epoca era un bimbo di quattro anni e mezzo, raccontò come tutta la famiglia, eccetto il padre, si trovasse nella cantina della loro casa. « Ricordo mia madre, mio nonno e parecchi altri che presumo dovessero essere zie e zii. Pensavo che l'intera faccenda fosse un gioco e mi compor­ tavo di conseguenza. Di solito, essendo figlio unico, ero al centro dell'attenzione. Ma non quella notte. Come ricordo oggi, col senno di poi, tutti erano molto angosciati e tesi. »2 Più tardi il piccolo apprese che il padre era stato spinto dalla famiglia a recarsi presso la casa di un parente, per scampare all'arresto. La g e s t a p o si presentò presso l'abitazione del bambino mentre il padre era in fuga. Quando poi la polizia raggiunse la casa del parente, il padre stava tornando a casa propria. In questo modo, evitò l'arresto. Il padre di Helga Milberg non fu altrettanto fortunato. Hel­ ga aveva otto anni all'epoca della Notte dei cristalli. Era stata fatta irruzione nell'attività del padre a Fleischmarkt, e questa

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aveva subito dei danni; l'inventario era stato rubato, la cassa, le bilance e i coltelli portati via. « Mio padre vide che gli altri negozianti si erano serviti di tutto » scrisse in seguito. « Quan­ do si lamentò con loro, le ss lo picchiarono. Gli fecero mettere a posto il disordine che era rimasto.» Quindi l'attività fu con­ fiscata, ma anche allora il governo insistette perché suo padre ne pagasse le relative tasse. « Non avevamo alcun guadagno né soldi. Una sera papà uscì per vendere la sua fede nuziale, e scomparve. Non venimmo a sapere cosa gli fosse accaduto se non molti mesi dopo. Era stato arrestato e portato a Dachau. A Dachau fu spesso picchiato e torturato... » Le corone d'oro dei suoi denti furono distrutte. 3 All'epoca il professor Arthur Freud aveva cinquantasei an­ ni. Nato in una cittadina della Moravia, in quella che fu l'Austria-Ungheria fino al 1918, possedeva un passaporto ceco. Dopo la Prima guerra mondiale, divenne giornalista a Vienna, e fu un attivo sionista. «Quella tetra mattina d'autunno» scrisse poi, « non moltissimi ebrei sapevano cosa stesse dav­ vero accadendo - ma erano preoccupati. Facendo affidamento sul mio passaporto straniero, camminai verso la Seitenstettengasse, al fine di ottenere maggiori informazioni presso l'uffi­ cio della comunità ebraica [...] Solitamente vedevo la casa della comunità assediata da ebrei poveri, che chiedevano roba da mangiare, aiuto, la possibilità di emigrazione, ma stavolta c'era soltanto un plotone di uomini armati e in uniforme, così pensai fossero soldati; ma si trattava di un plotone di una delle organizzazioni naziste. Mi risposero con particolare gen­ tilezza che si poteva entrare liberamente, così che io, incam­ minandomi nel corridoio, mi imbattei in un altro plotone si­ mile. Fui costretto ad attraversarlo, mentre questi tipi mi at­ taccavano selvaggiamente da entrambi i lati. L'ufficiale che li comandava, un funzionario in abiti civili, all'entrata mi aveva afferrato per il collo del cappotto. Quando gli dichiarai il mio nome e la mia professione, lo udii dire qualcosa come: 'L'ab­ biamo preso'. A quanto pare, qualcuno fra i camerati pensava che gli fosse stato consegnato Sigmund Freud. »

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Sebbene non avesse alcuna relazione con Sigmund Freud che otto mesi prima, dopo l'annessione dell'Austria, aveva avuto la possibilità di rifugiarsi in Gran Bretagna -, l'ufficiale di comando del plotone ordinò al professor Freud di togliersi gli occhiali. Questi rifletté: « Brutalità nazista in determinate circostanze », ma dopo aver dichiarato a gran voce, con insi­ stenza, che era uno straniero, il funzionario gli permise di allontanarsi. Freud ebbe nuovamente fortuna quella sera, « quando due funzionari vennero a perquisire molto brutal­ mente il mio appartamento, fingendo di essere in cerca di armi; dopo che uno di loro ebbe messo in disordine tutti i miei libri, scoprì una fila di vecchi numeri del Fackel di Kraus » - un periodico antinazista viennese pubblicato da Karl Kraus, che era morto nel 1936 - « che mi ordinò di bruciare imme­ diatamente; il giorno seguente avrebbe controllato egli stesso se avessi eseguito l'ordine, e mi avrebbe arrestato se non l'a­ vessi fatto 'perché quello era il peggior sporco ebreo che ci fosse'. Ma il mio passaporto mi salvò e non fui portato via, dopo averli assicurati che ero un 'vero' cecoslovacco e non, magari, uno dei Sudeti. Portarono via soltanto mio cugino, che era nato a Vienna. Questi tornò dopo sei settimane, piuttosto malmesso, e rifiutò di raccontare cosa gli fosse accaduto; si ostinò a non volerne parlare fino alla sua partenza ».4 Ruth Birnholz, allora dodicenne, ricordò la scena che si svolse nell'appartamento della sua famiglia a Vienna nelle prime ore del 10 novembre, quando « vi si precipitarono delle persone». I suoi genitori erano in camera da letto. Sentì gli intrusi « spaccare mobili e specchi e urlare. Ero terrorizzata. E qualcuno mi mise un cuscino sulla testa, perché se avessi fatto rumore, probabilmente gli aggressori avrebbero trovato [...] in particolare il giovanotto, Hans » - il ragazzo della sorella mag­ giore di Ruth - « poiché probabilmente quella sarebbe stata la fine per lui ». Gli intrusi presero tutti i gioielli di sua madre e infransero tutti gli specchi: « Fu un'esperienza spaventosa » per la ragazzina. « Penso che ciò che la rese così terrorizzante fosse il fatto di essere nelle mani di qualcuno che poteva de-

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cidere di farti del male in qualsiasi modo possibile. In parti­ colare per una bambina. »5 La madre raccontò a Susanne Hatschek, che allora aveva soltanto sei mesi, di come il 10 novembre fossero state entram­ be arrestate dalla GESTAPO. « C era un'arma sul tavolo puntata verso di noi e a mia madre fu ordinato di consegnare le chiavi del nostro appartamento. Lei rifiutò, sapendo che aveva biso­ gno deiralloggio per prendersi cura della sua bambina. Se ne andarono, ma il giorno dopo arrivarono sei nazisti armati, per­ quisirono l'appartamento, gettarono i nostri effetti personali in un lenzuolo e lo trascinarono giù per le scale. Dissero che ave­ vano bisogno della casa per la loro gente, e che runico motivo per cui non ci deportavano era che avevamo una buona repu­ tazione nel vicinato. L'appartamento fu sigillato e noi restam­ mo per strada, senza casa e senza soldi in pieno inverno. »6 Lucie Draschler era una scolara dodicenne. « Per me » scris­ se, « la giornata cominciò come al solito andando a scuola, ma c'era una tensione palpabile nell'aria, fummo mandati a casa presto con la raccomandazione di non bighellonare per strada. Quando giunsi a casa c'era tutta la famiglia, mi stavano aspet­ tando tutti con ansia. Riesco ancora a vederci seduti lì, par­ lando, cercando di mantenere la calma, nascondendoci l'un l'altro la paura. » Non dovettero aspettare a lungo. « All'improvviso sentim­ mo dei forti rumori nell'edificio, delle grida e un pesante trapestio. Poi, come temevamo, qualcuno bussò alla porta. Fecero irruzione quattro sa armate e si avventarono su mio padre, picchiandolo e spingendolo per le scale. Due di loro lo seguirono, mentre gli altri due dissero a mio nonno di accom­ pagnarli. Poi accaddé la cosa più sorprendente: mio nonno stette lì fermo davanti a loro e si rifiutò di seguirli. Disse loro che lui era un vecchio, che aveva servito il suo Kaiser nella Grande guerra, e che non si sarebbe allontanato da casa sua. » Fu un momento pericoloso. « Avrebbero potuto portarlo via facilmente, era piuttosto debole, ma stranamente girarono i tacchi e se ne andarono senza dire una parola. »

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Dopo che gli uomini si furono allontanati con il padre di Lucie Draschler, la testimone riferiva: « Eravamo tutti in stato di choc. Mio nonno si sentì male, mia nonna piangeva, ed Evy » - la sorella - « e io sedemmo abbracciandoci, troppo spaventate per muoverci. Mia madre mise il nonno a letto, tentò di calmar­ ci, ma non ci riuscì un granché. » Ma qualcuno li avrebbe presto aiutati. « In mezzo a tutto questo scompiglio arrivò una delle nostre vicine della famiglia Gentile e prese in mano la situa­ zione. Viveva con sua sorella e suo fratello sul nostro stesso piano, ma li conoscevamo a malapena. Insistette per portare me ed Evy nel loro appartamento, dove saremmo rimaste fino al giorno successivo. Tutti e tre erano persone anziane, non erano mai stati sposati e stavano sempre per i fatti loro. Quan­ do assistettero a quanto stava succedendo, decisero di prende­ re posizione e darci una mano. Ci circondarono di premure, conversarono con noi, continuarono a darci da mangiare, e furono così gentili che a poco a poco ci riprendemmo. »' La mattina del 10 novembre molti cittadini viennesi che sta­ vano andando a lavorare, dopo aver letto sui quotidiani del mattino che vom Rath era morto, se la presero con gli ebrei che attendevano il tram alle fermate e li malmenarono. Criminali nazisti si spostavano per le strade sia incoraggiando simili attacchi, sia abbattendo le porte e mandando in frantumi le vetrine dei negozi di proprietà ebraica. Fu attaccato anche un asilo ebraico. Dalla finestra della sua camera da letto, il dodi­ cenne Fred Garfunkel vide la drogheria sotto l'alloggio della sua famiglia « frantumarsi in mille pezzi », e autocarri par­ cheggiati a ogni angolo « con soldati che vi tiravano su delle persone dalle strade».8 A Londra si riferì che alle nove di quella mattina erano scoppiati incendi nelle sinagoghe di Hernalser e Hietzinger: «Quest'ultima, un edificio in stile moresco, la più grande e più bella sinagoga di Vienna, è stata completamente sventra­ ta ». Due ore e mezzo più tardi vi furono parecchie esplosioni nel secondo distretto di Vienna, prevalentemente abitato da

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ebrei, poiché « un certo numero di sinagoghe era saltato in aria a causa delle bombe».9 A mezzogiorno del 10 novembre una folla irruppe nella Scuola dei rabbini nel Grosse Schiffgasse, ne trascinò il mobi­ lio in strada e ne fece un falò. Pochi minuti dopo, un'altra massa di gente appiccò il fuoco alla sinagoga del Neudeggergasse. I pompieri arrivarono quando le fiamme si erano già aperte un varco nel tetto. Una sinagoga nello Hubergasse bruciò così velocemente che crollò prima che i pompieri riu­ scissero a giungere sul posto. Fu notato che quando l'incendio nella sinagoga di Tempelgasse iniziò, si udirono delle esplo­ sioni: le camicie marroni avevano deliberatamente posto dei bidoni di benzina al suo interno. Dal tetto di una sinagoga nel Muttersteg, vandali nazisti catapultarono le Tavole della Legge in pietra decorata sulla strada. Nel quartiere ebraico di Leopoldgasse, gli arredi inter­ ni, l'Arca e i Rotoli della Legge provenienti da quattro sinago­ ghe furono ammucchiati nella via e vi fu dato fuoco.111 Un resoconto che raggiunse le altre parti del mondo quel giorno raccontò come ad alcuni ebrei « furono dati dei badili e ven­ nero portati alle sinagoghe distrutte, dove vennero costretti a portar via le macerie ».11 II giorno dopo, un titolo del Neiv York Times riportava: « Tutte le sinagoghe di Vienna assalite; incen­ di e bombe ne distruggono 18 su 21 >>.12 Per tutta la giornata del 10 novembre, nell'intera città di Vienna i negozi ebraici vennero saccheggiati. Un « importan­ te » ufficiale nazista raccontò al corrispondente britannico del­ la British United Press: «Cominciammo a impadronirci di beni dei negozi ebraici perché, presto o tardi, questi sarebbero stati comunque nazionalizzati ». 1 beni confiscati in tal modo, aggiunse l'ufficiale, «saranno usati per compensarci almeno in parte dei danni che gli ebrei hanno causato per anni al popolo tedesco ».13 Il quattordicenne Felix Rinde si trovava a Vienna nella Notte dei cristalli. « Poiché avevamo vissuto continuamente nella

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paura a partire dalla presa del potere da parte dei nazisti, nel marzo del 1938 » scrisse in seguito, « ci alzammo e sbirciammo cautamente attraverso tende e veneziane la scena che si svol­ geva al piano di sotto. Vedemmo un grosso gruppo di malvi­ venti delle sa guidare un gruppo d i ebrei verso il vicino Ma­ rienbrücke, attraversando il Donau Kanal. Fra loro vi era il barbuto e anziano custode di un'improvvisata sinagoga e sala studi situate al primo piano di un condominio che si trovava dietro l'angolo, suH'Hammerpergtallgasse. Stava portando una pesante Rotolo della Torah consacrato che, come scoprim­ mo più tardi, fu costretto a buttare nelle acque del Danubio. » Felix Rinde osservò: « Avendo solo quattordici anni, mi trascinai nuovamente nel Ietto caldo. I miei genitori e i miei fratelli, temendo il peggio, presto fecero lo stesso. Il giorno successivo incontrai un amico e andammo insieme verso la sinagoga. La trovammo distrutta e devastata. Poiché eravamo ebrei ortodossi, prendemmo quanti più libri di preghiere pos­ sibili e ne strappammo quanti più brandelli di pagine possi­ bili, e, dopo averli baciati devotamente, li riportammo ai tavoli e alle mensole che restavano. Fummo interrotti da due uomini che indossavano gli stivali militari di ordinanza, le fasce con la svastica al braccio e i cappelli tirolesi, e che erano venuti lì per godersi lo spettacolo della distruzione. Ci gridarono di uscire e uno tentò di darmi un calcio, che evitai con facilità, essendo agile e in salute. Ci precipitammo giù per le scale e lasciammo con tristezza la sinagoga che avevamo frequentato spesso con i nostri genitori ». La sorella maggiore di Felix Rinde aveva un appuntamento già fissato in precedenza all'ufficio del registro locale per ot­ tenere un certificato di matrimonio civile necessario per emi­ grare negli Stati Uniti, come sperava di fare. « Il suo fidanzato aveva chiamato un taxi, e insieme percorsero le strade deserte fino all'ufficio. Si sposarono senza il minimo intoppo il 10 novembre 1938 e tornarono, scossi ma illesi. Se il taxi fosse stato fermato, il suo novello sposo sarebbe finito a Dachau, come era accaduto a tanti altri. Mesi dopo si sposarono con

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una cerimonia religiosa in un paese baltico, durante il loro viaggio verso gli Stati Uniti. Mia sorella non ebbe bisogno di qualcosa che le ricordasse la sua data di matrimonio. » Più tardi, Felix Rinde rifletté: « La vita ebraica a Vienna praticamente terminò con la distruzione dei molti magnifici templi di Leopoldstrasse, Tempelgasse, Grosse Schiffgasse e molti altri. Custodirò sempre il ricordo di Vienna prima delYAnschluss nazista e il ricordo dei miei genitori che videro realizzata l'emigrazione dei loro sei figli. Furono deportati a est nel 1942. Non sopravvissero ».H Hans Waizner aveva nove anni all'epoca della Notte dei cristalli. Secondo un precedente ordine emesso dai nazisti, quel giorno la sua famiglia avrebbe dovuto effettuare un tra­ sloco dalla loro casa sulla Türkenstrasse al quartiere ebraico nel secondo distretto, dove la nonna di Hans li avrebbe ospi­ tati. Lui e sua madre partirono con il camion che portava i loro mobili e beni. « Mentre il camion passava sul Danubio verso il distretto ebraico» ricordò Waizner, «fui sbalordito e spaven­ tato nel vedere i negozi violati, alcuni bruciati, altri con le vetrine infrante, sulla grondaia era scarabocchiato ' g iu d e o '. C'erano poche persone in giro. » Raggiungendo la strada dove viveva la nonna « ci imbattemmo in una folla di persone. Sta­ vano gettando pile di libri da una casa di cultura ebraica su un falò, bruciandoli. 11 mio ricordo della Notte dei cristalli più vivo, quello che percepisco più fisicamente, fu quello del no­ stro camion che sballottava e rullava in mezzo a quel mucchio di testi sacri fumanti. Non lo dimenticherò mai ». Hans Waizner ricordava anche che verso il tramonto « tor­ nai a piedi con mia madre all'appartamento che avevamo da poco svuotato, non so a che scopo, forse per restituire le chia­ vi. In cima alle scale c'erano due uomini in attesa. Indossava­ no abiti civili ed erano molto educati. Erano della GESTAPO e chiesero a mia madre di accompagnarli alla stazione di poli­ zia. Ciò fu davvero troppo per me. L'agitazione e la paura della giornata, le scene a cui avevo assistito, e adesso la mam­ ma che veniva portata via, mi fecero esplodere. Piansi e stril-

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lai, e dovetti sembrare isterico. Mi gettai contro la ringhiera e guardai, offuscata dalle lacrime, la tromba a spirale delle sca­ le. Non so per quanto tempo rimasi li, ma sentii mia madre che veniva a stringermi e a consolarmi. Gli uomini della g e s t a p o si erano inteneriti e se n'erano andati».1’ Gary Himler era a casa a Vienna quando sentì bussare alla porta « e parecchi corpulenti soldati delle SA con le loro cami­ cie marroni si introdussero nel mio appartamento, e arresta­ rono me e mio padre ». Gary Himler era alto più di un metro e ottanta. « Mamma gridò loro che avevo soltanto tredici anni. Portarono via papà. » Nonostante la sua giovane età, anche Gary Himler fu portato via e condotto in un bagno pubblico. « Poi mi diedero un secchio d'acqua e uno straccio e mi disse­ ro di pulire gli orinatoi. Sebbene non avessi mai sentito parla­ re di Tom Sawyer, dissi ingenuamente all'uomo che non ave­ vo mai fatto quel lavoro, e non sapevo come si facesse, e mi chiedevo se mi avrebbe potuto mostrare come eseguirlo. Mi strappò di mano lo straccio e pulì un orinatoio, per insegnar­ mi come si facesse. Chiesi allora se per favore potesse farmi vedere di nuovo come si pulisse, così lui ne pulì un secondo, quindi io pulii gli altri due. Potei tornare al nostro apparta­ mento più tardi, quella sera. »16 Diversi giorno dopo, Gary Himler venne a sapere che il padre era stato deportato a Da­ chau. Kurt Füchsl, di sette anni, fu sconcertato dagli eventi della Notte dei cristalli, e dal fatto di dover andare via di casa con la sua famiglia alle prime ore del mattino, il 10 novembre. In seguito rievocò: « Ciò che accadde, secondo quanto racconta­ tomi da mamma, fu che un arredatore d'interni aveva scattato una fotografia del nostro bel soggiorno e aveva esposto quel­ l'immagine del nostro appartamento nella vetrina del suo ne­ gozio. Una certa signora Januba vide la foto e venne a sapere che eravamo ebrei. Venne a visitare l'alloggio e chiese se fosse in vendita. Le fu risposto che non lo era, ma pochi giorni più tardi, il mattino dopo la Notte dei cristalli, tornò con dei fun-

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zionari e disse: 'Questo appartamento adesso è mio'. Esibì un foglio di carta con una svastica e ci disse che avremmo dovuto andarcene entro le sei di quella sera ». La madre di Kurt Füchsl protestò dicendo ai funzionari che accompagnavano la signora Januba che aveva un bambino malato in casa, che stava già dormendo. « Va bene » le dissero, « ma deve uscire da qui entro le sei di domattina. » Il mattino seguente, ricordava ancora Kurt Füchsl, « quan­ do la signora Januba si fece vedere, mio padre le disse che stava rubando ciò per cui lui e mia madre avevano lavorato. La donna disse: 'La smetta di parlare in questo modo, o dovrò farla mandare in un campo di concentramento'. Avevo visto questa signora Januba la prima volta in cui era venuta a visi­ tare l'alloggio, e quando capii ciò che stava accadendo ora, mi scagliai contro di lei gridando: 'Ci ha mentito quando è stata qui l'altra volta. Lei è una donna cattiva!' Si spaventò di fronte a questa aggressione e disse: 'Fate uscire il bambino di qui!' E fu ciò che accadde. Mettemmo in valigia quello che riuscimmo a farci stare, lasciammo il resto, e ci trasferimmo da un viciA partire dall'annessione tedesca dell'Austria, otto mesi pri­ ma, ogni giorno c'erano lunghe file di ebrei fuori dei consolati esteri della città, che tentavano di ottenere visti di uscita dal paese. Il 10 novembre, queste file erano notevolmente più corte. Molti uomini che si erano messi in coda quel mattino furono portati via dalla polizia, in prigione o verso i campi di concentramento. Un quotidiano della sera londinese riferì: « Una gran folla che si riunì, sgomenta, di fronte al consolato inglese di Vienna nella speranza di ottenere un visto, fu arre­ stata in blocco e portata in carcere».18 Ebrei che attendevano in fila fuori dal consolato statunitense furono picchiati violen­ temente e anche arrestati, secondo «fonti affidabili».’9 Quel pomeriggio « era difficile » vedere un ebreo nelle stra­ de di Vienna. «Si disse che erano fuggiti nei boschi intorno alla città. »20 Alle diciassette fu trasmesso alla radio di Vienna

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l'ordine emanato da Goebbels per fermare le « dimostrazio­ ni ». La polizia e gli ufficiali del Partito nazista cominciarono immediatamente a mandare a casa i dimostranti, dopo di che, come riferì un inviato di un quotidiano inglese, « la situazione divenne un po' più tranquilla»/1 Poco prima della Notte dei cristalli, una giovane ebrea au­ striaca, Gertrude Reininger, i suoi genitori e sua sorella erano stati condotti via dalla loro casa di Neunkirchen, una cittadina di provincia. Da lì viaggiarono verso Vienna. In seguito, la donna ricordò: « Sedemmo nell'appartamento scuro e vuoto, sperando che chiunque fosse passato lo avrebbe ritenuto di­ sabitato. Mio padre si nascose nel bagno cieco al suo interno, anch'esso senza luce. Sapevo ben poco di quanto accadeva all'esterno, poiché non osavamo avvicinarci alle finestre. For­ tunatamente, nessuno si avvicinò al nostro appartamen­ to... »22 Gertrude Schneider è la storica che ha studiato le vicende degli ebrei d'Austria; all'epoca aveva dieci anni e abitava a Vienna. Ricordò più tardi che « quattro sa » marciarono nel ristorante kosher di sua nonna - ancora aperto ma, senza che gli intrusi ne fossero a conoscenza, già venduto a un membro del Partito nazista - e procedettero « in modo piuttosto meto­ dico a rompere ogni sedia, ogni tavolo, i piatti, l'espositore con i dolci e, naturalmente, la vetrinetta decorata. Strapparono anche il telefono ». La nonna di Gertrude Schneider, Bertha LeWinter, stava cuocendo del cibo sulla stufa nel retro del locale. Probabil­ mente perché stava ascoltando la radio non udì i rumori della distruzione in corso nel ristorante. Pertanto fu sorpresa nel vedere i quattro uomini « entrare e mettere a soqquadro » la cucina. Per prima cosa, secondo la testimonianza di Gertrude Schneider, «i criminali ruppero il moderno frigorifero che era stato installato soltanto due anni prima. Si estendeva su un'intera parete; ne strapparono le porte, i vassoi, spaccarono tutte le maniglie, e per finire buttarono il cibo che conteneva.

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Fecero a pezzi la radio, e quindi il loro capo, Alfred Slawik, che tutti noi conoscevamo da anni come un vero e proprio irresponsabile, versò dell'acqua sulla parte metallica della stu­ fa. Mentre il fuoco si spegneva, chiese alla nonna con malce­ lata contentezza se fosse soddisfatta. Sebbene mia nonna, so­ litamente imperturbabile, fosse profondamente scossa da quella insensata distruzione, rispose freddamente: 'Il ristoran­ te è stato venduto al membro del Partito Hans Maurer. È lui che potrebbe non sentirsi soddisfatto!' »23 Bertha LeWinter sopravvisse alla guerra. Dopo la Notte dei cristalli, fuggì con sua figlia in Belgio. Quando i tedeschi in­ vasero il Belgio, le donne scapparono in Francia. Là vennero condotte dalla milizia francese di Vichy al campo di concen­ tramento di Gurs, poco a nord dei Pirenei, gestito dal governo di Vichy. Da Gurs scapparono, attraversando i Pirenei, verso la Spagna e il Portogallo, e poi raggiungendo New York via mare il giorno dopo Pearl Harbor. Herbert Friedman non aveva ancora quattordici anni. Ri­ cordò come « il temuto colpo alla porta e il comando 'Aprite', urlato intorno alle ventuno del 9 novembre, ci spaventarono immensamente. Restammo completamente immobili quando udimmo tutto ciò». Tremando di paura, sua madre aprì la porta, ed entrarono due uomini delle sa in uniforme. « Chie­ sero di mio fratello, che allora aveva sedici anni. Dicemmo che non era in casa. Perquisirono l'appartamento e, non trovan­ dolo, decisero di portarmi con loro. Mia madre cominciò a piangere, implorando: 'È soltanto un ragazzino, non ha fatto nulla, per favore, per favore, non portatelo via'. Fui risparmia­ to dal commento di uno dei soldati delle s a , quando affermò: 'Non è lui'. Gli uomini dissero che sarebbero tornati più tardi per cercare mio fratello e se ne andarono. Mia madre allora mi chiese di precipitarmi in strada (vivevamo al quarto piano) per fermare mio fratello prima che arrivasse a casa e dirgli di non tornarvi, ma di restare da un amico. » La madre lo pregò anche « di avvisare mio zio, che era un cittadino polacco e aveva un negozio di dolciumi, di non an-

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dare a casa, ma di restare con la suocera. Le sa si recarono a casa di quest'ultima, cercandolo. Lui si nascose sotto il tavolo della cucina, su cui c'era una lunga tovaglia. 1 nazisti perqui­ sirono tutto l'appartamento ma non guardarono mai là sotto, colpirono anche il tavolo della cucina mentre lo zio vi era steso sotto e chiesero che sua suocera lo denunciasse se si fosse fatto vedere ». Il mattino seguente Herbert Friedman decise di andare al­ l'Ufficio palestinese per verificare a che punto fosse la sua domanda di emigrazione. «Appena uscii in strada vidi una gran folla che rideva e lanciava insulti di fronte al negozio di articoli per camere da letto del signor Springer, vicino a casa nostra. In un primo momento non mi resi conto di ciò che stava accadendo, ma poi vidi un grosso camion e soldati delle sa che saccheggiavano dal negozio materassi, coperte, lenzuo­ la e altro ancora. La polizia presenziava, ma non faceva nulla. Il proprietario, il signor Springer, stava semplicemente là a guardare, spaventato e tremante. » Quando il negozio fu svuotato e il camion fu sul punto di partire. Springer si avvicinò al capo delle sa e chiese una ricevuta. « L'uomo delle sa si volse ridendo verso la folla e gridò: 'L'ebreo vuole una ricevuta!' Quindi afferrò il signor Springer, lo girò e gli diede un calcio nel didietro che lo fece finire steso scompostamente sul marciapiede. Poi, mentre tut­ ta la gente applaudiva e rideva, disse: 'Ecco, ebreo, questa è la tua ricevuta!' » Quando il camion si allontanò, la folla si disperse e Herbert Friedman proseguì per l'Ufficio palestinese. «C'era già una gran folla di uomini e donne che attendevano di parlare con qualcuno a proposito della loro condizione. AH'improvviso comparvero degli uomini delle ss nelle loro uniformi nere e ordinarono che gli uomini si mettessero da una parte, e le donne e i bambini dall'altra. Tutti gli uomini furono arrestati e portati via. Noi altri fummo trattenuti per circa due ore e poi lasciati andare. » Quando alla fine Herbert Friedman lasciò l'Ufficio palesti-

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nese, altri ebrei vi si stavano dirigendo. « Mi fermai sul bordo del marciapiede e, girando la testa per non parlar loro diret­ tamente, dissi: 'Non entrate, g e s t a p o '. Alcuni mi chiesero di ripetere ciò che avevo detto, quindi si allontanarono. Non mi ero reso conto che un membro delle ss era in piedi dietro la porta, parecchi gradini più su, e mi osservava. Mi gridò di tornare indietro, poi volle sapere cosa stessi raccontando a quegli uomini. Risposi: 'Stavo solo dicendo loro che sono stato qui per tre ore e sono appena uscito'. Replicò: 'È una bugia', poi mi colpì in volto e mi gettò dalle scale. Mi tirai su a fatica e corsi a casa il più velocemente possibile. »24 Anche la tredicenne Ilse Morgenstern fu testimone degli eventi della Notte dei cristalli a Vienna. Fu, come scrisse lei stessa, « la notte in cui sentii l'odore del fumo che proveniva dalla vicina sinagoga che stava bruciando». Aggiunse: «La popolazione locale ci mise solo ventiquattr'ore a devastare tutte le attività commerciali degli ebrei. Dalle vetrine di un grande magazzino di proprietà ebraica nei pressi di casa mia vidi gettare della merce, che gli abitanti della città si portarono a casa su grandi carri. Nell'estate del 1938, la polizia segreta tedesca era entrata nella tipografia di mio padre e gli aveva ordinato di uscirne immediatamente. Gli uomini avevano confiscato la sua attività e avevano iniziato a utilizzarla come quartier generale del Partito nazista: ora vi sventolavano le bandiere con la svastica ». Ilse Morgenstern ricordò anche «lo spaventoso episodio durante il quale il mio fratello maggiore, che temeva di essere arrestato, fu fatto uscire dal nostro appartamento dai miei genitori [...] Camminò con grande attenzione per le strade, nascondendosi ove possibile ogni volta che vedeva avvicinar­ si uomini delle ss. Ebbe la fortuna di non essere catturato quella sera ». Altri componenti della sua famiglia furono me­ no fortunati. « Mi è rimasto impresso » scrisse, « che parecchi dei miei cugini furono arrestati e condotti in un luogo pub­ blico. Di là, furono inviati a Dachau. Non tornarono mai più. » La donna ricordò anche « il momento orribile in cui un nazista

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che viveva nel nostro palazzo venne nell'alloggio dei miei genitori e ci disse di andarcene entro cinque minuti e di tra­ sferirci presso un'altra famiglia ebraica. In seguito, mio padre chiese il permesso di ritornarvi e prendere altri effetti perso­ nali. Glielo accordarono, e quando ritornammo al nostro ap­ partamento stavolta c'erano tre uomini che erano venuti a sorvegliare quello che avremmo preso. Immaginatevi, non potevamo nemmeno scegliere cosa prendere delle nostre co­ se! » Gli uomini avevano condotto con loro una donna « a cui avevano promesso il mio nuovo pianoforte. Non rendendomi conto della pericolosità della situazione, suonai una volta an­ cora un valzer viennese che avevo appena imparato. Quando cominciarono a spostare il piano, emisi un forte grido, a cui la donna replicò urlando: 'Non voglio più quello strumento'. I miei genitori riuscirono a regalarlo a una famiglia non ebrea che era stata solidale nei nostri confronti ». In seguito, Ilse Morgenstern scrisse: « Fu solo due settimane dopo tali avvenimenti che i miei genitori riuscirono a man­ darmi presso un cugino in Olanda, che trovò una famiglia adottiva che mi accolse». Dopo l'occupazione dell'Olanda da parte della Germania, nel maggio del 1940, « ricevetti ordi­ ne da parte delle autorità tedesche di recarmi immediatamen­ te in un campo di concentramento in Germania. Invece, ebbi la buona sorte di trovare persone coraggiose che mi fecero na­ scondere e mi salvarono la vita. Fu estremamente pericoloso e fui davvero fortunata a non essere tradita. Rimasi nascosta da questi soccorritori di fede cristiana per tre anni, fino alla fine della guerra, nel maggio del 1945». I genitori di lise «non riuscirono a emigrare da nessuna parte e morirono in un cam­ po di sterminio in Polonia. Sono l'unica superstite della mia famiglia, oltre a mio fratello »,25 Il 10 novembre a Vienna furono arrestati in tutto diecimila uomini ebrei. Seimila furono rilasciati al calar della sera, ma i restanti quattromila furono portati a Dachau sotto scorta ar­ mata. Le testimonianze attestano che il 10 novembre a Vienna

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trenta ebrei si tolsero la vita. Si disse che sessanta avessero tentato il suicidio. L'inviato speciale della British United Press riferiva: « Entro mezzanotte tutti gli ebrei di Vienna passeran­ no l'ispezione o presso una stazione di polizia o a casa loro, da parte di poliziotti o truppe d'assalto».26 Per gli ebrei di Vienna la Notte dei cristalli rappresentò una svolta decisiva, un punto di non ritorno. Note 1 Br o m a S onn enschein (nome da nubile: Schwebel ), lettera all'auto­ re, 29 giugno 2005. 2 F elix S eiler, lettera all'autore, 6 giugno 2005. 3 H e l g a M i l b e r g , memorie inviate all'autore, 10 luglio 2005. 4 A rthur F reud , Guardando indietro, manoscritto. 5 R uth M o r l e y (nome da nubile: B i r n h o l z ) , memorie: dall'intervista

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condotta dalla figlia Melissa Hacker per il suo film My Knees were Jumping: Remembering The Kindertransports, Bee's Knees Productions, New York, 1995. S u s a n B en Y o s e f (nome da nubile: S u s a n n e H a t s c h e k ), lettera al­ l'autore, 5 giugno 2005. L u c y M a n d e l s t a m (nome da nubile: L u c ie D r a s c h l e r ) , memorie manoscritte. Allegate a una lettera all'autore, 3 giugno 2005. F r ed G a r f u n k e l , conversazione con l'autore, 21 agosto 2005. «Vienna Synagogues Blown up». The Times, 11 novembre 1938. « Bombs Used to Set Synagogues on Fire », Daily Herald, 11 novembre 1938. «Anti-Jews Riots Raging», Evening News, 10 novembre 1938. « All Vienna's Synagogues Attacked... », New York Times, 11 novembre 1939. «G oods Seized», Daily Herald, 11 novem bre 1938.

13 14 F elix R inde , lettera all'autore, 27 giugno 2005. 15 H a n s W a i z n f r , lettera all'autore, 5 giugno 2005. 16 G ary H imler , lettera all'autore, 4 luglio 2005.

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memorie, in M a r k J o n a t h a n H a r r i s , the Arms of Strangers: Stories of Kinder­ transports, p. 67 (documentario uscito in Italia con il titolo La fuga degli angeli, 2000). 18 «Jews Flee into Vienna Woods», Evening Standard, 10 novembre 1938. 19 « Thousands of Jews Arrested », The Times, 11 novembre 1938. 20 «Jews Flee into Vienna Woods», Evening Standard, 10 novembre 1938. K u r t F u c h e l ( K u r t F ü c h s l), D e b o r a h O p p e n h e im e r , Into

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21 « Explosions, Fires, Panics», News Chronicle, 11 novembre 1938. 22 G e r t r u d e B ib r in g (nome da nubile: R e in in g e r ), lettera alTautore, 17 giugno 2005. 23 G e r t r u d e S c h n e id e r , Exile and Destruction: The Fate of Austrian Jews, 1938-1945, p. 31. 24 H erbert F r ie d m a n , le tte ra a ll'a u to re , 8 a g o sto 2005. 25 I lse L o e b (nome da nubile: M o r g e n s t e r n ), lettera all'autore, 11 lu­ glio 2005. 26 « Bombs Used to Set Synagogues Afire », Daily Herald, 11 novembre 1938.

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Nelle prime ore del 10 novembre le ripercussioni dell'assassi­ nio di vom Rath si fecero sentire in un migliaio di città, citta­ dine e paesi della Germania. Un inviato del Times a Monaco raccontò che i negozi ebrei erano stati attaccati « da folle isti­ gate dalle camicie marroni, la maggior parte delle quali sem­ bravano far parte dei veterani del putsch che hanno marciato ieri a Monaco. Le porte dei negozi sono state forzate, le vetrine infrante e i magazzini devastati o saccheggiati. Il corpo dei pompieri e la polizia sono giunti sul posto dopo che tutti i negozi di proprietà ebraica erano stati presi d'assalto, e hanno disperso i rivoltosi».1 Il Times riportò che durante la mattinata giunsero grandi folle nelle strade per osservare i danni. «Sembrava che la Kaufinger Strasse, una delle vie principali, fosse stata deva­ stata da un bombardamento aereo. Una mezza dozzina dei negozi più alla moda della strada era stata ridotta in macerie nel corso della notte, con le vetrate che giacevano in frantumi sui marciapiedi, scaffali rovesciati, e gli articoli rotti o calpe­ stati sul pavimento. » Dalle informazioni che si riuscivano a raccogliere, « ogni negozio ebreo nella città era parzialmente o completamente distrutto ».2 Inge Engelhard aveva otto anni. Tempo dopo ricordava: «La mia famiglia viveva nella parte posteriore di un condo­ minio, vicino al Deutsches Museum di Monaco, e pertanto non seppi nulla degli avvenimenti della notte quasi fino al momento in cui io e mio fratello raggiungemmo la scuola. Era una mattinata fredda e grigia, quando un ragazzo più

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grande di noi, uno di quelli che ci tormentavano di solito, ci passò accanto saltellando e disse: 'Faresti meglio ad andare a casa, povero Joseph', e per una volta non ci diede fastidio. Io e mio fratello ne fummo sorpresi, ma quando ci avvicinammo alla scuola, che era proprio accanto a una delle sinagoghe, vedemmo una folla che osservava le fiamme divorare la sina­ goga stessa. In qualche modo ci rendemmo conto che quello non era destinato a essere un normale giorno di scuola, e tagliammo la corda. Ci recammo al negozio dei nostri genitori. Loro gestivano l'unica lavanderia ebraica di Monaco, che per ironia della sorte faceva ottimi affari, poiché gli ebrei poteva­ no soltanto essere clienti di attività gestite da ebrei, quindi noi tenevamo pulita tutta la popolazione ebraica di Monaco ». Quando i ragazzi arrivarono alla lavanderia, «c'erano due grossi nazisti che stavano dicendo ai miei genitori che avreb­ bero dovuto chiudere tutto, ma avrebbero permesso loro di consegnare i capi che si trovavano ancora in negozio. Uno dei nazisti si comportava più umanamente del secondo, e proba­ bilmente era più anziano, perché disse all'altro di recarsi al posto successivo indicato sulla lista e frattanto diceva a mio padre che quando tutto quanto fosse stato portato ai clienti, avrebbe dovuto consegnare le chiavi. La nostra lavanderia non fu saccheggiata né ne furono infrante le vetrine - non c'era davvero nulla da rubare, e i negozi vicini erano sempre stati in buoni rapporti con i miei genitori. Così stavano le cose: la fine dell'attività dei miei, dei loro mezzi di sussistenza, e un futuro tremendamente incerto. Andammo tutti a casa, e ven­ nero dei parenti a raccontare le cose orribili che avevano su­ bito ».} Bertha Engelhard, sorella maggiore di Inge, ricordò un al­ tro triste particolare della giornata: « Papà venne a casa con il volto terreo, poiché uno dei clienti da cui era andato a conse­ gnare la biancheria si era suicidato, insieme con sua moglie ».4 A Monaco il 10 novembre furono arrestati cinquecento ebrei. Durante il giorno fu annunciato che tutti gli ebrei pre­ senti in città avevano quarantott'ore per lasciare la Germania.

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Alcuni cercarono di allontanarsi dalla città alla guida della loro macchina, ma i distributori rifiutarono di rifornirli di benzina. Il confine svizzero distava circa centosessanta chilo­ metri, tuttavia la g e s t a p o requisì molti passaporti, così che i consolati stranieri della città non furono in grado di emettere i permessi di soggiorno. Quando venne loro chiesto dove si potesse andare senza passaporti, gli uomini della g e s t a p o replicarono, secondo quanto riferito da un giornalista inglese che si trovava nella città: « Be', alla frontiera vi dovranno spa­ rare».5 Molti titolari di drogherie e panetterie affissero dei cartelli sulle vetrine dei loro negozi annunciando che non avrebbero venduto cibo agli ebrei. Quel giorno, fra gli ebrei presenti a Monaco c'era Emil Kraemer, socio della più grande banca ebraica rimasta in Ger­ mania. Quando le vetrate della banca vennero infrante e i nazisti assunsero il controllo dell'edificio, Kraemer si suicidò gettandosi dalla finestra del suo appartamento. O così fu ri­ ferito dai media nazisti. Nel giro di pochi giorni, rinviato di un quotidiano inglese da Berlino scrisse che negli ambienti bancari tedeschi ci si stava chiedendo come Kraemer fosse riuscito a togliersi la vita buttandosi da una finestra, dato che « l'anziano banchiere era paralizzato da due anni e poteva camminare a malapena con l'aiuto di due bastoni ».6 Nello stesso giorno si ebbe notizia di una buona azione da Monaco. L'arcivescovo cattolico della città, il cardinale Mi­ chael von Faulhaber, procurò un camion al rabbino della co­ munità ebraica, il dottor Leo Baerwald, per mettere in salvo oggetti religiosi dalla sinagoga Ohel Yaakov prima che fosse abbattuta.7 Renée Inow era una bambina in età scolare, a Wuppertal. Ricordò di aver raggiunto la scuola e che gli altri bambini le dissero: « Le vostre sinagoghe stanno bruciando ».8 Entrambe le sinagoghe di Wuppertal furono incendiate quel giorno; una risaliva al 1865, l'altra al 1897. 11 tredicenne Gerhard Maschkowski viveva nella città di

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Elbing, nella Prussia orientale. Suo padre, che aveva prestato servizio nell'esercito tedesco durante la Prima guerra mondia­ le, era divenuto cieco in seguito a un'azione di guerra. Suo figlio lo condusse in città il 10 novembre. Tempo dopo, Ger­ hard Maschkowski scrisse: « Avevo visto del fumo che prove­ niva dalla zona della sinagoga, e camminammo in quella di­ rezione. Tutto l'edificio era ancora avvolto dal fumo e il mio tallcth [scialle da preghiera] e i libri e altri oggetti religiosi che mi appartenevano, erano tutti bruciati. Fu una vista sconvol­ gente, e i tedeschi acclamavano esultanti ».9 Marianne David aveva quindici anni e frequentava un col­ legio a Bad Kreuznach, a oltre quattrocentottanta chilometri dalla sua casa ad Amburgo. Sessantanni più tardi, descrisse « quella notte tremenda » in modo ancora vivido. « A notte fonda fui svegliata da grida e colpi alla porta, poi alcuni uo­ mini in divisa nazista irruppero nella mia camera urlando: 'Via, via!' Sul tavolo c'era il mio nuovo flauto dolce contralto, di cui andavo molto fiera, poiché fino ad allora avevo avuto soltanto un flauto soprano. Uno degli uomini lo prese e lo ruppe sbattendolo contro il bordo del tavolo. Mi vestii e uscii, dove tutti si stavano radunando in un gruppo spaventato. La direttrice era là, cercando di mantenere tutti calmi. I nazisti stavano portando oggetti, libri e altre cose fuori dall'edificio, ammucchiandoli uno sull'altro per dar loro fuoco [...] quando uscii dalla mia camera sul lungo corridoio, una ss lo percor­ reva con una mazza, spaccando sistematicamente il vetro del­ le belle foto dei bimbi sul muro. Pur spaventata com'ero, ri­ masi tuttavia colpita da come un'azione simile non avesse alcun senso. » Marianne David prese il treno per tornare a casa ad Am­ burgo, un viaggio di sette ore. « Come arrivai alla stazione, o a casa dalla stazione di Amburgo, rimane per me un mistero » scrisse tempo dopo. « Naturalmente, durante tutto questo tempo non avevo la minima idea che ciò che mi era capitato quella notte fosse accaduto dappertutto in Germania. Pensai che si trattasse solo di un altro incidente isolato. Ma quando

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finalmente arrivai a casa, contenta di avercela fatta, mi aspet­ tava uno choc: mio padre era stato portato via, come quasi tutti gli altri maschi ebrei che erano rimasti in città. In seguito, si venne a sapere che erano stati deportati nel campo di con­ centramento di Sachsenhausen. »I0 Anche Edgar Gold, che aveva quattro anni, quel giorno si trovava ad Amburgo. «L'attività di mio padre fu presa di mira e tutte le vetrine furono spaccate » ricordò anni dopo, « ma casa nostra, che si trovava accanto al negozio, aveva solo le finestre imbrattate di orribili slogan e stelle di Davide. Ri­ cordo il rumore e che ero spaventato, e che mio padre era abbastanza calmo. Stranamente, circa una settimana dopo l'at­ tività di mio padre fu confiscata e, per aggiungere il danno alla beffa, dovette risarcire il nuovo 'proprietario' per le ve­ trine infrante! » Josef Gold possedeva una piccola, ma redditizia e ben nota cioccolateria artigianale. La fabbrica continuò a funzionare sotto la gestione del tedesco che la confiscò fino al luglio del 1943, quando fu distrutta durante un'incursione aerea degli Alleati.11 Il console generale inglese, L.M. Robinson, assistette agli avvenimenti verificatisi ad Amburgo. Riferì all'ambasciata britannica di Berlino che nelle prime ore del mattino del 10 novembre furono condotti assalti a grandi negozi ebraici nelle strade principali della città. «Furono demolite le vetrate di due imprese di tendaggi, un elegante negozio di confezioni per signore e signori e un negozio di foto e ottica, e ciò che contenevano venne disseminato sui marciapiedi. » Nel pome­ riggio « circa sessanta ragazzini in età scolare presero a sassate le porte in vetro di una sinagoga, sopra la testa di un poliziotto e alla presenza di circa duecento persone ».12Dieci delle sedici sinagoghe di Amburgo furono bruciate o distrutte il 10 no­ vembre, fra cui anche la bicentenaria sinagoga nel sobborgo di Altona e la sinagoga di Oberstrasse, terminata soltanto sei anni prima. Adina Koor stava andando a scuola ad Amburgo quel gior-

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no. Tempo dopo, scrisse: « All'estremità opposta della strada in cui abitavo sorgeva la sinagoga liberale, un edificio impo­ nente. Al mattino, andando a scuola, vidi dense nuvole di fumo che uscivano dalla sua cupola. Uomini con indosso l'uniforme nazista pattugliavano le strade. Non andai a scuola, ma tomai a casa. Sul lato opposto della via rispetto a dove abitavo c'erano due magazzini, entrambi di proprietà ebrea. Era mattina presto e le saracinesche erano ancora abbassate sulle vetrine. Alle otto in punto arrivarono i proprietari, sol­ levarono le saracinesche e aprirono le porte. Non appena i negozi furono aperti, giunse un camion con degli uomini in divisa nazista, che saltarono giù e iniziarono a demolire le vetrine e i negozi. La maggior parte del loro contenuto fu gettata in strada. I proprietari di entrambe le attività furono fatti allontanare a passo di marcia. Quel giorno, tutti gli uo­ mini ebrei furono condotti al campo di concentramento. Le ceneri di coloro che furono cosi sventurati da morire durante il soggiorno laggiù furono inviate alle loro famiglie. Io rice­ vetti un messaggio che informava che la mia scuola per il momento era chiusa. La maggior parte degli insegnanti fu portata al campo di concentramento».15 Mentre le camicie marroni passavano al setaccio le strade di Amburgo in cerca di ebrei da arrestare, Carmen de Carval­ ho, moglie del viceconsole brasiliano della città, offrì rifugio a un medico ebreo, Hugo Levy, nascondendolo nel consolato. Quando le violenze si calmarono, accompagnò l'uomo a casa. Nel giro di due settimane ottenne i documenti per respatrio in Brasile per il dottore e per sua moglie Maria Margarethe, e il 24 novembre li portò in auto agli imbarchi di Amburgo, sulla nave che li avrebbe portati in Brasile. Li protesse durante il percorso in città utilizzando l'auto consolare del marito e sventolando la bandiera brasiliana.14 All'epoca della Note dei cristalli Vera Dahl aveva diciassette anni. Quel giorno si trovava ad Aquisgrana, dove il padre l'aveva portata per un appuntamento all'ospedale: « Andam-

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mo con il tram - passammo accanto a diversi negozi ebrei lungo il percorso, alcuni danneggiati molto seriamente, con tutte le vetrine rotte e infrante, vetri dappertutto [...] Mentre stavamo passando, i negozi venivano saccheggiati. Ero pietri­ ficata... » All'ospedale « nessuno disse niente, se non la data in cui avrei dovuto ritornare ». Tornando indietro a piedi, passa­ rono vicino a un caffè ebraico dove tutto era «spaccato in modo terribilmente brutale e la gente fuori stava mangiando torte alla crema rubate ». Anche prima che riuscissero a vedere la sinagoga. Vera Dahl e suo padre poterono sentirne l'odore di bruciato. La sinagoga era in macerie. Era stata ristrutturata due anni pri­ ma, quando vi erano state installate nuove vetrate. Durante la cerimonia della nuova inaugurazione, cantanti dell'opera lo­ cale non ebrei avevano fatto parte del coro. Quella notte, il padre di Vera lasciò la città.15 Un anonimo testimone della Notte dei cristalli a Bonn scrisse al leader del Partito laburista inglese, Clement Attlee: «Sotto la direzione di quei mascalzoni delle ss ecco arrivare camion carichi di folle naziste, che distruggevano tutto secondo quan­ to indicavano le liste che avevano con loro ». Dopo che un negozio era stato devastato, «risalivano sul camion e ne di­ struggevano un altro, seguendo il loro elenco ». Per rimuovere i cocci infranti del più bel negozio di porcellane della città furono necessari due carri municipali della spazzatura, cia­ scuno corrispondente a un camion da tre tonnellate.16 La Notte dei cristalli rappresentò per gli ebrei di Colonia una sofferenza, come per gli ebrei di ogni città tedesca. Un resoconto pubblicato a Londra il giorno successivo riportò come « le vetrine di negozi ebraici [fossero] infrante e ciò che contenevano sparso ovunque. Ci fu un'irruzione in una sinagoga. Le sedie [furono] fatte a pezzi e i paramenti religiosi gettati sulle strade».]/ «Sentimmo i camion dei vigili del fuo­ co passare dirigendosi verso la sinagoga Bonner, per proteg­ gere le abitazioni vicine dall'incendio appiccato» ricordò

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Hans Biglajzer, che all'epoca aveva dieci anni. « Da casa no­ stra potevamo veder salire il fumo. » Questo accadde al mat­ tino. « I devastatori arrivarono a mezzogiorno per rompere le vetrine dell'edificio vicino, una macelleria, di proprietà della famiglia Levy.»18 1110 novembre Rita Braumann compiva dodici anni. Tem­ po dopo scrisse: « A notte fonda suonò il telefono. Era il signor Westhoven, che disse a mio padre: 'Braumann, andate via dalla città, andate a Ruhrberg, sapete dove sono nascoste le chiavi per entrare in casa. È stato appiccato il fuoco alla sina­ goga e alla scuola ebraica, stanno distruggendo le case degli ebrei e arrestando gli uomini'. Ma noi non ci muovemmo. Mio padre, di solito pessimista, era pieno di fiducia, convinto che non ci sarebbe accaduto nulla perché lui aveva combattuto al fronte durante la guerra e aveva perfino ricevuto delle meda­ glie ». Quel mattino, Rita Braumann non andò a scuola. « La mia amica del cuore Helga, che viveva lì vicino, venne ad augu­ rarmi buon compleanno e si trovava ancora a casa nostra quando suonò il campanello, alle dieci e trenta. Mio padre, che nel frattempo aveva appeso tutte le medaglie ricevute in tempo di guerra al bavero della giacca, aprì la porta d'ingres­ so. Vi si trovavano parecchi s a , che chiesero educatamente: 'E lei Braumann, questa casa è di sua proprietà e questa è la sua famiglia?' Quando venne spiegato loro che Helga era mia amica, si girarono verso questa ragazzina bionda e con gli occhi azzurri e dissero: 'Du bist doch kein Judenkmd?’ (Non puoi essere ebrea anche tu!). Quando lei fece di sì con la testa, gridarono: ‘Mach dass du nach Hause kommst!' (Tornatene a casa!). Scoppiò in lacrime e corse via. A noi dissero educatamente: 'Salite nelle vostre camere da letto e Gruss aus Paris' (saluti da Parigi) ». A Parigi era stato assassinato vom Rath. Brutti rumori giungevano dal piano inferiore. «Quindi udimmo il fracasso della sistematica distruzione di tutto il nostro mobilio con arnesi che dovevano aver portato su dalla cantina, visto che non avevano portato nulla con loro quando

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erano arrivati. Il rumore era terrificante. Uscimmo sul balco­ ne, i vicini erano sui loro balconi e volevano sapere cosa stesse accadendo, ma noi eravamo troppo spaventati per rispondere. Finalmente, ci fu silenzio. La vista che ci aspettava al piano di sotto era incredibile. Tutto era stato demolito. Era pericoloso camminare ovunque a causa dei vetri in frantumi. Bottiglie di vino erano state versate sui tappeti persiani, confettura fatta in casa era stata rovesciata ovunque, creando un pasticcio appic­ cicoso. Dipinti di valore erano stati squarciati con un'ascia o dei coltelli. All'improvviso, il telefono squillò. Quando alla fine individuammo il ricevitore, sentimmo che era la mamma di uno dei miei compagni di scuola, che voleva sapere se la mia festa di compleanno, in programma per quel pomeriggio, avrebbe avuto ancora luogo! In tutte quelle macerie si staglia­ va la mia bici col cambio a tre velocità, solo lievemente dan­ neggiata, ma che non avrei mai usato. »19 La quattordicenne Esther Ascher viveva nella città di Breslau, in Slesia. La sua era una famiglia di ebrei polacchi che era scampata agli arresti del 18 ottobre grazie a una soffiata da parte del padre di un'amica, che costituiva il tramite ebreo fra la comunità ebraica e la g e s t a p o . Esther scrisse in seguito: « La sera del 9 novembre 1938 non fu diversa da qualsiasi altra. I miei due fratelli maggiori stavano leggendo, io e mio fratello più piccolo sedevamo lì intorno e parlavamo. Andam­ mo a dormire alle ventidue e trenta circa. Improvvisamente fummo svegliati dal suono di vetri rotti e forti grida. Ci de­ stammo tutti quanti, non sapendo da cosa dipendesse quel baccano. Ci rannicchiammo vicino alle finestre, e alla fine osammo aprire i tendoni per guardare giù. Sotto di noi ve­ demmo gente che infilava pali di legno nelle vetrine di un magazzino ebreo, sentimmo urlare, e vedemmo persone get­ tarsi nelle vetrine mentre cominciava il saccheggio ». Subito la famiglia pensò istintivamente a nascondersi. «Ci ritirammo velocemente nella stanza, scuotendo il capo, ten­ tando di capire il significato di ciò a cui stavamo assistendo.

