Vladimir Horowitz 8883023668, 9788883023668

Tre lunghe tregue rigenerative, un numero incalcolabile di successi e qualche clamoroso fiasco scandiscono la carriera d

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Vladimir Horowitz
 8883023668, 9788883023668

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Horowitz E^PO S

Collana di musica diretta da Gioacchino Lanza Tomasi

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Sono un generale. I miei soldati sono i tasti, e io li debbo comandare. Tre lunghe tregue rigenerative, un num ero incalcolabile di successi e qualche clam oroso fiasco scandiscono la carriera di interprete di Vladim ir H orow itz (Kiev 1903 - N ew York 1989), uno dei piu n o ti e am ati pianisti del N ovecento. U na carriera strepitosa, che si interseca però con i chiaroscuri di una biografia fatta anche di lacerazioni, di ricorrenti crisi artistiche ed esistenziali, di um ana e quasi cronica insoddisfazione, che gli m odellarono u n a personalità ruvida, aspra, egocentrica. N el volum e si indagano i canoni estetici che ne ispirano e ne spiegano l’arte e che gli perm isero di perseguire un unico obiettivo: conquistare e am m aliare il suo pubblico. Il solo m odo, forse, per soddisfare —titanicam ente, eroicam ente —il pili grande amore della sua vita: quello verso se stesso. N onostante la problem aticità della figura di H orow itz, sia come uom o che com e artista, quello che com unque ci rim ane è un lascito discografico di eccezionale am piezza —docum entato puntigliosam ente nell’apparato che chiude il volum e —, della cui eccellenza artistica è possibile giudicare soltanto nell’abbandono dell’ascolto.

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Interpreti 1850 1950

Collana di musica diretta da Gioacchino Lanza Tomasi

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Maria Rosari?. Boccimi

Sergej Sergeevic

Prokof ev

2 Lidia Kozubek

Arturo Benedetti

Michelangeli

3 Cesare Crseìii Richard

StrauSS

4 Sergio Sablich

Luigi Dallapiccola 5 Alessandro Zignani ·

Wilhelm

Furtwängler

6 Il direttore d’orchestra daWagner aFurtwängler

7 Sergej Vasil ev ic

Rachmaninov

Autori&Jnterpreti 1850I1950

Blbl. Civica Joppl Udine · Sezione Muelca Vladimir Horowitz 4Θ7Θ52 BIOGRAFIE HOR. Z

J20M0327028

Collana di musica fo n d ata da Sergio Sablich e d ire tta da Gioacchino Lanza Tomasi

MfeöS®Älberti

Proprietà letteraria riservata. La riproduzione in qualsiasiform a, m em orizzazione o trascrizione con qualunque m ezzo (elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, Internet) sono vietate senza l'autorizzazione scritta dell'Editore.

© 2008 L’EPOS Società Editrice s.a.s. di Biagio C. Cortimiglia ÔCC. Vìa Dante Alighieri, 25 · 90141 Palermo telefono 091 6113191 fax 091 6116011 www.portidiulisse.it * [email protected] Progetto grafico

Maurizio Accardi

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« V. JO P P i » Di SSZHONE MUSICA

Cura redazionale

Nino Bruno Im p a n a zio n e

Grazia Lo Scrudato

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Revisionefin a le

Laura Cosentino C ARATTERISTICHE

Questo libro è composto in Adobe Garamond, Frutiger; è stam pato su Selena da 100 g/mq delle Cartiere Burgo ì R400 M att Satin da 150 g/mq delle Cartiere Burgo; le segnature sono piegate a sedicesimo (formato rifilato 13,5 x 21 cm) con legatura in brossura e cucitura a filo refe; la copertina è stam pata su R400 Matt Satin da 250 g/mq delle Cartiere Burgo e plastificata con fin itu ra opaca. La casa editrice, esperite le pratiche per acquisire tutti i diritti relativi al corredo iconografico della presente opera, rimane a disposizione di quanti avessero comunque a vantare ragioni in proposito.

Alberti, Alfonso Vladimir Horowitz / Alfonso Alberti. - Palermo : L’Epos, 2008. (Autorifidnterpreti 1850/1950 ; 8) ISBN 978-88-8302-366-8. I . Horowitz, Vladimir. 786.2092 CDD-21

SBN Palo2ii489

CIP - Biblioteca centrale della Regione siciliana "Alberto Bombacen

A Francesca

Ringraziamenti Scrivere questo libro sarebbe stato ben più arduo senza l ’aiuto di Riccardo Risaliti, che ha generosamente messo a mia disposizione dischi, libri e articoli. Ringrazio anche Mario Delli Ponti, per la cordialità con cui ha voluto condividere i suoi ricordi, e Suzanne E. Lovejoy e Richard Warren, per l ’aiuto che m i hanno fornito durante la consultazione degli Horowitz Papers all’Università di Yale. Prezioso è stato il contributo di Silvia Canavero, Tatiana Larionova e Davide Cabassi, che m i hanno assistito nella consultazione della bibliografia in lingua russa. Un ringraziamento sentito anche a Marc Levin e Michael R. Brown, che hanno condiviso con me registrazioni difficilmente reperibili, e a tutti i membri del newsgroup dedicato al pianista, che m i hanno stimolato alla riflessione con le loro e-mail quasi quotidiane. Un grazie particolare, infine, a Francesca Pola, che mi ha sostenuto e consigliato in questo appassionante viaggio nell’arte di Vladimir Horowitz.

13 CRITERI

M ito [15] Fisicità e spiritualità [19] Superficie e profondità [22] Istinto e riflessione [24] L’io e l ’altro [25] Formae mentis [27] 33 ESPERIENZE

Infanzia [35] Un figlio della Rivoluzione [48] Debutto in Europa [56] Nuovo Mondo [65] La celebrità [77] Una moglie, un padre, una figlia [85] Intermezzo [94] A nni Quaranta [106] Stars and Stripes Forever [115] Il pianista senza palcoscenico [126] 1957 [134] Cambiamenti e progetti [141] Un ritorno incompiuto [150] Il terzo stop e la seconda giovinezza [161] Tokyo [171] Il nuovo Horowitz [179] I 9 3 PROSPETTIVE

Repertorio e programmi [195] Composizioni [201]

Indice

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Le Variazioni su un tema della Carmen di Bizet [203] Complessità [207] Versioni multiple [213] Tagli, code, dettagli [217] Fraintendimenti [221] Eredità [226] 2 2 9 BIBLIOGRAFIA 233 DISCOGRAFIA

235 Autori 276 Cronologia 290 Etichette discografiche 2 9 5 IN D IC E D EI N O M I

Criteri

Mito Un pianoforte in viaggio. Da Boston a Kansas City, da Minnea­ polis a Milwaukee, si va a provarlo non tanto per qualità sue spe­ cifiche, ma per via del pianista a cui appartenne. Quello Steinway CD314503 che dagli anni Quaranta in poi fu di casa a New York e che fu usato in quasi tutti i recital e le registrazioni degli anni Set­ tanta e Ottanta. Nuove uscite discografiche a intervalli regolari. In cui si ripro­ pongono incisioni già note, riorganizzandole con sapienza combi­ natoria in innumerevoli compilation dai titoli prevedibili: “l’indispensabile”, “nelle mani del Maestro”, “il meglio di”, insomma. Op­ pure scoprendo outtake appetitosi o tracce inizialmente scartate per quel tal brano, o riproponendo un intero recital epurandolo dai massicci interventi di editing, per restituire una verità storica e ar­ tistica fatta anche di esitazioni e note false. Oppure, e queste uscite sono ovviamente le più benvenute, riaprendo qualche archivio pol­ veroso o acquisendo i diritti per qualche recital finora inedito: quel­ lo newyorkese del 16 novembre 1975, per esempio, accessibile solo da quattro anni. Due siti internet ricchissimi di informazioni, sui quali si pos­ sono consultare discografia cronologica, discografia alfabetica, concertografia, repertorio, articoli, documenti e gli immancabili tri­ vio, siti in cui pure il ricercatore professionista, prima di control­ lare il tutto sulle fonti primarie quando è il caso, già può farsi un’i­ dea di quando nella sua carriera il pianista abbia eseguito Islamey di Balakirev oppure di quali siano le incisioni disponibili per la prima metà degli anni Quaranta, oppure su quali fossero i nomi

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dei due cagnolini appartenuti a lui negli anni Sessanta (per la cro­ naca, Peppi e Pippo), oppure del gatto tigrato adottato negli an­ ni Settanta (a nome Fussy). Un newsgroup con quasi ottocento iscritti, dei quali il noc­ ciolo duro si ritrova praticamente ogni giorno a fare due chiac­ chiere sull’argomento preferito. Discutendo su quanto sia parti­ colare la versione del 1957 delle Variazioni su un tema della Car­ men di Bizet o su quanto fosse dura ma necessaria la biografia di Glenn Plaskin, segnalandosi vicendevolmente rarissimi LP esau­ riti o subito ritirati dal commercio, dibattendo sulle nuove usci­ te discografiche, sulle trascrizioni, sul pianismo, e su una quan­ tità di altre tematiche. Una presenza continua di memorabilia e autografi piu o meno taroccati sulle aste online. Rari spezzoni video sui piu popolari si­ ti di condivisione online. Insomnia, migliaia (volendo essere cau­ ti) di persone che in tutto il mondo si scambiano informazioni e registrazioni, coltivando il culto di Vladimir Horowitz. Tutto è relativo, Horowitz non fu Elvis Presley, ma non si può non parlare di mito anche nel suo caso. E la memoria va alle in­ terminabili code per un biglietto alla Carnegie Hall, che fecero giustamente domandare a un osservatore: «Ma è per i Beatles?». Oppure a quella tale Kyoto Kato che a Tokyo fondò il Vladimir Horowitz Fan Club e che negli anni Ottanta segui il pianista nei suoi concerti a Parigi e Milano, presentandosi nella città italiana in kimono e con un cartello a forma di cuore con scritto sopra «I love Horowitz». Il suo mito, Horowitz lo seppe coltivare alla perfezione. In­ nanzitutto possedeva i necessari requisiti di partenza, come un aspetto fisico in qualche modo affascinante: bello come il sole ce lo descrivono le cronache russe dei primissimi anni, con tanto di ragazzine assatanate al seguito (fenomeno praticamente incom­ prensibile, oggi, se riferito a un musicista classico). Aveva l’aspetto di un pianista uscito dalla fantasia di un narratore ro­ mantico: era snello, attraente, pallido in volto; il suo profilo ricordava quello di Chopin. Aveva capelli lunghi e ricciuti e belle mani, e vestiva impeccabilmente; fin dai primi tempi era un dandy. Molti anni dopo,

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guardando una sua fotografia di quei giorni, Horowitz disse, sogghi­ gnando: “Ero un damerino”.1

Con l’andare del tempo l’avvenenza venne forse meno, ma non una certa finezza dei lineamenti. Aveva, poi, un’indole eccentrica, e sappiamo quanto l’essere fuori dalle righe possa aiutare nella crea­ zione di un mito: si veda per esempio il caso Glenn Gould. Non a tutti capitò, come a Horowitz, di poter dire al proprio accordato­ re che l’unico problema col pianoforte che si ha di fronte (dopo di che il suono sarebbe perfetto) è la presenza di quel nastro di stoffa rossa che corre sopra e sotto le corde nella porzione in cui esse non vibrano (e che è un oggetto giustamente rimosso dalla coscienza della maggior parte dei pianisti); l’accordatore sbigottito lo toglie, ma alla fine della sessione il pianista ci ripensa e spiega che la pros­ sima prova andrà meglio se il nastro sarà rimesso al suo posto. Non a tutti capitò di dire al proprio produttore discografico che in un certo segmento dell’esecuzione il volume di ascolto deve essere ab­ bassato di un decibel (uno!). Non tutti subordinarono la possibi­ lità di una tournée alla qualità delle sogliole che potevano essere fatte arrivare quotidianamente in un paese lontano, né decisero di suonare in pubblico solo alle quattro del pomeriggio e solo la do­ menica; non tutti raccontarono la quantità di aneddoti che rac­ contò Horowitz, e in generale pochi seppero usare i media e la pub­ blicità come lui. Non gli sfuggi l’importanza di celebrare gli anni­ versari della propria carriera con eventi memorabili. I venticinque anni, con un concerto nella stessa sala, con la stessa orchestra e con lo stesso pezzo del suo debutto americano un quarto di secolo pri­ ma; i quaranta con uno speciale televisivo; i cinquanta di nuovo con un’apparizione con orchestra, dopo però che la sua riluttanza a presentarsi in pubblico in circostanze diverse dal recital avevano reso questa eventualità un evento storico. Poi, l’interruzione dell’attività di concertista per dodici anni: l’unica cosa piu eclatante dal punto di vista pubblicitario rispetto a un famosissimo pianista che smette di suonare in pubblico è un I H .C . Schonberg, Horowitz, Rizzoli, Milano 1993, p. 53 (ed. orig. Horowitz: His Life and Music, Simon & Schuster, New York 1992).

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famosissimo pianista che smette di suonare in pubblico e poi fa un ritorno trionfale. Piu sta lontano dalle scene e piu il mito cre­ sce, fino a un certo punto, in cui occorre tornare. Non vi fu nel­ l’isolamento di Horowitz un calcolo cosciente, ma sta di fatto che la tempistica fu la migliore possibile. E infine, il proprio mito Horowitz lo coltivò conquistando se­ ra dopo sera (e a partire da un certo momento, pomeriggio dopo pomeriggio) il suo pubblico suonando un certo repertorio in un certo modo. Q ui giungiamo al nocciolo del discorso, perché Horowitz fu un pianista dallo stile personale e contrastato da mol­ ta critica. Nel suo rapporto con l’esecuzione vengono in primo piano scelte e modi di fare che oggi sono prevalentemente rimos­ si, ma che già lo erano in parte all’epoca in cui lui conquistava le platee. Proprio il concetto di “conquista” mette in allarme, perché suggerisce che l’interprete sta forse facendo leva sui desideri del pubblico, soddisfacendoli con fin troppa generosità, e magari sta tenendo il piu possibile nascosto il centro dell’esperienza musica­ le, che a tanti di noi sembra fatto anche di faticoso avvicinamen­ to all’opera e di frustrante tentativo di comprendere. Horowitz fu un pianista dalle doti tecniche inaudite, che mise in repertorio tutti i brani piu rappresentativi della letteratura virtuosi­ stica. Non lesinava emozioni, al suo pubblico. Nella pagina di mu­ sica dovevano essere valorizzati tutti quegli elementi che potevano sollecitare gli ascoltatori, stupirli e, perché no, divertirli; in ogni ca­ so conducendoli all’isteria e alla standing ovation. Pochi pianisti hanno regalato alle loro platee fortissimi cosi spettacolari, hanno por­ tato a punti culminanti cosi mozzafiato, pochi hanno interpretato il lirismo di certe pagine in maniera cosi immediata e sensuale. Pra­ ticamente nessun altro dalla sua generazione in poi, fatta eccezione per gli emuli, ha portato alle estreme conseguenze questo modo di fare realizzando da sé le parafrasi e trascrizioni necessarie al proprio repertorio, e chiamando in causa bestseller come la canzone di Car­ men o l’americanissima marcia Stars and Stripes Forever. Concessioni al pubblico? Subordinazione delle ragioni dell’ar­ te alle ragioni del successo? Prevalere dell’esibizionismo sul fare musica? Ecco domande frequenti, e legittime. Ma il punto di vi­ sta che sta dietro a queste domande, vedendo in esse delle sem-

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plici e amare constatazioni pili che degli interrogativi, è l’unico possibile per valutare un musicista? Nei giudizi che si pronunciano ogni giorno sembrano aver pre­ so piede piu spesso alcuni criteri e alcuni valori, e l’abitudine ad averli sempre li accanto nel momento del giudizio può far pensa­ re che essi siano dati, assiomaticamente. Ma sicuramente non è cosi, e anche se una certa consuetudine ci suggerisce che l’emo­ zione musicale debba essere tanto più preziosa quanto piu essa sonda nel profondo, quanto più diventa cultura, quanto più si ri­ vela esperienza difficile e faticosa, non c’è motivo per credere che questi siano valori indiscutibili. Non esistono giudizi assoluti, sganciati da un qualche sistema di criteri di valutazione, e perciò da un qualche sistema di valori. Una riflessione sui sedicenti assiomi del giudizio musicale (e sui loro speculari antagonisti) può essere un buon punto di partenza per un lavoro su Vladimir Horowitz.

Fisicità e spiritualità Viene detto e ripetuto in tante occasioni che la musica è la più spi­ rituale fra le arti. Una tesi che affonda le radici probabilmente nel­ l’alto grado di astrazione che sta alla base di questa disciplina: nes­ suna imitazione diretta della realtà naturale, infatti, a differenza di quanto accade in tante arti sorelle. In generale, non vi è alcuna combinazione di note che rappresenti un fiume o un fiore o una notte stellata, anche se invece, all’interno di alcuni linguaggi spe­ cifici, convenzioni del genere si sono create (un caso su tutti, il mondo del madrigale italiano). E anche se a livello molto astrat­ to alcuni concetti su cui si basa la nostra rappresentazione della realtà fanno parte anche dei significati musicali: che una combi­ nazione di note sia più luminosa o più oscura, oppure che al di là di sistemi di riferimento specifici una pagina di musica possa tal­ volta creare una suggestione acquatica o aerea o ignea, non sem­ bra una tesi troppo ardita. Per poter parlare di mimesi anche in musica, comunque, dal mondo classico in poi, si è escogitato soprattutto il concetto di

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imitazione degli affetti. Un pezzo di musica non mimerebbe dun­ que un paesaggio naturale, ma forse potrebbe mimare l’ira o la di­ sperazione o la calma, o il passaggio contrastato dall’una all’altra. Schema interpretativo, questo, che ancor piu solleva la musica da­ gli obblighi della fisicità, per non parlare poi dell’idea della musi­ ca come specchio della musica mandano, cioè dell’armonia delle sfere celesti. Una certa lezione romantica, infine, ha insegnato che tutte le arti in realtà aspirano proprio allo status della musica, su­ blime, astratta e disincarnata, strumento necessario per entrare in contatto con l’assoluto. L’aspetto prepotentemente fisico dell’emozione musicale non è stato del tutto trascurato da millenni di estetica della musica, ma si può ben dire che statisticamente abbia parecchio sofferto. C’è però un’osservazione semplicissima, persino banale, che do­ vrebbe dar da pensare. Ossia, che l’orecchio è un organo aperto. Il visitatore di un museo, di fronte a un’opera d’arte, può chiude­ re gli occhi, e poi riaprirli, e poi chiuderli ancora; oppure può de­ cidere di visitare un’altra stanza per poi tornare a quell’opera spe­ cifica. (Chi abbia visto Arancia meccanica ricorderà come la “cura Ludovico”, per agire, abbia bisogno che le palpebre del malcapi­ tato vengano continuamente tenute aperte). Chi ascolta un pez­ zo di musica non può chiudere le orecchie se non con le mani, e malauguratamente il bon ton esclude questa soluzione. La tecnologia, è vero, ha offerto un eccellente surrogato di un’i­ nesistente palpebra uditiva col pulsante di stop o di spegnimento dei riproduttori audio: l’orecchio resta aperto ma è ia musica a es­ sere fermata. Si vuol far riferimento qui però soprattutto al luogo deputato dell’esperienza musicale, cioè la sala da concerto. In es­ sa, l’ascoltatore è terribilmente in balia del musicista. E proprio questo è il punto. L’esecuzione di un pezzo di musi­ ca può agire in maniera forte sull’ascoltatore; in maniera “fisica”, appunto. Questo aspetto dell’emozione musicale viene chiamato in cau­ sa in modo eclatante da talune pagine, o da taluni interpreti. Pen­ siamo ai due colpi di martello nel finale della Sesta sinfonia di Mahler. Sono momenti in cui il suono orchestrale viene gonfiato dal com­ positore fino al punto di esplodere. Il limite di ciò che può ragio-

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nevolmente lasciare indifferenti viene oltrepassato: quei due pun­ ti della partitura scuotono “fisicamente” l’ascoltatore. È chiaro che l’esperienza, in questo come nella maggior parte dei casi, è ibrida, perché l’emozione dovuta al sovrappiù di decibel e soprattutto al­ la qualità timbrica inaudita si unisce all’emozione intellettuale del veder l’organico base dell’orchestra, soggetto in genere a trasfor­ mazioni ma non cosi spesso a rivoluzioni, violentato dalla presenza di un’incudine. O pensiamo a quel passo della Sagra della primavera, nel Cor­ teo del saggio, in cui Stravinskij sposta paurosamente l’equilibrio fonico verso il registro grave, con i contrabbassi divisi che scandi­ scono una sinistra cadenza di marcia. In questo caso non entra in gioco più nemmeno il volume di suono, ma solo la qualità dello stesso. Ancora una volta, intesa fisicamente. L’elenco di ciò che nel repertorio musicale può turbare a livel­ lo epidermico, sia pure in qualche misura condivisibile, dipende dalla sensibilità personale e ascoltatori diversi possono sentirsi pre­ si alla gola da musiche diverse e da interpreti diversi. Chi scrive, andando a pescare nella propria esperienza perso­ nale, può menzionare un finale della Settima sonata di Prokof’ev ascoltato dal vivo da Grigorij Sokolov in cui l’impressione di una direzionalità implacabile, in viaggio verso la finale esplosione di suono, era qualcosa di semplicemente inaudito. Non a caso si ci­ ta un esempio di azione fisica di una pulsazione ritmica sull’a­ scoltatore, visto che questo aspetto è fra i più evidenti in alcune interpretazioni di Horowitz, in particolare negli anni Quaranta. La porta per l’emozione tragica non è sempre la spiritualità. Cer­ ti brividi sono fisici, percorrono la spina dorsale e per un istante fan­ no vacillare le difese messe insieme dalla necessaria, quotidiana ri­ mozione del tragico. Un certo romanticismo maturo e un certo de­ cadentismo hanno aperto la porta senza riserve a questo aspetto del­ l’emozione musicale. L’immagine della proustiana signora Verdü­ nn è un geniale modello di elaborazione decadente di quest’idea: Se il pianista voleva suonare la cavalcata della Valchiria o il preludio del Tristano, la signora Verdurin protestava, non già che quella musica le di­ spiacesse, anzi, perché le faceva troppa impressione. “Allora ci tenete prò-

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prio che mi venga l’emicrania? Lo sapete che succede sempre cosi, quan­ do lui suona quella roba. So ben io quel che mi aspetta! Domani, quan­ do vorrò alzarmi, buonanotte, sarò distrutta!”.2

Passiamo ora ad esaminare una coppia di criteri dei quali il pri­ mo è stato, nella storia del pensiero occidentale, potentissimo, co­ stringendo il secondo, in taluni periodi, a sopravvivere quasi clan­ destinamente.

Superficie e profondità Sembra uno scontro impari. Il platonismo, innanzitutto, si fece garante dell’idea che il mondo visibile fosse una superficie da ol­ trepassare con le capacità conoscitive, un’apparenza dietro la qua­ le, in una qualche profondità logica, si celava la verità delle cose. E poi il cristianesimo, naturalmente. L’impulso a scrutare nel profondo diventa imperativo morale, per superare i limiti di una realtà tangibile destinata a passare e che non racchiude il vero. La superficie, fatta di rapporto non problematico con la realtà, fatta di sensualità e gioia di vivere, viene guardata con diffidenza o an­ che stigmatizzata. C’è anche una sfumatura sociologica: il pregiudizio che ciò che ha valore davvero debba essere per pochi e che ciò che infiamma le fol­ le (quelle da stadio) debba essere per lo piu considerato svago, di­ vertimento o produzione artistica di bassa lega. Magari (magari) sta­ tisticamente lo è davvero, però farne una teoria generale è pericolo­ so. La categoria di profondità, svincolata da ogni contesto, diventa spesso un’etichetta gratuita, un sigillo di garanzia, una certificazione di valore e dignità. Il luogo comune impera, in tante circostanze in cui si sente parlare di persone “profonde”, di libri “profondi”, di con­ versazioni “profonde”, persino di fiction televisive “profonde”. Ci sono state, fortunatamente, circostanze in cui una certa de­ riva dell’amore per la profondità è stata messa alla berlina. Alla

2 M. Proust, Dalla parte d i Swann, Newton Com pton, Roma 1990, p. 154.

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profondità, per esempio, quel burlone di Erik Satie dedicò un bre­ ve pezzo per pianoforte intitolato appunto Profondeur. Cromati­ smo appassionato, con un che di decisamente morboso, un meto­ dizzare che richiamava Wagner, abbondare di appoggiature e cosi via, immaginando la delizia di qualche signorina “bene” o di un qualche interno piccolo-borghese; la profondità canzonata in quan­ to messa in njostra di un contenuto psicologicamente impegnato. Non si intende qui (ci mancherebbe) affrontare il lato conosciti­ vo della questione, ossia se la realtà delle cose, in senso relativo o as­ soluto, debba risiedere in superficie o in profondità. È invece neces­ sario chiedersi se la categoria di superficie sia ammissibile in sede di giudizio estetico. Può essere bello ciò che non guarda nella profon­ dità di alcunché, non tanto perché non ci riesca, ma perché non ne ha nessuna intenzione? In che senso si può dire siano belli, per esem­ pio, l’inno americano o Stars and Stripes Forever? Si sta forse parlan­ do di un genere di bellezza di serie B, incommensurabile rispetto a quella, per esempio, di un Intermezzo di Brahms, cosi diversa da non meritare nemmeno di essere chiamata nello stesso modo? Si tratta, com’è evidente, di un problema difficile, perché a mol­ ti verrà spontaneo stabilire una differenza netta fra i due tipi di esperienza musicale, però c’è anche la sgradevole impressione che stigmatizzando la “superficialità” della marcia di Sousa si stia ca­ dendo in un qualche tranello del ragionamento. E poi, in che di­ rezione va la profondità? Bisogna cercare dietro le note, a lato di esse, oppure in un’altra direzione ancora che è estremamente diffi­ cile spiegare? L’ipotesi (almeno provvisoria) che si vuole proporre qui è che davvero vi sia un tranello, e che davvero la categoria della superficie possa essere una prospettiva da cui osservare e valutare alcune espe­ rienze musicali. Se non altro, in questo modo si è costretti a sdram­ matizzare l’enfasi costruita intorno al repertorio colto mitteleuro­ peo (triade viennese, Schubert, Brahms e cosi via), pratica che si può tranquillamente considerare salutare. E che qui è necessaria, visto che in diversi periodi della carriera di Horowitz questi auto­ ri ebbero una posizione defilata. In un outtake del film The Last Romantic, un Horowitz piu go­ liardico che mai e deciso innanzitutto a divertirsi nelle riprese ca-

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salinghe del film, non perde occasione per trasformarsi in jukebox e accennare l’inizio di una quantità di pezzi del suo reperto­ rio. Anche scegliendoli fra quelli pili leggeri: nel filmato ufficiale, per esempio, lo ascoltiamo accennare qualche battuta da una tra­ scrizione di Teafor two, mai eseguita in concerto. In uno degli outtake, Horowitz attacca invece la Polka di W. R. di Rachmaninov e commenta: «Questo, piace al pubblico!». Un’arcigna Wanda lo rimbecca subito: «Si, ma cosi non puoi piacere a tutti: diranno che sei superficiale!».

Istinto e riflessione Un pianista, di fronte alla pagina di musica, deve compiere delle scelte, perché il testo non dice tutto e subito. Ma la scelta giusta è quella che si presenta di primo acchito nell’osservare la pagina di musica o quella a cui si può arrivare dopo settimane, mesi, anni di frequentazione di quel pezzo? È l’intuizione di un istante o il frutto della riflessione? Non si può nemmeno pensare che l’inter­ prete sia solo di fronte al testo: su di esso hanno riflettuto tantis­ simi altri prima di lui, e le loro scelte sono state tramandate. La riflessione si organizza socialmente, diventa scuola. Ciò che può suggerire l’istinto di un interprete è almeno sospetto se va in una direzione diversa dal sedimentarsi di sforzi di comprensione de­ cennali o secolari, che nel frattempo sono diventati parola scritta, nei metodi, nei trattati, o nei saggi di storia dell’interpretazione. È abitudine comune pensare che le cose fatte meglio siano quelle fatte con calma e ponderatezza. Per sviscerare il testo servirebbe tempo, anche perché, la scolastica insegna, i possibili livelli di let­ tura sarebbero parecchi e non si finirebbe mai di andarci dentro. L’istinto, che al di fuori dell’interpretazione della musica colta esce allo scoperto nelle discipline improwisative e nel jazz, in quel­ la è talvolta costretto a sopravvivere alla macchia. Confidare in un rapporto estemporaneo col testo significa sfidarsi volta per volta a rileggerlo. L’isdnto vive nel concertista che sera dopo sera, eseguendo uno stesso pezzo, si scopre sempre vergine di fronte ad esso; che ad ogni recital riesce a darne una lettura in qualche modo diversa.

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La fiducia di un interprete nell’estemporaneità può dipendere dall’idea che quell’interprete si è fatto del testo. Se il testo è un si­ stema di segni del quale è data implicitamente (dal contesto, per esempio, o dalle pieghe stesse del testo) anche una chiave di decifrazione, allora, se l’esecutore è abbastanza in gamba, si può giun­ gere a una realtà acustica vicina a quella auspicata dall’autore. Di conseguenza (’obiettivo da perseguire è uno, e non sembra aver sen­ so sforzarsi di rovesciare ad ogni recital la prospettiva interpretati­ va, mettendo a repentaglio le conquiste parziali già realizzate e ri­ schiando di indietreggiare nel percorso di comprensione del testo. Se invece il testo è un sistema aperto, irrimediabilmente lacu­ noso per le insufficienze della scrittura musicale e per il passare del tempo che ci allontana dalla volontà d’autore, può darsi che i se­ gni scritti debbano essere un punto di partenza per l’attività crea­ tiva dell’interprete. Allora la programmatica moltiplicazione dei punti di vista, giorno dopo giorno, permette di dar vita al testo non in quanto unità, ma in quanto galassia di possibilità.

L’io e l ’altro Si è giunti cosi a trattare di quell’io che è l’interprete e di quell’altro che è il compositore. Questa forse è la coppia di criteri più importante e la piu sfuggente, fatta di necessaria onestà intellet­ tuale ma anche di chimere, di autoinganni e illusioni. L’interpre­ te è un nostro contemporaneo. L’interpretato è invece separato da noi da una barriera temporale a volte enorme, si serve di codici che siamo in grado di ricostruire solo a metà, ma - soprattutto era inserito in un contesto in cui il far musica spesso era cosa di­ versa dal far musica oggi. Prendendo le mosse dalla coppia di cri­ teri precedente, la riflessione sembra essere la via per arrivare al­ l’altro, direzione verso la quale la storia della cultura musicale, or­ mai da parecchio tempo, ha fatto pendere la bilancia. «Realizzare la volontà d’autore», o comunque arrivare il piu vicino possibile all’obiettivo, questo è il dettato. Il ventesimo secolo è stato segnato dall’avvento e dal furoreg­ giare dell’“esecuzione storicamente informata”. NeH’ambito del-

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l’interpretazione pianistica si può dire? che questa pacifica (ma for­ se neanche tanto) rivoluzione si è attuata in due tappe. Per la pri­ ma possiamo fare un nome in particolare, quello di Schnabel, e due altri nomi in seconda istanza: Backhaus e Fischer. Se fino a Schnabel i pianisti avevano la sensazione, ma giusto la sensazione, che il testo scritto fosse un valore importante, Schnabel per la pri­ ma volta ha dichiarato a chiare lettere, non solo a parole, ma con tutta la sua attività di pianista, che il testo non è semplicemente importante, ma sacro e intangibile, e che il pianista ha il dovere di rendere intelligibile tutto ciò che è nel testo. Con «tutto ciò che è nel testo», intendiamo note, ritmi, dinamiche, segni di articola­ zione e di espressione, pedali e altro ancora. Nella sua integrale di Beethoven, Schnabel fa sentire praticamente ogni segno del testo. Il punto su cui si ferma Schnabel è quello da cui parte poi la mo­ derna esecuzione storicamente informata. La premessa che sta al­ la base di questa è che esista una sorta di idea platonica dell’opera musicale* e che questa idea platonica la si debba restituire il più fe­ delmente possibile. Con la differenza che l’idea platonica del pez­ zo per pianoforte coll’andare avanti del secolo cominciò a non com­ prendere piu solo il testo scritto, ma quantomeno anche la sua de­ codifica corretta e la sua esecuzione sullo strumento giusto. Per quanto riguarda il testo, occorre che qualcuno ne realizzi un’edi­ zione critica e che ci si basi su questa. Quanto alla decodifica del testo, secondo lo storicismo occorre studiare a fondo la prassi in­ terpretativa del periodo in cui è stato composto il brano, per esse­ re certi di decodificarlo in maniera corretta. Per quanto riguarda il problema degli strumenti originali, occorre capire per quale stru­ mento era stata pensata la tal composizione ed eseguire oggi quel­ la composizione su uno strumento il più possibile simile a quello. I dibattiti sollevati dal concetto di esecuzione storicamente infor­ mata sono stati moltissimi. Piace ricordare, fra i tanti, il parados-34

3 Cfr. P. Rattalino, “Contropremessa ideologica: ragguaglio sentimentale sullo stato del[’interpretazione”, in Pianisti efortisti, Ricordi-Giunti, Milano-Firenze 1990, pp. 535-568. 4 Sugli aspetti “platonici” del filologismo cfr. per esempio J. Butt, Playing w ith history, Cambridge University Press, Cambridge 2002, in particolare il capitolo “Historical per­ formance and ‘truth to the work’: history and subversion o f Platonism”, pp. 53-73.

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so per cui realizzando nella maniera pili letterale e puntigliosa pos­ sibile la volontà d’autore, in realtà la si potrebbe tradire. Ammet­ tiamo per esempio che sia possibile ricostruire scientificamente la dinamica che Mozart immaginava per una sua composizione, ad­ dirittura i livelli dinamici assoluti, espressi in decibel. Quindi, la precisa idea platonica della dinamica di Mozart in quel pezzo. Sem­ brerebbe, allora, che all’interprete non resti altro da fare che ba­ sarsi su questi livelli dinamici, aggiungendoci di suo, naturalmente, tutta la sensibilità di cui è capace e un certo margine di creatività che non guasta. Eppure, i livelli dinamici ricostruiti scientificamente potrebbero paradossalmente portarlo fuori strada. Am­ mettiamo infatti che la tale dinamica, o la tale sonorità, tanto per essere meno schematici, fosse al tempo di Mozart rivoluzionaria; potrebbe ben darsi che la stessa sonorità suoni oggi alle nostre orec­ chie, in un contesto completamente cambiato, tu tt’altro che ri­ voluzionaria, e magari del tutto inoffensiva. Ecco che perciò si sa­ rebbe rispettata la lettera ma forse non lo spirito, perdendo gran parte del potenziale rivoluzionario di quel passaggio.

Formae mentis I primi e i secondi membri delle coppie su cui abbiamo finora riflet­ tuto, non è possibile sistemarli nella colonna sinistra e nella colon­ na destra di qualche rigida tabella. La realtà delle cose è complessa e non è permesso semplificarla a piacere. Se comunque, anziché una tabella rigida e dai contorni chiusi, immaginiamo due insiemi dai confini abbastanza flessibili e dalle forme fluide, e se nel primo in­ sieme sistemiamo i primi membri delle coppie e nel secondo i se­ condi, vedremo che ogni elemento tenderà a socializzare pili facil­ mente con gli altri elementi dello stesso insieme. Insomma, chi sia propenso a riconoscere alla superficie delle cose tutta la sua dignità probabilmente avrà anche il desiderio di confidare nel potere del­ l’istinto. Chi invece si senta spronato a oltrepassare senza indugi, sempre e comunque, l’aspetto fisico della realtà che ha di fronte, presumibilmente darà alla riflessione, e a quella sua sedimentazio­ ne che è la cultura, un piu che giusto peso.

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Sia pur nel mezzo di relazioni molteplici, che escludono un’ec­ cessiva schematicità della rappresentazione, si possono intravedere due formae mentis. La prima delle quali è la prospettiva in cui oc­ corre mettersi per afferrare l’arte di Vladimir Horowitz. La fisicità dell’interpretazione è un aspetto prevalente e indispensabile del suo far musica. Assolutamente fisica è l’emozione che coglie chi ascolti i primi accordi del Primo concerto di Cajkovskij, o le ultime pagine della Sesta rapsodia ungherese di Liszt nell’esecuzione del pianista rus­ so naturalizzato americano. Non è possibile inquadrare efficace­ mente il suo approccio all’adattamento e alla trascrizione di brani se non tenendo conto della sua radicata fiducia nell’istinto, che gli permette di capire, ma che anche lo porta a fraintendere talune pa­ gine di musica che ha di fronte. Un giudizio su quanto senso abbia eseguire in pubblico una trascrizione di Stars and Stripes Forever non può prescindere da una riflessione sulla superficie dell’esperienza musicale. Una superficie che può entusiasmare o disgustare, en­ trambe le opzioni sono ovviamente lecite, ma che deve essere con­ siderata in se stessa, e non in quanto privazione della profondità. Alcune interpretazioni di Horowitz cosi come alcuni suoi interventi sui testi (si pensi alla sua versione dei Quadri da un’esposizione di Musorgskij) mostrano inoltre come la bilancia possa essere fatta pen­ dere dal lato delT'io” e non da quello di un “altro” che è il testo mu­ sicale, e come un certo genere di esecuzione storicamente informa­ ta gli fosse in ultima analisi indifferente. Si vuole subito chiarire che non si intende costruire un’apolo­ gia indifferenziata dell’arte di Horowitz. Anzi, dal procedere del discorso emergeranno non solo le predilezioni musicali di chi scri­ ve, ma anche segnalazioni di interpretazioni del pianista che fran­ camente non è il caso di portare sempre con sé. Non si desidera giustificare l’operato di Horowitz sulla base di diversi criteri di giu­ dizio rispetto a quelli più attestati, quanto invece porsi nella pro­ spettiva giusta per capire che cosa lui volesse realizzare e quanto ci sia riuscito, sospendendo temporaneamente il giudizio su quan­ to valesse la pena di perseguire i suoi obiettivi. La chiarificazione delle due formae mentis che grosso modo pos­ sono star dietro a un giudizio estetico serve anche a interpretare un particolare comportamento di Horowitz esegeta di se stesso: il

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tentativo di spostare l’attenzione dell’osservatore dal primo al se­ condo insieme di criteri. È, questo, un tema fondamentale di que­ sto lavoro. Con tutta la prudenza che è dovuta quando si voglio­ no ridimensionare, o addirittura confutare, dichiarazioni di un ar­ tista che parla di se stesso, uno dei propositi di questo libro sarà quello di suggerire perché si può anche non essere d’accordo con Horowitz quando al tal giornalista spiegò che cinque, dieci, quin­ dici anni prima faceva pivi spettacolo che musica, si preoccupava pivi del pubblico che dell’opera d’arte, capiva meno ciò che aveva di fronte e, tout court, era un artista inferiore. Questa versione dei fatti, che al limite può essere utile come chiave di lettura (molto) parziale per confrontare l’arte di Horowitz prima e dopo il primo ritiro dalle scene (1937-38), è semplicemente falsa se la si vuole spo­ sare per parlare di quest’arte prima e dopo il secondo, lungo, pe­ riodo di inattività (1953-65). Fu negli anni Quaranta che cominciai a calare intellettualmente e arti­ sticamente. Il mio pianismo diventò troppo brillante. Suonavo tutto trop­ po veloce, anche le mie trascrizioni.5

I giornalisti fecero rimbalzare quest’idea su numerosissime pa­ gine di quotidiano e di rivista: La pili grande misura del “nuovo” Horowitz può essere trovata nei pas­ saggi lirici, che ora hanno una semplicità di base e una scorrevolezza ri­ lassata che contrasta fortemente colla precedente, febbrile nevrosi.56

Ma ad esprimersi in questo modo furono anche produttori di­ scografici, agenti e rappresentanti del pianista: C ’era una pastosità, un calore e una qualità introspettiva che fino a quel momento non si era mai ascoltata. Il carattere febbricitante, duro, me­ tallico, percussivo non c’era più. Sebbene la qualità demoniaca fosse an-

5 G. Plaskin, Horowitz, W illiam M orrow & Co., New York 1983, p. 248 (la traduzio­ ne delle citazioni è nostra). 6 Ivi, p. 322.

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cora intatta, c’era una maggiore varietà di timbri, e in generale [Horowitz] era meno nervoso.7

In questi casi il depistaggio svela i suoi scopi commerciali: nel­ l’oggi si gioca il successo di un artista e la fortuna del suo entou­ rage, perciò l’oggi è bene che sia piti bello dello ieri, cosi come lo ieri lo era pili dell’altroieri. Horowitz, invece, cedette all’umanissima tentazione di vedere la sua carriera di artista come un tutto ben direzionato, in cui a ogni livello del fare arte si stia verificando un progresso costante e inarrestabile verso ciò che per l’uomo è la perfezione possibile. Ma anche a prescindere dal problema del declino fisico, che in qual­ che forma deve pur manifestarsi e che non può essere compietamente rovesciato dal progredire spirituale, l’immagine della frec­ cia che punta dritta avanti a sé è paurosamente schematica. Quan­ to pili fedele alla realtà, in generale, può essere un’immagine che tenga conto di cambiamenti di direzione, di apici imprevisti e as­ soluti, di momenti di calo, di stagnazione, e soprattutto di una pluralità di obiettivi, ognuno dei quali sia ciclicamente raggiunto o mancato, ma comunque poi destinato ad avvicendarsi al suc­ cessivo. Con un soggiacente iter direzionato, piu o meno sensibi­ le, che possiamo chiamare il percorso dell’artista, ma che non pos­ siamo elevare a feticcio. Si è appena detto che questa non vuole essere un’agiografia di Horowitz e neanche un’incondizionata giustificazione del suo far musica, per cui punterà l’attenzione (nell’unica maniera possibi­ le, cioè secondo un’ottica soggettiva) anche sugli apici e sui mo­ menti di declino artistico. Sarà interessante vedere come essi non si succederanno in modo teleologico a costituire l’immagine del­ la freccia di cui sopra: no, l’assoluto fascino della Serenadefo r the D o liti Debussy incisa nel 1933 non è neppur lontanamente avvi­ cinato da alcuna delle tante esecuzioni successive tramandate dal disco. Gli anni Quaranta ci parleranno di un Horowitz non sol­ tanto virtuoso al di là di ogni possibile immaginazione, ma anche7

7 Ivi, p. 319.

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di interpretazioni di una drammaticità ineguagliata. Nello stori­ co ritorno degli anni Sessanta avremo di fronte talvolta il “nuovo” Horowitz, che poi farà davvero mostra di sé nell’ultimo lustro di carriera. Fra la Polacca-fantasia di Chopin registrata nel 1951 e le Kinderszenen di Schumann del 1987 non vi è progresso, ma infi­ nito cercare e trasformarsi.

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Infanzia Dei ricordi personali di un artista è sempre lecito diffidare. Que­ sto è vero in particolare nel caso di Vladimir Horowitz, maestro come pochi nel fare e disfare aneddoti, memorie, resoconti; e nel caso di sua moglie Wanda Toscanini Horowitz, sua compagna di viaggio nell’arte del romanzare. Ciò che rende possibile verificare l’attendibilità dei resoconti è la ricerca d’archivio, ma questa, si sa, è un’attività faticosa, senza certezze e in larga parte frustrante. Gli archivi vengono smembrati, spostati, manipolati e anche distrut­ ti. Per fortuna, con i grandi musicisti ma pili in generale con i grandi uomini è destino che arrivi un momento in cui i ricerca­ tori si mettono finalmente sulle tracce dei documenti mancanti. Certificati di nascita, di morte, di matrimonio, attestati scolasti­ ci, domande di ammissione, verbali d’esame e cosi via. Non si cre­ da che sia un’attività accademica nel senso pili arido del termine, perché se ben indirizzata (specie se non comincia a girare a vuo­ to) è la base della scientificità biografica. Il documento inoppu­ gnabile (o quasi) può rimpiazzare i ricordi di parenti e amici, la lettera scritta sostituisce l’oralità lacunosa, e quella che con una buona approssimazione si può definire la realtà dei fatti dà il cam­ bio a quella che molte volte è ricostruzione fantasiosa. La ricerca d’archivio su Horowitz, praticata in diverse forme anche dai primi biografi (si pensi alle tante lettere conservate dal­ la Steinway & Sons e citate da Glenn Plaskin nella sua biografia) ha conosciuto una svolta netta nel 2002, quando due musicologi russi, Jurij Zil’berman e Julija Smiljanskaja, hanno pubblicato un Kievskaja simfonija Vladimira Gorovica (“La sinfonia di Vladimir

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Horowitz a Kiev”)1 in cui hanno reso noti numerosissimi dettagli dell’apprendistato russo di Horowitz, basandosi su documenti fa­ ticosamente strappati all’oblio. Il risultato piu eclatante (anche se forse non cosi essenziale per penetrare l’arte del pianista) è stato l’esibizione del certificato di nascita di Horowitz, precedentemente pubblicato solo su una rivista russa che in Occidente non aveva avuto alcuna eco. Finalmente possiamo dire con una buona dose di certezza che Horowitz nacque a Kiev il primo ottobre (calen­ dario occidentale) del 1903. Sia il luogo, sia la data di nascita erano stati oggetto di piccoli grandi enigmi. Pili semplice quello relativo alla data, visto che, an­ che se ufficialmente Horowitz si dichiarava nato nel 1904, gli in­ timi sapevano che in realtà era nato un anno prima. Horowitz, ba­ nalmente, aveva dovuto contraffare il proprio documento di iden­ tità per evitare che nel 1925, invece di dargli un permesso di espa­ trio, lo indirizzassero verso il servizio militare. Estremamente piu complicato invece il problema del luogo. Ufficialmente, si trattò sempre di Kiev, perché Horowitz sostene­ va che il suo luogo natale fosse proprio quello; non vi erano mai stati dubbi, d’altronde, sul fatto che - luogo di nascita a parte l’infanzia Horowitz l’avesse trascorsa proprio a Kiev. Ma poi ven­ ne fuori l’ipotesi Berdicev, «un’oscura città ucraina con un gran­ de ghetto a circa centotrenta chilometri a sud-ovest di Kiev».23Re­ sponsabile del depistaggio fu Wanda Horowitz, la quale riferì in un’intervista che il marito, ovviamente, era nato a Berdicev: «Tut­ ti gli ebrei russi sono nati a Berdicev!».3 A questo punto la questione Kiev-Berdicev assunse l’aspetto di una piccola querelle culminata in casi di autosuggestione. Si spie­ gava che Horowitz probabilmente aveva taciuto il suo vero luogo di nascita perché 1 Ju. Zil’berman, Ju. Smiljanskaja, Kievskaja sim fonija Vladimira Gorovica, Kniga I, [s.e.], Kiev Z002. Per i termini russi si adotta di norm a la traslitterazione scientifica, sal­ vo alcuni casi di nom i propri conosciuti in Occidente con una diversa traslitterazione (non soggetta a variazioni nelle diverse aree geografiche), che perciò si è preferito m an­ tenere (è il caso per esempio di Theodor Leschetizky). 2 H .C . Schonberg, Horowitz, cit., p. 33. 3 Ju. Zil’berman, Ju. Smiljanskaja, op. cit., p. 12 (la traduzione delle citazioni è nostra).

