Umanesimo digitale. Percorsi e contaminazioni disciplinari 9788893576000


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Umanesimo digitale. Percorsi e contaminazioni disciplinari
 9788893576000

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Umanesimo digitale

Percorsi e contaminazioni disciplinari A cura di Paola Ciandrini, in collaborazione con Ibridamente

studi e ricerche / 3

studi e ricerche / 3

Umanesimo digitale Percorsi e contaminazioni disciplinari

A cura di Paola Ciandrini, in collaborazione con Ibridamente

EDITRICE BIBLIOGRAFICA

In collaborazione con

https://doi.org/10.53134/9788893574365

ISBN: 978-88-9357-600-0 Copyright © 2023 Editrice Bibliografica Via Lesmi, 6 - 20123 Milano Proprietà letteraria riservata

Sommario

L’INGRESSO DELL’OFFICINA - Premessa 1. L’idea, l’occasione, il percorso...........................................................................................................................9 Paola Ciandrini 2. Il digitale come strumento critico...................................................................................................................15 Francesca Tomasi 3. Il porto delle nebbie ............................................................................................................................................19 Federico Valacchi DENTRO L’OFFICINA 4. «Inseguir virtute e canoscenza»: conoscere e concertare il digitale ...................................................25 Paola Ciandrini 4.1  Lo zen e l’arte della manutenzione del digitale...........................................................................................25 4.2  Le dimensioni della qualità.................................................................................................................................27 4.3  La casa della qualità...............................................................................................................................................29 4.4  Recinti, identità e design: una chiave antropologica................................................................................34 4.5  Ma è poi tanto pacifico che lo strumento rispecchi l’utente?................................................................36 4.6  Alcune “e” per abbracciare il digitale..............................................................................................................41 5. Retrobottega, ovvero l’etica del bug..............................................................................................................49 Herbert Natta 6.  La relazione sociale alla prova della pandemia: la questione dell’“intersoggettività digitale”....... 57 Salvatore Maria Pisacane 6.1 Introduzione.............................................................................................................................................................57 6.2  La naturale socialità degli uomini.....................................................................................................................58 6.3  Intersoggettività digitale.....................................................................................................................................61 7. La natura poco indulgente del digitale e il rapporto con le discipline umanistiche........................71 Alessandro Alfier 7.1  Il paradosso della ricerca e il conformismo disciplinare.........................................................................71 7.2  La natura poco indulgente dello scenario digitale.....................................................................................74 7.3  Un ambito di applicazione per l’umanesimo digitale: il dominio documentale..............................76 CINGHIE DI TRASMISSIONE 8. Economia dell’esperienza e socializzazione delle risoluzioni.................................................................89 Paola Ciandrini 8.1  Imparare, progettare e condividere................................................................................................................89 8.2  Una cartina di tornasole per il benessere documentale.........................................................................93 8.3  Periziare e non perire...........................................................................................................................................103

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9.  Le regole degli altri e le buone pratiche: una proposta di linee guida per una policy sui formati di conservazione......................................................................................................109 Cecilia Tamagnini 9.1  Il perché di una policy per la conservazione: l’attenzione al nodo dei formati........................................................................................................................109 9.2  Censimento delle policy sui formati ...............................................................................................................112 9.3  Realizzare una policy per i formati di conservazione...............................................................................116 10.  Trasformazione digitale e pubblica amministrazione: riflessioni per orientarsi...........................125 Francesco Del Castillo 10.1  A buona domanda, buona risposta: un possibile percorso digitale..................................................125 10.2  La gestione documentale è negletta se il filo conduttore non c’è.....................................................127 10.3  Un salvagente: l’analisi preliminare e una terna di requisiti ..............................................................130 10.4  Alcune tentazioni: software unico, certificazioni, liste di riscontro................................................133 10.5  Riflessioni sull’ergonomia di alcuni utensili: l’esperienza di un Comune.......................................136 10.6  Il cloud: un mondo dietro una parola...........................................................................................................148 FUORI DALL’OFFICINA - POSTFAZIONE 11.  I rischi del digitale senza bussola..................................................................................................................155 Paola Ciandrini 11.1  Genio e sregolatezza: gli Albert Einstein archives ................................................................................155 11.2  Sulla relatività archivistica ..............................................................................................................................159 12.  Riflessioni da un ping.........................................................................................................................................163 Roberta Maggi Gli autori........................................................................................................................................................................166

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L’INGRESSO DELL’OFFICINA Premessa

1.  L’IDEA, L’OCCASIONE, IL PERCORSO Paola Ciandrini

L’unica regola del viaggio è: non tornare come sei partito. Anne Carson1 A Luciano di Samosata2 dobbiamo un racconto di bottega: siamo nel II secolo d.C. nei territori a sud est dell’odierna Turchia e Luciano, completati gli studi, è mandato a bottega dallo zio scultore. Sono modeste le risorse per farlo procedere negli studi, così la famiglia lo indirizza alla bottega fondata dal nonno materno, gestita dallo zio: al primo tocco di scalpello, Luciano rompe una costosa lastra di marmo e lo zio, infuriato, lo punisce con un bastone. Percosso e stravolto, il giovane fugge a casa e, ancora sconvolto, si addormenta piangente: sogna di essere conteso fra due donne, Scultura, forzuta con mani callose e aspetto severo, e Cultura, dai modi e vesti gentili. Ciascuna cerca di portarlo con sé: Scultura lo sprona a seguirla per imparare la sua arte, garantendogli guadagni e indipendenza con l’arte dello scalpello, mentre Cultura lo invita ad affrancarsi dal destino di βάναυσος – bánausos, un artigiano padrone solo delle proprie mani – promettendogli gratificazioni attraverso lo studio.3 Lasciando temporaneamente Luciano di Samosata al suo destino, la bottega qui evocata corrisponde a un laboratorio di pensieri e azioni, un’officina progettuale e realizzativa: in bottega si apprende, in bottega si produce o si aggiusta, alla bottega ci si rivolge per necessità pratiche. A un giornalista interessato a capire dove si poteva scorgere la soggettività dell’autore nel romanzo Il nome della rosa, Umberto Eco rispose «Il soggetto è negli avverbi». Nato come idea embrionale nel 2017 e battezzato ufficialmente nel 2018, il   Anne Carson (Toronto, 1950), saggista, traduttrice, poetessa canadese. La citazione è tratta da Antropologia dell’acqua. Riflessioni sulla natura liquida del linguaggio, edizione italiana a cura di Antonella Anedda, Elisa Biagini, Emmanuela Tandello, Roma, Donzelli, 2010. 2   Luciano di Samosata (Samosata, ca 120 - Atene, post 180), retore e filosofo ellenistico, probabilmente di madrelingua siriaca: le opere pervenuteci (circa un’ottantina in greco antico, dialetto attico), tradotte in Italia dal XV secolo, suggestionarono poeti e pittori, come Boiardo, Botticelli e Mantegna. Alla sua Storia vera, parodia del romanzo greco, si ispirarono Rabelais, Swift e Voltaire, Le avventure del Barone di Münchhausen di Gottfried Bürger e Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi sono in buona misura debitrici alla sua fantasia. 3   Sul sogno di Luciano di Samosata e la bottega dello zio materno ci si limita a segnalare Alessandro Iannucci, Da Samosata a Oxford. Il Sogno di Luciano (e Thomas Hardy) tra biografia, finzione letteraria e parodia, «Annali on line Lettere», IV (2009), 2, p. 99-118; Giorgio Bejor - Marina Castoldi - Claudia Labrugo - Elisa Panera, Botteghe e artigiani. Marmorari, bronzisti, ceramisti e vetrai nell’antichità classica, Milano, Mondadori Università, 2012. 1

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UMANESIMO DIGITALE

progetto Ibridamente4 ha operato con l’obiettivo di costruire e diffondere cassette di istruzioni e attrezzi per il digitale, equipaggiamenti principalmente dedicati al contesto dei beni culturali e, in particolare, rivolti alla comunità estesa di professionisti e utenti impegnati – o interessati – dagli archivi. Ibridamente si è cimentato nel costruire utensili e partnership, avanzando con un leitmotiv, una visione a tuttotondo di servizi con una spiccata matrice digitale dedicati ai beni culturali e, in prima istanza, a quelli archivistici. Tuttotondo: gli archivi come testimonianza e strumento della società, gli archivi come rete fra saperi e competenze, gli archivi come parte del complesso sistema dei beni culturali che, insieme al binomio descrizione-tutela, necessita di buon governo. Cosa pubblica e buon governo: Giulio Carlo Argan5 definì come prima testimonianza italiana di opera politica il ciclo di affreschi senese Allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo,6 ospitato nella Sala dei Nove – detta anche della Pace – del Palazzo pubblico, in piazza del Campo: nella rappresentazione del buon governo spiccano in primo piano alcune botteghe – fra le altre, quelle di un calzolaio, di un vasaio e di un tessitore – accanto a uno studium. Gli effetti del buon governo incentivano un reciproco scambio sociale per la creazione di valore condiviso, relazione in cui si inserisce lo scambio fra individui che cercano prodotti o servizi e individui che li offrono: in bottega si va per un’esigenza e la bottega risponde a bisogni. La vicinanza tra studium e botteghe, inoltre, collega il sapere al saper fare. Esiste una liason organizzativa fra la bottega rinascimentale, l’evoluzione di quelle rappresentate da Lorenzetti, e quella digitale. La bottega rinascimentale era un modello orientato all’innovazione, un ambiente caratterizzato da tecnologie avanzate: una “comunità di pratica” improntata all’ibridazione, in grado di generare valore condiviso. Pensiamo a Gutemberg,7 che unisce il suo sapere e saper fare di orafo a quello di due soci, un incisore e un finanziatore, per la stampa della Bibbia a 42 linee, con caratteri mobili. Schöffer8 e Fust9 ebbero più affinità e profitti, ci