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Nostra madre non aveva solo paura di quanto ci sarebbe ac­ caduto; era anche una donna d'azione. Diede a ciascuno di noi venti marchi, che non era una gran quantità di denaro, ma suppongo che fosse tutto ciò che aveva. Ci disse di tener stretti quei soldi nel caso in cui fossimo stati divisi. Dopo alcune ore, una calma relativa tornò nella via. Parlammo tranquillamente tra noi mentre attendevamo l'alba. I tanti ragionamenti non ci portarono ad alcuna conclusione sul significato della rottura delle vetrine. » Esther Ascher ricordò: « Devo ammettere che io, ragazzina quattordicenne, nonostante fossi ben conscia che ciò che acca­ deva poteva solo voler dire una catastrofe perpetrata ai danni degli ebrei, fantasticai su cosa sarei stata in grado di fare con queirimprovviso premio di venti marchi. Avrei potuto acqui­ stare la maglia che avevo sempre desiderato? Non ci fu molto tempo per sognare a occhi aperti. Il telefono cominciò a squil­ lare...» Erano familiari di Esther Ascher e amici. «Ciascuno chia­ mava freneticamente nella speranza di ottenere una risposta. Un certo numero di volte suonarono alla porta; arrivarono amici di mio fratello maggiore per chiedere se potevano stare da noi, dato che pareva che quest'azione fosse diretta princi­ palmente contro gli ebrei tedeschi. Li accogliemmo volentieri, specialmente perché ricordavamo che soltanto una settimana prima stavamo cercando rifugio presso una famiglia di ebrei tedeschi, oltre che al consolato polacco. » Di tutta la sua famiglia, Esther era l'unica «che non sem­ brava ebrea, in realtà ero sempre stata chiamata 'Shicksel': un termine yiddish per indicare una ragazza non ebrea. Pertanto fu presa la decisione che io uscissi in strada per capire quello che era accaduto alle attività commerciali di proprietà ebraica, in particolare a quella di mio zio, e per cercare di scoprire il più possibile. Non avevo particolarmente paura, dal momento che spesso, quando ero con mio fratello minore e i ragazzini gli gridavano: 'Sporco ebreo, vai in Palestina' e tentavano di picchiarlo, io correvo dietro a loro. E cosi, consapevole di non

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sembrare ebrea, lasciai l'ambito protetto del nostro condomi­ nio ». Fu un'avventura notevole. « Le strade erano deserte, a ec­ cezione di uomini delle ss che marciavano con un ebreo fra loro. Capii che questa gente sfortunata si stava dirigendo ver­ so un campo di concentramento. Nei pressi si trovava un grandissimo complesso ebraico: una sinagoga riformata e una scuola. Si potevano vedere le porte aperte, i libri sparpa­ gliati. La sinagoga Storch che frequentavo io era troppo lon­ tana e in un'altra direzione. Assistetti alla sua distruzione solo alcuni giorni dopo. 1 miei genitori frequentavano uno Stiebel » - una casa di preghiera - «che a quell'epoca fu risparmiata, dato che era situata dietro a un condominio. » C'erano molte cose di cui restare sconvolti. « Molte facciate dei negozi erano state ridotte in macerie, ed era chiaro che erano tutti negozi ebraici. Mio zio vendeva piume per cuscini e piumini. Vicino al suo negozio se ne trovava uno di liquori, di proprietà ebraica. Mentre mi avvicinavo, vidi piume che roteavano in aria, piume incollate alla strada dove si erano mescolate con il vino che scorreva dal negozio di bevande alcoliche. Bottiglie rotte erano sparse tutt'intomo; si poteva immaginare che i vini migliori fossero stati rubati, mentre alcune bottiglie si fossero rotte intanto che il negozio veniva distrutto. Dopo quell'esperienza ne avevo abbastanza, e mi girai per ritornare a casa. Il quadro era lo stesso: uomini delle ss alla guida di ebrei che li seguivano come vittime innocenti. Il mio umore cambiò, dalla sensazione di vivere un'avventura passò alla depressione. Cominciai a rendermi conto della dura realtà di quello che era accaduto e di quanto sarebbe potuto ancora accadere. Quando raggiunsi il nostro appartamento, la mia famiglia era venuta a sapere la ragione dell'attacco agli ebrei e alle loro proprietà. Da quel momento in poi, per me la vita cambiò. Non avevo che uno scopo: lasciare la Germa­ nia... »20 A Breslau viveva Lutz VVachsner, socio di un'industria tes­ sile, con la sua famiglia. Quella notte, come ricordò il figlio

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diciannovenne Frank, « [se la cavarono] tutti senza alcun pro­ blema ». Ma il padre era già stato avvertito dalla polizia locale che sarebbe successo qualcosa e, deciso che « [dovessero] par­ tire tutti il più presto possibile», cominciò a pianificare la loro emigrazione.'1 A Siegburg, dove la sinagoga fu distrutta e i negozi ebrei assaltati, Fred Gottlieb, che allora aveva nove anni, ricordò che « i nazisti si spostavano su auto scoperte, portando lunghi pali e rompendo le vetrine». Quando un poliziotto si intro­ dusse in casa sua, cercando tutti gli uomini di età compresa fra i sedici e i sessantanni per portarli ai campi di concentra­ mento, vi trovò un giovane vicino. L'interrogatorio fu di breve durata. «Quanti anni hai?» «Sedici.» Il ragazzo fu portato via.22 Dopo che a Korbach fu distrutta la sinagoga, il rabbino, Moritz Goldwein, e sua moglie Rosa riuscirono a mandare negli Stati Uniti il figlio Manfred. Loro, però, non ce la fecero a partire, e tempo dopo morirono ad Auschwitz. In seguito alla distruzione della sinagoga di Eschwege, ri­ salente a un secolo prima, una folla saccheggiò e devastò le proprietà ebraiche nella città. Dopo che vennero fatti sfilare lungo la strada principale, tutti gli uomini ebrei vennero de­ portati al campo di concentramento. Quella notte a Brema si sparò a cinque ebrei, fra cui una donna anziana, Selma Zwienicki.2’ Elsa Blatt, che abitava a Magonza, avrebbe compiuto di­ ciannove anni il mese successivo. In seguito scrisse: « Ci sve­ gliammo per dei forti rumori nelle strade e ci rendemmo conto che fuori c'era gente che strepitava e urlava ». Quindi, durante la giornata, suonò alla porta un componente di una famiglia non ebrea che la famiglia di Elsa conosceva bene. «Stava lì in piedi, chiedendo le chiavi della nostra attività. Pensammo sì che fosse una richiesta strana, ma non avevamo idea di ciò che stava accadendo. [...] era sempre stata una famiglia rispetta­ bile ed era in buoni rapporti con noi. Gli demmo le chiavi. Pare che avesse stampato grandi insegne con su scritto 'Atti-

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vita gestita da ariani' e le avesse affisse sia sopra le due porte d'entrata sia sulle cinque vetrine del negozio. » Il campanello suonò di nuovo, e questa volta si trattava della g e s t a p o , che portò via suo padre. «Soltanto molto tempo dopo scoprimmo che era stato portato a Buchenwald. »2A Nella Notte dei cristalli, il ventiduenne Walter Loeb si tro­ vava a Karlsruhe. Suo padre presiedeva la sinagoga. Da una vecchia pietra tombale del cimitero, la sua famiglia aveva scoperto la presenza del loro nome nella città fin dal 1696. Walter in seguito commentò: « Certo non eravamo gli ultimi arrivati. Avevamo vissuto in pace in mezzo ai nostri vicini tedeschi, con cui avevamo buoni rapporti. Mio padre era un cittadino rispettato, poiché aveva aiutato vedove di guerra a ottenere le pensioni e gente ebrea per quanto riguardava le formalità di emigrazione ». Il mattino del 10 novembre, Walter Loeb si trovava sulla strada principale «dove si era radunata una folla, quando individuai un uomo con la barba che riconobbi come il nostro gabbai, l'assistente del rabbino. A quanto pare, quando gli lanciai un'occhiata amichevole, questa venne intercettata da due agenti della g e s t a p o , che ci ordinarono di seguirli. Era difficile che questi due presunti agenti fossero più vecchi di me, e osai chiedere loro che cosa avessi fatto. Uno di loro rispose con voce roca: 'Lo scoprirai!' Quando giungemmo nel cortile della polizia, c'erano altri prigionieri ebrei. Alcuni avevano segni evidenti di percosse. Quindi un portavoce della polizia disse che eravamo là per quanto era accaduto a Parigi. Se fossimo stati disposti a collaborare, non ci sarebbe successo nulla, e tutto avveniva per la nostra protezione». Si trattava di uno strano tipo di protezione. «Venimmo condotti in cella, in prigione » rievocò Walter Loeb, « poi nel pomeriggio diedero a ciascuno di noi una piccola pagnotta. A tarda sera ci condussero in marcia alla stazione ferroviaria, e alcuni passanti si fecero beffe di noi lungo il percorso. Fummo imbarcati su un treno speciale, con destinazione ignota. Ci fermammo lungo il tragitto per far salire altri prigionieri e

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viaggiammo per gran parte della notte, durante la quale le nostre più grandi paure divennero realtà, poiché giungemmo a Dachau prima dell'alba, sotto riflettori accecanti.»25 Charlotte Neumann si trovava a Würzburg, dove era un'allieva diciottenne del seminario di formazione per insegnanti ebrei. Lei e le altre alunne furono svegliate alle due del matti­ no dal custode, «che indossava un'uniforme completa di 'ca­ micia marrone' ». Disse alle giovani di « vestirsi in fretta e scappare via, perché 'loro' stavano incendiando, saccheggian­ do e distruggendo sinagoghe e case e negozi di ebrei [...] Disse che lui stesso era in servizio, ma si era eclissato per avvertir­ ci ». Le ragazze fuggirono nei boschi circostanti dove spesso avevano fatto escursioni « in periodi più felici », incespicando nell'oscurità, «terrorizzate e in preda alla disperazione. Pote­ vamo vedere un fosco alone rosso incandescente che prove­ niva dalla città ». Ventitré anni più tardi. Charlotte Neumann (divenuta Charlotte Lapian) tornò a Würzburg con la figlia diciottenne. « Volevo farle vedere il seminario, ed eccolo lì, esattamente come lo ricordavo. Salimmo le scale e c'era lo stesso corridoio, gli stessi armadi - e lo stesso custode, che apparentemente spazzava con la stessa grossa scopa, pulendo gli stessi pavi­ menti come fosse allora. 'Buongiorno, signor Hüfner' dissi, quasi involontariamente. Si voltò, e sembrava che non fosse invecchiato nemmeno di un giorno. 'Posso esservi utile?' dis­ se. Risposi che ero stata un'alunna dell'istituto negli anni Trenta, e volevo mostrare il posto a mia figlia. Sospirò e disse che era stato bello, che avrebbe potuto e dovuto continuare così, e che dopo era stato un periodo spaventoso. Non so cosa mi prese; esplosi: 'Voi tedeschi siete tutti uguali. Tutto accad­ de automaticamente e Hitler agì facendo tutto da solo'. Mi guardò senza rispondere, e poi disse: 'Se ti trovavi davvero qui quella notte, sai che cosa ho fatto'. A quelle parole scop­ piai in lacrime e mi scusai. Lui disse: 'Capisco ciò che provi', poi ci scambiammo una stretta di mano e ce ne andammo. »26 Non appena David Hess si rese conto di quanto stava sue-

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cedendo a Würzburg, si diresse verso l'abitazione di un amico cristiano, un architetto di nome Gourdon. Anni dopo Joel, il figlio di David Hess che aveva lasciato la Germania per anda­ re negli Stati Uniti due anni prima, scrisse: « Quando mio padre giunse a casa del suo amico, gli raccontò cosa stava accadendo nella città. Senza altre parole, il signor Gourdon chiese a mio padre di entrare in casa sua, dove questi rimase per un certo tempo. Grazie al comportamento del signor Gourdon, che gli offrì la sua protezione, mio padre non vide mai, mai l'interno di un campo di concentramento e riuscì a lasciare la Germania nel 1939 insieme a mia madre ».27 Quella notte furono distrutte entrambe le sinagoghe di Würzburg, una delle quali aveva quasi un secolo. A Lipsia, al tempo della Notte dei cristalli, Stefanie Bamberger aveva dieci anni. « Alle quattro del mattmo si sentì battere tremendamente alla porta. Quando andammo ad aprire (la mia camera era proprio vicino alla porta d'ingresso, perciò io fui la prima ad alzarmi) si introdussero quattro g e s t a p o con la barba lunga, dall'aspetto spaventoso. Di fronte a un fucile puntato, mia madre dovette far loro vedere dove teneva i gioielli e dove erano custoditi i soldi, ma in cassaforte non ce n'erano. » Al padre di Stefanie, Ludwig Bamberger, che aveva una gamba paralizzata per le conseguenze di una ferita rice­ vuta in battaglia durante la Prima guerra mondiale, fu ordi­ nato di scendere dal letto e di sbrigarsi a vestirsi. Quindi fu portato via e rinchiuso nel carcere locale. Quando gli uomini della g e s t a p o se ne andarono, gridarono: « Andate a dare un'occhiata al vostro negozio e anche alla vostra bella sinago­ ga». Stefanie e sua madre percorsero Lipsia fino al loro negozio. Quello che videro era « incredibile: soltanto lo scheletro di un edificio, tutto quello che c'era dentro era bruciato; centinaia di rotoli di materiale, cappotti, camicie, maglie e vestiti». Nel palazzo adiacente al loro, di proprietà di un non ebreo, « nem­ meno un centimetro era annerito, non una vetrina rotta».

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Continuando per la sinagoga, Stefanie Bamberger e la ma­ dre la trovarono ugualmente incendiata e devastata. Quindi si recarono all'ospedale ebraico locale, dove vennero dati loro dei camici bianchi e cominciarono a lavorare come infermiere. «Ogni mattina alle quattro arrivava la GESTAPO e portava via qualsiasi uomo che fosse in grado di reggersi in piedi. » Lei e la madre riuscirono a liberare suo padre dalla stazione di polizia e portarlo all'ospedale.28 La prima notizia proveniente da Lipsia il 10 novembre fu che erano stati arrestati due ebrei, con l'accusa di aver appic­ cato il fuoco ai loro locali « al fine di ottenere il denaro del­ l'assicurazione ».29 A Lipsia, la scolara ebrea Esther Reisz ave­ va quattordici anni. « Ai nazisti vennero concesse ventiquattr'ore di libertà per fare ciò che volevano delle sinagoghe e delle case ebraiche » ricordò tempo dopo; tuttavia la sua fami­ glia fu fortunata. Scrisse infatti: « Nel nostro condominio c'era un custode non ebreo, che non lasciò che i nazisti entrassero a cercare appartamenti abitati da ebrei. Mi ricordo che noi sta­ vamo dietro le tende, tremanti di paura, e udimmo il custode urlare ai nazisti: 'Andate via. Qui non abitano ebrei' ».Kl Nella Notte dei cristalli Joseph Schwarzberg era uno sco­ laro, anch'egli di Lipsia. Il mattino del 10 novembre si sve­ gliò per vedere i suoi genitori e i vicini barricarsi nei propri appartamenti. Attraverso le fessure delle persiane chiuse della sua finestra poteva vedere l'appartamento di uno dei suoi compagni di classe e il marciapiede di fronte. Vide il fratello e i genitori del suo compagno « malmenati sulla via, dopo essere stati gettati in strada con alcuni dei loro effetti personali e dei loro mobili. Un gruppo di uomini, che sem­ bravano quasi tutti giovani, alcuni in uniforme marrone, li stava picchiando senza pietà e li insultava. Il fratello minore del mio compagno fu legato per il collo a una bicicletta e dovette corrervi dietro per non rimanere strangolato. Era un ragazzo di tredici anni, grande e grosso per l'età che aveva, ma alla fine crollò completamente esausto e riportan­ do molte ferite ».3I

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Il console statunitense di Lipsia, David H. Buffum, riferì ai suoi superiori a Washington che le tre sinagoghe principali, incendiate contemporaneamente, «erano irreparabilmente sventrate dalle fiamme ». Notò anche che nel cimitero ebraico i nazisti si diedero a « pratiche di tipo satanico », scoperchian­ do pietre tombali e violando le sepolture. Buffum raccontava anche che nella città stessa, « dopo aver demolito abitazioni e scagliato la maggior parte degli oggetti sulle strade, i perpetratori insaziabilmente sadici gettarono molti degli inquilini tremanti in un ruscelletto che scorre at­ traverso il Giardino zoologico, ordinando agli spettatori inor­ riditi di sputare su di loro, insozzarli di fango e denigrare la loro condizione »,32 Fra coloro che furono testimoni dell'esplosione di violenza a Lipsia c'era un ebreo olandese venticinquenne, Wim van Leer, che era arrivato pochi giorni prima dall'Inghilterra come rappresentante dei quaccheri per portare un gruppo di giova­ ni ebrei in Gran Bretagna. Camminando per la città, all'incirca alle sette del mattino del 10 novembre, poco oltre vide un camion avvicinarsi e fermarsi vicino ad alcune case lungo la strada, e « ne saltarono giù una ventina di brutti ceffi». Uno aveva con sé un blocco per appunti e dirigeva gli altri in direzione di particolari negozi e case. Van Leer osservò le sa suonare i campanelli, spaccare le vetrate delle porte se non vi era alcuna risposta ed entrare nelle case degli ebrei. Tempo dopo, van Leer scrisse: « Improvvisamente le porte di un bal­ cone al terzo piano vennero spalancate e apparvero dei mili­ tanti delle truppe d'azione che urlavano verso i loro compagni di sotto. Uno gridò qualcosa a proposito di tutto il ben di Dio che sarebbe arrivato dall'alto, e con una simile aspettativa si sgombrò quella parte di marciapiede sotto al balcone. Quindi trascinarono un pianoforte sul balcone e, sfasciando il para­ petto con uno sforzo possente - dovevano essere in otto -, spinsero lo strumento verso il bordo. Piombò sulla via facen­ do un gran botto, mentre l'involucro di legno si staccava,

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lasciando ciò che somigliava a un'arpa in piedi nel mezzo dei rottami... »J) La quattordicenne Ruth Goldfein viveva a Danzica. La Notte dei cristalli si trovava al circolo per la gioventù ebraica locale e stava giocando a ping-pong. Il circolo era in una sala sopra la sinagoga. Avvertite che all'esterno erano in attesa dei « crimi­ nali nazisti », la ragazza e la sua amica del cuore Esther Gold­ man, all'uscita dell'edificio, ebbero il coraggio di convincere un poliziotto che vi stazionava della necessità di chiamare un'ambulanza per il sagrestano della sinagoga, che si era sen­ tito male. Per questa azione, lei e la sua amica furono convo­ cate dalla GESTAPO. La sua amica riuscì a lasciare Danzica per la Polonia alcuni giorni prima dell'appuntamento; morì in seguito in un campo di concentramento. Al quartier generale della g e s t a p o , Ruth Goldfein fu av­ vertita « di non lasciarsi mai più coinvolgere in faccende si­ mili ». Il 24 dicembre partì da Danzica per la Polonia, e so­ pravvisse.34 Fra i testimoni della Notte dei cristalli a Baden Baden c'era il dottor Arthur Flehinger. Egli raccontò in seguito come il mat­ tino del 10 novembre tutti gli uomini ebrei presenti in città avessero ricevuto l'ordine di radunarsi. Verso mezzogiorno vennero fatti marciare per le strade in direzione della sinago­ ga. Molti non ebrei disapprovarono la retata. « Vidi gente piangere mentre guardava da dietro le tende della propria casa » scrisse poi il dottor Flehinger, e aggiunse: « Si dice che uno dei molti rispettabili cittadini abbia detto: 'Ciò che ho visto non è stato un solo Cristo, ma un intera colonna di figure di Cristo, che stavano marciando a testa alta e non piegati da alcun senso di colpa' ». Mentre venivano fatti marciare su per gli scalini della sina­ goga, molti ebrei caddero, con il solo risultato di essere pic­ chiati fino a quando non riuscivano a rimettersi in piedi a fatica. Una volta all'interno della sinagoga, gli ebrei si trova-

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rono faccia a faccia con energici ufficiali nazisti e uomini delle ss. Fu ordinato allo stesso dottor Flehinger di leggere ad alta voce ai suoi compagni ebrei dei passaggi tratti dal Mein Kampf. « Lessi il brano a bassa voce, di certo talmente bassa che l'uo­ mo delle ss appostato dietro di me mi colpì ripetutamente sul collo. Quelli che dovettero leggere altri passaggi dopo di me furono trattati allo stesso modo. Dopo queste 'letture' ci fu una pausa. Gli ebrei che volevano fare i propri bisogni furono costretti a farlo contro i muri della sinagoga, non nei bagni, e mentre lo facevano subirono abusi fisici. » Alla fine, gli uomini furono condotti via. Nel giro di un'ora la sinagoga era in fiamme. Una delle ss commentò: «Se fosse dipeso da me, sareste morti in quel rogo »,55 Nella città di Bamberg, vedendo la sinagoga in fiamme e correndo in fretta verso di essa, Willy Lessing fu « malmenato da alcuni delinquenti », annota sua nipote. Il mattino succes­ sivo tutti gli uomini ebrei di Bamberg furono arrestati e portati a Dachau tranne Lessing, che era stato percosso troppo gra­ vemente per potersi muovere. Morì in ospedale due mesi e mezzo dopo. Diversamente dal solito, i responsabili dell'ag­ gressione furono condotti in tribunale per essere processati dopo la guerra, e condannati. Paula, la vedova di Lessing, riuscì a emigrare in Inghilterra poco prima dello scoppio della guerra, per raggiungere suo figlio e sua sorella che si trova­ vano già lì.36 Ruth Herskovits era una studentessa di Hannover. La Notte dei cristalli lei, la sorella maggiore Grete e i loro genitori cer­ carono rifugio presso una famiglia ebraica di nazionalità ceca. Era improbabile che subisse molestie. Dopo aver trascorso lì diversi giorni, tornarono al loro appartamento. « Mentre sali­ vamo le tre rampe di scale » ricordò, « dovemmo farci strada con attenzione sui gradini di pietra per evitare di calpestare vetri e pezzi di legno. E quando aprimmo la porta d'ingresso ci trovammo di fronte al caos. Nell'ampio ingresso, erano aperte tre delle quattro ante dei due grandi armadi della biancheria.

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in legno di quercia giallo pallido. Gli armadi erano stati svuo­ tati. Dietro la quarta porta ancora chiusa, rimanevano alcuni capi più vecchi di biancheria da letto, in apparenza dimenti­ cati. Vetri infranti e piatti rotti erano sparpagliati ovunque e utensili e candelieri in argento mancavano dal loro posto abi­ tuale, nell'armadietto della sala da pranzo. » I mobili dello studio, la camera che stava proprio di fronte all'ingresso, « era­ no stati metodicamente fatti a pezzi. Libri in ebraico, con le pagine strappate, erano ovunque sul pavimento. Molti di essi erano i libri di preghiera per il Sabato e le altre festività, e papà cominciò a raccoglierli inciampandoci sopra: secondo la legge e le usanze ebraiche, libri e testi di preghiera, in cui in genere si trova il nome di Dio, non dovrebbero giacere sul pavimento. Nell'ingresso, il borsone nell'armadio che custodiva la bian­ cheria acquistata per l'espatrio di Elsa era stato svuotato. Esterrefatte, timorose di muoverci, mamma e noi tre stavamo semplicemente là, ferme ». Samuel Herskovits tentò di confortare le figlie. « Dobbiamo ringraziare Dio che siamo insieme e siamo illesi » disse. « Per fortuna abbiamo deciso di abbandonare casa nostra e non eravamo qui quando è venuta questa gente. » Ma, ricordò sua figlia Ruth, « mentre continuavamo a guardare la nostra casa in rovina, papà ricevette un'altra notizia, molto più terri­ bile: la nostra sinagoga era stata completamente distrutta ».5' Sempre ad Hannover una scolaretta. Lore Pels, stava an­ dando a scuola a piedi con il fratello Erwin quando passò accanto a un negozio di biancheria e vide con sorpresa che c'erano dei poliziotti. Ricordò: «Le vetrine erano compietamente sfasciate, infrante, c'erano piume dappertutto. Il mio primo pensiero fu che fosse in corso una rapina! All'isolato successivo si trovava la nostra scuola, n o n riuscimmo a en­ trare nell'edificio, ma fummo accolti dalla polizia, o dai nazi­ sti, che vi stazionavano davanti. Dicevano a tutti i bambini che arrivavano di tornare a casa. Io ed Erwin non avevamo la m in im a idea di ciò che potesse essere successo. A poco a poco, si diffuse la voce che la nostra bella sinagoga stesse bruciando

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[...] Mi ricordo che ero assolutamente sconvolta, senza parole, poiché noi bimbi trascorrevamo così tanto tempo nella sina­ goga...» Tornando a casa. Lore Pels vide «brandelli di carta» - i frammenti bruciati dei libri di preghiera della sinagoga - « che svolazzavano di fronte alle nostre finestre ». Suo padre, Joseph Pels, accese la radio e la sintonizzò fino a quando non riuscì a sentire un'emittente estera, cosa «severamente proibita agli ebrei ». In tal modo la sua famiglia scoprì «che non c'era stata alcuna rapina al negozio e che la sinagoga era stata incendiata, distrutta ». Alcuni giorni dopo Lore Pels, i suoi genitori e il fratello furono costretti ad abbandonare il loro alloggio e a lasciarvi tutto quello che possedevano. Furono trasferiti con molte altre famiglie in un'ex scuola ebraica, con «poco più spazio di quello occupato da un letto » per ciascuno. Come accadde a tutti i testimoni della Notte dei cristalli, quella notte e quel giorno costituirono un triste preludio di quanto seguì. Un cugino che risiedeva negli Stati Uniti offrì al padre di Lore Pels degli affidavit per consentire a tutti e quattro i familiari di emigrare. Questi rifiutò, «affermando di conti­ nuo », come rievocò Lore Pels, « che lui era stato al servizio dei tedeschi durante la Prima guerra mondiale». Uno dei suoi fratelli, Ivan Pels, era stato ucciso in battaglia in quel conflitto, combattendo per la Germania. Quando la guerra scoppiò di nuovo, la famiglia si trovava ancora nell'ex scuola ebraica in cui era stata trasferita prima della Notte dei cristalli, dividen­ do un'unica stanza. L'edificio era stato dichiarato « casa ebrai­ ca » e a nessuna ambulanza era permesso di entrarvi. Durante la prima massiccia incursione aerea degli Alleati su Hanno­ ver, il padre di Lore ebbe un infarto. Poiché era impossibile portarlo in ospedale a causa dell'interdizione agli ebrei, morì. Pochi mesi dopo, la moglie e i figli furono deportati a Riga. La donna e la figlia sopravvissero; il figlio Erw in morì poco pri­ ma della fine della guerra a Dachau, dove furono condotti molti dei deportati sopravvissuti a Riga quando l'Armata ros­ sa si avvicinò alla città.ix

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Use Wertheimer raccontò come, mentre gli uomini ebrei dei villaggi limitrofi di Altdorf e Schmieheim - le cui sinagoghe erano state distrutte - venivano fatti marciare dentro Kippen­ heim, « la Gioventù hitleriana lanciava sterco e pietre su di loro e sulle loro teste. Poi i giovani nazisti di Lahr e di tutti gli altri paesi iniziarono a demolire la sinagoga, appiccarle il fuo­ co, e gettare i libri e la Torah nel ruscello che attraversava il villaggio. Le finestre delle case ebraiche vennero infrante. Di fronte al nostro negozio avevamo ogni genere di travi metal­ liche e macchinari, con cui spaccarono tutte le vetrine, mentre noi donne stavamo a guardare dietro i tendoni del soggiorno, chiedendoci quanto sarebbe passato prima che sfondassero la porta al piano inferiore e ci uccidessero. Quando tentarono di forzare la porta d'ingresso, il dottor Bernhard Weber, nella sua uniforme da ss, gridò: 'Adesso è sufficiente, basta!' Riten­ go che questo ci salvò la vita ».39 A Worms Herta Mansbacher, assistente principale della scuola ebraica, fu tra coloro che riuscirono a estinguere il fuoco nella sinagoga, ma una banda di malviventi arrivò su­ bito per appiccarlo di nuovo. In un gesto di sfida, Herta si mise davanti all'entrata. Lo storico Jewry, che si è occupato di Worms, ha scritto: «Tanto loro cercavano di mettere a fuoco una casa di preghiera ebrea, quanto lei era desiderosa di fer­ marli, addirittura rischiando la propria vita ».4l Alla fine, Her­ ta Mansbacher fu spinta via, e la sinagoga, una volta incen­ diata, bruciò fino alle fondamenta. E rimasta una fotografia delle rovine bruciate di una seconda sinagoga di Worms, mol­ to più antica.41 Fondata nel 1014 e ingrandita nel 1705, questa costituiva il luogo dove aveva studiato il saggio ebreo Rashi 883 anni prima. Herta Mansbacher continuò a vivere a Worms per altri tre anni e mezzo fino alla deportazione degli ebrei che erano sopravvissuti nella città il 20 marzo 1942: furono tra­ sportati verso est, attraverso la Polonia occupata dai tedeschi, verso il campo di sterminio di Belzec. A Bochum, prima che fosse dato fuoco alla sinagoga, la stella di Davide dorata che era stata posta in cima alla cupola

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quando la sinagoga stessa era stata ristrutturata nel 1899 fu secondo la testimonianza di Ruben Moller - « divelta dalla cupola e rubata », come le stelle di Davide placcate in oro sulla cupola piccola.42 A Emmerich, gli ebrei furono costretti ad appiccare loro stessi il fuoco alla sinagoga.4’ A Nordhausen, Edith Welkemeyer, che aveva sette anni, ricordò che quella mattina stava camminando con Anneliese, la domestica della famiglia, per recarsi a fare alcune spese. « Adoravo la nostra domestica, che aveva sempre tempo di spiegare tutto quello che desideravo sapere. Di colpo si udì il suono di vetri infranti e Anneliese mi afferrò in fretta, pren­ dendomi per mano, tirandomi via dalla folla che si radunava. 'Perché hanno rotto la vetrina di quel negozio?' volevo sapere, ma questa volta la cara, gentile Anneliese non perse tempo a dare spiegazioni. Arrivammo a casa in tempo record ed ero quasi senza fiato. » E anche « piuttosto disorientata ».44 La sinagoga di Nordhausen, fondata nel 1845, sopravvisse fino a un'incursione alleata all'inizio del 1945. A quell'epoca, Nordhausen era divenuta un centro di produzione di armi; il campo di lavoro e lager Dora-Mittelbau distava poco meno di cinque chilometri dalla città. Nella città di Schirwindt, nella Prussia orientale, il funzio­ nario regionale (Landrat) responsabile dell'intero distretto, Wichard von Bredow, ricevette l'ordine di incendiare la sinagoga cittadina dal suo Gauleiter nazista. In tutto quella notte furono distrutte più di quaranta sinagoghe e case di preghiera nella Prussia orientale, ma, come ha scritto lo storico Stephen Nicholls, « dopo aver ricevuto ordini dal suo Gauleiter che tutte le sinagoghe della Germania avrebbero dovuto essere distrutte nel corso delle ore immediatamente successive e che né la polizia, né i vigili del fuoco sarebbero dovuti intervenire, von Bredow indossò la sua uniforme dell'esercito tedesco, disse addio alla moglie, madre dei suoi cinque figli, e annun­ ciò: 'Sto andando alla sinagoga di Schirwindt, dove desidero evitare uno dei più grandi atti criminali che possano verifi­ carsi nel mio distretto'. Sapeva che stava rischiando la vita e

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avrebbe potuto essere inviato in un campo di concentramento, ma aggiunse: 'Devo farlo' ». Nicholls aggiunge: «Quando le SA, le ss e i membri del Partito arrivarono con il materiale incendiario, [von Bredow] li attendeva già di fronte alla sinagoga. L'intero gruppo di persone lo vide caricare la pistola e, rendendosi conto che avrebbero potuto entrare nell'edificio soltanto passando sul suo corpo, se ne andarono tutti, non osando attaccare il Lan­ drat. La sinagoga di Schirwindt fu l'unica del distretto a non essere distrutta ». A seguito di quest'atto, von Bredow non fu punito né rimosso dal proprio incarico, ma rimase Landrat fino alla fine della guerra.4’ All'epoca della Notte dei cristalli. Henry Stern era uno stu­ dente di quattordici anni di Stoccarda. La mattina del 10 no­ vembre, come ricordò anni dopo, « stavo arrivando a scuola quando vidi le fiamme e il fumo che sorgeva dalla grande sinagoga (che era vicino alla scuola ebraica). L'idrante dei pompieri stava lì, ma non faceva nulla. C'era una gran folla di persone ferme lì in piedi e ricordo chiaramente che c'era un silenzio totale (non una folla esultante, come in genere fu rife­ rito nella stampa tedesca). Io, naturalmente, ero traumatizzato e corsi a casa piangendo ». In seguito, udì dei tedeschi dire a bassa voce: «Non andrà a finire bene, niente di buono può accadere quando si incendiano le Gotteshäuser (case di Dio) ». La sinagoga principale di Stoccarda era « un edificio molto solido », secondo il racconto di Henry Stem. Era stata costruita nel 1861. «Il fuoco distrusse 'soltanto' l'interno e la cupola, cosa che disturbò moltissimo i tedeschi. Così ordinarono al­ l'architetto Ernst Guggenheimer di sovrintendere alla demo­ lizione dell'edificio pietra dopo pietra, e a tal fine portarono prigionieri ebrei dai campi vicini per effettuare il lavoro. Le grandi pietre quadrate furono poi vendute a proprietari di vigneti nel distretto e il denaro entrò nelle casse della g e s t a PO. » 4b

Anche Edith Trzeciak si trovava a Stoccarda la Notte dei cristalli. Il suo patrigno le disse di vestirsi « e prendemmo il

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tram per giungere quanto più vicino possibile al centro città. Mi ricordo un mucchio di fuoco e fumo, e avevo paura. Tutti i grandi magazzini avevano vetrine rotte ed erano in fiamme. Non ero mai stata vicino a un incendio in precedenza (ma ne vidi molti negli anni successivi, durante gli attacchi aerei). C'era un sacco di rumore. Urli e grida e alcune parole 'cattive' che non avevo mai sentito prima. C'erano uomini in uniforme, ma papà mi disse di non avere paura. Lui piangeva, e ricordo vagamente di aver visto anche altre persone che piangevano. Ma molte erano contente, acclamavano e urlavano: 'Heil Hi­ tler'. Papà iniziò a raccontarmi delle cose orribili che stavano succedendo e che non avrei mai dovuto dimenticarlo ecc. E mi disse che dovevo essere ancora fiera di essere ebrea (lui non lo era) ». Edith Trzeciak aveva paura di una cosa: «Che dei ragazzi che conoscevo mi vedessero e ridessero di me, perché il mio papà mi stava portando in braccio come una bambina e mi abbracciava per tenermi stretta a lui. E mi ricordo di aver visto dei ragazzi che conoscevo vestiti con le uniformi della Gio­ ventù hitleriana e del Bundestnaedel. Non essere una di loro costituì la grande tragedia della mia vita a quell'età, e adesso mi avrebbero considerata come una bimba piccola. Mi rende­ vo conto ben poco di quanto fossi fortunata ». Si trattò di uno dei suoi primi ricordi « del fatto di avere a che fare con i nazisti e della mia diversità ».4/ Entro cinque anni da quella notte, la madre e il fratellino di Edith Trzeciak furono uccisi ad Ausch­ witz.48 All'epoca della Notte dei cristalli, Batya Emanuel aveva tre­ dici anni e andava a scuola a Francoforte. Tempo dopo ricor­ dò: « Quel 10 novembre non era iniziato in modo diverso rispetto a qualsiasi altro giorno. Quando mi svegliai una luce soffusa tremolava attraverso le tende. Mi lasciai andare al dormiveglia». Mentre stava distesa a letto, poteva soltanto scorgere la tovaglia felpata rosso scuro sul tavolo di quercia in mezzo alla stanza, una tovaglia « che era servita magnifica-

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mente a fare da mantello reale del re Assuero durante la fe­ stività ebraica di Purim, che celebra la liberazione del nostro popolo da Haman, il malvagio visir del re, nell'antica Persia ». Quel giorno «questi piacevoli pensieri vennero brusca­ mente interrotti dalla porta che si apriva. Era già il momento di alzarsi? Di solito era la mamma a svegliarci al mattino, ma stavolta era papà che avanzava a grandi passi nella stanza, col telefono - che durante la notte veniva tenuto nella camera dei nostri genitori - infilato sotto il braccio, ed era in bretelle, senza un gilet o una giacca. Non credo di averlo mai visto se non completamente vestito, prima di quel momento. Mi fece un brusco cenno di saluto col capo, attaccò il telefono e fece il numero: 'È la polizia? Vorrei informarvi che è stata fatta irruzione nella sinagoga sul retro del numero 11 di Rutsch­ bahn e che vi si stanno compiendo atti di violenza proprio in questo istante - manderete i vostri uomini? Grazie'. «Gitta e io saltammo fuori dal letto in un baleno, e correm­ mo a piedi scalzi nella camera da letto dei nostri genitori, nella parte posteriore dell'appartamento, e ci incollammo a una finestra. Ai nostri occhi si presentò un bizzarro spettacolo ». Oltre il giardino dietro la casa si ergeva una piccola sinagoga. « Attraverso le sue finestre vedemmo un lampadario a bracci oscillare come un pendolo mosso da mani invisibili, ondeg­ giando avanti e indietro in rotazioni sempre più ampie - crol­ lo - buio. Una finestra fu spalancata, una sedia volò fuori, precipitò sul terreno e andò in frantumi. Fu seguita da un'altra sedia e ancora un'altra, poi ci fu silenzio. Cosa stavano facen­ do adesso? Non dovemmo attendere a lungo: un serpente bianco balzò dal davanzale e scivolò giù, giù fino al suolo lì sotto, sembrava non finire mai. « 'Rotoli della Legge, Rotoli della Torah' dicemmo senza fiato, non volendo credere ai nostri occhi. Papà tornò correndo alla nostra stanza, che dava sulla strada. Ritornò un attimo dopo: 'Sì, sono là, parecchi poliziotti sull'altro lato della strada - attendono che questi empi vandali finiscano la loro opera di distruzione'. E venne fuori che era proprio così. Vicini non

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ebrei dei piani superiori erano andati alla stazione di polizia e avevano personalmente riaccompagnato i poliziotti con la lo­ ro auto >>.49 Delle quarantatré sinagoghe e case di preghiera di Franco­ forte, almeno ventuno furono distrutte o incendiate quel mat­ tino. Non si conosce il destino di altre quindici.50 Anche Benjamin Marx viveva a Francoforte in quel periodo fatale, come sua sorella Claire. Entrambi frequentavano una scuola ebraica. Come scrisse tempo dopo: « Quando io e Clai­ re arrivammo alla nostra scuola, ci rendemmo conto che qual­ cosa non quadrava. Mancavano il consueto rumore e il chiac­ chierio degli studenti che si salutavano mentre ciascuno si dirigeva verso la propria classe. Gli studenti erano fermi nel corridoio; nessuno era ancora andato nella propria aula. La maggior parte stava li in piedi in silenzio, alcuni parlavano solo bisbigliando. Io e Claire raggiungemmo i nostri amici e compagni di classe. Uno dei ragazzi mi sussurrò che la vicina sinagoga stava bruciando. Alcune insegnanti, tutte donne, stavano vicino a noi, anch'esse parlando sottovoce. Alla fine giunse la preside della scuola, quasi senza fiato. Chiese di fare silenzio, sebbene tutti avessero già smesso di parlare». La preside annunciò: « Per oggi la scuola sarà chiusa. Andate a casa immediatamente, non gironzolate per strada e fate il minor rumore possibile. Quando le lezioni riprenderanno, i vostri genitori saranno avvertiti ». Con ciò, i ragazzi furono congedati. Benjamin Marx ricor­ dava: «Per me non aveva un particolare significato che la scuola fosse chiusa a causa dell'incendio alla sinagoga. Fa­ cemmo come ci era stato detto. Claire e io compimmo il per­ corso verso casa senza alcun incidente. I nostri genitori ci stavano aspettavano trepidanti. I primi resoconti di disordini giunsero da Radio Strasburgo. L'emittente riferiva che a tarda notte del 9 novembre si erano verificati degli attacchi sponta­ nei agli ebrei in un certo numero di città tedesche. La stazione non fornì alcuna indicazione della finalità di tali violenze ». Per tutta la mattina il padre di Benjamin « sedette vicino

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alla radio girando il sintonizzatore. Forse avrebbe potuto ot­ tenere maggiori dettagli da altre stazioni; ma non ebbe molto successo. Alla fine, e un po' controvoglia, girò su Radio Ma­ drid. Nel novembre del 1938 la capitale della Spagna, Madrid, era ancora in mano ai gruppi antifascisti. I notiziari di Radio Madrid consistevano per la maggior parte di propaganda an­ tifascista, pertanto, quando la stazione riferì delle dimensioni e della violenza del pogrom, i miei genitori considerarono il servizio con un certo scetticismo. Man mano che il tempo passava e altre stazioni non tedesche fornivano resoconti più dettagliati, si ebbe chiara conferma che le notizie prove­ nienti da Madrid erano autentiche».51 Il 12 novembre 1938 il console generale britannico, Robert Smallbones, riferì da Francoforte; «Ogni sinagoga esistente nel distretto è stata distrutta e tutti i rabbini, insieme ad altri capi religiosi e a insegnanti, sono stati tratti in arresto».52 Joseph Wohlfarth, che all'epoca aveva sei anni, in seguito scrisse degli eventi verificatisi a Francoforte la mattina del 10 novembre: « Probabilmente ci furono voci o avvertimenti che la Gioventù hitleriana stava facendo irruzione in abitazioni di ebrei, perché mia madre portò me e mio fratello nell'apparta­ mento di mio zio al piano superiore, dove ci nascondemmo in bagno. Alla fine entrarono con la forza e ci fu un mucchio di rumore, il suono di vetri rotti e mobilio che veniva gettato ovunque. Salirono all'alloggio dove ci stavamo nascondendo e ci trovarono, ma poiché non c'erano uomini là, ci lasciarono in pace. Dopo che se ne andarono, ritornammo giù al nostro appartamento, e trovammo il luogo saccheggiato. Mi ricordo che la prima cosa che vidi fu un armadio che giaceva in terra nell'ingresso, con i pezzi del mio trenino sparpagliati sopra e la locomotiva senza le ruote. Ciò mi sconvolse più di qualsiasi altra cosa. Immagino che fosse la naturale reazione di un bambino della mia età ».53 Anche il sedicenne Reiner Auman fu testimone degli avve­ nimenti della giornata a Francoforte. Il 10 novembre, di prima mattina, rievocava: « Preparai la cartella, la valigetta del pran-

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zo, presi il mio scialle per la preghiera e i miei filatteri perché era un giovedì, e il lunedì e giovedì andavo alla sinagoga per ascoltare le preghiere. Presi la bicicletta e pedalai verso la sinagoga». Quando fu a due minuti dal luogo sacro, vide suo nonno che giungeva dalla direzione opposta. « Appena mi vide mi fece un cenno di saluto con la mano e disse: 'Rei­ ner, vieni qui, non andare alla sinagoga, la sinagoga sta bru­ ciando'. Ma io ero un giovanotto irruento. Presi la bici. Andai alla sinagoga e lì vidi le autopompe, i poliziotti che stavano là intorno senza fare nulla, perché l'incendio non era ancora divampato in tutta la sua forza. Vidi persone che portavano dentro secchi di cherosene, balle piene di carta e vecchi abiti inzuppati di cherosene. Stavano cercando di appiccare seria­ mente l'incendio. » Nel frattempo, secondo quanto ricordò Reiner Auman, « la violenza continuò per tutta la giornata mentre orde di persone si accalcavano nelle strade, correvano per le vie e facevano un rumore assordante. Man mano che si avvicinavano sempre più a casa nostra, cominciai a uscire per vedere da che parte fossero diretti e dissi ai miei genitori: 'Guardate, si stanno avvicinando a casa nostra, cosa abbiamo intenzione di fare?' Mio padre, che nella Prima guerra mondiale aveva passato quattro anni nell'esercito tedesco strisciando sulla pancia co­ me soldato di fanteria, non si fece spaventare facilmente. Dis­ se: 'Sediamo immobili, vediamo cosa succederà'. E in quel momento era ormai pomeriggio e la sera stava scendendo velocemente, poiché era novembre e diventava scuro presto, quando per qualche miracolo scampammo il pericolo ». In seguito Reiner Auman comprese di quale « miracolo » si fosse trattato. La casa in cui vivevano « aveva un proprietario non ebreo, e questi fece sapere in anticipo alle SA 'che avreb­ bero fatto meglio a non entrare in casa sua, perché sarebbero state ritenute responsabili di qualsiasi danno avessero potuto arrecare alla sua proprietà'. Eccoci quindi mentre, dietro i tendoni tirati, osservavamo le orde passare in marcia la nostra abitazione, in direzione di altre case ebraiche. Passarono da

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una all'altra, compiendo il loro lavoro. Vidi pianoforti, merce, ogni genere di piatti, vestiario venire gettati dalle finestre dei palazzi di tre e quattro piani, toccare il suolo e ridursi in pezzi. Tutto ciò andò avanti fino a sera inoltrata», quando diventò buio, « momento in cui la folla si disperse a poco a poco ».54 Ad Hannover, secondo quanto riferiva un quotidiano inglese, « il mobilio e i beni di famiglia degli ebrei furono portati in una piazza e incendiati alla presenza di una folla plaudente». A Kassel «quasi tutte le case degli ebrei sono state distrutte. Là gli ebrei arrestati furono fatti sfilare all'aperto, fu chiamata la squadra dei pompieri e gli idranti vennero rivolti verso di loro, così che erano completamente inzuppati prima di essere inviati al campo di concentramento a Buchenwald ». A Göt­ tingen i pompieri «notarono che una domestica si trovava all'interno di una sinagoga in fiamme. I pompieri la trassero in salvo, sebbene la folla cercasse di impedire loro di farlo ». A Zwickau « tutte le case di ebrei tedeschi e di quelli senza na­ zionalità furono demolite da teppisti armati di accette, mentre la polizia stava a guardare ». Le tre sinagoghe di Brema erano state incendiate « e tutti gli ebrei maschi e adulti arrestati », come era accaduto anche a Erfurt. Il quotidiano riferì inoltre che in tutta la Germania « [erano] stati distrutti case e istituti ebraici per i poveri e gli anziani e gli infermi ». L'orfanotrofio ebraico di Caputh, presso Berlino, una delle migliori istituzioni di questo genere in Europa, « do­ vette essere evacuato quasi da un momento all'altro, prima di essere demolito al suo interno da una banda organizzata ». A Norimberga tutti gli ospiti dell'ospedale ebraico, « compresi i malati, dovettero sfilare nel cortile, mentre l'interno dell'edi­ ficio veniva distrutto ». A Ems « l'ospizio ebraico dovette essere sgombrato durante la notte e i beni personali degli ospiti furono distrutti con il mobilio e gli arredi. Uno dei ricoverati, che aveva dovuto restare a letto perché non era in grado di muoversi, fu ferito dalle schegge dei mobili mentre questi venivano distrutti a

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colpi di accetta. Fu trovato il giorno seguente, sanguinante a causa di parecchie ferite, da una seconda banda che era giunta a completare l'opera di distruzione ». A Bad Soden i pazienti del sanatorio « furono condotti fuori durante la notte e l'edificio fu demolito ». A Isenburg « l'asilo infantile ebraico fu distrutto, come anche case e istituti per bambini a Lehnitz ed Ellguth ».55 A ottanta chilometri da Francoforte, nella città commerciale medievale di Marktbreit sul Meno, uno scolaro. Lassar Brueckheimer, era ancora a letto la mattina del 10 novembre quando sua madre «corse in camera mia e mi disse di alzarmi imme­ diatamente: forti rumori provenivano dalla sinagoga». Il suo racconto proseguiva: « Quando scendemmo le scale del nostro appartamento e passammo accanto all'entrata della sinagoga, vedemmo la devastazione. L'enorme portone di quercia era sfondato, i pannelli ridotti in schegge, la porta interna manca­ va del tutto e panche rotte giacevano in completo disordine ovunque. Mentre vi passavamo davanti in fretta, non ci fu tempo a sufficienza per notare le finestre infrante, i Rotoli della Torah molto lontani, gli oggetti in argento rotti ». Molte setti­ mane più tardi « scoprimmo che le panche della balconata delle signore erano state sollevate al di sopra dei corrimano e scagliate sopra i posti a sedere che si trovavano sotto. In quel momento, la sola cosa che desideravamo era di correre fuori dall'edificio senza che nessuno ci fermasse». La sinagoga era stata costruita duecentoventiquattro anni prima, nel 1714. La testimonianza di Lassar Brueckheimer continuava: «Quando arrivammo alla casa del nonno, venim­ mo a sapere che la polizia locale lo aveva arrestato». Sua madre e la nonna «erano in uno stato di grande tensione e preoccupazione e non molto tempo dopo giunsero due uomi­ ni della Ge st a p o in abiti civili e chiesero a mia madre di aprire il nostro appartamento, in modo da poter ispezionare l'aula ». Mentre i suoi due fratelli, Nathan di cinque anni e Maxim di tre, rimasero indietro, « io insistetti sul fatto che volevo accom-

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pagnare mia madre, e rimasi sempre al suo fianco. L'ispezione dell'aula fu veloce e superficiale, fino a quando non arrivaro­ no a uno scaffale in cui erano conservati alcuni documenti d'archivio provenienti da una delle comunità 'liquidate': cioè fatte sparire tra il 1933 e il 1938. Dissi: 'Queste carte sono di mio padre' c ricevetti una sberla sulla testa che mi fece rigirare e fece cadere il cappello che portavo sul pavimento. Un mem­ bro della G e s t a p o mi ordinò di raccoglierlo, ma io lo guardai soltanto dritto negli occhi. Quando chiusero a chiave e sigil­ larono la porta senza portarsi via nulla, il mio berretto si tro­ vava ancora sul pavimento dell'aula. Di ritorno a casa del nonno, apprendemmo che era stato rilasciato ». Più o meno alle venti, secondo la testimonianza di Lassar Brueckheimer, « sentimmo rumori in strada sia dalla casa Tachauer di fronte a noi sia dalla casa Oppenheimer, poco oltre rispetto a dove ci trovavamo, dalla stessa parte della strada. Udimmo il rumore di legno che andava in pezzi e ci precipi­ tammo giù, quando la solida porta di legno che dava sulla strada semplicemente crollò all'interno. Circa cinque o sei malviventi armati di asce con lunghe impugnature corsero verso di noi, mentre ci schiacciavamo contro il muro da un lato dell'ingresso. Ma non ci fecero del male. Invece, fecero a pezzi ciascun pannello di tutti gli armadi, gli scaffali e le porte in tutta la casa. Nel giro di cinque minuti, tutti gli oggetti contenuti in casa erano distrutti; poi, si precipitarono fuori senza dire una parola. Quando fummo finalmente in grado di muoverci, esaminammo i danni e scoprimmo che anche i bagagli che avevamo preparato erano stati lacerati, persino la dispensa nella cantina in cui si conservava la conserva fatta in casa era stata distrutta, e ciò che conteneva stava sgocciolando sul pavimento di pietra ». Mentre Lassar Brueckheimer, sua madre e i due fratelli camminavano sconsolati intorno all'abitazione devastata, «con la porta d'ingresso sfondata, vi fu un fischio dalla porta che conduceva al retro. Una vicina, la signora Niess, aveva percorso lo stretto passaggio fra le case per venire a chiamarci

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e chiederci di seguirla mentre tornava al suo appartamento. Mettemmo dei lacci intorno alle nostre valigie danneggiate e percorremmo il passaggio verso una relativa sicurezza. Tutta­ via, era semplicemente onesto informare colei che ci aveva soccorso dei rischi che stava correndo fornendoci rifugio, e dopo un certo tempo decidemmo di chiedere aiuto alla polizia [...] Non avremmo potuto dare una descrizione dei vandali, dato che ai nostri occhi erano tutti forestieri, probabilmente nemmeno abitanti della nostra città, e ogni argomentazione che sosteneva che il pogrom fosse spontaneo era negato da questo stesso fatto. Come avrebbero potuto sapere, dei fore­ stieri, quali fossero le abitazioni ebraiche, arrivando a Marktbreit? Doveva essere stato organizzato con mesi di anticipo, in attesa di un pretesto ». Era tarda notte quando la signora Brueckheimer si recò con i tre figli dalla polizia a chiedere aiuto e a riferire dell'aggres­ sione. «Ci dissero di andarcene, che il problema non aveva nulla a che fare con loro. Anche questo prova che la polizia ricevette istruzioni con ampio anticipo. Probabilmente fummo una delle poche famiglie che erano ancora abbastanza inge­ nue da credere che la polizia sarebbe stata giusta e imparziale. Vagabondammo per le strade, senza un posto dove andare. Non potevamo tornare dalla signora Niess, perché ciò avreb­ be attirato l'attenzione sul fatto che ci stava dando protezione; la casa del nonno era spalancata e inagibile, e mamma non desiderava tornare al nostro appartamento perché era da sola con tre figli e avrebbe dovuto passare davanti alla porta ab­ battuta della sinagoga. Così, una donna e tre bambini (il più piccolo di soli tre anni) camminavano per le strade deserte e silenziose di Marktbreit più o meno alle undici di sera, por­ tando valigie lacere e legate con dei lacci »,56 Mentre la madre e i suoi tre figli attraversavano la piazza del mercato, «fummo chiamati da qualcuno dalla finestra del terzo piano della casa d'angolo sul lato destro più estremo e ci dirigemmo verso la voce, che era poco più di un bisbiglio. La madre di Heinz Kraemer stava guardando dalla finestra per

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capire se il rumore delle distruzioni fosse finalmente cessato e ci aveva visto attraversare la piazza del mercato. Ci disse di salire nel suo appartamento, e quando arrivammo ci spiegò che là saremmo stati abbastanza al sicuro, perché ritorno che viveva al piano di sotto, che non era ebreo, aveva dichiarato che non avrebbe permesso a nessuno di attraversare il suo appartamento. Questi ci aveva fermato e fatto delle domande, dato che le scale per il terzo piano passavano, per qualche ignoto motivo, attraverso l'alloggio del piano inferiore invece che a fianco di esso. Non riesco a ricordare come trascorrem­ mo la notte lì, ma indubbiamente vi restammo».^' Inge Neuberger, che viveva a Mannheim e aveva otto anni, più tardi ricordò che la sera del 9 novembre « la mia famiglia, che era composta da mio padre, mia madre, mia nonna ma­ terna, mio fratello maggiore e me stava cenando, quando bus­ sarono alla porta. Riesco ancora a rivedere il viso piuttosto colorito di mio padre sbiancare e lo sguardo interrogativo che si scambiarono i miei genitori. Mia madre disse che sareb­ be andata ad aprire e io la accompagnai. C era una donna tedesca che lavorava saltuariamente a casa nostra come do­ mestica. Quando mia madre le chiese cosa volesse, quella rispose che mio padre avrebbe dovuto abbandonare l'abita­ zione il giorno seguente. Ricordo che spiegò che stava per succedere qualcosa, sebbene non sapesse che cosa. E se ne andò in fretta e in silenzio come era arrivata ». Il mattino dopo, quando Inge Neuberger si alzò per prepa­ rarsi ad andare a scuola, aveva « quasi dimenticato quell'epi­ sodio. Mio padre non era a casa, ma andava sempre via molto presto perché la sua fabbrica si trovava fuori città, in campa­ gna, a una certa distanza da Mannheim. Incontrai mio cugino e camminammo insieme verso la scuola. Ricordo che era un percorso abbastanza lungo e che non potevamo prendere il tram, essendo ebrei. Percorremmo un'ampia via pedonale e ci imbattemmo in un 'esercito' di uomini che marciavano in file di quattro o più. Non indossavano uniformi, ma erano vestiti

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come operai. Ciascuno aveva un utensile sulle spalle. Ricordo di aver visto rastrelli, zappe, picconi, ma non fucili. Io e mio cugino osservammo confusi questa sfilata per alcuni minuti. Quindi continuammo a camminare verso la scuola ». Quando si avvicinarono all'istituto, che era vicino alla si­ nagoga, «vedemmo un falò nel cortile di fronte all'edificio. Molti spettatori stavano a guardare i libri di preghiere e, cre­ do, i Rotoli della Torah che bruciavano. Le finestre erano state infrante e il mobilio fatto a pezzi e aggiunto al rogo. Eravamo terrorizzati. Sono abbastanza certa che il corpo dei pompieri fosse presente, ma non fu fatto nessun tentativo di spegnere le fiamme. Tornammo a casa correndo, per dire a mia madre ciò che avevamo visto. Replicò che avremmo lasciato l'apparta­ mento e trascorso la giornata al Luisenpark, un grandissimo parco cittadino. Vi rimanemmo tutto il giorno, spostandoci da un punto all'altro». In seguito all'avvertimento della domestica, il 10 novembre il padre di Inge Neuberger, che la sera precedente era tornato a casa tardi, « era andato a prendere mio zio e un suo amico e si era diretto a Heidelberg in auto. Lì salì sulla collina, quanto più in alto riuscì, e nascose la vettura sotto i cespugli. La strada non procedeva oltre, quindi non poteva essere visto, ma osservando la strada sotto di loro vide un plotone di ss in marcia ». Ritornato a Mannheim, suo padre « passò le sei set­ timane successive nella soffitta del nostro palazzo. Ricevetti severe istruzioni che, nel caso in cui chiunque avesse doman­ dato dove si trovasse mio padre, avrei dovuto dire che non lo sapevo. Mi ricordo quanto questo mi fosse rimasto fortemente impresso ».’’8 La sinagoga principale di Mannheim fu bruciata. La sina­ goga più piccola, antica di duecentotrent'anni, demolita. Rolf Dörmann, un giovane adolescente cattolico, rievocò anni dopo la distruzione della sinagoga principale: « 1 mobili furono sca­ raventati dalle finestre del piano superiore e gli ebrei furono picchiati e costretti a uscire in strada ». Ricordando gli eventi

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trentacinque anni più tardi, « [poteva] ancora sentire il rumore di mobili distrutti e provare ancora vergogna ».59 Margot Wertheim e il fratello minore Kurt - lei undicenne, lui di nove anni e mezzo - vivevano nella piccola città di Fulda. Insieme ricordavano anni dopo che « le finestre del nostro appartamento al pianterreno furono rotte con pietre raccolte dal giardino davanti al palazzo, mentre all'interno noi ci ripa­ ravamo sotto i mobili. Quella notte dormimmo in un ufficio a una certa distanza da casa, poiché i nostri genitori avevano paura di lasciarci dormire a casa. La nostra sinagoga fu rasa al suolo da un incendio. Il giorno seguente nostro padre, Abra­ ham Wertheim, si recò da alcuni amici per discutere la situa­ zione. Mentre si trovava lì, due poliziotti - non la GESTAPO vennero ad arrestare il capofamiglia, nel corso della retata generale di maschi ebrei maggiori di sedici anni. Nostro padre li conosceva dall'infanzia, erano stati amici fino a quel mo­ mento. Gli dissero: 'Abbà, sparisci, non ti abbiamo visto'. Scioccamente, si recò presso un'altra famiglia, cosi come i due poliziotti. A quel punto gli dissero: 'Ci stai rendendo la vita difficile, se ci scoprissero ci troveremmo in serio pericolo, sparisci del tutto, lascia la città'. Così tutti noi, genitori e tre bambini, ce ne andammo a Francoforte, dove non eravamo conosciuti, per stare con dei lontani parenti nel loro apparta­ mento, già stipato di altri parenti in fuga ». Quando la madre di Margot e Kurt ritornò a Fulda da Francoforte dopo la Notte dei cristalli, si trovò di fronte al capo della polizia locale, che conosceva il marito e che - come ricordano i figli - «le domandò: 'Perché suo marito non è venuto da me per evitare la retata?' Mamma rispose: 'Cosa avrebbe potuto fare?' Il capo della polizia: 'Metterlo in prigio­ ne e occuparci di lui'. Gli ebrei in prigione non vennero con­ dotti ai campi di concentramento ».A0 A Fulda viveva anche Manfred van Son. La Notte dei cri­ stalli, come scrisse tempo dopo, « mia madre e io eravamo soli nell'appartamento quando udimmo il rumore di pesanti sti-

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vali dell'esercito sulle scale. I passi si fermarono fuori dalla nostra porta, e io attesi nel buio dall'altra parte, sapendo e temendo ciò che stava per accadere. Con mia sorpresa, tutta­ via, l'atteso bussare alla porta non si verificò mai. Dall'interno sentii gli uomini delle ss consultarsi, quindi decidere che un nome aristocratico come van Son (V son ', come era scritto nella targa sulla porta) non poteva assolutamente appartenere a ebrei. Gli scarponi scesero per le scale. Mia madre e io ave­ vamo ottenuto una breve dilazione ». Il giorno dopo, secondo quanto ricorda Manfred van Son, « presi la mia bici e mi diressi alla nostra sinagoga che stava bruciando, circondata da una folla di spettatori. Mentre stavo lì fermo, qualcuno mi si accostò con esitazione e disse: 'Hau ab' (Togliti dai piedi), e pedalai in città, dove ricordo ancora il suono dei vetri rotti che venivano scopati. Andai a casa, ma lasciai la bici da qualche parte prima di arrivarci. Dissi a mia madre ciò che avevo visto, e arrivarono telefonate da vari componenti della famiglia che volevano sapere se ce l'avessi fatta a evitare la retata e per raccontare di chi era stato arre­ stato o era fuggito ».6I Martin Lowenberg aveva dieci anni. «Dopo essere stati costretti nella primavera del 1938 a trasferirci dal nostro pic­ colo paese, Schenklengsfeld, a Fulda, affittammo un piccolo appartamento, che non era in grado di ospitare sei persone, nel centro della città, vicino al Judengasse, esattamente dietro la sinagoga. Dovevamo sfruttare al meglio la situazione» scrisse tempo dopo. « Dato che tutto sembrava molto comodo, essendo vicino alla scuola, come anche per andare alle funzio­ ni ecc., parve quasi perfetto, a eccezione del 9 novembre, quando entrarono pietre dalle finestre. Le lezioni furono so­ spese immediatamente. Corremmo a casa. Il giorno dopo non riuscivamo a riconoscere la scuola che era accanto alla sina­ goga, e che era in fiamme dietro al nostro appartamento. »62 Oskar Prager aveva nove anni e mezzo e viveva a Furth. In seguito avrebbe ricordato: «Quella notte, alle due circa, fui