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sullo scorcio del secolo Berdicev era guardata con disprezzo dagli ebrei russi piu facoltosi, e per tutti i russi l’espressione spregiativa “un ebreo di Berdicev” voleva dire “un ebreo della classe piti bassa”. Nessun ebreo di Berdicev che, lasciata la città, avesse fatto fortuna, desiderava che gli si ricordasse dov’era n ato.4

Il che era plausibile, anche se occorre far presente che Berdicev non era un luogo fatiscente, bensì il secondo centro per importanza in­ dustriale e commerciale della regione di Kiev dopo il capoluogo.5 Voci di dizionario e schede biografiche su Horowitz comincia­ rono a menzionare l’oscura cittadina. Ci fu anche chi spiegò che questa versione era stata confermata da un rabbino in un’attesta­ zione giurata; ammettendo poi, però, di non aver visto personal­ mente il documento.4567Nathan Milstein dichiarò recisamente che Horowitz era nato a Berdicev, perché glielo aveva detto una zia del pianista. Una prima cugina di Horowitz, invece, spiegava che se­ condo l’usanza si andava a partorire dalla nonna materna del nasci­ turo, e visto che nel caso di Horowitz questa abitava a Kiev, non po­ tevano esserci dubbi in materia. Una gran confusione, insomma, a cui solo il ritrovamento dell’atto di nascita poteva metter fine. A mo di postilla (e a scombinare le carte in extremis) riferiamo che a Berdicev una famiglia Horowitz (secondo la grafia russa Gorovic) c’era per davvero, ed era una delle piu benestanti.7 La madre di Horowitz, Sof’ja Bodik, era pianista non profes­ sionista ma di un certo valore. Aveva studiato dal 1888 alla Scuo­ la Musicale di Kiev nella classe di Vladimir Puchal’skij, noto pia­ nista che venticinque anni dopo sarebbe stato anche il primo in­ segnante di Horowitz nello stesso istituto. Sof’ja era stata ammessa direttamente al corso medio, il che lascia supporre che avesse ri­ cevuto una seria preparazione musicale casalinga; durante gli stu­ di il suo nome era poi apparso piu di una volta nei programmi dei concerti scolastici. Si può dedurre che il livello della tecnica pia-

4 H .C . Schonberg, Horowitz, cit., p. 33. 5 Cfr. Ju. Zil’berman, Ju. Smiljanskaja, op. cit., p. 12. 6 Cfr. H .C . Schonberg, Horowitz, cit., p. 33. 7 Cfr. Ju. Zil’berman, Ju. Smiljanskaja, op. cit., p. 12.

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nistica di Sof’ja fosse abbastanza elevato dal fatto che già tre anni dopo l’ammissione esegui il primo tempo del Concerto di Litolff in Mi bemolle maggiore, che per il proprio insegnante Puchal’skij era stato invece pezzo da diploma. Non intraprese, comunque, la carriera di musicista. L’estate del 1894 fu cru­ ciale nella vita di Sof’ja Bodik e in quella di Samuil Gorovic. Sof’ja ab­ bandonò gli studi. Il suo nome scomparve dagli elenchi degli allievi. Nel registro dei matrimoni della popolazione ebrea della città di Kiev appaio­ no [...] le seguenti annotazioni: nella colonna “chi esattamente contrae matrimonio e con chi [...]” troviamo scritto “Samuil, all’anagrafe Samoli, Ioachimovic Gorovic, celibe, studente del corso di scienze della facoltà di fisica e matematica dell’università Beato Vladimir con Sof’ja, all’anagrafe Sonja, Jakovlevna Bodik, figlia di kieviano della prima categoria mercan­ tile” [...]. Il rito fu celebrato dal rabbino il 7 giugno 1894. La sposa aveva 22 anni, lo sposo 23. Samuil non aveva ancora ricevuto il diploma univer­ sitario. [...] Venti giorni dopo le nozze, il 27 giugno 1894, Samuil Gorovic si diplomò. Questo diede a Samuil uno stato sociale abbastanza alto. Pri­ ma di tutto gli ebrei che ricevevano un’istruzione universitaria avevano di­ ritto alla residenza in tutte le città dell’impero russo, ivi compresa Kiev. Per questo in tutti i documenti che presentava a suo nome, Samuil Gorovic segnalava immancabilmente: “diplomato all’università Beato Vladimir”. In secondo luogo il diploma dava la possibilità di provvedere alla famiglia. Quasi subito dopo aver concluso l’università, Samuil Gorovic fondò una piccola ditta che forniva apparecchiature elettriche alle imprese di Kiev. In seguito prese come socio il fratello della moglie e suo compagno di studi Aleksandr Bodik. La ditta elettrotecnica S .I Gorovic &A.Ja. Bodik si tro­ vava in via Proreznaja 26, cioè non molto lontana dalla casa di Samuil.8

E cosi, il padre assicurava alla famiglia un certo benessere eco­ nomico, mentre la madre era il legame fra questa e il mondo mu­ sicale. I figli di Samuil e Sof’ja erano quattro: Regina, Jakov, Grigorij e Vladimir, ultimo arrivato. Tutti e quattro studiarono mu­ sica alla Scuola di Kiev; Regina e Jakov furono iscritti in una clas-

8 Ivi, p p . 103-105.

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se di pianoforte, Grigorij in una di violino. Pare che Regina fosse particolarmente dotata, e questa circostanza è sempre conferma­ ta da Horowitz nelle sue interviste. Parlare della famiglia di Horowitz significa parlare di destini tragici. Di Jakov si sa che nel 1915 fu chiamato alle armi e che si avvalse della proroga che spettava agli studenti del Conservatorio; l’anno dopo, però, le proroghe cominciarono a non valere pili, perciò Jakov dovette partire per il fronte, dove mori. Grigorij invece si tolse la vita a Leningrado, dove si trovava in una clinica psichiatrica. David Dubai riferisce che Horowitz ricordava il 1922 come anno della morte del fratello. Il nome di Grigorij ap­ pare però in un articolo del 1923 sulla «Proletarskaja Pravda» in cui si tratta della Filarmonica di Kiev, di cui il fratello di Horowitz sem­ bra essere stato uno dei fondatori. Glenn Plaskin riferisce della mor­ te di Grigorij nel periodo della tournée di Horowitz e Milstein a Le­ ningrado, senza specificare però la data; si può ipotizzare perciò che il tutto avvenne nel 1924 se non addirittura nel 1925, quando ter­ minò la tournée. Horowitz non parlò mai di questo fatto e Plaskin spiega come egli rievocasse solo episodi musicali legati al fratello, nel chiaro intento di respingere la memoria di quei fatti. Volodia (questo il vezzeggiativo russo per Vladimir) cominciò a ricevere lezioni dalla madre verso i cinque anni e dimostrò da subito talento musicale. Fra i diversi aneddoti riguardanti i segni di un’affinità elettiva fra lui e il pianoforte possiamo citare il rac­ conto di una governante di casa Horowitz, relativo all’epoca in cui il rampollo aveva cinque o sei anni: Seduto al pianoforte, suonava imitando il fragore del tuono, e, per illu­ strare la musica, inventava una piccola storia. Quando Volodia ebbe fini­ to e andò via, Samuel, che era stato ad ascoltare in un’altra stanza, raggiunse la governante e disse: “Quel ragazzo diventerà un pianista famoso”.?

Non dobbiamo però immaginarlo, nei primi anni di apprendi­ stato casalingo e poi alla Scuola Musicale di Kiev, come uno stu-9

9 H.C. Schonberg, Horowitz, cit„ p. 39.

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dente interessato innanzitutto al pianoforte e determinato a fare di sé un concertista: gli interessi di Horowitz erano molteplici ed al­ cuni precedevano nella lista delle priorità lo studio pianistico ordi­ nario. Una sua passione smodata era per esempio il canto e l’opera lirica. Sono in parecchi a ricordarsi di lui seduto al pianoforte nel­ l’atto di leggere entusiasticamente pagine e pagine di Wagner. Mia madre era fuori di sé; pensava che non sarei mai diventato un vero pianista. Io facevo collezione di dischi di cantanti; di pianisti mai. Mi in­ teressavano Battistini e Caruso; e sul pianoforte tentavo sempre di imi­ tare i cantanti.10

Un altro interesse vivissimo fu la composizione, che negli anni Dieci-Venti si concretizzò in una serie di interessanti juvenilia che sono fortunosamente giunti fino a noi. Una figura importante nei primi anni di Horowitz fu l’unico pia­ nista in attività della famiglia, lo zio paterno Aleksandr Gorovic: Viveva a Kharkov, una città situata a circa 400 chilometri a occidente di Kiev. K harkov era un centro commerciale, e, anche, una città cosmo­ polita, con un’università, un’importante biblioteca, e una fiorente vita musicale. Lo zio Alexandr era un personaggio molto in vista come pia­ nista insegnante, critico, e, anche, come un uomo eccentrico. Natala11 lo descriveva come “un tipo originale, alto, ossuto, con grandi baffi co­ me non se ne vedono mai. Aveva il grosso naso degli Horowitz. Chi lo incontrava una volta non lo scordava mai più”.12

Aveva studiato a Kiev ma poi era entrato al Conservatorio di Mosca nella classe di Skrjabin. Il suo apprendistato con quest’ul­ timo era stato brillante e pare che, quando all’esame finale una commissione antisemita aveva riconosciuto ad Aleksandr una me­ daglia d’argento e non d’oro, Skrjabin avesse protestato formal­ mente. Fra le lettere di Skrjabin, inoltre, ve n’è una che men10 Ivi, p. 40. 11 Natala Saitzoff, prima cugina di Horowitz, iz H .C . Schonberg, Horowitz, cit., p. 38.

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ziona l’esecuzione di un concerto di Liszt da parte dello zio di Horowitz; in questa lettera il compositore e pianista parla del pro­ prio allievo definendolo senza mezzi termini un virtuoso di razza. Aleksandr Gorovic ricevette poi l’offerta di un posto di inse­ gnante alla Scuola di Char’kov, dove si trasferì. Si inserì brillantemente nella vita musicale del luogo e divenne un concertista sti­ mato, con un repertorio vasto nel quale spiccavano opere di Skrja­ bin, fra cui la Seconda e la Quarta sonata. Ad Aleksandr Gorovic si dovette l’incontro del giovane Horowitz con Skrjabin. Il compositore doveva tenere un concerto a Kiev, per­ ciò Aleksandr Gorovic gli chiese di ascoltare il nipote. Skrjabin, probabilmente, era infastidito; mancavano poche ore al suo concerto e lui doveva star li a sentirmi suonare. Era basso di statura, ele­ gante e nervoso. Poche ore dopo avrebbe dovuto eseguire due delle sue ultime, difficili sonate, e non poteva provare un grande interesse per un ragazzino ebreo di Kiev. Io suonai un valzer di Chopin, la Melodia di Pa­ derewski e A u Couvent ài Borodin. Del mio modo di suonare non volle dir nulla, forse per gentilezza. Disse, invece, che dovevo diventare una persona colta. C ’erano, disse, molti pianisti, ma pochi di loro erano per­ sone colte.

All’inizio degli anni Venti, Aleksandr Gorovic avrebbe avuto un ruolo importante nel promuovere e organizzare alcuni dei pri­ mi concerti del nipote. Poi, per via degli effetti della Rivoluzione, dovette trasferirsi in uno scantinato, dove contrasse la tubercolo­ si e morì nel 1927. Horowitz entrò alla Scuola Musicale di Kiev all’inizio del 1913, anno importante per la Scuola perché si convertiva in Conservatorio, nuovo status che le assicurava maggiore sicurezza e dignità. Il primo insegnante di Horowitz fu Vladimir Puchal’skij. Questi era nato a Kiev ma si era trasferito adolescente con la famiglia a Pie­ troburgo. Qui aveva studiato al Conservatorio con Leschetizky fino al 1874, distinguendosi come uno dei pianisti più dotati. Nei due

i j Ivi, p. 16.

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anni successivi aveva insegnato in quello stesso istituto, finché nel 1876 non aveva ricevuto l’invito ad insegnare nella Scuola Musica­ le di Kiev. Con lui era fiorita la vita musicale della città ucraina; fra i pianisti che furono suoi allievi si può menzionare per esempio Brailovskij, e naturalmente Horowitz e la sua famiglia. Nel 1877 era di­ ventato direttore della Scuola e aveva continuato a esserlo per trentasette anni. In poco tempo questa era diventata una delle piu im­ portanti deU’Impero di Russia, visto che Puchal’skij si era dato da fare per chiamare i migliori diplomati dai Conservatori di Mosca, Pietroburgo e Praga, creando un gruppo di giovani insegnanti di al­ to livello. Un’istituzione cittadina, insomma. Nella sua classe si coltivava il culto per la musica romantica: Liszt, Chopin, Schumann innanzitutto. Ma Horowitz rievocò il suo ap­ prendistato con Puchal’skij in termini non entusiastici: Già allora io suonavo in modo molto diverso da quello degli altri suoi studenti, e questo non gli piaceva. Mi prendevo molta piu libertà di quan­ ta gli andasse a genio. Non riuscivo a sopportarlo. Lo odiavo. Era un an­ tisemita, una persona molto sgradevole. Era capace di dire alla sua clas­ se di trovarsi nella sua aula la mattina dopo alle quattro; cosi, alle quat­ tro, eravamo li. Ma lui, magari, non si faceva vedere fino alle nove e mez­ zo, e noi dovevamo aspettarlo. Si lagnava di me con mia madre: “Vostro figlio è terribile. Non ha disciplina, non ha niente. Suona tutto troppo in fretta, troppo forte”. Forse aveva ragione. Quando ero giovane mi con­ trollavo molto meno di adesso. Lui esigeva un modo di suonare orto­ dosso. Se uno era diverso dagli altri non poteva essere bravo; era questo il suo modo di pensare. M a io, allora, non me ne curavo, e non me ne curo neppure adesso. Quando avevo otto anni il mio stile, in un certo senso, era già formato. Quando ne ebbi quindici era formato del tutto.14

Puchal’skij fu il primo di tre insegnanti con cui Horowitz studiò al Conservatorio, ma non è focile ricostruire in modo certo la cronolo­ gia. Fra i risultati piu interessanti della ricerca condotta negli archivi di Kiev vi è il ritrovamento di documenti scolastici che chiariscono un

14 Ivi, p. 42.

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po’ la questione, per cui ora possiamo sapere per quanto tempo “uffi­ cialmente” il pianista studiò con ognuno dei suoi insegnanti, e pos­ siamo (molto cautamente) fare ipotesi su quanta influenza sia da at­ tribuire all’uno o all’altro nella sua formazione pianistica e musicale. All’inizio dell’anno scolastico 1914-15 giunse alla Scuola di Kiev co­ me insegnante Sergej Tarnovskij. Tarnovskij era stato studente nello stesso istituto dal 1895, ma in seguito aveva studiato a San Pietrobur­ go con Annet Esipova, allieva e poi seconda moglie di Leschetizky. David Dubai, nel suo libro, sostiene che il periodo decisivo per la crescita pianistica di Horowitz sia stato proprio quello trascorso nel­ la classe di Tarnovskij: dai dodici ai sedici anni d’età.1*Anche altri bio­ grafi di Horowitz si attengono a questa cronologia. Per esempio, in un articolo su Tarnovskij del critico americano Jerry Wagner si legge: Tarnovskij aveva una cosi grande reputazione, che il dodicenne Horowitz e sua sorella furono i primi tra i suoi allievi. Tarnovskij coltivò i giovani talenti per cinque anni.1^

Se i biografi occidentali sono cosi sicuri a questo riguardo, è meri­ to soprattutto di una referenza che Horowitz scrisse per Tarnovskij nei suoi primi anni americani: New York City, 12 Marzo 1930 Sergej Tarnovskij è stato il mio maestro da quando avevo dodici anni fino ai sedici. Ho studiato sotto il professor Tarnovskij al Conservatorio di Kiev. Sarò sempre grato per tutto ciò che ho imparato, sotto l’aspetto musicale e sotto quello della tecnica, dal professor Tarnovskij. Vladimir Horowitz I7

Se ci si basa su questo documento, sembra proprio che Tar­ novskij debba essere considerato l’insegnante piu significativo a livello quantitativo nella formazione del pianista.1567

15 Cfr. D. Dubai, Evenings W ith Horowitz. A Personal Portrait, Amadeus Press, Pomp­ ton Plains 2004, p. 8. 16 Ju. Zil’berman, Ju. Smiljanskaja, op. eit., pp. 275-276. 17 H .C . Schonberg, Horowitz, cit., p. 43.

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Plaskin spiega dettagliatamente anche come mai nel 1914 Puchal’skij avrebbe dovuto lasciare il posto di direttore del Conservatorio: I crescenti sentimenti nazionalisti in Russia, amplificati dalla guerra im­ minente, stavano lavorando contro questo polacco che aveva chiamato suoi connazionali a ricoprire cariche di responsabilità all’interno dell’i ­ stituto. Nel 1914 Sergej Rachmaninov era ispettore generale dei conser­ vatori russi, e fu lui che infine raccomandò che Puchal’skij fosse sosti­ tuito da un eminente compositore o musicologo di estrazione russa. La scelta di Rachmaninov cadde su Reinhold Glière, prolifico compositore che era un reale successore della scuola nazionale russa.1®

Nella ricostruzione di Plaskin e Schonberg, Puchal skij non ri­ sulta marginale solo a livello quantitativo: i biografi spiegano che Horowitz fu ben felice di “fuggire” dalla sua classe per passare a quella del pili giovane Tarnovskij: Verso il 1914 le sue lezioni peggiorarono. Puchal skij - vecchio, stanco e sfinito - era malato e urlava continuamente ai suoi allievi.1?

«Vecchio, stanco e sfinito», eppure a ottantaquattro anni, tre mesi prima della sua morte, Puchal skij stava scrivendo in manie­ ra tutt’altro che confusa le Memorie della mia vita·, e c’è la testi­ monianza di uno dei suoi allievi, il musicologo Arnold Alsvang, dal quale apprendiamo che il vecchio ottantaquattrenne camminava per la strada piu velocemente degli allievi del conservatorio e reagiva con la sua caratteristica vivacità a tutti gli eventi cultural-musicali della vita della nostra Unione.181920

Ebbene, pare che in effetti la versione ufficiale sia da ritoccare. Nell’estate del 1915 scoppiò la prima guerra mondiale e alla fine di agosto le autorità militari decisero di evacuare il Conservatorio, 18 G. Plaskin, op. cit., p. 30. 19 Ibidem. 20 Ibidem.

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per il pericolo di un’offensiva tedesca. Il primo settembre 1915 il treno con i collaboratori e gli studenti del Conservatorio parti da Kiev e in quattro giorni arrivò a Rostov, sul Don. Qua si svolse la prima metà dell’anno scolastico, in locali scomodi e in condizio­ ni infelici, ma già alla fine del 1915 fu possibile tornare a Kiev, per­ ché il pericolo era rientrato. Puchal’skij segui l’evacuazione del Conservatorio, mentre i giovani Horowitz se ne restarono a Kiev; ne consegue che Regina e Vladimir rimasero per quattro mesi senza il loro insegnante. Non è escluso che proprio in quel periodo la famiglia chiedesse a Sergej Tarnovskij, com­ pagno di studi di Aleksandr Gorovic e già famoso a Kiev come con­ certista, di occuparsi dei figli. Non è escluso nemmeno che Regina e Vladimir si trovassero piti a loro agio in compagnia di Tarnovskij. La differenza di trenta e piu anni tra gli insegnanti esisteva, e il carattere autoritario del primo e l’entusiasmo giovanile del secondo potevano avere la loro influenza. Schonberg riferisce: Horowitz diceva che Tarnovskij usava criteri piu elastici di quelli di Pukhal’skij. Al giovane Horowitz assegnò un repertorio che Pukhal’skij, che si atteneva rigorosamente alla triade Bach-Beethoven-Chopin, pro­ babilmente, non conosceva neppure. Sotto la sua direzione Horowitz im­ parò, in aggiunta alle opere che ogni studente di pianoforte deve pos­ sedere, pezzi di Ljapunov, Raff e Saint-Saëns. Tarnovskij, un genti­ luomo di aspetto elegante e un fine musicista, lavorava assiduamente con Horowitz sul suono. Horacio Gutiérrez, che molti anni dopo studiò con Tarnovskij a Los Angeles, credeva fermamente che al suo maestro andasse in larga misura il merito del suono di Horowitz. Tarnovskij esortava con­ tinuamente Gutiérrez a scavare dentro le note; e questi diceva: “Se state attenti a come suona Horowitz, vedrete che va sempre al centro del ta­ sto, cosi da ottenere il maggior suono possibile. Era una cosa sulla qua­ le Tarnovskij insisteva moltissimo”.21

Sta di fatto però che, quando il Conservatorio tornò a Kiev, Sa­ muil Gorovic chiese che i figli fossero reintegrati proprio nella clas-

i i H .C . Schonberg, Horowitz, cit., p. 43.

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se di Puchal’skij, e li rimasero fino al gennaio del 1918, quando pas­ sarono nella classe di Tarnovskij. Detto per inciso, tutta la questione della destituzione di Puchal skij dal posto di direttore è abbastanza dubbia. Se si segue la versione di Plaskin, bisogna ammettere la tesi paradossale per cui Rachmani­ nov avrebbe interpretato «i crescenti sentimenti nazionalisti in Rus­ sia, amplificati dalla guerra imminente» consigliando al polacco (per un quarto, peraltro) Puchal’skij di lasciare il posto di direttore, per dare l’incarico a Reinhold Glière, nelle cui vene si mescolavano san­ gue francese, tedesco, ceco ed ebreo. E per quanto riguarda il so­ spetto che Puchal’skij avesse «chiamato suoi connazionali a ricopri­ re cariche di responsabilità all’interno dell’istituto», l’elenco degli insegnanti del Conservatorio al primo settembre 1914 pare non dia modo di sospettarlo di alcuna simpatia nazionale. Infine, i verbali dell’elezione di Glière a direttore del Conservatorio sono stati con­ servati e sembra non lascino dubbi sull’assenza di una mano diret­ tiva di Rachmaninov in questo processo. Cosi, risulta che Horowitz fu nella classe di Puchal’skij dal gen­ naio 1913 al gennaio 1918: cinque anni, e perciò il rapporto didat­ tico quantitativamente piu importante nei suoi anni di formazio­ ne. Resta il dubbio che il giovane studiasse parallelamente con Tar­ novskij, ma a questo punto si entra nell’ambito dell’incertezza. La dichiarazione di Horowitz a Tarnovskij stilata nel 1930 può o sug­ gerirci che il primo studiasse davvero informalmente col secondo, oppure che Horowitz desiderasse fornire al proprio insegnante una dichiarazione “generosa” in grado di aprirgli le porte del mondo musicale americano. In termini di scuola pianistica, sia Puchal’skij sia Tarnovskij rap­ presentavano un legame con la didattica di Leschetizky, insegnante dell’uno e insegnante dell’insegnante dell’altro. È necessario os­ servare che molto di ciò che sappiamo del dettato del grande pia­ nista e didatta stride violentemente con l’approccio alla tastiera di Horowitz. Leschetizky un metodo non lo scrisse, ma lo scrisse per lui l’allieva Malwine Brée, corredandolo di foto delle mani del maestro nelle giuste posture. Visto che Leschetizky diede Ximpri­ matur (e l’autrice si premura di riportare in prima pagina la lette­ ra liberatoria), dobbiamo prendere molto seriamente le immagi-

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ni di dita doverosamente curve e di falangi arcuate che troviamo in quasi ogni pagina del Metodo Leschetizky. Horowitz, invece, le mani le metteva in tutt’altro modo, e il suo approccio a dita piat­ te, col mignolo che molte volte se ne stava tutto rigido per i fatti suoi pronto a scattare, diventò un tratto leggendario. Pur muovendoci a tastoni, possiamo immaginare che per Horowitz già contasse, pili della riflessione decennale di un di­ datta venerato, il personale istinto fisico e muscolare da un la­ to, musicale dall’altro. Ciò di cui Horowitz aveva bisogno era forse una condizione di sufficiente libertà nel cercare il proprio pianismo, circostanza che probabilmente si concretizzò con l’ingresso nella classe di Feliks Blumenfel’d, enorme musicista ma sicuramente non un artigiano dogmatico alla maniera di Puchal’skij. Per quanto riguarda que­ sto avvicendamento di insegnanti, la versione riferita da Horowitz e riportata da Plaskin e Schonberg è stata confermata dalle ricer­ che d’archivio. Feliks Blumenfel’d, celebre pianista, compositore e direttore d’orchestra, prese il posto di Tarnovskij al Conservatorio perché quest’ultimo fu creduto morto. Nell’estate del 1919 Tarnovskij si recò in tournée in Crimea, ma non tornò per l’inizio delle lezioni e presto circolò voce che fosse passato a miglior vita. Trascorsero i mesi, e pare che da settembre a marzo, in assenza dell’insegnante, Horowitz non frequentasse il Conservatorio. Rimanevano in tutto tre mesi abbondanti fino al­ l’esame di diploma, e Samuil presentò domanda perché suo figlio cambiasse classe, passando a quella di Blumenfel’d. In futuro Vladimir Horowitz avrebbe sempre menzionato que­ st’ultimo come //suo insegnante. Trattandosi di un personaggio del­ la caratura di Feliks Blumenfel’d, una dichiarazione del genere può valere a prescindere dall’effettiva durata del rapporto didattico. Co­ munque, è piu che probabile che questo sia andato ben oltre i trequattro mesi di Conservatorio documentati. In effetti, in una lette­ ra del 1922 a Sergej Rachmaninov, Blumenfel’d riferisce che Horowitz aveva studiato con lui dall’agosto del 1918 alla primavera del 1921. Conoscere Blumenfel’d significò per Horowitz anche conosce­ re il nipote di questi, Heinrich Neuhaus, il grande musicista e di­ datta che fra le altre cose fu l’insegnante di Sviatoslav Richter:

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Aveva quindici anni piu di lui, ed era stato in Occidente; per l’impressio­ nabile studente era un cosmopolita. Horowitz lo considerava un pianistamusicista piuttosto che un virtuoso; è evidente che Neuhaus ebbe mol­ ta importanza nella sua evoluzione musicale e intellettuale. Ecco come Horowitz parlava di lui: “Era un temperamento molto musicale; un ar­ tista. In un pianista, la tecnica non mi ha mai fatto impressione. In tut­ ta la vita non ho mai sentito un pianista che mi piacesse per la sua tec­ nica. Quando si mettono a suonare troppo in fretta mi viene voglia di andarmene. Neuhaus era molto musicale, e perciò mi interessava. Suo­ navamo molta musica a quattro mani e con due pianoforti. Era un mu­ sicista meraviglioso, e mi fece conoscere una gran quantità di musica che non avevo ancora sentita. Suonava in modo eccellente alcune sonate dell’ultimo Skrjabin, tutte nuove per me. Analizzavamo anche, insieme, al­ cuni pezzi. Aveva studiato a Berlino con Leopold Godowski. Io ero un ragazzo di provincia, e mi affascinava sentirlo descrivere come suonava Ferruccio Busoni, come suonava Godowski, come suonava Moritz Ro­ senthal, come suonava Ignaz Friedman, com’era il suono di questo e di quell’esecutore. Piu di tutti gli piaceva Alfred Cortot”.22

Per l’esame di diploma, Horowitz scelse come concerto per pia­ noforte e orchestra il Terzo di Rachmaninov. Lo apprendiamo dal­ la lettera sopra citata di Blumenfel’d a Rachmaninov; in effetti, il primo scriveva al secondo proprio per dirgli che quel pianista par­ ticolarmente brillante si era presentato al proprio diploma col Ter­ zo concerto. E che in recital, a corsi ultimati, lo stesso pianista ese­ guiva la Seconda sonata.

Un figlio della Rivoluzione La Rivoluzione fu per Vladimir Horowitz un avvenimento capi­ tale. I primissimi echi giunsero a Kiev all’inizio di marzo del 1917, quando sul periodico «Kievskaja Mysl’» apparve un resoconto det­ tagliato dei fatti di San Pietroburgo. In novembre, si insediò nel-

22 G. Pliskin, op. cit., pp. 18-19.

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la città ucraina il governo dei rappresentanti del popolo; tra fine gennaio e il 9 febbraio per le strade di Kiev ci fu battaglia, dopo di che presero il potere i bolscevichi. La conclusione degli studi di Conservatorio di Horowitz si svol­ se in un’atmosfera di pericolo e incertezza e nel 1920, ultimo an­ no di corso per il pianista, l’istituto decisamente non navigava in ottime acque: è stata ritrovata una lettera in cui si chiedeva aiuto per poter soddisfare i bisogni primari, dalla cancelleria alle lam­ padine. In un numero del periodico «Visti» troviamo il nome di Horowitz: nell’ordinanza del 14 aprile 1920 veniva chiesto a lui, come ad altri artisti, di comparire davanti a un comando milita­ re, precisando che chi non si fosse presentato sarebbe stato consi­ derato disertore. Nel maggio dello stesso anno entrarono a Kiev i polacchi, in giugno tornò il Soviet: il tutto con un continuo avvi­ cendarsi di tregue e sparatorie. Poi, non sappiamo bene quando, la rivoluzione entrò in casa Gorovic: i bolscevichi arrivarono a Kiev. Non fate domande. Rubavano, volevano violentare le donne, vennero a casa nostra e buttarono dalla finestra il pianoforte. Tutta la casa fu messa a soqquadro, libri, musica, mobili, tut­ to. Mio padre è stato magnifico. Aveva un revolver, e ricordo che, quan­ do i soldati minacciarono di farci del male, sparò in aria. I soldati fuggi­ rono via. Fu una fortuna che non ci uccidessero. Erano tempi terribili. Mio padre perse la sua azienda, tutto il suo denaro, il nostro apparta­ mento, tutto quanto .23

La casa fu requisita e i Gorovic furono trasferiti in un piccolo ap­ partamento. Samuil Gorovic perse la sua impresa e gli fu offerto un lavoro d’ufficio in un dipartimento governativo, un impiego che evidentemente non teneva conto delle sue conoscenze e capacità. La situazione della famiglia si trasformò improvvisamente: dal be­ nessere alla precarietà, da uno stile di vita senza preoccupazioni al­ l’imperiosa necessità di preoccuparsi del lato materiale dell’esistenza.23

23 H .C . Schonberg, Horowitz, cit., p. 51.

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Horowitz si trovò a dover dare una stretta alla propria carriera piani­ stica: quali che fossero stati i suoi progetti precedenti, ora era chiaro che il suo talento doveva concretizzarsi il piti presto possibile. Qualcuno [...] doveva pure mantenere la famiglia. Mio padre aveva perso tutto. Cosi, giacché mi aveva dato un’educazione e si era preso cura di me, adesso toccava a me prendermi cura di lui e del resto della famiglia. Dovevo suonare il pianoforte per portare a casa del denaro. O del cibo. In quei gior­ ni la gente era contenta se, in cambio dei suoi servizi, riceveva cibo al posto del denaro. Cibo, sapone, scarpe, vestiario, tutto ciò era valuta legale.2"*

Il primo concerto pubblico extrascolastico si svolse a Kiev il 30 maggio 1920, davanti a un pubblico non foltissimo. In program­ ma, sei dei Preludi op. 17 di Blumenfel’d, una selezione dalle Études-tableaux op. 39 di Rachmaninov, la Ciaccona di Bach-Busoni e opere di Chopin, fra cui la Prima ballata, un Notturno, alcune Mazurche e due Studi, chiudendo con la Polacca op. 40 n. 1. Ma si sa, non è cosi fàcile far decollare una carriera. Per tutto il 1920 pare non si riuscì ad organizzare altro, ma nell’autunno dell’anno do­ po lo zio Aleksandr mise in piedi il debutto del nipote a Char’kov. Qui le cose andarono meglio, perché il primo concerto fece scalpore e se ne potè organizzare un secondo a pagamento e poi un terzo. Se­ guirono altri recital a Kiev, Odessa, Tbilisi, Mosca. In quest’ultima città il debutto con orchestra si svolse con una compagine molto par­ ticolare, il Persimfàns. Si trattava della realizzazione pratica, in un com­ plesso orchestrale, dei principi comunisti di egualitarismo e di aboli­ zione delle gerarchie. La figura del direttore, che troppo ricordava un certo odiato dirigismo borghese, veniva cancellata e gli orchestrali si sedevano a semicerchio facendo finta di essere un complesso da ca­ mera e pendendo dalle labbra del primo violino. Col Persimfàns, Horowitz esegui il Terzo concerto di Rachmaninov. Un elemento importante nell’ascesa concertistica di Horowitz fu il suo sodalizio artistico col violinista Nathan Milstein. Il violinista, originario di Odessa e cresciuto musicalmente in quella città e a San

2 4 Ivi, p. 52.

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Pietroburgo, si era recato a Kiev per tenere alcuni concerti; dato che il pianista con cui si esibiva eraTarnovskij, a maggior ragione la fa­ miglia Gorovic fu avvisata della venuta di quel musicista di talen­ to. Volodia e Regina assistettero a un concerto, si congratularono in camerino e invitarono il musicista da loro per un tè. Plaskin ci ha lasciato un vivace resoconto di quella prima volta di Milstein a ca­ sa Gorovic, raccontando di come i tre giovani musicisti avessero ab­ bandonato in salotto alle loro chiacchiere Tarnovskij, Neuhaus e i padroni di casa per chiudersi in camera di Regina a far musica. “Genya e Volodia - ricordava Milstein molti anni dopo - suonarono per me. Lei suonò Schumann, Liszt, delle ballate di Chopin; ma Volodia si limitò a suonare le proprie trascrizioni da Wagner. Non le aveva mai scrit­ te. Suonò la Canzone della fucina del Siegfried: incredibile. Era capace di suonare a memoria la Götterdämmerung. Era come una tigre. Ero terri­ bilmente impressionato”. Cosi ebbe inizio u h amicizia che sarebbe du­ rata per il resto della vita di Horowitz.2·?

Horowitz e Milstein cominciarono a presentarsi in concerto in­ sieme, a volte anche con Regina (di solito lei allora accompagna­ va Milstein). Non passò molto tempo che lo Stato sovietico deci­ se di adottarli artisticamente e di occuparsi della promozione dei loro concerti. Furono perciò chiamati ad esibirsi in numerose città, a volte di fronte a pubblici improbabili che prima della Rivolu­ zione non avevano mai assistito a un concerto, eseguendo un re­ pertorio che comprendeva fra l’altro la Sonata di Franck, la Prima sonata di Saint-Saëns, tre Sonate di Beethoven (op. 24 Primavera, op. 30 n. 2, op. 30 n. 3) e opere di Medtner e di Grieg. La carriera russa di Horowitz culminò nell’allora Leningrado con una serie di concerti fra la fine del 1924 e l’inizio del 1925.19, 22, 24 e 26 ottobre; 2, 6, 7, 8 e 9 novembre; 30 dicembre; 2, 6, 8, 9, io, il, 13,18, 19 gennaio. Un tour de force notevolissimo, che nella recente storia concertistica di San Pietroburgo era parago­ nabile solo ai ventuno recital consecutivi di Josef Hofmann.

25 Ivi, p. 54.

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Nei concerti con orchestra il Primo di Liszt diede il cambio al Terzo di Rachmaninov, mentre nei recital si avvicendarono, a fidar­ si dei ricordi di Horowitz, «quarantaquattro opere importanti e sessantasei opere brevi».26 Riportiamo qualcuno di questi programmi. Il seguente è quel­ lo del recital tenuto il 6 novembre nella sala grande dell’Accade­ mia filarmonica di Stato di Leningrado: N. Medtner

R. Schumann F. Liszt

Sonata-Skazka in Do minore op. 25 n. 1 Due Skazki Frammento lirico in Fa minore op. 23 n. 3 Studio in Sol diesis minore op. 4 n. 1 Carnaval Reminiscenze da Don Giovanni

Il giorno dopo invece il programma fu questo: J.S. Bach - F. Busoni

Ciaccona Preludio corale (non specificato) J.S. Bach - C. Saint-Saëns Gavotta J.-Ph. Rameau - L. Godowski Rigaudon Tambourin F. Chopin Sonata n. 2 op. 35 in Si bemolle minore Mefisto-valzer F. Liszt

E il giorno dopo ancora: J.S. Bach - F. Busoni R. Schumann S. Rachmaninov N. Medtner A. Skrjabin

2.6 Ivi, p . 6 0 .

Toccata efuga in Re minore BWV 565 Studi sinfonici Due Études-Tableaux Humoresque in Sol maggiore op. io n. 5 Tre Stimmungsbilder Quattro preludi (non specificati) Due studi (non specificati)

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F. Liszt C. Saint-Saëns - F. Liszt

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Sonetto 104 del Petrarca Dame macabre

Ricordiamo anche un concerto tutto lisztiano il 9 gennaio con una selezione dalle Années de pèlerinage ( Vallée d ’Obermann, Les cloches de Genève, Sonetto 104 del Petrarca, Au bord d ’une source. Au lac de Wallenstadi), con la Tarantella dalla M uta di Portici di Au­ ber, con Funérailles, due Studi da Paganini (η. 5 e η. 6, nella ver­ sione di Busoni o pili probabilmente in una ibrida) e le Remini­ scenze da Don Giovanni. E un concerto tutto chopiniano il 18 gen­ naio con Seconda sonata. Primo e Terzo scherzo. Quarta ballata. Notturno in Fa maggiore op. 15 n. 1, una scelta di Studi e M azur­ che e la Polacca in La bemolle maggiore op. 53. Un elemento di colore nel successo di Horowitz a Leningrado furono otto entusiaste giovani che avevano completamente perso la testa per il pianista e che perciò si rendevano protagoniste di scene di isteria. Come quando - tramanda l’aneddoto - , avendo saputo che il loro idolo lasciava la terra russa, si presentarono in camerino munite di forbici e si presero con la forza il loro gadget a spese dell’abito da concerto di Horowitz. Pubblico femminile a parte, tutto quello che sappiamo di que­ sto periodo (recensioni superstiti e ricordi) e tutto quello che pos­ siamo immaginare (ascoltando le incisioni di un paio di anni do­ po e avendo davanti a noi il quadro dell’intera carriera del piani­ sta) ci porta a dire che Horowitz conquistò le platee russe con del­ le interpretazioni estremamente appassionate, che scatenavano so­ norità fuori del comune e rappresentavano atmosfere ed emozio­ ni in maniera vivissima e immediata. L’etichetta di pianista elet­ trizzante che cominciò ad essergli applicata ci parla di qualità di velocità e di scatto prima di allora quasi impensabili e di esperienze di ascolto dominate da una sorta di malia fisica. Possiamo certa­ mente riferire ai concerti della prima metà degli anni Venti ciò che Piero Rattalino scrive del debutto tedesco: Il virtuosismo di Horowitz, per quanto si può oggi capire dai dischi, dai rulli di pianoforte automatico e dalle recensioni giornalistiche, aveva al­ lora un che di surreale. In ogni passo virtuoslsticamente arduo c’era sem-

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pre un grado di velocità, di forza, di nitore in piu di quello per cui ci si era prima entusiasmati. Nel suo modo di fraseggiare c’era l’abbagliante bellezza del metallo lucente là dove si era avvezzi a trovare la tenera fles­ suosità del legno.2?

Per quanto riguarda l’approccio estremamente appassionato che possiamo ragionevolmente associare a queste esecuzioni, ricor­ diamo che Horowitz dichiarò poi di aver voluto incarnare nelle proprie interpretazioni i drammi di tanta parte del popolo russo durante il periodo rivoluzionario. A riferire seriosamente dichia­ razioni del genere si ha sempre l’impressione di varcare il confine fra il saggio e il feuilleton, ma è bene superare l’eventuale senso di disagio per prendere sul serio questa dichiarazione almeno in un punto: la convinzione che l’esperienza musicale si giustifichi in­ nanzitutto in ciò che vi è di-vivo in essa, nella maniera in cui, a prescindere da schemi culturali che potrebbero indirizzarlo in un senso o nell’altro, l’interprete mette in scena l’esistenza. Pili o meno in quell’epoca Horowitz maturò la decisione di lasciare la Rus­ sia. Negli anni precedenti, lui e Milstein avevano trascorso ore a parlare della possibilità di fare carriera in Occidente. Come tanti altri musicisti, essi erano tutt’altro che entusiasti dell’ideologia sovietica e dei disastri che aveva prodotto nell’economia e nella vita della gente; avevano sotto gli occhi, a quel proposito, l’esempio del padre di Horowitz. Già quando Ho­ rowitz era ancora uno studente, amici, colleghi e insegnanti gli avevano fatto capire che il suo avvenire era fuori della Russia. “Parlavo dell’Euro­ pa - ricordava —coi miei amici. Blumenfel’d e Neuhaus mi davano dei consigli già nel 1921. Non studiare con Schnabel, non studiare con Godowski, non andare da nessuno, perché non hai più bisogno di imparare niente. Se vuoi andare da qualcuno, va da Busoni”. Horowitz sarebbe sta­ to felice di studiare con Busoni. Fin dalla fanciullezza era stato affascina­ to dall’uomo e dalla sua musica; aveva letto tutto ciò che aveva potuto tro­ vare su di lui, e, nei suoi incontri con musicisti che lo avevano sentito suo­ nare, ne aveva spremuto tutte le informazioni possibili.2728 27 P. Rattalino, P ia n isti..., cit., p. 247. 28 H .C. Schonberg, Horowitz, cit., p. 61.

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L’incontro che rese possibile l’uscita di Horowitz dalla Russia fu quello con l’impresario Aleksandr Merovic, titolare di un’a­ genzia di concerti a Mosca. Merovic aveva ascoltato per la prima volta Horowitz e Milstein nel 1923, si era reso conto di quanto va­ levano e aveva deciso che quello era il momento e quelli erano i musicisti con cui tentare la fortuna in Occidente. Prospettò ai due uno scenario di possibili trionfi nelle capitali europee e li convin­ se (pili facilmente Horowitz, con pili difficoltà Milstein) ad ac­ cettare la sfida. Horowitz chiese il visto per la Germania dichiarando di dover completare i suoi studi a Berlino con Artur Schnabel e lo otten­ ne. Sappiamo che per prepararsi al grande passo rimpolpò il pro­ prio repertorio con due concerti per pianoforte e orchestra, il Se­ condo di Chopin e il Primo di Cajkovskij (quest’ultimo già stu­ diato con Blumenfel’d, ma mai eseguito in pubblico). Una di que­ ste scelte si sarebbe rivelata felicissima per la carriera di Horowitz. Quest’ultimo si congedò dal padre una decina di giorni prima della partenza, in occasione di un concerto in cui il pianista ese­ gui entrambi i brani. Schonberg riferisce che Samuil Gorovic affidò il figlio a Merovic dicendogli «del suo carattere difficile e capric­ cioso», e spiegandogli «come andava trattato».2? L’impresario e il pianista si imbarcarono nel settembre del 1925 a Leningrado, di­ retti a Brema, da dove poi si sarebbero recati a Berlino. Milstein stava ancora tenendo dei concerti, perciò era inteso che li avreb­ be raggiunti dopo. Non era chiaro il fatto che l’espatrio sarebbe stato definitivo: In Russia ero diventato molto popolare, e, se non avessi riscosso un suc­ cesso uguale in Germania o in Francia, sarei tornato in Russia, dove ave­ vano simpatia per me e dov’era la mia famiglia.?0

Invece il cambiamento fu duraturo e la Russia, Horowitz, l’a­ vrebbe rivista pili di sessantanni dopo; sua madre, mai pili, e suo padre una volta sola, nel 1934.2930 29 Ivi, p. 63. 30 Ibidem.

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Horowitz portò clandestinamente con sé valuta occidentale, na­ scondendola nelle scarpe e col terrore di una perquisizione che in­ vece non ci fu. Horowitz amava raccontare, nel suo solito mischiare il vero al verosimile e a volte persino all’inverosimile, che nel mo­ mento in cui usciva dalla Russia una guardia di confine lo aveva scrutato attentamente e gli aveva detto «Per favore: non vi scor­ date della vostra patria».?1

Debutto in Europa Horowitz giunse a Berlino. La città lo accolse con tutto il suo tur­ binio di attività artistiche e culturali, dalle rappresentazioni teatrali dirette da Erich Kleiber, Bruno Walter e Otto Klemperer alle ope­ re di Kurt Weill e Bertolt Brecht, dai concerti sinfonici al cabaret. A Berlino erano attivi in quel periodo musicisti come Arnold Schoen­ berg e Paul Hindemith e artisti come Oskar Kokoschka e Vasilij Kandinskij; ma Schonberg ricorda anche che si trattava di una città aperta, decadente, piena di omosessuali, di prostitute, di truffa­ tori e di industriali equivoci arricchiti di fresco. I disegni di George Grosz danno un’idea della vita sotterranea di Berlino in quegli anni. Per un pro­ vinciale come Vladimir Horowitz fu una rivelazione.?2

Horowitz ebbe un po’ di tempo per ambientarsi. Andò a tea­ tro, entusiasmandosi in particolare per Salome di Richard Strauss, e ascoltò diversi pianisti in quel momento sulla breccia. Fece la conoscenza di Rudolf Serkin, e da li nacque un’amicizia che si sa­ rebbe rivelata duratura. C ’era stata una festa da Serkin, e un ospi­ te di quest’ultimo era arrivato insieme a Horowitz. A un certo pun­ to, durante la serata, fu chiesto anche a Horowitz di suonare: Horowitz, che non aveva mai bisogno di troppe sollecitazioni, accon­ senti. Serkin fu galvanizzato da ciò che udì. Quel modo di suonare gli312 31 Ibidem. 32 Ivi, p. 64.

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suggerì un’idea completamente nuova della tecnica pianistica e delle pos­ sibilità offerte dallo strumento; e quell’esperienza gli rimase vividamen­ te impressa per il resto della vita. Ne parlava ancora nel 1991, poco pri­ ma di morire: “Horowitz esegui una trascrizione di Liszt e qualcosa di Chopin. Ero completamente sopraffatto da quel genere di tecnica, da quella forza, da quell’intensità, da quella maestria. E quei colori! Non avevo mai udito nulla di simile. Ci eravamo presi in simpatia e avevamo un mucchio di cose da dirci. In seguito, a Basilea, passammo tre setti­ mane insieme. Suonavamo a quattro mani, suonavamo l’uno per l’altro, discutevamo di tutto ciò che riguardava il pianoforte. Divenimmo mol­ to amici, e tali rimanemmo. Imparai tante cose da lui. N on avevo mai visto una concentrazione come la sua, davanti alla tastiera. Ciò che fa­ ceva può essere apprezzato soltanto da un pianista. Io, prima, non ave­ vo mai immaginato che ci potesse essere un modo di suonare come il suo; tutto ciò mi apri un mondo n u o v o ” .33

Horowitz si recò anche da Artur Schnabel, il quale lo aveva ascol­ tato a Leningrado e si era lasciato sfuggire che, nel caso fosse venu­ to a Berlino, lo avrebbe preso volentieri tra i suoi allievi. Horowitz pure aveva ascoltato suonare Schnabel ed era rimasto impressiona­ to in particolare da un’esecuzione della Seconda sonata di Chopin, per cui era particolarmente propenso a fargli visita a Berlino. Pare però che l’incontro non andò secondo le aspettative; Schonberg rac­ conta di uno Schnabel che dopo poche battute di Fantasia di Schu­ mann suonate da Horowitz si mise al pianoforte per illustrare l’in­ terpretazione veritiera del pezzo, eseguendolo da cima a fondo. Horowitz ne detestava ogni singola battuta. Pochi giorni dopo Schnabel fece avere a Merovic una fattura di cinque sterline per la “lezione”. Li per li Horowitz restò stupefatto, poi si senti offeso, e, infine, pensò che la co­ sa era divertente .34

Il pianista intanto studiava e si preparava al debutto, per il qua­ le erano necessarie alcune piccole grandi scelte. Quella del nome,34 33 Ivi, p. 67. 34 Ivi, p. 68.