  Si veda www.ibridamente.it e Ibridamente, menti ibride per un mondo digitale in ANAI, «Il Mondo degli Archivi», 8 aprile 2021, gliarchivi.org/rubriche/blog/870-ibridamente-menti-ibridi-per-un-mondo-digitale. 5   Giulio Carlo Argan (Torino, 1909 - Roma, 1992), storico e critico dell’arte, docente universitario, politico e senatore della Repubblica tra 1983 e 1992. 6   Ambrogio Lorenzetti (Siena, ca 1290 - 1348) tra il 1338 e il 1339 realizza il ciclo di affreschi menzionato, considerato fra le prime e più incisive testimonianze dell’arte politica dell’Italia medievale. L’opera rappresenta in forma allegorica gli effetti del buono e del cattivo governo e invita l’osservatore al paragone dei due esiti di gestione politica, rappresentati specularmente. Sul tema si veda Gabriella Piccinni, Operazione Buon governo: un laboratorio di comunicazione politica nell’Italia del Trecento, Torino, Einaudi, 2022. 7   Johannes Gensfleisch della corte di Gutenberg (Magonza, 1400 ca - 1468), orafo e tipografo tedesco, inventore della tecnica della stampa moderna in Europa. 8   Peter Schöffer, o anche Petrus Schoeffer (Gernsheim, 1425 circa - Magonza, 1503), incisore e tipografo. 9   Johannes Fust (Magonza, 1400 circa - Parigi, 1466), orafo e tipografo. 4

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L’idea, l’occasione, il percorso

insegna la storia, ma universalmente riconosciuti sono l’intuizione e lo sviluppo dell’idea di Gutemberg. Alla luce delle chiavi di lettura proposte dagli studiosi di organizzazione, potremmo dire che la bottega “rinascimentale” anticipa per molti aspetti le caratteristiche dell’adhocrazia: una soluzione organizzativa che si propone di riunire competenze professionali differenti all’interno di gruppi a progetto che, utilizzando meccanismi di coordinamento basati sull’adattamento reciproco, si orientano alla soluzione di esigenze emergenti e di specifici problemi. In contesti di questo tipo si riducono i vincoli di natura formale, tipici delle organizzazioni burocratiche, mentre il confronto con il committente – non semplice “cliente”, ma partner – si sviluppa fin dalla fase ideativa secondo una logica di carattere co-creativo, per cui interno ed esterno dell’organizzazione si pongono in una condizione di permanente “conversazione”.10

In questa prospettiva Ibridamente ha operato come una bottega in cui far convergere conoscenze, competenze e azioni – progettuali, operative, consulenziali e di coordinamento – guidate da alcuni principi: orientamento all’innovazione e rapporto armonico con il digitale, circolarità e sostenibilità, creazione di valore condiviso. In questo volume la bottega è un’officina di pensieri e azioni, un catalizzatore di conoscenze, competenze e abilità differenti per realizzare prodotti e servizi di qualità. L’idea di questo volume nasce nel corso dell’edizione 2021 di Percorsi Assisi intitolata Umanesimo digitale: bene individuale, comune, collettivo,11 un’occasione formativa con l’obiettivo di riflettere sugli interrogativi posti dall’evoluzione del rapporto tra uomo e tecnologia e di ragionare sulle opportunità create dalla crescente trasversalità tra materie umanistiche, materie scientifiche e linguaggi del digitale: la summer school ha analizzato e declinato l’espressione umanesimo digitale attraverso lezioni, dibattiti, workshop e laboratori che hanno coinvolto sei università (Università Luiss Guido Carli, Università di Bologna, Università Federico II di Napoli, Università di Macerata, Università di Perugia, Politecnico di Milano), il Sacro convento di Assisi, imprese e professionisti. Prendendo spunto da quel percorso, Ibridamente ha agito da catalizzatore per realizzare una pubblicazione “dal basso”, investendo nell’impianto e curatela di un volume per riflettere sulle definizioni di umanesimo digitale e Digital Humanities, con il proposito di condividere scalpelli digitali. Cultura – Παιδεία nel testo originale – sprona Luciano a non confinarsi nell’essere βάναυσος. Intendiamoci, l’aggettivo banausico diventa prettamente spregiativo solo a partire dal Novecento: puramente meccanico e grettamente utilitario è   Gabriele Qualizza - Daniela Cavallo - Michela Maguolo, Dalla bottega rinascimentale alla bottega digitale: per un nuovo modello di impresa umanistica, «Tigor: rivista di scienze della comunicazione e di argomentazione giuridica», XI (2019), 2, p. 142. 11   Percorsi Assisi, www.percorsiassisi.it. 10

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il significato che gli attribuisce Benedetto Croce12 negli anni Venti – definizione che richiama il banausisch di molti filosofi tedeschi dell’Ottocento13 – e Dagobert D. Runes, nel suo dizionario filosofico del 1942,14 lo appesantisce con il senso di volgare e illiberale, riferendosi ad arti e professioni che deformano il corpo o la mente. Ibridamente ha provato a unire l’invito di Cultura e Scultura, creando una cerniera tra apprendere e applicare, collegando esperti di ambiti disciplinari diversi: è questo il contesto in cui l’idea del volume è nata e si è realizzata. Nel sogno – opera scritta in età matura, quando era già affermato e agiato retore – Luciano di Samostata dichiara di aver scelto la mano di Cultura, per essere libero e non vincolato alla sola “intelligenza delle mani”: non rifiuta la fatica paventata da Scultura, ma sprona i giovani a seguire lo spirito della conoscenza offerto da Cultura. Come Luciano, Ibridamente qui propone approcci, metodi e tecniche per scolpire e maneggiare scalpelli digitali: prende per mano Cultura e Scultura. Questo volume è un utensile realizzato come progetto partecipativo, un tassello della collana “Studi e ricerche” di Editrice Bibliografica dedicata alla narrazione di progetti, universitari e non solo. In Umanesimo digitale sono raccolti contributi intrecciati da un fil rouge, un percorso a tappe dedicato al digitale come bene individuale, comune e collettivo. L’ingresso dell’officina, l’introduzione al nostro viaggio, propone una bussola per orientarci attraverso riflessioni sulle Digital Humanities: a Francesca Tomasi e Federico Valacchi rivolgo un sentito ringraziamento per l’interesse che in loro ha suscitato questo progetto, che li vede artefici dell’accoglienza ai lettori. La sezione Dentro l’officina incarna la fucina di ragionamenti sulle ripercussioni del “pensare e fare” digitale. In questa tappa partiamo dal ragionare sulla percezione della qualità e sull’ergonomia delle tecnologie intese come “cose utili da usare”, il più possibile progettate con un design inclusivo, capace di rappresentare, fra il resto, istanze di equità, etica, partecipazione, condivisione, efficienza. Per questa sezione ringrazio – in rigoroso ordine di apparizione nel volume – Herbert Natta, Salvatore Maria Pisacane e Alessandro Alfier, che hanno saputo contaminare punti di vista disciplinari, apparentemente distanti, ma intrinsecamente collegati.

