Un treno di sintomi. I medici e le parole: percorsi linguistici nel passato e nel presente 8811597102, 9788811597100

Docente di Storia della lingua italiana nell'Università di Roma La Sapienza, Luca Serianni esamina sotto diverse an

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Italian Pages 316 [320] Year 2005

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Un treno di sintomi. I medici e le parole: percorsi linguistici nel passato e nel presente
 8811597102, 9788811597100

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SAGGI

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Dello stesso autore in edizione Garzanti: Italiano (Garzantina) Viaggiatori, musicisti, poeti

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LUCA SERIANNI

Un treno di sintomi I medici e le parole: percorsi linguistici nel passato e nel presente

GARZANTI

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Prima edizione: settembre 2005 Prima ristampa: ottobre 2005

ISBN 88-11-59710-2 © 2005, Garzanti Libri s.p.a., Milano Printed in Italy www.garzantilibri.it

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UN TRENO DI SINTOMI

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INTRODUZIONE

Anni fa l’accademico di Francia Maurice Druon, lamentando l’invadenza dell’inglese nei congressi medici d’Oltralpe, celebrava le qualità tradizionalmente attribuite dai francesi alla propria lingua, «analytique», «précise», «rigoureuse», perfetta nel «distinguer les catégories» così da «faire apparaître les dissemblances et les identités».1 Non saprei seguirlo per questa via; né, del resto, la lingua italiana si è mai attribuita siffatte virtù metastoriche. Ma l’elogio che Druon rivolge al modo di scrivere dei medici francesi suscita in me un forte sentimento di consonanza. Anch’io, leggendo molte pagine di clinici italiani contemporanei (non tutte, sia chiaro, e non di qualsiasi scrivente), e ancor più quelle dei medici del nostro recente passato, potrei dire di essere rimasto «fréquemment saisi, et heureusement saisi, par la précision descriptive, par l’ingéniosité des images, par le caractère parfaitement pertinent et démonstratif du propos, en un mot, par la qualité de l’écriture». In nessun’altra scienza biologica le parole hanno avuto tanta importanza quanto nella medicina: un’importanza che può essere calcolata grossolanamente guardando alla mole dei lemmi medici ospitati in un vocabolario dell’uso, non solo italiano, e che è dovuta a varie ragioni. Prima di tutto, alle caratteristiche intrinseche di una scienza sperimentale, soggetta a evolvere a un ritmo sempre più rapido dalla metà dell’Ottocento in avanti: come scriveva un grande medico che avremo occasione di citare più volte, Augusto Murri (Fermo 1841 - Bologna 1932), «le diverse denominazioni portano seco la storia delle idee che si so1

J. Bernard - M. Druon, La langue française et la médecine dans le monde, in «Revue des deux mondes», luglio 1979, pp. 43-51, alle pp. 45ss.

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no succedute nella mente degli osservatori rispetto alla causa dei fatti da loro osservati».2 Poi, alla legittima ambizione dei singoli medici, desiderosi di imprimere un marchio linguistico a una scoperta o anche solo a un’osservazione anatomica, patologica o terapeutica: gli eponimi, ossia le denominazioni fondate sul nome di uno scienziato (corpuscoli di Golgi, morbo di Basedow), sono frequentissimi in medicina, poco praticati o assenti nelle altre scienze. Ma la proliferazione di termini medici ha anche ragioni meno nobili: il distacco iniziatico della corporazione clinica dai profani, tenuti a distanza non solo dall’autorevolezza del camice bianco, ma anche dai termini impenetrabili profusi dal medico; il compiacimento di formulare una diagnosi, pronunciando «formalmente e solennemente un nome che viene giudicato appropriato ed esime dalla necessità di ulteriori ricerche», come scriveva nel 1926 F.G. Crookshank;3 infine, la rimozione eufemistica di realtà sgradevoli, promossa dai medici o dagli stessi pazienti.4 In una pagina famosa dei Promessi Sposi Manzoni rappresenta con amara ironia l’iniziale tentativo della gente di negare la drammatica realtà della peste attraverso mascheramenti linguistici: In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali: l’idea s’ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste; vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio e senza contrasto: ma già ci s’è attaccata un’altra idea, l’idea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l’idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro.5 2

A. Murri, Lezioni di clinica medica, Milano 1919, p. 212. L’importanza di una teoria dei segni e di una critica del linguaggio nello studio della medicina, in C.K. Ogden e I.A. Richards, Il significato del significato, Milano 1975, pp. 384-404, a p. 391. 4 Così un termine come carcinoma può diventare discario (decurtazione di discariocinesi ‘alterata divisione cellulare’) nella richiesta di ricovero stilata da un medico e brutto male nelle parole di un familiare. 5 A. Manzoni, I Promessi Sposi, a cura di L. Caretti, Torino 1971, vol. II, p. 726. 3

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Questo libro si propone di illustrare alcuni aspetti che hanno, o hanno avuto, rilievo nella lingua della medicina. E punta a farlo non nella forma di una storia sistematica – alla quale mancherebbero non che le forze dello scrivente, anche i necessari presupposti documentari – ma attraverso alcuni capitoli che approfondiscono vari aspetti degni di nota: dalla definizione e tipologia dei tecnicismi, al modo in cui la terminologia medica arriva al grande pubblico (ciarlatani vecchi e nuovi e corretta informazione e divulgazione). La prospettiva sottesa ai vari capitoli è quella di mostrare il rapporto tra presente e passato: per cogliere alcune affinità o alcuni fenomeni linguistici di lunga gittata o, viceversa, per indicare lo iato che separa il nostro modo di vedere le cose da quello proprio del medico antico, anche quando le parole usate sono le stesse. L’epoca in cui mi sono soffermato più spesso è l’Ottocento: in ciò agiscono certamente un mio personale interesse di studio, ma anche la constatazione obiettiva che molta parte del quadro attuale si definisce in quell’epoca. L’Ottocento è il secolo che nella sua prima metà vede scoppiare una delle ultime grandi epidemie della storia europea, il colera, affrontato più o meno come si sarebbe fatto due o tre secoli avanti (cioè con frequente ricorso a quella sorta di panacea che era il salasso),6 e che nel suo scorcio è segnato da alcune scoperte rivoluzionarie, nei settori della patologia cellulare, della microbiologia, della diagnostica (basti pensare alla radiologia). L’assetto linguistico messo a punto nell’Ottocento (anche nella tessitura stilistica, attraverso i tecnicismi collaterali: cfr. pp. 127ss.) è durato tutto il Novecento; anzi, regge ancora in gran parte. Ma è difficile che possa reggere a lungo. La stessa cultura del medico, fino a ieri saldamente incardinata su basi 6 Lo scrittore sardo Salvatore Farina ricorda che ancora nell’epidemia colerica abbattutasi a Sassari nel 1855 si ricorreva ampiamente al salasso («la lancetta lavorò forse quanto il colera morbus a popolare il cimitero»), mentre nel 1869, nell’evoluta Milano, un medico che avrebbe voluto curare un ammalato di tifo col ricorso alle sanguisughe sarebbe stato giudicato «della vecchia scuola» (cfr. S. Farina, La mia giornata (dall’Alba al Meriggio), Sassari 1996, p. 147).

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umanistiche, sta mutando sotto i nostri occhi: nell’Ottocento un medico-scienziato era in grado di leggere abitualmente testi in latino, la lingua che stava spegnendosi come lingua internazionale della scienza ma che rappresentava ancora un patrimonio culturale condiviso; oggi il veicolo obbligato per la comunicazione scientifica è l’inglese e le lingue nazionali europee restano disponibili a un livello di minore prestigio scientifico (anche se di grande importanza sociale): la comunicazione tra medico e paziente (compresi i foglietti dei farmaci), le riviste rivolte al medico di famiglia, la divulgazione sanitaria (attraverso i supplementi di alcuni grandi quotidiani o alcune fortunate trasmissioni televisive), la manualistica universitaria, la documentazione ospedaliera e medico-legale (referti, cartelle cliniche, autopsie ecc.). Ciò comporta il rischio di una crescente divaricazione: da un lato, un linguaggio semplificato, accessibile a chi non è medico o non lo è ancora (lo studente); dall’altro un linguaggio iperspecialistico, che rischia di essere criptico per gli stessi medici con altra specializzazione: per esempio, per l’internista che deve interpretare che cosa voglia dire il neurologo quando, nella relazione di dimissione di un paziente, parla di eminattenzione sinistra.7 Diversi sono i medici e i testi che ho convocato a vario titolo come testimoni di lingua. Sono illustri accademici dell’Italia postunitaria come Guido Baccelli e Luigi Luciani, ma anche sconosciuti collaboratori delle riviste scientifiche di primo Ottocento; testi famosi nella storia della tipografia, oltre che in quella della scienza applicata, come l’incunabolo veneziano del Fasiculo de medicina, e testi marginali come i ricettari a uso privato; testi stampati e destinati a una larga anche se effimera circolazione presso il grande pubblico, come i giornali con le loro pubblicità sanitarie, e quaderni non destinati alla pubblicazione come quelli in cui i settecentisti Cocchi e 7 Il termine, non registrato dai dizionari (anche se ricavabile da Internet attraverso il lancio nei principali motori di ricerca), indica l’incapacità di avvertire stimoli e avvenimenti in una metà dello spazio in séguito a un danno neurologico.

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Gentili annotavano le proprie osservazioni anatomiche. Proprio da questa varietà di voci e di tempi dovrebbero emergere non solo le prevedibili diversità, ma anche gli elementi comuni, che spiccano in modo particolare tenendo conto della distanza, e talvolta della totale incompatibilità, dei contenuti. M’è parso utile, insomma, proprio nel momento in cui alcune caratteristiche secolari stanno cambiando, tracciare un bilancio di una lingua speciale così carica di storia e insieme con tante ricadute nell’orizzonte linguistico dei comuni parlanti. Un bilancio che vorrebbe rivolgersi non solo all’ideale pubblico degli addetti ai lavori linguistici, ma anche ai medici curiosi e consapevoli dell’importanza che nel loro bagaglio professionale ha avuto e ha ancora la riflessione sulla lingua.8 *** Nel corso di questo lavoro sono ricorso alla consulenza e alla pazienza di molti amici, che desidero ricordare. Prima di tutto Maria Grazia Di Pasquale Ranieri, medico di famiglia – oltre che studiosa di letteratura latina medievale e di molte altre cose – che ha letto il videoscritto alla luce della sua specifica competenza professionale, fornendomi preziose annotazioni (non solo nei luoghi in cui il suo apporto è stato espressamente menzionato). Puntuali suggerimenti bibliografici devo a Gianni Adamo, Franco Alhaique, Paola Giunchi e in particolare a Marcello Ravesi. Di un’attenta rilettura complessiva, e dei suggerimenti che ne sono scaturiti, sono grato a Giuseppe Antonelli, Matteo Motolese e Leonardo Rossi.

8 Un paio di avvertenze. Nelle citazioni da testi medici del passato rammoderno di norma i segni paragrafematici (punteggiatura, uso delle maiuscole ecc.), così come si farebbe allestendo un’edizione moderna di quelle opere; per le sigle di dizionari e opere frequentemente citate (GDLI, UC ecc.) rinvio all’Indice dei nomi, dove si troverà il luogo della prima allegazione munito dei riscontri bibliografici. Nelle traslitterazioni dal greco non indico l’accento nei parossitoni, tranne quelli terminanti in ía (nosos ma artería) e pongo l’accento, circonflesso o acuto, sul primo elemento del dittongo (âima, óide–ma).

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1. MEDICINA E LETTERATURA

1. Accuse e caricature: da Petrarca a Totò La tradizione letteraria, non solo italiana, ci ha lasciato varie e vivaci testimonianze di satira contro i medici. Talvolta si colpisce un aspetto sostanziale: la loro impreparazione tecnica e l’effetto paradossale di mandare all’altro mondo l’ammalato che avrebbero dovuto guarire. Nei Sogni di Quevedo (1627) i medici sono puniti per aver fatto morire degli uomini «sin razón antes del tiempo».1 Ma assai spesso la polemica prende di mira anche (o soltanto) l’apparato linguistico sfoderato dal clinico. Con una caricatura pungente – di là dall’apparente bonomia – Collodi colpisce non lo sfoggio terminologico ma, più radicalmente, l’esibizione di ragionamenti assurdi o lapalissiani e la litigiosità interna alla corporazione (Mi duole di contraddire...). Al capezzale di un Pinocchio che s’ignora se sia vivo o morto, quando il burattino scoppia a piangere per effetto delle parole di rimprovero del Grillo-parlante, i due medici concludono il consulto con il seguente scambio di battute: – Quando il morto piange, è segno che è in via di guarigione – disse solennemente il Corvo. – Mi duole di contraddire il mio illustre amico e collega – soggiunse la Civetta – ma per me quando il morto piange, è segno che gli dispiace a morire. –2 1

Cito dal Sueño de las calaveras, in F. de Quevedo Villegas, Obras, vol. I, Madrid 1876, pp. 298-302, a p. 299. 2 Cfr. C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, ed. critica di O. Castellani Pollidori, Pescia 1983, p. 53.

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Ma sono soprattutto i tecnicismi rari, accumulati, apparentemente impenetrabili a rappresentare il bersaglio preferito. Niente come l’eterogeneità dei campioni che seguono può illustrare la diffusione e la fortuna di questo tema. Al posto d’onore il Petrarca con la sua celebre Invectiva contro un medico rimasto ignoto, che serve allo scrittore per ribadire l’incolmabile fossato tra le arti liberali e le arti meccaniche (come la medicina, che «si prende cura del corpo, non dell’anima»).3 Petrarca rimprovera tra l’altro il medico di non dare ai nimium creduli che fidano in lui se non «intempestivos flosculos inutilium verborum» (vale a dire: “acierbi fiori di parole disutili”, come traduceva alla fine del Trecento ser Domenico Silvestri); e di compiacersi di «radicibus nostri orbis imponere peregrina vocabula» (“tu peregrini vochaboli poni alle radici del nostro paese”), affinché “con maggior licenzia inghanno tu possa commettere” («fallasque licentius»).4 Il risentimento che il Petrarca nutriva contro i medici doveva essere molto forte se il tema domina ancora in due Seniles del libro V, la terza (al Boccaccio) e la quarta (a Donato degli Albanzani). La prima, che è la più lunga, appare come un’ininterrotta serie di contumelie contro la categoria, dalle quali si salvano solo quei medici che rinunciano ai rimedi, rimettendosi alla natura; coloro che intervengono con farmaci o con prescrizioni dietetiche sono rappresentati, tra l’altro (cito dall’elegante traduzione ottocentesca del Fracassetti), come «ciurmatori che sotto una vernice di superficiale dialettica cianciano a vuoto invece di medicare», tutti intenti a dare un nome alla malattia «con greca voce: e se non l’hanno già pronta se la compongono: e questa dicono apoplessia, quella epilessia, questa risipola».5 Solo marginale è l’aspetto linguistico nell’avversione contro i medici di Montaigne, ma anche il grande razionalista non ri3

M. Ariani, Francesco Petrarca, in Storia della letteratura italiana diretta da E. Malato, vol. II, Il Trecento, Roma 1995, pp. 601-726, a p. 651. 4 Cfr. F. Petrarca, Invective contra medicum, ed. critica a cura di P.G. Ricci, Roma 1950, pp. 25 e 121, 39 e 135-136. 5 F. Petrarca, Lettere senili, volgarizzate da G. Fracassetti, Firenze 18691870, vol. I, pp. 295 e 299.

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nuncia a ironizzare sull’oscurità del modo di esprimersi, fonte di prestigio presso il pubblico ingenuo; tant’è che la medicina viene esercitata da persone che parlano una lingua diversa da quella dei pazienti: il greco nella Roma antica,6 il latino nel Cinquecento francese.7 Lo stesso abbinamento dell’Invectiva petrarchesca (vaniloquio e compiaciuto ricorso a parole di origine straniera – greche e anche arabe all’epoca del Petrarca, soltanto greche dopo il XVI secolo – in ogni caso poco trasparenti per il profano) ritroviamo nel Malato immaginario di Molière, un altro che non fece mai mistero di non amare i medici. Ecco come Beraldo, il fratello saggio, demolisce l’ingenua fiducia di Argante nell’arte sanitaria: toute l’excellence de leur art consiste en un pompeux galimatias, en un spécieux babil, qui vous donne des mots pour des raisons, et des promesses pour des effets.8

E poco oltre, quando Argante rifiuta il clistere, il medico (dal nome parlante: Monsieur Purgon) cerca di terrorizzarlo, 6

Il tema deriva da un passo di Plinio il Vecchio, N. H., XXIX 17 (= Gaio Plinio Secondo, Storia naturale, vol. IV, libri 28-32, trad. e note di U. Capitani e I. Garofalo, Torino 1986, p. 279). L’arte medica – dice Plinio – non si addice alla Romana gravitas; a tal punto che non gode prestigio il medico che non parli in greco, «etiam apud imperitos expertesque linguae Graecae» (anche presso quelli che non sanno nulla di greco): e ciò perché gl’ignoranti «minus credunt quae ad salutem suam pertinent si intelligant» (se sono in grado di capire, sono meno disposti a fidarsi del medico). Sull’atteggiamento della cultura romana nei confronti dei medici cfr. I. Mazzini, Le accuse contro i medici nella letteratura latina ed il loro fondamento, in AA. VV., Quaderni linguistici e filologici 1982-1984, Macerata 1984, pp. 75-90. 7 M. de Montaigne, Essais, Paris 1958, vol. II, p. 502 («nous ne recevons pas aiséement la medecine que nous entendons, non plus que la drogue que nous cueillons»: non apprezziamo facilmente la medicina che siamo in grado di comprendere, così come avviene per il medicamento che possiamo cogliere con le nostre mani). 8 Molière, Théâtre complet, Paris 1960, vol. II, p. 824 («Tutto il prestigio della loro professione nasce da un gergo pomposo, da un bla-bla fasullo grazie al quale ti regalano parole per argomenti, e promesse per risultati»: trad. di C. Garboli, in Molière, Il malato immaginario, Torino 1979, p. 45).

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minacciandogli dall’alto del suo potere di vita e di morte (je veux...) una serie di malanni dai nomi grecizzanti: – Et je veux qu’avant qu’il soit quatre jours vous deveniez dans un état incurable. – Ah! miséricorde! – Que vous tombiez dans la bradypepsie. – Monsieur Purgon! – De la bradypepsie dans la dyspepsie. – Monsieur Purgon! – De la dyspepsie dans l’apepsie. – Monsieur Purgon! – De l’apepsie dans la lienterie... – Monsieur Purgon! – De la lienterie dans la dysenterie... – Monsieur Purgon! – De la dysenterie dans l’hydropisie... – Monsieur Purgon! – Et de l’hydropisie dans la privation de la vie, où vous aura conduit votre folie.9

I sei tecnicismi sono scelti con abilità da Molière: tutti già attestati nella medicina greca10 e acclimati in francese,11 sfruttano il potenziale compositivo proprio del linguaggio medico (sul quale ci soffermeremo nel cap. V). I primi tre indicano problemi digestivi, legati a eccessiva lentezza (bradypepsie), generica difficoltà nell’espletamento del processo (dyspepsie),12 o sospensio9

Ibid., p. 831. Cfr. E. Marcovecchio, Dizionario etimologico storico dei termini medici, Firenze 1993, pp. 73, 126, 296, 298, 433 e 505. A Galeno, in particolare, risale la distinzione tra dyspepsia, apepsia, bradypepsia. 11 Cfr. Grand Larousse de la langue française, Paris 1971-1978, voll. I, pp. 194 e 504, II, p. 1431, IV, p. 3043. 12 Ma dyspepsie, come del resto il suo corrispettivo italiano dispepsia, ha conosciuto in passato una larga oscillazione di significati, come avviene spesso per le parole di rango iperonimico. Si veda per esempio – per restare in area francese, sia pure un secolo e mezzo dopo Molière – la voce del Dictionaire abrégé des sciences médicales rédigé à Paris [...], Milano 18211826, vol. VI (1823), pp. 187-189. 10

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ne, assenza della digestione (apepsie); le due successive si riferiscono a turbe intestinali (lienterie ‘évacuation par l’anus, ordinairement prompte, d’alimens à peine altérés par les organes de la digestion, et reconnaissables au moins en partie après leur sortie’13 e dysenterie). Fin qui, si tratta dunque di disturbi di àmbito gastro-enterico che potrebbero anche trarre giovamento – s’intende, secondo la scienza dell’epoca – dalla terapia di Monsieur Purgon. Ma l’idropisia è un’affezione di carattere diverso, dovuta alle cause più varie: «les médecins ne s’en servent, depuis longtemps – scrive ancora il Dictionaire abrégé–14 que pour désigner l’existence d’un liquide, ordinairement séreux, occupant une cavité du corps ou le tissu d’un organe qui n’en contient pas dans l’état de santé». Soprattutto, il termine e i suoi derivati, notissimi nel Medioevo, entrano per tempo nelle lingue romanze15 e conseguono una larga popolarità anche presso i profani: quando il medico completa la sua minacciosa sequela di malanni con hydropisie, abbandonando il territorio patologico fino a quel momento attraversato, sa probabilmente che la parola è già conosciuta da Argante e collegata all’impressionante deformazione fisica che caratterizza quell’affezione. Diversi punti di contatto con la retorica di Monsieur Purgon ha il dottor Dulcamara, che nell’Elisir d’amore di Felice Romani (per la musica di Donizetti; 1832) vanta i portenti del suo «specifico». La differenza non è legata tanto al diverso statuto professionale (medico in Molière, ciarlatano nel libret13 Ibid., vol. X (1824), p. 453. Non diversa è la definizione di un dizionario moderno, per esempio M. Garnier, V. Delamare, G. Panzera, Dizionario dei termini di medicina, Roma 19876, p. 598: «Diarrea in cui le scariche sono formate da alimenti incompletamente digeriti». 14 Dictionaire abrégé..., vol. IX (1823), p. 320. Idropisia non appartiene più al lessico medico attuale; idrope si usa solo in casi particolari (per esempio i. della colecisti). 15 Per il francese cfr. Trésor de la langue française, vol. IX, Paris 1981, p. 1012 (ydropisie: anno 1174). Per lo spagnolo cfr. J. Corominas, Diccionario crítico etimológico de la lengua castellana, Berna 1954, vol. II, p. 911 (ydropesia: anno 1490). Per l’italiano basti ricordare Dante, Inferno, XXX, 52-57 e la sua rappresentazione del falsario maestro Adamo, affetto per l’appunto da grave idropesì.

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to),16 ma più banalmente al merito: i tecnicismi servono qui non a terrorizzare un ammalato recalcitrante, ma a dare autorevolezza all’annuncio di guarigione. Per il resto, ritroviamo la stessa attenzione al significante (prima sei sdruccioli in -itici, aggettivi sostantivati indicanti i pazienti affetti da una certa patologia, poi i nomi di malattie, due dei quali nella forma suffissata in -itide, all’epoca ancora molto diffusa): Comprate il mio specifico, per poco io ve lo do. Ei move i paralitici, spedisce gli apopletici gli asmatici, gli asfitici, gl’isterici, i diabetici, guarisce timpanitidi, e scrofole e rachitidi, e fino il mal di fegato che in moda diventò.17

Il Romani mette insieme termini tradizionali, risalenti già al Medioevo (paralitici, apopletici,18 asmatici, timpanitidi certo nell’accezione di ‘idropisie ventose’, scrofole), e forme di diffusione più recente, settecentesca (diabetico sostantivato, rachitide ‘rachitismo’; di asfi(t)tico, attestato come aggettivo dal Targioni Tozzetti,19 questa parrebbe la prima attestazione come sostantivo). 16

È noto come, almeno fino a Napoleone, ci fosse un’elevata tolleranza da parte della medicina ufficiale verso i curatori popolari, anche per la tendenza ad associare in un’unica categoria tutti i praticanti inferiori della medicina (chirurghi, levatrici, ciarlatani). Su questi aspetti, in riferimento alla Bologna sei-settecentesca, si veda la bella monografia di G. Pomata, La promessa di guarigione. Malati e curatori in Antico Regime, Roma-Bari 1994 e, qui, il cap. II. 17 L’elisir d’amore, atto I, sc. V: cfr. E. Saracino (a cura di), Tutti i libretti di Donizetti, Milano 1993, p. 606. 18 Per la diffusione della forma con una sola t intervocalica cfr. «Studi linguistici italiani», XXIII (1997), p. 284. 19 Cfr. M. Cortelazzo e P. Zolli, DELI. Dizionario etimologico della lingua italiana, seconda ed. a cura di M. Cortelazzo e M.A. Cortelazzo, Bologna 1999 (= DELIN), p. 134.

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Quanto al mal di fegato diventato di moda, forse è proprio così: l’espressione è citata senza esempi d’autore (segno della sua recenziorità) ancora dal Tommaseo-Bellini.20 Un segnale giocoso è dato da spedisce, che arieggia il significato assunto nell’antica farmacia (spedire una ricetta ‘prepararla’) ma che, con oggetto [+ umano] come qui, non può che voler dire ‘spacciare’. Più sottile la carica ironica presente in isterici, al maschile: ancora per tutto l’Ottocento, l’isterismo era considerata una sindrome esclusivamente muliebre, e la più antica attestazione dell’aggettivo sostantivato, del 1828, registra solo il femminile isterica.21 Il libretto dell’Elisir ricalca, com’è noto, una fonte francese. Il prolifico Eugène Scribe aveva scritto Le philtre pochi mesi prima, per la musica di Auber, rifacendosi a sua volta a una commediola italiana.22 Il futuro Dulcamara è in Scribe un docteur Fontanarose, charlatan; e questa è la sua tirata auto-promozionale: Prenez, prenez mon élixir! Il peut tout guérir; La paralysie, Et l’apoplexie, Et la pleurésie, Et tous les tourments; Jusqu’à la folie, La mélancolie, Et la jalousie, Et le mal de dents.23

Come si vede, il Romani s’è attenuto fedelmente al modello, ma ne ha orientato diversamente la carica ironica. In Scri20 Cfr. N. Tommaseo e B. Bellini, Dizionario della lingua italiana, Torino 1865-1879, vol. III, p. 125. 21 Cfr. A. Leone - G.B. Fantonetti - A. Omodei, Dizionario dei termini di medicina, chirurgia [...], Milano 18342, p. 557 (il lemma è già presente nella 1a edizione, come si ricava da DELIN, p. 827). 22 Cfr. E. Saracino (a cura di), Tutti i libretti di Donizetti, Milano 1993, p. 602. 23 Le philtre, atto I, sc. V (in E. Scribe, Théâtre, vol. IV, Opéras, Paris 1856, p. 82).

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be non c’è l’accumulo di tecnicismi, visto che ci si limita a paralysie, apoplexie, pleurésie, oltretutto non particolarmente impervi;24 e si gioca invece sull’anticlimax, menzionando prima affezioni più gravi e generali (tous les tourments, la folie), per concludere col banale, anche se fastidioso, mal de dents. La satira contro il linguaggio medico rientra, in Totò, nel più vasto àmbito della smitizzazione del “parlare difficile”. Ecco una scenetta di una commedia di Tramonti (Paolo Rampezzotti) del 1933, recitata dal grande attore napoletano:25 SIGNORA:

Io ho un dolore qui ed al mattino viene piano piano, al pomeriggio diventa forte forte, la sera ritorna piano, e la notte ridiventa forte forte. Che sarà dottore? MARDOCHEO: Un pianoforte. SIGNORA: Ma come? Ho un pianoforte in petto? MARDOCHEO: Noialtri medici sintetizziamo i termini. La vostra malattia la chiamiamo malattia del piano forte. SIGNORA: E che cosa sarebbe? MARDOCHEO: È il cuore che trovasi a contatto col velopendolo asciatico, gonfia i varicosceli e la moscia. SIGNORA: Ma io non ho capito nulla. MARDOCHEO: Nemmeno io. NIK: Vede, Signora, è la vera scienza. Non bisogna mai capire nulla. MARDOCHEO: Guai se l’ammalato capisse qualche cosa! Allora i medici che ci starebbero a fare?

Qui, a differenza di Molière e di Romani, i termini sono inventati (moscia), deformati per paronomasia (asciatico su sciatico) o per pronuncia regionale (varicosceli);26 e il loro assem24

Non entra nel conto mélancolie che aveva assunto per tempo il valore detecnificato di ‘tristesse douce et vague’ (come del resto era avvenuto, fin dal Medioevo, per l’italiano malinconia: si veda oltre, pp. 104-105): cfr. E. Littré, Dictionnaire de la langue française, Paris 1956-1958, vol. V, pp. 49-51 e Trésor de la langue française..., vol. XI (1985), p. 592. 25 La cito dalla monografia di F. Rossi, La lingua in gioco. Da Totò a lezione di retorica, Roma 2002, p. 119. 26 Anche qui (come abbiamo visto poco fa per isterici) la facezia consiste nello scambio dei sessi, attribuendo a una «Signora» una patologia tipicamente maschile: varicocele vale infatti ‘varice del testicolo’.

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blaggio risponde all’intento ludico di mettere insieme qualcosa da cui non si può capire assolutamente nulla. Più o meno nello stesso torno di tempo in Spagna il commediografo Enrique Jardiel Poncela definiva la medicina come «el arte de acompañar con palabras griegas al sepulcro» e un personaggio di Unamuno ironizzava sulla tendenza dei medici a «poner nombres a las enfermedades, aunque no se curen».27

2. L’autocritica dei medici Non sono soltanto i letterati a parlar male dei medici, o almeno della loro lingua. Nell’àmbito stesso della corporazione esiste da tempo una robusta corrente antinominalistica di cui possiamo facilmente mettere insieme alcuni rappresentanti, più o meno noti. Si può partire da Leonardo Fioravanti, singolare figura di medico-curatore cinquecentesco splendidamente illustrata qualche anno fa da Piero Camporesi.28 Nella sua dichiarata insofferenza verso la medicina tradizionale, che giunge persino a demolire e irridere «la intoccabile teoria dei quattro umori (alla quale poi, contraddicendosi, continua nella pratica ad aderire)», Fioravanti deplora anche la «progressiva separazione e appropriazione unilaterale dei saperi medico-botanici che l’onnipotente aveva ab initio concesso “al mondo a commune beneficio de tutti gli uomini viventi”»; un «distacco incominciato quando, con l’uso della scrittura e dell’astrusa “teorica”, gli antichi sofi padroni dell’alfabeto aveva[no] reso oscure e incomprensibili le cose di natura. Costoro, “scrivendo con parole, volevano occultare la medicina e farsene loro ministri e 27

Cfr. rispettivamente E. Jardiel Poncela, Cuatro corazones con freno y marcha atrás, Madrid 20022, p. 102 e nota 19 e M. de Unamuno, Abel Sánchez, Madrid 20016, p. 197. 28 P. Camporesi, Camminare il mondo. Vita e avventure di Leonardo Fioravanti medico del Cinquecento, Milano 1997 (le citazioni che seguono sono attinte alle pp. 13 e 62).

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che gli altri non solamente [non] se ne servissero ma che avessero paura di quella”». Molto note, nel Seicento, le prese di posizione di Francesco Redi, uno dei pochi scienziati alla cui opera sia stata dedicata una monografia attenta alle ricadute culturali e linguistiche.29 Nella lettera a una dama ammalata, per esempio, il Redi prende nettamente le distanze dai comportamenti linguistici della propria categoria professionale: non aspetti da me che io voglia farle, come sogliono i medici, un lungo discorso nel produrre in campo quelle astruse cagioni produttrici delle sue indisposizioni perché, siccome non le intenderei forse io, che pur le scrivo, così parimente mi do a credere che per avventura non le saprei fare intendere a V.S. Illustrissima e particolarmente se io volessi servirmi de’ termini reconditi e misteriosi che usa l’arte medicinale e ancora de’ suoi greci e arabici e barbari Nomi da fare spiritare i cani.30

«Remedia curant morbum non verba» ammoniva nei suoi Aphorismi il padovano Alexander Knipps Macoppe (16621748).31 Per il medico bergamasco Andrea Pasta (1706-1782) il «parlare oscuro e recondito» dei suoi colleghi «non d’altronde deriva che dall’uso soverchio di alcune straniere e astruse voci di cui abbonda la medica facoltà più di qualsisia altra professione».32 Il problema è rappresentato soprattutto da latinismi e grecismi. Il «medico di lettere», in quanto

29 Cfr. M.L. Altieri Biagi, Lingua e cultura di Francesco Redi, medico, in «Atti e memorie dell’Acc. La Colombaria», 33(1968), pp. 189-304. 30 F. Redi, Opere, Milano 1809-1811, vol. IX, p. 308. Il tema ritorna altre volte nel Redi, insieme con lo scherzoso endecasillabo deprecatorio: cfr. B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze 1963, pp. 478-479. 31 E. Brambilla, La medicina del Settecento dal monopolio dogmatico alla professione scientifica, in F. Della Peruta (a cura di), Storia d’Italia, Annali, 9. Malattia e medicina, Torino 1984, pp. 3-147, a p. 26 (‘sono le medicine, non le parole, a curare le malattie’). 32 A. Pasta, Voci, maniere di dire e osservazioni di toscani scrittori [...], Brescia 1769, vol. I, p. 3.

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pratico di lingua italiana, può agevolmente sostituire agli oscuri vocaboli dal greco e dal latino composti altre più semplici più piane e più usitate voci; come a ragion d’esempio in luogo di dire, come alcuni dicono, mitto cruento, urina saturata, sputo cloro, flogosi, flogistico, catartico, anticatartico, può dire orina sanguigna, orina carica, sputo verde, infiammazione, infiammatorio, purgativo, espettorante.33

Nel Novecento questa esigenza si fa sempre più pressante, prima soprattutto in àmbito anglosassone, poi anche in Italia. Si può ricordare l’ironia di Michael Crichton («It now appears that obligatory offuscation is a firm tradition within the medical profession»)34 o il giudizio severo di R. Whitehead (1961), per il quale il curriculum medico sarebbe un «lungo e sistematico corso di esercitazione alla verbosità».35 Per l’Italia basti citare la testimonianza di un grande medico e didatta sensibile alla precisione del linguaggio come il Murri, infastidito da «tutti quegl’imbecilli che c’interrogano per imparare una parola greca la quale, ripetuta da pappagallo, dà a molti l’illusione di possedere un’idea».36 In anni più vicini a noi, sono stati più volte ricordati dagli studiosi di linguaggio medico gl’interventi di E.D. Vitali, che ha fornito anche esempi di «magniloquenza vuota» (indovato ‘nascosto’, coalescere ‘confluire, fondersi’, tricotomia ‘rasatura’ per sgombrare il campo operatorio) o di forestierismi inutili, perché frutto di traduzioni estemporanee o orecchiate (goitrigeno ‘gozzigeno’, plateleto ‘piastrina’).37 33

Ibid., p. 4. Cit. in S. Guida - B.M. Sagone - L.C. Santi, Scrivere e pubblicare in medicina. Manuale pratico, Roma 1993, pp. 23-24. 35 Cit. in L. Serianni, Saggi di storia linguistica italiana, Napoli 1989, p. 138. 36 Murri, Lezioni…, p. 117. 37 E.D. Vitali, Il linguaggio delle scienze biomediche, in Atti del Convegno «Il linguaggio della divulgazione», Milano 1983, pp. 179-198. Un altro esperto, N. Pasetto, ha citato, nello stesso convegno, anglicismi come clampare ‘applicare una pinza’ e viabilità del feto ‘vitalità’ (cfr. ivi, pp. 205-206) e I. Farnetani (La medicina fra vecchio e nuovo linguaggio, in «Atti e mem. della Accademia Petrarca», 59-60(1997-1998), pp. 347-360, a p. 352) ha segnalato sonicato, da sonicated ‘trattato con ultrasuoni’. 34

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Critiche del genere rispondono soprattutto a un’esigenza deontologica: quella di fondare il rapporto medico-paziente sulla base della trasparenza e della consapevolezza, da parte del secondo, della diagnosi formulata e della terapia prescritta. Sono lontani i tempi in cui si poteva teorizzare l’opportunità che il medico mirasse deliberatamente a non farsi capire per accrescere il proprio prestigio professionale presso il malato illetterato. Questo principio fu sostenuto da uno scienziato-umanista vissuto nel XV secolo, Galeotto Marzio da Narni, il quale asseriva che il medico dovesse parlare in modo ben diverso a seconda del livello culturale del paziente: con gli uomini dotti, a quali è nota la verità, dee usare parole comuni e chiare, ma col volgo ignorante e con le vecchierelle e cotali persone, anche quelle cose che si potranno dire commodamente in latino o in favella volgare le dirà con parlare più oscuro e con parole o greche o arabesche: perciocché gli uomini plebei e volgari alcune fiate stimano quello essere ottimo e salutifero che non intendono.38

In termini diversi, oggi si potrebbe sostenere che, per certi malati, possa riuscire rassicurante un approccio magico-esoterico da parte del medico, arroccato nel suo fortino di termini impenetrabili. Ma sarebbe un atteggiamento discutibile: «se qualche influsso magico può essere esercitato trincerandosi dietro il discorso tecnico, i risultati che se ne ricavano sono di poco conto e di transitoria efficacia. Per di più, non sono moralmente accettabili perché violano la dignità umana».39 Quel che è certo è che l’attenzione alla lingua da parte del medico viene da lontano. Prescindendo dai problemi relativi alla terminologia strettamente professionale (di cui ci occuperemo oltre), da sempre il controllo linguistico appare uno dei re38 Cito il passo dalla traduzione secentesca «in volgare fiorentino» (dal latino del testo originario) di Francesco Serdonati, ricavandolo da Camporesi, Camminare il mondo..., p. 66. 39 G. Cosmacini - C. Rugarli, Introduzione alla medicina, Roma-Bari 2000, p. 73.

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quisiti – non il meno importante – che contribuisce all’autorevolezza della figura del medico. Il già citato Pasta raccomandava tra l’altro ai medici di «non commettere errori grammaticali né scorrezioni ne’ loro scritti» per non far credere ai letterati «che chi non sa le regole della grammatica né le leggi della ortografia italiana, molto meno possa sapere quelle della natura e gli oracoli oscuri e concisi d’Ipocrate».40 Qualche decennio dopo Giuseppe Del Chiappa (Bagni di Lucca 1782 - Pavia 1867), a lungo clinico nell’Università di Pavia, scriveva un opuscolo in cui celebrava l’eccellenza espressiva dei medici del passato e l’importanza dello stile, anche per gli scienziati («I fatti, le scoperte e le cognizioni si alterano, s’involano, si trapiantano perocché sono fuori dell’uomo; lo stile solo rimane, mentre ch’egli è l’uomo istesso»); peccato che troppi abusino dei tecnicismi, i quali «vengono a costituire un gergo mal grazioso che ha offuscate le scienze e la filosofia per tanti secoli»: tanto più che «questo barbaro dialetto [...] sembra che sia un velo all’ignoranza e che favoreggi una tracotata impostura, venendosi con ciò a togliere alle classi men colte il mezzo d’intendere e di erudirsi».41 Più o meno negli stessi anni il letterato Luigi Carrer (noto soprattutto come poeta romantico) metteva insieme per la veneziana «Biblioteca classica» una scelta di consulti medici e, nella prefazione, ne celebrava la sapienza linguistica: Ed hanno pure in questo genere di scritture non poco adito all’eloquenza. Quella stessa felice disposizione al ben parlare che rende accetto al malato piuttosto uno che altro medico, quella stessa rende preferibile, riferita allo scrivere, i consulti d’uno a quelli d’un altro.42

Le critiche rivolte al linguaggio medico possono colpire aspetti terminologici specifici come la proliferazione di denominazioni eponime (segno di De Musset)43 o la tendenza a crea40

Pasta, Voci, maniere di dire..., p. 5. G. Del Chiappa, Della eloquenza del medico, in Id., Raccolta di opuscoli medici, Pavia 1828, pp. 99-145, alle pp. 127 e 128. 42 L. Carrer, Consulti medici di varii autori, Venezia 1839, pp. VI-VII. 43 Cfr. S. Piccini, Linguaggio medico e storia della medicina, Milano 1947 41

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re composti del tutto superflui o sovrabbondanti negli elementi formativi.44 Ma è significativo – a ribadire la contiguità tra l’abito del medico e l’abito dell’umanista (altri direbbe: del purista) fino ad anni recenti – la frequenza con cui ci si sofferma su aspetti squisitamente linguistici, senza ricadute sulla funzionalità della comunicazione scientifica. Con questo spirito vengono presi di mira i francesismi, ancora molto diffusi nel linguaggio medico (e in quello corrente) nella prima metà del XX secolo: per il Bellini dovrebbero essere eliminati medicale, tissutale (da tissu; invece di tessutale), malformazione, oltre ai generici ruolo e d’emblée;45 il Mattioli ha da ridire non solo su béant e beante ‘spalancato’ (cardias beante ecc.), ma anche su biberon, cachet e flacone.46 Il neologismo viene rifiutato anche quando è ricavato dal fondo tradizionale della lingua, attraverso i consueti meccanismi di formazione delle parole. Ancora il Mattioli deplora vivacemente («si può solo rabbrividire per raccapriccio») l’uso di denominali evidentemente appartenenti al gergo “di corsia” come barellare, ormonare e la condanna si estende anche a polverizzare, evidenziare, tamponare per ‘zaffare, otturare, chiudere’, già largamente acclimati;47 ironizza su «alcuni de(estratto dalla rivista «Castalia»), pp. 3-4; Vitali, Il linguaggio delle scienze biomediche..., p. 188. 44 Un esempio dei primi è il francese hyperembriohydrométrophie proposto nel 1926 dal De Gourmont «quale vocabolo secondo lui scientificamente preciso per indicare la gravidanza» (Piccini, Linguaggio medico..., p. 5); dei secondi è laparocolectomia, «dove è ovvia la superfluità del primo elemento laparo-, giacché è difficile immaginare di poter eseguire una colectomia senza incidere la parete addominale» (Vitali, Il linguaggio delle scienze biomediche..., p. 193; oggi, in verità, un intervento del genere sarebbe possibile grazie alle tecniche endoscopiche). 45 A. Bellini, Il ruolo giuocato dai medici italiani nel determinismo della corruzione linguistica [il titolo naturalmente è ironico], in «Rassegna clinicoscientifica», 16(1938), pp. 275-277; ma malformazione è difesa da V. Putti, Scrivere meglio, in «Le forze sanitarie», 9(1940), pp. 36-37. 46 M. Mattioli, Neologismi e barbarismi nelle scienze mediche, Milano 1979, pp. 56-57, 63. 47 Ibid., p. 34; effettivamente deplorevole è ectroponiare ‘rovesciare le palpebre per esaminare e medicare’, tratto da ectropion: semmai si sarebbe dovuto creare un *ectropionare.

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liziosi avverbi che fanno parte della teratologia linguistica» come ambulatoriamente48 o ipodermicamente e persino collegialmente e teoricamente;49 mette in discussione la possibilità di procedere a composti che utilizzano confissi greci e latini: forme come gastrointestinale o sporicida rappresenterebbero l’«incestuoso accoppiamento di un prefisso greco e di una desinenza latina».50 Altri eccepiscono su forme che non rispettano l’etimologia, dal punto di vista fonetico (come parassiti, dissenteria, blenorragia)51 o morfologico (sintomo invece di sintoma;52 menarca indebitamente maschile).53 Poco importa notare che tutto questo zelo sia assai spesso eccessivo e non sempre ben fondato e che, negli ultimissimi anni, anche la medicina abbia conosciuto un’alluvione di anglicismi che fa impallidire i francesismi d’antan (cfr. pp. 184ss.). È più significativo registrare come anche in un recente Manuale pratico (così il sottotitolo) dedicato ai medici che scrivono articoli scientifici54 siano numerosi i consigli propriamente linguistici (generalmente, va detto, ragionevoli e condivisibili): è «inutile usare anglicismi quando la lingua italiana ha dei precisi termini che rendono meglio quello stesso concetto» (e tra codesti 48 La forma più correntemente usata è ambulatorialmente (da ambulatoriale, non dal raro aggettivo ambulatorio); ma certo non è per la base di partenza che l’avverbio suscita l’ironia del Mattioli. 49 Ibid., p. 38. 50 Ibid., pp. 38-39; date queste premesse, non fa specie che all’autore non garbino nemmeno polmonite e tonsillite, invece delle forme compattamente grecizzanti pneumonite e amigdalite. 51 Le forme etimologicamente legittime (e – le prime due – effettivamente adoperate in passato) sono parasiti, disenteria, blennorragia (Piccini, Linguaggio medico..., p. 6). 52 Bellini, Il ruolo giuocato..., p. 277. 53 «Vocabolo coniato da Kisch, dal gr. mÑn + ¨rwÑ (sost. femm.): cfr. ted. die Menarche, franc. la ménarque; l’attribuzione al genere grammaticale maschile (“il” menarca), benché diffusa in Italia, appare arbitraria», recita una nota – ineccepibile – di T. Chiarioni (Le disvitaminosi, in M. Bufano (a cura di), Trattato di patologia medica e terapia, vol. IV, Padova 1981, parte diciottesima, pp. 1-68, a p. 10). 54 Il già menzionato Guida-Sagone-Santi, Scrivere e pubblicare in medicina..., pp. 25-28.

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anglicismi figurano anche tissutale, un tempo preso di mira come s’è appena visto in quanto francesismo, glandola invece di ghiandola o glandula e serico invece di sierico); occorre evitare «parole inesistenti in italiano» come biopsiare, complessizzare, profilassare, refertare, slatentizzare.

3. Medici scrittori e scrittori che trattano di medicina Il legame dei medici con gli studi umanistici non si limita davvero all’attenzione per la lingua. La letteratura europea del Novecento – dunque in un’epoca in cui era già avvenuta la famigerata divisione tra le “due culture” – è ricca di esempi di medici che hanno raggiunto, anche o soprattutto, fama letteraria e spesso grande successo di pubblico: dai francesi Céline e Schweitzer, agl’inglesi Maugham e Cronin, ai russi Cˇ echov e Bulgakov, al poeta tedesco Gottfried Benn, agl’italiani Tobino, Bonaviri e Vitali. E – negli Stati Uniti e altrove – c’è chi considera fondamentale una buona preparazione letteraria per gli studenti delle facoltà mediche.55 È intuibile che la ricca esperienza umana vissuta da un medico insieme con la salda formazione culturale ricevuta (soprattutto un tempo: cfr. § 4) possa tradursi – molto più facilmente di quel che accada ad altri scienziati – in un’attività squisitamente umanistica come la creazione letteraria. Ma, per quel che è della lingua, a molti medici scrittori è stato rimproverato «leur vocabulaire qui trop souvent tenait le milieu entre la salle de garde et le traité de pathologie».56 Per la letteratura italiana novecentesca possiamo esemplificare tre tipi di rapporto tra medico-scrittore e lingua speciali55 Cfr. J.-E. Baños, El valor de la literatura en la formación de los estudiantes de Medicina, in «Panace@» [consultabile nel sito www.medtrad.org/pana.htm], 12(2003), pp. 162-167. 56 Così si esprimono L. Binet e P. Vallery-Radot, Médecine et littérature, Paris 1965, p. 14 (la monografia fa riferimento soprattutto alla letteratura francese; per l’Italia si può citare la rassegna di A. Cherubini, I medici scrittori dal XV al XX secolo, Roma 1977).

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stica, attingendo a opere di Pier Gildo Bianchi, medico milanese che ha conosciuto un certo successo di pubblico come divulgatore oltre che come narratore;57 Giuseppe D’Agata, autore di un romanzo che ha avuto una fortunata trasposizione cinematografica interpretata da Alberto Sordi;58 Carlo Levi, che non ha bisogno di presentazioni.59 Le memorie di Bianchi (Ricordi, esperienze, avventure di un “medico dei morti” nell’Italia dell’immediato dopoguerra, come si legge nel sottotitolo) configurano effettivamente il rischio di cui parlavano i due saggisti francesi: quello di non rielaborare il linguaggio tecnico, con effetti involontariamente stranianti. Uno dei brevi aneddoti contenuti nel volumetto si intitola Un imperdonabile errore (pp. 89-92). È la storia di una ragazza che arriva al Pronto Soccorso in pessime condizioni, dopo essere stata picchiata a sangue: «il trucco troppo spinto, il profumo volgare, l’acconciatura dei capelli eccessivamente eccentrica e l’esuberanza della bigiotteria [...] rivelavano senza possibilità di equivoco l’attività alla quale si dedicava con il favore delle tenebre». Alla visita, «un chirurghetto, tutto boria e presunzione, che non aveva mai combinato nulla di buono in vita sua, che non aveva fatto carriera e si era fermato – in ospedale – alla tappa di “assistente cronico” (come si diceva nel nostro gergo universitario)», si convince che il rene sinistro sia stato spappolato, interviene urgentemente e lo asporta: ma qualche ora dopo la ragazza muore perché, come risulterà dall’autopsia, aveva un rene solo per un’anomalia congenita. Il narratore ricorre a facili “ferri del mestiere” per vivacizzare la descrizione: perifrasi scherzose (per alludere alla prostituzione), alterati espressivi (chirurghetto), brani di discorso di57

P.G. Bianchi, Ricordi di un anatomo-patologo, Murazzano 19982; nel risvolto di copertina si legge che l’autore è stato definito dal Corriere della Sera il «Cronin italiano». 58 G. D’Agata, Il medico della mutua, Milano 1964. Il film, con lo stesso titolo, è del regista Luigi Zampa (1968); l’anno dopo fu girato un séguito (Il prof. dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue), diretto da Luciano Salce. 59 C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli [1945], Torino 1960.

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retto (che non abbiamo riportato). Ma altrove il linguaggio medico interviene bruscamente, dando luogo a quello che in chimica si chiamerebbe un miscuglio, cioè a un insieme eterogeneo di componenti diverse e dissonanti. Non alludo naturalmente ai “tecnicismi specifici”, che sono quelli che ci si aspetta nella prosa di un medico che rievoca episodi di vita vissuta (pratiche terapeutiche come il cateterismo o la narcosi; eventi patologici come uremia e collasso postoperatorio; rilievi diagnostici come situazione auto-tossica); ma ai “tecnicismi collaterali”60 tipicamente appartenenti a una tipologia testuale ben diversa, quella del referto o del trattato: aggettivi di relazione rari («una larga chiazza ecchimotica», «odore urinoso»), un aggettivo come imperioso adoperato per indicare un impulso fisiologico che la lingua comune esprimerebbe diversamente («l’imperiosa necessità di svuotare la vescica») o ancora verbi come instaurare in riferimento alla terapia praticata dal medico («alla narcosi troppo repentinamente instaurata») e competere per indicare una funzione tipicamente svolta da un certo organo («per mancanza della funzione svelenante che compete appunto ai reni»). Diversa rielaborazione hanno gli spezzoni di linguaggio medico inseriti sobriamente da D’Agata per rappresentare l’ambiente di giovani medici alla ricerca affannosa di mutuati. Qui sono eccezionali i tecnicismi collaterali adoperati nella diegesi, là dove l’io narrante medico cerca la solidarietà del lettore non medico.61 Due termini tipici, un tecnicismo specifico (emitorace) e un composto decurtato come fonendo ‘fonendoscopio’,62 in contrasto scherzoso con le immagini metaforiche che seguono, hanno la funzione di rappresentare lo squilibrio tra la teoria, bene o male posseduta dal medico principiante, e la 60

Alla distinzione tra i vari tecnicismi medici sarà dedicato il cap. IV. Noto solo il verbo porre in riferimento alla diagnosi invece del comune fare: «L’ascolto con estremo interesse e penso intanto alla diagnosi che devo porre» (D’Agata, Il medico della mutua..., p. 106) 62 Il procedimento, com’è noto, è largamente operante anche nel linguaggio comune cinematografo - cinema, fotografia - foto, televisione - tele (familiare: «hai visto la tele?») ecc. 61

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pratica clinica, clamorosamente assente: «Applico il fonendo sugli emitoraci. Percepisco uno stormire di foglie insieme ad un gracidio di rane, accompagnati dagli accordi dei registri bassi di un organo di cattedrale».63 Intento ironico ha anche il ritratto dell’analista Mazzini, in cui l’esibizione grottesca di tecnicismi (sottolineata dalla sentenza finale, sull’asserita impenetrabilità dell’endocrinologia) è in funzione di una triviale curiosità da adolescente: Entro, compermesso, dopo un “avanti” detto da una voce cavernosa. Mazzini è un correlato endocrino complesso. Alto almeno uno e novantasei, magrissimo, lo puoi classificare un ipofisario eunucoide: però ha caratteri sessuali secondari (peli, voce) assai sviluppati, ed è presumibile che abbia i genitali in proporzione (comunque si tratta di roba sciupata, poiché è tanto brutto che non è ammissibile che abbia una donna: inoltre passa tutto il giorno in laboratorio e dicono che non esca mai di sera). Dunque, testicolare-surrenale-tiroideo-ipofisario? Nessuno capisce niente di endocrinologia.64

La medicina ha una parte notevole nel romanzo di Carlo Levi. Ma l’autore evita con cura qualsiasi ostentazione terminologica, scegliendo anche per questo particolare aspetto piuttosto la via del lirismo che quella del realismo. Se l’assenza di tecnicismi rari nella lista di malattie temute dal podestà è evidentemente dovuta alla tecnica dell’indiretto libero,65 l’isolato tecnicismo che alla fine dei suoi sconclusionati discorsi affiora alla memoria del vecchio dottor Milillo denuncia insieme l’ottundimento dei «gloriosi insegnamenti della celebre Scuola Napoletana» e il dilagare della superstizione.66 Nella drammatica rappresentazione dei bambini malati e mi63

Ibid., p. 19. Ibid., p. 73. 65 «Ma, per mia fortuna, egli era continuamente in preda alla fobia di essere malato: oggi aveva la tubercolosi, domani il mal di cuore, dopodomani l’ulcera di stomaco» (Levi, Cristo..., p. 68). 66 Il dottor Milillo ammonisce il nuovo venuto a non fidarsi delle donne del paese, che somministrano filtri amatori: «Questi filtri sono perico64

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serabili di Matera, messa in bocca alla sorella medico in visita a Carlo, dominano elementi letterari (espressioni correnti: battere i denti dalla febbre, pelle e ossa, faccine di cera) e la professione di chi parla emerge solo dai figuranti evocati dalla malaria, indicati prima con un termine generico (qualche malattia tropicale), poi con un termine specifico – raro, a differenza di dissenteria – seguito dal suo corrispettivo vulgato (il Kala Azar, la febbre nera): e ho visto, in quelle grotte scure e puzzolenti, dei bambini sdraiati in terra, sotto delle coperte a brandelli, che battevano i denti dalla febbre. Altri si trascinavano a stento, ridotti pelle e ossa dalla dissenteria. Ne ho visti anche di quelli con le faccine di cera, che mi parevano malati di qualcosa di ancor peggio che la malaria, forse qualche malattia tropicale, forse il Kala Azar, la febbre nera.67

Dai medici-scrittori agli scrittori che parlano di medicina. Anche qui possiamo chiamare due autori a rappresentare due fondamentali tendenze: l’espressionismo di Carlo Emilio Gadda e il realismo (almeno per questo aspetto) di Margaret Mazzantini nel suo Non ti muovere (Milano 2001; poi film nel 2004, per la regia di S. Castellitto). Gadda è autore molto studiato, anche da questo punto di vista. G. Roscioni ha messo in rilievo la notevole quota di lessico medico e fisiologico presente nella sua opera, nonostante la formazione fisico-matematica dell’Ingegnere.68 Più recentemente P. Zublena ne ha fatto emergere le componenti espressionistiche, anche nelle opere giovanili in cui è più elevato l’uso referenziale dei tecnicismi; nel romanzo incompiuto La Meccanica, composto quasi integralmente negli anni 19281929, viene riprodotto per esteso un referto medico, che raplosi. Berli non è piacevole. Disgustoso anzi. – Vuol sapere di che cosa li fanno? – E il dottore mi si china all’orecchio, balbettando a bassa voce, felice di aver ricordato finalmente un termine scientifico esatto. – Sangue, sa, sangue ca-ta-meniale» (Levi, Cristo..., p. 18). 67 Ibid., p. 79. 68 G. Roscioni, La disarmonia prestabilita, Torino 1975, p. 56.

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presenta in realtà «un pauroso geroglifico per il personaggio oggetto della visita, Luigi, destinato a morire per tisi».69 Il romanzo della Mazzantini ha come narratore-protagonista un chirurgo, in grave crisi esistenziale e familiare, che vede arrivare nell’ospedale in cui lavora la figlia moribonda, caduta dal motorino. Il linguaggio medico domina soprattutto nelle prime, drammatiche, pagine che si aprono con l’incidente e col trasporto della ragazza in ospedale.70 Ecco come il padre ricostruisce le fasi di primo intervento, immaginando di raccontare l’accaduto alla figlia in coma, quasi a reimmettere le emozioni che lo sconvolgono nell’alveo di una riconosciuta e asettica professionalità: Al pronto soccorso la rianimatrice che ti ha preso in consegna ti ha spinto un dito tra mandibola e osso ioide, in un punto del dolore. Il tuo corpo ha reagito troppo lievemente. Ha preso delle garze e ti ha pulito il sangue che scendeva dalla fronte. Ti ha guardato le pupille, erano immobili e dissimili. Il respiro era bradipnoico. Ti hanno infilato in bocca una cannula di Guedel, per riposizionarti la lingua che era scivolata all’indietro, poi hanno inserito il sondino dell’aspirazione. Hanno tirato su sangue, catrame, muco, e un dente. Ti hanno attaccato la clip del saturimetro al dito per misurare l’ossigenazione del sangue, la percentuale di ossiemoglobina era troppo bassa: ottantacinque per cento. Allora ti hanno intubata. La lama del laringoscopio ti è scivolata in bocca con la sua luce algida. È entrato un infermiere spingendo la colonna del monitoraggio cardiaco, ha infilato la spina ma la macchina non è partita. Le ha dato un colpo, un piccolo colpo di lato, e il monitor s’è acceso. Ti hanno al69 P. Zublena, La scienza del dolore. Il linguaggio tecnico-scientifico nel Gadda narratore [1999], in L’inquietante simmetria della lingua, Alessandria 2002, pp. 33-63, a p. 41. 70 Ma anche altrove appaiono segnali dell’attenzione con cui la scrittrice ha ricostruito l’orizzonte linguistico, oltre che psicologico, del medico; per esempio, quando la moglie gli chiede se un’improvvisa telefonata dipenda da un’urgenza professionale: «“Un cancro ‘importante’?” sorride. Non è facile vivere con un uomo che fa un lavoro così triste, ha finito per accettare il mio gergo, per riderci su» (Mazzantini, Non ti muovere…, p. 144; andrà puntualizzato, peraltro, che nessun medico definirebbe importante una patologia di per sé seria e delicata come il cancro).

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zato la maglietta, ti hanno premuto sul petto le ventose degli elettrodi. Hai aspettato un po’ perché la sala TAC non era libera, poi ti hanno infilato nel tunnel di irradiazione. Il trauma era nella zona temporale. Oltre il vetro, la rianimatrice ha chiesto al radiologo di fare nuove sezioni, più ravvicinate. Hanno visto la profondità e l’estensione dell’ematoma fuori del parenchima cerebrale. Ma non ti hanno mandato in vena il mezzo di contrasto, temevano complicazioni renali. Hanno subito chiamato il terzo piano perché preparassero la sala operatoria. La rianimatrice ha chiesto: «Chi c’è di turno in neurochirurgia?».71

Solo l’accenno alla luce algida del laringoscopio è un elemento inessenziale dal punto di vista tecnico (non da quello letterario, ovviamente, data la connotazione emotiva dell’aggettivo). Per il resto il brano riproduce non solo i termini72 ma anche l’andamento sintattico di una cartella clinica: periodi brevi a sviluppo accumulativo scanditi a rappresentare precise operazioni in sequenza e precisi parametri clinici. Ma lo scrittore italiano otto-novecentesco che ha forse attinto più largamente al linguaggio medico, con fini di volta in volta mimetici ed espressionistici, è stato certamente Gabriele d’Annunzio. Può farci sorridere l’entusiasmo di un medico, che nel 1929 dedicò una monografia a quest’aspetto della sua arte, prodigandosi in espressioni ammirative.73 Ma è innegabile che la rielaborazione linguistica della terminologia medica poggi su solide basi. Specie in poesia, d’Annunzio evita i tecnicismi, ricorrendo all’italiano antico: utero, per esempio, ricorre solo in Laus vitae, 71

Ibid., pp. 8-9. Si va da tecnicismi specifici più o meno noti anche ai profani (osso ioide, bradipnoico, ossiemoglobina, laringoscopio) a una terminologia decisamente più settoriale (cannula di Guedel, la clip del saturimetro) a tecnicismi collaterali come riposizionare ‘collocare un organo nella sua posizione fisiologica’, mandare in vena o punto del dolore ‘punto che, premuto, serve a valutare i riflessi di un paziente in coma’. 73 Cfr. M. Giannantoni, La medicina nell’opera di Gabriele d’Annunzio, Firenze 1929, pp. 65 («Perfetto!»), 75 («è bellissimo il rilievo del caratteristico sintomo della malattia»), 80 («il decorso della malattia non poteva essere descritto con maggiore esattezza clinica»), 96 («Par di vederlo!») ecc. 72

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4957-4958 («E nessuno vi nacque / da utero umano»); altrove si preferisce matrice, insieme arcaico e popolareggiante: ivi, 5627-5628 («prima ch’egli escisse compiuto / maschio dalla matrice»).74 Inguine è per d’Annunzio una parola legata a metonimie erotiche;75 con riferimento freddamente anatomicopatologico compare piuttosto anguinaia o anguinaglia (per esempio: «simili al combattente / ch’ebbe le due cosce / recise fino all’anguinaia», eco dantesca76 di Laus Vitae, 5619-5620; «la voce del grifagno / Bixio ferito di piombo all’anguinaglia»: La notte di Caprera, XVI 55; o anche «La peste / dell’anguinaia lo colga» ‘la peste bubbonica’: La Nave, primo episodio). Erisipela appare come resipola, ancora una volta antico e popolare, nella “tragedia pastorale” La figlia di Iorio, II 4 («La resipola triste lo colse»). Altre volte d’Annunzio si compiace di più o meno elaborate perifrasi. Se una gengivite scorbutica è genericamente una orribil muffa (La canzone d’Elena di Francia, 63), un bambino che viene alla luce con presentazione cefalica è un «infante / che sforza la porta sanguigna / del grembo materno col capo / proteso, con chiuse le pugna».77 Nel racconto che apre Le novelle della Pescara, La vergine Orsola, d’Annunzio, rappresentando una malata di tifo, alterna anche per ragioni di variatio tecnicismi (come «piaghe di de74 Matrice è anche il vocabolo della prosa (ma si terrà conto, trattandosi di discorsi indiretti liberi o, nel secondo caso, di pensieri del protagonista, che un tecnicismo sarebbe potuto sembrare poco appropriato): «una imaginazione romantica, nudrita di letture diverse, direttamente dipendente dalla matrice, continuamente stimolata dall’isterismo» (Il Piacere, Roma 1942, pp. 367-368); «Le aderenze che univano il feto alla matrice dovevano esser deboli» (L’innocente, Milano 1959, p. 220); «quella matrice devastata già dal morbo, incapace di concepire?» (Trionfo della morte, Roma 1942, p. 398). 75 Cfr. L. Serianni, Sulla lingua del «Libro segreto» di d’Annunzio, in V. Masiello (a cura di), Studi di filologia e letteratura italiana in onore di Gianvito Resta, Roma 2000, pp. 1087-1110, a p. 1109. 76 Da Inferno, XXX, 50-51. 77 Cfr. Giannantoni, La medicina..., p. 119 (il passo è in Laus Vitae, 61786181).

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cubito») e perifrasi letterarie («nei punti di pressione sul letto i tessuti aderenti degeneravano»);78 ma in ogni caso si compiace della puntualità dei rilievi. Si veda la scena iniziale, con Orsola che sembra in punto di morte, e l’attenzione con cui sono tradotti nel lussureggiante preziosismo dannunziano i sintomi obiettivi della malattia, quali potrebbero essere inventariati da un manuale di patologia: l’obnubilamento del sensorio; la respirazione alterata per compromissione dei bronchi; la perdita dei capelli (peraltro caratteristica della convalescenza, che avverrà qualche tempo dopo); il colorito cianotico del volto (tipico del tifo se concomitante con la febbre elevata); i movimenti carfologici; i sussulti muscolari; la lingua patinosa. Leggiamo: La vergine Orsola era sul letto, supina, tenuta dallo stupore della febbre, da una sonnolenza inerte, con la respirazione frequente rotta da i rantoli. Posava sul guanciale la testa quasi nuda di capelli, la faccia d’un colore quasi ceruleo, ove le palpebre erano semichiuse sopra gli occhi vischiosi e le narici parevano annerite dal fumo. Ella faceva con le mani scarne piccoli gesti incerti, vaghi conati di prendere qualche cosa nel vuoto, strani segni improvvisi che davano quasi un senso di terrore a chi stava da presso; e nelle braccia pallide le passavano le contrazioni dei fasci muscolari, i sussulti dei tendini; e a volte un balbettamento inintelligibile le usciva dalle labbra, come se le parole le si impigliassero nella fuliggine della lingua, nel muco tenace delle gengive.79

4. L’educazione letteraria del medico Oggi è frequente che si deplori il cattivo italiano dei medici (e abbiamo visto che le lagnanze provengono anche dagli stessi sanitari). Ma l’accusa non è sempre fondata, e soprattutto non sarebbe stata quasi mai tale fino a qualche decennio addietro. Il medico ha rappresentato, insieme col giurista, l’esempio più ti78 79

d’Annunzio, Le novelle della Pescara, Roma 1942, pp. 18-19 e 16. Ivi, pp. 9-10.

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pico di un’educazione d’impronta strettamente umanistica prescindendo dai letterati di professione. Sarebbe ben possibile indicare grandi matematici come il quattrocentista Luca Pacioli o il cinquecentista Niccolò Tartaglia che sono stati accusati, con maggiore o minore fondamento, di rozzezza e scarsa disciplina letteraria.80 Nulla del genere sarebbe pensabile per i grandi medici della storia della medicina italiana. Alcuni furono espressamente celebrati anche quali umanisti, come il Fracastoro, l’autore del poema Syphilis (1530), che il Marino quasi un secolo dopo avrebbe cantato in un madrigale come colui che «di doppia gloria in un giunse a la meta, / e fisico [cioè ‘medico’] e poeta» (Galeria, 371, 5-6). Altri, privi di gloria letteraria, sono stati immortalati da poeti grandi e piccoli, come Taddeo Alderotti, ricordato nientemeno che da Dante, e Achille De Giovanni, citato in un poemetto di Vittorio Betteloni.81 Più di quel che sia avvenuto per altri scienziati, la formazione del medico si è fondata per molti secoli sui grandi classici greco-latini; e in latino scrivono abitualmente, rivolgendosi alla comunità degli specialisti, non solo i grandi cinquecentisti come Cesalpino, Falloppio, Fabrici d’Acquapendente, ma anche, nei due secoli successivi, Malpighi82 e Morgagni. In Germania e nei paesi scandinavi s’insegna in latino nelle facoltà mediche ancora nel XIX secolo.83 80 Cfr. rispettivamente L. Ricci, Il lessico matematico della «Summa» di Luca Pacioli, in «Studi di lessicografia italiana», 12(1994), pp. 5-71, alle pp. 14-17 e M. Piotti, «Un puoco grossetto di loquella». La lingua di Niccolò Tartaglia, Milano 1998. 81 Cfr. rispettivamente Paradiso, XII, 83 (improbabile che il Taddeo qui citato antonomasticamente sia il canonista bolognese Taddeo Pepoli) e Il sogno. Racconto mondano, v. 131, in L. Baldacci e G. Innamorati (a cura di), Poeti minori dell’Ottocento, II, Milano-Napoli 1963, p. 545. Dante parla di Taddeo anche nel Convivio (I X 10), deplorando la sua traduzione dell’Etica aristotelica. 82 Malpighi, in realtà, «non ha alcuna resistenza contro il volgare»; l’uso del latino dipende dal fatto che la massima parte delle sue opere è pubblicata dalla Royal Society di Londra (Altieri Biagi, Lingua e cultura..., p. 260 e nota 4). 83 Cfr. J.-Ch. Sournia, Langage médical français, Toulouse 1997, p. 45.

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Anche quando si passa al volgare, si continua a guardare al glorioso e remoto passato. Per l’attuale medico di famiglia il contatto con Ippocrate si limita probabilmente al testo del celebre Giuramento, passato alla storia col suo nome e spesso appeso nella sala d’aspetto dello studio; ma ancora nella Francia di Luigi Filippo si affidò al filologo Émile Littré il compito di tradurre Ippocrate per gli studenti di medicina, proprio per rendere disponibili testi che restavano il fondamento tecnico e filosofico della pratica medica.84 Nel Medioevo la medicina «è l’unica scienza che pur essendo inclusa, secondo l’antica classificazione, tra le arti meccaniche appartiene agli studi universitari»:85 di qui la rigida separazione tra medico teorico e medico pratico, che durerà fino al Settecento. Solo al primo, nutrito di letture, viene riconosciuta la competenza per curare i mali interni; per i praticanti inferiori – chirurghi, barbieri, levatrici, ciarlatani – vale il principio del nihil exhibeat per os (‘non si somministri nulla per bocca’) e a essi sono affidati gl’interventi “esterni”, dalla riduzione di una frattura all’estrazione di un dente.86 La tradizione letteraria della nostra storiografia ha fatto sì che i grandi scienziati del passato siano noti al pubblico cólto solo in quanto autori di qualche poesia: è una distorsione più volte denunciata da M.L. Altieri Biagi,87 che ha rivendicato la robusta architettura sintattica e la funzionalità lessicale della prosa scientifica – in altri termini: la sua piena dignità accanto ai tradizionali generi letterari –, e non solo nei massimi come Galileo. Ma vorrei qui soffermarmi su un altro versante: il continuo affiorare, nella prosa dei medici, della cultura umanisti84

Ibid., p. 65. R. Librandi, Il lettore di testi scientifici in volgare, in P. Boitani et al. (a cura di), Lo spazio letterario del Medioevo, 2. Il Medioevo volgare, vol. III, Roma 2003, pp. 125-154, a p. 150. 86 Il medico – come affermava nel Seicento Paolo Zacchia – «non corpore corpus curat, sed animo, cura il corpo attraverso l’esercizio di facoltà intellettuali, non corporee» (cit. in Pomata, La promessa di guarigione..., p. 135). 87 Cfr. per esempio M.L. Altieri Biagi, L’avventura della mente, Napoli 1990, p. 217. 85

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ca che sta (o stava) alla base della loro formazione e l’assetto spesso preterintenzionalmente narrativo che assumono certe pagine.88 Augusto Murri, del quale abbiamo già ricordato il fastidio per la terminologia fine a sé stessa, non fu soltanto un grande medico, il cui «valore diagnostico ne fa la figura del clinico per antonomasia, valida anche attualmente»;89 fu anche un attento scrittore, sensibile all’uso del linguaggio settoriale di sua competenza. Questa sua fama, certificata dalla classica monografia del Castiglioni,90 era ben presente ai contemporanei. Un suo biografo ricorda come, all’indomani della prolusione dalla cattedra bolognese, un giornale affermasse che, se essa «non era stata splendida per declamazione ed ornati rettorici» (e di ciò «glie ne diamo lode»), era «però riuscita vera, chiara e ben scritta». Anche d’Annunzio, incontrando Murri a Fiume nel 1919, lo loda come grande scrittore di medicina (e Murri se ne schermisce, in una lettera alla figlia Linda).91 La scrittura del Murri colpisce soprattutto per la serrata tecnica argomentativa, affidata a una sintassi ricca di connettivi con valore causale (perché, giacché, in quanto che, tanto più che...) o conclusivo-deduttivo (cosicché, dunque, allora, segue necessariamente che...). Gli interessano poco, anche in sede didattica, la raccolta panoramica dei dati clinici e l’illustrazione di patologie note e conclamate; un singolo caso, addirittura un singolo sintomo, può essere oggetto di un’intera lezione, con l’inten88 Prescindiamo, per ora, da un aspetto che è direttamente connesso con la dimensione professionale di questo tipo di scrittura: la particolarissima attenzione dei medici vecchi e nuovi alla terminologia e la tendenza a coniare neologismi, attingendo all’inesauribile serbatoio grecolatino. 89 G. Cosmacini, Medicina, ideologia, filosofia nel pensiero dei clinici tra Ottocento e Novecento, in C. Vivanti (a cura di), Storia d’Italia, Annali, 4. Intellettuali e potere, Torino 1981, pp. 1157-1194, a p. 1187. 90 Che ne apprezzava, tra l’altro, la «lucidità dell’esposizione» e l’«eleganza della forma», tanto da considerare sue «alcune fra le pagine più belle della letteratura medica contemporanea» (A. Castiglioni, Storia della medicina, Milano 1936, p. 688). 91 Cfr. D. Manetti, Augusto Murri, Firenze 1923, pp. 57 e 132-133.

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to di analizzare le varie ipotesi possibili, smontando francamente quelle non accettabili, secondo un atteggiamento mentale che gli fu rimproverato, ma che Murri considera invece un titolo di lode.92 Tutto questo convive con un’attenzione di marca tipicamente retorica per la variatio, cioè per quell’impulso a evitare le “ripetizioni” che segna immancabilmente l’educazione letteraria degl’italiani bene scolarizzati, dal Medioevo in avanti. Così, all’ampio ventaglio dei connettivi, che non disdegna anche alcune soluzioni già a fine Ottocento patinate d’antico come eziandio, si affiancano, più significative, alternanze lessicali anche nei tecnicismi specifici. Si tratterà, in qualche caso, di una non ancora avvenuta stabilizzazione terminologica; ma tenendo conto del fatto che le varianti ricorrono spesso a breve distanza l’una dall’altra, credo che in primo piano sia per l’appunto l’intento di suonare una tastiera più ampia di quello che ci si aspetterebbe parlando di scienza, e dunque tendendo a un rapporto biunivoco (una parola, e di forma stabile, per una nozione). Così, accanto a coledoco, antico aggettivo già da tempo attestato come sostantivo, Murri adopera condotto coledoco e dutto coledoco.93 Il sistema nervoso è detto anche sistema nerveo.94 L’albero circolatorio è chiamato anche apparecchio vascolare e apparato circolatorio.95 Febbri92 «A me perciò qualcuno ha affibbiato l’accusa d’ipercritico. In vero, se io avessi potuto aspirare ad una lode, nessuna mi sarebbe giunta sì ambita, come questo rimprovero»; «Nella Clinica, come nella vita, bisogna dunque avere [...] il preconcetto che tutto ciò che si afferma e che par vero può esser falso: bisogna farsi una regola costante di criticar tutto e tutti, prima di credere» (Murri, Lezioni..., pp. 13 e 21). 93 A. Murri, Scritti medici, Bologna 1902, vol. I, pp. 19 e 22. L’esempio più antico di coledoco sostantivato è di Francesco Tozzetti (1758): cfr. Tommaseo-Bellini, vol. II, p. 400. 94 Cfr. Murri, Scritti..., vol. I, pp. 200 e 201. Sistema nervoso è datato da DELIN, p. 1537 col Cocchi (av. 1758). Per il Tommaseo-Bellini, vol. IV, p. 476, «segnatam. nell’uso scientif.» sarebbe preferibile nerveo; in Murri nerveo ricorre spesso: fibre nervee, disordini nervei, tessuto nerveo (Scritti..., vol. I, pp. 206, 278, 285). 95 Ibid., vol. I, p. 217 e II, p. 733.

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geno si alterna con pirogeno e antifebbrile con antipiretico.96 Una febbre può essere tifosa o tifoidea.97 I gomitoli malpighiani sono detti anche, come oggi, glomeruli e i capillari che li compongono sono definiti tubuli, vasellini, tubi gomitolari, vasellini gomitolari.98 Accanto a sistema nerveomuscolare si parla di sindrome neuro-muscolare (e si noti anche l’oscillazione nell’uso del trattino).99

Ben più rilevante, qualche decennio prima, il tributo alla tradizione versato da G. Del Chiappa, del quale abbiamo già ricordato lo zelo letterario. Mi sono soffermato anni fa100 su una sua lettera pubblicata in una rivista medica nel 1833 la quale, accanto alla piena padronanza della terminologia settoriale, mostra una fortissima impronta arcaizzante, che non sarebbe dispiaciuta al capofila del purismo, il Cesari, morto pochi anni prima: «il caso pratico onde voglio darti contezza» ‘di cui voglio informarti’; «le spesse fiate» ‘molte volte’; «questo mestiere richiedendo che egli traesse alle fiere qua e là secondo che caggiono» ‘poiché questo mestiere richiedeva che egli si recasse alle fiere là dove si svolgevano’; «a casa il Carini» ‘a casa del Carini’ ecc. La sensibilità letteraria del medico emerge spesso in molte “storie cliniche”, là dove egli ricostruisce l’evoluzione di una malattia indicando analiticamente i sintomi più rilevanti e lasciando correre la vena narrativa oltre il filtro del rilievo obiettivo. Gli esempi sarebbero molti; contentiamoci di un campione di Guido Baccelli (Roma, 1832-1916), medico illustre e assai impegnato nella vita pubblica (fu più volte ministro nell’Italia umbertina). Si parla di crisi nelle pericarditi: Pallido il volto, coi capelli bagnati di sudore a volte gelato, coll’occhio sbarrato dallo spavento, con una ineffabile sensazione di angoscia, collo annunciare ch’ei fa la sua morte vicina, non trova 96

Ibid., rispettivamente vol. I, pp. 278 e 289 e pp. 293 e 296. Ibid., vol. I, pp. 406 e 416. 98 Ibid., rispettivamente vol. II, pp. 723, 724; 724, 739, 740, 749. 99 Lezioni..., pp. 191 e 201. 100 L. Serianni, Il primo Ottocento, Bologna 1989, pp. 180-188. 97

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un conforto, ed è quasi nella disperazione. [...] L’occhio velato e smorto, l’estremità agghiacciate, il sudor freddo, il singhiozzo, la suprema pressura della vita a quando a quando risollevata per un attimo doloroso, per una convulsione, fanno sì che argomentisi, non già la nullità delle sofferenze, come a tutte prime parrebbe doversi credere, sibbene una pena, un’angoscia mortale tanto men descrivibile, quanto è più profondamente incentrata.101

A parte la presenza di moduli fortemente letterari (come l’accusativo alla greca pallido il volto),102 va rilevata l’insistenza non tanto sui sintomi obiettivi – sudore, singhiozzo ecc. – quanto sulla sensazione soggettiva di angoscia provata dal paziente (che, certamente, ha nella fattispecie un preciso valore diagnostico). È una sensazione che il Baccelli riesce a rendere con efficacia sia attraverso l’accumulo sia ricorrendo a un meccanismo ben noto nella retorica letteraria, il topos dell’ineffabilità, cioè il confessarsi impari a descrivere uno spettacolo superiore alle proprie capacità descrittive (sensazione ineffabile, angoscia tanto men descrivibile). Oltre che nella prassi scrittoria, l’educazione letteraria può emergere attraverso la rete di riferimenti culturali in cui il medico colloca il suo discorso specifico. Luigi Luciani (Ascoli Piceno 1840 - Roma 1919) scrisse un poderoso trattato di fisiologia umana che fece a lungo testo nelle scuole universitarie e come strumento di consultazione da parte del medico. Può colpire che meno di un secolo fa, in un quadro scientifico assai evoluto (e vicino a quello attuale, almeno quanto ai modi della trasmissione scientifica universitaria), l’autore di un manuale, trattando degli stimoli sessuali, possa dare spazio ad alate similitudini («Questo complesso coordinato di eccitamenti risuona nei centri nervosi come un canto amoroso, tutto materiato di un sentimento corporeo diffuso, pieno di voluttà»);103 e soprattutto che 101

G. Baccelli, Patologia del cuore e dell’aorta, vol. I, Roma 1863, pp. 30-31. Esempi di questo costrutto nella lingua poetica ottocentesca (dunque in epoca coeva) in L. Serianni, Introduzione alla lingua poetica italiana, Roma 2001, pp. 151-152. 103 L. Luciani, Fisiologia dell’uomo, Milano 1923-19246, vol. IV, p. 85. 102

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la descrizione dei processi fisiologici innestati dall’appetito sessuale metta in campo riferimenti alla poesia e alla musica: In qualsiasi tempo, ma specialmente quando avverte l’oscuro sentimento della tensione delle vescichette seminali, l’uomo subisce per la via degli occhi il fascino della bellezza della donna, bellezza statica, vale a dire delle forme, e bellezza dinamica, vale a dire delle movenze, del viso e di tutta la persona. Dice il nostro grande poeta: e vien dagli occhi una dolcezza al core che intender non la può chi non la prova. È il primo grado dell’amore, che opera tanto più potentemente, vale a dire raggiunge tanto maggiore intensità, quanto più l’uomo è civile e artisticamente colto. Ma ancora più penetrante è il piacere, più vivace è l’impulso che viene dall’udito, che anche gli antichi consideravano come il secondo grado dell’amore. E par che dalle sue labbra si mova uno spirito gentile e pien d’amore, che va dicendo all’anima: sospira! Il colore della voce, la dolcezza dell’espressione fonetica, il linguaggio musicale operano potentemente come stimoli erotici. Il noto duetto amoroso del «Lohengrin», il delizioso canto della primavera nella «Walkiria», ma specialmente le frasi musicali spasmodiche del delirio amoroso in «Tristano e Isotta», mi sembrano le espressioni più sublimi e insieme più afrodisiache dell’amore eccitato dal senso uditivo.104

104 Ibid., p. 89. Per il sonetto della Vita nova diamo le varianti sostanziali dell’ed. Gorni: e vien dagli] che dà per; dalle sue labbra] della sua labbia; uno spirito gentile e] un spirito soave pien.

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2. LA MEDICINA E IL POPOLO. CIARLATANI, PUBBLICITARI, GENTE COMUNE

Il passaggio da Wagner al tema di questo capitolo può sembrare troppo brusco; e soprattutto può lasciare perplessi l’associazione, nel titolo, di categorie di ben diversa rispettabilità: i ciarlatani e i pubblicitari.1 Converrà precisare sùbito che la pubblicità medica di cui diremo qualcosa è quella in voga fino al primo Novecento. Quella attuale è regolata da una legislazione molto severa, al punto che non si può parlare di vera e propria propaganda commerciale: il pubblico ne è destinatario (con molte restrizioni) solo per i prodotti vendibili senza prescrizione medica e, anche quando è rivolta allo specialista, la pubblicità di un farmaco è filtrata dalla rete capillare degli “informatori scientifici” che, per l’appunto, sono professionisti che svolgono la funzione di aggiornare il medico, sia pure nell’interesse di una casa farmaceutica. I foglietti illustrativi dei medicinali (ne parleremo nel cap. VII) sono chiamati del tutto impropriamente “bugiardini”: non contengono nessuna promessa pubblicitaria, anzi possono spaventare il paziente che si sofferma a leggere la lunga, minacciosa serie degli effetti collaterali che, una volta segnalati nella letteratura scientifica (o, come si usa dire, “in letteratura”), devono essere obbligatoriamente dichiarati dal produttore. I messaggi di argomento medico di cui vedremo qui alcune caratteristiche hanno come destinatario non uno specialista, 1

Anche se la nozione di “pubblicità” è soggetta a censura sociale, come un’indebita coazione al consumo nei confronti del cittadino sprovveduto (cfr. L. Ricci, «Pubblicità»: le parole per (non) dirlo. Un caso di eufemismo nell’italiano di oggi, in «Studi di lessicografia italiana», 19(2002), pp. 299-319); tanto più quando, come nel settore sanitario, è in gioco la salute.

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bensì il largo pubblico: il popolo che, nei secoli scorsi, si rivolgeva ai praticanti inferiori;2 singole persone che annotavano in uno zibaldone rimedi tradizionali (e spesso alternativi rispetto alla medicina ufficiale) per le malattie più comuni; moltitudini raggiunte dalla grande stampa quotidiana all’epoca del suo poderoso affermarsi come strumento d’informazione di massa.3 Alcune parole della medicina non compiono soltanto il tradizionale percorso dal medico al paziente, ma vengono adoperate in modo più o meno corretto dai profani, inevitabilmente coinvolti in problemi di salute: di questo accenneremo nell’ultimo paragrafo.

1. Il foglio volante Per distinguere tra proposizioni mediche in qualche modo “scientifiche” e promesse ciarlatanesche non possiamo fondarci, evidentemente, sulle nostre conoscenze attuali. Rischieremmo di gettare a mare la patologia medievale che invece era un edificio costruito su fondamenta non certo solide, ma comunque ispirate a una concezione filosofico-religiosa alla quale non si può negare dignità.4 Tanto più che per molti secoli (come s’è già accennato) ciarlatani e medici hanno convissuto, con una pacifica distribuzione di compiti, e la pratica terapeutica ha spesso presentato interferenze tra gli uni e gli altri. Da un lato va ribadito che i «segreti del ciarlatano non rappresentano una forma di medicina alternativa; essi sono in realtà una replica della farmacopea ufficiale».5 Dall’altro, si può ricordare un paio di aneddoti offerti dalla Lombardia set2

Com’è noto ciarlatano, prima di diventare un semplice sinonimo di ‘imbroglione, impostore’, indicava chi nelle pubbliche piazze offriva i suoi servizi e le sue cure più o meno mirabolanti. 3 Cfr. T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Bari 1976, vol. I, pp. 110-118 e L. Serianni, Il secondo Ottocento, Bologna 1990, pp. 27-29. 4 Cfr. H. Schipperges, Il giardino della salute: la medicina nel medioevo, trad. it., Milano 1988. 5 Pomata, La promessa di guarigione..., pp. 179-180.

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tecentesca – vale a dire da un ambiente notoriamente all’avanguardia nell’Italia del tempo – che mostrano medici proclivi a metodi tipici dei ciarlatani: il chirurgo milanese G.B. Palletta prescriveva l’ingestione quotidiana di «venti lucertole vive per il canchero allo stomaco»; un medico varesino fu sottoposto a procedimento dal Collegio medico milanese perché «somministrava ad un suo cliente, tra gli altri specifici, anche la propria orina in bevanda, forse ad insaputa del malato stesso».6 Un certo significato ha anche il fatto che nel Piemonte tra il 1730 e il 1737 fossero attribuite ben 77 patenti a ciarlatani; segno di una diffusione ancora assai radicata.7 La via da percorrere non può essere dunque (qui come per qualsiasi altro problema storico) che quella di valutare i testi rispetto alle conoscenze dell’epoca e rispetto alle reazioni che suscitavano nei contemporanei. Pare corretto parlare di “testi di ciarlatani” dal Cinquecento in avanti: non certo perché l’usanza di promettere rimedi alla gente radunata nelle piazze non vigoreggiasse anche prima; né perché (l’abbiamo appena detto) nella pratica si affermassero da allora protocolli terapeutici nettamente e costantemente distinti; né perché, ancora in pieno Seicento, non potesse campeggiare un personaggio come Francesco Giuseppe Borri, un medico-alchimista tanto idolatrato da clienti altolocati sparsi in Europa quanto avversato come un avventuriero dal mondo universitario.8 Una tale periodizzazione si fonda piuttosto sul fatto che solo dal XVI secolo si prende largamente coscienza dell’esistenza delle “due medicine”, grazie alla diffusione della stampa anche a livello popolare, che dà alla promessa di guarigioni più o meno mirabolanti un impulso prima sconosciuto, marcandone la distanza rispetto alla medicina ufficiale. Una 6 Cfr. rispettivamente Poeti, scienziati, cittadini nell’Ateneo pavese, Pavia 2000, p. 239 e A. Chiappelli, I primordi della pubblicità in Italia, in «Boll. dell’Istituto di storia dell’arte sanitaria», 5(1925), pp. 119-137 e 155-166, a p. 159. 7 Cfr. B. Maffiodo, I borghesi taumaturghi, Firenze 1996, p. 204 nota 4. 8 Cfr. G. Cosmacini, Il medico ciarlatano. Vita inimitabile di un europeo del Seicento, Roma-Bari 1998.

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conferma viene dall’atteggiamento polemico di molti medici dell’epoca. Nel 1603 usciva a Venezia un’opera dal programmatico titolo De gli errori popolari d’Italia del romano Scipione Mercurio (fra Girolamo, il nome da domenicano). L’autore era «una specie di medico condotto, ovvero “medico pubblico”, come lui stesso si definisce, stipendiato prima dallo Stato pontificio e poi dalla Repubblica di Venezia»; qualche anno prima aveva pubblicato un trattato intitolato La commare o raccoglitrice (1596), in cui difendeva vivacemente sia l’adozione del volgare, data l’ignoranza di latino dei suoi destinatari, sia l’indifferenza normativa («io dico che non scrissi in toscano perché sono romano; e a chi piace il toscaneggiare può leggere il Boccaccio e il Bembo, che se ne caverà la voglia»).9 Ma quando parla di «errori popolari», il Mercurio riassume in pieno il suo ruolo di professionista che padroneggia una terminologia specialistica contrapposta a quella volgare: «l’epilepsia detta dal volgo mal caduco», «da gli ipocondrij, che il volgo dice fianchi», «l’apoplessia, detta dal volgo goccia».10 Il problema però non sta nella lingua, bensì nella credulità degli umili, che trascurano di rivolgersi al medico per infermità serie («error gravissimo e perniciosissimo»); e allora è bene togliere ogni possibile dubbio: «dirò che per ciarlatani intendo saltainbanco, bagattellieri, buffoni et universalmente qualunque persona in piazza stando in banco o in terra o a cavallo vende medicine, polveri, composti, oglii per guarir alcune infermità, predicando con mille giuramenti e buggie mille meraviglie delle cose che vendono».11 Possiamo dare immediata consistenza alla denuncia del Mercurio soffermandoci su un foglio volante non datato (ma 9 M.L. Altieri Biagi, Due trattati medici del Cinquecento, in Ead., Fra lingua scientifica e lingua letteraria, Pisa-Roma-Venezia-Vienna 1998, pp. 97-127 (le citazioni alle pp. 105 e 101). Va ricordato che la professione di indifferenza per la norma toscana è frequente in opere non letterarie del Cinquecento e oltre. 10 Mercurio, De gli errori..., pp. 101 r. e v. 11 Ibid., p. 176 r.