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per esempio: si decise che Vladimir Gorovic sarebbe diventato Vla­ dimir Horowitz, e cosi fu per i sessantanni a venire. Poi, un pro­ blema di look: pare che i lunghi capelli ricci di Horowitz facesse­ ro un po’ specie per le strade di Berlino, per cui fu deciso di ridi­ mensionarli nettamente. Infine, una scelta più sostanziale: quella del pianoforte. In Russia non si era mai posta a Horowitz la questione su qua­ le strumento suonare. Ora, stuzzicati da Merovic, i produttori di pianoforti berlinesi si facevano avanti e Horowitz si trovò a dover saggiare i Bösendorfer, i Blütner, i Bechstein, gli Steinway e a sce­ gliere fra essi. Il pianoforte in cui Horowitz trovò il giusto equili­ brio fra grandezza di suono, calore e brillantezza fu lo Steinway; fu una scelta definitiva, e il pianista non avrebbe mai più suona­ to in concerto uno strumento diverso. Affrontare l’occasione della propria vita, sapendo che in quel concerto e nei due-tre successivi si possono far fruttare o buttar via anni di studio matto e disperatissimo, è un banco di prova per chiunque. Horowitz debuttò in Europa il 2 gennaio del 1926, con un programma che sicuramente comprendeva la Toccata, adagio efuga di Bach-Busoni e la Fantasia di Schumann; non ci sono in­ vece certezze sugli altri brani eseguiti quella sera. Parlando di que­ sto suo primo recital, Horowitz ricordava di essere stato tesissimo e di non aver suonato al meglio delle sue possibilità. Anche da un punto di vista organizzativo il recital pare non fosse riuscito come avrebbe dovuto: la sala era mezza vuota e avrebbe potuto addirit­ tura essere quasi vuota se non fosse stato per un buon numero di emigrati russi e di amici di amici. L’indomani non apparvero re­ censioni e un Horowitz di nuovo teso e preoccupato affrontò il suo secondo recital due giorni dopo, presentandosi con un reper­ torio che comprendeva la Seconda sonata di Chopin, la Sonatina di Ravel e composizioni di Medtner e di Liszt. Le cose cominciarono ad andare per il verso giusto dopo il con­ certo con orchestra che Horowitz tenne il 14 gennaio. Qui ci im­ battiamo nella prima delle tre circostanze, nel breve volgere di due anni, in cui il Primo di Cajkovskij decretò la statura di pianista di Horowitz; in questo caso possiamo parlare di un ottimo successo, una settimana dopo ad Amburgo fu un trionfo, e a New York due

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anni dopo la stampa evocò scene di isteria. Il concerto con or­ chestra tenuto a Berlino fu cosi recensito: Non è quasi mai toccato a un giovane pianista un successo travolgente come quello che è stato tributato a Vladimir Horowitz in occasione di un concerto speciale [...] della Berliner Symphonie nella Sala Bliithner. Il Concerto in si bemolle minore di Cajkovskij è un’opera elettrizzante che non dovrebbe venire presentata se non quando ci sia uno che la sap­ pia eseguire con un ritmo cosi sicuro e cosi impetuoso, con ottave cosi scintillanti, con una tale vivacità in tutti i particolari e una tale forza di­ rompente in tutte le sue dinamiche.^*

A questo punto, con una decina di giorni di ritardo, comparve anche una recensione del primo recital berlinese, e Horowitz sco­ pri che il concerto di debutto non era stato cosi inutile. Sulla «Musik-Zeitung» si spiegava che «fin dalla prima nota del­ la Toccata in do di Bach-Busoni [...] si [era capito] che colui che sedeva al pianoforte era un professionista». Si lodavano il «senso delle proporzioni», la sua «originale qualità del suono, la sua pre­ cisione e l’elasticità ritmica», e nonostante alcune riserve sulla Fan­ tasia di Schumann, nel complesso, la recensione poteva definirsi piu che positiva. La serie di concerti berlinesi terminò quindi con un terzo recital (in programma delle trascrizioni non specificate di Bach-Busoni, Carnaval di Schumann, Sonata e Mefisto-valzer di Liszt), finalmente a sala piena e con un buon incasso, tanto da rimpinguare le finanze ormai agli sgoccioli di Merovic e soci. La tappa successiva fu Amburgo. Anche qui Merovic aveva or­ ganizzato alcuni recital, il primo dei quali si tenne il 19 gennaio 1926 all’Hotel Atlantic. Il programma comprendeva la Barcarola di Chopin, la Sonata di Liszt, una serie di Studi di Chopin, una scelta di Mazurche e infine la Fantasia su due temi dalle "Nozze di Figaro’di Liszt completata da Busoni. Il giorno dopo ci fu l’even­ to epocale, che Horowitz raccontò poi con toni da romanzo. Dob­ biamo immaginarci il pianista che il giorno dopo il debutto am-35

35 Ivi, p. 74.

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burghese se ne andava allo zoo in cerca di svago, presumibilmen­ te con sentimenti ancora contrastanti di apprensione e di fiducia nei confronti dei suoi prossimi impegni, che dovevano decidere irrevocabilmente del suo ritorno in Russia o dell’inizio di una car­ riera europea. Al suo ritorno in albergo, si trovò di fronte l’im­ presario dell’orchestra sinfonica cittadina, che lo mise al corrente deH’improvvisa indisposizione di una pianista, Helène Zimmer­ mann, che avrebbe dovuto eseguire il Primo di Cajkovskij un paio d’ore dopo: se la sentiva, Horowitz, di sostituirla, senza prove e con un preavviso cosi breve? Il pianista accettò, ebbe un breve col­ loquio col direttore Eugen Pabst nell’intervallo del concerto e poi si andò in scena. Il tono da feuilleton dei ricordi di Horowitz ci parla di un Pabst che prima di uscire sul palcoscenico raccomandò a Horowitz di fare cosi e cosi, seguendo la sua direzione con fiducia; di un ingresso in scena senza alcun applauso (!), perché Horowitz era praticamente sconosciuto e per il pubblico era co­ me trovarsi a dover ascoltare «il signor Smith»; e finalmente di un inizio di concerto in cui, dopo l’ingresso del pianoforte, Pabst avrebbe quasi lasciato il podio, avvicinandosi alla tastiera per ca­ pire in quale maniera un essere umano potesse produrre una so­ norità cosi sorprendente. Decidendosi poi, nel prosieguo del con­ certo, ad accompagnare il pianista fenomenale a cui il pubblico avrebbe tributato un’ovazione eclatante: «un pandemonio, un ve­ ro pandemonio. Il pubblico era impazzito. Non ho mai visto nul­ la di simile in tutta la vita».?6 Ora la scommessa era davvero vinta e a Horowitz si aprivano le porte del successo europeo. Gli fu chiesto, durante questo suo primo soggiorno in Ger­ mania, di registrare dei rulli per la Welte & Söhne, a Friburgo. Horowitz incise un repertorio che comprendeva brani di BachBusoni (“Adagio” e “Fuga” dalla Toccata, adagio efuga in Do mag­ giore BWV 564 e Preludio e fuga in Re maggiore BW V 532), Cho­ pin (Mazurche op. 30 n. 4, op. 63 n. 2 e n. 3, Studi op. io n. 5 e n. 8), Liszt {Valse oubliée n. 1), Liszt-Busoni {Fantasia su due temi36

36 Ivi, p. 77.



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dalle “Nozze di Figaro”), Rachmaninov (Preludi op. 23 n. 5, op. 32 n. 5 e n. 12), Schubert-Liszt (Liebesbotschaft) e due proprie composizioni, la Danse Excentrique e le Variazioni su un tema del­ la Carmen di Bizet. Poi Horowitz si spostò a Parigi. Primo recital al Conservatorio il 12 febbraio: J.S. Bach - F. Busoni F. Liszt

Toccata, adagio efuga in Do maggiore BWV 564 Sonata in Si minore

M. Ravel M. Ravel F. Chopin F. Chopin F. Chopin F. Chopin

Miroirs (selezione con Alborada delgracioso) Jeux d ’eau Barcarola in Fa diesis maggiore op. 60 Studi (selezione non specificata) Mazurche (selezione non specificata) Polacca in La bemolle maggiore op. 53

E poi altri recital al Conservatorio il 12 marzo e alla Salle Gaveau il 24 marzo e 6 maggio, un concerto con orchestra (Primo di Liszt) alla Salle des Agricolteurs il 30 maggio e di nuovo un reci­ tal alla Salle Gaveau il 16 giugno. «La perfezione e la leggerezza del suo stile andavano al di là di ogni sogno», scrisse il critico Émile Vuillermoz. Di una delle sue esibizioni parigine di quegli anni abbiamo an­ che il sovreccitato resoconto di George E Kennan, giovane desti­ nato alla carriera diplomatica, che interessa in quanto espressione tipica del mito Horowitz: Non credo di avere mai veduto, in tutta la vita, qualcuno che apparisse in preda a una piu tormentosa tensione nervosa. È un ragazzo esile, con una lunga capigliatura nera alla Pompadour, carnagione grigio cinerea, di bell’aspetto, con un viso spirituale, dai lineamenti contratti, come se fosse in preda a una continua sofferenza. La sua bocca e gli occhi espri­ mevano un’incredibile sensibilità. Quando suonava (era un concerto di Cajkovskij) pareva che fosse lui ad essere suonato da un musicista invi­ sibile - che ciascuna nota fosse spremuta fuori dal suo interno. Le sue di­ ta nervose, dita di ragno, tremavano sui tasti, il suo volto si contraeva co-



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me negli spasimi dell’agonia, la sua fronte grondava sudore, e lui geme­ va a ogni accordo dei passi in crescendo. Ogni volta che l’orchestra ese­ guiva qualche battuta senza di lui tutto il suo corpo, dalla testa ai piedi, si faceva teso e vibrante ad ogni nota .37

Il pianista frequentò la Parigi “bene” e fu ospite nei principali salotti: principessa di Polignac, viscontessa di Noailles, Elsa Maxwell, Misia Sert. Conobbe Poulenc, Szymanowski, Roussel, Respighi, Honegger. E Prokof’ev, col quale strinse una buona amicizia. Conobbe, anche, Arthur Rubinstein, e cominciò fra loro una frequentazione sporadica che in alcuni momenti doveva assume­ re il volto dell’amicizia dichiarata (con fin troppa enfasi), risol­ vendosi pili spesso invece in incomprensioni e rancori. Già a pro­ posito di questo primo incontro, Horowitz commentò: «C’era qualcosa, fra noi, che non funzionava. Forse era geloso». Poco dopo il loro primo incontro [Rubinstein] aveva assistito a un con­ certo di Horowitz e ne era rimasto impressionato: “Non potrò mai di­ menticare i due studi di Paganini-Liszt, quello in mi bemolle e quello in mi maggiore. In quell’esecuzione c’era molto di più che una brillan­ te vivacità e una mera perizia tecnica; c’era una disinvolta eleganza: un fascino magico che sfugge a ogni descrizione”. Dopo il concerto, Rubinstein si era recato dietro il palcoscenico insieme a molte altre per­ sone. Horowitz, “pallido e sudato, riceveva quel grande omaggio con re­ gale indifferenza”. [...] Spesso i due suonavano insieme, a quattro mani o su due pianoforti. In apparenza, erano amici; ma Rubinstein dice che aveva incominciato ad avvertire, fra di loro, “una sottile differenza”: "La sua era l’amicizia di un sovrano per il suo suddito, il che significa che mi degnava della sua ami­ cizia, e, in un certo senso, si serviva di me. In breve: non mi considera­ va un suo eguale”.3®

La stagione 1926-27 vide Horowitz impegnato a Lipsia, Berli­ no, Parigi, Amburgo, Londra e altre città europee. A Londra, a di-378 37 Ivi, p. 83. 38 Ivi, p. 91.

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re il vero, la critica arricciò il naso, giudicando per esempio «ese­ crabile» la sua interpretazione dello Studio op. 25 n. 3 di Chopin e «terribilmente rumorosa» quella dell’op. 25 n. 12.39 L’ultimo dei tre concerti in programma fu annullato e Horowitz dovette aspet­ tare il 1930 per avere la sua rivincita, cogli interessi. Anche l’altro pupillo di Merovic, Milstein, aveva debuttato in Europa con successo, ma lui e Horowitz non erano destinati a ri­ manere i soli artisti di questa agenzia sui generis·, a loro si uni Gre­ gor Piatigorski, emigrato in Occidente anni prima ed entrato nel­ la Filarmonica di Berlino, che ora veniva pungolato da Merovic sulla strada della professione solistica. A un concerto parigino di Horowitz assistette quello che allo­ ra era uno dei personaggi piu potenti del mondo musicale ameri­ cano: Arthur Judson. Al culmine della sua carriera, Judson sareb­ be diventato impresario della New York Philharmonic, impresa­ rio della Philadelphia Orchestra, presidente dei Columbia Con­ certs (un vero colosso dell’organizzazione musicale) e dei Com­ munity Concerts (una rete di concerti che si stendeva a coprire tutto il territorio americano, toccando anche centri piccoli e me­ di), secondo azionista in ordine d’importanza del Columbia Broad­ casting System e proprietario unico della Columbia Records. Que­ sto impresario che stava stipulando contratti con i maggiori di­ rettori d’orchestra, concertisti e cantanti era l’occasione per var­ care l’oceano e cominciare la carriera statunitense. Judson propose a Horowitz trenta concerti nella stagione 1927-28 e a Merovic offri di fare da rappresentante del pianista in America. Horowitz era evidentemente consapevole di aver compiuto un primo importantissimo passo verso la nascita di una carriera du­ revole e poteva guardare con fiducia al suo prossimo debutto nel Nuovo Mondo. Nell’archivio di Yale sono conservate foto inedi­ te dell’estate 1927 che sembrano incarnare proprio questo stato d’animo di trepidazione serena. Troviamo ritratti sulla spiaggia di Juan Les Pins Merovic, Milstein e Horowitz; quest’ultimo ha un fisico splendente e brunito e ha un viso sicuro di sé. In una foto39

39 Cfr. G. Plaskin, op. cit., p.

io i.

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10 vediamo giocare a mettersi in mostra sedendosi con fare pro­ vocatorio su una roccia piu in alto, mentre gli altri due lo osser­ vano. 4 ° Poi lo sorprendiamo in atteggiamento scanzonato con del­ le ragazze^1 o in posa nell’accappatoio;'*1 o anche vestito di tutto punto e disteso a metà su una sedia a sdraio, mentre lancia un’oc­ chiata sorniona. 43 Nell’autunno del 1927 Horowitz ricominciò il tour europeo. Sono documentate sue apparizioni ad Amburgo il 30 settembre e 1117 ottobre, a Stoccarda il 25 novembre, ad Amburgo di nuovo il 28 novembre, mentre in dicembre (giorni 16 e 17) lo troviamo in Spagna a Bilbao. Il suo nome, intanto, era già arrivato in America. Verso la fine del 1926, in una colonna del «The New York Times» , + 4 se ne era parlato come colui che «senza ombra di dubbio» era l’astro na­ scente della nuova generazione di pianisti. Si facevano paragoni con Paderewski e Busoni e si sosteneva che chi aveva ascoltato Anton Rubinstein ritrovava nel giovane Horowitz il ricordo del leggendario pianista russo. Si parlava delle sue tournée trionfali in Europa e dei successi ottenuti nonostante le qualità non del tut­ to professionali dell’organizzazione manageriale. Un paio di set­ timane dopo, in occasione di un recital all’Opéra, era comparsa anche l’espressione «re degli artisti» .45 Il 4 maggio 1927, finalmente, si era annunciata la venuta sua e di altri musicisti in America per la stagione successiva, come ri­ sultato della collaborazione fra Arthur Judson e un gruppo di man­ ager esteri.4 6 E venti giorni dopo, in una presentazione della stagione della Philharmonic Society di New York, il nome di Horowitz si trovava a poche righe di distanza da quello del diret­ tore Arturo Toscanini, che era stato ingaggiato dalla stessa orche-40123*56

40 MSS 55, The Papers o f Vladim ir and Wanda Toscanini H orowitz in the Irving S. Gil­ more M usic Library o f Yale University, cartella 43/4, foto 26 (d’ora in poi MSS 55). 41 Ivi, foto 30. 42 Ivi, foto 32. 43 Ivi, foto 34. 44Cff. H. Prunières, Music Events in Paris, in «The New York Times», 19 dicembre 1926. 45 Cff. H . Prunières, A New Paris Ballet, in «The New York Times», 2 gennaio 1927. 46 Cfr. [s. n.], New Artists to Came Here, in «The New York Times», 4 maggio 1927.

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stra per un periodo di cinque anni.47 In ottobre la prima foto sul principale quotidiano newyorkese, a fianco di quelle di sir Tho­ mas Beecham e Bernardino Molinari.4 8 Finché all’inizio di gen­ naio Horowitz non sbarcò negli Stati Uniti.

Nuovo Mondo Sui quotidiani americani c’era l’abitudine di riportare gli arrivi dei piroscafi e di menzionare i passeggeri piu noti. Ecco perciò che sul «The New York Times» del 9 gennaio leggiamo: Fra i passeggeri che oggi arriveranno in nave da Amburgo via Boulo­ gne e Southampton sulla linea amburghese-americana Hamburg vi so­ no: H enry Brizon, M me Brizon, Mrs. M .M . Richenauer, Vladimir Horowitz .49

Horowitz arrivava in America e Rachmaninov vi abitava. Ergo, Horowitz si precipitò subito a far visita al compositore da lui ama­ to sopra tutti. Ero spaventato da morire. Sarei piaciuto, al mio idolo? Sapete, era un po’ antisemita. Era ferocemente anticomunista, e pensava che fossero stati gli ebrei a fare la rivoluzione comunista. Apri la porta, e fu molto gentile. Co­ minciammo a parlare di musica, e in particolare del suo Terzo Concerto, quello che avrei dovuto suonare. Mi domandò quale cadenza suonassi, e poi qualcos’altro, e altro ancora. Mi disse: quando siete libero mi piace­ rebbe sentirvi suonare e vi accompagnerò. Poi si mise al pianoforte e suonò qualche pezzo di Medtner. Non ebbe mai un buon pianoforte, a casa sua. Era un appartamento piccolo. Il pianoforte, uno Steinway modello L, era nella sua camera da letto. A tutti e due la musica di Medtner piaceva mol­ tissimo, anche se, per molto tempo, io non l’avevo eseguita in pubblico.4789

47 Cfr. [s. n.], Toscanini to Lead Here Five Years, in «The New York Times», 24 mag­ gio 1927. 48 Cfr. [s. n.]. Orchestra Seasons Open, in «The New York Times», 2 ottobre 1927. 49 [S. n.], Ocean Travel, in «The New York Times», 9 gennaio 1928.

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Rachmaninov e io facemmo immediatamente amicizia, subito. Come se fosse scoccata una scintilla. Non so come sia avvenuto.?0

Cominciò cosi un rapporto umano e artistico che per Horowitz doveva avere un’importanza immensa. Da un punto di vista arti­ stico, occorre osservare che la musica di Rachmaninov avrebbe co­ stituito, durante la carriera del pianista, un punto di riferimento imprescindibile. Il Terzo concerto lo accompagnò praticamente sempre fino al ri­ tiro dalle scene nel 1953, per poi essere ripreso nel 1978 in occa­ sione del “Golden Jubilee”. La Seconda sonata fu ugualmente un brano simbolo della comunione fra i due artisti. Horowitz la stu­ diò in Russia, evidentemente nella prima redazione, e poi nel 1943, anno della morte di Rachmaninov, cominciò a portare in tournée una propria versione che, col benestare affettuoso del composito­ re, aveva unito elementi della prima e della seconda. Fra le com­ posizioni più brevi, ve ne sono alcune che pure segnarono pesan­ temente i programmi da concerto di Horowitz. V.Étude-Tableau in Mi bemolle minore op. 39 n. 5 e quella in Re maggiore op. 39 n. 9, di cui sono documentate esecuzioni negli anni Quaranta, e poi ancora nel 1966-67, e di nuovo al riprendere delle ostilità a metà degli anni Settanta. Il Preludio in Sol maggiore op. 32 n. 5 e quello in Sol diesis minore op. 32 n. 12, che dopo aver figurato in quarant’anni di programmi accompagnarono Horowitz nella sua tournée in Russia nel 1986. Ma non dimentichiamo la Barcarola, ΓHumoresque, altre Études-Tableaux (in Do maggiore op. 33 n. 2, in Mi bemolle minore op. 33 n. 5, in Do minore op. 39 n. 7), al­ tri Preludi, il secondo e terzo dei Momenti musicali, e naturalmente il movimento lento della Sonata per violoncello e pianoforte ese­ guito insieme a Rostropovich nel “concerto del secolo” alla Car­ negie Hall nel 1976. Fino a quella Polka di W.R. che negli ultimi anni fu bis prediletto e amatissimo dal pubblico di Horowitz. Da un punto di vista umano, ricordiamo invece il ruolo che eb­ be Rachmaninov nell’aiutare Horowitz a uscire dalla sua prima 50

50 H .C. Schonberg, Horowitz, cit„ p. ioz.

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crisi, negli anni 1936-37. Ma al di là di singoli episodi l’amicizia fra Horowitz e Rachmaninov fu grande e significativa, e la loro frequentazione in alcuni periodi assidua. Pochi giorni dopo l’incontro con Rachmaninov, e perciò pochi giorni dopo il suo arrivo in America, Horowitz fece un sol boccone del pubblico statunitense. Fu il 12 gennaio alla Carnegie Hall, quan­ do Horowitz debuttò nel Nuovo Mondo eseguendo il Primo di Cajkovskij con la New York Philharmonic Orchestra diretta da sir Thomas Beecham, lui pure esordiente in America quella sera. Questo evento è stato raccontato cosi tante volte, in libri e articoli su Horowitz, che è praticamente diventato leggenda, ed è difficile (forse impossi­ bile) separare la realtà dalle sovrapposizioni giornalistiche. Beecham aveva l’abitudine della direzione a memoria e questa volta non fece eccezione, anche in prova; Horowitz ebbe poi a os­ servare maliziosamente che «quella musica non la conosceva ab­ bastanza bene da poterselo permettere».?1 Pare che i tempi di Bee­ cham fossero molto, molto lenti, e non era quella un’occasione in cui Horowitz potesse imporre tout simplement il proprio stacco di tempo. Gli toccò tergiversare e cercare di lasciar intendere le pro­ prie intenzioni scalpitando durante le prove, ma il direttore non sembrava aver troppa intenzione di cambiar chiave di lettura del Concerto. Il risultato era atroce. Il direttore d’orchestra e il solista, durante le pro­ ve, non erano andati d’accordo, e Horowitz aveva la sensazione che non sarebbero andati d’accordo neppure al momento dell’esecuzione. La not­ te che precedette il grande momento non chiuse occhio, e, la sera del 12 gennaio, giunse alla Carnegie Hall in uno stato d’animo inquieto.?2.

Visto che doveva esibirsi Horowitz, annunciato in America come il nuovo prodigio d’oltre oceano, la sala era gremita di musicisti; ele­ mento di nervosismo in piu, fra i presenti c’era Rachmaninov. Lo stesso Horowitz raccontò quella serata in un passo piu vol­ te citato, ma che vale la pena di trascrivere qui di nuovo:512 51 Ivi, p. 103. 52 Ibidem.

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Salimmo sul palcoscenico. Le [...] battute iniziali [di Beecham] furono molto lente; credo ancora adesso che lo facesse di proposito, per metter­ mi in ombra. Mi è stato detto che, durante l’esecuzione del primo pezzo, gli si erano rotte le bretelle, sicché aveva dovuto dirigere con una mano sola, mentre con l’altra si teneva su i pantaloni. Cosi, quando tornammo sulla scena per il Concerto, non si trovava in una buona disposizione d’a­ nimo. Sul principio lo seguii per un poco. Poi mi parve di sentire che, fra il pubblico, c’era qualcuno che russava; era tutto cosi lento. Potevo dire addio alla mia carriera americana. Allora mi dissi “vada all’inferno”, e mi misi a suonare con i miei tempi abituali. Volevo che sentissero le mie ot­ tave e tutto quanto. Dovevo fare cosi, perché volevo aver il piu grande successo della mia vita. Mi dissi che se non avessi avuto successo avrei do­ vuto tornare in Russia. L’ultimo movimento Beecham lo iniziò lentamente; quando entrai, suonai a modo mio. Gli scappai. Suonai le ottave piu for­ ti e piu veloci che avessero mai sentite. Lo ammetto, ero troppo veloce. Non era arte. Era puro esibizionismo, pour épater le bourgeois.*3

All’interno della tecnica pianistica, le ottave rappresentano uno dei capitoli più importanti dal punto di vista dell’efficacia con­ certistica. Pollice e mignolo afferrano i tasti (stessa nota in due re­ gistri diversi), mentre i movimenti combinati di polso, braccio e avambraccio permettono alla mano di spostarsi lateralmente. La difficoltà tecnica deriva sia dalla posizione aperta della mano, sia dall’inevitabile affaticamento dei muscoli che questa mano aper­ ta devono portarla su e giu per la tastiera. Il compositore che me­ glio di tutti, forse, conobbe il pianoforte, ossia Franz Liszt, basò gran parte della sua tecnica sulle ottave. Elemento tecnico che per­ mette il raggiungimento di livelli sonori eclatanti, l’ottava si pre­ sta per la strumentazione di punti culminanti del discorso musi­ cale, oppure per la costruzione di interi episodi in cui proprio la presenza ossessiva di questo elemento porta alla spettacolarità del­ la partitura. Pagine emblematiche in questo senso (e non è un ca­ so se tutte e tre figurarono nel repertorio di Horowitz) sono la se­ zione centrale della Polacca in La bemolle maggiore di Chopin,53

53 Ivi, p. 104.

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un episodio di Funérailles di Liszt e tutta la parte finale della Sesta rapsodia ungherese di Liszt, vero tour de force, visto che il movi­ mento d’ottave della mano destra è particolarmente veloce e sco­ modo e si protrae per pagine e pagine. Si è detto un attimo fa che le ottave si prestano ottimamente alla strumentazione di punti culminand. È precisamente il caso del Con­ certo di Cajkovskij, in cui tre grandi passi d’ottave segnano due mo­ menti particolarmente enfadci del primo movimento e uno nel fina­ le, proprio in extremis. Nel secondo e terzo di questi casi la spettacolarità è aumentata dal fatto che prima che il pianista cominci a mulinare doppie ot­ tave l’orchestra prepara il suo ingresso con un lungo ed efficace crescendo. L’emozione cresce poco per volta, la pagina si fa via via piti concitata e infine, nel momento di massima tensione, l’or­ chestra abbandona al suo destino il pianista, che da solo è chia­ mato a ricreare la stessa sonorità prodotta un attimo prima dalla grande compagine sinfonica. Con un’esecuzione superlativa del concerto, ma soprattutto con una esecuzione “dimostrativa” di qùéi passi d’ottave, Horowitz conquistò il pubblico americano. Le recensioni riferirono la reazione entusiastica del pubblico. Fra i quotidiani, l’arbitro del gusto musicale era il «The New York Times», e il suo critico era Olin Downes. Schonberg ce lo presenta come «una specie di vichingo corpulento ed estroverso, [che] si esprimeva in una prosa barocca che risentiva dell’influenza di James Huneker».** Pare se la cavasse al pianoforte e che fosse un appassionato con la propensione a immedesimarsi in tutti i pia­ nisti e ad abbandonarsi all’eccitazione quando accadeva qualcosa di straordinario. Nella sua recensione, Downes definì Horowitz «un giovane virtuoso dalla tecnica brillante e dal temperamento prepotente [...] e sensazionale, anche se non privo di difetti». Di­ ceva che da anni nessun pianista aveva suscitato, a New York City, un’impressione cosi formidabile.** La divergenza di vedute fra solista e direttore fu chiara alla stam­ pa, e sul «The New York Times» si constatava che in molti punti54 54 Ibidem. 55 Ivi, pp. 104-105.

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del concerto le idee dell’uno e quelle dell’altro avevano cozzato violentemente. Comunque, Horowitz “aveva destato una straordinaria impressione. [...] La sua ese­ cuzione era stata un turbine di interpretazione virtuosistica. Il signor Horowitz è in possesso di una tecnica stupefacente, di un vigore stupe­ facente, di un irresistibile temperamento giovanile”. Nel movimento lento il pianista aveva dimostrato di saper trarre dallo strumento splen­ didi colori. Cosi, malgrado la mancanza di coordinazione con l’orche­ stra e qualche sonorità eccessiva nei forte, fu un’esecuzione trionfale, grazie al “temperamento elettrico del pianista e alla sua capacità fisica di raggiungere straordinari vertici di sonorità e di rapidità”. Quel con­ certo aveva rivelato “che era apparso un nuovo talento pianistico che non può essere ignorato o sminuito”. Nell’ultimo capoverso del suo ar­ ticolo Downes, da critico esperto, metteva le mani avanti: “Come è sta­ to già scritto in queste colonne, un solo concerto non fa un direttore d’orchestra e nemmeno un virtuoso. A collaudare una nuova stella ba­ sta a mala pena una mezza dozzina di concerti. Ma, entro i limiti di un concerto solo, su quel trionfo non c’è stato alcun dubbio”.?6

Il giorno dopo il concerto, Sergej Rachmaninov scrisse a Horowitz: Caro amico, ieri sera nel camerino non ho potuto dirle ciò che volevo, perché la gen­ te intorno me lo impediva. Ecco perciò quello che desideravo dirle... Non ho mai ascoltato nella mia vita un’agilità, una resistenza e una po­ tenza paragonabili alle sue. E a differenza di tanti pianisti “trottatori”, lei ha anche musicalità, sensibilità, e un magnifico suono. Cosi volevo met­ terla in guardia, chiedendo e sperando che la sua tecnica fenomenale non diventi fine a se stessa. Per esempio, ieri il passo d’ottave nel terzo movimento prima della coda batteva, naturalmente, ogni record di velocità e forza m a... non era mu­ sicale. Oppure l’inizio dello scherzo nel secondo movimento, dov’era im-

56 Ivi, p. 105.

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possibile afferrare la musica persino conoscendola molto bene; la si po­ teva solo indovinare... E qualche altro punto del genere. Naturalmente sono dettagli, ma sarebbe cosi bello, se lei riuscisse a su­ perare anche questo pericolo. Spero non si lamenti troppo di questo mio vecchio borbottare. In conclusione, congratulazioni per il grande suc­ cesso, con tutto il cuore. [...]. Sergej Rachmaninov 57

Vale la pena di tenere a mente le caratteristiche di questo esor­ dio di Horowitz. Il suo successo americano cominciò all’insegna dello strapotere tecnico e dell’esibizione di capacità muscolari. La lunga carriera di Horowitz può essere vista come in continuo dialogo con questa immagine iniziale: il virtuoso dalle ottave co­ lossali. Q uante volte, da li in poi, si sarebbe letto su un quoti­ diano o su un altro: «abbiamo ascoltato in concerto Vladimir Horowitz, che si è rivelato non solo X, ma anche Y», dove sotto X si possono trovare le pili diverse caratterizzazioni attinenti al­ la sfera del virtuoso, e sotto Y le piu diverse attinenti a quella del musicista e interprete capace di approfondimento. Quante vol­ te si sarebbe parlato di trasformazione, o di metamorfosi, o di nuovo corso. E le interruzioni nell’attività concertistica avreb­ bero evidentemente favorito questa interpretazione del suo per­ corso artistico. Cominciò dunque la carriera americana di Horowitz. Nell’im­ mediato, il 13 e 15, replica di Cajkovskij. E poi trentacinque con­ certi in ottantotto giorni. Cominciamo a ritrovare Horowitz in­ serito nella vita sociale di New York: leggiamo il suo nome per esempio fra gli invitati di spicco a un party dato il 12 febbraio in onore dei Chaliapin.?8 Il primo recital in America Horowitz lo diede il 20 febbraio, al­ la Carnegie Hall. Ecco il programma, che ha tutta l’aria di essere stato tramandato in maniera incompleta per quanto riguarda la seconda parte:578 57 Lettera di Sergej Rachmaninov a Vladimir Horowitz del 13 gennaio 1928, in MSS 55, cartella 18/248 (la traduzione delle citazioni tratte dai documenti dell’archivio è nostra). 58 Cfr. [s. n.]. Give Party fo r Chaliapins, in «The New York Times», 16 febbraio 1928:

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7*

J.S. Bach - F. Busoni Toccata, adagio efiiga in Do maggiore BWV 564 Sonata in Do maggiore (non specificata) D. Scarlatti D. Scarlatti - C. Tausig Capriccio in Mi maggiore K 20 (l 375) F. Liszt Sonata in Si minore F. Chopin F. Chopin F. Chopin F. Chopin F. Chopin

Studio in Sol bemolle maggiore op. 10 η. 5 Studio in Do diesis minore op. 25 n. 7 Studio in Fa maggiore op. io n. 8 Due Mazurche 'm Do diesis minore (non specificate) Polacca in La bemolle maggiore op. 53

Fra i bis, Horowitz esegui le proprie Variazioni su un tema del­ la Carmen di Bizet. La recensione che apparve sul «The New York Times» il giorno dopo fu incondizionatamente positiva, con un passaggio che si distanzia di parecchio daU’immagine stereotipa­ ta di Horowitz grande epigono romantico: [Horowitz] è un artista con eccezionali doti di intelletto, gusto e virtuo­ sismo, con un amore e una com prensione della sua arte m olto piu profondi di quelli dei suoi colleghi, e un pianista su cui contare. [...] l’e­ secuzione della Sonata di Liszt ha mostrato la maggior parte se non tut­ ti i tratti del grande interprete. Qualcuno, ieri sera, può avere rimpian­ to la mancanza di romanticismo e di glamour nel suo modo di suonare. [...] Egli probabilmente aborre il sentimentalismo. Il suo cervello, mol­ to probabilmente, guida il suo cuore.??

Senza sopravvalutare queste annotazioni, sembra però di ve­ der rispecchiata in esse l’asciuttezza di alcune incisioni del pia­ nista negli anni Venti-Trenta; all’inizio della sua carriera ameri­ cana Horowitz fu un pianista il cui virtuosismo venne discusso, per appurare che non mascherasse una scarsità di contenuti, ma forse fu pure il pianista «che non fa stravaganze», come Hans Lan­ ge e Adolf Busch dissero ad Arturo Toscanini candidandolo per il Quinto di Beethoven. Il forte impatto che la sua personalità ave-

59 O . D o w n es, Music, in « T h e N e w Y ork T im es» , 21 fe b b ra io 1928.

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va sul testo musicale non sempre si tradusse in libertà di fraseggio e di declamazione, e il suo stile beethoveniano, in particolare, fu vigoroso e senza tortuosità. Ecco invece il programma del secondo recital alla Carnegie Hall, il 23 marzo, in cui spiccava l’esecuzione del ciclo com­ pleto delle Ballate di C hopin, proposte però in ordine rove­ sciato: F. Mendelssohn F. Chopin F. Chopin F. Chopin F. Chopin

Variazioni sérieuses op. 54 Ballata n. 4 in Fa minore op. 52 Ballata n. 3 in La bemolle maggiore op. 47 Ballata η. 2 in Fa maggiore op. 38 Ballata n. 1 in Sol minore op. 23

F. Chopin F. Chopin F. Chopin C. Debussy C. Debussy M. Ravel El. Cajkovskij C. Saint-Saëns - F. Liszt

Mazurca in Do diesis minore (non specificata) Studio in Mi bemolle minore op. 10 n. 6 Studio in Si minore op. 25 n. 10 Serenadefo r the D oll da Childrens Comer Doctor Gradus adPamassum da Childrens Comer Jeux d ’eau Dumka op. 59 Danse Macabre

È d’obbligo qualche osservazione sul tipo di programmi pro­ posti da Horowitz. Il principio che sta alla base di essi è quello di dare al pubblico tutto ciò di cui ha desiderio e nel giusto or­ dine e col giusto ritmo: non troppo di una sola cosa e non tut­ to in una volta. È utile citare un paragone venuto fuori dalla mente di Anton Rubinstein e riferito nelle sue memorie dall’a­ mericano William Mason. Discutendo un programma biilowiano con le ultime cinque Sonate di Beethoven, Rubinstein aveva commentato: [è] un’iniziativa di impronta scientifica, ma certamente non congeniale ad una vera natura musicale che richiede varietà. Un pranzo che consi­ ste solo di piatti forti, senza alternanza di contorni, vegetali e torte per stuzzicare e muovere l’appetito sarebbe sgradevole e fatale per la dige­

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stione. I pezzi scelti per un festino musicale devono essere disposti con arte, e come le varie portate d’un pranzo.60

L’iniziativa scientifica non interessava nemmeno a Horowitz, al­ meno nei recital. Di scientifico e culturalmente propositivo, il pia­ nista ci ha lasciato per esempio i dischi dedicati a Domenico Scar­ latti e a Muzio Clementi, ma in recital un tale approccio Horowitz non lo considerava possibile. I programmi di Horowitz ebbero la tendenza, per riprendere la metafora di Rubinstein, ad avvicinarsi a un ideale gastronomico in cui si avvicendassero con sapienza stuz­ zicanti antipasti, piatti forti, contorni, dolcetti e forti liquori in conclusione.61 Nelle sue proposte piu standard, il pianista cominciava i suoi recital con uno o più pezzi d’apertura che avevano delle caratteri­ stiche specifiche, più un grande pezzo a chiusura della prima par­ te. In alcuni programmi capitava che dopo la composizione piu importante vi fosse un pezzo di bravura piu breve a chiudere la prima metà del concerto. La seconda parte poteva aprirsi anch’essa con una pièce de résistance, a cui seguivano pezzi caratteristici, o di alleggerimento, o comunque piu brevi, chiusi da un pezzo di bra­ vura; oppure, la seconda pièce de résistance poteva non esserci, e allora la seconda parte era fatta di composizioni piu o meno bre­ vi, in attesa del brano conclusivo. Osservando il programma del primo recital americano, ve­ diamo che i pezzi di apertura furono la Toccata, adagio efuga di Bach-Busoni, lo Scarlatti originale e quello trascritto. In questa scelta si riassumono due delle possibilità piu frequenti per gli inci­ p it àii Horowitz: le trascrizioni di Busoni da Bach (oltre a Toccata, adagio efiiga anche diversi Preludi corali, e meno frequentemente e solo nel primo periodo il Preludio efuga in Re maggiore BWV 532) e Scarlatti (che comparirà spesso in testa ai recital negli anni Qua­ ranta, ma anche in epoche ben diverse, come nel 1982 a Londra). Sempre nel recital di debutto, vediamo che il pezzo principale fu la Sonata di Liszt, mentre nel recital successivo il piatto forte 60 P. Rattalino, Piano Recitai, Flavio Pagano, Napoli 1992, p. 41. 61 Cfr. ibidem.

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della serata non fu un unico grande brano, ma la serie delle quat­ tro Ballate di Chopin, presentate (e questa può considerarsi un’ec­ cezione nella concertografia di Horowitz) come tutto unico. Nel­ la seconda parte del concerto del 20 febbraio fu eseguito un grup­ po di composizioni di Chopin, in cui riconosciamo la funzione di alleggerimento, o se si vuole di contorno, di cui si parlava poc’an­ zi, seguita dall’efficace funzione conclusiva assicurata dalla Polacca in La bemolle maggiore. Tra fine marzo e inizio aprile, Horowitz entrò per la prima vol­ ta in uno studio di registrazione americano a Camden, nel New Jersey, aprendo cosi la sua collaborazione con la RCA Victor. Si trattò anche delle sue prime registrazioni acustiche in assoluto, precedute solo dai rulli del 1926. Il 26 marzo Horowitz suonò in studio le proprie Variazioni su un tema della Carmen di Bizet, il Capriccio in Mi maggiore di Scarlatti-Tausig, la Mazurca in Do diesis minore op. 30 n. 4 di Chopin e la Serenade for the D oll ài Debussy, ma soltanto per queste due ultime composizioni diede l’autorizzazione a pubblicare. Il 2 aprile tornò in studio e registrò di nuovo i due brani che lo avevano lasciato insoddisfatto. Poi, fra il giugno e il settembre, Horowitz realizzò dei rulli nei Duo-Art Studios di New York, per la Aeolian Company. Di nuo­ vo le Variazioni su un tema della Carmen di Bizet, ma anche la Danse macabre à. Saint-Saëns - Liszt, Dumka di Cajkovskij, lo Stu­ dio in Mi bemolle minore op. io n. 6 e quello in Do minore op. 25 n. 12 di Chopin, Liebesbotschafì di Schubert-Liszt, due Preludi di Rachmaninov (in La minore op. 32 n. 8 e in Si minore op. 32 n. io) e un proprio Valzer in Fa minore. La scelta del repertorio era condizionata evidentemente dalle ca­ ratteristiche dei vecchi 78 giri. Cioè, dalla loro durata. Nessuno dei pezzi incisi in questi anni raggiunge i quattro minuti di durata, con due notevoli eccezioni che, evidentemente, risolsero il problema spez­ zando le composizioni su piu facciate di disco: la Sonata di Liszt, in­ cisa su sei facciate, e il Terzo concerto di Rachmaninov, su nove. Il re­ pertorio proposto, come già quello offerto nei rulli realizzati in Ger­ mania, oscilla fra brani di chiaro impatto virtuosistico (capitanati dalle Variazioni su un tema della Carmen di Bizet), altri tratti dal gran­ de repertorio romantico e un paio di proprie composizioni.

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Fra queste incisioni ve ne sono alcune assolutamente degne di nota, come la Mazurca in Do diesis minore op. 30 n. 4 di Chopin. Questa interpretazione potrebbe senz’altro essere portata a mo­ dello di come in una piccola forma si possano chiarificare le fun­ zioni di ogni singolo elemento in rapporto al tutto: a partire dal­ le battute introduttive, ancora informi dal punto di vista ritmico; attraverso il tema principale in cui si impone la pulsazione pri­ maria, portata avanti con coerenza e non smentita dai respiri, per­ fettamente dosati l’uno rispetto agli altri; giungendo al punto cul­ minante, in cui a una fase tensiva in cui l’intensità poetica rag­ giunge il suo apice segue nel breve arco di quattro battute una di­ stensiva in cui già la passività di base ha ripreso il sopravvento; fino alla coda nella quale tutto ritorna nel silenzio senza pulsazio­ ni da cui ha avuto inizio. Per chi pensa che l’età porti consiglio e che la maturazione pluridecennale di un brano porti sempre al meglio, ci limitiamo a ri­ levare che nessuna delle successive incisioni (1949,1965,1986, ci­ tando quelle piu facilmente reperibili) scandisce la forma del bra­ no di Chopin con tanta efficacia poetica. Alcune di queste incisioni sono, come ovvio, il luogo delle di­ chiarazioni di potenza tecnica di Horowitz. Il contenuto virtuo­ sistico di alcuni dei brani proposti è altissimo; attiriamo l’atten­ zione sul fatto che nel 1930 Horowitz incise della Caccia di Liszt non la versione consueta, ma la terrificante redazione che il com­ positore ne diede nel 1838, versione che per motivi evidenti all’a­ scolto (la simulazione del picchettato violinistico con rapidissime sequenze di accordi ascendenti della mano destra) è di rara esecu­ zione. Nell’esecuzione dei due Studi da Paganini di Liszt, il gioco del virtuoso si svolge sul filo del rasoio fra ciò che si può fare e ciò che nemmeno Horowitz può fare. La sfida viene comunque ac­ cettata, anche a costo di rischiare la sconfitta in qualche piccola battaglia locale: si ascolti per esempio la fine della parte centrale dello Studio n. 2, dove la velocità è troppo alta e Horowitz è co­ stretto ad evitare il possibile disastro riarrangiando estempora­ neamente un paio di battute. In questo gioco felice e disinibito con la tastiera vi è qualcosa di ludico, che nei due Studi di Liszt relega decisamente in secon-

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do piano le potenzialità drammatiche delle pagine interpretate. È un approccio leggero che non avrebbe avuto un ruolo duraturo nelle interpretazioni del pianista (ritornando parzialmente a farsi vivo a partire dagli anni Sessanta-Settanta), ma che avrebbe la­ sciato il segno in tutto il contorno del far musica, imponendosi spesso con evidenza. A partire dalla semplicità conviviale con cui Horowitz siede al pianoforte nel video di cui si dirà nel prossimo paragrafo, arrivando fino alle clownerie davanti alle telecamere nei video degli anni Settanta e Ottanta. Il mattatore Horowitz non elesse cosi spesso il sorriso piu fri­ volo a categoria estetica nelle proprie interpretazioni, ma un sor­ riso non lo negò mai né a se stesso né agli altri in tutte le interca­ pedini e cornici dell’esperienza musicale.

La celebrità Horowitz aveva raggiunto la fama. Concerti, quanti non ne aveva mai fatti né immaginati; interviste, incisioni, uno spezzone di film muto girato a Parigi, con il pianista impegnato nello Studio op. 25 n. io di Chopin. Molti soldi, finalmente; un’automobile, segno del­ la serenità economica acquisita; la possibilità di vivere al Majestic Hotel di Parigi quando invece Merovic alloggiava in un modesto appartamento con gli altri artisti da lui rappresentati; investimen­ ti in borsa, che vennero però dilapidati dal crollo finanziario del 1929. Da allora in poi, Horowitz amò investire in quadri: Lui, Milstein (che, nel tempo libero, dipingeva, ed era un conoscitore), e il direttore d’orchestra Vladimir Golschmann (che possedeva una rac­ colta di quadri di Picasso e di Braque) si recavano spesso, insieme, nelle gallerie d’arte; Horowitz, inoltre, estorceva qualche idea ad altri esperti e mercanti. I pezzi che comprava si dimostrarono, diceva, un investi­ mento migliore delle azioni. “Nel corso degli anni —diceva —ho comprato quadri fantastici. Andavo sempre nelle piu importanti gallerie e passavo ore a osservare. Avevo un grande Picasso del periodo bianco, un Manet, un Monet, un Renoir, un Modigliani, un pastello di Degas, un Rouault. Trovarne era molto pili



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difficile che comprarli; e poi bisognava che ne venisse dimostrata l’au­ tenticità. Ci furono dei quadri che comperai contro il parere che mi ave­ vano dato dei mercanti; li pagai 5.000 dollari. Di colpo salirono a 100.000, e li vendetti”. Il Picasso era un grande dipinto che dominava il soggior­ no. Quando Horowitz lo comprò Toscanini venne a vederlo e volle sa­ pere quanto fosse costato. 23.000 dollari, disse Horowitz. Toscanini os­ servò: “Tutti gli artisti sono m atti”. Quando, negli anni Sessanta, H o­ rowitz vendette la maggior parte della sua raccolta, quel Picasso, da so­ lo, gli fruttò 750.000 dollari.62

Il successo di pubblico era sempre grande e costante, nonostante le occasionali oscillazioni dei giudizi dei critici, piu o meno con­ cilianti a seconda dei recital: Horowitz, dovunque si esibisse, scatenava l’entusiasmo; il pubblico e la maggior parte dei critici erano come paralizzati dalla sua particolare for­ ma di magnetismo. Henry Pleasants, che di li a poco avrebbe fatto il cri­ tico musicale a Filadelfia, e si era appena diplomato presso il Curtis In­ stitute of Music, non avrebbe mai dimenticato l’impressione suscitata da un concerto che Horowitz tenne nel 1929 nell’Academy of Music di Fi­ ladelfia. Fra il pubblico, diceva, abbondavano i pianisti. C ’erano Hof­ mann, David Saperton e Isabelle Vengerova del Curtis Institute; la Ven­ gerova era venuta con i suoi allievi; c’era anche Olga Samarov, che a quel tempo insegnava a Filadelfia, ma non al Curtis; naturalmente, con i suoi allievi. La sala pareva stipata di pianisti da parete a parete. “Eravamo sconvolti”, diceva Pleasants. “Non ho mai provato nulla di si­ mile, e non ho mai visto una reazione come quella. C ’erano dei giovani pianisti che dicevano —adesso vado a casa e butto dalla finestra il pia­ noforte —. Erano, semplicemente, sbalorditi”. Le esibizioni di Horowitz facevano impazzire anche il controllato pub­ blico di Boston. Il 3 marzo 1928 si leggeva, nel “Globe”, che, dopo l’ese­ cuzione del Terzo concerto di Rachmaninov diretta da Koussevitzky, il "raffinato” pubblico del sabato sera si comportò come “una folla assie­ pata sulle gradinate dello stadio del Fenway Park. Non contentandosi del

62 H .C . Schonberg, Horowitz, cit., p. 117.

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consueto, educato battimani, il pubblico, entusiasta, acclamava a gran voce, urlava, batteva i pugni sulle sedie”. Resoconti analoghi giungeva­ no da Cincinnati e da Chicago.6^

Horowitz continuò a registrare parecchio in studio, per lo piu a Londra, per la Gramophone Company (E M l). Il 2 9 dicembre 1 9 3 0 incise il Terzo di Rachmaninov con la London Symphony Orchestra diretta da Albert Coates e la Toccata di Prokof’ev. Il 12 giugno successivo, a Berlino, fu la volta del Preludio in Sol mino­ re op. 23 n. 5 di Rachmaninov. Seguirono, Γ11, il 12 e il 15 novem­ bre del 1 9 3 2 , composizioni di Liszt (Sonata e Funérailles), Chopin (Mazurca op. 7 n. 3 e Studio op. io n. 8 ) , Schumann (Presto pas­ sionato - prima versione del finale dell’op. 2 2 — e Traumeswirren op. 12 n. 7 ) , Poulenc {Pastourelle e Toccata), Haydn {Sonata in Mi bemolle maggiore Hob. X V l/5 2 ), Il volo del calabrone di RimskijKorsakov nella trascrizione di Rachmaninov e la Danse Russe da Trois mouvements de Pétrouchka di Stravinskij. Fra i documenti che ci parlano di Horowitz in questo primo periodo di gloria, ve ne è uno straordinario venuto alla luce nel novembre 2 0 0 6 . Il giorno 2 2 apparve sul pili popolare sito inter­ net di scambio di materiali video un breve film muto dal titolo Vintage Vladimir Horowitz Home Movie. A caricare il video sul si­ to era stato il figlio del pianista David Edward Smith, che in una didascalia della stessa pagina internet mise poi a disposizione del­ le informazioni sul file. Ne risultò che il video era stato girato a Cincinnati (Ohio) nel 1 9 2 8 e nel 1 9 2 9 nella residenza di Karol Liszniewski (allora insegnante di pianoforte di Smith), in ricevi­ menti dati dopo concerti di Horowitz. Il video, oltre che essere ovviamente entusiasmante in quanto testimonianza video di ottant’anni fa sbucata fuori praticamente dal nulla, è molto interessante sotto diversi aspetti. C ’è una dida­ scalia d’apertura: «Horowitz mostra un po’ di moderna tecnica pianistica».6* Vediamo un gruppo di uomini e donne in tipici abi­ ti anni Venti attorniare Horowitz, seduto al pianoforte. E chiaro634 63 Ivi, p. 114. 64 «Horowitz exhibits a bit o f m odern piano technic».