  Benedetto Croce, Nuovi saggi di estetica, Bari, Laterza, 1920; l’attestazione, riportata dal GDLI a cura di Salvatore Battaglia, si riferisce all’edizione del 1958 (p. 310): «Questo spiritualizzamento si ottenne col sollevare la parola Arte a significare il produrre stesso della fantasia, distinguendolo da quello delle arti banausiche, dell’abilità tecnica»; il termine tedesco Banause è oggi usato per indicare una persona rozza indifferente alla cultura, come l’uso di filisteo in inglese. 13   Con un’isolata attestazione cinquecentesca, il termine fu utilizzato da Raffaele Mariano, conosciuto da Benedetto Croce. Su Croce e la diffusione del termine si veda Luigi Matt, Una presunta coniazione lessicale di Benedetto Croce: banausico, «Lingua e stile. Rivista di storia della lingua italiana» (2018), 2, p. 249-256, doi: 10.1417/91858. 14   The dictionary of Philosophy, a cura di Dagobert David Runes, New York, Philosophical Library, 1942; l’uso nell’inglese non è attestato prima del 1845, con la rinascita vittoriana dell’erudizione classica e l’assorbimento del termine greco. 12

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L’idea, l’occasione, il percorso

La terza sezione, intitolata Cinghie di trasmissione, è dedicata all’analisi di casi e alla socializzazione di alcune risoluzioni di matrice archivistica: un sonoro grazie a Cecilia Tamagnini e Francesco Del Castillo che con competenza, passione e rigore si sono dedicati alla condivisione di proposte metodologiche e operative. Un ringraziamento speciale a Roberta Maggi, co-autrice della postfazione e voce di IMATI, l’Istituto di matematiche e tecnologie informatiche Enrico Magenes del Consiglio nazionale delle ricerche – e buon compleanno al CNR, che proprio quest’anno celebra i cento anni dalla sua fondazione. Infine, grazie a tutte le menti ibride che hanno promosso e sostenuto contenuti e forma di questo volume. DOI 10.53134/9788893574365-9

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2.  IL DIGITALE COME STRUMENTO CRITICO Francesca Tomasi

Parlare di digitale oggi significa acquisire piena consapevolezza del senso del molteplice: innovazione digitale, cultura digitale, formati digitali, strumenti digitali, transizione digitale. Queste sono solo alcune delle co-occorrenze più attestate e più rappresentative di una tendenza. Parlare di digitale allora costringe ad addentrarsi inevitabilmente in un reticolo di significati, ricadute e motivazioni che traggono senso dai contesti d’uso. Proviamo a pensare al concetto di digitale nell’accezione informatica. Il digitale altro non è che rappresentazione. È la capacità di un calcolatore di gestire l’informazione sotto forma di sequenze binare (dal bit, universale contrazione di binary digit). Ora se il nostro contesto è quello dell’umanesimo digitale, che trova nelle DH – le Digital Humanities – la sua cornice scientifica di riferimento, dovremmo confrontarci con il senso di una rappresentazione, comprensibile da parte di una macchina, che riguarda l’ampio e variegato dominio delle scienze umane. Oppure di una rappresentazione che di umanistico ha la sensibilità verso un oggetto di studio che deve essere adeguatamente comunicato al calcolatore affinché tutto il suo potere informativo, di cui solo il suo interprete è profondo conoscitore, venga trasmesso attraverso il digitale partendo da una dimensione nativamente analogica. Se sposiamo questo assunto allora lo scopo delle DH è quello di comprendere la complessità di un dominio di ricerca, quello umanistico, per poterlo tradurre a vantaggio di una macchina, ovvero il calcolatore. Se questo è vero, quella traduzione, finalizzata alla rappresentazione, richiede una profonda consapevolezza tanto dei problemi della ricerca umanistica, quanto del funzionamento di un flusso di bit, delle strutture dati e degli strumenti per manipolarli. Ecco che da un lato non c’è digitale senza analisi dell’oggetto di studio e che, dall’altro, l’informatica diventa uno dei saperi che identificano la ben nota scienza dell’informazione, un insieme di metodi, teorie e applicazioni che ambiscono a stabilire le più adeguate forme di gestione dell’intero ciclo vitale dell’informazione. Tutto questo per ricordare le origini di un sapere, quello delle DH, che proviene da una meno collettivamente conosciuta Humanities Computing che, più che il problema della rappresentazione, cercava di risolvere il problema dell’interpretazione. Ovvero anche cercava di comprendere come il dato digitale potesse essere manipolato dalla macchina per restituire conoscenza. Ecco quello che l’umanesimo digitale deve comprendere. Non potremo limitarci a pensare alla rappresentazione digitale (che sia acquisizione di un’immagine analogica o trascrizione elettronica di un testo, o creazione di uno strumento di corredo online) come al

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valore aggiunto delle DH, ma dovremmo iniziare a ragionare sulla capacità di rielaborazione computazionale. Non c’è rappresentazione digitale che esaurisca nella trasmissione di un flusso di bit l’essenza dell’oggetto da destinare alla macchina. Questo non significa dedicare i propri sforzi alla dimensione tecnica e tecnologica di un processo complesso e articolato, ma riflettere sulla metodologia necessaria a trasformare la propria conoscenza sugli oggetti della ricerca in modelli astratti che siano utili al calcolatore per consentire a chi quei dati fruisce di imparare qualcosa di nuovo. Significa insomma ragionare secondo logiche formali, nozione che possiamo altrimenti formulare come l’esigenza di rileggere le humanities in vista dell’elaborazione di nuovi modelli ermeneutici, ovvero anche di pensare alla ricerca scientifica come esito di atti interpretativi computabili. Il senso delle DH si risolve dunque nel seguente assunto: una lettura sapiente dei dati, una loro modellazione formale e la possibilità che tale modello arricchisca l’esperienza del fruitore. Il punto è strettamente metodologico, perché è esattamente la scelta di un metodo, e non della tecnica per implementarlo, che determina il risultato. Ogni azione nelle DH è un processo, che vede dati, persone, oggetti, teorie e strumenti cooperare adottando nuove metodologie per garantire il dialogo e lo scambio all’interno di un ecosistema. Proviamo allora a scendere nel concreto. Tanto sforzo nelle discipline del libro e del documento è stato dedicato, storicamente, alla definizione di modelli di descrizione delle risorse, o anche degli oggetti, di pertinenza dei domini archivistico e bibliografico/biblioteconomico. Tanto lavoro è stato condotto per la definizione di standard per la descrizione, quelli che a oggi sono i metadati (in particolare quelli descrittivi). Senza addentrarci nell’evoluzione di modelli di contenuto, di struttura e di formato, quello a cui senz’altro oggi stiamo assistendo è una riscrittura di tali standard sotto forma di modelli concettuali, ovvero anche di ontologie. Se con ontologia ci si riferisce alla rappresentazione informatica, tipicamente in linguaggio OWL (Ontology Web Language) quando si parli del Web, il modello concettuale è la premessa, pur sempre formale, di quella rappresentazione. Una concettualizzazione astratta di dominio, ovvero anche l’operazione di riconoscimento delle categorie (nella forma innanzitutto di classi e proprietà o anche concetti e relazioni) utili a descrivere le potenzialità di una serie di oggetti, secondo il punto di vista esercitato dall’osservatore, ma capaci di tradurre una visione potenzialmente condivisa e tendenzialmente universale. Ne deduciamo che il cuore dell’argomentazione è il modello, e il modello altro non è che un tentativo di riconoscere delle caratteristiche che qualificano il dominio osservato, rappresentato da una serie di oggetti (o diciamo da entità). Cambiando gli oggetti il modello non cambia, ma garantisce la sua validità come rappresentazione universale. È una metodologia, che solo un esperto della conoscenza veicolata da quel dominio può formalizzare affinché la rappresentazione che ne deriva sia valida, attendibile e affidabile. Ecco che la rappresentazione non è più solo una trasmissione di bit ma è l’esito di un processo di interpretazione formale formulato da chi ha una competenza sugli oggetti osservati tali da garantirne la piena capacità espressiva.

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Il digitale come strumento critico

Usciamo allora dalla logica della creazione di siti Web come esito di una ricerca scientifica, usciamo dalla logica della digitalizzazione come risultato di un lavoro di DH, usciamo dalla logica della tecnologia fine a sé stessa come panacea di tutti i processi. E sposiamo l’importanza della consapevolezza critica di chi analizza risorse bibliografiche e documentali per saperle rappresentare formalmente. In questo senso il ruolo di TEI (la Text Encoding Initiative), uno schema immaginato per modellare la rappresentazione di risorse umanistiche, ci aiuta nella riflessione. Non potrà essere la tecnica a risolvere il riconoscimento di strutture complesse come quelle, per esempio, identificabili in un testo letterario perché solo l’esperto saprà, sulla base del punto di vista che intende esprimere e che condivide con gli altri esperti di dominio, rappresentare in modo formale ciò che vuole comunicare alla macchina (per esempio a livello linguistico, retorico, intertestuale, filologico). Un’ultima osservazione. Produciamo quantità enormi di dati digitali, ma se quei dati non vengono rappresentati in modo adeguato, se non viene garantita non solo la loro preservazione in qualità di supporti e formati digitali, ma in qualità di contenuti culturali, allora il rischio è quello di uno sforzo che rischia di far sprecare tempo e risorse. La long term preservation è un tema importante in archivistica. Ma per chi utilizza quei dati ancora più importante è il long term access. E poter avere accesso ai dati non è solo una questione di preservazione del bit, ma di garanzia di poter fruire delle risorse in qualità di memoria storica della collettività, di oggetti che il digitale contribuisce ad arricchire fornendo sistemi di fruizione, servizi di accesso e strumenti necessari all’aumento della conoscenza su quelle stesse risorse. E solo quando quegli oggetti saranno rappresentati attraverso i dati che qualificano l’esito di una ricerca condotta dagli esperti di dominio, solo allora il digitale non sarà un mezzo ma uno strumento critico. Saluto allora con particolare entusiasmo questo volume che raccoglie esperienze, punti vista, progetti e proposte sotto un comune denominatore, quello di una riflessione sui temi dell’umanesimo digitale nella dimensione di un ragionamento critico. Ragionamento che va governato da chi quei temi sa manipolare in modo sapiente, muovendosi nella bottega, o anche nell’officina, con i giusti strumenti. DOI 10.53134/9788893574365-15