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risalente alla prima metà del XVIII secolo), conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana.12 Il foglio, di quattro facciate, celebra «le gran virtù e maravigliose operazioni del liquore addimandato OLIO DI SASSO». L’intento suggestivo è evidente fin dall’inizio, quando si sciorinano i vari sinonimi con cui è conosciuto quel «liquore» (olio petroleo, olio napta, olio philosophorum...) e i numerosi autori che ne trattano: «Mesuè, Rasis, Albucarsis, Dioscoride...» e ancora Laguna, «il Faloppia», «Antonio Musa-Brasaula» e altri.13 Le prescrizioni terapeutiche sono articolate in trenta lemmi, a cui segue un trentunesimo, consistente nella formula retorica della preterizione: «Molte altre virtù di questo prezioso liquore si potrebbono dire, quali si tralasciano per non infastidire i lettori». Il nostro olio non sarebbe miracoloso se non servisse a curare uno spettro amplissimo di affezioni, dall’apoplessia all’amenorrea («Parimenti giova a provocare il mestruo»), dalla peste alla tosse, dall’elmintiasi («male di vermi») alla febbre quartana; e torna utile anche come tarmicida e antimacchia: «Ungendosi dentro le casse ove si tengono panni, proibirà che le tarle non potranno far nocumento alcuno alli panni, anzi, ungendo di quello le macchie fatte sopra altri panni, le leva». Nelle scelte linguistiche l’anonimo estensore si muove con una certa abilità tra riferimenti inaccessibili all’orizzonte culturale dei destinatari, con l’intento di sfoggiare la propria 12 Tra le pagine di un opuscolo di A. Chiappelli, estratto dall’art. citato nella nota 6 (segnatura: «Racc. Gen. Medicina IV 4756.21»; indicazioni tipografiche: «In Roma, Napoli, Venezia, Genova ed in Modena per gli Eredi di Bartolomeo Soliani Stampatori Ducali»). Il foglio volante apparteneva alla collezione privata del Chiappelli, che ne tratta brevemente alle pp. 126-127 del suo articolo. 13 Senza dilungarci in un commento minuzioso, ci limiteremo a notare che la lista assembla capisaldi della medicina araba (noti nel Medioevo occidentale nelle versioni latine) come Mesuè (Yu– ha– nna ibn Ma– sawaih), Rasis (Muh• ammad ibn Zakarı–ya– ar-Ra– zı–), Albucasis (non Albucarsis: Abu– ’l Qa– sim az-Zahra– wı–), greco-latina (Dioscoride) e moderni (come lo spagnolo Laguna o gl’italiani Falloppio e Antonio Brasavola detto Antonio Musa).

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scienza e di conquistare prestigio (a cominciare dall’elenco degli autori), e la necessità di far riferimento a malattie note e riconoscibili. Al polo alto appartengono tecnicismi anatomici come commessura coronale ‘sutura c.’ o nucale tempia, quale che ne sia l’esatto significato («ungendosi leggiermente la somità della fronte, la commessura coronale, la nucale tempia»);14 e anche la distinzione tra «tossi umide e secche», cioè con o senza espettorato. Ma i tecnicismi specifici sono rari, e tutti largamente circolanti da tempo: appoplesia, sciatica, paralisia; epilessia, altrettanto antico, è evitato in favore di mal caduco, probabilmente anche per ragioni apotropaiche.15 Tradizionale, e in parte lessicalizzato nel linguaggio medico dei secoli scorsi, il ricorso alla perifrasi mal(e) di + sostantivo:16 mal di madre ‘affezione uterina, in genere’, mal di pietra ‘calcolosi’, mal di punta ‘pleurite o polmonite’. Notevole, in un testo del genere, l’affiorare di tecnicismi collaterali: conferire ‘giovare’ («Conferisce mirabilmente a quelle persone che patiscono male d’appoplesia», «Mirabilmente conferisce al dolore e sordità d’orecchie»), offeso, detto di un organo colpito da una patologia («ungendo con dett’olio il luogo offeso», «ungendosi con dett’olio la parte offesa»).17 14 E si noti anche l’aggettivo di relazione anteposto, chiaro indizio di un prelievo dotto, orecchiato da qualche manuale della medicina ufficiale. 15 Cfr. N. Galli de’ Paratesi, Semantica dell’eufemismo, Torino 1964, pp. 130-131; ma già M.G. Levi, Dizionario economico delle scienze mediche, Venezia 1851-1860, vol. II, parte I, p. 921. Sul divieto magico-religioso di pronunciare i nomi delle malattie più temute si veda la ricca esemplificazione di G.L. Beccaria, I nomi del mondo, Torino 1995, pp. 81-82. 16 Cfr. J. Nystedt, ed. critica di M. Savonarola, Libreto de tutte le cosse che se manzano, vol. I, Stockholm 1982, p. 198. 17 Attestazioni press’a poco coeve di conferire e offeso in L. Serianni, Popolarismi e tecnicismi in un chimico modenese secentesco, in S. Heinemann - G. Bernhard - D. Kattenbusch (a cura di), Roma et Romania. Festschrift für Gerhard Ernst, Tübingen 2002, pp. 337-349, a p. 345. Si vedano inoltre: G. Manfredi, Liber de homine. Il Perché, a cura di A.L. Trombetti Budriesi e F. Foresti, Bologna 1988, p. 45; M. Motolese, Lessico medico nei trattati di peste nel Cinquecento, Tesi di laurea inedita, Università di Roma “La

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In direzione popolare si collocano prima di tutto alcune ridondanze, dettate da eccesso di didascalismo:18 «le narici del naso» (tre esempi), «la nuca della testa». Termini colloquiali, di diffusione tipicamente settentrionale e talvolta associati come glossa a sinonimi, sono madrone (qui ‘stomaco’: «dolori di ventre o di madrone»), pettenecchio ‘pube’, buganze ‘geloni’, granfi ‘crampi’. L’attendibilità delle prescrizioni si affida anche a indicazioni alquanto analitiche sulle modalità di applicazione dell’olio di sasso: «ungendosi con dett’olio il pettenecchio, il ventre e i fianchi la mattina e la sera sobriamente, con applicarvi sopra una pezza o tovagliolo o lana succida [cioè ‘appena tosata e non sottoposta ancora alle operazioni di lavatura’]». I tempi attuali, tra globalizzazione e impero massmediatico, sembrerebbero definitivamente lontani dalla figura dell’imbonitore di piazza. La fortuna di maghi, veggenti e “sensitivi” vari ci dice che il quadro è meno ottimistico; non solo: anche il curatore popolare può affiorare, e non necessariamente in contrade appartate. Negli anni 2000-2001 circolava in alcuni centri del Molise un biglietto autopromozionale di un “guaritore”: un cartoncino rosso di cm. 12 ⫻ 7.5, stampato sulle due facciate. La rarità del pezzo e anche la sua rappresentatività inducono a trascriverlo quasi per intero, rispettando tutte le caratteristiche grafiche e paragrafematiche (segni d’interpunzione, maiuscole ecc.) dell’originale: Attenzione!! Per tutti coloro che soffrono (anche da tempo) Bambini, adulti e vecchi. Bisogna provare per credermi! Il grande professionista da oltre 25 anni! con: poteri, capacità, studio, ricerche, pratica, contatti, dialoghi, corrispondenze, letture, recatomi a congressi, ecc.... Alla perfezione ho conseguito anche i relativi diploSapienza”, anno acc. 1996-1997, pp. 98 e 155; per il solo conferire: G. D’Acunti, Tecnificazione e variabilità interna nella lingua della medicina pratica settecentesca, Tesi di dottorato, Roma 1997, p. 135. 18 Cfr. F. Sboarina, Il lessico medico nel «Dioscoride» di Pier Andrea Mattioli, Frankfurt a. M. ecc. 1998, p. 160 nota 377.

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ma, attestati e tesserini (non utilizzo medicinali od altro) ma esercito: 1 Pranoterapia! Generale, e ove occorre, 2 Massaggi! Personalizzati, generale, e ove occorre, 3 Riflessologia! A mani, piedi, e ove occorre, 4 Lavoro con i miei poteri, e capacità, 5 Consiglio! Di bene e per il bene! Argomento per argomento e caso per caso! 6 Ecc...... Così: allevio, miglioro, guarisco! Molte volte anche dove professionisti diversi e superiori a me si sono arresi. Cito alcuni casi da me già trattati! Cefalea, artrosi, reumatismi, dolori alla schiena, alle spalle, torace, collo, all’anga, alle articolazioni, gambe, ginocchia, caviglia, grambi ai muscoli, alcune ciste: dolorose e non, interno ed esterno, ovariche e al seno, frigidità, blocchi sessuali, problemi di menopausa, cattiva circolazione del sangue, formicolii a braccia, gambe, artrosi cervicale, insonnia lombalgia, sciatica, sciatalgia, nevralgia, dolori intestinali, sintomi di stres, nervosismo, ansia, agitazione, tachicardiaci, neurologici, stanchezza alle gambe, fisica mentale, svogliatezza, dolori muscolari da sport, plantari, a mano, polso, dita, contusioni, ematoma con e senza dolore; Ho dato alcuni risultati anche tramite fotografia del paziente anche dall’Italia all’Estero! [...] Puoi vedere i risultati di benessere giorno dopo giorno, a punti specifici e a tutto il corpo, l’andatura, lo stile, ecc.... mostra la personalità ecc.... (attenzione!) I messaggi non sono uno e unici! Ma cambiano da: problema, patologgia, soggetto/a, età, pressione, se nervoso/a, stanco/a, malato/a, debole, aggitato/a, preoccupato/a, pensieroso/a, con dolori ecc....! Lo sapevate?! Non faccio miracoli! Ma centinaia di persone mi anno ringraziato e rimasti sorpresi, dai: sollievi, consigli, miglioramenti; e dalle Guarigioni!! Però con poca pubblicità, perchè!? Come vedete, erano e sono problemi (personali!). Ricevo solo dietro appuntamento al tel. 874[...] e al tel. 338[...] dalle 12 alle 13 circa. Grazie Ora! Vorrei ricevere e affiancarmi anche presso studio Interessato di: medico, specialista, psicologo, terme, fisioterapista ecc. Grazie

Difficile aver dubbi. Da un confronto col foglio volante della Vaticana ne uscirebbe certamente meglio quell’anonimo propagandista dell’olio di sasso. Vistosamente segnato da tratti fonetici pan-meridionali (patologgia, aggitato) o alto-meridionali (sonorizzazione della consonante sorda postnasalica in anga; in grambi ‘crampi’ la sonora iniziale si dovrà a contaminazione

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con granchio),19 il testo colpisce per il mancato controllo testuale: la lista iniziale di referenze indicate da sostantivi (poteri, capacità, studio ecc.) è bruscamente interrotta da un costrutto participiale incongruo (recatomi a congressi); nell’appello al destinatario (Puoi vedere ecc.) la serie degli oggetti si impantana in un costrutto diverso e anche oscuro (mostra la personalità); si perde il rapporto grammaticale tra soggetto e predicato (centinaia di persone [...] rimasti sorpresi). E ancora: morfologia approssimativa, con plurali orecchiati (i relativi diploma; alcune ciste, rifatto sul singolare erroneo, ma questa volta assai diffuso,20 ciste ‘cisti’) e femminili inesistenti (soggetto/a). L’uso della punteggiatura è quello di uno scrivente popolare, o magari di certa scrittura privata giovanile,21 o dei fumetti o dei “messaggini” dei telefoni cellulari (tutti àmbiti, in ogni caso, sideralmente lontani dalla comunicazione scientifica, anche di tipo promozionale). Caratteristico in particolare il ricorso al punto esclamativo, anche iterato o combinato con l’interrogativo (Attenzione!!, perchè!?), che scandisce con ingenua enfasi la progressione del brano, anche nelle liste nominali (Pranoterapia!, Riflessologia! ecc.). Si noti anche un altro tratto di primitivismo: il punto 6, col quale si conclude l’elenco delle prestazioni promesse, consiste in un semplice Ecc... che vorrebbe dilatare la gamma delle terapia oltre il dicibile, ma che si fonda su una strategia pubblicitaria che, in altri contesti, sarebbe controproducente (l’eccetera toglie infatti valore alla serie precedentemente indicata: quale sarebbe la credibilità di un uomo politico che promettesse ai suoi elettori libertà, democrazia, eccetera?). His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, la terminologia scientifica ha il solo intento di garantire i poteri taumatur19

Cfr. F. Avolio, Bommèsprö. Profilo linguistico dell’Italia centro-meridionale, San Severo 1995, p. 43. 20 Eccone un esempio – iterato, e quindi non imputabile a occasionale refuso – dal più diffuso quotidiano nazionale: «qualche berlusconiano tenta il salvataggio in extremis. “Il presidente aveva una ciste sotto l’occhio”. Ciste o non ciste, il presidente riparte: tornerà a Roma solo tra qualche giorno» («Corriere della Sera», 17.1.2004; art. di Maria Teresa Meli). 21 Cfr. C. Dinale, I giovani allo scrittoio, Padova 2001, pp. 211-212.

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gici dello scrivente: la lista delle patologie – proprio come nel foglio volante della Vaticana – svaria dall’artrosi ai disturbi sessuali, da problemi di pertinenza chirurgica (cisti ovariche) a turbe psicologiche. Nell’incerto italiano del testo spiccano tuttavia alcuni tecnicismi specifici (come i composti con -algia: lombalgia, sciatalgia, nevralgia, o tachicardiaci, che sottintenderà sintomi) e anche il lusso di sinonimi tecnici (la sciatica, ad abundantiam, è rappresentata anche dalla sciatalgia e il comune mal di testa è menzionato come cefalea). È facile (oltre che doveroso), oggi, dare del ciarlatano a chi divulga un testo del genere. Molto più arduo, lo ribadiamo, delimitare il confine tra scienza e improvvisazione o superstizione per il passato. Un esempio abbastanza interessante, sul quale m’è capitato di richiamare l’attenzione recentemente,22 è offerto dal chimico modenese Carlo Lancillotti. Non si tratta di uno sconosciuto: citato dal Tiraboschi come «chimico di molto nome a’ suoi tempi»,23 conobbe un buon successo con una Guida alla chimica più volte ristampata (Milano 1672, Venezia 1674, Modena 1679 e 1687, Venezia 1697)24 e tradotta, con titoli immaginosamente secenteschi, in olandese (De brandende salamander, Amsterdam 1680) e dall’olandese in tedesco (Der brennende Salamander, Frankfurt a. M. 1681 e Lübeck, stesso anno). Il Lancillotti non perde occasione di ribadire i presupposti scientifici della propria professione: una professione che all’epoca sua aveva mantenuto saldi legami con l’alchimia, pur orientandosi ad applicazioni nell’àmbito della terapia medica. Così, oltre a fornirci il suo bravo elenco di auctores, anche moderni come «il Rondeletio» (Guillaume Rondelet) o il «Gesnero» (Konrad von Gesner),25 l’autore si scaglia più d’una volta contro gli «Pseudi Alchimisti, o per meglio dire imbroglioni», i quali, «non havendo conoscenza alcuna della Chimica, né meno de’ suoi principij, vogliono mettersi a finire imprese, che li 22

L. Serianni, Popolarismi e tecnicismi... G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, Modena 1781-1786, vol. III, p. 70. 24 L’edizione che ho utilizzato qui è quella modenese del 1679. 25 Lancillotti, Guida alla chimica cit., parte I, p. 3. 23

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più rari Filosofi si veggono impacienti di cominciarle»; e tutto questo per pura avidità di guadagno.26 Il Lancillotti sente ancora il bisogno di giustificarsi per avere scritto in volgare; la ragione è la solita, quella di giovare al prossimo («è giusto, che io habbi scritto volgarmente, acciò ogn’uno m’intenda»).27 Nell’uso della terminologia specialistica, il Lancillotti si muove con sicurezza: ci offre addirittura la prima o una delle prime attestazioni di tecnicismi come antiepilettico, condiloma (per un refuso cand-: «candilomati o sia creste del sedere»)28 o febbrifugo;29 padroneggia alcuni tipici meccanismi di formazione delle parole, adoperando per esempio il suffisso aggettivale -ivo, già specializzato nella lingua medica medievale con valore “terapeutico”, e ampiamente rappresentato nei secoli XVI-XVIII.30 Nel Lancillotti ricorrono suffissati già due-trecenteschi come aperitivo («una polvere rossa, la quale è aperitiva»), detersivo, digestivo, maturativo («il sterco humano [...] ha per le sudette cause molto del digestivo, detersivo & maturativo»), suffissati affermatisi dal Quattro al Seicento come corroborativo e preservativo, entrambi sostantivati («questo è un insigne nutritivo e corroborativo»; «resiste al veleno della peste, essendo un raro preservativo») e anche forme che non risultano altrimenti attestate come resuscitativo («sali resuscitativi») e le sostantivazioni deostruttivo («un oglio rosso, il quale è un eccellentissimo aperitivo e deostruttivo») e nutritivo, già citato.31 26

Ibid., parte II, pp. 81-82. Ibid., parte II, p. 83. 28 Condilomadi ha un’attenzione isolata nella traduzione italiana della Chirurgia di Guglielmo da Saliceto (1474): cfr. M.L. Altieri Biagi, Guglielmo volgare. Studi sul lessico della medicina medievale, Bologna 1970, p. 68. 29 Documentazione, anche per il punto successivo, in Serianni, Popolarismi e tecnicismi..., pp. 342 e 347. 30 Cfr. G. Baader, Lo sviluppo del linguaggio medico nell’alto e basso Medioevo, in «Atti e memorie dell’Acc. La Colombaria», 35(1971), pp. 59109, pp. 75ss. Inoltre: Altieri Biagi, Guglielmo volgare..., p. 24; C. Giovanardi, Linguaggi scientifici e lingua comune nel Settecento, Roma 1987, pp. 236-237; D’Acunti, Tecnificazione…, pp. 196-197. 31 Si noterà anche la frequenza delle sostantivazioni, che presuppone un largo uso dell’aggettivo corrispondente, almeno in certi sintagmi. 27

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Tutto questo convive con una lingua fortemente marcata in senso regionale32 e assai slabbrata per quel che riguarda la coesione testuale (proprio come s’è visto per il guaritore molisano dei nostri giorni). Si vedano quattro luoghi concentrati nel “Quartiero quarto” della sezione dedicata alle terapie ricavabili dal mondo animale.33 Si susseguono a breve distanza una ridondanza pronominale («Della capra molte parti di lei possono servire nella medicina»); un tema sospeso («Il lupo cerviero, chiamato d’alcuni lince, alcuni vogliono, che la sua orina si congeli, e che quella sia la pietra lince»); una progressione incongrua (perché il con che introduce il detto grasso è omesso e poi inopinatamente ripreso): «Del gatto grasso particolarmente selvatico si fa un oglio o grasso di miraail [refuso per mirabil] virtù [...] e fassi pigliando il gatto, e apprendolo levandoli la pelle e l’interiora, levandoli il grasso e impiendolo dentro con il detto grasso, il fegato polmone, e cuore tagliato in pezzi, & un poco di rosmarino, & un altro di salvia, con due o tre onze di lardo di porco maschio, e cucito il ventre si facci arostire à poco a poco [...]»). Oltre alla coesione, può essere compromessa talvolta la coerenza micro-testuale, per esempio – secondo una procedura tipica delle scritture ingenue, almeno in età moderna – ricorrendo al superlativo per nozioni di per sé elative, che non ammettono gradazioni: «è il più unico tra tutti li balsami», «tra tutte le parti dell’huomo vivente il sangue è la più principale».34 Il lettore che non sia interessato solo alla lingua avrà notato un’altra cosa: non parrebbe davvero che il Lancillotti appartenga al secolo della scienza sperimentale, in cui si scopre il microscopio e si gettano le basi della microbiologia, dell’istologia e della parassitologia. Anche lasciando perdere l’olio di mirabil virtù ricavato dal gatto («particolarmente selvatico»), l’attendibilità terapeutica delle sue prescrizioni affonda irri32 E difficilmente imputabile – almeno in modo generalizzato – al tipografo: cfr. Serianni, Popolarismi e tecnicismi..., p. 338 e nota 9. 33 Cfr. Lancillotti, Guida alla chimica cit., parte III, pp. 94-101. 34 Ibid., parte I, p. 130 e parte III, p. 34.

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mediabilmente nel sostrato popolare, a-scientifico e superstizioso, alla ricerca del rimedio che curi le più diverse patologie: un ottimo astringente si ricava dalla «limatura di marte» (cioè ‘di ferro’) purché «si sbruffi più volte d’urina di figliuolo maschio innanzi di metterla a riverberare»; per «li membri rissoluti convulsi e rilassati» può andar bene l’olio ricavato dal «lupo cerviero», mentre la sua «ungia destra ligata in oro o argento è un ottimo rimedio per il mal caduco portata adosso».35 Il Lancillotti non è isolato; un suo corregionale di qualche anno più giovane, Buonafede Vitali (Busseto 1686 - Verona 1745), vantava un Amuletto sicurissimo contro la Peste «da portarsi alla parte del peto», a base di «Polvere di rospi battuti prima vivi al solleone, che gettino nelle patelle di cera li vermi verdi» e di altri ingredienti.36 Ma c’è spazio, in quegli anni, anche per un altro emiliano, ben più illustre del Lancillotti e del Vitali, il quale bollava i vari amuleti contro la peste, tutti «rimedj che vengono manipolati dalla superstizione, essendo non men delitto presso a Dio che follia presso gli uomini il prestar fede a tali invenzioni».37 2. Miscellanee private di medicina popolare Alcuni dei rimedi propagandati dai ciarlatani potevano essere tramandati per via orale o per iscritto da singoli. È una pratica in cui è facile riconoscere la diffidenza delle persone qualsiasi di fronte alle corporazioni, senza troppo distinguere tra medici titolati e ciarlatani. E non va dimenticato che un tempo la medicina era soprattutto un fatto domestico e, per larghe fasce della popolazione, il contatto con il medico era eccezionale; di qui il grande spazio dato nella trattatistica medica antica alle ricette per i medicamenti o ai modi di cucinare i cibi. 35

Ibid., parte II, p. 43 e III, pp. 98-99. Cfr. B. Vitali “L’Anonimo”, Il medico di piazza, intr. di G. Cosmacini, prefaz., trascriz. e note di F. Di Ciaccia, Milano 2002, pp. 64-65. 37 L.A. Muratori, Del governo della peste, Brescia 1721 [1a ediz. 1714], p. 118. 36

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L’attenzione agli strati più umili spingeva Marsilio Ficino a indicare medicamenti differenti per i ricchi e per i poveri;38 e la stessa preoccupazione ritorna, un secolo dopo, in un’opera sul medesimo tema dell’Augenio.39 Nell’Inghilterra settecentesca si andrà anche oltre: riviste e giornali cominciarono a dispensare consigli medici anche con intenti religiosi, come faceva il metodista John Wesley, che con il suo fortunato Primitive Physick (1747) «insegnava ai poveri come curare la maggior parte dei propri mali con l’aiuto di semplici ingredienti di cucina», giacché ogni uomo «doveva prendere in mano la propria salute, oltre che la propria salvezza».40 In Italia ricettari e appunti di argomento medico a uso privato sono stati stilati da molti secoli, e sono spesso inseriti in testi miscellanei che giacciono tuttora inediti in biblioteche e archivi. Uno di questi documenti fu riesumato anni fa dalla Biblioteca Vaticana da Gerhard Ernst, interessato a ricostruire le vicende del romanesco antico.41 Si tratta di un ricettario copiato da un certo Stefano Barocello, a cui dobbiamo gran parte del codice (probabilmente scritto tra il 1434 e il 1449). Il ricettario è scritto qua e là nel codice, del quale occupa con continuità gli ultimi fogli: ciò «indica ovviamente che esso è stato scritto dopo tutti gli altri pezzi del registro».42 Come osserva Ernst, «ci troviamo di fronte a qualcosa di molto semplice, e senza pretese scientifiche; le medicine adoperate sono alla portata di tutti, o quasi: prezzemolo, sedano, aglio, lattuga, indivia, latte di donna, 38 39

Cfr. M. Ficino, Consilio contro la pestilentia, Firenze 1481, p. 48 r. Cfr. O. Augenio, Del modo di preservarsi dalla peste, Fermo 1577, p.

200. 40

R. Porter, Strategie terapeutiche, in M.D. Grmek (a cura di), Storia del pensiero medico occidentale, 2. Dal Rinascimento all’inizio dell’Ottocento, RomaBari 1996, pp. 335-380, a p. 344. 41 Cfr. G. Ernst, Un ricettario di medicina popolare in romanesco del Quattrocento, in «Studi linguistici italiani», 6(1966), pp. 138-175 (nei brani che citerò non riproduco le parentesi usate dall’Ernst nella sua edizione per indicare lo scioglimento di un’abbreviazione o l’integrazione di qualche lettera omessa). Un’antologia del testo è stata pubblicata e commentata da P. Trifone, Roma e il Lazio, Torino 1992, pp. 151-154. 42 Ernst, art. cit., p. 140.

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sangue ed escrementi d’animali domestici, foglie, fiori, radici, frutti di piante comuni selvatiche e coltivate».43 Il ricettario del Barocello è un esempio di medicina senza medico: non solo perché non è evidentemente un medico l’estensore del testo, ma perché non c’è nessuna mediazione linguistica rispetto ai presidi terapeutici suggeriti o alle patologie indicate. Spesso si nomina semplicemente l’organo offeso, senza entrare in particolari: All’ochio [‘per l’occhio’] Agi lo suco dell’acio [‘prendi il succo del sedano’] e stenperalla coll’aqua rosata, ponila nell’ochio.

Altre volte si ricorre a perifrasi descrittive: «Allo corrompere dell’omo la notte» ‘per prevenire la polluzione’,44 «A chi avessi lo corpo grosso o fossi retrolico [‘idropico’]»; anche molto analitiche: «A una pongetura de subia o d’aco o d’acuto o de volla o de çeppa de spina» ‘a una puntura – o meglio: a una lesione – prodotta da lesina, ago, chiodo di varia forma (acuto o volla), spina’». La terminologia puntuale comprende il tipo mal(e) di, del quale abbiamo visto sopra altri esempi (p. 50) (male della preta, cioè ‘della pietra’ [‘calcolosi’], male dello viçio ‘malattia venerea’) e pochi termini specifici, tutti di larga diffusione popolare: renella, intrace ‘antrace’, tinga ‘tigna’, petina ‘impetigine’. Ancora una volta sarebbe imprudente ritenere che un testo del genere non sia pensabile se non nel Medioevo. Nell’archivio della famiglia Pistilli, a Vinchiaturo (Campobasso), si conserva la copia ottocentesca («Fatta in Lucera nell’anno 1827») di una «Raccolta di molti e diversi segreti, contenuti in un manoscritto del sacerdote dell’ordine de’ MM. OO. P. Francescant.o Sabbatelli da Molfetta».45 43

Art. cit., p. 141. Da notare che polluzione notturna è già nel Cavalca (XIV secolo): cfr. GDLI (= Grande dizionario della lingua italiana fondato da S. Battaglia, Torino 1961-2002), vol. XIII, p. 787. 45 La «Raccolta» è fedelmente trascritta e pubblicata in I segreti dello speziale, a cura di L. Pistilli Giordano, Campobasso 2003. I “segreti” saranno citati in base al numero d’ordine. 44

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Il testo assembla oltre 600 tra ricette e aforismi soprattutto pertinenti alla salute (in accezione larga: vi rientrano a pieno titolo anche i comportamenti volti a favorire benefici influssi degli astri) e alle attività domestiche e artigianali. La lingua è ricca di meridionalismi lessicali e non è immune da alcuni vistosi regionalismi fonetici. Al colorito popolareggiante fa riscontro – ed è questo sicuramente il dato più significativo della Raccolta – il carattere insieme popolaresco e arcaico di un testo che, nella stesura originaria, secondo la ricostruzione della curatrice, risale al XVIII secolo. La tipologia del testo è ancora quella dei suoi archetipi medievali: un singolo estensore raccoglie notizie varie, parte da fonti antiche, parte da fonti moderne, parte evidentemente dalla tradizione orale – le più interessanti per noi – e le trascrive di séguito senza nessuna strategia espositiva, con l’intento di allestire un promemoria pratico per sé e per i suoi familiari. Di qui, per cominciare, l’assoluta casualità delle sequenze. Esemplificando dai primi “segreti” della serie, passiamo dall’economia domestica (1: come togliere le macchie d’inchiostro; 2 e 3: raffinazione del salnitro) alle malattie infettive (4: cura della quartana), alle tecniche di pesca (5: per afferrare un pesce nell’acqua, basta ungersi le gambe col succo di una certa erba), all’ostetricia (al «Rimedio per far secondare le Donne» – cioè per favorire l’uscita degli annessi fetali dopo il parto – è dedicato il n° 6). La gamma delle prescrizioni è singolarmente vasta. Comprende per esempio l’eliminazione dei peli superflui (131: «Il Sangue delle nottole non lascia rimettere né nascere peli») o l’induzione del silenzio in un crocchio di persone vocianti (257: «Portato un rospo dove sono molte genti subito vi fa nascere tra loro un insolito silenzio»). Come in quest’ultimo caso, i rimedi sono spesso bizzarri e imprevedibili (per «le Madri delle Donne», cioè per i disturbi uterini, si suggerisce tra l’altro che la paziente pigli «una camicia d’uomo sudata, se la ponga avanti al naso, o addosso»: 311). Talvolta, paiono curiosi gli stessi scopi da raggiungere (il titolo del n° 317 recita: «Per tirare coregge, osiano pedeta»: ma si tratta di una terapia, alquanto rozza, per affrontare il meteorismo). L’estensore non

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si imbarazza nemmeno parlando di afrodisiaci (86: «Il membro del lupo essendo ridotto in polvere eccita grandem.te la libidine») o – che è più strano – di pratiche abortive (295: «Una dramma e mezzi di granelli di lauro [...] ammazza le creature nel ventre»). Il rinnovamento scientifico sei-settecentesco non sfiora neanche tangenzialmente la Raccolta. Di nomi di malattie, l’estensore conosce solo quelli che si usavano già cinque secoli prima: il mal caduco (134), la tisi (tisici: 135), la podagra (podagre: 137), la pietra, cioè la ‘calcolosi’ (167), le emorroidi (emorroide: 328) l’itterizia (iterizia: 330). Qualche volta si sente il bisogno di glossare un termine ritenuto evidentemente poco comune o poco perspicuo: il grasso dell’anguilla «cura la lopecia, cioè a q.lli che li cascano li capelli» (328; si tratta naturalmente dell’alopecia); il grasso di trota «è buono a sanare le ragadie o siano fisture del sedere» (332). In un caso il nome della patologia è confuso con quello dell’organo che ne è affetto: «Mirabile segreto per l’ostruzione, osia milza» promette il n° 392. Un grande grecista, Gennaro Perrotta, scrisse che Erodoto fa spesso professione di incredulità di fronte a tradizioni che gli paiono leggendarie, come le notti polari, salvo poi «essere molto meno scettico sui serpenti alati d’Arabia e sulle formiche giganti del deserto indiano, più grandi delle volpi, che ammassano una sabbia mescolata d’oro».46 Anche l’estensore della nostra Raccolta prende le distanze da alcune prescrizioni e dalla fonte a cui esse risalgono (136: «Stringendosi il deto grosso del piede destro fortem.te, fa stagnare il sangue che viene dal naso. Se si deve credere ad Aetio, che ciò scrive»). Ma, proprio come faceva Erodoto per alcune leggende, accoglie come plausibili pratiche evidentemente superstiziose. Solo un esempio: «La pietra Silinite si gira secondo il giram.to della luna: colui che se le metterà al collo legata con un filo d’argento, entrando la Luna nel segno di Tauro, o Granchio, 46

G. Perrotta, Disegno storico della letteratura greca, Milano-Messina 1959, p. 213.

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e tenendo gli angoli che le si convengono, avrà lo Spirito suo lunare» (144). L’interesse di un testo come la Raccolta è dato non – come avviene di norma quando si studia un testo settoriale del passato – dalla sua antichità, ma viceversa dalla sua modernità: una modernità, s’intende, solo cronologica. Questo, infatti, è notevole: che poco più di due secoli fa, sia pure in un’area appartata del nostro Mezzogiorno, un estensore non digiuno di lettere (comunque in grado di citare, di seconda mano, i grandi filosofi e scienziati dell’antichità classica) potesse scrivere cose che rimandano all’orizzonte culturale di cinque secoli avanti, come se il tempo fosse restato immobile.

3. Uno sguardo ai dialetti Con l’eccezione del Lancillotti, che domina una terminologia specifica, gli scriventi su cui ci siamo soffermati in questi due ultimi paragrafi ci fanno intravedere qualcosa della ricezione dei tecnicismi medici nella cultura popolare.47 Conviene fare qualche passo in questa direzione, accantonando l’uso dei singoli (e i loro intenti persuasòri) e guardando ai termini stratificatisi nei dialetti. Gli strumenti fondamentali per una ricerca del genere sono, prima ancora che i vari dizionari dialettali, gli atlanti linguistici: l’AIS, la grande impresa realizzata in Svizzera nel primo Novecento (anche se sono poche le nozioni mediche di cui sia stata sondata la resa dialettale), e soprattutto l’ALI, fondato su materiali raccolti nel medio Novecento, del quale è stato pubblicato recentemente il volume dedicato al corpo umano e a un buon numero di malattie che lo affliggono.48 47 Ancora di qualche utilità H. Urtel, Prolegomena zu einer Studie über die romanischen Krankheitsnamen, in «Archiv für das Studium der neueren Sprachen und Literaturen», 130(1913), pp. 81-116. 48 Cfr. rispettivamente K. Jaberg - J. Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, Zofingen 1928-1940 (= AIS) e Atlante linguistico italiano, vol. II, Il corpo umano, carte 94-202, Roma 1996 (= ALI). Avverto che tutte le trascrizioni fonetiche che darò sono semplificate, e quindi

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In un certo numero di casi si ricorre a un’espressione generica: per “potrebbe ferirsi” (AIS, vol. IV, carta 676), per esempio, è largamente diffuso l’iperonimo “farsi male”: purìa farse mal (Limone Piemonte, Cn), el podarìa farse male (Crespadoro, Vi), potrap fesc mèl (Loiano, Bo), potrebbe farzi male (Siena), se putére fa male (Formicola, Ce), si putia fari mali (Avetrana, Ta). Il dialetto di Tempio, in Sardegna, povero di termini astratti, fa ricorso a perifrasi come mancanza di, dulól di, malatìa di.49 La resa del tecnicismo con parole del corrente lessico dialettale, del resto, è la norma. A Vittorio Veneto, per esempio, sono molte le patologie indicate dalla perifrasi mal de + il nome dell’organo colpito (mal de oci ‘oftalmia’, de gola anche ‘difterite’, dei polmoni ‘tubercolosi’, de rece ‘otite’ ecc.); il nome di un sintomo (mal del tai, cioè ‘del taglio’ per l’afta epizootica, così designata per le caratteristiche ulcerazioni su cute e mucose); di un animale che funge da termine di paragone (mal del molton ‘parotite, orecchioni’, mal de la lupa ‘bulimia’); di un santo che funziona come una sorta di scudo protettivo per il fedele (mal de san Valentin ‘epilessia’).50 Dalle carte 147, 158 e 184 dell’ALI, che illustrano le nozioni di “mal di testa”, “tosse canina” e “orecchioni”, ricaviamo che in nessun dialetto si adoperano, prevedibilmente, i tecnicismi cefalea (o emicrania), pertosse, parotite.51 In qualche caso, una patologia non talvolta approssimative, rispetto alle varie fonti utilizzate, atlanti e dizionari (scelta inevitabile, anche tenendo conto dei diversi criteri di trascrizione adottati da quelle stesse fonti). Ho rinunciato anche al segno [ö], sostituendolo con e, per indicare la caratteristica vocale indistinta dei dialetti centro-meridionali. Do conto dei comuni, non delle frazioni, quando esse coincidano con un punto di rilevazione e indico la provincia con la relativa sigla automobilistica. 49 Cfr. M.T. Atzori, Il lessico medico nel dialetto di Tempio, Modena 1961, p. 5. 50 Cfr. E. Zanette, Dizionario del dialetto di Vittorio Veneto, Treviso 1955, p. 328. 51 Ulteriore documentazione, per la parotite, in G. Petrolini, Una malattia del maschio. Su qualche nome italoromanzo della parotite epidemica, in corso di stampa in «Studi di lessicografia italiana», 22(2005).

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facilmente identificabile per il profano (anche italofono, in verità) è rappresentata da patologie affini: per “prostatite” (ALI, 194) è frequente il tipo “mal della pietra” che già conosciamo (Friuli, Veneto, Romagna; anche li calcoli ad Antrodoco Ri e renella, rinella a Pieve Torina Mc e Bastia Pg); mentre uno dei più tipici sintomi della prostatite – e dell’ipertrofia prostatica –, la stranguria, è rappresentato a Udine, Cortona, Soci Ar come ritenzione (ritenzion, ritension) d’urina o di urine. È raro che un tecnicismo diffuso nella lingua sia uniformemente presente nei dialetti. Qualche volta l’allarme sociale legato a certe patologie ha promosso una conoscenza relativamente larga dei termini che le designano. Non meraviglia che sifilide, parola creata dal Fracastoro (cfr. p. 37) ma diffusasi in testi italiani più tardi (DELIN, p. 1526), sia diventato attraverso il latino scientifico un termine internazionale;52 colpisce invece la sua rappresentanza dialettale, ben distribuita nel territorio nazionale, anche se più nei centri urbani che in quelli rurali (ALI, 202: da Torino a Teramo, dalla Sardegna alle Marche, dal Friuli alla Romagna, con singole emersioni in punti sparsi, come Monteleone di Spoleto Pg, Marcellina Rm, Popoli Aq, Oppido Mamertina Rc).53 Notevole anche la presenza (per quanto più rada e nettamente concentrata in aree urbane) di difterite, se si tiene conto che il termine è stato coniato in Francia nel primo Ottocento ed è attestato in italiano per la prima volta nel dizionario del Marchi, nel 1829 (DELIN, p. 463): da ALI, 157 risulta che il tecnicismo è rappresentato in Alto Adige (Castelrotto e Colfosco), Trentino (Trento e Daiano), Bologna, Ravenna, Forlì, Siena e Cagliari.54 52 Cfr. francese e inglese syphilis, tedesco Syphilis, spagnolo sifilis, neogreco sífilis, svedese e ceco syfilis ecc. 53 Molto meno diffusi i tipi “peste”, “mal francese” (Canazei Tn e Seui Nu) e il gergale la zia (Siena). 54 Un altro tecnicismo ottocentesco, croup (un anglicismo forse mediato dal francese che indica propriamente un sintomo particolarmente allarmante: la grave dispnea che rischia di soffocare i bambini) si ritrova a Dolianova Rc e a Oppido Mamertina (gruppillu), mentre in grip (Torino) c’è forse confusione con grippe; per il resto, il tipo più rappresentato è “angina”.

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Ma in genere, quando un tecnicismo medico è largamente presente nei dialetti, vuol dire che siamo di fronte a termini molto antichi, già presenti nel corpus degli scritti ippocratici (diarrea, epilessia, idropisia, podagra, tisi, erisipela, apostema, emorroidi...): sono termini che talvolta indicano una «patologia molto ampia, vaga, generica»55 e che, anche per questo, ripetuti da generazioni di medici pratici in relazione a fattispecie varie se non eterogenee, hanno finito col ricadere qua e là nei singoli dialetti. Il grecismo diarrea (AIS, IV 677 e ALI, 163) è abbastanza diffuso al Nord, in Toscana, Sicilia e Sardegna, in riferimento sia all’uomo sia agli animali; nei dialetti centro-meridionali, a parte il grecismo zile, zire (Trevico e Senerchia Av, Monte San Giacomo Sa, Spezzano Albanese Cs),56 predominano formazioni trasparenti come sciolta (Perugia, Pisticci Pz), cacarella (Pietralunga Pg, Acri Cs) o cacaredda (Alberobello Ba, Vita Tp), cacaiola (Radda in Chianti Si), flusso (Sinalunga Si), scioglimendi (Acquaformosa Cs). Meno estesa la diffusione di un altro grecismo, epilessia, attestato in una manciata di punti (AIS, IV 678 e ALI, 195: per esempio a Palmoli Ch: pupelessuy o in vari punti della Calabria: pilissia e altre varianti aferetiche); per il resto, dominano eufemismi vari: dal noto mal caduco (Corio To, Solferino Mn), spesso reinterpretato come mal caduto e suggerito dal sintomo più evidente di quella sindrome (Cerea Vr, Piteglio Pt, Sant’Oreste Rm) e da altre nominazioni incentrate sull’improvvisa perdita di coscienza tipica della crisi epilettica (accidente: Tricesimo Ud, Fara San Martino Ch; tocco: Napoli e Vernole Le) a iperonimi antonomastici come brutto male 57 (Sinalunga Si; anche 55 Come osserva, per lo specifico caso di idropisia, I. Mazzini, La medicina dei Greci e dei Romani, Roma 1997, p. 317. Per il riscontro col greco del corpus ippocratico cfr. Marcovecchio, Dizionario..., alle singole voci. 56 Ma è tipo anche salentino (zila: cfr. G. Rohlfs, Vocabolario dei dialetti salentini, München 1959, vol. II, p. 840). 57 Poi passato a indicare, con meccanismo eufemistico analogo, una malattia come il cancro, più diffusa di un tempo e oggi ben più temuta dell’epilessia. Da ALI, 197 si ricava un certo numero di rimozioni linguistiche, inferiori comunque a quelle per “epilessia” e anche più concentrate arealmente: brutto male (Dosimo Cr, Gazzo Veronese, Firenzuola

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semplicemente male: Pescarolo Cr, Sonnino Lt), mal cattivo (Pavullo nel Frignano Mo), dolore (Benestare Rc); evasivi come moto (Sicilia), mossa (Avellino), scossa (Monte San Giacomo Sa), vertigine (Scilla Rc), corpo (Giarratana Sr), nervoso (come aggettivo sostantivato: u nirvusu: Sicilia); a metonimie come contrattura (Mandanici Me), convulsione (Poviglio Re, Loiano Bo, Siena); a riflessi di antiche superstizioni come male della luna (Formicola Ce); fino alle numerose perifrasi formate col nome di un santo: male di san Giovanni (Pancalieri To), di san Bartolomeo (Coli Pc), di san Valentino (Mira Ve), di san Ginese (cioè ‘San Ginesio’; Castiglione di Garfagnana Lu), di san Donato (tipico del Mezzogiorno). Confusione col disturbo del sistema extrapiramidale noto popolarmente come ballo di san Vito (la corea) si hanno a Massa (mal de san Vido), a Dasà Cz e a Reggio Calabria (u ball i ssan Bitu). In un suo pregevole studio sui tecnicismi medici nel sardo, la Atzori individua tre tipologie significative di prestito:58 prestiti totali dall’italiano (cataplasma, nefrite); prestiti adattati alla fonomorfologia sarda (convulsiòni ‘convulsione’, epaticu ‘epatico’); nomi di malattie a forte componente locale come manus zaccadas [cioè ‘screpolate’] ‘ragadi’, pigadura ’e soli ‘eritema solare’, bentu cerbinu ‘orticaria’ [perché si credeva causata dal libeccio], gùtturu malu ‘tonsillite’, dolori a s’enna [cioè ‘alla porta’] ’e s’anima ‘gastralgia’, ogus malus ‘congiuntivite’, vomitus de sanguini ‘emottisi’, dolori de kostaus ‘pleurite’, perdita de sanguni ‘emorragia’. I vari dizionari dialettali esistenti si comportano variamente in merito alla registrazione della terminologia medica; se è naturale che tutti tesaurizzino i vocaboli dialettalmente specifici (quelli del terzo gruppo della Atzori), la registrazione dei priFi), mal cattivo (Moneglia Ge, Marano sul Panaro Mo, Marradi Fi), malaccio (Calenzano Fi, Badia Tedalda Ar), un diociliberi (Livorno), una cosa maligna (Francavilla in Sinni Pz e San Lorenzo Bellizzi Cs). 58 M.T. Atzori, Il lessico medico nel dialetto sardo campidanese, Modena 1962; le tipologie sono quattro ma tralascio, perché associabile alla seconda, quella dei «vocaboli correlativi al lessico medico» come glandula ‘ghiandola’ o gula ‘gola’.

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mi due è saltuaria o assente. In effetti parole come albuminuria, anemia, anestesia, angiologia, aorta – lemmatizzate da un lessicografo59 come milanesismi traducenti delle rispettive voci di lingua – non hanno nulla di dialettale e potrebbero essere omesse senz’altro: anche un dialettofono alle prese con nozioni inconsuete nel ridotto orizzonte del proprio idioma è costretto a ricorrere a termini dedotti dalla lingua di cultura di riferimento. Quali che siano i criteri di lemmatizzazione adottati, può essere interessante osservare che alcuni tecnicismi della patologia sono abbastanza largamente attestati:60 sono prima di tutto quelli corrispondenti alle malattie (o alle manifestazioni morbose) che in passato erano più diffuse e la cui nominazione scientifica arrivava anche all’esperienza popolare. In un certo numero di casi siamo di fronte a nozioni ben presenti al medico attuale, ma ormai poco note al largo pubblico perché le relative patologie sono state sconfitte nel corso del XX secolo (almeno nel mondo occidentale) dai progressi della scienza. Così, la notorietà della febbre terzana e 59

A.M. Antonini, Vocabolario italiano-milanese, Milano 1983. Do le sigle dei dialetti e l’indicazione dei dizionari (tutti apparsi dopo il 1850) di cui mi sono servito in questo sondaggio: piem.: V. di Sant’Albino, Gran dizionario piemontese-italiano, Torino 1859; gen.: G. Casaccia, Dizionario genovese-italiano, Genova 1851; crem.: AA. VV., Dizionario del dialetto cremonese, Cremona 1976; ven.: Zanette, Dizionario...; friul.: J. Pirona, Vocabolario friulano, Venezia 1871; romagn.: L. Ercolani, Vocabolario romagnolo-italiano, Ravenna, s. d.; umbro (Magione): G. Moretti, Vocabolario del dialetto di Magione (Perugia), Perugia 1973; pis.: G. Malagoli, Vocabolario pisano, Firenze 1939; march.: G. Ginobili, Glossario dei dialetti di Macerata e Petriolo, Macerata 1963, con tre appendici: ibid. 1965, 1967 e 1970; roman.: F. Ravaro, Dizionario romanesco, Roma 1994; nap.: R. Andreoli, Vocabolario napoletano-italiano, Napoli 1966 (nuova ed.); pugl. (Giovinazzo): D. Maldarelli, Lessico giovinazzese-italiano, Molfetta 1967; sic.: Piccitto, Vocabolario siciliano... Doveroso avvertire che i diversi criteri di lemmatizzazione incidono inevitabilmente sulla rappresentatività dei dati: il vecchio dizionario del Sant’Albino appare, per esempio, eccessivamente generoso nell’includere voci che paiono tratte di peso dalla lingua, mentre il Vocabolario siciliano fondato dal Piccitto, attualmente il più ricco e attendibile dei dizionari dialettali contemporanei, è esemplare anche per questo rispetto. 60

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quartana era legata alla diffusione della malaria, la malattia che ha avuto carattere di endemia in gran parte del mondo fin dall’antichità: cfr. piem. terssana e quartana, gen. tersanna e quartanna, crem. tersaana, romagn. tarzana, ven. e roman. terzana, nap. terzana e quartana, sic. tirzana e quartana (si aggiunga, da ALI, 169, la diffusione di terzana nella comunità italiana di Istria e Dalmazia). Col termine idropisia si è indicato a lungo (attualmente si preferisce parlare di anasarca) un edema generalizzato nel tessuto sottocutaneo, accompagnato da versamenti nelle cavità sierose: un processo legato a varie affezioni, del quale i dialetti offrono una buona rappresentanza: piem. idropisia, gen. idropixia, crem. idrupesia, nap. idrubbesia e drubbesia, sic. druppicia. Ben vive, però, anche perifrasi popolari (ALI, 188) per “idropico”: pié d’aiva e pien de akua (Idro Bs e Stigno Tn), ha l’acqua ’n corpo (Toscana), tè l’acqua alla trippa, tene l’acqu’ aa panz (Cori Lt e Avellino) ecc. Anche la podagra – come la gotta in genere – era più frequente in epoche in cui le intemperanze alimentari erano più clamorose, per chi poteva permettersele: la fama popolare che ha accompagnato l’artrite urica, e che si è espressa in una vivace serie di caricature, era quella di essere la malattia dei crapuloni e dei gaudenti. Nei dialetti sondati si ritrova nel piem. podagra, nel gen. e nel march. podraga, nel nap. pudacra, nel sic. pudagra, nel sardo is proagas (Dolianova Ca; ALI, 188). Al polo opposto dei podagrosi, nell’immaginario popolare, stavano i tisici e gli etici;61 i due termini hanno assunto spesso nei dialetti e in lingua il valore figurato di ‘gracile, macilento, in cattivo arnese’ (cfr. GDLI, vol. V, p. 497): attestazioni dialettali in ALI, 187. Un’altra affezione molto più frequente un tempo (prima che la scoperta degli antibiotici consentisse di aggredirne con 61 Tisico ed etico hanno etimologia e storia diversa: il lat. medievale febris hectica ha modificato il significato originario da ‘abituale’ a ‘consuntiva’ finendo col sovrapporsi a phthisicus e col riferirsi a malati di tubercolosi polmonare cronica: cfr. Marcovecchio, Dizionario..., p. 417.

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successo l’agente patogeno, lo streptococco) era l’erisipela: il nome è rappresentato nella tradizione letteraria da una folta serie di varianti popolari, con aferesi vocalica62 (risìpola, resìpola, rosìpila ecc.: cfr. GDLI, vol. XVI, p. 818), ed è ben saldo nei dialetti: cfr. piem. e roman. risipola, ven. resipìla, march. resibola e rescibola, pugl. resipele, sic. rrisipela. In apostema, invece, non è in gioco il progresso della scienza, ma la mutata classificazione nosografica. Il grecismo, tradotto in latino con abscessus,63 ha assunto nella medicina antica, con filiazioni anche recenti nell’uso popolare (postema), uno spettro assai ampio di accezioni tutte incentrate sull’idea di ‘rigonfiamento, tumore’: dall’ascesso vero e proprio al suo contenuto (pus), fino alle numerose infiammazioni che possono presentare un ingrossamento delle linfoghiandole; ovvero, se vogliamo mantenerci nell’orizzonte concettuale del tempo, «tutte le affezioni dovute a irregolarità nell’economia degli umori».64 Ne derivano ampie attestazioni dialettali, per le quali basta rinviare a LEI, III, 114-12065 e ad ALI, 198. Molti sono, naturalmente, i termini patologici ancora pienamente attuali. Le emorroidi sono rappresentate popolarmente da forme aferetiche nell’italiano dei secoli scorsi (cfr. GDLI, vol. X, pp. 905-906 e 925)66 e nei dialetti: piem. moroidi, ven. 62 Come avviene anche per alcuni tipi che citeremo tra poco: postema (apostema), moroidi (emorroidi), morogia (emorragia). 63 Ibid., p. 77. 64 Cfr. G. Ineichen (a cura di), El libro agregà de Serapiom, Venezia-Roma, 1962-1966, vol. II, p. 250. 65 Lessico etimologico italiano edito da M. Pfister [poi anche da W. Schweickard], Wiesbaden 1979ss. 66 Notevole la concorrenza di varianti relative a quest’affezione: un manoscritto anonimo di argomento medico (Genova, fine del XV secolo) registra, tra forme volgari e latine, ben 18 alternative (cfr. G. Palmero, Il lessico del manoscritto inedito genovese «Medicinalia quam plurima». Alcuni esempi, in «Studi di lessicografia italiana», 14(1997), pp. 123-151, alle pp. 131-132); e Francesco Sansovino, che compilò un «vocabolario delle voci difficili» presenti nel trattato di Pietro de’ Crescenzi da lui volgarizzato, osserva che morici è «voce fiorentina et val il medesimo che emorroide, che i lombardi chiamano maroelle» (Pietro de’ Crescenzi, Le cose della villa, Venezia 1564, p. 443 r.).

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moroide e moroidi, friul. maruelis, umbro meroide, pis. moroide e morodie, march. moroti, rom. moroide, nap. murruojete, pugl. morroleie e merrodeie, sic. murroiti.67 Così l’emorragia è nota anche a piem. (emorogia), crem. (emuragia), umbro (morogia), sic. (murraggè e murraggia); la paralisi a piem. (paralisia), umbro (paralese), march. (paralise, ma è «voce poco usata»), sic. (paralisi e palarisa); per asma cfr. LEI, III, 1919-1924. È frequente che un tecnicismo finisca con l’indicare nei dialetti patologie o condizioni del tutto diverse e irrelate rispetto a quella originaria. A Magione l’acidità di stomaco è indicata come asema de stommeco (accanto al legittimo asema de petto per ‘asma bronchiale’); nel pisano postema può riferirsi al bolo alimentare che stenta a essere inghiottito (fà’ ppostema ‘di cibo che s’è fermato nell’esofago’); a Belmonte del Sannio l’epilessia è indicata da un derivato di anthrax ‘foruncolo’ e ‘carbonchio’; dall’aggettivo sostantivato arthritica muovono non solo l’antico artetica ‘artrite’, ma anche il barese arteddeche ‘orticaria’ e il laziale meridionale arteteche ‘ballo di san Vito’ (cfr. LEI, II, 1596 e III, 117, 1478, 1921). Qualche volta si perde qualsiasi relazione semantica con fatti patologici: l’“influenza” suona ’mprudenza a Cittanova Rc (ALI, 156), la ‘ritenzione di urina’ è una intenzion d’urina a Cortina d’Ampezzo Bl (ALI, 194), l’‘itterizia’ diventa, forse per antifrasi eufemistica, a delisia a Novi (Sv), sa delizzia a Porto Torres Ss e l’idelizzia a Monteleone di Spoleto Pg (ALI, 183). Talora nei dialetti si cristallizzano termini illustri nella storia della medicina. Ipocondria, per esempio, è una nozione sulla quale i medici del passato hanno versato i classici fiumi d’inchiostro, anche per la difficoltà di individuare quando i generici sintomi di dolore «agli ipocondri» lamentati da pazienti preda di gravi disturbi dell’umore avessero una causa organica;68 e a Magione sopravvive pocondria nell’accezione di 67 Notevole la rarità di perifrasi popolari come (ALI, 192) li vene rotte (Teramo), testi di vini (Malfa Me), mal dl urs (Schilpario Bg). In parte della Puglia e anche in altre zone del Mezzogiorno (come mi conferma il collega Pasquale Caratù) è diffuso il grecismo “stommacale”. 68 L’agg. hypochondriakós è già in Galeno, che lo adopera in riferimento a una varietà di melancholía (Marcovecchio, Dizionario..., p. 437).

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‘noia fortissima, stato di depressione’:69 dunque in continuità col significato antico, ben diverso da quello corrente di ‘eccessiva preoccupazione per la propria salute’. Altre volte termini di uso generale si affermano in un’accezione molto particolare, che conferma la scarsa propensione dei dialetti per le nozioni astratte e generalizzanti: cronico detto di malattia e di malato a decorso lento, in cui la prognosi quoad valetudinem è sfavorevole70 si riduce, nel romagn. incronic, a indicare il ‘vecchio paralitico affetto da malattia incurabile’ e insulto, un tecnicismo collaterale che indica qualsiasi ‘accesso morboso’, si specializza a Giovinazzo in riferimento al ‘colpo apoplettico’, alla ‘paralisi per colpo’ (nzulte). La popolarizzazione del lessico medico avviene, naturalmente, non solo nei dialetti ma anche nell’italiano familiare: si pensi a serie come mal di gola / faringite - angina, orecchioni / parotite, tosse asinina (o canina o convulsa ecc.) / pertosse; oppure, a un livello diastratico più basso, alla decurtazione di elementi semanticamente essenziali nei composti, come in acetone e glicemia invece di acetonemia o acetonuria (che sarebbero ben traducibili nel linguaggio corrente con acetone nel sangue o nell’urina) e iperglicemia (glicemia alta): «Il bambino ha l’acetone», «Mi hanno trovato la glicemia». E i medici di famiglia potrebbero mettere insieme un curioso campionario di malapropismi còlti in bocca dei pazienti meno istruiti, come ossoporosi ‘osteoporosi’, prospera ‘prostata’, strafistoli ‘extrasistoli’, eurosol ‘aerosol’ (tutti esempi reali).

Oggi ipocondria appartiene piuttosto all’uso comune che non a quello specificamente psichiatrico. 69 A un significato simile rimanda l’Appocundria cantata dal napoletano Pino Daniele (1980). 70 L’attestazione più antica di cronico in quest’accezione si deve a Teresa Perillo Lancillotti, moglie del chimico Carlo (1677): cfr. Serianni, Popolarismi e tecnicismi..., p. 348.

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4. Guarigioni promesse e guarigioni contrattate Nella lezione d’apertura al corso bolognese di Clinica medica dell’anno 1906-1907, il Murri si sofferma ampiamente sugli effetti perversi della pubblicità sanitaria coeva,71 senza risparmiare qualche frecciata a suoi più disinvolti colleghi: In tanta furia di laudi per un farmaco, per un composto, per un’acqua (laudi onde s’alimentano le terze e le quarte pagine di molti giornali quotidiani, se non anche le prime e le seconde) io mi compiaccio di non vedere mai stampato il mio nome. [...] Data la nostra istruzione elementare, per cui ogni donnetta e ogni spazzacammino impara a leggere solo per non leggere forse mai più in tutta la sua vita, capita pure che qualche giornale, prima o dopo, cada sotto gli occhi di costoro. Allora questo povero diavolo impara mille cose meravigliose: sa che con pochi soldi può vincere un terno al lotto, come guarire d’una tisi, d’un cancro, d’una neurastenia o, quel ch’è più, di quella terribile impotenza sessuale che tutti gli asini dei suoi medici non seppero mai vincere. Quella quarta pagina è uno dei tesori della povera gente. Con cinque centesimi appena costoro ricevono i consigli di medici illustrissimi, i quali li assicurano che le cartine tali o le acque tali altre o la mistura x guariscono il loro male. Perché andare a consultare il dottore, che non sa niente e vi fa spendere quattrini a benefizio del farmacista? [...] non c’è sagrestano o indovino che non possano consigliare anch’essi l’uso del bromo, dell’arsenico, del fosforo, della stricnina.

In effetti, dando un’occhiata ad alcuni giornali apparsi solo qualche anno prima della denuncia del Murri,72 non si può che dare ragione al grande clinico. Il dato saliente, che ricorda da vicino le promesse dei ciar71

Cfr. Murri, Lezioni..., pp. 89-130, alle pp. 93-94. Ho spogliato i seguenti giornali, che indico in ordine cronologico: «La Capitale» (Roma, 3.1.1871; «Ca»); «Corriere della Sera» (Milano, 2425.5.1881; «CS»); «Il Tempo» (Venezia, 4.7.1883; «T»); «Gazzetta di Messina» (Messina, 2.7.1887; «GM»), «Il Piceno» (Ascoli Piceno, 2.11.1889; «P»); «Corriere nazionale» (Torino, 22.10.1892; «CN»). 72

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latani vecchi e nuovi, è la gamma ampia, eterogenea e tendenzialmente aperta (si veda l’ecc. che chiude il primo esempio) dei mali che un singolo farmaco sarebbe in grado di curare. In «Ca» vanta la propria perizia un «Chimico-Fisico-Specialista [...] giunto testé da Napoli» il quale, «dopo lunghi studi ed accurate esperienze, ha preparato molte mediche specialità atte efficacemente a guarire, con sicuri risultati», l’«impotenza virile», l’«aborto ripetuto delle donne», «le malattie nervose, le cattive digestioni, le inappetenze, la clorosi,73 l’itterizia, la sordità ecc.». In «CS» si reclamizza il Vino di Peptona di Defresne, «impiegato sempre con successo contro Il disgusto degli alimenti, L’Inappetenza, La Gastralgia, La Debolezza, I Pallidi colori, L’Anemia, La Consunzione, Le Crescenze rapide, l’Amenorrea». L’emulsione di Scott, come si legge in «GM», «Guarisce la Tisi, Guarisce la Anemia, Guarisce la debolezza generale, Guarisce la Scrufola [sic], Guarisce il Reumatismo, Guarisce la Tose e Rafredori [sic], Guarisce il Rachitismo nei fanciulli». L’Acqua minerale salso-jodica di Sales – apprendono i lettori di «P» – «Guarisce la scrofola, la rachitide e risana i tempe[ra]menti linfatici»; inoltre «spiega i suoi benefici effetti in tutte le affezioni glandolari che affliggono il corpo in diverse parti come forme morbose di varie indole [sic], nelle malattie delle ossa e del periostio con piaghe o carie, nei tumori di diverso genere, nel gozzo, nell’asma e in chi soffre di artrite; nelle erpeti o malattie varie della pelle con croste e piaghe, nelle durezze uterine e negli ingrossamenti ghiandolari del mesenterio e delle ovaie; nelle oftalmie dei ragazzi linfatici o scrofolosi [...]».74 73 La clorosi (oggi si parlerebbe di anemia ipocromica) era considerata un male tipico delle ragazze all’epoca della pubertà. Emilio Cecchi nel 1940 scriveva: «La famosa clorosi dei tempi romantici è una malattia nei nostri paesi quasi scomparsa» (cit. in GDLI, vol. III, p. 232). 74 E che dire dello «Sciroppo pantopatico, sovrano depurativo del sangue» (versione aggiornata dell’antica panacea), reclamizzato nel n° 1091 della «Capitale» del 1873? Attingo la notizia dalla tesi di laurea inedita di C. Pontoni, La lingua della pubblicità sanitaria nel secondo Ottocento. Aspetti lessicali, Università di Roma “La Sapienza”, anno acc. 1991-1992, p. 211.

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La lista delle malattie potrebbe suggerire qualche riflessione non tanto sull’epidemiologia dell’Italia di fine Ottocento (che non potrebbe essere studiata su queste basi), ma piuttosto sulla percezione che la società ottocentesca aveva della malattia e quindi sulla sua recettività alle promesse di cura pubblicizzate dai giornali. Abbiamo già accennato alla clorosi; spicca il riferimento, diretto (tisi) o indiretto (consunzione, scrofola) alla tubercolosi, la malattia che – insieme alle malattie veneree – suscitava il maggiore allarme sociale e, a differenza di quelle, ha trovato ampia rappresentazione nella letteratura europea tra Otto e Novecento. E, tra i farmaci, campeggia – in una società in cui anche bambini e ragazzi borghesi avevano sovente problemi di ipovitaminosi e di alterato sviluppo scheletrico – quella sorta di ricostituente universale che fu l’olio di fegato di merluzzo, tra i pochi nomi di medicamenti a figurare in verso (e sia pure nell’irridente poesia giambica del Carducci).75 D’altra parte, è notevole qualche persistenza del passato: l’allusione all’antica dottrina umorale è considerata ancora redditizia, almeno per l’impatto sui lettori, se la pubblicità delle Acque di Sales è introdotta da un invito a grandi caratteri «Depurate il sangue e gli umori» («P») e se di certi Confetti di Joduro di potassio si dice che guariscono, tra l’altro, «tutte le malattie provenienti d’acrità di sangue e d’umori» («CS»). La scienza dell’epoca ha ben chiara la funzione biologica dei globuli rossi (scoperti da due secoli) e dei globuli bianchi (scoperti da più di un secolo) ma in «T» si può ancora leggere che il Quina Laroche ferruginoso, oltre a «facilitare le crescenze e le formazioni difficili», «procura al sangue la forza ed i globuli rossi che ne fanno la bellezza». E si aggiungano le «pillole dissopilative [sic]» garantite da un altro giornale,76 con una ter75 Il quale, in Intermezzo, vv. 137-140, mette in bocca a un poeta sentimentale e perdigiorno la seguente strofa: «Vero è, santa natura, che il mio cuore È un po’ delicatuzzo: Ma io lo tiro su, povero amore, A olio di merluzzo». 76 «L’Opinione» di Firenze (n. 37, del 1872: cfr. Pontoni, La lingua della pubblicità..., p. 110).

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minologia doppiamente arcaica: nella concezione, che risente della dottrina umorale,77 e nell’assetto linguistico, visto che due grandi dizionari medici ottocenteschi, pur registrando il lemma, rinviano altrove.78 I nomi delle malattie alternano parole ed espressioni non tecniche (cattive digestioni invece di ‘dispepsie’, debolezza invece di ‘astenia’) – e in qualche caso non si indica neppure una patologia ma un sintomo (Pallidi colori) – con tecnicismi più o meno trasparenti (banali anemia, oftalmia, scrofola; meno ovvi amenorrea e gastralgia). I due tecnicismi più impervi, mesenterio e periostio (entrambi in «P»), sono non casualmente di pertinenza anatomica, non patologica: la loro funzione non è quella di coinvolgere chi sia ammalato di tisi o di raffreddore, il quale deve riconoscersi come destinatario della pubblicità, ma quella di catturarne la fiducia, conferendo autorevolezza e scientificità al messaggio. Alla stessa funzione rispondono neologismi occasionali (che cosa vorrà realmente dire in «CS» che il già cit. Vino di Peptona è toni-nutritivo?) o riferimenti a principi chimici, i cui effetti vengono presupposti come noti e risolutivi: «Grazie all’efficace aggiunzione della Pancreatina» un olio di fegato di merluzzo «arriva completamente digerito nello stomaco e non produce mai vomiti né diarrea» («CS»). L’intento conativo può affidarsi a ingenue manifestazioni d’enfasi («Il Liquore guarisce gli accessi come per incanto»: «CS») o al parere di medici illustri, secondo l’andazzo deplora77 L’oppilazione era una nozione fondamentale nella medicina antica, indicando l’ostruzione di un canale anatomico che impediva la fuoriuscita degli umori corrotti, ed era considerata alla base delle più diverse malattie; per Dante, e per la cultura del suo tempo, dall’oppilazione poteva dipendere anche l’epilessia: cfr. Inferno, XXIV, 114. Il termine sopravvive al declino della teoria umorale; gli ultimi esempi sono del primo Ottocento (comunque ben anteriori al 1872): cfr. GDLI, vol. XI, p. 1064. 78 Cfr. Leone - Fantonetti - Omodei, Dizionario..., p. 358 (rinvio a deostruente, così commentato: «si diede questo nome a rimedj usati a riparare le ostruzioni») e Levi, Dizionario..., vol. II, parte I, p. 375 (anche qui il rinvio è a deostruente, di cui si dice: «Riponevano gli antichi sotto questa classe di farmaci gli emollienti, gli amari, i saponacei, varii purganti e specialmente il rabarbaro, l’aloe ed alcune acque minerali»).

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to dal Murri:79 una cura per gotta e reumatismi «è raccomandata dall’illustre dr. Nélaton e dai principi della medicina» («CS»); il produttore delle Acque di Sales si impegna a inviare gratuitamente un opuscolo propagandistico «contenente l’analisi e le attestazioni mediche» di cinque clinici, uno dei quali è il noto psichiatra e senatore del regno Andrea Verga («P»). Ben noto è anche il suo collega napoletano Mariano Semmola che, nella stessa pagina, firma una letterina al «Gentilissimo Signor Bisleri», dichiarando di aver trovato molto utile il Ferro-China «nella clorosi, negli esaurimenti nervosi cronici, postumi della infezione palustre ecc.». Un impatto pubblicitario difficilmente superabile è raggiunto da un’inserzione di «CN», che occupa quasi per intero la quarta pagina: le qualità del Pitecor d’infanzia, «finissimo olio di fegato di merluzzo», sono decantate da ben 23 dichiarazioni di medici e direttori di asili infantili. In qualche caso il tono è addirittura entusiasta: il «Dott. Ferrari Diego» di Crescenzago attribuisce al Pitecor un «benefico risveglio» di una non meglio precisata «attività plastica dell’organismo» nonché «un notevolissimo miglioramento della crasi sanguigna»; tutto ciò impone di «riconoscere nel preparato tali e tante preziose virtù da doverlo preferire a qualsiasi altro ricostituente dell’infanzia». Verrebbe da dire, insomma, che fino a un recente passato l’apparato messo in campo dalla medicina – o da coloro che si spacciavano per medici – ha attinto alle risorse della retorica per spaventare (come il dottor Purgon di Molière) o almeno per suggestionare i profani. Eppure, non mancano documenti che testimoniano di un contatto tra curatore e paziente improntato alla massima trasparenza. Gianna Pomata, in un saggio che abbiamo già avuto occasione di ricordare, ha studiato un istituto a lungo praticato a Bologna, ma documentato anche in molte altre città europee: il contratto davanti a notaio tra il medico, che si impegna a guarire il paziente entro un certo periodo di tempo, e il 79

M. Medici, La parola pubblicitaria, Venezia 1986, pp. 141ss. parla in proposito di «wellerismi».

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paziente stesso; se quest’ultimo ritiene «che nella transazione col curatore l’equità sia stata violata»,80 si rivolge al Protomedicato. Solo nel pieno Settecento si afferma il principio che le prestazioni del medico vanno retribuite a prescindere dalla guarigione:81 un principio che marca la crescente distanza tra il ciarlatano, che si abbandona a promesse mirabolanti, e il medico professionista, che deve agire in scienza e coscienza senza creare aspettative ingiustificate.82 Questi contratti hanno un certo interesse anche linguistico. I malati, quando si rivolgono ai Protomedici per avere giustizia, sembrano muoversi con sicumera, avanzando un’autodiagnosi che si contrappone a quella a suo tempo posta dal medico e adoperando la relativa terminologia tecnica (in parte dovuta, è lecito pensarlo, all’intervento del cancelliere che ha trascritto le dichiarazioni). Agata Aspertini (1633) dichiara: «aveva una flussione nel collo, onde l’umore calò nella mammella destra, dove era la flussione e vi fece un tumore, che passò in canchero ora incurabile»; e Ippolita Riccioli (1672): «Il mio male è mal di opilatione, che li medici lo chiamano ascites».83 Ma quando sono i medici che stilano il proprio contratto, essi assumono l’ottica del malato, la sua esperienza soggettiva della malattia; non c’è nessuna esibizione di tecnicismi: in primo piano è il recupero delle attività abituali (vestirsi, calzarsi, lavarsi le mani), con attenzione alla parte malata, non ai problemi clinici.84 Ecco un contratto del 1698, scritto dal curatore Antonio Maria Mondini, poi denunciato dal malato che ha versato un acconto e non è guarito entro i termini pattuiti: Io infrascritto, havendo osservato l’infermità di Giuseppe Pecoroni che ha dalla parte destra della sua vita principiando nella faccia, 80

Pomata, La promessa di guarigione..., p. 11. Ibid., p. 204. 82 È meglio, come osserva Laín Entralgo citando R.H. Blum, «non dire troppo frequentemente of course ma piuttosto I will do my best» (P. Laín Entralgo, Il medico e il paziente, trad. it., Milano 1969, p. 188). 83 Pomata, La promessa di guarigione..., pp. 261 e 267. 84 Ibid., pp. 64-68. 81

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mi dichiaro e m’obbligo di guarirlo della sud. infermità per questo Natale prossimo a venire senza alcuna pretensione d’alcun denaro; con patto però che [se] havrò guarito detto male o infermità il d. Pecoroni sia obligato a farmi un regalo di lire cento di quattrini. In fede di ciò mi sottoscrivo. Antonio Maria Mondini afermo quanto sopra ma non nel tempo che dice (in venti giorni in più).85

Le condizioni del contratto (impegno esplicito di guarigione, definizione dei tempi e del compenso) rendono inutile l’emersione di intenti conativi. Non solo: la pattuizione a due, tra medico e paziente, fa sì che qualsiasi particolare clinico sia superfluo. Basta che il Mondini e il Pecoroni sappiano qual è l’infermità che il secondo presenta «dalla parte destra della sua vita principiando nella faccia»; un’infermità che sarebbe superfluo descrivere, con o senza termini tecnici: mentre sarebbe stato necessario farlo non solo per pubblicizzare le capacità del medico presso un più ampio pubblico, ma anche per comunicare una certa esperienza clinica ad altri medici o magari ai posteri.

5. Parole tecniche dal medico al paziente La grande maggioranza degli àmbiti settoriali (la fisica nucleare, la mineralogia, l’islamistica...) resta quasi interamente inaccessibile ai profani, anche se singole parole penetrano nel linguaggio giornalistico e nel linguaggio comune con forti rischi di banalizzazione.86 In qualche caso, invece, anche l’uomo 85

Ibid., p. 357. Il fenomeno riguarda in generale l’insieme dei linguaggi settoriali, ma è molto più accentuato per quelli di maggiore portata specialistica, come (tra i tanti) la matematica e la filosofia. Si pensi alle recenti accezioni, addirittura paradossali guardando al significato specifico dei due termini, di teorema adoperato indebitamente nel senso di ‘insieme di fatti collegati tra loro in modo teleologico, destinati a disintegrarsi se sottoposti a una verifica’ (il teorema del giudice Tale o simili) o di apodittico 86

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della strada viene variamente a contatto con un certo sapere specialistico. Oggi la terminologia informatica è diffusamente nota, almeno alla fascia giovanile della popolazione e a quella adulta istruita; oggi come ieri è difficile ignorare del tutto la terminologia giuridica e pressoché impossibile non fare i conti con quella medica nell’arco della propria vita. Anche quanti hanno scarsa cultura generale e magari ignorano tranquillamente la differenza tra vena e arteria, imparano presto a maneggiare una parte della terminologia patologica se si trovano a fronteggiare qualche malattia col relativo corredo di accertamenti diagnostici.87 Come m’è capitato di osservare recentemente,88 un adolescente che si faccia male in una partita di calcetto potrebbe imparare a sue spese non solo il nome di ulna e radio, ma anche espressioni più tecniche come apofisi ulnare e testa del radio e la vecchietta che esca dall’ambulatorio potrebbe dire a un’amica che il medico le ha trovato le transaminasi alte (senza sapere nulla di biochimica, ma capendo tuttavia l’essenziale, anche grazie alla spiegazione del medico, cioè che si tratta di un indice di alterata funzionalità del fegato).89 Nelle conversazioni correnti, in presenza o in assenza degli interlocutori (telefonate), potremmo cogliere molti tecnicismi del genere. Per il passato, dobbiamo rivolgerci a documenti scritti. Nelle raccolte di consulti clinici, un genere testuale assai forusato non col valore di ‘rigorosamente dimostrabile’ bensì con quello di ‘dogmatico’ e quindi ‘indimostrabile’ (Le tue sono affermazioni apodittiche: speravo che volessi ragionare). 87 Il fenomeno, naturalmente, non è solo italiano; per lo spagnolo cfr. per esempio J. Locutura e Á. Grijelmo, Defensa apasionada del idioma español, también en medicina, in «Panace@», 4(2001), pp. 51-55, alle pp. 52-53. 88 L. Serianni, Italiani scritti, Bologna 2003, p. 83. 89 Però, nel colloquio col medico, il paziente che sfoggi tecnicismi – spesso in modo approssimativo e comunque senza essere in grado di gestirne coerentemente l’uso – sarebbe generalmente giudicato con fastidio dal sanitario, che lo considererebbe a seconda dei casi un saccente, un intruso o un ipocondriaco: cfr. C. Caffi, La mitigazione. Un approccio pragmatico alla comunicazione nei testi terapeutici, Pavia 2000, p. 202.

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tunato nel Sei e Settecento,90 si parte dalla richiesta di un parere indirizzata a un medico di fama sulla base «di brevissime e monche notizie anamnestiche scritte spesso da persone ignare di medicina».91 Qualche volta a interpellare direttamente il grande clinico è il paziente stesso, come accade nel caso del faentino G.C. Naldi, che scrive al Malpighi, non convinto del «decotto» prescrittogli dal suo «signor medico».92 Ma il Naldi si esprime in modo impeccabile, proprio come avrebbe fatto un medico dell’epoca («osservandosi di quando in quando nel fondo di essa urina materia viscosa, che pare saniosa»), con pieno dominio di tecnicismi anatomici e patologici (perineo, abscesso): è fondato il sospetto che il Morgagni, il quale trascrisse con pietas di collega più giovane i consulti del Malpighi,93 abbia adeguato questa missiva al livello richiesto da una raccolta del genere. Meglio allora rivolgerci all’epistolografia, che non pone nessun problema di accertamento della lezione originale. È noto che, nella difficoltà di contatti diretti e nell’impossibilità di disporre della tecnologia novecentesca, le lettere private rappresentavano fino a un recente passato un momento essenziale della comunicazione interpersonale, sottoposta a una codificazione relativamente rigida. L’argomento “salute” (con notizie date su quella del mittente e richieste su quella del destinatario, ed estese nell’un caso e nell’altro alla cerchia familiare o amicale) costituisce un passaggio obbligato, la cui omissione è fonte di allarme: e le «informazioni sulla salute indulgono in particolari e non rifuggono dai tecnicismi del linguaggio medico».94 Ecco come Ernesta Bono Ca90

Cfr. D’Acunti, Tecnificazione..., pp. 214-222. Come osserva E. Benassi, a proposito del Morgagni, nell’introduzione a G.B. Morgagni, Consulti medici, Bologna 1935, p. XXV. 92 Cfr. G. Plessi (a cura di), Consulti di Marcello Malpighi (1675-1694), Bologna 1988, vol. I, p. 62. 93 Ibid., p. XXXIV. 94 G. Antonelli, Tipologia linguistica del genere epistolare nel primo Ottocento, Roma 2003, p. 47 e, per l’esemplificazione, Id., Lettere familiari di mittenti cólti di primo Ottocento: il lessico, in «Studi di lessicografia italiana», 18(2001), pp. 124-226, alle pp. 202-205. 91

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vallini esordisce in una lettera alla figlia Fedelina del 23 giugno 1865:95 Mia amatissima jeri mi giunse la qui acchiusa lettera di Cecchina, che lessi per aver sue notizie ed ora te la spedisco, unendovile quelle del caro tuo genitore. Egli fu tre giorni senza febbre e con progressivo miglioramento, ma jeri senza causa alcuna apparente gli sopravvenne altro accesso febbrile, che gli continuò tutta la notte e declina ora, anzi è sul cessare (sono le 6 antimeridiane), per cui gli abbiamo amministrato la prima dose di chinino, nuovamente prescritta.

Le notizie sulla salute, propria e dei destinatari, accomunano scriventi borghesi, popolari,96 intellettuali. Anche i grandi scrittori, nei loro epistolari privati, diventano persone qualsiasi, coinvolte, anzi dominate, dai problemi di salute. Non fa eccezione, tutt’altro, Giacomo Leopardi; e non parrà indiscreto dare un’occhiata all’uso del lessico medico che si ritrova nelle sue lettere. Rispetto al “mittente cólto” ottocentesco, il grande poeta – che parla spesso di salute – adopera pochi tecnicismi: si direbbe badando alla realtà dei suoi mali, con indifferenza alle etichette della medicina. Scrivendo all’amico medico Francesco Puccinotti nel 1827, il Leopardi (che in una lettera successiva allo stesso corrispondente si sarebbe dichiarato «ignorante della materia») lamenta di essere «travagliato [...] da un’estrema debolezza (o comunque io la debba chiamare) de’ nervi degli occhi e della testa».97 Non vanno oltre le conoscenze medie attribuibili 95

Attingo dalla tesi di laurea inedita di C. Righetti (Università di Roma «La Sapienza», anno acc. 2001-2002, vol. II, p. 83), intitolata Gli scritti di Ernesta Bono Cavallini. Edizione e commento di un testo privato femminile dell’Ottocento. Ernesta Bono (Milano 1808 - Belgirate 1867), andata sposa a Marco Cavallini nel 1827, apparteneva a una nota famiglia di patrioti lombardi. Il materiale è conservato presso il Museo Centrale del Risorgimento di Roma. 96 Cfr. R. Martinoni, «Niente che tribulare e dispiacere...». La malattia e il dolore nelle lettere degli emigranti in California, in AA. VV., Dal buco della serratura. 10 anni Associazione Triangolo Sopraceneri, Locarno 2003, pp. 57-71. 97 Cfr. G. Leopardi, Lettere, in F. Flora (a cura di), Tutte le opere di G. L., Milano 19776, pp. 847 e 778.

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a un profano coevo le osservazioni diagnostiche contenute in una lettera al fratello Carlo del 1827: «I miei denti cariati son due: il dolor presente nasce da flussione; ma saprai bene che non v’è mai dolor di denti senza concorso di flussione: la carie richiama gli umori».98 Una nota di autoironia sulla propria incompetenza medica e insieme sulle proprie ansie ipocondriache si coglie in una lettera al fratello Pierfrancesco del 1830: «Sto sempre col mio gran raffreddore di testa e di petto, eccessivamente incomodo, ma di niuna conseguenza; e il medico ride ancora della mia opinione che questo male mi divenga cronico e perpetuo, come l’altre mie beatitudini».99 Per indicare un’alterata funzione dell’attività intestinale Leopardi ricorre a un termine assai diffuso – e adoperato anche dai medici – come stitichezza (lettera al padre, 1825), ma anche a dizioni popolari come «riscaldazioncella d’intestini» (stessa lettera); di «ostinata riscaldazione d’intestini e di reni» parla in un’altra lettera a Monaldo (1826).100 Col fratello Carlo adopera un tono fortemente informale e può permettersi cacare («Quanto alla salute, io sto meglio [...] e per servirti vedrò di cacare ogni giorno»; 1825).101 Familiare è anche l’uso di costipazione per ‘raffreddore’ («Ho pagato anch’io il mio tributo alla stagione cattiva, con una costipazione»: a Monaldo, 1835),102 un’accezione di cui non c’è traccia in Levi, Dizionario... (vol. I, parte II, pp. 1423-1464; la voce costipazione ha il solo significato di ‘stitichezza’). Ben più importanti, per le ricadute sulla sua attività creativa, sono i disturbi agli occhi, di cui il poeta si lagna spesso. In alcuni casi c’è di mezzo, a quel che sembra, una congiuntivite: «mi trovai sorpreso da una flussione d’occhi ostinata, che m’impediva non solo lo scrivere, ma anche il dettare, obbligandomi a vivere quasi 98

Ibid., p. 774. Per flussione cfr. Levi, Dizionario..., vol. III, parte II, p.

720. 99

Leopardi, Lettere..., p. 940. Ibid., pp. 596 e 627. Sul carattere «popolaresco» di riscaldamento, che è «spesso, pel volgo, sinonimo di costipazione, di uretrite» cfr. Levi, Dizionario..., vol. IV, parte II, p. 561. 101 Ibid., pp. 607-608. 102 Ibid., p. 1106. 100

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del tutto allo scuro» (ad A.F. Stella, 1825); «Il non poter uscir di casa di giorno per la flussion d’occhi, che mi molesta costantemente, mi dà molta malinconia» (a Monaldo, 1827).103 Una patologia diversa è adombrata nell’ultima lettera al padre, che è anche l’ultima in assoluto (1837); una lettera drammatica, in cui contro le sue abitudini ricorrono ben tre tecnicismi medici, due dei quali oculistici: «sono stato assalito per la prima volta della mia vita da un vero e legittimo asma che m’impedisce il camminare, il giacere e il dormire, e mi trovo costretto a risponderle di mano altrui a causa del mio occhio diritto minacciato di amaurosi o di cateratta».104 Ma passiamo dall’individualità del genio all’anonimato della gente comune di cui si parla nelle cronache giornalistiche. I quotidiani vecchi e nuovi sono in effetti grandi collettori di tecnicismi medici. I giornali ottocenteschi, largamente esplorati dagli studiosi negli ultimi decenni,105 offrono una buona rappresentanza in proposito, soprattutto attingendo a rubriche oggi in forte declino (la cronaca nera e la minuta descrizione dei danni subiti da un infortunato) o assenti (i bollettini necrologici contenuti nella rubrica di «Stato civile» prevista nei giornali messinesi).106 La stampa periodica milanese della prima metà dell’Ottocento, fatta oggetto prima di una meritoria concordanza e poi di uno studio del suo patrimonio lessicale,107 abbraccia pubblicazioni molto varie, dalla cronaca teatrale all’agricoltura, dagli almanacchi alla politica: di qui un amplissimo venta103

Ibid., pp. 543 e 763. Ibid., pp. 1133-1134 (corsivi miei). 105 Cfr. A. Masini, La lingua di alcuni giornali milanesi dal 1859 al 1865, Firenze 1977; C. Scavuzzo, Studi sulla lingua di quotidiani messinesi di fine Ottocento, Firenze 1988; F. Sboarina, La lingua di due quotidiani veronesi del secondo Ottocento, Tübingen 1996; I. Bonomi, L’italiano giornalistico, Firenze 2002 (i saggi sui quotidiani milanesi degli anni 1900-1905 erano stati già pubblicati negli anni 1973-1976). 106 Cfr. Scavuzzo, Studi..., p. 122 nota 16. 107 Cfr. rispettivamente S. De Stefanis Ciccone - I. Bonomi - A. Masini, La stampa periodica milanese della prima metà dell’Ottocento: Testi e concordanze, Pisa 1983 e I. Bonomi - S. De Stefanis Ciccone - A. Masini, 104

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glio terminologico, che comprende anche termini rari, anatomici (tegumento, diploe, gangliare), patologici (splenite, fotofobia, tifoideo) o, più occasionalmente, relativi a interventi clinici e chirurgici (invaginazione, sutura).108 Con la seconda metà del secolo, quando il giornale diventa molto più simile a quello attuale, sono in primo piano la patologia e la terapia. Segno della diffusione del linguaggio medico nella lingua comune sono metafore come a dosi omeopatiche («è necessario che il Ministero provveda alle cose della guerra non più [...] a dosi omeopatiche») o satiriasi («quando non sia dominato dalla satiriasi della vanità personale»).109 Nel quotidiano attuale una finestra aperta sulla terminologia medica (prescindendo dai supplementi di argomento sanitario) è la cronaca sportiva, in particolare quella calcistica. Il cronista si sente in dovere di dare minutamente conto dello stato di salute del singolo giocatore e della sua possibilità di partecipare alla partita di turno; e lo fa spesso riproducendo parole e frasi dal referto stilato dal medico sportivo. Può essere istruttivo un sondaggio compiuto sull’archivio elettronico del «Corriere della Sera» del 1995.110 Solo raramente il giornalista si lascia andare a «incongruenze»111 proprie del linguaggio comune come «i postumi di un brutto menisco» (invece di meniscopatia o di rottura del menisco). In generale l’impronta del bollettino ufficiale è evidente: «si è procurato una distorsione al ginocchio destro con sospetta lesione al menisco intermedio». Trovano spazio anche tecnicismi collaterali come accusare («in dubbio Bordin, che accusa una contrattura all’adduttore»), modesto («modesti segni di affaticaIl lessico della stampa periodica milanese nella prima metà dell’Ottocento, Firenze 1990. 108 Documentazione in Bonomi-De Stefanis-Ciccone, Il lessico..., pp. 551ss. 109 Cfr. rispettivamente Masini, La lingua..., p. 151 e Bonomi, L’italiano..., p. 186. 110 Realizzato a Milano da RCS Editori nel 1996. Mi limito a citare i brani utili: i dati relativi (giorno, eventuale nome dell’articolista ecc.) sono comodamente ricavabili dal CD. 111 Così Dardano, I linguaggi scientifici..., p. 499.

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mento all’adduttore della coscia sinistra»), risentimento («Milan senza Savicevic, bloccato da un risentimento al retto femorale sinistro»). Colpisce il fatto che, nell’intera annata, alcuni tecnicismi medici ricorrano esclusivamente nella pagina sportiva; per esempio, con una o al massimo due ricorrenze: condropatia («Delle sofferenze al ginocchio destro [condropatia rotulea] si sapeva»), tendinopatia con la variante accorciata tendopatia, elongazione («l’elongazione del flessore della gamba destra»), inserzionale («dopo diciannove giorni trascorsi ad Amsterdam, dove si è curato la tendinopatia inserzionale all’adduttore sinistro»); anche tutti i 13 esempi di pubalgia si riferiscono a patologie lamentate da calciatori. Se pensiamo alla massa delle persone interessate al calcio (e magari solo al calcio), ne ricaviamo che la quota di lettori comuni esposta a termini così peregrini è comunque alta. Si può citare un altro sport assai popolare, il ciclismo. Quando nel 1999 il ciclista Marco Pantani (poi morto in circostanze drammatiche nel 2004) si trovò al centro di un’inchiesta della giustizia sportiva, poteva capitare di ascoltare nei vari bar di provincia accesi dibattiti sul suo rapporto ematocrito, significativo in relazione alla sua eventuale assunzione di sostanze dopanti. Ancora una volta, la quota di chi sapesse che tale indice si riferisce al rapporto tra il volume del plasma e quello dei globuli rossi non sarà stata propriamente elevata; ma la parola circolava comunque.

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3. ANTICHI E MODERNI

1. Dove passa il confine? Il lettore attuale che sfogli un testo di medicina antico (magari il medico che ha ricevuto in omaggio la raffinata edizione anastatica pubblicata da una casa farmaceutica) ha un’immediata percezione della distanza tra la scienza antica e quella moderna. Verifichiamo su un testo illustre, il Fasiculo de Medicina stampato a Venezia dai fratelli de Gregori nel 1494:1 si tratta della traduzione di una miscellanea di testi medici in latino data fuori dagli stessi editori nel 1491 allo scopo «di fornire ai medici promemoria, ricettari, tavole riassuntive e schemi di facile consultazione per le occorrenze più frequenti nell’esercizio della professione».2 Il brano che segue è tratto dalla traduzione del Consilium pro peste evitanda di Pietro da Tossignano, risalente a un secolo avanti (1398): Perche li gioueni forti & robusti morano & li uecchi no. Lo octavo dubio e perche li robusti & forti si morono & li uecchi no(n) morno: e da dire che gli uecchi sono senza oppilatione: ouero posso essere co(n) li lor pori stretti naturalmente & no(n) oppillati. Li gioueni forti & robusti hanno li pori lati & oppilati: & pero piu presto si corrompono & morono per questa corruptione: perche nelli giueni abondano piu le humidita & le superfluita le 1

Cito dall’anastatica curata da E. Bottasso, Torino 1967. Ma si veda ora l’anastatica, accompagnata dall’edizione del testo latino e da un ricco commento storico-culturale, a opera di T. Pesenti: Fasiculo de medicina in Volgare (vol. I) e Il «Fasciculus Medicinae» ovvero le metamorfosi del libro umanistico (vol. II), Padova-Trieste 2001. 2 Op. cit., p. 106.