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che non si tratta di un’esecuzione formale, ma che il pianista sta quasi flirtando con la tastiera e col suo pubblico. A un certo pun­ to il breve segmento di esecuzione termina con un plateale gesto in fortissimo·, una delle ospiti, di cui vediamo in quel momento so­ lo le braccia, lo esorta a ripetere il gesto conclusivo. Horowitz non si fa pregare, e allora un invitato al suo fianco incalza: «ancora!». Di nuovo, e di nuovo ancora, vediamo Horowitz ghermire l’ac­ cordo conclusivo con tutta la forza e con enfatici gesti preparato­ ri: una vera e propria lezione di gestualità, a metà fra il genuino e l’autoironico. La trappola di seduzione musicale (e spettacolare) di Horowitz non è però finita. Dopo l’ultimo fortissimo, vediamo il pianista lanciarsi in un passo di agilità della mano destra che dà vita a un finale alternativo, pacato nella dinamica ma beffardo nel­ le intenzioni: il nuovo finale si chiude con indice e medio della mano destra che intonano un comico sberleffo, con un gesto che avrebbe potuto figurare in una celebre sequenza pianistica di un film dei fratelli Marx. Poi la seconda parte del video, «Un anno dopo»; la qualità del­ l’immagine è piu nitida e riconosciamo Horowitz senza sforzo, di nuovo seduto al pianoforte e impegnato in una conversazione con quello che ha tutta l’aria di essere il direttore d’orchestra Fritz Reiner, all’epoca direttore principale a Cincinnati. Horowitz sta spiegan­ do qualcosa ed esemplifica suonando più volte lo stesso accordo, sempre nello stesso modo. Si possono fare diverse ipotesi su cosa Horowitz stia spiegando, e una particolarmente suggestiva è che stia mostrando nella pratica ciò che l’anno prima aveva descritto in sede di intervista al periodico «The Musician»6* (e che poi avreb­ bero riportato anche altre testate).*66 Su quelle pagine si era parla­ to del fatto che uno dei requisiti per suonare il pianoforte è essere in grado di timbrare nella giusta maniera le note di un accordo, cioè suonarlo in maniera tale che, fra le note che lo compongono, una abbia un’intensità maggiore e una funzione melodica mentre

6s Cfr. J. Eisenberg, Horowitz explains how to accent individual notes in chords, in «The Musician», giugno 1928; l’articolo è consultabile sul sito http://web.telia.com/-u85420275/. 66 Cfr. per esempio [s. n.], How H orowitz Plays Piano, in «Dallas M orning News», 29 gennaio 1933.

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le altre siano solo uno sfondo armonico. Horowitz aveva spiegato anche uno degli approcci tecnici che consentono questo risultato: tenere il dito a cui è affidata la nota in questione leggerissimamente piu in basso e armarlo di una maggiore tensione muscolare. Ecco allora che all’inizio del segmento «Un anno dopo» Horowitz sembra dare una dimostrazione di questo problema tecnico e della sua soluzione. A un certo punto, il pianista si rende conto che lo stanno riprendendo, sorride e inizia a suonare sul serio. Si ha l’impressione che accenni alcuni dei passi del Secondo concerto per pianoforte e or­ chestra di Brahms, che non è escluso abbia or ora eseguito con Reiner, ma lo fa in maniera rapsodica e interrompendosi per interloquire coi presenti e per rivolgere occhiate fotogeniche alla macchina da presa. Cosa ci dice questo filmato d’epoca? Intanto, ci dà informazioni preziosissime sull’approccio alla tastiera di Horowitz; in secondo luogo però ci dipinge già Horowitz nella veste di showman e di mattatore, veste che indosserà stabilmente durante la sua car­ riera. Com portandosi in maniera cosi rilassata ed estroversa, Horowitz mostra che il fare musica è un momento di socialità che può avere parecchie diverse sfumature: qui incontriamo quella pili conviviale, persino goliardica. Ciò che il film non ci dice è che la fama ebbe per Horowitz an­ che un’altra faccia, non solo quell’anno e non solo per brevi pe­ riodi della sua esistenza. Le tournée spossanti, con l’obbligo di spo­ stamenti infiniti lungo grandi distanze; l’incognita delle sistema­ zioni, degli alberghi, del cibo non sempre ottimale; il reiterato stress da concerto, enfatizzato da programmi redatti certo non al risparmio delle energie e nemmeno pensati per essere sempre l’u­ no la copia dell’altro; questi fattori, uniti a quella che sembra es­ sere stata una carente predisposizione di Horowitz alla vita del concertista, portarono durante la sua carriera a ripetuti tracolli. L’immagine patinata del grande virtuoso in viaggio per il mondo svelò prestissimo quanto di fittizio portava in sé. Già nell’estate del 1928, al termine della prima stagione americana, cogliamo i se­ gni del disagio: Per favore non arrabbiarti con me per il mio cronico silenzio. Credimi, questa lettera è la terza o la quarta che ho scritto durante gli ultimi ein-

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que mesi. Quest’anno mi sono molto affaticato e ho subito una terribi­ le reazione che sta scomparendo gradualmente, ma ci vuole tempo.6?

Cosi scrisse Horowitz ad Alexander Greiner (che lavorava alla Steinway &C Sons, tenendo i contatti con gli artisti) all’inizio di settembre, da Vichy. E quell’estate il pianista inaugurò anche l’a­ bitudine di sostare quando possibile in località di cura, per ricon­ quistare la forma fisica anche grazie all’aiuto di medici. La stagione 1929-30 fu particolarmente lunga e densa. Dopo che nei due anni precedenti Horowitz era stato annunciato rispettiva­ mente come una «novelty» e come una «sensation», ora gli toccava essere «a lion», un leone della tastiera. In questa terza stagione per la prima volta si presentò sulla costa occidentale, toccando cosi con ma­ no la vastità del continente. East Orange, Greenwich, Boston, Can­ ton, Akron, Ft. Wayne, Chicago, Grinnel, Denver, Carmel, Milwaukee, Ann Arbor, Lansing, Grand Rapids, Chicago, Kansas City, Lawren­ ce, Cincinnati, Montclair, Detroit, Baltimore, Haddonfield, Boston, Montreal (Canada), Dayton, Columbus, Indianapolis, Janesville, Appleton, Evansville, Madison, una città dopo l’altra e cosi via. Schonberg ci informa degli alti cachet di Horowitz in questo pe­ riodo. La depressione del 1929 non li aveva intaccati, e l’anno dopo crebbero addirittura, passando da 1000 dollari per recital a 1500. In questo modo, dopo Rachmaninov, Paderewski, Hofmann e l’oggi pressoché dimenticata Ruth Slenczynska, Horowitz diventava il quinto pianista più pagato d’America. La cura per l’aspetto econo­ mico della sua vita di pianista fu in lui sempre supportata da otti­ me capacità contrattuali, e in periodi successivi della sua carriera i suoi cachet avrebbero raggiunto livelli assolutamente sbalorditivi. In questi anni, Horowitz partecipa anche ad eventi di natura be­ nefica e tiene concerti di beneficenza: nell’autunno del 1931, ad esem­ pio, aderisce a un programma di raccolta fondi dei Bohemians, un club newyorkese interessato al sostegno di musicisti in difficoltà.6768 67 Lettera di Vladimir Horowitz ad Alexander Greiner dell’8 settembre 1928, in G. Plaskin, op. cit., p. 120. 68 Cfr. O . Downes, Music, in «The New York Times», 28 novembre 1931; [s. n.], Park Project Gives R eliefJobs to 1,000, in «The New York Times», i dicembre 1931; [s. η.], The Bohemians A id Needy Musicians, in «The New York Times», 21 dicembre 1931.

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Nel frattempo, coltiva nuove amicizie e stringe rapporti con alcu­ ne personalità della scena musicale; a Chicago conosce Paderewski: Paderewski [...] venne ad ascoltare il brillante nuovo arrivato nel Terzo concerto di Rachmaninov, e immediatamente affermò che Horowitz era il migliore fra i pianisti della nuova generazione. Diventarono amici, e Horowitz andò spesso a trovarlo nella sua abitazione svizzera. Nutriva una grande ammirazione per l’illustre veterano: “Dicono che non pos­ sieda grandi qualità tecniche, ma prima della Prima guerra mondiale le possedeva. Poi le perse. Gli piacevano le forti sonorità. Tutto doveva es­ sere in stile grandioso. Mio padre mi diceva che Paderewski era il piani­ sta migliore che avesse mai ascoltato. Toscanini diceva sempre che era il pianista migliore, e che suonava l’Imperatore meglio di chiunque altro. C ’è una lettera di Cajkovskij in cui dice di essere andato a sentire, a Pa­ rigi, un nuovo pianista di nome Paderewski, e che era il più grande di tutti. Paderewski non si può giudicare in base ai suoi dischi, che non so­ no molto buoni. Dal vivo suonava in modo molto musicale. Uno non acquista senza motivo una fama come la sua”.^9

Sappiamo poi dei rapporti di Horowitz con Josef Hofmann, il quale lo mise a parte dei suoi esperimenti sulla tecnica costrutti­ va del pianoforte (un portentoso “acceleratore” di meccanica, per esempio); sappiamo anche che Horowitz, nei suoi soggiorni pari­ gini, si intratteneva con Alfred Cortot, il quale pare gli desse le­ zioni sulle sonate di Beethoven. Un incontro decisivo per la vita di Horowitz fu quello con Ar­ turo Toscanini. Nel novembre del 1932, al pianista giunse un tele­ gramma del celebre direttore d’orchestra, che gli chiedeva di esse­ re solista nel Quinto di Beethoven per uno dei concerti di un ciclo monografico che Toscanini avrebbe tenuto di li a poco alla Carne­ gie Hall. Il Quinto di Beethoven, Horowitz non l’aveva in reper­ torio, e di lui non si poteva nemmeno dire che fosse un assodato interprete beethoveniano, ma è chiaro che a un invito cosi non si poteva dire di no. Prima del concerto con Toscanini, Horowitz or-69

69 H .C . Schonberg, Horowitz, cit., pp. 115-116.

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ganizzò un’anteprima a Chicago con la direzione di Frederick Stock. Horowitz pensava che l’esecuzione fosse stata soddisfacente, ma le critiche non furono incondizionatamente positive. Si preparò a conoscere Toscanini con un po’ di apprensione, sia per le possibili divergenze di vedute, sia per la fama di tiranno irascibile che circondava il direttore d’orchestra. Harold Schonberg e Glenn Plaskin ci danno due versioni diverse (di cui una, fra l’altro, totalmente inve­ rosimile) del primo incontro fra pianista e direttore. Secondo Plaskin, Horowitz entrò titubante in casa Toscanini ma quasi subito l’atmosfe­ ra si fece distesa, anche grazie a due chiacchiere su Feliks Blumenfel’d, ex insegnante di Horowitz e vecchia conoscenza di Toscanini; segui un’esecuzione completa del concerto da parte del pianista, che incon­ trò il completo consenso del direttore.7 ° Secondo Schonberg, invece, era stato detto a Horowitz che Toscanini dirigeva tutto molto lento (!), per cui il pianista avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco attaccando il concerto sottotempo per compiacere il direttore. A quel punto Tosca­ nini l’avrebbe interrotto: «“No, no, [...] dev’essere piu veloce, cosi” e cantò il tema al modo che [a Horowitz] sembrava quello giusto». E il pianista avrebbe esclamato, anzi «gridato: “Cosi va bene!” ».7 1 Pianista e direttore debuttarono insieme col Quinto di Beetho­ ven il 23 aprile: I critici newyorchesi, in complesso, accolsero favorevolmente quell’esecu­ zione, per quanto alcuni pensassero che non fosse niente di speciale. Oscar Thompson, del «Sun», la definì “un’interpretazione casta, non contami­ nata da un linguaggio musicale sensuale”. Con Pitts Sanborn, Thompson la giudicò piuttosto fredda e priva di profondità. Invece Lawrence Gilman, della «Herald Tribune», vi trovò fuoco; stile vigoroso ed equilibrato, e “una sensibilità non contaminata da eccessi”7 2

Avendo presente l’incisivo stile beethoveniano di Horowitz, vien voglia di pensare che questo Quinto di Beethoven di cui non ci è ri­ masta traccia (il pianista avrebbe inciso il concerto, anni dopo, solo7012 70 Cfr. G. Plaskin, op. cit., pp. 152-153. 71 H.C. Schonberg, Horowitz, cit., p. 133. 72 Ivi, p. 134.

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con Fritz Reiner) sia stata una delle collaborazioni piu riuscite fra i due musicisti. Due grandi musicisti non sempre e non necessaria­ mente danno una grande coppia d’interpreti affiatati e, pur senza far di Toscanini un rigido paladino dell’esattezza testuale e di Horowitz un cane sciolto, si può dire che le loro poetiche musicali cozzarono in parecchi casi. Nel rievocare il suo sodalizio con Toscanini, Horowitz era solito smussare i contorni delle loro differenze poetiche e riferiva episodi in cui il direttore d’orchestra lo avrebbe esortato a coltivare la sua libertà interpretativa: è però fuor di dubbio, per esempio, che in molti punti del Primo di Cajkovskij registrato con Toscanini (anche nella pili flessibile incisione live del 1943) il pianista si senta ingessato dal direttore d’orchestra. Difatti, la grande interpretazione in disco che Horowitz ci ha lasciato di questo concerto è quella con Bruno Walter dell’n aprile 1948: la piu appassionata, la piu sorprendente, quella in cui le capacità pianistiche di Horowitz sembrano davvero senza limiti. Il secondo passo d’ottave del primo movimento, al cul­ mine dello sviluppo, viene affrontato in maniera intrepida e colossa­ le; le sfide vengono accettate e superate con una spavalderia che ha del soprannaturale; e questo grazie all’intesa stretta, non frutto di com­ promessi, fra pianista e direttore d’orchestra: i due musicisti si ab­ bandonano a un’unica flessibilità di fraseggio, senza rigidità né falsi tabu; la comunanza di vedute col direttore mette talmente a suo agio Horowitz che questi osa dei fraseggi fantasiosi e appassionati. È uno di quei documenti che ci fanno rimpiangere, per esempio, di non ave­ re alcuna testimonianza delle collaborazioni di Horowitz con Willem Mengelberg, maestro insuperato del rubato orchestrale fino a livelli che, se realizzati oggi, sarebbero giudicati da molti con sarcasmo. Tornando a Horowitz e Toscanini, è il momento di menzionare una conseguenza collaterale decisamente degna di nota della loro collaborazione: il pianista sposò la figlia del direttore d’orchestra.

Una moglie, un padre, una figlia Vladimir Horowitz e Wanda Toscanini pare si fossero incontrati per la prima volta nel 1932 a New York, a un ricevimento dove Horowitz aveva suonato dei brani di Chopin: lui e Wanda «par-

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larono un pochino, e questo fu tutto».73 Ma Wanda era stata con­ quistata dalla grandezza del musicista. Nel 1933 si rividero a un altro party, secondo Plaskin a New York, dopo il Quinto di Beethoven con Toscanini, secondo Schon­ berg a Milano, dopo un concerto alla Scala. In questa occasione i due ebbero modo di conoscersi e di creare un legame. Il nome del pianista entrò per la prima volta nella corrispondenza di Arturo Toscanini il primo settembre di quell’anno, quando il direttore d’orchestra scrisse all’amante Ada Mainardi: Wanda è andata da sola a St. Moritz ma per un giorno che poi è passata a Sils-Maria dove ha trovato i Piatigorwsky [sic] - Horovitz [sic] e Me­ nuhin colla famiglia al completo.74

Horowitz fu poi invitato all’Isolino di San Giovanni, residenza di Toscanini sul lago Maggiore, e lui e Wanda già parlarono di ma­ trimonio. Il 20 settembre Toscanini scrisse di nuovo alla Mainardi: In questi giorni ho avuto una nodzia che m’ha molto turbato... Horowiz [sic] ha domandato in sposa Wanda - Figurati - uno straniero e di un’al­ tra religione!! Cosa fare? Continuare a soffrire! Decisamente i miei figli non infiorano di gioie la mia vita!!75

Horowitz si decise dunque a sposare Wanda Toscanini, e que­ sto è un evento che merita una serie di riflessioni. Schonberg rias­ sume il problema principale in questi termini: Se c’era un uomo che appariva destinato a rimanere scapolo, quello era Vladimir Horowitz. Era sempre vissuto senza preoccupazioni, godendo­ si la propria libertà. E poi, naturalmente, le sue preferenze sessuali non erano un segreto per il mondo dei musicisti. Horowitz preferiva gli uo­ mini. Cosi, quando fu annunciato il suo fidanzamento, ci furono sorri-7345 73 Ivi, p. 132. 74 Lettera di Arturo Toscanini a Ada Mainardi dell’i settembre 1933, in H . Sachs (a c. di). N el mio cuore troppo d ’assoluto. Le lettere d i Arturo Toscanini, Garzanti, Milano 2003, p. 221 (ed. orig. The Letters o f Arturo Toscanini, Knopf, New York 2002). 75 Lettera di Arturo Toscanini a Ada M ainardi del 20 settembre 1933, in ivi, p. 223.

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si del tipo “ho capito tutto”. Era un matrimonio di convenienza? O si trattava, forse, del desiderio di diventare un membro della famiglia To­ scanini, e di sedere ai piedi del Maestro? C ’era chi, sinceramente, crede­ va che Horowitz fosse piu interessato ad avere Toscanini per suocero che Wanda per moglie. Horowitz aveva suonato sotto la bacchetta del vec­ chio signore, e, come tutti i musicisti, era stato soggiogato dalla sua au­ torevolezza, dal suo orecchio musicale, dalla sua competenza, dal dina­ mismo della sua persona. Quanto a Horowitz, sapeva che Toscanini ave­ va un’alta opinione delle sue doti di pianista; il direttore d’orchestra non aveva fatto mistero della propria ammirazione per il brillante virtuoso. Quando Wanda mostrò di provare interesse per Vladimir, Horowitz era ma­ turo per essere catturato. Desiderava sistemarsi, e, come poi si vide, si sentiva fortemente attratto da Wanda, una donna che era stata educata a prendersi cura di un altro brillante musicista dal carattere difficile, Arturo Toscanini.76

Almeno da due pumi di vista si trattava di una decisione critica. In primo luogo, il tempo avrebbe mostrato che le inclinazioni omo­ sessuali di Horowitz non erano temporanee, né un aspetto trascura­ bile della sua vita di relazione, né un qualcosa che potesse essere fru­ strato senza ripercussioni psicologiche pesanti. In secondo luogo, prendere in moglie Wanda voleva dire non solo legarsi ad Arturo To­ scanini da un punto di vista artistico o di immagine, ma anche en­ trare in contatto con un uomo dalla personalità forte e decisa. Un qualunque parere su quanto (o quanto poco) sia stato ap­ passionato il rapporto fra Horowitz e Wanda Toscanini o su quan­ to esso sia stato genuino e radicato per entrambi rischia di risol­ versi in una mera illazione. Chi ha scritto su Horowitz ha spesso insistito su un punto: quello del bisogno reciproco che li legava, creando una sorta di collante. Uno psicologo che ebbe a che fare con Horowitz definì il loro matrimonio un classico esempio di rapporto di reciproca dipendenza. [...] essi erano giunti, in certo qual modo, a comprendere di essere inseparabili anche se andavano ciascuno per la sua strada.7776 76 H .C . Schonberg, Horowitz, cit„ pp. 129-130. 77 Ivi, p. 197.

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Nel caso di Wanda, questa si votò al marito musicista occupan­ dosi di quasi ogni aspetto della sua attività musicale, dalla stipula dei contratti (e pare che nessuno sapesse tirare sul prezzo come lei) all’organizzazione di riprese video. In molti periodi segui assidua­ mente la sua attività; fu con lui nel trionfo dei concerti russi del 1986, cosi come era stata con lui, fino alla fine del concerto, nel di­ sastroso recital di Tokyo. Nelle interviste video gli è sempre al fian­ co, e accade che anche in quelle conservate solo in audio la sua vo­ ce preceda quella di Horowitz nel rispondere a una domanda più scivolosa delle altre. Per Horowitz, Wanda divenne probabilmen­ te un necessario punto di riferimento, almeno da un certo mo­ mento in avanti, in un’esistenza spesso dispersa e frammentaria. Il materiale d’archivio conservato all’Università di Yale aggiun­ ge qualcosa a ciò che possiamo sapere della loro vita insieme. C ’è una fitta corrispondenza riguardante un anno soltanto, ma deci­ sivo; il 1957, in cui Wanda perde il padre ed entrambi rischiano di perdere la figlia, avendola in realtà già persa in un altro senso. Wan­ da si rivolge al marito designandolo col nomignolo “Pinci”, che pare venisse fuori dagli infruttuosi tentativi da parte di Horowitz di pronunciare correttamente il titolo de Ip in i di Roma di Respi­ ghi; scorreremo questa corrispondenza pili avanti nel volume, ma possiamo qui anticipare quanto appassionatamente Wanda si sen­ ta legata ad Horowitz in quei mesi. Un altro documento d’archi­ vio ci parla della loro intesa intellettuale: Chérie, vedi che il mio “stop” nel terzo tempo di Schubert?8 è stato par­ ticolarmente “apprezzato”! Ti invio questa critica [...] in cui vedrai che non hanno capito nulla .79

E poi, nello stesso fascicolo di corrispondenza degli Horowitz Papers, troviamo tanti e tanti bigliettini sparsi per le occasioni più varie. Fra i quali un «Je suis très heureux que tu reviens dans notre789 78 Horowitz si riferisce probabilmente alla Sonata op. 120 in La maggiore di Schu­ bert, di cui è documentata un’esecuzione a Pittsburgh, Pennsylvania, il 17 aprile 194z e che possiamo supporre abbia proposto più volte quell’anno. 79 Lettera di Vladimir Horowitz a W anda Toscanini Horowitz del 1942, in MSS 55, cartella 8/103.

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maison»80 scritto su un foglio qualunque può dire cose che non riusciamo a cogliere in resoconti di amici e colleghi. Vladimir Horowitz e Wanda Toscanini si sposarono a Milano il 21 dicembre 1933 con rito civile. Ci fu chi disse che il matrimonio non sarebbe durato tre settimane, invece fra momenti di crisi e tempora­ nee separazioni durò quasi cinquantasei anni. Non possiamo sapere cosa sarebbe stato di Horowitz da scapolo o con un matrimonio di­ verso, ma l’immagine che abbiamo di Horowitz e Wanda Toscanini, attraverso gli innumerevoli resoconti e documenti video, ha il sapo­ re delle cose che non potevano essere altrimenti. Lo strano connubio fra la personalità accentratrice del pianista che preferiva gli uomini e che destinava le proprie energie a una vita concertistica turbinosa, e il carattere ugualmente imperioso della figlia d’arte determinata a le­ garsi a un grande musicista, sembra dover essere annoverato fra i rap­ porti umani non incondizionatamente felici, ma necessari. Il primo anno che Horowitz trascorse con la nuova famiglia dove­ va rivelarsi anche l’ultimo con la vecchia: fu infatti nel 1934 l’unica oc­ casione in cui Horowitz rivide suo padre in Occidente. Samuil Gorovic aveva già provato a chiedere il permesso per l’espatrio, senza suc­ cesso. Quell’anno una nuova circostanza gli venne in aiuto: dopo la morte della madre di Horowitz, avvenuta in seguito a un’appendici­ te non curata, Samuil si era risposato con una donna parecchio piu giovane di lui. Il governo russo pensò che una moglie giovane senza permesso d’espatrio potesse essere una buona motivazione per il ma­ rito a ritornare. Cosi Samuil Gorovic venne in Europa e potè parte­ cipare a una serie di concerti del pianista, condividendone i successi. Samuel accompagnò il figlio e Wanda in un viaggio attraverso l’Europa, che li portò in Francia, in Italia, in Belgio e in Svizzera. Si beava dei suc­ cessi del figlio. Wanda lo giudicava una persona meravigliosa, “molto di­ stinta, piena di talento, assai colta”.81

Alexander Steiner, direttore d’orchestra e compositore che Horowitz aveva conosciuto a Parigi, lo vide una volta in cameri80 «Sono tanto felice che tu torni a casa». 81 H .C . Schonberg, Horowitz, cit., p. 143.

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no e ne parlò come di un uomo magnifico e dall’aspetto nobile, ma «col viso piu triste che avesse mai visto».82834 Dopo il rientro del padre in Russia, le comunicazioni con lui divennero impossibili. Toscanini, scrivendo a Ada Mainardi nel 1 9 3 8 ,riferì che a Horowitz era giunta una lettera della famiglia (Toscanini scrive «da un fratello», ma sia Grigorij sia Jakov era­ no morti, per cui la lettera potrebbe essere stata a firma di Regi­ na), in cui lo si esortava a lasciar perdere il padre e a non preoc­ cuparsene piu, a non mandare più denaro, poiché non ce nera bisogno, e ... a tornare in patria; dal che si intuisce che non era precisamente la mano di Regina a scrivere la lettera. Poi venne fuori la verità, come apprendiamo da un’altra lettera di Toscani­ ni alla Mainardi: da qualche mese il padre di Horowitz si trova in prigione o è deporta­ to ... La notizia fu comunicata a Walter dalla Contessa Cicogna che ha la sorella a Mosca maritata ad uno dell’Ambasciata. Mentre leggevo il telegramma Wanda mi era vicino. Figurati la mia pe­ na e lo sconvolgimento di tutto il mio essere. Naturalmente non ho co­ municato a nessuno la triste notizia. Ho tenuto e tengo ancora tutto dentro di me. [...] In quale mondo vi­ viamo, amore mio, è cosa spaventevole —e io dispero oramai di vederlo cambiato...

In effetti, Samuil Gorovic era stato arrestato al suo rientro in patria e portato in un campo di prigionia, dove sarebbe morto. Quando Regina aveva potuto far visita al padre, già questi era in condizioni tali da non poterla riconoscere. La Russia ora non solo incarnava per Horowitz lo stato che ave­ va tolto alla sua famiglia la sua posizione e i suoi beni, imputabi­ le indirettamente della morte della madre e dei due fratelli, ma di­ ventava anche la causa diretta della fine del padre.

82 G. Plaskin, op. cit., p. 174. 83 Cfr. lettera di Arturo Toscanini a Ada M ainardi del 12 gennaio 1938, in H . Sachs (a c. di), op. cit., p. 442. 84 Lettera di Arturo Toscanini a Ada Mainardi del 16 gennaio 1938, in ivi, p. 445.

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Durante la vita di Horowitz, sentimenti di repulsione e di de­ siderio sembra si siano alternati e mescolati nei confronti della ma­ drepatria, e piu volte si prospettò o si smentì la possibilità di uno storico rientro. Già nel 1931, il «The New York Times» aveva rife­ rito la notizia bomba di un possibile ritorno del pianista in patria: il direttore d’orchestra Albert Coates, dai natali russi, aveva detto alla stampa di avere ottenuto dall’Unione Sovietica, nella persona del ministro degli Esteri, il permesso per Horowitz di tornare in Unione Sovietica quando avesse voluto e per il tempo che avesse voluto, senza la prospettiva di alcun problema al momento di ri­ partire per l’America. *5 Dopo il nulla di fatto che segui a questa notizia, sempre dalla corrispondenza di Toscanini apprendiamo che nel 1946 il pianista aveva chiesto ufficialmente il permesso per dei concerti in Unione Sovietica, senza però ricevere risposta: La sua andata in Russia non avrà pili luogo... Pare che ha domandato, tra­ verso l’Ambasciata russa, di recarsi laggiù per fare dei concerti - Finora, e sono già tre mesi, non ha avuto risposta... Pare che la sua patria non lo de­ sideri. .. Forse hanno saputo che si è fatto cittadino americano.. ,8^

Il rientro nella terra natale sarebbe perciò avvenuto solo nel 1986, più di cinquantanni dopo l’ultimo incontro col padre. Prima della sua ripartenza, Samuil Gorovic potè assistere a un altro evento cruciale nella vita di Vladimir Horowitz: la nascita della figlia Sonia. Questa è forse la pagina piu buia della vita di Horowitz, quella che non vorremmo mai leggere, quella per la quale vorremmo credere che i fatti possano essere spiegati in mo­ do meno duro e imbarazzante. Sonia [...] fu allevata in un modo fatto apposta per crearle, quando fos­ se cresciuta, seri problemi. Nella sua qualità di pianista continuamente impegnato in tournées, Horowitz passava lunghi periodi lontano da ca-856

85 Cff. [s. n.], Music; Coates H ailed on Return Here, in «The New York Times», 12 ago­ sto 1931. 86 Lettera di Arturo Toscanini a Ada M ainardi del 13 settembre 1946, in H . Sachs (a c. di), op. cit., p. 565.

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sa. Cominciava, inoltre, ad essere afflitto da disturbi emozionali e psicosomatici, che entro breve tempo lo avrebbero allontanato dalla sua atti­ vità di concertista. In quei momenti disperati Wanda doveva stare con lui. Dopo la nascita della bambina, Wanda si fermò per circa un anno a Milano per prendersi cura della piccola; poi raggiunse Horowitz in Sviz­ zera, lasciandola con una bambinaia, la cui sorveglianza era affidata a Wally, la contessa di Castelbarco, che allora viveva a Milano. Poi Wanda andò in America col marito. Nei primi anni di vita della bambina la ma­ dre la vedeva solo ogni tanto. Quando Toscanini era nella sua casa di Mi­ lano se ne occupava anche lui. Sonia e la sua bambinaia potevano anche stare o con zia Wally nella proprietà dei Castelbarco a Crema, o a Isoli­ no, sul Lago Maggiore, nella dimora estiva di Toscanini. “Era sbattuta di qua e di là come un pacco”, ricordava Wanda. In circostanze come quel­ le, Sonia non poteva mettere radici in nessun posto, e la sua istruzione fu portata avanti alla meno peggio. Toscanini le voleva bene; come dice­ vano molti della cerchia degli Horowitz, le voleva più bene dei suoi ge­ nitori. Per quasi tutti, Toscanini poteva essere un mostro; ma per Sonia era il nonno amoroso, che faceva di tutto per viziarla.

Il carattere accentratore della personalità di Horowitz risulta particolarmente difficile da accettare nel contesto della paternità. Ciò che sappiamo dei fatti lascia intendere che per Sonia, al po­ sto del normale punto di riferimento di un padre e di una madre, vi fosse uno spaventoso vuoto affettivo. Sonia manifestò fin dall’infanzia disturbi del comportamento, che non è possibile attribuire tout court al comportamento dei ge­ nitori, ma che comunque danno da pensare. Per lei fu sempre diffi­ cile stabilire una propria identità che non fosse all’ombra di quella del padre; aveva doti musicali, e si sa che provò a esprimersi anche con mezzi pittorici e poetici, ma non trovò un obiettivo nel quale riconoscersi. Gitta Gradova, pianista amica di Horowitz, ricorda che la ragazza «era straordinariamente dotata, [...] a quattordici an­ ni parlava in maniera intelligente di Guerra epace, studiava profon­ damente diverse religioni e padroneggiava diverse lingue»,8 788 ma ram87 H .C. Schonberg, Horowitz, cit., p. 144. 88 G. Plaskin, op. cit., p. 262.

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meritava che in presenza di Horowitz o di Toscanini difficilmente le riusciva di esprimersi. Un’altra testimone, la cugina di Horowitz Natasa Saitzoff, rilevava la mescolanza di «una qualità oscura e di una specie di genialità» ,89 che facevano cortocircuito in un’esisten­ za estremamente infelice. Quella che nell’infanzia era una singolare esuberanza, nell’a­ dolescenza diventò un comportamento aggressivo e preoccupan­ te. Sonia cominciò a fumare, a usare un linguaggio scurrile e a non accettare la disciplina scolastica. I genitori, giunto il momento in cui era impossibile non accorgersi della situazione, si trovarono del tutto incapaci di reagire. Sonia frequentò prima istituti cor­ rettivi, poi riformatori e ospedali. Intorno ai vent’anni Sonia decise che non voleva piu vivere in America. “Non c’era luogo che le piacesse”, diceva Wanda. “Non riusciva a tro­ vare, su questa terra, un posto dove stare”. Sonia diede inizio ai suoi Wanderjahre andando a Parigi; poi si recò in Israele, dove visse in un kibbutz. Fini per stancarsi anche deH’ebraismo. Wanda ricevette una sua lettera che diceva: “Rendete Israele agli arabi”. Sonia, diceva la madre, era “un ebreo errante”. Visse per qualche tem­ po in Italia, poi in Svizzera. Ogni tanto tornava in America e si ferma­ va dai genitori. A quanto ne sapeva Wanda, Sonia non si era mai drogata, “ma viveva, quasi, di sonniferi, e negli ultimi tempi cominciò a bere. Poi smise di bere. Poi ricominciò”.9 °

Wally Toscanini Castelbarco, sorella di Wanda, si occupò spes­ so di lei, creando un forte legame. Nel 1957 Sonia ebbe un gravis­ simo incidente, sul quale pesa l’ombra del tentato suicidio. La gio­ vane si sarebbe poi ripresa lentamente e sarebbe ricominciata per lei un’esistenza errabonda e priva di obiettivi duraturi. Nella sezione iconografica di questo volume si è voluto inseri­ re una foto di Horowitz con la figlia nell’estate del 1954 a East Hampton. Li si può vedere seduti vicini in un giardino, Horowitz890 89 Ibidem. 90 H .C . Schonberg, Horowitz, eit., p. 236.

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su uno sgabello, Sonia per terra a gambe incrociate. Lo sguardo del padre non è ben definibile, pare distratto, forse da qualcosa che lui e Sonia stanno dicendo; lo sguardo della figlia invece è sor­ ridente e diretto verso di lui. È una fotografia che rappresenta la realtà delle cose addolcita da una maschera, una delle tante che si incontrano nella vita di Horowitz. In questo caso la maschera è provvidenziale e sembra cancellare, per il breve spazio di un’istantanea, l’immagine di una figlia senza gioia.

Intermezzo Sempre intorno alla metà degli anni Trenta, Aleksandr Merovic cessò di essere il rappresentante personale di Horowitz. Al mo­ mento di uscire dalla Russia l’agente aveva stretto col pianista (o, secondo un’altra versione, col padre di questi) Un accordo verba­ le col quale si stabiliva che il primo sarebbe stato “a vita” legato professionalmente al secondo. Si sa, però, che verba volanf. in America, soprattutto dopo il matrimonio, Horowitz non aveva piu alcun bisogno di Merovic come rappresentante personale e decise che da quel momento lo avrebbe interpellato solo per con­ sulenze su progetti specifici. L’agente russo non la prese bene, co­ me si può immaginare; continuò a rappresentare Milstein e Piatigorski e provò a fondare una propria agenzia, il Musical Art Ma­ nagement, con scarso successo però. Pare che fra l’altro comin­ ciassero a farsi vivi in lui aspetti comportamentali inconsueti, co­ si che le ultime immagini che ci lasciano di lui le biografie di H o­ rowitz sono un tantino inquietanti.?1 Un altro rapporto personale di Horowitz giungeva a una svol­ ta: quello con Rubinstein. Dobbiamo, secondo la versione che quest’ultimo riferì nelle sue memorie e in un’intervista con Glenn Plaskin, immaginarci un Horowitz che, attorniato dai Toscanini nell’intervallo di un concerto, finge di non vedere Rubinstein di91

91 Cfr. ivi, p. X18.

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passaggio nello stesso corridoio. E poi dobbiamo anche immagi­ nare un invito a pranzo da parte di Horowitz per onorare il qua­ le i Rubinstein si spostarono da Amsterdam a Parigi in una notte, salvo poi scoprire che il loro distratto ospite aveva dimenticato tutto e, in procinto di recarsi alle corse dei cavalli, si offriva di ri­ mediar loro alcuni sandwich. Ci fu uno scambio di missive poco piacevoli e i due non si parlarono per una buona ventina d’anni. Nel frattempo l’attività concertistica di Horowitz era continuata al solito ritmo, cioè freneticamente, e la straordinarietà del suc­ cesso, pur con qualche oscillazione, non veniva meno. Sui gior­ nali si leggevano ancora recensioni del tipo «Horowitz rivela la sua arte fatta piu grande»,9 Z in cui si spiegava che nel tal concerto il pianista era apparso essere autentico musicista e non solo virtuo­ so di razza: Vladimir Horowitz ha dato un recital pianistico ieri pomeriggio, un re­ cital non solo pienamente riuscito sotto ogni punto di vista pratico, ma anche indicativo dello sviluppo di Horowitz come interprete. [...] Egli aveva e ha in sovrabbondanza qualità di velocità, forza e scatto. È un vir­ tuoso nato. Fortunatamente, è molto di piu. Horowitz, sempre inter­ prete ponderato, ha sempre desiderato, in quanto musicista, espandere gli orizzonti della sua arte interpretativa. [...] Ora appare chiaro che die­ tro tutte [le sue] peregrinazioni stava il fermo perseguimento di un obiet­ tivo artistico .93

Negli anni che vanno dal suo debutto americano alla metà de­ gli anni Trenta, Horowitz portò in tournée un repertorio basato sul pianismo romantico e su Chopin e Liszt in particolare. Del primo, la Seconda e la Terza sonata, le quattro Ballate, i quattro Scherzi, la Barcarola, la Fantasia, e un’ampia scelta fra le altre com­ posizioni. Del secondo, un’antologia ugualmente nutrita, con i suoi punti di forza nella Sonata, nella Fantasia su Don Giovanni e in quella sulle Nozze di Figaro (completata da Busoni), in Après923 92 O . Downes, H orow itz Reveals H is Broadened A rt, in «The New York Times», 14 aprile 1935. 93 Ibidem.

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une lecture du Dante, Funérailles, Mefisto-valzer e cosi via. Il setto­ re romantico era completato da pagine di Schumann (fra cui la Fantasia, la Toccata e ΓHumoreske) e di Brahms (fra cui le Varia­ zioni su un tema di Paganini e la Terza sonata) e da brani scelti di altri compositori, come il Preludio, aria e finale di Franck e Islamey di Balakirev. Il classicismo viennese era rappresentato, a quanto ne sappia­ mo, da almeno quattro Sonate di Beethoven (ΓAppassionata, Top. 78, Top. 8ia Les adieux e Top. 101) e dalle 32 Variazioni in Do mi­ nore dello stesso autore, più la Sonata n. 52 di Haydn e la Sonata K 282 di Mozart. Si incontra, nei programmi di Horowitz, po­ chissimo Bach suonato nell’originale (si ha notizia solo di un Pre­ ludio efuga dal Clavicembalo ben temperato presentato in concer­ to nel 1931), mentre compaiono frequentemente le trascrizioni di Busoni. Il repertorio scarlattiano era ancora abbastanza sguarnito (tre sole Sonate documentate con certezza in questi anni) ma era destinato ad aumentare notevolmente. Il Novecento era rappresentato da alcune composizioni impor­ tanti di Prokof’ev (fra cui la Terza sonata e la Toccata), Ravel {Al­ borada del Gracioso e Oiseaux tristes da Miroirs, Scarbo da Gaspard de la nuit, Jeux d ’eau e Sonatine), Debussy (gli Studi nn. 1, 3, 6, 7 e il. Lisle joyeuse. Doctor Gradus ad Parnassum e Serenade for the Doll da Childrens Corner, Lesfées sont d ’exquises danseuses. Bruyè­ res e Général Lavine- eccentric dai Préludes) e Stravinskij ( Trois mou­ vements de Pétrouchka, da cui a volte Horowitz estraeva la sola Dan­ se russe), piu qualche brano di Medtner, Poulenc e Szymanowski. Fatto abbastanza singolare, non sono documentate in tutto que­ sto periodo esecuzioni di pezzi per pianoforte solo né di Rach­ maninov né di Skrjabin. Il repertorio con orchestra era imperniato sul Primo di Cajkovskij e sul Terzo di Rachmaninov, ma comprendeva anche il Quinto di Beethoven, i due concerti di Liszt e i due di Brahms. Di fianco alla serie di recital e concerti per pianoforte e orche­ stra tenuti in America ed Europa spiccano eventi di genere diver­ so. L’8 gennaio 1931 ci fu la prima di tre apparizioni di Horowitz alla Casa Bianca; quel giorno il pianista suonò per Herbert Clark Hoover, mentre nel 1978 e nel 1986 si sarebbe esibito davanti a

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Carter e a Reagan. (Avrebbe ricevuto anche un invito da parte di John F. Kennedy, ma questo sarebbe coinciso con uno dei mo­ menti di interruzione dell’attività; cosi Horowitz in quell’occa­ sione non avrebbe accettato). Menzioniamo poi almeno due apparizioni cameristiche: il 20 aprile 1931, alla Pent House in 247 Park Avenue lo si potè ascolta­ re nella Terza sonata di Brahms per violino e pianoforte in Re mi­ nore con Jascha Heifetz; il 30 marzo 1932, alla Carnegie Hall, H o­ rowitz si presentò invece in trio con Milstein e Piatigorski ese­ guendo Top. 87 di Brahms, XArciduca di Beethoven e il Trio ele­ giaco op. 9 di Rachmaninov. Era, si capisce, il tentativo di Merovic di proporre i suoi tre pupilli anche tutti insieme; la stampa però non si lasciò conquistare dalle doti di ensemble dei tre, la­ sciando intendere che dei solisti eccezionali non necessariamente possono dar vita a un complesso convincente. Camerismo a parte, la stagione di Horowitz iniziava in Europa in settembre o ottobre, in genere partendo dalla Scandinavia; poi c’erano concerti nel resto d’Europa fin verso la fine dell’anno. In gennaio, o già negli ultimi giorni di dicembre, cominciava il tour americano, che durava grosso modo fino ad aprile. Poi di nuovo in Europa, dove si concludeva la stagione. A partire dalla fine del 1930, molti dei concerti a Londra furono seguiti o preceduti da sessioni di registrazione per la Gramophone (E M l). Una stagione emblematica è per esempio la 1932-33. Fra i con­ certi che hanno lasciato traccia e che perciò ci permettono di se­ guire gli spostamenti di Horowitz, abbiamo un Primo di Cajkovskij a Stoccolma tra settembre e ottobre, che segna piu o meno l’i­ nizio della stagione. Poi ci si sposta a Parigi con un Terzo di Rach­ maninov diretto da Cortot (16 ottobre) con quattro bis (Oiseaux tristes e Scarbo di Ravel, Pastourelle e Toccata in Do di Poulenc); quindi a Londra, con un Primo di Cajkovskij diretto da Sir Tho­ mas Beecham (io novembre). Seguono, nella capitale londine­ se, tre sedute di registrazione (11,12 e 15 novembre), dopo di che Horowitz suona ad Amsterdam e a L’Aja (17 e 19 novembre) con l’orchestra del Concertgebouw diretta da Willem Mengelberg e a Bruxelles (29 novembre) con l’Orchestre Symphonique diretta da Pierre Monteux. In questo caso sappiamo che in un’unica serata

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interpretò il Secondo di Brahms e il Secondo di Liszt, coi soliti quat­ tro bis, questa volta di Chopin e Liszt. Fra le ultime apparizioni europee, un recital a Lucerna (2 dicembre) e un Secondo di Brahms a Parigi (il giorno di Natale) diretto da Désiré-Émile Inghelbrecht. Poi il viaggio transoceanico e la serie di concerti negli Stati Uni­ ti. Un primo recital alla Carnegie Hall il 23 gennaio col seguente programma: J.S. Bach - F. Busoni

Preludio corale N un komm der Heiden Heiland BW V659

L. van Beethoven R. Schumann R. Schumann R. Schumann

Sonata in La maggiore op. ιοί Presto passionato in Sol minore op. 22 Arabesque in Do maggiore op. 18 Toccata in Do maggiore op. 7

M. Ravel M. Ravel C. Debussy F. Poulenc F. Poulenc C. Saint-Saëns - F. Liszt

Oiseaux tristes (da Miroirs) Scarbo (da Gaspard de la Nuit) Serenadefo r the Doll Pastourelle in Si bemolle maggiore Toccata in Do Danse macabre op. 40

Un secondo nella stessa sala il 29 marzo con un programma del tutto diverso, fra cui spiccano le Variazioni su un tema di Pagani­ ni di Brahms e una seconda parte monografica su Chopin; e fra l’uno e l’altro recital la prevedibile sequela di apparizioni come so­ lista o con orchestra, con programmi non necessariamente iden­ tici. Poi, dopo il Quinto di Beethoven con Toscanini (23 aprile), ritorno in Europa per un altro Secondo di Brahms con Mengelberg a Parigi (7 maggio), per un recital a Manchester (8 maggio) e per un’ultima sessione di registrazione a Londra (29 maggio). Di tutti questi recital e concerti con orchestra tenuti nei primi anni Trenta, ce n’è qualcuno di cui abbiamo una documentazio­ ne sonora parziale. Il disco fatto in studio è una cosa e il live un’al­ tra, per cui queste testimonianze sono particolarmente preziose. Abbiamo due registrazioni parziali del Primo di Cajkovskij (1932 e 1934), un’incisione della Serenadefor the Doll ài Debussy (1933)

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e due versioni del Primo di Brahms (una completa con Toscanini nel 1935 e una quasi completa con Bruno Walter nel 1936). Se si considera che il Primo di Cajkovskij è il brano con cui Ho­ rowitz ottenne il suo straordinario successo prima in Europa e poi in America, possiamo comprendere l’importanza dei due segmen­ ti che ci sono pervenuti. Il 5 febbraio 193z, alla Academy of Music di Philadelphia, Horowitz esegui il concerto con l’orchestra locale diretta da Fritz Reiner. Il concerto e la replica del giorno dopo fu­ rono parzialmente registrati dal Bell Laboratory; in tutto pare sia­ no sopravvissuti diciannove minuti di musica, dei quali l’etichetta Living Stage ha pubblicato un estratto di un minuto e quarantatré secondi nel 2003. Il restante materiale è ancora oggi inedito. L’e­ stratto pubblicato corrisponde alla fine del primo tempo, a parti­ re dal termine della cadenza; ci mostra un Horowitz solido e grinto­ so, particolarmente ordinato nella conclusione del movimento, in cui la tensione viene portata al suo acme senza precipitazione. La seconda testimonianza relativa al Primo di Cajkovskij ci vie­ ne invece dalla radio danese, che registrò un live di Horowitz del 18 ottobre 1934, direttore Nikolai Malko. Questa volta abbiamo a disposizione tutto il terzo tempo (con un primo e secondo tem­ po che evidentemente giacciono in archivio), per cui possiamo davvero ascoltare Horowitz nel suo cavallo di battaglia e nelle sue “ottave colossali”. L’analisi dell’ascolto è resa difficile dalla qualità tecnica dell’incisione, ma colpisce comunque la creatività inter­ pretativa con cui Horowitz affronta questo brano, per lui di asso­ luta routine. La dinamica è modellata con una generosità incon­ sueta, rendendo vario il fraseggio e stemperando ogni possibile ri­ gidità dei movimenti di danza. I modi d’attacco del tasto sono i piu vari e imprevisti e, nonostante i limiti della tecnica discografica anni Trenta, giunge a noi una tavolozza di timbri vastissima. Sempre alla radio danese dobbiamo un’incisione assolutamente sui generis della debussiana Serenadefor the Doll. Il 5 ottobre 1933, a Copenhagen, Horowitz esegui il Terzo di Rachmaninov con l’Or­ chestra di stato della radio diretta sempre da Malko. I bis furono Funérailles di Liszt, la Danse russe dai Trois mouvements de Pétrouchka di Stravinskij e, appunto, la Serenadefor the Doli In questa poco no­ ta incisione, Vladimir Horowitz dà della pagina di Debussy una

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interpretazione tutta attese, indugi e ritrosie e la cala in un clima di sottile ma indubitabile erotismo. La castità della bambola di Chouchou lascia il posto a intenzioni ben diverse, che delineano una smaliziata figura di seduttore o di seduttrice. Sensualità, dol­ cezza e ironia si danno la mano in un corteggiamento che ha la sua forza neH’imprevedibilità di ogni mossa: non si sa quando e come la mano accarezzerà, non si sa quando la civetteria dello sguardo sfumerà nel desiderio confessato senza più remore. Fuor di me­ tafora, il fraseggio è completamente fluido e ogni luogo della pa­ gina musicale trova un suo tono per nulla scontato. E abbastanza normale chiedersi se le caratteristiche evidenziate dall’interpreta­ zione di Horowitz siano davvero presenti nella pagina musicale, o se il pianista ve le stia introducendo dall’esterno (trovandole nella sua immaginazione e nella sua sensibilità). In molti casi questa è una domanda senza speranza di risposta: piu le generazioni di stu­ diosi si danno il cambio con le loro riflessioni sui limiti dell’inter­ pretazione, piu questi ultimi sembrano sfuggire di mano. Resta ab­ bastanza facile additare le fuoriuscite clamorose da quei confini, ma quando la presunta evasione è fatta senza vero scalpore, è diffi­ cile capire se si stia ancora dentro o fuori. Questo vale in partico­ lare quando essa è realizzata con un dominio totale dei mezzi mu­ sicali e crea un’immagine coerente ed efficace. In questo caso, come si può essere certi che il mondo sensuale del Prelude à l ’après-midi d ’un faune non comunichi con quello del Childrens corner? Come esser certi che la categoria del miste­ ro, essenziale nell’interpretazione della musica di Debussy alme­ no da Jankélévitch in poi, escluda emozioni troppo terrene? A piu riprese, Horowitz ebbe a dire che nel proprio repertorio andava in cerca di un’interiorità viva che travalicasse epoche e stili. In que­ sta Serenade for the Doll il frammento di esistenza che Horowitz ci mette di fronte è il desiderio sensuale: un contenuto vivo da­ vanti al quale si defilano le preoccupazioni storiche e culturali. Anche il Primo di Brahms tramandato nelle due versioni dirette da Arturo Toscanini e da Bruno Walter è decisamente sui generis·. È un Brahms eccitante, impulsivo, veloce, brillante; un’esecuzione esplo­ siva che è, molto probabilmente, l’unica di quel genere. [...] l’interpre-

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tazione di Horowitz, sia nei suoi aspetti migliori sia in quelli meno feli­ ci, ci restituisce un Brahms nuovo e tutto suo, e ci coinvolge in un’ecci­ tazione viscerale a cui è difficile sottrarsi. Nessun pianista ha dato prova, nell’esecuzione di quell’opera notoriamente difficile, di una tale impe­ tuosità ritmica, di un’articolazione cosi incredibilmente nitida [...], di un vigore cosi p ossente.94

L’immagine piu divulgata di Brahms, quella del compositore già “vecchio” a diciott’anni, nelle cui opere slanci e passioni si in­ seriscono - senza per questo risultare mitigati - in una struttura quadrata e ordinata; il compositore che chiede ai suoi interpreti suono grasso e fraseggio composto, nel quale la vitalità difficil­ mente diventa esuberanza; questo compositore non è quello che Horowitz intende metterci sotto gli occhi. Con le due incisioni del Primo concerto di Brahms giungiamo in prossimità della prima interruzione dell’attività concertistica di Ho­ rowitz. Ancora nell’autunno del 1936 la stampa lo dava in forma smagliante e, oltre ad annunciare un tour di tre mesi con quaran­ ta concerti per la stagione successiva, rivelava il progetto di una se­ rie di apparizioni in Australia e Nuova Zelanda.95 In realtà, quelle terre il pianista non le avrebbe mai toccate, e il 22 novembre un ar­ ticolo sul «The New York Times» dava notizie di carattere diverso: Vladimir Horowitz, il pianista russo, ha dovuto cancellare due recital a Londra che avrebbe dovuto tenere in dicembre. Ciò è stato dovuto a mo­ tivi di salute. Horowitz è stato operato di appendicite a Venezia. A quan­ to dice il «London M orning Post» la sua convalescenza è stata cosi lenta che il suo medico gli ha proibito di viaggiare, e a maggior ragione di ap­ parire in pubblico.?6

Pare che Horowitz avesse sviluppato una speciale fobia in meri­ to al pericolo di un’appendicite; sua madre, si è detto, era morta per un’operazione eseguita troppo tardi, per cui il pianista ora temeva9456 94 H .C . Schonberg, Horowitz, cit., p. 141. 95 Cfr. [s. n.]. Notes Here and Afield, in «The New York Times», 5 luglio 1936. 96 [S. n.], Notes Here andA fieÙ , in «The New York Times», 22 novembre 1936.