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3.  IL PORTO DELLE NEBBIE Federico Valacchi

L’umanesimo digitale, quando non sia retorica a buon mercato, è una crasi che rappresenta beni i nostri tempi impastati di tecnologia e fiduciosa incertezza sul futuro. Affrontarne le molte implicazioni è senza dubbio un percorso. Un percorso tortuoso, promettente e faticoso come ogni viaggio che meriti di essere viaggiato. È un itinerario circolare, che parte dall’uomo e dall’umanesimo, arriva al digitale e all’uomo poi torna. È una strada che alla fine ci porta a rifugiarci nella formula, per nulla scontata, dell’umanesimo digitale, ovvero, con una traduzione non del tutto indolore, delle Digital Humanities. Le Digital Humanities, è vero, possono essere interpretate anche come “informatica umanistica”, ma la lettura che sostiene una dimensione soprattutto tecnica non mi ha mai convinto del tutto, come ho sempre ritenuto fuori luogo, per esempio, l’espressione “archivistica informatica”.1 Nell’uno e nell’altro caso mettere troppo in evidenza la componente meccanica mi sembra togliere spessore all’idea di reciproca inclusione tra due dimensioni che concorrono a un medesimo fine. Su questi aspetti, però, altri meglio di me sapranno dare le indicazioni più opportune. Al di là di ogni questione filologica ed epistemologica, a me preme invece sottolineare come il libro curato da Paola Ciandrini, in collaborazione con Ibridamente dia conto di scenari possibili e plausibili chiavi di lettura. La fatica più grande sta nel fatto che in un’operazione di questo tipo si deve fare i conti con un fenomeno sul quale si è già detto moltissimo ma che sotto certi punti di vista continua a sfuggirci o, meglio, potrà ancora riuscire a stupirci. L’uomo e la macchina sono entità in divenire, pensieri e azioni insondabili, meraviglie ancora e per sempre in potenza. Ci dobbiamo quindi aspettare di più, ci possiamo aspettare di tutto, da questa associazione a pensare. Dentro al soffuso realismo magico che a tratti attraversa questo volume, quasi per contrappasso emergono riflessioni di estrema concretezza che ci aiutano a immaginare lo stupore venturo e al tempo stesso danno conto di uno stato dell’arte fluido e in costante divenire. Il paradosso socratico si manifesta in tutta la sua forza al lettore che cerca di catturare il senso univoco di processi culturali e tecnologici espansivi, pervasivi e per

  Sulle denominazioni delle discipline con particolare riferimento all’archivistica mi permetto di rimandare a Federico Valacchi, Eugenio, un censimento della didattica dell’archivistica nelle Università italiane: il progetto e le prime valutazioni sui dati raccolti, «Archivi», II (2007), 1 (gen.- giu.), p. 59-86. 1

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molti versi irrisolti. Su questi temi il futuro è più che mai la palla di cannone accesa della canzone di Francesco De Gregori2 e solo immaginarlo può ragionevolmente sgomentarci. Per queste ragioni vorrei volare quanto più basso possibile e sviluppare le mie poche ulteriori riflessioni muovendomi soprattutto sul banco di prova a me più familiare degli archivi. Non si tratta solo di familiarità, a dire il vero, perché ci sono ottimi motivi per indagare ancora il ruolo complesso degli archivi nel quadro delle umane conoscenze e di quelle che, in particolare, stanno diventando digitali. Magari ragionando non su tutti gli archivi o su tutto l’“archivismo” ma riflettendo, come qui suggerisce la stessa curatrice, sugli «archivi come testimonianza e strumento della società, gli archivi come rete fra saperi e competenze».3 Fuori da certa retorica del passato e liberi dall’ingombro di una memoria fatta solo per ricordare, gli archivi sembrano infatti essere la biodiversità più adatta per studiare il confine tra l’atto del pensiero e la potenza dell’azione. Gli archivi, anzi, sono ciò che resta del pensiero nelle azioni. O nei fatti, se preferiamo dire così. Per queste ragioni l’idea di officina, forse ancora meglio di bottega, si addice molto al lavoro archivistico, indipendentemente dal formato e dal supporto, come si suol dire. Gli archivi in natura sono infatti dei semilavorati informativi che solo un attento lavorio fatto di metodo, accortezza, fantasia e rigore può far brillare di luce propria. Gli archivi, soprattutto come ci si mostrano oggi, ci riportano al dilemma del rapporto tra l’istinto di sopravvivenza dell’umanità attraverso la memoria e la perspicacia piuttosto raffinata di certe macchine. Ci aiutano a riflettere sull’apparente ossimoro che si cela nelle Digital Humanities. L’incontro tra ciò che è dell’uomo e ciò che invece è della macchina è infatti in prima battuta, se non un ossimoro, un confronto di mondi. In questo senso Digital Humanities è allora una coppia di termini che evoca una collaborazione, prima ancora che una disciplina o un mondo applicativo. Non si tratta semplicemente di trattare le informazioni ma di capire cosa l’idea stessa di informazione possa diventare, mentre intorno a noi non accenna a placarsi la tempesta dell’ipermnesia.4 Nel momento in cui il documento si perde nell’infinita varietà di oggetti digitali che anelano a sostituirlo, un po’ di sano pragmatismo archivistico può tornare utile, magari per accorgerci che tutto è cambiato e bisogna impegnarsi a dare un senso nuovo a parole che credevamo definitivamente addomesticate.   Francesco De Gregori, I muscoli del capitano, album Titanic, 1982.   Si veda in questo volume, Paola Ciandrini, L’idea, l’occasione, il percorso, p. 9-13. 4   Ai confini della galassia documentaria il controllo e la gestione dei dati e dell’informazione si aprono su scenari apparentemente remoti che sono, in fondo, il naturale sviluppo tecnologico delle discipline LIS e di una possibile applicazione del concetto di digital humanities. Si veda al riguardo Claudia Lanza, Semantic Control for the Cybersecurity Domain. Investigation on the Representativeness of a Domain-Specific Terminology Referring to Lexical Variation, Londra, CRC Press, 2022, doi.org/10.1201/9781003281450. 2 3

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Il porto delle nebbie

Il mondo degli archivi, nella sua invadente trasversalità, se lo si guarda così, è oggi un potenziale, gigantesco cantiere. Uomini e macchine concorrono a dilatarne il senso e il perimetro. A questo destino non si sfugge, per quanto si voglia ancora temporeggiare dentro a stilemi beniculturalisti. L’archivistica seria, quella che si è confrontata da sempre con la faccia dura degli archivi in azione per trarne i suoi insegnamenti, non può sottrarsi a un confronto a tutto campo con le informazioni, le tecnologie e le strategie secondo le quali ormai il presente parla e si ricorda di sé stesso. La «virtute e la canoscenza», frutti prelibati degli archivi, maturano anche e forse soprattutto dentro a logiche ormai distanti dagli schemi messi a punto nei secoli scorsi.5 L’idea di provenienza rimane un faro cui è utile continuare a guardare per non perdere del tutto l’orientamento, ma che rischia di andare in frantumi dentro all’ubiqua delocalizzazione delle risorse digitali.6 I burberi ma bonari soggetti produttori che eravamo abituati a frequentare, e che con virtuosa fatica avevamo imparato a conoscere, vengono progressivamente affiancati da evanescenti motori di produzione e aggregazione. Gli archivi in senso proprio, se mai un senso proprio è esistito, non reggono il passo di fronte a una interoperabilità che attraversa gli stessi documenti, spesso trasformati – o sublimati – in fluide “viste documentali”. L’umanesimo digitale, allora, è forse proprio il tentativo di guidare la nave fuori dalle nebbie in cui è precipitata a causa di un’accelerazione violentissima del tempo tecnologico e di quello storico. La sconfitta delle tassonomie sta tutta nella loro fatale ipertrofia, perché l’infinito continua a non essere classificabile e sfidarlo non porta umanamente a nulla. Il punto di sintesi, l’incontro tra la carne e il ferro, forse è proprio qui, nel tentativo degli uomini di insegnare umiltà alle macchine. Nella consapevolezza che le macchine sono nostre amiche ma, alla fine, sono più smarrite di noi dentro al big bang informativo nel quale tutti quanti, noi e loro, siamo immersi. Il piccolo mondo antico degli archivi può fornirci risorse sorprendenti al riguardo. Idee come quelle di descrizione, rappresentazione, contesto, ermeneutica delle fonti, selezione, possono avere il loro ruolo dentro a processi documentali violentati dalle performances tecnologiche. Possono aiutarci a ricondurre la corsa senza fine dei dati ad una logica o, quantomeno, a una maggiore continenza. Il rischio che corriamo è quello di finire nello stesso deserto identitario del protagonista del famoso romanzo di Simenon che ho richiamato nel titolo di queste brevi riflessioni. Dall’ipermnesia già evocata alla società postmnemonica in agguato, o forse già tra noi.7

  Un segnale in questo senso si ha ad esempio in Francesca Tomasi - Marilena Daquino, Modellare ontologicamente il dominio archivistico in un’ottica di integrazione interdisciplinare, «JLIS.it», 6 (2015), 3, p. 13-38. 6   Maria Guercio, Custodia archivistica, ubiquità digitale, in Il pane della ricerca. Luoghi, questioni e fonti della storia contemporanea in Italia, a cura di M. De Nicolò, Roma, Viella, p. 89-102. 7   Paul Connerton, Come la modernità dimentica, Torino, Einaudi, 2010. 5

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Di nuovo, e infine, si ripropone il bisogno di sciogliere l’ossimoro e di trasformare ciò che è dell’uomo e ciò che invece è del digitale, in una cooperazione tra intelligenze più o meno artificiali. La sintesi è certamente difficile e l’equilibrio tra le diverse componenti molto instabile, ma se le molte officine coinvolte riuscissero in questo intento il premio potrebbe davvero essere quel mondo nuovo che a oggi è ancora confinato nelle migliori pagine di fantascienza.