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quale essendo diminuito el caldo naturale uengono ad causare le oppilatione.3

Prescindendo dalla compagine grafica e dalla lingua venata di regionalismi,4 è facile notare ciò che non appartiene all’attuale impostazione di un testo scientifico (o di divulgazione scientifica). A partire dallo stesso quesito trattato come «octavo dubio» di una rassegna organizzata secondo lo schema scolastico domanda-risposta: l’assunto che i giovani muoiano più dei vecchi di peste, che ci appare bizzarro e difficilmente dimostrabile. Quanto alle nozioni patologiche, sappiamo da più di un secolo che la peste è inoculata da un bacillo e non entrano in gioco l’oppilazione, la corruzione, l’umidità, la superfluità.5 La differenza fondamentale è però un’altra. L’impalcatura teorica che sta alla base di questo testo è ancora quella di remota matrice ippocratico-galenica, fondata sull’equilibrio tra i quattro umori la cui corruzione genererebbe la malattia (sangue, flemma, bile gialla, atrabile), messi in rapporto con quattro proprietà fisiche (secco, umido, caldo e freddo): una dottrina che per oltre duemila anni ha condizionato il pensiero dei medici occidentali.6 Secondo la teoria umorale si attribuiva all’età giovanile una maggiore presenza di umori rispetto alla vecchiaia e questa maggiore “umidità” era ritenuta uno dei 3 Ibid., p. 57 n.n., non numerata. Nella riproduzione di questo brano ho mantenuto tutte le caratteristiche paragrafematiche dell’originale (mancanza di accenti, indistinzione tra u e v ecc.; in parentesi sono le lettere rappresentate da un compendio); sono intervenuto solo nella divisione delle parole: pero] per o, & le] &le ecc. 4 Dovuti ai tipografi o al traduttore dichiarato nel colophon: Sebastiano Manilio Romano. Cito in fretta: mancato dittongo e diverso esito di -RJin morano e morono, con la variante sincopata morno ‘muoiano, muoiono’; vocale postonica etimologica in gioveni e nella variante sincopata giùeni (se non è un refuso per giu[u]eni). In posso manca probabilmente il compendio sulla o: posso(n). 5 Le ultime tre sono parole ancora in uso, ma estranee al linguaggio medico; per l’oppilazione cfr. sopra, p. 75 nota 77. 6 Cfr. M.D. Grmek, Il concetto di malattia, in Agrimi et al., Storia..., pp. 323-347, a p. 334.

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fattori che potevano esporre il corpo a determinate condizioni morbose: di qui l’affermazione che i giovani sono maggiormente soggetti all’oppilazione. Il percorso è tipicamente pre-sperimentale: il punto di partenza è un’interpretazione generale della realtà e non una teoria verificata sulla clinica e adattata ai singoli casi. Un’interpretazione che trae la sua forza dall’essere vecchia di secoli, da quell’«orrore del nuovo» tipico della mentalità medievale «soprattutto nel campo delle tecniche e delle scienze»;7 dunque da un atteggiamento che è esattamente agli antipodi rispetto a quello del medico attuale, avvezzo alla veloce obsolescenza della letteratura scientifica: al punto che, per la grande maggioranza degli àmbiti medico-biologici, un saggio scritto vent’anni fa risulterebbe inservibile per il ricercatore e per l’operatore sanitario se non sul piano – notoriamente considerato marginale da medici e scienziati in genere – della storia della scienza. Insomma: ciò che davvero ci separa dal volgarizzamento di Pietro da Tossignano non è tanto il merito delle conoscenze scientifiche (è del tutto ovvio che diagnosi e terapie siano mutate nel corso di cinque secoli), quanto la sensibilità metodologica, astratta e prona al culto delle auctoritates. Ma questo non vuol dire che il brano che s’è letto non abbia tutti i crismi per rientrare tra i testi scientifici della medicina medievale, che ha bene il diritto di essere giudicata iuxta propria principia. Lo iato tra medico medievale e medico moderno va anche oltre queste differenze, come è stato rilevato da chi negli ultimi anni si è occupato di linguaggi scientifici nel Medioevo.8 Intanto è difficile, e forse illegittimo, delimitare i confini tra me7

M. Dardano, I linguaggi scientifici, in L. Serianni e P. Trifone (a cura di), Storia della lingua italiana, Torino 1993-1994, vol. II, pp. 497-551, a p. 507. 8 Cfr. almeno, in riferimento all’italiano, Dardano, I linguaggi scientifici..., pp. 497ss.; R. Gualdo, Il lessico della mascalcia nei primi secoli, in S. D’Onofrio e R. Gualdo (a cura di), Le solidarietà. La cultura materiale in linguistica e in antropologia, Galatina 1998, pp. 135-159 (con ricca bibliografia); R. Casapullo, Il Medioevo, Bologna 1999, pp. 151-158 e 163-167.

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dicina e altri settori del sapere che oggi avvertiremmo del tutto distanti: dalla teologia e dalla filosofia, che rappresentavano il costante orizzonte entro il quale collocare qualsiasi sapere particolare, all’igiene, intesa anche nella sua accezione più pedestre.9 I testi che trattano di medicina possono essere i più diversi: dai veri e propri trattati agli erbari, ai lapidari, alle enciclopedie; il confine tra scienza e letteratura non esisteva, o almeno non era rigido e stabile. Inoltre, la medicina medievale è generalmente poco stratificata, e digrada dal livello più alto, quello dei medici con formazione universitaria, «a quello più basso dei guaritori dediti a pratiche più o meno superstiziose, passando attraverso una gamma sfumata di figure intermedie».10 Ciò rende arduo selezionare un corpus di testi o di autori che siano effettivamente in grado di rappresentare la “medicina medievale” e implica il rischio di piluccare singoli termini o nozioni di pertinenza medica là dove si trovano, costringendo a una coabitazione forzata figure professionali e intellettuali distinte: dal medico universitario allo scrittore che affronti tangenzialmente argomenti medici (a partire da Dante) fino all’anonimo trascrittore di ricette. A questo punto è inevitabile porre un quesito più radicale: esiste un linguaggio tecnico della medicina nell’italiano antico? La domanda se l’è posta qualche anno fa un riconosciuto specialista del settore,11 confrontatosi con l’edizione e il commento di un monumento della veterinaria medievale: le versioni quattrocentesche toscana e napoletana del Moamin, il 9 Appena alzato la mattina – ammoniva per esempio Taddeo Alderotti – stirati, pettinati («però che per il petinare la sozura del chapo se ne disolve, e per quello disolvere il cielabro se ne alevia»), lavati mani e faccia con l’acqua fresca («perché ti farà buono e chiaro cholore e il chalore naturale se ne chonforta»): cfr. A. Pazzini, Crestomazia della letteratura medica in volgare, Roma 1971, pp. 30-31. 10 Casapullo, Il Medioevo..., p. 164 (che rinvia a K. Park, Doctors and Medicine in Early Renaissance Florence, Princeton 1985). 11 Cfr. M.-D. Gleßgen, Gibt es eine altitalienische Fachsprache der Medizin?, in G. Mensching e K.-H. Röntgen (a cura di), Studien zu romanischen Fachtexten aus Mittelalter und früher Neuzeit, Hildesheim-Zürich-NewYork 1995, pp. 85-111.

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trattato di falconeria che a suo tempo Federico II aveva fatto tradurre dall’arabo in latino.12 Gleßgen dà una risposta sostanzialmente affermativa: il Moamin mette in atto precise strategie sintattiche e testuali condizionate dalla materia da trattare; il suo vocabolario, benché assai meno ricco di quello attuale, è tuttavia relativamente ampio; sono riconoscibili precisi meccanismi di formazione delle parole, specie attraverso i suffissi. A differenza di altri settori, come la farmacologia, per la lingua della medicina si può invocare una «sprachliche Kontinuität», in contrasto con lo iato che si registra in fatto di patogenesi e terapia.13 Anni prima era arrivata a conclusioni analoghe M.L. Altieri Biagi, affrontando il tema da un versante del tutto diverso, cioè studiando due medici illustri: Guglielmo da Saliceto (1210-1280), che con la sua Chirurgia (volgarizzata già nella prima metà del XIV secolo) fonda la tradizione medicochirurgica italiana, e Mondino de’ Liucci (1270-1326), a cui dobbiamo «il primo trattato medievale di anatomia degno di questo nome»14 (volgarizzato nel secondo Quattrocento). Si tratta di medici di alta professionalità, che mostrano una padronanza e una compattezza del linguaggio tecnico tali da indurre la studiosa a postulare una «reale istituzionalizzazione del lessico della medicina, in volgare, a partire dal Due e dal Trecento».15 Possiamo convenire con queste valutazioni. Il quadro si fa più complesso, però, se dalla considerazione sincronica, che guarda alle caratteristiche della lingua medica medievale rispetto alla lingua comune coeva e ne segnala l’indubbia specificità, passiamo a una prospettiva diacronica, confrontando la fase antica con quella moderna. La differenza dei saperi e dei metodi, abissale, non può che rifrangersi in qualche misura anche sulla lingua che quei contenuti di volta in volta trasmette. 12 M.-D. Gleßgen, Die Falkenheilkunde des «Moamin» im Spiegel ihrer volgarizzamenti. Studien zur Romania Arabica, Tübingen 1996. 13 Gleßgen, Gibt es..., p. 104. 14 M.L. Altieri Biagi, Mondino de’ Liucci e il lessico medico, in «Lingua Nostra», 27(1966), pp. 124-127, a p. 126. 15 Altieri Biagi, Guglielmo volgare..., p. 29.

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La storia di una lingua settoriale deve avere ben chiaro l’insieme dei realia di riferimento, deve cioè collegare con sicurezza un significante a un significato; ma il compito, abbastanza agevole per la terminologia anatomica, è impegnativo per gli stessi storici della medicina che cerchino «di definire nei termini della patologia corrente le descrizioni o le diagnosi delle condizioni morbose riferite dai medici antichi e da essi interpretate nel quadro delle teorie dei temperamenti e degli umori»: a questo «contribuiscono sia la scomparsa di alcune dizioni allora frequentemente usate, sia il permanere di talune terminologie tradizionali per condizioni morbose diverse, le quali tendono a mascherare la profonda cesura tra l’antico ed il nuovo modo di pensare».16 Basti ricordare un esempio assai noto: per le epidemie più antiche della storia dell’umanità – a cominciare dalla famosa “peste d’Atene” – è arduo indicare una malattia precisa fondandoci sulle descrizioni pervenuteci, inevitabilmente approssimative e contraddittorie.17 Occorre in ogni caso procedere con cautela confrontando termini che sembrano corrispondenti, per evitare anacronismi. Nervo, per esempio, equivale solo all’ingrosso al greco nêuron, dal momento che i Greci non distinguevano tra nervi e tendini e non possedevano una nozione corrispondente al nostro ‘sistema nervoso’;18 e ventosità nei volgarizzamenti del Moamin non indica solo disturbi gastro-intestinali, ma anche alterazioni respiratorie e stati astenici, in sostanza tutto ciò che dipendeva dalla sovrabbondanza dell’elemento “aria”.19 Op16 G. Silini, Umori e farmaci. Terapia medica tardo-medioevale, Gorle 2001, p. 115. 17 Cfr. J.-N. Biraben, Le malattie in Europa, in J. Agrimi et al., Storia del pensiero medico occidentale, 1. Antichità e medioevo, Roma-Bari 1993, pp. 439484, alle pp. 457ss. 18 Cfr. J. Jouanna, La nascita dell’arte medica occidentale, in Agrimi et al., Storia..., pp. 3-72, a p. 48. Anche nell’italiano familiare, del resto, si adoperano espressioni in cui nervo vale ‘tendine’ o ‘muscolo’ o comunque ‘struttura di connessione tra ossa e muscoli’ (mi tirano i nervi del collo, mi s’è accavallato un nervo e simili). 19 Gleßgen, Die Falkenheilkunde..., pp. 650-653. Altri esempi del genere saranno indicati nel prossimo paragrafo.

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pure, per fare un esempio più vicino a noi: quando si indica la prima attestazione di bronco nel cinquecentista Dalla Croce20 si data in realtà il significante, non il significato; come ha osservato M. Fattorini, dal passo della Cirugia («la grande arteria detta da greci Trachea, cioè aspera, et da Latini broncho») si ricava che bronco ha ancora il significato che aveva bronchum «nell’antica lingua dell’anatomia, è sinonimo di trachea e, quindi, di canna del polmone, di arteria vocale e di aspra arteria».21 Molte altre volte, naturalmente, possiamo attribuire con sicurezza a un termine il significato moderno: il coriza (coriça) che si legge in una traduzione padovana medievale di Dioscoride non è una ‘varietà di catarro’ come spiega con soverchia prudenza il glossario moderno, ma proprio il nostro ‘raffreddore’, ancora designabile come coriza («una spetia de catharo che ven al naso»).22 D’altra parte è rischioso, in presenza di termini attestati in epoche diverse, pensare che sia possibile tracciare linee di continuità, che potrebbero essere illusorie: «molte delle opere che ci sono giunte non segnano l’inizio di tradizioni espressive di lunga durata, ma rappresentano piuttosto episodi, quasi sempre isolati e comunque discontinui».23 Infine, una difficoltà specifica, e se si vuole marginale, relativa all’àmbito di studio. Per il Medioevo, pienamente immerso in una realtà bilingue italiano-latina, è arbitraria una storia linguistica limitata ai testi volgari: «esistono termini “volgari” in testi di medicina e di chirurgia scritti in latino che noi impediamo a noi stessi di segnalare, per il semplice fatto che stanno materialmente al di là del confine che abbiamo stabilito di rispettare».24 20

Così DELIN, p. 252, sulla scorta di Altieri Biagi, Mondino de’ Liucci..., p. 124 nota 1. 21 Cfr. M. Fattorini, Il lessico medico di Prospero Borgarucci, Tesi di laurea inedita, Università di Roma “La Sapienza”, anno acc. 2002-2003, p. 85. 22 El libro agregà..., vol. II, p. 255. 23 Casapullo, Il Medioevo..., p. 151. 24 Altieri Biagi, Guglielmo volgare..., p. 34.

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È relativamente agevole immaginare e realizzare, poniamo, una storia della lingua poetica italiana data la forte continuità che la contrassegna, da Petrarca a Leopardi e oltre, pur nelle ovvie differenze soprattutto semantiche. Ma un’organica storia della lingua della medicina che partisse dalle origini del volgare per giungere fino a oggi sarebbe quantomeno prematura: in primo luogo per la mancanza di adeguati spogli di testi (particolarmente grave per l’età postmedievale),25 ma anche per il mutamento, non sempre facilmente accertabile, della rete concettuale di riferimento. Un esempio elementare. La nozione di “sangue” è una nozione condivisa dal parlante comune vivente nel XIV, nel XVIII o nel XXI secolo: ma dal punto di vista scientifico la percezione che se ne aveva nel Trecento era ancora quella antica, di uno dei quattro umori del corpo; dopo la scoperta della circolazione del sangue da parte di William Harvey (1578-1657) la nozione assume, anche dal punto di vista biologico, i connotati fondamentali che, pur con le più articolate conoscenze intervenute nel frattempo (distinzione tra globuli rossi e globuli bianchi e loro funzioni ecc.), la contrassegnano anche oggi. Si badi: non siamo di fronte a una singola parola che ha mutato significato; evenienza frequentissima nelle lingue e addirittura banale nella medicina, in cui è incessante tra l’altro il rinnovamento della terminologia patologica, legato alla diversa classificazione delle malattie. Siamo di fronte a qualcosa di più importante: il mutare del sistema di riferimento complessivo nel quale i singoli concetti particolari (e i termini che li indicano) sono inseriti, combinandosi in un insieme organico. Naturalmente, nessuno vieterebbe (vieterà) a un ricercatore illuminato di mettere a frutto tutte queste variabili, specie 25 E si tenga anche conto che per diverse patologie disponiamo di informazioni scarse: i medici medievali – come è stato osservato – si soffermavano abitualmente «sulle malattie dei ceti abbienti o ricchi, gli unici che potevano compensare adeguatamente le loro prestazioni» (A.M. Nada Petrone, Gli uomini e le loro malattie nel tardo Medioevo, in «Studi Piemontesi», 11(1982), pp. 68-82, a p. 70).

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concentrandosi sulla storia di un singolo termine o di una famiglia semantica, dalle origini volgari (e magari dai remoti archetipi ippocratici) a oggi. Quel che premeva sottolineare è l’esistenza di una cesura anche linguistica, oltre che scientifica, tra Medioevo ed età moderna. Ma quando collocare allora il discrimine tra antico e moderno per la storia del linguaggio medico? Non è possibile, si capisce, indicare una data e nemmeno un secolo: tappe fondamentali sono il Cinquecento e la riforma del linguaggio anatomico da parte del fiammingo Vesalio;26 il Seicento, che segna «la drastica riduzione della terminologia araba e il progressivo annacquamento della terminologia “umorale”»;27 il Settecento,28 che per tanti altri versi è il primo vero secolo della modernità e che, nella fattispecie, vede la «europeizzazione della medicina».29 Più che un impossibile atto di nascita, possiamo esibire uno dei tanti certificati d’esistenza in vita; e lo faremo convocando Michele Sarcone (Terlizzi 1731 - Napoli 1797), un medico non particolarmente noto, anche se l’opera da cui citeremo ebbe un buon successo e fu tradotta in francese e tedesco. Leggiamo parte di un’autopsia da lui eseguita nell’àmbito di una serie di peripneumonie (‘pleuriti’ e/o ‘polmoniti’) terminate con la morte del paziente: Un soldato giovane e robusto soffrì questa malattia con un treno di sintomi simili a quelli che descrivemmo ed oltraciò col singhiozzo, sintoma particolarmente da lui osservato e che svegliossi nel settimo. Egli finì di vivere nel nono giorno del male. Aperto il di lui cadavere, nel basso ventre osservammo non poca mutazione dallo stato naturale. I reni parvero infiammati, soprattutto il sinistro. La vescica del fiele era piena di verde, densa, bile. L’orificio 26 Cfr. I. Mazzini, Introduzione alla terminologia medica, Bologna 1989, pp. 22-23. 27 Altieri Biagi, Lingua e cultura..., p. 256. 28 Gualdo, Il lessico della mascalcia..., p. 136. 29 R.A. Bernabeo - G.M. Pontieri - G.B. Scarano, Elementi di storia della medicina, Padova 1993, p. 261.

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dello stomaco era irradiato di una macchia infiammatoria, a foggia di petecchia. [...] Tentammo di separare i vari ordini dei vasi sanguigni, ma fu tutto vano. La perfusione e l’infiammamento era così altamente stabilito che tutto era in una eguale mutazione. Malgrado le mie diligenze e la non volgare perizia dei signori Bayer e Reüch, non ci è stato mai permesso nelle sezioni dei cadaveri pleuritici e peripneumonici di vedere ciò che deggiamo credere che avessero osservati [sic] quei medici che con tanta precisione hanno voluto sostenere la distinta e doppia sede della peripneumonia nei vasi ruischiani e nelle arterie polmonali. Ci ha diminuito il rammarico l’osservare per altro che in mezzo alla copia di simili sezioni non troviamo che il signor Morgagni abbia rilevata alcuna particolare circostanza che favorisse o riguardasse questo sistema. La stessa sezione del peripneumonico che sulla osservazione di Hoffmanno rapporta il signor Van Swieten, illustre fautore di tal sentenza, non racchiude alcun fatto che occupi a favorir tal disegno.30

Il brano appartiene tipicamente al Settecento. Lo storico della lingua, esaurite le poche glosse relative alla terminologia specifica, ormai pienamente dominata e coerente,31 può segnalare caratteristici francesismi diffusisi in quel secolo o 30 M. Sarcone, Istoria ragionata dei mali osservati in Napoli nell’intero corso dell’anno 1764 [1765], Venezia 1802, vol. I, pp. 219-220. 31 Vescica del fiele è uno dei tanti sinonimi che hanno tenuto il campo per ‘cistifellea’ (vescica del fiele anche nel secentista Panciatichi: GDLI, vol. V, p. 948; vescica biliaria nel Redi: DELIN, p. 215; chisto del fiele e chistifelle nel XV secolo: DELIN, p. 345; colecisti, 1830: DELIN, p. 356; ancora L. Ferrio, Terminologia medica, Torino 19765, p. 903 registrerà dopo il lemma principale: vescichetta biliare, vescichetta del fiele, colecisti e cistifellea). Orificio dello stomaco ‘cardias’ (anche nel cinquecentista Romoli: GDLI, vol. XII, p. 100) è perifrasi analoga a bocca dello stomaco (boca dil stomaco è nel medico ferrarese quattrocentesco Savonarola: cfr. R. Gualdo, Il lessico medico nel «De regimine pregnantium» di Michele Savonarola, Firenze 1996, p. 46); cardia si diffonde nel Settecento per cedere poi alla forma non etimologica cardias (cfr. gr. kardía), attualmente più frequente e probabilmente dovuta – come ipotizza il Migliorini cit. in DELIN, p. 298 – ad analogia su pancreas. Due casi di suffissati successivamente abortiti sono l’aggettivo di relazione polmonali ‘polmonari’ e il deverbale infiammamento ‘infiammazione’. Per sintoma cfr. p. 192.

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nella seconda metà del precedente come treno di sintomi ‘insieme di’ e la preposizione malgrado + sostantivo (malgrado le mie diligenze) in luogo del canonico a malgrado di 32 e un costrutto di origine un po’ più antica ma di fortune propriamente settecentesche (il di lui cadavere ‘il suo’).33 Ancora più forti agganci col secolo è possibile cogliere guardando alle cose. Dominano i fatti, attentamente descritti; appare capovolto il paradigma medievale, condizionato dal riferimento alle teorie di ascendenza aristotelica, e pienamente compiuta quella svolta epistemologica che si ha «ogni volta che i dati vengono presentati con accurate descrizioni e senza essere inquadrati in teorie».34 Il brano descrive un’autopsia, vale a dire lo strumento decisivo di cui si serve l’anatomia patologica. È noto che la pratica dell’autopsia, marginale nel Medioevo e legata ad accertamenti medico-legali,35 era stata rinnovata radicalmente nel Cinquecento da Vesalio, che approda, giovanissimo docente, a Padova, anche perché nella «Repubblica di Venezia, quanto ad aperture di cadaveri, non vigono divieti insormontabili, altrove esistenti di fatto».36 Ma il successivo sviluppo, il «progetto di agganciare la chirurgia alla medicina tramite l’anatomia non giunge a buon fine» (Cosmacini parla di «rivoluzione incompiuta») e occorre arrivare al Settecento perché i grandi anatomo-chirurghi come il Valsalva trasformino «l’anatomia 32

Amplissima documentazione in A. Dardi, Dalla provincia all’Europa, Firenze 1992, pp. 239-240 e 63-64. Lo stesso Sarcone rivendica il diritto di adoperare, anche scrivendo, i francesismi correnti nel parlato: cfr. Sarcone, Istoria..., vol. I, pp. 74-75. 33 Cfr. M. Palermo, Il tipo «il di lui amico» nella storia dell’italiano, in «Studi linguistici italiani», 24(1998), pp. 12-50. 34 C. Crisciani, Fatti, teorie, «narratio» e i malati a corte, in «Quaderni storici», 108(2001), pp. 695-717, a p. 696. 35 Cfr. Bernabeo-Pontieri-Scarano, Elementi..., p. 156; D. Jacquart, La scolastica medica, in Agrimi et al., Storia..., pp. 261-322, alle pp. 294-300; e soprattutto A. Carlino, La fabbrica del corpo. Libri e dissezione nel Rinascimento, Torino 1994. 36 G. Cosmacini, Storia della medicina e della sanità in Italia, Roma-Bari 1987, p. 83.

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chirurgica, autoptica, in chirurgia anatomica, operatoria».37 Né ciò vale solo per la scuola bolognese: per un medico come il fiorentino Targioni Tozzetti, per esempio, l’autopsia non è «un’attività occasionale o saltuaria ma rappresenta un’attività diagnostica sistematica, abituale, quasi naturaliter connessa con la pratica medica, pubblica e privata dell’Autore».38 Anche il nostro Sarcone va legittimamente ascritto a questa schiera: medico all’ospedale del reggimento svizzero in servizio presso il Regno di Napoli, egli ha modo di osservare i casi acuti che si manifestano, nel corso di un anno, in quella che era allora la più popolosa città italiana: indicando «con la maggiore esattezza» i sintomi, l’andamento, le cure e profittando «della perdita di alcuni di quegl’infelici che caddero vittime del morbo» per «far parte al pubblico di ciocché la notomia ci ha nei cadaveri manifestato».39 I risultati dell’autopsia sono oggetto di discussione, in un confronto con altre ipotesi sulle cause della peripneumonia. I medici evocati non sono più quelli della grande tradizione greco-latina-araba; sono medici contemporanei, alle cui opinioni il Sarcone si appoggia, certo per mettersi al riparo di nomi prestigiosi,40 ma anche in relazione a precise osservazioni necroscopiche. Il rituale omaggio al medico di Cos contenuto nell’introduzione non occulta il fatto che «tosto che Ippocrate si abbandona alla ipotesi sulle ricerche delle cagioni, Ippocrate non sembra più tale».41 Contano invece le ricerche di scienziati contemporanei come – per limitarci a quelli citati nel brano – Friedrich Hoffmann (l’Hoffmanno; 1660-1747), medico alla corte di Federico I di Prussia; Gerard van Swieten (17001772), medico alla corte di Maria Teresa d’Austria; Giambattista Morgagni (1682-1771), il fondatore dell’anatomia patologica. E si noti che due dei tre citati erano ancora vivi quando 37

Ibid., pp. 84 e 223. G. Weber, Autopsie, edite e inedite, di Giovanni Targioni Tozzetti, Firenze 1999, p. 52. 39 Sarcone, Istoria..., vol. I, pp. 63-64. 40 Come dichiara esplicitamente ibid., vol. I, pp. 72-73. 41 Ibid., vol. I, pp. 59-60. 38

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usciva la prima edizione dell’Istoria.42 Davvero possiamo dire che all’epoca del Sarcone siamo ormai entrati in pieno nella medicina moderna.

2. Significati vecchi e nuovi Alcune parole della medicina si prestano bene a rappresentare la distanza tra antico e moderno. Il gruppo più istruttivo è costituito da termini in uso da molti secoli, e in qualche caso risalenti al mondo classico, ma oggi adoperati in significati in tutto o in parte diversi. La vitalità del patrimonio di tecnicismi medici in uso nell’antichità greco-latina è diversa a seconda dei settori di studio: molti sono i termini anatomici tuttora vivi, legati a designata che spesso sono stati individuati e descritti già nel corpus ippocratico;43 molti di meno quelli relativi alla fisiologia e alla patologia, le branche in cui più sensibile è stata la rivoluzione delle conoscenze. A complicare le cose, c’è anche l’alto tasso di polisemia di alcuni termini greci fondamentali: per stómachos, per esempio, anche prescindendo dall’accezione omerica di ‘gola’ degli agnelli sacrificati, sono stati segnalati44 in sequenza cronologica, dal V secolo a.C. al I d.C., i significati di ‘collo vescicale’, ‘collo dell’utero’, ‘esofago’, ‘faringe’ e finalmente ‘stomaco’. Qualche volta la concorrenza di accezioni diverse si è spin42

L’allegazione di scienziati contemporanei, in verità, non è nuova (abbiamo citato il Lancillotti, p. 54; ma si può facilmente risalire al Cinquecento: cfr. per esempio, con riferimento a Orazio Augenio, L. Deer Richardson, The Generation of Disease: Occult Causes and Diseases of the Total Substance, in A. Wear et al., The Medical Renaissance of the Sixteenth Century, Cambridge, 1985, pp. 175-194, a p. 191). È nuovo il fatto che i medici moderni non siano più citati di conserva con le auctoritates del passato, nella prospettiva di un ingenuo enciclopedismo e senza tener conto dello iato con l’antichità, ma rappresentino specifici interlocutori di un discorso scientifico guidato dall’esperienza clinica. 43 Cfr. Mazzini, La medicina..., p. 211. 44 Cfr. Marcovecchio, Dizionario..., p. 821.

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ta anche in italiano, arrivando fin quasi a noi. Oggi il ventricolo senza altre specificazioni è, per medici e profani, quello del cuore. Ma ventriculus era usato in latino in riferimento sia allo stomaco (da Celso), sia alla cavità cardiaca (a partire almeno da Cicerone).45 Nella storia dell’italiano, ventricolo accompagnato da determinanti o adoperato da solo, per antonomasia, ha indicato tra l’altro una delle quattro cavità del cervello; il diverticolo noto come ventricolo laringeo o di Morgagni (per le due accezioni cfr. GDLI, vol. XXI, pp. 754-755); il duodeno, come si ricava da un esempio del Fioravanti («per havere il stomaco sopra il ventriculo una certa campanella che tien serrato, che la puza del ventriculo non venghi al stomaco»);46 la parte dello stomaco (antro) che precede il piloro, come emerge da un esempio successivo («i residui degli alimenti simili al fermento della pasta, e i sughi acidi, espressi dalle glandole del ventricolo, ne fanno la digestion nello stomaco»).47 Le due accezioni principali sono però le stesse attestate in latino; l’accezione oggi uscita d’uso è arrivata fino al XX secolo, in usi non tecnici o regionali (Bacchelli, in riferimento allo stomaco delle galline, cit. in GDLI); mentre in àmbito medico, ventricolo per ‘stomaco’ può essere presente tutt’al più come variante secondaria di un dizionario o di un manuale.48 Sarà interessante osservare che quest’accezione di ventricolo è stata sostenuta nei secoli scorsi da quella ricerca di variatio a cui abbiamo visto sensibile anche uno scienziato così vicino a noi come il Murri (cfr. pp. 40-41). Si vedano la prima traduzione italiana di un classico della medicina inglese dovuto a sir John Pringle (1707-1782): un ascesso «sospingea lo stomaco in avanti in tal modo che, se si fosse dovuta tentare un’operazione chirurgica come nel primo caso, l’istrumento avrebbe dovuto traversare tutto il ventricolo prima di giungere 45

Ibid., p. 914. L. Fioravanti, La cirugia, Venezia 1570, p. 88 v. 47 F. Chiari, Cento aforismi fisico-medici (1743), cit. in G. Ruozzi (a cura di), Scrittori italiani di aforismi, 1. I classici, Milano 1994, p. 948. 48 Cfr. per esempio Ferrio, Terminologia..., p. 900 e C. Gamna, Medicina interna, Torino 1951, vol. II, p. 401. 46

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alla sede della materia suppurata»;49 e ancora, nel XIX secolo, i manuali di due docenti, il pisano Francesco Vaccà Berlinghieri e il bolognese Michele Medici, fino al più oscuro autore di un dizionario di sanità per il popolo.50 Anche con arteria si assiste alla riduzione di un’originaria polisemia. Dei significati del gr. artería ‘vaso sanguigno’, ‘aorta’, ‘trachea’, ‘uretere’,51 sopravvivono in italiano antico solo il primo e il terzo. Ancora il Castelli, in un suo classico repertorio più volte ristampato, definiva arteria «vocabulum aequivocum»;52 l’accezione di ‘trachea’ figura, accanto a quella di ‘vaso sanguigno’, nel Mattioli traduttore di Dioscoride (arteria del polmone)53 e ancora nella Piazza universale del Garzoni («Per l’altro meato detto “la trachea” [...] overo “arteria” si manda l’aere al pulmone») e nelle Dicerie sacre del Marino:54 dunque, quanto agli ultimi due, in testi non scientifici. Di lì a poco, la scoperta della circolazione del sangue avrebbe fatto chiarezza nel merito e favorito una semplificazione terminologica, consolidando l’accezione moderna: «da quell’epoca – come osserva il Levi – chiamansi così soltanto que’ vasi ripieni di sangue rosso, le cui funzioni sono direttamente opposte a quelle delle vene, vale a dire destinate a condurre il sangue lanciato dal cuore».55 Dal greco all’arabo ci porta l’evoluzione semantica di nuca. 49 G. Pringle, Osservazioni sopra le malattie di armata, Venezia 1762, p. 53 (corsivi miei). 50 Cfr. F. Vaccà Berlinghieri, Codice elementare di medicina pratica, Venezia 1800, vol. I, p. 15; M. Medici, Manuale di Fisiologia, Bologna 18405, pp. 133134; A. Bianchi, Dizionario di sanità per il popolo, Milano 1841, p. 14. 51 Cfr. Marcovecchio, Dizionario..., p. 84. Nei Greci la distinzione tra vena (phleps) e arteria (artería) è poco chiara o è legata a presupposti fallaci (nelle vene circolerebbe il sangue, nelle arterie l’aria): cfr. Jouanna, La nascita..., p. 70 nota 144. 52 B. Castelli, Lexicon medicum graeco-latinum, Venezia 1795 [1a ed. 1607], vol. I, p. 94. 53 Cfr. Sboarina, Il lessico medico..., p. 131. 54 Ricavo gli esempi dall’archivio LIZ (= Letteratura italiana Zanichelli, quarta ed. per Windows, a cura di P. Stoppelli ed E. Picchi, Bologna 2001). 55 Levi, Dizionario..., vol. I, pp. 1155-1156.

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Il significato originario, corrispondente alla base araba di provenienza, è quello di ‘midollo spinale’; l’accezione moderna di ‘parte posteriore del collo’ si spiega con l’interferenza di un’altra parola araba.56 Nella medicina antica nuca significa soprattutto ‘midollo spinale’;57 il valore di ‘collottola’, attestato già in latino medievale,58 comincia a essere documentato nel Quattro e Cinquecento.59 Nessuna traccia dell’accezione originaria del termine può ritrovarsi, ovviamente, in colera (anche còlera nelle attestazioni più antiche). Quella che fu chiamata la «peste dell’Ottocento» si affacciò in Europa nel 1829, dal bacino del Volga, per poi dilagare inesorabilmente nelle regioni occidentali (nel 1832 imperversa a Parigi, nel 1835 arriva in Italia).60 L’epidemia trovò i medici del tempo sostanzialmente impreparati a fronteggiarla, nell’impossibilità di individuarne le cause (solo nel 1882 Koch ne avrebbe scoperto l’agente patogeno): il sintomo più caratteristico, le profuse diarree e il vomito incoercibile, rese disponibile il vecchio termine ippocratico choléra (da cholé– ‘bile’) attestato in italiano dal XV secolo61 per indicare, evidentemente, una ‘gastroenterite’, una ‘tossinfezione alimentare’. Istruttivo il seguente esempio di Antonio Cocchi (Benevento 1695 - Firenze 1758): «Quell’acuto e doloroso flusso che con greco e antico nome dicesi coléra, per vizio comune dello stomaco e degl’intestini consistente in vomito insieme e in scioglimento di ventre» (cit. in GDLI, vol. III, p. 276).62 Pur nell’o56 Cfr. G.B. Pellegrini, Gli arabismi nelle lingue neolatine, Brescia 1972, vol. I, p. 84 e Marcovecchio, Dizionario..., pp. 585-586. 57 Altieri Biagi, Guglielmo volgare..., p. 30. L’ultimo esempio di quest’accezione registrato in GDLI, XI, p. 624 è nella Cirugia di G.A. Dalla Croce (1583). 58 Cfr. C. Du Cange, Glossarium mediae et infimae Latinitatis, Niort 18331887, vol., p. 619. 59 Cfr. Altieri Biagi, Fra lingua scientifica..., p. 87. 60 Cfr. Cosmacini, Storia della medicina..., pp. 282-288; E. Tognotti, Il mostro asiatico: storia del colera in Italia, Roma-Bari 2000. 61 Cfr. M. Aprile, Giovanni Brancati traduttore di Vegezio, Galatina 2001, p. 287. 62 Cfr. anche Marcovecchio, Dizionario..., p. 177 e DELIN, p. 356. Mol-

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scurità sulla patogenesi, l’opportunità di designare in modo inequivoco la nuova malattia favorì per alcuni decenni l’espressione cholera morbus, con o senza trattino (la grafia del sostantivo dipende dal latino o dal francese choléra, ma corrisponde anche all’opportunità di marcare la differenza).63 L’antico significato di testicoli ‘ovaie’ rimanda a una visione del mondo che da Aristotele e Galeno giunge fino al Cinquecento e oltre, e che interpreta «l’apparato genitale femminile come l’esatto “rovescio” dell’organo sessuale maschile: una specie di verga, interna al corpo invece che esterna, corredata ai lati da testicoli, che continuano a chiamarsi così per simmetria terminologica con quelli maschili».64 In GDLI, vol. xx, p. 1000 le attestazioni più recenti di testicoli ‘gonadi femminili’ sono in Redi («in quella parte, che confina co’ testicoli femminili, ovvero ovaie») e in Cestoni («intorno ai testicoli femminini»). Può essere utile segnalare un esempio più tardo, contenuto in una traduzione italiana delle opere del celebre ostetrico francese François Mauriceau (16371709): «Tutte le donne ànno come gli uomini due testicoli, che servono il medesimo uso, cioè di convertire in seme il sangue».65 Concludiamo la serie con una parola moderna, legata come poche altre al Novecento, il secolo della psicanalisi: nevrosi. Coniato dall’inglese Cullen alla fine del Settecento (neurose), come etichetta nella quale comprendere «all those preternatural affections of sense or motion which are without pyrexia»,66 il termine ha oscillato per più un secolo prima di virare nettamente, con Freud, verso l’accezione oggi nota (presto banalizto più antico il franc. choléra (1546, cholere): cfr. A. Rey, Dictionnaire historique de la langue française, Paris 1995, vol. I, p. 415. 63 Anche in francese, converrà osservare, la dizione corrente era (ed è) choléra, senza la specificazione di morbus: cfr. F.F. Quin, Du traitement homoeopathique du choléra, Paris 1832; J. Mabit, Étude sur le choléra, BordeauxParis 1835 ecc. 64 Altieri Biagi, Due trattati..., p. 113. Documentazione medievale in Gualdo, Il lessico medico..., p. 64 e nota 76. 65 F. Moriceau [sic], Opere medico-chirurgiche, Venezia 1740, vol. I, p. 7. 66 Cfr. B. Migliorini, Parole d’autore (Onomaturgia), Firenze 1975, p. 74.

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zandosi nel linguaggio comune).67 In Italia nevrosi (neurosi) era stato adoperato in riferimento a generiche alterazioni del sistema nervoso, accertate in quanto responsabili di disturbi funzionali. Ai due esempi registrati in GDLI, vol. XI, p. 415 (il più antico è del 1788), si può aggiungere, per la sua esemplarità, la breve memoria inviata da un medico nel 1827 a una prestigiosa rivista di medicina. Il dottor Agostino Quadri vi descrive «una singolare nevrosi della vescica orinaria nella donna»: la paziente, affetta da incontinenza, risulta immune da alterazioni organiche, sicché il curante ha ritenuto «di definitivamente conchiudere che figurasse in questo caso il sistema nervoso, in modo speciale irritato» e ha prescritto con successo morfina e belladonna.68 Quanto all’oscillazione nelle attestazioni più antiche tra neurosi e nevrosi, si dovrà pensare alla pronuncia consonantica della ypsilon nel greco moderno nêuron o, meglio, all’influsso del francese névrose (dal 1785).69 Accanto a termini che hanno cambiato connotati nel corso del tempo, mantenendo però il carattere di tecnicismi medici, ne esistono alcuni che hanno perso ogni carattere di settorialità, diventando parole del linguaggio di tutti i giorni. È quel che è avvenuto in parte o in tutto per due parole che indicano sentimenti di tristezza o di rimpianto: malinconia e nostalgia. L’etimo di malinconia rimanda all’antica dottrina umorale: il greco melancholía (da cui il lat. melancholia e poi la forma semidotta italiana malinconia, per influsso paretimologico di male) indicava la diatesi caratterizzata da ‘bile nera’ (bilis atra ‘atrabile’ in latino).70 Il termine ha mantenuto a lungo un preciso valore patologico: nei primi secoli era obbligato il riferimento agli umori della tradizione ippocratico-galenica; successivamente il termine, specie nella variante grecizzante me67 Così, un giornalista può ben parlare di «abituali nevrosi» in riferimento alle ricorrenti polemiche tra i partiti di governo (S. Folli, nel «Corriere della Sera» del 31.8.2003). 68 In «Annali Universali di Medicina», 43(1827), pp. 34-39. 69 Cfr. Marcovecchio, Dizionario..., p. 580 e soprattutto R. Tesi, Dal greco all’italiano, Firenze 1994, pp. 284-286. 70 Marcovecchio, Dizionario..., p. 539.

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lancolia, è stato usato col valore generico di ‘disturbo psichico’, di volta in volta traducibile con ‘depressione’ o ‘sindrome ossessiva’, come nella definizione di un medico assai benemerito nell’assistenza ai malati mentali, Vincenzo Chiarugi (Empoli 1759 - Firenze 1820): gli scrittori più accurati «compresero sotto il generico nome di melancolie tutti quei casi nei quali la mente, fissa sovra una o poche idee, aborra soltanto sovra di esse o sovra ciò che loro è relativo, esercitando nel rimanente con pienezza di sanità le funzioni intellettuali».71 Melancolia (e melanconia) è diventato da allora tecnicismo della psichiatria, conservandosi fino a oggi.72 Ma fin dai primi secoli, soprattutto nell’allotropo malinconia, presto destinato a entrare nell’uso corrente, il termine è appannaggio anche dei poeti:73 nel Due-Trecento, ancora avvertito come tecnicismo, è esclusivo del linguaggio comico-realistico, cui è concessa maggiore escursione lessicale;74 e resterà sostanzialmente estraneo alla poesia lirica fino alle propaggini del Romanticismo, quando la malinconia verrà cantata col valore non più di ‘angoscia, disperazione’ bensì con quello di «senso di vaga tristezza, rassegnata e dolente, non disgiunta da un certo compiacimento e da una dolce e struggente inquietudine» (GDLI, vol. IX, p. 550). La storia di nostalgia, parola composta che si inserisce nella caratteristica serie di tecnicismi medici in -algia (‘dolore’ per il desiderio del ‘ritorno’) è così schizzata da Migliorini: «Nome dato (1688) dall’alsaziano Johannes Hofer nella sua tesi di laurea basilese alla malattia che colpiva qualche volta gli Svizzeri in servizio militare all’estero (Heimweh, mal du pays). Voce estesasi 71

V. Chiarugi, Della pazzia in genere e in specie, Firenze 1793-1794 (rist. anast.: Manziana 1991), vol. II, pp. 2-3. 72 Per le attestazioni lessicografiche cfr. Levi, Dizionario..., vol. III, parte I, pp. 942 e 1149; Ferrio, Terminologia..., p. 519; Garnier-Delamare-Panzera, Dizionario..., p. 639. 73 Non solo italiani, com’è noto; per la presenza di melancholy nella letteratura inglese, per esempio (nelle accezioni “forte” di ‘Sadness and depression of spirits’ e “debole” di ‘A tender or pensive sadness’), cfr. The Oxford English Dictionary, Oxford 19892, vol. IX, p. 574. 74 Cfr. Enciclopedia dantesca, Roma 1970-1978, vol. III, p. 791.

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nell’Ottocento all’uso comune».75 Nel corso del XVIII secolo nostalgia viene trattato come tecnicismo dal Chiarugi che, in una «Tavola sinottica delle pazzie», la considera una delle forme di «melancolia vera»;76 il traduttore italiano (dal francese) di un trattato dell’Herrenschwand glossa in nota il titolo di un paragrafo («Malattia del paese»: traduzione letterale di Mal du pays) con «ossia nostalgia»;77 ancora trent’anni dopo il medico lombardo Bartolomeo Rosnati adopera nostalgia a testo, ma sente il bisogno di spiegare di che cosa si tratta in nota («Detta anche malattia della patria, comune agli Svizzeri confinanti in paesi lontani, e che riscontrai anch’io nelle truppe italiane nella guerra del 1812 e 1813»).78 Per verificare il processo di detecnicizzazione è istruttivo, come per malinconia, l’uso letterario. L’esempio leopardiano in una lettera da Bologna all’amico medico Puccinotti serberà il valore tecnico originario («Non so quando tornerò da coteste parti, perché sono guarito dalla nostalgia»: 1826);79 ma è decisivo il comportamento del Carducci, cinquant’anni dopo. La poesia di Rime nuove in cui il poeta rievoca la Maremma della sua infanzia è passata alla storia letteraria col titolo definitivo di Nostalgia: ma nel primo abbozzo il componimento recava il titolo Colà verso l’Apennino (1871) e in una successiva stesura (1875) il titolo diventò Desiderio della patria;80 solo nel 1887 il poeta scelse, nel titolo, una parola che in precedenza doveva essergli parsa troppo tecnica e quindi inadatta a una rievocazione lirica. Un percorso in qualche modo speculare a quelli appena tracciati presenta influenza: da parola genericamente adoperata col valore di ‘epidemia’ a preciso termine tecnico. Nel la75

Migliorini, Parole d’autore..., p. 74. Chiarugi, Della pazzia..., vol. III, p. 77. 77 G. de Herrenschwand, Trattato delle principali e più frequenti malattie, Bassano 1792, vol. II, p. 19. 78 B.G. Rosnati, Sui mezzi più vantaggiosi al conseguimento ed alla conservazione della prosperità fisica dell’uomo civilizzato, Milano 1821, p. 171. 79 Leopardi, Lettere..., p. 656. 80 Cfr. G. Carducci, Rime nuove, commento di P.P. Trompeo e G. Salinari, Bologna 1961, p. 153. 76

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tino medievale influentia, attestata almeno dal XIII secolo, dipende dalla credenza popolare che le epidemie fossero «causate ab occulta coeli influentia “da un’occulta ‘influenza (o influsso)’ del cielo”»:81 la stessa credenza che il Manzoni attribuisce a don Ferrante, convinto che la peste fosse dovuta a «una fatale congiunzione di Saturno con Giove». Nonostante le pandemie che, dalla fine del Trecento, hanno colpito l’Italia e altri paesi europei, è mancato a lungo un termine univoco per designare quest’affezione anche perché per molto tempo l’influenza venne confusa con altre malattie (peste polmonare, difterite, pertosse).82 Nel XVIII secolo si diffuse il francesismo grippe (DELIN, p. 694), oggi decisamente in declino in italiano ed eccezionale nei dialetti, che invece offrono discrete attestazioni di influenza.83 I termini più ricorrenti nel SetteOttocento erano altri, e si dispiegavano in un ampio ventaglio: per esempio, catarro polmonare, che si legge nella traduzione italiana di un classico trattato del clinico francese JeanLouis Alibert (1766-1837): «Questa malattia regna spesso epidemicamente. L’ultima di questo genere che sia stata osservata a Parigi aveva il nome di Grippe, e fece perire molte persone»;84 catarro bronchiale epidemico (come scrive il Levi, alla voce Grippe: «chiamasi così odiernamente il catarro bronchiale e81 Marcovecchio, Dizionario..., p. 461. L’autore ricorda che il termine è stato introdotto nell’uso internazionale dal Sydenham nel 1675 e che nel tardo Settecento «il vocab. influenza è passato inalterato in ingl. e nel fr. (1782) e come tale mantenuto in altre lingue come italianismo dotto, anche in ted., port., spagn. etc.». Come italianismo occorre riguardare anche la latinizzazione moderna influenza, da cui l’Haemophilus influenzae. Si veda anche, con prudenza, I. Petrin, Per la storia dell’influenza e della sua denominazione, in «Boll. dell’Istituto di storia dell’arte sanitaria», 11(1931), pp. 223-234. 82 Cfr. H.H. Mollaret, I grandi flagelli, in Grmek (a cura di), Storia del pensiero medico occidentale, 2..., pp. 425-468, a p. 448. 83 Cfr. ALI, 156: solo a Cordenons Ud è noto el grip, ma come seconda risposta. 84 [J.-L.] Alibert, Nosologia naturale [...] tradotta e illustrata con note da un Professore di medicina dell’Università di Pisa, Pisa 1818-1819, vol. IV, p. 194.

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pidemico»);85 malattie, affezioni, epidemie catarrali (come si esprime uno dei più rappresentativi medici italiani dell’Ottocento, Maurizio Bufalini [Cesena 1787 - Firenze 1875]).86 Altre volte non si distingue tra “raffreddore” e “influenza” (patologie contigue, del resto, anche nella nosologia contemporanea): il medico ferrarese Francesco Merli, per esempio, dedica un lemma al catarro che, nonostante l’affermazione iniziale («Il catarro, il raffreddore, la costipazione e la flussione sono l’istessa cosa»), sembra descrivere piuttosto la classica influenza, che si ammonisce a non prendere alla leggera: «Vi sono pratici che paragonano il catarro alla peste ed asseriscono che questa à minor numero di vittime di quello ne abbia il catarro».87 Il più antico esempio di influenza usata assolutamente, in riferimento al noto malanno, si legge a quanto pare non in un medico, ma in un letterato, Giosue Carducci, che scrivendo al Chiarini nel 1890 gli chiedeva: «Come stai? Hai avuto l’influenza? Io no» (cit. in GDLI, vol. VII, p. 965).88 Il termine malaria condivide diverse caratteristiche linguistiche di influenza: l’etimo nasce anche qui da un’errata ipotesi patogenetica (l’aria ‘cattiva’: mala aria); nonostante l’antica diffusione della malattia, la parola è attestata solo nel XVI secolo (DELIN, p. 917; nel Medioevo si parlava di terzana e quartana, forme oggi sopravvissute in qualche dialetto: cfr. p. 68); l’italianismo ha avuto fortuna in inglese e, di qui, in altre lingue straniere (cfr. ingl. malaria, ted. Malaria, accanto a Wechselfieber, spagn. malaria accanto a paludismo; il franc. ha optato invece per paludisme, base di una ricca serie di derivati: paludéen, paludique, paludologie ecc.89); anche in questo caso, infine, i medici tra Sette e Ottocento non mostrano familiarità col 85

Levi, Dizionario..., vol. II, parte II, p. 899. Cfr. M. Bufalini, Fondamenti di patologia analitica, Pesaro 1828-1830, vol. II, pp. 266ss. 87 F. Merli, Guida medica, Napoli 1762-1768, vol. II, pp. 166-167. 88 L’affermarsi di questa accezione di influenza nel secondo Ottocento è confermato da A. Pazzini, Scritti di storia delle malattie, Roma 1968, pp. 479-480. 89 Cfr. Sournia, Langage médical..., p. 148. 86

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termine, che viene adoperato in riferimento all’insalubrità delle regioni paludose, piuttosto che alla malattia tipicamente legata a quell’habitat,90 e parlano genericamente di febbri intermittenti o periodiche.91 L’eco di convinzioni infondate o semplicemente il risultato di coniazioni affrettate è spesso rintracciabile anche nell’etimologia, antica e moderna, di molti tecnicismi medici derivati dal greco. Il grecismo antico gonorrea fu formato con gonos ‘seme, sperma’ per l’errata convinzione che la perdita di materia purulenta fosse perdita di sperma92 e il sinonimo blenorragia, formato modernamente con una base più adeguata alla fattispecie (blenna ‘muco’), non è riuscito a cacciare di nido il concorrente. Anemia, di formazione moderna, non vuol dire ‘assenza di sangue’ e nemmeno ‘assenza di emoglobina o di globuli rossi’ – condizioni incompatibili con la vita – ma solo ‘diminuzione, carenza’.93 Tra le incongruenze semantiche del lessico medico dovute a creazioni di studiosi moderni, è classico l’esempio di microbo.94 Il termine fu coniato dal francese Sédillot nel 1878 – che ignorava un Mikrobe adoperato nel 1874 dal Billroth – assemblando arbitrariamente il greco mikrós e bios (letteralmente ‘di breve vita’); l’adattamento italiano avrebbe dovuto essere microbio: evidentemente, l’errata lettura del plurale microbi, con accento spostato sulla terzultima sillaba, ha generato mìcrobo. Quel che più conta è che microbe è stato «interpretato in maniera erronea anche nel paese dov’è nato»: infatti «intento dell’onomaturgo era quello di esprimere la piccolezza degli organismi invisibili, non la brevità 90

Si veda l’articolo del Levi, Dizionario..., vol. III, parte I, pp. 886-895. Alle testimonianze dei già citati Merli, Guida..., vol. I, pp. 71-75 e Bufalini, Fondamenti..., vol. II, pp. 232ss., aggiungiamo quella di Enrico Acerbi (Castano Primo 1785 - Tremezzo 1827), noto anche per la sua amicizia col Manzoni: Annotazioni di medicina pratica, Milano 1819, pp. 13ss. 92 Cfr. Mazzini, Introduzione..., p. 94 e nota 80. 93 Ibid., p. 28. 94 La storia di microbe, ricostruita da Benveniste nel 1966, è riassunta in P. Janni, Il nostro greco quotidiano, Roma-Bari 1986, pp. 123-124, dal quale attingo il paio di citazioni immediatamente successive (si corregga però il nome del medico francese, confuso con François Sébillot, e si integri con DELIN, p. 977 per la precedente attestazione tedesca). 91

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della loro vita, particolare relativamente secondario che non meritava di essere espresso nel nome». Molto noto è anche l’esempio di un altro grecismo coniato in Francia, stetoscopio, lo strumento inventato da René-Th.-H. Laënnec (1781-1826), il medico che introdusse in semeiotica la pratica dell’ascoltazione del torace. Per indicare il tubo col quale ascoltare i rumori respiratori, furono via via scartati sonomètre (l’apparecchio non “misurava” nulla), cornet (troppo pedestre), pectoriloque e thoraciloque (non si ascoltano solo le “parole”); finalmente fu adottato stéthoscope, «qui est le plus absurde» perché non si possono “guardare” (-scope è dal gr. skopêin) dei rumori.95 Anche la fleboclisi «non è un ‘lavaggio delle vene’, come lascia intendere la parola», e meglio avrebbe risposto alla bisogna una fleboterapia.96 Ma gli esempi di questo tipo – come si dice con uno stereotipo, qui più che giustificato – si potrebbero moltiplicare: qualcuno, per esempio, lamenta come mal formati i termini autopsia e talassemia e ritiene illogico che uno stesso aggettivo, asintomatico, possa voler dire ‘senza sintomi’ (riferito a un paziente) e ‘che non causa sintomi’ (riferito a una malattia).97 Quando N. Andry coniò ortopedia (1741), si proponeva solo, come suggeriva l’etimologia, «d’enseigner les différentes méthodes de prevenir et de corriger les difformités des enfants».98 Questa accezione è ancora l’unica registrata in dizionari specialistici del primo Ottocento;99 ma più tardi un dizionario generale come il Tramater e il grande dizionario medico del Levi segnalano l’estensione del significato,100 ormai per95 Cfr. Sournia, Langage médical..., p. 46. La stessa riserva può essere avanzata per il fonendoscopio, inventato successivamente. 96 Cfr. Mazzini, Introduzione..., p. 29. 97 Cfr., per i relativi corrispondenti inglesi, D.M. Jackson, Hellenomania-Hellenophobia, in «The Lancet», (1961) sept., pp. 541-543, a p. 541. 98 Cfr. F.A. Navarro, Ortopedia, in «Panace@», 1(2000), p. 19 e Migliorini, Parole d’autore..., p. 77. 99 Cfr. A. Bonavilla, Dizionario etimologico di tutti i vocaboli usati nella medicina ecc., Napoli 1822, vol. II, p. 277; Leone-Fantonetti-Omodei, Dizionario..., p. 649; Marchi, Dizionario..., vol. I, pp. 605-606. 100 Per il Tramater cfr. GDLI, vol. XII, p. 173; Levi, Dizionario..., vol. III, parte II, p. 954 osserva che la definizione «fondata sopra l’etimologia, ed

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venuto al valore attuale. Oggi avvertiamo l’ortopedico come uno specialista distante tanto dal pediatra quanto dal geriatra e magari, se abbiamo qualche nozione di greco, interpretiamo la parola riconducendo quel -pedia non a paideia ‘educazione’ bensì ai ‘piedi’ malformati che lo specialista deve ‘raddrizzare’, come suggerisce il gr. orthós. Qualche volta la creazione di un tecnicismo segue vie imprevedibili. Curiosa è la storia di rachitismo, un tecnicismo etimologicamente poco giustificabile, dal momento che sembra ricavato modernamente dal gr. rachis ‘spina dorsale’, «bien que le rachitisme ne frappe pas plus la colonne vertébrale que les autres os».101 In realtà la storia è più complicata: nell’Inghilterra secentesca, dove la malattia fu descritta per la prima volta, essa aveva il nome di Rickets, una parola popolare connessa con una radice germanica che indicava il ‘piegarsi’, il ‘curvarsi’: il nome di Rachitis, poi trasmesso al francese e ad altre lingue europee, fu coniato dal medico inglese F. Glisson (1597-1650), «pensando sì al gr. ráchis, ma più che altro coll’intento di dare una voce scientifica che somigliasse foneticamente il più possibile all’ingl. Rickets».102 Naturalmente, un eventuale etimo infelice non ha nessuna rilevanza sull’uso attuale, allo stesso modo che influenza e malaria indicano oggi senza margine d’incertezza – e quindi con piena funzionalità per le esigenze di un linguaggio scientifico – due specifiche malattie infettive, causate rispettivamente da un virus e da un parassita. I problemi nascono quando uno stesso tecnicismo è adoperato dai medici con accezioni diverse, e quindi generatrici di equivoci. Due esempi. Nicturia indica il disturbo consistente nel ripein questo assai esatta, è tuttavia insufficiente per ciò ch’essa restringe ai giovanetti l’applicazione dei processi ortopedici che possono essere necessarii pegli adulti e che di frequente vengono applicati sopra di essi con buona riuscita». 101 J. Hamburger, Introduction au langage de la médecine, Paris 1982, p. 95. 102 C. Tagliavini, Le origini delle lingue neolatine, Bologna 19726, p. 282 nota 35.

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tuto stimolo alla minzione durante il riposo notturno, ma alcuni lo adoperano arbitrariamente come sinonimo di enuresi notturna; un noto medico e divulgatore, in una rubrica pubblicata nel supplemento sanitario di un quotidiano (titolo: Impariamo il medichese) scrive per l’appunto: «NICTURIA Detta anche enuresi notturna, è l’emissione involontaria di urina durante la notte: si parla di nicturia in senso proprio solo a partire dai quattro anni [...]».103 Particolarmente incresciosa l’ambiguità d’uso di emeralopia e nictalopia, ricostruita anni fa da Riccardo Gualdo. I due termini indicano due patologie oculistiche, rispettivamente la ‘vista scarsa a luce fioca’ e la ‘vista buona solo a luce fioca e di notte’: ma queste definizioni, condivise dalla maggior parte dei dizionari medici (non da tutti, però), sono invertite in molti grandi dizionari dell’uso, che perpetuano un equivoco terminologico risalente a Galeno. Il grande medico aveva creduto di riconoscere nel gr. nyktalo–ps l’aggettivo alaós ‘cieco’, interpretandolo come ‘chi è cieco di notte’ (mentre emeralo–ps, forse coniato dallo stesso Galeno, veniva a indicare ‘chi vede male di giorno, ma bene di notte’). Solo nell’Ottocento i termini cominciano a essere adoperati secondo l’uso scientifico oggi dominante, quando si scopre che il gr. alaós non c’entra e che «la -l- del significante [va] attribuita a semplici ragioni di eufonia».104

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L. Sterpellone, in «Corriere Salute», supplemento al «Corriere della Sera», 13.1.2002, p. 6. 104 R. Gualdo, «Emeralopia» e «nictalopia», in «Studi linguistici italiani», 13(1987), pp. 108-113 (la citazione da p. 110).

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4. I TECNICISMI DELLA MEDICINA

1. Una lingua settoriale Si è discusso molto, negli ultimi anni, sulla nozione di “linguaggio settoriale” e di “lingua speciale”, per limitarci alle due etichette più fortunate.1 La scelta tra linguaggio e lingua è legata alla diversa prospettiva: l’opportunità di allargare l’esame ai vari codici implicati o di limitarlo al codice verbale (la lingua del cinema si riferirà all’esecuzione orale dei personaggi di un film, il linguaggio del cinema all’insieme dei canali espressivi – iconico, musicale, gestuale ecc. – attivati dal regista e dagli interpreti). Parlare di settoriale o speciale è invece equivalente e dipende da tradizioni e partizioni oscillanti e talvolta divergenti tra le varie lingue europee. Entrambi gli aggettivi si attaglierebbero alla definizione di lingua speciale data anni fa da Michele Cortelazzo, sviluppando alcuni spunti di G. Berruto: varietà funzionale di una lingua naturale, dipendente da un settore di conoscenze o da una sfera di attività specialistici, utilizzata, nella sua interezza, da un gruppo di parlanti più ristretto della totalità dei parlanti la lingua di cui quella speciale è una varietà, per soddisfare i bisogni comunicativi (in primo luogo quelli referenziali) di quel settore specialistico.2

Una definizione del genere è certamente adeguata per la lingua della medicina (o per quella della chimica o del dirit1

La più recente messa a punto sulla questione in A. Petralli, Media in scena e nuovi linguaggi, Roma 2003, pp. 167-171. 2 M.A. Cortelazzo, Lingue speciali e dimensione verticale, Padova 1990, p. 5.

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to); i problemi sorgerebbero semmai per settori di rango concettuale-terminologico debole, largamente condivisi dal vasto pubblico (per esempio, la lingua del calcio); e soprattutto per àmbiti, come il linguaggio politico e quello pubblicitario, che si propongono di coinvolgere l’intera collettività, facendo leva su meccanismi di persuasione più che su procedure descrittive o dimostrative.3 Il lessico non esaurisce i tratti linguisticamente rilevanti di una lingua speciale e la sua specificità rispetto alla lingua corrente. Entrano o possono entrare in gioco fattori diversi e più profondamente strutturati, come l’organizzazione testuale e sintattica. Ma è innegabile che, guardando all’insieme necessariamente variegato di testi pertinenti alla medicina, i fattori extralessicali si presentino senza costanza e riconoscibilità, tanto da essere difficilmente sistematizzabili. L’articolo del medico che, in un giornale, tratta un argomento che interessa il largo pubblico; il foglietto illustrativo di un medicinale; un trattato di patologia e l’articolo di una rivista scientifica; un referto radiologico: sono tutti testi assai diversi tra loro, in funzione del destinatario (largo o ristretto, competente o profano); dell’emittente (il grande scienziato, ma anche l’anonimo estensore del foglietto illustrativo); della tendenza a modellarsi su schemi preesistenti o a intervenire con più libera iniziativa stilistica; del diverso impegno di elaborazione richiesto dalla sede che ospita il pezzo. Ciò che li accomuna è proprio un tratto lessicale: il ricorso a tecnicismi di vario tipo, da rachide a glicosuria. Caratteristica della medicina, rispetto ad altre scienze, è la forte proliferazione terminologica, che la allontana da scienze 3 La raccolta di saggi che, più di trent’anni fa, segnò una tappa decisiva in questo settore di studi – G.L. Beccaria (a cura di), I linguaggi settoriali in Italia, Milano 1973 – comprendeva tra l’altro analisi del linguaggio politico (U. Eco) e di quello pubblicitario (M. Corti). Sulla distinzione tra parole (del lessico comune) e termini (del lessico scientifico) – e sulla necessità di storicizzare la semantica dei termini scientifici – cfr. W. Belardi, Il lessico dei linguaggi scientifici. Precisione nei programmi, confusione nei risultati, in AA. VV., Ethnos lingua e cultura. Scritti in memoria di Giorgio Raimondo Cardona, Roma 1993, pp. 379-403.

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tipicamente “dure” come la matematica e la fisica, in cui è elevato il grado di formalizzazione non verbale (formule, grafici ecc.),4 avvicinandola all’area umanistica. È facile rendersi conto di questo dato, verificando la quota di lemmi di àmbito medico registrati da un dizionario dell’uso (prescindendo per ora dalla sua reale rappresentatività: cfr. pp. 217ss.). Il fenomeno è stato accertato per il tedesco e il francese;5 per l’italiano ho elaborato io stesso6 alcuni dati estratti dal CD annesso a un apprezzato dizionario:7 per la medicina (e àmbiti connessi: anatomia, farmacologia, fisiologia) quel dizionario registra 5555 termini (pari al 5.45% delle entrate complessive), per la fisica 1296 termini (1.27%). Da notare che la somma dei termini di fisica, matematica, geometria e statistica, biologia e chimica dà un totale appena superiore a quello raggiunto dalle sole entrate di medicina (5980, pari al 5.82%). Anche tra i neologismi entrati negli ultimissimi anni la quota di termini d’àmbito medico è elevata: T. De Mauro ha calcolato che, tra i 2130 termini tecnico-specialistici accolti in un suo regesto di neologismi, ben 207 sono quelli relativi alle scienze mediche: una quota assai alta, superata solo, con 239 accessioni, dalle tecnologie dell’informazione (informatica, elettronica, pubblicità ecc.).8 È comprensibile, dunque, che le sintesi sulla lingua della medicina abbiano fino4

T. De Mauro, Linguaggi scientifici e lingue storiche, in A.R. Guerriero (a cura di), L’educazione linguistica e i linguaggi delle scienze, Firenze 1988, p. 14, parla in proposito di «povertà di tecnicismi». 5 Si vedano, per il tedesco, G. Basile, I linguaggi tecnico-specialistici nel lessico della lingua tedesca, in T. De Mauro (a cura di), Studi sul trattamento linguistico dell’informazione scientifica, Roma 1994, pp. 9-25 (specie alle pp. 21ss.) e, per il francese, M. De Palo, L’incidenza dei linguaggi tecnico-scientifici nel lessico francese, ivi, pp. 27-45 (specie a p. 40 nota 27) e J. Ghazi, Vocabulaire du discours médical, Paris 1985, pp. 109 e 393-394. 6 Il lessico scientifico nei dizionari italiani dell’uso, in G. Adamo e V. Della Valle (a cura di), Innovazione lessicale e terminologie specialistiche, Firenze 2003, pp. 19-44, p. 24 nota 16. 7 [F. Sabatini - V. Coletti], DISC. Dizionario italiano Sabatini-Coletti, Firenze 1997. 8 T. De Mauro, Nuove parole italiane dell’uso del Grande dizionario italiano dell’uso, Torino 2003, pp. XIII-XIV.

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ra privilegiato nettamente il lessico rispetto ad altri livelli possibili, quale che sia l’indicazione del titolo.9 Le ragioni essenziali dell’imponenza del lessico medico sono tre. La prima è che, almeno fino al pieno Novecento, «nel darsi nuovi termini corrispondenti all’acquisto di nozioni e di tecniche, il vocabolario medico ricorre, per tradizione, a composti di base greca»:10 segue, cioè, una via diversa da quella percorsa dalla fisica classica, in cui si è preferito tecnificare parole del lessico comune come lavoro, coppia, forza, momento, accrescendone il tasso di polisemia. La seconda ragione dipende dal forte individualismo da sempre legato alla professione del medico: interpretare i sintomi, risalire alle cause di una malattia, guarire i sofferenti sono operazioni che dipendono dalla capacità personale del singolo medico, non solo dalla sua conoscenza dell’arte sanitaria e dalla pura applicazione di metodiche consolidate. Di qui l’ambizione di lasciare una traccia della propria presenza nel mondo: e il segno per eccellenza è un segno linguistico, si tratti del proprio nome fissato in una delle tante denominazioni eponime, della coniazione di un neologismo per designare una sindrome fino a quel momento mai descritta, o anche – senza incrementare le unità lessicali preesistenti – di modificare l’accezione di un tecnicismo già in uso per effetto di una diversa sistemazione nosografica. Infine, e banalmente, influisce sulla ricchezza terminologica della medicina la stessa complessità dell’anatomia, con le sue sterminate nomenclature, e della patologia. Converrà esemplificare questa prassi, attingendo qualche esempio da medici sette-ottocenteschi, più e meno illustri. Intanto va ricordato come, non solo in epoca moderna, sia pressoché generale la professione di anti-nominalismo: noi siamo 9 Per il francese, per esempio, fa esplicito riferimento al lessico Ghazi, Vocabulaire du discours médical...; ma il lessico occupa quasi per intero anche la trattazione di Hamburger, Introduction au langage de la médecine... 10 Dardano, I linguaggi scientifici..., p. 501. Oggi il greco mantiene una sua produttività per le “nozioni”, mentre le “tecniche” sono sempre più spesso designate col ricorso all’inglese (ma sul tema degli apporti da altre lingue si ritornerà più avanti, alle pp. 167-188).

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scienziati – dicono in coro i medici – e le parole non ci interessano in quanto, come osservava il grande Lancisi, «i nomi naturalmente non sono intessuti nelle cose, ma solo connotano in superficie il concetto che noi facciamo delle medesime».11 E il Vaccà Berlinghieri: Nella danza di san Vito, tarantismo e scelotirbe s’incontrano molte varietà, a ciascuna delle quali è piaciuto a’ moderni nosol[og]isti di dare un nome diverso; ma siccome questi diversi nomi non ci danno alcun lume né circa la natura né circa la cura di tali mali, perciò non perdiamo il tempo a parlarne.12

Già. Ma il fatto è che nessun medico onomaturgo pensa di perdersi in oziose cicalate, bensì di contribuire ai progressi della scienza, magari solo sul versante della tassonomia. Così, esaminando «quelle malattie nelle quali la sostanza organica si mostra più inchinevole a disgregarsi dalle naturali sue unioni e ad ubbidire alle leggi della comune chimica de’ corpi inorganici», Maurizio Bufalini conia dal greco due neologismi, plastaussia e plastollia, «che vuol dire aumento o perdita di plasticità».13 L’autore usa altre volte i termini nel corso del suo trattato,14 quasi a convincersi della loro effettiva necessità, cavandone anche un aggettivo di relazione («in tutte le malattie plastolliche»: p. 477). Ma, pur avendo trovato pronta accoglienza in un repertorio particolarmente attento a tesaurizzare i neologismi di formazione greca,15 i termini non hanno avuto fortuna. Se è questa la sorte toccata a un Bufalini, non meraviglia l’oblio che ha colpito la proposta terminologica del dottor Dante Filacchione da Frosolone (nel Molise) il quale, scrivendo a una rivista medica (1829), espone un caso clinico, sofferman11

G.M. Lancisi, De’ consulti italiani, Roma 1761, vol. I, p. 26. Vaccà Berlinghieri, Codice elementare..., vol. I, p. 43. 13 Bufalini, Fondamenti..., vol. II, pp. 200-201. 14 Cfr. per esempio ivi, p. 239: «le febbri periodiche inducono dapprima nell’organismo una maniera di plastollia, o un abito perverso sotto di cui soprabbondano gli umori sierosi». 15 M.A. Marchi, Dizionario tecnico-etimologico-filologico. Appendice, Milano 1829, p. 682. 12

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dosi a un certo punto sull’espulsione di «otto corpi membranosi sacchiformi» dall’intestino del paziente, senza esitare a denominarli «per analogia» polipi sanguigni intestinicoli.16 Altre volte l’innovazione terminologica muove dalla critica a denominazioni precedenti. Analizzando il termine paramioclono proposto dal Friedreich (una sindrome caratterizzata da movimenti muscolari clonici e involontari) e verificandone la funzionalità per i casi da lui esaminati, A. Murri accetta prima di tutto la proposta dello Schultze di «eliminare dalla denominazione la parola myo-, dacché cloni senza muscoli non ci sieno», poi sostituisce poli- a para- «dacché anche la simmetria dei cloni mancava nei casi miei»; inoltre rifiuta di definire tale policlonia come sintomatica, «dacché parmi illogico, non riuscendo io a comprendere una contrazione muscolare, la quale non sia l’espressione di un qualsiasi processo materiale svoltosi nel sistema nervoso che alla contrazione dei muscoli presiede».17 Un coetaneo del Murri, Achille De Giovanni (Sabbioneta 1838 - Padova 1916), avverte il bisogno di rideterminare la semantica di isterismo: Non facciamo questione di parola, si dice. È vero; ma mentre io vedo sostituirsi tante belle parole ad altrettante senza bisogno [...] così mi sembra che a corrispondere adeguatamente allo stato attuale delle nostre cognizioni, in luogo di estendere la significazione della parola isterismo, si sarebbe dovuto restringerla ai fatti che etimologicamente abbraccia.18

Se moltissime proposte cadono nell’oblio, in altri casi uno scienziato ha introdotto con successo una parola nuova, riuscendo a imporla nella terminologia internazionale. Ecco una serie di parole d’autore, soprattutto di pertinenza patologica, tratte da un agile volumetto di Bruno Migliorini:19 16 Ho già ricordato questo aneddoto nei miei Saggi di storia linguistica..., p. 118. 17 Cfr. Murri, Scritti medici..., vol. III, p. 1391. 18 A. De Giovanni, Commentarii di clinica medica, Padova 1888-1894, vol. II, pp. 219-220. 19 B. Migliorini, Parole d’autore (Onomaturgia), Firenze 1975. Per ogni

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allergia: von Pirquet, 1906 (→ 1923, Panzini); anafilassi: Portier e Richet, 1902 (→ 1923, Panzini);20 bacillo: Cohn, 1872 (→ 1887, in un giornale); batterio: Ehrenberg, 1838 (→ 1881, Comes nella variante bacterii); cirrosi: Laënnec, 1805 (→ 1828, Marchi); difterite: Bretonneau, 1821 (→ 1829, Marchi, nella variante difteritide); flebite: Breschet, 1818 (→ 1819, Acerbi); leucemia: Virchow, 1845 (→ 1889, D’Ajutolo); microbo: Billroth, 1874 e Sédillot, 1878 (→ 1878, Perroncito, nella forma microbio, poi microbo, dal 1896); ormone: Starling, 1905 (→ 1923, Panzini); ortopedia: Andry, 1741 (→ 1803, D’Alberti); scarlattina: Sydenham, 1661 (→ 1757, Targioni Tozzetti); schizofrenia: Bleuler, 1911 (→ 1926, Morselli); uremia: Piorry, 1847 (→ 1862, Bertagnolli); vitamina: Funk, 1913 (→ 1915, Bravetta).

Questa dozzina di parole (facilmente incrementabile, guardando a tecnicismi di minore diffusione e anche di minore momento nella storia della scienza) ci consente alcune riflessioni. Intanto conferma la marginalità dell’Italia nella medicina degli ultimi tre secoli: nessuno di questi decisivi termini della medicina moderna è stato coniato da uno scienziato italiano. Tuttavia la ricezione del tecnicismo è abbastanza precoce (e precocissima in alcuni casi: flebite, microbo, vitamina): ciò che depone per una scienza medica non chiusamente provinciale, ma aperta a recepire quel che avveniva oltralpe, soprattutto in Francia e Germania nel secondo Ottocento, poi negli Stati Uniti. Si noterà che le prime attestazioni italiane sono spesso estratte da dizionari: D’Alberti, Marchi, Panzini; spogli sistematici dei testi medici – una miniera ancora in gran parte non sfruttata dalla lessicografia storica – potrebbero attestare l’efforma indico in sequenza cognome del medico onomaturgo e data della coniazione (ma tralascio di indicare la forma nella lingua originale); in parentesi, preceduta da una freccetta, è la data della prima attestazione in italiano, tratta da DELIN (alla voce leucemia l’errato D’Aintolo va corretto in D’Ajutolo; ho controllato anche T. De Mauro, Grande dizionario italiano dell’uso, 6 voll., Torino 1999, che ha consentito di retrodatare di qualche anno la variante microbo). 20 Ma la data può essere anticipata al 1909 (Mori), grazie a L. Matt, Retrodatazioni di tecnicismi di titoli di pubblicazioni, in «Studi di lessicografia italiana», 21(2004), pp. 183-246, a p. 187.

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fettiva circolazione dei neologismi medici nella letteratura specializzata. Non tutti i tecnicismi medici hanno un marchio di fabbrica altrettanto prestigioso; anzi, la maggioranza di essi entra in modo anonimo nella lingua, senza che sia possibile risalire con certezza al loro creatore. In casi del genere è inevitabile fondarsi sulle attestazioni più antiche, con l’avvertenza che successivi spogli possono portare a datazioni anticipate. L’esempio di un singolo medico non è mai decisivo. Anni fa ho richiamato l’attenzione sul fatto che in un opuscolo del 1839 I. Liuzzi non usa mai il termine iscuria, dispiegando in proposito un ampio ventaglio di espressioni sinonimiche («orina soppressa», «arresto dell’escrezione orinaria», «mancanza di orine» ecc.). Ma sarebbe avventato inferirne che all’epoca non fosse ancora usato iscuria, «un vecchio grecismo attestato con continuità dalla fine del Cinquecento in poi e acquisito stabilmente alla cultura medica del XIX secolo».21 Diverso il caso in cui un termine, che i lessici assegnano a una certa data, sembra sconosciuto non a uno, ma a più medici delle generazioni precedenti. È ben probabile, per esempio, che blefarite ‘infiammazione delle palpebre’, tempestivamente attestato nell’Appendice del Dizionario del Marchi,22 fosse allora di uso appena incipiente, se in diversi scritti di oculistica del primo quarto dell’Ottocento la nozione è sempre espressa altrimenti.23 Ad esempio: «le palpebre dell’occhio destro comparvero oltre modo turgide, rosse e comprese da risipola» (Scarpa, 1802); «qualora sien prese le palpebre da forte infiammazione» (Monteggia, 1804); «considerevole gonfiamento delle palpebre» (da una rivista 21

Cfr. Serianni, Saggi di storia linguistica..., pp. 129-130. Come ha ben visto De Mauro, Grande dizionario..., vol. I, p. 708, datandolo al 1829. 23 Ricavo in parte i dati che seguono da M. Federici, Aspetti della lingua medica di primo Ottocento, con particolare riferimento alla terminologia oculistica, Tesi di laurea inedita, Università di Roma “La Sapienza”, anno acc. 1983-1984, p. 42. 22

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medica del 1828). Blefarite non figura neppure in traduzioni dal francese, come quelle di A. Richerand, Nosografia chirurgica, Pisa 1805-1810, vol. II, pp. 159-179; Alibert, Nosologia naturale..., vol. IV, pp. 243-251; J.-M. Audin-Rouvière, La medicina senza medico, Perugia 1826-1827, vol. II, pp. 30-36.

I tecnicismi medici possono essere classificati secondo varie direttrici. Storicamente, la partizione più semplice è quella fondata sulla provenienza linguistica (greca antica, greca moderna, inglese ecc.). Sincronicamente, si possono adottare un criterio semantico o un criterio formale oppure si può tentare una valutazione sociolinguistica, sulla base della trasparenza dei singoli termini per i profani. In base al primo criterio, possiamo distinguere per esempio: 1) tecnicismi dell’anatomia (ulna, massetere); 2) della fisiologia (metabolismo, midriasi); 3) della patologia (glaucoma, setticemia); 4) relativi alla strumentazione e alle metodiche di analisi (endoscopio, radiologia); 5) appartenenti a scienze strettamente connesse alla medicina (psicologia: narcisismo; farmacologia: efedrina; biologia: estrogeno; biochimica: distrofina ecc.). Il secondo criterio fa riferimento invece alla forma linguistica e ci consente di individuare: 1) tecnicismi monorematici non analizzabili, costituiti da una sola parola che risulta opaca alla coscienza dell’utente il quale non voglia o possa risalire all’etimologia (spesso, s’è già accennato, di scarsa utilità per cogliere il significato attuale): timo, epilessia; 2) tecnicismi monorematici analizzabili (almeno da parte del medico o del parlante cólto), perché composti da un prefisso o da un suffisso, che modifica secondo direttrici regolari e prevedibili il significato della base, o da uno o più confissi24 semanticamente trasparenti: tra i tanti e24 Uso confisso, seguendo l’esempio di De Mauro (che a sua volta attinge a Martinet), come iperonimo di prefissoide e suffissoide; il confisso è un elemento presente in parole composte che si comporta come un prefisso o come un suffisso, figurando «come primo o ultimo elemento (per esempio radio- e -fonia in radiofonia, tele- in televisione)»; ma, a differenza di prefissi e suffissi, è «dotato di un autonomo significato lessicale, [è] spesso capace di apparire come parola libera (per esempio, in it., radio per ‘apparecchio radiofonico’, tele per ‘televisione’) [ed è] per lo più di origine greca o latina»

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sempi, ipocalorico o mastite ‘infiammazione della mammella (precisamente del tessuto ghiandolare o connettivo)’, il cui significato è ricavabile partendo dal confisso masto- ‘mammella’, a cui è stato applicato il noto suffisso -ite (cfr. p. 202); 3) tecnicismi polirematici, ossia costituiti da più parole che funzionano come un blocco di significato unitario, non segmentabile al suo interno: afta epizootica (sostantivo e aggettivo non sono separabili: impossibile *un’afta gravemente epizootica ecc.). Alcune unità polirematiche sono tendenzialmente aperte, possono cioè arricchirsi di altre determinazioni via via che la scienza progredisce e la descrizione di una fattispecie diventa più articolata: diabete insipido → diabete insipido nefrogenico, tiroidite subacuta → tiroidite subacuta linfocitica.25 Rientrano in questa tipologia gli eponimi e gli acronimi (segno di Babinski, HDL ecc.; cfr. pp. 209ss.). Molto più arduo classificare i tecnicismi tenendo conto della ricaduta oltre il recinto specialistico.26 Converrà sottolineare, intanto, che una quota di termini condivide l’appartenenza al lessico comune (qualche volta addirittura al lessico fondamentale) e a quello medico: fegato, occhio, milza (e diverse altre parole relative al corpo umano); polmonite, diabete, arteriosclerosi (e altre parole che indicano patologie di vario tipo); TAC, ecografia, elettrocardiogramma (e altre designazioni di metodiche e accertamenti diagnostici che vengono spesso prescritti dal medico di famiglia). Naturalmente, conoscere una parola non vuol dire conoscerne il significato. Pochi pazienti saprebbero dire in che consista una TAC,27 a cominciare dallo scioglimento dell’acronimo (tomografia assiale computerizzata), né tanto meno in quali casi sia preferibile a una semplice radiografia o a un’ecografia; quasi tut(De Mauro, Grande dizionario..., vol. II, p. 242). Cfr. anche C. Iacobini, Differenti denominazioni ed eterogeneità degli elementi formativi, in M. Grossmann e F. Rainer (a cura di), La formazione delle parole in italiano, Tübingen 2004, pp. 70-71. 25 Cfr. anche Ghazi, Vocabulaire du discours médical..., p. 178. 26 Interessanti dati sulle precarie conoscenze di termini medici, anche banali, possedute da pazienti britannici si trovano in un saggio di C.M. Boyle (1970) cit. in C. Iandolo, Parlare col malato, Roma 1983, pp. 215-222. 27 Sigla infelice, ma comune nell’uso corrente: cfr. p. 213 nota 81.

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ti, è vero, saprebbero localizzare fegato e milza e molti avrebbero un’idea più o meno esatta delle funzioni del fegato, ma pochi collegherebbero la milza al sistema emopoietico. Prescindendo dalle cose e restando alle parole, non c’è dubbio che fegato funzioni come un tecnicismo oltre che restare una parola comune, compromessa anche con la fraseologia idiomatica (avere fegato ecc.); solo occasionalmente i medici, per il desiderio di nobilitare comunque il discorso allontanandolo dall’esperienza comune, parlano di parenchima epatico (altri esempi alle pp. 126 e 128). Al polo opposto, in un’ideale scala di frequenza d’uso, si situano i termini rari: o perché designano nozioni banali che però non càpita facilmente di sentire se non in una corsia o magari in un esame di anatomia (l’osso ioide, il muscolo gastrocnemio); oppure perché anche i rispettivi “designata” sono distanti dall’orizzonte del parlante comune – e in verità anche da quello del medico generico –, indicando patologie o sintomi non usuali (cremnofobia, dacriocistite, carfologia). La difficoltà di risalire al significato di tre tecnicismi come gli ultimi citati dipende anche dalla loro struttura linguistica: sono parole composte che utilizzano confissi rari. Cremnofobia ‘paura morbosa del vuoto’ è probabilmente l’unica parola italiana che utilizza il gr. kre–mnós ‘precipizio’, etimo oltretutto non ovvio nemmeno per chi abbia compiuto studi classici; dacriocistite ‘infiammazione del sacco lacrimale’ unisce un secondo elemento assai noto ma in un’accezione del tutto indipendente (cistite ‘infiammazione della vescica urinaria’) con un confisso presente solo in un ristretto gruppo di termini oculistici (dacrio-, dal gr. dákryon ‘lacrima’); carfologia ‘movimento involontario delle mani di malati in delirio o in agonia, che sembrano afferrare pagliuzze sospese nell’aria’ è un composto attestato già nella medicina greca:28 il primo confisso, carfo- (gr. karphos ‘pagliuzza’), è rarissimo;29 quanto a -logia, la difficoltà nasce dal significato, che rimanda al gr. lego– non nell’accezione abituale di ‘parlo, di28

Cfr. Marcovecchio, Dizionario..., p. 151. In De Mauro, Grande dizionario..., vol. I, p. 945, si registrano, oltre a carfologia, solo carfolite e carfosiderite. 29

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scorro, tratto’ (glottologia, patologia ecc.), bensì in quella, originaria, di ‘raccolgo, ammasso’. Non tutti i tecnicismi medici presentano un aspetto così esoterico. Nell’antichità classica la terminologia era fortemente tributaria all’esperienza quotidiana, risultando di immediata evidenza anche per il profano: il gr. ékzema voleva dire insieme ‘bollore’ e ‘eczema’, tho–rax ‘corazza’ e ‘torace’, bálanos ‘ghianda’ e ‘glande’, il lat. saeptum ‘recinto’ e ‘setto’, penicillum ‘pennello’ e ‘tasta’;30 per il greco, in particolare, è stato calcolato che 229 termini medici abbiano origine metaforica.31 Attualmente il grande prestigio della medicina anglosassone (o comunque in lingua inglese) ha diffuso espressioni tratte dal linguaggio comune: gli internisti possono diagnosticare una cefalea a grappolo sul modello dell’ingl. cluster headache; gli allergologi parlano di polvere di casa come l’ingl. home dust; alla fine del XX secolo ha avuto grande risonanza la malattia (o il morbo) della mucca pazza, ricalcato dall’ingl. mad cow disease. Del resto, anche indipendentemente dall’inglese, non mancano espressioni di immediata espressività, soprattutto in semeiotica e in patologia. Scorrendo un noto, anche se un po’ invecchiato, dizionario medico (Ferrio, Terminologia...) possiamo facilmente mettere insieme un significativo drappello di esempi utili.32 Spesso si parte da un organo alterato da una qualche patologia, accostandolo a un oggetto noto: faccia di sfinge; labbro leporino, di tapiro; gamba di cicogna, di pulcinella; mano a giglio di Francia, da predicatore; occhi di bambola. Qualche volta si tratta di un organo interno (muso di tinca, lat. os tincae); l’espressione può essere suggerita dalla relativa immagine radiografica (cuore a scarpa, franc. coeur en sabot) o dall’eziopatogenesi (cuore da birra, ted. Bierherz). Oppure si evoca un figuran30

Cfr. Mazzini, La medicina dei Greci e dei Romani..., pp. 164ss. Cfr. F. Skoda, Médecine ancienne et métaphore, Paris 1988, p. 311. 32 Si tenga presente che spesso è in uso anche una denominazione diversa, con tutti i crismi dei tecnicismi tradizionali: la malattia da graffio del gatto, per esempio, è anche nota come linforeticulosi benigna da inoculazione e linfoadenite virale benigna (cfr. F. Marconi, Linforeticulosi benigna da inoculazione, in «Minerva medica», 49(1958), pp. 3-20). 31

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te per designare un colore (urina color marsala) o un rumore (rumore di pigolio, di trottola). Alcune malattie sono indicate in riferimento alla genesi tipica (malattia del morso di topo, da graffio del gatto), o alla categoria professionale che ne va, o ne andava, più facilmente soggetta (malattia dei palombari, degli stuccatori, dei giovani porcai; si aggiunga il ginocchio della lavandaia).33 Immaginosamente scherzosa è la denominazione colpo della strega (non tecnica, ma assai adoperata anche dai medici in luogo dei vari dorsalgia, lombalgia o rachialgia acuta, che figurerebbero in una cartella clinica). Accanto alla distribuzione d’uso verticale (alcuni tecnicismi saranno ignoti, non che ai profani, anche a medici specializzati in altri settori), occorre considerare anche la possibilità di variazioni diafasiche, legate ai vari contesti d’uso. Per indicare uno dei tre elementi corpuscolati del sangue, il profano può servirsi dell’unità polirematica globuli rossi oppure, meno probabilmente, dei sinonimi grecizzanti eritrociti o emazie; il medico ha anche una quarta possibilità, quella normalmente praticata parlando con un collega: rossi («I rossi stanno a posto, ma i bianchi sono aumentati»). Allo stesso modo è abituale, nel linguaggio parlato dai medici, ricorrere a decurtazioni, di volta in volta chiarite dal contesto: a seconda dei casi, un elettro potrà essere un elettrocardiogramma o un elettroencefalogramma (un’analoga esigenza di brachilogia – e insieme l’obbligo di evitare ambiguità – favorisce, nello scritto, la diffusione dei relativi acronimi: ECG o EKG e EEG). La serie sinonimica appena citata – globuli rossi, eritrociti, emazie – non è affatto eccezionale; decisamente insolita è, invece, l’incidenza del fenomeno in un linguaggio scientifico, che dovrebbe tendere al rapporto biunivoco tra significante e significato.34 Accanto a forme concorrenti in tutti i livelli d’uso (ble33

Cfr. anche G. Pettenati, Sul linguaggio recente dei medici, in «Lingua Nostra», 14(1953), pp. 24-27, a p. 27. Qualche esempio del genere nella lingua medica francese in Sournia, Langage médical..., p. 49. 34 Il fenomeno non è solo italiano: per il francese si veda il sondaggio di B. Meisser, Le léxique médical français contemporain, Frankfurt am Mein ecc. 1987.