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un’analoga negligenza dei medici. Non servi a nulla che il dottor Cottle, marito di Gitta Gradova, interpellasse una serie di colleghi, i quali - tutti —furono dell’opinione che l’appendice non c’entras­ se minimamente con i disturbi accusati dal pianista. Tanto disse e tanto fece, Horowitz, che l’operazione se la fece fare comunque. Il decorso operatorio non andò bene: insorse una flebite e per i tre me­ si successivi Horowitz se ne stette sdraiato con una gamba appesa. Sembrerebbe perciò che questo primo stop nell’attività con­ certistica di Horowitz sia da imputare a disturbi di natura fìsica; la realtà però è piu complessa, soprattutto se si considera quanto tempo fu necessario (poco in confronto ai dodici anni del succes­ sivo ritiro, molto in confronto alle necessità consuete di una con­ valescenza) prima che il pianista tornasse sulla scena. Nel suo libro, Glenn Plaskin interpreta il disagio di Horowitz in quegli anni soprattutto sulla base dei problemi connessi al suo ingresso nella famiglia Toscanini: C ’era un conflitto interiore legato, almeno in parte, alla sua nuova fa­ miglia e a quella che aveva lasciato dietro a sé in Russia - una specie di miccia a scoppio ritardato che alla fine esplose. Il trauma della malattia, il destino da incubo della sua famiglia in Russia, la supervisione ossessi­ va delle sue attività da parte di Wanda, e l’enorme divario fra i suoi sen­ timenti per gli uomini e le responsabilità di famiglia sarebbero stati suffi­ cienti a esaurire chiunque .97

Da celibe, il pianista era riuscito a trovare un punto di equilibrio, da sposato non pili, o quantomeno con difficoltà molto maggiore. Harold Schonberg offre invece una spiegazione basata su una dura autocritica musicale di Horowitz. Il critico spiega come que­ sti, guardando indietro nella sua carriera, vedesse un pianista che aveva desiderato il successo sopra ogni altra cosa e lo aveva perse­ guito con mezzi forse illeciti, trasformando le proprie esecuzioni in dimostrazioni di potenza strumentale; un pianista che si era la­ sciato ammaliare dagli aspetti pili superficiali del fare musica, che97

97 G. Plaskin, op. cit., p. 184.

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aveva ascoltato incondizionatamente i desideri del pubblico, che forse si era persino venduto al desiderio di celebrità, venendo me­ no ai propri doveri di musicista. H a inizio qui, nell’immagine che Horowitz ha voluto dare di sé, la sequenza delle sue dichiarate metamorfosi: il pianista si as­ senta dalle scene, trova la concentrazione necessaria per imbocca­ re la strada giusta e poi ritorna ai concerti rigenerato. Queste me­ tamorfosi, lo si è detto, si allineano lungo una retta: ogni volta Horowitz dichiara di aver fatto un passo in avanti verso la vera so­ stanza musicale e di essersi liberato dal fardello di doti tecniche troppo ostentate e ingombranti. Horowitz era esaurito, fisicamente e mentalmente; certe opere le aveva eseguite tante volte che, diceva, “non riuscivo più a sentirle, nemmeno mentre le mie dita le stavano suonando”. Il male che lo aveva colpito era la stanchezza del suo lavoro. Cominciò ad odiare la routine dei concerti e perfino il suo pianoforte.^8

È impossibile dire con certezza quali fossero i crucci di H o­ rowitz in quei due anni di inattività, se avesse piu bisogno di tro­ vare un equilibrio nella sua vita personale e di coppia o se doves­ se ritrovare la giusta convinzione nelle proprie capacità artistiche. Sembra di poter dire, comunque, che questo primo ritiro e quel­ li successivi debbano sfatare il mito del pianista fatto per le scene, l’idea dell’artista toccato dalle Muse per il quale fare arte è condi­ zione naturale, avulsa dalla fatica e dalla stanchezza. Horowitz affittò una casa sul lago di Lucerna, a Bertenstein, do­ ve trascorse i successivi due anni. La Svizzera era un luogo tran­ quillo sotto vari punti di vista, ma anche era il luogo dove viveva Rachmaninov. Il compositore aveva fatto costruire nel 1931 villa Senar (“Se” di Sergei, “Na” di Natalja, la moglie, e “R” di Rachma­ ninov) su una collina che dava anch’essa sul lago di Lucerna. Se c’era qualcuno che poteva capire ciò che stava passando Horowitz, questo forse era proprio Rachmaninov, visto che in gioventù ave-98

98 H.C. Schonberg, Horowitz, cit., pp. 145-146.

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va sofferto di analoghe crisi depressive, in particolare dopo il pes­ simo esito dell’esecuzione della sua Prima sinfonia nel 1897. Horowitz passò molto tempo col compositore. Scrive Schonberg: In Svizzera, Horowitz e Rachmaninov facevano interminabili discussioni sulla musica, suonavano pezzi a quattro mani —qualunque cosa riuscis­ sero a procurarsi; e Rachmaninov ascoltava Horowitz e lo incoraggiava. Horowitz sapeva che Γamico, in quel periodo, non era in buona salute, e perciò gli era tanto piu grato per il suo aiuto e per i suoi consigli. “Mi ave­ va preso molto a cuore, e mi pregava di studiare almeno un’ora al giorno”. In quel periodo Rachmaninov fu, nell’esistenza di Horowitz, la forza sta­ bilizzatrice. Lo tranquillizzava, tentava di fargli ritrovare la fiducia in se stesso, e lo incitava continuamente a tornare alla sua carriera.??

Anche Plaskin ricostruisce alcuni aspetti della loro frequenta­ zione a metà degli anni Trenta, entrando nel dettaglio del legame creato dalla comune eredità culturale russa e da una concezione del far musica straordinariamente affine. Rachmaninov diede a Horowitz anche consigli pratici riguardanti il suo (auspicabil­ mente) prossimo ritorno alle scene: per esempio cominciare da piccole città di provincia per poi arrivare nei grandi centri, o va­ lutare la possibilità di dare concerti al pomeriggio, quando le ener­ gie psicofisiche sono all’apice. Sappiamo che quest’ultimo consi­ glio avrebbe avuto vistose ripercussioni nelle abitudini concerti­ stiche di Horowitz dagli anni Sessanta in poi. Fra gli altri colleghi che Horowitz frequentò in quegli anni vi furono anche Rudolf Serkin e il violinista Adolf Busch. Serkin, intervistato da Plaskin, ricordò che in un certo periodo lui e Horowitz si vedevano pres­ soché ogni giorno e che fra le loro occupazioni preferite vi era la lettura di pezzi a quattro mani, fra cui opere di Sergej Rachmani­ nov e di Max Reger. Nonostante gli stimoli che gli giungevano da parti diverse, il pia­ nista impiegò molto tempo a guarire, certo piu di quanto era leci­ to supporre. Leggiamo in una lettera di Wanda a Rachmaninov:9

99 Ivi, p. 148.

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L’inizio della cura non è stato molto brillante... Volodia non ha avuto for­ tuna col suo medico, che prima gli ha prescritto dei bagni che si sono pro­ tratti per troppo tempo e poi molte medicine che erano troppo forti, co­ si alla fine della prima settimana è dovuto rimanere a letto per tre giorni. Dopo questa esperienza sfortunata, abbiamo immediatamente abbando­ nato la prima cura e scelto un altro medico (un medico donna russo!) che sta coscienziosamente seguendo il progresso della cura; ora a Volodia i ba­ gni fanno abbastanza bene, anche se la cura è molto stancante.100

Horowitz decise di ricominciare con i piedi di piombo, con un concerto privato a casa di Wally, a Venezia. Come data scelse il giorno del suo compleanno, Γι ottobre 1937. La vigilia gli giunse la seguente lettera di Toscanini, che evidentemente sperava in una rapida ripresa deU’attività concertistica. È un documento prezio­ so, in cui vediamo un grande musicista aprirsi a un altro grande: Mio carissimo Volodia, auguri e auguri affettuosissimi, benché lontano vi sono vicinissimo col pensiero, se non fosse perché ho ancora paura di veder gente, mi sarebbe stato caro di essere presente stasera alla ripresa della tua attività - che deve essere continuativa - senza indugi, incertezze né timori. Riprendi fiducioso la meravigliosa attività di prima —spezzata dalla fatalità che incombe su noi poveri mortali. So che sei in piena forma... Più mera­ viglioso di prima. Polo me lo scrisse e io gli credo. Tu sei di quei rari artisti che guardano e vedono lontano! L’amico mio Grubicy (pittore poeta scom­ parso) direbbe di te che sei animale che corre... E come!! Io sto qui ancora qualche giorno e ... cosa che pare inverosimile a tu tti... mi preparo a diri­ g e re i Nona sinfonia. Sono in stretto contatto con Beethoven il sordo, pie­ no di musica interiore. Come un alveare chiuso l’inverno - ci vedremo a Londra? Faremo qualche cosa insieme? Dimmelo che mi preparo. E dopo il tuo c’è il compleanno di Sonia! Dalle tanti baci - tutti quelli che non pos­ so darle io. Affettuosità a Wanda a Wally - Emanuele. Un forte abbraccio. A. Toscanini101

100 Lettera di W anda Toscanini Horowitz a Sergej Rachmaninov del 3 luglio 1937, in G. Plaskin, op. cit., p. 185. 101 Lettera di A rturo Toscanini a Vladimir Horowitz del 30 settembre 1937, in MSS 55, cartella 16/210.

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Ma ancora segui un anno di inattività, durante il quale le voci che si erano sparse in merito ai disturbi psicofisici di Horowitz culminarono in un surreale annuncio di morte dato da «Le Figa­ ro» e riferito alla radio proprio mentre l’allibito pianista sedeva da­ vanti all’apparecchio. In quegli stessi giorni, però, ci fu anche un altro segnale di speranza da parte di Toscanini: Ho avuto da Wanda una buona notizia... Horowitz pare deciso, consi­ gliato dai medici, di riprendere in Ottobre la sua attività... Anzi vuole ch’io metta insieme un programma per il i° Ottobre (suo compleanno) qui all’Isolino (come per Pizzetti nel 933) e che si pensi già a diramare gl’inviti... È un raggio di luce che m’è entrato nell’anima.102·

Questa volta Horowitz tornò davvero a suonare.

Anni Quaranta La sua prima apparizione non avvenne il primo di ottobre all’Isolino (il recital non ebbe luogo), ma il 26 settembre a Zurigo, in un programma a metà col Quartetto Busch, in cui esegui opere di Chopin: la Barcarola, una serie di Studi e la Polacca-Fantasia. Cominciò poi a tenere recital in Europa. Seguendo il consiglio di Rachmaninov, suonò prima in centri minori come Montecar­ lo, Marsiglia, Lione e St. Étienne; poi si esibì due volte a Londra e due a Parigi. Il io febbraio, nella capitale francese, Horowitz si presentò con un programma in cui figuravano tre Sonate di Scar­ latti, la Fantasia di Schumann e le Variazioni su un tema di Paganini di Brahms nella prima parte; un gruppo chopiniano (Barca­ rola, due Mazurche, Studi op. 25 n. 3 e n. 9) e uno lisztiano (So­ netto 104 del Petrarca, Au bord d ’une source, Studio da Paganini η. 2) nella seconda. Fra i bis rispuntavano le Variazioni su un tema della Carmen di Bizet. Nel secondo recital parigino, il 30 marzo, il repertorio fu invece il seguente: 102 Lettera di Arturo Toscanini a Ada Mainardi del 6 luglio 1938, in H . Sachs (a c. di), op. cit., p. 466.

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F. Mendelssohn Preludio efuga in Fa minore op. 35 n. 5 L. van Beethoven Sonata in Mi bemolle maggiore op. 31 n. 3 F. Chopin Ballata n. 4 in Fa minore op. 52 F. Chopin F. Chopin F. Chopin F. Chopin F. Chopin C. Debussy C. Debussy C. Debussy G. Fauré E. Dohnanyi

Scherzo n. 4 in Mi maggiore op. 54 Improvviso n. 1 in La bemolle maggiore op. 29 Studio in Fa maggiore op. io n. 8 Studio in Do diesis minore op. 25 n. 7 Studio in Si minore op. 25 n. io Studio n. 8 (Pour les agréments) Studio η. 3 (Pour les quartes) Studio n. 6 (Pour les huit doigts) Notturno n. 1 in Mi bemolle minore op. 33 n. 1 Studio da concerto in Fa minore op. 28 n. 6 (Capriccio)

L’estate Horowitz la trascorse a Lucerna con la famiglia, e fu­ rono le sue ultime vacanze europee. In agosto era programmato il Festival di Lucerna, che era Γ“altro” festival, contrapposto a quel­ lo di Salisburgo; in quest’ultimo, infatti, i non graditi al regime nazista e fascista non suonavano né dirigevano. La rassegna di Lu­ cerna esisteva dall’anno prima, e l’orchestra aveva come anima i membri del Quartetto Busch, che ricoprivano le prime parti; al­ tri archi provenivano da cinque dei principali quartetti svizzeri. Quell’anno vi furono direttori come Willem Mengelberg e Bru­ no Walter e solisti come Rachmaninov e Pablo Casals. Horowitz intervenne al festival il 29 agosto 1939, tenendo quello che dove­ va essere il suo ultimo concerto europeo per i successivi dodici an­ ni, nonché l’ultimo concerto europeo insieme a Toscanini, ese­ guendo il Secondo concerto di Brahms. Tre giorni dopo, il primo settembre, Hitler invadeva la Polonia. La Gran Bretagna ordinò la mobilitazione e preparò l’evacuazione in previsione di attacchi aerei. Il giorno dopo, in Italia, Mussolini dichiarò la non bellige­ ranza, ma nuove leggi instaurarono un’economia di guerra. Il 3 settembre, infine, Gran Bretagna, Australia e Francia dichiararo­ no guerra alla Germania. L’approdo dei piroscafi transoceanici, già per tradizione segna­ lato nei quotidiani, ora era notizia di rilievo. Il 2 ottobre giunse-

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ro in America lo svedese Gripsholm e l’italiano Vulcanici, con più di duemilacinquecento passeggeri a bordo. IQ3 II Vulcania portava fra l’altro diplomatici da nove paesi, Simone Simon, star del ci­ nema francese, l’attrice Marta Eggert; e Vladimir Horowitz, con Wanda e Sonia. La stampa cercò di trasmettere all’ancora parzial­ mente ignaro pubblico americano una parte dei brividi di oltre oceano raccontando i dettagli della traversata. Il Vulcania aveva incontrato lungo il percorso un cacciatorpediniere inglese, che aveva intimato l’alt. Pare però che il piroscafo italiano lo avesse ignorato, avendo a bordo anche duecentoquarantuno tedeschi, la maggior parte dei quali ebrei rifugiati. Comunque, tutto è bene quel che finisce bene, il piroscafo era passato oltre. E anche il pre­ sunto ritrovamento di una spia a bordo (scoperta in flagrante ad armeggiare con un apparecchio a onde corte) rimase solo un par­ ticolare di colore. Horowitz si lasciava perciò alle spalle il continente europeo in procinto di esplodere e fece dell’America la sua casa. In una intervista al «The New York Times» del 24 dicembre, Horowitz parlò dei due anni di assenza dalle scene, della sua ma­ lattia e dei suoi progetti, dando anche un nuovo ritratto di sé co­ me artista: Sono stato fuori dalle scene riposandomi per due anni, dopo aver lavora­ to molto duramente. Poi, due stagioni fa, ho ricominciato i miei concer­ ti in Europa [...] e ora, come sapete, ricomincerò presto anche qui. Non voglio influenzare l’opinione dei critici, ma spero che una nuova qualità verrà ritrovata nel mio modo di suonare. Personalmente, credo proprio che ci sia. Oppure, vediamo di dirlo in maniera diversa. Vedo la musica e penso in maniera più chiara e piu compiuta di quanto abbia mai fatto in passato. Questo succede comunque quando un artista è sincero, lavora e ha la capacità di crescere. Ma c’è qualcosa di piu. Voi newyorkesi proba­ bilmente vi troverete d’accordo con quello che sto per dire. In effetti, vi siete già trovati d’accordo nella persona di più di un americano molto im­ pegnato che si è dichiarato contento di ammalarsi. Quando ci si amma-103 103 Cfr. [s. n.]. Ocean Travelers, in «The New York Times», 2 ottobre 1939; [s. n.], 2 Big Liners Dock w ith 2,547 Aboard, in «The New York Times», 3 ottobre 1939.

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la si ha il tempo di riposare non solo il corpo ma anche la mente. Si è por­ tati a dormire, a prendersela comoda, a smettere di pensare a problemi complicati, a leggere libri divertenti nelle ore di convalescenza. E cosi, quando la malattia non è grave, può venirne fuori un uomo nuovo. Le dirò che nei molti mesi in cui non ho suonato ho imparato molto sulla musica - forse piu di quanto avrei imparato se avessi studiato in ogni mi­ nuto a mia disposizione, saltando poi su un treno per dare un concerto. Naturalmente, si cresce attraverso l’esperienza, e i problemi dell’interpre­ tazione si risolvono solo attraverso esecuzioni frequenti. Ma questa è sta­ ta una cosa diversa. Ho potuto uscire, mentalmente parlando, dal mio far musica. Ho potuto osservarlo da una nuova prospettiva.10^

Horowitz prese casa in affitto a Fieldston, nello stato di New York, a dieci minuti d’auto dalla residenza di Toscanini a Riverdale. Wally era rimasta in Italia, mentre il fratello di Wanda, Wal­ ter, si trovava a Camden nel New Jersey. Horowitz trascorreva pa­ recchio tempo in casa Toscanini, cosi come parecchio ve ne tra­ scorreva Sonia. Da Plaskin apprendiamo alcune amene storielle su nonno e nipotina: per esempio che Sonia amava improvvisare piccoli balletti quando Horowitz si metteva alla tastiera, ma si rifiutava energicamente di fare lo stesso quando a suonare era Ar­ turo Toscanini, perché questi «suonava troppo male». Oppure di quella volta che, assistendo durante una prova d’orchestra a una sfuriata di Toscanini a un orchestrale, ebbe a commentare: «Per­ ché se queste persone non sono d’accordo col nonno non gli ri­ spondono? E perché non prendono e non se ne vanno via?».10* È del novembre 1939 una lettera in cui Toscanini offre un viva­ ce ritratto della nipote: Sonia continua ad essere un amore di bambina. H a cominciato a studiare il pianoforte... L’altro giorno mentre era sola in camera (tutti credevano dormisse) si è tagliata i capelli - tutti i riccioli via... Si è ridotta come un maschietto. Figurati il dispiacere di tutti qui in casa - Io sono stato due giorni senza rivolgerle la parola... Figurati con che cuore... Lei mi guar-104* 104 [S. n.], Pianist Returns A fter Absence, in «The New York Times», 24 dicembre 1939. io j G. Plaskin, op. cit., pp. 200-201.

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dava di sottecchi ed io fingevo non vedere... Quando poi venne a scu­ sarsi non ti dico i baci che le ho d ato... Per mio conto sta meglio ora di quel che stava coi capelli lunghi. Sembra un maschietto e lei dice che vuole essere un boy e non una girl... È una vera gioia averla con noi e riempie molto la nostra vita!106107

Sempre nella corrispondenza di quel periodo di Arturo Tosca­ nini10? troviamo evocato un evento in cui direttore d’orchestra, figlia e genero si presentarono, insieme ad altri nomi celebri, nel­ l’insolita veste di quasi cabarettisti, per un concerto di beneficen­ za. In un incontro di intrattenimento per la Scuola di Musica di Chatham Square a New York, Toscanini, i due Horowitz, Heifetz, Adolf Busch e altri si esibirono in esecuzioni semigoliardiche, in cui oltre al mozartiano Ein musikalischer Spass, demenziale senza bisogno di aggiustamenti ad hoc, furono eseguite varie altre com­ posizioni con tutti i musicisti vestiti da bimbi, qualcuno con i cal­ zoni corti, qualcun altro coi calzettoni e altri ancora a gambe nu­ de («Horowitz è comicissimo», scrisse Toscanini). Wanda avreb­ be dovuto truccarsi come il padre e dirigere cosi combinata il Mo­ to perpetuo di Ferdinand Ries, ma alla fine le mancò il coraggio. I concerti, quelli seri, ricominciarono a New York il 31 gennaio 1940. Horowitz si presentò alla Carnegie Hall col seguente pro­ gramma, fortemente modellato sul repertorio dell’anno prece­ dente, ma con la grossa novità della Fantasia di Schumann: F. Mendelssohn R. Schumann R. Schumann

Preludio efuga in Fa minore op. 35 n. 5 Fantasia in Do maggiore op. 17 Toccata in Do maggiore op. 7

F. Chopin F. Chopin F. Chopin

Barcarola in Fa diesis maggiore op. 60 Mazurca in Mi minore op. 41 n. 2 Mazurca in Do diesis minore op. 41 n. 1

106 Lettera di Arturo Toscanini a Ada M ainardi del 23 novembre 1939, in H . Sachs (a c. di), op. cit., p. 505. 107 Cfr. lettera di Arturo Toscanini a Ada Mainardi del 29 dicembre 1939, in ivi, pp. 509-510.

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F. Chopin F. Chopin F. Chopin F. Chopin C. Debussy C. Debussy C. Debussy C. Debussy V. Horowitz

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Studio in Do diesis minore op. io n. 4 Studio in Sol bemolle maggiore op. 10 η. 5 Studio in Do diesis minore op. 25 n. 7 Studio in Si minore op. 25 n. io Studio η. I (Pour les cinq doigts - d’après Monsieur Czemy) Studio n. 4 (Pour les sixtes) Studio n. 8 (Pour les agréments) Studio n. 6 (Pour les huit doigts) Variazioni su un tema della Carmen di Bizet

Iniziavano cosi gli anni Quaranta. Il biografo, secondo alcune vo­ ci, non dovrebbe lasciar trapelare le proprie predilezioni all’interno dell’opera del musicista studiato. Senza saper dire se questo sia o non sia vero in linea generale, si decide qui di ignorare del tutto l’ammonimento. Gli anni Quaranta furono per Horowitz un pe­ riodo sbalorditivo. Fra le sue interpretazioni giunte fino a noi vi so­ no una Polacca-fantasia, una Quarta ballata e diverse Mazurche di Chopin che mozzano il fiato; c’è una Sesta rapsodia ungherese di Liszt semplicemente incredibile, roba da credere che ci sia un trucco (ma il trucco nel 1947 non poteva ancora esserci); c’è una Toccata in Do minore di Bach che si lascia ascoltare col fiato sospeso dall’inizio al­ la fine; e c’è (non sembri blasfemo l’accostamento) uno Stars and Stripesforever che. comunica un’eccitazione incontrollabile. Alcuni degli aggettivi introdotti qui sopra dicono già qualcosa dello stile esecutivo di Horowiz nella quindicina di anni che va dal 1939 al 1953. La sensibilità ritmica ne è una componente fon­ damentale: nella quasi totalità delle pagine di musica affrontate, la partitura è vista come una freccia che viene scoccata all’inizio e che va a conficcarsi nel bersaglio alla fine del pezzo. La direzione del flusso musicale è portata spesso in primissimo piano da una solidissima tenuta del tempo, ma senza che questa fissità risulti statica; ogni istante conduce al successivo e gli si precipita addos­ so. Si realizza, per esempio, nella Sesta rapsodia ungherese di Liszt una tensione musicale e drammatica che non conosce requie; vi sono, è vero, punti di articolazione del fraseggio, luoghi di ap­ prodo e di ripartenza temporanei, ma il respiro che questi rendo­ no possibile non ha tempo di trasformarsi in un respiro fisico e in

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una vera distensione per chi ascolta. In essa si realizza il parados­ so di una musica che respira senza lasciar respirare. Altro tratto stilistico, strettamente collegato con questo, è l’affla­ to drammatico dell’esecuzione, che si traduce nella deformazione espressionistica di alcuni dettagli. Ascoltando la Polacca-fantasia di Chopin ci si imbatte in momenti in cui l’allineamento vertica­ le degli eventi, pur prescritto in partitura da Chopin, viene seria­ mente messo in discussione da Horowitz. L’indipendenza delle di­ verse voci viene enfatizzata, ognuna di esse porta in primo piano la sua propria direzione e i suoi propri punti di arrivo, e il disor­ dine controllato che viene fuori complessivamente rivela le sue po­ tenzialità simboliche, mimando col suo turbamento il turbamen­ to della musica, e della psiche che la vive. A essere tormentate non sono soltanto le partiture più esplici­ tamente drammatiche, ma pure tante pagine liriche; come il Not­ turno op. 72 η. I di Chopin registrato nel 1951, che non riposa e non dà pace. Molta critica, di quegli anni o di anni successivi, non ha ama­ to questo Horowitz, facendo slittare la categoria di drammati­ cità in quella di nevroticità. La sollecitazione fìsica e psicologi­ ca a cui le interpretazioni di questo Horowitz sottopongono l’a­ scoltatore vulnerabile (si badi al fatto che in questo contesto l’ag­ gettivo non ha connotazioni negative) è grande. Non si tratta di un ascolto che possa rimanere elemento di sfondo: al contrario, pretende una partecipazione totale. N on siamo in presenza di un “bello” gradevole, da contemplare con agio, ma di un “su­ blime” volitivo e dannatamente restio a essere solo oggetto da contemplare. Horowitz era allora all’apice delle sue capacità muscolari ed adetiche. Non vi erano idee musicali che si trovasse a dover ridimen­ sionare in qualche modo e non vi erano casi in cui necessità pra­ tiche influenzassero il fraseggio di un qualche passo. Uno dei ma­ nifesti della sua raggiunta onnipotenza tecnica furono le sue ese­ cuzioni del Terzo di Rachmaninov; quell’anno, lo presentò il 15 e 16 febbraio 1940 alla Carnegie Hall con la New York Philharmo­ nie Orchestra diretta da John Barbirolli, in un’esecuzione che stordì i contemporanei. Il «The New York Times» commentò:

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durante questa protratta assenza l’arte di Vladimir Horowitz ha subito un cambiamento radicale. Questi è ritornato nelle vesti di un musicista incommensurabilmente migliore. Perché ora in aggiunta al bagaglio tec­ nico stupefacente, alla potenza e alla passione che gli valsero un imme­ diato successo di pubblico in occasione del suo primo concerto qui, Vla­ dim ir Horowitz porta nella sua interpretazione una m aturità di com­ prensione, una profondità di sentimenti umani e una grande sensibilità sonora che rendono la sua maniera di suonare completamente diversa.108

Non conosciamo quest’esecuzione, ma il disco ne ha traman­ data una dell’anno successivo, sempre con Barbirolli e la New York Philharmonic, in cui furia ed eccitazione raggiungono l’apice. Il 1940 prosegui con il Primo di Cajkovskij con Barbirolli (che abbiamo in disco) e poi con un secondo recital alla Carnegie Hall, con un programma che prevedeva, nella prima parte, Scarlatti in apertura, seguito dalla Sonata in Mi bemolle maggiore op. 31 n. 3 di Beethoven e dalla Seconda di Chopin; e, nella seconda, due M a­ zurche di Chopin, Scarbo da Gaspard de la nuit ài Ravel e un grup­ po di composizioni di Liszt (Sonetto 104 del Petrarca, Au bord d u ­ ne source, Orage dalle Années de Pèlerinage, Feuxfollets e lo Studio da Paganini η. 5 in Mi maggiore La Caccia). La stagione si chiuse il 6 maggio con un concerto con orchestra di­ retto da Toscanini (con la NBC Symphony Orchestra) allo Studio 8H di New York: in programma, la Prima serenata e la Prima sinfonia di Brahms, e, per quanto riguarda Horowitz, il Secondo concerto. Il con­ certo fu trasmesso alla radio e registrato dalla RCA, ma per problemi tecnici si preferì registrarlo di nuovo in studio, tre giorni dopo. I primi anni Quaranta portarono alcuni cambiamenti nella vi­ ta di Horowitz. Intanto, con la stagione 1940-41 si pose il proble­ ma di chi dovesse accompagnare Horowitz nelle sue tournée. Nel­ la stagione precedente lo aveva fatto Wanda, ma diventava chiaro che questa non poteva essere una soluzione definitiva. Quanto a Merovic, c’erano diversi ostacoli: non era più il rappresentante personale di Horowitz, ma un semplice consulente, che peraltro

108 [S. n.], Horowitz Soloist a t Carnegie Hall, in «The New York Times», 16 febbraio 1940.

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agiva con notevole dispendio di energie e spesso senza approdare ad alcun risultato. Plaskin, ad esempio, racconta che durante gran parte degli anni Quaranta, [Merovic] tentò di organizzare un tour in Sud America con l’imprésario Ernesto de Quesada. Dopo no­ ve anni di voluminosa corrispondenza, sembrava finalmente che Horowitz avrebbe fatto questo tour nell’estate del 1948, ma cosi come era successo molte altre volte in passato si chiamò fuori all’ultimo momento. In effet­ ti, l’unico viaggio che avrebbe mai fatto a sud del confine americano sa­ rebbe stato a L’Avana, il 7 dicembre del 1949.io 9

Era necessario perciò trovare un compagno di viaggio per Horowitz, e lo si fece nientemeno che con un’inserzione. Glenn Plaskin racconta la singolare vicenda di Horowitz e Wanda che fecero pubblicare un trafiletto sul «The New York Times», qualcosa del tipo «cercasi com­ pagno di viaggio e segretario per uno dei piu grandi artisti del mon­ do», senza fare il nome. Fra coloro che risposero all’inserzione vi fu il ventunenne Lowell Benedict, che ottenne il posto. Nelle interviste poi concesse a Plaskin, Benedict raccontò estesamente del periodo trascorso con Horowitz: di come, per esempio, dietro l’immagine pa­ tinata diffusa dalla stampa vi fosse un musicista estremamente affati­ cato per via della routine concertistica; di come, anche, Horowitz stes­ se reagendo negativamente alle sedute di psicanalisi da poco comin­ ciate. Il suo analista, Lawrence Kubie, si era convinto che la cura do­ veva consistere nell’esdrpare da lui l’omosessualità e cominciò a pro­ cedere in tal senso: la risposta di Horowitz fu di tagliarsi fuori completamente dal mondo e anche dai suoi stessi sentimenti. Per gran parte del tempo era infelice e depresso; un uomo pieno di amarezza.109110

Un altro cambiamento nella vita di Horowitz fu la rottura con Arthur Judson e con la Columbia Concert Corporation: alcune delle richie­ ste economiche e organizzative avanzate da Horowitz, come percen109 G. Plaskin, op. cit., p. 206. n o Ivi, p. 215.

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tuali maggiori nelle grandi città, limite massimo ai concerti da tenere nei piccoli centri, esclusione della costa pacifica dal tour, apparivano inaccettabili all’agenzia, cosi come la facilità con cui il pianista annul­ lava un concerto per i morivi piu diversi. Ai richiami all’ordine, Ho­ rowitz rispose cambiando partito e rivolgendosi ad Annie Friedberg, che evidentemente non era la Columbia Concert Corporation ma po­ teva offrire ciò che al musicista stava a cuore, cioè un servizio ad hoc all’insegna della libertà di scegliere itinerari, città e ritmi di lavoro. Horowitz cambiò di nuovo casa. Nel 1941 affittò una casa a Los Angeles, dichiarando che il clima della California avrebbe giovato a una sua presunta infiammazione cronica alla gola; non è diffici­ le però immaginare che il fatto che Rachmaninov abitasse in quel­ la città avesse la sua brava importanza nella scelta del luogo dove vivere. Wanda e Sonia seguirono Horowitz, nuovamente costrette ad abbandonare un ambiente al quale si stavano abituando.111 Horowitz e Rachmaninov ripresero le consuetudini della loro intima ami­ cizia, e anche quella di suonare a quattro mani, che avevano interrotta do­ po il loro soggiorno in Svizzera nel 1937. [...] Rachmaninov parlò molto seriamente di un concerto che avrebbero dovuto tenere lui e Horowitz al­ la Carnegie Hall; ma a causa delle sue condizioni di salute non se ne potè far nulla. Rachmaninov riuscì almeno ad ascoltare un’ultima volta, il 7 agosto 1942, il Terzo concerto suonato da Horowitz. “Uno dei momenti piti grandi da me vissuti sul palcoscenico fu dopo aver eseguito il Terzo Concerto per pianoforte con l’orchestra diretta da William Steinberg. Nell’Hollywood Bowl c’era un pubblico di oltre 23000 persone. Alla fine del concerto Rachmaninov venne sul palcoscenico, e disse che la mia esecu­ zione era stata quella che aveva sempre sognata per la sua opera”.112

Stars and Stripes Forever L’America era il paese che aveva accolto Horowitz, dandogli il suc­ cesso, la prosperità, un posto di spicco nel mondo; nel 1942 il pia­ n i Cfr. H .C . Schonberg, Horowitz, cit., p. 153. 112 Ivi, pp. 153-154.

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nista confermò questa affinità elettiva assumendo la cittadinanza americana. Un evento che, negli anni della guerra, divenne il simbolo del rapporto fra Horowitz e la sua nuova patria fu il concerto di raccol­ ta fondi che si tenne alla Carnegie Hall il 25 aprile 1943, direttore Toscanini, solista Horowitz, musiche di Cajkovskij. L’annuncio fu dato sul «The New York Times» del 17 marzo 1943.” 3 1 buoni del tesoro il cui acquisto avrebbe consentito l’ingresso al concer­ to andavano dai 25 dollari per i posti in piedi ai 50.000 per la pri­ ma fila. L’evento sarebbe stato uno dei punti culminanti della cam­ pagna di raccolta fondi; ci si aspettava che fosse uno dei maggio­ ri successi di botteghino di tutti i tempi. Cinque giorni prima del concerto si annunciò il tutto esaurito. La previsione iniziale era di quasi sette milioni di dollari, l’incasso finale superò i dieci milio­ ni di dollari. George R. Marek, alcuni anni dopo, rievocò l’even­ to in questi termini: Nessuno di noi che quel pomeriggio eravamo alla Carnegie Hall ha mai dimenticato quell’ora. La carica elettrica che sempre caratterizzava un concerto di Toscanini o di Horowitz pareva aver raggiunto un’intensità anche pili alta, in un’atmosfera pervasa dall’emozione che derivava dal­ l’importanza dell’awenimento. Quest’emozione deve avere a sua volta agito sugli artisti. Il segreto del­ l’eccezionaiità dell’esecuzione musicale sta in un’interazione in cui mu­ sica, artista e pubblico giocano tutti un proprio ruolo. Come si generi questa grandezza, in base a quale alchimia i vari elementi si fondano in­ sieme, nessuno lo può spiegare. Avvenne cosi che l’esecuzione del Con­ certo per pianoforte di Cajkovskij, che molti tra il pubblico avevano già ascoltato, e che li aveva in precedenza già portati all’entusiasmo, questa volta fu toccata dall’ispirazione in misura ancora maggiore. Mancò po­ co che la gente impazzisse.11*134

113 Cfr. [s. n.], Toscanini to Give War B ond Concert, in «The New York Times», 17 marzo 1943. 114 Dichiarazione di George R. Marek, allora vicepresidente e direttore generale del Dipartim ento dischi della RCA Victor, pubblicata nel 1959 nelle note accluse alla prima uscita in disco di questa esecuzione, e poi in RCA Victor 60321-2.

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Un modo diverso per manifestare il legame fra un musicista e una nazione è naturalmente che il repertorio del musicista si ap­ propri di musiche di quella tradizione nazionale. Un punto di ini­ zio, per Horowitz, fu aprire molti dei suoi recital del periodo di guerra con l’inno degli Stati Uniti, The Star-Spangled Banner. È poi documentata almeno un’incursione nel repertorio leggero di impronta folclorica: il 14 marzo del 1944, dopo un programma standard a base di Scarlatti, Rachmaninov, Beethoven, Chopin e Liszt, fra i bis vi fu anche un Harmonica Player del texano David Wendel Guion (autore di celebri canzoni da cowboy) che pare de­ liziò particolarmente la platea locale.11? Ma Horowitz, evidentemente, desiderava un brano americano significativo da mettere in repertorio: Horowitz aveva dichiarato tempo prima di essere in cerca del “grande compositore americano”. “Mi piacerebbe trovare un buon brano di am­ pie dimensioni di un compositore americano” disse a un intervistatore. “I compositori americani non scrivono molto o non scrivono bene per il pianoforte. Vogliono solo scrivere grandi pezzi per orchestra”. Le ope­ re per pianoforte di Copland, spesso percussive, non erano in discussio­ ne, e sebbene a un certo punto Horowitz stesse valutando l’ipotesi di ese­ guire brani di George Antheil, solo la musica di Samuel Barber lo inte­ ressò davvero.115116

L’idea di un possibile incontro fra Horowitz e la musica di Antheil suona naturalmente solleticante, però col senno del poi si può di­ re che Samuel Barber, compositore ancorato a sistemi armonici e forme relativamente tradizionali, e soprattutto con uno spiccato afflato romantico e drammatico, non poteva non colpire Vladi­ mir Horowitz con la sua musica. Il pianista mise in repertorio tre delle Excursions op. 20 (le nn. 1, 2 e 4) nel 1945, dandone la prima esecuzione newyorkese il 28 marzo e la prima esecuzione assoluta precedentemente nella stessa stagione. Poi, nel 1949, i musicisti e 115 Cfr. O . Downes, H orowitz Plays ProkofieffM usic, in «The New York Times», 15 marzo 1944. n é G. Plaskin, op. eri., p. 229.

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mecenati Richard Rodgers e Irving Berlin commissionarono a Bar­ ber la Sonata per pianoforte e Horowitz la adottò subito, dando­ ne la prima esecuzione a Cuba il 9 dicembre 1949. Dopo un’altra esecuzione del pezzo in un concerto privato al quartier generale dell’editore Shirmer (4 gennaio 1950),117189il 23 gennaio ci fu il bat­ tesimo ufficiale statunitense, durante il primo recital della stagio­ ne alla Carnegie Hall. L’episodio piu eclatante nel rapporto fra Horowitz e il mondo americano lo si ebbe però con la trascrizione che il pianista rea­ lizzò della celeberrima marcia Stars and Stripes Forever di John Philip Sousa. Il 31 dicembre del 1944 si rendeva noto sulla stam­ pa che Horowitz aveva realizzato una trascrizione virtuosistica del brano e che si apprestava ad eseguirla nel recital dell’8 gennaio a Co­ lumbus, e piu tardi a New York. Si riferiva, inoltre, che Horowitz aveva deciso di realizzare l’arrangiamento dopo aver ascoltato To­ scanini dirigere la marcia in un concerto di beneficenza al Madi­ son Square Garden.“ 8 Horowitz stava lavorando a un finale di programma tale da tramortire il pubblico. Lo inaugurò [a New York] nel concerto che tenne alla Carne­ gie Hall il 28 marzo 1945, eseguendo, davanti a un pubblico sbalordito, la propria trascrizione della marcia di Sousa The Stars and Stripes Fore­ ver. In quel pezzo, la più grande delle marce americane (o di tutte le mar­ ce?), Horowitz si attenne strettamente alla partitura. Mentre suonava, si potevano sentire i pifferi, i tromboni, i corni; sotto le sue dita, il pia­ noforte si trasformava in una banda di ottoni. Fu, di gran lunga, la pili fortunata delle sue trascrizioni. A quella prima esecuzione le formidabi­ li sonorità che Horowitz cavò dallo strumento e le reazioni del pubblico —urla, applausi, manifestazioni di isterismo —fecero quasi crollare la sa­ la. In seguito, Horowitz sostenne che quell’arrangiamento della musica di Sousa era stata una celebrazione anticipata deH’imminente fine della guerra. Poco più di un mese dopo lo esegui di nuovo nel Central Park in occasione della Giornata dell’Americano.11?

117 Cfr. R. Parmenter, The World o f Music, in «The New York Times», 23 ottobre 1949. 118 Cfr. [s. n.], The World o f Music, in «The New York Times», 31 dicembre 1944. 119 H.C. Schonberg, Horowitz, cit., pp. 156-157.

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Nel corso degli anni Quaranta, in Vladimir Horowitz l’essere americano sembrò potersi armonizzare perfettamente con l’esse­ re russo. Nel 1943 mori il faro musicale del pianista, Sergej Rach­ maninov, e anche in virtù di questo fatto Horowitz sembrò pren­ dere coscienza concretamente delle sue radici russe con le sue scel­ te di repertorio. La pagina piu importante di questa presa di co­ scienza fu la prima esecuzione in America, da parte del pianista, della Sesta, Settima e Ottava sonata di Prokof’ev, di cui Horowitz aveva avuto in repertorio prima d’allora la Terza sonata e alcuni pezzi piu brevi ( Toccata, Suggestion diabolique. Gavotta e una se­ lezione di Visionsfiigitives). La Sesta e Γ Ottava sonata sembra abbiano avuto la loro prima esecuzione da parte di Horowitz in recital ordinari: la Sesta nel gennaio del 1942 (la prima esecuzione di cui abbiamo notizia fu il 15 a Philadelphia, mentre il debutto alla Carnegie Hall avven­ ne il giorno 30), Γ Ottava nell’aprile del 1945 (il giorno 2 a Chi­ cago e poi a New York il 23 dello stesso mese). La Settima sona­ ta di Prokof’ev ebbe invece la sua première americana in un con­ certo privato tenuto Γ11 gennaio 1944 nella sala del Consolato Sovietico.120 Questa prima esecuzione si svolse davanti a un pub­ blico composto da centocinquanta persone, per la maggior par­ te musicisti e critici; fra gli altri, Arturo Toscanini e Bruno Wal­ ter. Il «The New York Times», che riferì dell’evento, segnalò il fatto che il terzo movimento della Sonata fu bissato. In effetti, il “Precipitato” conclusivo doveva diventare, in recital successivi, un bis indipendente. La Settim a fu fra le sonate di Prokof’ev quella che piu segnò il repertorio di Horowitz, che la suonò ne­ gli anni dal 1944 al 1946 (registrandola nel 1945) e poi la riprese nel 1951. Se si presta fede a un altro articolo del «The New York Times», l’America non dovette a Horowitz solo la conoscenza della musi­ ca pianistica di Prokof’ev. Vi si riferiva, infatti, che il direttore d’orchestra Arthur Rodzinsky, responsabile della prima esecuzio­ ne dei frammenti sinfonici da Guerra epace, aveva in effetti «ascol120 C fr. [s. n .], Gives P rokofieff Sonata, in « T h e N e w Y ork T im es» , 12 g e n n a io 1944; [s. n .] , Seventh Sonata, in « T h e N e w Y ork T im es» , 16 g e n n a io 1944.

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tato recentemente Vladimir Horowitz suonare [Prokof’ev] e si era unito al pianista nel suo entusiasmo per questa musica».121 Dopo la morte di Rachmaninov si costituì, su richiesta della ve­ dova, un’associazione con lo scopo di scoprire e incoraggiare gio­ vani talenti attivi in uno dei tre campi in cui il musicista aveva pri­ meggiato: pianoforte, direzione d’orchestra e composizione. Que­ sto sia in Russia, sia negli Stati Uniti, e le due nazioni erano chia­ mate a collaborare in questo progetto. Il Rachmaninov Memorial Fund avrebbe aperto i battenti con un concorso per pianisti, in cui il premio in palio sarebbe stata una tournée coast-to-coast con apparizioni insieme alle orchestre piu prestigiose. Horowitz fu no­ minato presidente dell’organizzazione.122123 Si procedette a nominare un comitato di sessanta fra direttori, com­ positori e strumentisti; fra i membri, Serge Koussevitzky, Dimitri Mitropulos, Igor Stravinskij, Arnold Schoenberg, Josef Lhévinne, Rudolf Serkin, Robert Casadesus.12? Il concorso fu organizzato e portato a buon fine, ma l’associazione avrebbe avuto vita breve per insufficien­ za di fondi e non vi sarebbero state altre manifestazioni. Non è possibile in questa sede percorrere troppo nel dettaglio la carriera musicale di Horowitz negli anni Quaranta, ma vale la pena di osservare da vicino almeno uno dei tanti suoi recital, quel­ lo del 4 marzo 1946 alla Carnegie Hall, in cui Horowitz si presentò col seguente programma: D. Scarlatti D. Scarlatti D. Scarlatti F. Mendelssohn F. Mendelssohn F. Mendelssohn F. Liszt

Sonata in La minore K 188 Sonata in M i maggiore K 531 Sonata in Mi maggiore K 46 Romanza senza parole in Si bemolle maggiore op. 67 η. 3 Romanza senza parole in Si minore op. 67 n. 5 Romanza senza parole in Re maggiore op. 85 n. 4 Sonata in Si minore

121 [S. n.], ProkofieffOpera Richts, in «The New York Times», 27 aprile 1944. 122 Cfr. [s. n.]. M emorial Is Set Up fo r Rachmaninoff, in «The New York Times», 23 marzo 1944. 123 Cfr. [s. n.], M usicians to A id Contest, in «The New York Times», 28 aprile 1944.