Bibliografia Connerton, Paul, Come la modernità dimentica, Torino, Einaudi, 2010. Guercio, Maria Custodia archivistica, ubiquità digitale, in Il pane della ricerca. Luoghi, questioni e fonti della storia contemporanea in Italia, a cura di M. De Nicolò, Roma, Viella, p. 89-102. Lanza, Claudia, Semantic Control for the Cybersecurity Domain. Investigation on the Representativeness of a Domain-SpecificTerminologyReferring to Lexical Variation, Londra, CRC Press, 2022, doi.org/10.1201/9781003281450. Tomasi, Francesca - Daquino, Marilena, Modellare ontologicamente il dominio archivistico in un’ottica di integrazione interdisciplinare, «JLIS.it», 6 (2015), 3, p. 13-38. Valacchi, Federico, Eugenio, un censimento della didattica dell’archivistica nelle Università italiane: il progetto e le prime valutazioni sui dati raccolti, «Archivi», II (2007), 1, p. 59-86.

DOI 10.53134/9788893574365-19

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DENTRO L’OFFICINA

4.  «INSEGUIR VIRTUTE E CANOSCENZA»: CONOSCERE E CONCERTARE IL DIGITALE Paola Ciandrini

4.1  Lo zen e l’arte della manutenzione del digitale La motocicletta non è altro che questo: un sistema di concetti realizzato in acciaio. In essa non c’è pezzo, non c’è forma che non sia uscita dalla mente di qualcuno. Robert M. Pirsig1 Nel 1974 una casa editrice newyorkese pubblica un romanzo di un autore sconosciuto, un professore di tecniche di scrittura rifiutato in precedenza da 121 editori: con grande sorpresa il libro diventa un caso editoriale e commerciale, riscuotendo un successo paragonabile alle tirature di Castaneda e Tolkien, con cinque ristampe in un mese. Il carneade è Robert M. Pirsig, l’opera Zen and the art of motorcycle maintenance: miscelando un racconto biografico a considerazioni filosofiche, il narratore si interroga su quale sia la differenza fra chi viaggia in sella a una moto consapevole di come il veicolo funzioni e chi ne è ignaro. Questo pensiero diventa la leva di altre domande: da che cosa nasce la tecnologia, perché è illusorio sfuggirle e, soprattutto, che cos’è la qualità? Quality…you know what it is, yet you don’t know what it is. But that’s self-contradictory. But some things are better than others, that is, they have more quality. But when you try to say what the quality is, apart from the things that have it, it all goes poof! There’s nothing to talk about. But if you can’t say what Quality is, how do you know what it is, or how do you know that it even exists? If no one knows what it is, then for all practical purposes it doesn’t exist at all. But for all practical purposes, it really does exist.2

  Robert Mainard Pirsig (Minneapolis, 1928 - South Berwick, 2017), scrittore e filosofo statunitense, fondatore della metafisica della qualità, anche nota come MOQ; l’intelligenza precoce e l’esperienza, negli anni Sessanta, dell’elettroshock segnano la sua biografia. La frase è tratta Zen and the art of motorcycle maintenance: an inquiry into values, New York, William Morrow & Company, 1974; per la traduzione italiana: Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, traduzione di D. Vezzoli, Milano, Adelphi, 1981. 2   Robert M. Pirsig, Zen and the art, cit., p. 179; per un commento al brano citato si veda il capitolo introduttivo di Public policy for academic quality. Analyses for innovative policy instruments, a 1

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Quando saliamo in sella a “motociclette digitali” – quando utilizziamo prodotti, strumenti e servizi definiti digitali – quanto conosciamo il loro funzionamento e le loro ripercussioni? E come valutiamo la loro qualità? Se la prima esplicita definizione della nozione di qualità risale ad Aristotele,3 è tra XVI e XVII secolo, con lo sviluppo del pensiero scientifico, che la connessione tra pensiero e azione genera dei “sistemi di gestione”; pensiamo a Cartesio che, sulla base del pensiero di Bacone, teorizza regole per pensare e agire scandite da quattro passi: evidenza, analisi, sintesi e controllo. Altre formalizzazioni plasmano nel corso del tempo il concetto di qualità: quando con il passaggio dalla produzione artigianale a quella industriale emerge l’importanza della progettazione dei processi produttivi, Taylor4 afferma il principio dello scientific management, definizione in cui scientific interpreta il significato di “metodico e sistematico” e management richiama tutti gli aspetti del processo di produzione, dalla progettazione alla programmazione, considerando anche lo human capital, fredda locuzione che esprime le capacità cognitive, intellettive e operative di tutte le persone coinvolte in un processo, indipendentemente dal loro ruolo. Dobbiamo arrivare al secondo dopoguerra per trovare la prima codificazione universale dei modelli produttivi e organizzativi: è il 1946 quando 65 delegati provenienti da 25 paesi si incontrano a Londra per discutere sulla necessità, internazionalmente condivisa, di impostare e applicare norme tecniche. A distanza di un anno nasce l’International Standard Organisation,5 promotore della “cultura della qualità” attraverso processi di raccolta, analisi ed elaborazione di best practices dedicate a strategie direzionali, organizzative e gestionali. E nel 1987, proprio quando l’ISO diffonde il primo standard di gestione della qualità,6 David A. Garvin7 pro-

cura di David D. Dill e Maarja Beerkens, Dordrecht, Springer, 2010, p. 1-13, doi.org/10.1007/97890-481-3754-1_1. 3   Aristotele, Metafisica, Libro V; per un inquadramento, si veda Adriano Bausola, Una nuova traduzione e interpretazione della Metafisica di Aristotele, «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», 69 (1969), 1, p. 72-87. 4   Frederick Winslow Taylor (Germantown, 1856 - Filadelfia, 1915), ingegnere e imprenditore, è considerato il fautore dell’organizzazione scientifica del lavoro. 5   Sulla storia dell’International Standard Organisation si veda Friendship among equals. Recollections from ISO’s first fifty years, ISO Central Secretariat, Ginevra, 1997. ISO non è acronimo, come spesso interpretato: l’Organizzazione ha adottato il proprio nome dal greco ἴσος, uguale, per evidenziare la ricerca di universalità nelle sue azioni e attraverso i suoi prodotti. 6   Si tratta della famiglia di norme tecniche ISO 29000:1987 Quality management and quality assurance standards - Guidelines for selection and use, poi divenute ISO 9000:1994 – e succedanee – con un cambio di prospettiva che pone al centro il “cliente”, inteso sia come utilizzatore del prodotto finale sia come soggetto coinvolto, più o meno direttamente, nel processo realizzativo. 7   David Alan Garvin (New York, 1952 - Lexington, 2017), economista, dal 1979 docente di Business Administration alla Harvard Business School: le sue principali linee di ricerca hanno riguardato la gestione e il cambiamento strategico, con particolare attenzione ai processi aziendali, all’apprendimento organizzativo e alla gestione di organizzazioni complesse.

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pone una definizione di qualità basata su otto dimensioni:8 performance, features, reliability, conformance, durability, serviceability, aesthetics e perceived quality.