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norragia / gonorrea, brucellosi / febbre maltese, cistifellea / vescichetta biliare, idiopatico / essenziale ecc.),35 il lessico della medicina offre esempi di alternanza tra forme di livello settoriale e forme d’uso comune: rachide / colonna vertebrale, cefalea / mal di testa, corizza / raffreddore. Ma conviene insistere su un punto. Parlare di esaurimento nervoso, come si fa spesso nel linguaggio comune – anche per spinte eufemistiche – è improprio e nessun medico userebbe questa dizione (se non nel colloquio col paziente), ricorrendo di volta in volta alla terminologia specifica: distonia neurovegetativa, depressione, nevrosi d’ansia ecc. Invece mal di testa o raffreddore non sono meno precisi di cefalea o corizza:36 qualsiasi medico e qualsiasi trattato di patologia ne farebbero uso; la scelta in questo caso dipende esclusivamente da ragioni stilistiche, dal desiderio di marcare la distanza dal linguaggio comune (proprio come s’è già visto per fegato / parenchima epatico). Specie nell’àmbito patologico, in cui più forte è il rinnovamento delle conoscenze, il grado di obsolescenza dei tecnicismi è elevato. Se, per l’anatomia, continuiamo a parlare di esofago e di trocantere come gli antichi Greci (trochanté–r e oisofagos),37 l’oppilazione dei medici medievali e rinascimentali o il controstimolo del Rasori sono usciti d’uso con i concetti che essi designavano. Ma si può dare anche un altro caso: la stessa nozione può esse35 Alternanze del genere erano molto più numerose in passato, in presenza di un lessico tecnico non ancora stabilizzato. Nella prima metà dell’Ottocento, per esempio, il “tubo digerente” poteva anche essere designato come tubo gastro-enterico (A. Magistretti, Raccolta di osservazioni e riflessioni patologico-pratiche, Fasc. 1. Malattie di capo, Loreto 1839, p. 29), canale alimentario (L. Bucellati, Dimostrazioni medico-filosofiche sulla febbre petecchiale epidemica, Milano 1817, p. 30, Acerbi, Medicina pratica..., p. 59), canale alimentare (L. Granetti, La medicina specifica applicata in particolare al trattamento delle lesioni organiche, Torino 1848, p. 8), canale gastrico (ancora Bucellati, Dimostrazioni..., p. 31). 36 Anche se il termine raffreddore rischia di rafforzare il diffuso equivoco che sia la stagione fredda, non già uno specifico virus, a causare il malanno; l’equivoco del resto è presente anche in malattie da raffreddamento, un iperonimo di registro settoriale raro nella lingua di tutti i giorni. 37 Peraltro reimmessi nel circolo delle lingue moderne solo dal XVI secolo: cfr. Marcovecchio, Dizionario..., pp. 596 e 883.

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re espressa, nel corso del tempo, in termini diversi. Già Galeno sapeva che le evacuazioni nasali erano chiamate blennai e kóryza dagli antichi e myxai dai moderni.38 Il Murri sottolineava che, di là dalle parole, alcune patologie erano state già descritte in precedenza dal Bufalini, come processo nosogenico («patogenesi dei moderni»), processo semiogenico («analisi dei singoli sintomi»), processo terapeutico («cura sintomatica»).39 Oggi si parla di morbo di Alzheimer, che in molti casi coincide con la demenza senile descritta dai medici del passato.40

2. Tecnicismi specifici e collaterali I vari termini medici menzionati nel paragrafo precedente sono quelli che possiamo considerare i tecnicismi specifici del linguaggio medico. Per indicare il piccolo osso che forma la parte terminale della colonna vertebrale dobbiamo adoperare obbligatoriamente il tecnicismo coccige (ferma restando la possibilità di spiegarci ricorrendo a una perifrasi o magari all’iperonimo osso, accompagnato da deittici: «Quest’osso qui dietro»; ma con ciò dimostreremmo con evidenza la nostra estraneità all’àmbito medico). Tuttavia una lingua speciale non è fatta solo di termini – quasi soltanto sostantivi e aggettivi –41 che riflettono le nozioni proprie di quel settore. È fatta anche di vocaboli (nomi, aggettivi, verbi e in misura ridotta costrutti) altrettanto caratteristici di un certo àmbito settoriale, che però sono legati non a

38

Cfr. Mazzini, La medicina dei Greci e dei Romani..., vol. I, p. 124. Cfr. Murri, Scritti medici..., vol. I, p. 412. 40 Ma Alois Alzheimer, che descrisse questa sindrome nel 1906, la teneva ben distinta dalla demenza senile («er sich unter keiner der bekannten Krankheiten einreihen ließ»: cit. in F.A. Navarro, Enfermedad de Alzheimer, in «Panace@», 13-14(2003), p. 258). 41 Cfr. B.M. Gutiérrez Rodilla, La ciencia empieza en la palabra. Análisis e historia del lenguaje científico, Barcelona 1998, pp. 37-38 (ivi, rassegna di diversi punti di vista in proposito). 39

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effettive necessità comunicative bensì all’opportunità di adoperare un registro elevato, distinto dal linguaggio comune: i tecnicismi collaterali (d’ora in avanti, prevalentemente: TC, sia per il singolare sia per il plurale).42 Per restare in tema, si potrebbe dire che, rispetto ai tecnicismi specifici, i TC svolgono una funzione simile a quella che, in anatomia, il tessuto connettivo svolge rispetto ai singoli organi: funzione di riempimento degli interstizi tra organo e organo, ma anche di sostegno, di protezione, di veicolo di nutrimento. Analogamente, il linguaggio medico – così come quello di altri settori specialistici – non può fondarsi solo su termini come deltoide o granuloma, ma ha necessità di poggiare su un’impalcatura di termini a debole tasso di tecnicità (e tuttavia inusuali nel parlare d’ogni giorno), i quali colleghino le varie parti in un insieme di registro omogeneo. Un esempio. Un paziente dirà che sente (avverte, prova) un forte dolore alla bocca dello stomaco, mentre in una cartella clinica il medico tradurrà questo sintomo più o meno così: «Il paziente accusa (o lamenta, riferisce) vivo dolore nella regione epigastrica». Accusare (lamentare, riferire), vivo come epiteto accompagnato a dolore per qualificarne l’intensità e regione per indicare un certo distretto anatomico sono altrettanti TC che appartengono tipicamente allo stile espositivo dei medici. Ma in molti casi – lo ribadiamo – il medico può scegliere se ricorrere a TC o mantenersi entro l’alveo della lingua comune. Immaginiamo di leggere una frase tipica estratta da un trattato di clinica medica: «La malattia esordisce improvvisamente con elevato rialzo termico e cefalea» (in corsivo i TC). Nulla impedisce al clinico di dire o scrivere incomincia o inizia e febbre alta o forte aumento della temperatura, oltre a mal di testa invece di cefalea. I TC potrebbero dunque essere sostituiti senza che l’esattezza scientifica ne risenta. Ma, paradossalmente, proprio queste 42 Ho introdotto questa nozione nel 1985, precisandola successivamente: cfr. Serianni, Saggi di storia linguistica..., pp. 102-109 e 381-416 e Id., Italiani scritti..., pp. 82-83 e 94-98 (riprendo qui, con qualche adattamento, alcune frasi contenute in questi due libri).

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sono le parole e le espressioni di uso più esclusivo – e quindi in qualche modo più caratteristico –, essendo limitate alla ristretta cerchia degli specialisti, mentre i tecnicismi specifici possono essere noti anche al profano che sia coinvolto in un problema di pertinenza settoriale e sia esposto, quindi, a una certa quota dei relativi tecnicismi. Abbiamo già citato a titolo d’esempio (p. 79) parole come ulna e transaminasi, immaginando che persone del tutto digiune di medicina possano all’occorrenza padroneggiarle e usarle; non è verosimile invece che qualcuno dica a un amico che gli chiede come sta di «avere un modico risentimento febbrile» (dirà, ovviamente, «un po’ di febbre»), né che un paziente riferisca al suo medico curante che l’alvo è regolare (dirà «Di corpo, vado bene» oppure, con eufemismo: «Vado in bagno regolarmente, ogni mattina» o simili). Mentre i tecnicismi specifici rimandano in modo puntuale a una determinata sfera specialistica (evizione è tipico del diritto, anafonesi della linguistica, dulia della teologia), i TC possono ricorrere in più ambiti settoriali: così a carico di è proprio del linguaggio giudiziario, prima ancora che di quello medico (procedimento a carico di ignoti, danni a carico dell’apparato digerente). I TC sono una componente caratteristica delle lingue speciali di più forte caratura intellettuale e rispondono a un’esigenza già individuata con chiarezza nell’Ottocento da Graziadio Isaia Ascoli. Il grande linguista asseriva che un’espressione come vi si determina un piccolo vano – «modo più eletto» rispetto a ci si viene a formare un bucolino – è espressione derivante, «quando pur non sia necessariamente richiest[a], dall’abito di una mente, il cui lavoro è più complesso, e insieme più facile e sicuro, che non sia di solito il lavoro mentale di chi si esprime nel modo più pedestre».43 43

G.I. Ascoli, Proemio all’«Archivio glottologico italiano», in Id., Scritti sulla questione della lingua, a cura di C. Grassi, Milano 1967, p. 34. Un accenno al registro elevato tipico della medicina, «con forme latineggianti o antiquate che solo qui, o prevalentemente qui, resistono» in Pettenati, Sul linguaggio..., p. 25.

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Ma qual è il criterio fondamentale per definire un TC? A differenza del tecnicismo specifico, tendenzialmente stabile (o alternantesi con termini di rango analogo: blenorragia-gonorrea ecc.), il TC, legato a esigenze di registro stilistico non a necessità denotative, presenta sempre un certo margine di oscillazione. L’importanza che, almeno a mio parere, presentano i TC nella caratterizzazione della lingua medica consiglia un’esemplificazione relativamente ampia. Allo scopo, ho spogliato testi di vario tipo: alcune voci di un’eccellente enciclopedia tematica realizzata dall’Istituto dell’Enciclopedia Treccani; alcune parti di trattati di patologia, clinica medica, farmacologia clinica scritti da uno o più autori, in modo da rappresentare l’uso di clinici di diverse scuole e di diversa formazione;44 alcuni foglietti illustrativi di medicinali risalenti agli anni 1996-2003.45 Manca, per ovvie difficoltà di reperimento, una campionatura delle scritture di servizio dei singoli medici (certificati, referti analitici, perizie di medicina legale ecc.): qualche saggio che sarà dato nei capitoli successivi conferma la piena solidarietà anche di queste scritture estemporanee con i modelli dei manuali universitari e dei trattati scritti da scienziati di chiara fama. 44 Il rischio che l’omogeneità stilistica dei vari articoli dipenda non dalle scelte dei singoli autori bensì da interventi redazionali può essere tranquillamente fugato: in opere del genere, destinate a un pubblico specializzato e scritte da medici autorevoli, l’editing si limita agli aspetti paragrafematici (punteggiatura, uso del corsivo, capoversi ecc.) senza osare interventi nelle sezioni legate alla specifica professionalità degli autori. 45 Cfr. rispettivamente AA. VV., L’universo del corpo, vol. II, Roma 1999 (abbreviato in UC); AA. VV., Professione medico. La clinica, Patologia sistematica integrata, voll. I e II, Torino 1999 (PM); A. Fieschi - I. Pannacciulli - P. Boccaccio, Terapia medica, Padova 1984 (TM); J.-P. Giroud et alii, Farmacologia clinica, ediz. ital. a cura di G. Segre, Roma 1978 (Giroud); R. Bodley Scott (a cura di), Price, Medicina interna, ediz. ital. a cura di U. Butturini e E. Zanella, Bologna 1983 (Price). Ho inserito le traduzioni italiane di due classici manuali inglese e francese, dati gli stretti rapporti della medicina italiana con quella espressa in altre lingue. Per i foglietti illustrativi riporto il nome del medicinale, omettendo l’eventuale indicazione di marchio registrato [®].

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I TC non si limitano al lessico, ma – come avviene in altre lingue speciali – investono anche strutture più profonde perché in varia misura pertinenti all’organizzazione della frase: il diverso uso di alcune “parti del discorso” e la microsintassi. Per il primo aspetto, è notevole – ancora una volta in sintonia con altre lingue speciali – il ricorso agli aggettivi di relazione. Solo quelli più frequenti appartengono davvero al linguaggio comune o comunque circolante anche al di fuori degli addetti ai lavori: fosse nasali (risulterebbe alquanto strano fosse del naso), bulbo oculare, diverticoli intestinali; ma difficilmente un profano direbbe – pur conoscendo il significato dell’aggettivo – cisti mediastinica, ostruzione tracheale, glucosio ematico. Esempi utili pullulano, letteralmente, ad apertura di libro:46 «sulle pareti infundibolari» (‘dell’infundibolo’: UC, p. 55), «ostacolo al flusso coronarico» (‘nelle coronarie’: UC, p. 229), «la superficie vasale» (‘del vaso’: UC, p. 329), «attacco emicranico» (‘di emicrania’: UC, p. 619), «il risentimento pleurico è frequente» (‘della pleura’: PM, vol. I, p. 410), «l’exeresi linfonodale» (‘dei linfonodi’: TM, p. 723), «sulla regione zigomatica» (‘degli zigomi’: Price, p. 137).

L’aggettivo di relazione è presente tipicamente in sintagmi costituiti da un nome generico e un aggettivo portatore del significato specifico: «incidenza della patologia abortiva» (‘degli aborti’: UC, p. 31); «con conseguente espulsione della massa comedonica» (‘dei comedoni’, cioè dei comuni “puntini neri” della pelle; UC, p. 54); «in assenza di manifestazioni anginose» (‘di angina’: UC, p. 230); «studi osservazionali» (‘osservazioni’: UC, p. 333). La casistica in proposito è assai ricca: a) evento + agg., per indicare un episodio non meglio precisato di rilevanza patologica: «un evento trombotico» (UC, p. 333), «eventi cardiovascolari acuti» (UC, p. 333), «eventi cerebrovascolari e coronarici» (UC, p. 335), «eventi patologici conseguenti all’infezione 46 Qui e altrove l’esemplificazione potrebbe sembrare ridondante; ma una certa abbondanza e varietà di esempi è indispensabile per verificare l’effettivo radicamento dei vari TC nell’uso medico.

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polmonare» (PM, vol. I, p. 411), «la fibrosi, che segue sempre a un evento necrotico» (PM, vol. I, p. 662); b) in sede + agg., per indicare una determinata localizzazione: «[il dolore] insorge in sede retrosternale o epigastrica» (UC, p. 228), «apprezzare, in sede appendicolare, una tumefazione» (PM, vol. I, p. 612), «va utilizzato esclusivamente in sede otologica» (Anauran); c) su base + agg., per indicare una certa eziologia, il dato posto a fondamento di una diagnosi, la premessa clinica di un certo processo: «nei casi in cui la diagnosi sia stata accertata [...] su base anamnestica» (UC, p. 167), «una patologia [...] su base psicosomatica» (PM, vol. I, p. 586), «la limitazione [dei movimenti] non si realizza su base antalgica» (PM, vol. II, p. 327).47 Per l’indicazione della causa di un processo morboso, su base + agg. concorre con di origine + agg.: «stimoli ormonali androgenici di origine sia gonadica sia surrenalica» (UC, p. 55), «coma di origine diabetica» (UC, p. 763); d) di tipo + agg., per indicare il dato saliente di una patologia, inquadrandola dal punto di vista nosografico: «i fenomeni che si verificano sono di tipo degenerativo» (UC, p. 355), «addensamento di tipo lobare» (in una radiografia; PM, vol. I, p. 409), «lesione capsulata di tipo cavernoso» (PM, vol. I, p. 452); e) rischio + agg., per indicare la probabile insorgenza di una certa patologia: «fattori di rischio coronarico» (UC, p. 230), «soggetti [...] a rischio cefalalgico» (UC, p. 620), «nelle forme caratterizzate da particolare rischio emorragico» (PM, vol. I, p. 665).

Come avviene anche nella lingua comune, ma con minor frequenza, gli aggettivi possono riferirsi non al sostantivo con cui concordano, ma a un termine inespresso. Dicendo diabete insipido, per esempio, insipida, cioè priva di eccesso di zucchero, non è la malattia, ma l’urina (o il sangue); e nell’isterectomia vaginale la vagina è solo la ‘via’ attraverso la quale si esegue l’intervento.48 Per la microsintassi è notevole l’omissione dell’articolo indeterminativo (talvolta sostituibile con il determinativo) in og47

Altri esempi in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 414. Cfr. M. Rouleau, La terminologie médicale et ses problèmes, in «Panace@», 12(2003), pp. 143-152, a p. 145. 48

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getti, soggetti e nomi del predicato in posizione postverbale al singolare (la segnaliamo col simbolo #):49 «basse concentrazioni di ozono [possono] determinare # ostruzione delle vie aeree» (PM, vol. I, p. 334); «una tendenza [...] che nei casi più severi può richiedere # terapia steroidea» (PM, vol. I, p. 411); «è stata dimostrata # intolleranza alimentare verso alcuni alimenti» (PM, vol. I, p. 587); «l’insorgenza di una neoplasia del pene in individui circoncisi è # evenienza rarissima» (TM, p. 722); «come complicanza è stata descritta # amiloidosi» (Price, p. 34); «all’autopsia è comune ritrovare # enfisema» (Price, p. 54);

oppure in complementi indiretti retti da preposizione (ciò può comportare il parallelo uso di preposizioni semplici anziché articolate): «le alterazioni più caratteristiche dell’elettrocardiogramma durante # ischemia cardiaca» (UC, p. 229); «con remissione di sintomi dopo # terapia con disodio-cromoglicato» (PM, vol. I, p. 587); «passaggio di liquido ascitico in # cavità pleuritica» (PM, vol. I, p. 663); «mediante # posizionamento di catetere venoso centrale» (PM, vol. II, p. 153); «in seguito a # trattamento con prodotti analgesici» (Giroud, p. 229).

Inoltre l’articolo è omesso abitualmente con alcuni nomi trattati alla stregua di nomi propri,50 e precisamente: a) nomi latini di batteri, virus e altri microrganismi con i relativi derivati italiani (per esempio streptomicina, dal nome del genere 49 Nella lingua corrente l’assenza di articolo indeterminativo al singolare avviene quasi solo «in un costituente oggetto “pesante” (cioè costituito da più elementi) in posizione preverbale» (L. Renzi, in L. Renzi (a cura di), Grande grammatica italiana di consultazione, vol. I, Bologna 1988, pp. 377378; l’esempio immaginato dal Renzi è il seguente: «Problema ben più acuto e di più difficile soluzione ha sollevato il collega Mistretta»). 50 Nella lingua comune invece i nomi commerciali di medicinali – gli unici usati correntemente dal pubblico – sono articolati («Prendi un Optalidon!», «Ho lasciato l’Aulin in macchina»), giacché il nome proprio è chiamato a rappresentare, per antonomasia, la relativa classe farmacologica: un Optalidon ‘un analgesico’, l’Aulin ‘l’antinfiammatorio’ e simili.

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Streptomyces); b) nomi registrati di medicinali (con qualche oscillazione): a) «Ser[ratia] marcescens è stata considerata l’agente causale di endocarditi batteriche sub-acute» (Price, p. 41), «B[acteroides] melaninogenicus [...] può diffondere dalla bocca ai polmoni» (Price, p. 58), «è necessario escludere una concomitante infezione da Treponema pallidum» (Zitromax), «per la profilassi da Citomegalovirus» (Zelitrex), «non è stato riportato alcun effetto di azitromicina sulla capacità di guidare» (Zitromax); ma anche: «l’infezione retinica e quella disseminata, provocate dal cytomegalovirus» (UC, p. 122); «lo Staphylococcus aureus è responsabile di non più del 67% delle polmoniti acquisite a domicilio» (PM, vol. I, p. 409); b) «Supradyn va assunto in dose di una compressa [...] al giorno» (Supradyn), «Aulin deve essere usato con cautela in pazienti con malattie emorragiche» (Aulin), «Exocin è indicato per il trattamento delle infezioni oculari esterne» (Exocin), «ANAURAN va utilizzato esclusivamente in sede otologica» (Anauran) ecc.; ma anche: «non esistono dati clinici circa gli effetti dello ZOVIRAX Crema in gravidanza» (Zovirax), «il FLUIMUCIL si somministra per via parenterale profonda» (Fluimucil), «Il Preferid pomata in base grassa è da preferire nelle forme croniche» (Preferid) ecc.

Già in testi medici del passato l’articolo mancava nello stile brachilogico proprio delle “storie cliniche” stilate al letto del malato o nei referti necroscopici. È verosimile pensare che sia stato questo l’avamposto che ha favorito una più larga omissione dell’articolo nelle scritture mediche contemporanee. L’omissione, normale nelle vere e proprie frasi nominali (a), si estende facilmente alle serie nominali rette da un unico predicato (b) e a brani in cui predomina la descrizione attraverso l’accumulo dei nomi (c). Ecco tre esempi sette-ottocenteschi: a) «Senso forte di dolore, ed eccessivo calore alla regione epigastrica; insoffribile smania e gelo all’estremità»;51 b) «Un ragazzo di 5 in 6 anni [...] presentò alla prima visita dolore forte di capo [...], totale inappetenza, prurito al naso, pupilla di51

I. Liuzzi, Osservazioni sul colera morbus indiano, Roma 1839, p. 82.

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latata, moto del cuore celere, disordinato, polsi celeri piuttosto tesi, vomito dopo il cibo, dimagramento generale, febbre ricorrente talvolta alla sera previo freddo e remittente alla mattina con sudore»;52 c) «a questo stato di violenza succedeva attiva febbre per lo più rigorifera, unita a moleste vicende di calore e di freddo e terminante con oscura remissione [...]. Nata appena la febbre, nasceva molesta cefalalgia».53

Nel verbo va segnalata la predilezione per alcune forme non pronominali, come il frequente originare («delle arterie coronarie che originano dall’arteria aorta» UC, p. 228; «le cisti del dotto toracico sono [...] situate lungo il decorso del dotto toracico da cui originano come difetti di sviluppo» PM, vol. I, p. 454; «[alcuni tumori] originano dall’epitelio pavimentoso» PM, vol. I, p. 515; «la sensazione pruriginosa origina dunque perifericamente» TM, p. 19) o per evolvere e diffondere («B. melaninogenicus [...] può diffondere dalla bocca ai polmoni evolvendo in ascessi polmonari o empiema» Price, p. 58).54 Anche per l’uso di preposizioni e locuzioni preposizionali si possono individuare alcuni TC caratteristici della lingua medica contemporanea: 1) a con valore modale, in luogo di altre preposizioni come di, da, con «eventi clinici a carattere aterosclerotico» (UC, p. 336), «sensazione [...] a partenza polmonare» (UC, p. 621), «interessamento alveolare, di solito a estensione multilobare» (PM, vol. I, p. 410), «tumori a comportamento maligno» (PM, vol. I, p. 456), «forma a predominanza epiteliale» (PM, vol. I, p. 459), «lesione [...] a eziologia post-traumatica» (PM, vol. I, p. 461), «dolore a localizzazione epigastrica o periombelicale» (PM, vol. I, p. 610), «a partenza dalle vie 52

Magistretti, Raccolta..., p. 6. Sarcone, Istoria ragionata..., vol. I, p. 115. 54 Il fenomeno è già descritto in Pettenati, Sul linguaggio..., p. 25. In alcuni casi (originare, evolvere) si ha che fare con una variante letteraria; per diffondere potrebbe trattarsi invece di un calco sull’inglese to spread. 53

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urinarie» (PM, vol. II, p. 151), «dolore a insorgenza progressiva» (PM, vol. II, p. 328), «fattori professionali a fondamento allergico» (TM, p. 29), «più rara la nefropatia a lesioni minime» (TM, p. 649), «altri farmaci ad attività ipnotica» (Lexotan). Questo costrutto, come il successivo, non è descritto nemmeno nei più recenti dizionari generali, anche in quelli più sensibili agli aspetti grammaticali.55 Ciò potrebbe essere interpretato come elemento a favore della sua recenziorità, ma in realtà va imputato alla mancanza di spogli da parte dei grandi lessici storici (dai quali discende gran parte delle notizie offerte dai dizionari dell’uso). Esempi di questa sovraestensione di a si possono infatti segnalare già in Murri (Scritti medici..., vol. I, p. 222 e vol. II, p. 798): «febbre a tipo intermittente quotidiano», «casi d’itterizia ematogena a rapido insorgere»;

2) da con valore causale invece di ‘causato da’, ‘dovuto a’ Qui una documentazione puntuale è addirittura superflua, dal momento che il costrutto è stabile e consolidato in unità polirematiche della patologia per introdurre la causa scatenante di un’affezione o di una sindrome56 (dermatiti da contatto, polmonite da streptococco, dispnea da sforzo, «agranulocitosi da noramidopirina»: Giroud, p. 197). Vale la pena di osservare che in luogo dell’attuale raffreddore da fieno scrittori di metà Novecento come Gadda o Moravia scrivevano ancora raffreddore del fieno.57 Anche in questo caso il Murri offre diversi esempi utili: «aumento di produzione del calorico da lesione di quel sistema nerveo», «escara da decubito» (Scritti medici..., vol. I, p. 257 e vol. III, 1407), «piaghe da decubito», «un vizio composto dell’orifizio auricolo-ventricolare sinistro da endocardite pregressa» (Lezioni..., pp. 248 e 356);

55 Come il nuovo Sabatini-Coletti, Dizionario della lingua italiana, Milano 2003. 56 Al punto che ci si può chiedere se soddisfaccia la condizione che abbiamo postulato per individuare un TC: la sua sostituibilità con alternative non marcate in senso settoriale. Ma, almeno per i sintagmi fluidi, non cristallizzati in unità polirematiche, questa possibilità in effetti esiste; per esempio: «le lesioni settiche della pelle causate da Staphilococcus aureus» (invece di lesioni da Staphilococcus: Price, p. 61). 57 Cfr. GDLI, vol. XV, p. 305.

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3) a carico di, seguito dal nome del distretto anatomico colpito o della funzione compromessa Costrutto frequentissimo, che basterà esemplificare con alcuni degli esempi di UC: «forme allergiche o pseudo-allergiche a carico dell’apparato respiratorio» (p. 166), «tra le malformazioni a carico dell’anca la più diffusa è la lussazione congenita» (p. 212), «quell’insieme di modificazioni, soprattutto a carico della sfera genito-sessuale, che si manifesta nell’uomo nella sesta decade di vita» (p. 213), «perdite ematiche [...] a carico dell’apparato digerente» (p. 216), «le patologie più diffuse a carico dell’ano sono rappresentate dalle emorroidi, dalle ragadi e dalle fistole anali» (p. 247), «articolazioni a carico di tutte le componenti articolari» (p. 354).58 Se ne conoscono esempi almeno a partire dalla fine dell’Ottocento con Murri (Scritti medici..., vol. I, p. 222 e vol. III, p. 1408: «nulla di anormale a carico degli organi respiratori», «a carico della pia meninge spinale») e Baccelli (Patologia del cuore..., vol. III, pp. 189-190: «a carico del tessuto muscolare»);

4) a livello, seguito da di/del + nome del distretto anatomico o dal corrispondente aggettivo di relazione Anche qui sarà inutile eccedere la misura di un singolo testo: «l’iperespressione recettoriale a livello delle ghiandole sebacee» (UC, p. 55), «il ferro alimentare viene assorbito in larga parte a livello del duodeno» (p. 218), «compressione delle radici nervose a livello del forame intervertebrale» (p. 357); «[la componente lipidica] si accumula a livello cellulare» (p. 327), «a livello carotideo l’intervento più frequente è l’endoarterioctomia del bulbo» (p. 339), «attacco [...] focalizzato a livello oculare» (p. 621).59 Il costrutto sembra relativamente recente nell’uso medico; il Murri, per esempio, non parrebbe conoscerlo e ricorre al più tradizionale in corrispondenza di («modici dolori in corrispondenza del rene»: Scritti medici..., vol. II, p. 769; «in corrispondenza del lobulo paracentrale [...] s’avverte una consistenza dura ed elastica»: Lezioni..., p. 274);60 58

Altri esempi in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 414. La locuzione viene censurata in Putti, Scrivere meglio..., p. 36. 59 Altri esempi in Serianni, Saggi di storia linguistica..., pp. 414-415. 60 Più in generale, l’attuale fortuna di a livello (di), nello scritto e anche

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5) in presenza di, col valore di un semplice con, ma con l’intento di sottolineare una certa evenienza di interesse patologico (e corrisponde piuttosto a “nel caso che intervenga” una certa variabile) «flussi mestruali abbondanti [...] possono aversi in presenza di fibromi dell’utero» (UC, p. 216), «in presenza di ischemia la ridotta disponibilità di ossigeno e di sostanze nutritive altera il metabolismo delle cellule cardiache» (UC, p. 228), «in presenza di un’aumentata permeabilità capillare è possibile reperire [...] in quantità rilevanti anche l’a 2- macroglobulina» (PM, vol. I, p. 335), «in presenza di sintomi suggestivi potranno essere indicati nel singolo paziente anche esami diagnostici mirati» (PM, vol. I, p. 517), «la probabilità di una raccolta corpuscolata è elevata in presenza di una cospicua ipertermia» (PM, vol. I, pp. 613-614), «in presenza di un esantema andrà sempre eseguito un attento esame delle mucose» (PM, vol. II, p. 158);61

6) in assenza di ‘senza’, locuzione speculare alla precedente «gravi ostacoli alle arterie coronarie in assenza di manifestazioni anginose o elettrocardiografiche» (UC, p. 230), «in assenza di provvedimenti terapeutici si può assistere a un progressivo peggioramento» (PM, vol. I, p. 336), «uniforme isolato ispessimento delle pareti dei capillari glomerulari, dovuto a deposizione di immunocompressi sul versante esterno della membrana basale, in assenza di marcate proliferazioni cellulari» (TM, p. 648), «in assenza di un’accurata pulizia orale, compaiono presto ulcerazioni della bocca» (Price, p. 43), «il rapporto polso/respirazione è di 4 a 1 in assenza di polmonite» (Price, p. 148).

nel parlato di «registro medio-basso (ma con pretese verso l’alto)» è ampiamente documentata in O. Castellani Pollidori, La lingua di plastica, Napoli 1995, pp. 56-69 (la citazione da p. 66). L’espressione corrispondente in testi medici spagnoli, a nivel de, è addirittura ascritta tra le «expresiones o palabras incorrectas» in V. de la Prieta Miralles, La historia clínica: aspectos lingüísticos y jurídicos, in «Panace@», 8(2002), pp. 36-39, a p. 37. 61 Altri esempi (anche per la locuzione in assenza di) in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 415.

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3. I TC lessicali Ma i TC più tipici e ricorrenti sono quelli lessicali, tanto numerosi da meritare un paragrafo a sé. Converrà insistere sul fatto che l’adozione di un TC può convivere con altre soluzioni talvolta anche presso lo stesso autore.62 Oltre che da scelte condivise dalla lingua comune (l’abbiamo già osservato), l’alternativa può essere rappresentata da altre forme stilisticamente marcate, cioè da altri TC, in concorrenza tra loro. Un esempio può essere fornito dalle espressioni che indicano quella che il profano definirebbe ‘la causa’ di una malattia; il medico ha a disposizione numerosi TC, quasi sempre intercambiabili. Vediamo due coppie, ciascuna consistente di tre espressioni equivalenti: agente causale («i sintomi legati all’anemia possono essere molto variabili, in rapporto all’agente causale» UC, p. 218), agente eziologico («gli streptococchi, agenti eziologici della sindrome da shock tossico» PM, vol. II, p. 151), fattore causale («la correzione dei fattori causali dell’ipovolemia» TM, p. 46); movente patogenetico («il movente patogenetico fondamentale è costituito dalla deficiente funzionalità cardiaca» TM, p. 44); agente patogeno («[alcune nevrassiti] sono determinate da agenti patogeni che presentano le caratteristiche biologiche tipiche dei virus» PM, vol. II, p. 163); noxa patogena o semplicemente noxa («noxa patogena» PM, vol. I, p. 666).63 In altri casi, il processo di tecnificazione non sembra essersi ancora compiuto, perché concorrono sinonimi largamente presenti anche nella lingua comune. Se per indicare la sintomatologia descritta dal paziente sono da tempo in uso tipici TC (vedili qui sotto, alla voce accusare), un’analoga specializzazio62 Si vedano, per associare (TC) e accompagnare (termine non marcato), due esempi nella stessa pagina di un testo (Price, p. 27): «la setticemia, condizione associata a gravi sintomi generali», «l’aumento della temperatura corporea e l’incremento del metabolismo [...] sono spesso accompagnati da perdita dell’appetito». 63 Tralasciando altre possibilità in cui l’aggettivo ha significato più ristretto come agente infettivo (PM, vol. I, p. 587) o agente virale (PM, vol. II, p. 168).

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ne non è avvenuta quando ci si riferisce ai dati che risultano dalla letteratura scientifica. In tal caso vengono adoperati descrivere (il più frequente: «sono descritti infatti severo dolore toracico [...] disfonia e disfagia» PM, vol. I, p. 459, «aumento della sudorazione è descritto nel feocromocitoma» TM, p. 28 ecc.), riferire («in questa fase [...] non è riferita una frequenza maggiore di episodi di flogosi acuta delle vie respiratorie rispetto alla popolazione sana» PM, vol. I, p. 337), riportare («non è stato riportato alcun effetto di azitromicina sulla capacità di guidare» Zitromax), osservare («shock anafilattici sono stati osservati dopo somministrazione orale di penicillina» Giroud, p. 225), segnalare («sono stati [...] segnalati casi di porpora reumatoide legati all’assunzione di clorotiazide» Giroud, p. 230). Sono tutte espressioni “libere”, non condizionate dall’adesione a un certo registro settoriale. Nel loro insieme, i TC lessicali possono essere riuniti in tre gruppi fondamentali:64 a) alcuni rappresentano un “nome generale”, cioè un termine di estrema latitudine semantica come fatto o fenomeno; b) altri sono costituiti da un sinonimo di registro più elevato rispetto a un vocabolo corrente (esordio ‘inizio’, inibire ‘impedire’, pregresso ‘precedente’), talvolta con intenzione eufemistica (indesiderato, infausto); c) altri ancora presentano uno scarto semantico rispetto alla lingua comune che potrebbe risultare ambiguo o equivoco per il comune paziente. Spesso si tratta di parole che correntemente presuppongono come soggetto un essere umano (o, come si dice, presentano il tratto [+ umano]) e che vengono adoperate in riferimento a enti inanimati (una malattia, una parte del corpo, un principio chimico ecc.), cioè col tratto semantico [- animato]. La sofferenza epatica, per esempio, non dà necessariamente “sofferenza” fisica all’ammalato, che potrebbe addirittura ignorare di avere problemi di fegato. Altre volte cambia la connotazione, da positiva (come in apprezzare: a. un gesto di cortesia, un bel quadro) a non marcata: leggendo in un referto che «non si apprezzano lesioni di natura traumatica a carico dei legamenti 64

Cfr. Serianni, Italiani scritti..., pp. 94-98.

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crociati», qualcuno invece di compiacersene potrebbe preoccuparsi, pensando che certe lesioni “non si apprezzano”, “non vengono apprezzate”, cioè vengono considerate “gravi” dal medico. Ecco una rassegna di alcuni TC particolarmente frequenti, per la maggior parte assenti o documentati in modo inadeguato dai dizionari contemporanei:65 accusare ‘manifestare un sintomo, detto del paziente’: «il paziente non accusa disturbi riferibili all’azione del virus» (UC, p. 121), «la sensazione di debolezza improvvisa [...] è un sintomo accusato anche troppo spesso, specialmente in soggetti neurotici» (TM, p. 31), «il paziente accusa una lancinante cefalea» (Price, p. 28). È un tecnicismo collaterale di vecchia data, visto che è attestato fin dal XVIII secolo;66 oggi appare in regresso e subisce la concorrenza di altri TC, specie lamentare («il rapporto tra sintomi lamentati e comparsa di alterazioni elettrocardiografiche» UC, p. 230; «tutti i pazienti che lamentano dolore addominale» PM, vol. I, p. 586, «pazienti in età adulta che lamentano dolori “dappertutto”» PM, vol. II, p. 325, «quell’ottanta % e più di pazienti che lamentano esclusivamente l’insonnia» TM, p. 23) e riferire («il dolore può essere riferito in sede diversa dall’articolazione colpita» UC, p. 355, «in tutti i pazienti che riferiscano una sintomatologia dolorosa addominale» PM, vol. I, p. 610).67 Naturalmente può aversi anche un sino65

Mi limito di norma a quattro esempi per ciascuna forma: un numero inferiore depone per la relativa rarità di quel tecnicismo; nei casi in cui il TC presenti anche altre accezioni oltre a quelle emergenti dal corpus di riferimento, ne do notizia in fondo al lemma; per comodità dispongo i lemmi in ordine alfabetico, senza distinguere la “parte del discorso” implicata: nome, verbo, aggettivo. 66 Cfr. Serianni, Saggi di storia linguistica..., pp. 104-105 e D’Acunti, Tecnificazione..., p. 128. Ma il Lancisi non sembra conoscere quest’accezione, per la quale adopera piuttosto patire: «Un cavaliere [...] incominciò a patire di distillazione salsa alle fauci», «Il signor paziente [...] pativa de’ dolori ne’ fianchi», «il P. Abbate Scoma [...] dieci mesi sono patì un continuo sussurro all’orecchio sinistro» (Lancisi, De’ consulti italiani..., vol. I, pp. 25, 45, 49-50). 67 Oltre a questa accezione (soggetto: il paziente), riferire, come abbiamo visto, può implicare come soggetto il medico, il ricercatore, la letteratura scientifica in cui si descrive un dato d’interesse clinico.

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nimo privo di connotazione tecnica come avvertire: «il malato avverte dolore, rigidità, limitazione dei movimenti» (UC, p. 355). andamento ‘decorso’ (di una malattia o di un parametro clinico), anche nella locuzione ad (con) andamento + agg.: «interessamento alveolare ad andamento lobare» (PM, vol. I, p. 411), «disturbi [...] con andamento cronico o ricorrente» (PM, vol. I, p. 586), «la maggior parte delle meningiti micotiche hanno un andamento subacuto o cronico» (PM, vol. II, p. 161), «la temperatura rimane di solito alta con andamento intermittente» (Price, p. 61). È un’accezione già presente nel primo Ottocento.68 apprezzare ‘riscontrare, valutare’; apprezzabile ‘riscontrabile, valutabile’: «l’auscultazione di un’arteria [...] consente di apprezzare l’eventuale presenza di soffi» (UC, p. 338), «frequenti [...] i ronchi apprezzabili soprattutto alle basi polmonari» (PM, vol. I, p. 410), «una certa attenuazione della difesa parietale [...] consente di apprezzare, in sede appendicolare, una tumefazione» (PM, vol. I, p. 612), «apprezzare i reliquati anche minimi [di uno svenimento]» (TM, p. 31). associare, associato, associazione riferiti all’unione di più elementi che abbia rilevanza in àmbito clinico o farmacologico; di volta in volta l’accezione fondamentale del verbo sarà dunque quella di a) ‘concorrere con altre patologie’ o b) ‘combinare diversi farmaci nel corso di una terapia’ o, detto di una sostanza, ‘presentarsi nell’organismo in relazione con altre’: a) «l’acne femminile postadolescenziale [...] può inoltre associarsi a irsutismo, disturbi del ciclo e dismenorrea» (UC, p. 55), «[il dolore anginoso] può essere associato a difficoltà respiratoria» (UC, p. 228), «[alcuni sintomi] sono più spesso associati a sindrome ansioso-depressiva» (UC, p. 357), «sibili prevalentemente espiratori [...] associati o meno alla percezione di una lieve dispnea» (PM, vol. I, p. 337); b) «farmaci antiprogestinici associati a prostaglandine» (UC, p. 32), «associazione di cefalosporine con aminoglicosidi» (PM, vol. I, p. 412), «l’accumulo di esteri del colesterolo si associa ad aumento di colesterolo libero extracellulare» (UC, p. 330); possibile anche 68 Cfr. F. Pellei, Il linguaggio medico del primo Ottocento. Testi sul colera, Tesi di laurea inedita, Università di Roma “La Sapienza”, anno acc. 20002001, p. 25 («all’andamento ed all’intensità del cholera», «a seconda delle circostanze ed a norma dell’andamento della malattia» ecc.). In GDLI, vol. I, p. 450 questa accezione è registrata senza esempi.

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l’uso assoluto del sostantivo (anglicismo semantico):69 «un farmaco somministrato in associazione» (Giroud, p. 202).70 assumere, assunzione riferiti all’introduzione nell’organismo di un principio attivo e spec. di un farmaco: «crisi emolitiche, in genere in concomitanza con l’assunzione di farmaci» (UC, p. 217), «inibizione [della risposta motoria] da assunzione di proteine» (PM, vol. I, p. 587), «i pazienti sotto trattamento con bromazepam [...] dovrebbero astenersi dall’assumere bevande alcoliche» (Lexotan), «il rischio di effetti dannosi a carico del feto e/o del lattante a seguito di assunzione di nistatina non è escluso» (Mycostatin).71 comparire, comparsa, riferiti al presentarsi di un elemento che abbia interesse clinico: «successivamente compaiono lesioni rilevate» (UC, p. 54), «si osserva in genere comparsa di tachipnea» (PM, vol. I, p. 341), «una sepsi in cui compaiono manifestazioni sistemiche» (PM, vol. II, p. 1561), «la comparsa della sindrome nefritica acuta» (TM, p. 642). compromettere, compromissione riferiti a un’alterazione clinica relativa all’anatomia o, più spesso, alla fisiologia: «compromettendo i meccanismi di contrazione e rilasciamento che regolano il funzionamento del muscolo cardiaco» (UC, p. 228), «non vi è la presenza di compromissione neurologica» (PM, vol. I, p. 410), «il quadro clinico complessivo può risultare molto compromesso» (PM, vol. II, p. 167), «il diabete, che oltre ai grandi vasi compromette anche i microvasi» (TM, p. 25). Può indicare anche il paziente interessato da una certa patologia: «l’aumento [...] di soggetti compromessi, come i trapiantati e gli ustionati» (PM, vol. II, p. 151). conclamato ‘evidente, detto di una patologia che appare certa dal punto di vista diagnostico’: «dalla totale assenza di sintomi fino all’AIDS conclamata» (UC, p. 121), «in pazienti con coronaropatia conclamata» (UC, p. 336), «una fase in cui la sintomatologia è conclamata» (PM, vol. I, p. 336), «nella fase conclamata il paziente è fortemente oligurico» (PM, vol. I, p. 664). Un esempio dell’avverbio: «rispetto alle forme più conclamatemente maligne» (PM, vol. I, p. 461). Tecnicismo collaterale di circolazione già ottocente69

Cfr. J. Segura, Los anglicismos en el lenguaje médico, in «Panace@», 3(2001), pp. 52-57, a p. 54. 70 Altri esempi in Serianni, Saggi di storia linguistica..., pp. 406-407. 71 Altri esempi ibid., p. 407.

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sca,72 divulgato di là dall’àmbito specialistico in séguito alla diffusione dell’AIDS e alla grande risonanza di quella sindrome presso i giornali.73 concomitare, concomitante, in concomitanza riferiti al concorso di un’altra patologia: «nelle pazienti affette da rachialgie, in cui spesso concomita un’ipotonia muscolare» (PM, vol. II, p. 326), «iperidrosi variamente localizzata può concomitare a neuriti» (TM, p. 28). Meno connotati in senso settoriale l’agg. concomitante («l’affezione va considerata come un’uretrite non gonococcica concomitante» Price, p. 67) e la locuzione preposizionale in concomitanza con («in concomitanza con l’acme febbrile» PM, vol. I, p. 409). controllo ‘dominio, successo’ (su una patologia), ‘condizionamento (di un processo fisiologico)’: «si ottiene il controllo dell’infezione» (PM, vol. I, p. 151), «la steroidogenesi ovarica è controllata dalla secrezione gonadotropinica» (TM, p. 1126), «le risposte riflesse provocate dal calore sono controllate dall’ipotalamo anteriore» (Price, p. 28). Accezione particolare di un anglicismo semantico attestato da tempo (cfr. DELIN, p. 389). danno ‘patologia di diversa natura che colpisce un certo distretto anatomico o altera una certa funzione’: «con conseguente danno delle pareti del follicolo» (UC, 55), «nella teoria del danno endoteliale» (UC, p. 329), «un importante segno di danno d’organo dovuto a elevati livelli di pressione arteriosa» (UC, p. 337), «un meccanismo di progressione dei danni artrosici» (UC, p. 354).74 72

Cfr. ibid., p. 109. Indicativo un sondaggio nell’archivio elettronico del «Corriere della Sera» del 1995 sulla distribuzione del singolare (conclamato, -a): su 92 esempi totali, se ne registrano 34 in accezione generica («un conclamato purista come Zeman», «sul conclamato principio dell’assoluta equiparazione tra i due gestori Gsm» ecc.), 55 riferiti all’AIDS (l’acronimo è trattato come maschile 35 volte, come femminile 20) e solo 3 riferiti ad altre patologie: «un infarto chiaro e conclamato», «schizofrenia conclamata», «oltre alla forma “conclamata” (evidente), oggi è diagnosticata anche la forma “latente” (nascosta)» (il giornalista sta parlando del morbo celiaco; l’uso delle virgolette e la glossa tra parentesi dicono chiaramente che conclamato, al di fuori dell’unità polirematica AIDS conclamato / -a, è trattata come una parola estranea alla competenza media dei lettori). Cfr. anche GDLI, vol. III, p. 476. 74 Non pertinente un esempio ariostesco che GDLI, vol. IV, p. 15 registra con l’indicazione medic. 73

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difetto ‘patologia dipendente da alterazioni anatomiche o disfunzioni di un processo fisiologico o, anche, da carenza di un fattore normalmente presente nell’organismo’: «la natura del difetto immunitario» (UC, p. 117), «[la carenza di vitamina B12] provoca un difetto nella maturazione degli eritroblasti» (UC, p. 216), «passaggio di liquido ascitico in cavità pleurica attraverso difetti diaframmatici» (PM, vol. I, p. 663), «le pazienti affette da sindrome di Kallmann sono incapaci a sintetizzare gonadotropine per un difetto probabilmente localizzato a livello ipotalamico» (TM, p. 1125). Anche, in radiologia, difetto di riempimento, per indicare un’incompleta distribuzione del mezzo di contrasto (indizio della presenza di una lesione espansiva). domanda ‘fabbisogno da parte dell’organismo’: «in condizioni di normalità, l’apporto di sangue necessario per soddisfare l’aumentato fabbisogno si incrementa in modo perfettamente proporzionale alla domanda metabolica» (UC, p. 228), «riduzione delle RTP [resistenze totali periferiche] e sgravio della domanda metabolica» (TM, p. 41). Il termine è speculare a risposta (vedi), col quale condivide il tratto semantico [- umano]. elettivo ‘specifico, indicato (un farmaco, un accertamento diagnostico); tipico (la localizzazione di un fenomeno patologico)’: «indicazioni elettive dell’immunoterapia specifica» (UC, p. 167), «la digitale trova elettiva indicazione in presenza di tachiaritmie sopraventricolari» (TM, p. 45);75 possibile anche il ricorso al sostantivo corradicale («la terapia di elezione» TM, p. 328; «le sedi di elezione [delle piaghe da decubito]» TM, p. 25), al deaggettivale («le aree tussigene si estendono alle vie respiratorie alte con elettività per laringe, biforcazione tracheale e bronchi principali» TM, p. 10) e all’avverbio («la struttura articolare elettivamente colpita dall’artrosi» UC, p. 353). Più comune è però l’espressione analitica di (prima) scelta: «le anemie emolitiche di natura autoimmune richiedono come terapia di scelta quella cortisonica» (UC, p. 219), «il trattamento di scelta» (UC, p. 710; PM, vol. I, pp. 455 e 517), «il farmaco di scelta» (TM, p. 21), «il farmaco di prima scelta» (PM, vol. I, p. 409, vol. II, p. 163), «l’esame di scelta» (PM, vol. I, p. 494). Anche, di intervento chirurgico ‘programmato per tempo, non di urgenza’. elevato ‘alto’: «proteine dotate di elevata attività sensibilizzante» 75

Altri esempi in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 402.

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(UC, p. 166), «l’ittero è dovuto agli elevati livelli ematici di bilirubina» (UC, p. 218), «effetto di elevate dosi di farmaci sedativi» (UC, p. 763), «l’ostruzione delle vie aeree è di grado elevato» (PM, vol. I, p. 341).76 Un esempio del sostituto corrente in un foglietto medicinale: «se si somministrano alte dosi di ZELITREX» (Zelitrex). In riferimento alla temperatura elevato è attestato come sinonimo più eletto di alto già nell’Ottocento.77 episodio ‘evento patologico di carattere acuto, ben definito nel tempo, e che può non rientrare nel quadro tipico di una malattia’: «i disturbi [...] si accentuano progressivamente con episodi di dolore sempre più frequenti» (UC, p. 229), «episodi ischemici coronarici» (UC, p. 333), «episodi di flogosi acuta delle vie aeree» (PM, vol. I, p. 337), «dopo un episodio influenzale» (PM, vol. I, p. 409).78 Il termine è speculare a storia (vedi). esaltare ‘accentuare, potenziare’: «in caso di esaltata trombofilia si potranno mettere in atto le terapie specifiche» (TM, p. 721), «gli stimoli simpatici riflessi cardiaci [...] esaltano le richieste metaboliche cardiache» (TM, p. 34), «negli stati di stress e shock vi sarebbe una esaltata dismissione di b endorfine» (TM, p. 41).79 esordio, esordire riferiti all’inizio di una certa patologia: «il quadro clinico esordisce entro pochi minuti» (UC, p. 167), «l’esordio clinico è di solito improvviso» (PM, vol. I, p. 409), «[un tipo di stipsi] esordisce in età infantile» (PM, vol. I, p. 586), «malattie febbrili caratterizzate da esordio brusco» (PM, vol. II, p. 163). Esempi non marcati: «l’inizio della sintomatologia» (PM, vol. I, p. 587), «l’inizio clinico è variabile» (Price, p. 66). evenienza ‘circostanza, situazione legata a un certo evento patologico’: «nella prima evenienza si può avere [...] scomparsa dei progenitori di tutte le cellule del sangue» (UC, p. 216), «esempi della prima evenienza sono le malformazioni congenite» (UC, p. 354), «quest’ultima evenienza è più frequente nelle forme pneumococciche» (PM, vol. II, p. 161), «l’insorgenza di una neoplasia del pene in individui circon76

Altri esempi ibid. Cfr. GDLI, V, p. 95. Un esempio di espansione d’uso è nel seguente passo del Murri (in questo caso incurante della ripetizione: cfr. sopra, pp. 40-41): «elevata temperatura della febbre da elevato potere di dispersione» (Scritti medici..., vol. I, p. 276). 78 Altri esempi in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 409. In GDLI, vol. V, p. 200 l’accezione è registrata senza esempi. 79 L’accezione è registrata in GDLI, vol. V, p. 284, senza esempi. 77

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cisi è evenienza rarissima» (TM, p. 722). Termine di diffusione ottocentesca e di origine burocratica, criticato dai puristi.80 evoluzione, evolvere riferiti allo sviluppo di un quadro morboso: «normalmente l’evoluzione è favorevole» (UC, p. 54), «questa forma di esantema può evolvere verso una eritrodermia diffusa» (Giroud, p. 228), «l’evoluzione della malattia è lenta e progressiva» (Price, p. 34), «[la citolisi epatica] può evolvere verso la necrosi massiva e irreversibile» (neo-Optalidon). fenomeno ‘evento o serie di eventi di carattere patologico’: «scarsa funzionalità della placenta conseguente a fenomeni trombotici a carico dei vasi che la irrorano» (UC, p. 31), «la capsula si ispessisce per fenomeni di fibrosi» (UC, p. 355), «fenomeni di distorsione e compressione da parte di strutture nervose adiacenti o soprastanti» (UC, p. 763), «il quadro clinico è dominato da fenomeni compressivi legati all’effetto massa di un igroma cistico» (PM, vol. I, p. 452). Tecnicismo collaterale già settecentesco;81 concorre col sinonimo manifestazione (vedi). impegno ‘coinvolgimento; sconfinamento, invasione di strutture anatomiche vicine’: «[la radiografia di un ginocchio artrosico mostra] disassamento accompagnato da un impegno più marcato del compartimento mediale o di quello laterale» (UC, p. 359), «si osserva in genere comparsa di tachipnea, impegno dei muscoli accessori inspiratori» (PM, vol. I, p. 341), «nei periodi di maggiore impegno del quadro algico» (PM, vol. II, p. 326); anche impegnativo: «si possono ugualmente riscontrare sintomatologie impegnative» (PM, vol. I, p. 494). importante ‘significativo dal punto di vista patologico; consistente, grave, serio’: «tutti gli altri sanguinamenti [...], se importanti o ripetuti, determinano una carenza di ferro» (UC, p. 217), «un aumento importante (sino a dieci volte) di esteri del colesterolo» (UC, p. 330), «alterazioni funzionali più o meno importanti» (PM, vol. I, p. 334), «le lesioni da herpes zoster sono [...] spesso precedute da nevralgie importanti» (PM, vol. II, p. 158). Già copiosamente attestato in contesto medico alla fine del XIX secolo, anche con tratto semantico [+ umano]: «sintomi importanti» (Murri, Scritti medici..., vol. I, p. 20), «di questa malata importantissima vi ri80

Come l’Ugolini, cit. in GDLI, vol. V, p. 523. Cfr. GDLI, vol. V, p. 816. Altri esempi novecenteschi in Serianni, Saggi di storia linguistica..., pp. 398-399. 81

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ferirò solo ecc.» (Murri, Lezioni..., p. 464), «altri fatti morbosi importanti» (De Giovanni, Commentarii..., vol. I, p. 111).82 indesiderato, indesiderabile detto tipicamente di effetti collaterali più o meno seri legati alla somministrazione di un farmaco: «effetti collaterali indesiderati» (PM, vol. I, p. 342), «in grado di potenziare i loro effetti benefici [scil. di alcuni farmaci] e di ridurre quelli indesiderati» (TM, p. 41), «Effetti indesiderabili dei farmaci» (titolo di un paragrafo in Giroud, p. 195; poco oltre, a p. 197: «effetti indesiderati da farmaci»); anche «eventi indesiderati» (Zitromax).83 indurre ‘dar luogo a un fenomeno di rilievo patologico’: «forme di asma bronchiale indotte da sensibilizzazione verso il polline di olivo» (UC, p. 165), «alle neoplasie che il fumo induce in vari distretti dell’organismo» (UC, pp. 334-335), «alterazioni del metabolismo neuronale indotte da deficit ormonali» (UC, p. 763), «nell’animale, anche l’instillazione di proteasi o acidi diluiti può indurre quelle stesse modificazioni morfologiche» (PM, vol. I, p. 334); anche induzione: «l’induzione o l’aggravamento di uno stato depressivo si osservano frequentemente nei due tipi principali di cefalee» (UC, p. 619).84 Un esempio di sinonimo non marcato: «[l’assunzione di lassativi] può condurre a un’irritazione cronica del colon» (PM, vol. I, p. 587). La specializzazione di indurre in àmbito medico è antica, se si possono citare esempi pertinenti già nel volgarizzamento trecentesco del Crescenzi («il lattovaro [...] suole inducer soffocatione») e, nel secolo successivo, in Michele Savonarola e nel Brancati.85 infausto ‘che si conclude con la morte del paziente (l’esito di una malattia) o che la fa prevedere (una prognosi)’: «esito infausto» (UC, p. 117; PM, vol. I, p. 340), «una malattia a prognosi infausta» (UC, p. 217; e «la prognosi [...] è infausta» PM, vol. I, p. 460), «forma [...] a evoluzione infausta» (PM, vol. I, p. 456); alternative: «esito fatale», «esito mortale» (Price, pp. 33 e 34; «con possibile esito fatale» Ciproxin).86 Espressione di origine eufemistica, tratta dal 82 Un esempio di importante in funzione connotativa è stato cit. sopra, in una pagina di M. Mazzantini (cfr. p. 33 nota 70). 83 Altri esempi in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 403. 84 Altri esempi ibid., p. 412. 85 Cfr. rispettivamente GDLI, vol. VII, p. 859, Gualdo, Il lessico medico..., pp. 256-257, Aprile, Giovanni Brancati..., p. 365 (inducere). Altri esempi novecenteschi in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 412. 86 Altri esempi ibid., p. 403.

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linguaggio della divinazione classica; l’origine è chiaramente percepibile negli esempi più antichi, come quello d’àmbito letterario di G. Gozzi («tutti gli oracoli furono infausti, e con terribili testi d’Ippocrate alla mano gli fu dimostrato con bell’ordine geometrico ch’egli in capo all’anno dovea cadere nell’unghie a’ beccamorti assolutamente»)87 e quello, specifico, del Vaccà Berlinghieri: «segni di fausto o infausto augurio».88 ingravescente ‘che tende ad aggravarsi’: «i disturbi sono vari, talora ingravescenti» (UC, p. 357), «nell’ambito di quadri clinici progressivamente ingravescenti» (PM, vol. I, p. 336), «uno stato di torpore ingravescente sino al coma» (PM, vol. II, p. 161), «una D.I.C. [‘coagulazione intravascolare diffusa’] ingravescente è una caratteristica delle infezioni destruenti» (Price, p. 27). Latinismo raro nella tradizione letteraria.89 inibire e inibizione riferiti all’azione di combattere (un agente patogeno) o ridurre (gli effetti di una reazione fisiologica, l’azione di una sostanza): «lo streptococco viene di solito velocemente inibito dalla somministrazione degli antibiotici» (PM, vol. I, p. 409), «inibizione [della risposta motoria] da assunzione di proteine» (PM, vol. I, p. 587), «antinfiammatori non steroidei che inibiscono le prostaglandine E» (PM, vol. I, p. 667), «un trattamento anticoagulante precoce può inibire la proliferazione delle semilune capsulari» (TM, p. 644). insorgere, insorgenza riferiti al manifestarsi di un fenomeno patologico: «manifestazioni cliniche che insorgono a breve distanza di tempo» (UC, p. 163), «[l’ischemia cardiaca] può insorgere per due cause» (UC, p. 228), «in caso di artrosi dell’anca o del ginocchio insorge zoppia» (UC, p. 356), «eventi che facilitano l’insorgenza dell’encefalopatia epatica» (UC, p. 710).90 Insorgenza in quest’accezione è già attestato nel Settecento.91 87

Cit. in GDLI, vol. VII, p. 905. Vaccà Berlinghieri, Codice elementare..., vol. I, p. 222. È significativo che l’antonimo fausto sia da tempo uscito dall’uso dei medici, dal momento che non ci sarebbe motivo di velare eufemisticamente una prognosi favorevole, buona o simili. 89 Cfr. GDLI, vol. VII, p. 1075. 90 Altri esempi di insorgenza in Serianni, Saggi di storia linguistica..., pp. 409-410. L’accezione medica di insorgenza è registrata anche in GDLI, vol. VIII, p. 134, senza esempi. 91 Cfr. D’Acunti, Tecnificazione..., p. 148. 88

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instaurare ‘intraprendere (una terapia)’; instaurarsi ‘stabilirsi, prodursi (detto di un processo patologico)’: «instaurare la terapia prima che si producano lesioni irreversibili» (UC, p. 411), «non è stato necessario instaurare una terapia specifica» (Mepral), «una carenza di ferro può instaurarsi per vari motivi» (UC, p. 216), «il quadro completo dell’artrosi si instaura e si sviluppa nelle articolazioni mobili» (UC, p. 354); anche instaurazione: «l’instaurazione di provvedimenti terapeutici» (PM, vol. I, p. 336).92 Nella prima accezione, che deriva dal valore di ‘istituire, fondare’, «per lo più con riferimento a ordinamenti sociali, giuridici o politici» (attestato da tempo),93 instaurare concorre con istituire, adoperato in àmbito medico già nell’Ottocento:94 «è necessario [...] istituire una terapia adeguata» (Impetex), «per istituire idonea terapia» (Anauran), «istituire una terapia idonea» (Preferid). insufficienza ‘riduzione del lume di un vaso o cattivo funzionamento delle valvole che regolano il flusso sanguigno’; più in generale: ‘ridotta funzionalità di un organo’: «l’insufficienza (dell’arteria) vertebrobasilare» (UC, p. 357), «insufficienza renale» (UC, p. 710; PM, vol. I, p. 664; TM, p. 640), «insufficienza respiratoria» (PM, vol. I, pp. 334, 409; TM, p. 43), «insufficienza ovarica» (TM, p. 1128). Il termine è attestato già nella medicina ottocentesca95 ed entra per tempo nel linguaggio letterario: il d’Annunzio lo adopera nel 1906 nel dramma Più che l’amore.96 insulto ‘fattore aggressivo di varia natura che determina conse92 Esempi di instaurare (una terapia) in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 413. 93 Così GDLI, vol. VIII, p. 146, che lo illustra con esempi ottocenteschi. Anteriore un’altra accezione di àmbito medico, quella di ‘rafforzare’: «instaurano la virtù et calore naturale, di maniera che meglio ponno resister alla malignità» (N. Massa, Ragionamento sopra le infermità ecc., Venezia 1556, p. 21 v.). 94 Cfr. F. Puccinotti, Collezione delle opere mediche, vol. III, Macerata 1834, p. 122 («l’esame superficiale istituito sui polmoni»), De Giovanni, Commentarii..., vol. I, pp. 86, 287 («istituire l’esame sistematico», «istituire l’esame obiettivo») e Baccelli, Patologia..., p. 100 («i salassi istituiti e ripetuti nello stato congestivo»). 95 Un esempio del 1832 («insufficienza delle valvole aortiche») è cit. in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 109. 96 Cfr. GDLI, vol. VIII, p. 152; gli esempi più antichi (lo stesso d’Annunzio, Panzini, Pirandello, Moretti) fanno tutti riferimento alla prima accezione da noi indicata.

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guenze patologiche’: «un insulto chimico [...] o meccanico [...] determinerebbe una disfunzione dell’endotelio che riveste le arterie» (UC, p. 329), «alterazioni cliniche e funzionali legate all’insulto acuto del fumo di sigaretta» (PM, vol. I p. 334), «la protezione dell’epitelio dagli insulti proteolitici» (PM, vol. I, p. 334), «in risposta a un costante e prolungato insulto acido» (PM, vol. I, p. 496). È un vecchio tecnicismo collaterale nell’accezione (casualmente non presente nel nostro campione) di ‘accesso morboso’.97 interessare, interessamento riferiti al distretto anatomico o alla funzione fisiologica colpiti da un processo morboso: «le malattie allergiche interessano comunemente l’apparato respiratorio» (UC, p. 163), «rigenerazione compensatoria delle isole di tessuto non interessato» (UC, p. 709), «un interessamento ateromasico in soggetti ipercolesterolemici» (UC, p. 334), «aspetti a chiazze di interessamento broncopolmonitico» (PM, vol. I, p. 409; in un referto radiologico).98 Abbastanza alta la concorrenza del termine non marcato coinvolgere: «possono essere coinvolti la superficie laterale destra del fegato [...]» (PM, vol. I, p. 458), «[il reflusso] può coinvolgere altri organi extra-esofagei» (PM, vol. I, p. 493), «quando il processo infettivo coinvolge anche il tronco encefalico» (PM, vol. II, p. 165). istituire: vedi instaurare lamentare: vedi accusare lesione ‘alterazione morfologica o funzionale di varia origine’: «lesione aterosclerotica» (UC, p. 327), «l’alcol gioca un ruolo necessario ma non sufficiente per indurre di per sé la lesione [scil. la cirrosi epatica]» (PM, vol. I, p. 662), «l’uniformità delle lesioni istologiche» (PM, vol. II, p. 168); anche in riferimento all’immagine di tale alterazione: «lesioni radiografiche» (UC, p. 353). Tecnicismo collaterale di antica attestazione, presente già nel Cinquecento nella Cirugia del Dalla Croce.99 localizzato, per indicare la sede di una certa patologia: «acne [...] localizzata al tronco e ai glutei» (UC, p. 55), «per un difetto probabilmente localizzato a livello ipotalamico» (TM, p. 1125), «una lesione localizzata nella pelle» (Price, p. 60), «i segni più evidenti so97 Documentata a partire dal Redi: cfr. GDLI, vol. VIII, p. 156 e anche Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 127 nota 96. 98 Altri esempi ibid., pp. 413-414. 99 Cit. in GDLI, vol. VIII, p. 967 («quelli che patiscono tubercoli e lesioni nelle giunture»).

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no spesso localizzati alle ghiandole cervicali posteriori» (Price, p. 146). Anche, con uso assoluto, ‘circoscritto’ (tumore localizzato ‘senza metastasi’, lesione localizzata).100 manifestarsi, manifestazione in riferimento alla comparsa di un fenomeno patologico: «[l’acne] si manifesta al viso, alla regione mediosternale e al dorso» (UC, p. 54), «l’infezione acuta [...] si manifesta, da 2 settimane a 3 mesi dal contagio, con febbre alta, tumefazione dei linfonodi» (UC, p. 121), «la dispnea si manifesta in maniera relativamente precoce» (PM, vol. I, p. 338), «manifestazioni di insufficienza respiratoria» (PM, vol. I, p. 409). È tecnicismo collaterale già acclimato nei secoli scorsi (nel Cocchi, per manifestarsi, e nel Massaia, per manifestazione).101 modesto ‘lieve, detto di un fenomeno patologico’: «modesti processi infiammatori» (UC, p. 354), «forme di modesta severità» (UC, p. 619), «modesta sintomatologia» (PM, vol. I, pp. 336-337), «modesti versamenti pleurici» (PM, vol. I, p. 411). Concorre con moderato («moderata ipertrofia della membrana sinoviale» UC, p. 355; «moderata leucocitosi» Price, p. 35) e modico («modica iperpiressia» PM, vol. I, p. 664; «modica leucocitosi» Price, p. 35). Il più antico dei tre TC sembra essere moderato, attestato già nel Cinquecento.102 paucisintomatico ‘che si manifesta con pochi sintomi’: «il primo stadio, preclinico, è rappresentato da una fase paucisintomatica» (PM, vol. I, p. 336), «ulcere esofagee paucisintomatiche» (PM, vol. I, p. 454), «forme [...] paucisintomatiche» (PM, vol. I, p. 461), «sepsi [...] paucisintomatica» (PM, vol. II, p. 152).103 porre (diagnosi) ‘formulare’: «la diagnosi della componente enfisematosa non è mai posta sulla base di criteri standard riconosciuti» (UC, p. 338), «la diagnosi solitamente viene posta (40%) con l’e100 L’accezione di ‘situato o stabilito in un determinato luogo o in una specifica zona’ è registrata in GDLI, vol. IX, p. 177 con esempi novecenteschi. 101 Cfr. GDLI, vol. IX, pp. 689 e 690. Altri esempi del sostantivo in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 399. 102 Cfr. per esempio in G.B. Susio, Libro del conoscere la pestilenza, Mantova 1576, p. 5 r.: «[Galeno] parlando di alcune febbri pur ardenti che non hebbero questo corso o flusso di sangue del naso, disse che ciò avenne perché erano moderate». Altri esempi novecenteschi dei tre sinonimi in Serianni, Saggi di storia linguistica..., pp. 403-404. 103 L’aggettivo è registrato in GDLI, vol. XII, p. 862, senza esempi.

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same dell’espettorato» (PM, vol. I, p. 409), «per poter correttamente porre una diagnosi di esofagite» (PM, vol. I, p. 495), «nel 2050% dei pazienti [...] viene posta diagnosi di colon irritabile» (PM, vol. I, p. 586). Questo tecnicismo collaterale è insidiato da varie alternative senza connotazione tecnica: stabilire («per stabilire la diagnosi di artrosi» UC, p. 356), definire («definire la diagnosi di una massa mediastinica» PM, vol. I, p. 455), fare («[alcuni indizi] permettono di fare diagnosi di amenorrea primitiva ipogonadotropa» TM, p. 1126). portatore (di una patologia) ‘chi, che ne è affetto’: «nei portatori di ulcere, emorroidi, polipi, diverticoli o tumori» (UC, p. 217), «in soggetti portatori di elevati livelli di fattori di rischio cardiovascolare» (UC, p. 333), «pazienti portatori di neoplasie solide o ematologiche» (PM, vol. I, p. 411), «il 10-15% dei pazienti è inoltre portatore di linfonodi patologici a livello cervicale» (PM, vol. I, p. 455).104 pregresso ‘antecedente’: «l’esistenza, presente o pregressa, di trombosi arteriose o venose» (UC, p. 32), «le malattie articolari pregresse» (UC, p. 353), «in soggetti [...] con pregresse patologie cardiovascolari» (PM, vol. I, p. 459), «una pregressa irradiazione del collo e del mediastino rappresenta un fattore di rischio» (PM, vol. I, p. 515). Ampiamente attestato fin dall’inizio del XIX secolo.105 processo ‘insieme di fenomeni patologici collegati tra loro’: «l’aborto settico, caratterizzato da processi infettivi locali e generali» (UC, p. 31), «una maggiore estensione del processo flogistico» (UC, p. 55), «con l’avanzare del processo aterosclerotico» (UC, p. 329), «l’iperalgesia è un processo che si instaura e si mantiene a livello del sistema nervoso centrale» (UC, p. 620). È un tecnicismo collaterale ampiamente documentato a partire dal primo Ottocento.106 regredire, regressione in riferimento all’attenuarsi, al risolversi di un processo patologico o di un sintomo: «le turbe neuropsichiche e la paralisi presentano una regressione più lenta» (PM, vol. II, p. 167), «il quadro clinico regredisce spontaneamente senza lasciare se104 L’accezione generica di portatore non è registrata in GDLI, vol. XIII, p. 974, che esemplifica solo quella, specifica, di ‘individuo che ospita dei microrganismi patogeni senza presentare sintomatologie morbose’. 105 Cfr. Serianni, Saggi di storia linguistica..., pp. 105-106. Più tarda (Panzini) la documentazione di GDLI, vol. XIV, p. 137. 106 Cfr. GDLI, vol. XIV, p. 443 e soprattutto Serianni, Saggi di storia linguistica..., pp. 106-107.

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quele» (Giroud, p. 227), «[le reazioni locali] in genere regrediscono rapidamente» (Anauran).107 Il sostantivo concorre in parte con remissione (vedi). reliquato ‘postumo’: «guarigione senza reliquati» (PM, vol. II, p. 166), «apprezzare i reliquati anche minimi [di uno svenimento]» (TM, p. 31), «l’herpes zoster [...] si risolve senza reliquati significativi» (Price, p. 145). Tecnicismo collaterale di uso non frequentissimo, ma attestato già nel XVIII secolo.108 remissione ‘attenuazione, scomparsa di un sintomo o di un fenomeno patologico’: «con remissione di sintomi dopo terapia con disodiocromoglicato» (PM, p. 587), «con remissione della sintomatologia febbrile» (PM, vol. II, p. 167), «periodi di remissione [della fibromialgia] sono possibili, ma quasi sempre sono seguiti da recidive» (PM, vol. II, p. 326), «le conseguenti difficoltà terapeutiche sono particolarmente marcate, sul piano clinico, nei casi con sindrome nefrosica senza remissioni» (TM, p. 646). Sono note attestazioni antiche (XVI secolo) in riferimento alla ‘caduta della febbre’ – da sempre il sintomo clinico più caratteristico –; molto più recente l’estensione di significato.109 responsabile ‘in grado di produrre un fenomeno patologico’: «un determinato antigene [...] responsabile della risposta allergica» (UC, p. 163), «i meccanismi più frequentemente responsabili dell’ostacolo al flusso coronarico» (UC, p. 229), «processi infiammatori [...] sicuramente responsabili dell’aggravamento delle lesioni» (UC, p. 354), «lo Staphylococcus aureus è responsabile di non più del 6-7% delle polmoniti acquisite a domicilio» (PM, vol. I, p. 409); un esempio di espressione non marcata nella stessa pagina (al solito, per esigenze di variatio): «il microrganismo più frequentemente causa di polmonite» (PM, vol. I, p. 409). Raro il deaggettivale responsabilità: «la loro [scil. delle glomerulonefriti primarie] responsabilità patogena» (TM, p. 640).110 ricercare ‘indagare, cercare di stabilire la causa di un processo patologico o un suo sintomo caratteristico’: «l’intolleranza nei confronti di alimenti contenenti lattosio [...] deve essere sempre accuratamente ricercata nei pazienti con diarrea» (PM, vol. I, p. 587), 107

Cfr. (per regredire) GDLI, vol. XV, p. 750. Con un esempio letterario (Verri) cit. in GDLI, vol. XV, p. 780. 109 Cfr. GDLI, vol. XV, p. 789. Altri esempi novecenteschi in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 410. 110 Altri esempi ibid., pp. 404-405. 108

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«va inoltre ricercata la presenza di mucositi precedenti l’esantema» (PM, vol. II, p. 158), «la risposta dolorosa [...] va ricercata con la digitopressione» (PM, vol. II, p. 326), «dovranno essere ricercati e valutati i fenomeni secondari» (TM, p. 20). Si usa anche il sostantivo deverbale: «presupposto diagnostico [...] è pertanto una ricerca particolarmente accurata» (TM, p. 648). riferire: vedi accusare risposta ‘reazione dell’organismo a un certo stimolo o a un intervento terapeutico’: «una risposta immunologica» (UC, p. 165), «[la prognosi è legata] alla risposta alla terapia» (UC, p. 229), «le risposte motorie e verbali [all’esame dello stato di coma]» (UC, p. 764), «fino ad ottenere una sufficiente risposta ovarica» (TM, p. 1130). Risposta può alternarsi con reazione nello stesso testo: «una determinata reazione immunitaria» e «la risposta allergica» (Giroud, pp. 220 e 221), attestato anche responsività ‘capacità di fornire una risposta clinica’: «dagli studi in cui è stata valutata la responsività ad agenti broncocostrittori» (PM, vol. I, p. 337). sequela ‘serie di disturbi che susseguono a una patologia; postumi’: «avvelenamenti [...] con sequele permanenti» (UC, p. 411), «[la terapia chirurgica derivativa] è gravata [...] da sequele postoperatorie (encefalopatia)» (PM, vol. I, p. 668), «relativamente frequenti sono le sequele, soprattutto nelle forme gravi» (PM, vol. II, p. 163), «nelle sequele del grattamento» (TM, p. 19). severo, severità in riferimento a situazioni patologiche (un quadro morboso, una prognosi ecc.) ritenute gravi: «nelle forme voluminose la sintomatologia può farsi molto più severa» (PM, vol. I, p. 459), «nei soggetti con severa vasocostrizione periferica» (TM, p. 36), «[la prognosi è legata] alla severità, alla sede e al numero delle placche aterosclerotiche» (UC, p. 229), «i bambini colpiti da un attacco di una certa severità» (Price, p. 148); interessante un esempio in cui l’aggettivo riceve le virgolette metalinguistiche: «esofagiti ‘severe’» (PM, vol. I, p. 493). Esempi di mancato tecnicismo collaterale: «con una prognosi grave» (Price, p. 145), «alterazioni a carico del rene e del sangue anche gravi» (neo-Optalidon). Il riferimento all’àmbito medico è già registrato nel XIX secolo dal dizionario del Petrocchi;111 isolati esempi settecenteschi sono stati segnalati in un opuscolo del 1782 di Germano Azzoguidi (Bologna 111

Cfr. GDLI, vol. XVIII, p. 829. Altri esempi di fine Novecento in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 404.

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1740-1814).112 L’attuale fortuna dipende certamente dal modello dell’ingl. severe. sofferenza ‘alterazione di un organo o di una funzione (indipendentemente da eventuali disturbi soggettivi)’: «il coma sarebbe quindi l’espressione di uno stato di sofferenza della sostanza reticolare attivatrice» (UC, p. 762), «alla base di queste alterazioni vi è [...] una sofferenza primitiva della cuffia dei rotatori» (PM, vol. II, p. 326), «[la sudorazione] può tuttavia essere [...] causa di sofferenze cutanee» (TM, p. 28), «sofferenza cellulare e alterazioni degli scambi metabolici» (TM, p. 33).113 sostenuto ‘causato, in riferimento all’agente di una certa patologia e specialmente ai germi che la determinano’: «in pazienti in cui l’ostruzione è parzialmente sostenuta dal broncospasmo» (PM, vol. I, p. 343), «fra quelle [scil. polmoniti] sostenute da bacilli Gramnegativi» (PM, vol. I, p. 412), «l’aumento volumetrico è sostenuto da una flogosi cronica di tipo granulomatoso» (PM, vol. I, p. 455), «le sepsi possono essere sostenute da microrganismi appartenenti a tutte le classi» (PM, vol. II, p. 151).114 Con uso assoluto, tachicardia sostenuta ‘quella dovuta ad alterazioni della regolazione del ritmo cardiaco relativamente lunghe nel tempo’. spiccato ‘elevato; caratteristico’: «essudato alveolare con spiccata componente cellulare» (PM, vol. I, p. 410), «la dolorabilità in fossa iliaca destra risulta spesso meno spiccata» (PM, vol. I, p. 613), «spiccata dolorabilità in corrispondenza dei tender points» (PM, vol. II, p. 325), «l’associazione dei farmaci determina uno spiccato aumento della PC [scil. portata cardiaca]» (TM, p. 41).115 storia ‘quadro clinico di un paziente nel corso del tempo; anamnesi’: «una storia familiare di malattia coronarica» (UC, p. 336), «la storia clinica del paziente» (UC, p. 765), «una malattia a decorso cronico con una sua storia naturale caratterizzata da periodi di remissione e di riacutizzazione» (PM, vol. I, p. 498), «in pazienti che 112

Cfr. V. Nobile, Vaiolo, vaccino ed altra terminologia medica di primo Ottocento, Tesi di laurea inedita, Università di Roma “La Sapienza”, anno acc. 2002-2003, p. 79 («queste particolarità si fanno più o meno severe secondo l’indole della materia variolosa», «siccome questa [la febbre variolosa] ora più ora meno si fa severa»). 113 Altri esempi in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 400. 114 Altri esempi ibid., p. 405. 115 Altri esempi ibid., pp. 405-406.

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riferiscono nella storia recente polmonite, sinusite e otite» (PM, vol. II, p. 162).116 subdolo ‘non palese, senza manifestazioni cliniche evidenti’: «l’emolisi può essere acuta [...] o avere un andamento più subdolo» (UC, p. 217), «l’inizio subdolo della febbre tifoide» (Price, p. 31), «è più abituale un inizio subdolo» (Price, p. 43), «a volte l’infezione segue un decorso più subdolo» (Price, p. 61).117

Questa sessantina di TC rappresenta solo una parte di quelli effettivamente in uso nei testi di medicina: anche restando nei limiti del corpus di riferimento, sarebbe facile incrementare la lista con forme che non hanno raggiunto la soglia di attenzione di tre attestazioni.118 E altro emergerebbe fondandosi sulla competenza di un medico contemporaneo. Ecco per esempio alcune integrazioni suggeritemi da M.G. Di Pasquale: approccio ‘modalità d’intervento’ (a. farmacologico, chirurgico; è difficile un a. diagnostico senza immagini); atteggiamento ‘orientamento professionale nella risoluzione di un problema diagnostico o terapeutico’ (a. aggressivo, chirurgico, di attesa); compatibile, nella diagnostica per immagini ‘che suggerisce una certa diagnosi’ (l’immagine ipoecogena è compatibile con una cisti); frusto ‘sfumato, non chiaramente manifesto’ (forma frusta di una malattia, di una sindrome); inaugurale ‘coincidente con l’esordio di una malattia’ (sindrome i., tachicardie molto rapide possono provocare una sincope i.); locoregionale o loco-regionale ‘che si riferisce anatomicamente all’organo di cui si parla’ (asportazione dei linfonodi locoregionali); precoce ‘iniziale’ (dunque non nell’accezione abituale di ‘anticipato rispetto alla norma’; dispnea p. nelle polmoniti); razionale sost. masch. ‘modo 116

L’accezione medica è registrata, senza esempi, in GDLI, vol. XX, p. 231. Altri esempi in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 409. 117 Anche qui l’accezione è registrata in GDLI, vol. XX, p. 449, senza esempi. 118 È il caso, per citare due tecnicismi collaterali che nella coscienza linguistica di un parlante contemporaneo sono tipicamente dotati del tratto [+ umano], di risentimento ‘alterazione di un organo o di una funzione’ («il risentimento pleurico è frequente»: PM, vol. I, p. 410; cfr. GDLI, vol. XVI, p. 797) e di suscettibile ‘esposto, soggetto’ («il sesso femminile appare più suscettibile al danno epatico da alcol»: PM, vol. I, p. 662).

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più opportuno di affrontare un problema diagnostico o terapeutico’; turbe femm. plur. ‘alterazioni funzionali’ (turbe del transito intestinale).

Di alcuni dei nostri tecnicismi abbiamo registrato la presenza, con specifico riferimento alla medicina, già nei secoli scorsi. Rari quelli radicati in età medievale (indurre; ma su questo punto si veda il paragrafo seguente); pochi quelli cinque-secenteschi (insulto, lesione, moderato, remissione); via via più numerosi quelli risalenti al Settecento (accusare, fenomeno, infausto, insorgere, manifestarsi, reliquato, severo) e all’Ottocento, il secolo che segna l’avvento della clinica moderna. Tra i TC della nostra lista risalgono al XIX secolo andamento, conclamato, elevato, evenienza, importante, insufficienza, pregresso, processo. Da questo punto di vista, il secondo Ottocento presenta una notevole solidarietà con l’età contemporanea. Spigolando tra le pagine di grandi clinici come Murri e De Giovanni potremmo facilmente aggiungere ulteriori TC casualmente non presenti o presenti marginalmente nel nostro corpus come scadente, scaduto e decaduto ‘mediocre, detto di condizioni fisiche generali o di un parametro fisiologico’;119 coorte (di sintomi) ‘insieme, complesso’;120 imperioso ‘impellente, detto di un bisogno fisiologico’.121 È interessante notare come anche i TC – e non solo i tecnicismi specifici – siano in parte condivisi dalle altre lingue occidentali (alcuni sono calchi semantici dall’inglese). Una sommaria verifica sul lessico 119 Da Murri, Scritti medici..., vol. III, pp. 1154, 1362, 1431: «nutrizione scadente», «nutrizione molto scaduta», «le condizioni dell’infermo erano decadute»; da De Giovanni, Commentarii..., vol. I, pp. 190 e 241: «la motilità era sempre assai scadente», «donna [...] scaduta notevolmente nella nutrizione». 120 Da De Giovanni, ibid., vol. I, p. 113 («una sterminata coorte di sintomi»). Un esempio contemporaneo in PM, vol. I, p. 411 («rispetto alla coorte di sintomi»). 121 Da Murri, Lezioni..., p. 229 («imperioso bisogno di defecazione»). Un esempio moderno, nel medico-scrittore P.G. Bianchi, è stato cit. sopra, a p. 30.

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medico francese122 ha consentito di documentare oltralpe i seguenti TC che abbiamo appena incontrato nella nostra rassegna: apprezzare («afin d’apprécier le retentissement de l’hépatite sur le foncionnement du foie», p. 474), associare («ce trouble peut être [...] associé à d’autres anomalies tubulaires», p. 295), importante («une déshydratation cellulaire importante», p. 295), insufficienza («une insuffisance hépatique irréversible», p. 474), localizzato («maladie cutanée localisée entre les orteils», p. 791), manifestarsi («les mycoses cutanées, ou cutanéomuqueuses, se manifestent par une atteinte de la peau», p. 676), porre diagnosi («on pose le diagnostic», p. 296), ricercare («cette affection doit être systématiquement recherchée chaque année chez tout diabétique», p. 298), sequela («les hépatites virales évoluent spontanément de façon favorable [...] sans sequelles», p. 474).

4. I tecnicismi nei testi del passato Abbiamo già accennato alla riconoscibilità, nei testi medievali, di un sistema terminologico sufficientemente organizzato: una presenza indiscutibile, purché si abbia ben chiaro che la continuità riguarda i significanti, mentre la convergenza dei significati va valutata con prudenza caso per caso. Riprendiamo in mano quel Fasiculo de medicina, il prezioso incunabolo del 1494 che a suo tempo (pp. 87-89) abbiamo convocato come testimone della cesura incolmabile tra medicina antica e moderna. Ebbene, se guardiamo alle attestazioni dei tecnicismi specifici, non possiamo sottovalutare la quantità dei termini che (con più o meno spiccate varianti di forma) continuano fino a oggi. Non solo: molti di questi termini circolavano già nei secoli precedenti, segno indubbio di una continuità che fino ad anni recenti è stata oscurata dalla scarsa attenzione prestata dai grandi lessici storici alla lingua non letteraria.123 Si veda, per esempio, l’ampio elenco alfabetico di malattie alle pp. 8-14 (n.n., non numerate). 122

Attraverso il Larousse médical, Paris 1995. È la situazione descritta quasi quarant’anni fa da Altieri Biagi, Lingua e cultura..., pp. 248ss. 123

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Si tratta di poco meno di cento termini, molti dei quali attestati dalla fine del Duecento a tutto il Trecento.124 Ad esempio: allopitia ‘alopecia’, apoplexia ‘apoplessia’, asima ‘asma’ («difficultà del rifiatare cum suono»), dissinteria ‘dissenteria’, empima ‘empiema’ (definito in base ai sintomi caratteristici: «è sputo sanioso nella concavità del pecto overo del polmone, overo empima è passione quando si sputa con difficultà marcia o ver sanie»), epilensia ‘epilessia’, fistula ‘fistola’, gomorrea ‘gonorrea’, impetigine, lepra ‘lebbra’, litargia ‘letargia’ (definito in base alle possibili cause: «è apostema nella parte driedo del cervello sotto la carne, o vero litargia è apostema flemmatico con febre natto [sic] nella parte del cervello con oblivione dalla mente»), lienteria, optalmia ‘oftalmia’, peripleumonia («è apostema nelli canali del polmone [...]»), pleuresi ‘pleurisia’, scotomia ‘scotodinia’, stranguria, sciaticha, tetano, tenasmo ‘tenesmo’ («è voluntà de appetito soverchio de andar del corpo senza molto effecto»). Altri termini sono documentati dal Quattrocento, come diabetes ‘diabete’, emigranea ‘emicrania’. Per altri ancora questa del Fasiculo parrebbe la più antica attestazione nota: asclite ‘ascite’, cephalea ‘cefalea’, idrophorbia ‘idrofobia’ (ma la definizione sembra del tutto slegata dalla nota malattia, descritta già anticamente: «si dice esser passione melanconica nella quale gli huomini si spave[n]tano da l’acqua monda & dal suo suono»). Spigolando tra le pagine del Fasiculo, è ancora possibile cogliere prime attestazioni sfuggite persino al DELIN (ciò che conferma la necessità di spogli sistematici per testi scientifici del passato, specie se così rappresentativi come questo). È almeno il caso di endymiaco ‘endemico’, detto del morbo pestilenziale, che «si cognosce in una regione overo città overo si chiama endymiaco» (p. 53 n.n.).125

Due postille. Nel Fasiculo sono rappresentati anche tecnicismi poi usciti d’uso, come artetica ‘artrite’, bolismo ‘bulimia’, neufresi («si dice essere dolore de rene»), squinantia ‘angina’; ma è significativo che si tratti di una quota decisamente infe124 Per la datazione rinvio senz’altro a DELIN e GDLI, sotto le rispettive voci. Mantengo la successione dell’originale, non rigorosamente alfabetica; la trascrizione è sobriamente rammodernata secondo i criteri esposti a p. 11 e le abbreviazioni sono sciolte. 125 La più antica delle varianti registrate in DELIN, p. 520, endemio, è settecentesca (Vallisnieri).

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riore rispetto ai tanti termini di cui possiamo riconoscere la continuità, quale che sia la puntuale corrispondenza semantica, fino a oggi. Seconda postilla: si sarà notato che molti termini presentano un assetto difforme rispetto all’etimologia (di norma rispettata nel corrispondente termine moderno). Spesso si tratta di varianti ampiamente attestate in testi coevi e diversamente spiegabili: è quel che vale, per esempio, per allopitia, tenasmo, bolismo o gomorrea.126 Qualche volta può trattarsi di “parole fantasma”, cioè di occasionali travisamenti delle forme ricavate dalle varie fonti utilizzate dal compilatore medievale e passate in modo inerziale nei manoscritti (e talora addirittura nelle stampe più antiche o meno sorvegliate).127 Il quadro cambia radicalmente se dai tecnicismi specifici passiamo ai collaterali. Dal Tre al Seicento le parole che possiamo far rientrare in questa categoria sono non solo poche di numero, ma soprattutto assai incerte come statuto terminologico. Qualche anno fa R. Gualdo, studiando un trattato di ostetricia quattrocentesco, ha allestito una cospicua lista di possibili tecnicismi collaterali; ma allo studioso non sfuggiva certo il fatto che si tratta di «una categoria non sempre facile da applicare alla situazione medievale»,128 e la sua lista comprende, consapevolmente, vari termini di pertinenza medica lì registrati perché non rientrano nelle categorie più facilmente delimitabili nelle quali 126 Per le prime due cfr. R. Baldini, Zucchero Bencivenni, «La santà del corpo» ecc., in «Studi di lessicografia italiana», 15(1998), pp. 21-300, alle pp. 192 e 278 (tenasmo è allegato in DELIN, p. 1679, per un refuso, come terrasmo; cfr. anche Gualdo, Il lessico medico..., p. 141, Sboarina, Il lessico medico..., pp. 244-245, Fattorini, Il lessico medico..., p. 243). Per bolismo cfr. Sboarina, Il lessico medico..., pp. 146-147. La variante gomorrea è ampiamente attestata e si deve ad accostamento paretimologico al nome di Gomorra, la biblica città simbolo dei vizi sessuali (DELIN, p. 679). 127 Per la veterinaria il fenomeno è stato ampiamente documentato da M. Aprile, La lingua della medicina animale, in R. Gualdo (a cura di), Le parole della scienza. Scritture tecniche e scientifiche in volgare (secoli XIII-XV), Galatina 2001, pp. 49-74, alle pp. 68-74. 128 Gualdo, Il lessico medico..., p. 38. E si veda anche, dello stesso, Sul lessico medico di Michele Savonarola: derivazione, sinonimi, gerarchie di parole, in «Studi di lessicografia italiana», 16(1999), pp. 163-251, a p. 168.