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D. Kabalevskij F. Chopin F. Chopin F. Chopin

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Preludi op. 38 nn. 1, 4, io, 3,16 ,17, 6, 8, 22 e 24 Notturno in Mi minore op. 72 n. 1 Notturno Fa diesis maggiore op. 15 n. 2 Polacca in La bemolle maggiore op. 53

Sappiamo poi che per bis il pianista esegui la Serenade fo r the Doll di Debussy, Träumerei di Schumann, lo Studio in Fa mag­ giore op. 72 n. 6 di Moszkowski e la propria trascrizione di The Stars and Stripes Forever. Questo recital non è stato pubblicato, ma è possibile ascoltarlo negli archivi di Yale, insieme a parecchi altri di questo periodo.12* E interessante riflettere sull’interpretazione che quella sera H o­ rowitz diede della Sonata di Liszt. Qualsiasi pianista che abbia fre­ quentato l’ambiente dei concorsi pianistici sa che la Sonata di Liszt è un pezzo dimostrativo, “da concorso”, con una sua ritualità ben specifica. Esiste uno standard interpretativo che non è dato solo dal cristallizzarsi di opinioni estetiche piu o meno valide sulla mu­ sica di Liszt, ma anche dalla diffusa opinione su come vadano ri­ solte le difficoltà contenute in questo pezzo. Aggiungiamo che ugualmente importanti in questo standard interpretativo sono le opinioni diffuse su come queste difficoltà non vadano risolte. Os­ sia, su quali accorgimenti minimi di sopravvivenza non debbano essere consentiti. Capita che anticipare l’ingresso e il movimento della mano sinistra in un passo d’ottave possa semplificare questo passo: per farla molto semplice, e spero che il lettore pianista mi perdoni, diciamo che una delle due mani almeno si porta avanti col lavoro. Questa umanissima dichiarazione di un limite fisico, che se presente in giusta misura non dovrebbe inficiare la validità tecnica e poetica di un’esecuzione, è uno dei tabu decretati dalle giurie. Altro tabu, ovviamente, l’omissione di note dal passo in questione. Anche al di là del mondo dei concorsi, un ascolto delle regi­ strazioni correnti ci mette di fronte a una lettura assolutamente fedele nel dettaglio, in cui il testo viene considerato portatore di124 124 Cfr. Historical Sound Recording Collection presso la Irving S. Gilmore Music Library dell’Università di Yale.

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indicazioni definitive sull’esecuzione. Ebbene, ascoltando questa versione di Horowitz della Sonata di Liszt, si trovano in essa pro­ prio quegli accorgimenti di sopravvivenza che oggi sono conside­ rati tabu; l’anticipazione della mano sinistra è per lui una possi­ bilità nient’affatto remota, cosi come alcuni riarrangiamenti di singole battute. Ci troviamo cioè di fronte a un’eccellenza tecni­ ca avulsa da qualunque fissazione o mania di natura artigianale. Un fatto che colpisce particolarmente in questa esecuzione è la chiarezza con cui viene declamata la forma della Sonata. Horowitz si rende conto che una composizione di dimensioni cosi ampie ha bisogno di scansioni molto nette perché la sua struttura diventi comprensibile: ecco perciò che l’Andante sostenuto è davvero “so­ stenuto”, cosi da presentarsi senza possibilità di equivoco come se­ zione lenta del pezzo; ed ecco che ai momenti cruciali della for­ ma corrispondono pause prolungate rispetto agli standard. Anche alcuni aspetti del testo scritto vengono sacrificati alla chiarezza for­ male: ci riferiamo in particolare ai due tagli decisi da Horowitz (che non si ritrovano nelle due incisioni ufficiali del brano, rea­ lizzate nel 1932 e nel 1976), uno immediatamente prima dell’A n­ dante sostenuto, l’altro nella riesposizione del primo tema. In que­ sti due frangenti Liszt indebolisce intenzionalmente la chiarezza dei rapporti di causa ed effetto fra eventi musicali procedendo per digressioni e parentesi; Horowitz decide invece di non mettere a repentaglio la comprensibilità della drammaturgia musicale, e sop­ prime le interpolazioni. L’interpretazione è anche paradigmatica per quanto riguarda il suo impatto fisico ed emozionale: la prima coda del pezzo, il Pre­ stissimo, è eseguita con una presenza virtuosistica sconvolgente e la perorazione del corale che la suggella è uno di quei momenti in cui la sonorità di Horowitz esce completamente dalle righe. Ma torniamo ai fatti. Uno degli eventi degni di nota nell’esi­ stenza di Horowitz verso la fine degli anni Quaranta è l’abbando­ no da parte sua del tetto coniugale (che a partire dal 1944 si era spostato di nuovo da Los Angeles a New York, in una casa sulla Novantaquattresima Strada Est). Sembrando al momento insolu­ bili i problemi di coppia, Horowitz si trasferì in albergo. Fu per­ ciò da quasi single che il pianista varcò la soglia degli anni Cin-

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quanta, che videro a fine 1951 il suo rientro sulle scene europee e che portarono con sé il primo importante anniversario della sua carriera: il venticinquesimo anniversario del debutto americano, da celebrarsi il 12 gennaio 1953. Per l’occasione, Horowitz decise di eseguire lo stesso pezzo che aveva eseguito venticinque anni pri­ ma, ossia il Primo di Cajkovskij, con la stessa orchestra, la New York Philharmonic. Direttore prescelto, Mitropulos, che all’ulti­ mo momento per un’indisposizione cedette il posto a George Szell. Un articolo del «The New York Times» apparso la vigilia del concerto ci informa del fatto che l’evento era stato proposto a con­ dizioni estremamente vantaggiose ad alcune emittenti televisive, il che significa che Horowitz rischiò di fare il suo debutto in tele­ visione ben prima che nel 1968, anno della sua prima apparizione sul piccolo schermo. Supponiamo che l’interpretazione di Vladimir Horowitz del Concerto di Cajkovskij con la Philharmonic domani sera, venticinque anni dopo il suo debutto americano, sia disponibile per una trasmissione televisiva. Ne ver­ rebbe fuori uno show di richiamo? Sarebbe entusiasmante dal punto di vi­ sta musicale? Quante persone si sintonizzerebbero su di esso? Non c’è tem­ po per una risposta del pubblico, ma si può pensare che la maggior parte di noi risponderebbe si alle prime due domande e che milioni di america­ ni sarebbero felici di partecipare all’evento dai loro schermi televisivi. Ma perché indulgere a pure speculazioni? In effetti non si tratta di spe­ culazioni astratte. Il concerto è stato offerto alla televisione, e la televi­ sione non l’ha comprato.12·*

La carriera di Horowitz, la sua immagine pubblica e per certi aspetti anche le capacità musicali e pianistiche toccavano un api­ ce. Alla vigilia del concerto per il venticinquesimo anniversario del debutto americano, il «The New York Times» gli aveva dedi­ cato un lungo articolo dal titolo «La trasformazione di Vladimir Horowitz», in cui si elaborava l’ennesima variazione sul tema “Ho­ rowitz non più solo un virtuoso”:125

125 H .Taubm an, T V D ea fto Good Music, in «The New York Times», π gennaio 1953.

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Esteriormente, Horowitz non è cambiato molto in venticinque anni. Il suo viso è ancora allungato, sottile, finemente cesellato, con occhi infossati che possono sorridere oppure apparire remoti e meditabondi. I suoi capelli neri non sono molto piu radi di quanto fossero prima, e il suo corpo mantiene l’asciuttezza di un atleta in forma. Nei suoi abi­ ti confezionati elegantemente e di stile classico, assomiglia a un pro­ speroso uomo d’affari. Lontano dal pianoforte e dalla sala da concerto sembra essere giunto a una maggiore serenità interiore rispetto a pri­ ma, la quale a sua volta sembra derivare da ciò che è avvenuto in lui in quanto musicista. In quanto musicista, Horowitz pensa di essere cambiato molto negli ul­ timi venticinque anni. Resta uno dei piu grandi talenti tecnici della sto­ ria del pianoforte, ma la sua tecnica non è piu fine a se stessa. H a tra­ sformato se stesso da virtuoso mangiatore di fuoco in un artista esigen­ te e autocritico. E la cosa che più vale la pena di rimarcare in merito a questa metamorfosi è il fatto che la sua enorme popolarità non ne ha ri­ sentito. Nessun musicista in nessun luogo oggi lo supera quanto a pote­ re di attrazione. Può dettare le sue condizioni, e i suoi cachet sono i piu alti nella nazione.12^

II pianista festeggiò i suoi venticinque anni di carriera ameri­ cana anche con un recital, il 25 febbraio 1953 alla Carnegie Hall: J. Brahms E Schubert E Chopin E Chopin

Rapsodia in Mi bemolle maggiore op. 119 n. 4 Sonata in Si bemolle maggiore D 960 Notturno in M i minore op. 72 n. 1 Scherzo n. 1 in Si minore op. 20

A. Skrjabin A. Skrjabin A. Skrjabin C. Debussy C. Debussy E Liszt

Sonata n. 9 op. 68 Studio in Si bemolle minore op. 8 η. 11 Studio in Do diesis minore op. 42 n. 5 The Little Shepherd Serenadefo r the D oll Rapsodia ungherese η. 2 in Do diesis minore

126 H . Taubman, The Transformation o f Vladimir Horowitz* in «The New York Times», il gennaio 1953.

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Come bis, Horowitz esegui il Valzer in La minore op. 34 n. 2 di Chopin, il Rondo dalla Sonata in Si bemolle maggiore op. 47 n. 2 di Clementi e il finale della Sonata n. 7 di Prokof’ev. Della Sonata di Skrjabin, quella sera, Horowitz diede un’inter­ pretazione che è un capolavoro assoluto. Un inizio mosso, in avan­ ti, e anche in seguito tutto molto ben direzionato; senza illangui­ dire nemmeno quando al tema principale subentra quello secon­ dario, lirico. I gesti nervosi che interrompono l’incedere di mar­ cia lenta sono da subito sovreccitati; il crescendo di tensione non conosce requie e il punto culminante della Sonata viene raggiun­ to con un vigore e una drammaticità unici. N on a caso ci si sofferma sull’interpretazione di questo pez­ zo, visto che esso sarebbe stato programmato anche nel recital che dodici anni dopo avrebbe riaperto l’attività concertistica di Horowitz. Non a caso, anche perché un biografo come Schon­ berg dedica grande attenzione all’interpretazione del 1965, a vo­ ler sottolineare l’ennesimo passo in avanti nella maturazione musicale del pianista. A prescindere da quale delle due esecu­ zioni sia da preferire (fatto assolutamente soggettivo), questa è un’occasione per ribadire i dubbi in merito a quelle letture del­ la carriera artistica di Horowitz che si basano sul continuo e ine­ sorabile progresso da un pianismo ancora legato a esibizioni­ smo ed esteriorità ad altre che “finalmente” vanno a pescare nel profondo. La confusione fra drammaticità esplicita ed esibizio­ nismo spesso non è senza secondi fini, e cerca di ricondurre la “buona” interpretazione negli ambiti prediletti dell’intellettua­ lità e del rapporto deferente con il pubblico. Lodando l’inter­ pretazione beneducata, che non stordisce, non turba, non la­ scia sbigottiti, non esercita quella pressione fisica sull’ascolta­ tore che nei suoi momenti pili riusciti è splendida traduzione estetica del tragico. Il concerto che Horowitz tenne quella sera, con questa ap­ passionante Nona di Skrjabin, con una Sonata in Si bemolle mag­ giore di Schubert certo un po’ sui generis ma tutta da godere, e con una Seconda rapsodia ungherese di Liszt che è fra le sue in­ terpretazioni pili giustamente celebri, fu l’ultimo per dodici, lun­ ghi anni.

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Il pianista senza palcoscenico Il collasso si verificò in marzo. Horowitz doveva tenere un con­ certo a Minneapolis il giorno n, ma appena arrivato in città si senti male (si parlò di una violenta influenza intestinale) e il concerto venne disdetto. Fu riprogrammato per il 15 aprile, ma nel frat­ tempo Wanda si rese conto che le condizioni del marito erano cri­ tiche, perciò fece in modo che questi potesse tornare a New York su un aereo privato. Un paio di settimane dopo la cancellazione degli impegni fix totale, fino a data da stabilire. Le condizioni psicofisiche di Horowitz erano gravi: Lowell Be­ nedict, che gli fece visita in quel periodo, lo avrebbe ricordato in uno stato quasi vegetativo, incapace di articolare discorsi coerenti. Nella primavera, Horowitz tornò a stare nella sua casa sulla Novantaquattresima Strada; passò un po’ di tempo senza veder gente e senza occuparsi pili di musica e solo verso la fine dell’anno la si­ tuazione migliorò. Quanto detto a proposito dello stop concerti­ stico degli anni 1936-38 vale anche qui, aggravato: le tensioni lega­ te alla propria vita familiare e ai malesseri di Sonia fecero cortocir­ cuito con lo stress accumulato nelle ultime stagioni concertistiche e con i dubbi mai sopiti sulla strada da prendere come pianista. Stavano sempre a sentire con che velocità sapessi eseguire le mie ottave, ma quanto alla musica non l’ascoltavano affatto. Era deprimente. Io suo­ navo per due ore, ma loro non ricordavano che gli ultimi tre minuti del concerto. Mi sentivo insoddisfatto di ciò che stavo facendo e di ciò che sentivo di dover fare per realizzare la mia identità di musicista.12?

Un’occasione per tornare a pensare alla musica furono i lavori per l’uscita del doppio LP in cui si riproduceva quasi integralmente il recital del 25 febbraio dell’anno prima;127128 a breve distanza usci­ rono poi altri album contenenti registrazioni chopiniane già pub­ blicate. Prima che Horowitz tornasse a registrare sul serio, però, passò del tempo. 127 H .C . Schonberg, Horowitz, cit., p. 174. 128 Cfr. H .C . Schonberg, Records, in «The New York Times», 17 gennaio 1954.

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Lo fece verso la fine del 1954 con un disco che non registrò in uno studio, bensì a casa sua, il 16 e il 21 ottobre. Si fece spazio nel salotto al secondo piano e lo si trasformò in uno studio di regi­ strazione, mentre la biblioteca diventò la sala di regia. Si trattò di un album monografico su Muzio Clementi; pare fosse stata Wan­ da, tempo prima, a fargli scoprire questo autore, portandogli dal­ l’Italia un bel pacco di partiture pianistiche. Negli anni Quaranta il pianista aveva messo in repertorio le Sonate op. 33 n. 1 e op. 24 n. 2; ora si aggiungevano alla lista tre Sonate in tonalità minore, Top. 13 n. 6, Top. 25 n. 5 e Top. 34 n. 2, che andavano a compor­ re un Horowitz Plays Clementi Sonatas. In interviste successive, Ho­ rowitz avrebbe ammesso che, in precedenza, il nome di Muzio Cle­ menti era per lui associato solo all’attività di didatta e di organiz­ zatore musicale, ma non a quella compositiva; Horowitz era però rimasto sconcertato dalla qualità di quella musica e in particolare dalla capacità, da parte di Clementi, di additare delle vie di svi­ luppo storico da un punto di vista strettamente pianistico, antici­ pando le conquiste strumentali di Beethoven. La proposta di re­ pertorio di Horowitz fu giudicata interessante dalla critica; per esempio, sul «The New York Times» si dedicò un certo spazio ad approfondire la figura di Clementi, partendo dai giudizi limitati­ vi pronunciati su di lui da Mozart, per poi contestualizzarli.12·? Aggiungiamo a titolo di curiosità che, in una delle sessioni in cui prese forma questa incisione, Horowitz registrò anche la Chan­ son triste op. 40 n. 2 di Cajkovskij, la quale però era destinata a non vedere mai la luce in un suo disco, né allora né mai. Visto che l’idea del disco monografico era piaciuta (piu alla cri­ tica che al pubblico, a dire il vero), Horowitz e il suo produttore Jack Pfeiffer si interrogarono su quale dovesse essere l’autore car­ dine del disco successivo. Fu preso in considerazione Medtner, ma alla fine la scelta cadde su Skrjabin. Nel gennaio del 1955 Horowitz incise perciò la Terza sonata e diciotto Preludi scelti un po’ in tutta la produzione di Skrjabin, dall’op. il all’op. 67, ma con una netta predilezione per il primo 129 129 bre 1955.

Cfr. H.C. Schonberg, Records: Concertos, in «The New York Times», 27 novem­

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periodo (ben otto preludi dall’op. n ).*3° Tutti questi brani, tran­ ne due fra i Preludi (l’op. n n. 5 e Top. 22 n. 1), costituirono l’al­ bum skrjabiniano; in questo modo Horowitz, che aveva da sem­ pre coltivato, ma per lo piu privatamente, l’amore per la musica del compositore russo, la faceva entrare a tutti gli effetti nel suo repertorio. Più avanti, Horowitz registrò degli interventi parlati promozionali per questo disco. Un dettaglio di colore: furono rea­ lizzate due versioni di questo stacco pubblicitario, una seria e un’al­ tra goliardica, che suonava più o meno: Q ui è Vladimir Horowitz che parla. Se voi, che comprate il disco, non lo riceverete in tempo, prendetevela pure con Alan Kayes. Se il suono non sarà perfetto [...], prendetevela con Jack Pfeiffer. Se il compositore vi sembrerà scialbo e non cosi interessante, prendetevela innanzitutto col compositore. Se l’esecuzione farà schifo, prendetevela con Vladimir Ho­ rowitz. Ma per favore comprate il disco, perché abbiamo un gran biso­ gno di soldi!

Alla fine, fu preferita la versione seriosa. Segui un altro disco, con incisioni di qualche anno prima (fat­ ta eccezione per i due Skrjabin, registrati nelle sessioni mono­ grafiche di cui si è appena detto): Intermezza op. 117 n. 2 di Brahms, Polacca-fantasia e Mazurca op. 24 n. 4 di Chopin, Sonata in Mi bemolle maggiore Hob. χνΐ/52 di Haydn, Étincelles di Moszkowski. Sonata in Mi maggiore K 380 di Scarlatti, Variazioni su un te­ ma di Clara Wieck dalla Terza sonata di Schumann, Preludi op. 11 n. 5 e op. 22 n. 1 di Skrjabin e Stars and Stripes Forever. Negli anni di ritiro dal palcoscenico, comunque, la vita di Horowitz non era del tutto legata alla musica, e in particolare non si esauriva nello studio e nell’esecuzione. Schonberg ci rac­ conta la sua giornata tipo: [Horowitz] si alzava verso le 11, faceva colazione verso le 11 e mezzo e tor­ nava nella sua camera per riposare; poi, nel primo pomeriggio, scende­*

v o Cfr. H.C. Schonberg, Records, in «The New York Times», 26 agosto 1956.

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va al pianterreno in pigiama e vestaglia per passare un’ora o due al pia­ noforte o ad ascoltare dischi di musica vocale. [...] Dopo aver suonato il pianoforte o avere ascoltato vecchi cantanti, Horowitz saliva al piano superiore per riposare ancora un po’. Il pranzo veniva servito alle due e mezzo. Poi riposava ancora. Alle quattro e mezzo si vestiva e usciva a fa­ re una passeggiata; pensava che camminare un’ora al giorno gli facesse bene. Al ritorno si prendeva un altro po’ di riposo prima di cena. Dopo, verso le nove e mezzo, era pronto per le attività sociali, fra cui, spesso, una partita a canasta. Era diffìcile che andasse a letto prima dell’una o delle due di notte.131

Fra le attività sociali del dopo cena c’era talvolta quella didatti­ ca. Questa porzione della vita di Horowitz fu messa in evidenza per la prima volta da colui che doveva diventare il primo biografo del pianista, Glenn Plaskin, in un suo articolo uscito sul «The New York Times» Γ11 maggio del 1980. Era un lungo intervento intito­ lato «La carriera segreta di Horowitz», in cui si cominciava a ri­ mediare al fatto che poco o nulla si sapesse di come Horowitz aves­ se trascorso i suoi dodici anni di ritiro dalle scene. Horowitz aveva già avuto un’esperienza di insegnamento negli anni Quaranta, con un giovane pianista di nome Byron Janis. Ora invece furono suoi allievi Gary Graffman dal 1953 al 1955, Coleman Blumfield dal 1956 al 1958, Ronald Turini dal 1957 al 1963, Alexander Fiorillo dal 1960 al 1962 e Ivan Davis dal 1961 al 1962. Scorrendo le interviste che gli allievi di Horowitz concessero a Pla­ skin, veniamo a sapere ciò che Horowitz insegnava e come lo in­ segnava. La proiezione del suono in una grande sala, per esempio, e la necessità di trovare una quantità e qualità di suono che fun­ zionassero in ambienti come la Carnegie Hall, pur talvolta appa­ rendo esagerate in un contesto diverso. Allo stesso modo, la pedalizzazione doveva essere scelta sulla base dei grandi ambienti, per cui un pedale di risonanza tenuto che in una stanza sembrava confondere le armonie in realtà nel giusto contesto ne enfatizza­ va la relazione. E analogamente anche la proporzione fra i livelli

131 H .C . Schonberg, Horowitz, cit., pp. 182-183.

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sonori, l’enfasi del fraseggio, e la percezione di ciò che è esagera­ to e di ciò che non lo è, tutti questi fattori erano da stabilire aven­ do in mente una grande platea. La cura della cantabilità, poi. È noto l’amore di Horowitz per il belcanto e per l’arte di Mattia Battistini in particolare; la lezio­ ne di pianoforte poteva talora sfociare nell’ascolto delle sue inci­ sioni e nella loro analisi. Horowitz insisteva su alcuni elementi: suono, uso dei pedali, libertà ago­ gica. Janis, ai pedali, non aveva mai dato molta importanza; Horowitz lo introdusse a una concezione del tutto nuova, dimostrandogli come, con l’impiego contemporaneo dei due pedali, si potessero ottenere effetti di colore. Attirò la sua attenzione sulla polifonia dei pezzi che stava stu­ diando, e gli mostrò come far venir fuori le voci interne.1?2

Gary Graffman ricordò poi: era un maestro eccezionale. Mi insegnò cose che in seguito mi sarebbero servite quando cominciai ad insegnare io stesso. Suonava moltissimo per me, ma non suonava mai i pezzi che stavo studiando. Il 95 per cento del tempo stava sdraiato sul divano, e mi chiedeva di tornare a suonare una certa parte del pezzo che avevo appena suonato, e mi chiedeva perché fra­ seggiassi in un certo modo, e come pensassi che un cantante avrebbe ese­ guito quella parte. A che punto prenderesti respiro? Come modelleresti la linea melodica? Qual è, o quali sono, in quella frase, le note più im­ portanti? Perché? C ’è un altro modo di fraseggiarla? Assai spesso, la con­ clusione a cui giungevo —col suo incoraggiamento - era completamente diversa da quella che avrebbe formulata lui. Ciò mi colpiva.1??

Ma la storia di Horowitz didatta fu anche costellata da errori e superficialità pedagogiche, che talvolta lasciarono il segno negli allievi; in particolare nel caso di Byron Janis, che andò incontro a difficoltà personali e psicologiche prima di recuperare un suo equi­ librio. Il pretendere che l’allievo interrompesse una carriera avviata132 132 Ivi, p. 159. 133 Ivi, pp. 190-191.

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per rivedere completamente il suo modo suonare; un’insufficien­ te attenzione alla necessità di evitare che si creasse dipendenza fra insegnante e allievo; un’inesistente esperienza pregressa, che por­ tava Horowitz ad agire talvolta per tentativi ed errori; elementi di questo tipo, sempre problematici, in alcuni rapporti didattici di Horowitz si risolsero negativamente. Anche l’alternarsi quasi programmatico di opinioni diverse o addirittura opposte su un unico pezzo era destinato a lasciare per­ plessi alcuni allievi. Byron Janis dichiarò che questo comporta­ mento lo spronava a interpretare una partitura in maniera piu fles­ sibile e spontanea, mentre Alexander Fiorillo lo giudicò estremamente confuso. Il quadro di Horowitz insegnante che vien fuori dai racconti di chi studiò con lui oscilla incredibilmente dalla massima disponibi­ lità nei confronti dell’allievo a episodi che invece rasentano un in­ consapevole sadismo. Disponibilità massima nei confronti di un al­ lievo Horowitz la dimostrò nei confronti di Alexander Fiorillo quan­ do un’estate, avendo stabilito di passare le ferie a East Hampton, affittò una seconda casa due miglia più in là per il proprio allievo, con tanto di pianoforte Steinway e giardiniere. Sconcertante, inve­ ce, ciò che lo stesso Fiorillo racconta a proposito di un afosissimo pomeriggio in cui il viaggio senza aria condizionata da Philadelphia a New York per la lezione era stato piti pesante del solito. Giunto alla casa nella Novantaquattresima Strada (magnificamente clima­ tizzata), Fiorillo si trovò di fronte un Horowitz che gli chiese se fos­ se stata dura arrivare con tutto quel sole e poi, tout simplement, sta­ bili che in effetti faceva troppo caldo per una lezione e ne avrebbe­ ro riparlato la settimana successiva. Se realmente accaduto, il fatto sembra suggerire una singolare incapacità, da parte di Horowitz, di porsi dalla parte dell’altro anche in circostanze relativamente sem­ plici da sviscerare. Questo episodio, cosi come quelli a cui si è ac­ cennato a proposito di Rubinstein e tanti altri dello stesso genere, ci parlano di un ego ingombrante che apparentemente impediva al­ l’uomo Horowitz quei comportamenti che associamo al normale convivere di persone che non vogliono nuocere l’una all’altra. Altre volte, invece, il rapporto didattico si sviluppò in maniera serena e distesa. Fra Ivan Davis e Horowitz, per esempio, si svi-

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luppò un rapporto di amicizia che travalicava evidentemente quel­ lo didattico. Nei primissimi anni Sessanta Davis e Horowitz avreb­ bero assistito insieme ad alcuni concerti, fra cui un’esibizione di Serkin padre e figlio nel Concerto per due pianoforti di Mozart. Anche con Gary Graffman pare che fosse nata una sincera ami­ cizia, tanto che elaborarono assieme una sorta di strategia per il ritorno di Horowitz all’attività concertistica: L’idea era di Graffman: ad un suo concerto in una piccola città - Scranton o Bridgeport o dovunque fosse - Horowitz avrebbe dovuto in precedenza far pervenire, segretamente, il suo pianoforte personale. Graffman, la sera del concerto, si sarebbe, improvvisamente, ammalato; e chi avrebbe preso il suo posto, se non Vladimir Horowitz? Horowitz era tentato da quell’i­ dea, e, diceva Graffman, tornò più volte sull’argomento. Ma, naturalmente, si trattava [...] di una grande idea che non trovò attuazione.1^

Fra i rapporti umani che ebbero degli sviluppi negli anni di assen­ za dalle scene citiamo quello con Arthur Rubinstein. Negli archivi di Yale sono conservate due lettere del 1956, una di Horowitz a Rubin­ stein, l’altra di Rubinstein a Horowitz, che ci parlano di una appa­ rente riappacificazione dopo una ventina d’anni di rapporti tesi: Mio caro Arthur, non avendoti visto né parlato per quasi un quarto di secolo, ho quasi ti­ more nello scrivere a te —l’artista e l’amico per il quale ho un’ammira­ zione illimitata e il più profondo rispetto. Molte, molte volte ho pensa­ to di scriverti. In effetti avevo la netta impressione che tu non volessi ave­ re alcun contatto con me. O ra però, per via degli incontri e delle con­ versazioni fra le nostre mogli, vedo che la mia sensazione era sbagliata. C ’è solo una cosa che devo chiederti, caro Arthur. Non rinvanghiamo il passato, e pensiamo solo al futuro. Perché io non posso immaginare al­ cun fraintendimento fra noi che possa condurre a un tale ingiusto e dra­ stico verdetto - quasi una condanna di morte. So che sei molto impe­ gnato a viaggiare e a dare concerti e sfortunatamente per me io sono a mia volta molto occupato per via dei miei problemi intestinali. Perciò 134 Ivi, pp. 192-193.

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negli ultimi tre anni la mia routine giornaliera è stata molto limitata. Di sera non esco del tutto (su consiglio del dottore) e le mie tre e quattro ore pomeridiane “di vita” le spendo fra diversi trattamenti, dottori, un po’ di camminare e anche un po’ di studio. Ti scrivo della mia routine giornaliera solo per farti sapere che mi piace­ rebbe molto farti visita un pomeriggio, ma sarebbe necessariamente una visita troppo breve per essere soddisfacente dopo tanti anni. Cosi, se ti andasse di venire tu con tua moglie a casa nostra una sera a chiacchierare per qualche ora, non immagini che piacere daresti a me e alla mia fa­ miglia - e so d’altronde che anche voi ne avreste piacere. Come sempre, Volodia1??

La risposta di Rubinstein si fece attendere qualche giorno: Mio caro Volodia, mi hai scritto una lettera molto bella —valeva la pena di aspettare venti­ cinque anni! H o passato dieci giorni pensando di scriverti tutto quello che sentivo nel cuore, ma alla fine ho rinunciato e tutto quello che ho da dire è “vediamoci il più presto possibile e nella nostra vecchia maniera!”. Cosi, al mio ritorno a New York il primo di aprile (ma non sarà un pe­ sce d’aprile!) ti telefonerò per una data in cui voi verrete da noi oppure noi verremo da voi. Fino a quel momento sono come sempre il tuo vecchio ammiratore, Arthur [P.S.] La tua lettera mi ha toccato davvero molto!1?6

Horowitz e Rubinstein ripresero a frequentarsi, ma il loro non doveva essere, cosi come non lo era stato in passato, un rapporto fatto di abbandono reciproco. Le intenzioni sono una cosa, la realtà dei caratteri un’altra: a sentire Rubinstein, Horowitz perseverò nel suo caratteristico atteggiamento, preoccupandosi più di organizza­ re incontri che soddisfacessero le proprie, particolari esigenze di sva-*136 13$ Lettera di Vladimir Horowitz ad Arthur Rubinstein databile al marzo 1956, in MSS 55, cartella 18/250. 136 Lettera di A rthur Rubinstein a Vladimir Horowitz del 24 marzo 1956, in ibidem.

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go piuttosto che prestare ascolto ai desideri altrui; con la conse­ guenza che le visite a un certo punto ricominciarono a diradarsi. Sembra che intorno al 1956 Horowitz fosse una persona piena d’entusiasmo: a riferirlo è lo psicologo Lawrence Ingram, che in quel periodo fu un suo confidente: “Non era il nevrotico che mi sarei aspettato. Ciò che riscontrai era, in quel­ l’eccentrico essere umano, una totale normalità”. [Ingram] scopri immedia­ tamente che Horowitz era una persona molto riservata, e non si provò mai a spingerlo ad aprirsi. Scopri anche ciò che era già stato notato da altri: Ho­ rowitz, quando non cera Wanda, era una persona diversa. Era loquace, di­ vertente, in perfetta sintonia col suo particolare genere di vita; quando par­ lava con Ingram “c’era un mucchio di libere associazioni. Horowitz rievoca­ va il proprio passato, raccontava aneddoti della sua infanzia, e li collegava col presente”. Parlava, anche, di tornare all’attività concertistica. “Se volessi suo­ nare alla Carnegie Hall - disse a Ingram - mi basterebbe, per essere pronto, un paio di giorni”. Ingram non pensava che si trattasse di una vanteria.1^

Apparentemente, Horowitz si stava riprendendo dalla crisi del 1953, formulando nuovi progetti e raggiungendo un proprio equi­ librio. Registrò un altro disco il io e Γ11 maggio e il 5 giugno 1956, sempre nel salotto di casa; in programma la Sonata in Do diesis minore op. 27 n. 2 Chiaro di luna e la Sonata in Do maggiore op. 53 Waldstein di Beethoven. (Il primo movimento della Chiaro di luna andò a finire anche in un 60 Years o f Music America Loves Best, insieme a highlights di Fritz Kreisler, Enrico Caruso, Arturo To­ scanini e altri). Cominciò a pensare a un altro album, con musi­ che di Chopin; ma a questo punto ci fu l’anno nero.

1957

Il 16 gennaio mori Arturo Toscanini. I funerali furono estremamente solenni; a New York, migliaia di persone resero omaggio alla salma nella cappella funebre a Manhattan, poi il rito si svolse137 137 H .C . Schonberg, Horowitz, cit., pp. 196-197.

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nella cattedrale di San Patrizio. Il feretro fu portato il mese dopo in Italia e, il giorno del funerale, il 18 febbraio, fu esposto nell’a­ trio della Scala, dove in poche ore passarono decine di migliaia di persone a rendergli omaggio: Alle 9 e 30, mentre la bara veniva benedetta, si aprirono le porte del tea­ tro e dall’interno usci la musica della marcia funebre dell’Eroica di Beetho­ ven suonata dall’orchestra della Scala diretta dal maestro Victor De Sa­ hara. La folla poi formò un lungo corteo che, seguendo il feretro, scese in piazza san Babila per salire in via Durini, dove il feretro sostò al nu­ mero 20, davanti alla casa del maestro. Quindi, il corteo riprese a sfilare fino a raggiungere il Duomo. La messa funebre fix celebrata dall’arcivescovo di Milano, Giovan Bat­ tista Montini, il fiituro papa Paolo VI. Durante il rito, il coro della Sca­ la esegui il Libera me Domine dal Requiem di Verdi.1?8

Wanda arrivò a Milano, senza Horowitz, il 15 febbraio matti­ na. In una lettera del giorno successivo, cosi informava il marito del suo particolare stato d’animo: Non posso descrivere l’emozione che ho provato entrando in via Durini [...] ho sentito qualcosa di strano pensando di dover dormire sola in queirappartamento e ho quasi chiesto a Tosca di ospitarmi per la notte, ma poi ho vinto quest’emozione e sono rim asta.I39

In Italia, Wanda si occupò anche di rintracciare il contatto di un medico, il dottor Simeons della clinica Salvator Mundi a Roma. Non se ne dice mai il motivo nelle lettere, ma è abbastanza evidente che si tratti di Sonia. Per Wanda fu naturalmente un momento molto difficile. «Non riesco a pensare che un lungo periodo della mia vita si sia chiuso per sempre».1*0 Si rinnovò, accresciuto, il suo bisogno di affetto da parte del marito e le sue lettere di questi me-138940 138 R. Allegri, Toscanini dolce tiranno. Àncora, Milano 2007, pp. 210-211. 139 Lettera di W anda Toscanini Horowitz a Vladimir Horowitz del 16 febbraio 1957, in MSS 55, cartella 8/103. 140 Lettera di W anda Toscanini Horowitz a Vladimir Horowitz del io marzo 1957, in ibidem.

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si sono lettere dolci di una donna innamorata. Di frequente, scri­ vendo al marito, gli domandò risposte assidue e lunghe lettere, e in alcuni casi Vladimir la stupì piacevolmente, ad esempio con una lettera fiume del 21 febbraio, di cui riportiamo alcuni stralci: Sonja è stata abbastanza depressa tutta la settimana ma ci sono state del­ le “schiarite temporanee”. In generale è una ragazza molto dolce, ma sciu­ pa il suo tempo prezioso torturandosi in continuazione. Al momento ha smesso di andare dal dott. Eissler e si punisce cercando di aumentare di peso. [...] Sono andato l’altra sera alla Carnegie Hall con Sonja a sentire Rubinstein —pensa! Sono uscito prima dell’ultimo pezzo, ma gli ho fatto visita nel­ l’intervallo, e lui era davvero commosso (naturalmente, dopo avermi vi­ sto, nella seconda parte ha suonato peggio!) —ma è un grande artista, con una “formula interpretativa” che quando è appropriata alla musica che suona —allora i risultati sono ottimi. Ma quando non lo è —allora è di­ storsione per il piacere della distorsione! Schonberg sul Times ha scritto che nessuno in questo emisfero può suo­ nare Chopin come Arthur, cosa che mi offende! Il giorno dopo Arthur è venuto da solo da me e abbiamo parlato per tre ore. Gli ho fatto senti­ re il mio disco di Beethoven (che è appena uscito). Fra l’altro Alan Kayes mi ha detto che i primi ordini per questo album sono... 26000!!! Ieri ho registrato quattro Notturni di Chopin all’Hunter College per duetre ore. Sonja dice che ero “molto ispirato —e veramente bello”. O ra ho un tremendo complesso di inferiorità e penso di essere troppo sentimen­ tale. Si vedrà. Sabato solo la Barcarola e qualche passo da ripulire nei Not­ turni. Buone notizie: non c’è bisogno che registri null’altro, la durata va già bene per l’LP. La notizia meno buona è che dopo le registrazioni il mio colon non va piu cosi bene (ieri e oggi, ma spero di migliorare). [...] Ti abbraccio. Tuo marito Volodia

E poi, scritto di sbieco: «Peccato che la testa di Sonja non vada ancora bene!».*4 *14 141 Lettera di Vladimir Horowitz a W anda Toscanini Horowitz del 21 febbraio 1957, in ibidem.

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La risposta di Wanda: Mi spiace sentire che Sonia è depressa. Era comunque prevedibile, dopo il tremendo sforzo che ha fatto per uscire dalla sua conchiglia dopo la malattia. Tutta la famiglia qui sente molto e sinceramente la sua man­ canza. Emanuela e Filippo la stanno aspettando con ansia e pensano che potrebbe esser loro di molto aiuto a San Remo, dove ci sono da fare tut­ ta una serie di lavori. [...] Sono molto dispiaciuta di dover rimandare la mia partenza, ma non puoi immaginare quanto c’è da fare qui, e quante decisioni importanti conti­ nuano a imporsi ogni volta che uno pensa che finalmente tutto sia a po­ sto. Abbiamo deciso di tenere l’appartamento, ridimensionandolo però. Dobbiamo pianificare la cosa con l’architetto. L’appartamento appartie­ ne a noi tre, perciò quando uno della famiglia verrà a Milano (come So­ nia ora) potrà starci; d’altronde, in questo modo manteniamo viva la me­ moria di papà. Per favore non rendermi piu difficile rimandare il mio ritorno. Ditemi che vi manco ma ditemi anche che mi capite! Tutto il mio amore. Wanda1"*2

Le faccende milanesi furono sbrigate e Wanda scrisse ancora da Parigi circa un mese dopo: Andrò a passeggiare un po’ alle Tuileries e visiterò qualche m useo... Mi fa bene stare un po’ sola dopo aver visto cosi tanta gente. Spero che la cu­ ra di Sonia stia procedendo in modo soddisfacente.1"*^

LTi aprile Horowitz registrò il Valzer in Do diesis minore op. 64 n. 2; il 14 maggio riprovò col Valzer, e fini il lavoro sui Nottur­ ni, dando un’ultima versione dell’op. 9 n. 2. Quel giorno fu inci­ so anche un vecchio cavallo di battaglia di Horowitz, agghindato con abiti nuovi: le onnipresenti Variazioni su un tema della Carmen1423

142 Lettera di W anda Toscanini Horowitz a Vladimir Horowitz del 26 febbraio 1957, in ibidem. 143 Lettera di W anda Toscanini Horowitz a Vladimir Horowitz del 23 marzo 1957, in ibidem.

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di Bizet, in quell’occasione proposte in una versione estesa e par­ ticolarmente ambiziosa dal punto di vista compositivo. La morte di Toscanini non poteva non aver colpito Horowitz, ma quest’ultimo sembrava in grado di portare avanti i suoi progetti, se­ gno di una ritrovata animosità. Senonché, il momento piu buio di quell’anno doveva ancora arrivare: Sonia, recatasi a Sanremo, ebbe un gravissimo incidente. La ragazza, allora ventitreenne, in Italia pas­ sava molto tempo con Wally, sorella di Wanda. Si può pensare che provasse per la zia un attaccamento piu forte che per la madre; e for­ se fu proprio a Wally che si dovette se Sonia non perse la vita nel 1957. Il 30 giugno Sonia e Wally erano state a pranzo fuori e stavano rien­ trando, la prima in motocicletta, la seconda a seguire in auto. Sonia tentò di superare un autobus in curva, perdendo cosi il controllo del­ lo scooter; andò a sbattere contro un lampione, cadde ed ebbe delle gravi fratture alla testa. Ci fu il ricovero in ospedale e si chiamò uno specialista, il quale dichiarò che la paziente doveva essere esaminata da altri medici a Milano. In quel frangente Wally mise a frutto le sue co­ noscenze e fece in modo che in breve tempo Sonia potesse arrivare nel capoluogo lombardo con un elicottero militare degli Stati Uniti. r4 4 C’erano lesioni al cervello; si dispose un’operazione e Sonia la superò. Wanda si precipitò in Italia, mentre Horowitz rimase in Ameri­ ca. Ripetiamolo, perché ne vale la pena: Horowitz non segui Wan­ da in Italia. È difficile non essere sconcertati dal suo comportamen­ to in questa circostanza, tanto pili che la cosa si ripetè nel 1975, quan­ do il pianista non si mosse dagli Stati Uniti nemmeno in occasione della morte della figlia. In questo come in altri casi, la vita del piani­ sta ci mette di fronte a reazioni emotive incomprensibili secondo quelli che si è soliti considerare normali canoni comportamentali. Certo, si può dire che Horowitz si chiuse a riccio per impedire agli avvenimenti di sconvolgere la sua esistenza. Ma al di là della spa­ ventosa difficoltà di portare avanti una rimozione emotiva di questo genere, l’episodio sembra rivelare tutto il disordine sepolto nell’esi­ stenza di Horowitz. Egomania o leggerezza, volontà di potenza o so­ vrana indifferenza per l’accadere delle cose, con sfumature di volta14

144 Cfr. H .C . Schonberg, Horowitz, eit., p. 198.

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in volta sadiche o masochiste, questi sono alcuni dei volti che assunse il turbamento psicologico di Horowitz, senza forse identificarsi con alcuno di essi. Nel 1957, e nel 1975, il labirinto della mente del pia­ nista si fa più oscuro, e diventa impossibile seguire i suoi passi. Il 31 luglio Wanda scrisse al marito dall’Italia: O ra Sonia è molto cosciente. Dice tutto quello che vuole dire. Ma fa re­ sistenza al fatto di andare a casa e bisogna essere cauti con lei. N on ri­ corda l’incidente (né lo ricorderà mai), non ricorda nemmeno Sanremo. Però dice: “perché andare a casa?”. E poi: “che cosa devo fare?” (è ciò che stava dicendo o pensando prima di quello che è successo ed è anche la ragione per cui è venuta in Europa, per riaffermare se stessa come per­ sona indipendente). Comunque dice a Cecchini che sta molto bene con noi e che si sente molto vicina a noi. Gli aveva anche detto (prima) che si annoiava con Eie e Filippo. In questi ultimi tre giorni ce l’aveva con Wally. Non poteva sopportare nemmeno la sua voce, e Wally ne era mol­ to ferita! Ieri l’elettroencefalogramma era quasi normale. Un leggero “qual­ cosa dalla parte destra”. H a camminato un po’ ma si rende conto di quan­ to sia faticoso. Grande appetito. L’elettrocardiogramma migliora ma mo­ stra un cuore danneggiato e per questo ci vorrà tempo. Il prof. Columella è un ottimo e onesto dottore, è lui che per primo ha detto che Sonia dovrebbe tornare [in America] per la psicoriabilitazione e per la fisioterapia. Assolutamente esclude l’Italia! Anita ci accompagnerà perché Sonia avrà bisogno di iniezioni durante il viaggio e questo io non posso farlo. La sola cosa di cui ho paura è che, almeno in questo mo­ mento, Sonia non si trova bene con lei! Sempre ieri Sonia ha fatto un test di scrittura ed è stato soddisfacente, le è stato detto di scrivere il suo nome e cognome. All’inizio si è ricordata Sonia e ha scritto “Conia” (in russo), poi non si ricordava Horowitz ma alla fine ha detto “Gorowitz” e lo ha scritto in russo [...]. Che strano! [...] [Sonia] riceve solo cibo liquido ma per quello è bravissima. Sta­ mattina è stata in sala operatoria per più di tre ore col dentista che ha la­ vorato su di lei. Era esausta ma ha detto solo: “è stato molto buono e ha lavorato molto bene!”.*45145 145

Lettera di W anda Toscanini Horowitz a Vladimir Horowitz del 31 luglio 1957, in

MSS 55, cartella 8/103.

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Su questo “incidente”, coinè naturale, si stendono sospetti piu che tristi, e le lettere di Horowitz e Wanda poc’anzi citate, con le preoccupazioni che le percorrono, non aiutano certo a credere al­ l’accidentalità dell’infortunio. Sonia fu riportata in America e po­ co per volta cominciò a riprendersi. Nei documenti che ci sono rimasti ritroviamo le sue tracce in occasione di un viaggio a Lon­ dra che lei e Wanda fecero l’estate successiva. «Sonia sembra mol­ to felice e molto impressionata da Londra, dall’albergo, dal servi­ zio e dalla gentilezza e dalle premure della gente».1^ E poi: Con i Bagrits siamo state a una delle grandi cene dei loro amici. Circa diciotto persone e tua figlia si è presentata in abito da sera con perle e cappa di visone. Gran giorno! O ra andremo a Brighton per una gita in giornata, con i Mases. Andiamo in treno. Ieri ci siamo avventurati con successo nella metropolitana. Il prossimo passo sarà salire su un bus.H 7

Negli anni successivi le tracce diventano piu rade e possiamo se­ guire il destino della figlia di Horowitz solo attraverso i ricordi la­ cunosi dei testimoni. A un certo punto strinse amicizia con Nao­ mi Graffman, moglie dell’ex-allievo di Horowitz Gary Graffman, la quale ci descrive Sonia come una donna in costante ricerca di un equilibrio personale e di un obiettivo da perseguire. Si è già ac­ cennato al soggiorno di Sonia in Israele, in un kibbutz, dopo il qua­ le tornò in America e si mise in cerca di un lavoro. Pare che voles­ se diventare stenografa, ma allo stesso tempo si entusiasmava per il movimento per i diritti civili e meditava di recarsi nella zona del Mississippi. Visse parte in America, parte in Italia, parte in Fran­ cia (a contatto col pianista Jean Rudolphe Kars), parte altrove. Wanda aveva portato Sonia a Ginevra nel 1974; e aveva chiesto al piani­ sta Nikita Magaloff, che abitava li vicino, di badare a lei; Magalofflo ave­ va fatto. Sonia aveva detto di voler riprendere le lezioni di pianoforte, e,1467

146 Lettera di W anda Toscanini Horowitz a Vladimir Horowitz del 5 luglio 1958, in ibidem. 147 Lettera di W anda Toscanini Horowitz a Vladimir Horowitz del 13 luglio 1958, in ibidem.

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anche, continuare a studiare il russo. Magaloff la mise in contatto con un pianista russo, Aleksej Golovin. Sonia non si mosse mai per andare a prendere lezioni, ma lei e Golovin diventarono amici; passava molto tem­ po al telefono, discorrendo con lui dei suoi problemi. Il suo problema principale, probabilmente, era suo padre. A Golovin disse che gli voleva bene, ma che lui l’aveva respinta. Attendeva sempre che mostrasse qual­ che desiderio di vederla, che le desse qualche dimostrazione d’affetto. Non avvenne mai nulla del genere.1·!·8

Sonia sarebbe stata trovata morta nel suo appartamento a Gi­ nevra il io gennaio del 1975, uccisa da un’overdose di sonniferi. Si racconta che, un po’ di tempo dopo questo fatto, Horowitz e Wan­ da avessero deciso di partecipare a una serata mondana. All’ultimo momento la moglie del pianista si tirò indietro, non sentendosela di fronteggiare l’allegria della gente; allora Horowitz la giustificò con gli amici dicendo «sapete, poco tempo fa è morta sua figlia».1·*?

Cambiamenti e progetti Dopo l’estate del 1957, Horowitz non registrò per due anni, fino a quando, nel maggio del 1959, Jack Pfeiffer (suo produttore RCA) e Wanda lo convinsero a tornare in sala di registrazione. Il nuovo disco, che fu realizzato alla Carnegie Hall, era ancora monografi­ co; questa volta l’autore scelto era Beethoven. Il 14 e 18 maggio Horowitz lavorò all’Appassionata, e il 25 di nuovo al primo movi­ mento di questa; il 29 maggio e io giugno incise invece la Sonata in Re maggiore op. io n. 3. Le recensioni del disco furono varie, da «High Fidelity» in cui si disse che il Beethoven di Horowitz era uno di quelli che meno risultava schiacciato in un paragone con Schnabel, a «Stereo Re­ view» che parlò invece di «momenti al limite dell’isteria».1*0 Que­ st’ultimo commento ha un po’ il sapore del giudizio preconfezio-148950 148 H.C. Schonberg, Horowitz, cit., p. 237. 149 G. Plaskin, op. cit., p. 399. 150 Cfr. ivi, p. 313.