4.2  Le dimensioni della qualità Palomar interroga il mondo come un Lucrezio scettico e sprovvisto d’ogni sistema, partendo dai dati molto elementari della sua esperienza quotidiana. Italo Calvino9 L’eco del romanzo Palomar ci aiuta a inquadrare le dimensioni con cui Garvin definisce la qualità: Palomar «cerca di stabilire un rapporto con il mondo, o più precisamente con un’area di realtà circoscritta»,10 osserva ciò che ha intorno per rappresentarlo nella maniera il più possibile fedele alla realtà. Non è casuale che il nome Palomar richiami un telescopio:11 il protagonista delle pagine calviniane scruta dettagli e li metabolizza inquadrandoli in un’ampia prospettiva. In Garvin individuiamo lo stesso comportamento: il suo approccio indaga il concetto di qualità scomponendolo in otto dimensioni attraverso elementi misurabili, micro-osservazioni che insieme concorrono a un inquadramento generale di un sistema complesso. Performance - Sono le prestazioni primarie di un prodotto,12 gli attributi misurabili che permettono una classificazione con regole obiettive; in omaggio alla metafisica della qualità di Pirsig, le prestazioni di una motocicletta includono, per esempio, accelerazione, velocità, maneggevolezza e sicurezza. Features - Sono i “campanelli e fischietti”, come spiega Garvin, le caratteristiche secondarie di un prodotto, integrate alle prestazioni di base. Il confine che separa features da performance può essere incerto, ma è necessario tracciare una linea di

  David A. Garvin, Competing on the eight dimensions of quality, «Harward Business Review» (1987), 87603 - novembre, p. 101-109. 9   Italo Calvino, Sono nato in America… Interviste 1951-1985, a cura di Luca Baranelli, con un saggio introduttivo di Mario Barenghi, Milano, Mondadori, 2012, p. 642-643. La citazione appartiene all’intervista curata da Paul Fournel e pubblicata per la prima volta con titolo Italo Calvino: Cahiers d’exeercice, «Le Magazine Littéraire» (1985), 220, p. 84-89. 10   Gian Carlo Ferretti, Le capre di bikini, Calvino giornalista e saggista 1945-1985, Roma, Editori Riuniti, 1989, p. 149. 11   L’osservatorio astronomico sul monte Palomar, gestito dal Californian Institute of Technology, ospita il telescopio Hale; in quella struttura, fra le più importanti per la ricerca astronomica, Edwin Hubble (Marshfield, 1889 - San Marino, California, 1953) effettuò le osservazioni che lo condussero all’elaborazione della cosiddetta Legge di Hubble e alla catalogazione dei tipi di galassie. 12   Nell’elenco il termine prodotto indica, per brevità, prodotto e/o servizio. 8

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demarcazione fra i due concetti. Ci aspettiamo che una moto di una certa cilindrata abbia determinate prestazioni di velocità e accelerazione: una comoda sella è gradita, ma rimane una caratteristica secondaria. Garvin in questa dimensione inserisce un’ulteriore riflessione: i bisogni individuali oggettivi – ben distinti dai pregiudizi, che oggi estenderemmo al concetto di bias13 – incidono sulla percezione di qualità perché si traducono in richieste di caratteristiche. Reliability - È la dimensione che riflette le probabilità di non funzionamento, funzionamento critico o guasto di un prodotto o di un servizio: il tempo medio prima di imbattersi nella prima criticità, il tempo medio tra le criticità riscontrate e il tasso di criticità per unità di tempo sono alcune delle principali misure di affidabilità. Conformance - Attesta il grado di aderenza alle norme attraverso il design e le caratteristiche operative di un prodotto. Le due misure più comuni di mancata conformità sono la percentuale dei difetti in fabbrica e l’incidenza delle chiamate di servizio per la risoluzione di problemi. Garvin ricorre in senso generico alla formula “aderenza alle norme”: per i latini norma14 era la squadra, lo strumento da disegno da cui deriva l’espressione “fare a norma”, lavorare con un arnese che ci fa “rigare dritti”. Durability - La durevolezza esprime il periodo in cui un prodotto mantiene adeguati livelli prestazionali: è la dimensione che ne misura la vita, includendo implicazioni tecniche ed economiche. Durata e durevolezza sono concetti differenti: richiamando la fisica, la durata è il tempo in chiave assoluta, mentre la durevolezza è la capacità di resistenza nel corso del tempo, la quantità di uso che si ottiene da un prodotto prima del suo deterioramento o della sua rottura. Sostituire o riparare continuamente, questo il dilemma: per poter rispondere all’arcano dobbiamo considerare anche gli impatti economici e organizzativi che portano alla scelta di un determinato prodotto in un preciso contesto. Serviceability - È il tasso di facilità che riscontriamo nei casi di assistenza o riparazione, in altri termini è la manutenzione veloce, competente e cortese. Più elementi influiscono sulla valutazione della qualità del prodotto: i tempi di erogazione o ripristino del servizio, la natura dei rapporti con gli addetti alla manutenzione, la

  Sul concetto si segnalano: Thomas Gilovich - Dale Griffin - Daniel Kahneman, Heuristics and Biases. The psychology of intuitive judgment, Cambridge, Cambridge University Press, 2002, doi:10.1017/CBO9780511808098; Jack B. Soll - Katherine L. Milkman - John W. Payne, A user’s guide to debiasing, in The Wiley Blackwell Handbook of Judgment and Decision Making, a cura di Gideon Keren e George Wu, Hoboken, Wiley, 2016, p. 924-951. 14   «Strumento, col quale i muratori, scarpellini, legnaiuoli, e simili artefici, aggiustano, e dirizzano l’opere loro, che oggi il diciamo squadra»: voce norma della prima edizione del vocabolario curato dalla Crusca (Vocabolario degli Accademici della Crusca, con tre indici delle voci, locuzioni, e proverbi latini, e greci, posti per entro l’opera. Con privilegio del sommo pontefice, del re cattolico, della serenissima Repubblica di Venezia, e degli altri principi, e potentati d’Italia, e fuor d’Italia, della maestà cesarea, del re cristianissimo, e del sereniss. arciduca Alberto, Venezia, Giovanni Alberti, 1612, p. 559). 13

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frequenza delle chiamate di assistenza e i tempi di risposta, la gestione dei reclami. In questo ambito si palesa l’importanza di codifica e decodifica fra interlocutori, un flusso in cui oltre al linguaggio – poco importa se parlato o scritto – intervengono aspetti cognitivi, intellettivi e relazionali: da una parte gli utilizzatori codificano, cioè individuano e descrivono, problemi in modi diversi, dall’altra chi si occupa di assistenza e risoluzione decodifica quei messaggi con facilità e rapidità diverse. Vittima e carnefice, stupido e genio, preciso e vago sono solo alcuni appellativi con cui tendiamo a incasellare, più o meno alternativamente, la categoria di chi domanda e di chi risponde: ricordiamoci che basta variare il punto di osservazione per scoprirci nell’etichetta con cui classifichiamo “l’altro”. Aesthetics - È la dimensione soggettiva della qualità: l’aspetto di un prodotto provoca un giudizio personale dell’utente, valutazione tutt’altro che universale perché riflette preferenze individuali o di gruppi che condividono lo stesso sentire. Un’interfaccia utente considerata da qualcuno intuitiva, comoda e accattivante può essere contemporaneamente percepita da altri complicata, disorientante e vetusta. The aesthetics dimension differs from subjective criteria pertaining to “performance” – the quiet car engine, say – in that aesthetic choices are not nearly universal. Not all people prefer “rich and full” flavor or even agree on what it means. Companies therefore have to search for a niche. On this dimension of quality, it is impossible to please everyone.15

Perceived quality - Quando gli utenti non possiedono o non possono recuperare informazioni ufficiali, complete e aggiornate su un prodotto, il confronto è mediato dalle cosiddette misure indirette: marchi, immagini, pubblicità e reputazione agiscono da inferenze sulla qualità percepita, nella buona e nella cattiva sorte.

4.3  La casa della qualità Non basta avere grandi qualità; bisogna saperle amministrare. François de La Rochefoucauld16 Se approccio è il modo con cui ci avviciniamo a un progetto, metodo e tecnica sono rispettivamente il come e il mezzo: a parità di approccio possiamo indivi-

  David A. Garvin, Competing on the eight dimensions of quality, cit.   François de La Rochefoucauld (Parigi, 1613 - 1680), scrittore e moralista autore dei Mémoires (1625) e delle Maximes (la cui prima edizione risale al 1665); la citazione è tratta dalla traduzione italiana di Massime e riflessioni morali del Duca de La Rochefoucauld, Milano, Sanvito, 1875, p. 48. La traduzione in italiano nel volume è attestata dal 1801 a cura di un non identificato Valeriani, la formulazione originale francese presentata nell’edizione del 1875 è «C’est ne pas d’assez avoir grandes qualités, il en faut avoir l’économie».