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si articola il suo glossario (lessico anatomico, fisiologico, patologico, relativo alla “materia medica”). Mantenendo la definizione “stretta” di TC che abbiamo messo a punto nel paragrafo precedente, si dovrebbero espungere dalla lista molti lemmi, come asugarse ‘disidratarsi’ (le attestazioni precedenti e immediatamente coeve sono generiche; manca cioè, nel quadro delle attestazioni estranee al Savonarola, una conferma dell’eventuale connotazione in àmbito medico), curvosità ‘curva, curvatura’ (hapax del quale sarebbe difficile ipotizzare il registro) o metere ‘somministrare, applicare’, che sembra piuttosto il sinonimo generico, non marcato, rispetto ad applicare.129 Possono essere invece riguardati come TC il citato applicare detto di medicamenti che, pur essendo una prima attestazione, ricorre varie volte nel De regimine pregnantium e in altre opere del Savonarola, è adoperato in un testo di poco successivo, il volgarizzamento del Bagellardo e – aggiungiamo – presenta continuità con esempi cinquecenteschi, secenteschi e settecenteschi130 oltre che moderni. La stessa conferma, fondata su solidarietà orizzontali (più di un esempio in Savonarola), verticali (attestazioni nella trattatistica medica lungo l’asse del tempo: anche esempi successivi possono illuminare la probabile connotazione di un’attestazione più antica) e tematiche (riferimento a nozioni specifiche della medicina) consente di includere con certezza nei TC varie altre forme, per esempio conferente e offendere.131 Più recentemente è tornato sul problema dell’individuazione dei TC nella trattatistica medica cinquecentesca M. Motolese, il quale ha sottolineato l’importanza «di cogliere l’emergere di orientamenti unitari atti a elevare il registro espressivo», come le serie sinonimiche in cui si alternino forma dotta e forma corrente (paziente / ammalato), i latinismi crudi (sito ‘posizione’, fauci), alcune locuzioni preposizionali come atto a, abile a, gagliardo a.132 129

Ibid., pp. 230, 241, 263. Cfr. rispettivamente Motolese, Lessico medico..., p. 81; Serianni, Popolarismi e tecnicismi..., p. 344; D’Acunti, Tecnificazione..., p. 130. 131 Cfr. Gualdo, Il lessico medico..., pp. 237 e 265. Si veda sopra, p. 50. 132 Cfr. Motolese, Lessico medico..., p. 65. 130

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La difficoltà di censire esempi utili in età pre-moderna (diciamo: prima del XVIII secolo) può essere confermata dalla rarità di TC nel Fasiculo de medicina, pur così aperto (come s’è visto) ad accogliere quelli specifici. Possiamo notare indurre (già cit. a p. 148: il diacitonito e lo zenzevero «induce in alcun mo(do) caldo», «questo tal tempo caldo induce febre», pp. 11 e 63 n.nn.), offendere («quando se offende el core apare el segno sotto le asselle, & quando è offeso el cervello apparisce el segno drieto alle orechie, & quando è offeso el fegato nella cosa dextra & è offesa la milza nela inguine sinistro» p. 54 n.n.), regione («circa le regioni del core» p. 54 n.n.),133 comprimere («comprimere el diafragma» pp. 67, 74 n.nn.: molto indicativa la stabilità del sintagma) e anche patire e paziente, avvertiti come parti solidali di un unico paradigma morfologico e semantico, in relazione alla malattia («paciente» pp. 4, 10, 11 n.nn., «patiente» p. 68 n.n., «non patisce mal di pietra» p. 55 n.n., «patisce anchora la infermità complexionale propria» p. 79 n.n.).134 Abbastanza ben rappresentati gli aggettivi di relazione, consueto indizio di una prosa marcata settorialmente: «infirmità pestilentiale», «morbo pestilentiale», «infermità epidimiale», «aquosità urinale», «humidità salivale» (pp. 52, 53, 78, 80 n.nn.).

Con Francesco Redi siamo in tutt’altro ambiente rispetto al Fasiculo. Il Redi segna indubbiamente un punto di svolta nella storia della scienza italiana e nelle conseguenti scelte linguistiche, forse più per la potatura dei termini tradizionali, specie quelli di impronta araba, che non per le novità terminologiche che possano farsi espressamente risalire a lui.135 Padrone della terminologia specifica, dalla quale pure ostenta distacco, non rinuncia «nei consulti a pagamento (a lauto pagamento) a quello 133 Anche in Savonarola (cfr. Gualdo, Il lessico medico..., p. 60, con diversa valutazione del suo statuto terminologico) e nei trattatisti cinquecenteschi (Motolese, Lessico medico..., p. 174). 134 Tralasciando paziente, rimasto stabilmente in uso fino a oggi, per patire cfr. Gualdo, Il lessico medico..., p. 114 (che però lo considera tecnicismo specifico) e GDLI, vol. XII, p. 827. 135 Altieri Biagi, Lingua e cultura..., p. 227.

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stesso linguaggio che, in sedi economicamente meno produttive, respinge».136 La sprezzatura linguistica dello scienziato (e del toscano nativo) – oltre al registro stilistico proprio del “genere” consulto – lo porta a usare espressioni non canoniche, segnate da una forte individualità: «quell’insolentone del fegato», «scorretto, insolente e scapestrato» (un medicamento); oppure a coniare neologismi scherzosi (come scorrettivi, detto polemicamente dei “correttivi” aggiunti ai serviziali, che egli raccomanda piacevoli, cioè ‘lenienti’, senza aggiunta di altre sostanze).137 Ma anche nel Redi i TC sono rari: abbiamo già citato insulto (p. 151 nota 97); possiamo ora aggiungere – certo, senza pretendere di esaurire la lista – regione («nella regione del fegato»), offendere e anche gagliardo ‘di immediata efficacia’, detto di un presidio terapeutico («non averà dubbio che il rene sinistro sia quello che principalmente resti offeso», «i medicamenti locali e gagliardi che si possono applicare in bocca alla lingua offesa»), oltre ai consueti aggettivi di relazione («dolori nefritici», «calore ascitizio»).138 L’effettiva adozione dei TC come parte integrante del registro medico avviene nel Settecento. Più che spogli da autori diversi, è istruttivo un aneddoto, che è stato illustrato impeccabilmente da G. D’Acunti.139 Giovanni Gentili (Firenze 1704 - Livorno 1784)140 svolse attività mediche pubbliche e private a Firenze e a Livorno e fu amico del Cocchi, di cui si considerava discepolo. Come altri medici dell’epoca sua (ma la pratica è nota anche in precedenza), il Gentili usava annotare i casi clinici che via via capitavano sotto il suo sguardo professionale; le più interessanti di queste annota136

Ibid., p. 198. Per il primo e il terzo esempio cfr. ibid., pp. 199 e 194; per il secondo: F. Redi, Consulti medici, ed. critica a cura di C. Doni, Firenze 1985, p. 110. 138 Cfr. ibid., pp. 113, 117, 151, 173. Per gagliardo in questa accezione cfr. Motolese, Lessico medico..., p. 127. 139 Tecnificazione..., pp. 252-268, 336-380. 140 Sul quale cfr. anche M.A. Morelli Timpanaro, A Livorno, nel Settecento. Medici, mercanti, abati, stampatori, Livorno 1997. 137

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zioni, intitolate Osservazioni e memorie spettanti alla medicina pratica e teorica, si leggono in alcuni manoscritti della Biblioteca riccardiana e «sono essenzialmente di due tipi: storie di malattie [...] e dissertazioni di tipo più teorico su singole malattie e fenomeni morbosi».141 Colpisce il fatto che, accanto a prevedibili segnali di fretta espositiva – come è normale per un testo “scritto per sé”, non diretto a un destinatario né tantomeno alla pubblicazione –,142 il Gentili intervenga a correggere ciò che ha scritto in precedenza, badando non solo alla più puntuale descrizione dei fatti (che è comprensibile), ma anche a esigenze di registro, con l’inserimento di forme più elette e talvolta di veri e propri TC. Un esempio del primo tipo di intervento (da un’autopsia, la stessa di cui si parla nell’esempio successivo): Il destro Polmone era assai maggiore di mole / del sinistro. La Pleura dalla parte destra / inverso lo sterno in quasi tutta L’estensione della / mammella era denigrata, e come corrotta.143

E uno del secondo: Nella milza poco o punto di vario all’apparenza / sarebbe stato convenevole l’osservare, se / i condotti della Bile erano liberi e / non ostrutti, se il ventricolo col resto / degl’intestini erano intatti, se il diaframma era rimaso esente dall’attacco infiamma/ torio poiche il vomito l’angustie i dolori / in quella circostanza erano stati frequenti.144 141

D’Acunti, Tecnificazione..., pp. 254-255. Riprendo una formula adoperata da P. Trifone (in una recensione apparsa in «Studi linguistici italiani», 12(1986), p. 263 nota 69). Per il Gentili, D’Acunti, Tecnificazione..., pp. 257-258 cita il ricorso ad abbreviazioni non sistematiche né univoche (e: di s. ‘emissione di sangue’, mis. di s. ‘missione di sangue’ ecc.), alcuni fenomeni sintattici, alcuni colloquialismi (per esempio: «Si fece medicare alla mia lista nello spedale una certa Maddalena ch’era mezza moribonda per una cachessia»). 143 Ibid., p. 338. Riproduco fedelmente la trascrizione semi-diplomatica del D’Acunti (la sbarretta indica la fine del rigo; in corsivo vanno le aggiunte interlineari; tra parentesi aguzze le forme cancellate dal Gentili). Per denigrare ‘diventare di colore livido’ si veda ibid., p. 138. 144 Ibid., pp. 338-339. 142

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Nel primo brano l’inserimento di quasi corregge la sostanza dell’affermazione precedente e quello di come attenua un termine di significato generico (corrotta; monosemico è invece il precedente denigrata). Nel secondo, il passaggio da turati a ostrutti rappresenta invece un semplice adeguamento al tipico TC adoperato dai medici coevi (e attuali, con l’ovvio passaggio dal participio forte a quello debole: ostruiti).145 Fin dalla prima stesura il Gentili si situa al registro che gli sembra adeguato alla scrittura scientifica con esente e attacco infiammatorio, che è uno dei tanti casi in cui il sintagma con aggettivo di relazione è preferito al sostantivo corradicale (attacco infiammatorio = infiammazione). Né questo è un caso isolato. Il D’Acunti146 riunisce vari altri esempi del genere: «Stanchi i disettori gia di osservare», «se alcuna volta tossendo escreava della materia», «I vasi prossimi delle iugulari axillari, e carotidi, erano assai dilatati», «non passavano più per le fauci» ecc. Il processo di consolidamento di un TC nel corso dell’Ottocento può essere misurato attraverso la riduzione dei sinonimi che gravitano in un certo àmbito semantico. Spogliando un congruo numero di testi compresi tra 1832 e 1839, F. Pellei147 ha illustrato diversi casi in cui un TC non si è ancora compiutamente affermato, come si ricava dalla presenza di un ampio ventaglio di sinonimi. Così accanto ad associare ‘concorrere di diverse patologie’ («l’emesi si associa alla diarrea» ecc.; è il tipo dominante) compaiono accompagnare, -arsi («la iscuria renale [...] il più delle volte si accompagna con sintomi tifoidei»), aggiungersi («al senso di oppressione allo scrobicolo si aggiunge dolor vivo al costato»), unirsi («alla diarrea ben presto univasi il vomito») o i participi congiunto («un senso di perfrigerazione [...] congiunto od alternantesi con una 145

Cfr. GDLI, vol. XII, pp. 266-267 (esempi in Redi, Campailla, Del Papa, Vallisnieri, Cocchi, C. Mei, Targioni Tozzetti). 146 Tecnificazione..., p. 264. 147 Cfr. Pellei, Il linguaggio medico..., pp. 16ss.

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sensazione di calore») e misto («vedemmo i fenomeni indicanti l’abbattimento delle forze, misti a quelli indicanti uno stato di spasimo e d’irritazione»).

Non è raro che un termine sia diventato d’uso così stabile e obbligato da cambiare il suo statuto: da tecnicismo collaterale a tecnicismo specifico. È quel che è avvenuto, per esempio, per stadio, che oggi indica una ben precisa fase di una patologia, al punto che spesso si descrivono diversi “stadi” distinti secondo un numerale ordinale: «tre stadi fondamentali» sono individuati nella broncopolmonite cronica ostruttiva in PM, vol. I, p. 336, «preponderanza di stadio I per il tipo midollare» (PM, vol. I, p. 459; il riferimento è al timoma) ecc. Ma nell’Ottocento stadio fluttuava ancora tra diversi sinonimi. Trattando di oftalmia, due medici illustri, A. Scarpa (Motta di Livenza 1752 - Pavia 1832) e G.B. Monteggia (Laveno 1762 - Milano 1815) oscillano continuamente tra varie alternative: Scarpa: «il differente stadio della ottalmia», «l’ottalmia nel secondo periodo», «nel massimo grado essa [l’oftalmia] eccita prurito negli occhi»; Monteggia: «secondo stadio dell’ottalmia», «esaminare questa malattia nel suo primo sviluppo», «a tale grado di malattia» ecc.148

5. Stratigrafia lessicale: greco, latino, arabo, francese, inglese Se i tecnicismi collaterali si affermano solo modernamente, i tecnicismi specifici – come s’è accennato – segnano l’intero arco della medicina in volgare. In un certo numero di casi si utilizzano forme appartenenti al lessico fondamentale (fegato, occhio, milza, per ripetere gli esempi citati a p. 122) o tratte da una base attraverso i consueti processi derivativi dell’italiano (nasale è un aggettivo denominale ricavato da naso, secondo un processo molto frequente e produttivo). Ma la grande maggioranza è costituita da prestiti 148

Cfr. Federici, Aspetti della lingua medica..., pp. 81-83.

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cólti, attinti in misura preponderante al greco e al latino. Questi elementi rappresentano, dal punto di vista storico, un insieme quanto mai vario: alcuni vitali, senza mutazioni da più di due millenni, altri parzialmente innovati, o sul versante della forma, o su quello del significato, o su entrambi, altri creati ex novo nel corso dei secoli, sempre, tuttavia, nell’ambito delle possibilità espressive delle lingue greca e latina.149

Diversi grecismi continuano forme attestate nel periodo che va da Ippocrate a Galeno; ma solo in pochi casi termini del genere hanno conosciuto un’ininterrotta vitalità nelle scritture in volgare fin dal Medioevo. Così, riprendendo la decina di termini con i quali il Mazzini esemplifica il lascito greco nell’italiano medico,150 sono attestati dal Trecento solo alopecia, clistere (cristere) e collirio;151 aneurisma e antidoto risalgono al secolo successivo, artrite è secentesco (artritide), epididimo, epigastrio, prostata sono settecenteschi e calazio (calazia) e perone non risultano attestati prima del XIX secolo.152 Qual è la ragione della ritardata documentazione in italiano 149

Mazzini, Introduzione..., p. 18. Ibid., p. 19. 151 L’antichità dell’attestazione non implica, peraltro, né stabilizzazione formale né trasparenza semantica. Così, per “clistere” ancora nel Settecento si potevano registrare, oltre al sinonimo serviziale, le varianti clistere, clistiere, cristiere, cristiero e cristeo (cfr. Pasta, Voci, maniere di dire..., p. 111; naturalmente va fatta la tara sull’effettiva circolazione di codeste varianti nella letteratura medica del tempo). Quanto ad “alopecia”, è significativo il ricorso a perifrasi glossanti, nel Medioevo («queli a chi caçe li cavigi», «infermità per la quale caçe li cavigi» nell’Erbario carrarese: cfr. Ineichen, El libro agregà..., vol. II, p. 315), nel Rinascimento («quella spetie di pelagione, che chiamano alopetia» nel Mattioli: cfr. Sboarina, Il lessico medico..., p. 178) e, a maggior ragione, in un ricettario popolare trascritto nell’Ottocento («Il detto grasso [...] cura la lopecia, cioè a q.lli che li cascano li capelli»: Pistilli, I segreti dello speziale..., n° 328). 152 Per aneurisma cfr. Aprile, Giovanni Brancati..., p. 246 (aneu[r]esma); per calazio: De Mauro, Grande dizionario..., vol. I, p. 836; per gli altri termini: DELIN alle singole voci. 150

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di tanti grecismi medici? Una parte di responsabilità ha sicuramente la nostra ancora limitata conoscenza del volgare scientifico antico; ma la scarsità della documentazione non può spiegare tutto. Occorrerà sottolineare il fatto che nei primi secoli il tramite fondamentale per l’ingresso di grecismi in italiano è costituito dai volgarizzamenti di testi latini. È stato osservato che i grecismi (e gli arabismi) presenti nel testo latino di partenza tendono a essere conservati dal traduttore in volgare anche per la «suggestione di scientificità» che emana da termini ignoti alla sua cultura.153 Ma è pur vero che in molti casi il traduttore interviene con perifrasi o sostituzioni che non permettono al grecismo di radicarsi: è ciò che fa il Brancati, il quale da un lato mantiene grecismi come aneurisma, colera, colon, perithoneo, dall’altro ricorre a perifrasi come quelli che duole la testa (lat. cefalargici) o pustumosi nel pulmone (lat. peripleumonici).154 Anche il Mattioli tende a evitare i termini greci di Dioscoride, sostituendoli «con varianti meno prestigiose ma più significative», e i grecismi sono comunque addensati nella traduzione, mentre sono rari nel commento.155 La maggioranza dei grecismi medici è tuttavia di formazione moderna,156 anche se si fonda quasi sempre su modelli di derivazione propri del greco classico: così dal gr. phlebotomía si è avuto l’italiano antico flebotomia (flobotomia), dal gr. phlebor153 Cfr. R. Librandi, La «Metaura» d’Aristotile. Volgarizzamento fiorentino anonimo del XIV secolo, Napoli 1995, vol. I, p. 59. Si vedano anche G. Pettenati, Arabismi semantici nell’antica terminologia medica italiana, in «Lingua Nostra», 25(1964), pp. 4-7, a p. 6 e ancora, per l’atteggiamento dei volgarizzatori nei confronti della terminologia dotta greco-latina, R. Casapullo e M.R. Policardo, Tecniche di divulgazione scientifica nel volgare mantovano del «De proprietatibus rerum» di Bartolomeo Anglico, in «Lingua e Stile», 38(2003), pp. 139-176, a p. 167. 154 Cfr. Aprile, Giovanni Brancati..., pp. 92-95. 155 Cfr. Sboarina, Il lessico medico..., pp. 130ss. 156 Moltissimi sono i grecismi che si diffondono nel secondo Settecento (non solo nella medicina e non solo in Italia: cfr. Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 82 e nota 14); e un secolo dopo lo Hyrtl parlava per la medicina francese e tedesca coeva di un pruritus graecandi: cfr. G. Hyrtl, Onomatologia anatomica, trad. it., Roma 1883, p. 4.

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ragía il raro fleborragia (di fortune ottocentesche); ma il confisso flebo- ha dato vita a numerosi altri termini di formazione moderna, da flebite a fleboclisi (su cui cfr. p. 110).157 In tutti i casi il processo derivativo è il medesimo: l’elemento anteposto, più specifico, determina quello seguente, più generico (determinante: “della vena” + determinato: “taglio”). Ma su questo si veda il prossimo capitolo. Accanto al greco è dominante il latino. A differenza dei Greci, i Romani non produssero opere di scienza medica, ma tradussero instancabilmente dal greco. Attraverso una schiera di traduttori e rielaboratori, da Celso fino alle traduzioni anonime tardo-antiche, giungono sino a noi forme greche adattate morfologicamente al latino e non, calchi semantici, ed anche una certa terminologia indigena, limitata, quest’ultima, soprattutto all’anatomia esterna e agli organi interni più importanti, ad alcuni interventi chirurgici e a taluni tipi di medicamenti.158

Anche qui è diversa l’età di ricezione delle varie forme nel volgare, per quanto in generale il tramite latino assicuri un’acclimazione più precoce in italiano. A titolo d’esempio si può osservare che, delle forme citate dal Mazzini per illustrare la presenza nell’italiano di oggi di grecismi mediati dall’età romana, sono due-trecenteschi arteria, emorroidi e i calchi infiammazione (il significato medico dipende dal gr. phlegmoné–) e pupilla (da ‘fanciulla’ a ‘apertura al centro dell’occhio’ come il gr. kore–, perché nella pupilla appare riflessa un’immagine rimpiccolita delle cose); quattrocenteschi emorragia e intestino cieco (calco del gr. typhlón énteron); settecentesco embriotomia ‘tecnica adoperata un tempo per estrarre dall’utero il feto morto’.159 157 De Mauro, Grande dizionario..., vol. II, pp. 1157-1158 registra in tutto venticinque formazioni d’àmbito medico con flebo-. 158 Mazzini, Introduzione..., p. 20. 159 Per le datazioni cfr. M.L. Altieri Biagi, Glossario delle traduzioni quattrocentesche di Mondino de’ Liucci, in «Lingua Nostra», 28(1967), pp. 11-18, a p. 13 (intestino cieco); De Mauro, Grande dizionario..., vol. II, p. 833 (per embriotomia); DELIN alle singole voci (per le altre forme).

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Con Vesalio – come s’è già avuto modo di ricordare (p. 95) – il latino si impone nella terminologia anatomica, creando serie dissimmetriche rispetto ai termini clinici del tipo di rene / nefrite, vertebra / spondilite, orecchio / otite ecc.160 La lunga consuetudine col latino, lingua abituale della trattatistica medica almeno fino al Sei-Settecento e bagaglio obbligato della formazione del medico fino al Novecento, ha lasciato traccia di sé prima di tutto in diverse denominazioni ufficiali di uso internazionale (areola, angina pectoris ecc.): nomina medica «in parte derivati dalla tradizione letteraria medica latina del passato, in parte coniati ex novo, ordinati vagliati e raccolti da apposite commissioni internazionali».161 Ciò rappresenta un’interessante differenza rispetto all’uso d’inserti latini tipico di testi giuridici:162 lì circolano latinismi di antica origine, classica o medievale (anche se non tutti di matrice giuridica); qui possono aver luogo anche denominazioni recenti come deficit, coniato in Francia nel XVI secolo come termine economico-finanziario, o placebo, nato nell’Inghilterra del primo Ottocento.163 Molte locuzioni sono tramontate, ma altre sono ancora in uso. Per un sondaggio, ci serviremo del corpus già utilizzato per documentare i tecnicismi collaterali integrandolo col trattato di un grande patologo che fu anche raffinato umanista, Tullio Chiarioni (Treviso 1920 - Roma 1991).164 Colpisce, in generale, il diverso atteggiamento del Chiarioni rispetto all’insieme dei medici compresi nel corpus di riferi160

I tre esempi in Mazzini, Introduzione..., p. 23. Si noti anche spondilolistesi (termine patologico) / vertebro-basilare (termine anatomico). 161 I. Mazzini, Appunti per una storia del latino dei medici dal Rinascimento ai nostri giorni. Saggio di indagine, in «Annali della Fac. di Lettere e Filosofia dell’Univ. di Macerata», 32(1999), pp. 289-315, alle pp. 303-304. 162 Cfr. B. Mortara Garavelli, Le parole e la giustizia, Torino 2001, pp. 183-187. 163 Cfr. DELIN, pp. 439 e 1208. 164 T. Chiarioni, Le malattie del fegato, delle vie biliari e del pancreas, in M. Bufano (a cura di), Trattato di patologia medica e terapia, Padova 1981, parte XII (ho spogliato le pp. 3-84). Per i testi del corpus cfr. sopra, p. 130 e nota 45.

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mento nei confronti della cultura classica: il primo dà per scontata la formazione umanistica del lettore (studente di medicina o medico che voglia aggiornarsi), al punto di non traslitterare le parole greche citate come etimi (e già questa sensibilità per l’etimologia è istruttiva);165 i secondi usano pochi inserti latini e quei pochi rientrano perlopiù in forme ed espressioni di uso internazionale. Non saranno nemmeno da esemplificare le attestazioni di deficit ‘mancanza, alterazione’, trasposto abbastanza recentemente dal linguaggio economico, ictus ‘manifestazione improvvisa e violenta di un fenomeno patologico’ (e, per antonomasia, ‘ictus apoplettico’), libido, la cui fortuna è notoriamente legata alla dottrina di Freud, liquor ‘liquido cefalorachidiano’, placebo (specie nel sintagma effetto placebo), rigor nelle sue varie accezioni (rigor mortis, «rigor nucale» ecc.). Né quelle di singole patologie come angina pectoris o induratio penis (plastica) ‘indurimento graduale del tessuto dei corpi cavernosi’.166 In casi del genere il latino è un relitto inerte, la cui realtà potrebbe persino sfuggire ai medici più giovani che non abbiano studiato a scuola la lingua di Cicerone (deficit e ictus, ben presenti anche nella letteratura scientifica angloamericana, non saranno per caso degli anglicismi?); oppure sono espressioni specialistiche di uso obbligato, anche se in eventuale concorrenza con sinonimi (angina pectoris, induratio penis). Accanto a questi esistono inserti latini con valore connotativo. Alquanto diffuso è exitus, col quale si vela per ragioni eufemistiche la nozione di “morte” (anche obitus): «a meno che l’evoluzione 165

Cfr. per esempio Chiarioni, Le malattie..., pp. 29 e nota 1, 38 nota 1, 58 nota 1 ecc. 166 Ampie informazioni su quasi tutti questi termini in DELIN, pp. 104, 439, 443, 713, 871, 1208; P. Zolli, Come nascono le parole italiane, Milano 1989, pp. 62-63; E. Citernesi e A. Bencini, Latinorum. Dizionario del latino contemporaneo, Firenze 1997, pp. 19, 58, 60, 128, 160, 219, 253. Quanto al più specialistico induratio penis plastica, si noterà che in Garnier-Delamare-Panzera, Dizionario..., p. 506 l’espressione è definita «obs[oleta]» rispetto a sclerosi cavernosa o malattia di Van Buren; ne trovo però un esempio in PM, vol. II, p. 329.

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non sia prematuramente interrotta dall’exitus per malattie intercorrenti», «nei rari casi in cui un singolo carico di etanolo eccezionalmente massiccio porta il paziente all’exitus», «per tutto il decorso e sino all’exitus per insufficienza epatica» (tutti in Chiarioni, Le malattie..., pp. 28, 53, 76), «più spesso interviene l’exitus», «comparsa di deficit della circolazione periferica e di tossiemia con exitus» (Price, pp. 43 e 63). Abbastanza correnti, in riferimento alla prognosi, le specificazioni quoad vitam e quoad valetudinem («La prognosi può tuttavia considerarsi benigna quaod vitam [...]. È sempre riservata la prognosi quoad valetudinem» Chiarioni, Le malattie..., p. 169; «prognosi quoad vitam» PM, vol. I, p. 459) e restitutio ad integrum («non si ha però mai una restitutio ad integrum delle strutture e delle funzioni del fegato» Chiarioni, Le malattie..., p. 27; «la prognosi è favorevole con restitutio ad integrum delle funzioni motorie» PM, vol. II, p. 166).167 In terapia si invoca talvolta il criterio ex iuvantibus o ex adiuvantibus ‘in base all’efficacia terapeutica’, per risalire alla diagnosi attraverso la risposta dell’organismo a determinati farmaci («Tra i fattori dismetabolici responsabili della sindrome neurologica, detta encefalopatia epatica, il più noto e il più discusso è l’aumento della concentrazione d’ammoniaca nel sangue [...]: la sua importanza causale sembra confermata da un criterio ex iuvantibus (efficacia terapeutica della somministrazione di glutamato sodico, che combinandosi con l’ammoniaca forma glutamina)» Chiarioni, Le malattie..., p. 25). Nelle cartelle cliniche sono frequenti senectus (nell’anamnesi familiare: «padre morto per senectus a 87 aa.») e anche lo pseudo-latinismo videat ‘consulenza specialistica richiesta per un paziente ricoverato per altre cause’. Nel manuale del Chiarioni si usano spesso espressioni latine tratte dalla semeiotica e dall’anatomia patologica: «l’alito ha un caratteristico odore dolciastro-aromatico sgradevole (foetor hepaticus)», «[l’insufficienza epatica grave cronica raggiunge la sua espressione più caratteristica] nelle gravi lesioni luetiche (Hepar lobatum sifilitico)», «la comparsa della caratteristica immagine a caput Medusae», «all’ipotrofia muscolare possono associarsi smagliature della parete (lineae albicantes)» (Chiarioni, Le malattie..., pp. 27, 28, 69, 70). In altri casi il ricorso al latino è raro o occasiona167 Nella stessa pagina compare l’equivalente espressione italiana guarigione senza reliquati.

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le: «sono i fattori locali il primum movens» (PM, vol. I, p. 663), «la conclusione di prurito sine materia non può essere prospettata senza riserve» (TM, p. 20).168

Il greco e il latino costituiscono dunque a tutt’oggi l’ossatura del linguaggio medico. La diversità delle regole di accentazione tra le due lingue ha però determinato in italiano una forte oscillazione sulla posizione dell’accento: si può dire che la maggioranza dei dubbi d’accentazione nella nostra lingua dipenda proprio dalle parole della medicina. In linea di principio, dal momento che la mediazione del latino – classico, medievale o scientifico – deve essere sempre ammessa per i grecismi, il criterio storicamente più fondato dovrebbe essere quello di preferire nei casi di divergenza tra le due lingue classiche la pronuncia latina.169 In realtà l’uso è assai instabile presso gli stessi medici che, in generale, appaiono più propensi ad adottare la pronuncia greca (e ciò è stato attribuito a «una certa volontà arcaizzante», alla ricerca di un «elemento e segno di distinzione sociale e prestigio»).170 Schematizzando, possiamo individuare quattro possibilità: 1) Convergenza tra accentazione latina e accentazione greca.171 Il tecnicismo italiano presenta quasi sempre accento stabile: paralisi (lat. paràlysis, gr. parálysis), trachea (lat. trachèa, gr. trachêia). Non mancano però le deflessioni: accanto al legittimo urètra (lat. urèthra, gr. ouré–thra) si sente spesso ùretra per attrazione della serie di parole latine in cui la penultima sillaba seguita da un nesso di muta + liquida era breve e quindi respingeva l’accento sulla sillaba precedente (càttedra, cèlebre, ànatra ecc.). Accanto al raro cristàllino ‘parte dell’occhio’, autorizzato dal lat. cristàllinus e dal gr. krystállinos, è asso168

Qualche altro esempio in A.G. Gucciardo, I medici parlano italiano?, in «Italiano e Oltre», 3(2003), pp. 182-189, a p. 183. 169 A questo criterio, com’è noto, si attengono i classicisti pronunciando latinamente Òrfeo (gr. Orfêus) e ossimòro (gr. oxymo–ron). 170 Mazzini, Introduzione..., p. 43. 171 Non indico, perché irrilevante nella fattispecie, se la forma latina appartiene alla classicità, al Medioevo o all’età moderna (latinismo scientifico).

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lutamente predominante la pronuncia piana, per influsso dell’aggettivo omonimo e, più in generale, della serie in -ino.172 2) Casi di divergenza in cui ha prevalso l’accentazione alla latina: artrosi (lat. arthròsis, gr. árthro–sis), insieme con altri tecnicismi in -osi indicanti una condizione patologica specifica (disvitaminosi, toxoplasmosi, tubercolosi), esofago (lat. oesòfagus, gr. oisofágos). 3) Casi di divergenza in cui ha prevalso l’accentazione alla greca: sono, nell’insieme, più numerosi dei precedenti, se pensiamo che vi rientra la prolifica serie dei suffissati in -ia: glicemìa, pediatrìa ecc.173 Altri esempi: colera (lat. chòlera, gr. choléra), diagnosi (lat. diagnòsis, gr. diágno–sis), sintoma e sintomo (lat. symptòma, gr. sympto–ma). 4) Casi di divergenza in cui nessuna delle due accentazioni prevale nettamente: vanno segnalati prima di tutto molti tecnicismi in -osi indicanti un intervento (anastomòsi secondo il lat. anastomòsis / anastòmosi secondo il gr. anastómo–sis) o una condizione patologica generica (flogòsi secondo il lat. phlogòsis / flògosi secondo il gr. phlógo–sis, fimòsi secondo il lat. phimòsis / fìmosi secondo il gr. phímo–sis); altri esempi: alopècia (lat. alopècia) / alopecìa (gr. alo–pekía), edèma (lat. oedèma) / èdema (gr. óide–ma), pèrone (lat. pèrona)174 / peróne (gr. peróne–).

Delle altre due grandi lingue romanze d’Europa, non ha evidentemente problemi del genere il francese, in cui tutte le parole sono tronche; lo spagnolo presenta invece, come e più che l’italiano, una «situación algo caótica», con frequenti conflitti tra etimo greco, etimo latino e spinte analogiche.175 172

Per lo stesso meccanismo è generale la pronuncia anetimologica di adamantìno (nonostante il carducciano adamàntino: «Il cielo in freddo fulgore adamàntino brilla» Nella piazza di San Petronio, 7) e di anodìno. 173 Seguono l’accentazione latina i composti in -uria, alcuni dei quali entrati in uso già nel Medioevo, come disuria e stranguria, ai quali si sono via via aggiunti iscuria (1583: De Mauro, Grande dizionario...), ematuria (1788), poliuria (1829), anuria (1875), glicosuria (1881), nicturia (1929), pollachiuria (1984). 174 Con questa grafia il termine appare nel latino cinquecentesco: cfr. Marcovecchio, Dizionario..., p. 652. 175 Cfr. J.A. Díaz Rojo, Nociones de neología, in «Panace@», 1(2000), pp. 13-14. Un tipico caso d’incertezza – del tutto marginale in italiano, in cui la i di -ia è quasi sempre accentata – è rappresentato dalle parole in -ia, che possono essere conformi alla convergente pronuncia greco-latina

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I medici arabi,176 com’è noto, hanno dato un contributo decisivo al rinnovamento della medicina del basso Medioevo; ma gli arabismi sopravvissuti fino ad oggi si contano sulle proverbiali dita di una mano.177 Oltre a nuca (cfr. p. 102), si possono ricordare i calchi pia madre, dura madre, pomo d’Adamo, la vena safena (con i nervi safeni) e, allargando l’àmbito alla farmacopea, lo sciroppo, il giulebbe e magari il ribes e lo zafferano; anche taccuino – come osservò per primo Bruno Migliorini –178 deve essersi diffuso sulla scia del celebre Tacuinum sanitatis della scuola medica salernitana. Non va incluso nella lista mericismo ‘reflusso di cibo dallo stomaco alla bocca, spec. in riferimento a bambini’, che non risale all’arabismo meri ‘esofago’, ma al gr. me–rykismós attraverso il latino scientifico settecentesco merycismus.179 La perdita di prestigio della medicina araba comincia dall’età umanistica, e ha un significativo campione nel Petrarca dell’Invectiva; nel pieno Cinquecento «iniziò una complessa operazione di ritrascrizione dei taxa scientifici medioevali con una conseguente emarginazione delle etichette arabe».180 Com’è intuibile, il processo non è lineare. Da un lato sacche di arabismi possono sussistere in pieno Rinascimento,181 e (cardiopatía), fedeli alla pronuncia latina (hemofilia), a quella greca (disfagía), o infedeli a entrambe (hipocondría). In un altro articolo della stessa rivista (V. García Yebra, Cien borrones prosódicos en la terminología científica española, ivi, 12(2003), pp. 160-161) sono messi a confronto 100 tecnicismi spagnoli con accento difforme dalla prosodia latina con i corrispondenti italiani (solo 25 le deflessioni) e portoghesi (15 deflessioni). 176 Si intenda linguisticamente arabi (Avicenna, il più grande clinico del Medioevo, era persiano); gli storici preferiscono parlare di medicina “islamica”, individuandone nella concezione religiosa il fondamento ideologico e filosofico. 177 Sugli arabismi medici medievali cfr. soprattutto Pellegrini, Gli arabismi..., vol. I, pp. 81-86 e A. Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, I. Introduzione, Bologna 2000, p. 243. 178 Storia della lingua italiana, Firenze 1963 (1960), p. 175. 179 Cfr. Marcovecchio, Dizionario..., p. 546. L’origine araba era stata ipotizzata da Altieri Biagi, Mondino de’ Liucci..., p. 125. 180 M. Mancini, L’esotismo nel lessico italiano, Viterbo 1992, p. 85. 181 Discreta, per esempio, è la quota di arabismi anatomici presenti ancora in Leonardo da Vinci: cfr. Altieri Biagi, Fra lingua letteraria..., pp. 81-88.

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qualche vocabolo figura ancora nel più dichiarato avversario della terminologia araba, il Redi.182 Dall’altro, anche nel Medioevo, e anche in un settore particolarmente esposto all’influsso arabo come la farmacopea fondata sulle piante medicinali, possiamo riscontrare gradi diversissimi di apertura agli arabismi. Se l’Erbario carrarese – esemplato tra il 1390 e il 1404 e contenente il volgarizzamento del Liber aggregatus in medicinis simplicibus, a sua volta risalente all’arabo del medico Serapione (XI-XII secolo), mostra un forte influsso dell’arabo –183 un erbario in volgare padovano di pieno Quattrocento che traduce il De viribus herbarum del monaco francese Oddone di Meung (Macer Floridus, XI secolo)184 sembra catafratto agli arabismi (e la divergenza dipenderà in primo luogo, si capisce, dalla lingua degli originali). Dal Glossario di Herbe pincte (compilato da G. Polimeni) si ricava un buon numero di grecismi, sia botanici (camedreos ‘camedrio’, elifago ‘salvia’, melisepilos ‘baraco’, scordeom ‘aglio’ ecc.) sia patologici e anatomici (chausom ‘tipo di febbre’, egilope ‘piccola ulcera all’angolo dell’occhio’, ypocrundi ‘ipocondri’ ecc.);185 ma, se non ho visto male, gli arabismi sono soltanto due: sofran (e çafram) ‘zafferano’ e çedoaria ‘zedoaria’.

Per avere un’idea degli arabismi presenti in un altro settore fortemente esposto all’influenza araba, l’anatomia (normale e patologica), converrà dare un’occhiata a due testi situati di qua e di là dal displuvio umanistico: la Chirurgia volgarizzata di Guglielmo da Saliceto e il primo trattato originale di anatomia 182 Si tratta del calco parte domestica ‘lato interno di un arto’ (contrapposto alla parte selvatica ‘lato esterno’): cfr. ibid., p. 82. 183 Cfr. Ineichen, El libro agregà..., vol. II, p. 331. 184 Cfr. G. Silini (a cura di), Antonius Guarnerinus de Padua [autore delle illustrazioni], Herbe pincte, Gorle 2000. 185 L’impossibile erphalargia sarà un guasto per cefalargia (facile paleograficamente lo scambio ce / er; la forma etimologica cefalalgia, qui rappresentata dalla variante rotacizzata, è attestata dal XIV secolo: cfr. GDLI, vol. II, p. 943).

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scritto in italiano, ossia la Contemplazione anatomica di Prospero Borgarucci, stampata nel 1564.186 La Chirurgia offre una buona rassegna degli arabismi circolanti nella medicina medievale:187 adiutorio ‘omero’ (calco), albaras ‘impetigine, morfea’, assafatti ‘impetigine’, (vena) asselare (calco), asub ‘astragalo’ (?), (osso) basilare (calco), (vena) basilica (calco), botor ‘pustola’, canna del polmone ‘trachea’ (calco), casso ‘petto’, (vena) cefalica (calco), cirbo ‘omento’, (vena) civile (calco), (parte) demestega ‘parte domestica’ (vedi nota 182; calco), dura madre (calco), focile ‘osso dell’avambraccio’ (mazor focile ‘ulna’, menor focile ‘radio’; calco), guideze ‘vene della gola’, longano ‘intestino retto’, meri ‘esofago’, mirac ‘pannicolo del ventre inferiore’, nuca ‘midollo spinale’, pasilo ‘osso sfenoide’, petene ‘metacarpo’ e ‘metatarso’ (calco), pia mare ‘pia madre’ (calco), raseta ‘palmo della mano’, safena, (parte) salvadega ‘parte selvatica’ (calco), salvatella ‘vena cefalica’, sifac ‘peritoneo’, sifac del celebro ‘meningi cerebrali’. Si tratta dunque di 17 prestiti e 13 calchi:188 in totale 30 forme sui 256 termini ospitati nel glossario, vale a dire (per quanto possano valere statistiche del genere, fondate su glossari di scelta, non sistematici) quasi il 12% del totale. È una percentuale alta, anche rispetto ad altri testi coevi: nell’articolato glossario allestito dal Gualdo (Il lessico medico...) per il De regimine pregnantium di Michele Savonarola troviamo appena 5 arabismi nella sezione anatomica (su 79 lemmi, 6.3%: abgas ‘amnio’, alcatim ‘regione interna del bacino’, cana dil polmone, saffena, sifac); 3 nella sezione patologica (su 392 lemmi, 0.8%: alcola ‘tipo di afta’, alguadi ‘liquido lubrificante emesso dall’uomo, e dalla donna, prima del coito’, safati 186

Mi servo dei glossari presenti in Altieri Biagi, Guglielmo volgare... e Fattorini, Il lessico medico... Quanto al Borgarucci, si ricorderà che la Contemplazione era stata preceduta di qualche anno (1560) dalla traduzione in italiano della Historia de la composición del cuerpo humano dello spagnolo Juan Valverde (edizione originale: 1556). 187 Indico espressamente se si tratta di un calco; non tengo conto né delle varianti né di lemmi di statuto particolarmente incerto, o dal punto di vista formale, come bucizaga, o per l’effettiva plausibilità di un etimo arabo, come retino ‘rètina’. Una lista indicativa di arabismi “pre-secenteschi” è in Altieri Biagi, Lingua e cultura..., pp. 287-289. 188 E i calchi – ha osservato Dardano, I linguaggi scientifici..., p. 520 – si conserveranno «meglio e più a lungo dei prestiti».

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‘eczema’, cfr. assafatti nel Guglielmo volgare); 2 nella sezione che comprende «Medicamenti composti, unità di peso e misura, strumenti medici, pratiche cliniche» (su 195 lemmi, 1%: iulep ‘giulebbe’ e siroppo);189 nessuno, prevedibilmente, nell’ultima sezione in cui lo studioso registra le forme considerate «tecnicismi collaterali».

Il quadro cambia completamente già nel XVI secolo. Se, a quanto pare, gli arabismi sono ancora cospicui nella Cirugia del Dalla Croce,190 la loro marginalizzazione è evidente altrove. Nell’Herbario Nuovo di Castore Durante (pubblicato a Roma nel 1585), «malgrado parecchie voci appartenenti al canone arabo siano mantenute tra i sinonimi scientifici dei diversi lemmi, si può notare come per varie forme arabe si venga rinviati direttamente a un lemma classico o volgare» (alasce → timo ecc.).191 In altri termini: la presenza di un arabismo non è di per sé garanzia di una sua effettiva circolazione, specie in testi – come la maggior parte dei testi scientifici pre-moderni – in cui l’accumulo enciclopedico o anche solo la rassegna dei sinonimi sono abituali. Occorrerebbe tener conto del criterio che M. Fattorini, studiando il Borgarucci, ha definito della «spontaneità d’uso»: andrebbe cioè valutato, di volta in volta, se si tratti di tecnicismi spontanei e funzionali (e quindi generalmente con più di un’attestazione), oppure soltanto di isolate citazioni erudite sfoggiate per puro “edonismo terminologico” nelle elencazioni delle varie denominazioni delle “auctoritates”, conformemente a una modalità conservata a lungo nel linguaggio medico.192

Così, la presenza anche nella Contemplazione di un fortunato arabismo come meri ha scarsa importanza, tenendo conto che 189 Qualche altro arabismo del De regimine pregnantium (e di altre opere mediche dello stesso autore) è studiato in Gualdo, Sul lessico medico di Michele Savonarola..., pp. 228-231 e 235-236. 190 Cfr. Altieri Biagi, Lingua e cultura..., p. 286. 191 Mancini, L’esotismo..., p. 86. 192 Fattorini, Il lessico medico..., p. 42. L’allusione all’“edonismo terminologico” deriva da Altieri Biagi, Guglielmo volgare..., p. 22.

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(almeno nella parte del trattato spogliata dalla giovane studiosa, corrispondente all’intero primo libro) meri figura solo una volta, in una lista in cui si segnalano le varie denominazioni dell’esofago nelle diverse lingue, dallo spagnolo all’ebraico al tedesco.193 Escludendo le liste di equivalenze terminologiche, gli arabismi della Contemplazione si riducono a ben poca cosa: i calchi canna del polmone, amandorle ‘tonsille’, vena ascellare (oltre a dura e pia madre); i prestiti – ormai tutti adattati all’italiano – mirachia ‘ipocondria’ (da mirac), le vene basilica, cefalica (ceph-) e salvatella. Altrettanto significative le assenze, se è vero che – come osservò anni fa l’Altieri Biagi – nella scienza «l’abolizione o l’obliterazione di un termine è fenomeno altrettanto interessante quanto quello della sua adozione o creazione».194 Si noterà dunque l’assenza nel primo libro della Contemplazione di adiutorio in favore di omero, di rasetta in favore di bracciale ‘carpo’ e collo del piede ‘tarso’, di sifac in favore di peritoneo, di zirbo in favore di reticella.195 L’influsso francese nella lingua medica italiana è di proporzioni ingenti, ma difficilmente precisabile in assenza di studi (o almeno di spogli generosi nella letteratura medica italiana e francese, specie nei secoli XVIII-XX). La gran parte dei francesismi medici rientra infatti nella categoria degli xeno-latinismi o xeno-grecismi: tecnicismi foggiati con materiale latino o greco che avrebbero potuto essere diffusi da qualsiasi altra lingua romanza. In alcuni casi specifici l’origine francese è certa: nelle “parole d’autore” (come cirrosi, difterite, flebite: cfr. p. 119; o microbo e stetoscopio, cfr. pp. 109-110) e nei derivati da basi inesistenti in italiano (come tabagismo, franc. tabagisme da tabagie ‘fumeria’ o mentoniero ‘relativo al mento’, franc. menton).196 Ma per gli altri, numerosissimi, probabili francesismi, dobbiamo rassegnarci alla petizione di principio che il percorso abituale (non 193

Fattorini, Il lessico medico..., p. 43. Altieri Biagi, Mondino de’ Liucci..., p. 125. 195 Fattorini, Il lessico medico..., pp. 45-46. 196 Come aggettivo di relazione di mento, mentoniero è favorito sia dall’improponibilità di *mentale, ben stabile come derivato di mente, sia dalla scarsa trasparenza del sinonimo genieno (dal lat. gena ‘guancia’). 194

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solo per il lessico scientifico) è dalla Francia all’Italia, non viceversa. Certo, si può guardare alle diverse date di attestazione nelle due lingue: ma è un criterio quanto mai labile perché viziato dalla carenza di documentazione, tanto più se i termini francese e italiano sono attestati a pochi anni di distanza. Con queste riserve, fondandoci su un agile dizionario etimologico francese e sui due fondamentali strumenti italiani per la datazione di un vocabolo,197 possiamo ragionevolmente considerare francesismi, per esempio, avitaminosi (1923; franc. avitaminose: 1922), cardiologia (1865; franc. cardiologie: 1787), emiplegico (1748, De Mauro, Grande dizionario...; franc. hémiplégique: 1707), linfatico (1666; franc. lymphatique: 1552), lipide (1942; franc. lipide: 1923), neurologia (av. 1764; franc. neurologie: 1691). Ancora più arduo individuare i calchi: tali potrebbero essere, ad esempio, alcuni TC attestati in francese e in italiano ed esemplificati a p. 159.

Tutt’altro discorso va fatto per i prestiti non adattati, che rappresentano nell’insieme una quota marginale. Si tratta di forme che interessano quasi solo gli ultimi due secoli, ma che appaiono ancora rare nell’Ottocento, sia per le diffuse preoccupazioni letterarie dei medici dell’epoca198 sia per la generale abitudine della lingua corrente di adattare comunque le parole straniere. Il controllo si allenta nel Novecento (di qui gl’interventi in senso puristico che abbiamo ricordato nel primo capitolo, pp. 26-28). Uno dei più antichi francesismi non adattati (o non perfettamente adattati) è il nome del “bisturi”,199 che ha assunto la forma at197 Cfr. rispettivamente A. Dauzat - J. Dubois - H. Mitterand, Nouveau dictionnaire étymologique et historique, Paris 1971, DELIN e De Mauro, Grande dizionario..., tutti alle singole voci (per l’italiano indico la sigla del dizionario solo quando uno dei due riporta una data diversa e precedente). 198 Può essere indicativo l’atteggiamento di G. Del Chiappa, ricordato a p. 25. 199 Si tratta propriamente di un “cavallo di ritorno”, cioè di una parola italiana (pistorese ‘pistoiese’, perché la città toscana era un tempo famosa per le sue lame) entrata in francese e poi ritornata, con altra veste e altro significato, alla lingua originaria.

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tuale, con indebito accento sulla terzultima, solo nel pieno Novecento (cfr. DELIN, p. 222 e GDLI, vol. II, p. 260).200 Il francesismo crudo bistouri si legge, per esempio, in G.B. Ferminelli, Il cauto flebotomista, Bologna 1817, pp. 44-45, e in Murri, Scritti medici..., vol. I, p. 228, mentre l’adattamento grafico bisturì sopravvive ancora in una ristampa recente di M. Sforza e A. Cervati, Il dizionario. Vademecum dell’infermiera, Milano 198713, s.v. Nell’Ottocento erano assai diffusi la grippe e il croup (anglicismo probabilmente mediato attraverso il francese: cfr. sopra, p. 64 e nota 54) e il francese era l’abituale tramite di voci di provenienza esotica: così si spiega l’accentazione di beriberì in Bufalini, Fondamenti..., vol. I, p. 81 (alla stessa trafila si deve l’accento di tabù e zulù). Più occasionali francesismi, spesso abborracciati, potevano figurare nella pubblicità sanitaria dei giornali: «ottimo effetto contro la Coqueluque o Pertoise o tosse asinina dei bambini» e «assorbimento nel sangue del flus sifilitico» si legge per esempio in due giornali del 1870.201 Guardando alla contemporaneità, possiamo citare alcuni francesismi non adattati, o non pienamente adattati, emersi dal corpus di testi medici contemporanei già interrogato ad altro proposito (cfr. p. 130 e nota 45): «poussées iperalgiche» ‘accessi’ (TM, p. 327), «curettage della cavità uterina» ‘raschiamento’ (TM, p. 1125), «l’uso clinico routinario del prodotto» (Mepral). Si aggiungano ancora toilette (t. chirurgica, del cavo peritoneale), cul de sac (in anatomia), depistage (accanto all’adattamento depistaggio) ‘individuazione precoce di una malattia, specie attraverso indagini di massa’.

Trascurabile l’apporto del tedesco, nonostante il grande prestigio clinico di Germania e Austria tra Otto e Novecento;202 ben altrimenti pervasivo è l’influsso anglo-americano. 200 Attestazioni ottocentesche senza accento grafico rifletteranno quasi sicuramente un’accentazione sull’ultima sillaba, alla francese: così bistori (in G.B. Monteggia, Istituzioni chirurgiche, Milano 1802-1804, parte terza, sezione prima, p. 280) e bisturi (in Vaccà Berlinghieri, Codice elementare..., vol. I, p. 188). 201 Cfr. Pontoni, La pubblicità..., pp. 86 e 133 (Coqueluque e Pertoise sono refusi per coqueluche e pertosse; flus sarà il franc. flux, forse incrociato con pus). 202 Un germanismo medico risalente a quell’epoca è Mastzellen ‘leucociti basofili’: cfr. Murri, Lezioni..., p. 193 («Mastzellen», in un referto analitico), «un’aumentata dismissione da parte delle mastzellen» (TM, p. 35; da

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Va sùbito osservato che non si tratta solo di singoli prestiti linguistici: per ragioni ben note e tra loro connesse,203 l’uso dell’inglese è ormai abituale nella letteratura scientifica internazionale;204 al punto da ridurre l’impiego delle lingue mediche nazionali, e quindi dell’italiano, ad alcuni grandi, ma ben delimitati, settori. Tranne i testi prodotti dai medici nella pratica professionale quotidiana (referti, cartelle cliniche ecc.), si tratta sempre di testi rivolti non ad altri medici, ma a studenti (manuali) o a profani (foglietti illustrativi di medicinali). La crescente e rapida espansione dell’inglese nelle riviste mediche italiane si può ricavare dai dati esposti in un recente saggio:205 i due autori hanno preso in esame la politica editoriale di cinque riviste mediche («Annali Italiani di Chirurgia», «Cardiologia», «Minerva Medica», «Rivista Italiana di Pediatria», «Rivista di Psichiatria»), soffermandosi sui mutamenti intervenuti nel periodo 1990-2001. La seconda e la quarta rivista, che già nel 1990 erano aperte a pubblicazioni anche in inglese, nel 2001 accettano contributi solo in quest’ultima lingua (e hanno anglicizzato persino le rispettive denominazioni in «Italian Heart Journal» [dal 2000] notare l’italianizzazione ortografica, con perdita della maiuscola originaria). Mattioli, Neologismi..., p. 78 cita Mastzellen come una delle poche parole tedesche rimaste in uso «dai tempi del [suo] studentato». 203 L’avanzamento della ricerca medica statunitense, la necessità da parte di scienziati non anglofoni di immettere i loro studi nel circuito internazionale garantito dai repertori americani, l’interesse delle singole riviste ad assicurarsi un buon “fattore d’impatto” attraverso il numero delle citazioni. 204 Cfr. J. Maher, The Development of English as an International Language of Medicine, in «Applied Linguistics», 7(1986), pp. 206-218. Per quanto riguarda lo spagnolo, il tema è spesso affrontato nella rivista elettronica «Panace@»; si veda almeno, anche per le implicazioni extra-linguistiche del problema (cioè per la discriminazione a cui vanno sistematicamente incontro gli articoli scritti in una lingua diversa dall’inglese e persino, a quanto pare, quelli scritti in inglese da autori non di madrelingua), F.A. Navarro, El inglés, idioma internacional de la medicina, in «Panace@», 3(2001), pp. 35-51. 205 A. Carli - E. Calaresu, Le lingue della comunicazione scientifica. La produzione e la diffusione del sapere specialistico in Italia, in A. Valentini et al. (a cura di), Ecologia linguistica, Roma 2003, pp. 27-74.

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e «Italian Journal of Pediatrics», dal 2001); le altre riviste, che nel 1990 pubblicavano solo in italiano, ammettono ora italiano e inglese (ma gli «Annali Italiani di Chirurgia» dichiarano preferenza per l’inglese). In realtà l’«Italian Heart Journal» continua a pubblicare articoli in italiano, affidando però alle due lingue una diversa funzione: l’inglese è la lingua della ricerca sperimentale, rivolta a scienziati di tutto il mondo, l’italiano è il veicolo per «la diffusione della cultura scientifica internazionale e delle sue implicazioni per la pratica clinica»; questo perché la «disseminazione di informazioni scientifiche già consolidate e delle loro implicazioni per la pratica clinica non può che effettuarsi in italiano perché in italiano ci possiamo esprimere e capire meglio!».206 Per questa ragione, restano saldamente in italiano le riviste destinate ai medici generici, come «Tempo medico» (il sottotitolo recita per l’appunto: «Il primo giornale per il medico di famiglia»), «ME & DIA» o «M.D. Medicinae doctor».

Date queste premesse, la pressione dell’inglese sull’italiano dei medici è fortissima e solo il richiamo alla tradizione – che non agisce nella stessa misura o non agisce affatto per altre scienze, dalla biologia alla matematica – fa sì che per ora il tasso di anglicizzazione nei testi che non rinunciano a servirsi della lingua nazionale appaia nonostante tutto contenuto, anche se in espansione. Occorre poi tener conto, per l’italiano e per le altre lingue, dell’intensa attività dei traduttori scientifici, che spesso alimentano dibattiti sull’adozione dei traducenti.207 Per l’ampia area in cui l’uso degli anglicismi medici non è consolidato, l’apertura indiscriminata o la selezione dipende pur sempre dalle scelte del singolo scrivente. Non fa meraviglia che nella limpida e sorvegliata prosa del Chiarioni gli anglicismi siano limitati a quelli davvero indispensabili (tutti debitamente stampati in corsivo): «la biopsia epatica [...] comporta, benché eccezionalmente, qualche rischio (per es. shock, 206

Le due citazioni sono tratte da un editoriale dell’allora direttore della rivista, cit. ibid., p. 54. 207 Indicativi, ancora una volta, i frequentissimi interventi sulla traduzione in spagnolo ospitati in «Panace@».

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emorragia, ecc.)», «clearance della BSF [bromosulfaleina]» (Le malattie del fegato..., p. 19). Altre volte, l’espressione inglese è posta in parentesi, subordinata alla sua traduzione italiana: «bilirubina da corto-circuito (ingl. shunt bilirubin)», «nei glomeruli renali si trovano le cosiddette “cellule schiumose” (ingl. foam cells)» (ibid., pp. 11 e 47). La vigile coscienza linguistica dell’autore lo induce anche al rifiuto di adattamenti frettolosi: «Il termine tradizionale italiano “colostasi” (= ristagno biliare) è preferibile al recente ed inutile anglo-americanismo “colestasi”» (ibid., p. 30 nota 1). Particolarmente proclive agli anglicismi è invece la prosa di C. Rampulla e C. Bruschi, autori di un saggio inserito in PM, vol. I, pp. 333-343 (La broncopneumatia cronica ostruttiva), che riescono a sfoggiare in poche pagine ben sei anglicismi (senza contare l’ormai comune test).

Prima di esemplificare alcuni anglicismi lessicali, converrà osservare un tipo d’influenza più profonda, che riguarda l’ordine delle parole nella frase. Mi riferisco alla violazione della norma topologica dell’italiano che impone la posposizione del soggetto rematico al predicato (per questa ragione a una domanda come «Chi vuol venire?» è obbligatorio rispondere: «Vengo io!», non *Io vengo!).208 Ecco tre esempi con sequenza rema-tema modellata sull’inglese: «Necrosi settale e infiltrazioni emorragiche di scarsa entità sono usualmente presenti» (PM, vol. I, p. 411), «I seguenti effetti indesiderati sono stati descritti durante l’uso di PRADIF» (Pradif; segue l’elenco dei disturbi); «eritema e moderata secchezza e desquamazione della pelle sono stati osservati in una piccola percentuale di casi» (Zovirax).209

Per quanto riguarda il lessico, daremo uno sguardo ai prestiti non adattati presenti nel corpus di riferimento.210 Trala208

Ai nostri fini basterà rinviare a Serianni, Italiani scritti..., pp. 85-87. Continua a restare prevalente, naturalmente, la sequenza abituale in italiano: «sono stati eccezionalmente osservati fenomeni di fotosensibilizzazione» (Qari), «sono stati segnalati aumenti dei livelli plasmatici di teofillina con l’uso concomitante di chinolonici» (Noroxin) ecc. 210 Anche qui la lista potrebbe essere facilmente incrementata. Tra gli 209

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sceremo invece i frequentissimi calchi semantici (come i TC associare, controllo, severo, già citati a suo luogo) che tanto fastidio suscitano in molti medici sensibili all’integrità della lingua nazionale (in Italia, ma soprattutto in Francia e in Spagna):211 si tratta infatti di forme pienamente amalgamate alle strutture della lingua ricevente, che si limitano a produrre polisemia in unità lessicali preesistenti, secondo un processo del tutto normale nella storia delle lingue naturali. Possiamo dunque distinguere cinque categorie di anglicismi, a seconda che essi siano: a) generici o occasionali, sovente possibili anche al di fuori della lingua medica, e tendenzialmente sostituibili con termini italiani: «screening della popolazione» ‘indagine, esame’ (UC, p. 217), «core lipidico» ‘nucleo’ (UC, p. 332), «ipertensione borderline» ‘ai limiti della norma’ (UC, p. 337),212 «la sutura [delle carotidi] può essere praticata con l’inserzione di un patch di tessuto sintetico» ‘innesto’ (UC, p. 339), «sensazione di handicap soggettivo» ‘disagio’ (UC, p. 619), «il range di normalità di questo parametro» e «range terapeutico» ‘intervallo di variabilità’ (PM, vol. I, pp. 337, 342), «compliance dinamica frequenza-dipendente» ‘conformità’ (PM, vol. I, p. 337),213 «mismatching ventilatorio-perfusorio» ‘sfasatura’ (PM, vol. I, p. 339), «il pattern respiratorio di questi pazienti» ‘comportamento, insieme di caratteristiche fisiopatologiche relative a un certo àmbito’ (PM, vol. I, p. 341), «il clapping del torace» ‘sbattimento, sollevamento’ (del torace a ogni sistole; PM, vol. I, p. 343), «turnover cellulare» ‘ricambio’ (PM, vol. I, p. 493), «metodiche di “imaging” quali la radiologia o l’endoscopia» ‘diagnostica per immagini’ (PM, vol. I, p. 494), «spiccata dolorabilità in corrispondenanglicismi medici di uso più stabile M.G. Di Pasquale mi segnala almeno dumping-syndrome ‘svuotamento repentino dello stomaco’ dopo un intervento di gastroresezione, killer (linfociti, cellule k.), stroke ‘ictus’. 211 Ma si vedano le ragionevoli considerazioni di Gutiérrez Rodilla, La ciencia..., pp. 190-191, che non ritiene calchi sintattici come aire acondicionado o control de la natalidad una minaccia per lo spagnolo. 212 Borderline, originariamente termine psichiatrico (personalità b.) è diventato termine generico riferito a molte patologie. 213 L’anglicismo è più spesso usato nell’accezione di ‘adesione, collaborazione del paziente alla terapia prescritta dal medico’.

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za dei tender points» ‘punti sensibili’ (PM, vol. II, p. 325), «shock neurogeno con pooling ematici viscerali» ‘ristagno’ (TM, p. 34), «il pool enterico» ‘quadro, insieme di dati relativi a un processo; in particolare, insieme delle sostanze presenti in un organo o apparato’ (TM, p. 215); b) relativi alla patologia, alcuni da tempo radicati nell’uso: «shock emorragico» (UC, p. 218), «stress fisici o patologici» (UC, p. 230), «in caso di bulky-disease con infiltrazione polmonare, di recidiva o di malattia metastatica, la chemioterapia gioca un ruolo importante» ‘malattia occupante spazio’ (PM, vol. I, p. 457), «flushing, diarrea, dolori addominali» ‘arrossamento improvviso in séguito a vasodilatazione’ (PM, vol. I, p. 462); c) relativi alla chirurgia, generalmente di introduzione recente ma di uso stabile: «posizionamento di stent coronarico» ‘tipo di protesi per assicurare la pervietà di un organo cavo’ (UC, p. 230), «il bypass aortocoronarico» (UC, p. 231), «gli shunt proto-sistemici» ‘raccordi’ (PM, vol. I, p. 663); d) relativi alla diagnostica: «il test del wash-out dell’azoto in respiro singolo» ‘eliminazione’ (PM, vol. I, p. 337),214 «breath-test» (PM, vol. I, p. 590), «follow-up» (PM, vol. I, p. 662), «clearance» (renale; della creatinina; della caffeina: Noroxin, Zelitrex); e) di àmbito biologico: «recettore scavenger» letteralmente ‘spazzino’ (UC, p. 330), «incremento delle onde pressorie e degli spike, registrati a livello della parte terminale del tenue» ‘picchi’ (PM, vol. I, p. 587), «teoria dell’“underfilling” (scarso riempimento)» e «teoria dell’“overfilling” (eccessivo riempimento)» (PM, vol. I, p. 663; il riferimento è all’ascite nella cirrosi epatica).

Qual è la ricaduta degli anglicismi in una pubblicazione destinata al medico di famiglia? Ho scelto per un sondaggio un numero di «Medici oggi» (2003, n. 2, marzo-aprile). Il risultato non è esattamente confortante per chi abbia a cuore la purezza linguistica. Si ricorre all’inglese per termini di uso comune nella pratica medica: la sindrome depressiva nota come burn-out (questo è l’esor214 L’anglicismo è molto usato anche in altri contesti, specie in terapia; per esempio tempo di wash-out ‘periodo necessario perché la presenza o l’effetto di un farmaco non siano più avvertibili nell’organismo’.

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dio, giornalisticamente vivace, di un articolo in proposito, a p. 43: «Molto elevato è il livello di burn-out tra i medici, che hanno una probabilità di “scoppiare” a causa dello stress, e addirittura di suicidarsi, più che doppia rispetto al resto della popolazione»); lo screening («efficaci programmi di screening di massa» p. 45); il follow-up («ottenere informazioni sulla prognosi del paziente, sulle opzioni terapeutiche e sui tempi di un corretto follow-up», «Il follow-up dello studio durerà un anno» pp. 53, 61); il trial ‘sperimentazione terapeutica o clinica’ («Il trial, oltre 33 mila ipertesi anziani, [...] aveva promosso i diuretici», «effettuando trial clinici randomizzati e in doppio cieco vs. placebo» pp. 37, 61). A p. 36 si parla di malpractice ‘negligenza professionale’ e si dà notizia della nascita di un’associazione, l’AMAMI, in cui l’anglicismo è inglobato nell’acronimo (che vale «Associazione per i medici accusati di malpractice»; l’i finale dovrebbe stare per ‘italiani’). Altri anglicismi sono meno strettamente legati alla scienza medica: position paper ‘articolo di una rivista scientifica analogo all’editoriale, ma che non riflette le posizioni della rivista stessa’ («un confronto [...] che potrà sfociare in un comune position paper inerente i diversi approcci alla terapia antipertensiva» p. 37),215 comarketing ‘commercializzazione di uno stesso prodotto (con diversi nomi commerciali) da parte di più ditte farmaceutiche’ («finalmente applico quanto ho imparato all’Università, staccandomi dal fenomeno del comarketing e dell’informazione degli Isf finalizzata alla sola pubblicità del “prodotto-farmaco”»: testimonianza di un medico, p. 37), non responder ‘che non sono sensibili o non rispondono nel modo che ci si aspetta’ («vi è poi la categoria dei cosiddetti non responder alla monoterapia con interferone» p. 62). Inflazionati in ogni livello d’uso sono training («la necessità per il medico di imparare a conoscere il mondo delle emozioni, attraverso specifici training» p. 41) e input («un input in questo senso potrebbe venire dai corsi di formazione alla relazione» p. 42). Francamente gratuito past president («Getta acqua sul fuoco Giuseppe Mancia, past president dell’International society of hypertension» p. 37).

215 Per questa definizione di position paper cfr. E.J. Huth, How to Write and Publish Papers in the Medical Sciences, Baltimore-Philadelphia ecc. 19902, p. 83.

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6. Qualche oscillazione grafica, fonetica, morfologica Da molti secoli l’ortografia italiana riflette la pronuncia, non l’etimologia;216 ciò ha determinato notevoli conseguenze per l’assetto formale della terminologia medica che, come sappiamo, è fortemente influenzata dal greco e dal latino. Del tutto diversa la storia dell’ortografia francese (e inglese), che ha optato per la grafia etimologica, fino al punto che in francese si distingue tra hidrose ‘idrosi, alterata sudorazione’ (dal gr. hidro–s ‘sudore’) e hydrocèle ‘idrocele’ (dal gr. hydo–r ‘acqua’); d’altra parte senza riuscire a evitare qualche incoerenza (ad esempio, anémie accanto a hyperhémie, entrambe formate col confisso -hémie, dal gr. hâima).217 Sostanzialmente simile a quello italiano è il comportamento dello spagnolo, in cui pure sono in discussione singoli casi: eczema, secondo l’etimologia e l’uso internazionale, o eccema, secondo le norme ortografiche nazionali? E analogamente: zigoto o cigoto ‘zigote’? locoregional e salmonellosis o locorregional e salmonelosis? 218

Tra i pochissimi casi di oscillazione grafica di pertinenza medica nell’italiano contemporaneo, il più importante è quello rappresentato da eziologia (eziologico, ezio-patogenesi ecc.) / etiologia ecc. La variante con , sconsigliata da un autorevole repertorio,219 è comunque registrata come variante secondaria dai principali dizionari dell’uso e, quel che più conta, è tuttora rappresentata nella prosa dei medici, anche se in proporzioni minoritarie.220 Solo occasionalmente possono comparire 216 Basti rinviare a N. Maraschio, Grafia e ortografia: evoluzione e codificazione, in L. Serianni e P. Trifone (a cura di), Storia della lingua italiana, Torino 1993-1994, vol. I, pp. 139-227. 217 Cfr. Sournia, Langage médical..., pp. 53 e 103. 218 Cfr. rispettivamente J.A. Díaz Rojo, ¿Eccema o eczema?, in «Panace@», 1(2000), p. 21 e Gutiérrez Rodilla, La ciencia..., pp. 97 nota 30 e 275-276. 219 Cfr. B. Migliorini - C. Tagliavini - P. Fiorelli, DOP. Dizionario d’ortografia e di pronunzia, Torino 1969, p. 248. Nello stesso DOP, p. 485, si registra soltanto ortodonzia, forma maggioritaria rispetto al pur esistente ortodontia. 220 Cfr. per esempio Chiarioni, Le malattie del fegato..., pp. 15, 23 (etiologia), 57 (etio-patogenesi); TM, p. 34 (etiologici; accanto a eziologico p. 269, eziopatogenesi p. 446 ecc.).

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grafie latineggianti in altri casi; in Giroud (p. 225) si legge per esempio: «il farmaco [...] può venir adsorbito», con un’estensione dell’accezione chimico-fisica di adsorbire (‘fissare alla propria superficie molecole in fase gassosa o liquida’; cfr. franc. adsorber, ingl. to adsorb). Ben più cospicue erano, anche in italiano, le oscillazioni tra grafia etimologica e grafia fonetica fino a tutto l’Ottocento. È bene tener conto, oltre che del prestigio della grafia greco-latina, del modello francese, che può agire nelle scritture meno sorvegliate e più recenti. Al filone dotto vanno ricondotte senza dubbio le forme che si leggono nel Malpighi (abscesso, absintio, abdomine, optico ecc.),221 nel Sarcone (antiseptici, abdominali),222 nel Vaccà Berlinghieri (con particolare oltranza: orthopnea, emoptisi, anorexia, ysteromania),223 o nel Medici (omnivoro, amfibi).224 Però, leggendo antidiphterico, clorydro o eucalypto nella pubblicità sanitaria di alcuni giornali postunitari,225 viene da pensare piuttosto all’orecchiamento delle corrispondenti forme d’Oltralpe. Nel corso della tradizione si sono avute anche forme assimilate, poi eliminate a vantaggio delle varianti dotte, come ottalmia ‘oftalmia’ e autossia ‘autopsia’;226 l’adattamento poteva avvenire anche in posizione iniziale: accanto a ptialismo è attestato nel primo Ottocento anche tialismo.227

Poche sono anche le oscillazioni che investono la fonetica. Ormai decisa a favore dell’allotropo latineggiante l’incertezza tra urina e orina,228 ancora forte agl’inizi del Novecento.229 Non 221

Cfr. Malpighi, Consulti..., pp. 8, 9, 42, 56. Cfr. Sarcone, Istoria..., pp. 136, 175. 223 Cfr. Vaccà Berlinghieri, Codice elementare..., vol. I, pp. 62, 67, 98, 130. 224 Cfr. Medici, Fisiologia..., pp. 320, 333. 225 Cfr. Pontoni, La lingua della pubblicità sanitaria..., pp. 31, 76, 126. 226 Cfr. rispettivamente Lancisi, De’ consulti..., vol. I, p. 34 e De Giovanni, Commentarii..., vol. I, p. 44. 227 Cfr. rispettivamente Magistretti, Raccolta..., p. 6 e Bufalini, Fondamenti..., vol. I, p. 296. 228 Nell’uso medico è caratteristico il plurale, preferito senza apparenti ragioni al singolare in riferimento agli accertamenti diagnostici (analisi delle urine); cfr. franc. les urines. 229 Si vedano, per esempio, due testi apparsi a un anno di distanza l’uno dall’altro: E. Villa, Il medico pratico, Milano 1901, p. 26 (orine) e C. Muzio, Il medico pratico, Milano 1902, p. 263 (urina). 222

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raro, ma in netto regresso, il latinismo glandola, glandolare ecc. rispetto a ghiandola e derivati: basti osservare che alcune classiche opere di consultazione, italiane o in traduzione, hanno decisamente optato per l’allotropo popolare (è il caso di UC, PM, Price o di R. Cecil, Trattato di medicina interna, presentazione all’ed. it. di G. Gasbarrini, Roma 1997). Nella morfologia oscilla il genere di faringe: la base greca pharynx era più spesso femminile230 e questo è il genere tradizionale in italiano. Il maschile, frequente nell’uso dei medici e generale nei composti,231 si deve all’influsso del franc. pharynx. Diverso il caso di laringe, che oggi è in prevalenza femminile; il maschile può anch’esso appoggiarsi al franc. larynx, ma in realtà rappresenta il genere etimologico, poi obliteratosi per analogia su faringe.232 Asma, che risale all’omerico asthma ‘respirazione difficile’,233 ha seguito la sorte dei neutri greco-latini in -ma (tema, problema, esantema ecc.) ed è stato inquadrato in italiano nella classe dei maschili. Ma il maschile è ormai raro;234 il femminile viene considerato altrettanto legittimo da un medico-linguista alquanto severo come il Mattioli,235 ed è attestato già da un illustre medico del passato come il Lancisi: «un’asma convulsiva».236

230

Cfr. Marcovecchio, Dizionario..., pp. 660-661. Per esempio, del rinofaringe: «Tempo medico», 2.12.1998, p. 3; dal rinofaringe: Price, p. 903. Esempi di faringe masch. in A. Del Gaudio, Nozioni mediche per collaboratori scientifici, Bologna 1965, p. 65 e Price, p. 55. 232 Cfr. Marcovecchio, Dizionario..., p. 496. Nella Contemplazione del Borgarucci (1564) laringe è ora maschile («il laringe o vogliam dire il gargarozzo»), ora femminile («questo gargarozzo, o vogliam dire questa laringe»): cfr. Fattorini, Il lessico medico..., p. 134. Due esempi moderni di laringe maschile in PM, vol. I, p. 197 e TM, p. 542. 233 Cfr. Marcovecchio, Dizionario..., p. 92. 234 Eccone comunque un esempio in un testo non certo prestigioso, le Lezioni per gli infermieri di ospedali e di manicomi (promosse dalla Scuola professionale per assistenza pubblica), Imola 1937, p. 90: «asma nervoso». 235 Neologismi e barbarismi..., p. 131. 236 De’ consulti..., vol. I, p. 10. 231

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Nei secoli scorsi i medici oscillavano anche nel genere di termini successivamente stabilizzatisi. Sperma (con una storia etimologicogrammaticale analoga a quella di asma) «si trova usato nel genere masculino e nel femminile», asserisce il Pasta.237 Glande e pube sono adoperati nel femminile richiesto dalle basi latine glans e pubes in Malpighi e Cocchi.238 Colera, etimologicamente femminile secondo il gr. cholera, seguiva il genere originario nell’accezione settecentesca di ‘gastroenterite’ (cfr. sopra, pp. 102-103);239 il maschile si impone in occasione dell’epidemia del 1829-1835, per influsso del franc. choléra e fors’anche perché l’epiteto morbus, prima occasionale, tende a diventare fisso.240

Per le classi nominali è da registrare sintoma (gr. sympto–ma), maschile in -a che è stato affiancato per tempo da una forma normalizzata in -o, oggi decisamente prevalente.241 Anche zigoma (gr. zygo–ma) è stata a lungo la forma normale;242 tuttora zi237

Voci e maniere di dire..., vol. II, p. 217. Cfr. rispettivamente Malpighi, Consulti..., p. 64 e G. Weber, Aspetti poco noti della storia dell’anatomia patologica tra ’600 e ’700, Firenze 1997, p. 125. 239 Cfr. per esempio G. Van Swieten, Breve descrizione delle malattie che regnano più comunemente nelle armate, trad. it., Venezia 1762, p. 171 (titolo del paragrafo: «Della colera») e Alibert, Nosologia naturale..., vol. II, p. 63 («La cholera morbus è una malattia grave e pericolosa»). 240 Si vedano anche soltanto i titoli di alcune pubblicazioni apparse in quegli anni: [S. Hahnemann], Rimedio unico e specifico contro il Cholera morbus, trad. it. [di G. Palmieri], Pesaro 1831; G. Tommasini, Sul Cholera-morbus, Parma 1833; A. Cappello, Esame critico sopra la officiale relazione del corso e degli effetti del Choléra-morbus, Roma 1835; I. Liuzzi, Riflessioni sul Cholera morbus asiatico, Roma 1835. Altri esempi in S. Raffaelli, I titoli dei libri nell’Ottocento. Un sondaggio linguistico, in «Studi linguistici italiani», 22(1996), pp. 32-49, alle pp. 45-46. 241 Ma ancora cinquant’anni fa il Pettenati (Sul linguaggio recente..., p. 25) la riteneva «a parità di uso con sintomo». Quanto a sintomo, il GDLI, vol. XIX, p. 85 offre come attestazioni più antiche esempi secenteschi (al plurale: e il prevalente uso del plurale avrà favorito la genesi di un singolare normalizzato in -o, secondo il paradigma usuale dei maschili). 242 Cfr. per esempio, tra le fitte attestazioni ottocentesche, S. Fattori, Guida allo studio della anatomia umana, Pavia 1807, vol. I, p. 65; R. Hooper, La guida per il notomico, trad. it. di A.G. Mariagi, Napoli 1819, vol. I, p. 27; Levi, Dizionario..., vol. IV, parte III, p. 1783. 238

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goma è registrata come variante secondaria dai dizionari contemporanei.243 Fedeli alla base etimologica restano i termini formati col suffisso -oma, di cui ci occuperemo nel capitolo seguente.

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Cfr. per esempio De Mauro, Grande dizionario..., vol. VI, p. 1135, Sabatini - Coletti, Dizionario..., p. 3026.

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5. FORMAZIONE DELLE PAROLE, EPONIMI, ACRONIMI1

1. Un processo in espansione In linguistica si distingue tradizionalmente tra derivazione e composizione. La derivazione presuppone la combinazione di un elemento “libero”, cioè adoperabile anche come parola autonoma, e di un affisso (prefisso o suffisso), cioè di un elemento che non può essere usato da solo. Gli affissi possono determinare il passaggio da una categoria morfologica a un’altra (dall’aggettivo nazionale mediante i suffissi -ismo e -ità ricaviamo i sostantivi nazionalismo e nazionalità) oppure contenere un’informazione semantica di carattere generale (i prefissi privativi in- o a- formano antonimi: applicabile → inapplicabile, morale → amorale; il suffisso -eto indica un’area caratterizzata da una determinata specie vegetale: pioppo → pioppeto ecc.). La composizione è invece la combinazione di due elementi “liberi” (lava + stoviglie → lavastoviglie). Tra i procedimenti della composizione vengono generalmente inclusi i cosiddetti “composti neoclassici”, vale a dire parole complesse create con «elementi non liberi attinti dalle lingue classiche allo scopo di formare termini di uso primariamente tecnicospecialistico». La classificazione si fonda su due ragioni, una semantica, l’altra morfologica: si tratta di un procedimento che utilizza elementi dotati di un significato autonomo e riconoscibile (gastro- ‘stomaco’ + -scopia ‘esame’ → gastroscopia); a differenza della derivazione, «uno stesso elemento può svolgere in diverse formazioni sia la funzione di base sia 1

Un abbozzo di questo capitolo è apparso in Grossmann-Rainer (a cura di), La formazione delle parole..., pp. 585-591.

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quella di operatore».2 Questa duttilità può spingersi addirittura fino all’alternanza delle singole componenti in uno stesso composto: per esempio (colonna) lombo-sacrale e (promontorio) sacro-lombare;3 in un dizionario medico si registrano megalosplenia e megalochiria (e se ne raccomanda l’uso per entrambi: «Termine corretto che dovrebbe essere sostituito a» splenomegalia e chiromegalia, rispettivamente), mentre per megalepatia c’è un semplice rinvio a epatomegalia.4 In molti casi la distinzione tra derivazione e composizione è problematica. Alcuni suffissi «hanno spesso un significato preciso e circoscritto, qualunque sia la loro etimologia»: -oma ‘tumore’ non è meno informativo di -patia ‘sofferenza’.5 Quel che è certo è che, in italiano e nelle altre lingue romanze, l’insieme di questi procedimenti ha un’importanza essenziale per il lessico medico: la grande maggioranza dei tecnicismi specifici è costituita da un derivato formato con un affisso “specialistico” (iper-, -oma, -ite ecc.) oppure da un composto con materiale greco-latino. È notevole il fatto che alcuni affissi siano sconosciuti alla lingua comune (per esempio iuxta- dal lat. IUXTA ‘presso’: «tumori iuxtacardiali», «alcuni glomeruli della zona iuxtamidollare», «recettori iuxtacapillari», «calcificazioni iuxtatrocanteriche»).6 L’esistenza di un eccellente repertorio di affissi e confissi utilizzati nella lingua medica italiana (Mazzini, Introduzione...) ci 2

Le due citazioni tra virgolette da C. Iacobini - A.M. Thornton, Tendenze nella formazione delle parole nell’italiano contemporaneo, in B. Moretti et al. (a cura di), Linee di tendenza dell’italiano contemporaneo, Roma 1992, pp. 25-55, a p. 46. Nella terminologia dei due autori base equivale a ‘determinato’ e operatore a ‘determinante’. 3 Cfr. Chiarioni, Le disvitaminosi..., p. 24. 4 Cfr. Garnier-Panzera-Delamare, Dizionario..., p. 638. 5 Cfr. L. Lorenzetti, Aspetti della formazione delle parole nei lessici scientifici, in A. Ramberti (a cura di), Riflessioni sul linguaggio, Santarcangelo di Romagna 1993, pp. 41-60, a p. 44. 6 Cfr. rispettivamente: J.-J. Bernier, Gastroenterologia, ed. it. a cura di A. Torsoli, Roma 1988, p. 56; G. Cagna et al., Le glomerulonefriti: aggiornamento clinico-terapeutico, in «Clinica e Terapia», 1(1990), pp. 31-35, a p. 33; Cecil, Trattato di medicina interna..., § 34; PM, vol. II, p. 328.

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dispenserà da una trattazione sistematica, permettendoci di soffermarci sui tratti salienti di questo processo. La diffusione di derivati e composti è andata crescendo esponenzialmente, dalla fine del Settecento ad oggi. Per il francese, il Ghazi ha calcolato la diversa incidenza dei prefissati medici nella 1a (1910) e nella 10a edizione (1931) del Dictionnaire des termes techniques de médecine di Garnier e Delamare: si passa da 684 a 2646 lemmi. Di là dai numeri, può essere interessante l’incremento di alcuni affissi: l’«accroissement spectaculaire» di anti- a partire dal 1931, ad esempio, dipenderà dal coevo sviluppo di farmacologia e immunologia; oppure la diversa frequenza di affissi antonimici: il prefisso endo- appare più produttivo di exo- in quanto, argomenta il Ghazi, «les observations et les explications cliniques se font principalement à l’intérieur des organes et du corps humain».7 Per l’italiano, il Lorenzetti ha calcolato che i grandi lessici contemporanei lemmatizzano circa 800 formazioni in -osi, mentre «i sette volumi del Tramater, forse il più aperto dei dizionari ottocenteschi alle terminologie tecniche o comunque estranee alla tradizione letteraria, ne riportano meno di un decimo».8

Tuttavia, come si vedrà meglio nel prossimo capitolo, occorre la massima prudenza nel valutare le entrate dei vocabolari, le quali non corrispondono necessariamente a tecnicismi realmente in uso presso i medici: da un lato, perché la mole dei lemmi di questo settore è abitualmente sovra-rappresentata; dall’altro perché molte formazioni vengono escluse vuoi in quanto iper-settoriali (acronimi di uso ristretto come VEMS ‘volume espiratorio massimo in 1 secondo’, in pneumologia), vuoi per la relativa trasparenza di molti composti (fruttosemia). Opportunamente, uno dei pochi studi dedicati ai prefissi della lingua medica ha utilizzato non fonti lessicografiche, ma un campione di documenti redatti da medici di tre diverse città italiane.9 Non sempre la proliferazione di derivati e composti medici è 7

Cfr. Ghazi, Vocabulaire du discours médical..., pp. 86-88, 137 e 147. Lorenzetti, Aspetti..., p. 55. 9 M. Cassandro, Formazioni prefissali della lingua medica contemporanea, in «Studi di lessicografia italiana», 13(1996), pp. 295-342. 8

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davvero indispensabile per le esigenze della comunicazione scientifica. Si è osservato per esempio – ma forse con soverchia severità – come le parole formate con normo- rispondano spesso al semplice «tentativo di dare uno status tecnico-scientifico ad espressioni sentite come troppo vicine alla lingua comune; si pensi a normoposto ‘posto normalmente’, normoreagente ‘reagente normalmente’, normoprotuso ‘protruso normalmente’».10 Nel suo insieme, comunque, la formazione delle parole risponde efficacemente alle esigenze comunicative del linguaggio medico. Spesso, come è stato notato più volte,11 sommando i significati delle varie componenti lessicali di un termine, è possibile risalire al significato dell’intera parola (come avviene, per riprendere tecnicismi già citati, con splenomegalia, fruttosemia, normoreagente). In diversi casi il significato di un termine è però irrecuperabile per questa via: emofilia, per esempio, non significa ‘amore per il sangue’ perché, a differenza della lingua comune (zoofilia), in ematologia l’elemento -filo, -filia è dotato del tratto [- animato] e indica ‘tendenza, affinità per’ (anche i vari tipi di granulociti, neutrofili, basofili, eosinofili, sono così denominati in base alla loro “affinità” per i coloranti). E abbiamo già osservato (p. 109) che anemia, nonostante le apparenze, non ha nulla che fare con la prolifica serie dei tecnicismi che indicano alterazioni del feto come acefalia ‘assenza della testa’, aglossia ‘assenza della lingua’ ecc.

La proliferazione dei confissi in uso nella terminologia medica può creare un certo numero di omonimie, talora incresciose. Qualche volta la polisemia è già presente nella parola “libera”: tarso può far riferimento alle ossa del piede (tarsotomia) o all’ele10 Ibid., p. 300. In realtà, alcune formazioni con normo- hanno un preciso significato clinico; normoteso, largamente usato anche per l’attuale sviluppo di studi sui rischi cardiovascolari, indica per esempio il soggetto con pressione arteriosa inferiore a 140/90 nella popolazione generale e 140/60 nei diabetici (comunicazione di M.G. Di Pasquale). 11 Cfr. per esempio Cortelazzo, Lingue speciali..., pp. 12-13 e M. Gotti, I linguaggi specialistici, Firenze 1991, p. 24.

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mento fibroelastico delle palpebre (tarsorrafia); il ceno- di cenestesi ‘vaga percezione del proprio stato fisico’ (gr. koinós ‘comune’) ha tutt’altra origine rispetto al ceno- del raro cenofobia ‘agorafobia’ (gr. kenós ‘vuoto’).12

Alcuni insiemi prefissali consentono di graduare una serie di nozioni correlate sull’asse norma-disfunzione, fondamentale nella clinica: a-vitaminosi, dis-vitaminosi, ipo-vitaminosi, iper-vitaminosi. Diversi elementi formativi (-emia, -uria, -patia ecc.) possono dare luogo a serie virtualmente aperte. In base alle sostanze circolanti nel sangue in condizioni normali o patologiche, avremo per esempio termini in cui la base indica composti organici (albuminemia, bilirubinemia, colesterolemia, glicemia, lipidemia, protidemia, trigliceridemia, uremia ecc.), un elemento, un metallo o semimetallo, un composto inorganico (calcemia, cuproemia, fosforemia, idremia, natremia, potassiemia o kaliemia, sideremia ecc.), un microrganismo (batteriemia, viremia; in piemia e setticemia si muove invece da una base grecizzante col significato di ‘infetto’). Sta a sé volemia ‘volume ematico totale’, tratto dal lat. volumen. La quasi totalità dei termini ottenuti attraverso i processi della formazione delle parole risale agli ultimi due secoli. Tra i meccanismi formativi attestati con continuità dalle origini fino all’età contemporanea, il più importante è la sostantivazione di un aggettivo indicante la patologia di un paziente (l’asmatico ‘il paziente sofferente d’asma’). Si tratta di un modulo frequente e tradizionale in italiano,13 che ha però una sua specifica e costante presenza nella lingua della medicina. Una rapida esemplificazione, che ne testimoni la produttività nel corso del tempo (tralasciando l’uso contemporaneo, particolarmente abbondante). Per i secoli più antichi, si può partire da Dante, Inferno, XXX, 55-56 («faceva lui tener le labbra aperte / come l’etico fa» ‘il tisico’), per continuare col volgarizzamento di Pietro de’ Crescen12

Registrato in Garnier-Panzera-Delamare, Dizionario..., p. 176. Cfr. G. Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino 1966-1969, § 399-a. 13

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zi («aiuta gli epilentici e sana gli idropici»: GDLI, vol. V, p. 194) e col cinquecentista Soderini («Beendovi dentro gli epatici, gli idropici et i tisici»: GDLI, vol V, p. 183). Dal Seicento in poi, col progressivo arricchimento del lessico specialistico, anche gli esempi di sostantivazione di originari aggettivi si fanno più variati; per esempio: spasmatico («Giova mirabilmente alli apopletici [...] et spasmatici» nel Lancillotti),14 empiematico e scorbutico («S’aperse il cadavero d’un empiematico», «Il dì 29 d’aprile s’aperse la scorbutica del letto 142» nel Cocchi),15 clorotico, pneumonitico, oligoemico («nei cadaveri di alcune clorotiche», «la morte del pneumonitico», «nella cute degli oligoemici» in Murri, Scritti medici..., vol. I, pp. 295, 391, vol. II, p. 816).16

Antico è anche un altro caso di sostantivazione di un aggettivo in séguito all’ellissi di un sostantivo indicante una parte anatomica. Basterà esemplificare col solo Murri: «la paralisi degli splancnici [nervi]», «gli animali cui sia legata la porta [vena]», «la cava inferiore [vena]», «forte iniezione delle vene della pia [madre]», «una lacerazione piuttosto estesa della dura [madre]», «insufficienza della mitrale [valvola]» (ibid., vol. I, pp. 225 e 226, vol. III, pp. 1384, 1395, 1422).