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bruscamente svegliato da un uomo in uniforme marrone che riconobbi come un membro delle s a . Mi gridò di alzarmi e vestirmi in fretta. Fui atterrito dal tono della sua voce, e men­ tre mi preparavo lo vidi gettare sul pavimento il mio orologio da polso, che avevo ricevuto per il mio nono compleanno, e ridurlo in briciole con il tacco. Poi lo vidi prendere i miei libri, strapparli e gettarli per la stanza. Non erano libri ebraici, ma normali libri di lettura tedeschi per bambini ». Oskar Prager continua: « 1 miei genitori stavano affannan­ dosi per casa per fare alzare le mie altre tre sorelle, due delle quali erano gemelle e avevano circa un anno e mezzo, mentre la più grande aveva solo quasi quattro anni. C'erano un certo numero di sa nell'appartamento, e poco dopo fummo accom­ pagnati da tutte le camicie marroni giù per le scale, nell'atrio del palazzo. Lasciando l'appartamento vidi che la porta d'in­ gresso in vetro era stata fatta a pezzi e c'erano vetri rotti su tutto il pavimento e il corridoio. A nessuno di noi fu permesso di usare il bagno prima di andarcene ». Fuori in strada faceva « molto freddo e c'era nebbia. Nell'aria c'era odore di bruciato e potevo vedere che il cielo era rossastro. A causa della nebbia, non riuscivo a distinguere chiaramente se stesse bruciando qualcosa in lontananza. Così quattro uomini delle sa ci fecero marciare, due di fianco a noi e due dietro, mia madre spingeva la carrozzina dove si trovavano le gemelle, che stavano pian­ gendo o urlando. Mio padre teneva mia sorella e me per ma­ no. E così giungemmo in un'ampia zona, che in realtà era un capolinea del tram nel centro della città. Mio padre risponde­ va alle mie continue domande con un drastico 'Non parlare', così restammo in silenzio ». Nel tragitto verso il capolinea del tram, aggiunge Oskar Prager, « mi ricordo di aver messo i piedi su dei vetri rotti che c'erano sul marciapiede, e notai anche che molte altre persone stavano camminando o venivano fatte passare verso la stessa area. Una volta giunti là, le sa ci dissero di stare fermi e non muoverci e di rimanere in completo silenzio. Pertanto

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restammo fermi forse per due ore all'aria fredda, nebbiosa, puzzolente. Improvvisamente vidi del movimento, e mi resi conto che venivamo fatti marciare in un altro posto, e quando vi giungemmo mi accorsi che si trattava della scuola superiore locale. Fummo spinti all'interno e fatti stare in piedi o acco­ vacciati sul pavimento. Questa volta, però, vidi che tutti gli uomini non erano più lì, compreso mio padre. Non avevo idea di dove fossero andati tutti ». Erano circa le sei del mattino quando la madre di Oskar « prese per mano mia sorella e me, e con la carrozzina in cui si trovavano le gemelle camminammo insieme verso casa, ma senza nostro padre, che non si vedeva da nessuna parte. All'uscita della scuola un militante delle sa ci disse di non par­ lare con nessuno della nostra esperienza. Non ci volle molto ad arrivare a casa; era ancora buio e c'era nebbia, ma nell'aria l'odore di bruciato era ancora più forte. Le strade erano un mosaico di vetri infranti. Vidi che all'entrata del nostro palaz­ zo qualcuno aveva pitturato le parole 'Juden Raus' (Fuori gli ebrei) sui muri».63 Dopo che a Kehl, città di confine tedesca sulle rive del Reno di fronte alla città francese di Strasburgo, la sinagoga era stata distrutta, fu ordinato agli ebrei di uscire dalle loro case e di marciare in doppia fila nelle strade, « scortati » - secondo il racconto di un quotidiano inglese - « da guardie naziste che li colpivano e li insultavano », mentre i cittadini « si ammassa­ vano sui marciapiedi e sputavano sugli ebrei». Durante la loro marcia, gli ebrei furono costretti a cantare incessantemen­ te: «Abbiamo tradito la madrepatria tedesca. Siamo respon­ sabili dell'assassinio di Parigi ».64 Ebrei condotti a Kehl dai villaggi circostanti furono obbli­ gati a unirsi a questo corteo. Anch'essi vennero insultati dagli abitanti della città, che erano stati chiamati a raccolta per assi­ stere allo «spettacolo» e sputare su di loro al grido di «Ab­ basso gli ebrei » e « Luridi cani ».6'

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Il viaggio in treno da Berlino a Ratisbona durava sei ore. Chava Rechnitz, i cui ricordi della capitale nelle prime ore della giornata erano stati così vividi, compì quel viaggio per tornare a casa. Scrisse: «Trovai il nostro appartamento deserto e cin­ que stanze completamente distrutte, vetri infranti, mobili rot­ ti, persino l'amato pianoforte di mia madre, un Bechstein, era a pezzi. Tuttavia la stanza degli ospiti, la camera dei bambini e la mia cameretta e la cucina e le due stanze dei domestici non erano state toccate ». Grazie all'intervento di una persona non ebrea, la devasta­ zione della casa di Chava Rechnitz a Ratisbona era stata in­ terrotta: « Appresi in seguito che Paula, la nostra capocame­ riera, che lavorava da noi da molto tempo, si era fermata nel mezzo del lungo corridoio e aveva detto alla Gioventù hitle­ riana che il mobilio le apparteneva: glielo aveva regalato mia madre, dato che si sarebbe sposata entro breve tempo. Le credettero, e così ci rimase almeno un posto in cui dormire »-60 A Bayreuth, sede dell'attività in cui si espresse il genio lirico di Wagner - e di spettacoli a cui spesso aveva assistito lo stesso Hitler - furono arrestati sessanta uomini e donne ebrei, e tenuti tutto il giorno in una stalla. Alcuni di loro, secondo quanto riferito dall'Exchange News Agency, « furono scaraventati dalle scale e subirono una commozione cerebra­ le ».6 La sinagoga di Bayreuth, che aveva centottantotto anni, fu demolita. Nella cittadina di Ladenburg, dove l'intemo della sinagoga fu completamente distrutto. Lea Weems - che aveva sei anni ricordava « un forte bussare alla porta. Mio padre aprì e vidi tre nazisti lì in piedi. Sembravano grandi ai miei occhi di bambina e avevano con loro asce, martelli e seghe. Ci spinsero da un lato e cominciarono a distruggere tutto quello che c'era in casa. Naturalmente non capii cosa stesse accadendo, e i miei genitori cercarono di proteggere me e mia sorella. Quan­ do tutto fu fatto a pezzi, spinsero mio padre e mio nonno per le scale. Io gridavo e mi appesi alla manica di mio padre, tentando di trattenerlo. Vidi una fila di uomini fermi per stra-

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da - erano stati arrestati - e mio padre e mio nonno vennero portati via con gli altri. Mia madre, mia sorella e io non era­ vamo più in condizione di poter vivere a casa, e dei vicini ci ospitarono e dormimmo sul pavimento di casa loro. Questo è il mio ricordo, molto chiaro, della Notte dei cristalli. In seguito venni a sapere che gli uomini erano stati condotti a Da­ chau w.68 A Glatz, una città della Slesia a ottanta chilometri da Bre­ slau, viveva una piccola comunità ebraica. Ruth Prager, che all'epoca aveva dieci anni, descrisse in seguito il mattino del 10 novembre: « Camminai in direzione della scuola come al solito, passando vicino ad alcuni negozi distrutti e vedendo la sinagoga che bruciava sullo sfondo, ma non riflettei su questi fatti. Al mio arrivo a scuola, la mia insegnante mi prese da parte e mi consigliò di andare a casa e che poi avrebbe parlato con mia madre. Me ne andai piangendo, perché pensai di essere stata espulsa per aver fatto qualcosa di male. Sembra che al mio ritorno a casa i miei genitori iniziarono a rendersi conto di quanto stava succedendo quel giorno. Nel pomerig­ gio, stavo giocando con il mio migliore amico non ebreo quan­ do mio padre entrò nella mia stanza accompagnato da due uomini, mi baciò e mi salutò, ma ero talmente concentrata nei miei giochi che alzai a malapena lo sguardo. Fortunatamente, mia madre riuscì a liberare papà dalla prigionia dopo un paio di giorni, ma per lui la tensione fu eccessiva e due settimane dopo fu vittima di un infarto: morì nel febbraio del 1939 ».69 La diciassettenne Margot Schwarz viveva nella piccola città di Horb. Il 9 novembre era il compleanno del padre. Quella sera lei rimase a casa con il nonno, mentre i genitori trascorsero la serata con alcuni amici. « I miei genitori tornarono a casa pri­ ma del solito, papà era pallido: vom Rath era morto, le conse­ guenze non sarebbero state positive. »>La ragazza andò a dor­ mire. Non seppe se i genitori riuscirono a prendere sonno quella notte. « Mi svegliai a causa dei vetri rotti. Dalle finestre volavano dentro delle pietre, provocando qualsiasi genere di

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danni nelle camere. Papà aveva l'hobby dei cactus, disposti sulle finestre. Vennero usati come bersaglio. » Di fronte alla casa di Margot Schwarz si trovava il negozio del padre. « Vi fecero irruzione. Balle di stoffa erano sparpagliate per la stra­ da. » Il racconto di Margot Schwarz continuava: « Al mattino, molto presto, vennero ad arrestare mio padre. Lasciarono ri­ manere a casa il nonno. Aveva oltre ottant'anni. Horb era una città piccola, tutti si conoscevano. Mio padre e l'uomo che lo arrestò erano cresciuti insieme. Avevano anche combattuto insieme durante la Prima guerra mondiale. Uno di loro, addi­ rittura, si scusò: 'Mi dispiace, ma questo è un ordine'. È ciò che dicevano sempre. Più tardi vedemmo un gruppo di uomini del Consiglio della comunità ebraica che venivano condotti alla stazione di polizia ».7agosto 2005. 35 A rthur Flehinger , « Flames of Furv »► , Jewish Chronicle, 9 novembre 1979. 36 Joan L essing , lettera all'autore, 15 giugno 2005. 37 R uth G utm ann (nome da nubile: H erskovits), Il cappio nazista si

stringe, dattiloscritto, inviato all'autore il 28 giugno 2005. 38 Lore O ppenheimer (nome da nubile: P els), lettera all'autore, 6 luglio

2005. 39 10 novembre 1938, resoconto di I lse G utmann (nome da nubile: W er­ theimer ), inviato all'autore dal figlio Benjamin Gutmann, 14 giugno 2005. 40 H en ry H. H u t t e n b a c h , The Destruction of the Jewish Community at Warms, 1933-1945, New York, 1981, pp. 142-143. 41 A dolf D iamant , Zerstörte Synagogen vom November 1938, p. 226. 42 R uben M oller , Breve storia della famiglia Moller, manoscritto inviato all'autore, 29 giugno 2005. 43 A dolf D iamant , Zerstörte Synagogen vom November 1938, p. 26.

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44 Memorie di

E d it h F o r r e s t e r (nome da nubile: W e l k e m e y e r ), in B e r t h a L e v e r t o n , S h m u e l L o w e n s o h n , I Carne Alone: The Stories

of the Kindertransports, pp. 94-95. 45 S t e p h e n N i c h o l l s , Un'eroica presa di posizione nella notte fra il 9 e il 10

novembre 1938,

m a n o s c ritto .

46 H enry S tern , lettera all'autore, 4 giugno 2005. 47 E d i t h Rogers (nome da nubile: T r z e c i a k ) , lettera all'autore, 28 giu­ gno 2005. 48 E d i t h R o g e r s , No childhood, p. ih . 49 B a t y a R a b in (n o m e d a n u b ile : E m a n u e l ) , Amichevoli stranieri, o sra­

dicati, ma non senza radici, d a ttilo s c ritto . A d o l f D ia m a n t , Zerstörte Synagogen vom November 1938, pp. 29-31. H a n s B e n ja m in M a r x , Racconti dall'altra parte. Crescere da ebreo nella Germania nazista, m a n o s c ritto . 52 R.T. S m a l l b o n e s , relazione del 12 novembre 1938, Foreign Office, fo 371/21637. 53 J o s e p h W o h l f a r t h , Un'istantanea degli eventi così come li ricordo, a p ­ 50 51

p u n ti p e r u n d isc o rso .

54 R e in e r J. A u m a n , Kristallnacht, discorso tenuto il 9 novembre 1988. 55 « Extent of German Pogrom », Manchester Guardian, 18 novembre 1938. 56 L a ss a r B r u e c k h e im e r , m e m o rie in e d ite , a lle g a te a lla le tte ra a ll 'a u ­ to re , 5 g iu g n o 2005. 57 Ibid. 58 J a n e t E t t e l m a n (nome alla nascita: I n g e N e u b e r g e r ) , lettera all'au­ tore, 15 giugno 2005.

59 Relazione di una conversazione con Rolf Dörmann (avvenuta nel 1973), ricordata dal dottor Stephen Nicholls; lettera all'autore, 7 luglio 2005. 60 M a r g o t YVo h l m a n n (nome da nubile: W e r t h e im ), N a f t a l i (K u r t ) W e r t h e im , lettera all'autore, 9 giugno 2005. 61 S a l o m o n v a n S o n , The van Son Family, Gerusalemme, 1991, stampato privatamente, p. 105. 62 M a r t i n L o w e n b e r g , lettera all'autore, 24 settem bre 2005. 63 O s k a r P r a g e r , lettera all'autore, 6 giugno 2005.

64 « Here is what Happened in Other Towns », Daily Herald, 11 novembre 1938. 65 «Jews Marched in Streets», News Chronicle, 11 novembre 1938. 66 C h a v a C o h n (nome da nubile: R echnitz ), lettera all'autore, 3 giu­ gno 2005.

67 «Here is What Happened in Other Towns», Daily Herald, 11 novem­ bre 1938. 68 L ea W e e m s , lettera all'autore, 9 agosto 2005.

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KR

69 R u th ewiN (nome da nubile: P ra g e r), lettera all'autore, 19 giugno 2005. 70 M argot W ilde (nome da nubile: S chwarz ), memorie scritte nel novembre del 1980, inviate all'autore il 5 giugno 2005. 71 F ra e n ze V an so n (nome da nubile: H irsch), lettera del 15 marzo 1939. Archivio di Dorothea Shefer-Vanson (figlia di Fraenze Vanson). F red erick T a y lo r, Dresden: Tuesday 13 February 1945, pp. 69-75. •«Through Fire and Water», Ha'aretz (edizione inglese), 17 giugno 2005 (raccontando delle inondazioni a Dresda).

74 Salmo 74, 7-8. 75 G ü n th e r D eschner, Heydrich: The Pursuit of Total Power, p. 157.

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La Notte dei cristalli fu il culmine di oltre cinque anni e nove mesi di discriminazioni e persecuzioni. Fin dai primi giorni del regime hitleriano, in Germania si susseguirono con inquie­ tante frequenza misure antiebraiche. Il mezzo milione di ebrei residenti in Germania, che costituivano soltanto lo 0,76 per cento della popolazione del paese, erano stati identificati dalla macchina della propaganda nazista come il nemico interno, la causa della sconfitta della nazione nel 1918 e delle sue conse­ guenti difficoltà economiche. Come capro espiatorio, gli ebrei erano vulnerabili. La loro prominenza in molti campi della vita scientifica e professionale tedesca li rese oggetto - nono­ stante il loro numero limitato - di un'invidia che i nazisti accesero con abilità e in modo esplosivo. A dispetto del pro­ fondo patriottismo degli ebrei tedeschi nel corso della Prima guerra mondiale - quando ne furono uccisi dodicimila in combattimento - l'ideologia nazista li presentò come imbosca­ ti sleali e parassiti sul corpo politico tedesco. In Germania le comunità ebraiche risalivano a mille anni addietro. Nei cinquant'anni precedenti l'ascesa al potere di Hitler, gli ebrei tedeschi si erano completamente integrati nel­ la vita e nella cultura germanica. Erano fieri di essere tedeschi, sconcertati di essere additati come una presenza malvagia, e fiduciosi che gli eccessi del nazismo dovessero mitigarsi e venir meno grazie a un naturale processo di evoluzione. La persecuzione antiebraica ebbe inizio fin dai primi giorni del regime nazista. Allo stesso tempo cominciarono le mani­ festazioni di coraggio di tedeschi non ebrei che intendevano

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prendere posizione contro l'antisemitismo. Il primo momento di prova si verificò a Berlino il l u aprile 1933, due mesi dopo l'ascesa al potere di Hitler, durante una giornata di boicottag­ gio di tutti i negozi ebrei. Decine di migliaia di passanti assi­ stettero alla prima umiliazione pubblica degli ebrei di Germa­ nia quando l'ingresso dei loro negozi venne sbarrato da mem­ bri delle s a . Quando Julie Bonhoeffer, la nonna novantenne del pastore Dietrich Bonhoeffer - il quale sarebbe stato giu­ stiziato dai nazisti poco prima della fine della guerra -, vide il cordone di sa in uniforme e di giovani hitleriani che impedi­ vano l'accesso a un negozio di proprietà ebraica a Berlino, si fece strada tra loro oltrepassandoli, entrò nel negozio e fece i suoi acquisti. Era decisa a dimostrare la propria solidarietà nei confronti dei perseguitati e la sua noncuranza rispetto a una possibile ritorsione. « Il cordone si ritirò per lasciarla passare » scrive Mary Bosanquet, la biografa di Bonhoeffer. « Il suo viso espressivo e distinto bastò a esprimere in modo inequivoca­ bile i suoi pensieri. »1 Ad Aachen, che contava una popolazione ebrea di oltre un migliaio di persone, e dove molti dei cittadini erano avversi alla politica nazista, ebbe luogo una «rara dimostrazione» contro la persecuzione degli ebrei, una settimana dopo il boi­ cottaggio.2 Nel corso del 1933 il governo tedesco emanò quarantadue leggi che limitavano i diritti degli ebrei tedeschi nelle attività lavorative, nel godimento della piena cittadinanza e nell'istru­ zione. La più draconiana di queste, promulgata il 7 aprile - sei giorni dopo il boicottaggio di Berlino - fu una legge « per la riorganizzazione della pubblica amministrazione». In essa si proibiva agli ebrei di lavorare in qualsiasi ramo della pubblica amministrazione, attività che dovevano abbandonare imme­ diatamente. Il settore comprendeva scuole e università. Come reazione al licenziamento di tutti i docenti universitari ebrei, in Gran Bretagna si costituì un Academic Assistance Council, che aprì un fondo d'emergenza al fine di trovare posizioni

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universitarie e aiuto finanziario per gli studiosi destituiti. Nel­ le parole della sua segretaria, Tess Simpson, la finalità del Council era «di salvare gli accademici profughi».3 Nei primi tre anni di attività, il fondo di emergenza aiutò milletrecento accademici ebrei tedeschi che erano stati licen­ ziati a trovare un impiego professionale stabile. I quaccheri (la Società religiosa degli amici) furono attivi nell'assistere gli insegnanti ebrei di Germania - anch'essi congedati secondo la legge del 7 aprile 1933 - a trovare lavoro in Gran Bretagna. Nel 1934 Ludwig Rosenberg di Berlino fu tra coloro che ven­ nero invitati dai quaccheri a insegnare in Inghilterra: vi si recò con la moglie e la figlia di due anni e mezzo.4 Analogamente, negli Stati Uniti un Emergency Committee for Aid to Displa­ ced German Scholars consentì di lavorare a studiosi ebrei che vi si erano rifugiati, con l'aiuto della Fondazione Rockefeller.5 Anche il governo turco accolse studiosi ebrei fin dai primi anni della dominazione nazista. Alla fine del 1933 Philip Schwarz, che era nato in Ungheria ed era stato licenziato dalla cattedra di patologia all'università di Francoforte poiché era ebreo, fu invitato a istituire una scuola di medicina presso l'università di Istanbul. Schwarz accettò, lavorando quindi per vent'anni come responsabile dell'istituto di patologia.6 In Gran Bretagna molte scuole si sforzarono di accogliere giovani ebrei tedeschi. Alla King's School di Taunton il presi­ de, il dottor R.D. Reid, trovò un posto per Kurt Abrahamsohn, originario della città portuale baltica di Stettino. Abrahamsohn (poi divenuto Kenneth Ambrose) ricordava che il dottor Reid « considerò come un suo dovere quello di prendersi cura di me, facendo le veci dei miei genitori». Presidi, direttrici scolastiche e insegnanti in tutta la Gran Bretagna si compor­ tarono analogamente. A Stoatley Rough, a sud di Londra, fu aperta una scuola istituita specificamente per figli di profughi ebrei tedeschi. La presidente del consiglio di amministrazione era un'eminente quacchera, Bertha Bracey. La direttrice, la dottoressa Hilda Lion, lei stessa rifugiata ebrea, tornò parec-

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chie volte in Germania nel 1933 e 1934 per trovare ragazze da riportare con sé oltremanica.8 L'oppressione esercitata sugli ebrei di Germania fu continua. Nel corso del 1934 il governo tedesco promulgò diciannove ulteriori leggi discriminatorie. Come protesta parecchi gruppi ebraici e non al di fuori della Germania istituirono un boicot­ taggio economico sui prodotti tedeschi. A maggio di quell'an­ no, Goebbels imputò agli ebrei di Germania la responsabilità del boicottaggio. Nel 1935 le autorità tedesche emisero altre ventinove leggi discriminatorie. Quelle più dure furono le leggi di Norimberga, « per la protezione del sangue e dell'o­ nore tedesco». Firmate personalmente da Hitler, tali leggi proibivano il matrimonio e le relazioni sessuali extraconiugali tra ebrei e non ebrei. Un'altra legge introdotta poco dopo quelle di Norimberga stabilì una nuova definizione di cittadinanza tedesca: nessun ebreo, e nessuno che fosse di « discendenza ebraica » avrebbe potuto essere cittadino germanico. Poco tempo dopo, agli ebrei non fu più permesso di usufruire dei benefici finanziari del fondo di beneficenza Wintherthilfe, al quale fino a quel momento avevano contribuito e di cui avevano usufruito. Per alcuni viaggiatori che si recarono in Germania dopo il 1933 la naturale reazione di fronte all'abominio del nazismo consistette nell'esprimere disprezzo nei confronti della perse­ cuzione nazista degli ebrei. Lord Drogheda, che si recò in Baviera nel 1935 in luna di miele, si spacciò per ebreo « al fine di essere scacciato da un ristorante che esibiva vistosamente l'indicazione 'luden hier Unerwünscht' (Qui non si accettano ebrei) ».9 Fra coloro che assistettero alla persecuzione degli ebrei in quei primi anni vi fu anche il principe Filippo di Grecia, unico figlio maschio del principe Andrea di Grecia e pro-pro-nipote della regina Vittoria. Questi ricordò in seguito come, all'età di dodici anni, fece «esperienza diretta della follia antisemitica

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che aveva colto i membri del Partito nazionalsocialista tedesco in quei giorni. Mi ero appena trasferito da una scuola pubblica in Inghilterra per frequentare il collegio di Salem, nel Sud della Germania, che apparteneva a uno dei miei cognati. Il fondatore della scuola, Kurt Hahn, era già stato mandato via dalla Ger­ mania a causa della persecuzione nazista e questo fatto era ben noto in tutto l'istituto. Era usanza del collegio che un ragazzo più grande ricevesse l'incarico di prendersi cura dei nuovi arrivati. Non ne ero consapevole all'epoca, ma si dava il caso che il nuovo 'aiutante', come veniva chiamato, fosse di origine ebraica. Una notte fu bloccato nel suo letto e gli vennero tagliati tutti i capelli. Potete immaginare che effetto facesse a noi ra­ gazzi più piccoli. Nulla avrebbe potuto fornirci un'indicazione più chiara del significato di persecuzione. Per combinazione, io avevo giocato a cricket per la mia scuola in Inghilterra, e avevo ancora con me il mio berretto da cricket. Lo offrii al mio aiutante. Mi fece piacere vedere che lo indossò ».10 A Berlino il pastore Heinrich Griiber, decano della Chiesa protestante della capitale, nel 1935 allestì un'operazione di salvataggio, organizzando itinerari di fuga per gli ebrei al fine di far loro attraversare il paese e fuggire in Olanda. Agli ebrei che lo utilizzarono per abbandonare la Germania, il servizio divenne noto come «Grùber Office». «Di giorno il valoroso ecclesiastico predicava contro l'azione politica di Hitler nei confronti degli ebrei, di notte attivava delle vie di fuga per gli ebrei stessi » scrisse Henry Walter Brann in occasione del venticinquesimo anniversario dello scoppio della Seconda guerra mondiale, quando Grùber fu fatto cittadino onorario di Berlino." Nella stessa città viveva anche la contessa Maria von Maltzan. Uno dei suoi fratelli militava nelle ss. Quando Hitler impose misure sempre più repressive contro gli ebrei - ci furono altre ventiquattro leggi dirette esclusivamente contro di loro nel 1936, e altre ventidue nel 1937 - la contessa prese contatti con membri della Chiesa protestante svedese a Berli­ no, che in segreto stavano sistematicamente favorendo la fuga

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degli ebrei fuori dalla Germania. Falsificò permessi di espa­ trio, registri di tessere alimentari e altri documenti ufficiali e guidò fuori da Berlino alcuni camion per il trasporto della verdura pieni di rifugiati. 1 suoi modi rilassati e aristocratici la aiutarono a ingannare gli ufficiali e la GESTAPO, che spesso la chiamò per interrogarla.12 Fra l'ascesa al potere di Hitler, nel gennaio del 1933, e lo scoppio della guerra, nel settembre del 1939, la politica tede­ sca mirò a incoraggiare l'emigrazione ebraica. Sia gli Stati Uniti sia la Gran Bretagna possedevano quote di immigrazio­ ne nei cui limiti furono in grado di offrire ospitalità a un gran numero di ebrei tedeschi. Durante questo periodo, gli Stati Uniti ne accolsero di gran lunga il numero maggiore: quasi duecentomila, come risultato della loro quota di venticinquemila immigranti tedeschi all'anno, stabilita da tempo. Dopo gli Stati Uniti, la Gran Bretagna ne assorbì il maggior numero: più di sessantacinquemila nello stesso lasso di tempo di sei anni. Stati Uniti e Gran Bretagna insieme offrirono rifugio a oltre la metà di tutti gli ebrei tedeschi che vivevano in Germa­ nia nel gennaio del 1933. Il mandato britannico in Palestina svolse funzioni ugual­ mente ricettive. Fra il gennaio del 1933 e il marzo del 1938 furono accordati certificati di emigrazione in Palestina a più di trentacinquemila ebrei tedeschi. A seguito dello scoppio della Grande rivolta araba del 1936, tuttavia, furono imposte alcune restrizioni, al fine di non esacerbare lo stato d'animo degli arabi. Negli otto mesi intercorsi tra l'agosto del 1937 e il marzo del 1938 l'ingresso in Palestina fu permesso soltanto a ottomi­ la immigranti ebrei. Da aprile a settembre del 1938 ne furono ammessi unicamente tremila. Diplomatici di stanza in Germania furono al centro di nu­ merosi sforzi per salvare i perseguitati. Nel 1938 il console generale inglese di Monaco, John Carvell, rilasciò certificati per il mandato britannico in Palestina che portarono alla libe­ razione di trecento uomini ebrei detenuti nel campo di con-

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centramento di Dachau che erano stati accusati di «contami­ nazione razziale».13 Anche mentre l'emigrazione di ebrei tedeschi accelerava, il numero di ebrei all'interno dei confini della Germania aumen­ tava drammaticamente. Il 12 marzo 1938 truppe tedesche fe­ cero il loro ingresso a Vienna, e il giorno seguente l'Austria fu annessa alla Germania. Altri 183.000 ebrei si trovarono sotto la dominazione nazista. In aggiunta a quegli ebrei che si trova­ vano ancora in Germania, ciò equivaleva a quasi mezzo mi­ lione di persone in cerca di asilo. A poche ore dall'annessione tedesca, aggressioni antisemite scoppiarono in tutta l'Austria. Leo Spitzer, figlio di ebrei viennesi che in seguito emigrarono in Bolivia, ascoltò spesso i loro ricordi e quelli dei loro amici a proposito dello stato d'animo che regnava a Vienna dopo l'annessione: «Visti! Co­ minciammo a vivere di visti giorno e notte. Quando eravamo svegli, eravamo ossessionati dai permessi per l'espatrio. Ne parlavamo tutto il tempo. Permessi di espatrio. Permessi di transito. Permessi di ingresso. Dove potevamo andare? Du­ rante il giorno tentavamo di ottenere i documenti appropriati, le ratifiche, i timbri. La notte, nel letto, ci giravamo da una parte all'altra e sognavamo lunghe code, funzionari, permessi. Visti ».14 In Germania, nel giorno dell'annessione dell'Austria, una delle trentotto leggi discriminatorie contro gli ebrei emanate quell'anno - leggi che, da allora in poi, sarebbero state appli­ cate anche agli ebrei austriaci - negava ogni riconoscimento giuridico a tutte le associazioni ebraiche, religiose e laiche. Il 13 marzo, giorno dell'annessione tedesca dell'Austria, il presidente Roosevelt chiese che si aumentasse la quota d'im ­ migrazione per i tedeschi. Come conseguenza di tale richiesta, il 24 marzo i membri del Congresso Emanuel Celiar (demo­ cratico, New York) e Adolph Sabath (democratico, Illinois) presentarono un progetto di legge «per assicurare a certi im­ migrati accesso legale per risiedere a tempo indefinito negli

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Stati Uniti ». Il progetto di legge fu inoltrato al Comitato in­ terno per rimmigrazione e la naturalizzazione, ma non si procedette in alcun modo su di esso: in gergo congressuale, « morì nel Comitato ».15 A seguito dell'annessione dell'Austria alla Germania, tutte le funzioni di ambasciata estera a Vienna furono trasferite a Berlino, lasciando nella precedente capitale solo i consolati. 11 numero due della delegazione cinese a Vienna, il dottor Feng Shan Ho, fu nominato console generale con un personale mol­ to ridotto. Conosceva i pericoli a cui andavano incontro gli ebrei a Vienna. In un'occasione era stato trattenuto in un caffè sotto la minaccia delle armi, mentre le camicie marroni in uniforme cercavano di catturare gli ebrei per picchiarli. Perché le autorità tedesche consentissero agli ebrei di la­ sciare la Germania o l'Austria era richiesto un certificato di emigrazione: un biglietto di nave o un permesso di soggiorno in un altro paese. Il dottor Ho fornì dei permessi. Con quelli, gli ebrei potevano partire per la Cina. Molti di loro, dopo aver raggiunto un porto tedesco o italiano come risultato dell'im­ pegno di Ho, proseguirono per la Gran Bretagna o gli Stati Uniti. Almeno quattrocento andarono in Palestina. Il maggior numero si recò nella città cinese di Shanghai, che, all'epoca, era in parte soggetta all'occupazione giapponese, in parte af­ fidata a un'amministrazione intemazionale (principalmente inglese, francese e italiana). Adv Bluds fu una delle persone che beneficiarono dei per­ messi di soggiorno di Ho. Con altri quattro componenti della famiglia la donna lasciò in treno l'Austria per la Gran Breta­ gna, quindi navigarono da Southampton a Shanghai. Furono aiutati in questa impresa sia da Ho sia da un cittadino svizze­ ro, William Seiler, direttore dell'ufficio dell'American Express a Vienna. Fu Seiler che acquistò per loro i cinque biglietti della nave. Ady Bluds commentò: « Se non fosse stato per Feng Shan Ho e William Seiler, non saremmo riusciti a sfuggire all'Olo­ causto che seguì, proprio come, con mio amaro rimpianto, non vi sfuggirono i miei genitori e molti parenti ».l6

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Il dottor Ho continuò a rilasciare visti e permessi di sog­ giorno, nonostante una pressione crescente per fermarlo da parte del suo superiore, l'ambasciatore cinese a Berlino. L'am­ basciatore, ansioso di conquistarsi i favori del governo tede­ sco, inviò un rappresentante a Vienna per fare rapporto sul mancato rispetto delle istruzioni da parte del dottor Ho, e quindi fece sì che una « nota di demerito » fosse posta sul suo curriculum di diplomatico. Monto, il figlio di Ho, che a quel tempo aveva undici anni, si trovava con suo padre a Vienna. Più tardi raccontò a sua sorella, che nacque dopo la guerra, di « un uomo che aspettava in fila fuori dal consolato cinese che si rese conto di non avere la possibilità di entrare prima che l'ufficio chiudesse. Veden­ do giungere un'auto consolare, gettò la sua domanda dentro al finestrino aperto». Nella macchina c'era il dottor Ho. La settimana successiva, l'uomo che aveva richiesto il visto rice­ vette un biglietto: « Il suo visto è pronto, è pregato di venire a ritirarlo ».*' Un altro diplomatico che si adoperò attivamente per acce­ lerare la fuga degli ebrei dalla Germania fu il capitano Frank Foley, ufficiale di controllo dei passaporti inglesi a Berlino e agente segreto britannico. Nel giugno del 1938, riferendo delle tribolazioni degli ebrei tedeschi al ministero degli Esteri di Londra, Foley scrisse: «Tanto a Berlino quanto in altre parti della Germania ci sono state ricerche per trovare e arrestare ebrei, di casa in casa; è stata fatta irruzione nei caffè e gli ebrei sono stati fatti uscire anche dalle sale cinematografiche, così che potessero essere imprigionati in campi di concentramen­ to. A Berlino i metodi di persecuzione sono stati particolar­ mente severi ». Foley aggiunse: « Non è un'esagerazione affer­ mare che è stata data la caccia agli ebrei come a dei topi nelle loro stesse case e, per paura di essere arrestati, molti di loro dormono a un indirizzo diverso durante la notte».18 Foley aiutò parecchie migliaia di ebrei tedeschi a partire per la Pa­ lestina fra il 1936 e lo scoppio della guerra. Il suo biografo ha fatto una stima di diecimila persone.,l)

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I perseguitati che desideravano lasciare il paese spesso do­ vevano utilizzare metodi di fuga complicati. Foley prese parte a tali strategie di fuga e le incoraggiò attivamente. Sabina Comberti raccontò che, quando fu chiaro che suo padre. Faspirante ceramista Wolfgang Meyer-Michael, non avrebbe po­ tuto raccogliere le mille sterline necessarie per un certificato «capitalista» - il requisito più comunemente richiesto per l'emigrazione in Palestina -, Foley suggerì di reperire il dena­ ro tramite qualcuno che lo garantisse. « Ottenga semplicemen­ te una promessa - non deve necessariamente usarla» fu il commento di Foley. « Mio padre allora fece visita a un cugino in Olanda, che comprese il dilemma. Stesero due documenti. In uno il cugino promise che avrebbe prestato a mio padre mille sterline quando/se ne avesse avuto bisogno. In un se­ condo documento, mio padre dichiarò nullo il primo e pro­ mise di non fame uso. Naturalmente il signor Foley sapeva che questo era un sotterfugio, ma procurò immediatamente i visti. »20 Anche il consigliere dell'ambasciata inglese a Berlino, Sir George Ogilvie Forbes, aiutò ad accelerare l'emigrazione degli ebrei tedeschi. In seguito John Schnellenberg scrisse dalla Nuova Zelanda: « Mio padre, Rudolph Schnellenberg, era ca­ po del servizio di manutenzione di un rivenditore di auto Ford a Berlino. Uno dei suoi clienti era Sir George Ogilvie Forbes, consigliere presso l'ambasciata britannica. Un giorno, nel 1938, Forbes si recò da mio padre e gli disse che sarebbe stato opportuno portare la famiglia al di fuori della Germania al più presto possibile. Inoltre, Forbes si assunse la responsa­ bilità di fornire la documentazione necessaria per qualsiasi paese dell'impero britannico che i miei genitori avessero scel­ to. Così, accadde che scelsero la Nuova Zelanda, le carte fu­ rono debitamente fornite, e noi tre arrivammo sani e salvi a New Wellington il 28 marzo 1939. Nessuno dei miei tre nonni allora in vita potè fuggire, né la sorella di mia madre, e mori­ rono tutti ».21 A Vienna uno studente ebreo dell'Accademia diplomatica,

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George Weidenfeld, e sua madre ottennero un colloquio con il capitano Kendrick, l'ufficiale di controllo dei passaporti ingle­ si. « Proprio mentre stava per concludere il colloquio con un'e­ spressione triste e stringendosi nelle spalle » scrisse in seguito Weidenfeld, « mia madre crollò e cominciò a singhiozzare. Il capitano Kendrick si addolcì e mi concesse il più inconsistente di tutti i permessi: l'autorizzazione a entrare in Inghilterra per un periodo di tre mesi, in transito per una destinazione fina­ le. » Era sufficiente. Un mese più tardi Weidenfeld prese il treno per la Svizzera, nel suo viaggio verso la Gran Bretagna, dove era destinato a una brillante carriera di editore. « Dopo le urla e la tracotanza delle guardie naziste, l'imperturbabilità della polizia di confine svizzera fu un sollievo» disse riferen­ dosi al momento in cui attraversò il confine dalla Germania alla Svizzera. « A Zurigo trascorsi la prima giornata di totale libertà in un caffè vicino al lago, ascoltando musica militare svizzera. Pareva un suono celestiale dopo i duri, sincopati toni degli inni delle ss o le marce militari prussiane, suonate dalle bande austriache con esagerato ardore. »22 In Gran Bretagna, molte famiglie diedero una mano ai ri­ fugiati. A Grantham, Muriel Roberts manteneva una corri­ spondenza con un'amica ebrea austriaca di nome Edith. La sorella di Muriel, Margaret (poi divenuta Margaret Thatcher) rievocò come, dopo l'occupazione tedesca dell'Austria, « il padre di Edith, un banchiere, scrisse al mio, chiedendogli se avremmo potuto accogliere sua figlia, dato che egli prevedeva chiaramente la piega che stavano prendendo gli eventi. Noi non avevamo né il tempo - dovendoci occupare dei negozi né il denaro per accettare da soli una simile responsabilità; ma mio padre ottenne il supporto dei Rotariani di Grantham per la proposta, e Edith venne ospitata a turno da ciascuna delle nostre famiglie, fino a quando non andò a vivere con dei parenti in Sud America. Aveva diciassette anni, era alta, bella, ben vestita, chiaramente di famiglia agiata, e parlava un buon inglese. Ci raccontò cosa significasse vivere da ebrea sotto un regime antisemita. Una cosa che Edith riferì rimase partico-

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larmente impressa nella mia mente: disse che agli ebrei face­ vano spazzolare le strade».23 Un altro futuro primo ministro inglese, Harold Macmillan, diede rifugio a un certo numero di profughi ebrei, come con­ fermò tempo dopo il suo primo segretario privato: « Diede loro in prestito una casa nella sua proprietà».24 Il 6 luglio 1938 si aprì una conferenza internazionale a Evian, sulle sponde del lago di Ginevra, per discutere la futura accoglienza dei rifugiati. All'epoca, più di 250.000 ebrei avevano già abbandonato la Germania e l'Austria. Il gruppo più nu­ meroso, fino ad allora 155.000, era stato fatto entrare negli Stati Uniti. 11 governo britannico ne aveva già ammessi 40.000 e ulteriori 8000 in Palestina. La Francia ne aveva accolti 15.000, il cui destino sarebbe stato nuovamente incerto nel giro di pochi anni, quando la Francia fu sconfitta dalla Ger­ mania. Molti, allora, sarebbero stati tratti in salvo una seconda volta, grazie al coraggio di uomini e donne francesi che li nascosero. La Svizzera aveva accolto oltre 14.000 persone, che sarebbero sopravvissute alla guerra grazie alla neutralità svizzera.2^ Più di 300.000 ebrei tedeschi e austriaci stavano ancora cercando un rifugio sicuro. Mentre cresceva il numero di ebrei che tentavano di andarsene, crebbero anche le limitazioni con­ tro di loro: sia la Gran Bretagna sia gli Stati Uniti resero più rigide le regole di ammissione degli immigrati. Quattro paesi latinoamericani, l'Argentina, il Cile, l'Uruguay e il Messico, adottarono leggi che limitavano severamente il numero di ebrei che potevano entrare; nel caso del Messico, il limite consisteva in cento persone all'anno. La Repubblica d'Irlanda rifiutò di accogliere qualsiasi profugo. Il rappresentante del­ l'Australia, il colonnello Thomas White - membro del consi­ glio dei ministri - dichiarò: « [...] poiché noi non abbiamo reali problemi razziali, non desideriamo importarne uno tramite l'incoraggiamento di qualsiasi piano di immigrazione stranie-

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ra su larga scala ».26 Quell'anno, l'Australia accolse 1556 pro­ fughi ebrei, un migliaio in più rispetto all'anno precedente. A Berlino il capitano Foley raddoppiò gli sforzi per accele­ rare l'emigrazione ebrea verso la Palestina. Un ebreo tedesco, Simon Wertheimer, ricordò tempo dopo come suo padre, Eliezer Leopold W'ertheimer, fosse stato imprigionato nel 1937 «sulla base di una fragile imputazione, per privarlo del so­ stentamento che gli dava la sua attività di commerciante tes­ sile». Fu condannato a un anno di prigione, da scontare a Norimberga. « Poiché nel 1937-1938 i nazisti avevano l'abitu­ dine di trasferire nei campi di concentramento i prigionieri ebrei rilasciati, a mia madre fu vivamente consigliato di otte­ nere dei permessi di espatrio per la Palestina. Tutti i suoi sforzi tramite associazioni di assistenza ebraiche e presso il consolato britannico, direttamente coinvolto nella pratica, non furono di alcuna utilità. » Poi un'organizzazione assistenziale ebraica la indirizzò al capitano Foley, che le preparò un certi­ ficato palestinese « per il bene del bambino », come disse Foley stesso alla madre di Simon Wertheimer.2 Quell'estate il Mossad, il braccio segreto dell'Haganah - la forza di difesa dell'ebraismo palestinese - decise di accelerare l'emigrazione « illegale» degli ebrei tanto dall'Austria quanto dalla Germania, ignorando le restrizioni e le condizioni poste dalla Palestina britannica. Un agente segreto del Mossad, Pino Ginsberg, si recò a Berlino, dove ottenne il permesso della G e st a p o sia di risiedere nella città sia di organizzare gruppi di giovani ebrei che emigrassero in Palestina, nonostante questi non possedessero certificati palestinesi. Un secondo agente del Mossad, Moshe Bar-Gilad, andò a Vienna, dove condusse le trattative con Adolf Eichmann, il capitano delle ss che era stato posto a capo dell'Ufficio centrale per l'emigrazione ebraica. Eichmann propose di allestire centri di addestramento al­ l'agricoltura e strutture per giovani ebrei austriaci, che quindi sarebbero stati portati dal Mossad in Palestina « illegalmente », senza i permessi britannici necessari. All'epoca della Notte dei

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cristalli, un migliaio di giovani ebrei si trovava in queste fat­ torie, attendendo il momento del loro viaggio clandestino.28 Il destino della principale sinagoga di Monaco prima della Notte dei cristalli fu poi descritto da Benno Colui, dell'Orga­ nizzazione sionista di Berlino, che si recò a Monaco nel giugno del 1938 per un incontro di sionisti bavaresi. « Quando giunsi nella sala delle riunioni della comunità ebraica guardai dalla finestra verso il punto in cui si innalzava la grande e magni­ fica sinagoga, e non la vidi più: era sparita. Chiesi ai miei amici che cosa fosse accaduto. Al suo posto c'era un parcheg­ gio. Mi fu raccontato che il Führer era stato lì qualche tempo prima e aveva chiesto che cosa fosse quell'edificio, e aveva detto: 'Quando verrò a Monaco la prossima volta, non voglio più vederlo!' Così, avevano demolito la sinagoga. La notizia non era stata data dalla stampa. Vigeva un severo divieto di pubblicarla. Ma io lo vidi con i miei occhi. »29 La Grande sinagoga era situata vicino alla Casa dell'arte tedesca. Per questa ragione Hitler aveva ordinato di abbattere il luogo sacro e l'adiacente palazzo della comunità ebraica, e che sparissero prima della Giornata dell'arte tedesca, che ca­ deva l'8 luglio. L'ordine di demolizione fu dato l'8 giugno e messo in atto il giorno seguente. Come indennizzo, la muni­ cipalità di Monaco pagò alla comunità ebraica un settimo dell'effettivo valore dei due edifici.,n Nel mese di luglio, il principale periodico antisemita Der Stürmer (letteralmente « L'assaltatore ») uscì con un numero intitolato « Le sinagoghe sono covi di rapinatori. La vergogna di Norimberga ». A seguito di tale pubblicazione i leader della comunità ebraica di Norimberga furono convocati dalla poli­ zia e dalle autorità cittadine e venne detto loro che la sinagoga principale, che avevano utilizzato per così lungo tempo, avrebbe dovuto essere demolita, poiché « deturpava l'aspetto della città ». Fu loro consentito di celebrare una funzione fina­ le del venerdì sera. La sinagoga e il palazzo adiacente della comunità ebraica vennero demoliti il 10 agosto. La «pietra

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ebraica », i resti della più antica sinagoga medievale su cui era stata posta l'Arca sacra dell'edificio moderno, fu salvata da un architetto non ebreo.51 Il 17 agosto 1938 fu promulgata una nuova legge in Germania e in Austria. 11 suo titolo ufficiale recitava: «Secondo decreto ai fini deiradempimento della legge riguardante il cambia­ mento di cognomi e nomi di battesimo». Vi si affermava che a partire dal 1L>gennaio 1939 tutti gli ebrei tedeschi avreb­ bero dovuto aggiungere un secondo nome al proprio: Israel per gli uomini e Sarah per le donne. In tal modo gli ebrei sarebbero stati identificati come tali su tutti i documenti uffi­ ciali, compresi i passaporti. Il giorno successivo a questa ordinanza, il 18 agosto, le autorità svizzere chiusero l'accesso alla frontiera con l'Austria a chiunque non avesse un permesso di entrata svizzero. Cen­ tinaia di profughi ebrei provenienti da Germania e Austria furono bloccati dal lato tedesco del confine. Quelli che ce la fecero ad attraversarlo furono tenuti in un campo profughi a Diepoldsau, quindi rimandati in Germania. Tuttavia il capo della polizia della regione, il capitano Paul Griininger, fece tutto il possibile per permettere ai rifugiati di rimanere. Nei tre mesi che seguirono le nuove disposizioni svizzere, oltre duemila uomini, donne e bambini furono ammessi nel paese grazie al suo spirito di iniziativa e alla sua umanità. Griininger arrivò a emettere documenti falsi per evitare l'espulsione di ebrei dalla Svizzera. Inviò delle notifiche a ebrei che si trovavano in Austria, dando loro disposizioni perché si presentassero per un'« udienza » nel suo ufficio, nel­ la città svizzera di San Gallo. Mandò anche lettere di invito per la Svizzera a prigionieri ebrei detenuti a Dachau.52 Al confine, i tedeschi confiscavano ai profughi tutti gli og­ getti di valore e i gioielli. Per eludere questo problema, Grii­ ninger predispose un deposito segreto presso un piccolo al­ bergo nella zona occidentale dell'Austria. Dal consolato sviz­ zero nella città austriaca di Bregenz un diplomatico svizzero.

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Ernest Prodolliet, inviava regolarmente al gestore dell'albergo un corriere diplomatico, che radunava gli oggetti di valore e i gioielli per poi portarli in Svizzera. 33 Alla fine del 1938, Pro­ dolliet aveva permesso a trecento ebrei austriaci di passare il confine per la nazione neutrale. Dopo l'annessione dell'Au­ stria alla Germania fu rimproverato dai suoi superiori per aver consentito che gli ebrei continuassero ad attraversare il confine, e furono prese misure disciplinari nei suoi confron­ ti.34 Il 19 agosto 1938, il giorno successivo alla chiusura dei confini da parte della Svizzera agli ebrei che tentavano di scappare dall'Austria, il settimanale londinese The Spectator pubblicò un articolo firmato da « Un inglese ariano », che rac­ contava della condizione degli ebrei a Vienna. L'autore de­ scrisse in maniera critica l'atteggiamento di molti dei consoli stranieri presenti nella città. Dopo aver descritto le scene «compassionevoli» alla stazione di Vienna, «dove intere fa­ miglie venivano separate », continuava: « E non meno penose sono le code fuori dei consolati nelle strade cotte dal sole, code che si formano sin dal mattino presto, come per una prima teatrale. Ma la diva del consolato è molto più inaccessibile di qualunque star cinematografica, e ho incontrato degli ebrei che sono stati ad aspettare ogni mattina dalle cinque, a volte restando in attesa solo per ottenere informazioni, e a volte perché erano stati avvertiti di andare a ritirare un visto o un permesso ».35 A seguito di una riflessione sul contenuto critico di tale articolo Norman Angeli, che nel 1924 aveva vinto il premio Nobel per la pace, e Dorothy Buxton, un'eminente rappresen­ tante dei quaccheri, scrissero insieme un libretto per sensibi­ lizzare il pubblico sul problema dei rifugiati. Scrissero che molti profughi « bussano ora alle porte del più grande impero del mondo, chiedendo asilo »; e continuavano domandando: «Quelle porte sono destinate a chiudersi davanti a loro? »?• Migration of a People, 1938-1948, pp. 16-19.

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29 Testimonianza di Benno Coha processo a Eichmann, 25 aprile 1961, The Trial of Adolf Eichmanti, voi. 1, p. 222. 30 H enry W asserivi a n , «Munich», Encyclopedia of the Holocaust, voi. 3, pp. 998-1001. 31 Id ., « Nuremberg », ibid., voi. 3, pp. 1073-1076. 32 Sito dei Righteous Among the Nations of Swiss Nationality, www.switzerland.taskforce.ch 33 M eir W agner , The Righteous of Switzerland, pp. 36-37. 34 Museo Yad Vashem, Archivio Righteous Among the Nations, file 2393. 35 The Spectator, 19 agosto 1938. 36 N o rm a n A n g e ll, D o r o t h y F ra n c e s B u x to n , Y ou and the Refugee: The Morals and Economics of the Problem, p. 44. 37 Cit. in M ichael P hayer , The Catholic Church and the Holocaust, 19301956, p. 3. 38 Dov Bar-N er (già Bernard W ulkan ), lettera alLautore, 7 giugno 2005. 39 R achel M a n , lettera alLautore, 16 luglio 2005. 40 «The Jews in Germany », The Times, 10 novembre 1938. 41 « Bible College and Jews», Manchester Guardian, 7 novembre 1938. 42 « Marking Jewish Shops in Austria », Manchester Guardian, 8 novembre 1938.