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duare più metodi, più maniere in cui svolgere il nostro compito e da ogni metodo che adottiamo derivano plurime possibilità tecniche, insiemi di procedure che ci permettono di realizzare il nostro obiettivo.17 Sul tema qualità, risale al 2002 la pubblicazione di una bibliografia ragionata comprensiva di 650 titoli dedicati al QFD, il Quality function deployment,18 un approccio improntato a far collimare il più possibile l’aspettativa di utenti o clienti con la realizzazione di prodotti: [QFD is] an overall concept that provides a means of translating customer requirements into the appropriate technical requirements for each stage of product development and production (i.e. marketing strategies, planning, product design and engineering, prototype evaluation, production process development, production, sales).19

Figura 1. Schema del quadro interpretativo (a sinistra); Figura 2. Schema dell’approccio QFD (a destra)

L’approccio QFD (Figura 3) esprime un triplice obiettivo: migliorare la qualità del design, inteso come l’intero percorso di progettazione e realizzazione di un prodotto, individuare un gruppo di lavoro con adeguate conoscenze, abilità e competenze e infine, ma non per ultimo, agire un controllo di qualità pianificato e misurabile. Nell’approccio QFD i requisiti di progettazione servono da input per stabilire le caratteristiche del prodotto e, a loro volta, definiscono i piani di processo e le operazioni, in un’ottica iterativa.20

  Le definizioni sono di matrice glottologica; per un inquadramento si veda Paolo Balboni, Teoria, approccio, metodo, tecnica in glottodidattica, «Scuola e Lingue Moderne», XXX (1992), 1, p. 6-11. 18   Lai-Kow Chan - Ming-Lu Wu, Quality function deployment: a literature review, «European Journal of Operational Research», 143 (2002), 3, p. 463-497. 19   Laurence P. Sullivan, Quality function deployment, «QualityProgress», 19 (1986), 6, p. 39-50. 20   Riferimento a Cor P.M. Govers, What and how about quality function deployment (QFD), «International Journal of Production Economics» (1996) 46-47, p. 575-585; le figure 3 e 4 sono un adattamento delle immagini a p. 577 dell’articolo. 17

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Figura 3. Iterazione dell’approccio QFD

Un metodo dell’approccio QFD è la cosiddetta HoQ, House of Quality,21 una “casa” che raccoglie e organizza tutte le “stanze” – spazi con funzioni diverse, come in ogni casa – in cui si muove chi partecipa al design di un prodotto. Ciò che la casa rappresenta è il risultato di una serie di fasi incastonate nelle dimensioni della qualità di Garvin; attraverso una matrice grafica, la HoQ fornisce un indirizzo per le azioni di codifica, controllo e governo della multidimensionalità qualitativa: adotta un sistema – di linguaggio, priorità e metriche – condiviso tra domanda e offerta per descrivere e classificare le richieste, raccoglie le aspettative sul prodotto e le usa come linee guida per le fasi di progettazione e sviluppo. La HoQ all’ingresso esplora la percezione della qualità attesa e all’uscita restituisce una “qualità allargata”, offre, cioè, la più larga soddisfazione possibile per i desiderata degli interlocutori. Si bussa con fame, si decide il menù, si controlla la dispensa e si fa la spesa, si preparano gli ingredienti, si cucina assaggiando per controllare i sapori, si impiatta e si serve: un simposio in cui ciascuno partecipa con uno scambio di informazioni e percezioni che risponde al medesimo registro metrico e comportamentale, il galateo della casa della qualità.

  John R. Hauser - Don Clausing, House of quality, «Harward Business Review» (1988), 88307-maggio, p. 63-83. 21

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Figura 4. Elementi e relazioni della HoQ

Il metodo HoQ stimola una coesa azione di gruppo: partecipano ai lavori tutti coloro che contribuiscono all’idea del prodotto – l’espressione dell’esigenza e il suo concept – insieme a tutti coloro che sono coinvolti nelle fasi di sviluppo. Il tempo investito per una dettagliata e dinamica analisi dei bisogni ha un duplice scopo: soddisfare la domanda, al meglio possibile e con le tecniche più idonee, e limitare la probabilità di effettuare modifiche e correzioni in corso d’opera. Aggiungere il sale a fine cottura compromette il menù, Artusi22 dixit: «La cucina è una bricconcella; spesso e volentieri fa disperare, ma dà anche piacere perché quelle volte che riuscite o che avete superata una difficoltà, provate compiacimento e cantate vittoria».23 La casa della qualità opera come una bussola che ci orienta nel complesso sistema della qualità a otto dimensioni: fa navigare verso performance e features convenute nel rispetto della conformance, traccia una rotta con i livelli di realibility, durability e serviceability ambìti dalle aspettative, misura costantemente il grado di aesthetics e perceived quality.

  Pellegrino Artusi (Forlimpopoli, 1820 - Firenze, 1911), scrittore e gastronomo; le sue opere, e in particolare La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, hanno contribuito alla diffusione della lingua italiana: si veda, fra il resto, la mostra Pellegrino Artusi Il tempo e le opere, Biblioteca Nazionale Centrale, sala Dante, Firenze, 31 marzo - 30 aprile 2011. 23   Pellegrino Artusi, Prefazio, in La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Manuale pratico per le famiglie. Seconda edizione corretta ed accresciuta di cento nuove ricette, Firenze, Tipografia di Salvadore Landi, 1895. 22

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La qualità è di casa è una formula ricorrente nelle campagne pubblicitarie:24 la casa è l’ambiente a noi più familiare e alla qualità attribuiamo fiducia, benessere, soddisfazione. Hauser e Clousing, fautori del metodo HoQ, hanno elaborato un modello per rappresentare le aspettative di chi esprime un bisogno conciliandole con le scelte realizzative: più le tecniche applicate al metodo si rivelano adatte, più la house diventa home. I progetti e le esperienze trattati in questo volume abitano in una casa ispirata al metodo HoQ, in particolare influenzato dai modelli adottati dalle analisi sulle imprese sociali.25 There is nothing mysterious about the house of quality. There is nothing particularly difficult about it either, but it does require some effort to get used to its conventions. Eventually one’s eye can bounce knowingly around the house as it would over a road-map or a navigation chart. […] How does the house lead to the bottom line? There is no cookbook procedure, but the house helps the team to set targets, which are, in fact, entered on bottom line of the house. For engineers it is a way to summarize basic data in usable form. For marketing executive it represents the customer’s voice. General managers use it to discover strategic opportunities. Indeed, the house encourages all of these groups to work together to understand one another’s priorities and goals. The house relieves no one of the responsibility of making tough decisions. It does provide the means for all participants to debate priorities. […] None of this is simple. An elegant idea ultimately decays into process, and processes will be confounding as long as human beings are involved. But that is no excuse to hold back. If a technique like house of quality can help break down functional barriers and encourage teamwork, serious efforts to implement it will be many times rewarded. What is also not simple is developing an organization capable of absorbing elegant ideas. The principal benefit of the house of quality is quality in-house. It gets people thinking in the right directions and thinking together.26

  Si cita come esempio il claim Europa, dove la qualità è di casa della campagna pubblicitaria di Germania, Italia, Paesi Bassi e Svezia: finanziata anche con il sostegno dell’Unione europea, tra 2018 e 2020 la campagna ha promosso marchi IGP (Indicazione geografica protetta), DOP (Denominazione di origine protetta) e DOC (Denominazione di origine controllata). 25   In particolare, Maurizio Carpita, Qualità, valore e performance dell’impresa sociale, «Impresa Sociale» (2009), 78, p. 21-48; per un quadro generale, segnalo: Luca Fazzi, Governance per le imprese sociali e il non profit. Democrazia, approccio multistakeholder, produttività, Carocci, Roma, 2007; Robert S. Kaplan, Strategic performance measurement and management in non-profit organizations, «Non profit Management & Leadership», 11 (2001), 2, p. 353-369; Enzo M. Napolitano, La qualità nell’impresa sociale. Strumenti per il non profit, Milano, Franco Angeli, 1999. 26   John R. Hauser - Don Clausing, House of quality, cit. 24

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4.4  Recinti, identità e design: una chiave antropologica Il recinto è la forma della cosa. Vittorio Gregotti27 In un esercizio di logica Ludwig Wittgenstein28 si domanda se un recinto con un foro sia ancora un recinto. La risposta del filosofo è sì: il recinto svolge la sua funzione nonostante il buco. Su questo enunciato, formulato negli anni Cinquanta del Novecento, l’antropologia è intervenuta con un parallelismo e una deduzione: se le culture sono recinti forati,29 allora il movimento da e verso recinti genera nuove culture, in un continuo divenire nello spazio e nel tempo. Scuole di pensiero antropologico preferiscono appellarsi al sostantivo plurale culture, gli abiti che indossiamo per poter abitare nel mondo:30 esistono abiti di tessuti e tagli variabili perché funzionali agli spazi in cui ci muoviamo, in un tempo preciso della storia. Abiti e strumenti adottati – e pure adattati – da gruppi di individui: non è casuale che i comportamenti culturali siano definiti costumi. Non c’è bisticcio fra i termini cultura e coltura, la radice comune dal latino colĕre svela il legame sostanziale tra costrutto umano e natura, come spiega Hannah Arendt:31 per i romani cultura significava “coltivazione della terra”, coltura di spazi   Inciso dell’editoriale di Vittorio Gregotti (Novara, 1927 - Milano, 2020), architetto e urbanista, per «Rassegna», I (1979), 1. 28   Ludwig Josef Johann Wittgenstein (Vienna, 1889 - Cambridge, 1951), filosofo e logico austriaco. Il riferimento richiama la 99° proposizione dell’opera Ricerche filosofiche: tradotta da Gertrude Elizabeth Margaret Anscombe (Limerick, 1919 - Cambridge, 2001), è stata pubblicata postuma nel 1953 a Oxford per i tipi di Basic Blackwell e in Italia da Einaudi nel 1967, curata e tradotta da Renzo Piovesan (Padova, 1924 - 2016) e Mario Trinchero (Asti, 1934 - 2008). Il pensiero di Wittgenstein ha influenzato lo sviluppo della filosofia analitica, coinvolgendo la filosofia del linguaggio, della mente, la teoria dell’azione e gli sviluppi della filosofia continentale. L’eco della sua opera ha introdotto ripercussioni anche negli ambiti della teoria dell’informazione, della cibernetica, dell’antropologia, della psicologia e di altri settori delle scienze umane. 29   La definizione evoca le riflessioni dell’antropologo Marco Aime (Torino, 1956); si vedano, in particolare: Cultura, Torino, Bollati Boringhieri, 2013; Fuori dal tunnel. Viaggio antropologico nella val di Susa, Milano, Meltemi 2016; Classificare, separare, escludere. Razzismi e identità, Torino, Einaudi, 2020. 30   Riferimento a Clyde Kluckhohn (Le Mars, Iowa, 1905 - Santa Fe, 1960), etnologo e antropologo statunitense; il richiamo è all’opera Mirror for man: the relation of anthropology to modernlife (New York, Whittlesey House, 1949); la prima traduzione in lingua italiana dell’opera plasmò il titolo in formula imperativa ed esclamativa (Specchiati, uomo! L’antropologia e la vita moderna, traduzione di Piero Malvano, Milano, Garzanti, 1952), sfumatura assente nelle traduzioni successive (L’umanità allo specchio, Milano, Tamburini, 1967; Lo specchio dell’uomo, Milano, Garzanti, 1979). 31   Hannah Arendt (Hannover, 1906 - New York, 1975), politologa, filosofa e storica; sul tema, si veda in particolare Hannah Arendt, Tra passato e futuro (1954-1961), introduzione di Alessandro Dal Lago, traduzione di Tania Gargiulo, Milano, Garzanti, 1991, vol. II La crisi della cultura: nella società e nella politica, p. 273-274. 27