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nato: in realtà il disco beethoveniano stupisce non per la maniera in cui gli slanci e i fremiti vengono enfatizzati, ma al contrario per come Horowitz tende a stemperarli. Nei momenti migliori VAp­ passionata si riveste di un inconsueto tono crepuscolare, in altri invece la pagina musicale sembra perdere la sua direzionalità, e le oscillazioni di tempo non trovano piu una loro limpida ragion d’essere. Questo disco è a tratti la testimonianza di un musicista ancora turbato da tutto ciò che è successo e sta succedendo al­ l’uomo. Horowitz commentò: Suonare alla Carnegie Hall mi ha provocato una qualche depressione. Mi dissi no, non voglio piu suonare. Un’incisione non riesce a catturare il suono e io ancora non voglio suonare davanti a un pubblico vero. Mi sentii frustrato e non registrai per tre anni.1*1

Questo stato di cose non poteva far felice la RCA, visto fra l’al­ tro che il disco con musiche di Beethoven era stato annunciato come il primo di una serie. Ma l’inattività discografica di Horowitz non era l’unico problema. George Marek (vicepresidente e diret­ tore generale del Dipartimento dischi della RCA) ricorda l’abitu­ dine di Horowitz di cambiare idea da un giorno all’altro in meri­ to alla riuscita di una sessione di registrazione: il giorno prima la sessione veniva dichiarata buona per la stampa, mentre il giorno dopo era tutto da rifare. Questo in maniera imprevedibile e con­ tinuamente frustrante. Il dipartimento di marketing scalpitava. Il ragionamento era il seguente: se un noto pianista in attività progetta di pubblicare dei dischi non troppo commerciali, si può fare. Se un noto pianista non in attività programma dei dischi commerciali, anche cosi va bene. Ma se Vladimir Horowitz, che non suona piu in pubblico, oltre a ciò propone anche dischi non facilmente commerciabili, allora la battaglia è persa. Pare giungessero a Horowitz pressanti raccomandazioni di pro­ grammare brani di pivi sicuro richiamo, come la Rapsodia in blu

151 Ivi, pp. 313-314.

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di Gershwin. La situazione degenerò e provocò la cessazione del rapporto con la RCA. Non appena cominciò a correre voce che Horowitz aveva lasciato la RCA, altre compagnie cominciarono a corteggiarlo. Schuyler Chapin, che nel 1961 era il direttore del settore artisti e repertorio alla Columbia Masterworks, telefonò immediatamente dopo che Gary Graffman gli disse che Horowitz stava considerando seriamente l’eventualità di silurare la RCA. “Per via degli Steinway avevo conosciuto Horowitz per molti anni” ricorda Chapin, “ma non strettamente e mai in circostanze di lavoro. No­ nostante ciò telefonai a casa sua e quando sua moglie mi rispose andai dritto al punto. Era vero che Horowitz stava lasciando la RCA e se si era disponibile a un incontro per discutere un suo passaggio alla Columbia? Dissi questo praticamente in apnea e senza fare pause... Wanda disse che la notizia era vera e che se io e Goddard Lieberson eravamo abbastanza interessati per parlare, loro erano abbastanza interessati per ascoltare.1*2

Il passaggio alla Columbia si realizzò, e il produttore discografico di Horowitz diventò Thomas Frost. Frost era nato a Vienna, ed era venuto negli Stati Uniti con la propria fa­ miglia nel 1938, al tempo dell’Anschluss. Da piccolo aveva studiato violi­ no; in America aveva studiato teoria a Yale con Paul Hindemith. Aveva una solida formazione musicale; lui e Horowitz divennero intimi amici.1**

Horowitz entrò per la prima volta in uno studio della sua nuova casa discografica (il CBS 30th Street Studio a New York) il 18 aprile 1962, completando poi il gruppo di sessioni il 24 aprile e il 9 e 14 maggio. Programma; Seconda di Chopin, due Études-Tableaux di Rachmaninov (in Mi bemolle minore op. 39 n. 5 e in Do maggiore op. 33 n. 2), Arabeske di Schumann e la Rapsodia ungherese n. 19 di Liszt in un proprio adattamento. Furono, queste, le sessioni per l’al­ bum Columbia Records Presents Vladimir Horowitz. Come si vede, si tornava al concetto di disco antologico e si tornava a pensare che un 1523 152 Ivi, p. 316. 153 H.C, Schonberg, Horowitz, cit., p. 200.

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disco, in fondo, non fosse cosi dissimile da un concerto, nel senso che anche in esso occorreva proporre al pubblico la giusta varietà di autori e di musiche. Frost raccontò a Glenn Plaskin che il fatto di registrare per la Columbia non cambiò le abitudini di Horowitz. Registrava dalle quattro del pomeriggio in poi; raramente si lavorava pili di due ore. In studio era stato fatto portare un pianoforte che il pianista aveva scelto nei locali della Steinway; fra una registrazione e l’al­ tra Horowitz poteva riposarsi su un divano che era stato sistema­ to appositamente. Horowitz prediligeva le esecuzioni complete dei brani, senza fissarsi sulla ripetizione di passi problematici: il montaggio perciò consisteva nell’estrapolare porzioni piu o meno lunghe di musica dalle esecuzioni complete. Dopo la prima seduta non ascoltò mai le registrazioni; quasi sempre, suo­ nava l’intero pezzo dal principio alla fine senza interrompersi. Per H o­ rowitz, diceva Frost, “registrare era come dare un concerto. Non suona­ va per i microfoni. Continuava a guardare attraverso la vetrata della sala di controllo, a sorridere, a osservare se lo si stava apprezzando. Comuni­ cava con i tecnici dell’audio. Esigeva che la sera stessa la Columbia gli fa­ cesse avere, a casa, gli acetati della registrazione effettuata nel pomerig­ gio; li ascoltavamo, lui ed io, con grande attenzione. Horowitz non pos­ sedeva un’attrezzatura per la riproduzione del suono; sia lui che Wanda si sentivano perduti davanti ai congegni elettronici. Erano assolutamen­ te negati, e si smarrivano di fronte a tutti quei pulsanti del preamplifi­ catore. Se premevano un pulsante e non succedeva nulla cominciavano a premerli freneticamente tutti. Però Horowitz sapeva mettere un disco e farlo suonare”.1?*S i

Si ascoltavano perciò le registrazioni del giorno, con Wanda pre­ sente che non faceva certo da spettatrice. Si decideva cosa era buo­ no e cosa no, ma come già era successo alla RCA questa decisione non era definitiva, ma suscettibile di un’infinita serie di ripensa­ menti. «Chissà quanti occhi si alzavano al cielo nella Columbia

154 Ivi, p. 202.

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Records, quando Horowitz e Wanda tentavano di mettersi d’ac­ cordo a proposito di una particolare registrazione»;1” però questo sembrava essere l’unico modo per realizzare un disco con Horowitz. L’album usci in settembre ed ebbe ottime recensioni, nonché un Grammy Award come migliore interpretazione nell’ambito della musica classica. Vendette molto e i magazzini furono subis­ sati di richieste; Chapin ebbe poi a dire che la collaborazione fra artista e casa discografica non poteva cominciare meglio di cosi. Segui come secondo disco The Sound o f Horowitz, che fatta ec­ cezione per la Terza consolazione di Liszt, già registrata nella pri­ ma serie di sessioni, fu realizzato il 6,13 e 29 novembre e il 6,13 e 18 dicembre del 1962. Programma di nuovo antologico: tre Sona­ tela Scarlatti ( k 531, K 332, K 455), Kinderszenen e Toccata di Schu­ mann, Improvviso in Sol bemolle maggiore op. 90 n. 3 di Schu­ bert, Consolazione ài Liszt e tre brani di Skrjabin {Poème in Fa die­ sis maggiore op. 32 n. 1, Studio in Do diesis minore op. 2 n. 1 e Studio in Re diesis minore op. 8 n. 12). Fra le tracce registrate e mai pubblicate in quella fine di 1962 menzioniamo Traumeswirren dai Pezzi fantastici op. 12 di Schu­ mann, il Poème in Re maggiore op. 32 n. 2 di Skrjabin, la Sonata in Re minore K 9 di Scarlatti, la Sonata op. 31 n. 3 di Beethoven e ... Teafor Two di Vincent Millie Youmans in un adattamento di Horowitz. Pare perciò che il concetto di disco antologico avrebbe potuto svilupparsi anche nella direzione più frivola. Il 1963 fu in gran parte un anno di magra discografica: tra giugno, luglio, settembre e ottobre Horowitz si recò in studio sette volte, sen­ za approvare nulla (solo due pagine di Clementi sarebbero state pub­ blicate postume nel C D Discovered Treasures). Poi, quando già pro­ babilmente nei corridoi della Columbia ci si metteva le mani nei ca­ pelli, la fiammata, con il nuovo disco Vladimir Horowitz: Beethoven, Chopin, Debussy registrato in due sessioni il 4 e il 14 novembre 1963. Di Beethoven, la Sonata op. 13 Patetica, di Chopin gli Studi op. io n. 12 e op. 25 n. 7 e il Primo scherzo, di Debussy tre Preludi {Lesfées sont d ’exquises danseuses. Bruyères e Général Lavine-eccentriè).

155 Ibidem.

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Per l’ultimo disco in studio di questi anni (poi il ritorno sulle scene avrebbe fatto preferire a Horowitz le riprese live) il pianista tornò a un progetto monografico, con dodici sonate di Scarlatti (K 33, K 39, K 54, K 96, K 146, K 162, K 198, K 466, K 474, K 481, K 491, K 525). Horowitz le registrò nel 1964 in sei sessioni che si svol­ sero il 23 aprile, il 4 e 18 maggio, il 4 giugno e il 24 e 28 settembre. In quelle giornate di lavoro il pianista incise altre sonate ( k 25, K 52, K 197, K 201, K 303, K 547), che sarebbero riemerse dall’oblio col già citato C D Discovered Treasures. Fra le conseguenze del passaggio alla Columbia vi fu il fatto che il direttore d’orchestra Eugene Òrmandy, lui pure artista Colum­ bia, di comune accordo con la casa discografica cominciò una cor­ te sfrenata perché Horowitz decidesse di realizzare un’incisione con orchestra. Con lui, o f course. Il 12 marzo del 1962, Ormandy scrisse a Horowitz dicendo di essere venuto a conoscenza della buona no­ vella (la firma del contratto con la Columbia), per la quale si con­ gratulava. Si spingeva anche ad auspicare che questo fatto fosse di buon auspicio per tornare a fare musica insieme. Infine si offriva di aiutarlo, se necessario, nelle relazioni con la nuova casa discografi­ ca.1*6 Un passo in avanti nel corteggiamento lo si ebbe il maggio dell’anno successivo, quando il direttore d’orchestra scrisse di aver saputo da Tom Frost che Horowitz desiderava incidere il Primo con­ certo di Cajkovskij; proprio il Primo di Cajkovskij era uno dei con­ certi proposti da Ormandy a Frost, per cui non era escluso che l’in­ cisione potesse avvenire insieme. Ormandy ricordava a Horowitz, inoltre, una loro passata esecuzione del concerto a Chicago.1*? Plaskin accenna al fatto che Horowitz e Schuyler Chapin valuta­ rono l’ipotesi di un disco con orchestra, descrive però la cosa come uno dei tanti progetti abortiti prima ancora di cominciare: siccome Horowitz nel contendere impersonava «sia il gatto che il topo», Cha­ pin si sarebbe reso conto che «le probabilità di convincerlo erano prossime allo zero».1*8 Invece documenti d’archivio lasciano credere15678

156 Cfr. lettera di Eugene Orm andy a Vladimir Horowitz del 12 marzo 1962, in MSS 55, cartella 20/275. 157 Cfr. lettera di Eugene Ormandy a Vladimir Horowitz del 11 maggio 1963, in ibidem. 158 G. Plaskin, op. cit., p. 325.

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che nel 1963 questo progetto fosse vicino alla sua realizzazione. Nel settembre, Tom Frost contattò Ormandy proponendogli addirittu­ ra una data, il 17 novembre. Il direttore d’orchestra scrisse a Horowitz felicissimo, con l’assicurazione che non avrebbe fatto trapelare la no­ tizia. Poscritto: «cominciamo alle 15.45».r59Non abbiamo al momento altri documenti che spieghino cosa successe, ma sta di fatto che per quella volta non se ne fece nulla. Può ragionevolmente sorgere il so­ spetto che fix Horowitz alla fine a far saltare la cosa, forse non sen­ tendosi ancora pronto per un’incisione che lo mettesse a contatto con altri musicisti. In realtà, per la sua successiva collaborazione con un’orchestra si sarebbe dovuto aspettare il 1978; e per una registra­ zione in studio con un’orchestra addirittura il 1987. Nonostante queste esitazioni la forma di Horowitz migliorava e il suo entourage lavorava alacremente per instillare in lui l’idea del necessario e inevitabile ritorno sulle scene. A stare ai resocond, pro­ babilmente tutto il lavorio psicologico di Wanda e soci non sareb­ be andato a buon fine, o comunque non entro il 1965, se il caso non avesse dato loro una mano. Il caso quel giorno si presentò sot­ to le mentite spoglie di un gruppo di giovani musicisti che, an­ dandosene per strada, riconobbero seduto a uno dei tavolini ester­ ni di un baretto di Greenwich Village l’allievo di Horowitz Ivan Davis. Si fermarono e uno dopo l’altro gli chiesero trepidanti un autografo. Dettaglio: nessuno di loro riconobbe l’uomo che sede­ va al fianco di Ivan Davis, e che era Vladimir Horowitz. Se real­ mente accaduto, questo è uno di quei fatti che probabilmente dan­ no da pensare a un artista che ha vissuto momenti di celebrità. Per ricominciare, si decise di programmare inizialmente un uni­ co concerto e, dato che Horowitz aveva dichiarato che, se proprio doveva tornare a suonare in pubblico, lo avrebbe fatto con un re­ cital alla Carnegie Hall, venne contattato Julius Bloom, impresa­ rio della sala. Horowitz desiderava suonare sul palcoscenico della Carnegie Hall, per vedere se si sentisse abbastanza in forma per tornare alla sua attività di*5 159 Lettera di Eugene Orm andy a Vladimir Horowitz del 25 settembre 1964, in MSS 55, cartella 20/275.

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concertista; cosi gli chiese se la cosa fosse possibile. Immediatamente, Bloom prese tutte le disposizioni necessarie. Horowitz e Bloom, ben presto, divennero amici. Bloom era un uomo in­ telligente e un sognatore; aveva compiuto studi di sociologia e filosofia, era competente di musica ed esperto di tutti i particolari dell’industria della musica. Bloom sentiva - o, come avrebbe detto poi a un giornalista - sa­ peva che Horowitz desiderava ricominciare. Quanto più lui insisteva nell’afFermare che non lo desiderava, tanto più Bloom era sicuro del contra­ rio; ma non tentò, neppure una volta, di spingerlo a suonare. “Ciò avreb­ be voluto dire fermare tutto, punto e basta. Horowitz aveva bisogno di es­ sere convinto, di essere avviato a poco a poco verso quell’ordine di idee”. Dopo alcuni colloqui, nei quali Bloom si offri di occuparsi di tutte le at­ tività musicali di Horowitz e di prendersi cura di tutti i suoi affari, si giun­ se a un accordo. Horowitz, impegnando tutti quanti a mantenere il se­ greto, andò nel seminterrato della Steinway per scegliersi un pianoforte, e si innamorò del pianoforte a gran coda numero C D 186, che da allora in poi sarebbe stato riservato a lui solo. Si trovò subito a suo agio con i suoi bassi sonori, la sua meccanica precisa, e col modo in cui cantavano gli acu­ ti. Quel pianoforte era affidato alle cure di Franz Mohr, il capotecnico del­ la Steinway recentemente assunto. Lo strumento doveva essere accorda­ to, esattamente [a 440 Hz]. La sua meccanica era insolitamente leggera; la pressione richiesta sui tasti era di 45 grammi anziché di 48-52, quella consueta nella maggior parte dei pianoforti da concerto Steinway. Il processo di persuasione si compì in alcuni pomeriggi sul palcoscenico della Carnegie Hall. A partire dal 7 gennaio 1965 e fino ad aprile Horowitz tenne un certo numero di concerti di prova, tenuti segreti, davanti a un ristrettissimo pubblico composto da persone scelte ad una ad una. [·..] Su tutto quanto fu osservato il più scrupoloso segreto. “Sapevo - diceva Bloom - che l’ultima cosa che Horowitz desiderasse era la pubblicità”. Bloom, naturalmente, assistette al primo concerto di prova. “Stavamo tutti li, attoniti, a sentirlo suonare. Era una cosa assolutamente fantasti­ ca”. In quel minuscolo pubblico la persona più eccitata era Wanda. Al pari di Bloom, Wanda non era tanto sconsiderata da tentare di costrin­ gere Horowitz a riprendere definitivamente la sua attività. Tutto ciò che faceva era incoraggiarlo e dirgli quanto suonasse bene.160 160 H.C. Schonberg, Horowitz, cit., pp. 208-209.

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È una triste verità che quasi nulla, a questo mondo, si riesce a tener segreto. Quella strana espressione che è “fuga di notizie” ren­ de assai bene l’idea di come non sia mai chiaro chi e come faccia trapelare un’informazione riservata. Ebbene, dalla Carnegie Hall le notizie fuggirono in direzione delle pagine del «New York He­ rald Tribune», che il 14 marzo parlò per primo di un probabile ri­ torno di Horowitz. Per farsi perdonare da un indispettito «The New York Times», due giorni dopo il pianista invitò Howard Klein, critico musicale del quotidiano, a una nuova prova pomeridiana alla Carnegie Hall, concedendo poi un’intervista. Il giorno dopo il «The New York Times» annunciava: «Vladimir Horowitz di nuo­ vo sulla via del palcoscenico». Intanto, il pianista meditava il pro­ gramma del recital, e alla fine avrebbe scelto il seguente: J.S. Bach - F. Busoni R. Schumann

Toccata, adagio efuga in Do maggiore BWV 564 Fantasia in Do maggiore op. 17

A. Skrjabin A. Skrjabin F. Chopin F. Chopin F. Chopin

Sonata n. 9 op. 68 (Messa nera) Poema in Fa diesis maggiore op. 32 n. 1 Mazurca in Do diesis minore op. 30 n. 4 Studio in Fa maggiore op. io n. 8 Ballata n. 1 in Sol minore op. 23

La corrispondenza indirizzata a casa Horowitz raggiunse in quel­ le settimane proporzioni impressionanti. Fra le lettere che spicca­ no, ce n’è una di Eugene Ormandy del 15 aprile: Cari Wanda e Volodia, la bella lettera di Wanda del io mi fa felice per­ ché posso leggere fra le righe che il giorno del recital di Volodia si sta av­ vicinando. Tom Frost mi ha chiamato oggi e mi ha detto che l’altra sera Volodia ha suonato quasi un intero programma per alcuni dei vostri ami­ ci e che è ben possibile che dopo questo concerto-per-amici sia pro­ grammato un recital per maggio. Perfavore fallo. Agli amanti della mu­ sica e ai tuoi ammiratori manchi ormai da troppo tempo.161 161 Lettera di Eugene O rm andy a Vladimir Horowitz del 15 aprile 1965, in MSS 55, cartella 20/275.

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Horowitz lo fece davvero, e il suo storico ritorno fu fissato per il 9 maggio.

Un ritorno incompiuto Un fatto eccezionale, che però da quel momento in poi diventò pra­ ticamente un rito per i recital di Horowitz, fu la coda per l’acquisto dei biglietti. Il botteghino doveva aprire il giorno 26 alle io del mat­ tino, ma la coda cominciò a formarsi alle 11.30 del giorno prima. Il primo ad arrivare fu un insegnante di Brooklyn, certo Michael Lintzman, il quale poi dichiarò al «The New York Times» che sarebbe val­ sa la pena di aspettare anche per un mese. Secondo, terzo e quarto, tre studenti della Columbia University, fra cui il figlio del direttore d’orchestra Arthur Rodzinsky.162163Durante la giornata la coda si al­ lungò e Horowitz ne fu informato; Wanda arrivò sul posto e ordinò prima cento caffè al bar all’angolo, poi verso sera un altro giro di caffè per tutti. A mezzanotte erano duecentosettantotto; arrivavano con sedie pieghevoli, sacchi a pelo, cibo, ombrelli, e fecero bene, perché quella notte fece freddo e piovve. Un chimico polacco di nome Ana­ tole Morell disse a un giornalista che l’unica altra volta che aveva fat­ to una cosa del genere era stato in Russia, per il pane. In testa alla coda erano soprattutto musicisti o studenti di mu­ sica, che nell’attesa si erano portati partiture da leggere; la Carne­ gie Hall, per l’occasione, lasciò le luci sempre accese. Per consen­ tire un bivacco notturno un po’ piu comodo alcuni studenti del­ la Juilliard School of Music organizzarono una lista numerata che permettesse il riformarsi della fila al mattino, evitando l’intrusio­ ne dei furbi dell’ultimo m i n u t o . i 6 3 Al mattino presto si era arrivati a quota millecinquecento, e co­ me previsto i furbi ci furono ma, siccome la lista era stata conse­ gnata al personale della sala, non ebbero fortuna.

162 Cfr. [s. n.]. Line Forms Day Early For Horowitz Tickets, in «The New York Times», 26 aprile 1965. 163 Cfr. R.F. Shepard, H orowitz Tickets Are Sold O ut in 2 Hours, in «The New York Times», 27 aprile 1965.

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IJI

La vendita dei biglietti, come detto, ebbe inizio alle io, ma già i primi della fila si stupirono del fatto che i posti migliori (e non si parlava di poche decine) non erano in vendita. A mezzogiorno era già tutto finito e solo in trecento se ne tornarono a casa con qual­ cosa in tasca. Ecco un altro fatto riportato dai quotidiani e che sa­ rebbe diventato anch’esso un tormentone nei successivi concerti del pianista: l’enigma dei biglietti non disponibili per la vendita. 300, che furono le persone soddisfatte, moltiplicato per quattro, che erano i biglietti che ogni persona poteva acquistare, fa 1200. 2760, che è il numero di posti della Carnegie Hall, meno 1200 fa 1560; e se da questa cifra si tolgono i biglietti omaggio che in ogni concerto che si rispetti si riservano ad artisti ed enti implicati, si ha il numero dei biglietti virtualmente scomparsi nel nulla. Molti, giustamente, si infuriarono, e furono chieste spiegazioni. Wanda replicò alle insinuazioni personalmente, visto che Bloom si trovava in ospedale, e fece osservare che non era pensabile che la moglie di Koussevitzky o la figlia di Rachmaninov potessero fare la coda per i biglietti. Comunque in totale i posti riservati agli H o­ rowitz erano stati non piu di 296, tutti pagati tranne otto. Si seppe poi che alla Columbia Records, alla RCA, alla Carnegie Hall Cor­ poration, alla Steinway e alla stampa erano andati complessivamente meno di 400 posti. Dei restanti 1000, o quasi, nulla si seppe. Arrivò il giorno del concerto: New York, 9 maggio 1965: una giornata umida e piena di sole. Horowitz trascorse le ore che lo separavano dal concerto nel modo che gli era abi­ tuale in quelle circostanze; come se quella fosse un’esibizione come tan­ te altre. Naturalmente, non era cosi. Che cosa stava pensando? Non lo diceva, e nessuno glielo domandò. Nel giorno in cui teneva un concer­ to nessuno lo poteva avvicinare durante i suoi preparativi. Per Horowitz, prepararsi per un concerto era, sempre, molto più che com­ piere le operazioni di una normale toilette. Era una cerimonia, un rito di purificazione: una specie di battesimo, anche. Quella domenica si alzò, co­ me al solito, verso mezzogiorno, e fece colazione. A nessuno era permesso di parlargli. Dopo la colazione si lavò, si fece la barba, si vesti. Nei suoi con­ certi pomeridiani —quello era fissato per le tre e mezzo —indossava sem­ pre i pantaloni grigi che si usavano una volta e una giacca a coda di rondi-

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ne. Era l’unico pianista vivente a vestire cosi. In un’intervista rilasciata al «New York Times» disse a Helen Epstein: “Io mi preoccupo dei piccoli det­ tagli: di mettermi le calze in modo che non mi stringano. Di vedere che le scarpe siano allacciate. Che i bottoni dei pantaloni siano chiusi. Se no, è terribile. Di non essere nervoso. Di non camminare in fretta. Tutti i mo­ vimenti tranquilli. Della musica non mi preoccupo affatto, perché, sape­ te, la tragedia di un artista è come nei Pagliacci. In un momento preciso uno deve essere ispirato, aver voglia di suonare ed essere in forma. Può suc­ cedere alle quattro - proprio alle quattro - che mi venga un dolore di sto­ maco. Cosi cerco di stare molto tranquillo. Nessuno deve interferire, e se qualcuno lo hi si tira addosso una scenata come non ne ha mai viste”. Una volta che si era messo la cravatta a farfalla e la giacca a coda di ron­ dine, Horowitz si sentiva in uniforme. “È come un cavallo prima della corsa. Si comincia a sudare. Si sente già una carica elettrica che stimola a fare qualcosa. In quel momento io sono un artista, nel senso assoluto. Sento una urgente necessità di giungere in tempo. Mi piace essere li die­ ci, quindici m inuti prima per scaldare le dita. Sono un generale. I miei soldati sono i tasti, e li debbo comandare”. L’unica cosa inconsueta che Wanda notò quel giorno fu che Horowitz si muoveva come una lumaca. N on lo aveva mai visto vestirsi cosi lenta­ mente. Era la tensione? Naturalmente era teso, diceva lei. Agitato, pri­ ma di un concerto, non era mai, ma era sempre teso, caricato al massi­ mo per dare il meglio di sé. Poco prima delle tre Horowitz, Wanda e Jack Pfeifler salirono su una li­ mousine e si avviarono verso la Carnegie Hall.1®·*

Ci sono delle foto storiche che riassumono in un’inquadratura l’emozione dell’evento. La folla che applaude la limousine in ar­ rivo, Horowitz che scende dall’auto, tenendo il cappello nelle ma­ ni guantate, un primo piano di lui che saluta, ma soprattutto una bellissima immagine di lui che assieme ad altre due persone scen­ de le scale interne che lo condurranno al palcoscenico. È ripreso di spalle, e sul lato sinistro della foto, vicino alla sua testa, c’è uno strano riflesso di luce, che la rende unica.

164 H.C. Schonberg, Horowitz, cit., pp. 213-214.

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Come fu l’esecuzione? Non ci troviamo a dover formulare ipo­ tesi sull’ignoto, visto che ovviamente questo recital è documenta­ to dal disco. Un “ma” è però d’obbligo. La ripresa live del concer­ to non fu pubblicata “al naturale”: fu dichiarata assolutamente pri­ va di editing, ma non lo era. Beata ingenuità dei pubblicitari, vi­ sto che non solo al concerto erano presenti fior di musicisti e gior­ nalisti dalla buona memoria (fra cui Harold Schonberg), ma non era mancata nemmeno la registrazione pirata di turno che docu­ mentava la realtà vera. Ecco perciò che in epoca moderna sareb­ be apparsa una riedizione epurata del recital, sotto il marchio di Horowitz Live and Unedited. A questo punto viene il “ma”: come essere certi una volta per tutte che il «live and unedited» sia dav­ vero «unedited»? Mettendo da parte questo “ma” e considerando fonte attendibile quest’ultima uscita discografica si possono fare diverse considerazioni. Non è del tutto preciso limitarsi a dire che Horowitz quel po­ meriggio era nervoso, o molto nervoso. Quella che scopriamo at­ traverso il disco è un’intensa e umanissima paura del palcosceni­ co, come forse Horowitz mai l’aveva provata in vita sua. Lo stori­ co ritorno, non preparato da alcun recital “di riscaldamento”, agi­ va sulla psiche del pianista (come sappiamo, particolarmente vul­ nerabile) con una forza inaudita. Il primo, plateale gesto della Toccata, adagio efuga tradì subito Horowitz, a rappresentare davanti a tutto l’uditorio (concertistico e discografico) la tensione del momento. E al di là delle non poche sporcizie e imprecisioni nell’esecuzione, ascoltiamo soprat­ tutto nella prima parte del concerto un pianismo errante e parti­ colarmente rapsodico, in cui i cambi di tempo non sempre han­ no un solido perché. Può suonare blasfemo commentare con trop­ pa disinvoltura un evento come il leggendario ritorno sulla scena di quello che fu forse il pianista piu acclamato del secolo; basterà forse chiarire che non si trattò del segno dell’età o di scemate ca­ pacità pianistiche o musicali, quanto invece, come si è detto, del­ le ripercussioni di una fortissima tensione psicologica. Il recital del 9 maggio 1965 non è perciò un documento inop­ pugnabile per valutare l’itinerario stilistico di Horowitz; ciono­ nostante, dà alcune indicazioni che si riveleranno veritiere. In al-

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cuni dei brani in programma, in particolare nella Mazurca di Cho­ pin, i toni drammatici un tempo abituali per Horowitz si fanno decisamente da parte. La lettura della pagina musicale non pro­ cede pili cosi risolutamente, avendo sempre chiaro il proprio iti­ nerario dall’inizio alla fine e mostrandosi smaniosa di portare a termine il percorso. Al contrario, cominciano ad essere ammesse e preferite le escursioni fuori rotta, le deviazioni, e in generale Ho­ rowitz comincia a subire il fascino delle cose che girano in tondo, denunciando l’assenza di una direzione. Una seconda osservazione riguarda alcune categorie poetiche che fanno capolino qui in modo molto discreto, ma che sono de­ stinate ad avere grande importanza nel seguito della carriera di Horowitz; le principali sono quelle del grazioso e del divertente. Per la prima è sufficiente citare lo Studio op. io n. 8 di Chopin: negli anni Trenta Horowitz lo interpretava decisamente in termi­ ni di agilità drammatica, mentre ora lo risolve nella direzione del­ lo charme e dell’affabilità salottiera. Per la seconda categoria, quel­ la del divertente, si ascolti lo studio di Moszkowski e la maniera con cui Horowitz valorizza nell’esile paginetta ogni possibile oc­ casione di piacere ludico e scherzoso. Negli anni immediatamen­ te successivi, la tonalità del divertente doveva sfociare in almeno un’occasione nel comico vero e proprio; sarebbe accaduto nelle Variazioni su un tema della Carmen di Bizet, in quel passo dove, al termine della prima cadenza, la molla dell’orologio musicale sembra perdere progressivamente la carica arenandosi su una se­ quenza di acciaccature. Il fatto musicale in sé non è sufficiente a creare la suggestione comica, ma le registrazioni pirata ci parlano di un’eccitazione del pubblico che si trasforma in vere e proprie risate. È grande il desiderio di sapere cosa Horowitz facesse in quel punto, e perché il suo uditorio fosse cosi divertito. La versione vi­ deo del 1968 non risponde a questa domanda, perché in quel pas­ saggio il pianista non perde la propria compostezza; sorge il so­ spetto che la telecamera abbia potuto inibire in lui quel gesto clow­ nesco che troviamo documentato indirettamente, tramite la rea­ zione del pubblico, in registrazioni pirata come quella del 26 no­ vembre 1967. Queste nuove categorie poetiche non si sostituisco­ no a quelle che pili frequentemente avevano abitato nelle inter-

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pretazioni di Horowitz, aggiungendosi invece ad esse come poli alternativi; sta di fatto che l’istituto del recital come luogo di un’e­ sperienza fisica e drammatica, quale emerge dai concerti degli an­ ni Quaranta, qui si stempera in un evento che ospita al suo inter­ no una pluralità di toni e atmosfere. Horowitz non fu completamente soddisfatto del recital del 9, maggio. Ciò ebbe due grosse conseguenze: la prima fu che decise di procedere con maggiore cautela nel programmare i successivi concerti; la seconda, che al momento di fare uscire il disco dello “storico ritorno” il master fu pesantemente corretto. La Toccata, adagio e fuga fu molto rimaneggiata, cosi come la coda del secondo tempo della Fantasia di Schumann, nel cui ter­ ribile passo di salti Horowitz aveva avuto una pericolosissima esi­ tazione. A proposito di quest’ultima, ci fu pure una piccola que­ relle con Schonberg: Horowitz continuava a sottolineare il fatto che quel concerto era un do­ cumento storico, e che non avrebbe cambiato neppure una nota. Inve­ ce, lo fece. Sul disco è registrato qualcuno degli errori che gli erano sfug­ giti nell’esecuzione della Toccata di Bach-Busoni, non però quel terribi­ le momento nella Fantasia di Schumann. La Columbia fece avere una copia di prova al primo critico musicale del «Times», il quale constatò che la registrazione della Fantasia era stata ri­ toccata. Il critico telefonò alla Columbia e chiese che cosa fosse succes­ so. Un’ora dopo senti squillare il telefono: “Mr. Schonberg?” “ S i.”

“Q ui parla Vladimir Horowitz. H o sentito che avete qualcosa da dire sul mio disco.” “La coda della Fantasia di Schum ann...?” “Si. Vi posso spiegare?” “Naturalmente.” “Ricordate che caldo faceva nella sala? E sapete, non è vero, come sono nervosi i pianisti quando giungono alla coda? Cosi, mentre stavo suo­ nando, ancor prima di arrivare alla coda, il sudore mi colava negli occhi, e non riuscivo a vedere la tastiera. Cosi suonavo alla cieca. Ora, voi sa­ pete quanto siano importanti i dischi per la posterità. Io non volevo ve-

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nire rappresentato da qualcosa di cui non avevo colpa. È stato un caso fortuito, il caldo e il sudore. Cosi, dopo il concerto, ho corretto quel pas­ saggio.” “Va tutto benissimo, Mr. Horowitz. Ma, nella sua pubblicità, la Co­ lumbia afferma che si tratta del ritorno di Vladimir Horowitz alla Car­ negie Hall, e non è cosi.” “Ma è stato un caso fortuito!” “E che cosa mi dice a proposito della veridicità nell’informazione pub­ blicitaria?” Horowitz continuava a ripetere “caso fortuito”. Il suo interlocutore con­ tinuava a ripetere “verità nell’informazione”. Non conclusero n u lla .i6 5

L’attività di Horowitz tardò dunque a farsi regolare. Lui stesso spiegò ai giornalisti che considerava un grande raggiungimento nella sua carriera, nonché un evidente miglioramento della qua­ lità della sua vita, il fatto di poter finalmente suonare solo quan­ do lo desiderava davvero. «Se voglio suonare a New York, suono a New York. Se voglio tenere cinque concerti, tengo cinque con­ certi. Sono io a decidere».165166 D ’altronde, non si può ignorare il fatto che una decina di anni dopo Horowitz avrebbe ripreso a suo­ nare per davvero, con lunghe tournée e con concerti al di fuori della costa orientale. E, cosa ancora piu importante, che già alla fine degli anni Sessanta i periodi in cui i concerti sono pili fitti (per esempio l’anno 1968) sono quelli in cui si nota anche un mi­ glioramento della forma fisica e psicologica del pianista. A chi scrive sembra che per l’attività del 1965-69 non sia scor­ retto parlare di “ritorno incompiuto” alle scene. Le apparizioni di Horowitz conservarono un aspetto di precarietà organizzativa, nel senso che il pianista preferì per lo più annunciarle all’ultimo mo­ mento, eludendo il senso di responsabilità e di costrizione che evi­ dentemente gli avrebbe ispirato una programmazione piu antici­ pata e di piu ampio respiro. Nell’autunno del 1965 si mise di mezzo anche la sfortuna, visto che in una prova alla Carnegie Hall (con una Sonata di Scarlatti, 165 Ivi, p. 217. 166 Ivi, p. 221.

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la Sonata in Re maggiore op. io n. 3 di Beethoven, la Decima di Skrjabin e la Polacca-Fantasia di Chopin), che doveva preludere a un nuovo recital, si verificò un blackout in tutta la costa orientale: Era il 9 novembre 1965; Horowitz aveva appena incominciato a suonare la Polacca-fantasia di Chopin. Improvvisamente, sulla Carnegie Hall sce­ se il buio; ed è difficile dare un’idea di quanto sia buia la Carnegie Hall quando, in tutta la grande sala, non è accesa neppure una lampada. Il pub­ blico che assisteva alla prova restò interdetto, e, probabilmente, trasalì an­ che Horowitz; ma continuò a suonare al buio senza esitare nemmeno una volta. Circa due m inuti dopo venne un inserviente con una torcia elet­ trica, e la diresse sui tasti. Quando Horowitz ebbe suonato il suo pezzo fino in fondo gli dissero che le luci erano spente in tutta la zona .l6 7

La forse già precaria determinazione a mettersi di nuovo in gio­ co venne meno dopo questo incidente: «What’s to be gained?»167168 cita Glenn Plaskin. Per un secondo e un terzo concerto bisognò dunque attendere l’anno nuovo. Il 17 aprile 1966 Horowitz suonò alla Carnegie Hall e il 7 maggio a New Brunswick (New Jersey), alla Rutgers University. Quella di suonare nelle università davan­ ti a un pubblico a volte composto prevalentemente da studenti doveva diventare per il pianista una piacevole abitudine. Il pro­ gramma di questi due concerti fu quasi identico e anche questa diventò un’abitudine del pianista, il quale preferì d’ora in poi ri­ toccare il meno possibile il programma base di una stagione. Il 17 aprile Horowitz si presentò con questi brani: D. Scarlatti L. van Beethoven W.A. Mozart E Skrjabin

Sonata in Fa minore K 481 32 Variazioni in Do minore WoO 80 Sonata in La maggiore K 331 Sonata n. io op. 70

F. Chopin F. Chopin

Polacca-fantasia in La bemolle maggiore op. 61 Mazurca in Si minore op. 33 n. 4

167 Ivi, p. 219. 168 G. Plaskin, op. cit., p. 361 [«Che c’è da guadagnare?»].

i S8

Vladimir Horowitz

F. Chopin F. Chopin

Notturno in Mi minore op. 72 η. ι Scherzo η. ι in Si minore op. 20

Per l’apparizione alla Rutgers University, il pianista tolse la So­ nata di Scarlatti in apertura e sostituì il Notturno in Mi minore con una Mazurca in Fa minore (non specificata). Dopo l’estate Horowitz tenne altri tre concerti: il 13 novembre 1966 all’Università di Yale e il 27 novembre e il io dicembre alla Carnegie Hall. Il programma anche in questo caso fu fisso: F.J. Haydn R. Schumann F. Chopin

Sonata in Fa maggiore Hob. XVl/23 Blumenstück op. 19 Sonata n. 2 in Si bemolle minore op. 35

C. Debussy C. Debussy

Preludio n. 5 dal secondo libro (“Bruyères”) Preludio n. 4 dal secondo libro (“Les fées sont d’exquises danseuses”) Preludio n. j dal secondo libro (“La terrasse des audiences du clair de lune”) Lisle joyeuse Vallée d'Obermann

C. Debussy C. Debussy F. Liszt

Poi segui un periodo di inattività fino all’autunno successivo, quando Horowitz tornò sul palcoscenico e finalmente diede una certa continuità alle sue apparizioni pubbliche, suonando nume­ rose volte nella stagione 1967-68: il 22 ottobre e il 12 novembre in due college newyorkesi (Queens College e Brooklyn College), il 26 novembre alla Carnegie Hall, il io dicembre a Washington alla Constitution Hall, poi un concerto ad inviti ancora alla Carnegie Hall (1 febbraio), quindi a Boston (7 aprile, e in quell’occasione il pianista onorò la memoria di Martin Luther King assassinato tre giorni prima aggiungendo al programma la Marcia funebre dalla Seconda sonata di Chopin) e a Chicago (12 e 19 maggio). Il programma era in gran parte fisso e prevedeva la Sonata op. 101 di Beethoven e un gruppo chopiniano (Barcarola, Notturno op. 55 η. I, Polacca in Fa diesis minore op. 44), nella prima par­ te; cinque Sonate di Scarlatti (K i o i , K 319, K 260, K 466 e K 55),

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Arabesque AA. W . —Welte-Mignon Piano Rolls-r. 236 Naxos Historical 8.110696 (cd), Great Pianists —Horowitz: 8 5,169, 216, 224, 234, 237, 2 7 9 , 305, 306, 308, 377, 436 Naxos Historical 8.110805-6 (2 CD), Toscanini Concert Edition —Brahms: 26 Naxos Historical 8.110807 (cd), Toscanini Concert Edition —Tchaikovsky·. 36 NVC Arts-Warner Music Vision 3984-29199-2 (DVD), TheA rt o f Piano: 179,243,622 NVC Arts-Warner Music Vision 3984-29199-3 (Videocassetta), The A rt o f Piano: 179, 243, 622 Philips 0 7 0 25338 (Videocassetta), The Golden Age o f the Piano: 622 Philips 075 0 9 2 -9 (DVD), The Golden Age o f the Piano: 622 Philips 0 7 0 25314 (Laserdisc), The Golden Age o f the Piano: 622 Pioneer Classics PA-82-031 (Laserdisc), Horowitz in London: 45, 5 2 ,1 3 9 ,191, 434, 4 4 8 , 459, 4 6 2 , 4 6 4 , 475, 502, 551 Pioneer Classics PC-10534D (DVD), Vladimir Horowitz —The Last Romantic: 5, 7 6 ,1 2 8 ,1 4 7 , 2 62, 338, 350, 423, 515, 566, 6 0 9 Pioneer Classics PC-94-021-D (DVD), Horowitz in Moscow: j l , 8 9 , 131, 291, 301, 330, 353, 413, 425, 452, 4 6 8 , 493, 521, 553, 612, 628 RCA Victor G D 60376 (CD), Horowitz plays Chopin, Volume 2 : 4 7 , 86, n o , 115, 142,153,155,158 RCA Victor G D 60449 (C D ), H orowitz—Mussorgsky, Tchaikovsky: 37, 362, 364 RCA Victor G D 60526 (C D ) , H orowitz—Mussorgsky: Pictures a t an Exhibition: 43, 216, 234, 237, 363, 372, 376, 396, 584, 594, 6 0 2 , 605, 6 4 4 RCA Victor GD87753 (cd), Horowitz plays Clementi: 1 9 4 ,1 9 6 ,1 9 8 , 2 0 0 , 203 RCA Victor GD87755 (C D ), Horowitz —Encores: 126, 218, 2 4 0 , 2 6 9 , 285, 309, 317, 320, 322, 323, 324, 327, 335, 341, 355, 4 0 8 , 543, 645 RCA Victor G D 87992 (C D ), Horowitz plays Tchaikovsky & Beethoven: 11, 38 RCA Victor 60319-2 (C D ), Horowitz — Tchaikovsky, Brahms: 27, 37 RCA Victor 60321-2 (cd), Horowitz — Tchaikovsky: 38 RCA Victor 60375-2-RG (cd), Horowitz plays Beethoven Sonatas: 1 5 ,1 7 ,1 9 RCA Victor 60377-2-RG (cd), Horowitz plays Prokofiev, Barber & Kabalevsky Sonatas: 10, 226, 254, 368, 371, 374

Discografia

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RCA Victor 60451-2-RG (C D ), RCA

Victor 60461-2-RG

H orowitz-Schubert, Mozart: 205, 326,358, 528 H o ro w itz- Brahms, Beethoven. 4 ,1 4 , 30, 232,

(c d ),

4 9 0 ,5 4 1

Victor 60523-2-RG ( c d ) , Horowitz —Brahms: Piano Concerto N0.2: 27, 29, 255, 282, 299, 511 RCA Victor 6215-2-RG ( c d ) , Horowitz plays Scriabin: 582,583, 5 8 5 ,5 8 6 ,5 8 7 , 588, 589, 590, 591,592, 593, 595, 596, 597, 598, 599, 6 0 0 , 601, 618, 623, 635 RCA Victor 63861 (2 C D ), R C A Red Seal Century —Soloists & Conductors: 241 RCA Victor 6680-2-RG (C D ), Horowitz plays Schumann. 539, 540, 564, 565, 571 RCA Victor 7752-2-RG (C D ), Horowitz plays Chopin, Volume 1: 4 6 ,5 1 , 58, 61, 1 3 8 ,1 6 4 ,1 7 8 ,1 9 0 RCA Victor 7754-2-RG ( c d ) , Horowitzplays Rachmaninoff'. 3 8 0 ,3 9 7 ,4 0 0 ,411,433 RCA Victor 0 9 0 2 6 -6 0 4 6 3 -2 (C D ), Horowitz —Schumann: Kinderszenen. 32, 59, 80, 8 5 ,113,150, 225, 283, 305, 308, 319, 321, 543, 568 RCA Victor 0 9 0 2 6 -6 0 9 8 6 -2 (C D ), Horowitz —Beethoven, Scarlatti, Chopin: 12, 54, 8 2 , 1 1 4 ,1 2 0 ,1 8 3 ,1 8 7 , 224, 436, 4 4 0 , 4 4 6 , 485, 488, 4 9 7 , 507 RCA Victor 0 9 0 2 6 -6 0 9 8 7 -2 ( c d ) , Horowitz plays Chopin, Volume y. 56, 68, 9 6 ,1 0 0 ,1 0 3 ,1 0 5 ,1 0 7 , i n , 1 12,121,1 3 6 ,1 4 3 ,1 4 9 ,1 8 2 RCA Victor 0 9 0 2 6 61414 2 ( c d ) , Horowitz in London: 4 5,51,138, 550, 623 RCA Victor 09026-61415-2 ( c d ) , Horowitz plays Liszt: 259, 261,273, 2 8 0 ,2 9 8 RCA Victor 0 9 0 2 6 62643 2 ( c d ) , The Private Collection, Voi. 1: 1, 62, 81,123, 1:95,199, 2 02, 2 6 6 , 2 6 7 , 391 RCA Victor 0 9 0 2 6 6 2 6 4 4 2 (C D ), The Private Collection, Voi. 2: 9, 2 0 6 , 207, 208, 219, 245, 2 46, 247, 248, 249, 250, 251, 252, 253, 365, 367, 370, 375 RCA Victor 0 9 0 2 6 63314 2 ( c d ) , Horowitz a t the Met: 5 8 ,1 9 0 , 2 5 9 ,4 0 8 ,4 4 7 , 458, 461, 463, 4 7 4 , 501 RCA

Victor 0 9 0 2 6 63681 2 ( c d ) , Vladimir Horowitz —Rachmaninoff: Piano Concerto No.} & Sonata N0.2: 381, 433 RCA Victor 0 9 0 2 6 6 8 9 7 7 2 (C D ), Living Stereo —Beethoven/Horowitz. 12,19 RCA Victor 8 2 8 7 6 -5 0 7 4 9 -2 (2 C D ), Horowitz reDiscovered 146,185, 223, 256, RCA

310, 328, 389, 395, 410, 536, 548, 570

Russian Disc io 1071/4 (2 L P ), Scriabins 120th Anniversary. 611, 627 Sony Classical SHV 53478 (Videocassetta), Vladimir H orowitz— A Remini­ scence. 6 6 , 191, 401, 434, 4 48, 459, 4 6 4 , 475, 502, 553, 642 Sony Classical SHV 64545 (Videocassetta), Horowitz in Moscow: 72, 8 9 , 131, 291, 301, 330, 353, 4 0 4 , 413, 425, 452, 4 6 8 , 493, 521, 553, 612, 628 (C D ), Horowitz — The Last Recording: 6 3 , 1 0 2 , 117, 1 18,1 7 4 ,1 7 6 , 230, 2 76, 281 Sony Classical SM2K 4 6743 (2 C D ), Concert o f the Century. 44, 4 29, 537 Sony Classical SK 48093 (C D ), Horowitz —Discovered Treasures: 2 , 1 4 1 ,167, 1 81,1 9 2 ,1 9 3 ,1 9 7 , 2 0 4 , 2 6 0 , 318, 437, 441, 4 7 7 , 4 7 9 , 482, 509, 577, 6 4 0 Sony Classical S2K 53457 (2 C D ), H orowitz—The CompleteMasterworks Re­ cordings, Volume I: The Studio Recordings 1962-1963:1 3 ,1 4 4 ,1 5 4 ,1 7 2 ,1 7 7 ,

Sony Classical SK 45818

294

Vladim ir H orowitz

212, 213, 214, 286, 383, 388, 4 87, 4 9 8 , 508, 512, 531,544, 574, 578, 6 0 6 , 621