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Il 10 e 11 novembre 1938, in tutta la Germania, uomini ebrei di età compresa fra i sedici e i sessantanni furono prelevati nelle proprie case o per la strada e inviati verso tre campi di con­ centramento: Dachau, Sachsenhausen e Buchenwald. Questi arresti proseguirono per diversi giorni, finché piti di trenta­ mila persone furono incarcerate. Le condizioni nei tre campi erano terrificanti. Quando il padre di Hennv Prilutzky tornò da Dachau, disse a lei e a sua madre: « Non chiedetemi mai, mai ciò che ho visto ». Cinquantanni dopo sua figlia gli chie­ se: « Puoi dirmelo, adesso? » 11 padre replicò: « No ».1 La notte del 10 novembre, una famiglia viennese ebbe for­ tuna. A seguito dell'annessione tedesca dell'Austria, il com­ positore trentatreenne Eric Zeisl era stato privato della sua posizione al Conservatorio di musica di Vienna, tutte le rap­ presentazioni delle sue opere erano state annullate e il suo nome era stato aggiunto alla lista di compositori la cui musica era considerata « dissoluta » (« Entartete Musik »). Il 10 novem­ bre la moglie Trudi lo nascose, insieme con il fratello, nella lavanderia dell'attico di sua madre, mentre la g e s t a p o si spo­ stava di casa in casa in cerca di ebrei da inviare a Dachau. Quella sera gli Zeisl riuscirono a ottenere uno scomparti­ mento con cuccette sul vagone letto del treno notturno per Colonia. A ogni fermata gli ebrei venivano sistematicamente tirati giù delle carrozze ordinarie, ma la g e s t a p o evitò i va­ goni letto, non desiderando fare una cattiva impressione sui turisti stranieri che in gran parte le occupavano. La famiglia Zeisl aveva con sé i passaporti, i permessi di

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soggiorno senza data, e un affidavit americano di un idraulico di New York che portava il loro stesso cognome. L'uomo era stato l'unico degli Zeisl che si trovavano nella guida telefonica di New York che, durante l'estate, avesse risposto al loro ap­ pello disperato.2 Da Colonia, dove gli Zeisl furono avvertiti di non recarsi al consolato americano perché i loro documenti incompleti avrebbero potuto essere confiscati, volarono a Pa­ rigi. Là, Eric Zeisl completò i November pieces che aveva inizia­ to a comporre immediatamente dopo la Notte dei cristalli. Si tratta dell'opera agrodolce di un artista che, «sul punto di fuggire dalla sua terra e dalle sue tradizioni, si confronta con la propria identità ebraica e finalmente la accetta ».3 L'11 novembre era la Giornata deH'armistizio, che commemo­ rava la fine della Prima guerra mondiale, avvenuta vent'anni prima. Quel mattino, a un incontro del Consiglio generale sionista a Londra, il capo dell'Agenzia ebraica per la Palestina, Chaim Weizmann, disse ai suoi colleghi delegati: « Mentre milioni di persone di tutte le nazioni oggi festeggiano l'armi­ stizio, non c'è stata pace per gli ebrei. Apriamo questa sessio­ ne alla luce degli incendi delle sinagoghe che bruciano in tutta la Germania, e delle urla di dolore delle vittime e del pianto di migliaia di ebrei nei campi di concentramento ».4 Quel giorno il diplomatico inglese più autorevole di Berli­ no, Sir George Ogil vie Forbes, telegrafò al ministero degli Este­ ri a Londra che tutte le scuole, i quotidiani e le organizzazioni culturali ebraici « [erano] stati sospesi, o chiusi fino a nuova comunicazione ».s Stavano per essere emanate altre misure. Agli ebrei sarebbe stato consentito di vivere e di condurre attività commerciali solo in determinati distretti. Negozi e ap­ partamenti di proprietà ebraica sarebbero stati espropriati in cambio di negozi e appartamenti nei « quartieri segregati ».6 Quella notte un anziano ebreo fu calpestato a morte a Ber­ lino, presso il Kurfürstendamm. Nel giro di tre giorni a Lon­ dra si appresero i nomi di cinque altri ebrei che erano stati uccisi a Berlino, e uno a Innsbruck. Si venne anche a cono-

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scenza del destino degli ospiti di una casa ebraica per poveri e anziani a Düsseldorf. L'11 novembre si ordinò loro di abban­ donare l'ospizio nel giro di quarantott'ore. Il mattino seguen­ te, fu detto loro di « sgombrare immediatamente ». Uomini e donne tra i sessanta e i settantanni «e senza alcun mezzo di sostentamento furono sbattuti sulla strada ».' Avidità e furti segnarono profondamente la Notte dei cri­ stalli e il periodo successivo. A Königsberg - dove furono distrutte tutte e sei le sinagoghe - Arthur Propp, un facoltoso uomo d'affari ebreo di quarantotto anni, fu incarcerato il 10 novembre e detenuto fino a quando non concesse ai suoi ra­ pitori ciò che volevano: le sue tre proprietà. La storia di Propp somigliava a molte migliaia di altre. Per prima cosa, dovette trasferire una delle sue proprietà alla sua ex segretaria, la quale, non appena vide profilarsi un simile bottino, si recò in carcere per assicurarselo. Quindi dovette trasferire la proprietà della sua villa alla moglie del Gauleiter locale, il signor Dzubba: anch'essa fece visita al carcere per ottenere il proprio bottino. Infine il consigliere economico di distretto del Partito, il signor Schultze-Roever, che era stato interessato a una terza proprietà per un certo periodo, si recò in carcere per confermare che Propp da lungo tempo deside­ rava «disfarsene». «Questa fu una bella occasione per lui: la ottenne gratis » scrisse Propp tempo dopo. Non più apostro­ fato come «ebreo» Propp, ma come «signor» Propp, fu rila­ sciato e abbandonò la Germania. Se ne andò in Gran Bretagna, e quindi in Bolivia.8 In un articolo destinato alla pubblicazione la sera d e ll'll no­ vembre, Goebbels attribuì gli eventi della Notte dei cristalli ai « sani istinti » della popolazione tedesca. Continuò spiegando: « Il popolo tedesco è antisemita. Non ha alcun desiderio di avere limitazioni ai suoi diritti, o di essere provocato in futuro da parassiti della razza ebraica ».9 A Washington, manifestan­ ti antinazisti si radunarono davanti all'ambasciata tedesca. In Olanda e Svizzera, nazioni che confinavano entrambe con la

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Germania, la critica alla Notte dei cristalli sui quotidiani fu molto più forte di quanto il ministero della Propaganda tede­ sco si fosse aspettato. Gli ebrei stavano fuggendo dalla regione dei Sudeti in Ce­ coslovacchia, che era stata annessa dalla Germania nemmeno sei settimane prima, attraverso il nuovo confine ceco. L'11 novembre parecchie centinaia lo attraversarono, diretti verso la città ceca di Louny. Molti di loro erano stati seriamente feriti dai nazisti tedeschi dei Sudeti mentre venivano presi dalle loro case e condotti al confine. L'inviato di un quotidiano inglese a Praga riferì: « Sono stati derubati di tutti i loro beni, condotti su camion dell'esercito tedesco alla nuova frontiera cecoslovacca e costretti a strisciare sulle mani e sulle ginocchia in Cecoslovacchia, e avvertiti di non fare mai più ritorno in Germania ».10 La notte d e ll'll novembre vi fu una piccola buona notizia. Un centinaio di ebrei tedeschi e austriaci - uomini, donne e bambini - che erano partiti dalla Germania prima della Notte dei cristalli e avevano raggiunto la Gran Bretagna, salparono da Liverpool a bordo della Duchess of Bedford diretti a Mon­ treal, da cui avrebbero proseguito per l'Australia e la Nuova Zelanda. Tutti gli uomini erano operai qualificati, manodope­ ra richiesta in quei luoghi. Alcune donne, tuttavia, « dovettero lasciare i propri mariti in Germania, perché non avevano ab­ bastanza denaro per pagarsi il biglietto».11 L'11 novembre il Vaticano si unì alle proteste dei leader inglesi e francesi riguardo agli eccessi della Notte dei cristalli. Quella notte, i nazisti organizzarono manifestazioni di massa a Monaco sia contro gli ebrei sia contro i cattolici. 11 Gauleiter nazista della Baviera, Adolf Wagner, mise in guardia un pub­ blico di cinquemila persone al Munich Circus: « Ogni discorso del papa a Roma è un incitamento agli ebrei di tutto il mondo a mobilitarsi contro la Germania».12 L'arcivescovo cattolico di Monaco, il cardinale Michael von Faulhaber, aveva fornito un camion al rabbino della comunità per salvare gli oggetti sacri della sinagoga Ohel Yaakov prima

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che venisse abbattuta durante la Notte dei cristalli. A seguito delle invettive del Gauleiter, una folla attaccò il palazzo vesco­ vile, rompendo tutte le finestre del primo e del secondo piano. Il sostituto del console generale inglese, Wolstan Weld-Forester, notò: « 11 mattino dopo, una piccola folla di persone quasi ammutolita si raccolse contemplando il danno compiuto. Si udirono a malapena espressioni di approvazione o condanna, ma alcuni si abbandonarono a silenziose manifestazioni di dolore. Coloro che lo fecero furono velocemente allontanati dalla polizia, che vestiva abiti civili».13 Alle undici del mattino del 12 novembre si tenne a Berlino un incontro presso il ministero dei Trasporti aerei per discutere la « questione ebraica », sotto la presidenza del feldmaresciallo Goring e con la partecipazione dei ministri tedeschi dell'Interno, della Propaganda, delle Finanze e dell'Economia. Go­ ring diede inizio alla seduta annunciando: «Signori! L'incon­ tro di oggi ha un'importanza decisiva ». Goring aveva ricevu­ to una lettera « sugli ordini del Führer » da Martin Bormann, capo dello staff di Rudolf Hess, il vice di Hitler, «con istru­ zioni che [si dovesse] fare il punto sulla questione ebraica e coordinarla una volta per tutte e risolverla in un modo o nell'altro. Una telefonata da me ricevuta dal Führer ieri mi ha nuovamente dato istruzioni che ora è necessario delineare misure decisive e coordinate». Goring sottolineò che a una precedente riunione dei mini­ stri prima della Notte dei cristalli, quando era stato deciso di «arianizzare l'economia tedesca, di espellere gli ebrei dall'e­ conomia, sfortunatamente facemmo solo dei bellissimi pro­ grammi, ma poi procedemmo con lentezza nel farvi seguito ». Quindi Goring avanzò una proposta che era destinata ad ave­ re conseguenze disastrose per gli ebrei tedeschi. Disse ai suoi colleghi: « La totalità degli ebrei tedeschi, come punizione per i suoi crimini abominevoli ecc. ecc., dovrà pagare un contri­ buto di un miliardo. Questo basterà. I porci non si affretteran­ no a commettere un altro delitto». Göring aggiunse: «In ge-

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nerale devo dire, ancora una volta: non mi piacerebbe essere un ebreo in Germania ». A proposito del suggerimento di chiudere o « arianizzare » 12.000 o 14.000 delle 17.000 attività ebraiche a Vienna, il feld­ maresciallo commentò: « Devo dire che tale proposta è mera­ vigliosa. Così l'intero settore commerciale sarebbe espropriato entro Natale o la fine dell'anno a Vienna - una delle principali città ebraiche, per così dire». Il ministro dell'Economia, Walter Funk, dichiarò che si sa­ rebbe potuto fare lo stesso anche in Germania. Funk aveva « preparato una normativa su questo argomento che stabilisce che dal 1° gennaio 1939 agli ebrei è vietato condurre attività di vendita o agenzie commissionarie, di condurre attività di commercio o artigianali indipendenti. Inoltre è loro proibito assumere dipendenti a tal fine, offrire servizi di questo tipo, pubblicizzarli o accettare ordini. Qualora fosse intrapresa qualsiasi attività commerciale ebraica, questa sarà chiusa dal­ la polizia. Dal 1Qgennaio 1939 un ebreo non potrà più essere a capo di un'attività commerciale [...] Qualora un ebreo si trovi in una posizione importante in un'impresa economica senza esserne ufficialmente il direttore, il suo impiego potrà essere rilevato dal suo direttore con sei settimane di preavviso. Al termine del periodo di preavviso, tutte le richieste derivanti dall'estinzione del contratto saranno nulle, compresi i diritti pensionistici, laddove esistenti».14 Il passaggio all'azione pratica fu immediato. Più tardi, nella stessa giornata, si annunciò da Berlino che tutti i danni causati alle proprietà ebraiche avrebbero dovuto essere risarciti dagli ebrei stessi. Inoltre, gli ebrei avrebbero dovuto pagare una multa enorme, secondo quanto recitavano le parole dell'an­ nuncio ufficiale, « come punizione per il brutale assassinio di Parigi ».15 La multa ammontava allora all'equivalente di quasi 134 milioni di euro, ovvero circa 4,5 miliardi di euro attuali. L'annuncio lasciò esterrefatto l'ebraismo tedesco, « già distrut­ to e demoralizzato dagli incendi dei propri luoghi di devozio­ ne, dalla devastazione dei negozi e delle attività economiche, e

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dairarresto in massa della sua popolazione maschile », secon­ do la descrizione di un giornalista britannico a Berlino.16 Sempre il 12 novembre Joseph Goebbels annunciò che dal 1- gennaio 1939 nessun ebreo avrebbe potuto dedicarsi alla vendita o all'esportazione di merci o dirigere un'attività com­ merciale. Nessun ebreo avrebbe potuto essere caposquadra o capufficio in un magazzino o una fabbrica. Nessun ebreo avrebbe potuto dedicarsi all'artigianato. Tutti i negozi ebraici «[sarebbero] gradualmente passati sotto il controllo ariano». Tutte le attività che non fossero state vendute ad ariani entro l'inizio del nuovo anno sarebbero state requisite dallo Stato.1' Queste misure, promulgate nel giro di quarantott'ore dalla Notte dei cristalli, impoverirono un intero popolo, nutrendo l'avidità dei suoi avversari e inibendo la capacità delle vittime di acquistare qualsiasi cosa, se non i beni di primissima ne­ cessità. Un giornalista inglese riferì da Monaco come quella notte, il 13 novembre, sull'acciottolato delle strade secondarie, «riparandosi da ogni angolo illuminato, striscia[va]no gli ebrei. [Erano] in cerca di cibo. Ogni negozio nella quarta città più grande della Germania oggi porta l'insegna n o n s o n o a m m essi ebr ei . Empori alimentari, caffè e ristoranti, farmacie, fruttivendoli e banche: su tutti è appesa la stessa scritta. E gli ebrei possono acquistare il loro pane, il latte, solo dopo il calar della notte, bussando agli ingressi posteriori dei negozi - se capita che conoscano un gestore solidale ».ls Quella sera un certo numero di giornalisti americani a Ber­ lino disse all'ambasciatore degli Stati Uniti in Germania, Hugh Wilson, che «rendendosi conto della gravità dei prov­ vedimenti, avevano riferito nelle loro pagine solo eventi a cui avevano assistito personalmente, o a cui avevano assistito componenti del loro staff». Hugh Wilson riportò a Washing­ ton che la maggior parte degli inviati « si aspetta problemi con Goebbels, ma è quasi nella disposizione mentale di accoglierli volentieri, perché e più che mai sicura del fatto suo e furente d'indignazione ».19 Fu anche vietato senza eccezioni l'accesso degli ebrei a

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teatri, concerti, cinema, sale da concerto, sale da ballo e altri luoghi di divertimento. Tutti i gestori di luoghi simili che avessero permesso agli ebrei di entrare sarebbero stati puniti, avvertì Goebbels, «ma gli ebrei che li frequentano sarebbero stati puniti ancor più severamente ».2n Giustificando l'esclusione degli ebrei da tutti i luoghi d'in­ trattenimento, il 13 novembre Goebbels spiegò a un pubblico berlinese: « Aspettarsi che un tedesco sieda accanto a un ebreo in un teatro o in un cinema equivale a degradare l'arte tede­ sca. Se i parassiti non fossero stati trattati fin troppo bene in passato, non sarebbe stato necessario sbarazzarsene tanto ra­ pidamente adesso». Il fatto stesso che fosse possibile una si­ mile legislazione, aggiunse, « ha dimostrato al mondo che gli ebrei se la sono passata fin troppo bene in Germania ».21 Quel­ la notte Sir George Ogilvie Forbes telegrafò al ministero degli Esteri a Londra, informandolo che molti ebrei berlinesi «sta[va]no vagando in giro per le strade e i parchi perché [avevano] paura di ritornare nelle loro case ». Aggiunse: « Non riesco a trovare parole abbastanza forti per condannare il disgustoso trattamento riservato a così tanta gente innocente: la società civile è di fronte alla vista raccapricciante di 500.000 persone che sono sul punto di morire di fame».22 1113 novembre l'inviato del Sunday Express da Berlino scris­ se: « La situazione più tragica di tutte è quella degli ex militari, molti dei quali hanno perso degli arti combattendo per la Germania nel corso della guerra. Ne ho visto uno oggi che portava una spilla di ex soldato sul bavero del cappotto e aiutava a bloccare le proprie finestre inchiodandovi delle ta­ vole». L'ex militare disse al giornalista: « Non so più che cosa fare ».23 Per gli ebrei tedeschi la fuga verso un paese che mostrasse la volontà di accoglierli, così come i permessi necessari per entrarvi, avevano un'importanza fondamentale. Ma non tutti i paesi sembravano disposti ad accoglierli. Sempre il 13 novem­ bre, il Sunday Express pubblicò un commento critico nel suo articolo di fondo. Così dichiarava: « Questo è un avvertimento

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per gli ebrei della Gran Bretagna. Non cercate di far entrare troppi forestieri nel nostro paese. Alcuni, sì. Ma non spinge­ tevi oltre i limiti dettati dalla prudenza». L'editoriale conti­ nuava dicendo che correvano già voci che la popolazione ebraica emigrata in Gran Bretagna « stesse oltrepassando la capacità degli ebrei inglesi di fornire loro mezzi di sussisten­ za. Una simile situazione condurrà a conseguenze penose per tutti ».24 Emigrare era l'urgente necessità del momento. Pesach Schin­ dler, che frequentava la scuola a Monaco, ricordò tempo dopo le « enormi file fuori dalle agenzie di viaggi nel periodo in cui la gente tentava di scappare. Ogni settimana, la quantità di alunni nella mia classe diminuiva».2^ Dai principati indiani, nominalmente indipendenti ma con­ trollati dal governo britannico, giunsero offerte di aiuto. « Pos­ siamo permetterci di sedere senza far nulla e osservare impo­ tenti il mostruoso fenomeno?» chiedeva D.V. Tahmankar, co­ direttore dell'India Bulletin, pubblicato a Londra, riportando che lo Stato di Cochin « ha invitato gli ebrei a insediarvi occu­ pazioni pacifiche ». Anche se gli ebrei avrebbero dovuto esse­ re «completamente dotati di mezzi per stabilirsi laggiù», il mahrajah aveva manifestato « la sua disponibilità a fornire aiuto finanziario agli ebrei particolarmente bisognosi ». Anche altri quattro Stati indiani, Travancore, Hyderabad, Baroda e Kashmir, stavano considerando la possibilità di ac­ cogliere gli ebrei oppressi. Parecchie amministrazioni provin­ ciali del Partito del Congresso - fondato come organismo di autogoverno - stavano pensando di assumere medici ebrei. Nella provincia del Bihar il dottor Syed Mahmud, ministro del Congresso per l'Educazione e lo Sviluppo, acconsentì al fatto che fossero assunti degli ebrei in progetti industriali.26 Diverse centinaia di ebrei tedeschi furono in grado di appro­ fittare di queste offerte provenienti da lontano, ma tuttavia sincere. 11 percorso di discriminazione crescente non conosceva tre-

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gua. Il 14 novembre il ministro tedesco dell'Educazione, Bern­ hard Rust, emise un decreto che vietava a ogni ebreo di iscri­ versi a qualsiasi università tedesca o austriaca, o di frequen­ tare delle lezioni. Il decreto fu telegrafato a tutte le sedi uni­ versitarie da Berlino. Il giorno seguente, al culmine di oltre cinque anni in cui erano stati ridicolizzati e discriminati in classe, i figli di ebrei tedeschi furono banditi dalle scuole te­ desche. Tutti questi ragazzi « [dovevano] essere congedati im­ mediatamente ». Erano stati inviati telegrammi a tutti i re­ sponsabili delle scuole superiori « al fine di congedare gli stu­ denti ebrei rimasti».2' Il 15 novembre, nel corso di una conferenza stampa a Wa­ shington, il presidente Roosevelt annunciò che egli riusciva « a stento a credere » che la campagna antisemita tedesca « po­ tesse aver luogo nel ventesimo secolo della civiltà ».28 Abban­ donando la sua procedura abituale nelle conferenze stampa, il presidente permise di essere citato direttamente. Quel giorno stesso fu annunciato che l'ambasciatore degli Stati Uniti a Berlino, Hugh Wilson, era in procinto di essere richiamato a Washington, e che, secondo quello che fu detto all'inviato dell'agenzia di stampa Exchange Telegraph da « una fonte molto affidabile », non sarebbe tornato a Berlino « fino a quan­ do il signor Hitler non avesse gestito il problema degli ebrei con maggiore equilibrio».29 Il giorno seguente a New York, come manifestazione della propria rabbia nei confronti di quanto era accaduto in Germa­ nia, il sindaco Fiorello La Guardia - la cui madre era ebrea, e che una volta aveva provocato un incidente diplomatico rife­ rendosi a Hitler come a un « fanatico in camicia marrone » diede a tre capi ebrei della polizia l'incarico di proteggere il consolato tedesco della città. Il Neu» York Times riferì: «Sotto questa pattuglia ebrea, un piccolo gruppo di robusti poliziotti ebrei è destinato a sostituire la Alien Squad [il 'drappello straniero'] nel compito di proteggere il console generale tede­ sco e il suo staff, come pure chiunque altro in visita a notabili tedeschi, e i beni tedeschi », in particolare i moli della compa-

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gnia navale North German Lloyd, « che sono già stati teatro di manifestazioni».30 Il giorno prima, più di 4500 manifestanti avevano salutato con un «rumoroso» addio il transatlantico di linea Bremen della North German Lloyd.31 Il 15 novembre il console generale americano a Stoccarda riferì che « in senso figurato, la mia casa è stata bombardata da visitatori e telefonate che costituivano una prova evidente della situazione stressante in cui molta gente è venuta a tro­ varsi ». Centinaia imploravano « aiuto e conforto e, con i ma­ riti nei campi di concentramento, molti [erano] privi di soste­ gno economico ». Il giorno precedente il consolato aveva ricevuto quasi cento telegrammi, «equasi altrettanti oggi » si diceva. Molti di que­ sti provenivano dagli Stati Uniti «ed esprimevano] la più profonda preoccupazione per i loro parenti in Germania ». Nella maggioranza dei casi, si veniva a sapere che i compo­ nenti maschili delle famiglie interessate erano in campi di concentramento. « Fino a questo momento sono stati effettuati arresti a Stoccarda e si continuano a ricevere ininterrottamen­ te telegrammi, anche se è notte fonda. » Per oltre cinque giorni, notava il console, il suo ufficio era stato « inondato di persone». Ogni giorno « una folla sempre più ampia ha assediato il consolato, riempiendo tutte le stanze e straripando nel corridoio di un edificio alto sei piani. Oggi ce n'erano diverse migliaia. Ognuna è stata trattata con la mag­ gior considerazione possibile e ognuna deve aver sentito che lui o lei sono stati trattati con la gentilezza e la solidarietà consentite dall'enorme quantità di gente presente...»32 La situazione, tuttavia, era terribile per quelle decine di migliaia di ebrei che desideravano disperatamente emigrare. «Le voci che certi paesi abbiano allentato le restrizioni pro­ ducono il risultato che centinaia di ebrei accorrono ai loro consolati, solo per scoprire che tali voci sono false » scrisse il 15 novembre un inviato di un quotidiano britannico da Berli­ no. «Questo è capitato oggi ai consolati dell'Argentina e del

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Paraguay. Su trecento ebrei che ieri si sono recati al consolato argentino, solo due sono riusciti a esibire i requisiti per pre­ sentare le domande di entrata nel paese, che ammette solo coloro che abbiano avuto cinque anni di esperienza nell'allevamento. »53 Sempre il 15 novembre un altro corrispondente inglese a Berlino scrisse di come «folle di ebrei preoccupati e spaven­ tati » continuassero ad accorrere presso il consolato britannico e statunitense nella città, « implorando di ottenere dei permes­ si di soggiorno perché fosse loro consentito di lasciare il paese. Tuttavia a pochissimi di loro sono assicurati i permessi ». L'in­ viato aggiungeva che nonostante gli eventi della settimana precedente « capisco che né la Gran Bretagna, né gli Stati Uniti stanno facendo alcuna concessione, e che per la grande mag­ gioranza di coloro che presentano domanda c'è poca speranza di ottenere ciò che, per loro, sarebbe l'unico modo possibile di ritornare a una vita normale». La normalità all'interno della Germania era impossibile, scriveva l'inviato, poiché «quegli ebrei che non sono stati arrestati vivono nella paura costante di poter essere presi in ogni momento. E questa paura che fa sì che molti non dorma­ no nelle loro stesse case, o addirittura nello stesso posto per due notti di seguito. È questa paura che mantiene le folle al consolato inglese e statunitense abbastanza contenute da es­ sere sistemate nelle sale d'attesa o vicino alla porta ». Coloro che non riuscivano a entrare negli edifici consolari trovavano qualche altro luogo in cui rifugiarsi, «perché non osa[va]no farsi vedere mentre aspettavano fuori ». Furono giorni tetri per gli ebrei di Berlino così come nel resto del paese. « Il loro sguardo di sfiducia e disperazione è tremendo, e le espressioni sui visi dei giovani e delle donne, sì, persino dei bambini ebrei terrorizzati che corrono a casa da scuola passando accanto ai negozi chiusi e devastati che ap­ partenevano alla gente della loro razza, suscitano un'assoluta pietà. » Era raro vedere un ebreo per le strade. « Nessuno di

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loro abbandona il luogo dove è nascosto, a meno che non sia per una questione urgente. » Talvolta - continuava a riferire rinviato - un sottile spira­ glio di luce si infiltrava nell'oscurità. «Mi è stato riferito di casi in cui benevoli vicini ariani hanno portato cibo e altre cose necessarie a ebrei nascosti. Questa gentilezza umana fa gran­ de onore non soltanto allo spirito caritatevole dei tedeschi in questione, ma anche al loro coraggio. Più di un bravo ariano è stato picchiato per aver tentato di assistere ebrei, anche anzia­ ni, in difficoltà. »34 Riflettendo sui rapporti che aveva ricevuto dalla Germania, Michael Cresswell, il direttore del dipartimento tedesco del ministero degli Esteri britannico, notò: «Questa supera di gran lunga ogni altra barbarie di cui sono stati colpevoli i nazisti negli ultimi cinque anni. E di una categoria alquanto diversa». Aggiunse che con l'inverno incombente a Berlino « la prospettiva per questi miserabili è assolutamente senza speranza, e non c'è da sorprendersi se molte persone preferi­ scono il suicidio a una morte per fame e abbandono. Allo stesso tempo, se ne stanno mandando decine di migliaia ai campi di concentramento ».35 Il 15 novembre, giorno dell'amara riflessione di Cresswell, lo Schwarze Korps, quotidiano ufficiale delle ss con una tiratura di mezzo milione di copie, dichiarò che nel caso di qualsiasi rappresaglia da parte di ebrei al di fuori della Germania per il maltrattamento dei loro compagni ebrei nel territorio tedesco «noi useremo i nostri ostaggi ebrei in maniera sistematica, indipendentemente da quanto certa gente possa trovare la cosa scioccante. Seguiremo il principio proclamato dagli ebrei: 'Occhio per occhio, dente per dente'. Ma prenderemo migliaia di occhi per un occhio, migliaia di denti per un dente».36 Lo Schwarze Korps aggiungeva: «Guai agli ebrei se un altro di loro, o un collaboratore aiutato o istigato da loro, dovesse alzare le mani contro un tedesco».3 Quel giorno, a Washington, il National Negro Congress chiese a Roosevelt « di fornire libero asilo in America per il

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popolo oppresso degli ebrei ». Il segretario nazionale del con­ gresso, John P. Davis, spiegò nel proprio telegramma al pre­ sidente: « I neri d'America, che rappresentano una minoranza nella nostra democrazia, sono profondamente preoccupati della disumana barbarie che viene inflitta alla minoranza ebrea nella Germania nazista».38 Fra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti aveva avuto inizio un dibattito riguardante l'aumento improvviso di ebrei tedeschi che ricercavano quotidianamente dei visti per abbandonare il paese. La posizione britannica, scrupolosamente riferita nei quotidiani inglesi, consisteva nell'affermazione che il governo sarebbe stato « ben disposto e in grado di offrire un rifugio temporaneo » per un certo numero di immigrati ebrei che gli Stati Uniti fossero stati disposti ad accogliere «entro un ragio­ nevole periodo di tempo». Gli americani controbatterono a questa posizione affermando di essere « abbastanza favorevo­ li » a che la Gran Bretagna fosse un tramite di passaggio per i profughi, ma che secondo la legislazione corrente delle quote avrebbero potuto far entrare solo circa trentamila immigranti tedeschi e austriaci all'anno, e che «modificare la quota [avrebbe voluto] dire che la normativa [avrebbe cambiato] l'intera base delle leggi sull'immigrazione». Gli Stati Uniti, notò un funzionario del ministero degli Esteri inglese, « non sembrano intenzionati ad apportare nessun altro ulteriore contributo» al problema dei rifugiati.59 Da parte sua, il governo statunitense voleva sapere perché non si potesse dare una casa ai rifugiati in qualche parte del­ l'impero britannico. Un quotidiano spiegò che a questa osser­ vazione « gli inglesi replica[va]no che i dominion erano indipendenti e, per quanto riguarda l'impero coloniale, [era] mol­ to difficile pensare a un qualsiasi territorio che fosse adatto e disponibile per un insediamento ebraico su larga scala ». C'e­ rano anche problemi per gli ebrei che fuggivano dalla Germa­ nia verso altri paesi europei. Quando cinquecento ebrei riu­ scirono a passare il confine tra la Germania e la Francia sca-

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vando una galleria sotto il filo spinato del confine durante la notte, quattrocento furono respinti da dove erano arrivati dal­ la polizia di confine francese.*4* Fra il 1933 e la Notte dei cristalli, gli Stati Uniti avevano già offerto ospitalità a più di centoventimila ebrei tedeschi, di gran lunga il numero più ampio rispetto a qualsiasi altro pae­ se. Una possibilità che era in discussione, scrisse W.N. Ewer, un inviato della diplomazia inglese, «è che il governo degli Stati Uniti possa chiedere al Congresso di approvare una leg­ ge che aumenti temporaneamente la quota di immigrazione tedesca e austriaca. Ma per una simile questione, sia la deci­ sione sia l'iniziativa devono necessariamente esser prese dal signor Roosevelt in persona. E non è nemmeno probabile che il Congresso acconsenta a un'immigrazione ebraica su larga scala, nella situazione economica attuale ». Una seconda idea che si stava diffondendo consisteva nel fatto che gli Stati Uniti, se non per concessione governativa, fornissero dei regolari contributi economici privati per un insediamento ebraico in un luogo che non fossero gli Stati Uniti, « se qualche altra potenza può offrire un territorio adat­ to ». Ma il problema di trovare un territorio adeguato era « tale da provocare profonda perplessità ». Per un insediamento su vasta scala degli ebrei tedeschi si parlava dell'interno di una colonia inglese situata in Sud America, la Guyana inglese. Tale possibilità era già stata esaminata attentamente quattro anni prima, quando la Lega delle Nazioni stava cercando un luogo per sistemare i profughi assiri cristiani che fuggivano dalle persecuzioni in Iraq. A metà novembre, la Gran Breta­ gna offrì l'ampio territorio per un massimo di diecimila ebrei tedeschi e austriaci, ma solo se fosse stato ritenuto adeguato. Il progetto della Guyana inglese fu abbandonato quando fu fatta una ricognizione delle remote e inospitali distese della giungla. Ewer commentò: « Una terra inadatta per degli assiri iracheni sarà difficilmente adeguata a ebrei tedeschi». Anche il Brasile, gli altopiani del Madagascar, l'Uganda e il Tanganica erano stati presi in considerazione. « Ma finora si

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può solo dire che la ricerca continua senza molti risultati. »41 Il 16 novembre, nel dominion di Terranova, il caporedattore dell'Evening Telegram sollecitò un inasprimento della politica del suo paese - che aveva accolto poche dozzine di rifugiati dal 1933 - per evitare che Terranova « sia occupata da gente che forse non avrebbe potuto integrarsi ». Il giorno successi­ vo, una lettera alla redazione dichiarava che, qualora Terra­ nova avesse avuto bisogno di una popolazione più numero­ sa, « per prima cosa [avrebbe] dovuto guardare ai progenitori inglesi».42 Nessun osservatore straniero che si trovava in Germania in quel periodo ebbe dubbi sulla gravità delle implicazioni della Notte dei cristalli. Il 16 novembre Sir George Ogilvie Forbes scrisse a Londra, da Berlino, che la Notte dei cristalli « aveva liberato forze di barbarie medievale». La situazione degli ebrei tedeschi era - commentò il diplomatico - « assolutamen­ te tragica», e aggiunse: «Vivono nella morsa e alla mercé di un'oligarchia brutale, che esprime un fiero risentimento per tutti gli interventi umanitari esteri. Povertà e disperazione sono già presenti, e poiché i mezzi finanziari sono loro negati o esauriti, finiranno per morire di fame ». Sir George temeva che gli ebrei tedeschi fossero « non un problema nazionale, ma mondiale, che, se ignorato, porterà in sé i semi di una terribile vendetta ».45 Le crudeltà della Notte dei cristalli erano sul punto di dif­ fondersi oltre i confini - già ampliatisi - del Terzo Reich. 11 Gauleiter Forster, il più autorevole rappresentante nazista del­ la città libera di Danzica, il 15 novembre annunciò che le leggi di Norimberga sarebbero entrate in vigore nella città nel giro di otto giorni. Di conseguenza, nessun ebreo che vivesse a Danzica avrebbe potuto conservare un incarico pubblico, ave­ re diritto di voto o sposarsi con un tedesco «ariano». Ci si sarebbe anche attivati per eliminare le attività commerciali ebraiche rimaste nella città. L'alto commissario della Lega delle Nazioni a Danzica, che rappresentava l'autorità nomi-

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nalmente responsabile della città libera, non aveva alcun po­ tere per opporsi a una simile iniziativa. Il 17 novembre il console generale inglese del luogo, Gerald Shepherd, telegrafò a Londra che la posizione degli ebrei di Danzica « [era] ormai simile a quella degli ebrei di Germania, sinagoghe incendiate, case e negozi devastati, mobili distrutti, qualche caso di lesio­ ni personali e arresti immotivati ».44 Sempre il 17 novembre a Vienna si riferiva che una com­ missione di «simpatizzanti nazisti e la g e s t a p o » avevano cominciato a spostarsi da un appartamento ebraico all'altro, arraffando capolavori di grandi pittori, tappeti, mobili d'epo­ ca, che furono imballati sul posto e portati al Museo nazionale della città in furgoni.4’ I figli di ebrei tedeschi venivano fatti uscire dalla Germania in qualsiasi modo i genitori riuscissero a escogitare. Il 17 no­ vembre, «una mattina molto fredda e buia, nebbiosa», Rita Braumann, che nella Notte dei cristalli si trovava a Colonia, fu portata in auto con diversi suoi giovani cugini al di là del confine, in Olanda. « Non ebbi tempo di avere paura » ricordò. « Fu una completa sorpresa. »46 II17 novembre il governo repubblicano spagnolo, lottando sul campo di battaglia per trattenere la costante avanzata dei na­ zionalisti al comando del generale Franco, pubblicò una co­ municazione ufficiale che offriva rifugio a tutti coloro che fossero stati « perseguitati per le proprie origini, idee politiche o per motivi religiosi. Cattolici, israeliti o protestanti che de­ siderino lavorare in pace... » La nota continuava attaccando i nazisti tedeschi «torturatori di ebrei».4' Tuttavia questa era l'offerta di un governo sotto assedio, che sarebbe sopravvis­ suto per meno di un anno. Sempre il 17 novembre, una setti­ mana dopo la Notte dei cristalli, Frances Perkins, il segretario del Lavoro degli Stati Uniti, dichiarò che la quota tedesco­ austriaca era già stata colmata « per almeno quattordici mesi »: ovvero fino al gennaio del 1940. Ciò significava che 32.000

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tedeschi e austriaci, la maggior parte dei quali erano ebrei, avevano già i permessi necessari per sbarcare nel paese.48 Una settimana dopo la Notte dei cristalli, in Germania il pastore J. von Jan predicò in un sermone alla propria congre­ gazione luterana di Memmingen, la cui sinagoga era stata rasa al suolo daH'incendio della Notte dei cristalli: «Luoghi di culto sacri ad altre persone sono stati bruciati impunemente - uomini che hanno servito fedelmente la nostra nazione e hanno compiuto con coscienza il proprio dovere sono stati gettati nei campi di concentramento, semplicemente per il fatto di appartenere a una razza differente. L'infamia della nostra nazione provocherà di certo una punizione divina». Una banda nazista interruppe il pastore e lo picchiò brutal­ mente, per poi lanciarlo sul tetto di un capanno. Quindi la banda sfasciò la canonica proprio come, una settimana prima, erano state devastate così tante abitazioni ebraiche. Come pu­ nizione per la sua coraggiosa presa di posizione, il pastore fu incarcerato.49 Le angustie degli ebrei di Germania continuavano. Il 18 novembre, un rapporto da Berlino raccontava: «Si conosce un caso in cui una coppia benestante a cui erano già stati rilasciati i permessi lunedì si è presentata alla stazione di polizia per richiedere i passaporti che erano già pronti per loro. Il sovrintendente di polizia allora consigliò al marito di elargire una somma considerevole, prima di partire, a benefi­ cio della comunità ebraica che sarebbe rimasta. L'uomo ac­ consentì, firmò un assegno sostanzioso e gli fu detto di tornare l'indomani per ritirare il passaporto. Quando arrivò, il giorno dopo, fu informato che i suoi documenti per ottenere il per­ messo non erano più validi».50 In una relazione da Monaco del 18 novembre l'agenzia di stampa Reuters riferì che degli ebrei proprietari di immobili erano stati convocati davanti al Fronte del lavoro del Partito nazista a Norimberga « e convinti a firmare un documento in cui consegnavano] la loro proprietà al Fronte del lavoro ». Si riferiva che la transazione era stata condotta «secondo Firn-

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posta di tassazione delle case in oggetto, di cui il Fronte del lavoro ha trattenuto il novanta per cento, mentre i proprietari ebrei hanno ricevuto il dieci per cento. Si precisa che i pro­ prietari ebrei delle abitazioni sono stati trattenuti nell'ufficio del Fronte del lavoro, alTincirca dalle dieci di sera fino alle cinque del mattino dopo, e la maggior parte di loro ha firmato il documento». 11rapporto della Reuters proseguiva con una buona notizia: « A Monaco, gli ebrei possono nuovamente acquistare cibo ». L'amministrazione del Partito nazista del distretto, si diceva, « ha permesso alla Società culturale ebraica di istituire depo­ siti di vendita dove gli ebrei possono comprare tutti i generi di prima necessità, compreso il cibo ». Ma il resto della relazione non presentava particolari confortanti: « Negli incidenti in cui sono andate in frantumi le vetrine tutti i negozi ebraici sono stati più o meno distrutti, e da allora i negozi ariani hanno esibito dei cartelli che dicono: q u i n o n s o n o c r a d it i ebr ei . Pertanto, questi ultimi non hanno avuto alcuna possibilità di comprare nulla ». Da Francoforte giungeva notizia di un certo numero di suicidi. Fra questi si erano verificati quelli del dottor Löwe dell'ospedale ebraico, «che era responsabile del laboratorio radiologico ed ex primario dell'ospedale, un altro medico del­ l'ospedale ebraico di nome Rosenthal, e un avvocato ebreo di nome Hochschild. Un uomo d'affari ebreo di nome Blum si è tolto la vita dopo che i suoi negozi erano stati saccheggiati ».51 11 19 novembre gli incendi delle sinagoghe scoppiarono nella città libera di Memel, sul Baltico. Questa regione autonoma della Lituania aveva fatto parte della Germania fino al 1918. A seguito dell'attacco alle sinagoghe, quasi tutti i 2500 ebrei di Memel scapparono nella vicina Lituania. Quello stesso giorno, in Germania, le autorità si opposero drasticamente alla conti­ nua emigrazione ebraica. A nessun ebreo sarebbe stato per­ messo di partire fino a quando la multa di un miliardo di marchi imposta alla comunità ebraica non fosse stata compie-

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tamente pagata, o fino a quando la famiglia che cercava di emigrare non avesse più disponibilità finanziarie o debiti in sospeso - compresa l'ammenda collettiva. Tutti i passaporti avrebbero dovuto essere consegnati. Sarebbero stati restituiti solo nel momento in cui il o la titolare del passaporto avesse presentato un certificato ufficiale, a dimostrazione che le pro­ prie risorse finanziarie erano state passate al governo. Con un gesto che gettò ancor più nella depressione coloro che deside­ ravano emigrare, alcuni giorni prima il ministro delle Finanze aveva iniziato a rifiutare remissione di ulteriori certificati. Una settimana dopo la Notte dei cristalli il responsabile del Comitato intergovernativo dei rifugiati, George Rublee, aveva cercato di trattare con il governo tedesco la possibilità di per­ mettere agli ebrei tedeschi di lasciare la Germania con almeno una parte dei loro beni, affinché potessero avere ciò che il New York Times definì « un nuovo inizio in una nuova terra ». Ma il 19 novembre YEssener National Zeitung, nota come «portavo­ ce » di Goring, dichiarò che da allora in poi la Germania, « co­ me avevano fatto i faraoni, non [avrebbe permesso] ad alcuna parte delle proprietà ebraiche di abbandonare il paese ».^2 Mentre insisteva sul fatto che la propria politica verso gli ebrei era di permettere e accelerare l'emigrazione, con questa decisione il governo tedesco rese molto più difficile per gli aspiranti profughi ebrei trovare un paese disposto ad accet­ tarli. 1 profughi più poveri erano, per la maggior parte dei paesi, la categoria di rifugiati meno desiderabile. A Berlino e a Vienna le file di quegli ebrei con passaporti e certificati del ministro delle Finanze avevano nuovamente co­ minciato ad aumentare davanti ai consolati esteri. A Vienna erano particolarmente lunghe davanti al consolato generale cinese, dove il dottor Feng Shan Ho continuava a emettere permessi di soggiorno che avrebbero consentito ai titolari di partire dalla Germania per Shanghai. Il dottor Ho aveva sco­ perto che tali permessi potevano essere usati per ottenere il rilascio di ebrei che erano stati condotti nei campi di concen­ tramento dopo la Notte dei cristalli. Agì con solerzia, contri-

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buendo ad accelerare casi che in precedenza non erano stati considerati come urgenti. Un giovane ebreo viennese, Eric Goldstaub, in seguito ri­ cordò come, prima della Notte dei cristalli, avesse ottenuto i permessi per tutta la sua famiglia « in un consolato che rap­ presentava un paese che a me, a quel tempo, sembrava l'e­ stremo limite del mondo: la Cina ». Grazie a quei permessi, la famiglia Goldstaub era stata in grado di prenotare un viaggio su una nave di linea italiana che sarebbe salpata da Genova per Shanghai, « con partenza il 20 dicembre 1938 ». La Notte dei cristalli, sei settimane prima della partenza della nave, il negozio della famiglia a Vienna era stato distrutto, e tutto ciò che vi si trovava saccheggiato. «Sia io sia mio padre fummo arrestati, e la maggior parte dei nostri compagni di sventura furono poi mandati nei campi di concentramento. Il fatto che fossimo in possesso di un visto per la Cina e dei biglietti per il viaggio in nave per la fine di dicembre ci consentì di essere rilasciati nel giro di pochi giorni, e ci dirigemmo in treno verso la libertà in Cina. »5* Nei momenti di maggiore attività il dottor Ho rilasciava tra i quattro e i cinquecento permessi al mese. In seguito avrebbe detto: « Pensai che fosse semplicemente naturale dimostrare solidarietà e volontà di aiutare. Dal punto di vista della sensi­ bilità umana, questo è ciò che dovrebbe accadere».54 Sua fi­ glia Manli Ho rifletté, tempo dopo: « Era cristiano, e fonda­ mentalmente ritenne che fosse una cosa naturale da fare >>.55 In tutto diciottomila profughi ebrei tedeschi e austriaci rag­ giunsero Shanghai, quando era ancora possibile lasciare l'Eu­ ropa. Coloro che erano stati testimoni della Notte dei cristalli anda­ rono incontro a sorti svariate e spesso crudeli. Il 30 dicembre 1939 il battello fluviale Uranus, con 1310 ebrei a bordo - un mezzo di trasporto « illegale» diretto in Palestina, organizzato a Vienna da un agente del Mossad, Ehud Uberai! - fu costretto a rifugiarsi nel porto iugoslavo di Kladova a causa del conge-

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lamento del Danubio. Quando il ghiaccio si sciolse, il governo inglese fece pressioni sulla Iugoslavia perché non consentisse alla nave di continuare il viaggio. I profughi furono internati nella città iugoslava di Sabac. Là, a metà del 1940, 207 adole­ scenti al di sotto dei sedici anni ricevettero i loro certificati palestinesi e proseguirono verso la Palestina in treno, passan­ do per Istanbul. Altri 1003 rifugiati si trovavano ancora a Sabac, neirottobre del 1941, quando furono massacrati, sei mesi dopo la conquista tedesca della Iugoslavia. Fra coloro che furono uccisi c'era la sorella minore di Gertrude Reininger, Martha. La stessa Gertrude era giunta sana e salva in Inghilterra nel febbraio del 1939 grazie a un permesso di col­ laboratrice domestica, per lavorare in una canonica a Leeds. Nel novembre del 1940 gli inglesi catturarono al di fuori della Palestina oltre tremilacinquecento «clandestini», che avevano raggiunto la costa su tre navi. Portati a Haifa, furono posti a bordo di una quarta imbarcazione, la Patria, per essere inviati nell'isola di Mauritius, nell'oceano Indiano, dove sa­ rebbero stati trattenuti in campi di detenzione. Determinati a rimanere in Palestina, alcuni di coloro che erano destinati alla deportazione prepararono una carica di esplosivo per mettere fuori uso la nave. L'esplosivo fu più potente di quanto si aspettassero, e duecentocinquanta profughi annegarono: era­ no giunti da Berlino, Monaco, Francoforte, Vienna e una doz­ zina di altre città tedesche e austriache, solo per morire nelle acque della baia di Haifa. Note 1 H enny H andler (nome da nubile: P rilutzky), conversazione con l'autore, 28 giugno 2005. 2 B r e t W e r b , note al programma da concerto del recital pianistico No­

vember Pieces, United States Holocaust Memorial Museum, Washigton, 21 maggio 2003. Alla vigilia della guerra la famiglia fu in grado di imbarcarsi sul transatlantico di linea Vollendam, che faceva la spola tra l'Olanda e l'America, verso New York. 3 M argaret S h a n n o n , note al program m a da concerto della prima

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esecuzione del Requiem ebraico di Eric Zeisl, Washington, Washington National Cathedral, 13 novembre 2005, basate su M alcolm S. C ole , Barbara Barclay, A rm seelchen: The Life and Music of Eric Zeisl, p. 39. « We Open our Session to the Light of Synagogue Fires », Palestine Post, 13 novembre 1938. Telegramma registrato alle 21.16, 11 novembre 1938, Foreign Office, FO 371/21637. «Nazis Planning the Revival of the Ghetto», Evening Standard, 11 novembre 1938. « Britain and the Pogrom », Manchester Guardian, 15 novembre 1938. A rthur P ropp , «November, 1938 in Königsberg», Midstream, feb­ braio 1987. Daily Telegraph, 12 novembre 1938. « Refugees Crawl Over Frontier », Daily Telegraph, 12 novembre 1938. «Sailing for Dominions», The Times, 12 novembre 1938. Fu proprio sulla Duchess of Bedford che Fautore, che allora aveva tre anni e nove mesi, salpò nell'estate del 1940 con parecchie centinaia di altri bambi­ ni evacuati da Liverpool al Canada. « Nazi Attack on the Pope », Daily Telegraph, 12 novembre 1938. W . W e l d - F o r e s t e r , Monaco, r e la z io n e d e l 13 n o v e m b re 1938, Fo­ reign Office, FO 371/21637. Tribunale militare intemazionale, Norimberga, documento ps-1816. « Plight of German Jewry »/ O bserver, 13 novembre 1938. «German Cabinet Decisions: Jewish Businesses Wiped Out», Obser­ ver, 13 novembre 1938. «Dr Goebbels Explains», Observer, 13 novembre 1938. « Munich Jews Barred from Buving Food », Daily Herald, 14 novembre 1938. Telegramma del 13 novembre 1938, National Archives and Records Administration, Washington, DC. « Hitler's New Blow », Evening Nrivs, 12 novembre 1938. Joseph G oebbels, discorso riportato da Sir George Ogilvie Forbes a Londra, Berlino, 14 novembre 1938, Foreign Office, FO 371/21637. Telegramma inviato alle 21.20, 13 novembre 1938, Foreign Office, FO 371/21637.

23 « The Pogrom Goes on », Sunday Express, 13 novembre 1938. 24 Sunday Express, 13 novembre 1938. 25 P esach Schindler , lettera all'autore, 15 giugno 2005, e I d ., Crescita di un bambino ebreo nella Germania naszista, manoscritto, Gerusalemme 2004. 26 D.V. T ahmankar , «India's Example to the Dominions», lettera al direttore, Manchester Guardian, 15 novembre 1938. 27 Annuncio del ministero dell'Educazione tedesco, riportato a Londra

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Sir George Ogilvie Forbes, 15 novembre 1938, Foreign Office, f o 371/21637. « Roosevelt on Persecution of German Jews », Manchester Guardian, 16 novembre 1938. « Ambassador to Report », Manchester Guardian, 15 novembre 1938. « Police Detail Made up Solely of Jews... », Nero York Tunes, 17 novem­ bre 1938. «Bremen Picketed by 4500 at Sailing», New York Times, 16 novembre 1938. Telegramma del 15 novembre 1938, National Archives and Records Administration, Washington, DC. «Throwing Responsibilities on Other Countries», Manchester Guar­ dian, 16 novembre 1938. « Victims Seek Permits to Leave », Daily Herald, 16 novembre 1938. Minuta del 15 novembre 1938, Foreign Office, fo 371/21637. Cit. in News Chronicle, 18 novembre 1938. «Reprisals Mean '1000 Jews Will Die for O ne'», News Chronicle, 16 novembre 1938. « Negroes Urge Haven for Jews», New York Times, 16 novembre 1938. Annotazione del 19 novembre 1938, Foreign Office, FO 371/21637. « Tunnels Dug by Escaping Jews », News Chronicle, 16 novembre 1938. W il l ia m N o r m a n E w e r , «World Talk of Home for Jews», Daily Herald, 17 novembre 1938. Cit. in G e r h a r d P. Ba ss l e r , « We Should First Look to British Stock », in P a u l R. B a r t r o p (a cura di). False Havens: The British Empire and the Holocaust. da

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43 S ir G eorge O g i l v i e F orbes, comunicazione n. 1224 del 16 novembre 1938, Foreign Office, f o 371/21637.

44 Telegramma del 17 novembre 1938, Foreign Office, f o 371/21637. 45 « Nazis Seize Jews' Valuables», News Chronicle, 18 novembre 1938. 46 R ita N e w e l l (nome da nubile: B r a u m a n n ), 10 novembre 1938, me­ morie inviate all'autore il 28 giugno 2005. 47 «Spain Asks Refugees », Daily Herald, 17 novembre 1938. 48 New York Times, 18 novembre 1938. 49 H.D. Lfuner, When Compassion was a Crime: Germany's Silent Heroes, pp. 113-114. 50 « Nazis Make New Difficulties », Manchester Guardian, 19 novembre 1938. 51 «Jews Forced to Sign Awray Their Property », Reuters News Agency, Manchester Guardian, 19 novembre 1938. 52 « Reich Insists Jews Depart Penniless», New York Times, 20 novembre 1938. 53 Testimonianza di Eric Goldstaub, Ontario, Canada, 22 dicembre 1997,

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Museo Yad Vashem, Archivio Righteous Among the Nations, file 8688.

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(a cura di). Diplomatic Rescuers ami the Story of Feng Shan Ho, Vancouver Holocaust Education Centre, Vancouver, 1999. Questa brochure è stata preparata congiuntamente alla mostra di Eric Saul Visas for Life: The Righteous Diplomats e con la figlia del dottor Ho, Manli Ho. 55 Cit. in D o u g l a s D a v is , « Ho Fengshan: The Chinese Oskar Schin­ dler», Jerusalem Post, 20 febbraio 2000. R o b e r t a K r em er

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Sei settimane prima della Notte dei cristalli, il primo ministro britannico Neville Chamberlain era ritornato dalla conferenza di Monaco proclamando « la pace per la nostra epoca ». La Notte dei cristalli costituì un duro colpo per quella speranza. Il 18 novembre 1938 il cancelliere dello Scacchiere, Sir John Simon, parlò di come la prospettiva di pace « [fosse! stata get­ tata via, negli ultimissimi giorni, a fronte di uno sviluppo che [aveva] profondamente commosso e sconvolto il mondo». Il destino degli ebrei tedeschi, aggiunse Simon, « fa sorgere ine­ vitabilmente forti sentimenti sia di orrore che di solidarietà ».* La Notte dei cristalli ebbe ripercussioni notevoli anche sul­ l'opinione dei parlamentari inglesi. « Ciò è interamente dovu­ to all'attacco nazista contro gli ebrei » riferì YObserver il 20 novembre, « e ha esercitato un'inevitabile influenza sulle pro­ spettive immediate. I membri del ministero non si fanno illu­ sioni. Con loro immenso dispiacere riconoscono che tutto ciò che è accaduto in Germania negli ultimi dieci giorni significa un definitivo ritardo alle prospettive di pacificazione in Euro­ pa ».2 A New York, il presidente Roosevelt il 19 novembre dichiarò: « Dobbiamo pregare, nella stagione del ringrazia­ mento per gente sfortunata di altri paesi, che attraversa terri­ bili sofferenze ».3 Entro una settimana dalla Notte dei cristalli, la Federazione americana del lavoro chiese che si creasse un «circolo morale» intorno alla Germania.4 A Philadelphia tre­ mila tra uomini, donne e bambini « urlarono il loro odio men­ tre l'effigie di Hitler veniva bruciata in strada ».5 All'interno della Germania le persecuzioni e le umiliazioni

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continuarono senza variazioni. Domenica 20 novembre le autorità della Chiesa evangelica ordinarono che tutte le chiese togliessero i nomi biblici ebraici scolpiti sopra le porte. Ciò accadde perché bande antisemite in Sassonia avevano tentato di bruciare chiese che portavano il nome « Jehovah » inciso sulle porte.6 Quel giorno, in Gran Bretagna, l'ufficio del rabbino capo organizzò un servizio di preghiera e intercessione a favore degli ebrei di Germania. Una delle preghiere recitate quel giorno era indirizzata alla Germania: « L'uomo è fatto cadere in basso; la fratellanza umana è divenuta una beffa; e non c'è verità, né pietà o libertà sulla terra. E sono totalmente deter­ minati a diffamare e distruggere la Casa di Israele»/ Il 20 novembre il presidente Roosevelt annunciò che avrebbe chiesto al Congresso di consentire a un numero compreso fra dodicimila e quindicimila rifugiati tedeschi già presenti negli Stati Uniti grazie a permessi di soggiorno di rimanervi «a tempo indeterminato». Sarebbe stato «crudele e disumano », disse, « costringere i profughi, la maggior parte dei quali era­ no ebrei, a ritornare in Germania per trovarsi di fronte a un potenziale maltrattamento, campi di concentramento o altri tipi di persecuzione ».8 Tuttavia Roosevelt non accennò neppure una richiesta al Congresso di accelerare o aumentare la quota di immigrazio­ ne annuale, o di istituire una speciale categoria per i rifugiati. La quota annuale di ventisettemila immigrati tedeschi e au­ striaci era già esaurita fino al gennaio del 1940. Le organizza­ zioni di ebrei americani avevano chiesto che le quote per i tre anni successivi fossero unificate, permettendo a ottantunomila ebrei di entrare immediatamente. Questa proposta fu re­ spinta dall'amministrazione statunitense. Anche il governo britannico era sotto pressione perché fa­ cesse di più per i rifugiati. Il 21 novembre, alla Camera dei Comuni, Alderman Logan, un parlamentare laburista, fece appello alla Gran Bretagna perché prendesse l'iniziativa. Dis-

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se: « Parlo da cattolico, partecipando dal profondo del mio cuore alla causa degli ebrei. Ho udito menzionare la questione economica. Se non possiamo soddisfare i criteri della civiltà, se non riusciamo a portare la luce del sole nella vita della gente senza essere preoccupati della questione dei soldi, la civiltà è condannata. Oggi si offre alla nazione inglese un'op­ portunità di prendere un'adeguata posizione fra le nazioni del mondo ».9 Nella primavera del 1937 il governo britannico aveva ac­ colto quattromila bambini baschi, rifugiatisi nell'isola a causa della guerra civile in Spagna. Più della metà di questi, in seguito, era tornata alle proprie case.10 Il 21 novembre alla Camera dei Lord un eminente ebreo inglese, il visconte Sa­ muel, in precedenza a capo del Partito liberale, ricordò al governo che nel 1915 molte migliaia di bambini belgi - profu­ ghi a causa dell'avanzata tedesca in Belgio, che aveva indotto la Gran Bretagna a dichiarare guerra alla Germania - avevano trovato rifugio presso abitazioni inglesi.11Quando il dibattito fu terminato, il governo annunciò che a « un larghissimo nu­ mero» di bambini ebrei tedeschi sarebbe stato permesso di entrare in Gran Bretagna. Il destino degli ebrei che erano stati catturati nella Notte dei cristalli e inviati ai campi di concentramento stava diventando ampiamente noto e diffuso dalla stampa. Il 23 novembre il quotidiano londinese News Chronicle riferì dell'arrivo di sessantadue ebrei, fra cui due rabbini, a Sachsenhausen, a nord di Berlino. Gli arrestati avevano raggiunto i cancelli del campo scortati dalla polizia fin da Berlino. Ai cancelli la polizia do­ veva consegnarli alle ss. 1 sessantadue ebrei furono quindi picchiati con badili, bastoni e fruste. Secondo un testimone oculare, la polizia, « non riuscendo a sopportare le loro grida, si voltò dall'altra parte». Quando gli ebrei venivano percossi, cadevano. Quando cadevano, veni­ vano percossi ancora di più. Una simile « orgia » di botte durò per mezz'ora. Quando finì, «dodici dei sessantadue erano

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morti, con il cranio spaccato. Gli altri erano tutti privi di cono­ scenza. Gli occhi di alcuni erano usciti dalle orbite, i volti sfigurati ».12 11 trentunenne Ersnt Gerstenfeld, originario di Vienna, fu registrato a Dachau il 12 novembre. Uno dei suoi nipoti ricor­ dò tempo dopo: « I tre mesi che mio nonno trascorse a Dachau furono piuttosto crudeli, ma lui evitò di raccontarci la mag­ gior parte delle vicende. Imparò a far parte di una formazione di uomini stando nel mezzo o ai lati, ma mai sul davanti: quelli che si trovavano nelle prime file venivano picchiati con le pistole o i pugni delle guardie. Sottrasse delle coperte a uomini che erano morti e si fece un berretto. Comprò anche un po' di guanti dall'emporio del campo e li usò per i lavori forzati ».13 Fra gli ebrei di Monaco che furono mandati a Da­ chau ci fu il rabbino della comunità, il dottor Leo Baerwald, che subì gravi maltrattamenti. Il 21 novembre, a Berlino, fu annunciato dalle autorità naziste che 3767 attività commerciali della città erano state tra­ sferite sotto controllo «ariano», o definitivamente chiuse. Quel giorno furono annunciate ulteriori restrizioni sugli ebrei. Per rinforzare la regola che prescriveva che i medici ebrei non potessero curare pazienti non ebrei, da quel momento in avanti ogni dottore ebreo avrebbe dovuto esibire una targa blu con una stella gialla - la stella di Davide - con la scritta: AUTORIZZATO A PRESTARE CURE MEDICHE SOLTANTO A EBREI.