2. Derivati e composti Già la lingua medica del passato disponeva di un sistema derivativo abbastanza ramificato. R. Gualdo ha ottimamente documentato nel lessico scientifico tardomedievale l’esistenza di serie compatte come cataro-caterale-cataroso, pleura-pleuresi-pleuritide-pleurico-pleuretico e simili.17 In particolare, tra gli affissi è di 14

Cfr. Serianni, Popolarismi e tecnicismi..., p. 343. Cfr. Weber, Aspetti poco noti..., pp. 123 e 125. 16 In Murri (Lezioni..., p. 355) e in De Giovanni (Commentarii..., vol. I, p. 92) compare anche un esempio in cui viene sostantivato il semplice aggettivo di relazione, con una brachilogia che i grammatici censurerebbero: «la cardiaca è morta» (non la cardiopatica), «il cardiaco» (e poco prima, a p. 68: «il paziente cardiaco»). Un altro esempio si legge in Lezioni per gli infermieri..., p. 84: «in cardiaci e nefritici molto gravi». 17 Cfr. Gualdo, Sul lessico medico di Michele Savonarola..., pp. 176-216. 15

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antica circolazione il suffisso -ivo (digestivo; cfr. sopra, p. 55 e nota 30); più tardo è il prefisso sub- con valore attenuativo (subacuto), che appare pienamente radicato nella medicina del primo Ottocento.18 I tipici suffissi medici sono però altri quattro, e riguardano la patologia: il primo, -ite, è condiviso con tutt’altri valori da mineralogia (magnetite), chimica (mannite), biologia (dendrite); il secondo, -oma, è utilizzato anche in poche formazioni della terminologia biologica e botanica (condrioma, rizoma); il terzo, -osi, è specifico dell’àmbito medico-biologico (oltre che nozioni patologiche, può indicare un intervento, un processo, uno stato: anastomosi, mitosi, ipnosi); il quarto, -ismo, è in assoluto uno dei suffissi più produttivi dell’italiano moderno.19 La serie -ite, -osi, -oma è legata a significati puntuali. In un certo numero di casi, il termine così affissato implica rispettivamente un processo infiammatorio (bronchite), una condizione patologica di tipo regressivo-degenerativo (arteriosclerosi), un tumore (sarcoma). In realtà in molti casi il derivato ha significati impredicibili o è formato in modo irregolare.20 Può essere utile qualche esempio. I derivati in -ite indicano in genere un processo infiammatorio che interessa il distretto anatomico indicato dalla base (artrite, blefarite, epatite); ma in difterite e piodermite la base esplicita già il processo morboso in atto (rispettivamente la pseudo-membrana che ricopre le tonsille [gr. diphtera] e i germi patogeni responsabili della dermatite: l’elemento pio- [gr. pyon ‘pus’] allude genericamente a un’infezione). I termini in -osi possono indicare patologie infiammatorie (adenovirosi, legionellosi: ci aspetteremmo piuttosto *adenovirite e *legionellite), ma soprattutto hanno spesso valore iperonimico: l’avitaminosi è la carenza di una o più vitamine non specificate, la dermatosi è una generica malattia della pelle, la rickettsiosi abbraccia l’insieme delle malattie trasmesse al18

Cfr. Serianni, Saggi di storia linguistica..., pp. 110-111. Cfr. M. Dardano, La formazione delle parole nell’italiano di oggi, Roma 1978, pp. 67-68 e Serianni, Saggi di storia linguistica..., pp. 353-356. 20 Cfr. per esempio Vitali, Il linguaggio delle scienze biomediche..., p. 194 e Altieri Biagi, L’avventura della mente..., p. 353. 19

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l’uomo dagli insetti del genere Rickettsia ecc. Può darsi persino il caso di concorrenza tra -ite e -osi per indicare la medesima patologia, almeno stando ai dizionari specializzati (osteocondrite / osteocondrosi).21 Il suffisso -oma non allude a nessun processo tumorale in termini come ateroma, ematoma, glaucoma, granuloma, scleroma, scotoma, tracoma, anche se in alcuni derivati (ateroma, ematoma, granuloma) indica pur sempre una ‘lesione occupante spazio’. Il “suffisso medico” per eccellenza è certo -ite, che da tempo viene utilizzato nella lingua colloquiale per creare neologismi estemporanei e scherzosi come poltronite, forse il più antico della serie (1891),22 o i recentissimi bertinottite («quel pezzo di sinistra “malata di bertinottite”»: 2002), condonite («la “condonite” del governo Berlusconi»: 2002) o dizionarite («nella “dizionarite editoriale” si annidano aspetti di puro consumismo»: 2003).23 Dal punto di vista storico-etimologico, -ite continua il greco -îtis, che serviva, «per lo più, a creare formazioni aggettivali su parti del corpo riferite, a loro volta, al nome espresso o sottinteso» nosos ‘malattia’; il «valore di infiammazione può essere, ovviamente, compreso in quello antico, ma in quanto tale, specifico, sembra diffondersi soprattutto a partire dal Settecento».24 Fino al XIX secolo, -ite (tratto dal nominativo greco-latino) concorreva con -itide (dall’accusativo latino -itidem). Nella prima metà di quel secolo, per esempio, mentre molti medici coevi accolgono le forme recenziori, resta perlopiù affezionato alle forme accusativali l’Acerbi (artritide, encefalitide, enteritide, epatitide, metritide, peritonitide, pleuritide);25 e ancora nella seconda metà, -itide può concorrere con -ite nel Baccelli (cefalitide e pleuritide accanto a endocardite, mio21

Cfr. Garnier-Panzera-Delamare, Dizionario..., p. 734 e anche, per i corrispettivi francesi, Ghazi, Vocabulaire du discours médical..., p. 154. 22 Cfr. De Mauro, Grande dizionario..., vol. IV, p. 1172. 23 Gli ultimi tre esempi, di matrice giornalistica, si leggono in G. Adamo e V. Della Valle, Neologismi quotidiani, Firenze 2003, pp. 180, 271, 330. 24 Mazzini, Introduzione..., p. 100 nota 88. Si veda anche Marcovecchio, Dizionario..., pp. 483-484. 25 Cfr. Acerbi, Medicina pratica..., pp. 52, 89, 90, 165 e passim.

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cardite, neurite, pericardite)26 e nella pubblicità sanitaria dei giornali (artritide e artrite, bronchite e bronchitide, rachitide ‘rachitismo’).27 Quanto a -osi, si tratta del continuatore del gr. -o–sis, un suffisso «che appare in più di 110 vocab. gr., di cui molti d’interesse med.; in lat. è stato utilizz. per trascriverne solo una trentina, tra i quali prognosis, necrosis, phanerosis, scirrhosis etc.».28 Anche se la fortuna del terzo suffisso “medico” data dal Cinquecento, la specializzazione di -oma per indicare un tumore risale al greco antico; secondo il Mazzini, questa accezione si spiega col valore originario del suffisso -o–ma, che rende «il risultato di un’azione e introduce denominazioni di azioni compiute»: il tumore sarà stato percepito «come il risultato finale di uno squilibrio umorale, che sta a monte».29

I derivati in -ismo pertinenti alla medicina si lasciano ricondurre a tre tipologie fondamentali: la base può indicare 1) l’elemento esterno responsabile di una certa patologia, sia esso un microrganismo (botulino → botulismo), un elemento chimico (gr. argyrion → argirismo, lat. stibium → stibismo), un composto organico (alcol → alcolismo e etile → etilismo), una pianta (cincona → cinconismo, latiro → latirismo), un animale (gr. arachne → aracnidismo ‘intossicazione prodotta dal veleno di ragno’), un ambiente malsano (palude → paludismo ‘malaria’); 2) la patologia stessa, talvolta con valore iperonimico (‘complesso di disturbi caratteristici di un certo quadro morboso’): adenoide → adenoidismo, astigmat(ico) → astigmatismo, emet(ico) → emetismo, sonnambulo → sonnambulismo; non rare le basi costituite da un nome proprio: Dalton → daltonismo, Parkinson → parkinsonismo; 3) in combinazione con i prefissi iper- o ipo-, l’organo (specie una 26

Cfr. Baccelli, Patologia..., vol. I, pp. 27, 29, 31, 42. Cfr. Pontoni, La lingua della pubblicità..., pp. 46, 60, 235. 28 Marcovecchio, Dizionario..., p. 614. Illusoria è l’idea di risalire al singolo tecnicismo progenitore della serie, come propone per il francese il Dubois (cit. in Ghazi, Vocabulaire du discours médical..., p. 152), menzionando il cinquecentesco ecchymose. 29 Mazzini, Introduzione..., p. 112 nota 110. Si veda anche Marcovecchio, Dizionario..., pp. 599-600. 27

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ghiandola endocrina) interessato da una patologia funzionale: iper- e ipotiroidismo, iper- e iposurrenalismo. Assai elevato nella formazione delle parole di àmbito medico un fenomeno che potremmo definire di “ridondanza formativa”, dovuto sia alla stratificazione nel tempo di tecnicismi relativi a un medesimo designatum, sia alla tendenza degli scienziati a introdurre nuove denominazioni, sia all’alta disponibilità di elementi formativi greco-latini, che si prestano a essere variamente combinati tra loro. Possiamo distinguere almeno due tipologie: a) Lo stesso elemento formativo di origine classica, perlopiù greca, può essere rappresentato da varianti formali diverse:30 Per esempio: emo- (dal tema dei casi retti del gr. âima: emocromo, emodialisi, emofilia, emoglobina) e emato- (dal tema dei casi obliqui aimat-: ematocrito, ematologia, ematoma, ematuria; l’intercambiabilità tra i due elementi emerge da coppie come emofobia-ematofobia, emopoiesi-ematopoiesi);31 dermo- (gr. derma: dermotomo, dermoide) e dermato- (gr. dermat-: dermatologia, dermatite; si oscilla tra dermofita e dermatofita, dermografismo e dermatografismo).32

b) Si ha concorrenza di distinti elementi formativi, che possono anche essere tratti da diverse lingue (suppletivismo). Un caso tipico è rappresentato dal paradigma costituito da una base nominale (di trafila popolare) e un aggettivo di relazione di trafila dotta tratto dal latino o, più spesso, dal greco: ciglio → ciliare, labbro → labiale; fegato → epatico, cuore → cardiaco, tosse → bechico, polso → sfigmico. Altre volte si hanno oscillazioni nello stesso tipo di formazione. Per esempio: a) italiano e greco in riferimento al “polmone”: polmon- (polmonite), pneumon- (gr. pnêumon ‘polmone’: pneumonorrafia ‘sutura del polmone’), pneum- (gr. pnêuma ‘aria’: pneumocele, pneu30

Cfr. Mazzini, Introduzione..., pp. 33-34. Cfr. Garnier-Panzera-Delamare, Dizionario..., p. 325. 32 Cfr. Dizionario medico illustrato Dorland, terza ed. it., Milano 1997, p. 452. 31

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mococco); possibile fonte di equivoco con altri termini in cui pneumsignifica appunto ‘aria’: pneumotorace, pneumocolangia ‘presenza di aria nelle vie biliari’);33 b) greco e latino: oftalmo- (oftalmico, oftalmologia, oftalmoplegia) e oculo- (oculare, oculogiro, oculomicosi); c) latino, greco, italiano antico e moderno: sopra-, con valore quasi sempre locativo (sopraorbitale, sopraventricolare),34 così come avviene per epi- (che infatti entra «in coppie oppositive come epifisi / ipofisi, epigastrio / ipogastrio, epispadia / ipospadia, epitalamo / ipotalamo»),35 sovra-, variante arcaica di sopra che, più spesso del valore locativo (sovraombelicale), ha significato valutativo, indicando l’eccesso rispetto a una norma (sovratrasfusione, sovraventilazione), così come avviene normalmente per iper- (ipertensione, iperespanso);36 sur- e super-, entrambe di origine latina (ma la prima varie volte sarà d’intermediazione francese)37 hanno significato valutativo: super- può implicare l’idea di un processo fisiologico o patologico che si sovrappone a un processo già in atto (suralimentazione, surreflettività,38 superinfezione, superfecondazione, superossigenazione); e) soltanto greco, ma rappresentato da temi distinti: mega- (spesso seguito dal sostantivo che indica una parte anatomica: megacapillare, megacolon, megaesofago), megalo- (megaloblasto, megaloftalmia) e macro-, con slittamento rispetto al significato originario di ‘lungo’ (macrodattilia, macroglossia)39 o per metro- e istero- (gr. metra e hystera entrambi ‘utero’: metrite, isterectomia; varianti equivalenti: metrocele-isterocele, metralgia-isteralgia).

33 Solo ad “aria” fa riferimento pneumat- in pneumatocele ‘tumore gassoso’, pneumaturia ‘emissione di gas con l’urina’ ecc. Su questa intricata famiglia di elementi formativi cfr. G. Folena, Terminologia medica. Un prefissoide paronimico: pneumo-, pneumato-, pneumono-, in «Lingua Nostra», 22(1961), pp. 121-123. 34 Cfr. Cassandro, Formazioni prefissali..., pp. 332-334. 35 Ibid., p. 304. 36 Ibid., pp. 303-305. 37 Cfr. Marcovecchio, Dizionario..., p. 835. 38 Garnier-Panzera-Delamare, Dizionario..., p. 968 lo pone a lemma dando come sinonimi iperreflettività e iperreflessia ‘esagerazione dei riflessi’. 39 Cfr. E. Marcovecchio, Terminologia scientifica: macro- e mega(lo)- sono sinonimi?, in «Lingua Nostra», 29(1968), pp. 116-121; Janni, Il nostro greco..., pp. 121-123.

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Talvolta lo stesso elemento formativo rimanda a significati diversi, come avviene per leuco-, che vale ora ‘bianco’ (leucocito, leucoma, leucoplasia) ora ‘globulo bianco’ (leucemia, leucopenia, leucopoiesi).40 Il processo di creazione delle parole composte è caratterizzato da notevole libertà formativa, con forte propensione al neologismo e spiccata varietà nella combinazione delle singole parti. Se la maggioranza dei composti è formata di due elementi, sono assai frequenti anche composti plurimi: per esempio laparo-toracofrenotomia ‘via d’accesso simultanea all’addome (laparo), al torace (toraco) e al diaframma (freno), che comporta la sezione (tomia) di quest’ultimo’.41 Tra i più antichi della serie possiamo ricordare idro-emo-pericardia nel Baccelli, (paralisi) labio-glosso-faringea nel Murri, oto-rino-laringoiatria in un manuale Hoepli.42 La vocale connettiva dei composti tende a essere -o sia nel caso di radici greche (cardio-vascolare, ezio-patogenetico), sia nel caso di radici latine (lombo-sacrale, digiuno-ileale).43 Nelle poche basi con terminazione consonantica la consonante finale viene eliminata: (vena) azygos → azygografia, cardias → cardioplastica, colon → coloscopia;44 e ancora, con ulteriore contrazione o ridu40 È lo stesso fenomeno che avviene nella lingua comune in casi come tele-1 ‘a distanza’ (è il valore originario: telecomunicazioni), tele-2 estratto da televisione (telegiornale) e tele-3 estratto da telefono (telesoccorso): cfr. G. Antonelli, Sui prefissoidi dell’italiano contemporaneo, in «Studi di lessicografia italiana», 13(1996), pp. 252-293, alle pp. 271-275. 41 Cfr. Garnier-Panzera-Delamare, Dizionario..., p. 577. 42 Cfr. Baccelli, Patologia..., vol. I, p. 20 (anno 1863); Murri, Scritti medici..., vol. II, p. 815 (l’articolo risale al 1879-1880); Muzio, Il medico pratico..., p. 87. 43 Ma nei primi elementi di origine greca si ha generalmente -i in corrispondenza del gr. -y (pachidermia) e -u in corrispondenza del greco -u (= ou: acufene): cfr. Mazzini, Introduzione..., p. 37. Sulla o come vocale connettiva dei composti cfr. soprattutto B. Migliorini, I prefissoidi [1941], in La lingua italiana del Novecento, a cura di M.L. Fanfani, Firenze 1990, pp. 121-145 e anche Janni, Il nostro greco..., p. 172. 44 Talvolta si usano tuttavia colonscopia (cfr. per esempio «Acta bio-medica de l’Ateneo parmense», 61(1990), p. 133: «indagine colonscopica») e colonoscopia, forma giudicata «scorretta» in Garnier-Panzera-Delamare, Dizionario..., p. 218.

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zione delle vocali diventate finali: epiploon → epiploite, psoas → psoite (ma da acromion si ha acromionite ‘osteomielite localizzata nell’acromion’).45 Per i derivati da pancreas si utilizza la base dei casi obliqui del greco pancreat-: pancreatectomia. Quanto all’elisione della vocale finale del primo elemento davanti a vocale iniziale del secondo, possono darsi varie possibilità:46 a) La vocale tende a mantenersi quando le componenti del composto sono avvertite in modo autonomo (e perlopiù nella grafia si separano mediante trattino): cardio-aortite, linfo-adenite, neuro-analettico; b) Tende all’elisione quando le componenti sono fuse (e il composto è univerbato): anti + algico → antalgico, linfo + angioma → linfangioma, emato + emesi → ematemesi. L’elisione, oggi più diffusa di un tempo,47 è comunque rarissima quando la vocale finale del primo elemento è preceduta da altra vocale: mioedema, osteoartrite (ma osteite), stereoagnosia; si ha sistematica contrazione delle due vocali se esse sono dello stesso timbro: eso + ostosi → esostosi, ipo + ossiemia → ipossiemia.48 Molto frequente la decurtazione del primo elemento. Distinguiamo: a) il primo elemento ripropone la parola originaria con vocale fissa -o in composti determinativi (cioè con successione determinante-determinato) come laringospasmo, vitamino-terapia, azione epitelio-protettiva,49 e in composti copulativi (in cui i membri del composto sono coordinati) formati con un aggettivo in -ico: sindrome spastico-atassica, quesiti diagnostico-differenziali;50 45

Cfr. ibid., p. 10. Tutte le forme che citeremo esemplarmente sono state attinte ibid., alle singole voci. 47 Nel Murri si leggono, per esempio, pioemia, setticoemia, oligoemia, idroemia (Scritti medici..., vol. I, pp. 406 e 416). 48 Cfr. Mazzini, Introduzione..., p. 36. 49 Tutti in Chiarioni, Le disvitaminosi..., pp. 8, 12, 22. 50 Ibid., pp. 22, 47. 46

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b) il primo elemento viene variamente decurtato, specie in composti copulativi: -ico → -o (riscontro anatomo-patologico, malattie gastro-enteriche, sensibilità termo-dolorifica),51 -ale → -o (regione ano-vulvare, sindromi maniaco-depressive, ferita addomino-toracica),52 -are → -o (area muscolo-cutanea),53 -oso → -o (manifestazioni cutanee eritemato-bollose),54 -itario → -o (forme eredo-costituzionali, pazienti immuno-competenti),55 -atico → -o (insufficienza enzimosecretiva),56 -otico → -o (epatite sclero-gommosa).57 Talvolta si ha semplice giustapposizione di due aggettivi: anemie macrocitichemegaloblastiche, dermatite seborroica-desquamativa.58 Caratteristica la riduzione al primo elemento di una parola composta seguita da un altro composto che presenti il secondo elemento in comune: ostacolo extra- o intra-epatico, cistifellea normo- od ipotonica, trattamento chemio- o immunoterapico.59 Nell’Ottocento le decurtazioni del primo elemento dei composti erano assai più ridotte, e coinvolgevano solo pochi formanti. In un gruppo di scritti relativi al colera e risalenti agli anni 18321839 figurano solo composti copulativi formati con gastro- (gastrobilioso, gastro-enterico e gastro-enterite, gastro-epatico, gastro-meningite), cerebro- (cerebro-spinale), emeto- (secrezioni emeto-catartiche ‘di vomito e feci’).60 Ma, come avviene per tanti altri fenomeni linguistici, tra Otto e Novecento il quadro appare mutato e ormai assai prossimo a quello contemporaneo. Nel Murri ricorrono copiosi esempi di decurtazioni di primi elementi in -ico («l’osservazione anatomo51

Ibid., pp. 34, 45, 48. Ibid., pp. 41 e 47; Bernier, Gastroenterologia..., p. 204. 53 Cfr. A. Piccolo et al., Chirurgia ricostruttiva della mammella dopo mastectomia, in «Archivio di Medicina Mutualistica», 24(1979), pp. 7-64, a p. 51. 54 Cfr. Chiarioni, Le malattie del fegato..., p. 45. 55 Cfr. Chiarioni, Le disvitaminosi..., p. 56 e PM, vol. II, p. 166. 56 Cfr. Chiarioni, Le malattie del fegato..., p. 215. 57 Ibid., p. 141. 58 Chiarioni, Le disvitaminosi..., pp. 47, 53. 59 Cfr. Chiarioni, Le malattie del fegato..., pp. 8 e 193; Piccolo, Chirurgia ricostruttiva..., p. 39. Altri esempi di questo modulo, promosso dall’inglese (e dal tedesco), in Serianni, Saggi di storia linguistica..., pp. 418-419. 60 Pellei, Il linguaggio medico..., pp. 92-93. 52

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patologica»), in -ale («cavità naso-faringee»), in -are («attività muscolo-motoria») e anche del secondo elemento in comune in una sequenza: «nelle fosse sopra- e sottoclavicolare».61

L’influsso angloamericano è decisivo nel promuovere i composti determinativi formati con elementi moderni (non neoclassici), tutti di diffusione recente. La prima componente può restare invariata (meccanismo aldosterone-sensibile, effetto dose-dipendente);62 ciò che avviene, necessariamente, con sigle e acronimi: enzimi B6 dipendenti, rachitismi D-resistenti, farmaci ACE-inibitori, reazioni allergiche IgE-mediate.63 Ma in genere la vocale connettiva esce in -o: bilirubina non glicurono-coniugata, insufficienza enzimo-secretiva, effetto insulino-secretore, alterazioni immunitarie cellulo-mediate.64 Con simil(e) figurano le due sequenze possibili: farmaci aspirino-simili; attacco similemicranico, dolore simil-anginoso; quadro simil-reumatico.65

3. Eponimi e acronimi È ben nota l’importanza che nella lingua della medicina hanno assunto, in particolare dalla metà dell’Ottocento, le denominazioni eponime: come per molti altri aspetti, si tratta di un fenomeno non solo italiano,66 anche se le singole formazioni circolanti sono spesso diverse da lingua a lingua, al pun61

Cfr. Murri, Scritti medici..., vol. I, pp. 62, 285, 416; Lezioni..., p. 156. Cfr. Cecil, Trattato..., § 34; PM, vol. I, p. 515. 63 Cfr. Chiarioni, Le disvitaminosi..., pp. 22, 51; Cecil, Trattato..., § 230; UC, p. 164. 64 Cfr. Chiarioni, Le malattie del fegato..., pp. 12, 215; Giroud, pp. 211 e 221. 65 Cfr. Cecil, Trattato..., § 19; UC, p. 519; PM, vol. I, p. 495; Chiarioni, Le malattie del fegato..., p. 132. Altri esempi del genere in Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 419. 66 Si vedano almeno, per il francese, Hamburger, Introduction..., pp. 137-153 (il relativo capitolo è intitolato, significativamente, L’Éponymomanie) e, per lo spagnolo, Díaz Rojo, Nociones de neología..., pp. 29-30. 62

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to che di norma gli eponimi non sono ammessi nella terminologia internazionale, codificata da congressi che si tengono a cadenza abbastanza regolare. Da tempo M.L. Altieri Biagi ha indicato alcune motivazioni caratteristiche che sono alla base del fenomeno (in particolare, la chiusura iniziatica della corporazione medica rispetto all’esterno e l’opportunità di velature eufemistiche nei confronti del paziente)67 e ha sottolineato successivamente l’importanza di un terzo elemento: l’assenza di «pericolosi margini di evocazione, come invece possono avere le “parole” cristallizzate in “termini”, e perfino i “termini” creati appositamente per battezzare un fenomeno».68 È interessante notare il fatto che già il Murri indicasse una motivazione parallela a questa a sostegno di una denominazione da lui caldeggiata, quella di malattia di Erb (un tipo di atrofia muscolare): Ciò che mi spinge [a proporre questa denominazione] sopra tutto è l’intenzione di evitare un nome che additi la sede o la natura del processo morboso, che si deve ancora studiare, poiché queste designazioni premature sono feconde d’oscurità e di malintesi.69

Ma c’è anche chi eccepisce che gli eponimi sono meno descrittivi dei corrispondenti tecnicismi e quindi dovrebbero essere adoperati il meno possibile.70 Un movente decisivo in direzione degli eponimi viene dalle spinte nazionalistiche. Nel 1968 l’Altieri Biagi citava, come caso-limite, l’esempio della sequenza morbo di Hirschprung, malattia di Ruysch, malattia di Battini-Hirschprung, malattia di Mya, tutte espressioni adoperate (almeno all’epoca della rilevazione) 67 Cfr. G. Devoto - M.L. Altieri Biagi, La lingua italiana: storia e problemi attuali, Torino 1968, pp. 334-335. Per l’italiano è tuttora utilissimo il repertorio di L. Sterpellone, Eponimia medica, Roma 1976. 68 Altieri Biagi, L’avventura della mente..., p. 355 (il saggio da cui cito è stato pubblicato originariamente nel 1974). 69 Scritti medici..., vol. III, p. 1359. Cfr. anche Vitali, Il linguaggio delle scienze biomediche..., p. 188. 70 Cfr. Díaz Rojo, Nociones de neología..., p. 29.

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per indicare il megacolon congenito.71 Oltre all’ipertrofia sinonimica e alla conseguente instabilità dell’uso, un ulteriore fattore di debolezza di gran parte degli eponimi è costituito dalla scarsa duttilità derivativa: se da morbo di Basedow (patologia definita già a metà dell’Ottocento) si sono tratti basedowiano, basedowiforme, basedowizzato e anche, con riduzione della base, basedoide,72 da morbo di Alzheimer si può avere al più la riduzione a un, una Alzheimer ‘un, una paziente con tale sindrome’, mentre sono assai meno probabili *alzheimerico o *alzheimerizzare e sarebbe impossibile ricavare un derivato da eponimi complessi come sindrome di Clarke-Howell-Evans-McConnel.73 L’uso di eponimi può dar luogo a vari inconvenienti comunicativi. In alcuni casi differenti sindromi sono denominate col nome di uno stesso scienziato: il Sournia ha contato sette diverse patologie indicate col nome dello svizzero Fanconi, tre col nome dello svizzero Franceschetti, tre con quello del francese Marfan.74 Un altro studioso, controllando la definizione di alcuni eponimi data da un diffuso dizionario statunitense (il Dorland’s Illustrated Medical Dictionary, Philadelphia 199428), ha messo in guardia dai rischi di confusione che incombono sui traduttori: a ciascuna delle cinque accezioni inglesi di Babinski sign (il nostro segno di Babinski), per esempio, corrisponde in francese un termine differente.75 Le vere e proprie denominazioni eponime sono rappresentate da unità polirematiche in cui un termine generico è accompagnato dal nome di uno scienziato.76 Il sostantivo può ri71

Cfr. Devoto - Altieri Biagi, La lingua italiana..., p. 334 (Hirschprung era danese, Ruysch – noto alla letteratura come protagonista di una celebre operetta morale leopardiana – olandese, Battini e Mya italiani). Un esempio analogo in Díaz Rojo, Nociones de neología..., p. 29 (denominazioni eponime per il gozzo esoftalmico). 72 Cfr. Garnier-Panzera-Delamare, Dizionario..., p. 115 e, per la quarta forma, Dizionario Dorland..., p. 184. 73 Cfr. Serianni, Saggi di storia linguistica..., p. 115 nota 69. 74 Cfr. Sournia, Langage médical..., p. 94. 75 Rouleau, La terminologie médicale..., p. 147. 76 Gli esempi che seguono sono attinti da Sterpellone, Eponimia..., alle singole voci.

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ferirsi alla patologia (come iperonimo: malattia di Isambert, sindrome di Jarcho;77 o come nome specifico: anemia di Davidson, linfoma di Castleman); alla clinica (reazioni fisiologiche: riflesso di Landau; o ricerca di segni patognomonici: prova di Chapman, metodo di Adelman); all’anatomia (cellule a paniere di Boll, muscolo di Landström); alla terapia (strumenti: forcipe di Chamberlen, cucchiaio di Hoffa; presidi: impacco di Bunyon-Stannard, soluzione di Burow; metodi diagnostici: conta di Addis; interventi chirurgici: operazione di Kennedy) ecc. Secondo un «uso, canonico nel parlare, frequente nello scrivere», la denominazione eponima si riduce, per metonimia, al solo nome proprio: il Wirsung ‘il dotto di W.’, un Basedow ‘un morbo di B.’.78 Vi è poi la serie dei deonomastici, cioè dei sostantivi derivati da un nome proprio (nel nostro caso, di norma, di uno scienziato): dita ippocratiche (e «ippocratismo digitale»: PM, vol. I, p. 666), meibomiite ‘infiammazione delle ghiandole tarso-congiuntivali’ (da H. Meibom), pastorizzare (da L. Pasteur), zona rolandica (da L. Rolando), röntgenterapia (da W.C. Röntgen), schwannoma ‘neurinoma’ (da T. Schwann), taglio cesareo (da Giulio Cesare, per una fallace interpretazione del cognomen).79 Alcune formazioni procedono non dalla storia, ma dalla letteratura o dalla mitologia:80 tendine d’Achille, sindrome di Job ‘nome dato a varie patologie caratterizzate da vivi dolori (come quelli sopportati dal personaggio biblico)’, sindrome di Pickwick ‘quadro clinico caratterizzato da obesità, apnea notturna, sonnolenza diurna e cianosi’ (dal personaggio di Dickens) oltre ai deonomastici bovarismo e byronismo (entrambi adoperati in psicologia, il secondo in riferimento a un ‘complesso d’inferiorità con reazioni di difesa che può evolvere in paranoia’), malattie veneree, morfina (da Morfeo, dio dei sogni), sifilide (cfr. p. 37). 77

Anche morbo, più comune in alcune denominazioni (morbo di Addison, morbo di Basedow) che Sterpellone riduce alla formula malattia di X. 78 Cfr. Pettenati, Sul linguaggio recente..., p. 27. 79 Cfr. DELIN, p. 326. 80 Cfr. B. Gutiérrez Rodilla, Lo literario como fuente de inspiración para el lenguaje médico, in «Panace@», 11(2003), pp. 61-67.

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La proliferazione degli acronimi è un fenomeno molto più recente, assente o trascurabile avanti la seconda metà del XX secolo. Nei testi che trattano a vario titolo di medicina la massima concentrazione di acronimi e in generale di abbreviazioni è rappresentata dai referti, ossia da testi scritti da un medico e idealmente destinati ad altri specialisti (non al paziente): la condivisione del contesto specialistico consente formulazioni brachilogiche che potrebbero risultare oscure altrove. Così, un verbale di pronto soccorso di un ospedale oftalmico può recare semplicemente alla voce Anamnesi: «OSESC», una sigla del tutto trasparente per l’oculista che eseguirà l’esame obiettivo e che la interpreterà come ‘Occhio sinistro: emorragia sotto-congiuntivale’. Nel seguente riassunto anamnestico, contenuto in una Relazione clinica, si alternano acronimi di uso generale (TC ‘tomografia computerizzata’,81 A.S.sn ‘arto superiore sinistro’, P.S. ‘Pronto Soccorso’:) e abbreviazioni legate alla prevedibilità dei contesti: 4aa ‘4 anni’, cpX3 ‘una compressa tre volte al giorno’, pz ‘paziente’. Angina pectoris da circa 4 aa in trattamento con Aspirinetta, Sotalex 801/2 cp x3/die, Kiton 40 1cp/die. In data 2/04 al mattino difficoltà a controllare i movimenti A.S.sn. Portata al P.S. del Policlinico eseguiva TC encefalo: nella norma, durante il ricovero in astanteria venivano riscontrati elevati livelli pressori per cui veniva iniziata terapia con Adalat crono 1cp/die. La pz si ricovera in reparto per le cure e gli accertamenti del caso.

Anche nelle riviste circolanti tra medici l’uso di acronimi è, comprensibilmente, molto elevato. A quelli di tipo specialistico si aggiungono in questo caso le sigle di associazioni professionali e sindacali. In una singola pagina (la 36) di un numero 81 L’acronimo è più conosciuto nella variante TAC ‘tomografia assiale computerizzata’: questa dizione, calcata sull’ingl. CAT ‘Computerized Axial Tomography’, non è felice, dal momento che tutte le tomografie sono “assiali”; negli Stati Uniti è ormai assai diffusa la sigla CT ‘Computerized Tomography’ (la stessa che, in sequenza italiana, troviamo nel nostro referto), mentre TAC resiste anche in spagnolo: cfr. Segura, Los anglicismos..., p. 53.

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della rivista «Medici oggi», che abbiamo già avuto occasione di citare (p. 187), ricorrono per esempio tre acronimi muniti del relativo scioglimento (Amami, l’associazione che tutela «i medici accusati di malpractice ingiustamente», Cirm, ‘Consorzio Italiano per la Ricerca Medica’, Simg ‘Società Italiana di Medicina Generale’) e ben otto considerati noti al lettore: a parte l’ovvio Asl ‘Azienda Sanitaria Locale’, troviamo MG (abbreviazione occasionale per ‘medicina generale’: «La rabbia e l’orgoglio delle società di MG», titolo di una nota), Fimmg ‘Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale’, Fnomceo ‘Federazione Nazionale Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri’, Simef ‘Società Italiana Medicina di Famiglia’, Cumi-Aiss ‘Confederazione Unitaria Medici Italiani – Associazione Italiana dei medici Specialisti in formazione e Specialisti’, Snami ‘Sindacato Nazionale Autonomo Medici Italiani’, Mdf ‘Medici di Famiglia’. La minore concentrazione di acronimi (e comunque la tendenza a sciogliere le sigle occasionalmente adoperate) si ritrova, com’è prevedibile, nella divulgazione sanitaria rivolta al vasto pubblico. Nel supplemento settimanale del quotidiano «la Repubblica» intitolato «La Salute» (periodo: 11 maggio - 11 settembre 2000)82 vengono sciolte anche sigle di larga correntezza83 oltre che, a maggior ragione, acronimi occasionali: «la Società Interdisciplinare del Pavimento Pelvico (SIPP)», «pazienti colpiti da gravi traumi cerebrali (chiamati in gergo TCE, cioè traumatizzati cranio-encefalici)», «la cosiddetta Tos (terapia ormonale sostitutiva)».84 Solo in minima parte gli acronimi riferiti alla medicina come scienza e come pratica clinica riproducono l’ordine delle parole dell’italiano (VES ‘velocità di eritrosedimentazione’, SNC 82 Studiato in G. Buccini, Aspetti linguistici della divulgazione medica contemporanea, Tesi di laurea inedita, Università di Roma “La Sapienza”, anno acc. 2000-2001. 83 Per esempio: «durante le fasi di sonno Rem [...] (Rem sta per “rapid eye movements”)», «AIDS, dall’inglese “Acquired Immunodeficiency Syndrome” – “sindrome da immunodeficienza acquisita”» (cfr. ibid., p. 70). 84 Ibid., pp. 73-74.

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‘sistema nervoso centrale’, ECG o EKG ‘elettrocardiogramma’ ecc.); molto più spesso – e in misura via via crescente – quello inglese: da AIDS (invece di SIDA, come in francese e spagnolo),85 al colesterolo HDL e LDL, rispettivamente ‘High Density Lipoproteins’ e ‘Low Density Lipoproteins’, alle sigle di uso più specialistico. In alcuni casi è abituale in inglese il ricorso al latino,86 e ciò rende trasparente un certo numero di acronimi anche in italiano: OS e OD ‘oculus sinister, dexter’, BS ‘bacillus subtilis’, CA ‘commissura anterior’, DL ‘dosis letalis’ ecc. L’affollarsi degli acronimi è una grave fonte di ambiguità. Un aggiornato repertorio, elaborato negli Stati Uniti e tradotto in italiano,87 può dare un’idea adeguata del fenomeno. La sigla AP, per esempio, può essere adoperata in oltre quaranta accezioni diverse, talvolta persino concorrenti: se è difficile confondere l’AP di ‘ante partum’ con quello di ‘placca aterosclerotica’, il rischio è ben più concreto se con la stessa sigla è possibile indicare ‘fosfatasi acida’ e ‘fosfatasi alcalina’, ‘pressione arteriosa’ e ‘pressione aortica’, ‘polmonite acuta’ e ‘polmonite da aspirazione’.

85 Acronimi che, a differenza di AIDS, permettono di generare una ricca serie di derivati; si pensi, per lo spagnolo a sidoso, sidático, antisida, sidafobia, sida-prevención, sidafilaxis, tutti citati in Gutiérrez Rodilla, La ciencia..., p. 137. 86 Basti pensare alle indicazioni orarie a.m. e p.m. 87 S. Jablonski, Dizionario delle abbreviazioni & degli acronimi medici, Salerno 2000 (edizione non in commercio).

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6. LA MEDICINA NEI DIZIONARI1

1. Dal vocabolario all’uso reale Abbiamo già accennato alla mole esorbitante dei dizionari specialistici dedicati al lessico medico, insinuando il sospetto che la massa dei lemmi non rifletta l’effettivo uso dei medici. È un sospetto che non riguarda solo l’uso contemporaneo. Anni fa, studiando il lessico medico del primo Ottocento, mi accorsi che i capostipiti di quella tradizione, due repertori compilati da grecisti negli anni Venti,2 avevano generosamente inserito grecismi di uso raro o occasionale, che non trovavano nessun riscontro nella prassi clinica coeva ma che furono in varia misura inseriti nei dizionari specialistici pubblicati successivamente.3 L’impressione è che, anche oggi, vagliando attentamente i lemmari di alcuni dizionari medici in circolazione, molti tecnicismi apparirebbero reliquati arcaizzanti (perlopiù rientranti in quello che potremmo chiamare un certo modernariato terminologico risalente ai decenni tra Otto e Novecento) oppure frutto di singole iniziative di scienziati non accolte dalla comunità scientifica o di astratte sistemazioni nosografiche, di scarsa utilità operativa.4 1

Nel presente capitolo riprenderò liberamente parti di un mio saggio già apparso in Adamo-Della Valle (a cura di), Innovazione lessicale e terminologie specialistiche..., pp. 19-44. Sul tema cfr. anche S. Vanvolsem, Trasparenza e opacità: la definizione dei termini scientifici nei lessici, in A. Nesi (a cura di), Lingua italiana e scienza, in corso di stampa. 2 Bonavilla, Dizionario... e Marchi, Dizionario... 3 Cfr. Serianni, Saggi di storia linguistica..., pp. 78-101. 4 Cfr. anche Vitali, Il linguaggio delle scienze biomediche..., pp. 193-194.

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Così, un noto dizionario al quale abbiamo già fatto ampiamente ricorso,5 non rinuncia a includere lemmi da tempo detecnificati come nostalgia o legati a teorie obsolete come cacochimia o all’uso episodico di singoli scienziati come achidopeirastica (‘metodo di esplorazione per mezzo di strumenti puntuti’, attribuito a Middeldorf; recte Middeldorpf).6 Si potrebbero facilmente aggiungere ulteriori esempi. In un altro dizionario, ampio e complessivamente pregevole,7 oltre a nostalgia si accoglie il curioso nostologia, sinonimo di ‘gerontologia’; si definisce senza prese di distanza un altro sinonimo ben altrimenti diffuso ma ormai obsoleto (alienista ‘psichiatra’);8 si registra una parola che non avrebbe dovuto figurare perché d’interesse solo storico come flemma: «Uno dei quattro umori principali dell’organismo secondo la dottrina ippocratica [...]; la prevalenza di questo umore darebbe origine al temperamento flemmatico caratterizzato da lentezza delle reazioni psicomotorie e da apatia».9 5 Si tratta di Garnier-Panzera-Delamare, Dizionario... L’opera risale a un originale francese, ma nella Prefazione si legge che la sesta edizione «vuole essere tutta italiana nel linguaggio e nello stile». 6 Cfr. ibid., pp. 5, 151, 708. 7 G.B. Ascone - E. Lauricella, Dizionario medico, Torino 19975. I lemmi che citerò sono alle pp. 61 e 860. 8 Che potremmo considerare un esempio di quel modernariato a cui alludevo dianzi. La definizione è la seguente: «Medico specializzato nello studio e nella terapia delle malattie mentali». Va riconosciuto tuttavia che in altre occasioni gli autori si mostrano sensibili all’invecchiamento di certi termini, come avviene per costipazione («Termine largamente usato un tempo per indicare il raffreddore») o idropisia («Termine disusato con il quale si indicavano quelle condizioni morbose caratterizzate da presenza di liquidi nel tessuto sottocutaneo e nelle cavità sierose»): cfr. Ascone-Lauricella, Dizionario..., pp. 352 e 603. 9 Ibid., p. 526. È curioso, inoltre, che la definizione non vada oltre un prudente condizionale di dissociazione (darebbe origine) per segnalare al lettore che la dottrina umorale d’Ippocrate non è precisamente all’avanguardia della scienza medica contemporanea; ed è ancora più curioso lo stile lessicografico adottato, che è proprio quello che si adopererebbe per un termine patologico effettivamente corrente, con un appropriato tecnicismo collaterale (caratterizzato da) e con l’impeccabile individuazione dei relativi sintomi (lentezza delle reazioni psicomotorie e apatia). Peccato che la flemma non esista e che di temperamento flemmatico si possa parlare solo, nella lingua di tutti i giorni, per indicare un tipo calmo, indolente, che non si scompone facilmente: tutte cose, insomma, che non sono di pertinenza del patologo clinico.

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Impressione analoga si ricava da alcuni glossari che, per essere indirizzati a particolari categorie di operatori sanitari, dovrebbero essere selettivi. Un caso limite è rappresentato da un manuale per infermiere compreso nella gloriosa serie dei manuali Hoepli, ripubblicato nel 1987 a cinquant’anni dalla princeps.10 A giudicare dall’assetto stilistico (enclisi arcaizzanti come trovasi e dicesi, italianizzazione dei primi nomi stranieri: Luigi Pasteur, Giuseppe Babinski e così via), i revisori della presente edizione non si sono troppo curati dell’aggiornamento formale. Ma, a quanto pare, si sono astenuti altresì dalla necessaria potatura dei troppi tecnicismi inutili perché detecnificati (Abulia: «Anomalia psichica che consiste nell’impotenza della volontà»),11 rari (Acatafasia: «Impossibilità patologica di dare forma grammaticale alle parole e di collocarle al posto dovuto nella proposizione»), peregrini (Agripnia, con rinvio a Insonnia). Ci si chiede poi con quale criterio siano lemmatizzati, accanto a questi, vocaboli del lessico di base come Alluce («Il dito grosso del piede») o Appetito («Desiderio istintivo di prendere alimenti solidi»).

Non meritano critiche soltanto i dizionari medici nostrani. Un noto repertorio statunitense12 assembla tecnicismi e termini di àmbito assai diverso, in parte scelti perché legati alla scienza del passato: scorrendo le prime pagine (2-10) troviamo così aborigine, acacia (il corrispondente termine greco «was used by Dioscorides for some of these trees and the term was adopted by Linnaeus in his botanical system»), academy, aconite, adolescence, adulterate («to commit adultery» e «by transference, to falsify or corrupt»), aesthetic (l’estetica è «the science of the fine arts or the appreciation of beauty in nature, the arts, literature etc.»). Ma torniamo in Italia e chiediamoci che cosa accada nei di10

Sforza-Cervati, Il dizionario…, s.vv. Ma abulico può tuttora figurare con connotazione tecnica al di fuori della psichiatria, per esempio in cartelle cliniche: paziente abulico ‘poco reattivo, non collaborante’ (comunicazione di M.G. Di Pasquale). 12 H.A. Skinner, The Origin of the Medical Terms, New York 19702. 11

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zionari dell’uso. Viene da pensare che nel lessicografo agisca più o meno consapevolmente (o abbia agito nei suoi modelli) un meccanismo extra-linguistico: a parità di tasso esoterico, un termine fisico, matematico o chimico offre un grado di impenetrabilità molto più alto, per il profano, di un termine medico, soprattutto di àmbito patologico. Di qui un diverso atteggiamento pregiudiziale per le due serie terminologiche: per spiegare che cosa sia un preone occorre presupporre una serie di nozioni pregresse, non tutte elementari; per definire la rupofobia basta dire che si tratta di una ‘Paura ossessiva della sporcizia’. Anche il lettore comune può sentirsi gratificato da una definizione del genere: ha l’impressione di avere imparato qualcosa e di poter battezzare un comportamento relativamente diffuso con un nome tecnico, all’occorrenza riciclabile con intenzione faceta nella conversazione corrente.13 Già. Ma l’inclusione di un tecnicismo dovrebbe rispondere ad altri criteri; a uno soprattutto: l’effettiva diffusione di quel tecnicismo nella branca specialistica di appartenenza. Proprio il quadro delle fobie, suscettibili di una articolata organizzazione tassonomica, si presta bene a illustrare la pletora di termini medici nei dizionari comuni rispetto all’effettivo uso degli specialisti.14 Per un sondaggio sono partito dai composti in -fobia registrati in un autorevole dizionario15 i quali, espungendo i lemmi non pertinenti,16 assommano a 43: acrofobia (‘Paura morbosa di cadere nel vuoto affacciandosi da un 13

Per esempio, dicendo a un familiare che voglia fare di nuovo la doccia, a poche ore di distanza dalla prima, che forse «soffre di rupofobia». 14 Un’indicazione in tal senso avevo dato già in un articolo del 1983, poi ristampato nei miei Saggi di storia linguistica..., alle pp. 347-367. 15 Sabatini-Coletti, DISC... (d’ora in poi: DISC). Nella nuova edizione (Sabatini-Coletti, Dizionario...) non si registrano differenze per il settore che qui c’interessa, tranne che per la soppressione del lemma ailurofobia e per la marcatura («med.») del lemma sitofobia: cfr. oltre, nota 17. 16 In quanto tecnicismi di pertinenza non psichiatrica (aerofobia, fotofobia, idrofobia) o non tecnicismi (francofobia, neofobia, omofobia, sessuofobia ecc.). Non ho conteggiato neanche emofobia, mera variante di ematofobia.

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luogo elevato’), agorafobia, ailurofobia (‘Paura morbosa dei gatti’), algofobia (‘Forma ossessiva di paura per il dolore, per la sofferenza fisica’), androfobia (‘Paura patologica degli uomini’), antropofobia (‘Paura ossessiva che il soggetto prova per una o più persone vicine a sé’), basofobia (‘Paura di stare in posizione eretta o di cadere iniziando a camminare’), batofobia (‘Paura eccessiva della profondità’), brontofobia (‘Paura ossessiva del rumore dei tuoni e dei temporali’), cinofobia (‘Paura esagerata ed ossessiva dei cani’), claustrofobia, cremnofobia (‘Paura morbosa del vuoto, dei precipizi’), demofobia (‘Paura morbosa della folla’), demonofobia (‘Paura, ossessione del demonio’), ecofobia (‘Paura morbosa di star soli in casa’), eliofobia (‘Paura ossessiva della luce solare’), ematofobia (‘Paura morbosa del sangue’), ereutofobia (‘Timore ossessivo di arrossire davanti agli altri’), eritrofobia (‘Paura ossessiva di arrossire’), fonofobia (‘Paura morbosa dei suoni e dei rumori’), ginecofobia (‘Avversione, paura nei confronti della donna’), lalofobia (‘Paura ossessiva di parlare, di pronunciare parole e frasi rivolgendosi a qlcu.’), lissofobia (‘Paura ossessiva di contrarre la rabbia [...]’), misofobia (‘Paura ossessiva di sporcarsi, fobia della sporcizia’), monofobia (‘Timore ossessivo della solitudine, di restare soli’), necrofobia (‘Paura ossessiva dei cadaveri’), nictofobia (‘Paura ossessiva dell’oscurità notturna’), nosofobia (‘Paura morbosa di contrarre malattie’), odinofobia (‘Paura morbosa del dolore’), ombrofobia (‘Paura morbosa dell’ombra’), pantofobia (‘Paura morbosa di qualsiasi cosa [...]’), patofobia (‘Paura ossessiva di contrarre malattie’), pirofobia (‘Paura morbosa, timore ossessivo del fuoco e di tutti i materiali incendiari o esplosivi’), pselafobia (‘Repulsione patologica o fobia nei confronti del contatto con certi oggetti, sostanze o materiali’), scotofobia (‘Paura ossessiva del buio’), sitofobia (‘Repulsione ossessiva e morbosa per il cibo’), tafofobia (‘Paura ossessiva di essere sepolto vivo’), talassofobia (‘Paura ossessiva del mare’), tanatofobia (‘Paura ossessiva della morte’), termofobia (‘Paura ossessiva e patologica del calore’), topofobia (‘Paura ossessiva di un luogo, di un ambiente’), tricofobia (‘Forma morbosa di repulsione per peli, capelli e di [sic] tutto ciò che abbia un aspetto villoso’), zoofobia (‘Forma morbosa di paura che si prova nei confronti di alcuni o di tutti gli animali’).17 17 Per valutare lo statuto di tecnicismo assegnato dal DISC a codesti termini, è indispensabile fondarsi sulla definizione, dal momento che la presenza di un’apposita marca (psich., psicol. o med.) è da considerarsi

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Verifichiamo la presenza di questi 43 composti in -fobia nei dizionari dell’uso, nei dizionari medici e nella letteratura scientifica. I primi sono i più ospitali. Il Devoto-Oli18 ne condivide 42 (manca topofobia); anche il De Mauro19 li accoglie quasi tutti (manca antropofobia e la definizione di eliofobia mostra che il termine non è considerato di pertinenza psichiatrica20; da segnalare l’indicazione OB, cioè “obsoleto”, per pantofobia); lo Zingarelli21 concorda per 42 lemmi (anche qui manca antropofobia). Più selettivi appaiono i dizionari medici. In Ferrio, Terminologia... i termini in comune sono appena 28 (mancano ailurofobia, algofobia, androfobia, brontofobia, cinofobia, demofobia, demonofobia, ecofobia, eritrofobia, odinofobia, ombrofobia, pantofobia, scotofobia, sitofobia; non conta eliofobia, considerato sinonimo di fotofobia, mentre ginecofobia e tafofobia sono rappresentati dalle varianti ginefobia e tafefobia). condizione sufficiente, ma non necessaria. La marca è assente – evidentemente per mera omissione – in 9 casi (brontofobia, cinofobia, ematofobia, pselafobia, sitofobia, tafofobia, talassofobia, tanatofobia, termofobia); ma la sovrapponibilità dei definitóri impiegati ci consente di collocare nella stessa area terminologica forme come antropofobia (“psicol.”) e brontofobia (non marcato; in entrambi i casi: «Paura ossessiva») o acrofobia (“med.”) ed ematofobia (non marcato; in entrambi i casi: «Paura morbosa») e così via. Non sarebbe generoso soffermarsi su alcune piccole incongruenze nella scelta dei marcatori (perché acrofobia non è contrassegnato da “psicol.”, come antropofobia?) e nell’uso dei definitóri (la cinofobia è una «paura esagerata od ossessiva»: ma in ossessivo è incluso il sèma “esagerato”; «timore» è troppo poco per indicare una fobia specifica come l’ereutofobia e la monofobia). Ma si tratta di rilievi che potrebbero essere mossi a qualsiasi dizionario e che confermano come l’opera del lessicografo sia quella di un eccellente artigiano (quando è tale) e non quella di un rigoroso tassonomo. 18 G. Devoto - G.C. Oli, Il dizionario della lingua italiana, Firenze 2002 (d’ora in avanti: Devoto-Oli, seguito dalla pagina). Il quadro è lo stesso anche nella nuova edizione curata da L. Serianni e M. Trifone, Firenze 2004. 19 T. De Mauro, Il dizionario della lingua italiana, Torino 2000. 20 «Med., intolleranza per la luce del sole». Non c’è tuttavia un rinvio a fotofobia. 21 Lo Zingarelli 2003, Bologna 2002 (d’ora in avanti: Zingarelli, seguito dalla pagina).

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A proposito di questo dizionario, è istruttiva un’occhiata alla princeps (di proporzioni estremamente ridotte rispetto alle edizioni successive).22 Colpisce il fatto che le formazioni in -fobia di cui ci stiamo occupando in quanto presenti anche nel DISC siano pressoché le stesse dell’ed. 1976: 27;23 e colpisce di conseguenza l’impronta tardo-ottocentesca della terminologia relativa, nonostante che il Grande dizionario… di De Mauro e ancor di più lo Zingarelli indichino date molto più recenti, col rischio di alterare la percezione storica di un indirizzo nosologico attivo soprattutto nella psichiatria di età positivistica.

Bassa anche la porzione di termini che il DISC condivide con Garnier-Panzera-Delamare, Dizionario... (30 lemmi; mancano androfobia, batofobia, brontofobia, demofobia, demonofobia, ecofobia, lalofobia, misofobia, nictofobia, odinofobia, ombrofobia, pselafobia, scotofobia), mentre con Ascone-Lauricella, Dizionario... si ritorna a valori molto elevati (41 lemmi; mancano solo demofobia e ombrofobia). Con la traduzione di un dizionario specialistico che fa esplicito riferimento alla «terminologia propria della psichiatria degli Stati Uniti»,24 i composti in -fobia sono decimati; sopravvivono soltanto agorafobia e, con rinvio alla voce fobia, ailurofobia, algofobia, claustrofobia, eritrofobia, misofobia oltre a panfobia, variante di pantofobia (i termini condivisi col DISC sono quindi appena 7 su 43). Il quadro che si ricava da quest’ultima fonte lessicografica è certo quello più vicino all’attuale uso di psichiatri e psicologi. Che cosa ci dicono in merito i testi di psichiatria? L’indice analitico generale del monumentale trattato coordinato dal Cassano e redatto da vari autori25 offre solo agorafo22

L. Ferrio, Terminologia clinica, Torino 1899. Mancano quelle che mancheranno anche nell’ed. del 1976, con l’aggiunta di batofobia, ereutofobia e anche termofobia, presente solo in accezione “fisica” («senso molesto di calore [morbo di Parkinson, di Basedow, ecc.]»), e con l’eccezione di pantofobia e sitofobia, qui registrate ed espunte successivamente. 24 Cfr. J.E. Edgerton - R.J. Campbell, Glossario americano di psichiatria, ed. it. a cura di R. Rossi e F.J. Scarsi, Milano 1995, p. VII. 25 G.B. Cassano et al., Trattato italiano di psichiatria, Milano-Parigi-Barcellona 19992. 23

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bia, che appare come il termine d’uso più saldo e stabile della serie, e due attestazioni isolate di sitofobia, in entrambi i casi – significativamente – glossate.26 Nella sezione in cui si trattano le fobie specifiche (alle pp. 2088ss.; e si veda la tab. 20) i vari oggetti e situazioni implicati, organizzati in serie omogenee, sono indicati analiticamente ricorrendo a parole della lingua comune: Animali e insetti; Sangue, ferite, aghi, interventi odontoiatrici o medici in generale; Volare; Altezze; Agenti atmosferici (temporali, lampi, tuoni, vento ecc.); Fobia situazionale (ad es. ascensori, spazi chiusi); Pseudagorafobia; Alimenti; Rumori forti; Buio; Fobia di tipo residuo.27

Non dissimili i dati disponibili interrogando altre fonti. Giberti e Rossi28 distinguono le sindromi fobiche in tre grandi gruppi: agorafobia, fobie sociali e fobie specifiche; altrove si ricordano, tra le sindromi fobiche «più caratteristiche», l’agorafobia, la claustrofobia, l’ereutofobia, la rupofobia, la nosofobia o patofobia. Davison e Neale29 annoverano tra «i termini più familiari» per indicare le fobie claustrofobia, agorafobia e acrofobia, aggiungendo la seguente considerazione che contri26 E precisamente alle pp. 671 (articolo di F. Marone - P. Pancheri - R. Delle Chiaie: «il rifiuto invincibile del cibo [sitofobia] può derivare dalla convinzione che gli alimenti siano stati avvelenati») e 2723 (articolo di M. Papini e M.G. Martinetti: «Di solito si ha anche perdita del ritmo sonnoveglia, sitofobia, cioè rifiuto di mangiare e di bere, ritenzione vescicale e dell’alvo»). 27 Si può notare come l’elenco coincida in gran parte con le partizioni nosologiche documentate nei composti in -fobia del DISC: animali e insetti = zoofobia, sangue = ematofobia; altezze = acrofobia; rumori forti = fonofobia ecc. L’evitamento dei termini tecnici per nozioni patologiche che mantengono una loro individualità vuol dire molto nel senso del declino della terminologia medica grecizzante. 28 F. Giberti - R. Rossi, Manuale di psichiatria, Padova 19964, pp. 52 e 279. 29 G.C. Davison - J.M. Neale, Psicologia clinica, seconda ed. it., Bologna 2000, pp. 126-127.

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buisce a motivare la crisi di questo tipo di denominazioni (nella tradizione medica anglosassone, ma non solo): Altri tipi di paura, più rari, sono stati anch’essi indicati con termini di etimologia greca, ad esempio ergasiofobia, la paura di scrivere; pnigofobia, la paura di soffocare; tafofobia, la paura di essere sepolti vivi. Fin troppo spesso il fatto di attribuire a un problema un nome altisonante trasmette l’impressione, del tutto infondata, che se ne conoscano le cause o addirittura che si disponga di un trattamento efficace. Nulla potrebbe essere più lontano dal vero.

Nessun grecismo di questa serie (tranne agorafobia) si legge in un diffuso manuale (tradotto e adattato dall’originale statunitense) in una versione concepita per fornire al medico generico un orientamento diagnostico in àmbito psichiatrico.30 Ho infine verificato la vitalità di 39 dei termini in questione (dando per scontata la diffusione di agorafobia, claustrofobia, nosofobia e patofobia) sottoponendo un questionario a cinque psichiatri e psicologi attivi a Roma e a Milano.31 Nonostante la limitatezza del campione, può essere interessante offrire i risultati del sondaggio. Il questionario chiedeva di barrare, per ciascun termine, una delle seguenti tre risposte: A (termine noto e adoperato); B (termine noto – o intuito nel suo significato grazie alla conoscenza del primo confisso greco – ma in ogni caso non adoperato); C (termine non conosciuto). Significativo il fatto che nessun tecnicismo risulti adoperato da tutti e cinque gli informatori; i termini che hanno conseguito tre o quattro A, cioè che sono usati dalla maggioranza, sono appena 6 (acrofobia 4A 1C, cinofobia 4A 1B, ereutofobia 4A 1C, eritrofobia 3A 1B 1C, necrofobia 3A 2B, zoofobia 3A 2B); quelli adoperati da uno o due informatori sono 14 (algofobia 1A 4B, eliofobia 1A 3B 1C, ematofobia 2A 3B, fonofobia 1A 3B 1C, gine30 Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, DSM-IV per la Medicina Generale, ed. it. di Primary Care Version, a cura di E. Sacchetti, MilanoParigi-Barcellona 1997, pp. 55-56. 31 Ringrazio per la loro preziosa consulenza i dottori Giampaolo Lai e Mario Puoti.

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cofobia 2A 3B, nictofobia 2A 2B 1C, odinofobia 1A 3B 1C, pirofobia 1A 3B 1C, scotofobia 1A 4C, sitofobia 1A 1B 3C, talassofobia 2A 2B 1C, tanatofobia 2A 3B, termofobia 1A 4B, tricofobia 1A 4B); quelli dei quali esiste una competenza solo passiva, più o meno estesa, sono 8 (androfobia 5B, antropofobia 4B 1C, brontofobia 1B 4C, demofobia 1B 4C, demonofobia 4B 1C, ecofobia 2B 3C, pantofobia 3B 2C, topofobia 1B 4C); infine i termini non conosciuti da nessun informatore sono risultati 11 (ailurofobia, basofobia, batofobia, cremnofobia, lalofobia, lissofobia, misofobia, monofobia, ombrofobia, pselafobia, tafofobia). In sostanza, quasi la metà di questi 39 composti (terzo e quarto gruppo) risulta estranea alla competenza attiva dei cinque professionisti interpellati.

Due mi sembrano le ragioni fondamentali che spiegano la scarsa diffusione dei termini di questa serie. La prima è intrinseca: la fonte fobica è perlopiù indifferente per orientare la terapia; dunque è scarsamente economica una parcellizzazione terminologica esasperata. La seconda è di tipo linguistico: col declino della cultura classica (del resto da sempre marginale in un’area oggi portante come la scienza medica statunitense), alcune componenti di limitata produttività rendono oscuri molti composti a base greca, contribuendo a comprometterne una possibile diffusione.32 La terminologia medica rappresentata nei dizionari, a giudicare da questi dati sui composti con -fobia, parrebbe dunque sovradimensionata. D’altra parte, tuttavia, una porzione significativa dei termini effettivamente adoperati in àmbito medico, scritto e orale, non riesce a varcare la soglia del dizionario, nemmeno di quello specialistico. L’ultimo testo che abbiamo citato (il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) può offrircene una prova significativa. Leggendo la breve presentazione scritta dal curatore del32

Si pensi, spigolando tra i soliti 43 composti in -fobia, alla modesta trasparenza di ailuro- (nel ricchissimo Grande dizionario… di De Mauro si registrano appena altre tre formazioni con tale confisso, tutte rarissime); di bronto- (il relativamente noto brontosauro non è certo di aiuto, data l’apparente arbitrarietà del composto: cfr. DELIN, p. 252); di miso- in relazione non con mîsos ‘odio’ bensì con mysos ‘sporcizia’ ecc.

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l’edizione italiana,33 ci imbattiamo in almeno otto tecnicismi che non trovano affatto accoglienza nei dizionari generali, compresi i maggiori (in cinque casi) o la trovano solo in misura ridotta (negli altri tre). I cinque tecnicismi non attestati rientrano nell’àmbito della derivazione. Due utilizzano il prefisso co-: codiagnosi ‘diagnosi relativa a una patologia secondaria’ (p. VII: «in Italia sarebbe stata posta una qualche codiagnosi non di interesse primitivamente psichiatrico in circa il 29% delle visite espletate per depressione») e comorbilità ‘concorrenza in un paziente di distinte patologie’ (p. VIII: «nel caso di una comorbilità tra disturbo “fisico” e disturbo psichiatrico»); uno il prefisso sub- con funzione attenuativa: subsindromico ‘che non configura un vera e propria sindrome’ (p. VI: «forme subsindromiche»); uno il confisso -forme, peraltro applicato un po’ disinvoltamente alla base: somatiforme ‘di tipo somatico’ (p. VIII: «disturbi somatiformi»); il quinto è un avverbio in -mente: prognosticamente (p. X: «il progredire nel tempo dei vari disturbi mentali ha notoriamente un impatto prognosticamente negativo»). Parzialmente attestati sono invece cannabinoide ‘sostanza stupefacente contenuta nella canapa indiana’ (cannabinoidi, p. VI; cfr. DevotoOli, p. 330); compliance ‘collaborazione del paziente’ (p. VIII: «la negazione della malattia, il rifiuto della malattia e la scarsa compliance, che condizionano soprattutto i quadri psichiatrici»; cfr. DISC, p. 534, De Mauro, Grande dizionario…, vol. II, p. 206 e DevotoOli, p. 470); counseling ‘consulenza psicoterapeutica’ (p. IX: «counseling di base»; cfr. [A. Duro], Vocabolario della lingua italiana, Roma 1986-1994, vol. I, p. 987, De Mauro, Grande dizionario…, vol. II, p. 380, Devoto-Oli, p. 543; Zingarelli, p. 470 attesta il vocabolo in un’accezione parallela: ‘attività di consulenza, spec. per l’orientamento professionale’).

Non solo. Anche nella divulgazione medica, che per definizione dovrebbe rivolgersi ai profani, i singoli specialisti possono ricorrere a tecnicismi che non si trovano (e che in molti casi in effetti non potrebbero trovarsi) nei dizionari. 33

E. Sacchetti, Della necessità di un sistema diagnostico psichiatrico indirizzato al medico di medicina generale, in Manuale diagnostico cit., pp. V-X.

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Nel supplemento «La Salute» del quotidiano «la Repubblica» (maggio-settembre 2000) i tecnicismi non attestati nemmeno nei dizionari medici34 sono perlopiù forme supercomposte, in alcuni casi con una certa ridondanza informativa. Generalmente il contesto, o un’esplicita glossa da parte del redattore, rendono abbastanza trasparente il termine. Ricordiamo coloproctologo ‘specialista delle malattie del colon e del retto’ («Risulta così fondamentale consultare il proprio medico di fiducia e/o il chirurgo coloproctologo»), enucleoresezione ‘asportazione di una formazione con resezione di una porzione di tessuto sano adiacente’ («asportazione dei grossi adenomi prostatici mediante enucleoresezione con laser ad Olmio»), termoablazione ‘asportazione di una parte malata mediante calore’ («Gli addetti ai lavori la chiamano termoablazione selettiva del tumore epatico. Viene realizzata sotto monitoraggio ecografico con l’introduzione nell’addome di un ago che sviluppa calore, raggiunge il tumore epatico e necrotizza selettivamente il tessuto neoplastico, nel rispetto delle zone sane circostanti»).35

2. La definizione del tecnicismo: aspetti operativi La consistenza del lemmario è solo uno dei problemi che si pongono al lessicografo che si confronti col lessico medico. Una volta scelto un criterio per decidere le inclusioni e le esclusioni (e si tratti pure del comodo criterio di attenersi alla vulgata lessicografica imperante), sorge il problema di definire un lemma in modo più o meno puntuale, ma in ogni caso rispettando l’indispensabile rigore richiesto dalla scienza o dalla tecnica implicate e la coerenza definitoria dei termini connessi. Basterà toccare appena il primo punto, dal momento che i dizionari degli ultimi decenni offrono in genere un elevato li34 Ho controllato Dorland, Dizionario..., Ferrio, Terminologia..., Garnier-Panzera-Delamare, Dizionario..., e U. Delfino, Dizionario dei termini medici, Padova 1983. In Ascone-Lauricella, Dizionario..., p. 458 si registra il solo enucleoresezione. 35 Cfr. Buccini, Aspetti linguistici..., pp. 3-4.

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vello qualitativo. Per citare un contro-esempio – alla ricerca non di un troppo facile punching ball, ma di un’occasione per fare emergere alcune esigenze generali – si può menzionare un dizionario di diversi anni fa che, pur non avendo avuto grande fortuna, reca la firma di uno dei più noti italianisti dell’epoca.36 Il dichiarato proposito di riflettere il parlato contemporaneo penalizza in partenza l’attenzione al lessico tecnico-scientifico. È istruttivo il diverso trattamento riservato alla matematica rispetto alla medicina: i termini pertinenti alla prima o sono assenti (manca algoritmo) oppure sono definiti in modo talmente evasivo che la carica informativa risulta vicina a zero (integrale ‘parte del calcolo infinitesimale’). Per i termini medici l’autore è molto più largo, ma incorre in due mende principali. La prima è costituita dalle continue interferenze tra il registro colloquiale e quello scientifico. Così, abrasione è definita con un sostantivo familiare accompagnato da un aggettivo di àmbito rigorosamente descrittivo che, oltretutto, è semanticamente incluso nel sostantivo: «sbucciatura superficiale della pelle» (una sbucciatura non sarebbe tale se non fosse “superficiale”); il raro e obsoleto emoinnesto37 è definito in modo antiscientifico come «immissione di sangue fresco e sano in un organismo vecchio e stanco» (e si noterà, accanto al carattere meramente impressionistico degli aggettivi, la loro studiata disposizione retorica in duplice dittologia). La seconda menda, più grave, consiste nelle approssimazioni scientifiche, legate a vere e proprie confusioni (a); al ricorso a categorie nosologiche superate o approssimative (b) o, ancora, alla generalizzazione indebita di una fattispecie particolare (c). Esempi: 36

C. Salinari, Vocabolario della lingua parlata in Italia, Milano 1967. Mancante anche nei dizionari di più ampia mole come Duro, Vocabolario... e De Mauro, Grande dizionario...; Ferrio, Terminologia..., p. 299 registra emoinnesti ‘piccole trasfusioni di sangue (5-10 cmc per volta) che si praticano durante l’intermestruo per influire per via ormonica sulle metrorragie abituali’. 37

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a) psicosi «fissazione o alterazione mentale, a carattere più nevrotico, che maniaco». A parte la consueta mescidanza di registri (il familiare fissazione accanto al tecnicismo collaterale a carattere ‘con carattere’: cfr. sopra, pp. 135-136), è notevole la confusione tra psicosi e nevrosi: i due termini, che funzionano da iperonimi (specie il primo), sono usati con varie accezioni dalla psicologia; ma quel che è certo è che la psicosi altera la rappresentazione della realtà, mentre nel caso della nevrosi non sono intaccati i processi intellettivi e resta integra la stessa personalità del soggetto; b) itterizia «malattia determinata dalla diffusione nel corpo dei componenti della bile». Oltre all’imprecisione terminologica (la bilirubina si diffonde nei tessuti, non genericamente «nel corpo»), occorre notare che l’ittero – itterizia ne è un sinonimo non tecnico – non è una «malattia», bensì un effetto attribuibile a distinte cause patologiche, diciamo pure a diverse “malattie”; c) acidosi «intossicazione acida, da diabete». Al consueto orecchiamento terminologico (bastava qualcosa come «eccessivo accumulo di sostanze acide nel sangue»), si accompagna l’indicazione di una sola delle possibili cause; ma l’acidosi può essere determinata da altre patologie (nefrite) o da altre noxae (avvelenamenti ecc.) e sarebbe stato opportuno o tacere o ricorrere a una dizione più comprensiva (ad esempio: «di varia origine»), eventualmente con l’indicazione della causa effettivamente più frequente attraverso un esempio («di varia origine: a. diabetica»).

Di là dalla correttezza formale della definizione, ci sono anche altre esigenze da soddisfare per giungere a una definizione corretta ed efficace dei tecnicismi. Si tratta della necessaria problematizzazione di un termine che si adopera con significati fluttuanti e dell’impiego, nel corso della definizione, di opportuni tecnicismi collaterali che collochino il termine nel livello stilistico e nell’ambiente terminologico che gli è proprio. Nonostante il perfetto parallelismo come meccanismo derivativo (base indicante l’organo colpito e suffisso -ite indicante un processo infiammatorio) congiuntivite ed epatite non dovrebbero essere definite in modo parallelo.38 Al lessicografo 38

Cioè, rispettivamente, ‘infiammazione della congiuntiva’ e ‘infiam-

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spetta il compito di suggerire che, a differenza della congiuntivite, la sistemazione nosologica delle epatiti è stata a lungo discussa e comprende al suo interno quadri patologici anche molto diversi tra loro; in sostanza, a un termine specifico, che può effettivamente esaurire il suo significato con la traduzione delle due componenti («infiammazione della congiuntiva»), si oppone un termine generico, oggetto di discussioni nella comunità scientifica. Il diverso peso specifico dei due lemmi (se possiamo dire così) è bene espresso da quei dizionari che alla definizione “secca” di congiuntivite affiancano una definizione opportunamente problematica di epatite, sottolineandone lo statuto iperonimico: Nome generico dei processi morbosi, di carattere infiammatorio, del fegato: e. epidemica o infettiva; e. sierosa, suppurativa, cronica [E. De Felice - A. Duro, Dizionario della lingua e della civiltà italiana contemporanea, Palermo 1974, p. 679]; Termine generico di gravi patologie infiammatorie del fegato: e. acuta, cronica, virale; e. di tipo A, B, C [DISC, p. 856].

Entrambe le definizioni dicono l’essenziale (niente di più, ma anche niente di meno): a) si tratta di una denominazione generica; b) le epatiti rappresentano una patologia infiammatoria (e non, per esempio, neoplastica o cirrotica); c) la varietà tipologica delle epatiti è suggerita attraverso l’esemplificazione.39 mazione del fegato’: cfr. [A. Gianni - L. Satta], DIR. Dizionario italiano ragionato, Firenze 1988, pp. 424 e 615; F. Palazzi - G. Folena, Dizionario della lingua italiana, Torino 1992, pp. 422 e 618; Zingarelli, pp. 426 e 633. 39 Due postille. Quanto al DISC, si può notare che l’aggettivo gravi è qui inopportuno; l’epatite – come molte altre patologie – può presentarsi con diversi requisiti di “gravità” e una valutazione di questo tipo dovrebbe rimanere estranea alla definizione lessicografica. In De Mauro, Il dizionario..., pp. 549 e 929 si ha una scelta poco comprensibile: a una definizione fin troppo analitica e articolata di congiuntivite («infiammazione acuta o cronica della congiuntiva che provoca arrossamento e tumefazione della congiuntiva palpebrale, secrezioni catarrali e fotofobia») si contrappone una definizione “secca” del termine più complesso e sfaccettato, epatite («infiammazione del fegato»), solo in parte riscattata dalla

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Un caso simile è quello di diabete, per il quale ci limitiamo ad alcune definizioni che soddisfanno pienamente l’esigenza che stiamo illustrando: Nome generico di alterazioni del ricambio che presentano cause e quadri clinici diversi (d. mellito, renale, insipido, bronzino, ecc.). I caratteri più tipici sono la diuresi eccessiva, l’eliminazione attraverso le urine di una quantità eccessiva di glucosio, la glicemia, la presenza nelle urine di corpi acetonici; i sintomi più comuni sono il senso continuo di fame e di sete e il dimagrimento [De Felice - Duro, Dizionario..., p. 579; ma glicemia andrà corretto in iperglicemia]; Denominazione di varie patologie del ricambio, in partic. di quella consistente in un aumento della glicemia, a causa di una insufficiente produzione di insulina (propr. d. mellito) || d. insipido, malattia caratterizzata da notevole produzione di urina [DISC, p. 707]; Denominazione comunemente data a varie malattie del ricambio, spec. ai disturbi caratterizzati dall’emissione di un’eccessiva quantità di urina [De Mauro, Il dizionario..., p. 694].

Si sarà notato che nelle definizioni possono comparire altri tecnicismi specifici (diuresi, glicemia). Ma figurano anche tecnicismi collaterali propri della disciplina di riferimento; per esempio, urine per ‘urina’ (cfr. sopra, p. 190 nota 228) o anche caratterizzato da, in relazione ai sintomi che configurano tipicamente un certo disturbo e che consentono al medico di riconoscerlo. I tecnicismi collaterali (non solo quelli medici) sono generalmente trascurati dai lessicografi nella lemmatizzazione, ma vengono impiegati ampiamente nelle definizioni, che in gran parte sono controllate (se non originariamente redatte) dai singoli specialisti. Dei sintagmi formati con preposizioni e locuzioni che abbiamo censito a suo luogo (cfr. sopra, pp. 135ss.), i dizionari più diffusi registrano a carico di (ma il suo specifico àmbito medico è richiamato solo da De Felice - Duro, Dizionario..., p. 34840 e indidichiarazione delle successive unità polirematiche: epatite delta V, epatite virale, epatite virale A, epatite virale B, epatite virale C. 40 «[...] e inoltre, in medicina, per designare l’organo o il tessuto colpito da un processo patologico», con un esempio.

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rettamente, attraverso un esempio, da Zingarelli, p. 31241) e a livello di, senza indicazioni settoriali.42 Mancano, se ho ben visto, documentazioni degli altri usi nella sezione metalinguistica. Tanto più interessanti sono quindi alcuni esempi, attinti casualmente in definizioni di tecnicismi patologici (tra parentesi il dizionario e il lemma nella cui definizione compare la struttura che c’interessa): da causale: «Intossicazione alimentare acuta da tossine elaborate dal bacillo botulino» (Devoto-Oli, p. 275; botulismo); «Sindrome accessuale da difetto di sanguificazione del muscolo cardiaco» (Devoto-Oli, p. 96; angina pectoris); a modale: «a decorso rapido, spesso letale» (DISC, p. 1897; peste), «Malattia infettiva a decorso cronico» (Devoto-Oli, p. 1943; sifilide), «a decorso acuto febbrile setticemico» (Zingarelli, p. 1317; peste); «Grave alterazione, a carattere degenerativo» (De Felice - Duro, Dizionario..., p. 410; cirrosi), «Malattia infettiva acuta esantematica, a carattere contagioso e diffusivo» (Zingarelli, p. 1624; scarlattina). Costrutti più occasionali dello stesso tipo sono a eziologia («a eziologia sconosciuta»: Zingarelli, p. 1136; morbo) o ad andamento («ad andamento transitorio»: Zingarelli, p. 1707; sincope); a carico di: «si manifesta con nodosità e ulcere a carico della pelle» (DISC, p. 1380; lebbra), «processo infiammatorio bilaterale acuto o cronico a carico dei reni e del tessuto renale» (De Mauro, Il dizionario..., p. 1616; nefrite), «Emorragia a carico di organi interni» (Zingarelli, p. 128; apoplessia); a livello + aggettivo: «caratterizzata a livello cutaneo dalla comparsa di numerose macchioline rosse» (De Mauro, Il dizionario..., p. 1577; morbillo).

Ancora più facile esemplificare, com’è naturale, i tecnicismi collaterali lessicali, che costituiscono la grande maggioranza di queste formazioni. Per introdurre i sintomi caratteristici di 41 «A carico di, relativo a qlco., che riguarda qlco.: un’infezione a c. del fegato». 42 Si veda, tra i tanti, DISC, p. 1419: «loc. prep. a l. (di), sul piano, da parte di, per quanto riguarda: il problema è particolarmente sentito a l. locale; vertice al l. dei capi di stato, dei capi di governo, dei ministri degli esteri; a l. di giunta, Consiglio».

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una patologia è frequentissimo caratterizzato (ne abbiamo già notato un esempio alla voce diabete di De Mauro, Il dizionario...), in alternativa con manifestarsi.43 L’iperonimo che designa un evento di rilevanza patologica è un fatto,44 che può insorgere45 in determinate condizioni, sostenuto46 da un certo agente patogeno. La malattia può interessare47 più organi, presentare febbre elevata (meglio che “alta”)48 e dipendere da, o tradursi in, un difetto (cioè essere in relazione con una qualche minorazione anatomica o funzionale).49 È difficile, definendo un termine specialistico, rinunciare a quei modi «più eletti» che l’Ascoli considerava giustamente più consentanei al discorso intellettuale.50 Per una riprova possiamo ricorrere a un dizionario concepito per i pre-adolescenti, il DIB.51 Si tratta, come ho avuto altre volte occasione di affermare,52 43 Altri esempi: «Malattia infettiva delle vie respiratorie, contagiosa ed epidemica, caratterizzata da violenti accessi di tosse ecc.» (DISC, p. 1892; pertosse), «Malattia infettiva, contagiosa, caratterizzata da tumefazione delle linfoghiandole ecc.» (Devoto-Oli, p. 1802; rosolia); «si manifesta, dopo un lungo periodo di incubazione, con noduli cutanei e viscerali, con eruzioni, ulcerazioni e cancrene» (De Felice - Duro, Dizionario..., p. 1084; lebbra), «si manifesta, spec. nei bambini, con febbre elevata, infiammazioni alle vie respiratorie ecc.» (DISC, p. 1596; morbillo). 44 Per esempio: «Occlusione di un vaso sanguigno provocata da un embolo, come condizione patologica che provoca fatti ischemici di varia gravità» (De Felice – Duro, Dizionario, p. 668; embolia). 45 Per esempio: «processo infiammatorio [...] che può insorgere in relazione o come complicazione di malattie infettive ecc.» (De Mauro, Il dizionario..., p. 1616; nefrite). 46 Per esempio: «malattia infettiva dei Gallinacei sostenuta da un virus» (Zingarelli, p. 1317; peste). 47 Per esempio: «disturbo ischemico che interessa spec. le dita delle mani» (Zingarelli, p. 1136; morbo). 48 Un esempio si legge alla nota 43. 49 Per esempio: «Sindrome accessuale da difetto di sanguificazione del muscolo cardiaco» (Devoto-Oli, p. 96; angina pectoris). 50 Cfr. sopra, p. 129. 51 T. De Mauro - G. Moroni, DIB. Dizionario di base della lingua italiana, Torino 1996.

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di un testo eccellente, che seleziona con grande lucidità – nell’allestimento del lemmario, nel corredo di esempi e soprattutto nella studiata chiarezza delle definizioni – il giovanissimo pubblico a cui si rivolge.53 È significativo che il radicale ripensamento delle definizioni tocchi in modo molto più ridotto i tecnicismi superstiti, al punto che sopravvive un certo numero di definitóri fondati su caratteristici tecnicismi collaterali (peraltro di immediata trasparenza per qualsiasi lettore).54 Ma interessa soprattutto un altro aspetto: la presenza di una pur ridotta quota di tecnicismi ha creato qualche difficoltà ai compilatori nel costruire definizioni costituite delle sole parole presenti nel lemmario, secondo un circolo virtuoso richiesto a ogni dizionario, e in particolare a un dizionario tarato su un’utenza così acerba; la verità è che, alle prese con un lemmario ridotto al lessico di “base” (cioè a circa 15.000 parole), è molto difficile – se non impossibile – definire convenientemente vocaboli come amfetamina o ecchimosi. Possono darsi tre possibilità (che esemplifico dallo spoglio delle entrate comincianti per A e per E, che rappresentano circa il 13% del totale): a) Nella definizione si usa un vocabolo assente dal lemmario: amfetamina («farmaco sintetico che eccita il sistema nervoso centra52

Cfr. L. Serianni, Dizionari di ieri e di oggi, opuscolo annesso al CD del Grande dizionario della lingua italiana Garzanti, Milano 1999, pp. 24-25. 53 Una parola del lessico di alto uso come becco è definita per esempio, con immediata capacità di adeguamento all’orizzonte di un lettore di dieci-dodici anni, come «le due parti sporgenti, dure e appuntite, che ricoprono la bocca degli uccelli» (DIB, p. 162; invece di «Caratteristica formazione cornea costituita da due pezzi che rivestono la mascella e la mandibola [...]»: Zingarelli, p. 217); e così vite («specie di chiodo con filetto a spirale in rilievo»: DIB, p. 1472; invece di «Organo meccanico di collegamento costituito da un gambo cilindrico o conico sul quale è inciso un solco elicoidale [...]»: Devoto-Oli, p. 2289). 54 Come caratterizzato da (si veda, per esempio, alle voci acne, eczema), si manifesta con (allergia, epilessia ecc.), a carico di (artrosi: «malattia degenerativa a carico delle articolazioni [...]»).

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le»: nel lemmario non si trovano sintetico – né la relativa base sintesi – e l’accezione di ‘ottenuto artificialmente attraverso sintesi chimica’ è irrecuperabile); anabolizzante («sostanza farmacologica che favorisce l’accrescimento del volume dei muscoli»: manca farmacologico, come la base farmacologia); anticoncezionale («si dice di farmaco o di altro strumento che impedisce la fecondazione, contraccettivo»; era preferibile omettere senz’altro contraccettivo, visto che il lemmario non lo accoglie); autopsia («pratica che consiste nel sezionare ed esaminare un cadavere a scopo di studio o, nella medicina legale, per determinare le cause del decesso»: mancano sezionare e decesso così come sezione e, a fortiori, decedere); b) Nella definizione si usa un vocabolo presente nel lemmario, ma non nella specifica accezione settoriale lì adoperata: ecchimosi ed emorragia (il riferimento alla «rottura di alcuni vasi sanguigni» o «alla rottura o al taglio di un vaso sanguigno» è tutt’altro che ovvio, dal momento che alla registrazione di arteria e vena non si accompagna quella dell’iperonimo vaso, che nel nostro caso non è né un ‘recipiente di varie forme e materiali’ né un ‘barattolo’); elettrocardiogramma ed elettroencefalogramma (gli «impulsi elettrici» menzionati nella definizione possono essere solo intuiti all’ingrosso movendo dalle due accezioni registrate s.vv.: «moto istintivo che spinge ad agire senza riflettere» e «stimolo, slancio»); ernia (il riferimento al «disco intervertebrale» è sufficientemente chiaro per l’aggettivo, che può essere ricostruito combinando inter- e vertebrale, ma non per il sostantivo: troppo generica è la prima accezione registrata – «qualsiasi oggetto rotondo e piatto» – e non pertinenti quelle successive); c) Nella definizione si usa un derivato assente nel lemmario, che tuttavia accoglie la relativa base o un corradicale: la ricostruzione del significato del vocabolo è in questo caso agevole, anche se non certo automatica per l’utente-tipo del DIB.55 Questi gli esempi: aerofagia 55 Un esempio. Leggendo la definizione di eczema («malattia della pelle, più o meno estesa, caratterizzata da intenso prurito e arrossamento»), siamo proprio sicuri che il nostro undicenne, non trovando arrossamento a suo luogo, non si lasci condizionare dai significati di arrossire (‘diventar rosso in volto per la vergogna’ e ‘vergognarsi’) e non pensi che l’eczema fa arrossire di vergogna chi ne sia affetto? Chi abbia solo qualche esperienza didattica “sul terreno” sa bene che fraintendimenti del genere – impensabili in un adulto, anche incolto – sono tutt’altro che infrequenti in bambini e ragazzi.

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(manca deglutizione ma c’è deglutire); aids (manca immunitario, ma c’è immunità); anoressia (manca psichico, ma ci sono psicologia, psicologico, psicologo ecc.); artrosi (manca degenerativo, ma c’è degenerare); ecografia (mancano diagnostico e ultrasonoro, ma ci sono diagnosi e ultrasuono); embrione (manca concepimento ma c’è concepire).

Sia chiaro: il DIB resta un ottimo dizionario, originale e ben calibrato per gli utenti di riferimento. Questo sondaggio mira soltanto a confermare una difficoltà obiettiva: lo sforzo di volgarizzazione dei tecnicismi è possibile fino a un certo segno, trovando una barriera o nell’esoterismo delle “scienze dure”56 o nell’esigenza di mantenere uno specifico corredo lessicale (e anche un adeguato livello di astrazione concettuale) per un àmbito specialistico come la medicina che è quello, insieme col diritto, destinato ad avere più ricadute nella lingua comune e che, anche per questo motivo, è ampiamente rappresentato nei dizionari.

56 Una conferma ci viene ancora dal DIB: i termini matematici sono rari (ciò che vale anche per scienze latamente connesse, come l’economia: manca per esempio azione ‘quota di capitale’) oppure sono definiti in modo talmente generico da risultare scarsamente informativi (come avviene per algebra: «parte della matematica che studia i calcoli in cui i numeri sono sostituiti, in parte o completamente, da lettere»).

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7. DIVULGAZIONE E INFORMAZIONE

1. Latino, volgare, glosse Nessuna scienza come la medicina coinvolge nella stessa misura il pubblico dei profani. Operano in questa direzione sia la legittima aspirazione del malato a essere informato sulla propria salute, sia la frequente proiezione dell’attività sanitaria oltre il recinto specialistico: e questo vale tanto per i trattatelli sui modi di preservarsi dalla peste o di governare gravidanza e puerperio – in voga dal Medioevo almeno fino a tutto il secolo XVII – quanto per la comunicazione scientifica rivolta al largo pubblico (foglietti illustrativi dei medicinali) o alle rubriche sanitarie che corredano i quotidiani contemporanei. La spinta alla divulgazione comporta un forte rischio di banalizzazione o addirittura di alterazione della verità scientifica. C’è chi ritiene che il problema sia particolarmente acuto nella cultura italiana, e in generale nelle culture latine, da sempre sbilanciate verso i saperi umanistici.1 Italo Farnetani, un medico seriamente impegnato nella divulgazione sanitaria, ha recentemente pubblicato un articolo sulla corretta presentazione di informazioni pediatriche al grande pubblico.2 Accanto alle strategie espositive (esordire con l’informazione principale, trasmettere ottimismo, omettere discussioni sullo “stato dell’arte” ecc.), si dà spazio a consi1

È l’opinione dell’oncologo svizzero Franco Cavalli, riportata in Petralli, Media in scena..., p. 174, nota 5. Per le imprecisioni scientifiche riscontrabili nella divulgazione medica spagnola cfr. M.B. Mayor Serrano, Divulgación médica: una asignatura pendiente, in «Panace@», 11(2003), pp. 59-60. 2 I. Farnetani, Come scrivere un buon testo di divulgazione scientifica, in «Area Pediatrica», 3(2002), 1, pp. 44-47.

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gli terminologici: per esempio, evitare tecnicismi, anche a prezzo di una perifrasi più o meno lunga (alitosi ‘alito maleodorante’, ematuria ‘sangue presente nelle urine’, latte adattato ‘latte in polvere simile a quello della mamma’) o di una traduzione colloquiale tra virgolette (linfonodi ‘“ghiandoline”’, papula ‘“nodulino”’), tradurre gli anglicismi (booster ‘richiamo’, follow-up ‘controllo’, rooming in ‘il neonato sta in camera con la madre’, wheezing ‘fischi o sibili’). E un altro medico, Francesco Benincasa, ha sottolineato l’importanza diagnostica delle espressioni usate dal paziente per descrivere i sintomi; di qui un percorso a tre tappe: dalla soggettività del paziente, all’obiettività del medico, che «ascolta, attribuisce significati, ordina le parole in frasi dal senso compiuto, le traduce in termini medici», e infine ripercorre la procedura «in senso inverso fino a comunicare nuovamente con il paziente in termini quotidiani».3 Particolarmente delicato è il problema di tradurre in parametri il più possibile oggettivi la descrizione verbale del dolore da parte dei pazienti; allo scopo due medici statunitensi hanno messo a punto un’elaborata classificazione (nota con l’acronimo MGPQ: «McGill Pain Questionnaire», 1971), presto tradotta in altre lingue, tra cui l’italiano (ad opera di G. Maiani e E. Sanavio: QUID, «Questionario Italiano del Dolore», 1985).4 Oggi, in ogni caso, è possibile tracciare il confine tra specialismo e divulgazione con una certa nettezza; ma non era così in passato. Sarebbe riduttivo pensare che la trattatistica in latino abbia sempre rappresentato il polo alto della comunicazione scientifica, contrapponendosi al volgare: I volgarizzamenti dei classici della scienza greco-latina e medievale avevano [...], con ogni probabilità (almeno fino a tutto il Quattrocen3 F. Benincasa, Scienza e coscienza in mutuo sostegno nella raccolta dell’anamnesi strana, in «Occhio clinico. Rivista di medicina generale», 10(2004), pp. 14-17, a p. 15. 4 Le informazioni essenziali in un opuscolo fuori commercio della Casa farmaceutica Recordati: E. Corneo (a cura di), Il linguaggio del dolore: valutazione «linguistica» dei fenomeni dolorosi. Applicazioni pratiche, Milano 1989.