Sony Classical SK 53460 ( c d ) , H orow itz—The Complete Masterworks Recor­ dings, Volume II: The Celebrated Scarlatti Recordings·. 4 3 7 ,4 3 8 ,4 3 9 ,4 4 1 ,4 4 2 , 456, 4 72, 473, 4 7 7 , 4 78, 4 7 9 , 482, 4 9 9 , 503, 504, 505, 506, 509

Sony Classical S3K 53461 (3 C D ), Horowitz — The Complete Masterworks Re­ cordings, Volume III: The Historic Return: 8, 48, 87, 9 2 , 1 2 2 ,1 3 7 , 171, 211, 2 20, 227, 3 07, 342, 356, 535, 538, 545, 579, 6 03, 6 0 4 , 6 0 7

Sony Classical SK 53465 (C D ), Horowitz — The Complete Masterworks Recor­ dings, Volume IV: The Legendary 1968 TV Concert: 4 9 , 1 16,125, 243, 4 4 4 ,4 9 1 , 532, 546, 622

Sony Classical SK 53466 (C D ), Horowitz —The Complete Masterworks Recor­ dings, Volume V: A Baroque & Classical Recital. 2 ,2 1 ,1 9 2 ,1 9 3 ,1 9 7 ,2 0 4 , 228, 4 8 0 , 483

Sony Classical SK 53467 (C D ), Horowitz —The Complete Masterworks Recor­ dings, Volume vi: Beethoven: 1 6 ,1 8 , 2 0 Sony Classical S2K 53468 (2 C D ), Horowitz —The Complete Masterworks Re­ cordings, Volume VII: Early Romantics: 65, 6 9 , 75, 83, 91, 98, ι ο ί , 1 0 4 ,1 2 4 , 1 2 7 ,1 4 0 ,1 4 1 ,1 5 6 ,1 5 9 ,1 6 3 ,1 6 7 ,1 7 3 ,181,184,188, 559, 569

Sony Classical SK 53471 ( c d ) , Horowitz —The Complete Masterworks Recor­ dings, Volume VIII: The Romantic & Impressionist Era: 210, 215, 2 6 0 , 287, 325, 510, 514, 516, 517

Sony Classical SK 53472 ( c d ) , H orow itz—The Complete Masterworks Recor­ dings, Volume IX: Late Russian Romantics·. 318, 385, 387, 393, 399, 421, 431, 576. 577. 580, 581, 614, 615, 617, 6 2 0 , 632, 634, 637, 6 4 0 , 641

Sony Classical Legacy SK 93023/0930232001 ( c d ) , Horowitz Live and U ne­ dited 8 ,4 8 , 87,165,171, 2 20, 244, 258,337, 3 4 2 ,3 5 7 ,4 0 2 , 538, 544, 545, 579, 6 03, 6 0 7

Sony Superscope KBI 4-A 068 ( l p ) , The young Horowitz and Rubinstein play agaim 6, 84, 4 0 9 , 419 Stradivarius STR 10038 ( c d ) , Horowitz in Recital 6 0 ,1 4 5 ,3 8 4 , 386, 392, 398, 4 2 0 , 4 30, 558

Stradivarius ST R 13595 ( c d ) , Arturo Toscanini interpreta Brahms, Rossini: 28 The Radio Years RY 54 (C D ), Horowitz — Tchaikovsky, Brahms: 23, 39 The Radio Years RY 9 2 (C D ), Horowitz Live a t the Hollywood Bowl: 4 0 , 340, 489, 542, 643

Urania U R N 22.160 (C D ): 35, 378 Urania U R N 22.191 (C D ): 364, 379 Urania URN 22.213 ( c d ): 4 1 ,1 2 6 , 2 4 0 , 2 69, 285, 309, 317, 355, 541

Adorno, Theodor W iesengrund (1903-1969), filosofo e musicologo tedesco; scrisse celebri pagine sui problemi connessi alla divulgazione della musica classica presso il grande pubblico. [163] Alsvang, Arnold (1898-1960), musicologo, pianista e compositore russo. [44] Allen, Woody (propr. Alien Stewart Königsberg, 1935-), attore e regista statunitense. [189] Antheil, George (1900-1959), compositore statunitense; negli anni Quaranta Horowitz accarezzò l’idea di eseguire qualcuna delle sue composizioni. [117] Arroyo, M artina (1937-), soprano statunitense; avrebbe dovuto cantare nel “concerto del secolo” (1976) alla Carnegie Hall; per via della sua indisposizione, Horowitz e Rostropovich aggiunsero al programma il tempo lento della Sonata per violoncello e pianoforte di Rachmaninov. [170] Auber, Daniel-François-Esprit (1782-1871), compositore francese; della Tarantella tratta dalla sua M uta di Portici Liszt realizzò una

celebre trascrizione per pianoforte. [53] Bach, Johann Sebastian (16851750), compositore tedesco; Horowitz esegui la sua musica quasi esclusivamente in trascrizioni, soprattutto di Busoni. [45, 50, 52, 58-61, 72, 74, 96, 98, in , 149,155,160,180,195, 200] Backhaus, W ilhelm (1884-1969), pianista tedesco. [26] Balakirev, Milij Alekseevic (18371910), compositore russo; il suo Islamey fu nel repertorio di Horowitz. [15, 96,199, 218] B alm ont, Konstantin Dmitrievic (1867-1942), poeta russo; Horowitz adottò un suo testo per uno dei suoi juvenilia. [202] Barber, Samuel (1910-1981), compositore statunitense; Horowitz diede la prima esecuzione della sua Sonata. [117-118] Barbirolli, John (1899-1970), direttore d’orchestra; è testimoniata in disco la sua collaborazione con Horowitz nel Primo di Cajkovskij e nel Terzo di Rachmaninov. [112-113] Battistini, Mattia (1856-1928), baritono; Horowitz aveva per i

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suoi dischi una vera e propria adorazione, considerandoli un esempio di respiro e fraseggio. [40,130] Beecham, Thom as (1879-1961), direttore d’orchestra inglese; debuttò in America la stessa sera di Horowitz, il 12 gennaio 1928. [65, 67-68, 97] Beethoven, Ludwig van (17701827), compositore tedesco; col suo Quinto concerto cominciò la collaborazione fra Horowitz e Arturo Toscanini. [26, 45, 51, 7273, 83-84, 86, 96-98,105,107,113, 117,127,134-136,141-142,145,157158,176-177,187,195-196, 200, 226] Benedict, Lowell, segretario personale e accompagnatore di Horowitz negli anni Quaranta. [114,126] Bernstein, Leonard (1918-1990), direttore d’orchestra; partecipò insieme a Horowitz al “concerto del secolo” (1976) alla Carnegie Hall. [170,186] Bizet, Georges (1838-1875), compositore francese; su uno dei temi della sua Carmen Horowitz realizzò una celebre parafrasi. [204, 206] Bloom, Julius, impresario della Carnegie Hall; si occupò di organizzare lo storico ritorno sulle scene di Horowitz nel 1965. [147-148,151,166] Blumenfel’d, Feliks Michajlovic (1863-1931), pianista, direttore d’orchestra e compositore russo; fu il terzo insegnante di Horowitz alla Scuola Musicale di Kiev. [4748, 50, 54-55, 84]

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Blumfield, Coleman, pianista americano; fu allievo di Horowitz dal 1956 al 1958. [129] Bodik, Aleksandr, zio materno di Horowitz e socio in affari del padre del pianista. [38] Bodik, Sof’ja (1872-1929), madre di Horowitz. Pianista lei stessa, fu la prima insegnante del figlio; mori in seguito a un’appendicite mal curata. [37-38] Borodin, Aleksandr Porfirievic (1833-1887), compositore russo. [41] Brahms, Johannes (1833-1897), compositore tedesco; Horowitz suonò i suoi due Concerti, la Terza sonata e le Variazioni su un tema di Paganini, ma solo il Secondo concerto ebbe un posto relativamente duraturo nel suo repertorio. [23, 81, 96-101,106107,113,124,128,195,197, 209] Brailovskij, Aleksandr (1896-1976), pianista russo naturalizzato francese; studiò con lo stesso insegnante di Horowitz, Vladimir Puchal’skij. [42] Braque, Georges (1882-1963), pittore e scultore francese. [77] Brecht, Bertolt (1898-1956), poeta e drammaturgo tedesco. [56] Brée, Malwine, allieva di Teodor Leschetizky; col benestare del maestro scrisse un metodo per pianoforte ispirato alla sua didattica. [46] Buonarroti, Michelangelo (14751564), pittore, scultore e architetto italiano. [169] Busch, Adolf Georg Wilhelm (1891-1952), violinista tedesco; frequentò Horowitz in particolare

Indice dei nom i

durante il primo ritiro dalle scene, a metà degli anni Trenta. [72,104, no] Busoni, Ferruccio (1866-1924), pianista e compositore italiano; la sua trascrizione della Toccata, adagio efuga di Bach apri il primo recital di Horowitz dopo i dodici anni di inattività concertistica. [48, 50,52-54, 5861, 64, 72, 74, 95-96, 98,149,155, 160,180,199-200, 213-217] V

Cajkovskij, Pëtr Il’ic (1840-1893), compositore russo; col suo Primo concerto Horowitz conquistò prima le platee europee e poi quelle americane. [28, 55, 58-61, 67, 69, 71, 73, 75, 83, 85, 96-99, 113,116,123,127,146,170, 210] Carter, Jim m y (propr. James Earl “Jimmy” Carter, Jr., 1924-), presidente degli Stati Uniti dal 1977 al 1981; Horowitz suonò per lui alla Casa Bianca. [97] Caruso, Enrico (1873-1921), celebre tenore italiano. [40,134] Casadesus, Robert-Marcel (18991972), pianista e compositore francese. [120] Casals, Pablo (1876-1973), violoncellista spagnolo. [107] Castelbarco, Emanuela, figlia di Wally Toscanini Castelbarco. [181] Chapin, Schuyler, direttore del Dipartimento artisti e repertorio della Columbia Masterworks; nel 1961 propose a Horowitz il cambio di casa discografica dalla RCA alla Columbia. [143,145-146] Chopin, Fryderyk (1810-1849), compositore e pianista polacco; ebbe un posto di massimo rilievo

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nel repertorio di Horowitz. [16, 31, 41-42, 45, 50-52, 55, 57-61, 63, 68, 72-73, 75-77, 79, 85, 95, 98, 106-107, no-113,117,121,124-125, 128,134,136,143,145,149,154, 157-158,160-161,163-165,167-168, 171,174-175,178,180,184-186,188, 195-201, 206, 208, 212, 220-221] Clementi, Muzio (1752-1832), pianista e compositore italiano; Horowitz svolse un’importante opera divulgativa nei confronti della sua musica. [74,125,127, 145,166-167,171.195.198] Coates, Albert (1882-1953), direttore d’orchestra e compositore inglese; con lui, Horowitz realizzò la sua prima incisione del Terzo di Rachmaninov. [79, 91] Copland, Aaron (1900-1990), compositore statunitense. [117] Cortot, Alfred (1877-1962), pianista svizzero. [48, 83, 97,168] Davis, Ivan (1932-), pianista americano, allievo di Horowitz dal 1961 al 1962. [129,131-132,147,166] de Quesada, Ernesto (1886-1972), impresario cubano; tentò di organizzare una tournée di Horowitz in Sudamerica. [114] De Sabata, Victor (1892-1967), direttore d’orchestra e compositore italiano. [135] Debussy, Achille-Claude (18621918), compositore francese; la sua Serenadefo r the Doll fu un brano molto frequentato da Horowitz. [30, 73» 75» 96, 98-100,107, in , 121,124,145,158,199-200, 202] Degas, Hilaire-Germain-Edgar (1834-1917), pittore e scultore francese. [77]

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Dohnanyi, Em ö (1877-1960), compositore ungherese. [107,196] Downes, O lin (1886-1955), critico musicale del «The New York Times». [69-70] Dubai, David, pianista, didatta e scrittore; dedicò a Horowitz i volumi Evenings with Horowitz e Remembering Horowitz. [39, 43, 172,189] Eggert, M arta (1912-), attrice e cantante ungherese; si trovava sullo stesso piroscafo di Horowitz quando questi si recò in America allo scoppio della seconda guerra mondiale. [108] Epstein, Helen, giornalista del «The New York Times». [152] Esipova, Anna Nikolaevna (18511914), pianista russa; fu allieva e moglie di Leschetizky, e insegnante di uno degli insegnanti di Horowitz (Sergej Tarnovskij). [43] Farrow, M ia (propr. Maria de Lourdes Villiers-Farrow, 1945-), attrice statunitense. [189] Fauré, Gabriel (1845-1924), compositore francese. [107] Feltsman, Vladimir (1952-), pianista russo; fu presente al ritorno in Russia di Horowitz nel 1986. [183] Fischer, Edwin (1886-1960), pianista svizzero. [26] Fischer-Dieskau, Dietrich (1925-), baritono tedesco; partecipò insieme a Horowitz al “concerto del secolo” (1976) alla Carnegie Hall. [170] Fiorillo, Alexander, pianista americano, allievo di Horowitz dal i960 al 1962. [129,131]

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Flier, Jakov (1912-1977), pianista russo. [183] Franck, César-Auguste (18221890), compositore e organista francese. [51, 96, 212] Friedberg, Annie, impresario; Horowitz si rivolse a lei negli anni Quaranta. [115] Friedman, Ignaz (1882-1948), pianista polacco. [48] Frost, Thomas, produttore discografico di Horowitz alla Columbia Records. [143-144,146147,149,190] Gelb, Peter (1953-), si occupò degli aspetti promozionali della carriera di Horowitz dagli anni Settanta. [178,182,190] Gershwin, George (1898-1937), compositore statunitense. [143] Gheddafi (propr. Muammar Abu Minyar al-Gaddafì, 1942-), dittatore libico. [183] Gill, Dominic, giornalista del «Financial Times». [175] Giulini, Carlo Maria (1914-2005), direttore d’orchestra italiano. [186] Glière, Reinhold Moricevic (1875I959), compositore russo, fu direttore del Conservatorio di Kiev all’epoca in cui vi studiò Horowitz. [44, 46] Godowski, Leopold (1870-1938), compositore e pianista polacco naturalizzato statunitense. [48, 52, 54, 212] Golovin, Aleksej, pianista russo, frequentò per un certo tempo Sonia Horowitz. [141] Golschmann, Vladimir (18931972), direttore d’orchestra francese. [77]

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Gorovic, Aleksandr (1877-1927), zio paterno di Horowitz; studiò con Skrjabin e fu un apprezzato pianista; aiutò il nipote a muovere i primi passi nella carriera concertistica. [40-41, 45] Gorovic, Grigorij, fratello di Horowitz; studiò violino alla Scuola Musicale di Kiev; mori suicida in una clinica psichiatrica di Leningrado a metà degli anni Venti. [38-39, 90] Gorovic, Jakov, fratello di Horowitz, studiò pianoforte alla Scuola Musicale di Kiev; mori al fronte durante la prima guerra mondiale. [38-39, 90] Gorovic, Regina (1899-1984), sorella di Horowitz. Horowitz riferì spesso delle sue grandi doti pianistiche; studiò alla Scuola Musicale di Kiev. [38-39, 4 5 > S1» 9 °] Gorovic, Samuil loachimovic, padre di Horowitz, industriale; perse l’azienda, la casa e la posizione durante la Rivoluzione; rivide il figlio nel 1934, quando riuscì a ottenere un permesso di espatrio. Al suo rientro in Unione Sovietica fu deportato e morì in un campo di prigionia. [38-39, 45,

47.4 9 . ss. 89-91]

Gould, Glenn (1932-1982), pianista e compositore canadese. [17] Gradova, G itta (1904-1985), pianista russa; fu legata a Horowitz da una duratura amicizia. [92,102,173] Graffman, Gary (1928-), pianista e didatta americano; fu allievo di Horowitz dal 1953 al 1955. [129130,132,140,143]

Graffman, Naomi, moglie di Gary, allievo di Horowitz; frequentò per un certo tempo Sonia Horowitz. [140] Greco, el (propr. Domenico Theotokopulos, 1541-1614), pittore, scultore e architetto spagnolo. [169] Greenfield, Edward, giornalista del «Guardian». [175] Greiner, Alexander (1888-1958), lavorò alla Steinway & Sons, tenendo i contatti con gli artisti; fu amico di Horowitz. [82 e n] Grieg, Edvard Hagerup (18431907), compositore norvegese. [51] Grosz, George (1893-1959), artista tedesco. [56] Grubicy, Vittore (1851-1920), pittore italiano. [105] Guion, David Wendel, compositore americano autore di celebri canzoni da cowboy, il cui Harmonica Player almeno una volta figurò fra i bis di Horowitz. [117] Gutiérrez, Horacio (1948-), pianista allievo di Sergej Tarnovskij, insegnante di Horowitz. [45] Haydn, Franz Joseph (1732-1809), compositore austriaco; Horowitz ebbe in repertorio quattro sue Sonate. [79, 96,128,158,160,188, 195 ]

Heifetz, Jascha (1901-1987), violinista polacco naturalizzato statunitense; si ha notizia di almeno un suo concerto in duo con Horowitz. [97, no] Hidekari, M ., critico musicale giapponese; scrisse una dura

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recensione del concerto di Horowitz tenutosi a Tokyo nel 1983

. [1 7 8 ]

H indem ith, Paul (1895-1963), compositore tedesco. [56,143] Hitler, Adolf (1889-1945), dittatore tedesco. [107] Hofm ann, Józef Kazimierz (18761957), pianista e compositore polacco naturalizzato statunitense. [51, 78, 82-83] Honegger, A rthur (1892-1955), compositore svizzero. [62] Hoover, H erbert Clark (18741964) , presidente americano dal 1929 al 1933; Horowitz suonò per lui alla Casa Bianca. [96] Horowitz, Sonia (1934-1975), figlia del grande pianista; ebbe una vita infelice, segnata da problemi psicologici e da un rapporto difficile con i genitori. Sulla sua morte pesa l’ombra di un sospetto suicidio. [91-94,105, 108-109,115,126,135-141,162,181] Horowitz, Wanda. Vedi Toscanini Horowitz, W anda Huneker, James (1860-1921), critico musicale americano. [69] Inghelbrecht, Désiré-Émile (18801965) , direttore d’orchestra e compositore francese; sono note sue collaborazioni con Horowitz. [98] Ingram, Lawrence, uno degli psicologi di Horowitz, a contatto con lui in particolare negli anni Cinquanta. [134] Janis, Byron (1928-), pianista americano, allievo di Horowitz negli anni Quaranta. [129-131] Jankélévitch, Vladimir (1903-1985), musicologo francese, celebre per

le sue pagine sulla musica di Debussy. [100] Judson, A rthur (1881-1975), impresario; ascoltò Horowitz suonare in Europa e gli propose la sua prima stagione americana. [63-64,114] Kabalevskij, Dmitrij Borissoviò (1904-1987), compositore sovietico; Horowitz esegui la sua Seconda e Terza sonata e una scelta di Preludi. [121,197] Kandinskij, Vasilij (1866-1944), pittore e teorico russo. [56] Kars, Jean Rudolphe, pianista; frequentò per un certo tempo Sonia Horowitz. [140] Kayes, Alan (1913-2006), uno dei responsabili della casa discografica RCA. [128,136] Kennedy, John Fitzgerald (19171963), presidente americano dal 1961 al 1963. [97] King, M artin Luther (1929-1968), leader del movimento americano per i diritti civili; fu assassinato a Memphis. [158] Kleiber, Erich (1890-1956), direttore d’orchestra austriaco. [56] Klein, Howard, critico del «The New York Times». [149] Klemperer, O tto (1885-1973), direttore d’orchestra tedesco.

[56] Knight, Celine, governante di casa Horowitz. [190] Koch, Edward Irving (1924-), sindaco di New York dal 1978 al 1989. [186] Kokoschka, Oskar (1886-1980), artista austriaco. [56]

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Koussevitzky, Sergej Aleksandroviò (1874-1951), direttore d’orchestra e contrabbassista russo naturalizzato statunitense. [78, izo, 151] Kreisler, Fritz (1875-1962), violinista e compositore austriaco. [134] Kubie, Lawrence, psichiatra; stabili che il problema di Horowitz consisteva nella sua omosessualità e che perciò occorreva estirparla. [114] Kuleshov, Valerij, pianista russo; ha realizzato il C D Omaggio a Horowitz. [202, 226] Lange, Hans (1884-1960), direttore d’orchestra tedesco naturalizzato americano. [72] Lenau, Nikolaus (propr. Nikolaus Franz Niembsch Edler von Strehlenau, 1802-1850), poeta austriaco; a una scena del suo Faustsi ispirò Liszt per il Mefistovalzer. [216] Leschetizky, Theodor (1830-1915), pianista e didatta polacco; due degli insegnanti di Horowitz alla Scuola Musicale di Kiev, Vladimir Puchal’skij e Sergej Tarnovskij, erano stati suoi allievi. [36η, 41, 43, 46] Lhévinne, Josef (1874-1944), pianista e didatta russo. [120] Lieberson, Goddard (1911-1977), presidente della Columbia Records dal 1956 al 1971. [143] Liszniewski, Karol (1876-1958), pianista polacco; nella sua casa di Cincinnati fu girato alla fine degli anni Venti un prezioso video muto in cui figura Horowitz. [79] Liszt, Franz (1811-1886), pianista, compositore e direttore

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d’orchestra ungherese. Ebbe un ruolo centrale nel repertorio di Horowitz; ricordiamo le esecuzioni della Sonata e di alcune Rapsodie ungheresi. [28, 4142, 51-53, 57-62, 68-69, 72.-76, 79, 95-96, 98-99, in , 113,117,120-122, 124-125,143,145,158-159,161,168, 171,180,182,185-188,195-197,199, 203, 205-206, 209, 211-224, 227] LitolfF, H enry (1818-1891), compositore ed editore tedesco. [38] Ljapunov, Sergej (1859-1924), compositore russo. [45] MagalofF, Nikita (1912-1992), pianista russo naturalizzato svizzero. [140-141] Mahler, Gustav (1860-1911), compositore e direttore d’orchestra austriaco. [20,185] M ainardi Colleoni, Ada, amante di Arturo Toscanini. [86 e n, 90 e η, 91η, io6n, non] Malko, Nikolai (1883-1961), direttore d’orchestra russo; sono note sue collaborazioni con Horowitz. [99] M anet, Édouard (1832-1883), pittore francese. [77] Marek, George Richard (19021987), vicepresidente e direttore generale del Dipartimento dischi della RCA. [116 e n, 142] Mason, William (1829-1908), compositore americano. [73] Maxwell, Elsa (1883-1963), giornalista americana. [62] McKenzie, Arthur, pianista americano; trascrisse in partitura parte delle parafrasi e degli adattamenti di Horowitz. [209]

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Medtner, Nikolaj Karlovic (18801951), œmpositore e pianista russo; Horowitz esegui di frequente sue composizioni agli inizi della carriera, in Russia. [51-52, 58, 65, 96,127,160] Mehta, Zubin (1936-), direttore d’orchestra indiano; collaboré con Horowitz nel 1978 per un Terzo di Rachmaninov di cui abbiamo testimonianza video. [171] Mendelssohn-Bartholdy, Felix (1809-1847), compositore tedesco; Horowitz ebbe in repertorio le Variations sérieuses, una scelta di Romanze senza parole e alcuni pezzi brevi. [73,107, n o , 120,171, 199-200, 220] Mengelberg, Willem Joseph (18711951), direttore d’orchestra olandese; sono note sue collaborazioni con Horowitz. [85,97-98,107] M enuhin, Yehudi (1916-1999), violinista e direttore d’orchestra statunitense. [86,170] Merovic, Aleksandr, agente musicale russo. Fu artefice del primo viaggio di Horowitz in Europa, in seguito al quale si sviluppò la carriera del pianista; cessò di essere il rappresentante personale di Horowitz a metà degli anni Trenta. [55, 57-59, 63, 7 7 . 9 4 . 9 7 . 113-114] Milstein, N athan (1904-1992), violinista russo naturalizzato statunitense; negli anni Venti conobbe Horowitz, con cui sviluppò una carriera in duo nell’Unione Sovietica. Emigrarono insieme in Occidente. [37, 39, 50-51, 54-55, 63. 7 7 . 9 4 . 9 7 Ì

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Mitropulos, Dimitri (1896-1960), direttore d’orchestra greco naturalizzato statunitense. [120,123] Modigliani, Amedeo (1884-1920), artista italiano. [77] Mohr, Franz, accordatore e capotecnico della Steinway & Sons; accompagnò Horowitz in molti concerti, fra cui i due in Russia nel 1986. [148,179-180] Molinari, Bernardino (1880-1952), direttore d’orchestra italiano. [65] M onet, Claude (1840-1926), pittore francese. [77] M onteux, Pierre (1875-1964), direttore d’orchestra francese; sono note sue collaborazioni con Horowitz. [97] M ontini, Giovanni Battista (18971978), arcivescovo di Milano; nel 1957 officiò la messa funebre per Toscanini; fu papa col nome di Paolo V I. [135] Moszkowski, M oritz (1854-1925), pianista e compositore tedesco di origine polacca; tre suoi brevi pezzi (due Studi e Étincelles) furono fra i bis prediletti da Horowitz. [121,128,154,180,186, 199, 202, 205, 220] Mozart, Wolfgang Amadeus (17561791), compositore austriaco; Horowitz cominciò a interessarsi alla sua opera in modo massiccio nell’ultimo periodo della carriera. [27, 96,127,132,157,180,183, 185-188,195,201] Musorgskij, Modest Petrovic (1839-1881), compositore russo. Horowitz esegui i suoi Quadri da un’esposizione in un proprio adattamento, in cui l’originale sobrietà della scrittura viene

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trasfigurata. [28, 203, 209, 224226] Mussolini, Benito (1883-1945), dittatore italiano. [107] Neuhaus, Heinrich (1888-1964), didatta e pianista russo. [47-48, 51. 54] Noailles, Marie-Laure viscontessa di (1902-1970), nobildonna francese, patrona delle arti. [62] Ormandy, Eugene (1899-1985), direttore d’orchestra ungherese naturalizzato americano; diresse Horowitz nel Terzo di Rachmaninov in occasione del cinquantesimo anniversario del debutto americano del pianista. [146 e n, 147 e n, 149 e n, 170] Pabst, Eugen, direttore d’orchestra; diresse Horowitz nel Primo di Cajkovskij ad Amburgo nel 1926, e quello fu l’inizio del successo europeo del pianista. [60] Paderewski, Ignacy Jan (18601941), pianista e compositore polacco. [41, 64, 82-83] Paganini, Niccolò (1782-1840), violinista e compositore italiano. [62, 205, 214, 217] Perahia, M urray (1947-), pianista statunitense. [190] Pfeiffer, John (Jack), produttore RCA. [127-128, 141, 162, 180, 206] Piatigorski, Gregor (1903-1976), violoncellista russo naturalizzato statunitense; a metà degli anni Venti si aggregò a Horowitz e Milstein come artista rappresentato dall’agente Aleksandr Merovic. [63, 94, 97]

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Picasso, Pablo (1881-1973), pittore e scultore spagnolo. [7 7 -7 8 ] Pizzetti, Ildebrando (1880-1968), compositore italiano. [106] Plaskin, Glenn, pianista e musicologo. Scrisse la prima biografìa (incompleta) di Horowitz, apparsa nel 1983; nel suo lavoro si affrontavano per la prima volta temi scottanti come {’omosessualità del pianista e il suo rapporto diffìcile con la famiglia Toscanini. [16, 35, 39, 44, 46-47, 51, 84, 86, 94,102,104,109,114,129, 144,146,157,172-173, 209, 226] Pleasants, Henry (1910-2000), critico musicale americano; scrisse sulla «International Herald Tribune». [78] Poulenc, Francis (1899-1963), compositore francese; probabilmente Horowitz lo conobbe in Francia durante il suo primo soggiorno europeo. [62, 79, 96-98, 203] Probst, Richard, responsabile del Dipartimento concerti e artisti della Steinway & Sons. [176,180] Prokof’ev, Sergej Sergeevic (18911953), compositore e pianista russo; Horowitz presentò in prima esecuzione la Sesta, la Settima e Γ Ottava sonata per pianoforte. [21, 62, 79, 9 6 ,119120,125,165,197,199] Puchal’skij, Vladimir (1848-1932), primo insegnante di Horowitz alla Scuola Musicale di Kiev. [3738, 41-42, 44-47] Rachmaninov, Sergej (1873-1943), compositore, pianista e direttore d’orchestra russo naturalizzato statunitense; strinse con Horowitz un rapporto di amicizia intensa,

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nutrita anche da una particolare intesa poetica e musicale. [24, 44, 46-48, 50, 52, 61, 65-67, 70, 71 e n, 75, 78-79. 82-83, 96-97. 99. 103-104,105η, 106-107, II2>n 5> 117,119-120,143,151,159-161,169171,174-175,185,196,198-199, 202-203, 209, 214, 216] Raff, Joseph Joachim (1822-1882), compositore tedesco. [45] Rameau, Jean-Philippe (16831764), compositore e teorico musicale francese. [52] Rattalino, Piero (1931-), cridco musicale e musicologo italiano; ha dedicato al “mattatore” Horowitz un suo recente volume. [53, 215] Ravel, Maurice (1875-1937), compositore francese; alcune sue composizioni furono nel repertorio di Horowitz durante gli anni Trenta. [58, 61, 73, 96-98, 113,197, 225] Reagan, Ronald W ilson (19112004), presidente americano dal 1981 al 1989; Horowitz suonò per lui alla Casa Bianca. [97] Reiner, Fritz (1888-1963), direttore d’orchestra statunitense di origine ungherese; abbiamo documentate in disco alcune sue collaborazioni con Horowitz, e lo vediamo dialogare col pianista in un prezioso video m uto degli anni Venti. [80-81, 85, 99] Renoir, Pierre-Auguste (18411919), pittore francese. [77] Respighi, O ttorino (1879-1936), compositore italiano. [62, 88] Richter, Sviatoslav (1915-1997), pianista russo. [47] Ries, Ferdinand (1884-1938), pianista e compositore tedesco, [no]

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Rimskij-Korsakov, Nikolaj (18441908), compositore russo; del suo Volo del calabrone Rachmaninov realizzò una nota trascrizione, che fu incisa da Horowitz. [79] Rodzinsky, Arthur (1892-1958), direttore d’orchestra iugoslavo naturalizzato statunitense. [119,150] Rosenthal, M oritz (1862-1946), pianista e compositore polacco naturalizzato statunitense. [48] Rostropovich, Mstislav Leopoldovic (1927-2007), violoncellista e direttore d’orchestra russo; partecipò insieme a Horowitz al “concerto del secolo” (1976) alla Carnegie Hall. [66,170] Rouault, Georges Henri (18711958), pittore francese. [77] Roussel, Albert (1869-1937), compositore francese; probabilmente Horowitz lo conobbe in Francia durante il suo primo soggiorno europeo. [62] Rubinstein, Anton Grigor’evic (1829-1894), leggendario pianista e compositore russo; al suo apparire in Europa, Horowitz fit subito paragonato a lui. [64, 737 4 .198] Rubinstein, A rthur (1887-1982), pianista polacco naturalizzato statunitense; ebbe con Horowitz un diffìcile rapporto fatto di amicizia continuamente dichiarata e continuamente smentita. [62, 94-95,131-132,133 e n, 136,189] Saint-Saëns, Charles-Camille (1835-1921), compositore, organista e pianista francese. [45, Ji- 53. 7 3 . 7 5 . 98,199. *03]

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Saitzoff, Natala, prima cugina di Horowitz; a lei si devono preziosi ricordi sull’infanzia di Horowitz. [40 e n, 93] Sanborn, Pitts (1879-1941), critico musicale americano; scrisse sul «The New York Globe» e sul «New York World Telegram». [84] Sarasate y Navascués, Pablo M artin Melitón de (1944-1908), violinista e compositore spagnolo. [205] Satie, Erik (propr. Alfred-Eric Leslie-Satie, 1866-1925), compositore francese, ironico detrattore della profondeur. [23] Scarlatti, Domenico (1685-1757), compositore italiano; Horowitz ebbe in repertorio trentatré sonate, presentandosi perciò come vero divulgatore della produzione scarlattiana. [72, 7475,106,113,117,120,128,145-146, 156-158,174,180,185,195, 200] Schnabel, Artur (1882-1951), pianista e compositore austriaco naturalizzato statunitense; a proposito dell’incontro con lui in Germania, Horowitz narrò uno dei suoi tipici aneddoti di dubbia verosimiglianza. [26, 54-55, 57,141] Schoenberg, Arnold (1874-1951), compositore austriaco. [56,120] Schonberg, Harold Charles (19152003), critico del «The New York Times» e autore della prima biografìa completa di Horowitz; fii il primo critico musicale a ottenere il premio Pulitzer, nel 1971. [44-45, 47,55-57, 69, 82, 84, 86,102,104,125,128,136,153,155, 167,171-172,179,186, 202, 222224, 226]

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Schubert, Franz Peter (1797-1828), compositore austriaco; Horowitz esegui sue composizioni originali, ma ricordiamo anche esecuzioni memorabili della Marcia militare trascritta da Tausig e dello Ständchen trascritto da Liszt. [23, 61, 75, 88 e η, 124-125,145,180, 182,186-187, 209, 220] Schumann, Robert (1810-1856), compositore tedesco. Ebbe un ruolo importante nel repertorio di Horowitz; ricordiamo le esecuzioni della Fantasia e del Concerto senza orchestra. [31, 42, 51-52, 57-59, 79, 96, 98,106, no, 121,128,143,145,149,155,158-160, 162,166-168,170-171,174,176, 180,183,185-186,195,199-200] Serldn, Rudolf (1903-1991), pianista austriaco naturalizzato statunitense; Horowitz lo conobbe durante il primo soggiorno europeo e strinse con lui un’amicizia duratura. [56, 104,120,132] Sert, Misia (propr. Maria Zofia Olga Zenajda Godebska, 18721950), ebbe un celebre salone artistico-letterario a Parigi. [62] Shaw, Harold, impresario americano, si occupò della carriera di Horowitz dagli anni Settanta. [165-167,170] Simon, Simone (1910-2005), attrice francese. [108] Singer, W ìnnaretta principessa di Polignac (1865-1943), nobildonna il cui salotto parigino è noto per aver ospitato i maggiori artisti e intellettuali del tempo. [62] Skrjabin, Aleksandr (1872-1915), compositore e pianista russo; Horowitz ebbe in repertorio la

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Terza, la Quinta, la Nona e la Decima sonata. [40-41, 48,52, 96, 124-125,127-128,145,149,157,161, 163,168,174,180,185,196, 201] Slenczynska, Ruth (1925-), pianista americana; fu. tra gli artisti più pagati prima della seconda guerra mondiale. [82] Smiljanskaja, Julija, musicologa; autrice, insieme a Jurij Zil’berman, di un volume sugli anni russi di Horowitz. [35] Smith, David Edward, pianista; suo figlio ha reso noto nel 2006 un prezioso video muto della fine degli anni Venti in cui figura Horowitz. [79] Sokolov, Grigorij (1950-), pianista russo. [21] Sousa, John Philip (1854-1932), direttore di banda e compositore statunitense; del suo Stars and Stripes Forever Horowitz realizzò una trascrizione che gli valse innumerevoli standing ovation. [23,118] Stadien, Peter, giornalista del «Telegraph». [175] Steinberg, Michael, critico del «Boston Globe», autore di una celebre stroncatura di Horowitz dopo il suo concerto del 26 ottobre 1969; anche a causa di ciò, il pianista interruppe l’attività per la terza volta nella sua carriera. [161] Steinberg, William (1899-1978), direttore d’orchestra tedesco; abbiamo in disco un suo Terzo di Rachmaninov con Horowitz all’Hollywood Bowl. [115] Steiner, Alexander, direttore d’orchestra e compositore; Horowitz lo conobbe a Parigi. [89]

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Stern, Isaac (1920-2001), violinista; partecipò insieme a Horowitz al “concerto del secolo” (1976) alla Carnegie Hall. [170] Stock, Frederick (propr. Friedrich August Stock, 1872-1942), direttore d’orchestra e compositore tedesco; fu con lui che Horowitz esegui la prima volta il Quinto di Beethoven. [84] Strauss, Richard (1864-1949), compositore tedesco; Horowitz ascoltò la sua Salome appena arrivato in Europa. [56] Stravinski;, Igor (1882-1971), compositore russo; Horowitz suonò i suoi Trois mouvements de Pétrouchka, da cui spesso estrasse la sola Danse russe. [21, 79, 96, 99,120,197-198] Szell, George (1897-1970), direttore d’orchestra ungherese naturalizzato statunitense; diresse Horowitz nel Primo di Cajkovskij in occasione del venticinquesimo anniversario del debutto americano. [123] Szymanowski, Karol (1882-1937), compositore polacco; entrò solo di sfuggita nel repertorio di Horowitz. [62, 96] Tamovskij, Sergej (1883-1976), pianista e didatta russo; secondo insegnante di Horowitz alla Scuola Musicale di Kiev. [43-47,51] Tausig, Cari (1841-1871), pianista, compositore e didatta polacco; compare nel repertorio di Horowitz nella veste di trascrittore della Marcia militare di Schubert e della Sonata K 20 di Scarlatti. [72, 75]

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Thompson, Oscar, critico musicale americano; scrisse sul «Sun». [84] Thomson, Virgil (1896-1989), critico musicale americano; definì Horowitz «maestro della distorsione e dell’esagerazione». [169] Toscanini, Arturo (1867-1957), direttore d’orchestra italiano. Horowitz collaborò per la prima volta con lui nel 1934 col Quinto di Beethoven; seguirono innumerevoli concerti insieme, fia i quali il disco ha tramandato esecuzioni del Primo e Secondo di Brahms e del Primo di Cajkovskij. Horowitz sposò sua figlia Wanda. [64,72,78, 83-85, 86 e n, 87, 90 e n, 91 e n, 92-93, 98-roo, 105 e n, 106 e n, 107,109, n o e n, 113,116,118-119, J34> 138, 172] Toscanini, Walter (1898-1971), figlio di Arturo Toscanini. [90,109] Toscanini Castelbarco, Wally (19001991), figlia di Arturo Toscanini. Ebbe uno streno rapporto con la figlia di Horowitz, Sonia. [92-93, 105,109,138-139,181] Toscanini Horowitz, Wanda (1907-1998), figlia di Arturo Toscanini e moglie di Horowitz; tra momenti riusciti e difficoltà di coppia il loro matrimonio durò dal 1934 fino alla morte del pianista, nel 1989. [24, 35-36, 8587, 88 e n, 89-90, 92-93,102,104, 105 e n, 106,108-110,113-115,126127,134,135 e η, 136η, 137 e n > 138,139 e n, 140 e η, 141,143-145, 147-152,162,166,172,176,179, 181,184,189-191] Turini, Ronald, pianista americano, allievo di Horowitz dal 1957 al 1963. [129]

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Vengerova, Isabelle (1877-1956), pianista e didatta russa naturalizzata statunitense; assistette ai primi concerti americani di Horowitz. [78] Verdi, Giuseppe (1813-1901), compositore italiano. [135] Volodos, Arcadij (1972-), pianista russo. [226] Wagner, Richard (1813-1883), compositore tedesco; il giovane Horowitz era solito leggere le sue opere teatrali al pianoforte con una passione smodata. [23, 40, 51,188] Walter, Bruno (propr. Bruno Walter Schlesinger, 1876-1962), direttore d’orchestra tedesco; delle sue collaborazioni con Horowitz ci è stato tramandato in disco un Primo di Cajkovskij memorabile. [56, 85, 99-100,107,119] Weill, Kurt (1900-1950), compositore tedesco. [56] Youmans, Vincent Millie (18981946), compositore statunitense di musica leggera; del suo Teafor Two, in almeno una circostanza, Horowitz progettò di incidere il proprio arrangiamento. [145] Zil’berman, Jurij, musicologo; autore, insieme con Julija Smiljanskaja, di un volume sugli anni russi di Horowitz. [35] Zimmermann, Helène, pianista. Avrebbe dovuto eseguire il Primo di Cajkovskij ad Amburgo il 20 gennaio 1926, ma fu indisposta; la sostituì Horowitz, e fu l’inizio del suo successo mondiale. [60]

BIBLIOTECA COMUNALE * V. JOPPI » Dä UDINE SEZIONE MUSICA

INV. M

FINITO D I STAMPARE NEL M ESE D I MARZO DELL’AN NO MM VIII DALLA LUXOGRAPH, PALERMO PER CONTO DELL’EDITRICE L’EPOS

DAL CATALOGO L'EPOS PER ARGOMENTI ■ ARCHITETTURA FI

ANDROPOLIS [Collezione (ondala da Pasquale Culotta] 2 Luciana Gallo II Politeama di Palermo e l'Architettura policroma dell’Ottocento 3 Valerio Girgenti La fine dell’urbanistica moderna: dal paesaggio all’architettura 4 Andrea Sciascia Architettura contemporanea a Palermo 5 Giovanni Francesco Tuzzolino Cardella, Pollini architettura e didattica 7 Andrea Sciascia D a le modernità dell'architettura. La questione d e l quartiere ZEN 2 d i Palermo 8 Pasquale Culotta, Andrea Sciascia L'architettura per la città interetnica. A bitazioni p e r stra n ie ri nel centro storico d i Palermo 9 Steven J. Schloeder L'Architettura del Corpo Mistico. Progettare chiese secondo il Concilio Vaticano II

M QUADERNI DEL DOTTORATO DI RICERCA IN PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA 1 Rosa Bellanca (a cura di) Esercizi didattici di Progettazione Architettonica 2 Rosa Bellanca, Emanuele Palazzotto (a cura di) Percorsi didattici di Progettazione Architettonica 3 Emanuele Palazzotto (a cura di) La continuità nell'Insegnamento della Progettazione

Architettonica 4 Emanuele Palazzotto (a cura di) Verso un’architettura nel Mediterraneo 5 Emanuele Palazzotto (a cura di) Abitare la temporaneità. L’architettura della casa e della c ittà 6 Emanuele Palazzotto (a cura di) Il progetto nel restauro del moderno ■ BIBLIOLOGIA :J

DE CHARTA [Collezione diretta da Francesco Russo] 1 Rosalia Claudia Giordano II restauro della carta. Teoria e tecnica 2 Vincenzo De Gregorio La carta e la bussola. Per navigare nell'un iverso dei docum enti 3 Mauro Guerrini (a cura di) Le biblioteche ecclesiastiche alle soglie del Duemila 4 Mauro Guerrini, Fausto Ruggerl (a cura di) La biblioteca ecclesiastica del Duemila. La gestione delle raccolte 5 Fausto Buggeri, Francesco Russo (a cura di) Patri et amico. S c ritti in onore d iS . Ecc. Mons. Ciriaco Scanzillo p e r il suo 8 0 ° com pleanno 6 Francesco Russo In biblioteca 7 Cario Fiore (a cura di) Il libro di musica. Per una storia m ateriale delle fo n ti m usicali in Europa 8 Sabrina Palomba Catalogare on line. Viaggio n e l m ondo delle biblioteche d ig ita li

m

CINEMA Si LA CARROZZA D’ORO Attori del cinema italiano [Collana diretta da Antonio Costa] 1 Cristina Borsatti Monica Vitti 2 Marina Pellanda Gian Maria Volontà 3 Cristina Jandelli Le dive italiane del cinema muto 4 Federico Rocca Silvana Mangano S3 PAGINE DI CELLULOIDE Letture cinematografiche di testi letterari [Diretta da Flavio Gregari] 1 Giorgio Cremonini Dracula 2 Fabrizio Borin Casanova 3 Lina Zecchi Jules e Jim 4 Guido Bonsaver Kàos. Pirandello e i fra te lli Taviani

m

CLASSICI El LlTHOI 1 Guillaume de Louis, Jean de Meun Le Roman de la Rose

M

PAGINE DI LETTERATURA NEOGRECA [A cura di Vincenzo Rotolo] 1 Jannis Vilaràs La Batracomiomachia 2 Andreas Karkavitsas Tre racconti 3 Jorgos Viziinòs Chi fu l’assassino di mio fratello 4 Alexandra Papadopulu Racconti scelti 5 Nikos Kokàndzis Gioconda

ö

2 Luigi Della Croce Ludwig van Beethoven. La m usica sinfonica e teatrale 3 Marco Mangani Luigi Boccherini 4 Mariateresa Dellaborra Giovanni Battista Viotti 5 Danilo Prefumo Niccolò Paganini 6 Elisabetta Pasquini Giambattista Martini NUOVI MONDI SONORI Protagonisti della musica d’oggi [Collana diretta da Gianmario Borio] 1 Marinella Ramazzotti Luigi Nono

QUADRI DI UN’ESPOSIZIONE [Collana diretta da Franco Pipemo] 1 Antonio Rostagno Krelsleriana di Robert Schumann ca STORIA DEL TEATRO D'OPERA OCCIDENTALE

Li

1.11 Quirino Principe

Il teatro d'opera tedesco 1830/191B 2.IV Piero Mioli la

Recitar cantando. I l teatro d'opera italiano - I l Novecento VEGA Studi e testi musicali [A cura di Paolo Emilio Carapezza] 1 Giovanni Damiani Autobiografia delle musiche

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ARTEFATTO 1 Maurizio Accardi (a cura di) Il libro. Avvertenze p e r l ’uso PARALLELI [Collana diretta da Giovanni Antonucci] 1 Laura De Luca Beatlestravinski]. Vite parallele d i due fenom eni m usicali d e l Novecento 2 Fabio Pierangeli Indagini e sospetti. Pirandello, Camus, Dürrenm att, Sciascia, B e tti 3 Mauro Balestrazzl Toscanini secondo me. I l p iù celebre direttore d ’orchestra in un secolo d i testim onianze 4 Ernesto G. Laura Hitchcock e il Surrealismo. I l filo inesplorato che lega il m aestro d e l cinem a a ll'a rte d e l Novecento 5 Emilio Cagnoni Fantozzl Kafka. I l ragioniere sotto processo e le sue tragicom iche m etam orfosi

PERFORMER [Collana di set diretta da Renato Tomasino] 1 Fabio Troncarelll Zorro 2 Alessandro Cappabianca Antonin Artaud. Un'om bra a l lim ita re d ’un grande grido 3 Rino Settembri Lara Croft e le altre 4 Carlo Fiore Madonna 5 Barbara Tomasino Groupie ragazze a perdere 6 Gianni Eugenio Viola Filippo Tommaso Marinetti. Lo spettacolo d e ll'a rte 7 Renato Tomasino I cavalieri del caos. Perform ance dello spazio e d e l corpo n e ll'e ra d i Ground Zero 3 STORIA E ANALISI DEL TERRITORIO [Collana diretta da Giuseppe Giamzzo ed Enrico lachello] 1 Giuseppe Giarrizzo, Enrico lachello (a cura di) Il territorio come bene culturale 2 Enrico lachello (a cura di) I saperi della città. S toria e c ittà n e ll'e tà m oderna 3 Enrico lachello (a cura di) Il m estiere dello storico: generazioni a confronto TESTIMONIANZE [Collana diretta da Rosario La Duca] 1 Rosario La Duca II vicario generale. I l principe Lanza e il bandito Testalonga 2 Michelangelo Ingrassia La rivolta della Gancia. Il racconto d e ll’insurrezione palerm itana del 4 aprile

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1860 3 Andrew Lang La Maschera di Ferro. Il m isterioso prigioniero della B astiglia 4 Nino Sunseri Palermitani 5 Angelo La Russa Gaspare Ambroslnl. L'uom o, i l po litico , i l costituzionalista

a VIAGGI ES AUA VIAGGI AVVENTURE IDEE [Collana diretta da Gianni EugenioViola] 1 Edoardo Scarioglio Viaggio in Abisslnia. Nascita d e l colonialism o italiano 2 Federico De Maria Passeggiate sentimentali in Tripolitanla. V isioni d i pace e d i guerra 3 Tetsuró Watsuji Pellegrinaggio alle antiche chiese d’Italia 4 François Maximilien Misson Viaggio In Italia

Alfonso Alberti (Busto Arsizio 1976),

diplomato in pianoforte e laureato in Musicologia al Conservatorio G. Verdi di Milano, si occupa di musica del Novecento e di storia dell’interpretazione pianistica. Collabora con le principali riviste musicologiche nazionali e ha tenuto numerosi interventi in convegni. Ha pubblicato in volume Niccolò Castiglioui 1950-1966 (2007). All’attività di musicologo affianca quella di pianista, con apprezzate esibizioni in Italia e all’estero e diverse incisioni discografiche all’attivo.