1proprietari di appartamenti dovettero inviare il preavviso di sfratto ai propri affittuari ebrei. I boobnaker non potevano ac­ cettare scommesse da ebrei, negando loro qualsiasi potenziale guadagno, fosse anche tramite la lotteria. A Washington il segretario agli Interni, Harold lekes, sottopo­ se alle Camere di commercio del territorio dell'Alaska un progetto per l'insediamento di numerosi rifugiati ebrei tede­ schi e austriaci nelle vaste distese disabitate dell'Alaska. Il sindaco di Seward, Don Carlos Brownwell, telegrafò a Ickes che la fertile, ma praticamente disabitata penisola di Kenai,

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lunga centonovantadue chilometri, poteva accogliare ancora 250.000 abitanti, « indipendentemente dalla loro religione o dalle loro disponibilità economiche personali ». Brownwell ricevette l'appoggio di altri due sindacò quelli di Skagway e Petersburg. Ma non fu abbastanza: in quattro Camere di commercio, quelle di Anchorage, Fairbanks, Ju­ neau e Valdez, passarono risoluzioni che si opponevano al progetto di insediamento. La Camera di Juneau, citando un'e­ sperienza recente con una colonia agricola federale, predisse che sul territorio avrebbe gravato una pesante tassazione per far fronte alle spese delle strade e delle scuole necessarie. La Camera di commercio di Anchorage temette che una colonia interamente composta da immigrati avrebbe «impedito l'in­ tegrazione e li avrebbe trattenuti dall'americanizzarsi ». A di­ spetto del desiderio di Ickes di fare qualcosa per i rifugiati, il progetto di insediamento fu accantonato.14 Felix Cohen, uno degli avvocati del dipartimento degli Interni, in seguito rac­ contò a un nuovo membro del dipartimento, Ruth Gruber, di come Ickes « fosse determinato ad aiutare i profughi », ma che « un gruppo di abitanti dell'Alaska si fece tutta la strada fino a qui solo per opporsi ». Questi « sostennero che al momento non esisteva antisemitismo nel territorio, perché in ogni città c'erano solo alcune famiglie ebraiche. Portarvi cinquemila ebrei all'anno avrebbe dato inizio a disordini di carattere raz­ zista ».,5 Nei Caraibi l'Assemblea legislativa delle isole Vergini - un arcipelago che gli Stati Uniti avevano acquistato dalla Dani­ marca ventun anni prima - il 18 novembre aveva votato una risoluzione che offriva « a popoli di rifugiati del mondo » un posto sulle isole, dove « la loro cattiva sorte potesse aver fine ». Poiché nel secolo precedente la popolazione delle isole era diminuita da 43.000 a 22.000 abitanti, ci sarebbe stato certa­ mente spazio. Ma un mese più tardi, il 15 dicembre, il segre­ tario di Stato degli Stati Uniti, Cordell Hull, inviò una lettera a

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tutte le autorità coinvolte, definendo la risoluzione degli iso­ lani « incompatibile con la legislazione esistente ». Sarebbe stato necessario oltre un anno prima che il diparti­ mento del Lavoro, che era stato consultato sul progetto, con­ cludesse che l'invito ad accogliere i rifugiati era « coerente con la legislazione esistente e non presentava obiezioni dal punto di vista politico». Anche allora il procuratore generale, Frank Murphy, a cui nell'ottobre del 1939 fu richiesto di fornire un parere legale dal segretario agli Interni Harold Hickes, con l'idea di ripristinare il piano di soccorso, nella sua risposta del marzo del 1940 rifiutò perfino di studiare il problema, « a causa del fatto che il segretario di Stato non aveva richiesto una simile opinione». Con ciò, la proposta si arenò.10 Il 20 novembre il Consiglio nazionale ebraico per la Pale­ stina, in un telegramma da Gerusalemme, si offrì di accogliere diecimila bambini ebrei tedeschi in Palestina, perché fossero distribuiti fra i duecentocinquanta insediamenti agricoli e cen­ tri urbani ebraici esistenti nell'area. Sarebbero state trovate « immediatamente » delle abitazioni per cinquemila bambini, ed «entro quattro settimane» per un secondo gruppo altret­ tanto numeroso. Il costo complessivo del trasferimento dei bambini dalla Germania e del loro mantenimento nelle nuove case, come anche della loro educazione e formazione profes­ sionale, sarebbe stato sostenuto dalla comunità ebraica pale­ stinese e da «sionisti di tutto il m ondo».1 L'offerta del Consiglio nazionale ebraico fu discussa al par­ lamento inglese tre settimane più tardi insieme a un'altra pro­ posta successiva, sempre del Consiglio nazionale, di accoglie­ re diecimila adulti oltre ai bambini. Il segretario alle Colonie, Malcolm MacDonald, disse ai suoi colleghi di gabinetto: « Non ci poteva essere alcuna possibilità di consentire agli adulti di entrare in Palestina, ma il problema dei bambini» - su cui aveva ricevuto forti pressioni - «era più complicato. C'erano abitazioni disponibili per tutti i diecimila bambini e non c'era dubbio che potrebbero essere accolti in Palestina

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senza urtare gli interessi di nessuno. C'erano, tuttavia, altri punti che dovevano essere considerati ». MacDonald quindi menzionò la conferenza imminente che avrebbe dovuto tenersi a Londra fra il governo britannico e i rappresentanti degli arabi palestinesi, degli ebrei palesti­ nesi e degli Stati arabi. Egli riferì che sia l'Alto commissario britannico a Gerusalemme sia i diplomatici inglesi nei paesi arabi limitrofi «avevano detto tutti che se a questi diecimila bambini fosse permesso di entrare in Palestina, dovremmo correre il rischio considerevole che gli arabi palestinesi non prendano parte alla conferenza e che, nel caso in cui vi par­ tecipassero, la loro fiducia sarebbe scossa e l'atmosfera del­ l'incontro rovinata ». Anche Lord Zetland, segretario di Stato dell'India, le cui responsabilità comprendevano il mantenimento della fedeltà dei sessanta milioni di musulmani presenti nell'India britan­ nica, si oppose al progetto, avvertendo il gabinetto che lui stesso era «convinto che l'ammissione di questi diecimila bambini in Palestina nel periodo attuale avrebbe [avuto] un effetto molto negativo sull'opinione pubblica musulm ana».18 L'offerta di accogliere i bambini fu dunque respinta. La deci­ sione espressa relativamente al permesso di far entrare un numero simile di bambini in Gran Bretagna fu intrapresa pa­ rallelamente all'intenzione di non smuovere le acque in Pale­ stina. La macchina della propaganda nazista continuò a sputare il proprio veleno. Il 23 novembre, l'inviato di un quotidiano inglese riportò da Berlino: «Gli estremi a cui potrebbe giun­ gere questa campagna sono visibili in un articolo che è appar­ so ieri nello Schwarze Korps, organo delle camicie nere naziste, che predice lo sterminio fisico degli ebrei. Dice che gli ebrei devono essere condotti in strade riservate, marchiati con un emblema speciale e privati del diritto di possedere della terra o una casa. Quindi, essendo esclusi da tutte le occupazioni

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redditizie, consumeranno velocemente i propri capitali e di­ verranno criminali, in linea con la loro indole ereditaria». Quando fosse stato raggiunto quello stadio, concludeva lo Schwarze Korps, «ci troveremo di fronte alla dura necessità di sterminare i criminali ebrei con quei metodi che abbiamo sempre usato quando abbiamo avuto a che fare con i delin­ quenti, vale a dire il fuoco e la spada. Il risultato consisterà nella fine definitiva dell'ebraismo in Germania: la sua com­ pleta distruzione ».19 Rivolgendosi ai fedeli della Chiesa cattolica, il 21 novembre papa Pio xi sfidò l'affermazione nazista di superiorità razziale ariana, insistendo sull'esistenza di un'unica razza umana. L'asserzione del pontefice fu messa in discussione dal mini­ stro del Lavoro tedesco, Robert Ley, che in un discorso tenuto a Vienna il 22 novembre dichiarò: «Nessun sentimento di compassione sarà tollerato nei confronti degli ebrei. Rifiutia­ mo l'affermazione del papa secondo cui non esisterebbe che un'unica razza. Gli ebrei sono parassiti ».20 Sulla scia della decisa presa di posizione di Pio xi, c'erano state aperte condanne della Notte dei cristalli da parte di pa­ recchi eminenti uomini di Chiesa cattolici, fra cui il cardinale Schuster di Milano, il cardinale belga Van Roey e il cardinal Verdier di Parigi. Dopo la Notte dei cristalli Pio xi, che era papa dal 1922, voleva rompere i rapporti diplomatici del Va­ ticano con la Germania. Ormai ammalato, fu dissuaso dal farlo dal suo segretario di Stato, Eugenio Pacelli, che aveva negoziato il Concordato con Hitler cinque anni prima.21 Tre mesi dopo la Notte dei cristalli papa Pio xi morì. Pacelli di­ venne suo successore, con il nome di Pio xn. Il 23 novembre, a New York, una manifestazione di massa organizzata dal Joint Boycott Council (Consiglio di boicottag­ gio congiunto) protestò contro il prolungarsi della violenza antisemita in Germania. Due giorni dopo, a Chicago, dei con­ testatori bruciarono bandiere con la svastica.22

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Non passava giorno in cui non fosse assestato qualche nuovo colpo all'ebraismo tedesco. Il 24 novembre venne riferito da Berlino che agli ebrei sarebbe stato proibito di vivere in regio­ ni di frontiera, in centri turistici o nelle zone residenziali più belle delle città. Nello stesso giorno si ordinò la chiusura di tutti i negozi ebraici che erano stati restaurati nelle due setti­ mane seguite alla Notte dei cristalli e avevano riaperto. « L'ap­ petito nazista per le vittime è insaziabile» scrisse l'inviato di un quotidiano inglese da Berlino. « Adesso si stanno facendo progetti per etichettare come ebrei tutti coloro che apparten­ gono a una razza mista, che finora erano stati equiparati, al­ meno in teoria, agli ariani. » Ci furono anche proposte per l'abbigliamento, «da idee fantastiche come mantelli gialli, cappelli a punta gialli con stelle di Davide ricamate sopra, toppe di tessuto giallo fissate al petto e alle spalle, fino a idee più semplici come fasce gialle da portare al braccio e spille ».23 Le «toppe di tessuto giallo» a forma di stella di Davide sa­ rebbero state introdotte solo due anni dopo, a eccezione dei campi di concentramento, prima nella Polonia occupata dai tedeschi e quindi nella stessa Germania. Il 27 novembre l'inviato dell'Associated Press a Vienna riferì che le autorità cittadine avevano rimosso le targhe indicanti i nomi delle strade da ottanta vie che erano state intitolate ad austriaci illustri, i quali, per combinazione, erano anche ebrei. Due di questi nomi erano quelli di Joseph von Sonnenfels e Siegfried Marcus. Sonnenfels era « responsabile dell'abolizione della tortura come metodo investigativo della polizia ».2AMar­ cus era uno degli inventori dell'automobile: negli anni Settanta dell'Ottocento aveva costruito il primo veicolo con un motore a quattro tempi alimentato a benzina e dotato di carburatore e impianto di accensione magnetica. Nell'ideologia nazista una simile impresa non contava nulla, data la sua origine ebraica. Ebrei tedeschi e austriaci che erano riusciti a trovare asilo in Italia lo cercarono nuovamente per sfuggire alle leggi razziali di Mussolini, introdotte due giorni prima della Notte dei cri-

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stalli e che impedivano agli ebrei di accedere agli impieghi nel governo o nella pubblica amministrazione, o al l'insegnamen­ to nelle scuole italiane. Molti cercarono di varcare il confine verso la Svizzera neutrale. Il 23 novembre Heinrich Roth­ mund, capo della divisione di polizia del dipartimento fede­ rale svizzero di Polizia e Giustizia, protestò con il ministro degli Esteri svizzero a proposito dei rifugiati ebrei a cui era consentito entrare nel paese. Rothmund aveva scoperto che parecchi consolati svizzeri in Italia avevano rilasciato permes­ si «a caso» a ebrei austriaci, consentendo loro di giungere in Svizzera. Diversi cantoni svizzeri si erano lamentati per que­ sto afflusso di ebrei. Dei duemilaottocento visti preparati dai consolati svizzeri in Italia nel corso di un solo anno, milleseicento furono ema­ nati a Milano da due funzionari svizzeri. Pio Perucchi e Can­ dido Porta. Per porvi un freno, Heinrich Rothmund insistette che i visti avrebbero potuto essere concessi solo se coloro che li avessero ricevuti avessero promesso di non rimanere in Sviz­ zera, ma unicamente di transitarvi. Perucchi e Porta continua­ rono comunque a dare permessi a coloro che sapevano di non avere alcuna intenzione di lasciare la sicurezza della Svizzera neutrale.2^ A Berlino il capitano Foley, dopo la Notte dei cristalli, fu ancora più attivo di prima nell'aiutare gli ebrei a lasciare la Germania. Ze'ev Padan in seguito ricordò come al tempo della Notte dei cristalli il padre, Gunther Powitzer, che prima della guerra faceva il tassista a Berlino, si trovasse già a Sachsen­ hausen. Due mesi prima era stato imprigionato a Brandeburgo per ventuno mesi, con l'accusa di « contaminazione razzia­ le ». La famiglia della sua ragazza, composta da simpatizzanti nazisti, aveva riferito alle autorità della sua relazione, nono­ stante il fatto che lui e la compagna avessero già un figlio piccolo. Dopo aver scontato il suo periodo di carcerazione, Powitzer era sul punto di tornare a casa a Berlino quando un militante delle ss gli disse: « Non sei libero », e fu mandato a Sachsenhausen. Il capitano Foley si recò personalmente al

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campo di concentramento con un visto per la Palestina, e ne ottenne il rilascio. Nel giro di una settimana, Powitzer e suo figlio erano in viaggio su un treno diretto in Italia, e da lì in nave per la Palestina. Foley li accompagnò alla stazione ferro­ viaria di Berlino per essere certo che fosse loro consentito di lasciare la Germania senza ulteriori ostacoli.26 Dopo la guerra una delle persone che Foley aveva salvato il cui nome non fu registrato - descrisse il suo metodo e il suo successo in casi individuali. L'uomo scrisse: « In qualità di funzionario preposto al controllo dei passaporti, [Foley] era libero di interpretare regole e regolamenti esistenti a propria discrezione. In una simile situazione, non scelse mai facili vie d'uscita. Non cercò mai di farsi benvolere dall'ambasciatore (Sir Nevile Henderson) né dal Ministero degli Interni, dando una restrittiva e limitata interpretazione delle regole. Al con­ trario, se aveva la possibilità di aiutare gli ebrei a emigrare non disdegnava interpretazioni fantasiose ». Ad esempio in una circostanza Foley emise un visto pale­ stinese di categoria a , concesso a coloro che avessero un capi­ tale di mille sterline, e strettamente inteso per l'utilizzo perso­ nale. Questo particolare visto, notò il testimone, fu emesso per una donna in possesso delle mille sterline ma prevedeva anche «che sarebbe stata 'accompagnata dalla madre ammalata' (un'interpretazione che contraddiceva il decreto sull'immigra­ zione in Palestina sia nella lettera sia nello spirito). E l'autorità di Foley presso l'Ufficio per l'emigrazione in Palestina era talmente forte, che all'arrivo ad Haifa il funzionario d'immi­ grazione del porto (un inglese) non mise in discussione la validità del documento ». In un'altra occasione, ricordava il testimone, Foley assegnò un permesso di immigrazione in un dominion inglese a una ragazza diciannovenne, sebbene questa si fosse rivolta a lui subito dopo la sua scarcerazione: aveva scontato due anni di detenzione per attività comuniste. La ragazza non negò di essere stata comunista, anche se ciò l'avrebbe automaticamen­ te esclusa dall'assegnazione di un permesso di soggiorno.

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Dopo averle parlato, Foley decise: « La ragazza adesso ha di­ ciannove anni. Quando era comunista, ne aveva diciassette. A quell'età chiunque è soggetto a commettere una stupidaggine di gioventù senza rendersi conto delle conseguenze». Un'al­ tra volta Foley mise personalmente il timbro su un visto per una colonia della Corona britannica sul passaporto di un ebreo, dopo che il suo ufficio era stato chiuso e il personale era andato a casa, al fine di assicurare l'immediato rilascio dell'uomo da Sachsenhausen. Dopo la Notte dei cristalli, « quando folle di migliaia di persone assediavano il suo ufficio giorno e notte», Foley aumentò il numero dei suoi assistenti da due a sei e raddoppiò gli impiegati, «fatto davvero fuori dall'ordinario in tempo di pace per la Gran Bretagna di quel­ l'epoca ».27 Fra coloro che videro Foley al lavoro vi fu il giovane ebreo olandese Wim van Leer. Quarantasei anni dopo egli ricordò « l'autentica solidarietà » di Foley « nei confronti della calca di persone che assediavano senza tregua il suo ufficio con le loro richieste di documenti, domande e necessità di informazioni sull'avanzamento del proprio caso». Van Leer aggiunse: « L'inverno del 1938 fu rigido, e uomini e donne anziani aspet­ tavano fuori fin dalle sei del mattino, facendo la coda esposti alla neve e al vento tagliente. 11 capitano Foley ebbe cura che un fattorino in uniforme facesse passare un distributore di tè su un carrello lungo la fila di gelata sofferenza, e tutto ciò nonostante la gente, resa nevrotica dalla frustrazione e dal freddo, facesse ben poco per alleggerire il suo compito ». Van Leer portò ventidue giovani ebrei in Gran Bretagna con lui. Foley consigliò loro la strada da fare, da Lipsia a Emden, vicino alla punta settentrionale del confine tedesco con l'Olanda, quindi attraverso il limite della laguna fino al villaggio olandese di Termunten, e di lì fino ad Amsterdam. A Emden van Leer fu aiutato da un luterano tedesco, che discen­ deva da una famiglia di profughi perseguitati per motivi re­ ligiosi trecento anni prima nei Paesi Bassi spagnoli. Su un

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ultimo viaggio in taxi di van Leer da Lipsia a Berlino, Foley aveva posto il timbro a tutti i ventidue passaporti.2' Nessuno sapeva quanto tempo sarebbe rimasto al flusso dei profughi al di fuori della Germania. Foley continuava ininter­ rottamente il suo lavoro. Era « un piccolo uomo attivo », notò Margaret Reid, una componente del suo staff. «Sembra che lavori quattordici ore al giorno ma senza perdere il buonumo­ re. »29 Uno di coloro che lo frequentarono di più, Benno Cohn, leader della comunità ebraica di Berlino e beneficiario di uno dei preziosi visti palestinesi, parlò ventanni più tardi a una cerimonia tenuta appena fuori da Gerusalemme per onorare l'opera di Foley: « Non agì venendo meno al suo dovere, ma in conformità con la sua opinione personale, e in una maniera talmente spassionata che molti ottennero i permessi desidera­ ti, permessi che non avrebbero ottenuto se egli si fosse attenuto strettamente ai suoi regolamenti. Visti turistici, certificati di capitale o di parentela, l'intera, complicata casistica dell'immi­ grazione palestinese fu da lui manipolata in modo tale che, proprio durante quegli anni di considerevoli limitazioni, vi fu una notevole quantità di immigrazione ». 11 « punto culminante » delle attività di Foley, nelle parole di Benno Cohn, fu raggiunto durante le « settimane buie » che seguirono la Notte dei cristalli. « Avvicinandosi all'edificio del consolato in Tiergartenstrasse, si potevano vedere donne in coda che attendevano il permesso di entrare. Le stanze del consolato furono trasformate in un rifugio per ebrei che cer­ cavano protezione dalla persecuzione. Nel corso di quelle settimane, trentaduemila uomini erano imprigionati nei cam­ pi di concentramento, con le loro mogli che assediavano il console per un permesso di soggiorno che avrebbe significato la liberazione per i propri mariti. Era una questione di vita o di morte per parecchie migliaia di loro. In quei giorni, il grande senso di umanità del capitano Foley divenne manifesto a chiunque. Era a disposizione di coloro che cercavano aiuto giorno e notte. Distribuì generosamente ogni tipologia di per-

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messo, contribuendo così alla liberazione di molte migliaia di persone dai campi. » Riflettendo sulle motivazioni che animavano Foley, Benno Cohn commentò che egli era « un autentico cristiano, per il quale l'aiuto al prossimo costituiva il primo comandamento. Spesso ci disse che, come cristiano, voleva dimostrare quanto poco avessero a che fare con la vera cristianità i cristiani che allora governavano la Germania. Sapevamo, tuttavia, che egli non agì per il semplice amore di Mordechai, ma allo stesso tempo fu spinto dall'odio verso Haman. Detestava i nazisti e, come mi disse una volta durante una conversazione, li consi­ derava il dominio di Satana sulla terra. Disprezzava le loro azioni meschine e sentiva la responsabilità di offrire aiuto alle vittime ».3() Mordechai era un re dell'antica Persia la nipote del quale, Esther, fu data in sposa al re Assuero. Questi fu per­ suaso a impedire al gran visir Haman di uccidere gli ebrei. Al termine di novembre si mise in atto un'altra strategia per escludere gli ebrei tedeschi dalla vita della Germania. Il 30 novembre entrò in vigore un decreto emanato il mese precedente, prima dell'espulsione verso la Polonia e della Notte dei cristalli. Nessun ebreo che avesse un permesso di esercitare la professione di avvocato avrebbe più potuto far­ lo. Anche gli avvocati specializzati in brevetti avrebbero do­ vuto smettere di esercitare l'attività. Gli avvocati ebrei resi­ denti in Austria avrebbero dovuto interrompere l'attività entro la fine dell'anno. 11 30 novembre un quotidiano inglese riferì di un'ulteriore minaccia contro gli ebrei tedeschi presentata nello Schwarze Korps: « Il giorno in cui un'arma ebrea o un'arma acquistata con i soldi ebrei verrà di nuovo alzata contro un dirigente tedesco, quel giorno non rimarranno più ebrei in vita in Ger­ m ania».51 Dei trentamila uomini ebrei arrestati e portati nei campi di concentramento immediatamente dopo la Notte dei cristalli, Walter Loeb - quattro zii del quale avevano prestato servizio

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nella Prima guerra mondiale, di cui uno era morto nel 1923 per le ferite ricevute in battaglia - fu tra gli undicimila inviati a Dachau, appena fuori da Monaco. Tempo dopo egli ricordò: « Fummo ricevuti da un 'comitato di accoglienza' che consi­ steva in un grande plotone di guardie delle ss massicciamente armate e in tenuta da combattimento, che ci sbeffeggiarono continuamente con insulti a voce alta, come 'Siete tutti desti­ nati a tirare le cuoia, qui' e altri slogan pieni di cattiveria. Alcune guardie attraversarono le nostre file e ad alcuni pri­ gionieri fecero la domanda idiota: 'Sai perché ti trovi qui?' Chiunque rispondesse: 'No', riceveva immediatamente uno schiaffo in viso. Mi fu risparmiato questo supplizio poiché mi passarono oltre ». Poi una guardia « gridò che 'il rabbino' facesse un passo avanti. La guardia andò quasi in estasi quando, con sua gioia crudele, ne vide arrivare una quantità enorme, dato che si fecero avanti non solo una, ma parecchie persone dall'aspetto di rabbini, e come ricompensa alla loro obbedienza furono picchiati ». Non ci fu cibo per tre giorni « mentre venimmo inseriti nel sistema. Ci fecero fare docce, visite mediche fasul­ le, e le nostre teste furono completamente rasate. Le docce divennero un supplizio particolare, e le guardie provavano un piacere crudele nell'altemare spruzzi d'acqua bollente e fredda nelle bocche dei prigionieri ». Quindi ciascun prigioniero fu interrogato, in particolare sulle sue passate inclinazioni politiche e occupazione. «Di solito i nazisti controbattevano in modo fortemente sarcastico. Pertanto, se uno era un 'uomo d'affari' veniva chiamato 'im­ broglione', e se era un artigiano specializzato, ad esempio un elettricista, veniva chiamato 'bugiardo'. Fummo anche foto­ grafati e le misure del nostro corpo vennero prese in una stanza in cui apparentemente si faceva ricerca sulla razza. A ogni prigioniero era attribuito un numero, che dovevamo semplicemente cucire sulla manica dell'uniforme con una stella gialla.» Ogni baracca a cui erano assegnati i nuovi arrivi conteneva

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un migliaio di prigionieri. « Le baracche divennero disperatamente sovraffollate, e noi dormivamo schiacciati come sardi­ ne. » Le regole del campo erano severe. Alle otto in punto scattava il coprifuoco, ma le baracche non erano chiuse a chiave. « Chiunque avesse aperto le porte dopo le otto e avesse fatto un passo fuori sarebbe stato colpito immediatamente da una fucilata. 1 riflettori illuminavano costantemente le barac­ che durante la notte, e le guardie sulle torri con le mitraglia­ trici non avrebbero avuto molta difficoltà a individuare i tra­ sgressori. Alcuni prigionieri si suicidarono toccando il filo spinato elettrificato che circondava il campo. » La routine quotidiana cominciava alle quattro e trenta del mattino. «Tutti i prigionieri dovevano sfilare in parata sulla Appel Platz (piazza dell'adunata). Il comandante o il suo dele­ gato facevano l'appello, ordinando a tutti i prigionieri 'sotto custodia cautelare', come venivamo chiamati, di mettersi sul­ l'attenti. Questa farsa poteva durare ore, specialmente se la conta dei prigionieri dava luogo a un risultato scorretto. E le guardie diventavano nervose per il timore che un prigioniero fosse riuscito in qualche modo a scappare. » La maggior parte della giornata era occupata «dall'esecuzione di esercizi mili­ tari, corse a doppio passo, marce ecc. Alcuni dei prigionieri più anziani si sentirono male e in seguito morirono, poiché non potevano sopportare una routine cosi rigida ». Dopo la seconda settimana a Dachau, ai singoli prigionieri venne ordinato di recarsi in un ufficio « dove ci venne chiesto di dichiarare il nostro reddito personale, conto in banca e altri beni». La motivazione di tale procedura era la multa di un miliardo di marchi che gravava sulla comunità ebraica. « Una mattina, sulla Appel Platz, fu proclamato l'ordine che tutti i milionari si facessero avanti e un certo numero di persone si lamentò. Vicino a me si trovava un anziano banchiere, presu­ mibilmente milionario, che ignorò l'ordine e non si mosse. In quel momento una delle guardie si ricordò del momento in cui quel banchiere era stato registrato. Si mise a inveire contro

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l'uomo, lo fece uscire dalla fila e malmenare, finché non perse i sensi. » Dopo circa un mese, ai prigionieri furono consegnate delle cartoline con cui scrivere a casa « utilizzando un testo prescrit­ to, cioè che stavamo bene ed eravamo trattati bene. La nostra famiglia avrebbe dovuto inviarci del denaro, che avremmo usato per comprare dentifricio e sapone all'emporio gestito dalle ss, a prezzi esorbitanti. Ci fecero anche abbonare al quo­ tidiano ufficiale nazista, il Völkischer Beobachter. Così almeno venivamo a sapere alcune delle notizie esterne, anche se la maggior parte consisteva in propaganda ». L'inverno fu molto rigido. A causa di una carenza nei de­ positi del campo, alcuni prigionieri non avevano ricevuto le camicie. « Ad alcuni venne l'idea di riempire le uniformi di carta di giornale per proteggersi dal freddo» ricorda Walter Loeb. « Questo fatto fu riferito e il mattino dopo fu diffuso l'annuncio che chiunque fosse stato trovato con dei giornali nell'uniforme avrebbe ricevuto venticinque frustate. » Coloro che al campo erano noti come gli ebrei « di novem­ bre» furono per la maggior parte rilasciati durante l'inverno. Questa, sottolinea Walter Loeb, « fu l'ultima volta che dei de­ tenuti furono rilasciati da un campo di concentramento. Dovet­ tero garantire che avrebbero abbandonato velocemente la Ger­ mania. Quando giunse il mio turno, dovetti sottopormi a una visita medica. Non la passai, perché avevo dei segni evidenti di congelamento sulle mani, e loro non volevano che il mondo esterno vedesse cicatrici o segni di maltrattamento (come segni di pestaggio ecc.). Erano ancora preoccupati dell'opinione pub­ blica e di quella estera ». La propaganda nazista aveva detto al mondo che il popolo tedesco aveva « reagito spontaneamente » dopo l'assassinio di vom Rath, e « aveva usato tale affermazio­ ne come una giustificazione per portarci a Dachau, allo scopo di proteggerci dalla rabbia del popolo tedesco». Con l'aiuto del prigioniero tedesco responsabile della sua baracca, che gli prestò i suoi guanti, Walter Loeb fu chiamato una settimana dopo per un'altra visita medica. « Questa volta

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superai la visita, mi restituirono gli abiti e gli oggetti personali. In tutto avevo trascorso due mesi a Dachau. » Ci fu un discorso finale da parte delle autorità. « Il comandante ci disse quanto eravamo fortunati che la nostra permanenza a Dachau fosse stata tanto breve, e che eravamo stati trattati bene. Se avessimo raccontato qualcosa di diverso fuori dal campo, saremmo stati immediatamente riportati indietro, per non essere mai più rilasciati. E avremmo dovuto lasciare la Germania entro no­ vanta giorni. Mise anche in guardia coloro che avevano in mente di recarsi negli Stati Uniti o altrove del fatto che dove­ vano essere seguite le stesse regole, perché la g e s t a p o [aveva] 'le braccia lunghe' (queste furono le sue precise parole). Fui messo su un treno che tornava a Karlsruhe e riportato al quar­ tier generale della g e s t a p o , come ordinato. Ci fu un interro­ gatorio approfondito, e un funzionario della g e s t a p o ripetè le medesime minacce che avevamo udito da parte del coman­ dante del campo prima di partire. » Tutte e tre le sinagoghe di Karlsruhe erano state distrutte nella Notte dei cristalli. Walter Loeb fu finalmente in grado di lasciare la Germania per gli Stati Uniti nel marzo del 1940. Un anno dopo fu arruo­ lato nell'esercito statunitense, e prestò servizio nel Pacifico per due anni e mezzo.u Il padre di Gary Himler fu fortunato a Dachau, almeno considerando che il suo nome, così simile a quello del capo delle ss Himmler, sembrò garantirgli protezione. «Papà per­ cepì sempre di essere stato trattato diversamente dal resto dei prigionieri, con un certo rispetto o una certa distanza » ricordò il figlio Gary tempo dopo. « Come se le guardie immaginasse­ ro che questo Himler fosse incaricato di fare dei controlli, delle relazioni, o addirittura di valutarle. » Verso la fine dei suoi tre mesi a Dachau, tuttavia, l'uomo subì con gli altri reclusi l'e­ sperienza di un'adunata in cui « l'intero gruppo di prigionieri fu fatto rimanere in piedi, nudo, al gelo, e le guardie li spruz­ zarono ripetutamente con dell'acqua». Come risultato, si riempì di geloni su tutto il corpo. Poco tempo dopo gli fu concesso di partire: la moglie era riuscita a esibire alle autorità

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un affidavit da parte di un parente che viveva negli Stati Uniti. Se si fossero recati in America il documento avrebbe garantito per tutta la famiglia. « Papà riempi le ferite dovute al conge­ lamento di carta igienica bagnata, in modo che non fossero visibili. Le guardie non se ne accorsero quando lo esaminaro­ no, e gli fu permesso di andarsene. »33 A Buchenwald e a Sachsenhausen le scene di tormento furono simili a quelle di Dachau. Un ebreo rilasciato da Bu­ chenwald descrisse come un prigioniero più anziano fosse stato talmente percosso dalle guardie delle ss che di notte, nel capanno in cui dormivano gli uomini, « continuò a lamen­ tarsi senza sosta. 11 bruto responsabile del capanno colpi ripe­ tutamente quell'uomo in viso, dicendogli di smettere di fare rumore. Al mattino, il vecchio era morto».34 E stato stimato che trecentocinquanta degli ebrei arrestati durante la Notte dei cristalli morirono queU'inverno a Bu­ chenwald.^ A Buchenwald, Sachsenhausen e Dachau il tribu­ to complessivo di vite umane superò le cinquemila vittime, di cui 2958 erano ebrei austriaci.36 Note 1 Discorso del 18 novembre 1938, Manchester Guardian, 19 novembre 1938. 2 « Parliament and Refugees », Ob$en*er, 20 novembre 1938. 3 « America Wams Germany », Observer, 20 novembre 1938. 4 Ibid. 5 «Crowd Bums Hitler Guy...», Sunday Pictorial, 20 novembre 1938. 6 « Churches Attacked », Daily Herald, 21 novembre 1938. 7 « A Service of Prayer and Intercession for the Jews of Germany », 20 novembre 1938, Jewish Museum, Londra, Archivio. 8 « Shelter in the US for 15.000 Refugees », Daily Herald, 21 novembre 1938. 9 Hansard, dibattiti parlamentari, 21 novembre 1938. 10 «Spanish Refugees Add to Burdens of Europe», New» York Times, 5 febbraio 1939. 11 Hansard, dibattiti parlamentari, 21 novembre 1938. 12 Neivs Chronicle, 23 novembre 1938.

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13 T ed S healy , lettera all'autore, 28 giugno 2005.

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«Sanctuary: Alaska, the Nazis, and the Jews: The For­ gotten Story of Alaska's Own Confrontation with the Holocaust», Anchorage Daily News, 16-19 maggio 1999. R u t h G r u b e r , Inside of Time: My Journey from Alaska to Israel, pp. 13-14. Chronological Account of Inter-Departmental Negotiations on Admission of Alien Visitors into Virgin Islands, United States National Archives, Re­ cord Group 126. « 10.000 Child Refugees, Palestine Plan », Manchester Guardian, 21 no­ vembre 1938. Minute del consiglio di gabinetto, 14 dicembre 1938, documenti di gabinetto, 23/%. « Nazis Cry 'Finish Jews' », News Chronicle, 23 novembre 1938. Reuters News Agency, riportato nel Daily Herald, 23 novembre 1938. M ic h a e l P h a y e r , The Catholic Church and the Holocaust, 1930-1956, p. 18. Fotografie 30343a e 50343c dell'Associated Press, con disascalie. « Insatiable », News Chronicle, 25 novembre 1938. «Vienna Changing Names», New York Times, 28 novembre 1938. T o m R iz z i a ,

25 « P e ru c ch i, P io (1870-1945) e P o rta , C a n d id o (1892-1988) »: a p p e n d ic e

Il dottor Feng Shan Ho, console generale cinese a Vienna, Austria, 1938-1940, m a n o s c ritto . a M a n li H o,

26 Z e 'e v P ada n , conversazione con l'autore, 13 gennaio 2002.

27 « Major Francis Edward Foley », annotazione di una sola pagina, auto­ re ignoto, marzo 1960. Museo Yad Vashem, Archivio Righteous Among the Nations, file 8378. 28 W im v a n L e e r, Time of My Life, pp. 174-177. 29 M a r g a r e t R e id , cit. in D o u g l a s D a v is , «The Hero Inside a Quiet Little Man», Jerusalem Post, 29 gennaio 1999. 30 Benno C o h n , Discorso in occasione della piantagione di una nuova foresta presso Hard, in ricordo e a nome del maggiore Foley, 10 luglio 1959, Museo Yad Vashem, Archivio Righteous Among the Nations, file 8378. 31 « Germany 'Will WTipe out Jews if../ », Daily Herald, 30 novembre 1938. 32 W alter Loeb, lettera all'autore, 11 luglio 2005. 33 G ary H imler , lettera all'autore, 2 luglio 2005.

34 « Statement of a Former Prisoner at the Concentration Camp at Bu­ chenwald », comunicato al Foreign Office, 18 febbraio 1939, Treatment of the German Nationals in Germany, 1938-1939, p. 30. 35 Rapporto di F.M. Shepherd, console britannico a Dresda, 2 febbraio 1939, Foreign Office, fo 371/23052. 36 G e r t r u d e S c h n e id e r , Exile and Destruction: The Fate of Austrian Jews, 1938-1945, p. 169.

1. Ebrei polacchi alla stazione ferroviaria di Zbaszyn, fine ottobre 1938. (Wiener Library)

2. A destra Herschel Grynszpan, i cui genitori e la cui sorella furono deportati da Hannover a Zbaszyn. Il 6 novembre 1938, a Parigi, il ragazzo compì un terribile atto di vendetta. (United States Holocaust Memorial Museum)

3. La sinagoga di Baden Baden in fiamme, durante la Notte dei cristalli. (Archivio Fotografico Museo Yad Vashem)

4. 11 mobilio di una sinagoga saccheggiata viene portato via in camion. (Stadtarchiv, Hof, Bundesrepublic Deutschland)

5. In alto Abitanti del luogo passano davanti alla vetrina di un negozio ebraico a Berlino, 10 novembre 1938. (Getty Images)

6. A sinistra Proprietari di negozi ebrei spazzano via i vetri rotti. (Wiener Library)

7. Uomini ebrei vengono fatti marciare per le vie di Regensburg dopo la Notte dei cristalli. Lo slogan dice: «Rimozione degli ebrei». (Jüdische Gemeinde, Regensburg) 8. Un'istantanea di uomini ebrei durante il trasporto in autocarro da Regensburg a Dachau, dopo la Notte dei cristalli. (Jüdische Gemeinde, Regensburg)

9. Registrazione di prigionieri ebrei a Dachau, dopo la Notte dei cristalli. (Archivio Fotografico Museo Yad Vashem)

10. Appello di prigionieri ebrei a Buchenwald, dopo la Notte dei cristalli. (Wiener Library)

11. Il primo Kindertransport (trasporto di bambini): ragazzini ebrei tedeschi diretti in Gran Bretagna sul treno partito da Berlino per Hook of Holland, 1“ dicembre 1939. (Wiener Libran/)

12. Chava Reichnitz, poi Chava Cohn: una fotografia scattata all'età di quindici anni, poco prima che partisse da Berlino per la Gran Bretagna, 1“ dicembre 1939. (Chava Cohn)

13. Inge Neuberger, poi Janet Ettelman: fotografia del passaporto scattata all'età di dieci anni, poco prima della sua partenza dalla Germania per gli Stati Uniti, nel marzo del 1940. (Janet Ettelman)

14. A sinistra Adina Koor, proveniente da Mannheim, un mese e mezzo dopo il suo arrivo in Gran Bretagna, il giorno in cui fu fatta evacuare da Londra. La sua maschera antigas si trova in una scatola appesa al collo. (Adina Koor) 15. In alto Miriam Walk (poi Miriam Spira), di Berlino, a Londra, durante la Seconda guerra mondiale, presso la scuola di tirocinio per infermiere del St Mary's Hospital, nel quartiere di Paddington. (Miriam Spira)

ln I ultima deportazione da Regensburg, il 2 aprile 1942. Tutti gli uomini, le messi in fila nella foto furono deportati al campo di s t e r m i n i o d i Belzee. \o n vi furono superstiti. (Indische Gemeinde, Regensburg) d o n n e e i b a m b in i

17. A sinistra Theresienstadt, fine dell'estate del 1944: un'inquadratura tratta da un film nazista destinato a ritrarre Theresienstadt come un ghetto modello. Quando il film fu ultimato, coloro che vi erano apparsi furono deportati ad Auschwitz. (Museo Ebraico, Praga)

18. Ebrei tedeschi e austriaci nel distretto di Hongkew di Shanghai; fotografia scattata nel 1940. Nel 1942 la zona fu trasformata in un ghetto dai giapponesi. (Wiener Library)

19. Pietra tombale di Else Wachsner, Shanghai. La donna e il marito partirono da Breslau nel 1939. Lei morì a Shanghai durante la guerra. La sua lapide fu tra le centinaia scaraventate via dai cimiteri durante la Rivoluzione culturale cinese. Fu recuperata nel 2002, in un villaggio a circa venti chilometri da Shanghai. (Dvir Bar Gal)

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Il l u dicembre 1938 il governo australiano, i cui rappresentanti avevano adottato una posizione contraria all'ammissione di rifugiati ebrei cinque mesi prima, a Evian, acconsentì ad acco­ gliere quindicimila rifugiati nel giro di tre anni, anche se non specificamente rifugiati ebrei.1 Nel 1939 furono ammessi cin­ quemila profughi ebrei, un incremento quasi quadruplo rispet­ to all'anno precedente. Sempre il l fi dicembre 1938, il primo treno diretto in Gran Bretagna con a bordo bambini ebrei tede­ schi raggiunse Hock van Holland. A bordo si trovavano duecentosei bambini che avevano lasciato la Germania con ventiquattr'ore di preavviso, ciascuno con due borse di vestiario.2 Viaggi simili divennero noti come Kindertransport. In que­ sto primo trasporto di bambini venne data priorità agli orfani, a figli di famiglie monoparentali, bimbi i cui padri erano stati portati nei campi di concentramento dopo la Notte dei cristalli e ragazzi che erano stati minacciati personalmente di essere imprigionati nei campi di concentramento. A ogni bambino era stato permesso di portare una piccola valigia e dieci mar­ chi tedeschi per la sua vita futura in Gran Bretagna.s Da Hock van Holland i ragazzini attraversarono il mare del Nord in traghetto fino al porto inglese di Harwich, un viaggio di circa cento miglia, raggiungendo il suolo britannico alle cinque e trenta del mattino del 2 dicembre. Fra i viaggiatori presenti su questa prima imbarcazione c'era Julius Carlebach, di Amburgo, che festeggiò il suo sedicesimo compleanno un mese dopo il suo arrivo in Inghilterra. In seguito avrebbe prestato servizio militare in tempo di guerra nel servizio se-

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greto della Royal Navy e sarebbe divenuto un eminente spe­ cialista di pedagogia, criminologo ed educatore.4 Mentre il Kindertransport, noto semplicemente come Kinder, trovò come sede di accoglienza la Gran Bretagna, ci furono meno permessi o finanziamenti per le centinaia di migliaia di adulti, fra cui il padre di Carlebach, rillustre rabbino di Am­ burgo Joseph Carlebach, che avrebbe perso la vita in un cam­ po di concentramento presso Riga. « Lo sforzo primario » no­ tava il Consiglio provinciale per l'ebraismo tedesco di Hull, «sarà di salvare i bambini.»5 Uno di questi bambini, il quat­ tordicenne Felix Rinde, che era stato testimone oculare degli eventi della Notte dei cristalli a Vienna, ricordò: « Partii sul Kindertransport il 10 dicembre 1938 e giunsi a Harwich due giorni dopo». Nell'agosto del 1940 lasciò l'Inghilterra per la Repubblica Dominicana, nei Caraibi, dove rimase per tutta la durata della guerra.6 Fra il 1933 e il 1940 la Repubblica Domi­ nicana accettò seicento profughi. In Gran Bretagna anche la Chiesa e il parlamento chiede­ vano disposizioni d'emergenza per far entrare quanti più ebrei possibile dalla Germania. L'8 dicembre, nel corso di una trasmissione sul Lord Mayor of London Fund per i rifu­ giati ebrei in Gran Bretagna, Lord Baldwin, ex primo ministro, disse: « Migliaia di uomini, donne e bambini, privati dei loro beni, cacciati dalle loro case, stanno cercando asilo e protezio­ ne alle nostre frontiere, un rifugio dal vento e dalla tempesta ». Baldwin aggiunse: « Forse non saranno nostri concittadini, ma sono nostri compagni in quanto uomini. Questa sera voglio perorare la causa delle vittime che si rivolgono all'Inghilterra per chiedere aiuto [...] Migliaia di persone di tutti i livelli di educazione, attività, posizione economica e sociale sono state rese uguali dalla sofferenza. Non ho intenzione di descrivervi cosa significhi essere disprezzati, stigmatizzati e isolati come lebbrosi. L'onore del nostro paese è messo alla prova, la nostra carità cristiana è messa alla prova, e sta a noi rispondere a quella sfida... »' Tre giorni dopo la comunicazione di Lord Baldwin, un

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secondo Kindertransport raggiunse la Gran Bretagna, il primo a partire da Vienna. Fra i passeggeri a bordo c'era Herbert Friedman, che aveva assistito alla Notte dei cristalli a Vienna e aveva rischiato l'arresto. Il treno si allontanò da Vienna verso la mezzanotte, proprio quando Friedman stava per fe­ steggiare il suo quattordicesimo compleanno. 1114 dicembre, sei giorni dopo l'appello di Lord Baldwin, il gabinetto di Neville Chamberlain decise di consentire l'entra­ ta in Gran Bretagna a un flusso continuo di bambini ebrei tedeschi. L'unica disposizione in merito consistette nel fatto che le organizzazioni di profughi ebrei in Gran Bretagna ga­ rantissero che avrebbero provveduto al loro mantenimento.8 Cinquemila avrebbero ricevuto permessi immediati. Ce ne sarebbero stati almeno altri cinquemila nella seconda ondata. Se non fosse stato per lo scoppio della guerra otto mesi più tardi e la chiusura dei confini occidentali della Germania, un numero ancora più alto di persone avrebbero compiuto il viaggio verso la salvezza. Ottomila nuovi arrivi furono soste­ nuti da organizzazioni ebraiche, principalmente dal Central British Fund, il Jewish Aid Committee tedesco, l'Austrian Self-Aid Committee e la Women's International Zionist Orga­ nisation (wizo). I comitati quaccheri tedeschi e austriaci e il Comitato cattolico per i rifugiati si presero cura di altri due­ mila immigrati. Fu istituito un organismo di coordinamento con il nome di Movement for the Care of Children from Ger­ many. In seguito divenne noto come Refugee Children's Mo­ vement. Era però sorto un inconveniente. Secondo la legislazione britannica, i bambini non potevano essere distribuiti in abita­ zioni private in tutto il paese, a meno che ciascuno di loro non avesse un tutore legale. Per assicurare tale esigenza, il parla­ mento approvò in tempo record il Guardianship (Refugee Chil­ dren) Act. 11 presidente del Refugee Children's Movement era un nobile protestante del regno, Lord Gorell, che commentò: «È semplice, fuori dall'ordinario - e altresì veritiero - poter

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dire che ho avuto più figli, legalmente, di ogni altro uomo dopo Salomone ».9 Nessun altro paese fece uno sforzo pari a quello della Gran Bretagna per l'accoglienza di figli di ebrei. Coloro che ne be­ neficiarono non lo hanno mai dimenticato. « Partii da Berlino con uno dei famosi Kindertransport » scrisse in seguito Serem Freier. « Del viaggio in treno mi è rimasta in mente un'imma­ gine, quella del guidatore di una locomotiva olandese che ne lucidava freneticamente le manovelle d'avviamento. A quei tempi gli olandesi erano famosi per la loro pulizia. La sera in cui ci imbarcammo sul traghetto per l'Inghilterra, penso che dormimmo sulle panchine. Al mattino ci fu offerta una cola­ zione di pane bianco insipido e banane. Uno dei ragazzi del nostro gruppo mi confidò, con l'aria di chi la sapeva molto lunga, che si trattava di una tipica colazione all'inglese. Im­ magino che non avesse mai sentito parlare di bacon e salsiccia, o di uova e prosciutto. Nemmeno io. Salimmo sul treno a Dover e, quando arrivammo a Londra, mio padre mi aspetta­ va alla stazione ferroviaria».10 Il 23 dicembre Manfred van Son, la cui casa ad Amburgo non era stata violata nella Notte dei cristalli a causa del nome ap­ parentemente aristocratico dei suoi occupanti, raggiunse Lon­ dra e la salvezza. Cinque giorni più tardi Anne Lehmann, una ragazzina dodicenne di Berlino, partì da Amburgo per la Gran Bretagna con un vasto gruppo di bambini ebrei tedeschi. Tem­ po dopo, scrisse: « Furono trovate case presso cui affidarci - sia di ebrei sia non -, si aprirono ostelli, si contattarono collegi, e strutture di campi estivi esistenti da lungo tempo vennero pre­ parate per ricevere questi bambini. Fu un lavoro pazzesco, e tutti noi dobbiamo le nostre vite a questa impresa ».n I genitori di Anne Lehmann non rimasero in vita dopo la guerra. Il padre Eugen, che aveva perso un braccio combat­ tendo per la Germania sul fronte occidentale durante la Prima guerra mondiale, era destinato a morire nel ghetto di There­ sienstadt. La madre Marta fu deportata da Theresienstadt ad Auschwitz alcuni mesi dopo, e non sopravvisse. La gentilezza

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di una coppia inglese non ebrea, Mary e Jim Mansfield, e della loro famiglia alleggerirono il fardello dell'esistenza di Anne, che durante la guerra venne fatta evacuare da Londra nel villaggio di Swineshead.12 Robert Smallbones, il console generale britannico di Franco­ forte, era preoccupato per le implicazioni restrittive del Kin­ dertransport. « Per quanto sia possibile addolcire la condizione degli ebrei in Germania » scrisse all'ambasciata britannica di Berlino il 14 dicembre, «mi azzarderei a pensare che la poli­ tica più adatta al momento non sia 'prima le donne e i bam­ bini', ma prima gli uomini; loro sono nei campi di concentra­ mento e in imminente pericolo di vita, e potenzialmente sono loro che guadagnano il pane per tutta la famiglia. Se muoiono loro, il problema di come comportarsi con le famiglie sarà ancora più arduo. Ho appreso che alcuni quaccheri desidera­ no istituire in Germania un'organizzazione che fornisca cibo e abiti ai non ariani e che si proponga di attuare una graduale e diffusa evacuazione nel giro di un certo numero di anni. A meno che il governo tedesco approvi un simile progetto, è difficile calcolare quale percentuale di questa gente possa so­ pravvivere alla loro forzata permanenza in Germania. » Small­ bones aggiunse che « [avrebbe potuto] essere utile » sottoporre i fatti dell'attuale persecuzione tedesca degli ebrei all'attenzio­ ne di quei governi al di fuori della Germania « che si propon­ gono di fare qualcosa per risolvere questo problema ».13 L'emigrazione di ebrei tedeschi verso la Gran Bretagna continuò per tutto il mese di dicembre. Felix Seiner di Vienna, che aveva quattro anni, attraversò il mare del Nord con la sua famiglia. II padre era uno dei cinquanta medici austriaci a cui erano stati concessi permessi di entrata speciali. « Mi ricordo la scena alla stazione ferroviaria. Non riuscivo a capire perché tutti piangessero. Dopotutto, non si trattava dell'avventura più meravigliosa che potesse capitare? »M Elsa Blatt non aveva ancora diciannove anni quando aveva assistito alla Notte dei cristalli nella città di Magonza, dove il

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fratello trentunenne Herman fu percosso tanto gravemente da dover essere ricoverato in ospedale. Tempo dopo, la ragazza ricordò gli sforzi della sua famiglia per abbandonare la Ger­ mania, quando il padre fu rilasciato da Buchenwald. «Era dimagrito tantissimo, aveva la testa rasata e non portava un cappotto o una giacca. Li aveva lasciati là, in modo che altri che ne avevano bisogno li potessero usare. Quando gli chie­ demmo dov'era stato o cosa fosse successo, ci rispose che non ci avrebbe raccontato nulla, a meno che non ci trovassimo fuori dal paese. Era stato avvertito che se avesse detto una sola parola su ciò che aveva visto, saremmo stati portati tutti quanti insieme al campo. » La preoccupazione principale della famiglia era di ottenere un permesso « per far uscire mio fra­ tello dal paese. Alcuni amici ci spedirono una lettera dal con­ solato della Repubblica Dominicana in Francia, che diceva che se vi si fosse recato gli avrebbero concesso un visto ». I familiari furono costretti ad attendere un'occasione in cui Herman Blatt potesse lasciare l'ospedale senza essere notato, per poi prendere un treno per la Francia. « Decidemmo che la vigilia di Natale, quando tutti sarebbero stati impegnati a festeggiare la loro pace in terra, sarebbero stati troppo affac­ cendati per preoccuparsi di questo ebreo. Non volevamo che prendesse denaro con sé, perché temevamo che avrebbero potuto fermarlo. Mio padre si tolse la fede matrimoniale e gliela diede, dicendo: To lo so che sono sposato; vendila in Francia, così potrai avere qualche soldo'. Quella sera portai mio fratello al treno. Aspettammo tutta la notte vicino al tele­ fono fino a quando ricevemmo una chiamata a carico del ricevente dalla Francia. Ce l'aveva fatta. Poco dopo, ottenni un permesso come infermiera per andare in Gran Bretagna [...] 1 miei genitori furono in grado di introdursi di nascosto in Belgio. Poco dopo, anche mia sorella giunse in Belgio con una caviglia rotta, che si fratturò nel corso della fuga clandesti­ na. » 15 In seguito tutti e tre si diressero in Portogallo, attraver­ sando i Pirenei. II 21 dicembre la Rhodesia del Nord, colonia inglese che

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aveva offerto rifugio a oltre duecento profughi ebrei, chiuse le porte del paese a ulteriori immigrati. Quel giorno il governa­ tore, Sir John Maybin, scrisse al segretario alle Colonie a Lon­ dra di aver dato istruzioni al primo funzionario deH'immigrazione « di non rispondere a ulteriori richieste da parte di rifu­ giati ebrei tedeschi ».16

Il 1939 si aprì con l'arrivo di altri bambini in Gran Bretagna. Il 3 gennaio Ruth Herskovits, che era stata testimone della Notte dei cristalli a Hannover, e la sorella gemella Èva furono portate dai genitori alla stazione ferroviaria di Hannover, do­ ve si imbarcarono su un trasporto di bimbi proveniente da Berlino. « Questo non aveva nulla a che fare con i viaggi che di solito facevamo con i nostri genitori per andare in vacanza » ricordò. « La stazione ferroviaria aveva perso la sua atmosfera di piacevole aspettativa. Quel mattino era semplicemente sporca e deserta. » 1‘ Tra coloro che mostrarono benevolenza e larghezza di ve­ dute in Gran Bretagna ci furono due insegnanti dell'Inghilter­ ra occidentale, James e Kathleen Crossfield. Accolsero Pauline Makowski, una ragazzina ebrea di dieci anni originaria di Stoccarda. « Fui adottata da una famiglia cristiana dal 16 gen­ naio 1939 fino a quando lasciai la loro casa nel 1947, per fare tirocinio come infermiera» scrive Pauline. «La loro casa fu sempre considerata casa mia, e i loro figli mi considerano tuttora una sorella. Sono state persone eccezionali e la loro generosità va riconosciuta.»1"5 I genitori di Pauline non so­ pravvissero alla guerra: con le sue parole, fecero « parte dei sei milioni di dispersi».1^ Richard Attenborough era quindicenne quando sua madre si recò a Londra dalla loro abitazione a Leicester, per tornare indietro portando con sé due ragazzine ebree: Irene, di dodici anni, e Helga, di nove. Tempo dopo Attenborough rifletté: « La generosità dei miei genitori costituì soltanto uno dei molti atti di gentilezza del popolo britannico in quei giorni bui».

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Aggiunse: « L'atteggiamento dei miei genitori nei confronti della vita fu sempre quello di ritenere che esista una cosa simile a una 'società', e che questa implichi l'impegno di pre­ occuparsi, tollerare ed essere solidali verso coloro che sono meno fortunati di noi. Ma accogliere Helga e Irene nella nostra famiglia come sorelle non era pura teoria. Si trattava di espe­ rienza di prima mano. Questi erano esseri umani, a cui alla fine avremmo voluto bene».20 Reiner Auman e il fratello maggiore George, che avevano entrambi assistito alla Notte dei cristalli a Francoforte, passa­ rono molte settimane a procurarsi i documenti necessari per Temigrazione. Il padre era stato rilasciato da Buchenwald do­ po quattro settimane. Quando tornò a Francoforte, rammentò Reiner Auman, « era come un'altra persona. Adesso era pavi­ do, sulla difensiva e confuso. Mentre fino a quel momento si era parlato di emigrazione un po' per caso, mio padre dovette affrontare il fatto che ora si doveva fare in fretta. La gravità della situazione aveva fatto presa su di lui, e ne sembrava sopraffatto ». Reiner, che aveva sedici anni e mezzo, in quelle poche settimane si sentì « trasformato da un tipico adolescente a un giovanotto cresciuto, deciso ed energico». Il 15 febbraio lui e il fratello, dotati di passaporto tedesco e visti inglesi, partirono dalla Germania per la Gran Bretagna. I loro genitori li seguirono nell'agosto del 1939, alla vigilia della guerra. In seguito, George prestò servizio con merito nell'esercito degli Stati Uniti sia durante l'invasione dell'Europa sotto il dominio della Germania, sia durante la liberazione dei campi di con­ centramento. Reiner combattè nel Pacifico, a Okinawa.21 Sempre in quel gennaio Lutz Wachsner, socio di una ditta tessile che nella Notte dei cristalli si trovava a Breslau con la sua famiglia, vide i suoi piani per l'emigrazione concretizzarsi quando suo figlio maggiore Frank partì per l'Estremo Oriente da Amburgo, a bordo di una nave danese. Il figlio minore Egon, di quindici anni, aveva i requisiti per recarsi in Inghil­ terra grazie a un Kindertransport, cosa che fece quella prima-

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vera, prestando in seguito servizio militare nell'esercito bri­ tannico. Lutz Wachsner e la moglie Else partirono per Shan­ ghai più tardi, in estate. Else Wachsner, che non era in buona salute, mori a Shanghai: la sua pietra tombale, danneggiata ma ancora leggibile, resistette alle devastazioni della Rivolu­ zione culturale cinese. Solo l'anziana madre di Lutz Wach­ sner, Rosa, rimase in Germania: sarebbe stata poi deportata a Theresienstadt e non sopravvisse alla guerra.22 1115 gennaio due gruppi di rifugiati ebrei tedeschi raggiunse­ ro Shanghai. Duecento vi giunsero via nave attraverso il ca­ nale di Suez. Quarantaquattro arrivarono in treno tramite la ferrovia transiberiana e transmanciuriana, e molti di loro si ammalarono « per il freddo intenso».2* Furono fortunati. 11 30 gennaio il primo ministro canadese, William Mackenzie King, disse al parlamento di Ottawa «che il Canada non [avrebbe spalancato] le porte a rifugiati politici, ma [avrebbe preso] in considerazione casi speciali considerandoli singolarmente». Un membro ebreo del parlamento, il leader laburista Abra­ ham Heaps, protestò.2*4 Il Canada aveva già accolto seimila profughi ebrei tedeschi dal 1933, ma le pressioni, esercitate soprattutto dalla provincia del Quebec, evitarono che il nu­ mero di immigrati aumentasse. La Cecoslovacchia aveva dato rifugio a venticinquemila profughi ebrei provenienti da Austria e Germania, ma per quanto ancora avrebbe potuto conservare la propria integrità territoriale, dopo aver perso la regione dei Sudeti a favore della Germania, era un interrogativo che suscitava accesi di­ battiti. Parlando a Berlino il 30 gennaio, Hitler dichiarò pubblicamen­ te che in caso di guerra « il risultato non sarebbe stato la bol­ scevizzazione della terra, e pertanto la vittoria dell'ebraismo, ma la distruzione completa della razza ebraica in Europa ».21 Sei giorni prima del discorso di Hitler, il feldmaresciallo Go­ ring aveva dato segretamente istruzioni a Reinhard Heydrich,

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v ic e c o m a n d a n te d e lle ss e d e lla g e s t a p o , d i « r is o lv e r e » il c o s id d e tto p r o b le m a e b ra ic o « tr a m ite e m ig r a z io n e e d e v a c u a ­ z io n e ».26

Heydrich fece del suo meglio per accelerare la partenza di ebrei dalla Germania e dall'Austria. Il suo obiettivo era inco­ raggiare r«esodo di massa» dell'ebraismo tedesco. Vi riuscì. Le cifre dell'emigrazione nel corso del 1938 per YAltreich (la Germania senza l'Austria) erano di quarantamila persone. Nei primi nove mesi del 1939, salirono a settantottomila. All'inizio del 1939 coloro che cercavano di emigrare conti­ nuarono le loro ricerche per ottenere dei visti. Il problema non si presentava da parte della Germania, per cui l'emigrazione ebraica era un imperativo della massima importanza, ma da parte delle nazioni riluttanti ad accogliere gli emigranti. A Berlino, il capitano Foley contrastò la pressione esercitata da parte del governo britannico contro la continua emigrazione ebraica verso Shanghai. Egli scrisse ai suoi superiori: « Da parte nostra si potrebbe considerare umano non interferire ufficialmente per impedire agli ebrei di scegliersi i propri cimiteri. Preferirebbero senza dubbio morire a Shanghai come uomini liberi, che come schiavi a Dachau >>.2' In Inghilterra, un accampamento dell'esercito in disuso a Richborough, nel Kent, fu aperto a febbraio per ricevere arrivi di profughi adulti dalla Germania. Poteva contenere fino a tremila persone. Non erano richiesti visti individuali per co­ loro che vi giungevano: era sufficiente un unico permesso collettivo. Nel giro di dodici mesi, ottomila ebrei erano passati attraverso questo campo profughi per poi giungere in case della Gran Bretagna, per la maggior parte giovani che erano stati inviati a Dachau, Sachsenhausen e altri campi di concen­ tramento dopo la Notte dei cristalli, e che in seguito erano stati rilasciati.2S Il 2 febbraio un altro Kindertransport partì dalla Germania. Laurie Lowenthal, che aveva quattordici anni e si trovava ad Aschaffenburg nella Notte dei cristalli, ricordò: « Mia madre mi portò alla stazione e, mentre il treno si metteva lentamente

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in cammino, lei diventava sempre più piccola. Non vidi mai più i miei genitori ».29 II 19 febbraio, alla stazione di Vienna, due carrozze ferroviarie di terza classe furono agganciate allo Hock van Holland Express. Vi si trovavano centotrenta tra ragazzi e ragazze ebrei, per i quali i quaccheri avevano pre­ parato delle abitazioni temporanee in Gran Bretagna.30 I ra­ gazzi giunsero sani e salvi nell'isola due giorni dopo. Fra quei giovani ebrei tedeschi che viaggiarono in direzio­ ne della Gran Bretagna su un Kindertransport all'inizio del 1939 c'era Eric Lucas, che nella Notte dei cristalli aveva osservato con orrore la distruzione della sinagoga nel villaggio di Hoengen. « Era una mattina di febbraio fredda e scura » scrisse in seguito, a proposito della sua partenza. « Il treno che era de­ stinato a trasportarmi verso la salvezza aspettava sulla piatta­ forma. Avevo sperato che nel giro di alcuni giorni quel treno avrebbe condotto alla salvezza mia sorella e forse, nel giro di qualche mese, i miei genitori. Quando finalmente mi fu per­ messo di salire sul treno, mi precipitai alla finestra per cercare i miei genitori, che non avevo potuto vedere da quando avevo lasciato il gabbiotto della dogana. Stavano là in piedi, in lon­ tananza, ma non si avvicinarono al treno. Agitai la mano ti­ midamente, e tuttavia pieno di paura, dopo il controllo che avevo appena superato; ma anche quello fu troppo. Un uomo in uniforme nera corse verso di me. 'Tu, porco ebreo - un altro gesto ancora o una parola da parte tua, e ti terremo qui. Hai passato la dogana/ E così rimasi di fronte al finestrino del treno. In lontananza si stagliava una coppia silenziosa e an­ ziana, a cui non osavo né parlare, né fare un ultimo cenno di saluto; ma riuscivo a vedere molto distintamente i loro volti, alla luce del mattino che si stava avvicinando. » Lucas ricordò come, poche ore prima, « mio padre e poi mi madre avevano posato con dolcezza le loro mani sulla mia testa china per benedirmi [...] Stando in piedi davanti al fine­ strino del treno, fui improvvisamente sopraffatto dalla certez­ za lacerante che non avrei mai più visto mio padre e mia madre. Eccoli là fermi, soli, e con la tristezza della morte. Mani

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crudeli ci avevano tenuto separati durante quell'ultimo mo­ mento di intimità. Un fervido grido di ribellione contro tutta quella brutalità senza senso e quella crudeltà disumana mi si fermò in gola. O Dio, perché tutto doveva essere così? » Come tanti altri viaggiatori del Kinder, Lucas non dimenticò mai quel terribile momento finale. «Mio padre e mia madre stavano lì. Un uomo anziano, che si appoggiava pesantemente sul proprio bastone e teneva la mano della moglie. Fu la prima e l'ultima volta in vita mia che li vidi piangere entrambi. Di tanto in tanto mia madre allungava la mano, come se volesse afferrare la mia: ma la mano tornava a cadere, sapendo che non avrebbe mai potuto raggiungermi. 11 mondo potrà mai dare giustificazione della sofferenza che ardeva negli occhi di mio padre? I suoi occhi erano dolci e gentili, ma pieni di lacrime di solitudine e di paura. Erano gli occhi di un bambino che cerca la gentilezza del viso della madre e la protezione del padre. Quando il treno si avviò fuori dalla stazione per con­ durmi verso la salvezza, appoggiai il viso contro il vetro fred­ do del finestrino e piansi amaramente. Coloro che hanno at­ traversato la Manica, fuggendo verso la salvezza a causa del timore della morte, possono comprendere che cosa significhi aspettare per coloro che sono ancora al di là di esso, bramosi di oltrepassarlo, ma che non raggiungeranno mai queste bian­ che scogliere che dominano le acque. » Un mese dopo il suo arrivo in Gran Bretagna, Eric Lucas stava tentando di trovare un'ambasciata straniera a Londra che fosse disponibile a dare ai suoi genitori un visto per qual­ che destinazione lontana. « Lei ha abbastanza denaro per permettere ai suoi genitori di vivere lì senza lavorare? » « Si può mettere insieme una piccola somma. » « I suoi genitori hanno un passaporto valido? » « No, perché possono far richiesta di un passaporto per lasciare il paese solo se sono in possesso di un permesso di soggiorno e dell'autorizzazione a proseguire verso il paese in cui vogliono andare. »

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«Sì, capisco, ma non possono ottenere un permesso fin quando non avranno un passaporto valido. » « I mesi passavano » osservò Lucas, « e la speranza svani­ va. » Incapace di ottenere i documenti e i permessi necessari, l'adolescente era sconvolto. I suoi genitori morirono tre anni dopo.51 Al confine fra l'Austria e la Svizzera, dove centinaia di ebrei cercavano quotidianamente di passare per sfuggire al domi­ nio nazista, il compassionevole funzionario della polizia sviz­ zera Paul Grüninger era nuovamente nei pasticci. L'11 feb­ braio il capo della polizia svizzera scrisse al suo immediato superiore: « Lei mi aveva assicurato che la responsabilità del controllo suH'immigrazione sarebbe stata sottratta al capitano di polizia Grüninger [...] Ciò nonostante, sembra che questo funzionario pubblico abbia autorizzato o addirittura causato emigrazioni illegali di propria spontanea iniziativa».52 Grüninger fu sospeso dalle sue mansioni U 3 aprile. Due giorni dopo, scrisse a difesa delle sue azioni: « Ho intenzione di spiegare perché, in un unico caso, ho violato le regole del dipartimento. Ho agito come un essere umano e un funziona­ rio con validi motivi. Uno dei diritti più preziosi di sovranità è il diritto di asilo ». La Svizzera aveva sempre rispettato un tale diritto. « Nel corso di tutta la nostra storia abbiamo aperto le porte del nostro paese a rifugiati politici senza pregiudizi, non a causa della simpatia verso le loro persone o ideologie, ma su basi puramente umanitarie.»55 Grüninger fu multato per avere infranto i regolamenti e, in seguito, licenziato dal corpo di polizia. Il padre di Charlotte Neumann, Yehuda, era stato portato da Würzburg a Dachau dopo la Notte dei cristalli. Durante la Prima guerra mondiale, mentre prestava servizio nell'esercito tedesco, era stato ferito, aveva contratto la tubercolosi ed era stato fatto prigioniero dai russi. Dopo diverse settimane a Dachau era un uomo finito.