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to), circolazione alta, poiché spesso rispondevano a richieste di committenti nobili che gradivano di possedere nella propria biblioteca anche volumi scientifici. I trattati del Savonarola ma anche, più tardi, quelli [...] dei tardocinquecenteschi Mercurio e Marinello, si presentano con un tessuto retorico-argomentativo elaborato. È assai improbabile che i dedicatari apparenti, le “comari” o i “barbieri” e i medici pratici potessero servirsi efficacemente di testi del genere [...]. D’altra parte, specialmente per quanto riguarda le attività considerate più “basse”, e il parto era una di queste, il medico pratico agiva per interposta persona. Siamo quindi in presenza di un doppio filtro: operativo, tra medico → comare / levatrice → puerpera; ma anche linguistico: medico → padre di famiglia → comare → puerpera.5

Se è vero che, rivolgendosi a un più largo pubblico, il medico cinque-secentesco ricorre all’italiano (proclamando spessissimo nell’introduzione che sacrifica la purezza linguistica per giovare all’umanità sofferente), è anche vero che, all’interno della letteratura specializzata, l’alternativa latino-volgare ha rappresentato a lungo per i medici un confine assai labile, che poteva essere valicato con disinvoltura. I vari clinici che gravitano intorno al Malpighi praticano continuamente questo code switching: «Ci resta da procurare che ogni umore peccante si ricircoli col sangue, a ciò disposto ad vasa lymphatica per renes ad vesicam derivetur con qualche mite diuretico» (A. Viviani); «vi si aggiungeva nel tempo della gravidanza una molesta pulsazione in eadem regione» (F.M. Nigrisoli); «una tal commozione intrinseca in regione uteri» (A. Modio); «tali sintomi usu remediorum evanuere» (F. Boschi).6

La discriminante andrà ricercata semmai nella tipologia dei testi. Ma anche qui con prudenza, se è vero che persino a un 5

R. Gualdo, La lingua della pediatria: il trattato di Paolo Bagellardo Dal Fiume, in Gualdo (a cura di), Le parole della scienza..., pp. 21-48, a p. 30. Si vedano anche Altieri Biagi, Fra lingua scientifica..., p. 30 e C. Crisciani, Michele Savonarola, medico: tra università e corte, tra latino e volgare, in N. Bray e L. Sturlese (a cura di), Filosofia in volgare nel Medioevo, Louvain-la-Neuve 2003, pp. 433-449, alle pp. 436-437. 6 Cfr. Plessi (a cura di), Consulti..., pp. 46, 59, 76, 133. Lo stesso vale più tardi per Antonio Cocchi: cfr. Weber, Aspetti poco noti..., p. 51.

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repertorio che si presenta come la classica enciclopedia concepita per una larghissima fruizione, Il Perché di Girolamo Manfredi (apparso nel 1474 e ristampato fino all’Ottocento),7 è stato negato «un reale intento divulgativo a carattere “popolare”», giacché il testo parrebbe inserirsi in «una tradizione consolidata, in cui anche la progressione argomentativa interna ai quesiti rispecchia una certa cristallizzazione».8 In qualche caso, naturalmente, la scelta linguistica è pienamente coerente con l’ideologia soggiacente. Costantemente in volgare scrive nel Cinquecento Leonardo Fioravanti, autoinvestitosi della «missione di propagandare fra tutti la sua nuova scienza» e «ciecamente convinto “di essere un nuovo inventore della medicina e della chirurgia”».9 Guardiamo da vicino un suo trattato (La cirugia...). L’atteggiamento linguistico dell’autore è esplicitato fin dalle prime pagine («perché la verità occupa pochissimo luoco, mi forzarò a dirla con tanta chiarezza che non si truovi nessuno che la puossi occultare»: 2v), di pari passo con tirate promozionali che lo avvicinano pericolosamente alla categoria dei ciarlatani (cfr. sopra, pp. 49ss.): «Et se alcuno vorrà seguitare questa nostra verità, è necessario che veda tutte sei l’opere nostre» (3r), «se la strada nostra sarà meglior di quella de gli antichi, medicare in questo modo; et se sarà più trista, abbruggiare i miei libri come infami e bugiardi, et se altrimenti, magnificare il nome mio per sempre» (18r). Rivolgersi al popolo implica la quasi sistematica esplicitazione delle nozioni illustrate, anche le più ovvie («Le ferite sono 7 Una fortuna editoriale alquanto sospetta, che si spiega solo con il basso livello socioculturale dei lettori; viene spontaneo il confronto con i romanzi popolari, per esempio con i Reali di Francia di Andrea da Barberino, la cui popolarità va dal Quattro almeno fino all’Ottocento: «Non v’è scrittura (scriveva P. Rajna, Ricerche intorno ai Reali di Francia, Bologna 1872, p. 3) così assiduamente letta dalle Alpi agli estremi promontori della Sicilia: dovunque alcuno sa leggere la si trova in onore». 8 Così il Foresti in Manfredi, Liber de homine..., p. 42. 9 Camporesi, Camminare il mondo..., p. 64.

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certi tagli che si fanno in diversi luochi della persona» 8r), e soprattutto l’attento evitamento dei tecnicismi. Ciò può avvenire attraverso perifrasi (la “colonna vertebrale” è «una gran colonna di molti pezzi di osso attaccati insieme»: 19r) o attraverso il ricorso a termini non tecnici: regionalismi settentrionali (pescetto ‘malleolo’ 17v, lasene ‘ascelle’ 27v, pelarella ‘alopecia’ 31r) o popolarismi panitaliani («saria forza fare le quattro operazioni che altre volte ho detto, cioè cacare, vomitare, sudare et sputare», «il tossire, il cacare, il pisciare, il dormire non sono moti volontarij, ma naturali et quasi contro il nostro volere»: 48r, 88r). Spesso il Fioravanti ostenta fastidio per la terminologia, sollecitando la complicità del lettore: «il corpo nostro è fatto tutto di cose sensate, come interiormente vi sono il stomaco, il cuore, il fegato, il polmone, il ventricolo, la milza, le budella et infinite altre cosette che non sono così communi et conosciute da tutti come queste che ho detto» (18v-19r); [dopo un elenco di patologie affrontabili con successo dalla chirurgia, in gran parte indicate con regionalismi: panocchie o anguinaglie ‘tumefazioni, bubboni’, broze ‘pustole’, buganze ‘geloni’ ecc., si prosegue alludendo a] «una infinità d’altri casi quai lascio di dire per non fare così lunga filastrocca» (21r).

Ma l’istituto linguistico a cui il Fioravanti ricorre più spesso è quello che, in assoluto, domina ogni scritto di intento divulgativo e che ha un posto speciale nel linguaggio medico, anche prescindendo dal destinatario: la glossa, ossia l’affiancamento al termine giudicato meritevole di commento di una parola o di un’espressione equivalente.10 10

La riformulazione nel linguaggio scientifico è un tema assai praticato dalla linguistica contemporanea. Ai nostri fini basterà rinviare a Giovanardi, Linguaggi scientifici..., pp. 165-189 e 266-289 (con ricca bibliografia); D’Acunti, Tecnificazione..., pp. 243-244, 265-266, 282-288, 308-311, 329-330 (con osservazioni di prima mano su alcuni medici settecenteschi); A. Pelo, in M. Dardano - C. Giovanardi - A. Pelo, Per un’analisi del discorso divulgativo: accertamento e studio della comprensione, in T. De Mauro et al. (a cura di), Dalla parte del ricevente: percezione, comprensione, interpretazione, Roma 1988, pp. 153-164, specie alle pp. 158-159 (ove è un’utile griglia sui vari tipi di parafrasi messi in atto nei giornali contemporanei che trattano

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Le tipologie essenziali sono due. Può aversi equivalenza tra due termini dello stesso rango (a: popolarismi; b: tecnicismi), oppure tra parola tecnica e parola corrente (con sequenza dall’ignoto al noto: c; o dal noto all’ignoto: d): a) «panocchie o buboni, come vogliam dire» (31r), «la scarentia o squinantia» ‘angina’ (41v), «le morroidi overo maroelle» (189r); b) «il ventre inferiore che si chiama peritonio o sifach» (136r); c) «[la dura madre] è piena di pori o forami, come vogliam dire» (11r), «[a protezione della calotta cranica, la natura] gli ha fatto sopra la cute, cioè la pelle per tenerla coperta» (11v), «un osso lustro et sottile che lo chiamano vitrea, il quale si rassomiglia al vetro» (11v), «[certe aposteme che si formano sulle tempie a’ putti piccolini] vulgarmente si chiamano toppinare, però che fanno quasi a similitudine del topo, che va sotto terra et fa quelli monticelli di terra così fatti» (23v), «certe infermità de gli occhi] «vulgarmente si chiamano razuoli, et questa è causata da calidità di sangue et l’effetto suo è certi bruscoletti che vengono intorno alle palpebre de gli occhi» (26r), «una certa corruttione che si chiama stranguria, la qual fa continua volontà di orinare» (90v); d) «quella pellicina che si chiama epiderma» (110r), «l’amaccature che i Latini chiamano contusioni» (112v), «una certa pellicina sottile che [i notomisti] la chiamano in suo lenguaggio epidermo» (123v).

Talvolta il Fioravanti dispiega una ricca serie di geosinonimi; e in ciò può riconoscersi il desiderio di fare sfoggio dei molti idiomi conosciuti nel corso della sua dinamica attività professionale, ma anche la necessità didascalica di consentire al lettore l’individuazione di un designatum frammentato in numerose varianti dialettali.11 Ecco un paio di esempi:

di temi scientifici); E. Manzotti, Spiegazione, riformulazione, correzione alternativa: sulla semantica di alcuni tipi e segnali di parafrasi, in L. Lumbelli e B. Mortara Garavelli (a cura di), Parafrasi. Dalla ricerca linguistica alla ricerca psicopedagogica, Alessandria 1999, pp. 169-206, specie alle pp. 189 e 193. 11 È la stessa esigenza che animerà, nel Settecento, tutt’altra figura di scienziato: cfr. S. Scotti Morgana, Esordi della lessicografia scientifica italiana. Il «Saggio alfabetico d’Istoria medica e naturale» di Antonio Vallisnieri, Firenze 1983, pp. 11ss.

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«Le aposteme che vengono all’anguinaglia, cioè alla cossa, sono di tre specie: la prima delle quali è quella che in Venetia chiamano panocchie, in Roma tenconi, in Napoli dragoncelli et in Spagna incordij» (33v); «Un’altra specie di aposteme si suole patire, che si chiama in diversi modi nella nostra lingua italiana: alcuni li chiamano carboni, altri cicolini, altri bruschi» (41r).

Il Fioravanti è abbastanza isolato come figura di medico (e per le sue scelte linguistiche). Ma il ricorso alla glossa, o alla perifrasi glossante, lo accomuna a medici assai distanti da lui. Strutture del genere non fanno specie in opere espressamente destinate a divulgare nozioni mediche presso non specialisti; qui la glossa non è che uno dei tratti (non il più importante) grazie ai quali possiamo risalire alla selezione del destinatario praticata dall’autore. Due esempi ottocenteschi. Il repertorio «per il popolo» di Andrea Bianchi12 comprende una trentina di lemmi di taglio enciclopedico, solo in piccola parte dedicati a singole malattie (asfissia, idrofobia, mal venereo): perlopiù si danno consigli igienici, scanditi a seconda delle diverse età (bambini, vecchi) e insistendo sulla pulizia personale (per i pidocchi, il Bianchi vuole sfatare il pregiudizio che essi rappresentino «la salute del ragazzo», sicché «certe stoltissime madri ne mettono ancora sulla testa dei loro bambini colla credenza che ne succhino gli umori cattivi»).13 Del tutto prevedibili le glosse, o per spiegare un tecnicismo raro (è assurdo – osserva l’autore – che le puerpere si astengano dall’allattare il bambino nei primi tre giorni dal parto, «col pretesto di sbarazzarlo dal meconio, nome dato ai primi escrementi del neonato radunatisi nelle sue intestina durante la gravidanza») o per affiancare a un tecnicismo ben altrimenti diffuso il suo corrispondente popolare («Alcuni pensano che il tabacco possa preservare dall’apoplessia, volgarmente detta accidente»).14 Il proposito del Valli, autore di un manuale ad uso dei sacerdoti,15 è quello di far sì che i religiosi, assolvendo all’obbligo di visitare gl’infermi, siano in grado di «giudicare della gravezza del male»16 12

Bianchi, Dizionario di sanità... Ibid., pp. 84-85. 14 Ibid., pp. 47 e 95. 15 C. Valli, Istruzioni mediche per i sacerdoti, Como 1894. 16 Ibid., p. 5. 13

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in modo da amministrare per tempo i sacramenti. Anche qui gl’interventi metalinguistici spesseggiano: ora si dà fondamento anatomico a una parola del lessico di base (i muscoli sono «la carne propriamente detta»), ora si interviene a spiegare un tecnicismo, attraverso una nota (acme febbrile), la parentesi («L’iperestesia [sensibilità eccessiva] de’ sensi, il tintinnio alle orecchie, la fotofobia [dar fastidio la luce]») o una dittologia («ematemesi o gastrorragia», «il deliquio o svenimento»).17

Quel che colpisce in entrambe le opere è altro. Gli autori non abbandonano le abituali parole del medico, non rinunciando né a tecnicismi specifici non essenziali in quel contesto («soppressione delle evacuazioni naturali», come iperonimo per indicare ‘sudore’, ‘urina’, ‘feci’, ‘sangue mestruale’, evacuazioni alvine ‘feci’, termometria ‘misurazione della febbre’),18 né ai tecnicismi collaterali: «ulceri veneree affatto indolenti», «remissioni mattutine» [della febbre], «manifestasi vomito muco-bilioso».19 L’abito linguistico acquisito dal medico travalica insomma la tipologia testuale nella quale di volta in volta è calato. L’esempio più clamoroso in proposito è offerto dalla presenza di glosse o di perifrasi glossanti in testi privati, scritti – è lecito affermarlo – senza pensare a un destinatario, nonché alla stampa. Studiando il diario medico di Giovanni Gentili (sul quale ci siamo già soffermati per sottolinearne la tenuta stilistica, cfr. pp. 164-166), il D’Acunti ipotizza la possibilità di un progetto di pubblicazione poi accantonato, ma assegna anche «un certo peso» all’abitudine dei medici «di ricorrere, quale che sia il contesto, a una terminologia sorvegliata».20 Analoghe procedure linguistiche ricorrono nelle annotazioni manoscritte di due illustri medici del Settecento, Antonio Cocchi e Giovanni Targioni Tozzetti.

17

Ibid., pp. 13, 62, 73, 84, 198. Cfr. rispettivamente Bianchi, Dizionario..., pp. 11 e 55 e Valli, Istruzioni..., p. 64. 19 Cfr. rispettivamente Bianchi, Dizionario..., p. 74 e Valli, Istruzioni..., pp. 60 e 104. 20 D’Acunti, Tecnificazione..., p. 266. 18

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Esempi dal Cocchi: «L’imene, cioè un anello carneo al principio del detto orifizio [quello vaginale]», «Il tralcio o cordone o funicolo umbilicale».21 Esempi dal Targioni: «da quella sua porzione che si denomina intestino ileo», «[il mesenterio e il mesocolo] avevano quasi tutte le loro glandule, dette meseraiche, molto ingrossate».22

Il ricorso alla glossa è abituale anche in scritti rivolti ad altri medici, come avviene tipicamente negli articoli di vari autori pubblicati negli ottocenteschi «Annali Universali di Medicina». Ecco alcuni esempi di pertinenza oculistica, risalenti agli anni 1826-1829:23 «L’ottalmia purulenta, ossia l’infiammazione acuta della congiuntiva»; «Ho [...] tentato l’applicazione della pietra infernale sugli occhi di persone travagliate dalla gotta serena (amaurosi)»; «La morbosa direzione delle ciglia contro il bulbo dell’occhio (trichiasi nel senso più esteso)»; «Così Celso dichiarava a ragione crudele l’anabrochismo, ossia il metodo d’infilare ciascun pelo ad uno ad uno nella cruna d’un ago [...] per farli con cerotti aderire alla pagina esterna delle palpebre»; «Lo stesso succede nelle persone d’abito cachetico prese da blefarottalmia ulcerosa (tigna palpebrale, psorottalmia secondo altri)»; «il mezzo il più semplice, il più facile per guarire radicalmente la trichiasi, sia essa dipendente da rilasciamento o prolasso delle palpebre, sia questa prodotta da innormale primitiva deviazione delle ciglia (trichiasi idiopatica)».

Se la glossa compare così tipicamente anche in testi non destinati a profani, ma ad altri medici (o addirittura a sé stessi), vuol dire che essa assolve a una funzione linguisticamente importante: quella di affinare, di là da ogni possibile ambiguità, uno strumento che deve mantenere una piena funzionalità comunicativa, ma che d’altra parte sconta l’eccesso di terminologismo proprio della medicina. Ecco dunque che si precisano i limiti d’applicazione di un termine (trichiasi «nel senso più esteso», trichiasi idiopatica), si glossano anche denominazioni pa21

Cfr. Weber, Aspetti poco noti..., pp. 123 e 125. Cfr. Weber, Autopsie..., pp. 16 e 31. 23 Li attingo da Federici, Aspetti..., p. 120. 22

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tologiche sufficientemente trasparenti (ottalmia purulenta) e, a maggior ragione, termini rari (anabrochismo) o denominazioni concorrenti (blefarottalmia ulcerosa).

2. Due messaggi informativi: la stampa e i foglietti illustrativi Riuniamo in questo paragrafo due fattispecie alquanto diverse: i supplementi scientifici dei quotidiani (in particolare quelli dei due più diffusi: il «Corriere della Sera» e «la Repubblica») e i foglietti che corredano le confezioni dei farmaci. L’elemento in comune è l’intento informativo, non performativo, dei testi; ma le differenze sono numerose. Il destinatario è il largo pubblico nel caso dei quotidiani, mentre i foglietti si rivolgono sia al profano (specie nel caso dei “prodotti da banco”, detti anche con acronimo anglicizzante OTC, cioè ‘Over The Counter’) sia al medico (in particolare per i prodotti vendibili solo su prescrizione). I supplementi scientifici presentano tutte le caratteristiche dell’impostazione giornalistica: titoli a effetto, illustrazioni di supporto, schemi esplicativi; i foglietti – presenti nelle confezioni per obbligo di legge – sono condizionati da una struttura testuale rigida, che deve necessariamente dar conto di determinate partizioni (composizione, dosi, interazioni ecc.). Diverso è infine l’estensore dei testi: talvolta il medico, ma più spesso il giornalista, nel caso dei supplementi (dunque uno scrivente professionale, abituato a maneggiare la penna, ma spesso senza formazione scientifica); solo il medico o il farmacologo nel caso dei foglietti (dunque un tecnico, a suo agio nei contenuti, ma non altrettanto nell’arte di organizzarli linguisticamente). Differenze del genere si riflettono anche sulla compagine linguistica: la spinta alla divulgazione è fortissima nei quotidiani, mentre i foglietti, nonostante che la legge preveda una loro trasparenza linguistica,24 presentano in proposito un’ampia gamma di realizzazioni. 24

Si vedano per esempio il Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 540

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Quasi esclusiva dei supplementi è lo strumento fondamentale della divulgazione, illustrato nel paragrafo precedente: la glossa. Dei quattro tipi fondamentali che abbiamo esemplificato nel cinquecentista Fioravanti, è assente il primo (tipo a: equivalenza tra due termini correnti), dominante il tipo c (termine specialistico variamente ricondotto all’esperienza linguistica comune: «omozigote, cioè con lo stesso patrimonio genetico»), occasionali i tipi b (equivalenza tra due termini specialistici: «colite ulcerosa o morbo di Crohn») e d (dall’uso corrente alla terminologia specialistica: «si formano nuove macchie nere o marroni sulla pelle, aree ipercromiche chiamate “melanosi”»).25 La grande varietà formale con cui si presentano le glosse può essere illustrata attraverso alcuni esempi attinti dal meritorio campionamento della «Repubblica» compiuto da Giulia Buccini.26 La soluzione più praticata è quella costituita da una sequenza coordinativa in cui la glossa è introdotta da cioè («il quadro è completato da edemi lungo gli arti e teleangectasie, cioè capillari sanguigni che affiorano»), anche nella variante cioè senza («il trapianto autologo, cioè senza rigetto»); o («aumentano le persone affette da celiachia o intolleranza alimentare permanente al glutine»); ovvero («l’elastosi solare, ovvero il danno subito dalle fibre elastiche del derma»); ossia («preparati contenenti acido acetilsalicilico, ossia aspirina»). Tra le giustapposizioni, domina l’inclusione tra parentesi: «epistassi (sangue dal naso)», «parestesie (alterazioni della sensibilità con sensazioni di formicolio, intorpidimento, prurito) agli arti»; più rara l’apposizione: «la “pannicolopatia edematofibrosclerotica”, vera e propria cellulite». Frequente il ricorso all’esemplificazione («organi emuntori, come fegato, reni, intestino») e soprattutto a strutture denominative,27 incardinate su detto e successive modifiche, art. 4 comma 1 e le linee guida date nel 1997 alle Case farmaceutiche dalla CUF (= Commissione Unica del Farmaco; possono essere rintracciate in rete) perché i foglietti illustrativi risultino effettivamente comprensibili. 25 Esempio tratto da un numero della «Repubblica» del 2000: cfr. Buccini, Aspetti..., p. 180. 26 Ibid., pp. 174ss. 27 La denominazione rientra tipicamente nel tipo d, ma – specie in

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(«un processo naturale detto apoptosi»), cosiddetto («trattamenti endodontici (le cosiddette devitalizzazioni)»), chiamato («alcuni tipi di batteri chiamati streptococchi») oppure su perifrasi verbali («per ambliopia si intende un occhio che non ha sviluppato il proprio potenziale visivo»; «la trabeculoplastica consiste nel dirigere il raggio laser sul trabecolato corneosclerale»).

Il «Corriere della Sera» del 2003 ci servirà invece per esaminare dall’interno i suoi supplementi medici.28 Come si accennava, i titoli indulgono ai consueti calembours cari alla scrittura giornalistica:29 «Trapianto in gamba» (n. 2; sull’innesto dello stesso perone del paziente al posto del femore asportato), «L’anticorpo che dà sui nervi» (n. 6; su un nuovo farmaco per la sclerosi multipla), «Lenti molto accomodanti» (n. 10; su certi cristallini artificiali) e così via. Ogni numero presenta alcune rubriche fisse, o quasi fisse. A p. 2 c’è, immancabile, «Il consiglio del grande medico», in cui un clinico più o meno noto tratta un tema di patologia. Lo sforzo di comprensibilità è abbastanza evidente, ma non sempre è coronato da successo, al punto che talvolta interviene la redazione, con una glossa: «una metodica alternativa che consiste nell’applicazione di uno stent (una protesi rigida, ndr)» (n. 2), «per le persone che hanno sofferto in passato di [...] spondilolistesi (scivolamento in avanti di una vertebra, ndr)» (n. 22). Spicca, in ogni caso, la concentrazione di tecnicismi collaterali, che non si ritrova nella stessa misura nelle parti scritte da giornalisti. In un articolo del chirurgo Alberto Tajana dedicato alla terapia delle emorroidi (n. 30) figurano, per esempio, «regolarità dell’alvo», «remissione dei sintomi», «trattamenti incruenti», «trattamento [...] associato alla legatura elastica», «con scarse sequele».30 presenza di cosiddetto – può servire anche per prendere le distanze da un’espressione corrente, giudicata inadeguata dallo specialista. 28 Indicherò tra parentesi il numero del supplemento. 29 Cfr. D. Proietti, «La vetrina del giornale» ecc., in M. Medici - D. Proietti (a cura di), Il linguaggio del giornalismo, Milano 1992, pp. 117-172 e A. De Benedetti, L’informazione liofilizzata. Uno studio sui titoli dei giornali (1992-2003), Firenze 2004. 30 Non mancano ovviamente i tecnicismi specifici, parte non glossati

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Spesso presente è l’immaginario colloquio tra un medico e un paziente (rubrica «Ho un dubbio dottore...»), in cui il medico si pronuncia su un tema d’interesse generale, dando prova di buon senso ma anche di irreprensibile aggiornamento bibliografico (gli estremi dell’articolo di volta in volta utilizzato – sempre da riviste anglosassoni – sono esplicitati in calce). L’autore cerca di rendere, talvolta in modo felice, i diversi registri linguistici dei due interlocutori. Una «signora Emilia» parla del mal di schiena del marito: «Ora però vuole fare una lastra, visto che non passa» e il medico replica: «La radiografia non serve per vedere le ernie del disco» (n. 4); una diciannovenne dichiara: «Sono qui per la ricetta della pillola. Mi può scrivere quella nuova, che non fa ingrassare?», e il medico replica: «Vede, in realtà non è affatto certo che il nuovo contraccettivo di cui lei parla faccia aumentare il peso meno degli altri» (n. 8). Nonostante il taglio complessivamente colloquiale, garantito anche dalla presenza dei lettori (con due rubriche di lettere: argomenti generali e sessuologia), possono essere adoperati anche termini assai rari o inusitati. In epoca di disturbi psicologici legati all’alimentazione potrebbero avere un futuro, nonostante la coniazione del tutto arbitraria, i termini bigoressia e ortoressia: Le due forme più evidenti di questo nuovo genere di patologie sono l’ortoressia, vera ossessione per i cibi “giusti”, magari scarsi e privi dell’essenziale, e la bigoressia, altra ossessione per il fisico “big” da body-building, che si traduce in dieta troppo carnea e nel ricorso a farmaci anabolizzanti (n. 19).

Non è impeccabile come formazione nemmeno il già acclimato bruxismo (dal gr. brycho– ‘digrigno i denti’; ci saremmo a(«farmaci vaso-attivi», «iniezioni sclerosanti», «fotocoagulazione all’infrarosso»), parte posti in parentesi, dopo una sommaria descrizione: «Le proposte chirurgiche di oggi o asportano le emorroidi malate (emorroidectomie aperte o chiuse) o riportano all’interno le emorroidi fuoriuscite, riducendone anche l’afflusso di sangue (anopessi con suturatrice meccanica circolare)».

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spettati *brichismo);31 di che si tratti si ricava dall’esordio dell’articolo: «Notti “arrabbiate” quelle di chi soffre di bruxismo, passate a digrignare e stringere i denti» (n. 31). Tutt’altra, si diceva, la tipologia testuale dei foglietti illustrativi. Meglio di ogni discorso gioverà a illustrarla l’esame ravvicinato di due diversi prodotti: un antibiotico indicato in infezioni di una certa gravità – dunque necessariamente prescrivibile solo su ricetta medica – (Neoduplamox®; d’ora in poi: Neod.) e un polivitaminico frequentemente assunto dal paziente di sua iniziativa (Supradyn®; d’ora in poi: Supr.). La scansione dei paragrafi è più o meno la stessa, ma cambiano le intitolazioni: «Forme farmaceutiche e contenuto per ogni presentazione» (Neod.) / «Come si presenta» (Supr.); «Categoria farmacoterapeutica» (Neod.) / «Che cos’è» (Supr.); «Nome ed indirizzo del titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio e del produttore» (Neod.) / «Produttore e controllore finale» (Supr.); «Indicazioni terapeutiche» (Neod.) / «Perché si usa» (Supr.); «Controindicazioni» (Neod.) / «Quando non deve essere usato» (Supr.); «Precauzioni d’impiego» (Neod.) / «Quando può essere usato solo dopo aver consultato il medico» (Supr.); «Uso in caso di gravidanza e di allattamento» (Neod.) / «Cosa fare durante la gravidanza e l’allattamento» (Supr.); «Interazioni con altri medicinali o interazioni di altro tipo» (Neod.) / due diversi paragrafi: «Precauzioni per l’uso» e «Quali medicinali o alimenti possono modificare l’effetto del medicinale» (Supr.); «Dose, modo e tempo di somministrazione» e «Modo di somministrazione» (Neod.) / «Come usare questo medicinale», con tripartizione in tre sottoparagrafi: «Quanto», «Quando e per quanto tempo», «Come» (Supr.); «Modalità di intervento in caso di dose eccessiva» (Neod.) / «Cosa fare se avete preso una dose eccessiva di medicinale» (Supr.); «Effetti indesiderati» (Neod. e Supr.); «Scadenza, Avvertenza» e «Speciali precauzioni per la conservazione» (Neod.) / «Scadenza e conservazione» (Supr.); «Ultima revisione da parte del Ministero della Sanità: Novembre 2000» (Neod.) / «Revisione del foglio illustrativo da parte del Ministero della Sanità: Luglio 2000» (Supr.).

31 In Ferrio, Terminologia..., p. 150 si registra bruxomania (attribuito al medico francese Pierre Marie): ‘movimento della mandibola e delle labbra affine al cosiddetto arrotamento dei denti’.

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Una prima differenza consiste nel diverso numero di parole e nella diversa estensione dei periodi, un elementare indicatore di difficoltà di lettura.32 Molto evidente è poi il diverso atteggiamento nell’uso dei tecnicismi. Supr. evita a partire dalle intestazioni dei paragrafi vocaboli abbastanza correnti come controindicazioni e fa largo ricorso alla glossa parentetica: «Supradyn si usa negli stati carenziali primari e secondari (situazioni in cui l’organismo è mancante di vitamine, minerali ed oligoelementi)», «farmaci a base di levodopa (farmaco che si usa per la terapia della malattia di Parkinson)»; lo stile espositivo è orientato verso il destinatario, attraverso l’uso abbastanza frequente di verbi di quinta persona: «Questo è un medicinale di automedicazione che potete usare per curare disturbi lievi e transitori», «per maggiori informazioni e consigli rivolgetevi al farmacista», «Consultare il medico se il disturbo si presenta ripetutamente o se avete notato un qualsiasi cambiamento recente delle sue caratteristiche». Nel dettato rigorosamente impersonale di Neod. ricorrono invece senza nessun filtro tecnicismi anatomici («tessuti molli») e patologici («effetti teratogeni», «S. di Stevens Johnson»),33 alcuni dei quali consistenti in parole composte o pluricomposte («infezioni otomastoidee», «effetti teratogeni», «equilibrio idro-elettrolitico»). Prevedibile la fitta rappresentanza di tecnicismi collaterali: «infezioni batteriche sostenute da germi sensibili», «precedenti di ittero/insufficienza epatica associati a NEODUPLAMOX», «l’insorgenza di reazioni», «istituire una terapia idonea» ecc. Un problema di non facile soluzione, comune a tutti i foglietti, è rappresentato dal paragrafo sulle interazioni con altri farmaci. Il testo non può che indicare la molecola, perlopiù ignota al paziente che ha invece familiarità con uno dei nomi commerciali del prodotto. Se non si ricorre a glosse (come fa Supr. per levodopa), il te32 Cfr. E. Piemontese, Capire e farsi capire. Teorie e tecniche della scrittura controllata, Napoli 1996, pp. 79ss. Le parole dei due foglietti illustrativi – non calcolando le cifre e gli indicatori di misura (mg, ml e simili) – sono 1632 per Neod. e 1005 per Supr. 33 E si noti anche la sigla S. ‘sindrome’, del tutto opaca per chi non sia medico.

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sto risulta inevitabilmente impenetrabile anche per un laureato che non sia medico, farmacista o chimico: «La contemporanea assunzione di allopurinolo aumenta la frequenza di rash cutanei. È noto un effetto terapeutico sinergico tra le penicilline semisintetiche e gli aminoglicosidi. Il probenecid somministrato contemporaneamente prolunga i livelli ematici delle penicilline per competizione con le stesse a livello renale» (Neod.).

Anche alcuni “prodotti da banco” presentano una veste linguistica irta di tecnicismi. Chi, per un banale mal di testa, prendesse una compressa di neo-Optalidon® e poi si desse la briga di leggere la parte interna della bustina contenente gli otto confetti rosa (scritta in corpo molto piccolo), avrebbe tutto il diritto di chiedersi se rientra nella categoria dei pazienti per cui il farmaco è controindicato («pazienti con manifesta insufficienza della glucosio-6-fosfato deidrogenasi») o di infastidirsi di fronte a informazioni di esclusiva pertinenza medica (l’assunzione del farmaco può alterare la determinazione dell’uricemia «mediante il metodo dell’acido fosfotungstico» e della glicemia «mediante il metodo della glucosio-ossidasi-perossidasi»). E probabilmente, scorrendo gli «Effetti indesiderati», accumulati senza nessuna strategia espositiva (incidenza percentuale, correlazione con la quantità assunta e la durata di assunzione),34 si convincerà che sarebbe stato meglio tenersi il suo innocuo mal di testa.

34 Per non parlare dei difetti di organizzazione testuale (mancata gerarchizzazione delle informazioni; dubbia utilità di distinguere le reazioni di ipersensibilità dagli effetti indesiderati, che oltretutto fungono da titolo per l’intero paragrafo; sciatta ripetizione di sono state / i segnalate / i): «Effetti indesiderati: Con l’uso del paracetamolo sono state segnalate reazioni cutanee di vario tipo e gravità inclusi casi di eritema multiforme, sindrome di Stevens Johnson e necrolisi epidermica.// Sono state segnalate reazioni di ipersensibilità quali per esempio angioedema, edema della laringe, shock anafilattico. Inoltre sono stati segnalati i seguenti effetti indesiderati: trombocitopenia, leucopenia, anemia, agranulocitosi, alterazioni della funzionalità epatica ed epatiti, alterazioni a carico del rene (insufficienza renale acuta, nefrite interstiziale, ematuria, anuria), reazioni gastrointestinali e vertigini. Eruzioni cutanee su base allergica».

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8. DALLA LINGUA ALLO STILE

1. Nomi e verbi. La spersonalizzazione Alcune caratteristiche del linguaggio medico contemporaneo sono condivise da molte altre lingue speciali e sono note da tempo.1 Basti qui far menzione della tendenza alla brachilogia, con cancellazione di parole grammaticali, come gli articoli (cfr. sopra, pp. 132-135) e le preposizioni (esame urine, trauma regione frontale). Qualche parola in più merita invece la tendenza a dare più importanza al nome che al verbo, che si manifesta in almeno tre direzioni: 1) sviluppo di vere e proprie frasi nominali, cioè senza un verbo di modo finito («azione cardiaca ritmica tachicardica, non edemi declivi», da una cartella clinica); 2) concentrazione della carica informativa nel nome,2 mentre al verbo è affidato il compito di un semplice vettore sintattico, semanticamente generico; 3) riduzione dei parametri morfologici verbali (modo, tempo, persona) effettivamente adoperati e adoperabili.3 Gli ultimi due aspetti possono essere facilmente verificati attraverso un foglietto illustrativo di medicinale; nella fattispecie, l’antibiotico Macladin 500®. 1 Cfr. per esempio M. Porro, I linguaggi della scienza e della tecnica, in Beccaria (a cura di), I linguaggi settoriali..., pp. 181-206, alle pp. 192-193 e A.A. Sobrero, Lingue speciali, in A.A. Sobrero (a cura di), Introduzione all’italiano contemporaneo. La variazione e gli usi, Roma-Bari 1993, pp. 237277, alle pp. 249-250. 2 Sono costituiti quasi soltanto da nomi e aggettivi, come sappiamo (cfr. p. 127), i tecnicismi specifici, mentre i verbi sono largamente rappresentati tra i tecnicismi collaterali. 3 Cfr. Ghazi, Vocabulaire du discours médical..., p. 410.

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I verbi che figurano nel paragrafo dedicato agli «Effetti collaterali» rientrano nell’area semantica del “verificarsi” o del “registrare”, hanno dunque informatività debole; al punto che, a differenza dei nomi, potrebbero essere soppressi senza compromettere la coerenza testuale del brano, ma semmai la sola coesione:4 «sono stati riportati alcuni disturbi gastro-intestinali», «sono possibili disfunzioni epatiche con aumento delle transaminasi», «dette manifestazioni possono essere anche severe», «quando ciò si è verificato, era associato a gravi patologie preesistenti e/o trattamenti concomitanti». Guardando all’intero foglietto, possiamo inoltre valutare la riduzione dei parametri morfologici. Le persone verbali sono la terza o la sesta («il dosaggio è 500 mg ogni 12 ore», «possono insorgere, raramente, superinfezioni da batteri resistenti»). Mancano esempi di quinta persona (che, però, potrebbe figurare in un testo più coinvolgente nei confronti del destinatario: Comunicate al medico, invece dell’infinito iussivo impersonale: «Comunicare al medico la comparsa di effetti indesiderati»), sarebbero difficilmente immaginabili esempi di seconda (c’è soltanto la forma cristallizzata vedi in «vedi la data di scadenza indicata sulla confezione») e addirittura impensabili esempi della prima. Ben rappresentate le forme nominali del verbo, cioè i modi indefiniti: infinito («È necessario porre attenzione alla possibilità di una resistenza crociata»), gerundio («Essendo la claritromicina metabolizzata ed escreta [...]»), participio («nel trattamento di infezioni diffuse da Mycobacterium Avium Complex»). Dei modi finiti è ovviamente frequente l’indicativo, compare il condi4 In realtà, anche la coesione del brano guadagnerebbe da una struttura nominale, costituita da una lista di disturbi, tutti risultanti da segnalazioni cliniche (inutili dunque i vari sono stati segnalati, riportati ecc.), tutti possibili (ma non probabili!; inutile sono possibili e simili) e alcuni più gravi (ma basta un inciso nominale: «– manifestazioni anche severe, ma reversibili con la sospensione del trattamento –»). In casi del genere l’eliminazione del verbo – in genere sconsigliata nelle “riscritture” di testi specialistici (cfr. per esempio, con riferimento alla sintassi amministrativa: F. Franceschini - S. Gigli (a cura di), Manuale di scrittura amministrativa, Roma 2003, pp. 143-146) – comporterebbe una maggiore leggibilità, eliminando ridondanze e riducendo anche la lunghezza del testo.

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zionale del verbo dovere con valore epistemico («in pazienti con funzione renale normale non dovrebbero essere necessarie riduzioni del dosaggio» ‘probabilmente, generalmente non sono’), manca il congiuntivo (ma potrebbe figurare in frasi subordinate, specie con valore ipotetico eventuale: «Nei casi in cui si sia sviluppata dipendenza fisica» Niotal ®), manca, e sarebbe del tutto inatteso almeno per la seconda persona, l’imperativo. Quanto ai tempi, è quasi generale il presente; al passato prossimo è abitualmente delegato il compito di esprimere un’azione al passato («pazienti in terapia con claritromicina e digossina hanno mostrato un aumento delle concentrazioni sieriche di quest’ultima»), mentre il futuro sembra limitato al verbo dovere con funzione deontica («particolare cautela dovrà essere posta nella somministrazione del farmaco a pazienti con funzionalità epatica ridotta»). Caratteristica la frequenza della diatesi passiva che, senza escludere influssi inglesi,5 risponde allo scopo pragmatico di assicurare la progressione tema-rema, realizzata da dislocazioni nella lingua parlata: «la sicurezza del farmaco riguardo a questo particolare settore non è stata ancora stabilita» (lo stesso concetto sarebbe stato espresso altrimenti in una variante orale, ricorrendo a una dislocazione: la sicurezza del medicinale non l’hanno ancora stabilita). L’uso del passivo, come si può ricavare dall’ultimo esempio citato, è anche un modo per garantire la cancellazione dell’agente, cioè la spersonalizzazione tipica del discorso medico-scientifico (nella frase attiva, il soggetto implicito di hanno sarebbe ovviamente “i medici, gli scienziati”). Tre clinici spagnoli hanno scritto argutamente che in certi articoli scientifici «parece que los autores quedan relegados a un mero papel de comparsas, de firmantes de un artículo que se ha escrito él solo».6 5

Cfr. Gutiérrez Rodilla, La ciencia empieza en la palabra..., p. 271 (ma si terrà conto del fatto che in spagnolo l’uso del passivo è più raro, e quindi più marcato, che non in italiano: cfr. M. Carrera Díaz, Grammatica spagnola, Roma-Bari 20027, p. 550). 6 La citazione è ricavata da Gutiérrez Rodilla, La ciencia empieza en la palabra..., p. 36.

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Ma i foglietti illustrativi non possono dar conto – specie per un tratto come questo – della varietà tipologica dei testi di argomento medico.7 Dovremo almeno distinguere (prescindendo ovviamente dall’uso orale, fortemente incardinato su locutori concreti, nel quale il fenomeno della spersonalizzazione sarebbe eccezionale): a) Casi di effettiva «cancellazione dell’io»:8 oltre ai foglietti illustrativi, è il tipico quadro offerto dai referti strumentali, in cui gli attori dell’indagine (l’analista e il paziente) sono assenti e in primo piano è l’organo indagato o la patologia rilevata: «Colecisti iperdistesa, alitiasica e dilatazione del coledoco», «Presenza di concrezione litiasica a livello del terzo medio del parenchima renale di sinistra». b) Assenza linguistica del medico, ma non del paziente. In un manuale di medicina si fa riferimento a un paziente tipico, astratto: «I primi veri disturbi percepiti dal paziente sono per lo più nell’ambito addominale: senso di peso all’ipocondrio destro, irregolarità della digestione, dolori vaghi e non precisabili».9 Al centro di una cartella clinica è invece un paziente specifico, con chiara indicazione del suo personale quadro clinico e di altri dati (anamnesi familiare e fisiologica) e talvolta persino con l’eco della sua voce, dal momento che il medico può riportare espressioni usate dal paziente per descrivere i propri malesseri. Nel seguente esempio di anamnesi remota relativa a un caso di encefalopatia multiinfartuale (1999) tutte le espressioni tra virgolette, tranne l’ultima, appartengono ai familiari della paziente: Non sa riferire circa i comuni esantemi infantili. Otto anni fa colecistitomia per calcolosi. Circa 10 anni fa riscontro di ipertensione ar7

Per esempio, nell’uso dei tempi l’imperfetto indicativo, improbabile in un foglietto illustrativo, sarebbe di casa in una cartella clinica («In data 13.03.2002 la pz. si sottoponeva ad ecografia transanale» ecc.); per un parallelo con l’uso giudiziario cfr. Mortara Garavelli, Le parole e la giustizia…, pp. 170-171. 8 L’espressione – di Claudia Caffi – è cit. in Sobrero, Lingue speciali..., p. 250. 9 Chiarioni, Le malattie del fegato..., p. 96.

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teriosa. Trenta anni fa ricovero presso il reparto di neurologia dell’Ospedale [...] per “malore”, da cui veniva dimessa con la diagnosi di “grave malattia cerebrale”, ma i parenti non sanno specificare, né sono in possesso della cartella clinica. Da circa 20 anni la figlia nota che la paziente “è sempre stanca”. Dieci anni fa si è verificato un episodio di “euforia”, dopo il quale la paziente si è sempre presentata “depressa”. Presso il Day Hospital psichiatrico della Clinica [...] veniva fatta diagnosi di “sindrome bipolare”. Veniva trattata con elettroshock e terapia farmacologica con Litio, con buon controllo della sintomatologia (attualmente sospesa da diversi anni).

c) Esplicitazione di tutti gli attori coinvolti nella comunicazione. Ciò avviene negli scambi epistolari tra medici10 o nella convocazione di un assistito, oppure in manuali derivati da lezioni pronunciate davanti a un uditorio studentesco (in quest’ultimo caso ci si riferisce a un ben determinato paziente, pur salvaguardandone l’anonimato). Vari esempi del genere offrono le Lezioni... del Murri. Il Murri dice io, ed è spesso un io risentito e polemico: «l’apice polmonare ha una predisposizione infinitamente maggiore della base. Perché? Io non lo so, benché tanti dicano di saperlo» (p. 153). Dice voi – e non il più formale loro – agli studenti, continuamente chiamati in causa: «Se io fossi riuscito a persuadervi di questo, credo che diverreste medici più utili agli altri e più soddisfatti di voi» (p. 85). Fa ampio ricorso al noi inclusivo, specie all’inizio della lezione, come ogni professore: «Oggi abbiamo dinanzi un caso, che metterà in chiara luce quel che io vo ripetendo spesso, spesso» (p. 187). Si riferisce al cosiddetto “cotesto diacronico”, cioè al contesto linguistico precedente o successivo all’enunciazione, com’è normale in un ciclo di lezioni orali, ma non certo nella trattatistica specializzata: «Mi pare d’avervi detto nella lezione passata che le ragioni per giudicare presente il bacillo di Koch in un polmone possono trarsi da due fonti» (p. 147).

10 Alcuni dei quali obbligatori per legge, come la relazione per il ricovero di un proprio assistito; vari modelli in proposito in M. Poccetti, Certificati denunce segnalazioni. Guida pratica per il Medico di Base, s.l. (ma Milano) 1993, pp. 77-90.

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Un risvolto della spersonalizzazione è il ripudio di marcature linguistiche soggettive, a partire dalle oscillazioni sinonimiche, in vista di una descrizione il più possibile perspicua e certa della realtà patologica di volta in volta affrontata. Più di due secoli fa il Pasta poteva dispiegare una ricca gamma di aggettivi per indicare l’aspetto di un organo; la lingua, per esempio, può presentarsi: umida, molle, netta, vermiglia, naturale, spedita, sciolta, pronta, pigra, tarda, imbrogliata, legata, paniosa, mocciosa, moccicosa, imbrattata, sporca, bianchiccia, gialla, gialliccia, oscura, nera, nericcia, nericante, asciutta, arida, secca, riarsa, aspra, ruvida, infuocata o infocata. Lingua arsa e riarsa. Arida e secca. Arsiccia e di color nero.11

Oggi molti di questi aggettivi sono obsoleti e comunque qualsiasi medico giudicherebbe eccessivo un campionario descrittivo così esuberante. Attualmente – non solo in area anglosassone, tradizionalmente più libera rispetto all’eredità linguistica della tradizione – sono in corso tentativi di razionalizzare la terminologia medica, riducendone la ridondanza e l’ambiguità, così da confrontare con sicurezza i dati raccolti dai vari centri. Si può citare per esempio un’iniziativa varata nel 1991 dalla «European Society for Gastrointestinal Endoscopy», la cui versione italiana è stata pubblicata in un opuscolo non commerciale riservato ai medici.12 Ecco una proposta di disciplina terminologica: Un segmento del tubo digestivo può essere descritto in vari modi: assottigliato, ristretto, stenosato o compresso. Tutti questi termini sono stati raggruppati in uno solo: stenosi. Lo stesso termine viene usato anche per descrivere la riduzione di calibro di uno sfintere che non consente il passaggio dell’endoscopio, o che richiede manovre particolari per transitarlo [sic]. Termini che fanno riferimento 11

Cfr. Pasta, Voci, maniere di dire..., vol. I, p. 327. A. Grassi - M. Crespi - S. Brunati (a cura di), Terminologia Minima Standard (MST) e Standards Minimi per la gestione computerizzata dei dati in endoscopia digestiva. Versione 2.0, Firenze 1999. 12

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a forme funzionali come spasmo sono stati evitati a motivo della natura soggettiva del giudizio. Una volta rilevata una stenosi, essa viene caratterizzata da attributi come estrinseca, intrinseca benigna o intrinseca maligna a seconda della probabile causa. Nel caso di compressioni estrinseche ove non si verifichi una stenosi del lume, p. e. nel caso dell’impronta aortica, non deve invece essere usato il termine stenosi.13

2. Sul versante della soggettività: emotività ed eufemismo Oggi è difficile immaginare un testo medico che lasci trasparire le emozioni (sincere o rituali) dell’estensore per la malattia del paziente; ma nel passato, fino a tutto l’Ottocento, un’evenienza del genere era tutt’altro che rara. Nei consulti sei-settecenteschi era di prammatica che il medico introducesse il proprio parere clinico con espressioni di circostanza, dolendosi dei fastidi di un infermo più o meno illustre. Il massimo di effusività è certo raggiunto dal Redi: In questo punto mi comanda l’Illustrissima Signora Imbaciatrice che io dia ragguaglio a Vostra Signoria Illustrissima dell’Illustrissimo Signor Imbaciatore suo consorte ed io lo faccio volentierissimo per riceverne i suoi amorevoli consigli ed aiuti. Mercoledì prossimo passato, ritrovandosi Illustrissimo Signor Imbaciatore assai incatarrato per la stagione assai rigorosa, si affaticò più del solito nello scrivere lettere, onde la notte susseguente al mercoledì travagliò assai [...].14

Anche quando la pratica dei consulti a stampa era cessata da tempo, i grandi clinici, senza timore di violarne la privacy, potevano far riferimento alle malattie di grandi personaggi da lo13

Ibid., p. 19. Cfr. Redi, Consulti medici..., p. 145. E ancora, per esempio, Malpighi («Mi spiace dell’infermità del signor Paolo») o Nigrisoli («[una donna è rimasta incinta] 6 o 7 volte e con sventura veramente compassionevole ha abortito altrettante volte»; cfr., per entrambi, Malpighi, Consulti..., pp. 2 e 58). 14

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ro curati;15 o comunque manifestare all’occorrenza il proprio coinvolgimento emotivo: «Non senza ridestarmi la più grande pietà ricordo un giovane e valoroso chirurgo che finiva la sua vita a 33 anni per una enorme ipertrofia di cuore».16 Più prevedibile è forse l’atteggiamento del Valli, che si rivolge a sacerdoti: si pensi all’epiteto povero che accompagna spesso infermo («del povero infermo», «i poveri infermi», «un povero infermo» ecc.),17 ma anche ad alcune descrizioni analitiche: Se questo versamento è dovuto a malattie croniche, cachettiche, o qual ultimo versamento nelle gravi idropisie (detta acqua al cuore dal volgo) solo puossi compiangere i pazienti sempre semi seduti per l’affanno e in preda alle più penose sofferenze che solo cesseranno colla morte.18

Il medico, per sua e nostra fortuna, non deve fronteggiare solo casi disperati. Davanti agli umani eccessi dei pazienti può fare dell’ironia in una visita a tu per tu, ma certo se ne asterrebbe in un trattato, adeguandosi al registro asettico lì richiesto. Ancora una volta questa prassi, oggi indiscussa, non era affatto tale in un recente passato. Per alludere alle intemperanze sessuali e all’abuso di alcolici da parte di pazienti da loro visitati, due clinici di secondo Ottocento ricorrono allo stesso faceto riferimento mitologico: «[una serie di malattie sessuali in un paziente è] a bastanza spiegata, perché egli candidamente dichiara di aver professato un culto immoderato di Venere»;19 «Questa volta con maggior franchezza confessò essere egli stato assai devoto a Bacco, poco a Venere», 15 Come il De Giovanni, che dalla «storia della malatia [sic] ultimamente superata dall’onorevole Cairoli» vuol «trarre validi argomenti di fatto a sostegno delle cose esposte» nel suo trattato (cfr. De Giovanni, Commentarii..., vol. I, p. 162; ibid., pp. 180-196 viene descritta la malattia di «Don Pedro 2o, Imperatore del Brasile»). 16 Baccelli, Patologia del cuore..., vol. III, p. 143. 17 Valli, Istruzioni mediche..., pp. 72, 75, 78. 18 Ibid., p. 83. 19 Murri, Scritti medici..., vol. II, p. 719.

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«bevitore strenuo e valoroso nelle sfide di Venere»; «niun caso come questo vale a dimostrare come Bacco e Venere sappiano logorare l’esistenza anzi tempo».20

Nella neutralità emotiva rientra anche il rifiuto dell’eufemismo. Ma è necessario distinguere: l’interdizione di àmbito sessuale è stata da tempo rimossa dalle scritture scientifiche rivolte a medici o studenti, mentre è variamente presente in tutte le comunicazioni rivolte al pubblico indifferenziato (divulgazione). In quelle esposte alla lettura di singoli pazienti, che pure non ne sono i destinatari effettivi (referti, rilasciati al paziente ma in realtà interpretabili solo da un medico; cartelle cliniche) può scattare un meccanismo di velatura eufemistica relativo alle malattie. Alcuni acronimi correntemente adoperati in testi del genere, oltre alle consuete esigenze di brevità, rispondono all’opportunità di non presentare brutalmente al paziente una realtà sgradita, pur senza occultarla: di qui Ca o K per ‘carcinoma’ (Ca parotide, K rettale) di LAL per ‘leucemia acuta linfoide’ (anche LLA, con diversa sequenza dei costituenti), di HD ‘Hodgkin Disease, linfoma di Hodgkin’ (qui con doppia barriera protettiva, trattandosi di acronimo inglese). Esigenze eufemistiche possono favorire l’uso di sinonimi meno trasparenti, come il franc. ectasie per anévrysme 21 o l’ital. lesioni secondarie o lesioni ripetitive per ‘metastasi’.22 Tutt’altro il sistema di occultamento verbale messo in atto nella trattatistica medievale; e l’alterità può dipendere anche dalla diversità del destinatario dichiarato. Michele Savonarola nel De regimine pregnantium non evita forme che oggi ci apparirebbero gergali come ocello, oxelazo ‘pene’ e marchese ‘mestrua20

De Giovanni, Commentarii..., vol. I, pp. 260, 286, 329. Cfr. Hamburger, Introduction..., pp. 49-50. 22 Significativamente, lesioni secondarie è il sinonimo consigliato in un articolo che propone alcune regole per raggiungere una maggiore trasparenza del referto per il profano: cfr. V. Cavallo et al., Il referto radiologico e la sua leggibilità, in «La Radiologia Medica», 101(2001), pp. 321-325, a p. 323. 21

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zioni’, ma che rientrano nell’orizzonte linguistico delle mulieres ferrarienses alle quali espressamente si rivolge.23 L’anonimo estensore di un trattatello di poco successivo, rivolto a un pubblico imprecisato (e quindi, per ciò stesso, con ambizioni maggiori), applica una più rigida selezione, ricorrendo a excusationes: «Quando la dompna sopra lo homo iace (io non lo so più honesto dire) è multo dampnoso».24 Anche Leonardo Fioravanti, nonostante il proprio antiterminologismo e la dichiarata opzione per forme popolari, impiega per ‘pene’ sinonimi nobilmente classici (verga e priapo) o iperonimi (membro), adoperandoli a breve distanza l’uno dall’altro;25 e alla fine del XIX secolo lo Hyrtl passava in rassegna i vari sinonimi di “penis” che i vecchi anatomisti avevano spesso attinto dai poeti classici (da veretrum, calco dell’omerico aidós, a nervus e a verpa).26 Non ha così illustre blasone il sostituto eufemistico, ai limiti dell’intelligibilità, che compare in una pubblicità sanitaria del 1872: albero nervoso.27 In generale, il tasso di sinonimia, già molto alto nella medicina del passato, riceve un forte impulso quando è in gioco un meccanismo di interdizione eufemistica: un innocuo termine della fisiologia come “mestrui” convive nella prosa medica di primo Ottocento con una fitta schiera di sostituti (mesi, purghe, corsi lunari, benefici lunari, tributi lunari).28

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Documentazione in Gualdo, Il lessico medico..., pp. 57 e 105; si veda anche Id., Sul lessico medico di Michele Savonarola..., p. 243 e nota 191. 24 Cfr. S. Gentile, Uno sconosciuto «Trattato di igiene e dietetica» di Anonimo tarentino all’alba del ’500, in «Lingua e Storia in Puglia», 6(1979), pp. 35-72, a p. 48. 25 Cfr. Fioravanti, La cirugia..., pp. 31r e 31v. 26 Cfr. Hyrtl, Onomatologia anatomica..., pp. 274-277. 27 «Il Balsamo virile agisce sui centri della vita animale, organica, nervosa, ed in forza di questa guarigione ne viene la contrazione muscolare, l’albero nervoso acquista pienamente le sue funzioni» (cfr. Pontoni, La lingua della pubblicità sanitaria..., p. 18). 28 Cfr. Serianni, Saggi..., pp. 130-133.

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3. La figuralità: metafore e similitudini Qualsiasi linguaggio verbale, anche quello tendenzialmente più neutro (e non è certo il caso della medicina), presenta margini di evocazione e di connotazione. La vocazione figurale della lingua medica potrebbe essere rappresentata dalle immagini, antiche e tutt’oggi in pieno vigore, attraverso le quali la cura della malattie è stata rappresentata da medici e profani nei termini di una guerra contro un nemico più o meno definito: la lotta contro il cancro, una minaccia di collasso, l’attacco dell’infezione, l’invasione dei germi, essere colpiti da ictus, debellare la febbre e così via.29 Ma ciò di cui parleremo in questo paragrafo, toccando due figure classiche dell’immaginazione linguistica, è altro: l’uso dei traslati come strumento conoscitivo, cioè come uno dei mezzi dei quali la lingua dei medici si serve (e soprattutto si serviva nel passato) in vista di una più articolata e precisa rappresentazione della realtà. In epoche in cui non esisteva la diagnostica per immagini, il ricorso alla metafora ha rappresentato il metodo più economico per comunicare nuove acquisizioni descrittive (muso di tinca);30 ieri e oggi procedure del genere possono essere le più indicate per rappresentare un segno patognomonico così come lo descrive o lo descriverebbe un paziente (sensazione di sabbia negli occhi) o come potrebbe rappresentarlo un osservatore esterno (lingua a carta geografica, torace a clessidra). Del resto, anche i referti diagnostici o autoptici non disdegnano la figuralità: abbiamo citato a suo tempo il cuore a scarpa; possiamo aggiungere, per esempio, le lesioni nummulari ‘di forma rotondeggiante, simile a quella di una moneta’, le lesioni polmonari a vetro smerigliato, la mucosa con aspetto ad acciottolato. 29 Cfr. G. Cosmacini, prefazione a B.M. Assael, Il favoloso innesto. Storia sociale della vaccinazione, Roma-Bari 1995, p. VII. Si veda anche S. Sontag, Malattia come metafora, Torino 1979, specie pp. 53ss. 30 Cfr. Gutiérrez Rodilla, La ciencia empieza en la palabra..., p. 151. Diversi esempi di denominazioni espressive nella terminologia medica sono stati dati sopra, alle pp. 124-125.

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Soffermiamoci in particolare sulle similitudini, trascurando le modalità formali di esecuzione e valorizzando invece il rapporto tra figurato e figurante.31 Alcuni paragoni hanno carattere spiccatamente didascalico: si rivolgono cioè ai profani per divulgare, con un’immagine magari semplificata ma di grande evidenza, nozioni più o meno complesse. Limitiamoci a due esempi d’epoca, attingendo ancora una volta alla vivace prosa del Fioravanti. La riduzione di un eccesso (a cominciare dal sangue, salassato per le più diverse patologie) è alla base della terapia medica almeno fino all’Ottocento. Anche il Fioravanti partecipa in questo caso alle convinzioni correnti e suggerisce che il medico dee fare con gli amalati come fa il cuoco quando la pignatta bolle et fa strepito et va per sopra, che ne cava fuori una picciola quantità et così manca il strepito e non va più fuori.32

E il brusco esordio della peste – fonte di terrore nell’immaginario collettivo, che si aggiunge all’obiettiva gravità dell’infezione – gli suggerisce un’immagine di popolaresca efficacia. La peste è simile a uno archibuso che spara la balla percioché, caminando l’huomo per la strada sano e salvo, si sente dare una botta in alcun luoco della persona et subito si stornisce tutto [‘perde coscienza’] et gli viene grandissimo accidente et in brevi hore lo porta via.33

Passiamo alle similitudini “professionali”. Si tratta di procedure tuttora attuali, anche se in declino rispetto all’inventiva del passato; e al passato ci rivolgeremo per esemplificare. Più che spigolare esempi sparsi, conviene soffermarsi su un corpus omo31 Sia lecito rinviare, nonostante la difformità del soggetto, alla bella monografia di C. Berra, La similitudine nei «Rerum vulgarium fragmenta», Lucca 1992 (ivi, pp. 78ss. per i possibili criteri di classificazione formale). 32 Fioravanti, La cirugia..., p. 56r. 33 Ibid., p. 87r.

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geneo per epoca (il primo Ottocento) e in gran parte per tipologia testuale: il grosso è costituito da “storie” cliniche,34 legate alla diffusa consuetudine di pubblicare i minuti resoconti clinici che il medico privato e soprattutto quello ospedaliero avevano modo di raccogliere durante la propria attività. La distanza rispetto al più immediato termine di confronto, i consulti sei-settecenteschi, è assai spiccata. In quelli un medico illustre – del calibro di un Redi, di un Del Papa, di un Morgagni – avanzava le sue ipotesi diagnostiche soffermandosi a lungo sulla terapia. Nelle nostre “storie”, che risentono del profondo rinnovamento scientifico del secondo Settecento, al centro dell’osservazione è il malato, attentamente esplorato in tutte le sue manifestazioni morbose e controllato nei tradizionali parametri clinici (polso, urine ecc.); nel caso di morte dell’infermo, la “storia” si conclude abitualmente col referto necroscopico, minutamente particolareggiato. I compilatori di questi testi sono scienziati illustri come lo Scarpa, il Rasori, il Brera, ma anche oscuri medici di provincia o addirittura studenti universitari (è il caso di alcuni giovani pavesi che pubblicano le loro «osservazioni» negli «Annali Universali di Medicina», d’ora in avanti «AUM»): la descrizione analitica di una malattia e del suo decorso è diventata prassi comune. Ciò non toglie, si capisce, che ogni medico lasci o possa lasciare nelle “storie” da lui redatte una traccia delle sue convinzioni terapeutiche e della sua personalità scientifica. Alcune immagini sono ricorrenti,35 mentre vi sono medici, come l’Acerbi, che dimostrano più fertile inventiva. Ma sarebbe avventato pensare a una mera divagazione letteraria: né più né meno che l’attenta percezione dei colori (su cui ci soffermeremo nel prossimo paragrafo), l’uso dei paragoni è in funzione di una più aderente rappresentazione della realtà. 34

Qui e nel paragrafo successivo riutilizzerò alcune parti di un mio saggio apparso anni fa: Ancora sul linguaggio medico di primo Ottocento, in G. Borghello et al. (a cura di), Saggi di linguistica e di letteratura in memoria di Paolo Zolli, Padova 1991, pp. 373-392. 35 Come l’accostamento di calcoli e tumori a uova di gallinacei o a nocciole.

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Vero è che talvolta si hanno veri e propri squarci lirici come quelli, intrisi di ricordi classici, cui un paio di volte si abbandona l’Acerbi: Questi malati mi presentavano l’immagine di una lucerna cui venghi a poco a poco sottratto l’alimento, che se esso è traboccante la fiamma comincia per farsi più viva, tolto il soverchio; ma poi continuando, di mano in mano che ne sente penuria, s’affioca e finalmente si spegne, se l’esca non si rinnova. Un robusto e giovane soggetto malato di peripneumonia, il quale sia sollecitamente ajutato con larghe missioni di sangue, mi destò spesse volte l’immagine di un orgoglioso fiume che freme gonfio d’acque precipitose, e minaccia d’uscire da’ suoi soliti termini, finché trovando uno scaricatojo si sfoga per quello, e tanto s’abbassa che infine placido scorre e sicuro tra le proprie sponde.36

Motivata dalla situazione descritta (gli effetti potentemente sedativi della morfina) è invece la seguente similitudine del Mazzola:37 osservai però per la prima volta che [l’acetato di morfina] indusse nell’ammalato un languore, come di stanco viaggiatore che arrivato alla meta prefissa sente il bisogno di soffice letto, vi s’adagia sopra, un dolce sonno lo sorprende, svegliandosi poscia soddisfatto e fresco come prima.

Tra i vari tipi di similitudine reperiti nel nostro corpus alcuni sono fondati sul colore come tertium comparationis. Ecco qualche esempio, riunito sotto l’insegna del colore fondamentale: [bianco]: «orine con sedimento che nel colore rassomiglia a farina di frumento» (Acerbi, Medicina pratica..., p. 170); «[un tumoretto delle palpebre] ha un colore biancastro simile a quello del bianco d’uovo cotto» (A. Scarpa, Saggio di osservazioni e d’esperienze sulle principali malattie degli occhi, Venezia 1802, p. 65); 36 37

Cfr. Acerbi, Medicina pratica..., pp. 54 e 95. In «AUM», 40(1826), p. 159.

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[bruno]: «[orine] sì brune che parevano una decozione di foglie di tabacco»; «[in un cadavere] si trovò molta parte dell’intestino tenue livida, gangrenata, e spalmata d’una poltiglia bruna, simile per il colore al cioccolate» (Acerbi, Medicina pratica..., pp. 59 e 160); [giallo]: «[un velo sulla lingua era] cosi intensamente giallo, che l’ho veduto paragonabile al colore stesso dello zafferano» (G. Rasori, Storia della febbre epidemica di Genova negli anni 1799 e 1800, Milano 18062, p. 10); «la lingua fu quasi sempre coperta d’un velo densissimo, giallo quanto l’oro» (ibid., p. 127); «talvolta le orine che erano emesse nei giorni liberi di febbre somigliavano nel colore a purissimo olio di noci, tal altra ad olio d’ulive, od erano di colore ranciato carico; ma pur sempre si mantenevano in questi gradi della giallezza» (Acerbi, Medicina pratica..., p. 16); «le orine nelle ore di calma sono lucide trasparenti, del colore dell’olio di seme di lino» (ibid., p. 46); [rosso]: «[un’escrescenza] ha un colore rosso carico come di lacca» (Scarpa, Saggio..., p. 176); «[alcune vesciche] erano rosseggianti come lamponi» (Acerbi, Medicina pratica..., p. 183); «[sputo] colorato di bile ed insieme di sangue trasudato che gli dà una tinta rossigna-crocea come polvere di mattone» (ibid., p. 112); [verde]: «[orine] verdicce, come sarebbe una tenue decozione acquosa di foglie di cicoria» (ibid., p. 59); [violaceo]: «[le vene di un cadavere dissezionato] mostravano tanto internamente che esternamente un colore paonazzo simile a quello della feccia del vino nero» (L.E. Polidoro, in «AUM», 38(1826), p. 13).

Quanto agli altri tipi, converrà classificarli in base al figurante evocato dalla similitudine, che può riguardare: a) l’àmbito biologico e medico, familiare allo scrivente; b) il mondo vegetale e animale che cade nell’esperienza quotidiana; c) immagini e oggetti eterogenei di immediata evidenza. La relativa larghezza delle allegazioni servirà a dimostrare la varietà dei figuranti ovvero la ricorsività di certe immagini (noce, uovo di gallina ecc.) anche per fattispecie diverse. a) [auricola]: «[nel fondo della vescica di un cadavere si notano] de’

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fasci di fibre muscolari più sviluppati, somiglianti a quelli delle appendici auricolari delle cavità venose del cuore» (G. Arrighetti, in «AUM», 32(1824), p. 70); [epidermide]: «[la crosta della lingua si staccava] come si staccherebbe l’epiderme da una parte del corpo immersa nell’acqua bollente» (Rasori, Storia..., p. 111); [feto]: «[un’esostosi sullo sterno] produceva un rialzo della grossezza non minore della testa di un feto» (C. Vigna, in «AUM», 34(1825), p. 77); [testicolo]: «la sostanza da cui era formato il tumore era ghiandolare, qua e là segnata da punti neri, la quale non saprei meglio paragonare che ad un testicolo, di consistenza però un po’ maggiore» (A. Basletta, in «AUM», 35(1825), p. 89). b) [albume d’uovo]: «le fungosità sono dell’aspetto e della consistenza dell’albume dell’ovo indurito» (G. Regnoli, in «AUM», 35(1825), p. 349); [farina]: «squamme decidue, pulverulente, bianche, e talvolta morbide come il gesso, o il fior di farina» (V. Chiarugi, Delle malattie cutanee sordide, Firenze 1807, vol. II, p. 15); «[urine] talora torbide, con posatura bianca simile a farina di frumento» (Acerbi, Medicina pratica..., p. 24); [gozzo di gallinaceo]: «[una varice] offriva per i moltiplici suoi giri serpentini la figura di un gozzo ripieno di un gallinaceo» (P. Ghidella, in «Nuovi Commentarj di Medicina e di Chirurgia», 4(1819), p. 457); [limone]: «[un tumore] trovavasi del volume di un grosso limone» (C. Bombasotti, in «AUM», 31(1824), p. 226); [lombrico]: «[una varice] obliquamente discendendo attraversava posteriormente la gamba, terminando al malleolo esterno a guisa di un lombrico che girasse in torno a zic zac al malleolo stesso» (P. Ghidella, in «Nuovi Commentarj di Medicina e di Chirurgia», 5(1819), p. 457); [mela]: «si trovarono [...] una quantità di idatidi di una grossa mole e moltissime poi della grandezza di una piccola mela, e di una no-

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ce» (L. Angeli, Sale marino uscito dalla piaga d’un piede ecc., Imola 1819, p. 41) [miele]: «quel voto che nasce nell’apertura di ciascheduna flittene è ripieno di sanie giallastra e glutinosa, simile al miele» (Chiarugi, Delle malattie cutanee..., vol. II, p. 193); [nocciuola]: «all’ottavo giorno il tumore aneurismatico non era più grosso di una piccola nocciuola» (C. Bombasotti, in «AUM», 31(1824), p. 231); «due calcoli della grossezza d’una nocciuola» (G. Arrighetti, in «AUM», 32(1824), p. 64); «un tumoretto della grossezza di una nocciuola» (A. Basletta, in «AUM», 35(1825), p. 86); alcune vesciche avevano «un volume vario, sebbene maggior d’una nocciuola» (A. Asdrubali, in «AUM», 40(1826), p. 413); [noce]: «un grumo [di sangue] era della grossezza di una noce» (Acerbi, Medicina pratica..., p. 199); «[l’orifizio della matrice] vedevasi aperto a misura di potere accordar adito ad una noce avellana» (Angeli, Sale marino..., p. 57); «una vescichetta rotonda e fluttuante, rosso-livida della grossezza di una buona noce» (G. Palmitesse, in «L’Osservatore Medico», 10(1832), p. 139); «un tumore grande poco più di una noce» (Magistretti, Raccolta..., p. 17). Si veda anche s.v. mela; [pesca]: «nel dopo pranzo del giorno 29 sbuccarono nuovamente in copia le idatidi; alcune delle quali erano del volume di un persico, altre minori» (Angeli, Sale marino..., p. 40); [pisello]: «tre calcoli della grandezza di un pisello» (M. Lolatte, in «L’Osservatore Medico», 11(1833), p. 139); [pomo]: «un’ernia ventrale del volume di un grosso pomo» (L. Frank, in «AUM», 33(1825), p. 211); [semi (grani) di miglio]: «alcune erosioni dei tegumenti [...] simili ai semi di miglio» (Chiarugi, Delle malattie cutanee..., vol. II, p. 37); «i bulbi [...] sempre voluminosi perfino a sembrare un grosso seme di miglio» (ibid., p. 102); «pustule simili a grani di miglio» (Acerbi, Medicina pratica..., p. 56); [uovo]: «un calcolo biliare della grossezza di un uovo gallinaccio» (Acerbi, Medicina pratica..., p. 27); «[l’utero] sporgevasi fuori delle pudenda al volume di un grosso uovo di pollo d’india» (Angeli, Sale marino..., p. 56); «era già divenuto il tumore della grossezza di un uovo di oca» (C. Bombasotti, in «AUM », 31(1824), p. 229); «l’estrazione della pietra che avea il volume d’un uovo gallinaceo» (G.

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Arrighetti, in «AUM», 32(1824), p. 65); «riscontrai il tumore del volume d’un grosso uovo di gallina» (L. Folcieri, in «AUM», 33(1825), p. 218); «un tumore molliccio e grosso come un uovo di gallina» (C. Vigna, in «AUM », 34(1825), p. 77); «il tumore [...] della grossezza di un uovo gallinaccio» (A. Basletta, in «AUM», 35(1825), p. 87); «un globo della grossezza quasi dupla di un ovo di oca» (anonimo, in «AUM », 36(1825), p. 381); «la pietra estratta presentò il volume d’un piccolo uovo di gallina» (C.L. Calza, in «AUM », 39(1826), p. 73); «nella sostanza del ventricolo sinistro stava un ascesso da contenere un ovo di colombo» (C. Speranza, in «AUM», 40(1826), p. 109); «vesciche voluminose quanto un uovo di pollo» (A. Asdrubali, in «AUM», 40(1826), p. 414). c) [anellino]: «le pupille, che in principio erano molto dilatate e ridotte quasi alla forma di un anellino [...], sono molto ristrette» (L.E. Polidoro, in «AUM », 38(1826), p. 209); [corda]: «una venuccia grossa quanto una più tenue corda di violino» (P. Ghidella, «Nuovi Commentarj di Medicina e di Chirurgia», 5(1819), p. 462); «il tumore della vena sembrava una corda elastica e tesa» (ibid., p. 465); «i polsi si rifecero duri e tesi qual corda metallica» (G. Del Chiappa, in «AUM», 40(1826), p. 405); [creta]: «erano que’ calcoli nericci, lucenti, screziati di giallo, fragili, di dentro cinereo-giallastri e d’una sostanza simile a creta» (Acerbi, Medicina pratica..., p. 27); [fontana]: «[una varice aperta] gettava non diversamente che una fontana a fior di terra» (P. Ghidella, in «Nuovi Commentarj di Medicina e di Chirurgia», 5(1819), pp. 480-485); [gesso]: cfr. lista b) s.v. farina; [lavatura di carne]: «siero simile alla lavatura di carne» (P. Ghidella, in «Nuovi Commentarj di Medicina e di Chirurgia», 5(1819), p. 464); [moneta]: «la bocca dell’utero [...] era della grandezza di una lira italiana» (L. Balardini, in «AUM», 38(1826), p. 38); [scorza]: «la membrana interna dell’aorta si staccava con facilità, e come precisamente la scorza d’un ramo verde ecc.» (P. Dall’Oste, Prospetto de’ risultamenti ottenuti nella clinica medica dell’I.R. Università di Padova ecc., Padova 1817, p. 90);

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[spillo]: «due corpetti […] della grossezza di una buona testa di spillo» (G. Palmitesse, in «L’Osservatore Medico», 10(1832), p. 139).

4. I colori Lo stesso corpus di testi utilizzato per esemplificare le similitudini ci servirà per saggiare la varietà e l’incidenza dei nomi di colore in àmbito anatomico e patologico. Si tratta di un settore in cui la soggettività è massima: non solo per la ben nota variabilità nella suddivisione dello spettro solare – da una lingua all’altra o all’interno della stessa lingua, in diversi momenti della sua storia – ma anche per la diversa sensibilità individuale nella percezione e nella classificazione dei colori. Guardare al passato è qui più che mai opportuno. Le denominazioni di colore dominavano, come vedremo, in quello che è stato a lungo il caposaldo della diagnostica: l’analisi delle urine. Ma oggi indicazioni del genere sono molto più sommarie, dal momento che l’esame macroscopico, generico e orientativo, è superato da indagini più decisive e puntuali di tipo microscopico e chimico. In un recente manuale, per esempio, si contemplano solo i colori fondamentali: giallo, arancio, verde, rosso, marrone.38 Enrico Acerbi dava molto spazio all’analisi delle urine e alla relativa colorazione, sottolineando la difficoltà di un’adeguata rilevazione dei dati: Il giudizio delle orine trasparenti lo derivo dal colore, che può essere acqueo, verdiccio, citrino, ranciato, rossigno, lionato, filigginoso, rugginoso, nericcio, ec. Queste tinte non sono sempre uniche e determinate, ma si mescolano; e quindi le orine hanno talvolta un colore che nel giallo rosseggia, o fra giallo e tanè, ed altre varietà mostrano che non è facile di significare con parole ma che un occhio esercitato sa ben distinguere e valutare. Gli stessi colori semplici che prendono le orine sono diversi secondo il digrada38

Cfr. G. Pigoli, Gli esami di laboratorio. Prescrizione e interpretazione, Torino 2002, p. 235.

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mento dal più chiaro al più scuro; ed anche in questa parte non si può colla descrizione supplire all’atto del vedere, se non forse imperfettamente con qualche similitudine.39

La particolare attenzione al colore da parte dell’Acerbi si traduce in un gusto, starei per dire pittorico, che lo spinge a sottili e talvolta impalpabili distinzioni. Nella “storia” di una «Febbre quartana combattuta prima coi purganti e vinta in fine colla china e con l’oppio»,40 le urine dell’ammalato sono prima definite «giallicce splendenti» (17 ottobre), poi «tenui acquose durante il rigore, e un po’ torbide giallicce sul declinare del calore» (19 ottobre), «copiose, giallicce, chiarissime» (20 e 25 ottobre), «leggiermente citrine trasparenti» (25 ottobre).41 Della soggettività di giudizio in materia di percezione dei colori fa fede la rarità di chiose sinonimiche. È vero che l’Acerbi parla di un’urina «di color croceo o pagliarino» e il Puccinotti di una cute di colore «perlato o alabastrino» o di tinta «leggermente rossigna o rubeolacea»:42 ma sono eccezioni. In generale – e a differenza di quanto avviene con i tecnicismi specifici, spesso accompagnati da sinonimi – si è consapevoli che non è possibile suggerire la sfumatura del colore osservato e si preferisce rinunciare all’addensamento di voci equivalenti. Ma non è solo l’esame delle urine ad accendere l’inventivività linguistica dei medici del passato. Ecco un campionario esemplificativo di altri designata suscettibili di essere descritti anche in base al colore: [sangue]: «il sangue mostrò veramente cotenna densa di color bianco-giallognolo» (Acerbi, Medicina pratica..., p. 36);

39

Acerbi, Medicina pratica..., pp. 259-260. Ibid., pp. 43-44. 41 Parrebbero sostanzialmente sinonimiche le denominazioni di splendenti e chiarissime, da un lato, e di giallicce e leggiermente citrine, dall’altro. 42 Cfr. rispettivamente Acerbi, Medicina pratica..., p. 270 e F. Puccinotti, Collezione delle opere mediche, vol. V, Macerata 1836, pp. 153 e 154. 40

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[feci]: «[scariche alvine] di colore bilioso» (A. Basletta, in «AUM», 35(1825), p. 90); [materie vomitate o sputate]: «vomitò ripetutamente scarse materie rugginose» (Acerbi, Medicina pratica..., p. 163); «gli sputi erano in gran parte acquosi, ma tra questi alcuni ne nuotavano che sembravan fiocchi oscurognoli che davano di molto sospetto» (Dall’Oste, Prospetto..., p. 47); [muco, pus]: «le marce si presentarono di un colore di caffè» (F. Paganini - D. Ricciardelli, in «Nuovi Commentarj di Medicina e di Chirurgia», 5(1820), p. 58); [formazioni patologiche: varici, esantemi ecc.]: «[una varice] in forma di bolla bianca-bleu» (P. Ghidella, in «Nuovi Commentarj di Medicina e di Chirurgia», 5(1819), p. 480); «esantemi miliariformi con ispandimenti rubeolacei» (Puccinotti, Collezione..., vol. V, p. 151); [alterazioni anatomo-patologiche]: «la cute non è aggrinzata, ma si fa pellucida e alquanto tumida, prendendo alle gote e sul dorso delle mani e de’ piedi un colore perlato o alabastrino, quasi simile a quello dell’albinismo» (ibid., p. 153), «lingua lardacea» (A. Codemo, in «AUM», 40(1826), p. 194).

Nella gran parte dei casi una stessa nozione è qualificata in diversi modi dai vari medici. Il colore ‘livido’ della pelle e in particolare del viso è detto per esempio bluastro, piombino, plumbeo, terreo, turchino oltre che livido, e uno stesso clinico, il Liuzzi, dispiega in proposito ben quattro sinonimi.43 Alcune particolari denominazioni ricorrono solo in un autore (di lionato in riferimento alla colorazione delle urine non ho trovato esempi all’infuori dell’Acerbi);44 altre tendono a una tal quale specializzazione (come flammeo detto delle urine, che figura sia nell’Acerbi sia nel Puccinotti;45 oppure, restando nello stesso àmbito specialistico, come citrino e pagliarino – o paglierino – a tutt’oggi presenti nei referti dell’analista); altre ancora pre43 E precisamente: «colore bluastro della pelle», «faccia livida e scontraffatta», «color terreo della pelle», «estremità gelate e di color turchino» (Liuzzi, Osservazioni..., pp. 82, 88, 94).

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sentano una vasta gamma di applicabilità (come nericcio o lardaceo). Riducendo al massimo l’ulteriore documentazione puntuale (e omettendo le varianti formali),46 ci limiteremo qui a una classificazione delle denominazioni di colore che sia adeguata a mostrarne la varietà. Possiamo individuare sei gruppi: 1. Aggettivi che nella loro accezione primitiva e fondamentale indicano un colore; distinguibili in semplici (rosso, verde, giallo ecc.) e alterati (rossiccio, verdastro, giallognolo ecc.). Costituiscono il tipo più banale; mette conto, però, registrare la varietà dei suffissi: -astro (biancastro, bluastro, giallastro, nerastro, rossastro, verdastro), -etto (gialletto), -iccio (bianchiccio, cenericcio, gialliccio, nericcio, rossiccio, turchiniccio, verdiccio), -igno (rossigno), -ognolo (azzurrognolo, giallognolo, nerognolo, oscurognolo, verdognolo). 2. Aggettivi doppi le cui componenti indicano due colori diversi; il composto qualifica di norma un grado intermedio compreso nell’arco dello spettro individuato dai due aggettivi. Esempi:47 albo-cereo, atro-purpureo, bianco-bleu, bianco-giallo, bianco-giallognolo, bianco-roseo, bianco-verdognolo, chermisì-turchiniccio, cinereo-giallastro, giallo-azzurro, giallo-biancastro, giallo-verdastro, giallo-verde, giallo-verdognolo, grigio-nero, rossastro-livido, rossicciocinereo, rossiccio-ranciato, rossigno-croceo, rossigno-ranciato, rosso-livido, rosso-nero, verde-nerastro. 3. Aggettivi doppi in cui il primo aggettivo indica un colore e l’altro ne contrassegna il carattere chiaro-scuro o lucente-opaco ovvero fa riferimento a una realtà esterna assunta come esempio tipico del colore stesso (giallo di oro, roseo incarnato): 44

Ben tre esempi: «[urine] di color lionato chiaro», «di colore lionato scuro», «di colore lionato filigginoso» (Medicina pratica..., pp. 41, 69, 265). 45 Cfr. rispettivamente Acerbi, Medicina pratica..., pp. 23 e 68 e Puccinotti, Collezione..., vol. V, p. 159. 46 Documentazione completa in Serianni, Ancora sul linguaggio medico..., pp. 379-386. 47 Per comodità, generalizzo il trattino tra le due componenti e lo elimino nei composti del gruppo successivo (l’uso è oscillante nei testi).

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bianco fosco, croceo carico, fulvo carico, giallo bruno, giallo cupo, giallo di oro, giallo fosco, giallo oscuro e scuro, giallo ranciato, giallo torbido, ranciato carico, roseo incarnato, rosso carico, rosso cupo, rosso fiorito, rosso flammeo, rosso fondo, rosso fosco, rosso pallido, rosso ranciato, rosso scuro, rosso vivo, rubicondo fosco, verde bruno. 4. Aggettivi di relazione tratti da termini che indicano un designatum tipicamente dotato di un certo colore (croceo ‘del caratteristico colore giallo intenso proprio dei pistilli dello zafferano’ e simili): acqueo, alabastrino, amarantaceo, cereo, ceruleo, cenerino (con cinereo, cenericcio, cinerizio, cinerognolo), citrino, cretaceo, croceo, flammeo, lardaceo, latteo (con latticinoso), lionato, pagliarino, perlato, piceo, piombino (con plumbeo), porporino (con purpureo), rugginoso, terreo, vinoso. A parte, perché il rapporto con la base non è più trasparente, ranciato («orine di colore ranciato carico»: Acerbi, Medicina pratica..., p. 16). 5. Aggettivi di relazione tratti da termini di àmbito biologico, con motivazioni varie: in bilioso (vedi l’esempio citato s.v. feci) può valere il riferimento al colore giallastro della bile o al colorito itterico caratteristico degli ammalati di fegato; epatico48 potrebbe significare ‘rosso bruno’, con allusione al colore dell’organo, o ancora una volta ‘giallastro’ con allusione all’ittero; in splenico l’inatteso significato di ‘azzurrognolo’ è assicurato dal contesto.49 6. Sostantivi indicanti designata dal colore caratteristico, richiamati come termini di riferimento esemplari e universalmente noti (perlopiù introdotti dal sintagma colore di: colore di caffè e simili); amaranto, caffè, cenere, mattone, oro terso, rubino.

48 «La scarlattina cambia anch’essa di colore [...] prendendo talvolta anche un colore epatico» (Puccinotti, Collezione..., vol. V, p. 148). 49 Questo l’esempio: «dove il contagio determina l’esantema, ivi la macchia dee farsi per mancanza di sanguigna ossigenazione azzurrognola. Che però cotesto colore splenico non sia indispensabile all’esantema cholerico si vede dalle metamorfosi ch’egli subisce ecc.». (ibid., p. 148). Il colore della milza, come si sa, è rosso porpora: ma l’organo era

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È ben nota la vivacità e la polimorfia delle indicazioni di colore nell’àmbito della moda;50 ma, se non m’inganno, l’incidenza del colore nelle “storie mediche” era insospettata.51 5. Per concludere Il tema di questi ultimi paragrafi ci ha ricondotto al punto da cui avevamo preso le mosse nel capitolo iniziale: cioè alle componenti più tipicamente umanistico-letterarie – e quindi suscettibili di un’impronta individuale – che nella lingua medica si possono rinvenire fino al recente passato e che convivono con la forte istituzionalizzazione propria da tempo di questo linguaggio settoriale. La medicina ha spesso rapporti con la letteratura. Dei due grandi che hanno fondato la tradizione poetica italiana, Petrarca (l’abbiamo ricordato) era un fiero avversario dei medici, ma Dante, che si iscrisse all’arte dei medici e speziali, fu sovente rappresentato dalla tradizione iconografica vestito da talora descritto altrimenti dalla trattatistica del tempo: cfr. G. Buchan, Medicina domestica, trad. it., Padova 1789, vol. V, p. 205 (la milza «è una massa cilestra vergente al rosso»); Fattori, Guida..., vol. I, p. 242 («La milza è un viscere [...] di color quasi livido»). D’altra parte, come per epatico, è possibile che si alluda al colorito considerato tipico dei sofferenti di disfunzioni della milza: «Gli effetti più ordinarii delle ostruzioni sono [...] la faccia giallognola negli epatici, e piuttosto livida o piombina ne’ lienosi» (Monteggia, Istituzioni chirurgiche..., parte III, sezione II, p. 205). 50 Si veda, per un’epoca vicina a quella delle nostre “storie”, la ricca documentazione di P. Zolli, L’influsso francese sul veneziano del XVIII secolo, Venezia 1971, pp. 75-85. Ma anche negli umili corredi delle contadine piemontesi del XVII secolo le sfumature cromatiche hanno una loro importanza: cfr. A. Rossebastiano, Il corredo nuziale nel Canavese del Seicento. Contributo alla storia della lingua e della cultura, Alessandria 1988, pp. 78-85. 51 Insospettata, ma non insospettabile se pensiamo alle numerose denominazioni tuttora correnti in medicina che si fondano, talora immaginosamente, su denominazioni di colore: dalla lingua a lampone nella scarlattina, alle feci a purea di pisello nell’acme del tifo, all’urina color lavatura di carne che contrassegna l’ematuria di origine vescicale (mentre l’urina color marsala orienta verso l’origine renale).

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medico, col caratteristico lucco rosso.52 Più spesso sono i medici che si appassionano alle lettere e alle arti: ancora nel secolo appena trascorso il fisiologo Luciani ricorreva alla poesia e alla musica per esemplificare il funzionamento dell’appetito sessuale (e questo in un manuale universitario, dunque nella convinzione di evocare riferimenti culturali familiari al pubblico di studenti a cui si rivolgeva); in anni vicinissimi a noi il patologo Chiarioni si soffermava con impeccabile competenza etimologica, anch’egli in un manuale, a discettare sul legittimo genere grammaticale di menarca.53 Se curiosità intellettuale e competenza linguistica variano da medico a medico (come per qualsiasi altro individuo, del resto, a cominciare dai professori di lettere), ciò che ne caratterizza l’abito professionale è l’attenzione alla parola e la ricchezza del bagaglio terminologico. Questa centralità della comunicazione verbale, rispetto alla formalizzazione propria della matematica o della chimica, ha allontanato il medico da scienziati con i quali egli condivide necessariamente una parte del sapere e semmai lo ha avvicinato – almeno fino alle soglie del Duemila – al giurista, attento a calibrare il puntuale significato di un termine in relazione a una ben delimitata fattispecie e insieme sensibile alla secolare tradizione linguistica che grava sulle parole del diritto. Né questo è il solo tratto condiviso. Come quello medico, il linguaggio giuridico ricade in buona misura nella lingua comune: di istantone sa solo chi si occupa di fisica (e per capire che cosa voglia dire un termine del genere non basta il vocabolario, ma occorre qualche dimestichezza con la meccanica quantistica); invece le parole che indicano le malattie e i disturbi più comuni con i relativi accertamenti diagnostici, così come quelle che ruotano intorno ad alcuni fondamentali eventi della vita associata (compravendite, testamenti, liti), cir52 Cfr. M. Rak, voce medicina in Enciclopedia dantesca, Roma 1970-1978, vol. III, pp. 880-882; sulla presenza della medicina nella Commedia cfr. P. Bertini Malgarini, Il linguaggio medico e anatomico nelle opere di Dante, «Studi danteschi», 61(1989), pp. 29-108. 53 Si veda sopra, rispettivamente alle pp. 42-43 e 27 nota 53.

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colano largamente di là dai settori originari, anche se banalizzando e alterando la semantica originaria. Nel caso della medicina, come abbiamo visto, la detecnificazione di una nozione può favorire un sostituto generico (esaurimento nervoso), portare alla semplificazione di un sintagma sacrificando l’elemento informativo (pressione per ‘pressione alta’: «Ho la pressione»), oppure dar vita a veri e propri malapropismi (dal diffuso prospera ‘prostata’ al tipo delizia ‘itterizia’, attestato nei dialetti in Liguria, Sardegna, Umbria).54 Per quanto riguarda il diritto, invece, il caso più comune è rappresentato da vocaboli che usurpano il significato di altri termini contigui e che entrano correntemente nella lingua comune, anche di persone cólte. Una frase banalissima come «Ho lasciato la macchina in divieto di sosta e mi hanno fatto la multa; domani andrò a pagare la contravvenzione» contiene due errori dal punto di vista giuridico: la contravvenzione indica un tipo di reato, meno grave del delitto (e non la pena pecuniaria da pagare), mentre la somma da versare per estinguere una contravvenzione è l’ammenda, non la multa (prevista per i delitti).