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Con l'aiuto di Robert Smallbones, il console generale ingle­ se a Francoforte, la figlia di Yehuda Neumann ricevette un visto per recarsi in Gran Bretagna come collaboratrice dome­ stica. Il 17 febbraio, dopo tre mesi in cui ebbe a che fare con «cavilli legali e vessazioni», ottenne il passaporto tedesco. Dieci giorni più tardi parti in treno per l'Inghilterra, per lavo­ rare nella città settentrionale di Salford. In seguito i suoi ge­ nitori furono deportati da Würzburg ad Auschwitz. Non so­ pravvissero, e nemmeno il fratello minore Itzhak Yona, che all'epoca aveva diciassette anni e che mori durante la guerra al campo di concentramento di Majdanek, nella Polonia occu­ pata dai tedeschi.34 Il 23 febbraio, mettendo in atto un ulteriore giro di vite. Go­ ring annunciò a Berlino che entro due settimane tutti gli ebrei tedeschi avrebbero dovuto consegnare «tutti i gioielli e gli altri oggetti d'oro, argento o platino, come anche tutti i dia­ manti, le perle e altre pietre preziose». Avrebbero dovuto essere ceduti anche coltelli, forchette e cucchiai d'argento. Agenzie dei pegni pubbliche e locali avrebbero offerto « un indennizzo». Chi non si fosse attenuto alle direttive avrebbe ricevuto una multa, oppure sarebbe stato mandato ai lavori forzati per un periodo massimo di dieci anni.3!> Due giorni dopo, il 25 febbraio, mentre il severo decreto di Goring veniva attuato, la g e s t a p o diede ordine alla comunità ebraica di Berlino di fornire ogni giorno i nomi di un centinaio di ebrei - tremila al mese -, che sarebbero quindi stati obbli­ gati ad abbandonare la Germania entro due settimane dal momento in cui fossero stati suggeriti i loro nomi. Questo fu esattamente il numero dei permessi di soggiorno che l'intera comunità ebraica tedesca fu in grado di ottenere da paesi stranieri. Ma quei tremila permessi dovevano anche includere ebrei da Vienna, Breslau, Francoforte, Stoccarda, Dresda, Co­ lonia e Amburgo, i centri principali da cui l'emigrazione era organizzata. Notizie devastanti raggiunsero gli ebrei tedeschi il 25 feb-

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braio. A Montevideo, il governo delKUruguay aveva rifiutato di far entrare nel paese sessantotto rifugiati ebrei tedeschi a bordo della nave di linea italiana Conte Grande. Anche l'Ar­ gentina non volle saperne di farli entrare. E a Georgetown, nella Guyana britannica, fu negato il permesso di scendere a terra a centosessantacinque profughi ebrei tedeschi che erano arrivati su una nave tedesca, la Koenigstein. A Budapest un funzionario dell'ufficio estero ungherese dichiarò che non sa­ rebbe stato ammesso in Ungheria nessuno degli ebrei tedeschi costretti a partire dalla Germania sulla base della politica re­ centemente annunciata di espulsioni giornaliere. 56 Tre giorni dopo, l'Argentina rifiutò di consentire l'approdo a un altro gruppo di ebrei tedeschi, ventotto in tutto, che erano giunti a Buenos Aires da Amburgo a bordo della nave di linea tede­ sca General San Martin. Furono costretti a tornare in Germa­ nia.57 Ad Amburgo il produttore di cioccolato Josef Gold era stato arrestato pochi mesi dopo la Notte dei cristalli, e spedito in prigione per il suo coinvolgimento in attività politiche so­ cialiste e antinaziste. Due anni prima aveva combattuto in Spagna sul fronte repubblicano. Dopo essere stato rilasciato, si imbarcò clandestinamente su una nave svedese ad Ambur­ go e sbarcò a New York. Non aveva alcun visto per emigrare. Trattenuto a Ellis Island, fu nuovamente espulso e riportato in Germania su una nave tedesca. Sbarcato ad Amburgo, Josef Gold fu rimandato in carcere. In seguito, venne sottoposto ai lavori forzati - costruendo i pontili per i sottomarini di Amburgo -, finché non venne inviato a Theresienstadt con la maggior parte degli ebrei am­ burghesi che erano rimasti. Successivamente deportato ad Auschwitz, Mauthausen ed Ebensee, sopravvisse alla guerra. Anche il figlio, il giovane Edgar, sopravvisse nel villaggio di Reinfeld, nascondendosi presso amici tedeschi della sua fami­ glia. Sua madre fu mandata in un campo di lavoro vicino a Stoccarda. Anche lei sopravvisse.58

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La ricerca di luoghi di asilo procedeva ininterrotta. Il 1Qmarzo il Cile accettò l'ingresso dei sessantotto rifugiati a bordo della Conte Grande, che erano stati rifiutati sia dall'Uruguay sia dal­ l'Argentina.w Quel giorno, il Guatemala annunciò che avreb­ be accolto tutti gli ebrei che avessero già dei parenti residenti nel paese, a condizione « che si impegnassero in attività agri­ cole e si astenessero da attività commerciali ». Nel 1938, su queste basi, il Guatemala aveva offerto rifugio a duecentotrentadue ebrei.'40 Il 4 marzo la polizia locale tedesca della città libera di Danzica diresse l'emigrazione di cinquecento ebrei nel giro di poche ore. Cominciando alle tre e trenta del mattino, quando era ancora scuro, uomini, donne e bambini furono disposti lungo la banchina. Il console generale inglese, Gerald She­ pherd, li vide mentre arrivavano «con zaini pesanti, fagotti e piccoli bagagli a mano». Dal molo, a partire dalle quattro e trenta, furono fatti salire sui camion.41 La loro destinazione era la stazione ferroviaria principale, da cui avrebbero intra­ preso il lungo viaggio in treno verso sud, attraverso l'Europa centrale fino al porto rumeno di Costanza sul mar Nero, da dove si sarebbero imbarcati sulla nave per la Palestina. Nel corso dei mesi di marzo e aprile, quattro treni partirono da Danzica per Berlino, portando un totale di centoventiquattro bambini ebrei. Da Berlino i bimbi continuarono in treno per Hock van Holland, dove si collegarono al Kindertransport che attraversava il mare del Nord verso Harwich. Il 24 marzo, a bordo della nave di linea tedesca Deutschland, centoventicinque profughi ebrei tedeschi raggiunsero New York, e fu loro consentito l'ingresso nel paese grazie ai loro permessi validi. A bordo si trovava anche il dottor Julius Dorpmueller, vice­ presidente delle ferrovie di Stato tedesche, che era giunto ne­ gli Stati Uniti « per studiare il funzionamento delle ferrovie americane ».42 Entro tre anni, in qualità di direttore generale delle ferrovie di Stato tedesche, il dottor Dorpmueller sarebbe divenuto una figura centrale nelle deportazioni di massa in

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treno degli ebrei - fra cui centocinquantamila ebrei tedeschi verso i campi di sterminio e dei luoghi delle stragi. Una settimana dopo, il l c aprile, Esther Ascher, che aveva assistito alla Notte dei cristalli a Breslau, partì dalla propria città natale per Berlino, proseguì per Monaco e poi verso sud passando per l'Italia e Trieste. Qui prese una nave per Haifa, essendo la fortunata titolare di un certificato palestinese dell'Aliyah per la gioventù, l'organizzazione che gestiva l'immi­ grazione sionista dei giovani.4’ Alcune strade verso la speranza si chiusero ancora prima che si potessero aprire. Nel gennaio del 1939 Winston Churchill, che allora non ricopriva alcuna funzione politica ma era an­ cora un membro del parlamento, aveva incontrato un diplo­ matico albanese, Chatin Sarachi, che faceva parte di una delle più eminenti famiglie cattoliche di quel paese. Durante i cin­ que anni precedenti, Sarachi era stato primo segretario del­ l'ambasciata albanese di Londra. Churchill avanzò nei suoi confronti la possibilità di consentire a ebrei tedeschi e austria­ ci di entrare in Albania. Sei settimane più tardi, dopo essere rientrato in patria, Sarachi scrisse a Churchill di essere stato « autorizzato a trattare, nel caso in cui il problema sia ancora presente ».44 La promettente lettera di Sarachi fu redatta il 13 marzo. Nel giro di sei settimane Mussolini avrebbe invaso e conquistato l'Albania, mettendo fine alla sua indipendenza e alla possibilità di qualsiasi programma di soccorso di quel genere. Per prestare aiuto ai figli degli ebrei cecoslovacchi, subito dopo l'annessione tedesca della regione dei Sudeti era stata costituita la Sezione bambini del Comitato inglese a favore dei rifugiati cecoslovacchi. Sebbene quei bambini all'epoca non fossero in pericolo, la loro condizione all'interno della Ceco­ slovacchia indipendente fu percepita come sufficientemente precaria per giustificare un'opera di soccorso. Alcuni erano rifugiati dalla regione dei Sudeti. Molti erano orfani. A metà ottobre del 1938 la Sezione bambini aveva istituito un ufficio a

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Praga, diretto da Doreen Warriner, una donna inglese. Il 20 dicembre un professore della Westminster School, Martin Bla­ ke, si recò a Praga per aiutarla. Egli convinse ad accompa­ gnarlo un agente di cambio ventinovenne, Nicholas Winton, rampollo di religione cristiana di un illustre famiglia di ebrei tedeschi. Winton ritornò in Gran Bretagna alla fine di gennaio del 1939 per assumere la direzione dell'ufficio di Londra. Il 7 marzo un insegnante inglese, Trevor Chadwick, volò a Praga per accelerare le operazioni di soccorso; una settimana dopo, il 14 marzo, egli stesso accompagnò in aereo in Gran Bretagna il primo gruppo di ragazzini ebrei, venti in tutto. « Erano tutti allegramente nauseati » ricordò Chadwick tempo dopo, es­ sendo stati attirati dai sacchettini di carta, « a parte un bimbo di un anno che mi donni tranquillamente in grembo per tutto il tempo. »4511 giorno seguente, le forze armate tedesche inva­ sero Praga. L'indipendenza della Cecoslovacchia era stata garantita da Gran Bretagna, Francia, Italia e Germania alla conferenza di Monaco, sei mesi prima. Ma quando il 15 marzo le truppe tedesche invasero il paese e innalzarono la bandiera con la svastica nella capitale, l'Inghilterra e la Francia non presero alcuna iniziativa. La Slovacchia proclamò la propria indipen­ denza. Le province cecoslovacche di Boemia e Moravia diven­ nero un protettorato tedesco e quella notte Hitler entrò a Pra­ ga come un conquistatore. A Praga vivevano cinquantaseimila ebrei, di cui venticinquemila erano profughi dalla Germa­ nia, dall'Austria e dalle province sudete della Cecoslovacchia. Alcuni ebrei di Praga riuscirono a fuggire a nord verso la Polonia, o a sud verso l'Ungheria. Alcuni si recarono in Fran­ cia, altri in Gran Bretagna. Qualcuno, in preda alla dispera­ zione, volò in Gran Bretagna senza i permessi richiesti. Fu imbarcato sull'aereo di ritorno a Praga del giorno successivo. Il 16 marzo, il successivo all'occupazione tedesca di Praga, parecchie centinaia di bambini e adulti ebrei tedeschi appro­ darono a Harwich da Hock van Holland. Fra di loro c'era

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Susanne Hatschek, che si trovava a Vienna la Notte dei cri­ stalli. Il conte de la Warr e la moglie Diana offrirono a lei e ai suoi genitori un luogo in cui vivere a Fisher's Gate, nei pressi di Withyham, nel Sussex. Sull'imbarcazione del 16 marzo c'e­ rano anche dodici bambini ebrei che andarono in un pensio­ nato appena aperto da un importante pediatra, il dottor Ber­ nard Schlesinger, e dalla moglie Winifred nella loro casa di Highgate, a nord di Londra. Presso gli Schlesinger vivevano già cinque bambini rifugiati. Il medico e la moglie avevano impiegato parecchi mesi per ottenere il permesso di utilizzare Highgate House come un ostello. Oltre che per i bambini, acquisirono permessi per quattro ebrei tedeschi adulti: una responsabile e tre giovani donne che si prendessero cura dei bambini. La maggior parte di questi ultimi provenivano da Berlino e da Lipsia, la direttrice da Liegnitz.46 La sinagoga di Liegnitz era stata distrutta nella Notte dei cristalli. Pochi giorni dopo l'occupazione tedesca giunse a Praga Adolf Eichmann, a cui era stata affidata la responsabilità dell'emi­ grazione ebraica dal protettorato di Boemia e Moravia, essen­ do stato in precedenza responsabile dell'emigrazione dall'Au­ stria. Gli ordini di Eichmann furono di attuare le istruzioni impartite da Heydrich secondo quanto ordinatogli da Göring per accelerare l'emigrazione ebraica. Nei sei mesi che sareb­ bero stati a sua disposizione prima dello scoppio della guerra, Eichmann garantì l'emigrazione di trentamila ebrei: ebrei ce­ chi ed ebrei tedeschi, austriaci e dei Sudeti che avevano tro­ vato rifugio a Praga. Fra coloro che in Gran Bretagna si misero immediatamente in azione per cercare di assistere gli ebrei di Praga c'era un non ebreo, Robert Auty, che in precedenza aveva fatto parec­ chi viaggi in Germania per aiutare gli ebrei a partire. Salì sul primo treno notturno disponibile verso la capitale ceca appe­ na occupata. Un amico scriveva: « Io stesso sono venuto a sapere delle attività di Robert Auty alcuni anni fa, per caso, grazie a un incontro con qualcuno di cui aveva salvato i ge-

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nitori ». Essendo « un uomo tanto modesto », Auty aveva chie­ sto al suo amico « di non raccontarlo a nessun altro».4' Le imbarcazioni da Hock van Holland a Harwich continua­ rono a trasportare il carico umano di bambini da una terra di paura alla salvezza. Alla scuola ebraica Jawne di Colonia il preside, Erich Kilbansky, organizzò il trasferimento di quattro gruppi di alunni in scuole britanniche. Uno di loro, Rolf Schild, divenne poi un prestigioso ingegnere biomedico e pio­ niere nel campo dell'assistenza medica. I suoi genitori e il dottor Kilbansky fecero parte degli ebrei di Colonia che in seguito furono deportati e uccisi.48 Fra i passeggeri dell'im­ barcazione che attraccò a Harwich il 18 marzo c'era Ernst Gerstenfeld, il giovane ebreo viennese che era stato portato a Dachau dopo la Notte dei cristalli. L'atteggiamento di coloro che in Gran Bretagna aprirono le loro case ai bambini ebrei rimase profondamente impresso in chi ricevette tale accoglienza. Margit Diamond scrisse della donna con la quale abitò in Gran Bretagna: «Quando nel maggio del 1939 giunsi in Inghilterra da Berlino ero una bim­ ba undicenne del Kindertransport, e fu la signorina Elsie M. Lobb, preside della scuola femminile Trinity Hall - composta interamente da figlie di ministri metodisti - ad accogliermi. Questo eccellente collegio era situato a Southport, nel Lancas­ hire, e poiché io rappresentavo un 'Nemico Straniero', la si­ gnorina Lobb dovette concordare per me disposizioni specia­ li, qualora io avessi dovuto aiutare il nemico nel caso di un'e­ ventuale invasione tedesca via mare! » Margit Diamond ricordò che alla Trinity Hall « andavamo in chiesa due volte ogni domenica, e frequentavamo anche la scuola della domenica. Quando mostrai una certa riluttanza a inginocchiarmi in chiesa, questa cara signora mi chiamò nel suo ufficio e disse nella maniera più gentile possibile: 'Margit, i ragazzini possono essere abbastanza crudeli se pensano che tu sia molto diversa da loro. Andare in chiesa e alla scuola della domenica non ti farà mai diventare metodista: tu sarai sempre ebrea' - e diede disposizioni perché il rabbino locale venisse a

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farmi visita regolarmente, parecchie volte al mese! m a i , in nes­ sun momento, fu fatto alcun tentativo di convertirmi! » Margit Diamond aggiungeva che una delle cose che rimpianse mag­ giormente fu che la signorina Lobb morì « prima che io mi trovassi nella condizione di restituire una piccola quantità (non avrei m a i davvero potuto ripagare ciò che lei fece per me, naturalmente) del bene che mi aveva fatto ».4>.94 Analoghe disavventure colpirono parecchie centinaia di altri ebrei tedeschi e austriaci, i cui permessi erano pronti per una partenza imminente quan­ do cominciò la guerra. Ci furono anche ebrei che scelsero di rimanere in Germa­ nia, al fine di fare ciò che era nelle loro possibilità per aiutare i correligionari. Quattro dei leader dell'ebraismo tedesco che avevano fatto del loro meglio per mantenersi integri mental­ mente e moralmente fin dal 1933 - Otto Hirsch, Julius Seligsohn, Hannah Karminski e Cora Berliner - considerarono co­ me un loro compito quello di restare nel paese e fornire qual­ siasi tipo di aiuto al loro gruppo minacciato. Tutti e quattro furono poi uccisi dai nazisti. Anche il loro capo, il rabbino Leo Baeck, decise di rimanere in Germania. Fu fortunato e riuscì a sopravvivere al periodo di deportazione a Theresienstadt, do­ ve fu liberato il 3 maggio 1945, cinque giorni prima della fine della guerra in Europa.

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Nei nove mesi trascorsi fra il 2 dicembre 1938 e il 31 agosto 1939 le organizzazioni coinvolte nel Kindertransport, sia ebrai­ che sia cristiane, portarono in Gran Bretagna 9354 bambini rifugiati; di questi, 7482 erano ebrei. Altri 1350 giovanissimi ebrei furono ammessi in Gran Bretagna nel quadro dei pro­ grammi di addestramento all'agricoltura in corso, in prospet­ tiva della futura emigrazione verso la Palestina; duecento di questi, di entrambi i sessi, furono inviati a una fattoria per l'addestramento a Gwrych Castle, nel Galles del Nord. Altri settecento bambini ebrei raggiunsero la Gran Bretagna sotto gli auspici del movimento sionista giovanile dell'Aliyah. An­ cora 650 furono condotti in Gran Bretagna dalla Sezione bam­ bini del Comitato britannico per i rifugiati dalla Cecoslovac­ chia. Un centinaio di bambini ebrei ortodossi arrivò grazie all'Unione delle congregazioni ebree ortodosse. Quando scoppiò la guerra, altri centottanta ragazzini erano pronti a partire da Praga per Hock van Holland e Harwich. Il conflitto fece svanire qualunque possibilità che passassero il confine tedesco verso l'Inghilterra. Coloro che ne avevano organizzato il trasferimento scrissero: « Ciò che quei bambini devono aver provato dopo aver preparato i loro vestiti, ven­ duto tutto quello che non poteva essere trasportato, aver detto addio ai propri amici, può essere facilmente compreso».95 Stava per cominciare una nuova, terribile epoca. Note 1 P aul R. Bartrop , Australia and the Holocaust 1933-45, p. 77. 2 The Times, 3 dicembre 1938. 3 Archivi del Jewish Museum, Londra. Nel 1938, dieci marchi del Reich equivalevano a una sterlina inglese. Secondo la valuta monetaria del 2006, erano pari a quaranta sterline (poco meno di sessanta euro). 4 «Professor Julius Carlebach», Jewish Chronicle, annunci funerari, 11 maggio 2001. 5 Comitato di Hull del Consiglio per l'ebraismo tedesco, lettera a po­ tenziali sostenitori, 7 dicembre 1938, Archivi delFebraismo di Hull (Hull Jewry), carte Jack Lennard.

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6 F e l i x R inde , lettera all'autore, 27 giugno 2005.

7 The Times, 9 dicembre 1938. 8 Riunione di gabinetto n. 59 del 1938, Londra, 14 dicembre 1938, Con­ clusione 6: documenti di gabinetto, 23/%. 9 Cit. in H erbert A gar , The Saving Remnant, p. 99. 10 S erem Freier, lettera all'autore, 19 giugno 2005. 11 A nne L. Fox , My Heart in a Suitcase, p. 43. 12 Anne Fox (nome da nubile: Lehmann) pubblicò in seguito un libro per bambini, con un'altra rifugiata salvata dal Kindertransport, Eva Abraham-Podietz: Ten Thousand Children: True Stories Told by Children who Escaped the Holocaust on the Kindertransport, Berman House, West Oran­ ge, New Jersey, 1999. Il libro era basato sulle testi moni anze di ex bambini del Kindertransport raccolte negli Oral History Archives del Gratz College, a Philadelphia. 13 Enclosure n. 8, Command Paper 6120, Germany n. 2 (1939), Papers Concerning the Treatment of German Nationals in Germany, 1938-1939, Londra, His Majesty's Stationery Office, 1939, pp. 20-24. 14 F elix S eiler, lettera all'autore, 6 giugno 2005. 15 E lsa K issel (nome di battesimo: Blatt), lettera all'autore, 18 luglio 2005.

16 Lettera del 21 dicembre 1939, Frank Shapiro, Halfen in Africa, p. 68. 17 R uth G utm ann (nome da nubile: H erskovits), lettera all'autore, 28 giugno 2005. 18 P auline W orner (nome da nubile: M akowski), lettera all'autore, 7 marzo 2002.

19 Id., lettera alTautore, 19 febbraio 2002. 20 L ord A ttenborough , «Preface», in M ark Jona th a n H arris , D e­ borah O ppenheimer , Into the Anns of Strangers: Stories of the Kindertransport, p. xii. Deborah Oppenheimer, la cui madre giunse in Gran Bretagna grazie a un Kindertransport, ha prodotto il film-documenta­ rio, vincitore di un Academy Award, già citato alla nota 17 del capi­ tolo 3. 21 R einer A um an , lettera all'autore, 2 agosto 2005. 22 F rank W achsner , lettera all'autore, 11 settembre 2005. 23 « 244 More Reich Jews Arrive at Shanghai », New York Times, 16 gen­ naio 1939. 24 «Ottawa Cautious on Refugee Issue», New York Times, 30 gennaio 1939. 25 N orman H. Baynes (a cura di). The Speeches of Adolf Hitler, April 1922August 1939, voi. 1, p. 741. 26 Cit. da Goring, nella sua lettera a Heydrich del 31 luglio 1941, Tribu­ nale militare intemazionale, Norimberga, documento ps-710.

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27 II capitano Foley a Sir George Ogilvie Forbes, 17 gennaio 1939, Foreign Office, FO 371/24079. 28 J u d i t h T y d o r - B a u m f . l , «The Kitchener Transmigration Camp at Richborough », in L ivia R o t h k i r c h e n (a cura di), Yad Vashcm Studies, xiv, pp. 233-246. 29 L aurie L ow enthal, La mia infanzia in Germania, inviato all'autore il 4 giugno 2005.

30 « Children Leave Vienna », New York Times, 20 febbraio 1939. 31 E ric L ucas , The Sovereigns, manoscritto, pp. 187-190. 32 M eir W a g n e r , The Righteous of Switzerland, p. 39. 33 Id., The Righteous of Switzerland, p. 42. 34 C harlotte L apjan (nome da nubile: N eu m a n n ), lettera all'autore, 17 agosto 2005.

35 « Reich Orders Jews to Cede Valuables», Neiv York Times, 24 febbraio 1939.

36 « 100 Jews Each Day Must Leave Reich», New York Times, 26 febbraio 1939. 37 «68 Jews Forced Back», New York Times, l fi marzo 1939. 38 E d g a r G o l d , lettera all'autore, 9 settembre 2005.

39 40 41 42

« 68 Get Haven in Chile », New York Times, 2 marzo 1939. «Guatemala Limits Entry », New York Times, 2 marzo 1939. Lettera del 6 m a r z o 1939, Foreign Office, f o 371/24085. « 125 German Refugees Arrive», New York Times, 25 marzo 1939.

43 Esther A dler (nome da nubile: A schfr ), conversazione con l'autore, 7 agosto 2005.

44 Chatin Sarachi a Winston S. Churchill, 13 marzo 1939, Foreign Office, f o 371/24081. 45 Cit. in B a r r y T u r n e r , ... And the Policeman Smiled: 10.000 Children Escape from Nazi Europe, p. 93. 46 I l s e E d e n , I l s e H e n r y , La casa di accoglienza degli Schlesinger al 26 di Shepherd's Hill, Londra n 6, marzo-settenibre 1939. 47 R i c h a r d G r i f f i t h s , lettera all'autore, 20 novembre 1978. Il professor Griffiths ha recentemente scritto un articolo commemorativo su Auty comparso sul Jewish Chronicle. 48 R o l f S c h i l d , o b e , articolo com mem orativo, Jewish Chronicle, 2 maggio 2003. 49 M a r g i t A. D i a m o n d , lettera all'autore, 2 maggio 2001. 50 Lettera circolare stampata, intestata « Old Stortfordians' Club», datata 22 febbraio 1939. 51 Professor O t t o H u t t e r , lettera all'autore, 17 febbraio 2000. 52 C hava C o h n (nome da nubile: R echnitz ), lettera all'autore, 4 luglio 2005.

53 Delegazione del 18 maggio 1939, Foreign Office,

fo

371/24983.

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54 K atherinf W hitaker , M ichael Jo h n so n , Stoatley Rough School,

1934-1960. 55 Archivi del Jewish Museum, Londra. 56 «Appendix«, in M uriel E manuel , V era G issinc , Nicholas Winton and the Rescued Generation, p. 127. 57 Lettere dell'll marzo e 13 maggio 1939, archivi del Comitato di Hull del Consiglio per l'ebraismo tedesco, carte Jack Lennard. 58 D ermot K eogh , «The Irish Free State and the Refugee Crisis, 193345«, in P a u l R. Bartrop (a cura di). False Havens: The British Empire and the Holocaust. 59 V era Bier (nome da nubile: D ahl ), memorie messe per iscritto il 12 novem bre 1988, inviate all'autore dal figlio David Bier, l e settembre 2005.

60 «Colombia Bars Refugees«, New York Times, 17 maggio 1939. 61 Hansard, dibattiti parlamentari. 62 Conferenza interdipartimentale, 26 maggio 1939, Foreign Office, f o 371/24090. 63 E hud A v r i e l ( Ü b e r a l l ) , Open the Gates!, pp. 54-55. 64 Jon K imche , D avid K imche , The Secret Roads, The « Illegal » Migration of a People, 1938-1948, pp. 33-34, 43. 65 Congresso degli Stati Uniti, risoluzione congiunta del Senato 64; Con­ gresso degli Stati Uniti, commissione su 11'immigrazione del Senato, Ammissione di bambini rifugiati tedeschi, Audizione, 20-22 aprile 1939, 760 Congresso, l a sessione, microfiche (cis-No: 76 H852-2), Washing­ ton, Government Printing Office, 1939. 66 « 700 Jewish Refugees Await Fate off Cuba «, New York Times, 27 mag­ gio 1939. 67 Conversazione telefonica del 5 giugno 1939, United States National Archives, Franklin Delano Roosevelt Presidential Library, documenti di Henry Morgenthau Jr, voi. 194. 68 Irving A bella, H arold T ropper , None is Too Matty, p. 38. 69 G o r d o n T h o m a s , M ax M o r g a n - W itts , Voyage of the Damned: The Voyage of the St Louis, pp. 302-303. 70 « 304 Jews Ordered Back: Argentina and Paraguay Bar 200 - Mexico Shuts Doors to 104», New York Times, 3 giugno 1939. 71 « Brazil will Admit German Refugees », New York Times, 25 giugno 1939. 72 Wiener Library Archive. 73 II dottor Arian al capitano Foley, lettera non datata. Museo Yad Vashem. Archivio Righteous Among the Nations, file 8378. 74 P et er P.W. W eiss , lettera a Yad Vashem, 4 gennaio 1999, Museo Yad Vashem, Archivio Righteous Among the Nations, file 8378. Ida Weiss è morta a Birmingham, in Inghilterra, nel 1995.

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75 P.R. K u m a r a s w a m y , « India and the Holocaust: Perceptions of the India National Congress», journal of Indo-Judaic Studies, voi. 3, aprile 2000.

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« An Overlooked Experience», Jerusalem Post, 10 set­ tembre 1999, recensione di A nil Bm atti (a cura di)# Jewish Exile in India, Manohar Publishers, New Delhi, 1999. Yo se f Y a a k o v ,

77 F o r i N ehru , lettera all'autore, 25 agosto 2005.

78 Elenco (di undici rifugiati ebrei in totale) esposto al Museo della Si­ nagoga Zulfaris, Istanbul. 79 Ministero dell'Educazione tedesco, lettera del 21 giugno 1939, Foreign Office, FO 371/23052. 80 J o s e p h W o h l f a r t h , Un istantanea degli eventi così come li ricordo. 81 R it a N e w e l l ( n o m e d a nu b ile : B r a u m a n n ), m e m o r i e intito la te 10 novembre 1938, in v ia te a l l 'a u t o r e il 28 g i u g n o 2005. 82 S t e f a n i e S e g e r m a n (nome da nubile: B a m b e r g e r ), lettera all'autore, 9 agosto 2005. 83 Annotazione di Patrick Reilly, 24 luglio 1939, Foreign Office, f o 371/ 24100. 84 Lettera del 30 luglio 1939, carte Neville Chamberlain. 85 Minute della riunione del comitato di gabinetto, 7 agosto 1939, docu­ menti di gabinetto, 27/651. 86 F re d G a r f u n k e l , conversazione con l'autore, 21 agosto 2005. 87 M iriam L i t k e , lettera all'autore, 20 luglio 2005. 88 P avel S e i f t e r , conversazione con l'autore, 19 marzo 2001.

89 «Salvador Bars Refugees», New York Times, 31 luglio 1939. 90 A r i e h T a r t a k o w e r , K u r t R. G r o s s m a n , The Jewish Refugee, p. 81. 91 Aufbau, n. 1, 2000. Nel 1954 il dottor Geist fu premiato con la Medaglia al merito dalla Repubblica federale tedesca. 92 W i l l i a m R u s s e l l , Berlin Embassy, p p . 6-8, 26-28. 93 E v a M i c h a e l i s , Youth Aliyah Report, August 25th-September 7th 1939, Central Zionist Archives, Gerusalemme, file s 75/746. 94 Memorie di Manfred Steinfeld, in P h i l i p K. J a s o n , I ris P o s n e r , Don't Wave Goodbye: The Children's Flight from Nazi Persecution to American Freedom, p. 41. 95 Cit. in B arry T u r n e r , ...And the Policeman Smiled: 10.000 Children Escape from Nazi Europe, p. 96.

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ULTIMI PASSI VERSO LA DISTRUZIONE

Il 9 settembre 1939, sei giorni dopo che la Gran Bretagna e la Francia dichiararono guerra alla Germania, tutti i trecento uomini ebrei nella città industriale di Gelsenkirchen, nella regione della Ruhr, furono deportati a Sachsenhausen. Le donne e i bambini furono abbandonati alla propria sorte. Era emigrata quasi metà della forte comunità ebraica di Gel­ senkirchen, la cui sinagoga era stata distrutta durante la Notte dei cristalli e che nel 1933 era composta da millequattrocento persone. Solo qualcuno fra coloro che erano rimasti soprav­ visse a stento alla guerra. Il 21 settembre, mentre Teserei to tedesco stava ancora avan­ zando in Polonia, tutte le comunità ebraiche presenti in Ger­ mania costituite da meno di cinquecento membri furono sciol­ te. Tutti gli ebrei furono costretti a partire dai loro paesi e città per aggregarsi a comunità ebraiche più numerose. Una setti­ mana più tardi, la Polonia venne divisa fra la Germania e l'Unione Sovietica. In ottobre ebbe luogo un'altra deportazione di ebrei tede­ schi: parecchie centinaia di aspiranti profughi che, nel giorno della proclamazione della guerra, si trovavano in attesa della prossima nave per gli Stati Uniti al porto di Amburgo, in possesso di permessi validi. Il 21 ottobre vennero portati in treno da Amburgo in un'area desolata, presso la città polacca di Lublino. In quella regione povera dovettero trovare rifugio insieme agli abitanti ebrei dei villaggi polacchi, in una condi­ zione prossima alla morte per fame e senza alcuna possibilità di ritornare alle proprie case. Molti furono inviati in un campo

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di lavori forzati a Zarzecze, istituito dalle ss a novembre, dove un gran numero di deportati morì per la crudeltà dei nazisti. Il giorno precedente alle deportazioni di Amburgo anche diverse centinaia di ebrei di Vienna erano stati deportati nella « Lublinland » (« terra di Lublino »), come ironicamente la chia­ mavano i tedeschi. 11compito di coordinare la deportazione fu assegnato a Eichmann, che fino ad allora aveva avuto la re­ sponsabilità di supervisionare l'emigrazione degli ebrei da Vienna e da Praga. Quel l'inverno, un fortunato gruppo di trecentoquaranta ebrei tedeschi si trovava già nell'Olanda neutrale. Salpati da Rotterdam a bordo del transatlantico di linea Veendam, che copriva il tragitto fra l'Olanda e l'America, giunsero a New York il 22 dicembre.1 Facevano parte della quota annuale di ventisettemila tedeschi e austriaci concessa dagli Stati Uniti per il 1939, i permessi erano in ordine e fu loro consentito di sbarcare. Cinque settimane dopo, il l ß febbraio 1940, la nave di linea italiana Conte di Savoia raggiunse New York, con altri 550 rifugiati ebrei tedeschi fra i suoi 960 passeggeri. Fra gli altri viaggiatori c'era il baritono Giuseppe De Luca, l'attrice Joan Gardner e il giovane attore indù e stella cinematografica Sabu. Tra i profughi ebrei c'erano dodici bambini di età compresa fra i tre e i quattordici anni, i cui genitori non erano riusciti a ottenere i permessi per entrare negli Stati Uniti.2 In Polonia Ruth Goldfein, testimone della Notte dei cristalli a Danzica, si era iscritta all'inizio del 1939 a una fattoria per l'addestramento della gioventù sionista a Grochow, a sud di Varsavia, facendo apprendistato in prospettiva dell'emigra­ zione in Palestina. Il 27 agosto, cinque giorni prima dell'inva­ sione tedesca della Polonia, i suoi genitori, Miriam e Sender Goldfein, che erano riparati nella città polacca di Lodz, viag­ giarono fino a Grochow per incontrarla. « Quella fu l'ultima volta in cui vidi i miei adorati genitori. I miei cari, cari madre e padre. Possano riposare in pace. Dove?! »3 Dalla fattoria Ruth Goldfein e i suoi ventidue compagni pionieri del sionismo videro bruciare Varsavia, mentre i tede-

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schi la bombardavano dal cielo. 1 giovani riuscirono a farsi strada verso est, a Vilnius, che era appena caduta sotto il dominio sovietico. Li accompagnava una buona stella. Il 18 marzo 1940 partirono in treno da Vilnius per la capitale della Lettonia, Riga; quindi - grazie alla generosità di Eva Warburg, deiromonima famiglia di banchieri - volarono a Stoccolma, poi proseguirono in treno per Malmö, quindi in volo verso Amsterdam e Parigi, infine in treno per Marsiglia, da dove si imbarcarono per Haifa. Ci vollero soltanto undici giorni per compiere l'intero viaggio verso la salvezza. La loro destina­ zione era il kibbutz Ayelet Hashahar in Galilea, dove ripresero a svolgere le loro mansioni agricole.*4 Il 15 febbraio 1940 un migliaio di ebrei fu deportato a Lublinland dal porto baltico di Stettino, e parecchie centinaia dal porto baltico di Stralsund. 11 12 marzo, altri centosessanta ebrei furono deportati a Lublinland da Schneidemühl.' Le sinagoghe di entrambe le città erano state distrutte nella Notte dei cristalli. Alcuni ebrei riuscirono a lasciare la Germania nei primi mesi del 1940. Inge Neuberger, testimone della Notte dei cri­ stalli a Mannheim, lasciò la nazione con il padre alla fine di marzo. Uno dei suoi zii che abitava negli Stati Uniti aveva inviato gli affidavit e i dollari necessari per l'espatrio. La madre e il fratello li seguirono sei settimane dopo. Rientravano in un programma statunitense che prevedeva di portare in America un migliaio di bambini ebrei e i loro accompagnatori, a patto che i bambini nel paese avessero dei parenti che gli accoglies­ sero. Uno di loro era Pesach Schindler, che aveva assistito alla Notte dei cristalli a Monaco e il cui padre si trovava già negli Stati Uniti. Dopo aver passato in treno il confine tedesco per giungere nell'Olanda neutrale, Pesach e il gruppo di bambini che erano con lui proseguirono in nave, la Volendam, da Rot­ terdam agli Stati Uniti. Con lui c'era un ragazzo dodicenne di Berlino, Max Frankel, che in seguito avrebbe ricoperto per

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vent'anni (1974-1994) l'incarico di caporedattore del New York Times. Il 9 aprile 1940 l'esercito tedesco invase la Danimarca e la Norvegia. Un mese dopo, il 10 maggio, le truppe tedesche attaccarono altri quattro paesi: Belgio, Olanda, Lussemburgo e Francia. Anche di fronte a tanta violenza, l'istinto di aiutare il prossimo non venne meno. Il 13 maggio, mentre le truppe tedesche si avvicinavano ad Amsterdam, una donna olande­ se, Geertruida Wijsmuller-Meijer, che si era sempre occupata dei rifugiati ebrei provenienti dalla Germania, mise insieme una mezza dozzina di autobus, riunì duecento profughi ebrei, fra cui ottanta bambini, e si diresse con loro da Amsterdam verso il porto di Ijmuiden, dove le truppe britanniche stavano ancora sbarcando, in un tentativo dell'ultimo minuto di raf­ forzare le linee di difesa olandesi. Dopo aver raggiunto Ijmuiden, Geertruida Wijsmuller con­ vinse il capitano di una nave mercantile olandese a far salire gli ebrei a bordo e a fare rotta verso l'Inghilterra. « Salpammo alle sette di sera » ricordò tempo dopo uno dei ragazzi, Harry Jacobi, originario di Berlino. « Una volta che fummo molto distanti dalla riva guardammo dietro di noi, e vedemmo un'e­ norme colonna di fumo nero dalle cisterne di deposito dell'o­ lio, a cui era stato appiccato il fuoco per evitare che i tedeschi se ne impossessassero. Alle nove di sera ci giunse una notizia raccolta dalla radio di bordo: il governo olandese aveva capi­ tolato. » Harry Jacobi e i duecento rifugiati ebrei che si trovavano con lui raggiunsero la Gran Bretagna e la salvezza. Né i suoi genitori, che vivevano ancora a Berlino, né i nonni, all'epoca rifugiati in Olanda, sopravvissero alla guerra. Per loro non si era potuto trovare spazio sugli autobus affollati. Geertruida Wijsmuller-Meijer rimase in Olanda, dove aiutò a espatriare clandestinamente centinaia di ebrei, molti provenienti dalla Germania, verso la Spagna e la Svizzera neutrali.6 11 capitano Foley, che aveva messo così tanti ebrei in con­ dizione di partire dalla Germania mentre prestava servizio

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come funzionario per il Controllo passaporti di Berlino, si trovò brevemente a Bordeaux a metà del mese di giugno del 1940, fra una massa di soldati in ritirata e di civili che tenta­ vano disperatamente di sfuggire all'avanzata dell'esercito te­ desco. Egli continuò a rilasciare permessi a rifugiati ebrei te­ deschi/ Il 17 giugno, mentre le truppe tedesche avanzavano rapidamente attraverso la Francia, il console generale del Por­ togallo di Bordeaux, il dottor Aristides de Sousa Mendes, un fervente cattolico, annunciò che avrebbe fornito dei visti por­ toghesi senza richiedere denaro. Soltanto con simili permessi i funzionari di confine spagnoli avrebbero consentito agli ebrei di entrare in Spagna. Durante tutta la giornata e nei due giorni successivi, mentre Tarmata tedesca si avvicinava sempre di più a Bordeaux, de Sousa Mendes emise diverse migliaia di visti, stampandoli e firmandoli senza tregua. Il ministero degli Esteri di Lisbona gli ordinò di fermarsi, ma egli rifiutò di farlo. Il 20 giugno Tambasciata britannica di Lisbona inviò una let­ tera al ministero portoghese degli Esteri, lamentandosi che de Sousa Mendes stava « lavorando al di fuori dell'orario ordi­ nario».8 Poiché l'esercito tedesco si apprestava a entrare a Bor­ deaux, de Sousa Mendes si diresse a sud, verso la Spagna. Fermatosi a Bayonne, scoprì che il console portoghese del luogo aveva obbedito agli ordini del governo portoghese e si stava rifiutando di fornire permessi d'ingresso agli ebrei. De Sousa Mendes trascorse la giornata a Bayonne emettendo visti e sfidando le direttive che gli intimavano di fermarsi. Quindi, con il suono dell'artiglieria pesante dei tedeschi a nord, si avviò verso il confine spagnolo a Hendaye. Anche là rilasciò diverse centinaia di permessi: semplici pezzetti di carta, ma timbrati con il suo sigillo ufficiale e firmati a suo nome, che dichiaravano che il titolare aveva il diritto di en­ trare in Portogallo e chiedevano alla Spagna di garantire al titolare stesso un transito senza impedimenti. Quei pezzetti di carta vennero rispettati.9 Il 22 giugno la Francia stipulò l'armistizio con la Germania.

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Il giorno seguente l'ambasciatore portoghese in Francia giunse a Hendaye, anch'egli in cammino verso un luogo sicuro, e dichiarò che i permessi di de Sousa Mendes erano privi di valore legale. Ignorando ciò, de Sousa Mendes, che si accinge­ va ugualmente ad attraversare il confine, consegnò i pezzi di carta che fungevano da visti a un gruppo di ebrei che attende­ vano disperatamente di passare dall'altra parte e poi, secondo il racconto dello scrittore Eric Silver, « diede loro istruzioni di camminare dietro la sua auto varcando un posto di frontiera raramente utilizzato, dove l'unica guardia presente non pos­ sedeva telefono e non aveva alcun modo di controllare con i propri superiori la validità dei documenti. Il bluff funzionò. I rifugiati si spostarono lentamente verso la salvezza».10 Non tutti si sentivano di aiutare spontaneamente coloro che si trovavano in pericolo. Il 26 giugno, tre giorni dopo il comportamento ardito e compassionevole di de Sousa Men­ des, l'assistente segretario di Stato degli Stati Uniti, Breckin­ ridge Long, delineò modi in cui i consolati americani in Eu­ ropa, compresi quelli presenti in Germania - poiché gli Stati Uniti erano ancora neutrali - potevano differire a tempo inde­ terminato l'assegnazione dei permessi di soggiorno. Long spiegò: « Noi possiamo rinviare e, in realtà, fermare per un periodo temporaneo di durata indeterminata il numero di immigranti negli Stati Uniti. Possiamo farlo consigliando sem­ plicemente i nostri consoli di frapporre qualsiasi ostacolo, e richiedere ulteriori attestazioni, e far ricorso a vari espedienti amministrativi che rimanderebbero e rimanderebbero e ri­ manderebbero l'assegnazione dei permessi».11 Queste indicazioni furono messe in atto. Due mesi dopo Ludwig Klein, un commerciante di luppolo sessantatreenne, scrisse ai figli residenti negli Stati Uniti dalla città di Walldorf - la cui sinagoga, costruita settantotto anni prima, era stata distrutta la Notte dei cristalli - di avere appena ricevuto una comunicazione da parte del viceconsole americano di Stoccar­ da in cui si dichiarava: «A causa delle mutate circostanze, è ora necessario rivedere le domande di immigrazione che era-

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no già state approvate, poiché ritenute inadeguate. In molti casi questa approvazione dovrà senza alcun dubbio essere revocata. Le consigliamo pertanto di non effettuare alcun pre­ parativo per il viaggio in oggetto o, se avesse già effettuato queste prenotazioni per il piroscafo, di cancellarle fino a quan­ do non le perverrà nuova comunicazione da questo consolato. Ciò al fine di evitare perdite finanziarie a lei o ai suoi garanti ». « Come potete vedere » scrisse scoraggiato Ludwig Klein, «la nostra emigrazione non avrà luogo tanto presto come avevamo immaginato, e ci rammarichiamo del fatto che ri­ marrete delusi. In ogni caso, il viaggio via Russia-Giappone non sarà più possibile. Se o quando una tale possibilità si ripresenterà nuovamente è impossibile dirlo. Le linee di piro­ scafi che passano da Lisbona o dal Pireo non sono più acces­ sibili da qui, visto che al momento non ci sono più permessi di transito per la Svizzera e l'Italia... » 12 Diversamente da Breckinridge Long, un altro cittadino americano, Varian Fry, scelse il percorso della solidarietà. Il 14 agosto 1940, meno di un mese dopo l'armistizio franco­ tedesco, giunse a Marsiglia dagli Stati Uniti come rappresen­ tante di un'organizzazione umanitaria privata americana, l'American Emergency Rescue Committee. L'area in cui l'uomo lavorò era quella di Vichy, in Francia. I principali beneficiari della sua opera di soccorso furono rifugiati tedeschi e austriaci che fin dal 1933 avevano trovato asilo in Francia. Originariamente, la missione di Fry avrebbe dovuto avere la durata di tre settimane. Egli restò al suo posto per più di dodici mesi. Fra coloro che riuscirono a partire dall'Europa verso gli Stati Uniti grazie al suo impegno vi furono Franz Werfel, un ebreo austriaco il cui romanzo 1 quaranta giorni del Mussa Dagh13 illustrava la resistenza armena all'epoca dei massacri successivi alla Prima guerra mondiale, e Lion Feuchtwanger, un ebreo tedesco che viveva in esilio nel Sud della Francia dal 1933, e il cui romanzo Süss l'ebreo'* aveva conosciuto un'enorme popolarità. Entrambi i libri erano stati banditi da Hitler. Nella sua opera. Fry fu sostenuto da Hiram

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Bingham, viceconsole degli Stati Uniti a Marsiglia. Senza tener conto dei regolamenti del dipartimento di Stato, Bingham aveva già assegnato permessi statunitensi superando i limiti imposti dalla quota e aveva persino falsificato dei documenti per offrire un riparo a singoli rifugiati. Alcuni ebrei tedeschi riuscirono a fuggire in Iugoslavia attraversando il confine meridionale deir Austria. Fra loro c'e­ ra Recha Freier, un'ex componente del consiglio del Comitato di supporto alla gioventù ebraica in Germania. Suo figlio era già in Gran Bretagna. La Notte dei cristalli la donna si trovava a Londra, ma si affrettò a ritornare a Berlino per accelerare Temigrazione dei bambini ebrei verso la Palestina, anche con mezzi illegali, se necessario. Per questo motivo era stata espul­ sa dal consiglio e denunciata dai suoi ex colleghi per attività antinazista. Nel suo viaggio attraverso il confine austro-iugo­ slavo portò con sé cinquanta adolescenti ebrei tedeschi. Sette mesi dopo, i ragazzi giunsero in Palestina. Anche i genitori di Inge e Bertha Engelhard intrapresero quel viaggio verso sud, mentre le loro figlie avevano già rag­ giunto la Gran Bretagna su un Kindertransport. Tempo dopo, Inge Engelhard scrisse che da Monaco si avviarono verso la città austriaca di Graz, «dove furono ospitati da un passatore di nome Joseph Schleich fin quando questi non ebbe persone a sufficienza per costituire un gruppo da mandare con varie guide al di là del confine» fino a Zagreb, in Iugoslavia. Dopo l'invasione tedesca della Iugoslavia nell'aprile del 1941, i ge­ nitori riuscirono a dirigersi verso ITtalia e da qui verso la Spagna e il Portogallo, « prima di arrivare finalmente in In­ ghilterra il giorno di Natale del 1943, con uno Yankee Clip­ per! »15 Nell'autunno del 1940 il governo di Haiti si offrì di accogliere un centinaio di famiglie di rifugiati ebrei tedeschi. Questo progetto ricevette il timbro del dipartimento di Stato a Wa­ shington, mentre lo stesso segretario di Stato, Cordell Hull, dava istruzioni all'incaricato degli affari americani ad Haiti

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affinché chiarisse al presidente di quel paese che gli Stati Uniti avrebbero « disapprovato » qualsiasi ulteriore offerta haitiana di far entrare dei rifugiati, « fra i cui componenti si troveranno senza dubbio elementi pericolosi per la sicurezza della repub­ blica di Haiti e di questo paese». Questo telegramma era datato 30 settembre. Due giorni dopo Tincaricato d'affari americano telegrafò a Washington informando di aver spiegato al governo haitiano che poiché i rifugiati erano « tutt'al più oppositori di Hitler, consideriamo questi profughi come sospetti, e non possiamo considerare positivamente i loro spostamenti da un luogo all'altro». Gli Stati Uniti, spiegò, stavano spendendo oltre dodici miliardi di dollari per la difesa degli Stati Uniti stessi e dell'emisfero occidentale, e «sarebbe [stato] irragionevole aspettarsi che avremmo considerato senza preoccupazione il movimento in­ controllato di individui forestieri sospetti».16 Anche la Gran Bretagna aveva assunto la posizione secon­ do cui, essendo la nazione in guerra contro la Germania, tutti i tedeschi - ebrei o meno - erano «nemici stranieri» e non potevano beneficiare dell'assegnazione dei visti. 11 22 ottobre 1940 i responsabili della pianificazione nazista, con Adolf Eichmann in qualità di organizzatore esperto, de­ portarono quindicimila uomini, donne e bambini ebrei dalle province della Renania-Palatinato, della Saar e del Baden, nel­ la Germania occidentale, a quattro campi nella Francia sudoc­ cidentale sotto il controllo francese del regime di Vichy: Gurs, Noè, Récébédou e Rivesaltes. Le condizioni erano dure. Quasi duemila deportati, molti dei quali anziani, morirono in questi campi a causa delle gravi restrizioni subite. Fra le milleduecentosessanta vittime di Gurs c'erano la trentaquattrenne Ve­ ra Meyer di Halberstadt, la sessantenne Emma Weil di Lör­ rach e la sessantunenne Melanie Wertheimer di Bühl, tutte località in cui le sinagoghe erano state distrutte durante la Notte dei cristalli.1/ Fra i deportati a Gurs vi erano Ludwig e Alice Klein, che

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avevano appreso soltanto due mesi prima che la loro doman­ da per recarsi negli Stati Uniti, dove si trovavano i figli, pur essendo stata approvata avrebbe dovuto essere riesaminata. Insieme al fratello di Ludwig, Heinrich, e alla moglie di que­ st'ultimo, Melanie, i Klein sopravvissero per due anni a Gurs, prima di essere inviati ad Auschwitz, dove morirono.18 Il 14 febbraio 1941 un ebreo tedesco, Gerhard Neumann, scrisse da Gurs a nome proprio e di altri sei detenuti a Robert M. Lovett, governatore facente funzioni delle isole Vergini statunitensi, chiedendo se le isole stesse « [avrebbero potuto] migliorare la nostra situazione attuale concedendoci il per­ messo di risiedere nel vostro territorio fin quando non riusci­ remo a emigrare negli Stati Uniti. Siamo consapevoli di com­ piere un passo di portata eccezionale rivolgendoci a voi. Ma questa è la nostra ultima possibilità ». Il 15 marzo il governa­ tore facente funzioni rispose: «Sono spiacente di informarvi che da parte del dipartimento di Stato e del dipartimento degli Interni non è stato pianificato alcun procedimento per consen­ tire un asilo temporaneo nelle isole ». Walter Bruehl, che si trovava fra coloro che fecero ritorno sul St Louis e che ora era a Gurs, scrisse al governatore facente funzione delle isole Vergini ad aprile, ricevendone risposta il 20 maggio: « Sono spiacente di informarla che il dipartimento di Stato ha rifiutato di concedere il permesso di porre in atto il progetto proposto per l'accoglienza dei rifugiati...»19 Né Neumann né Bruehl sopravvissero alla guerra. A Marsiglia, dove gli Stati Uniti ancora neutrali continua­ vano ad avere la loro rappresentanza ufficiale, Hiram Bin­ gham fornì la documentazione che consentì al comitato di Varian Fry di ottenere il rilascio di parecchie centinaia di de­ tenuti nei campi di Vichy. Nei casi in cui non ci fossero visti o passaporti disponibili per coloro che vennero liberati, Bin­ gham firmò degli affidavit che li misero in grado di lasciare l'Europa. Malauguratamente per quelli che erano in cerca di un asilo sicuro, nelle sue attività di soccorso Bingham non fu

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sostenuto dal suo diretto superiore, il console generale ame­ ricano Hugh Fullerton, e fu trasferito a Lisbona.2() Nel giro di otto mesi. Fry perse la propria base di soccorso. 1113 maggio 1941 la moglie del presidente Roosevelt, Eleanor, scrisse alla moglie di Fry, Eileen: « Credo che dovrà ritornare a casa, perché ha fatto cose che il governo non ritiene di poter permettere».21 Fry tornò negli Stati Uniti. Scrisse nelle sue memorie, con amarezza: «Quando arrivai a New York, venni a sapere che il dipartimento di Stato aveva inventato un nuo­ vo formulario di domanda per la richiesta di un permesso di soggiorno, crudelmente difficoltoso, che rendeva quasi im­ possibile ai rifugiati l'ingresso nel paese».22 Per gli ebrei in Germania il 1941 segnò un intensificarsi di discriminazioni e terrore. All'inizio dell'anno tutti gli ebrei che non lo avessero ancora fatto furono obbligati a lasciare le proprie abitazioni e a stiparsi in speciali ]udenhaiiser (case ebree), alloggi di proprietà ebraica che potevano contenere fino a sei persone in una sola stanza, a volte anche di più. Nella Polonia occupata dai tedeschi il sovraffollamento e le privazioni forzate furono ancora più duri: erano stati istituiti dei ghetti, spesso nei quartieri più poveri delle città, nei quali furono deportati e confinati gli ebrei, e dove molti di loro morivano ogni mese per la fame e le malattie. Nel più grande di quei ghetti, a Varsavia, vennero depor­ tati diecimila ebrei tedeschi, fra cui parecchie centinaia da Brema. Nei primi sei mesi del 1941 vi morirono di fame tre­ dicimila ebrei, fra cui molti dei deportati dalla Germania. A partire dal 15 febbraio 1941 e per le quattro settimane seguen­ ti, cinquemila ebrei austriaci furono deportati da Vienna sia ai ghetti di Lublino e Kielce, sia ai campi di lavoro nella Polonia occupata dai tedeschi. Là, lungo il confine fra Germania e Unione Sovietica, furono costretti nelle condizioni più disu­ mane a bonificare paludi e a costruire fortificazioni di confine.