Non solo. Medicina e diritto offrono, più di qualsiasi altro àmbito specialistico, una cospicua rappresentanza di tecnicismi collaterali: in parte trasparenti, in parte ambigui perché collidenti con accezioni comunemente in uso. Di quelli medici abbiamo parlato abbastanza, anche per coglierne gli antefatti nei testi del passato. Per quelli giuridici si può citare un solo esempio, attinto dal Codice di procedura civile: l’art. 2 recita che «La giurisdizione italiana non può essere convenzionalmente derogata a favore di una giurisdizione straniera»: l’avverbio vale in questo caso, secondo l’etimo latino, ‘in base a un accordo tra le parti (volto a escludere la giurisdizione italiana)’, mentre nella lingua corrente ha spesso il significato, attenuato, di ‘secondo la tradizione, per abitudine’ («Convenzionalmente il Medioevo si fa iniziare nel 476 d.C.»).55 54

Si veda sopra, rispettivamente alle pp. 126, 71, 70. Sui tecnicismi collaterali del diritto cfr. Mortara Garavelli, Le parole e la giustizia…, pp. 16ss. e Serianni, Italiani scritti…, pp. 112-118. 55

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Il linguaggio medico ha il suo fulcro nel lessico. Non nel senso che il lessico esaurisca gli aspetti linguisticamente rilevanti, tutt’altro. Ma nel senso che i tecnicismi rappresentano una costante che travalica l’infinita varietà delle strutture sintattico-testuali accompagnando costantemente qualsiasi testo, scritto o orale, rivolto a destinatari esperti o al largo pubblico, antico o moderno. La quota e la qualità dei tecnicismi varia naturalmente a seconda della tipologia testuale. Immaginando una serie di cerchi concentrici, potremmo individuare almeno tre zone. Nella prima, rappresentata dal cerchio più interno, andrebbero collocati i referti compilati da medici e rivolti ad altri specialisti o all’amministrazione: irti di tecnicismi settoriali, con largo ricorso ad acronimi e fortemente legati al contesto. Nella seconda, i testi rivolti a medici (riviste specializzate, ormai prevalentemente destinate ai medici di famiglia, visto che quelle più ambiziose sono sempre più largamente scritte in inglese: cfr. pp. 183-184) o a studenti (manualistica universitaria, all’occorrenza consultata anche dal medico maturo per richiamare alla memoria una nozione): qui i tecnicismi sono di più larga circolazione – ci aspettiamo di trovarli registrati in buona misura in un dizionario specializzato e persino in un dizionario dell’uso – e il grado di esplicitazione è elevato, come si conviene a testi dati alle stampe e concepiti per un pubblico largo e tendenzialmente persistente nel tempo. Nella terza, i testi rivolti in primo luogo ai profani: rubriche sanitarie nei quotidiani, foglietti illustrativi di medicinali “da banco”. Naturalmente, come avviene per qualsiasi classificazione che ambisca a comprimere entro categorie ben definite la complessità del reale, i confini non sono mai così netti. Intanto, per alcune tipologie testuali l’individuazione del destinatario dichiarato contraddice i requisiti linguistici (emblematico il foglietto illustrativo del neo-Optalidon®, sul quale ci siamo soffermati a p. 254). Soprattutto, una partizione del genere non tiene conto del multiforme atteggiarsi dell’uso orale. Da un lato, il profano coinvolto in problemi di salute può, se appena istruito, parlare con cognizione di causa e con una certa esattezza terminologica dei propri malanni e dei relativi accerta-

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menti diagnostici; dall’altro, il medico può ricorrere a brachilogie familiari parlando con un collega (bianchi per ‘globuli bianchi’: p. 125), dispiegare lo straniante armamentario della terminologia specialistica con il paziente e sovrastarlo dall’alto del proprio potere e della propria autorità, ma anche sforzarsi di mettersi al suo livello, evitando i tecnicismi o almeno munendoli di una glossa. E l’intera comunicazione di argomento medico – in primo luogo quella orale, ma anche quella scritta – è in qualche misura condizionata dalla velatura eufemistica, che favorisce nei referti l’ampio ricorso a sigle, impenetrabili per il malato, ma può spingere anche chi scriva un trattato – e dunque non si misuri col dramma di casi reali – a preferire il latino obitus o exitus per evitare la crudezza di morte (cfr. pp. 172-173). Un treno di sintomi muove dal presente, ma il passato, si può dire, trapela in ognuno dei suoi otto capitoli. Lo stesso titolo – suggerito dal direttore editoriale, ma accettato di buon grado da chi scrive – riprende l’espressione di un medico del Settecento56 che oggi non si userebbe più, sostituita da quadro, corredo o coorte di sintomi. In un caso del genere, un medesimo significato è rappresentato da diverse soluzioni formali. Altre volte, la stessa coppia significante-significato è venuta meno dall’orizzonte linguistico del medico contemporaneo: nel XVII secolo, per esempio, piacevole poteva valere ‘blando’ (un farmaco o un presidio terapeutico, come il serviziale piacevole di cui parla il Redi, cfr. sopra, p. 164) o ‘benigno’ (come la colera putrida piacevole nel Susio: «il corso di colera putrida che sia piacevole fa l’erisipila»).57 Ma c’è una situazione più complessa per affrontare la quale, a parte alcuni esempi di facile interpretazione, occorrerebbe la competenza dello storico della medicina oltre che dello storico della lingua: ed è quando ci si misura con si56

Michele Sarcone: cfr. p. 95. Cfr. M. Motolese, Lo male rotundo. Il lessico della fisiologia e della patologia nei trattati di peste in volgare fra Quattro e Cinquecento, Roma 2004, p. 249. Altri noti casi di detecnificazione sono nostalgia (detecnificazione totale) e malinconia (parziale): cfr. sopra, pp. 104-106. 57

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gnificanti rimasti in uso nel corso dei secoli (e spesso risalenti alla medicina greco-romana) il cui significato è mutato più o meno radicalmente: si pensi al valore di bronco o arteria (su cui cfr. pp. 93 e 101) o anche a tumore, che prima di assumere l’attuale significato di ‘neoplasia’, ha a lungo avuto il significato etimologico, oggi obsoleto, di ‘tumefazione’.58 Ciò che, di là dai secoli e dalle rivoluzioni della scienza, accompagna il medico del passato e del presente è – lo ribadiamo – l’attenzione alla lingua, alla precisione terminologica. Solo un medico, oltre a un letterato, poteva manifestare tanta attenzione alla veste linguistica di annotazioni scritte per uso privato, come fa il settecentista Gentili con le sue osservazioni necroscopiche (cfr. pp. 164-166). E pochi testi possono dare il senso di un abito mentale che non viene meno nemmeno di fronte a un forte coinvolgimento emotivo come le Annotazioni nelle quali Antonio Cocchi descrisse la morte dell’amatissima moglie Gaetana. Il Cocchi ricorda il «maraviglioso coraggio» della morente, alimentato dalla comune fede in Dio, le supreme consegne, materiali (l’«anello benedetto del suo sposalizio») e spirituali, l’ultimo bacio scambiato tra i due coniugi («mi chiese un bacio e me lo rese molto amoroso»). Ma, passando alla fase del delirio, quella terminale, si direbbe che il medico prenda il sopravvento sul marito: il Cocchi descrive con cura gli ultimi eventi, anche irrilevanti, come se compilasse la cartella clinica di un infermo qualsiasi («bevve forse otto o dieci once di vino bianco»), indica i segnali che fanno presagire la prossima morte, come la 58 Giambattista Vico, all’inizio della sua autobiografia (scritta in terza persona), ricorda una rovinosa caduta da una scala da lui subìta all’età di sette anni, dopo la quale restò «ben cinque ore senza moto e privo di senso, e fiaccatagli la parte destra del cranio senza rompersi la cotenna, quindi dalla frattura cagionatogli uno sformato tumore, per gli cui molti e profondi tagli il fanciullo si dissanguò» (Vico, Vita scritta da sé medesimo, in Opere, a cura di A. Battistini, Milano 1990, vol. I, p. 5). Vico, che oltretutto era stato discepolo del medico e letterato Leonardo Di Capua, si esprime correttamente, secondo la terminologia dell’epoca: dissanguarsi vale ‘perdere molto sangue’ (ma non fino al punto di morirne) e tumore significa per l’appunto ‘(vistosa) tumefazione’.

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carfologia («floccos legebat»), si preoccupa di graduare l’intensità delle manifestazioni rilevate («leggierissima ebrietà» viene sostituito da «leggiera ebrietà») oltre che di correggere la forma italiana, adeguandola meglio al contesto («domandò» diventa «disse»):59 Dopo questo si manifestò a poco a poco il delirio. Onde io stimai pio ufficio il farlo almeno esser lieto e perciò le offersi del biscotto di Savoia intinto nel vino bianco, il quale ella mangiò avidamente e bevve forse otto o dieci once di vino bianco più volte mescolato con altrettanta acqua. Ella divenne allegrissima quasi in una leggierissima leggiera ebrietà. Diceva moltissime cose coerenti e savie; mi disse trall’altre che osservava di non sentire dolore e che tutta la sua vita se le raccoglieva intorno al cuore. Sentiva freddo in tutte l’altre parti. Mi disse ancora ch’ella era diventata idropica, il che era vero, e che si sentiva immensa. Ebbe voracità. Mi domandò disse in ultimo ch’ella avrebbe voluto sapere che cosa io credeva: né potei io saper su che, perché già le andava mancando la favella. Si voleva levare e sosteneva che quello non era il suo letto; alle volte floccos legebat ma poco. Le mani le diventavan fredde. Alla fine s’alzò e io la sostenni per di dietro e dandomi un fisso sguardo s’abbandonò né più parlò ed in un 4° d’ora soavemente morì.

59

Ricavo il brano da Weber, Aspetti poco noti…, pp. 44-46, con qualche intervento frutto della collazione con il manoscritto conservato a Firenze, Biblioteca Medica di Careggi (segnatura: R 207.24.III). Indico le cancellature in modo iconico, l’aggiunta interlineare in apice e in corpo minore, sciolgo le abbreviazioni, rammoderno l’interpunzione e l’uso degli accenti.

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INDICE DELLE FORME E DEGLI ARGOMENTI

Le forme, in corsivo, sono state di norma tipizzate (verbi all’infinito, sostantivi al singolare, aggettivi al maschile singolare); eventuali varianti grafiche sono indicate tra parentesi; una sbarretta separa le forme concorrenti. Gli argomenti sono in carattere tondo. Si registrano una volta sola, col numero della pagina, le cose di cui si parla sia nel corpo della pagina sia in nota.

a con valore modale (a carattere ecc.: tecnicismo collaterale) 135136, 230, 233 abbreviazioni non sistematiche (in G. Gentili) 165 abgas (arabismo) 178 abile a 162 abortive, pratiche 61 abulia, abulico 219 a carico di (tecnicismo collaterale) 129, 137, 232-233 acatafasia 219 accentazione 174-175 (di termini di origine greca), 182 (negli esotismi: zulù, beriberì) acciottolato (mucosa con aspetto ad) 265 accusare (tecnicismo collaterale) 84-85, 128, 141-142, 158 accusativo alla greca (in G. Baccelli) 42 acetone ‘acetonemia o acetonuria’ 71 achidopeirastica 218 “acidità di stomaco”, denominazioni popolari per 70

acidosi 230 acronimi 122, 125, 144n, 197, 213215, 263, 281 adamantìno / adamàntino 175n adenovirosi 201 adiutorio (calco dall’arabo) 178, 180 adsorbire 190 afrodisiaci 61 agente causale, eziologico, infettivo, patogeno, virale (tecnicismi collaterali) 139 aggettivi di relazione 30, 96n, 131132, 163, 166, 277; aggettivi di colore 276-277; aggettivi sostantivati: vedi sostantivazione agripnia 219 AIDS 144n (trattato come masch. o femm.), 215 (ordine delle parole nell’acronimo e nei suoi corrispondenti francese e spagnolo) ailuro- 226 albaras (arabismo) 178 albero circolatorio / apparecchio vascolare / apparato circolatorio 40

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alchimia, rapporti della medicina del passato con l’ 54 alcola ‘tipo di afta’ (arabismo) 178 -algia 54 alguadi (arabismo) 178 alienista 218 a livello di / del, a livello + agg. (tecnicismi collaterali) 137, 233 allattamento, pregiudizi ottocenteschi in materia di 245 allergia 119 “alopecia”, 61 e 243 (denominazioni popolari per), 168n (perifrasi per, in testi dal Medioevo all’Ottocento); alopecia (allopitia) 160, 161, 168, 175 alvine, evacuazioni 246 alvo (tecnicismo collaterale) 129, 250 Alzheimer: vedi morbo di Alzheimer amandorle (calco dall’arabo) 180 ambiguità d’uso 110, 111-112 (in tecnicismi specifici), 211 (in eponimi), 215 (in acronimi) ambulatoriamente (termine criticato dai puristi) 27 amigdalite: vedi tonsillite ammalato: vedi paziente ammenda / multa 280 amuleti contro la peste 57 anabrochismo 248 anafilassi 119 anastomòsi / anastòmosi 175 anatomia, arabismi nel lessico dell’ 177-178 andamento (tecnicismo collaterale) 142, 158 anemia 109, 198 aneurisma 168, 169 angina ‘difterite’ 64n; vedi anche faringite angina pectoris (lat.) 171, 172 anglicismi 23n, 27-28, 124, 135n, 143, 144, 156, 182-188, 208-209, 240, 257

anguinaia, anguinaglia 35 (‘inguine’ in d’Annunzio), 243 (anguinaglie ‘bubboni’ in L. Fioravanti) anodìno / anòdino 175n anti- 197 anticatartico / espettorante 23 antidoto 168 antiepilettico 55 antifebbrile / antipiretico 41 anuria 175n apepsie (franc.)17 aperitivo (aggettivo) 55 apodittico frainteso nella sua accezione originaria 78n “apoplessia”, denominazioni popolari per 48, 245; apoplessia (apoplexia) 160 apopletico 18 apoplexie (franc.) 20 apostema, postema 69, 70, 245 apparato circolatorio: vedi albero circolatorio apparecchio vascolare: vedi albero circolatorio applicare (tecnicismo collaterale) 162 apprezzare (tecnicismo collaterale) 140, 142, 159 approccio (tecnicismo collaterale) 157 arabismi 101-102, 176-180 arcaismi 41 (in G. Del Chiappa), 129n (nella lingua della medicina in generale), 219 (in un manuale per infermiere ristampato nel 1987) areola 171 arteria 101 e 283 (evoluzione semantica di), 170 (datazione in italiano) artetica ‘artrite’ 70, 160 articolo, omissione dell’ 132-135, 255 artrite, artritide 168

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asciatico (termine medico inventato da Tramonti) 20 asclite ‘ascite’ 160 asfittico, asfitico 18 asintomatico, termine criticato perché ambiguo 110 asma 70, 191 assafatti, safati (arabismo) 178-179 asselare, ascellare (vena; calco dall’arabo) 178, 180 assimilazioni grafiche nell’italiano del passato 190 associare, associato, associazione (tecnicismi collaterali) 142-143, 159, 166, 186, 250, 253 assumere, assunzione (tecnicismi collaterali) 143 asub (arabismo) 178 ateroma 202 attacco + agg. 166 atteggiamento (tecnicismo collaterale) 157 atto a 162 autografe, correzioni 165 (di G. Gentili), 284 (di A. Cocchi) autopsia 98; autopsia, termine criticato perché malformato 110 avitaminosi 181, 201 Babinski: vedi segno di bacillo 119 bálanos (greco) ‘ghianda’ e ‘glande’ 124 ballo di san Vito 66 banalizzazione di nozioni mediche nel linguaggio comune 71, 126, 280 barellare (termine criticato dai puristi) 26 base, su + agg. (tecnicismo collaterale) 132 Basedow: vedi morbo di basilare, osso (calco dall’arabo) 178 basilica, vena (calco dall’arabo) 178, 180

batterio 119 beante, béant (termine criticato dai puristi) 26 beri beri (beriberì) 182 bertinottite (scherz.) 202 bianchi ‘globuli bianchi’ 282 biberon (termine criticato dai puristi) 26 Bierherz (ted.): vedi cuore da birra bigoressia 251 biopsiare (termine criticato dai puristi) 28 bisturi, varietà di adattamenti di 181-182 blefarite 120 blefarottalmia ulcerosa 248 blenorragia / blennorragia 27, 109, 126, 130 bocca dello stomaco: vedi cardias bolismo ‘bulimia’ 160, 161 booster (ingl.) 240 borderline (ingl.) 186 botor (arabismo) 178 bovarismo 212 bradypepsie (franc.)16 breath-test (ingl.) 187 bronco ‘trachea’ 93, 283 broze ‘pustole’ (in L. Fioravanti) 243 brucellosi / febbre maltese 126 brutto male 8n, 65n (carcinoma), 65 (epilessia) bruxismo 251-252 bruxomania 252n buganze ‘geloni’ 51, 243 bugiardini: vedi foglietti illustrativi bulky-disease (ingl.) 187 burn-out (ingl.) 188 byronismo 212 cacare 82, 243 cachet (franc.; termine criticato dai puristi) 26 cacochimia 218 calazio (calazia) 168 calcolosi: vedi mal di pietra

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canna del (cana dil) polmone (calco dall’arabo) 178, 180 cannabinoide 227 carattere, a: vedi a con valore modale caratterizzato (da; tecnicismo collaterale) 218n, 232, 234 “carcinoma”, denominazioni popolari per 66n cardias / cardia / orificio dello stomaco / bocca dello stomaco 96n cardiologia 181 carfo- 123 “carfologia”, espressioni per 36, 284; carfologia, sua trasparenza etimologica 123 carico, a: vedi a carico di carta geografica (lingua a) 265 cartelle cliniche, tratti linguistici salienti nelle 219n, 258-259 casso ‘petto’ (arabismo) 178 catarro, catarro polmonare, catarro bronchiale epidemico ‘influenza’ 107-108 catartico / purgativo 23 ceca, confronti con la lingua medica 64n cefalalgia 177n cefalea a grappolo (cluster headache) 124 “cefalea”, denominazioni popolari per 63; cefalea / mal di testa 126, 128, 160 (cephalea) “cefalica, presentazione” (espressione dannunziana per indicare la) 35 cefalica, vena (calco dall’arabo) 178, 180 ceno- 199 cesareo, taglio 212 chiromegalia / megalochiria 196 chistifelle, chisto del fiele: vedi cistifellea cholera morbus: vedi colera ciarlatani: vedi curatori popolari cirbo: vedi zirbo

cirrosi 119, 180 ciste ‘cisti’ 53 cistifellea / vescica del fiele / vescica biliaria / chisto del fiele / chistifelle / colecisti / vescichetta biliare 96n, 126 citazioni letterarie e musicali in L. Luciani 43 civile, vena (calco dall’arabo) 178 clampare ‘applicare una pinza’ 23n clapping (ingl.) 186 clearance (ingl.) 185, 187 clessidra (torace a) 265 clistere, denominazioni per (nel Settecento) 168n clorosi 73n cluster headache (ingl.): vedi cefalea a grappolo co- 227 coalescere ‘confluire’ 23 codiagnosi 227 coeur en sabot (franc.): vedi cuore a scarpa colecisti: vedi cistifellea colera 102-103 (evoluzione semantica di), 169 (grecismo presente in G. Brancati), 175 (accentazione), 192 (genere grammaticale) colestasi: vedi colostasi collegialmente (termine criticato dai puristi) 27 collirio 168 colon 169 colonna vertebrale: vedi rachide coloproctologo 228 colore, nomi di 273-278 coloscopia / colonscopia / colonoscopia 206 colostasi / colestasi 185 colpo della strega 125 comarketing (ingl.) 188 comorbilità 227 comparire, comparsa (tecnicismi collaterali) 143

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compatibile (tecnicismo collaterale) 157 competere (tecnicismo collaterale) 30 complessizzare (termine criticato dai puristi) 28 compliance (ingl.) 186, 227 composizione 195-209 comprimere (tecnicismo collaterale) 163 compromettere, compromissione (tecnicismi collaterali) 143 conclamato (tecnicismo collaterale) 143-144, 158 concomitare, concomitante, in concomitanza (tecnicismi collaterali) 144 condiloma 55 condizionale: vedi verbi condonite (scherz.) 202 condotto / dutto coledoco 40 condropatia 85 conferire, conferente (tecnicismi collaterali) 50, 162 confissi 121n, 195ss; vedi anche: prefissi; suffissi congiuntivite 230-231 congiuntivo: vedi verbi connettivi, loro uso nel Murri 39 consulti medici 25, 80, 261 contraccettivo / pillola 251 contrattura ‘epilessia’ 66 contravvenzione / delitto 280 controllo (tecnicismo collaterale) 144, 186 controstimolo 126 convenzionalmente (tecnicismo collaterale del linguaggio giuridico) 280 convulsione ‘epilessia’ 66 coorte (di sintomi; tecnicismo collaterale) 158, 282 core (lipidico; ingl.) 186 coriza, corizza 93, 126 cornet (franc.) 110

corpo ‘epilessia’ 66 corroborativo 55 cosa maligna ‘carcinoma’ 66n costipazione ‘raffreddore’ 82, 218n counseling (ingl.) 227 cremnofobia, sua trasparenza etimologica 123 cristàllino / cristallìno 175 cronico 71 croup (ingl.) 64n, 182 cul de sac (franc.; in anatomia) 182 cuore a scarpa (coeur en sabot) 124, 265 cuore da birra (Bierherz) 124 curatori popolari 18n, 38, 46ss., 242 curettage (franc.) 182 da con valore modale (dermatite da contatto ecc.; tecnicismo collaterale) 136 dacrio- 123 dacriocistite, sua trasparenza etimologica 123 danno (tecnicismo collaterale) 144 decaduto (tecnicismo collaterale) 158 decurtazione di un composto 30 (fonendo),125 (elettro); del primo elemento di un composto (anatomo-patologico ecc.) 207-209; nel tipo cardio- e nefrotossico 208 deficit (lat.) 171, 172 delitto: vedi contravvenzione d’emblée (franc.; termine criticato dai puristi) 26 demenza senile: vedi morbo di Alzheimer denigrare ‘diventare di colore livido’ 165n denominazioni popolari di nozioni mediche: vedi “acidità di stomaco”; “alopecia”; “apoplessia”; “carcinoma”; “cefalea”; “diarrea”; “difterite”; “emorroidi”; “e-

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pilessia”; “erisipela”; “idropisia”; “influenza”; “itterizia”; “parotite”; “pertosse”; “podagra”; “polluzione notturna”; “prostatite”; “stranguria” deonomastici 212 deontico, uso (del verbo dovere) 257 deostruente 75n deostruttivo 55 depistage (franc.), depistaggio 182 depressione: vedi esaurimento nervoso derivazione 195-209, 211 dermatosi 201 dermo- / dermato- 204 descrivere (tecnicismo collaterale) 140 detecnificati, tecnicismi (presenti nei dizionari medici) 218, 219; vedi anche banalizzazione determinante e determinato nei composti, posizione di 170, 196, 209 detersivo 55 diabete (diabetes) 160, 232 diabetico 18 diagnosi 175 dialetti, termini medici nei 62-71 “diarrea”, denominazioni popolari per 65 difetto (tecnicismo collaterale) 145, 234 diffondere ‘diffondersi’ (tecnicismo collaterale) 135 “difterite”, denominazioni popolari per 64n; difterite 64, 119, 180, 201 digestivo 55 diociliberi ‘carcinoma’ 66n dipendente (dose-dipendente ecc.) 209 discario ‘carcinoma’ 8n dislocazioni 257 dispepsia 16n dissenteria / disenteria 27, 32, 160 (dissinteria)

distonia neurovegetativa: vedi esaurimento nervoso disuria 175n divulgazione medica 227-228, 239254 dizionari 66-67 (dialettali), 115, 197, 217-237, 281 (medici), 234237 (per pre-adolescenti) dizionarite (scherz.) 202 dolore ‘epilessia’ 66 dolore, descrizione verbale del 240 domanda (tecnicismo collaterale) 145 dorsalgia: vedi colpo della strega dovere: vedi deontico; epistemico dumping-syndrome (ingl.) 186n dura madre 176, 178, 180 dutto: vedi condotto dysenterie (franc.) 17 dyspepsie (franc.): vedi dispepsia 125, 215 ectasie ‘anévrysme’ (franc.) 263 ectroponiare (termine criticato dai puristi) 26n edèma / èdema 175 EEG 125 EKG 125, 215 ékzema (greco) ‘bollore’ e ‘eczema’ 124 elettivo, elezione (tecnicismi collaterali) 145 elettro ‘elettrocardiogramma’ o ‘elettroencefalogramma’ 125 elevato (tecnicismo collaterale) 128, 145-146, 158, 234 elongazione 85 ematocrito, rapporto 85 ematoma 202 ematuria 175n, 240 emazie: vedi globuli rossi embriotomia 170 emeralopia 112 -emia 199 emigranea ‘emicrania’ 160 ECG

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eminattenzione 10 emiplegico 181 emo- / emato- 204 emofilia 198 emoinnesto 229 emorragia 70, 170 “emorroidi”, denominazioni popolari per 61, 69-70; emorroidi 170 empiema (empima) 160 endimiaco (endym-) 160 endo- 197 enucleoresezione 228 enuresi notturna 112 epatite 230-231 epatomegalia / megalepatia 196 epi- 205 epidemie antiche, dubbia patogenesi delle 92 epididimo 168 epigastrio 168 “epilessia”, denominazioni popolari per 48, 50, 61, 63, 65-66, 70; cause dell’epilessia per la medicina medievale 75n; epilessia (epilensia) 160 episodio (tecnicismo collaterale) 146 epistemico, uso (del verbo dovere) 257 eponimi 8, 116, 122, 209-212 “erisipela”, denominazioni popolari per 68-69 eritrociti: vedi globuli rossi esaltare (tecnicismo collaterale) 146 esaurimento nervoso / distonia neurovegetativa, depressione, nevrosi d’ansia 126, 280 esofago 126 esordio (tecnicismo collaterale) 140, 146 esordire (tecnicismo collaterale) 128, 146 espettorante: vedi anticatartico essenziale: vedi idiopatico etico: vedi tisico

etimologiche, grafie 189 (in francese e spagnolo), 190 (nell’italiano fino all’Ottocento) eufemismo 8, 65n, 263-264 eurosol ‘aerosol’ 71 evenienza (tecnicismo collaterale) 146-147, 158 evento + agg. (tecnicismo collaterale) 131 evidenziare (termine criticato dai puristi) 26 evoluzione (tecnicismo collaterale) 147 evolvere ‘evolversi’ (tecnicismo collaterale) 135, 147 ex iuvantibus, ex adiuvantibus (lat.) 173 exitus (lat.) 172-173, 282 exo- 197 eziologia / etiologia 189 faccia di sfinge 124 faringe (sost. masch. e femm.) 191 faringite / angina / mal di gola 71 fatto (tecnicismo collaterale) 140, 234 fattore causale (tecnicismo collaterale) 139 fauci 162 febbre maltese: vedi brucellosi febbre nera 32 febbrifugo 55 febbrigeno / pirogeno 40-41 fegato, statuto terminologico di 123, 126 fenomeno (tecnicismo collaterale) 140, 147, 158 -filo, -filia in ematologia 198 fimòsi / fìmosi 175 fisica, confronto col vocabolario della 116 fistula ‘fistola’ 160 flacone (termine criticato dai puristi) 26 flebite 119, 170, 180

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flebo- 170 fleboclisi 110, 170 fleborragia 170 flebotomia 169 flemma 218 flogistico / infiammatorio 23 flogosi / infiammazione 23, 170 (etimo di infiammazione), 175 (accentazione di flogosi) flushing (ingl.) 187 foam cells (ingl.) 185 -fobia 220-226 focile (calco dall’arabo) 178 foglietti illustrativi dei medicinali 45, 239, 252-254, 255-258, 281 follow-up (ingl.) 187, 188, 240 fonendo ‘fonendoscopio’ 30 -forme 227 francese, confronti con la lingua medica 7, 64n, 102-103, 104, 107n, 108-111, 115, 158-159, 186, 189, 190n, 197, 209n, 215 francesismi 26, 107, 124, 180-182, 190n, 191 frusto (tecnicismo collaterale) 157 futuro: vedi verbi gagliardo (tecnicismo collaterale) 162, 164 “galimatias” dei medici (secondo Molière) 15 gamba di cicogna 124 gamba di pulcinella 124 gastrointestinale (termine criticato dai puristi) 27 “gengivite scorbutica”, espressione dannunziana per 35 geosinonimi in L. Fioravanti 244245 germanismi: vedi tedeschismi gerundio: vedi verbi ghiandola: vedi glandola ginocchio della lavandaia 125 giornali: vedi pubblicità sanitaria;

supplementi scientifici; titoli giornalistici giulebbe 176, 179 giuridico, linguaggio: affinità col linguaggio medico 279-280 glande (sost. masch. e femm.) 192 glandola / ghiandola / glandula 28, 191 glaucoma 202 glicemia ‘iperglicemia’ 71, 232 glicosuria 175n globuli rossi / eritrociti / emazie 125 glomeruli: vedi gomitoli glosse 243-244 (in L. Fioravanti), 245-246 (in due testi ottocenteschi), 246-248 (in annotazioni autografe di medici settecenteschi), 247-248 (nella comunicazione tra medici), 249-250 (nei supplementi sanitari dei giornali), 253 (nei foglietti illustrativi dei medicinali) goitrigeno ‘gozzigeno’ 23 gomitoli / glomeruli malpighiani 41 gonorrea 109, 126, 130, 160 e 161 (gomorrea) granfi ‘crampi’ 51 granuloma 202 grecismi 14, 16-17, 27n, 70n, 96n, 99-112, 116n, 126-127, 168-171, 174-175, 190-191, 202-203, 217, 251 greco classico, carattere dei tecnicismi nel 124; greco moderno: vedi neogreca grippe (franc.) 64n, 107-108, 182 guideze (arabismo) 178 h, uso dell’ (in tecnicismi medici francesi) 189 handicap (ingl.)186 home dust (ingl.): vedi polvere di casa hydropisie (franc.): vedi idropisia hyperembriohydrométrophie (franc.) 26n

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-ìa 175 ictus (lat.) 172 idiopatico / essenziale 126 idro-emo-pericardia 206 idroforbia (-ph-) 160 “idropisia”, denominazioni popolari per 68; idropisia 17, 218n il di lui ‘il suo’ 97 imaging (ingl.) 186 impegno, impegnativo (tecnicismi collaterali) 147 imperfetto indicativo, uso dell’ 258n imperioso (tecnicismo collaterale) 30, 158 impetigine 160 importante (tecnicismo collaterale) 33n, 147-148, 158, 159 in assenza di (tecnicismo collaterale) 138 in presenza di ‘con’ (tecnicismo collaterale) 138 inaugurale (tecnicismo collaterale) 157 incruento (tecnicismo collaterale) 250 indesiderato, indesiderabile (tecnicismi collaterali) 140, 148 indolente (tecnicismo collaterale) 246 indovato ‘nascosto’ 23 induratio penis (lat.) 172 indurre, induzione (tecnicismi collaterali) 148, 158, 163 infausto (tecnicismo collaterale) 140, 148-149, 158 infiammamento ‘infiammazione’ 96n infiammatorio: vedi flogistico infiammazione: vedi flogosi infinito: vedi verbi “influenza”, denominazioni popolari per 70; influenza, sua evoluzione semantica 106-108 inglese, confronti con la lingua me-

dica 64n, 103, 105n, 107n, 108, 110n, 111, 122n, 189, 215, 219, 223, 226; suo uso in medicina 10, 116n, 183-184, 281. Vedi anche: anglicismi ingravescente (tecnicismo collaterale) 149 inguine / anguinaia, anguinaglia (in d’Annunzio) 35 inibire, inibizione (tecnicismi collaterali) 140, 149 input (ingl.) 188 inserzionale 85 insipido, diabete 132 insorgere, insorgenza (tecnicismi collaterali) 149, 158, 234, 253 instaurare, instaurazione (tecnicismi collaterali) 30, 150 insufficienza (tecnicismo collaterale) 150, 158, 159, 253 insulto (tecnicismo collaterale) 71, 150-151, 158, 164 interessare, interessamento (tecnicismi collaterali) 151, 234 intestino cieco 170 intrace ‘antrace’ 59 iper- 196, 203, 205 ipo- 203, 205 ipocondria 70-71 ipodermicamente (termine criticato dai puristi) 27 ippocratiche, dita 212 ironia, ricorso all’ (in testi medici) 262-263 iscuria 120, 175n -ismo 201, 203-204 isterico 19 isterismo, evoluzione semantica di 118 istero-: vedi metroistituire (tecnicismo collaterale) 150, 253 italiano, suoi àmbiti d’uso in medicina rispetto all’inglese 10, 183 -ite 122, 196, 201-203, 230

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-itide 18, 202 lombo-sacrale / sacro-lombare 196 “itterizia”, denominazioni popolari longano (arabismo) 178 per 61, 70; itterizia 230 iulep: vedi giulebbe macro-: vedi megaiuxta- 196 mad cow disease (ingl.): vedi mucca -ivo 55, 201 pazza madrone ‘stomaco’ 51 Kala Azar: vedi febbre nera malaccio ‘carcinoma’ 66n killer (ingl.; cellule k. ecc.) 186n malapropismi 71 malaria, evoluzione semantica di labbro di tapiro 124 108-109 labbro leporino 124 malattia da graffio del gatto 125 labio-glosso-faringeo 206 malattia degli stuccatori 125 lamentare (tecnicismo collaterale) malattia dei giovani porcai 125 128, 141 malattia dei palombari 125 lampone (lingua a) 278n malattia del morso di topo 125 laparocolectomia 26n malattie da raffreddamento 126n laringe (sost. masch. e femm.) 191 mal caduco: vedi epilessia lasene ‘ascelle’ (in L. Fioravanti) 243 mal cattivo 66 (‘epilessia’), 66n lastra: vedi radiografia (‘carcinoma’) latino 37 e 240 (suo uso nella memal de gola, mal di gola 63 (‘angina’ dicina del passato), 168, 170-175 e ‘difterite’), 71 (‘angina’) (prestiti dal), 215 (ricorso al, in mal de la lupa ‘bulimia’ 63 acronimi medici usati in inglemal de oci ‘oftalmia’ 63 se) mal de rece ‘otite’ 63 lavatura di carne (urina color) 278n mal de san Valentin, male di san Valegionellosi 201 lentino ‘epilessia’ 63, 66 lepra ‘lebbra’ 160 lesione (tecnicismo collaterale) 151, mal dei polmoni ‘tubercolosi’ 63 158; vedi anche ripetitive (lesioni), mal del molton ‘parotite’ 63 mal del tai ‘afta epizootica’ 63 secondarie (lesioni) mal(e) di + sostantivo: vedi mal de goleucemia 119 la; mal dei polmoni; mal de la lupa; leuco- 206 mal del molton; mal del tai; mal de libido 172 oci; mal de rece; mal de san Valentin; lienterie (franc.), lienteria 17, 160 mal di fegato; mal di gola; mal di linfatico 181 madre; mal di pietra; mal di punta; lipide 181 mal di testa; male della luna; male litargia ‘letargia’ 160 dello vizio; male di san Bartolomeo; livello, a: vedi a livello di male di san Donato; male di san Gilocalizzato (tecnicismo collaterale) nese; male di san Giovanni; male di 151-152, 159 san Valentino locoregionale, loco-regionale (tecnicimal di fegato 19 smo collaterale) 157 mal di gola: vedi faringite -logia 123 mal di madre ‘affezione uterina’ 50 lombalgia: vedi colpo della strega

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mal di pietra, male della preta, pietra ‘calcolosi’ 50, 59, 61, 64 mal di punta ‘pleurite o polmonite’ 50 mal di testa: vedi cefalea male della luna ‘epilessia’ 66 male dello vizio ‘malattia venerea’ 59 male di san Bartolomeo ‘epilessia’ 66 male di san Donato ‘epilessia’ 66 male di san Ginese ‘epilessia’ 66 male di san Giovanni ‘epilessia’ 66 male di san Valentino: vedi mal de san Valentin male ‘epilessia’ 66 mal francese 64n malformazione (termine criticato dai puristi) 26 malgrado + sostantivo 97 malinconia 70n, 104-105, 282n malpractice (ingl.) 188 mandare in vena 34n manifestarsi, manifestazione (tecnicismi collaterali) 147, 152, 158, 159, 234, 246 mano a giglio di Francia 124 mano da predicatore 124 manuali di medicina, tratti linguistici salienti dei 259, 281 marchese ‘mestruazioni’ (in M. Savonarola) 263-264 marchionimi: vedi nomi commerciali marsala, urina color 125, 278n Mastzellen (ted.) 182n matrice: vedi utero maturativo 55 medicale (termine criticato dai puristi) 26 mega- /megalo- / macro- 205 megalepatia: vedi epatomegalia megalochiria: vedi chiromegalia megalosplenia: vedi splenomegalia meibomite 212 melancolia: vedi malinconia

menarca (sost. masch. e femm.) 27, 279 menisco ‘meniscopatia’ 84 mentoniero 180 meri (arabismo) 176,178, 179-180 mericismo 176 “mestruazioni”, denominazioni per 263-264 metafore mediche 84 (nella lingua comune), 124 e 265-266 (cristallizzate con valore tecnico in semeiotica e patologia) meteorismo, terapie popolari per il 60 metonimica, riduzione (negli eponimi: il Wirsung ecc,) 212 metro- / istero- 205 microbo, microbio 109, 119, 180 mirac (arabismo) 178 mirachia (arabismo) 180 mismatching (ingl.) 186 miso- 226 mitto cruento / orina sanguigna 23 moderato (tecnicismo collaterale) 152, 158 modesto (tecnicismo collaterale) 85, 152 modico (tecnicismo collaterale) 152 morbo / malattia (nelle denominazioni eponime) 212n morbo di Alzheimer / demenza senile 127, 211 morbo di Basedow 211 morfina 212 morici ‘emorroidi’ 69n moscia (termine medico inventato da Tramonti) 20 mossa ‘epilessia’ 66 moto ‘epilessia’ 66 movente patogenetico (tecnicismo collaterale) 139 mucca pazza, malattia o morbo della (mad cow disease) 124 multa: vedi ammenda muso di tinca (os tincae) 124, 265

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myo- 118 nefrite: vedi rene neoclassici, composti 195 neogreca, confronti con la lingua medica 64n neologismi 75 (occasionali nella pubblicità sanitaria ottocentesca), 115 (incidenza dei termini medici nei neologismi degli ultimi anni) nerveo: vedi nervoso nerveomuscolare / neuro-muscolare 41 nervo /nêuron 92 nervoso (agg. sostantivato) ‘epilessia’ 66 nervoso / nerveo 40 neufresi ‘dolore di rene’ 160 neurologia 181 neuro-muscolare: vedi nerveomuscolare nevrosi d’ansia: vedi esaurimento nervoso nevrosi, neurosi 103-104; vedi anche psicosi nictalopia 112 nicturia 111-112, 175n nome, espansione del nome rispetto al verbo 255-256 nomi commerciali di medicinali, uso dell’articolo con i 133-134 nominali, frasi 134-135, 255 non responder (ingl.) 188 normo- 198 normoteso 198n nosogenico, processo (espressione di M. Bufalini) 127 nostalgia 105-106 e 282n (evoluzione semantica di), 218 (considerato tecnicismo da dizionari medici contemporanei) nostologia ‘gerontologia’ 218 noxa (lat.; tecnicismo collaterale) 139

nuca 101-102, 176, 178 nummulari, lesioni 265 nutritivo 55 obitus (lat.) 172, 282 occhi di bambola 124 ocello, oxelazo ‘pene’ (in M. Savonarola) 263 oculo- : vedi oftalmooffendere, offeso (tecnicismi collaterali) 50, 162, 163, 164 oftalmia (optalmia) 160 oftalmo- / oculo- 205 olio di fegato di merluzzo 74 -oma 196, 202 onomaturgia in medicina 116ss. oppilazione 75n, 88-89, 126 orale, comunicazione orale tra medico e paziente 281-282 ordine delle parole negli acronimi 214-215; per la frase vedi: soggetto rematico; per i composti vedi: determinante e determinato orecchio / otite 171 orecchioni: vedi parotite orificio dello stomaco: vedi cardias originare ‘originarsi’ (tecnicismo collaterale) 135 orina: vedi urina ormonare (termine criticato dai puristi) 26 ormone 119 ortopedia 110-111, 119 ortoressia 251 oscurità linguistica dei medici, critiche alla 21ss. -osi 175 (accentazione dei termini in), 197 (espansione dei suffissati in -osi rispetto all’italiano ottocentesco), 201-203 (valori nella lingua medica contemporanea) osservare (tecnicismo collaterale) 140 ossoporosi ‘osteoporosi’ 71 osteocondrite / osteocondrosi 202

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os tincae (lat.): vedi muso di tinca “pene”, denominazioni per (in M. ostruire (tecnicismo collaterale) 166 Savonarola, L. Fioravanti e altri) otite: vedi orecchio 263-264 oto-rino-laringoiatria 206 penicillum (lat.) ‘pennello’ e ‘tasta’ ottalmia purulenta 248 124 overfilling (ingl.) 187 perifrasi in luogo di tecnicismi 169, oxelazo: vedi ocello 240, 243 peripneumonia, peripleumonia 95, paludismo ‘malaria’ 108 160 pancreas 96n peritoneo (-th-) 169 panocchie ‘bubboni’ (in L. Fioravan- perone 168, 175 ti) 243 “pertosse”, denominazioni popolari per 63; pertosse / tosse asinina, pantopatico, sciroppo 73n canina, convulsa 71 para- 118 parafrasi nel linguaggio scientifico pescetto ‘malleolo’ (in L. Fioravanti) 243 243n peste ‘sifilide’ 64n paralisi 70 “peste”, denominazioni usate per paralitico 18 (secondo il Manzoni) 8 paralysie (franc.) 20 petene (calco dall’arabo) 178 paramioclono 118 petina ‘impetigine’ 59 parassita / parasita 27 pettenecchio ‘pube’ 51 parenchima epatico 123, 126 pia madre 176, 178 (pia mare, in Gu“parole fantasma” 161 glielmo volgare), 180 “parotite”, denominazioni popolari piacevole (serviziale, colera) 282 per 63; parotite / orecchioni 71 parte domestica, selvatica ‘lato inter- piacevoli ‘lenienti’ 164 no o esterno di un arto’ 177n; piaghe di / da decubito 35-36 parte demestega e salvadega (in pidocchi, pregiudizi ottocenteschi in favore dei 245 Guglielmo volgare) 178 pietra: vedi mal di pietra participio: vedi verbi pigolio, rumore di 125 pasilo (arabismo) 178 pillola: vedi contraccettivo passato: vedi verbi passivo, uso del (nei foglietti illu- piodermite 201 pirogeno: vedi febbrigeno strativi) 257 pisciare 243 past president (ingl.) 188 placebo 171, 172 pastorizzare 212 plastaussia e plastollia (neologismi patch (ingl.) 186 di M. Bufalini) 117 -patia 196, 199 plateleto ‘piastrina’ 23 patire 141n, 163 pleurésie (franc.), pleuresi 20, 160 pattern (ingl.) 186 paucisintomatico (tecnicismo collate- pneum-, pneumon-: vedi polmonpneumonite: vedi polmonite rale) 152 “podagra”, denominazioni popolapaziente / ammalato 162,163 ri per 61, 68 pectoriloque (franc.)110 poli- 118 -pedia 111

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polirematiche, unità 122 poliuria 175n pollachiuria 175n “polluzione notturna” denominazioni per 59 polmon- / pneumon- / pneum- 204205 polmonale ‘polmonare’ 96n polmonite /pneumonite 27n poltronite (scherz.) 202 polvere di casa (home dust)124r polverizzare (termine criticato dai puristi) 26 pomo d’Adamo 176 pool (enterico) (ingl.) 187 pooling (ingl.) 187 popolarismi linguistici 52-53 (in un foglietto promozionale contemporaneo), 56 (in C. Lancillotti), 60 (in un ricettario sette-ottocentesco) porre (p. diagnosi) 30n, 152-153, 159 portatore (tecnicismo collaterale) 153 portoghese, confronti con la lingua medica 107n position paper (ingl.) 188 postema: vedi apostema poussée (franc.) 182 poveri, medicina per i 58 precoce ‘iniziale’ (tecnicismo collaterale) 157 prefissi e confissi come primi elementi: vedi ailuro-; anti-; carfo-; ceno-; co-; dacrio-; dermo- / dermato-; emo- / emato-; endo-; epi-; exo-; flebo; iper-; ipo-; istero-; iuxta-; leuco-; macro-; mega- / megalo-; metro-; miso-; myo-; normo-; oculo-; oftalmo-; para; pneum- e pneumon-; poli-; polmon; sopra-; sovra-; sub-; super-; sur-; tarsoprefissoidi: vedi confissi

pregresso (tecnicismo collaterale) 140, 153, 158 preposizioni, omissione di (esame urine) 255 preservativo 55 pressione ‘pressione alta’ 280 prestiti linguistici 167-188; prestiti medici dall’italiano in sardo 66 processo (tecnicismo collaterale) 153, 158; vedi anche nosogenico; semiogenico; terapeutico prodotti da banco: vedi foglietti illustrativi profilassare (termine criticato dai puristi) 28 prognosticamente 227 prospera ‘prostata’ 71, 280 prostata 168 “prostatite”, denominazioni popolari per 64 psichiatrico, lessico 220-226 psicosi / nevrosi 230 pubalgia 85 pubblicità sanitaria 45ss., 72-76, 182, 190, 264 pube (sost. masch. e femm.) 192 punto del dolore 34n pupilla, evoluzione semantica di 170 purea di pisello (feci a) 278n purgativo: vedi catartico quartana 67-68 quoad vitam, quoad valetudinem (lat.) 173 rachialgia: vedi colpo della strega rachide / colonna vertebrale 126 rachitide 18 rachitismo 111 radiografia / lastra 251 raffreddore: vedi coriza raffreddore da (del) fieno 136 range (ingl.) 186 raseta, rasetta (arabismo) 178, 180

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razionale (sostantivo; tecnicismo collaterale) 157-158 refertare (termine criticato dai puristi) 28 referti strumentali, tratti linguistici salienti dei 258, 265, 281 regionalismi 88 (nel “Fasiculo de medicina”), 243 (in L. Fioravanti) regione (tecnicismo collaterale) 128, 163, 164 regredire, regressione (tecnicismi collaterali) 153-154 relazioni cliniche, analisi linguistica di 213 reliquato (tecnicismo collaterale) 154, 158 remissione (tecnicismo collaterale) 154, 158, 246, 250 rene / nefrite 171 renella 59, 64 resipola ‘erisipela’ (in d’Annunzio) 35 responsabile, responsabilità (tecnicismi collaterali) 154 responsività (tecnicismo collaterale) 155 restitutio ad integrum (lat.) 173 resuscitativo 55 retrolico ‘idropico’ 59 rialzo termico ‘aumento della temperatura’ (tecnicismo collaterale) 128 ribes 176 ricercare (tecnicismo collaterale) 154-155, 159 rickettsiosi 201 ridondanza formativa nei termini composti 204 ridondanza pronominale (in C. Lancillotti) 56 riferire (tecnicismo collaterale) 128, 140, 141 rigor (lat.) 172 ripetitive, lesioni 263

riportare (tecnicismo collaterale) 140 riposizionare (tecnicismo collaterale) 34n riscaldamento ‘stitichezza’ e ‘uretrite’ 82 rischio + agg. (tecnicismo collaterale) 132 risentimento (tecnicismo collaterale) 85 risposta (tecnicismo collaterale) 145, 155 riviste mediche 183-184 (uso dell’inglese invece dell’italiano), 213-214 (acronimi sindacali nelle), 251 (richiamo alle, in una rubrica di divulgazione sanitaria), 281 (presenza di tecnicismi nelle) rolandica, zona 212 röntgenterapia 212 rooming in (ingl.) 240 rossi ‘globuli rossi’ 125 routinario 182 ruolo (termine criticato dai puristi) 26 rupofobia 220 sabbia negli occhi, sensazione di 265 sacro-lombare: vedi lombo-sacrale saeptum (lat.) ‘recinto’ e ‘setto’ 124 safati: vedi assafatti safena, saff- (vena), safeni (nervi) 176, 178 salasso, adoperato nella terapia del colera e del tifo 9 salute, informazioni sulla (nell’epistolografia) 80-83 salvatella (arabismo) 178, 180 “sangue”, mutata nozione di, nel corso dei secoli 94 satira dei medici 13ss. scadente, scaduto (tecnicismi collaterali) 158 scarlattina 119

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scavenger (ingl.) 187 scelta, di (o di prima scelta; tecnicismo collaterale) 145 schizofrenia 119 schwannoma 212 sciatica (sciaticha) 160 sciroppo, siroppo 176 scleroma 202 scorrettivi (coniazione scherzosa di F. Redi) 165 scossa ‘epilessia’ 66 scotoma 202 scotomia ‘scotodinia’ 160 screening (ingl.) 188 scrofola 18 secondarie, lesioni 263 sede, in + agg. (tecnicismo collaterale) 132 segnalare (tecnicismo collaterale) 140 segno di Babinski 211 semiogenico, processo (espressione di M. Bufalini) 127 sensibile (aldosterone-sensibile ecc.) 209 sequela (tecnicismo collaterale) 155, 159, 250 serico / sierico 28 serviziale 168n settoriali, linguaggi 78 (rischi di banalizzazione), 79 (infiltrazione nel linguaggio corrente), 113 ss., 129 (tratti individuanti), 220 e 237 (diverso atteggiamento dei lessicografi nei confronti dei), 279 (analogie e differenze tra il linguaggio medico e altri linguaggi settoriali) severo, severità (tecnicismi collaterali) 155-156, 158, 186 shock (ingl.) 184-185, 187 shunt (ingl.) 185, 187 sifac (arabismo) 178, 180 sifilide 37, 64, 212

simile (asprino-simile e similemicranico) 209 similitudini 266-273 sindrome di Job 212 sindrome di Pickwick 212 sinonimia nel linguaggio medico 120, 125-126, 128-129, 141ss, 166-167, 179-180, 260-261, 274 sintomo / sintoma 27, 96n, 175, 192 siroppo: vedi sciroppo sito ‘posizione’ 162 slatentizzare (termine criticato dai puristi) 28 sofferenza (tecnicismo collaterale) 140, 156 soggetto rematico posposto al predicato 185 somatiforme 227 sonicato ‘trattato con ultrasuoni’ 23n sonomètre (franc.) 110 sopra- / sovra- /sur- / super- 205 sostantivazione di un aggettivo 199200 sostenuto (tecnicismo collaterale) 156, 234, 254 sovra-: vedi sopraspagnola, confronti con la lingua medica 64n, 79n, 107n, 108, 138n, 175, 183n, 184n, 186, 189, 209n, 215n, 239n, 257 speciali, lingue: vedi settoriali spedire (s. una ricetta) 19 sperma (sost. masch. e femm.) 192 spersonalizzazione 257-259 spiccato (tecnicismo collaterale) 156 spike (ingl.) 187 splenico ‘azzurrognolo’ 277 splenomegalia / megalosplenia 196 spondilite: vedi rene spondilolistesi 250 sporicida (termine criticato dai puristi) 27 sputo cloro / sputo verde 23

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squinanzia (-tia) ‘angina’ 160 stadio 167 stent (ingl.) 187, 250 stetoscopio, stéthoscope (franc.) 110, 180 “stitichezza”, espressioni per (in Leopardi) 82 stomaco, varietà di significati dell’etimo greco 99; vedi anche ventricolo storia (tecnicismo collaterale) 146, 156-157 storie cliniche, tratti linguistici salienti nelle 134-135, 266-278 strafistoli ‘extrasistoli’ 71 “stranguria”, denominazioni popolari per 64, 70; stranguria 160, 175n stress (ingl.) 187 stroke ‘ictus’ (ingl.) 186n sub- con valore attenuativo 201, 227 subdolo (tecnicismo collaterale) 157 subsindromico 227 suffissi e confissi come secondi elementi: vedi -algia; -emia; -filo e -filia; -fobia; -forme; -ìa; -ismo; -ite; -itide; -ivo; -logia; -oma; -osi; -patia; pedia; -uria suffissoidi: vedi confissi super-: vedi soprasuperstiziose, pratiche 56-57, 61 supplementi scientifici dei giornali 214 (presenza di acronimi nei), 228 (tecnicismi rari nei), 249250 (uso delle glosse nei) suppletivismo 171, 204-205 sur-: vedi soprasvedese, confronti con la lingua medica 64n tabacco, virtù attribuite al 245 tabagismo 180 TAC 122, 213n taccuino 176

talassemia, termine criticato perché malformato 110 tamponare (termine criticato dai puristi) 26 tarso- 198 tecnicismi collaterali 9, 30, 33n, 50, 84-85, 127-159, 161-167, 218n, 232-235, 246, 250, 253, 255n, 280; vedi anche a con valore modale; a carico di; accusare; agente causale; a livello di; alvo; andamento; applicare; apprezzare; approccio; associare; assumere; atteggiamento; base, su; caratterizzato; comparire; compatibile; competere; comprimere; compromettere; conclamato; concomitare; conferire; controllo; convenzionalmente; coorte; da con valore modale; danno; decaduto; descrivere; difetto; diffondere; domanda; elettivo; elevato; episodio; esaltare; esordio; esordire; evenienza; evento; evoluzione; evolvere; fatto; fattore causale; fenomeno; frusto; gagliardo; impegno; imperioso; importante; in assenza di; in presenza di; inaugurale; incruento; indesiderato; indolente; indurre; infausto; ingravescente; inibire; insorgere; instaurare; insufficienza; insulto; interessare; istituire; lamentare; lesione; localizzato; locoregionale; manifestarsi; moderato; modesto; modico; movente patogenetico; noxa; offendere; originare; osservare; ostruire; paucisintomatico; portatore; precoce; pregresso; processo; razionale; regione; regredire; reliquato; remissione; responsabile; responsività; rialzo termico; ricercare; riferire; riportare; riposizionare; rischio; risentimento; risposta; scadente; scelta, di; sede, in; segnalare; sequela; severo; sofferenza; sostenuto; spiccato; storia; subdolo; tipo, di; turbe; vivo

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tecnicismi medici, classificazione dei 121-122 tecnicismi medici non registrati nei dizionari 227-228 tecnicismi specifici 30 (in P.G. Bianchi), 34n (in M. Mazzantini), 50 (in un foglio volante del Settecento), 75 (nella pubblicità sanitaria di fine Ottocento), 80 (in un consulto secentesco richiesto da un paziente), 83-86 (nei giornali otto e novecenteschi), 127128 (differenza rispetto ai tecnicismi collaterali), 159-161 (nel “Fasiculo de medicina”), 167 (passaggio da tecnicismo collaterale a specifico), 232 (nelle definizioni dei dizionari), 240 (da evitare nelle informazioni pediatriche rivolte al largo pubblico), 246 (in due opere ottocentesche di intenti divulgativi), 250n (nei supplementi sanitari dei giornali), 253-254 (nei foglietti illustrativi), 255n (categorie grammaticali rappresentate dai) tedesca, confronti con la lingua medica 64n, 107n, 108, 109, 115 tedeschismi: 124, 182, 208n tema sospeso (in C. Lancillotti) 56 tenasmo ‘tenesmo’ 160, 161 tender points (ingl.) 187 tendine d’Achille 212 tendinopatia, tendopatia 85 teorema frainteso nella sua accezione originaria 78n teoricamente (termine criticato dai puristi) 27 terapeutico, processo (espressione di M. Bufalini) 127 termoablazione 228 termometria ‘misurazione della febbre’ 246 terzana 67-68 test (ingl.) 185

testi medici, tipologia di 114, 241242, 258-259, 281 testicoli ‘ovaie’ 103 testuale, scadente organizzazione 56 (in C. Lancillotti), 254n (in un foglietto illustrativo) tetano 160 thoraciloque (franc.) 110 tho–rax (greco) ‘corazza’ e ‘torace’ 124 tialismo ‘ptialismo’ 190 tifoso / tifoideo 41 timpanitide 18 tinga ‘tigna’ 59 tipo, di + agg. (tecnicismo collaterale) 132 tipologia: vedi testi medici tisico, etico 68 tissutale (termine criticato dai puristi) 26, 28 titoli giornalistici 250 toilette (franc.) 182 toni-nutritivo 75 tonsillite /amigdalite 27n tosse asinina, canina, convulsa: vedi pertosse tracoma 202 traduttori scientifici 184, 211 training (ingl.) 188 treno ‘insieme di’ 97 trial (ingl.) 188 trichiasi 247 tricotomia 23 trocantere 126 trottola, rumore di 125 tubercolosi nella pubblicità sanitaria di fine Ottocento, riferimenti alla 74 tubi gomitolari: vedi tubuli tubo digerente, denominazioni ottocentesche per 126n tubuli / vasellini / tubi gomitolari / vasellini gomitolari 41 tumore ‘tumefazione’ e ‘neoplasia’ 283

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turbe (tecnicismo collaterale) 158 turnover (ingl.) 186 umidità, nella dottrina umorale 8889 umorale, dottrina 21, 74-75, 88, 104 underfilling (ingl.) 187 uremia 119 urètra / ùretra 174 -uria 175n (accentazione dei termini in), 199 (produttività del confisso) urina / orina 190; urina saturata / orina carica 23; orina sanguigna: vedi mitto cruento; urine (plur.) 190n urine, analisi delle 273, 274 utero / matrice (in d’Annunzio) 34-35 vaginale, isterectomia 132 “variatio” negli scrittori di medicina 40 varicosceli ‘varicocele’ (in Tramonti) 20 vasellini (gomitolari): vedi tubuli veneree, malattie 212 ventosità (nella medicina medievale) 92 ventricolo / stomaco 100 verbi, uso dei (nei foglietti illustrativi) 256-257

vertebra / spondilite 171 vertigine ‘epilessia’ 66 vescica del fiele, biliaria; vescichetta biliare: vedi cistifellea veterinaria medievale 90-91 vetro smerigliato (lesioni polmonari a) 265 viabilità ‘vitalità’ 23n videat (lat.) ‘consulenza specialistica’ 173 vitamina 119 vivo (vivo dolore: tecnicismo collaterale) 128 vocale connettiva nei composti 206207 volemia 199 volgare, uso del 48 e 55 (nella trattatistica medica antica), 242-245 (in L. Fioravanti) volgarizzatori di fronte alla terminologia greco-latina, atteggiamento dei 169n, 240-241 wash-out (ingl.) 187 wheezing (ingl.) 240 xeno-latinismi e xeno-grecismi 180 zafferano 176 zia ‘sifilide’ 64n zigomo / zigoma 192-193 zirbo, cirbo (arabismo) 178, 180

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INDICE DEI NOMI

Acerbi, Enrico 109n, 119, 126n, 202, 267-275, 276n, 277 Adamo, Gianni (Giovanni) 11, 115n, 202n Agrimi, Jole 88n, 92n, 97n, AIS (= Atlante italo-svizzero) 62, 63, 65 Albanzani, Donato degli 14 Albucasis (Abu ¯ ’l Qa ¯ sim az-Zahra¯wı¯) 49n Alderotti, Taddeo 37, 90n Alhaique, Franco 11 ALI (= Atlante linguistico italiano) 6265, 68-70, 107n Alibert, Jean-Louis 107, 121, 162 Alighieri, Dante 17n, 37, 75n, 90, 199, 278 Altieri Biagi, Maria Luisa 22n, 37n, 38, 48n, 55n, 91, 93n, 95n, 102n, 103n, 159n, 163n, 170n, 176n, 178n, 179n, 180, 201n, 210, 211n, 241n Alzheimer, Alois 127 Andrea da Barberino 242n Andreoli, Raffaele 67n Andry, Nicolas 110, 119 Angeli, Luigi 271 Antonelli, Giuseppe 11, 80n, 206n Antonini, Ambrogio M. 67n Aprile, Marcello 102n, 148n, 161n, 168n, 169n Ariani, Marco 14n Aristotele 103 Arrighetti, Giovanni 270, 271-272 Ascoli, Graziadio Isaia 129, 234

Ascone, Giovan Battista 218n, 223, 228n Asdrubali, Antonio 271-272 Aspertini, Agata 77 Assael, Barouk M. 265n Atzori, Maria Teresa 63n, 66 Auber, Daniel-François-Esprit 19 Audin-Rouvière, Joseph-Marie 121 Augenio, Orazio 58, 99n Avolio, Francesco 53n Azzoguidi, Germano 155-156 Baader, Gerhard 55n Babinski, Joseph-François-Félix 219 Baccelli, Guido 10, 41, 42, 137, 150n, 202, 203n, 206, 262n Bacchelli, Riccardo 100 Bagellardo, Paolo 162 Balardini, Lodovico 272 Baldacci, Luigi 37n Baldini, Rossella 161n Baños, Josep-E. 28n Barocello, Stefano 58-59 Basile, Grazia 115n Basletta, Ambrogio 270, 271-272, 275 Battaglia, Salvatore 59n; vedi anche GDLI

Battini, Domenico 211n Battistini, Andrea 283n Beccaria, Gian Luigi 50n, 114n, 255n Belardi, Walter 114n Bellini, Angelo 26, 27n

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Bellini, Bernardo 19, 40n Benassi, Enrico 80n Bencini, Andrea 172n Benincasa, Francesco 240 Benn, Gottfried 28 Benveniste, Émile 109n Bernabeo, Raffaele Alberto 95n, 97n Bernard, Jean 7n Bernhard, Gerald 50n Bernier, Jean Jacques 196n, 208n Berra, Claudia 266n Berruto, Gaetano 113 Bertagnolli, Giacomo 119 Bertini Malgarini, Patrizia 279n Betteloni, Vittorio 37 Bianchi, Andrea 101n, 245, 246n Bianchi, Pier Gildo 29, 158n Billroth, Christian Albert Theodor 109, 119 Binet, Léon 28n Biraben, Jean-Noël 92n Bisleri, Felice 76 Bleuler, Eugen 119 Blum, Richard H. 77 Boccaccio, Giovanni 14, 48 Boccaccio, Piero 130n; vedi anche

Brancati, Giovanni 148, 169 Brasavola, Antonio (Antonio Musa) 49 Bravetta, Eugenio 119 Breschet, Gilbert 119 Bretonneau, Pierre-Fidèle 119 Brunati, Sergio 260n Bruschi, Claudio 185 Buccini, Giulia 214n, 228n, 249 Bucellati, Luigi 126n Buchan, William (Guglielmo) 278n Bufalini, Maurizio 108, 109n, 117, 127, 182, 190n Bufano, Michele 27n, 171n Bulgakov, Michail Afanas’evicˇ 28 Butturini, Ugo 130n; vedi anche Price, Frederick

Caffi, Claudia 79n, 258n Cagna, G. 196n Calaresu, Emilia 183n Calza, Carlo Luigi 272 Campailla, Tommaso 166n Campbell, Robert 223n Camporesi, Piero 21, 24n, 242n Capitani, Umberto 15n Cappello, Agostino 192n TM Caratù, Pasquale 70n Bodley Scott, Ronald 130n; vedi an- Carducci, Giosue 74, 106, 108, 175n che Price, Frederick Caretti, Lanfranco 8n Boitani, Piero 38n Carli, Augusto 183n Bombasotti, Carlo 270-271 Carlino, Andrea 97n Bonaparte, Napoleone 18n Carrer, Luigi 25 Bonavilla, Aquilino 110n, 217n Carrera Díaz, Manuel 257n Bonaviri, Giuseppe 28 Casaccia, Giovanni 67n Bono Cavallini, Ernesta 81 Casapullo, Rosa 89n, 90n, 93n, Bonomi, Ilaria 83n, 84n 169n Borgarucci, Prospero 178, 179, Cassandro, Marco 197n, 205n 191n Cassano, Giovanni Battista 223 Borghello, Giampaolo 267n Castellani Pollidori, Ornella 13n, Borri, Francesco Giuseppe 47 138n Boschi, Fabio 241 Castellani, Arrigo 176n Bottasso, Enzo 87n Castelli, Bartolomeo 101 Boyle, C.M. 122n Castellitto, Sergio 32 Brambilla, Elena 22n Castiglioni, Arturo 39

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Cavalli, Franco 239n Cavallini, Fedelina 81 Cavallo, Vincenzo 263n Cecchi, Emilio 73n ˇechov, Anton Pavlovicˇ 28 C Cecil, Russel 191, 196n, 209n Céline, Louis-Ferdinand (L.-F. Destouches) 28 Celso, Aulo Cornelio 100, 170, 247 Cervati, Amelia 182, 219n Cesalpino, Andrea 37 Cesari, Antonio 41 Cestoni, Giacinto 103 Cherubini, Arnaldo 28n Chiappelli, Alberto 47n, 49n Chiari, Francesco 100n Chiarini, Giuseppe 108 Chiarioni, Tullio 27n, 171, 172n, 173, 184, 189n, 196n, 207n, 208n, 209n, 258n, 279 Chiarugi, Vincenzo 105, 106n, 270271 Cicerone, Marco Tullio 100, 172 Citernesi, Eugenia 172n Cocchi, Antonio 10, 40n, 102, 152, 164, 166n, 192, 200, 241n, 246, 247, 283 Cocchi, Gaetana, 283 Codemo, Alberto 275 Cohn, Ferdinand 119 Coletti, Vittorio 115n, 136n, 193n, 220n Collodi: vedi Lorenzini, Carlo Comes, Orazio 119 Corneo, Erminio 240n Corominas, Joan 17n Cortelazzo, Manlio 18n; vedi anche

Crichton, Michael 23 Crisciani, Chiara 97n, 241n Cronin, Archibald J. 28 Crookshank, Francis G. 8 Cullen, William 103

D’Acunti, Gianluca 51n, 55n, 80n, 141n, 149n, 162n, 164, 165n, 243n, 246 D’Agata, Giuseppe 29, 30 D’Ajutolo, Giovanni 119 D’Alberti di Villanuova, Francesco 119 Dalla Croce, Giovanni Andrea 102n, 151, 159 Dall’Oste, Pietro 272, 275 d’Annunzio, Gabriele 34, 35, 36n, 39, 150 Dante: vedi Alighieri, Dante Dardano, Maurizio 84n, 89n, 116n, 178n, 201n, 243n Dardi, Andrea 97n Dauzat, Albert 181n Davison, Gerald C. 224 De Benedetti, Andrea 250n Deer Richardson, Linda 99n De Felice, Emidio 231-233, 234n De Giovanni, Achille 37, 118, 148, 150n, 158, 190n, 200n, 262n, 263n de Gregori, fratelli 87 Delamare, Valéry 17n, 105n, 172n, 196n, 197, 199n, 202n, 204n, 205n, 206n, 211n, 218n, 223, 228n Del Chiappa, Giuseppe 25, 41, DELIN 181n, 272 Cortelazzo, Michele A. 18n, 113, Delfino, Ugo 228n 198n; vedi anche DELIN Del Gaudio, Antonio 191n Corti, Maria 114n Cosmacini, Giorgio 24n, 39n, 47n, DELIN (= Dizionario etimologico della lingua italiana) 18n, 19n, 40n, 57n, 97, 102n, 265n 64, 93n, 96n, 102n, 107, 108, Crescenzi, Pietro de’ 69n, 148, 199 109n, 119n, 144, 160, 161n, Crespi, Massimo 260n

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168n, 170n, 171n, 172n, 181n, 182, 212n, 226n Della Peruta, Franco 22n Della Valle, Valeria 115n, 202n, 217n Delle Chiaie, Roberto 224n Del Papa, Giuseppe 166n, 267 De Mauro, Tullio 46n, 115, 119n, 120n, 121n, 122n, 123n, 168n, 170n, 175n, 181, 193n, 202n, 222-223, 226n, 227, 229n, 231n, 232, 233-234, 243n De Palo, Marina 115 De Stefanis Ciccone, Stefania 83n, 84n Devoto, Giacomo 210n, 211n, 222, 227, 233, 234n, 235n Díaz Rojo, José Antonio 175n, 189n, 209n, 210n, 211n Di Capua, Leonardo 283n Di Ciaccia, Francesco 57n Dickens, Charles 212 Dinale, Claudia 53n Dioscoride, Pedanio 49, 93, 101, 169 Di Pasquale Ranieri, Maria Grazia 11, 157, 186n, 198n, 219n Doni, Carla 164n Donizetti, Gaetano 17 D’Onofrio, Salvatore 89n Druon, Jean Bernard-Maurice 7 Dubois, Jean 181n, 203n Du Cange, Charles Dufresne 102n Durante, Castore 179 Duro, Aldo 227, 229n, 231-233, 234n

Fabrici d’Acquapendente, Girolamo 37 Falloppio, Gabriele 37, 49n Fanconi, Guido 211 Fanfani, Massimo (Luca) 206n Fantonetti, Giovambattista 19n, 75n, 110n Farina, Salvatore 9n Farnetani, Italo 23n, 239 Fattori, Santo 192n, 278n Fattorini, Micaela 93, 161n, 178n, 179, 180n, 191n Federici, Marinella 120n, 167n, 247n Federico I di Prussia 98 Ferminelli, Giovanni Battista 182 Ferrari, Diego 76 Ferrio, Luigi 96n, 100n, 105n, 124, 222, 223n, 228n, 229n, 252n Ficino, Marsilio 58 Fieschi Aminta 130n; vedi anche TM

Filacchione, Dante 117 Fioravanti, Leonardo 21, 100, 242245, 249, 264, 266 Fiorelli, Piero 189n Flora, Francesco 82n Folcieri, Luigi 272 Folena, Gianfranco 205n, 231n Folli, Stefano 104n Foresti, Fabio 50n, 242n Fracassetti, Giuseppe 14 Fracastoro, Girolamo 37, 64 Franceschetti, Adolphe 211 Franceschini, Fabrizio 256n Frank, Luigi 271 Freud, Sigmund 103, 172 Friedreich, Nikolaus 118 Funk, Kazimierz 119

Eco, Umberto 114n Edgerton, Jane E. 223n Ehrenberg, Christian Gottfried 119 Gadda, Carlo Emilio 32, 136 Ercolani, Libero 67n Galeno, Claudio 16n, 70n, 103, Ernst, Gerhard 58 112, 127, 152n, 168 Erodoto 61 Galeotto Marzio da Narni 24 Galilei, Galileo 38

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Galli de’ Paratesi, Nora 50n Gamna, Carlo 100n Garboli, Cesare 15n García Yebra, Valentín 176n Garnier, Marcel 17n, 105n, 172n, 196n, 197, 199n, 202n, 204n, 205n, 206n, 211n, 218n, 223, 228n Garofalo, Ivan 15n Garzoni, Tommaso 101 GDLI (= Grande dizionario della lingua italiana) 59n, 68-69, 73n, 75n, 96n, 100, 102-105, 108, 110n, 136n, 142n, 144n, 146n, 147n, 148n, 149n, 150n, 151n, 152n, 153n, 154n, 155n, 157n, 160n, 163n, 166n, 177n, 182, 192n, 200 Gentili, Giovanni 11, 164-166, 246, 283 Gesner, Konrad von 54 Ghazi, Joseph 115n, 116n, 122n, 197, 202n, 203n, 255n Ghidella, Pietro 270, 272, 275 Giannantoni, Mario 34n, 35n Gianni, Angelo 231n Giberti, Franco 224 Gigli, Sara 256n Ginobili, Giovanni 67n Giovanardi, Claudio 55n, 243n Giroud, J.-P. 130n, 133, 136, 140, 143, 147-148, 154-155, 190, 209n Giulio Cesare 212 Giunchi, Paola 11 Gleßgen, Martin-Dietrich 90n, 91, 92n Glisson, Francis 111 Gorni, Guglielmo 43n Gotti, Maurizio 198n Gozzi, Gasparo 149 Granetti, Luigi 126n Grassi, Antonio 260n Grassi, Corrado 129n Grijelmo, Álex 79n Grmek. Mirko D. 58n, 88n, 107n

Grossmann, Maria 122n, 195n Gualdo, Riccardo 89n, 95n, 96n, 103n, 112, 148n, 161, 162n, 163n, 178, 179n, 200, 241n, 264n Gucciardo, Alfonso Gianluca 174n Guerriero, Anna Rosa 115n Guglielmo da Saliceto 55n, 91, 177 Guida, Silvana 23n, 27n Gutiérrez Rodilla, Bertha M. 127n, 186n, 189n, 212n, 215n, 257n, 265n Hahnemann, Samuel 192n Hamburger, Jean 111n, 116n, 209n, 263n Harvey, William 94n Heinemann, Sabine 50n Herrenschwand, Jean-Fréderic de (Gianfederico) 106 Hirschprung, Harald 211n Hofer, Johannes 105 Hoffmann, Friedrich 98 Hooper, Robert (Roberto) 192n Huth, Edward J. 188n Hyrtl, Joseph (Giuseppe) 169n, 264 Iacobini, Claudio 122n, 196n Iandolo, Costantino 122n Ineichen, Gustav 69n, 168n, 177n Innamorati, Giuliano 37n Ippocrate 38, 98, 149, 168, 218n Jaberg, Karl 62n; vedi anche AIS Jablonski, Stanley 215n Jackson, D.M. 110n Janni, Pietro 109n, 205n, 206n Jardiel Poncela, Enrique 21 Jouanna, Jacques 92n, 101n Jud, Jakob 62n; vedi anche AIS Kattenbusch, Dieter 50n Knipps Macoppe, Alexander 22 Koch, Robert 102, 259

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Laënnec, René-Théophile-Hyacinthe 110, 119 Laguna, Andrés 49 Lai, Giampaolo 225n Laín Entralgo, Pedro 77n Lancillotti, Carlo 54-55, 56-57, 62, 71n, 99n, 200 Lancisi, Giovanni Maria 117, 141n, 190n, 191 Lauricella, Emanuele 218n, 223, 228n LEI (= Lessico etimologico italiano) 6970 Leonardo da Vinci 176 Leone, Amedeo 19n, 75n, 110n Leopardi, Carlo 82 Leopardi, Giacomo 81-83, 94, 106n Leopardi, Monaldo 82-83 Leopardi, Pierfrancesco 82 Levi, Carlo 29, 31, 32n Levi, Mosè Giuseppe 50n, 75n, 82, 101, 105n, 107, 108n, 109n, 110, 192n Librandi, Rita 38n, 169n Littré, Émile 20n, 38 Liucci, Mondino de’ 91 Liuzzi, Innocenzo 120, 134n, 192n, 275 Locutura, Jaime 79n Lolatte, Marco 271 Lorenzetti, Luca 196n, 197 Lorenzini, Carlo 13 Luciani, Luigi 10, 42, 279 Luigi Filippo d’Orléans 38 Lumbelli, Lucia 244n

Malagoli, Giuseppe 67n Malato, Enrico 14n Maldarelli, Donato 67n Malpighi, Marcello 37n, 80, 190, 192, 241, 261n Mancini, Marco 176n, 179n Manetti, Dante 39n Manfredi, Girolamo 50n, 242 Manilio, Sebastiano 88n Manzoni, Alessandro 8, 107, 109n Manzotti, Emilio 244n Maraschio, Nicoletta 189n Marchi, Marco Aurelio 64, 110n, 117n, 119-120, 217n Marconi, Federico 124n Marcovecchio, Enrico 16n, 65n, 68n, 70n, 99n, 101n, 102n, 104n, 107n, 123n, 126n, 175n, 176n, 191n, 202n, 203n, 205n Marfan, Bernard-Jean Antoine 211 Maria Teresa d’Austria 98 Mariagi, Anton Gioseffo 192n Marie, Pierre 252n Marino, Giovan Battista 37, 101 Marone, Fulvio 224n Martinet, André 121n Martinetti, Maria Grazia 224n Martinoni, Renato 81n Masiello, Vitilio 35n Masini, Andrea 83n, 84n Massa, Nicolò 150n Massaia, Guglielmo 152 Matt, Luigi 119n Mattioli, Mario 26, 27n, 183n, 191 Mattioli, Pier Andrea 101, 168n, 169 Maugham, William S. 28 Mabit, J. 103n Mauriceau, François 103 Macer Floridus: vedi Oddone di Mayor Serrano, Maria Blanca 239n Meung Mazzantini, Margaret 32-33, 148n Maffiodo, Barbara 47n Mazzini, Innocenzo 15n, 31, 65n, Magistretti, Angelo 126n, 135n, 95n, 99n, 109n, 110n, 124n, 190n, 271 127n, 168, 170, 171n, 174n, Maher, John 183n 196, 202n, 203, 204n, 206n, Maiani, G. 240 207n

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Mazzola, Giovanni 268 Medici, Mario, 76n, 250n Medici, Michele 101, 190 Mei, Cosimo 166n Meibom, Heinrich 212n Meisser, Bernadette 125n Meli, Maria Teresa 53n Mensching, Guido 90n Mercurio, Scipione (fra Girolamo) 48, 241 Merli, Francesco 108, 109n Mesuè (Yu¯ha¯nna ibn Ma¯sawaih) 49 Middeldorpf, Albrecht Theodor 218 Migliorini, Bruno 22n, 96n, 103n, 105, 106n, 110n, 118, 176, 189n, 206n Mitterand, Henri 181n Modio, Angelo 241n Molière (Jean-Baptiste Poquelin) 15, 16, 17, 20, 76 Mollaret, Henri H. 107n Mondini, Antonio Maria 77-78 Montaigne, Michel Eyquem de 14, 15n Monteggia, Giovanni Battista 120, 167, 182n, 278n Moravia, Alberto 136 Morelli Timpanaro, Maria Augusta 164n Moretti, Bruno 196n Moretti, Giovanni 67n Moretti, Marino 150n Morgagni, Giambattista 37, 80, 96, 98, 267 Morgana, Silvia 244n Mori, Ambrogio 119n Moroni, Gian Giuseppe 234n Morselli, Enrico 119 Mortara Garavelli, Bice 171n, 244n, 258n, 280n Motolese, Matteo 11, 50n, 162, 163n, 164n, 282n Muratori, Ludovico Antonio 57n Murri, Augusto 7, 8n, 23, 39-40, 72,

76, 100, 118, 127, 136-137, 146n, 147-148, 158, 182, 200, 206, 207n, 208, 209n, 210, 259, 262n Murri, Linda 39 Musa, Antonio: vedi Brasavola, Antonio Muzio, Carlo 190n, 206n Mya, Giuseppe 211n Nada Petrone, Anna Maria 94n Naldi, G.C. 80 Napoleone: vedi Bonaparte, Napoleone Navarro, Fernando A. 110n, 127n, 183n Neale, John M. 224n Nélaton, Auguste 76 Nesi, Annalisa 217n Nigrisoli, Francesco Maria 241, 261n Nobile, Valeria 156 Nystedt, Jane 50n Oddone di Meung (Macer Floridus) 177 Ogden, Charles K. 8n Oli, Gian Carlo 222, 227, 233, 234n, 235n Omodei, Annibale 19n, 75n, 110n Pacioli, Luca 37 Paganini, Francesco 275 Palazzi, Fernando 231n Palermo, Massimo 97n Palletta, Giovan Battista 47 Palmero, Giuseppe 69n Palmieri, Giovanni 192n Palmitesse, Giacomo 271, 273 Pancheri, Paolo 224n Panciatichi, Lorenzo 96n Pannacciulli, Ivo 130n; vedi anche TM

Pantani, Marco 85 Panzera, Giovanni 17n, 105n, 172n,

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196n, 199n, 202n, 204n, 205n, 206n, 211n, 218n, 223, 228n Panzini, Alfredo 119, 150n, 153n Papini, Massimo 224n Park, Katharine 90n Pasetto, Nino 23n Pasta, Andrea 22, 25, 168n, 192, 260 Pasteur, Louis 210, 219 Pazzini, Adalberto 90n, 108n Pecoroni, Giuseppe 77-78 Pellegrini, Giovan Battista 102n, 176n Pellei, Feliziana 142n, 166n, 208n Pelo, Adriana 243n Pepoli, Taddeo 37n Perillo Lancillotti, Teresa 71n Perroncito, Edoardo 119 Perrotta, Gennaro 61 Pesenti, Tiziana 87n Petralli, Alessio 113n, 239n Petrarca, Francesco 13, 14, 15, 94, 176, 278 Petrin, Ildebrando 107n Petrocchi, Policarpo 155 Petrolini, Giovanni 63n Pettenati, Gastone 125n, 129n, 135n, 169n, 192n, 212n Pfister, Max 69n; vedi anche LEI Picchi, Eugenio 101n Piccini, Sergio 25n-26n, 27n Piccitto, Giorgio 67n Piccolo, Aldo 208n Piemontese, Emanuela 253n Pietro da Tossignano 87, 89 Pigoli, Giuseppe 273n Piorry, Pierre-Adolphe 119 Piotti, Mario 37n Pirandello, Luigi 150n Pirona, Jacopo 67n Pirquet, Clemens von Cesenatico 119 Pistilli Giordano, Liliana 59n Plessi, Giuseppe 80n

Plinio il Vecchio (Gaio Plinio Secondo) 15n PM (= Professione medico) 130n, 131136, 138, 139-157, 158n, 167, 172n, 173-174, 185-187, 191, 196n, 208n, 209n, 212 Poccetti, M. 259n Policardo, Miriam Rita 169n Polidoro, Luigi Eustachio 269, 272 Polimeni, Giuseppe 177 Pomata, Gianna 18n, 38n, 46n, 76, 77n Pontieri, Giuseppe Mario 95n, 97n Pontoni, Cinzia 73n, 74n, 182n, 190n, 203n, 264n Porro, Marzio 255n Porter, Roy 58n Portier, Paul 119 Price, Frederick 130n, 131, 133135, 136n, 138, 139n, 141-142, 144, 146-149, 151-152, 154, 155, 157, 173, 191 Prieta Miralles, Virtudes de la 138n Pringle, John (Giovanni) 100, 101n Proietti, Domenico 250n Puccinotti, Francesco 81, 106, 150n, 274, 275, 276n, 277n Puoti, Mario 225n Putti, Vittorio 26n, 137n Quadri, Agostino 104 Quevedo Villegas, Francisco de 13 Quin, Fréderic Foster 103n Raffaelli, Sergio 192n Rainer, Franz 122n, 195n Rajna, Pio 242n Rak, Michele 279n Ramberti, Alessandro 196n Rampezzotti, Paolo: vedi Tramonti Rampulla, Ciro 185 Rasis (Muh• ammad ibn Zakarı¯ya¯ arRa¯zı¯) 49 Rasori, Giovanni 126, 267, 269-270

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Ravaro, Fernando 67n Ravesi, Marcello 11 Redi, Francesco 22, 96n, 103, 151n, 163-164, 166n, 177, 261, 267, 282 Regnoli, Giorgio 270 Renzi, Lorenzo 133n Rey, Alain 103n Ricci, Laura 37n, 45n Ricci, Pier Giorgio 14n Ricciardelli, Domenico 275 Riccioli, Ippolita 77 Richards, Ivor A. 8n Richerand, Anthelme-Balthasar (Antelmo) 121 Richet, Charles-Robert 119 Righetti, Chiara 81n Rohlfs, Gerhard 65n, 199n Rolando, Luigi 212 Romani, Felice 17-20 Romoli, Domenico 96n Rondelet, Guillaume 54 Röntgen, Karl-Heinz 90n Röntgen, Wilhelm Conrad 212 Roscioni, Gian Carlo 32 Rosnati, Bartolomeo G. 106 Rossebastiano, Alda 278n Rossi, Fabio 20n Rossi, Leonardo 11 Rossi, Romolo 223n, 224n Rouleau, Maurice 132n, 211n Rugarli, Claudio 24n Ruozzi, Gino 100n Ruysch, Fredrik 211n

Santi, Lucia Chiara 23n, 27n Saracino, Egidio 18n, 19n Sarcone, Michele 95, 96n, 97n, 9899, 135n, 190, 282n Satta, Luciano 231n Savonarola, Michele 50n, 96n, 148, 162, 163n, 178, 241, 263 Sboarina, Francesca 51n, 83n, 101n, 161n, 168n, 169n Scarano, Giovanni Benito 95n, 97n Scarpa, Antonio 120, 167, 267, 268, 269 Scarsi, Francesco J. 223n Scavuzzo, Carmelo 83n Schipperges, Heinrich 46n Schultze, Max Johann 118 Schwann, Theodor 212 Schweickard, Wolfgang 69n; vedi anche LEI Schweitzer, Albert 28 Scotti Morgana: vedi Morgana, Silvia Scribe, Eugène 19-20 Sébillot, François 109n Sédillot, Charles-Emmanuel 109, 119 Segre, Giorgio 130n Segura, Joaquín 143n, 213n Semmola, Mariano 76 Serapione 177 Serdonati, Francesco 24n Serianni, Luca 23n, 35n, 41n, 42n, 46n, 50n, 54n, 55n, 56n, 71n, 79n, 89n, 120n, 128n, 132n, 137n, 138n, 140n, 141n, 143n, 145n, 146n, 147n, 148n, 149n, Sabatini, Francesco 115n, 193n, 150n, 151n, 152n, 153n, 154n, 220n 155n, 156n, 157n, 162n, 169n, Sacchetti, Emilio 225n, 227n 185n, 189n, 200n, 201n, 208n, Sagone, Bianca Maria 23n, 27n 209n, 211n, 217n, 222n, 235n, Salce, Luciano 29n 264n, 276n, 280n Salinari, Carlo 229n Sforza, Maria 182, 219n Salinari, Giambattista 106n Silini, Giovanni 92n, 177n Sanavio, Ezio 240 Silvestri, ser Domenico 14 Sansovino, Francesco 69n Skinner, Henry Alan 219n Sant’Albino, Vittorio di 67n

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Skoda, Françoise 124n Sobrero, Alberto A. 255n, 256n Soderini, Francesco 200 Sordi, Alberto 29 Sournia, Jean-Charles 37n, 108n, 110n, 211 Speranza, Carlo 272 Starling, Ernest H. 119 Stella, Anton Fortunato 83 Sterpellone, Luciano 112n, 210n, 211n, 212n Stoppelli, Pasquale 101n Susio, Giovanni Battista 152n, 282 Sydenham, Thomas 107n, 119

Ugolini, Filippo 147n Unamuno, Miguel de 21 Urtel, Hermann 62n

Vaccà Berlinghieri, Francesco 101, 117, 149, 182n, 190 Valentini, Ada 183n Vallery-Radot, Pierre 28n Valli, Costantino 245, 246n, 262 Vallisnieri, Antonio 160n, 166n Valsalva, Antonio Maria 97 Valverde, Juan 178n Van Swieten, Gerard (Gerardo) 96, 192n Vanvolsem, Serge 217n Verga, Andrea 76 Tagliavini, Carlo 111n, 189n Verri, Pietro 154n Tajana, Alberto 250 Targioni Tozzetti, Giovanni 18, 98, Vesalio, Andrea 95, 97, 171 Vico, Giambattista 283n 119, 246-247, 166n Vigna, Clemente 270, 272 Tartaglia, Niccolò 37 Villa, Enrico 190n Tesi, Riccardo 104n Virchow, Rudolf 119 Thornton, Anna Maria 196n Vitali, Andrea 28 Tiraboschi, Girolamo 54 TM (= Terapia medica) 130n, 131, Vitali, Buonafede 57 133, 135-136, 138-151, 153, 154- Vitali, Emanuele Djalma 23, 26n, 201n, 210n, 217n 156, 174, 182, 187, 189n, 191n Vivanti, Corrado 39n Tobino, Mario 28 Viviani, Angelo 241 Tognotti, Eugenia 102n Tommaseo, Niccolò 19, 40n Wagner, Richard 45 Tommasini, Giacomo 192n Wear, Andrew 99n Torsoli, Aldo 196n Weber, Giorgio 98n, 192n, 200n, Totò (Antonio de Curtis) 13, 20 241n, 247n, 284n Tozzetti, Francesco 40n Wesley, John 58 Tramater, editore 110, 197 Whitehead, R. 23 Tramonti (Paolo Rampezzotti) 20 Trifone, Maurizio 222n Trifone, Pietro 58n, 89n, 165n, Zacchia, Paolo 38n Zampa, Luigi 29n 189n Trombetti Budriesi, Anna Laura Zanella, Everardo 130n; vedi anche Price, Frederik 50n Zanette, Emilio 63n, 67n Trompeo, Pietro Paolo 106n Zingarelli, Nicola 222n, 223, 227, 231n, 233, 234n, 235n UC (= L’universo del corpo) 130n, 131135, 137, 138, 139, 141-157, 186, Zolli, Paolo 18n, 172n, 278n Zublena, Paolo 32, 33n 187, 191, 209n

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INDICE

Introduzione

7

1. Medicina e letteratura 1. Accuse e caricature: da Petrarca a Totò 2. L’autocritica dei medici 3. Medici scrittori e scrittori che trattano di medicina 4. L’educazione letteraria del medico

13 13 21 28 36

2. La medicina e il popolo. Ciarlatani, pubblicitari, gente comune 1. Il foglio volante 2. Miscellanee private di medicina popolare 3. Uno sguardo ai dialetti 4. Guarigioni promesse e guarigioni contrattate 5. Parole tecniche dal medico al paziente

45 46 57 62 72 78

3. Antichi e moderni 1. Dove passa il confine? 2. Significati vecchi e nuovi

87 87 99

4. I tecnicismi della medicina 1. Una lingua settoriale 2. Tecnicismi specifici e collaterali 3. I TC lessicali 4. I tecnicismi nei testi del passato 5. Stratigrafia lessicale: greco, latino, arabo, francese, inglese 6. Qualche oscillazione grafica, fonetica, morfologica

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113 113 127 139 159 167 189

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5. Formazione delle parole, eponimi, acronimi 1. Un processo in espansione 2. Derivati e composti 3. Eponimi e acronimi

195 195 200 209

6. La medicina nei dizionari 1. Dal vocabolario all’uso reale 2. La definizione del tecnicismo: aspetti operativi

217 217 228

7. Divulgazione e informazione 1. Latino, volgare, glosse 2. Due messaggi informativi: la stampa e i foglietti illustrativi

239 239

8. Dalla lingua allo stile 1. Nomi e verbi. La spersonalizzazione 2. Sul versante della soggettività: emotività ed eufemismo 3. La figuralità: metafore e similitudini 4. I colori 5. Per concludere

255 255 261 265 273 278

Indice delle forme e degli argomenti Indice dei nomi

285 305

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2005 presso LuinoStamp srl, Brezzo di Bedero (VA)

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