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Il 19 settembre 1941 fu imposto a tutti gli ebrei residenti in Germania che avessero più di sei anni di indossare una stella gialla. Airinizio di ottobre dello stesso anno, più di un terzo di loro - cinquantamila in tutto - furono inviati verso est. Il primo blocco di questi treni di deportati fu diretto a Minsk, il cui ghetto, a partire dall'invasione tedesca dell'Unione So­ vietica a giugno, era diventato un centro di incarcerazione, lavoro forzato ed esecuzioni. Il primo treno dalla Germania giunse a Minsk il 10 novem­ bre, portando un migliaio di ebrei da Amburgo. Furono con­ dotti a un grande complesso di condominii che portava l'in­ dicazione g h e t t o Am b u r g o . Nel giro di una settimana, i de­ portati di questa città furono seguiti da oltre seimila ebrei provenienti da Francoforte, Brema e dalla Renania. Il 18 no­ vembre arrivò un treno da Berlino. Su di esso viaggiava il ventiduenne Haim Berendt, che vent'anni dopo ricordò che i suoi compagni di deportazione « si sentivano come pionieri che erano stati portati a colonizzare l'Est».23 I nuovi arrivati entrarono a far parte della forza lavoro coatta di Minsk, e a tempo debito condivisero il destino degli ebrei di quella città: lo sterminio. A novembre diciassettemila ebrei tedeschi furono deportati nel ghetto di Lodz. Produssero un effetto immediato sugli abitanti del ghetto. « Dai primissimi momenti » scrisse uno dei cronisti del ghetto, « questi nuovi arrivati hanno costituito una grande attrazione per gli appassionati di musica. » Uno dei risultati delle nuove sistemazioni fu che « il ghetto [aveva] acquisito una gamma di esecutori di talento: pianisti e cantan­ ti. Le interpretazioni del maestro Birkenfeld di Vienna al pia­ no merita[va]no una menzione particolare». Ciascuno dei concerti di Leopold Birkenfeld « [era] una vera e propria festa per gli appassionati di musica del ghetto ». Entro due settima­ ne erano stati messi a registro trenta musicisti, attori, cantanti e pittori. Un illustre procuratore di Vienna, il dottor Meir Kitz, fu nominato giudice della corte del ghetto ebraico. Quattro rabbini provenienti dalla Germania furono eletti a far parte

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della corte rabbinica del ghetto. Karol Rozencwajg, un agente di commercio di Vienna, divenne il popolare accompagnatore alla chitarra e allo zither, il salterio tipico del Tirolo, di un cantante locale. La severità era una presenza costante nella vita del ghetto di Lodz. 1cronisti del ghetto registrarono parecchi decessi fra i nuovi arrivati, fra cui la trentenne Lili Wälder di Vienna, che si avvicinò al filo spinato in un punto vietato e fu colpita a morte. « La vittima soffriva di una depressione nervosa. » Il 3 dicembre le esibizioni di Leopold Birkenfeld della Sin­ fonia Incompiuta di Schubert, della Sonata « Al chiaro di luna » di Beethoven, della Rapsodia n. 2 di Liszt e di alcune opere di Mendelssohn «incantarono letteralmente il pubblico». Otto giorni dopo i cronisti del ghetto riferirono della morte - all'età di settantaquattro anni - del dottor Ernst Sandheim, uno dei «grandi vecchi» della medicina a Berlino.24 Il 15 novembre 1941 ebbe luogo la prima di cinque deporta­ zioni dalla Germania alla città lituana di Kaunas, che era sotto l'occupazione tedesca da giugno. Il primo migliaio di depor­ tati proveniva da Monaco. Il loro viaggio durò dieci giorni. Nel giro di due settimane erano arrivati quindicimila ebrei: da Berlino, Monaco, Vienna, Breslau e Francoforte. Questi non furono portati al ghetto, ma al vicino Nono Forte. Un ebreo di Kaunas, il dottor Aharon Peretz, in seguito raccontò come, mentre i deportati erano condotti lungo la strada che portava al Nono Forte, strada che correva presso il perimetro del ghet­ to, « li si poteva udire chiedere alle guardie: 'Il campo è ancora lontano?' » Era stato loro detto che sarebbero stati inviati in un campo di lavoro. Ma, aggiunse Peretz, « sapevamo dove por­ tava quella strada. Portava al Nono Forte, alle fosse già sca­ vate».25 Una volta raggiunto il Nono Forte, i deportati furono tenuti tre giorni in cantine, al gelo e senza alcuna forma di riscalda­ mento, senza cibo né acqua. Solo allora, congelati e affamati.

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fu loro ordinato di svestirsi, per poi essere condotti alle fosse situate ai margini del forte e fucilati. Questo fu il terribile destino di coloro che erano sopravvis­ suti a quasi nove anni di dominazione nazista, che avevano assistito alla Notte dei cristalli e che erano rimasti intrappolati a causa dello scoppio della guerra all'interno delle frontiere invalicabili del Reich tedesco. Nelle valigie dei deportati uccisi al Nono Forte furono trovati libriccini stampati, che li avverti­ vano di prepararsi con urgenza a un inverno difficile. Per questa ragione, alcuni avevano portato con loro piccole stufe per riscaldarsi. Quando era stato loro ordinato di svestirsi, avevano lottato contro i tedeschi. Fu una lotta senza speranza. Il 25 novembre la squadra della morte delle ss che mise in atto le esecuzioni registrò, con la sua abituale precisione, che in un'occasione al Nono Forte erano stati uccisi 1159 uomini ebrei, 1600 donne ebree e 175 bambini ebrei, descritti come «abitanti provenienti da Berlino, Monaco e Francoforte». Quattro giorni dopo fu la volta di 693 uomini ebrei, 1155 donne ebree e 152 bambini ebrei, «abitanti di Vienna e Bre­ slau ».26 Anch'essi furono uccisi nel giro di qualche ora. Tre anni dopo la Notte dei cristalli, la sua crudele evolu­ zione si sviluppava con efficienza, senza pietà e senza sosta. Il 27 novembre partì dalla Germania il primo di diciannove treni per Riga, l'ex capitale della Lettonia, un'altra conquista della Germania a est. Il treno proveniva da Berlino. Una volta raggiunta Riga, quasi tutti i mille ebrei a bordo furono portati in fosse appositamente scavate nella vicina foresta di Rumbula - dove la settimana precedente erano stati massacrati più di diecimila ebrei di Riga - e giustiziati con le mitragliatrici. Le successive deportazioni dalla Germania avevano come destinazione il ghetto di Riga. Da qui altri venticinquemila ebrei della città erano stati portati a Rumbula e assassinati anche mentre i treni erano in marcia. 11 29 novembre arrivò a Riga un convoglio con 714 ebrei di Norimberga, Würzburg,

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Furth e città più piccole della zona. Il l ü dicembre giunsero altri milleduecento ebrei da Stoccarda. Il 3 dicembre arrivarono a Riga da Vienna poco più di un migliaio di ebrei, e il giorno seguente più di ottocento da Amburgo. Tutti i quattromila presenti su questi quattro con­ vogli furono inviati a Jungfernhof, un ex accampamento del­ l'esercito lettone che era stato convertito in un campo di con­ centramento gestito dalle ss. Due mesi dopo, almeno cinque­ cento di quei prigionieri erano morti. Fra le persone imprigionate a Jungfemhof si trovava il dot­ tor Joseph Carlebach, rabbino capo di Amburgo e Altona. Secondo quanto scrive Gertrude Schneider, la storica che ha studiato le deportazioni di ebrei austriaci e tedeschi in Letto­ nia, lei stessa deportata da Vienna, Carlebach « ebbe cura » che le festività ebraiche fossero osservate e che fosse recitata la preghiera in memoria degli ebrei. «Consolava i familiari quando uno dei loro cari moriva e teneva alto il morale di tutti coloro che lo circondavano. Lui stesso e parte della sua famiglia furono sterminati nel marzo del 1942. Dopo la sua scomparsa, restò ben poco in termini di organizzazione della vita religiosa, ma la gente in qualche modo conosceva le date corrette delle festività ebraiche e cercava di rispettarle. »2/ Il 7 dicembre - giorno dell'attacco a Pearl Harbor - un altro treno partì dalla Germania per Riga, portando un migliaio di ebrei da Colonia. Dopo aver raggiunto la città il 10 dicembre, i deportati non furono mandati nel campo di concentramento di Jungfernhof, come era accaduto a coloro che erano sui quattro treni precedenti, ma al ghetto di Riga, dove per loro era stata allestita una speciale sezione « tedesca », già parte del ghetto ebraico lettone, ma separata da quest'ultimo. Gertrude Schneider scrive: «Spesso i nuovi arrivati scoprirono corpi congelati che erano stati ignorati dai distaccamenti che ese­ guivano le pulizie, e che poi loro stessi dovettero seppellire. Ci misero mesi a strofinare e togliere le numerose chiazze di sangue che videro sui muri, i pavimenti e le scale delle loro nuove abitazioni ».28

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Nel giro di due mesi oltre quindicimila ebrei tedeschi e austriaci erano stati deportati in questo ghetto « tedesco », da­ to che ogni treno che arrivava - costituito da normali carrozze passeggeri di terza classe - trasportava migliaia di persone. Oltre agli ebrei provenienti da Colonia, i deportati giunsero da molte cittadine e da comunità più piccole della regione: il 9 dicembre da Kassel, Fulda ed Eschwege; I 'l l dicembre da Duisburg, Krefeld e Düsseldorf; il 12 da Bielefeld, la cui sina­ goga era stata bruciata la Notte dei cristalli; e il 15 da Hanno­ ver. Quindi, dopo una pausa di tre settimane, il 9 gennaio 1942 ci furono nuovi arrivi da Theresienstadt, I 'l l gennaio da Vienna, il 13 da Berlino, il 15 nuovamente da Theresien­ stadt, il 19 da Berlino, il 21 da Lipsia e Dresda, il 25 ancora da Berlino, il 26 da Vienna e il 27 da Dortmund. Sul treno del 9 dicembre si trovava Martin Lowenberg, che aveva assistito alla Notte dei cristalli a Fulda. Tutti e sei i componenti della sua famiglia furono condotti a un'unica stanza nel ghetto « tedesco », insieme a un'altra coppia. Non c'era acqua corrente, né il bagno. « Dato che i precedenti oc­ cupanti della camera avevano lasciato del cibo scoperto quan­ do erano stati radunati e portati via aH'improvviso, la stanza era piena di topi, cimici, pulci e scarafaggi. » Nel 1935 la sorella e il fratello maggiore di Martin Lowen­ berg avevano raggiunto la Palestina. Nel 1937 l'altra sorella maggiore era emigrata negli Stati Uniti. Sopravvissero tutti alla guerra. 1 suoi genitori, la sorella minore e i gemelli che erano stati mandati a Riga, invece, persero la vita.29 Il 5 febbraio, millecento ebrei originari di Berlino e quattrocento di Vienna furono portati fuori dal ghetto e fucilati. Quat­ tro giorni dopo, un migliaio di ebrei tedeschi e austriaci furo­ no fatti uscire da Jungfemhof e uccisi nello stesso modo. 11 6 febbraio, un ultimo treno era partito da Vienna per Riga. Su una delle carrozze viaggiava un noto finanziere ebreo viennese, Siegmund Bosel. Gravemente malato, era stato por­ tato alla stazione dall'ospedale, in ambulanza e con indosso il pigiama. Durante il viaggio il comandante del convoglio lo

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incatenò al pavimento e lo schernì ricordandogli la sua passa­ ta ricchezza, finché, stanco del suo gioco crudele, gli sparò uccidendolo. Quest'ultima deportazione da Vienna per Riga giunse a destinazione il 10 febbraio. La temperatura era di cinque gradi sotto zero. Fu detto a coloro che non si sentivano in grado di affrontare il percorso di sette chilometri a piedi dalla stazione al ghetto che avrebbero potuto recarvisi in camion. La gente cercava disperatamente di salire sui camion: alla maggioranza di loro fu permesso di farlo. Questi veicoli dall'aspetto inno­ cuo erano stati costruiti nella fabbrica Sauer di Steyr, in Au­ stria, secondo requisiti specifici: si trattava di furgoni sigillati ermeticamente, mentre i gas di scarico erano deviati all'inter­ no. Tutti quelli che si trovavano sui camion morirono entro mezz'ora dalla partenza. Il 19 febbraio ebbe luogo un'ulteriore deportazione da Vienna. Non fu diretta a Riga, ma alla città di Kielce, nella Polonia occupata dai tedeschi. Tutti i milletrecento deportati furono mandati a vivere con gli ebrei polacchi del luogo; un mese dopo, dovettero prendere il loro posto nel ghetto di Kielce, istituito da poco. Solo diciotto di quei milletrecento deportati sopravvissero. Una delle persone trasportate da Vienna a Kielce fu la cin­ quantaduenne Gertrude Zeisler. Le sue lettere, inviate a dei cugini che vivevano in Svizzera, lasciano intravedere il conti­ nuo peggioramento delle condizioni degli ebrei viennesi nel ghetto: « Mi considero fra quelli abbastanza fortunati da pos­ sedere alcuni capi di vestiario, che adesso sono costretta a vendere» (10 ottobre 1941); « [...] quelli che sono morti prima di quest'epoca non hanno bisogno di essere compatiti » (6 marzo 1942); « [...] come vorrei già poter parlare dei giorni passati a Kielce come di un ricordo di un oscuro passato » (5 giugno 1942); « [...] non riconoscereste la donna vecchia e brut­ ta che sono diventata » (3 luglio 1942); e, nella sua ultima lettera: « Mi sembra di perdere la ragione in quest'atmosfera

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funesta di inattività. Forse se tornassi in un ambiente normale tornerei a essere ancora un essere umano pensante» (13 ago­ sto 1942). Sette giorni dopo aver scritto questa lettera, Gertrude Zeisler fu deportata a Treblinka con gli altri ebrei viennesi e con gli ebrei di Kielce. Nessuno di loro sopravvisse. L'ultima let­ tera che i cugini le avevano scritto dalla Svizzera tornò al mittente, con il timbro «Ha lasciato il distretto».50 Un rapporto alle ss redatto dal capitano di polizia incaricato della deportazione d e ll'll dicembre 1941 da Vienna a Riga, un viaggio che durò sessantuno ore, criticò il capostazione di Konitz, una delle molte fermate dove il treno si arrestò duran­ te il suo percorso lungo migliaia di chilometri, per essere « uno di quei cittadini che parlano ancora dei 'poveri ebrei' e che non conoscono l'autentico concetto di 'ebreo' ». 11 capi­ tano non aveva rimostranze da fare a proposito delle guardie che viaggiavano con lui, «eccetto forse per il fatto che ho dovuto rammentare ad alcuni di loro di trattare gli ebrei in una maniera più brusca ogni volta che disobbedivano ai miei ordini ».3I Nel ghetto tedesco di Riga, sotto lo sguardo vigile, spesso vendicativo, delle ss, prestavano servizio come poliziotti qua­ ranta ebrei tedeschi. Altri erano utilizzati per pulire le strade. In tal modo erano mantenuti ordine e pulizia. Gertrude Schneider, che era arrivata con l'ultimo convoglio proveniente da Vienna, descrisse in seguito come il ghetto « fosse un mi­ nuscolo villaggio tedesco, scrupolosamente pulito, completo di nomi delle vie in tedesco, polizia tedesca, pulitori di strade tedeschi, perfino scuole tedesche e sporadici motivi musicali tedeschi. Si poteva udire la parlata impeccabile della gente di Hannover, il monotono accento nasale dei berlinesi, il dialetto largo degli abitanti di Lipsia e Dresda, il linguaggio dolce e cadenzato di bavaresi e viennesi e il tedesco aspro, ma corret­ to, parlato dai cechi. Tutta questa gente rispettabile, di ceto medio, aveva una cosa in comune: si trattava di ebrei che

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erano stati deportati a est per essere liquidati, ma erano stati temporaneamente risparmiati perché c'era bisogno della loro forza lavoro».32 Nel ghetto si tenevano addirittura servizi religiosi della Chiesa cattolica per cattolici praticanti che erano ebrei di nascita, deportati perché erano « di razza ebraica ». Una terza destinazione per gli ebrei tedeschi deportati a Riga fu il vicino campo di lavoro forzato di Salaspils. Le con­ dizioni di vita in quel luogo erano talmente dure che pochi dei reclusi sopravvissero. Una delle vittime, un insegnante ebreo di Stoccarda di nome Jaffee, cercò di assicurarsi che, a dispetto del divieto nazista in merito, si recitassero le preghiere per i morti sulle fosse comuni del campo. 1115 marzo 1942 altri millenovecento ebrei austriaci e tede­ schi furono trasportati dal ghetto di Riga al loro destino di morte, dopo che fu loro detto che stavano andando in un campo di lavoro con attività più leggere e maggior quantità di cibo. La resistenza degli ebrei tedeschi e austriaci soprav­ vissuti non fu indebolita. Illustri dottori mantennero in attivi­ tà un piccolo ospedale. Mary Korwill, che in Austria aveva gestito il Campo per bambini Tante Mary, allestì una scuola fin quando non fu scoperto che indossava un orologio da polso d'oro, e fu fucilata. Furono ideati programmi d'insegna­ mento da Alfred Lemberger, un insegnante di scuola superio­ re di Vienna. Gli adulti frequentavano le lezioni, compreso un corso sul Faust di Goethe tenuto dal dottor Weil, che era stato professore di letteratura tedesca all'università di Vienna. Né Lemberger né Weil sopravvissero alla guerra, e neppure Grete Picker, una giovane donna piena di talento che dilettò gli abitanti del ghetto con le sue doti canore. Fra le opere teatrali allestite dagli abitanti del ghetto si annoverarono Nathan il saggio di Lessing, il Faust di Goethe e Geremia di Stefan Zweig. Erich Eichenbaum, un violinista che si esibiva a Vienna e che era riuscito a tenere con sé il proprio strumento, tenne dei concerti accompagnato da un'orchestra che offriva in programma opere di Brahms, Haydn, Mozart e Beethoven. Nemmeno Eichenbaum fece par-

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te dei sopravvissuti. Non lo fu neppure l'ignoto proprietario di un violoncello che fu ucciso a Salaspils, il cui strumento tuttavia contribuì agli sforzi orchestrali del ghetto.33 In mezzo alle esecuzioni e alla fame che regnavano nel ghetto, gli ebrei tedeschi e austriaci si aggrappavano alla spe­ ranza che sarebbero sopravvissuti. Tuttavia, su ventimila de­ portati vi furono soltanto ottocento superstiti. La sofferenza degli ebrei tedeschi deportati a Riga e che restarono nel ghetto fu terribile. Lore Pels, che vi fu condotto da Hannover, ricordò tempo dopo il destino di Rolf Becher, che fu sorpreso a portare cibo nel ghetto. « Dovette pagare con la vita, sul patibolo. Quando lo impiccarono, fummo obbligati ad assistere. »34 Ruben Moller, deportato da Bochum al ghetto di Riga, scrisse in seguito: « Di tanto in tanto eravamo esposti a procedimenti di selezione secondo cui gli anziani, i malati, i disabili e i bambini venivano scelti per lo sterminio [...] lo fui selezionato, ma riuscii ad allontanarmi dal gruppo condanna­ to ». Coloro che erano stati scelti furono uccisi in furgoni pieni di gas. «Quando si sospettò che la polizia ebraica del ghetto lettone possedesse delle armi, l'intero corpo di polizia di una trentina di uomini fu riunito in una zona all'aperto del ghetto e ucciso a colpi di mitragliatrice. Tuttavia, a dispetto di tutto ciò, celebrai il mio Bar Mitzvah nel ghetto di Riga. »35 In Germania, nello stesso mese di novembre, gli ebrei ave­ vano dovuto consegnare tutte le biciclette, macchine per scri­ vere, macchine fotografiche e binocoli. Allo stempo tempo, in tutta la Germania, le comunità ebraiche superstiti furono se­ lezionate per la deportazione a est. A dicembre i 403 ebrei superstiti di Munster, insieme a 131 ebrei di Fulda e 6 di Warendorf - dove la sinagoga era sopravvissuta alla Notte dei cristalli - erano fra i deportati a Riga.36 Dal suo pulpito a Berlino, il coraggioso pastore Lichtenberg offrì una preghie­ ra pubblica per gli ebrei che stavano subendo la deportazione verso est, e consigliò con calore i membri della congregazione di osservare il comandamento biblico «Ama il prossimo tuo».3' Egli fu denunciato alla g e s t a p o , arrestato e condan-

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nato a due anni di prigione. Fu mandato a Dachau, ma, se­ condo le parole dell'annuncio ufficiale, morì «durante il tra­ gitto».58 Mentre il 1941 si avvicinava al termine, fu inventata una nuo­ va tecnica di uccisione. A novembre milleduecento tra gli ebrei tedeschi prigionieri a Buchenwald furono portati all'I­ stituto dell'eutanasia a Bernberg e assassinati con il gas.39 L'esperimento fu ritenuto un successo. Il nuovo metodo fu dapprima messo in atto l'8 dicembre - il giorno dopo Pearl Harbor - nei pressi di Chelmno, un remoto villaggio nella Polonia occupata dai tedeschi, dove furono portati e uccisi ebrei provenienti da nove città e villaggi circostanti, al ritmo di un migliaio al giorno. Quel Natale, nel ghetto di Lodz si tennero speciali riti reli­ giosi cristiani per le molte centinaia di deportati dalla Germa­ nia che, anche se ebrei di nascita, erano cattolici e protestanti praticanti: nel ghetto di Lodz formarono un'« Associazione di cristiani ». Il servizio di religione cattolica fu officiato da suor Maria (Regina) Fuhrmann, insegnante di teologia di Vienna. Due preti cattolici che facevano parte dei nuovi arrivati assi­ stettero al rito.40 Per la macchina della deportazione nazista contavano le loro origini ebree, non le convinzioni religiose di tutta una vita. L'11 dicembre 1941, quattro giorni dopo che il Giappone ave­ va attaccato la flotta americana a Pearl Harbor, la Germania dichiarò guerra agli Stati Uniti. Quella stessa settimana, le forze giapponesi occuparono l'area della Concessione inter­ nazionale di Shanghai e confinarono in un ghetto i diciotto ebrei tedeschi e austriaci che vi avevano trovato rifugio. La vita era dura e il ghetto sovraffollato, ma non vi furono ese­ cuzioni o deportazioni come nei ghetti controllati dai tedeschi. Gli ebrei del ghetto di Shanghai sopravvissero alla guerra, costituendo un fortunato residuo dell'ebraismo tedesco e au­ striaco.

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Le persone che morirono a Shanghai durante la guerra furono sepolte nel cimitero ebraico locale di Baikal Road. Mol­ ti anni dopo, durante i tumulti della Rivoluzione culturale cinese, le loro tombe furono rimosse e scaraventate nei campi a molti chilometri di distanza. Parecchie di esse sono venute alla luce di recente. Fra loro vi sono quelle di Anita Goldsch­ midt di Amburgo, la cui pietra tombale fu utilizzata come parte di un muro che limitava l'accesso a un fiume; del dottor Otto Hess di Dessau, la cui lapide fu usata come pietra per guadare il torrente di un villaggio; di Hirsch Robert Povvizer di Berlino; di Elisabeth Sametz di Holleschau, nella regione dei Sudeti; di Else Rivka Wachsner di Breslau; e di Gisela Natowicz di Vienna.41 Il 20 gennaio 1942 un gruppo di ufficiali fra i più autorevoli del governo tedesco si riunì in una villa a Wannsee, appena fuori Berlino, per discutere il ruolo di ciascuno dei diparti­ menti impegnati nella « soluzione finale della questione ebrai­ ca »: l'auspicata eliminazione di tutte le forme di vita ebraica in Europa. Sei mesi prima il feldmaresciallo Goring aveva affidato l'esecuzione di tale compito a Reinhard Heydrich, una delle menti direttive della Notte dei cristalli. Durante l'incontro, Adolf Eichmann, fino ad allora responsabile dell'e­ migrazione ebraica, sottopose ai burocrati e a Heydrich una lista da lui compilata relativa agli ebrei di tutta Europa, paese per paese. Il loro arresto, deportazione e sterminio stavano per diventare una priorità del nazismo. Le cifre relative alla Ger­ mania ammontavano a 131.800, per l'Austria a 43.700 indivi­ dui.42 Questi testimoni superstiti della Notte dei cristalli erano condannati. Il 28 gennaio, otto giorni dopo la conferenza di Wannsee, l'esploratore svedese Sven Hedin fece appello a Eichmann per evitare la deportazione di un anziano collega ebreo tedesco che viveva a Bonn, dove entrambe le sinagoghe erano state distrutte durante la Notte dei cristalli. Eichmann si rifiutò di aiutarlo, dando istruzioni ai suoi subordinati: « Non può es-

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sere concordato che egli rimanga a Bonn fino alla morte, poi­ ché nel momento in cui abbiamo a che fare con una soluzione definitiva del problema degli ebrei, il progetto prevede che ebrei di età superiore ai sessantacinque anni siano collocati in un ghetto speciale per gli anziani».*45 Il « ghetto speciale » era quello di Theresienstadt, istituito due mesi prima nella ex città di presidio ceca di Terezin, circa centosessanta chilometri a nord-ovest di Praga, nella Cecoslo­ vacchia annessa alla Germania. Nel giro di due anni 44.900 ebrei tedeschi e 15.226 ebrei austriaci costituirono una parte dei 150.000 ebrei deportati in quella località. Sul totale delle persone rinchiuse a Theresienstadt 33.000 morirono di fame e malattia. Altre 81.000 furono deportate verso est e lì uccise: la maggior parte ad Auschwitz, e 23.503 nel campo di sterminio di Maly Trostenets, appena fuori da Minsk. Fra gli ebrei tedeschi che furono deportati a Theresienstadt c'erano i genitori di Laurie Lowenthal, Adolf e Sophie, che lo avevano visto per l'ultima volta quando il ragazzino era par­ tito da Aschaffenburg su un Kindertransport, nel febbraio del 1939. Ad Aschaffenburg il padre era diventato uno spazzino al fine di guadagnare abbastanza denaro per comprare del cibo. «Che umiliazione» scrive il figlio, «per un uomo che aveva combattuto per la Germania durante la Prima guerra mondiale e si era guadagnato la Croce di ferro.» Dopo la guerra «venni a sapere le notizie che seguono. Mio padre era morto d'inedia a Theresienstadt nel giugno del 1943, e mia madre era stata deportata al campo di sterminio di Auschwitz il 23 ottobre 1944 (giorno del mio compleanno) e uccisa il giorno dopo nelle camere a gas ». Era stata trasportata sull'ultimo treno da Theresienstadt ad Auschwitz.44 Nessuna comunità ebraica tedesca scampò alla deportazio­ ne. Dopo la Notte dei cristalli, Baruch Freier era stato inviato a Buchenwald con i suoi due figli. Rilasciati, i due giovani ot­ tennero dei permessi di soggiorno e andarono in Gran Breta­ gna. I genitori avevano avuto dei permessi il V2 settembre 1939, giorno in cui la Germania invase la Polonia. La dichia-

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razione di guerra della Gran Bretagna nei confronti della Ger­ mania, due giorni dopo, rese impossibile l'emigrazione. Ma, si domanda il nipote, Serem Freier: « Desideravano davvero par­ tire? » Avevano visitato la Palestina parecchi anni prima e avevano deciso che non avrebbero voluto vivere in uno Stato ebraico che non osservava il Sabbath come dovere collettivo. In seguito ricevettero dei visti per Shanghai, ma non ne fecero uso. « Mio zio aveva l'abitudine di dire che avrebbe lasciato la Germania sull'ultima carrozza dell'ultimo treno » commenta­ va Serem Freier. « Invece, si trovò sul primo treno che partì per Buchenwald. Ciò dimostra l'autentica difficoltà psicologi­ ca di abbandonare un paese dove si era cresciuti e per cui si era combattuto nella Prima guerra mondiale, lo ritengo dav­ vero che egli trovò impossibile partire, a livello emotivo. Nel 1942 mio zio e mia zia furono di nuovo portati in un campo di concentramento, da cui non tornarono mai più. »45 I 131.800 ebrei tedeschi e i 43.700 ebrei austriaci elencati da Eichmann furono sistematicamente arrestati e deportati nel corso del 1942 e del 1943. Il 24 marzo 1942 ebbe luogo la prima di simili deportazioni a un campo di sterminio appena istitui­ to a Belzec, nella Polonia occupata dai tedeschi. I 692 prigio­ nieri provenivano da Würzburg, Bad Kissingen, Jülich e Fürth e dai villaggi limitrofi. Di questi, non sopravvisse nessuno. Un'ulteriore deportazione a Belzec si verificò il 3 aprile dalla Baviera, annoverando 650 ebrei provenienti da Norimberga, 213 da Ratisbona e 129 da Augusta, dove entrambe le sinago­ ghe erano state distrutte durante la Notte dei cristalli. Dopo quella deportazione, la comunità ebraica di Augusta, un tem­ po forte della presenza di un migliaio di individui, si esaurì. Era stata fondata più di settecento anni prima, nel 1212, e nel xv secolo aveva costituito un centro di cultura ebraica. Il 27 marzo 1942 ebbe luogo la prima deportazione di ebrei arrestati in una retata a Parigi. La loro destinazione fu Ausch­ witz. Fra di loro vi erano parecchi ebrei tedeschi che avevano trovato rifugio in Francia prima dello scoppio della guerra, tra

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cui Bruno Goldschmidt di Norimberga, Siegfried Erschon di Berlino, Ernest Maver di Mannheim e Rudi Nissenbaum di Lipsia.46 Le deportazioni dalla Francia continuarono per due anni e mezzo. In ogni lista di deportati compaiono degli ebrei tedeschi, con il loro nome, data e luogo di nascita diligente­ mente registrati: negli elenchi di deportati dalla Francia figu­ rano in tutto 6222 ebrei tedeschi e 2127 ebrei austriaci. Almeno altri cinquecento ebrei, nonostante vennero indicati come « privi di nazionalità », erano nati in Austria. Altri quattromila ebrei austriaci e molte migliaia di tedeschi furono deportati ad Auschwitz dal Belgio e dall'Olanda. Fra questi ultimi, prove­ niente dall'Olanda, vi era Anna Frank, una ragazza ebrea tedesca nata a Francoforte i cui genitori erano immigrati in Olanda poco dopo la salita al potere di Hitler, quando la figlia aveva quattro anni. All'interno della Germania furono annientate allo stesso modo grandi e piccole comunità. Tra quelli che vennero de­ portati da Würzburg il 25 aprile - quando 852 ebrei furono inviati a Belzec - si trovavano gli ultimi sedici ebrei prove­ nienti dalla piccola città di Goldbach, in cui per duecentocinquant'anni avevano vissuto persone della stessa razza, e dove la Notte dei cristalli era stata distrutta la sinagoga. Fra gli abitanti di Goldbach deportati e uccisi vi erano cinque com­ ponenti della famiglia Brandstädter e sette Oppenheimer. Fra i deportati della vicina città di Hössbach si contarono Steffi Löwenthal, di undici anni, e il fratello Henri di tre.4' Henri Löwenthal aveva cinque mesi all'epoca della Notte dei cristal­ li. Il 10 maggio un treno di deportati da Lipsia trasportò 369 ebrei a Belzec. Non vi furono superstiti. Nel ghetto di Lodz Bronia Schwebel, una delle persone de­ portate da Vienna, ricordò il padre che diceva alla famiglia: « Resistete, giungerà un'epoca in cui non ci saranno confini, vi sarà cibo sulla tavola e saremo liberi ». La donna aggiunse: «Egli non vide mai quel giorno».4* 11 29 aprile un editto, il numero 380, fu affisso ai muri di tutto il ghetto di Lodz. I

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nuovi arrivati « senza occupazione » provenienti dalla Germa­ nia - a eccezione di coloro che avevano ricevuto la Croce di ferro, o medaglie ottenute per ferite subite nella Prima guerra mondiale mentre combattevano per gli eserciti tedesco o au­ striaco - avrebbero dovuto essere « risistemati » a partire dal 4 maggio. Dei diciassettemila nuovi arrivi, solo tremila avevano un'attività.'49 Ai deportati venne detto che avrebbero potuto portare con loro dodici chili e mezzo di bagaglio. A partire dal 4 maggio e la cosa continuò al ritmo di un migliaio al giorno - nel corso del pomeriggio furono portati alla prigione centrale e negli edifici vicini, dove vennero tenuti durante la notte. Là fu loro fornito pane, surrogato di caffè e minestra. Fu data loro anche una pagnotta per il viaggio, gratuitamente. 11 mattino dopo, alle quattro, furono portati in tram alla stazione ferroviaria periferica di Radogoszcz. Una volta raggiunto il binario, i deportati furono suddivisi in gruppi di dieci davanti alla porta di ciascuno scomparti­ mento. Quindi fu loro ordinato di fare cinque passi indietro e di gettare tutti i bagagli a terra: valigie, zaini, coperte e bagagli a mano. Fu consentito loro di tenere soltanto il pane. Poi sa­ lirono sul treno, che era composto da regolari carrozze di terza classe. A ognuno fu dato un posto. I malati e gli anziani alcuni furono condotti alla stazione dall'ospedale - furono trasportati a bordo da dei facchini. Il treno partì puntualmente da Radogoszcz alle sette. La sua destinazione si trovava ottanta chilometri a nord-ovest, una piccola stazione ferroviaria ai margini della strada presso il villaggio di Chelmno. Dalla fermata, i deportati furono fatti marciare ad alcune centinaia di metri di distanza, verso un mulino di mattoni situato sulla sponda destra del fiume War­ ta. Da lì furono portati a piccoli gruppi nei boschi di Chelmno, in furgone. La vettura era un furgone a gas ermeticamente chiuso. Non vi furono superstiti. Il treno ritornò a Lodz, vuo­ to, alle otto della sera stessa. Ecco le parole di colui che scrisse i diari del ghetto: « Gente

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da Vienna, Berlino, Colonia costituisce il primo sacrificio». Uno dei viaggiatori sul primo «trasporto» di un migliaio fu il pianista Leopold Birkenfeld, proveniente da Vienna, « pelle e ossa, affamato, strappato al suo letto in ospedale durante la notte ».50 Ogni giorno erano riuniti mille ebrei tedeschi per la depor­ tazione. Il secondo migliaio fu deportato il 5 maggio. Tutti furono uccisi una volta raggiunta Chelmno, come anche il terzo migliaio, il 6 maggio. 11 7 maggio la cronaca del ghetto di Lodz descrisse l'arrivo dei nuovi residenti dalla Germania nemmeno sei mesi prima, paragonando gli abiti eleganti, le abbondanti provviste di cibo e la fiducia in se stessi dei nuovi arrivati al termine del 1941, con gli stessi uomini e donne che vi rimasero sei mesi più tardi: «Le minestre che avevano di­ sdegnato erano in cima ai loro desideri [...] Alcune delle tra­ sformazioni avvenute non si potrebbero immaginare nemme­ no in sogno [...] Fantasmi, scheletri con visi ed estremità ri­ gonfi, laceri e indeboliti, ora partivano per un ulteriore viag­ gio nel quale non era loro permesso portare neppure uno zaino. Erano stati spogliati di tutti i loro fronzoli europei, ed era rimasto solo 'Die ewige Jude'...>y] Durante il secondo giorno di deportazioni, nel ghetto morì il professor Jakob Edmund Speyer, per spossatezza e collasso cardiaco. Aveva sessantatré anni. Originario di Francoforte, fu uno dei grandi pionieri della moderna chimica medica, lo scopritore dell'Eudokal, un analgesico che apportò migliora­ menti rispetto alla morfina, e un antesignano neH'illustrare i benefici nutrizionali derivanti dall'utilizzo delle vitamine. Le deportazioni giornaliere dal ghetto di Lodz furono or­ ganizzate secondo la località di origine dei deportati: prima Vienna, Berlino e Colonia, quindi Amburgo e Düsseldorf, quindi altri da Berlino, seguiti su base giornaliera e senza interruzione da ebrei provenienti da Amburgo, Vienna, Praga, poi di nuovo Praga, Vienna, Francoforte, Colonia e, infine, dal Lussemburgo. A un gruppo composto da duecentosessanta membri dell'Associazione dei cristiani fu permesso di viag-

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giare insieme. Furono uniti ai deportati del 9 maggio. Alcuni giorni dopo a trecento ebrei tedeschi che si trovavano in un ricovero per anziani fu ordinato di partire. Il decimo e ultimo trasporto partì il 15 maggio. Le cifre precise compilate nel ghetto di Lodz mostrano che 10.915 ebrei tedeschi furono de­ portati nel giro di undici giorni. Di tali deportazioni non vi fu un solo superstite. Nel ghetto rimasero seimila ebrei tedeschi, destinati a con­ dividere il destino di tutti i suoi abitanti. Non ci sarebbero stati ulteriori esoneri per titolari della Croce di ferro o di medaglie per ferite subite nella Prima guerra mondiale. Tutti i «nuovi arrivi » che non morirono di fame nel ghetto si sarebbero ag­ giunti al flusso di deportazioni ad Auschwitz, due anni dopo. Nel maggio del 1942 le ss scelsero un'altra destinazione per gli omicidi di massa degli ebrei tedeschi e austriaci. Si trattava di Maly Trostenets, che in precedenza era stata una fattoria col­ lettiva sovietica nei sobborghi di Minsk, ex capitale della Re­ pubblica socialista sovietica della Bielorussia. Il primo treno, con a bordo 998 ebrei austriaci - uomini, donne e bambini partì da Vienna per Minsk il 6 maggio. Tutti coloro che vi viaggiavano furono portati in camion dalla stazione merci di Minsk in un bosco nei dintorni della fattoria, e fucilati. Fra il maggio e l'ottobre del 1942 sedici treni partirono da Vienna, Colonia, Königsberg e Theresienstadt per Maly Tro­ stenets. In totale vi furono uccisi quindicimila deportati, metà dei quali erano ebrei viennesi. I sopravvissuti furono circa una ventina, sui cinque o seicento deportati che furono condotti in un'altra zona della fattoria e costretti ai lavori forzati.52 Fra i mille ebrei deportati da Vienna a Maly Trostenets il 20 maggio e uccisi al loro arrivo si trovava Ernst Fleischer, nato a Traunkirchen, che a quindici anni, un anno prima della Notte dei cristalli, aveva contribuito a salvare una giovane donna non ebrea dall'annegamento nel Danubio, un gesto per cui all'epoca era stato elogiato sui quotidiani viennesi. Fu depor-

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tato con la sorella minore Ruth. 11suo compagno di soccorso, il tredicenne Herbert Friedman, era stato tanto fortunato da aver lasciato Vienna sul primo Kindertransport, un mese dopo la Notte dei cristalli."** Nel giugno del 1942 un treno di deportati provenienti dalla Germania, che trasportava un migliaio di ebrei da Dortmund e dalle città più piccole della Westfalia, fu inviato al ghetto di Zamosc, nella Polonia centromeridionale. Tra i deportati si trovava Alwin Lippman, un asso dell'aviazione tedesca du­ rante la Prima guerra mondiale e amico di Göring. 1 successi di Lippman come pilota gli erano valsi grandi riconoscimenti in Gennania nel periodo fra le due guerre. Né Lippman, né la moglie e la figlia, che furono mandate a Zamosc con lui, so­ pravvissero. Nel corso dell'estate del 1942, furono deportati ad Auschwitz ebrei provenienti da tutte le principali città tedesche. L'8 giu­ gno fu il turno degli ultimi ebrei rimasti a Hassfurt e nei villaggi circostanti. La sinagoga della città, costruita nel 1888, era stata bruciata, ma non demolita durante la Notte dei cristalli: restaurata dopo la guerra, oggi ospita un centro di studi medici.54 Il 13 luglio cinquantasette bambini furono deportati ad Auschwitz da Lipsia. L'elenco di trasporto uffi­ ciale delle ss fornisce i loro nomi, date e luoghi di nascita. Cila Zellner di Lipsia aveva due anni. Joel Zemik di Berlino aveva sette mesi. Dewora Krauthammer di Lipsia aveva quattro me­ si.55 Tutti e cinquantasette vennero uccisi al loro arrivo ad Auschwitz. 1112 settembre, in uno dei trasporti da Vienna a Theresien­ stadt, Lucie Draschler era fra i deportati con la madre e la sorella. Nel maggio del 1944 la madre e la sorella furono de­ portate ad Auschwitz. Morirono entrambe. La donna non vi­ de più nemmeno il padre: questi era fuggito in precedenza in Unione Sovietica, dopo essere stato deportato in Polonia nel 1939. «Sono l'unica superstite della mia famiglia.»56

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Coloro che in passato avevano assistito alla Notte dei cristalli riempirono anche i campi di lavoro forzato del Terzo Reich. Il 17 ottobre 1942 i primi quattrocento dei diecimila ebrei tede­ schi che, allora, erano a Buchenwald, furono deportati ad Auschwitz. Parecchie migliaia di altri vi vennero deportati da Sachsenhausen. La maggior parte fu mandata al vicino campo di lavoro forzato di Monowitz (noto come Auschwitz in), per lavorare nella fabbrica di petrolio sintetico e caucciù che vi aveva sede. Il 29 ottobre ebbe luogo una deportazione da Berlino a Riga. In quell'occasione furono deportati i genitori di Max Kopf­ stein, che si era recato in Inghilterra grazie a un Kindertransport nel febbraio del 1939. Sua madre lavorava come infermiera nell'ospedale ebraico di Berlino, dove il personale era stato ridotto su ordine dei tedeschi. « Papà non era ancora soggetto a un simile obbligo, ma si offrì volontariamente di accompa­ gnarla.»5' Tutti i 798 deportati furono uccisi all'arrivo. Quattro anni dopo la Notte dei cristalli, la strage di quegli ebrei che ne erano stati testimoni toccò il suo apice. Il l u no­ vembre un treno che trasportava 1014 donne e anziani ebrei raggiunse Auschwitz da Berlino. Durante il processo di sele­ zione, trentasette donne furono ammesse alle baracche e fu­ rono loro assegnati dei numeri tatuati. I rimanenti 977 depor­ tati furono uccisi nelle camere a gas.58 Alla fine di novembre del 1942 quasi tutti i pochi ebrei superstiti della Pomerania, la maggior parte dei quali erano originari di Stettino o Stolpe, 179 in totale, furono arrestati e deportati ad Auschwitz. Sia la sinagoga di Stolpe, sia quella di Stettino erano state distrutte nella Notte dei cristalli. Il 12 gennaio 1943 ebbe luogo la prima deportazione di ebrei di Berlino diretti ad Auschwitz. Dei mille deportati che rag­ giunsero la località il giorno successivo, 127 uomini furono ammessi al campo di concentramento e tatuati. Gli altri 873 furono uccisi nelle camere a gas.59 Si verificarono anche de­ portazioni da Berlino a Theresienstadt. Il 28 gennaio tre capi

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della comunità ebraica tedesca, il rabbino Leo Baeck, il dottor Paul Eppstein e Philip Kusover furono deportati a Theresien­ stadt. Tre delle sorelle di Leo Baeck vi avevano già perso la vita. Una quarta sorella morì poco dopo l'arrivo del rabbino. Il 3 febbraio la cosiddetta « Operazione Fabbrica » fu lan­ ciata in tutta la Germania. Tutti gli ebrei che lavoravano pres­ so industrie belliche tedesche, fino a quel momento protette, sarebbero stati deportati. Nel mese di febbraio, quasi tremila ebrei vennero uccisi ad Auschwitz, in tre successive deporta­ zioni. Un migliaio di uomini, donne e bambini ebrei raggiunse Auschwitz il 4 febbraio. Di loro, 181 uomini e 106 donne fu­ rono condotti alle baracche e tatuati. I restanti 713 furono uccisi nelle camere a gas. Fra gli ebrei tedeschi che arrivarono ad Auschwitz il 4 febbraio si trovava il trentacinquenne Feliks Hofstaetter di Duisburg, dove tutte e tre le sinagoghe erano state distrutte la Notte dei cristalli. Due giorni dopo aver raggiunto il campo, fuggì. Telegrammi della g e s t a p o misero in allarme la polizia tedesca in tutta la regione. Quattro giorni più tardi venne catturato e riportato ad Auschwitz. Inviato al ben noto bunker penale del Blocco 11, morì il giorno stesso. Altri tremila ebrei tedeschi furono deportati ad Auschwitz in febbraio: altri due treni, con mille passeggeri ciascuno da Berlino, e mille da Breslau, di cui 994 furono inviati direttamente alle camere a gas/'0 Chi non era stato in grado di ab­ bandonare la Germania dopo la Notte dei cristalli veniva as­ sassinato senza scrupoli e a una velocità incredibile. 11 27 febbraio, il giorno dopo la terza deportazione nell'ambito delFOperazione Fabbrica, la g e s t a p o di Berlino effettuò una retata di 4700 ebrei tedeschi sposati a donne non ebree. Questi furono portati in un centro di detenzione nella Rosenstrasse - in passato un centro ricreativo ebraico -, da cui avrebbero dovuto essere deportati ad Auschwitz. In un gesto di sfida, tremila delle loro mogli non ebree si riunirono di fronte alFedificio e chiesero il rilascio dei propri mariti. Le dimostranti rimasero in strada per una settimana, rifiutando

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di andarsene fin quando i mariti non fossero stati liberati. Quindi, il 6 marzo, Joseph Goebbels annunciò che gli ebrei che erano stati sul punto di essere deportati erano « individui privilegiati »: uomini liberi, spiegò, che « [avrebbero dovuto] essere incorporati nella comunità nazionale ».61 Di conseguen­ za, i 4700 mariti ebrei sopravvissero alla guerra, rimanendo a vivere a Berlino. Il 2 marzo 1943 ebbe luogo una delle più massicce depor­ tazioni ad Auschwitz: 1500 uomini, donne e bambini ebrei da Berlino. Al loro arrivo, 1350 di loro furono inviati alle camere a gas.62 « Adesso stiamo definitivamente cacciando via gli ebrei da Berlino » scrisse Goebbels nel suo diario, il giorno della deportazione. «Sono stati arrestati sabato scorso e saranno trasportati a est il più velocemente possibile. Sfortunatamente i nostri gruppi sociali più qualificati, in modo particolare gli intellettuali, non sono riusciti ancora una volta a comprendere la nostra politica sugli ebrei e, in alcuni casi, hanno addirittura assunto le loro difese. Di conseguenza i nostri piani sono ve­ nuti alla luce prematuramente, e moltissimi ebrei ci sono sfug­ giti dalle mani. Ma siamo ancora in tempo a riacciuffarli. » Goebbels aggiunse: « lo certamente non avrò pace fino a quan­ do almeno la capitale del Reich non diverrà libera da ebrei ».63 L'8 marzo, mentre si dava inizio alla deportazione di ebrei berlinesi da una residenza per anziani, Goebbels espresse la sua indignazione di fronte a quelle che definì « scene deplo­ revoli [...] nel momento in cui si riunì un gran numero di persone e alcune di loro, addirittura, sostennero gli ebrei ». Tre giorni dopo, confidò al proprio diario: « 11 previsto arresto degli ebrei in un solo giorno non è riuscito a causa del com­ portamento ottuso degli industriali, che li hanno avvertiti in tempo. Pertanto non siamo riusciti a mettere le mani su circa quattromila di loro. Ora stanno vagabondando nei dintorni di Berlino senza casa, non sono nelle liste della polizia e costitui­ scono, ovviamente, un notevole pericolo pubblico». Aveva ordinato che venissero arrestati « il più presto possibile ». Il 15 marzo, nel quartier generale di Hitler a Vinnitsa, nel

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cuore della Russia occupata dai tedeschi, Goebbels disse a Hitler «che [riteneva] fondamentale costringere gli ebrei a lasciare il Reich appena possibile. Egli approvò, e [gli] ordinò di andare avanti finché non fosse rimasto neppure un solo ebreo in tutta la Germania».64 Nelle ultime due settimane di marzo del 1943 ebbero luogo deportazioni di massa ad Auschwitz da Berlino, Breslau, Mo­ naco e Amburgo. Sempre a partire dallo stesso mese di marzo, i rappresentanti dell'ebraismo della Renania ancora detenuti nei campi di Vichy, principalmente a Gurs, furono deportati ad Auschwitz per esservi uccisi. Tutti avevano assistito alla Notte dei cristalli. Il 20 aprile 1943 ci fu una delle ultime deportazioni di ebrei dalla Germania. Si trattava di centocinquanta giovani ebrei circa un centinaio di ragazzi e cinquanta ragazze -, che dal 1940 vivevano in una fattoria presso Furstenwalde, pionieri del sionismo che venivano addestrati per lavorare in Palestina in previsione di ricevere i loro certificati palestinesi. Per quasi tre anni e mezzo avevano vissuto nella fattoria di Neuendorf come agricoltori e allevatori di polli. Ma era impossibile di­ stogliere le mire annientatrici della g e s t a p o da qualunque angolo della Germania, attività o progetto, per quanto prege­ vole o radicato nella tradizione. Quel giorno, quasi tutti i ragazzi furono deportati ad Auschwitz. I pochi a cui fu permesso di rimanere - fra cui Gerd Bocian - per la loro competenza nel portare a termine l'attività necessaria alla deposizione di trentamila uova, furo­ no poi inviati a diversi campi di lavoro forzato.65 Il 2 novembre più di duemila ebrei tedeschi e austriaci furono deportati ad Auschwitz dal ghetto « tedesco » di Riga. Non ci furono quasi superstiti. Il 22 novembre i pazienti dell'istituto per malati mentali ebreo di Berlino, che consistevano in più di un centinaio di ebrei, per lo più anziani, furono deportati ad Auschwitz e assassinati al loro arrivo. Vi erano ebrei tedeschi anche tra i

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combattenti della Resistenza francese uccisi dalla g e s t a p o dopo essere stati catturati. Fra coloro che furono fucilati in Francia il 12 agosto 1944 ci furono il cinquantunenne Oscar Roskann di Berlino e il ventunenne Isaac Rudecki di Aa­ chen.06 Nel 1944 fu anche ucciso Willi Szapiro: era uno dei diciotto ebrei austriaci fucilati per aver preso parte alla Resi­ stenza in Francia. Gertrude Schneider commenta: «Non si è mai tenuta una cerimonia per rendere onore a questo corag­ gioso ebreo di origine austriaca».67 Dei 131.800 ebrei tedeschi presenti negli elenchi di Eichmann per essere condannati a morte, meno di 10.000 sopravvissero alla guerra, 4700 dei quali grazie all'effetto sortito dalla prote­ sta della Rosenstrasse; altri 5000 circa vi riuscirono nascon­ dendosi, salvandosi la vita grazie a tedeschi non ebrei, che spesso dovettero farli passare da una famiglia all'altra per sfuggire alle ricerche della g e s t a p o e alla costante possibilità di un tradimento che ne rivelasse la presenza. Il pericolo gra­ vava su ogni tentativo di soccorso da parte di non ebrei. Em­ my Erdmann, una tedesca non ebrea originaria di Trier - la cui sinagoga fu distrutta la Notte dei cristalli - diede la pro­ pria carta d'identità a un'amica ebrea, che in tal modo riuscì a sopravvivere alla guerra. Aiutò anche altri ebrei a fuggire varcando il confine con l'Olanda. Per questi atti di umanità, fu fucilata.68 Nell'autunno del 1944 oltre seicento rifugiati ebrei tedeschi, austriaci e cechi furono salvati in una delle zone della Iugo­ slavia controllate dai partigiani. La loro salvezza si deve al figlio di Winston Churchill, Randolph, che allora militava con i partigiani iugoslavi dietro le linee tedesche, e che suggerì che quei rifugiati fossero evacuati per via aerea verso l'Italia meridionale, controllata dalle forze alleate. I primi ventinove ebrei furono trasportati in aereo il 18 settembre, sorvolando il mare Adriatico e arrivando sani e salvi due ore dopo.69 Nel campo di concentramento di Kaiserwald, al quale nel­ l'estate del 1943 erano stati inviati molti degli ebrei sopravvis-

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suti del ghetto « tedesco » di Riga, l'istinto di fuga raggiunse il culmine nel settembre del 1944, mentre le truppe sovietiche si avvicinavano. Tre ebrei di Colonia riuscirono ad allontanarsi: il dottor Rolf Bischofswerder, un giovane medico che aveva fornito consigli sulla contraccezione e curato malattie veneree nel ghetto, sua moglie Ruth, e la loro compagna di fuga. Lotte Adler. Furono ritrovati dai tedeschi, riportati a Kaiserwald e fucilati.70 Il 28 aprile 1945 tremila donne ebree nel campo di concen­ tramento di Ravensbrück, a nord di Berlino, furono traspor­ tate in Svezia su alcuni autobus della Croce Rossa. Nell'elenco di coloro che raggiunsero la Svezia, ma che furono troppo deboli per sopravvivere nonostante le cure e le attenzioni delle infermiere svedesi, e che morirono poco dopo il loro arrivo, si trova il nome di Helena Hausmann, nata a Dresda. Al tempo della Notte dei cristalli aveva quattordici anni. Molti testimoni della Notte dei cristalli erano rimasti coin­ volti nella morsa sempre più ampia della tirannia e della di­ struzione. Hans Biglajzer, uno dei testimoni oculari degli eventi di Bonn, la sorella del quale era riuscita a ottenere un visto per la Gran Bretagna, scrive: «Tutti gli altri componenti della mia famiglia morirono: genitori, nonni, zii, zie, e mio fratello, lo passai gli anni della guerra nel ghetto di Lodz e ad A uschw itz»/1Stava marciando da Dachau in direzione di Innsbruck quando, il 2 maggio 1945, vicino alla città di Bad Tölz, i prigionieri in marcia furono raggiunti da soldati della Settima armata degli Stati Uniti: i loro liberatori. ' 2 Ruben Moller di Bochum aveva nove anni all'epoca della Notte dei cristalli. Sopravvisse alla deportazione nel ghetto di Riga e in sette altri ghetti e campi di lavoro forzato. Quando si trovava a Kaufering - un sottocampo di Dachau -, durante gli ultimi mesi della guerra, udi senza essere visto un brano della conversazione fra una madre tedesca e la figlia di sei o sette anni, che passavano camminando accanto al campo a solo pochi centimetri dalla recinzione, indossando i loro abiti della festa. La bambina chiese: « Mutti, was für Menschen siìtd die? » -

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«Mamma, che genere di persone sono?», al che la madre replicò: « Das sind keine Menschen, das sind Juden » - « Queste non sono persone, sono ebrei ». ' 3 La Notte dei cristalli insegnò molte cose. Insegnò a coloro che costituirono la fonte del pregiudizio che un intero popolo può essere demonizzato; che un'intera nazione può essere rivolta in maniera totale e immorale contro una sua parte rispettabile, tenacemente lavoratrice, creativa, fedele e integra. Questa osservazione fu espressa il 19 agosto 2005 da papa Benedetto xvi nella sua prima visita in Germa­ nia dopo essere stato eletto pontefice. Il papa si recò alla sina­ goga di Roonstrasse a Colonia, che era stata distrutta nella Notte dei cristalli e ricostruita dopo la guerra, e denunciò il diffondersi dell'antisemitismo nel xxi secolo. La Notte dei cristalli insegnò, a quegli ebrei tedeschi che ancora nutrivano la speranza che il nazismo avrebbe modifi­ cato il proprio atteggiamento antisemita, che era giunto il momento di partire. Così non fu per coloro che si aggrappa­ rono - come fecero alcuni - alla profonda convinzione che le norme di civiltà non sarebbero state infrante o abbandonate del tutto e che, ad esempio, il servizio prestato in guerra per la nazione tedesca dovesse rivestire un significato più importan­ te rispetto all'istigazione e all'odio razziale. Nei dieci mesi tra la Notte dei cristalli e lo scoppio della guerra partirono quasi altrettanti ebrei tedeschi (120.000) di quanti lo avevano fatto nei cinque anni e mezzo precedenti (150.000). Le cifre relative all'emigrazione austriaca in quei dieci mesi ammontano a circa 140.000 individui. Pertanto, sulla scia di quell'unica giornata di violenza, oltre 250.000 persone lasciarono le proprie case e la madrepatria. La Notte dei cristalli insegnò a parecchi governi esteri che era giunto il momento di aprire le proprie frontiere alla cre­ scente marea di profughi. La Gran Bretagna fu tra i paesi che ne consentirono ampiamente l'accesso, pur mantenendo re­ strizioni e barriere nei confronti dell'immigrazione senza li-

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miti, come fecero tutte le nazioni, se si eccettua la Concessione intemazionale di Shangai, almeno per un certo periodo. La Notte dei cristalli insegnò ai governanti e agli strateghi nazisti che in futuro avrebbero dovuto agire in silenzio e con discrezione, nascondendo agli occhi del mondo e della sua indignazione ciò che stavano facendo agli ebrei. Meno avreb­ be saputo o visto il mondo esterno, più efficiente sarebbe stata qualsiasi politica da loro intrapresa, e meno soggetta a pre­ occupazioni o interferenze esterne. La Notte dei cristalli insegnò, a posteriori, una lezione sto­ rica: ciò che comincia come qualcosa di circoscritto in termini di distruzione e di tempo, si può rapidamente trasformare in una strage mostruosa; che il male mostra delle sfumature, ma è anche un processo graduale, e può evolversi facilmente in un male più grande. Nella Notte dei cristalli sei anni di discriminazione anti­ semita legalizzata, attuata con l'isolamento degli ebrei dai loro concittadini tedeschi e la privazione dei diritti di completa cittadinanza nei loro confronti, furono sostituiti dalle prime manifestazioni di violenza fisica diretta ed estesa a livello nazionale: incendi dolosi, devastazione e saccheggio della proprietà privata, impoverimento di un'intera comunità, ag­ gressione fisica, deportazione e sterminio di massa. Si trattò di un assalto brutale, incontrollato, senza inibizioni contro tutto quanto avesse a che fare con gli ebrei, su scala molto più ampia di quanto fosse mai avvenuto fino ad allora, e tuttavia come un anticipo di quanto sarebbe accaduto in termini an­ cora più massicci. All'epoca, quanto accadde della Notte dei cristalli sconvol­ se ovunque uomini e donne sensibili e compassionevoli. Dap­ prima, quando l'emigrazione era ancora possibile, e poi, quando il regime nazista passò dai piani di espulsione allo sterminio, ci furono sempre persone che compirono ogni sfor­ zo possibile per accogliere rifugiati e per mettere in salvo coloro che potevano essere salvati. 11 numero di tali persona­ lità generose era scarso, ma il loro animo era grande. Grazie a

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loro, nel mezzo del crollo di qualsiasi morale, la morale so­ pravvisse. Fra le rovine della civiltà, la civiltà rinacque. Ma le perdite rimangono insostituibili. Note 1 « Refugees on Liner», New York Times, 23 dicembre 1939. 2 «Among Yesterday's Arrivals from Europe...», New York Times, 2 febbraio 1940. 3 R uth F luss (nome da nubile: G oldfein ), lettera all'autore, dattiloscritto, 1° agosto 2005. 4 Id ., conversazione con l'autore, 4 settem bre 2005.

5 Processo ai principali criminali di guerra davanti al Tribunale militare inter­ nazionale, Norimberga, 14 novembre 1945-10 ottobre 1946, documento nc-2490. 6 Memorie del rabbino H a r r y J a c o b i Jewish Chronicle, 29 settembre 1978; H a rry J a c o b i , conversazione con Fautore, Londra, 21 febbraio 1985. 7 Museo Yad Vashem, Archivio Righteous Among the Nations, file 8378. 8 Be n M a c i n t y r e , «Revealed: Aristocrat who Helped 30.000 Escape from the Nazis», The Times, 14 ottobre 1998. 9 M ordecai P aldiel , The Path of the Righteous, pp. 59-62. 10 E ric S i l v e r , The Book of the Just, pp. 50-55. 11 Library of Congress, carte Breckinridge Long, box 211. 12 Lettera del 25 agosto 1940, Archivio della famiglia Klein. 13 F r a n z W e r f e l , Die vierzig Tage des Musa Dagli (trad. it. I quaranta giorni del Mussa Dagh, Mondadori, Milano, 1935). 14 L i o n F e u c h t w a n c e r , Jud Süss (trad. it. Süss l'ebreo, Fabbri, Milano, 2002).

15

I n g e M. S a d a n (nome da nubile: E n g e l h a r d ), lettera all'autore, 22 giugno 2005. Lo Yankee Clipper è un idrovolante transoceanico ame­ ricano. (N.d.T.) 16 Foreign Relations of the United States, Diplomatic Papers, 1940, voi. ii, pp.

241, 242. 17 S e r g e K l a k s f e i . d , «G urs», in Le Memorial de la Déportation des Juifs de France, pp. 582-994.

18 Archivio della famiglia Klein. 19 Chronological Account of Inter-Departmental Negotiations on Admission of Alien Visitors into Virgin Islands, United States National Archives, Re­ cord Group 126. Cit. in W i l l i a m R. P e r l , «The Holocaust and the

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Lost Caribbean Paradise », The Freeman, The Foundation for Economie Education, voi. 4, n. 1, gennaio 1992. Materiale in E ri c S a u l , Visas for Life, mostra, 2000. Cit. in V a r i a n F ry , Surrender on Demand, p. 251. Ibid., p. 236. Testimonianza di Haim Berendt, processo a Eichmann, 5 maggio 1961, sessione 29. L ucjan D obroszycki (a cura di). The Chronicle of the Lodz Ghetto, pp. 83-94. A h a r o n P e r e t z , processo a Eichmann, 4 maggio 1961, sessione 28. Processo ai principali criminali di guerra davanti al Tribunale militare inter­ nazionale, Norimberga, 14 novembre 1945-1“ ottobre 1946, documento PS-2283 (rapporto Jaeger). G ertrude S chneider , Journey into Terror, p. 33. Ibid., p. 37. M artin L owenberg , lettera all'autore, 25 settembre 2005. G erda H o f f e r (a cura di), I Did Not Survive: Letters from the Kielce Ghetto, pp. 4-26. Rapporto del capitano di polizia Salitter, in G ertrude S chneider , Journey into Terror, pp. 197-211. Ibid., p. vii. Ibid., pp. 37-39, 49-51, 58-59, 75, 81-84. Lore O ppenheimer (nome da nubile: P els), lettera all'autore, 4 luglio 2005. R uben M oller , Breve storia della famiglia Moller, dattiloscritto inviato all'autore, 29 giugno 2005. Voci relative a « Munster », « Fulda » e « Warendorf», in Pinkos Hakellilot Encyclopaedia of Jewish Communities. H.D. L euner , When Compassion was a Crime, p. 10. Zvi B a c h a r a c h , « Lichtenberg, Bernhard (1875-1943) », Encyclopedia of the Holocaust, voi. 3, p. 868. Processo ai principali criminali di guerra davanti al Tribunale militare inter­ nazionale, Norimberga, 14 novembre 1945-1° ottobre 1946, documento NO-907. L u cjan D obroszycki

(a cura di), The Chronicle of the Lodz Ghetto, p.

100.

41 Materiale e fotografie inviate all'autore da Shanghai, da Dvir Bar-Gal, 2 settembre 2005. 42 Processo ai principali criminali di guerra davanti al Tribunale militare inter­ nazionale, Norimberga, 14 novembre 1945-1° ottobre 1946, documento nc -2586.

43 Lettera del 28 gennaio 1942 al ministero degli Esteri, Berlino; processo a Eichmann, 17 maggio 1961, sessione 43, documento t .728.

ULTIM I PASSI VERSO LA D IST R U Z IO N E

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44 Laurie L o w e n t h a l , l/i mia infanzia in Germania, inviato all'autore il 4 giugno 2005.

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S e r e m F re i e r , lettera all'autore, 19 giugno 2005. S e r g e K l a r s f e l d , « Con voi No. 1 », in Le Manorial de la Deportation des

Juifs de France, pp. 24-37. 47

e e g - E n g e l h a r t , Die jüdische Gemeinde in Goldbach von ihren Anfängen bis 1942, p. 30 (facsimile di un elenco di deportazione, stam­ pato privatamente).

In g r i d H

48 B r o n i a S o n n e n s c h e i n (nome da nubile: S c h w e b e l ) , lettera all'auto­ re, 21 luglio 2005.

49

L u c j a n D o b r o s z y c k i (a cura di), The Chronicle of the Lodz Ghetto, 29 e 30 aprile 1942. 50 Quaderni di appunti di Oskar Rosenfeld, maggio 1942, in A l a n A d e l s o n , R o b e r t L a p i d e s (a cura di), Lodz Ghetto: Inside a Community Under Siege, pp. 208-209. 51 Diario di Jozef Klementynowski, in ib id ., pp. 213-214. 52 Centro di documentazione della Resistenza austriaca, Vienna.

53 H erbert F riedman , lettera all'autore, 8 agosto 2005.

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«German Woman Preserves Jewish History», Canadian Jewish News, 14 luglio 2005. « Kinder und Schüler der Transport-Liste vom 13.7.1942 nach Ausch­ witz », in A d o l f D i a m a n t , Deportationsbuch in dai Jahren 1942 bis 1945 von Leipzig aus gewaltsam verschickten Juden, p. 215. L u c y M a n d e l s t a m ( n o m e d a n u b i le : L u c i e D r a s c h l e r ), Ricordi, allegati alla lettera a ll'a u to r e , 24 lu g lio 2005. M ax K o p f s t e i n , lettera all'autore, 6 giugno 2005. D a n u t a C z e c h , Auschwitz Chronicle, 1939-1945, p. 262. Ibid., p. 305 Ibid., pp. 322, 324, 327, 334, 336. N a t h a n S t o l z f u s , Resistance of the Heart: Intermarriage and the Rosaistrasse Protest in Nazist Germany, pp. 207-257. D a n u t a C z e c h , Auschwitz Chronicle, 1939-1945, pp. 342. Louis P. L o c h n e r (a cura di), The Goebbels Diaries, 1942-1943, pagina di diario datata 2 marzo 1943. S h e l d o n K irsh n er,

64

Ib id .,

65

J erry ( G e r d ) Bo c i a n ,

11 e 15 marzo 1943.

conversazione con l'autore, 14 settembre 2005.

66 S erge K larsfeld, «Juifs fusillés ou exécutés som m airem ent en Fran­ ce», in Le Memorial de la Deportation des Juifs de France, pp. 607-618.

67

Exile and Destruction: The Fate of Austrian Jews, 1938-1945, p. 43. 68 United States Holocaust Memorial Museum, Archivio fotografico, fo­ glio 05772. G ertrude Sch n e id e r ,

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69 Elenco di ebrei destinati a essere evacuati da Topusko (Iugoslavia) a Bari, 3 settembre 1944, War Office, 202/293. 70 G e r t r u d e S c h n e i d e r , Journey into Terror, p. 90. 71 H ans Biglajzer, lettera all'autore, 6 giugno 2005. 72 Id., lettera all'autore, 29 luglio 2005. 73 Breve storia della famiglia Moller, dattiloscritto inviato all'autore, 29 giu­ gno 2005.

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-------Confini internazionali dopo l'annessione deirAustna da parte della Germania (marzo 1938) e della regione dei Sodet (ottobre 1938)

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4. Località della Germania e dell'Austria citate nel testo, con i confini della Grande Germania, all'epoca della Notte dei cristalli

•tirierano compiuto da Rutti Goldfem e dai suoi ventidue Pionieri sionisti, marzo 1940

GRAN BRETAGNA

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5. Località europee citate nel testo, e una via di fuga da Varsavia alla Palestina

6. Località in cui le sinagoghe furono distrutte durante la Notte dei cristalli: Ger­ mania nord-occidentale

7. Località in cui le sinagoghe furono distrutte durante la Notte dei cristalli: dal Baltico a Lipsia

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8. Località in cui le sinagoghe furono distrutte durante la Notte dei cristalli: regione baltica-Stettino-Breslavia

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9. Località in cui le sinagoghe furono distrutte durante la Notte dei cristalli: Prussia orientale Bunzlau. .Bautzen

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6 MamnGiften 2006 10. Località in cui le sinagoghe furono distru tte d u ra n te la N otte dei cristalli: Slesia

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11. Località in cui le sinagoghe furono distrutte durante la Notte dei cristalli: Germania sud-occidentale

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12. Località in cui le sinagoghe furono distrutte durante la Notte dei cristalli: Germania sud-orientale

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13. Località in cui le sinagoghe furono distrutte durante la Notte dei cristalli: dalla regione della Ruhr alla Rcnania

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C M»«tr GWxrt 2006

15. Località in cui le sinagoghe furono distrutte durante la Notte dei cristalli: area della confluenza Reno-Meno

16. Il viaggio della 5/

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e il continente americano

18. I Caraibi

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19. Gran Bretagna: località citate nel testo

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20. Il tragitto di una deportazione dalla regione della Ruhr a Riga, 11-13 dicembre 1941, con l'orario del treno

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21. Itinerari di deportazioni a Riga, 1941-1942

23. Deportazioni da Vienna, 1941-1944, con il num ero di ebrei uccisi a ciascuna destinazione

2 5 .1 vari itinerari per la deportazione di ebrei tedeschi, 1940-1944

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Memorie di testimoni della Notte dei cristalli inviate all'autore Amburgo: Edgar Gold, Adina Koor Aschaffenburg: Laurie Lowenthal Bad Kreuznach: Marianne Geernaert Berlino: Jerry Bocian, Chava Cohn, Max Kopfstein, Helga Leib, Miriam Litke, Serem Freier, Miriam Spira Bochum: Ruben Moller Breslau: Esther Adler, Frank Wachsner Colonia: Hans Biglajzer, Rita Newell Danzica: Ruth Fluss

280

9 N OV EM BRE 1938. LA N O TTE DEI C RISTA LLI

Elbing: Gerhard Maschkowski Francoforte: Reiner Auman, Hans Benjamin Marx, Batya Ra­ bin, Joseph Wohlfarth Fulda: Naftali Kurt Wertheim, Martin Lowenberg, Margot Wohlman-Wertheim Furth: Oskar Prager Glatz: Ruth Lewin Hannover: Ruth Gutmann, Lore Oppenheimer Hoengen: Eric Lucas Horb: Margot Wilde Karlsruhe: Walter Loeb Lipsia: Esther Reisz, Joseph Schwarzberg, Stephanie Segerman Magonza: Elsa Kissel Mannheim: Janet Ettelman Marktbreit sul Meno: Lassar Brueckheimer Monaco: Inge Sadan, Pesach Schindler Ratisbona: Chava Cohn Siegburg: Fred Gottlieb Stoccarda: Edith Rogers, Henry Stern Vienna: Susan Ben Yosef, Gertrude Bibring, Fred Garfunkel, Gary Himler, Ilse Loeb, Lucy Mandelstam, Helga Milberg, Felix Rinde, Felix Seiler, Bronia Sonnenschein, Hans Waizner Wuppertal: Renie Inow Würzburg: Charlotte Lapian

Dattiloscritti e manoscritti inviati all'autore Guardando indietro , Il cappio nazista si stringe L a u r i e L o w e n t h a l , La mia infanzia in Germania E r i c L u c a s , I sovrani, Kibbutz Kfar Blum, Palestina, 1945 M a n l i H o , Il dottor Feng Shan Ho, console generale cinese a Vienna, Austria, 1938-1940, San Francisco, febbraio 2000 A

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Trasposizione cinematografica M elissa H a c k e r , My Knees were Jumping: Remembering Kin­

dertransports, Bee's Knees Productions, New York, 1996

Mostre E ric S a u l , Visas for Life: The Righteous Diplomats, in mostra per

la prima volta al Simon Wiesenthal Centre, Museum of Tole-

F O N T I E BIBLIOG RAFIA

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rance, Los Angeles, e al California State Capitol Building, Sa­ cramento, 2000. Da allora la mostra ha viaggiato in quindici paesi ed è stata allestita in oltre centocinquanta sedi.

Quotidiani Daily Herald Daily Telegraph Evening News Evening Standard Ha'aretz Manchester Guardian New York Times News Chronicle Observer Palestine Post The Times Washington Post

RINGRAZIAMENTI

La mia riconoscenza è indirizzata in modo particolare ai se­ guenti testimoni oculari della Notte dei cristalli, che mi hanno inviato i loro ricordi, mai pubblicati in precedenza: Esther Adler (Breslau), Reiner Auman (Francoforte), Susan Ben Yo­ sef (Vienna), Gertrude Bibring (Vienna), Hans Biglajzer (Co­ lonia), Jerry Bocian (Berlino), Lassar Brueckheimer (Marktbreit sul Meno), Chava Cohn (Berlino e Ratisbona), Janet Ettelman (Mannheim), Ruth Fluss (Danzica), Serem Freier (Ber­ lino), Herbert Friedman (Vienna), Fred Garfunkel (Vienna), Marianne Geemaert (Bad Kreuznach), Edgar Gold (Ambur­ go), Fred Gottlieb (Siegburg), Ruth Gutmann (Hannover), Ga­ ry Hinder (Vienna), Renie Inow (Wuppertal), Elsa Kissel (Ma­ gonza), Adina Koor (Amburgo), Max Kopfstein (Berlino), Charlotte Lapian (Würzburg), Helga Leib (Berlino), Ruth Lewin (Glatz), Miriam Litke (Berlino), Use Loeb (Vienna), Walter Loeb (Karlsruhe), David Lowenberg (Fulda), Laurie Lowenthal (Aschaffenburg), Eric Lucas (Hoengen), ora scomparso, Lucy Mandelstam (Vienna), Hans Benjamin Marx (Francofor­ te), Gerhard Maschkowski (Elbing), Helga Milberg (Vienna), Ruben Moller (Bochum), Rita Newell (Colonia), Lore Oppen­ heimer (Hannover), Oskar Prager (Furth), Bayta Rabin (Fran­ coforte), Esther Reisz (Lipsia), Felix Rinde (Vienna), Edith Ro­ gers (Stoccarda), Inge Sadan (Monaco), Pesach Schindler (Mo­ naco), Joseph Schwarzberg (Lipsia), Stephanie Segerman (Li­ psia), Felix Seiger (Vienna), Bronia Sonnenschein (Vienna), Miriam Spira (Berlino), Henry Stem (Stoccarda), Frank Wachsner (Breslau), Hans Waizner (Vienna), Lea Weems (Laden-

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bürg), Naftali Kurt Wertheim (Fulda), Margot Wilde (Horb), Joseph Wohl fart h (Francoforte) e Margot Wohlman-Wertheim (Fulda). Resoconti della Notte dei cristalli mi sono stati inviati anche da figli e nipoti di coloro che vi assistettero, e che ne parlarono all'interno della propria cerchia di familiari. Sono quindi grato a David Bier (per avermi spedito i ricordi della madre. Vera Bier), a Benjamin Gutmann (Ilse Wertheimer, Kippenheim), a Joel Hess (David Hess, Würzburg), Joan Lessing (Willy Les­ sing, Bamberg) e Ted Shealy (Ernst Gerstenfeld, Dachau). Molti altri hanno risposto ai miei interrogativi sulla Notte dei cristalli, su quanto precedette e seguì questo evento stori­ co, o mi hanno fornito documenti o ricordi personali. Sono particolarmente riconoscente al dottor Richard A. Baker (sto­ rico del Senato degli Stati Uniti), a Dvir Bar-Gai, Dov Bar-Ner, Michael Bienefeld, Naomi Blake, Anna Charin (bibliotecaria del Jewish Chronicle), John David, al compianto Lord Egremont (John Wyndham), Alexander Fagelson, Pai Foti, Anne Fox, Elie Freud (professor Arthur Freud), professor Alain Goldsch­ läger, professor Richard Griffiths, dottor Ruth Gruber, Arieh e Henry Handler, Chris Havern (storico della Guardia costiera degli Stati Uniti), Hannelore Headley, Gerda Hoffer, professor Otto Hutter, al rabbino Harry Jacobi, Seth E. Jacobson, Peter Joy, Arno Klarsfeld, Adaire J. Klein (direttore dei Servizi bi­ bliotecari e archivistici, Simon Wiesenthal Centre, Los Ange­ les), James Klein, dottor Robert Krell, Joan Lessing, Rachel Man, Marianne Meyer, Judy Montagu (redattore delle lettere al Jerusalem Post), professor Peter Neary, Fori Nehru, dottor Stephen Nicholls, Yoni Ozdana, Ze'ev Padan, Mordecai Paldiel, Alan Palmer, dottor Arnold Reisman, Bozenna Rotman, Eric Saul, Sua Eccellenza Pavel Seifter, Margaret Shannon (ri­ cercatrice senior di storia, Washington Historical Research), Renée Silberman, Frederick Taylor, Jacqui Wasilewsky (Mu­ seo ebraico di Sidney), Serena Woolrich (Allgenerations, Wa­ shington, d c ) , Pauline W omer ed Enid Wurtman. Dorothea

R IN G R A Z IA M E N T I

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Shefer-Vanson mi ha inviato la lettera di Fraenze Hirsch del 15 marzo 1939 (Sprottau). Nel corso del mio lavoro, Esther Goldberg ha rappresenta­ to una fonte di saggi consigli. Kay Thomson ha assolto gli onerosi compiti connessi al coordinamento dell'opera di un autore. Robert Lacey e il suo gruppo di lavoro alla HarperCollins hanno costituito un costante appoggio durante tutta la preparazione dell'opera, come anche Caradoc King e tutto il personale di A.P. Watt, i miei agenti letterari.

INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI

Aachen, 108,196, 251 Abrahamsohn, Kurt, 109 Aden, 210 Adler, Lotte, 252 Adriatico, mare, 198, 251 Alaska, 156-157, 172, 274, 284, 287-288 Albania, 189 Alien Squad (New York), 136 Altdorf, 80 Altona, 63, 232 Amburgo, 62-64, 173-174, 176, 180, 186-187, 198, 200, 218219, 229, 232, 239, 244, 250, 279, 291 Amsterdam, 164, 220-221 Anchorage, 157 Angeli, Sir Norman, 122,126 Anneliese (cameriera), 81 Anversa, 123, 201 Archway (Londra), 202 Argentina, 118,137,187-188,200, 202, 216 Arian, Dagobert, 203, 216 Aschaffenburg, 17-18, 182, 240, 279, 291 Ascher, Esther, 67-68, 104, 189, 215 Assuero, re, 84, 166

Attenborough, J.F., 193 Attenborough, Richard, 179, 214 Attlee, Clement, 65 Augusta, 241 Auman, George, 180 Auman, Reiner, 86-87, 105, 180, 214, 280, 291 Auschwitz, 70, 83, 176, 186-187, 227, 240-242, 245-250, 252, 257, 278, 284 Australia, 118-119, 130, 213, 284 Austria, 18-19, 41-43, 50-51,113114, 117-119, 121-122, 124, 126-127, 166, 172, 181-182, 185, 190-191, 195, 198, 208209, 212, 225, 234, 236, 239, 242, 262, 280 Auty, Robert, 191-192, 215 Bad Gastein, 19 Bad Hallein, 19 Bad Homburg, 23, 28 Bad Kissingen, 241 Bad Kreuznach, 62, 279, 291 Bad Tölz, 252 Baden, 226, 261 Baden Baden, 76 Baeck, Leo, 212, 248, 284 Baehr, Josephine, 23, 28

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Baerwald, Leo, 61,156 Bahamas, 210 Baldwin, Lord, 174-175 Bamberg, 19-20, 77, 292 Bamberger, Ludwig, 73 Bamberger, Stefanie, 73-74, 104, 206-207, 217 Barbados, 210 Bar-Gilad, Moshe, 119, 198 Baroda, 135 Bassum, 23 Baviera, 110,130, 241 Bayonne, 222 Bayreuth, 19, 98 Becher, Rolf, 237 Beckum, 23 Beethoven, Ludwig van, 230,236 Belgio, 52,155,178,195,201-202, 204, 221, 242 Belzec, 80, 196, 241-242 Benedetto xvi (Joseph Ratzin­ ger), 253 Berendt, Haim, 229, 256 Berliner, Cora, 212 Berlino, 7,14-17,20,23,25-26,2939,61,63,88,98,108-109,111112, 114-116, 119-120, 125, 128, 131-134, 136-139, 142, 144, 146, 148-149, 155-156, 159, 161-163, 165, 176-177, 179, 181-182, 186, 188-189, 191-193, 195, 197-198, 203204, 209-211, 220-222, 225, 229-231, 233, 237, 239, 242, 244,246-252,256,277,279,291 Bermuda, 210 Bernberg, 238 Beuthen, 101 Bielefeld, 233

Biglajzer, Hans, 66,104, 252,258, 279, 291 Bihar, 135 Bingham, Hiram, 224-225, 227 Birkenfeld, Leopold, 229-230, 244 Birnholz, Ruth, 43, 56 Bischofswerder, Rolf, 252 Bischofswerder, Ruth, 252 Blair, Frederick, 201 Blake, Martin, 190 Blatt, Elsa, 70,104,177, 214 Blatt, Herman, 178 Bluds, Ady, 114,125 Blum (uomo d'affari), 145 Bochum, 80, 237, 252, 279, 291 Bocian, Gerd, 35, 39, 250, 257, 279, 291 Boemia e Moravia, protettorato di, 190-191, 207-209 Bolivia, 113,129, 202 Bombay, 205 Bonhoeffer, Dietrich, 108, 124, 284 Bonhoeffer, Julie, 108 Bonn, 65, 239-240, 252 Bordeaux, 222 Bormann, Martin, 131 Bosanquet, Mary, 108, 124, 284 Bose, Subhas Chandra, 204 Bosel, Siegmund, 233 Boulogne, 202 Bracey, Bertha, 109 Brandeburgo, 18, 20,162 Brandstädter, famiglia, 242 Brandt, dottor, 12 Brann, Henry Walter, 111, 125, 287 Brasile, 64,141, 200, 202

IN D IC E DEI N O M I E DEI L U O G H I

Braumann, Rita, 66, 104, 143, 150, 206, 217 Braumann (padre di Rita), 66 Bredow, Wichard von, 81-82 Bregenz, 121 Brema, 22,28,70,88,228-229,261 Breslau, 24, 67, 69, 99, 180, 186, 189, 230-231, 239, 248, 250, 279, 291 Breslavia, 266 Brownwell, Don Carlos, 156-157 Bruckenheimer, Maxim, 89 Bruckenheimer, Nathan, 89 Brueckheimer, Lassar, 89-90, 105, 280, 291 Brueckheimer, signora, 91 BruehI, Walter, 227 Buchenwald, 14, 24, 71, 88, 127, 171-172, 178, 180, 208, 238, 240-241, 247 Budapest, 187 Buenos Aires, 187 Buffum, David H., 75 Bühl, 226 Buona Speranza, capo di, 194 Buxton, Dorothy, 122,126 Canada, 149-150, 181, 201, 283 Carlebach, Joseph, 174, 232 Carlebach, Julius, 173-174, 213 Carvalho, Carmen de, 64 Carvell, John, 112 Cecoslovacchia, 8, 123, 130, 181, 189-190,194,203,209,213,240 Celiar, Emanuel, 113 Chadwick, Trevor, 190, 194 Chamberlain, Neville, 8, 153, 175, 207, 217 Chelmno, 238, 243-244

297

Chesterfield, 206 Chicago, 160 Churchill, Randolph, 251 Churchill, Winston, 189, 215,251 Cile, 118,188, 200 Cina, 114,147,199 Cipro, 210 Cleve, 211 Cochin, 135 Cohen, Felix, 157 Cohn, Benno, 120, 125-126, 165166, 172 Colombia, 196, 200, 216 Colonia, 20,65,127-128,143,186, 192, 206, 209, 211, 232-233, 244-245, 252-253, 279, 291 Comberti, Sabina, 116,125 Costanza, 18 Costanza (Romania), 188 Costa Rica, 202 Cottbus, 18, 20 Cress well, Michael, 139 Crossfield, James, 179 Crossfield, Kathleen, 179 Cuba, 200, 202, 216 Dachau, 21, 42, 47, 49, 54-55, 72, 77, 79, 99, 113, 121, 127, 156, 167-171, 182, 185, 192, 211, 238, 252, 292 Dahl, Adolf, 196 Dahl, Olga, 196 Dahl, Rudi, 196 Delhi, Vera, 64-65,103,196, 216 Danimarca, 157, 195, 221 Danubio, 47-48,148, 245 Danzica, 14, 76, 142-143, 188, 219, 279, 291 David, Marianne, 62, 103

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9 N O V EM BR E 1938. LA N O T T E DEI C R ISTA LLI

Davis, John P., 140 De Luca, Giuseppe, 219 Derching, 25 Dessau, 239 Diamant, Adolf, 21, 28, 104-105, 257, 282 Diamond, Margit, 192-193, 215 Diepoldsau, 121 Dora-Mittelbau, 81 Dörmann, Rolf, 93, 105 Dorpmueller, Julius, 188 Dortmund, 23, 233, 246 Dover, 176, 208 Draschler, Evy, 45 Draschler, Lucie, 44-45, 56, 246, 257 Dresda, 101-102, 106, 172, 186, 233, 235, 252, 286 Drogheda, Lord, 110,125 Dubs, Alfred, 208 Duff Cooper, Alfred, 197 Duisburg, 233, 248 Düsseldorf, 18,129, 233, 244 Dzubba, signor, 129 Ebensee, 187 Eberswalde, 18, 20-21 Ebert, Carl, 205 Edwards, capitano, 193 Edwards, signora, 193 Eichenbaum, Erich, 236 Eichmann, Adolf, 119, 126, 191, 219, 226, 239, 241, 251, 256, 281 Eisenstadt, 18, 27 Elbing, 61, 280, 291 Ellis Island, 187 El Salvador, 209 Emanuel, Batya, 83,105

Emanuel, Gita, 84 Emden, 164,198 Emmerich, 81 Engelhard, Bertha, 60,103, 225 Engelhard, Inge, 59-60, 103, 225, 255 Eppstein, Paul, 248 Erdmann, Emmy, 251 Erschon, Siegfrid, 242 Eschwege, 21, 28, 70, 233 Essen, 18 Évian-les-Bains, 118, 125, 173, 287 Ewer, W.N., 141,150 Fachler, Gershon, 36 Fairbanks, 157 Falk, Alexander, 23, 28 Faulhaber, Michael von, 61,130 Feldafing, 24 Feuchtwanger, Lion, 224, 255 Filippo, principe di Grecia, 110, 125 Finlandia, 195 Fisch, Solomon, 206 Flehinger, Arthur, 76-77, 104, 287 Fleischer, Emst, 245 Fleischer, Ruth, 246 Folev, Frank, 115-116, 119, 125, 162-166, 172, 182, 203-204, 215-216, 221, 286 Forster ( G a u le ite r di Danzica), 142 Francia, 8, 52,118, 123, 125, 140, 178, 190, 195, 201-202, 211, 218,221-224,226,241-242,251 Franco, Francisco, 143 Francoforte, 14, 20, 83, 85-86, 89,

IN D IC E DEI N O M I E DEI L U O G H I

94,109,145,148,177,180,186, 206, 229-231, 242, 244, 280, 291-292 Frank, Anna, 242 Frank, Erich, 205 Frankel, Max, 220 Frankfurter, David, 13 Freier, Baruch, 240 Freier, Recha, 225 Freier, Serem, 32-33, 39,176,214, 241, 257, 279, 291 Freud, Arthur, 42-43,56,280,292 Freud, Sigmund, 42-43 Freundlich, Max, 23, 28 Friburgo, 205 Friedman, Herbert, 52-53, 57, 175, 246, 257, 291 Fry, Eileen, 228 Fry, Varian, 224, 227-228, 256, 284-285 Füchsl, Kurt, 49-50, 56 Fuhrmann, Maria, 238 Fulda, 94-95, 233, 237, 256, 280, 291-292 Fullerton, Hugh, 228 Funk, Walter, 132 Furstenwalde, 250 Fürth, 241 Gainer, Donald St Clair, 19, 27 Gandhi, Mahatma, 205 Gardner, Joan, 219 Garfunkel, Fred, 45, 56, 208, 217, 280, 291 Geist, Raymond, 210, 217 Gelsenkirchen, 218 Genova, 147,195 Georgetown (Guyana britanni­ ca), 187

299

Gerstenfeld, Eric, 156 Gerstenfeld, Ernst, 192, 292 Gerusalemme, 21, 125, 158-159, 165, 203, 217, 279 Ginevra, lago di, 118 Ginsberg, Pino, 119,197 Glatz, 99, 280, 291 Glogau, 23 Goebbels, Joseph, 14, 16, 24, 2627, 38, 51, 110, 129, 133-134, 149, 249-250, 257, 282-283 Goethe, Johann Wolfgang, 236 Gold, Edgar, 63, 103, 187, 215, 279, 291 Gold, Josef, 63, 187 Goldbach, 242, 257, 282, 287 Goldfein, Miriam, 219 Goldfein, Ruth, 76,104, 219, 255 Goldfein, Sender, 219 Goldman, Esther, 76 Goldschmidt, Anita, 239 Goldschmidt, Bruno, 242 Goldstaub, Eric, 147,150 Goldwein, Manfred, 70 Goldwein, Moritz, 70 Goldwein, Rosa, 70 Gorell, Lord, 175 Göring, Marshal Herman, 33, 131, 146, 181, 186, 191, 214, 239, 246 Göttingen, 88 Gottlieb, Fred, 70,104, 280, 291 Gourdon, signor, 73 Gran Bretagna, 8, 37, 43, 75, 100, 108-109, 112, 114, 117-118, 123, 125, 129-130, 135, 138, 140-141, 154-155, 159, 164, 173-180, 182-184, 186, 190192, 194-196, 201-202, 204,

300

9 N O V EM B R E 1938. LA N O T T E DEI CRISTA LLI

206, 208-209, 211-214, 218, 221, 225-226, 240-241, 252253, 275 Grantham, 117 Graz, 18, 27, 225 Grecia, 197, 208 Greene, Hugh, 29 Gref, Otto, 205-206 Grenada, 210 Griebel, Otto, 101-102 Grochow, 219 Gruber, Heindrich, 111 Gruber, Ruth, 157,172, 284, 292 Grüninger, Paul, 121,185 Grynszpan, Berta, 12 Grynszpan, Herschel, 12-13, 15, 124 Guatemala, 188, 215 Guggenheimer, Ernst, 82 Gurs, 52, 226-227, 250, 255 Gustloff, Wilhelm, 13 Güstrow, 21 Guyana britannica, 141,187 Hackel, Franz, 102 Haifa, 148,163,189, 220 Haiti, 225-226 Halberstadt, 226 Haman, visir, 84,166 Handler, Ephraim, 25 Handler, Leo, 25, 28 Hannover, 12,77-79,88,123,179, 233, 235, 237, 280, 291 Harder, Miss, 203 Harwich, 173-174, 188, 190, 192, 206, 211, 213 Hassell, Ulrich von, 24, 287 Hassfurt, 246 Hatschek, Susanne, 44, 56,191

Hausmann, Helena, 252 Heaps, Abraham, 181 Hedin, Sven, 239 Heidelberg, 22, 93 Heilbronn, 23, 28 Heinemann, Hannelore, 30, 195, 284 Heinemann, Paula, 30 Heinemann, signor, 30 Hendaye, 222-223 Henderson, Sir Nevile, 163 Hersfeld, 14 Herskovits, Grete, 77 Herskovits, Ruth, 77-78,104,179, 214 Herskovits, Samuel, 78 Herzog, David, 18 Hess, David, 72-73,292 Hess, Otto, 239 Hess, Rudolph, 131 Hesse, 261 Heydrich, Reinhard, 14,102,106, 181-182, 191, 197-198, 214, 239, 284 Highgate (Londra), 191 Himler, Gary, 49, 56, 170, 172, 280,291 Himmler, Heinrich, 14, 23-24, 170 Hirsch, Ernest, 205 Hirsch, Fraenze, 100-101, 106, 293 Hirsch, Otto, 212 Hitler, Adolf, 7, 9, 11-12, 16, 24, 35, 72, 83, 98, 107-108, 110112, 120, 123-124, 131, 136, 149, 153, 160, 171, 181, 190, 210-211, 214, 224, 226, 242, 249-250, 281, 285-286

IN D IC E DEI N O M I E DEI L U O G H I

Ho, Feng Shang, 114-115, 146147,151,172, 280, 285, 287 Ho, Manli, 147,151,172, 280 Ho, Monto, 115 Hochschild (avvocato), 145 Hock van Holland, 173,183,188, 190,192, 206, 211, 213 Hoengen, 25,183, 280, 291 Hoffman, Moshe, 24 Hofstaetter, Feliks, 248 Holleschau, 239 Honduras, 210 Horb, 99-100, 280, 292 Hössbach, 242 Howell, Rees, 124 Hüfner, signor, 72 Hull, 174, 213, 216 Hull, Cordell, 157, 200, 225 Hutter, Otto, 193, 215, 292 Hyderabad, 135 Ickes, Harold, 156-157 India, 149,159, 204-205,217,284, 288 Innsbruck, 128, 252 Inow, Renée, 61,103, 280, 291 Irlanda, Repubblica d' (eire ), 118,195, 208 Istanbul, 109,148, 205, 217, 279 Italia, 33, 56, 124, 161-163, 189190, 202, 224-225, 251, 284 Iugoslavia, 148,197,225,251,258 Jacobi, Harry, 221, 255, 292 Jaffee (insegnante ebreo), 236 Jan, J. von, 144 Januba, signora, 49-50 Jastrow, 23 Jülich, 241

301

Juneau, 157 Jungfernhof, 232-233 Kaiser (Guglielmo n, imperatore di Germania), 35, 44 Kaiserwald, 251-252 Karlsruhe, 71, 170, 280, 291 Karminski, Hannah, 212 Kashmir, 135 Kassel, 14, 88, 233 Katz, Lore, 22 Kaufering, 252 Kaufmann, Walter, 205 Kaunas, 230 Kehl, 97 Kenai, penisola di, 156 Kendrick, capitano, 117 Kenia, 210 Kielce, 228, 234-235, 256, 282 Kilbansky, Erich, 192 Kippenheim, 80, 292 Kitz, Meir, 229 Kladova, 147 Klein, Alice, 226-227 Klein, Heinrich, 227 Klein, Ludwig, 223-224, 226-227, 255, 279 Klein, Melanie, 227 Kluge, dottor, 101 Königsberg, 245 Könitz, 235 Koor, Adina, 63,103, 279, 291 Kopfstein, Mark, 39 Kopfstein, Max, 29-30, 247, 257, 279, 291 Kopfstein, Walter, 30 Korbach, 21, 28, 70 Korwill, Mary, 236 Kraemer, Emil, 61

302

9 N O V EM BR E 1938. LA N O T T E DEI C R ISTA LLI

Kraemer, Heinz, 91 Kraus, Karl, 43 Krauthammer, Dewora, 246 Krefeld, 18, 233 Krützfeld, Wilhelm, 31 Kupferstoch, rabbino, 35 Kusover, Philip, 248 Ladenburg, 98, 291 La Guardia, Fiorello, 136 Lahr, 80 Laimering, 25 Lapian, Charlotte, 72, 104, 215, 280, 291 Lapointe, Ernest, 201 L'Avana, 200-201 Leeds, 148 Leer, Wim van, 75,104, 164-165, 172, 286 Leeward, isole, 210 Lehmann, Anne, 176-177, 214 Lehmann, Eugen, 37, 176 Leib, Helga, 34, 39, 279, 291 Leicester, 179 Lemberger, Alfred, 236 Lessing, Gotthold Ephraim, 236 Lessing, Paula, 77 Lessing, Willy, 77, 292 Lettonia, 220, 231-232 Levy, famiglia, 66 Levy, Hugo, 64 Levy, Maria Margarethe, 64 LeWinter, Bertha, 51-52 Ley, Robert, 160 Lichtenberg, Bernhard, 26, 237, 256 Liegnitz, 191 Linz, 19 Lion, Hilda, 109

Lippman, Alwin, 246 Lipsia, 73-75, 104, 164-165, 191, 206, 233, 235, 242, 246, 265, 280, 291 Lisbona, 222, 224, 228 Liszt, Franz, 230 Litke, Miriam, 35, 39, 209, 217, 279, 291 Liverpool, 130,149,193, 207-208 Lobb, Elsie M., 192-193 Lodz, 219, 229-230, 238, 242-245, 252, 256-257, 281-282 Loeb, Walter, 71, 104, 166, 169170,172, 280, 291 Loewi, Otto, 18 Logan, Alderman, 154 Long, Breckinridge, 223-224, 255 Lörrach, 226 Louny, 130 Lovett, Robert M., 227 Löwe, dottor, 145 Lowenberg, Martin, 95,105, 233, 256, 280 Lowenthal, Adolf, 240 Löwenthal, Henri, 242 Lowenthal, Laurie, 17-18, 27, 182,215,240,257,279-280,291 Lowenthal, Ludwig, 17 Lowenthal, Sophie, 240 Löwenthal, Steffi, 242 Lublino, 218-219, 228 Lucas, Eric, 25, 28, 183-185, 215, 280, 291 Lucas, Michael, 25 Lussemburgo, 195, 221, 244 Lutero, Martin, 8 MacDonald, Malcolm, 158-159, 207-208

IN D IC E DEI N O M I E DEI L U O G H I

Mackenzie King, William, 181 Macmillan, Harold, 118 Madagascar, 141 Magdeburgo, 25 Magonza, 18, 70,177, 280, 291 Mahmud, Syed, 135 Majdanek, 186 Makowski, Pauline, 179, 214 Malmö, 220 Malta, 210 Maltzan, Maria von. 111, 288 Maly Trostenets, 240, 245 Man, Rachel, 123,126, 292 Mannheim, 92-93, 220, 242, 280, 291 Mansbacher, Herta, 80 Mansfield, Jim, 177 Mansfield, Mary, 177 Marcus, Siegfried, 161 Marktbreit sul Meno, 89,91,280, 291 Marsiglia, 220, 224-225, 227 Marx, Benjamin, 85,105,280,291 Marx, Claire, 85 Maschkowski, Gerhard, 61-62, 103, 280, 291 Maurer, Hans, 52 Mauritius, 148 Mauthausen, 187 Maybin, Sir John, 179 Mayer, Ernest, 242 Mecklenburg, 20 Memel, 145 Memmingen, 144 Mendelssohn, Felix, 230 Messico, 118, 202 Meyer, Vera, 226 Meyer-Michael, Wolfgang, 116 Miami, 200-201

303

Milano, 160,162 Milberg, Helga, 41, 56, 280, 291 Minsk, 229, 240, 245 Moller, Ruben, 81,104, 237, 252, 256, 279, 281, 291 Monaco, 12, 16, 19, 59-61, 112, 120, 123, 130, 133, 135, 144145, 148-149, 153, 156, 167, 189-190, 197, 220, 225, 230231, 250, 280, 291 Monowitz (Auschwitz m), 247 Montevideo, 187 Montreal, 130 Mordechai (Persia), 166 Morgan-Witts, Max, 202 Morgenstern, Ilse, 54-55, 57 Morgenthau, Henry Jr, 200-201, 216 Müller, signora, 30-31 Munster, 237, 256 Murphy, Frank, 158 Mussolini, Benito, 161,189 Natowicz, Gisela, 239 Nehru, Brij Kumar, 205 Nehru, Fori, 205, 217, 292 Nehru, Jawaharlal, 204-205 Neuberger, Inge, 92-93,105, 220 Neugebauer, Alfred, 102 Neumann, Charlotte, 72, 104, 185, 215 Neumann, Gerhard, 227 Neumann, Itzhak Yona, 186 Neumann, Yehuda, 185-186 New York, 52,113,128,136,148, 153, 160, 187-188, 194-195, 199, 201, 209, 219, 228 Nicholls, Stephen, 81-82, 105, 281, 292

304

9 N O V EM BR E 1938. LA N O T T E DEI CRISTA LLI

Niess, signora, 90-91 Nissenbaum, Rudi, 242 Noè, 226 Nono Forte (Kaunas), 230-231 Nordhausen, 81 Norimberga, 19, 88, 104, 110, 119-120, 142, 144, 149, 214, 231, 241-242, 255-256, 281 Norvegia, 195, 221 Nuova Zelanda, 116,130 Ober-Ramstadt, 21, 27 Oestereicher, Paul, 33, 39 Offen burg, 18 Ogilvie Forbes, Sir George, 17, 116,128,134,142,149-150,215 Okinawa, 180 Olanda, 55, 111, 116, 129, 143, 148, 164, 195, 201-202, 206207, 211, 219-221, 242, 251 Oppenheimer, casa (Marktbreit sul Meno), 90 Oppenheimer, famiglia (Gold­ bach), 242 Ostenda, 208 Ottawa, 181, 214 Pacifico, oceano, 170,180 Padan, Ze'ev, 162,172, 292 Palestina, 25,28,68,112,114-116, 118-119, 123-124, 128, 147148, 158-159, 163, 188, 196198, 203, 207-208, 212-213, 219, 225, 233, 241, 250, 263 Panama, 200 Paraguay, 137, 200, 202, 216 Parigi, 12-13, 15-16, 66, 71, 97, 124,128,132,160, 220, 241 Pearl Harbor, 52, 232, 238

Pels, Erwin, 78-79 Pels, Ivan, 79 Pels, Joseph, 79 Pels, Lore, 78-79,104, 237, 256 Peretz, Aharon, 230, 256 Perkins, Frances, 143 Perucchi, Pio, 162,172 Petersburg (Alaska), 157 Petliura, Simon, 13 Philadelphia, 153, 214 Picker, Grete, 236 Pio xi (Achille Ratti), 123,160 Pio xii (Pacelli, Eugenio), 160, 202 Pirenei, 52,178 Pireo, 224 Plachte, Leonard, 23, 28 Polonia, 11-12, 35,55,76,80,101, 161, 166, 186, 190, 197, 207209, 211, 218-219, 228, 234, 238, 240-241, 246 Pomerania, 247 Porta, Candido, 162, 172 Portogallo, 52,178, 222, 225 Potsdam, 20, 26 Powitzer, Gunther, 162-163 Powizer, Hirsch Robert, 239 Praga, 130,189-191,194-195,203, 208-209, 213, 219, 240, 244 Prager, Oskar, 95-97, 105, 280, 291 Prager, Ruth, 99,106 Prilutzky, Henny, 127,148 Prodolliet, Ernest, 122 Propp, Arthur, 129,149, 288 Prussia orientale, 62, 81, 267 Quebec, 181

IN D IC E DEI N O M I E DEI L U O G H I

Rashi (Solomon ben Isaac), 80 Rath, Ernst vom, 12-13,15-16,45, 59, 66, 99,124,169 Ratisbona, 34-35, 98, 193, 241, 280, 291 Ravensbrück, 252 Rccébédou, 226 Rechnitz, Chava, 34, 39, 98, 105, 193, 215 Regensburg, 21, 28 Reid, Margaret, 165,172 Reid, R.D., 109 Reilly, Patrick, 207, 217 Reinfeld, 187 Reininger, Gertrude, 51, 57,148 Reininger, Martha, 148 Reisz, Esther, 74, 104, 280, 291 Renania-Palatinato, 226 Repubblica ceca, 209 Repubblica Dominicana, 174, 178 Rhodesia del Nord, 178 Richborough, 182, 215, 288 Riga, 79, 174, 220, 231-237, 247, 250, 252, 276, 286 Rinde, Felix, 46-48, 56, 174, 214, 280, 291 Rivesaltes, 226 Roberts, Muriel, 117 Robinson, Laurence, 63, 103 Rogers, Edith, 105,199, 280, 286, 291 Roma, 130 Romania, 197, 208 Roosevelt, Eleanor, 228 Roosevelt, Franklin D., 113, 136, 139, 141, 150, 153-154, 201, 216, 228 Rosenberg, Ludwig, 109,124

305

Rosenberg, signor, 22 Rosenthal, dottor, 145 Roskann, Oscar, 251 Rostock, 21 Rothmund, Heindrich, 162 Rotterdam, 211, 219-220 Rozencwajg, Karol, 230 Rublee, George, 146 Rudecki, Isaac, 251 Ruhr, 18, 218, 261, 270, 276 Ruhr berg, 66 Rumbula, foresta di, 231 Russell, William, 210-211, 217, 286 Rust, Bernhard, 136 Saar, 226 Sabac, 148 Sa bath, Adolph, 113 S abu,219 Sachsenhausen, 25, 63, 127, 155, 162, 164, 171, 182,218, 247 Salaspils, 236-237 Salford, 186 Salisburgo, 19-20 Salomone, 176 Sametz, Elisabeth, 239 Samuel, visconte, 155 Sandheim, Ernst, 230 San Gallo, 121 San Salvador, 209 Sarachi, Chatin, 189, 215 Sassonia, 101, 154 Schenklengsfeld, 95 Schild, Rolf, 192, 215 Schindler, Pesach, 135, 149, 220, 280-281, 291 Schirwindt, 81-82 Schleich, Joseph, 225

306

9 N O V EM B R E 1938. LA N O T T E DEI CRISTA LLI

Schlesinger, Bernard, 191, 215, 281 Schlesinger, Winifred, 191 Schmieheim, 80 Schneidemühl, 220 Schneider, Gertrude, 51, 57, 232, 235, 251, 256, 258, 286 Schnellenberg, John, 116,125 Schnellenberg, Rudolf, 116 Schubert, Franz, 230 Schultze-Roever, signor, 129 Schuster, Ildefonso, 160 Schwarz, Margot, 99-100,106 Schwarz, Philip, 109 Schwarzbart, Samuel, 13 Schwarzberg, Joseph, 74, 104, 280-281, 291 Schwebel, Bronia, 41,56,242,257 Schwerin, 20 Seifter, Anna, 209 Seifter, Karel, 209 Seifter, Pavel, 209, 217, 292 Seiler, Felix, 41, 56, 214, 280 Seiler, William, 114 Seligsohn, Julius, 212 Semper, Gottfried, 101 Seward, 156 Shanghai, 114, 146-147, 181-182, 194-195, 202, 209, 212, 214, 238-239, 241, 256 Sheffield, 206 Shepherd, Gerald, 14, 27, 143, 188 Siegburg, 70, 280, 291 Siegen, 21 Silberstein, Heinrich, 31 Silberstein, signor, 30 Silver, Eric, 223, 255, 286 Simon, Sir John, 153

Simpson, Tess, 109,124, 284 Skagway, 157 Slack, William, 206 Slawik, Alfred, 52 Slovacchia, 190 Smallbones, Robert, 20, 27, 86, 105,177,186 Son, Manfred van, 94-95,176 Sonnenfels, Joseph von, 161 Sousa Mendes, Aristides de, 222223 Southampton, 114 Southport, 192 Spagna, 52,86,155,187,199,221222, 225 Speyer, Jacob Edmund, 244 Spiegel, Margarete, 205 Spitzer, Leo, 113,125, 286 Springer, signor, 53 Sprottau, 100, 293 Stari Uniti, 47-48, 70, 73, 79,109, 112-114, 118, 123, 125, 133, 136-138, 140-141, 143, 154, 157, 170-171, 180, 188, 199200, 202, 208-212, 216, 218220,223-228,233,238,252,292 Steinfeld, Irma, 212 Steinfeld, Manfred, 212,217 Stern, Henry, 82,105, 280,291 Stettino, 18, 109, 220, 247, 266 Steyr, 234 Stoccarda, 82, 137, 179, 186-187, 194, 223, 232, 236, 280, 291 Stoccolma, 220 Stolpe, 247 Stralsund, 220 Strasburgo, 97 St Vincent (Indie occidentali), 210

IN D IC E DEI N O M I E DEI L U O G H I

Sud America, 117,141 Sudeti, 8, 43, 123, 130, 181, 189, 191, 239 Suez, canale di, 181 Susak, 198 Svezia, 195, 252 Svizzera, 13, 18, 117-118, 121122, 125, 129, 162, 185, 202, 207, 221, 224, 234-235 Swansea, 124 Szapiro, Willi, 251 Tachauer, casa (Marktbreit sul Meno), 90 Tahmankar, D.V., 135,149 Tanganica, 141 Tannenberg, 35 Taunton, 109 Tel Aviv, 203 Termunten, 164 Terranova, 142 Thalfang, 21, 28 Thatcher, Margaret, 117,125,286 Theresienstadt, 176, 181, 187, 207, 212, 233, 240, 245-248 Thomas, Gordon, 202, 216, 286 Traunkirchen, 245 Treblinka, 235 Treuchtlingen, 20 Trier, 251 Trieste, 25,123,189, 202 Trinidad, 210 Trzeciak, Edith, 82-83,105 Tübingen, 22 Turchia, 197, 205 Überall, Ehud, 147, 198, 216, 283 Uganda, 141 Ungheria, 42,109,187,190

307

Unione Sovietica, 218, 228-229, 246 Uruguay, 118,187-188, 200 Utrecht, 207 Valdez, 157 Van Roey, cardinale, 160 Varsavia, 219, 228, 263 Vaticano, Città del, 123,130,160, 195 Verdier, cardinale, 160 Vergini, isole, 157, 227 Vichy, 52, 224, 226-227, 250 Vienna, 14, 19-20, 41-43, 45-46, 48-51, 54-56, 113-116, 119, 122-124, 127, 132, 143, 146148, 156, 160-161, 172, 174175, 177, 183, 186, 191, 198, 208, 215, 219, 228-236, 238239, 242, 244-246, 257, 277, 280, 291 Vilnius, 220 Vinnitsa, 249 Vittoria, regina di Gran Bretagna e Irlanda, 110 Vogel, Alfons, 17 Wachsner, Egon, 180 Wachsner, Else, 181, 239 Wachsner, Frank, 70, 104, 180, 214, 279, 291 Wachsner, Lutz, 69,180-181 Wachsner, Rosa, 181 Wagner, Adolf, 130 Wagner, Richard, 98 Wagner, Robert F. senior, 199 Waizncr, Hans, 48, 56, 280, 291 Wälder, Lili, 230 Walk, Miriam, 34, 39

308

9 NOVEMBRE 1938. LA NOTTE DEI CRISTALLI

Walldorf, 223 Wannsee, 239 Warburg, Eva, 220 Warendorf, 237, 256 Warmsried, 25 Warr, conte de la, 191 Warr, Diana, contessa de la, 191 Warriner, Doreen, 190 Washington, d c , 75, 125, 129, 133, 136, 139, 149-150, 156, 199, 201, 225-226, 279, 292 Weber, Bernhard, 80 Weems, Lea, 98,105, 291 Weidenfeld, George, 117, 125, 287 Weil, dottor, 236 Weil, Emma, 226 Weiss, Ida, 204, 216 Weiss, Peter, 203, 216 Weld-Forester, Wolstan, 131 Welkemeyer, Edith, 81,105 Werfel, Franz, 224, 255 Wertheim, Abraham, 94 Wertheim, Kurt, 94,105,280,292 Wertheim, Margot, 94, 105, 280281, 292 Wertheimer, Eliezer, 119 Wertheimer, Ilse, 80, 104, 292 Wertheimer, Melanie, 226 Wertheimer, Simon, 119 Wessely, Rudolph, 195 Westhoven, signor, 66 Wheldrake (Yorkshire), 193 White, Thomas, 118 Wiesbaden, 20

Wiesloch, 21, 28 Wight, isola di, 203 Wijsmuller-Meijer, Geertruida,

221 Wildman, T.B., 22, 28 Wilson, Hugh, 133,136 Windward, isole, 210 Winterton, conte, 194 Winton, Nicholas, 190, 195, 216, 284 Wismar, 21 Withyham, 191 Wohlfarth, Joseph, 86, 105, 206, 217, 280-281, 292 Worms, 80,104 Wulkan, Bernard, 123,126 Wuppertal, 61, 280, 291 W ürzburg, 72-73, 185-186, 231, 241-242, 280, 291-292 Zagreb, 225 Zamosc, 246 Zarzecze, 219 Zbaszyn, 11-12 Zeisl, Eric, 127-128,149, 284 Zeisl, famiglia, 127-128 Zeisl, Trudi, 127 Zeisler, Gertrude, 234-235 Zellner, Cila, 246 Zemik, Joel, 246 Zetland, Lord, 159 Zeven, 21, 27 Zurigo, 117 Zweig, Stefan, 236 Zwienicki, Selma, 70

SOMMARIO

Premessa Introduzione

5 7

La Notte dei cristalli Testimonianze: Berlino Testimonianze: Vienna Testimonianze da tutte le regioni del Reich Un amaro preludio Tragiche conseguenze Fra il Bene e il Male Fuga e salvezza Ultimi passi verso la distruzione

218

Carte Fonti e bibliografia Ringraziamen ti Indice dei nomi e dei luoghi

259 279 291 295

11

29 41 59

107 127 153 173

I giorni che hanno cambiato la storia La nuova collana diretta da Sergio Romano

JOHN LUKACS

22 GIUGNO 1941. L’ATTACCO ALLA RUSSIA Con l’aggressione nazista all’Unione Sovietica, la seconda guerra mondiale entra in una nuova fase determinante non solo per l’esito del conflitto ma anche per gli equilibri intemazionali successivi. John Lukacs scava nelle personalità dei due dittatori che hanno se­ gnato la sorte dell’Europa e del mondo intero a partire dal periodo immediatamente antecedente Tinvasione: i dubbi dell’ultimo mo­ mento di Hitler (non condivisi dai suoi generali), e l’incredulità di Stalin che determinò il massacro nei primi giorni dell’Armata rossa. Se Hitler avesse avuto successo, sostiene Lukacs, Gran Bre­ tagna e Stati Uniti avrebbero dovuto riconsiderare le strategie mi­ litari e politiche nei confronti della Germania. Ma così non fu, es­ senzialmente perché Stalin - ironia della storia —si riprese dall’a­ patia iniziale e diventò l’uomo simbolo della resistenza ai nazisti e primo vincitore della seconda guerra mondiale. Dello stesso autore Cinque giorni a Londra Churchill, visionario, statista, storico

Fotocomposizione Editype s.r.l. Agrate Brianza (Milano) Finito di stam pare nel mese di maggio 2008 per conto della Casa Editrice Corbaccio s.: da La Tipografica Varese S.p.A. (VA) Printed in Italy

nione in uno dei maggiori centri della ci­ viltà europea. Il libro di Martin Gilbert non è soltanto la cronaca di una tragica notte tedesca. L'autore analizza attentamente la politi­ ca ebraica della Germania hitleriana nei cinque anni precedenti e ricostruisce con la pazienza di un segugio uno straordina­ rio numero di episodi. Ciò che accadde in quelle ore rivive così attraverso le parole dei superstiti, dei loro congiunti, dei tede­ schi che cercarono di assistere le vittime del pogrom. E dimostra che la notte dei cristalli fu una sorta di crinale a metà strada fra gli anni della preparazione, du­ rante i quali la persecuzione fu soprattut­ to amministrativa, e quelli dell'esecuzio­ ne, durante i quali il disegno dell'annien­ tamento venne gradualmente realizzato. Il lettore troverà in questo libro, tra l'al­ tro, due citazioni che sono, per ragioni di­ verse, indimenticabili. Quando alcuni corrispondenti stranieri chiesero a Goeb­ bels perché non avesse ordinato alla po­ lizia di fermare i devastatori, il ministro della Propaganda rispose: «Non potevo intimare ai nostri poliziotti di sparare a dei tedeschi, poiché intimamente simpa­ tizzavo per loro». Ma nella stessa Berlino in cui un ministro ammetteva sfacciata­ mente la sua complicità, il pastore della cattedrale di St Hedwig terminava la ce­ lebrazione serale, ogni giorno, con una preghiera «per gli ebrei e i poveri prigio­ nieri dei campi di concentramento». Martin Gilbert (Londra. 1963) Fellow del Merton College a Oxford e dell'Hillsdale College, Michigan, è noto nel mondo in­ tero come biografo ufficiale di Churchill ed è uno dei massimi storici del ventesi­ mo secolo. Oltre al suo monumentale studio dedicato allo statista britannico e alla G r a n d e s to r ia d e lla p r im a g u e r r a m o n d ia le , in Italia sono stati tradotti nu­ merosi studi che testimoniano il suo co­ stante interesse per l'Olocausto e gli ebrei, fra cui A tla n te d i s to r ia e b r a ic a , M a i p iù : u n a s to r ia d e ll'O lo c a u s to e II s e c o lo d e g li e b r e i.

«Ben d o cu m en tato e ricco di testim onianze, il libro di Martin Gilbert sulla «notte dei cristalli» è una lezione esem plare.» Elie W ie sel