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delimitati da recinti, potremmo aggiungere. È dalla formula ciceroniana cultura animi philosophia est32 che deriva la nostra accezione: la filosofia, ci spiega Cicerone, interviene sull’animo umano, lo coltiva, lo trasforma da incolto a colto come il contadino fa col terreno. Nel corso del tempo la metafora si è mossa da recinto a recinto, estendendo la sua carica semantica.33 «Alla mia età, e con tanto di quel sangue mescolato, non so più con sicurezza di dove sono» disse Delaura, «né chi sono». «Nessuno la sa in questi regni» disse Abrenuncio, «e credo che ci vorranno secoli per saperlo».34

Il passo del realismo magico di Marquez – in cui il giovane prete Delaura, bibliotecario ed esorcista, dialoga con il talentuoso medico Abrenuncio – rappresenta la tensione per la ricerca di un’origine culturale. Le scienze sociali si sono sforzate nel descrivere il concetto di identità e, pur senza raggiungere una comune definizione, convengono sul considerare la nozione come il risultato di un processo continuo, che ci forgia e ci influenza anche indipendentemente dalla nostra consapevolezza. Ciò che si è, lo si diventa: identità significa, quindi, orientarsi, conoscere la propria posizione nella realtà quotidiana, realtà in cui siamo portatori di un mazzo di carte35 dal quale, di occasione in occasione, estraiamo la carta che riteniamo più idonea a rappresentarci. Nel plurale di identità si insidia, però, una dissonanza: riconoscersi in un’identità di genere – intendendo per genere un gruppo esteso di individui che condividono caratteristiche o sentire comuni, il genere archivisti, il genere ingegneri, il genere architetti, per esempio – non significa che quell’intero genere pensi sempre armonicamente allo stesso modo. In questo scenario si muove l’idea del grappolo di problemi a cui ricorre Bauman36 per illustrare cosa sia l’identità: più la intendiamo come oggetto solido e tangibile, meno la riconosciamo nella sua essenza fluida e astratta. Recinti disciplinari – dell’archivistica, dell’ingegneria o dell’architettura, per rimanere sui precedenti esempi – hanno prodotto cultura e poiché le discipline sono recinti forati in cui sostano e transitano individui, più identità disciplinari hanno generato culture, diacronicamente e sincronicamente: «eppure rimangono immarcescibili le molte anime che colorano la professione e la disciplina».37   Cicerone, Tusculanae disputationes, Libro II, 13.   Sull’evoluzione della metafora si veda Francesco Remotti, Cultura, in Cultura. Dalla complessità all’impoverimento, Roma-Bari, Laterza, 2011, p. 3-30. 34   Gabriel García Márquez, Dell’amore e di altri demoni, traduzione di Angelo Morino, Milano, Mondadori, 1994, p. 156. 35   Marco Aime, Cultura, cit., p. 81. 36   Zygmunt Bauman (Poznań, 1925 - Leeds, 2017), sociologo. Sul tema segnalo: Zygmunt Bauman, Intervista sull’identità, a cura di B. Vecchi, traduzione di F. Galimberti, Roma-Bari, Laterza, 2003; Francesco Benigno, Identità come problema, «Meridiana» (2006) 55, p. 247-260 37   Così scrive Federico Valacchi commentando le identità archivistiche a margine del convegno «Professione archivista: stato dell’arte e prospettive per la formazione e il lavoro» (Cagliari, 13-15 32 33

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4.5  Ma è poi tanto pacifico che lo strumento rispecchi l’utente? Ogni gruppo che esprime una particolare e condivisa visione del mondo produce cultura. Marco Aime38 Due frasi di Geertz39 ci aiutano a riflettere sulle tecnologie con una prospettiva ergologica: «i problemi, essendo esistenziali, sono universali; le loro soluzioni, essendo umane, sono diverse»40 e «per capire cosa sia una scienza, non dobbiamo guardare anzitutto le sue teorie e le sue scoperte (e comunque quello che ne dicono i suoi apologeti), dobbiamo guardare che cosa fanno quelli che la praticano».41 Le tecnologie, come sostiene Jonassen,42 sono strumenti cognitivi, mindtool a due facce: da un lato sono i nostri partner intellettuali perché, per usarli, abbiamo bisogno di conoscenze, abilità e competenze,43 dall’altro lato diventano i nostri partner cognitivi perché, proprio attraverso il loro uso, apprendiamo e interpretiamo la realtà che ci circonda. [Mindtools are] computer-based tools and learning environments that have been adapted or developed to function as intellectual partners with the learner in order to engage and facilitate critical thinking and higher order learning.44

Mindtool come strumenti di costruzione della conoscenza con i quali, e non solo dai quali, impariamo:45 da questo presupposto, ragionare sull’evoluzione della cas-

dicembre 2018); si veda Oltre la congiuntura, «Archivi», XIV (2019), 2, p. 154. 38   Marco Aime, Cultura, cit., p. 44. 39   Clifford James Geertz (San Francisco, 1926 - Filadelfia, 2006), antropologo, allievo del già citato Clyde Kluckhohn. Le citazioni sono tratte dall’opera Interpretazione di culture: pubblicata nel 1973 con il titolo The interpretation of cultures: selected essays (New York, Basic books) e premiata dall’American Sociological Association con il Sorokin Award nel 1974, l’opera ha influito sulla discussione dedicata alla “descrizione densa”, anche definita thick description, introdotta dal filosofo britannico Gilbert Ryle (Brighton, 1900 - Whitby 1976) come costrutto per esaminare fenomeni sociali, in contrapposizione alla descrizione esigua, thin description. 40   Clifford Geertz, Interpretazione di culture, Bologna, il Mulino, 1987, p. 342. 41   Ibidem, p. 41. 42   David Jonassen (New Jersey, 1947 - Missouri, 2012), accademico e pedagogista statunitense. 43   I tre termini richiamano le definizioni e i criteri dell’EQF-European Qualifications Framwork, il quadro europeo delle qualifiche e dei titoli di apprendimento permanente. 44   David Jonassen, Computers as mindtools for schools: engaging critical thinking 2nd edition, New Jersey, Prentice Hall, 2020, p. 9. 45   Riferimento a David Jonassen - Chad Carr, Mindtools: affording multiple knowledge representations for learning, in Computers as cognitive tools. volume two: no more walls, a cura di Susanne P. Lajoie, Mahwah, Lawrence Erlbaum Associates, 2000, p. 167.

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setta degli attrezzi a nostra disposizione aiuta la comprensione del contesto digitale in cui siamo immersi. A questo proposito, e in particolare sul trittico evoluzione-apprendimento-strumenti, lo sguardo ergologico di Leroi-Gourhan46 a metà anni Sessanta ribalta l’ordine causa-effetto tra dimensione del cervello e capacità manuali dell’Homo sapiens: per l’etnologo l’uso e la costruzione di attrezzi provocano nell’uomo uno sviluppo maggiore del cervello rispetto agli altri primati. Ma è poi tanto pacifico che lo strumento rispecchi l’utente? potremmo domandarci parafrasando con rispetto Claudio Pavone.47 Nelle pagine seguenti indagheremo “abiti e arnesi”: analizzeremo aspetti teorici, progettuali e realizzativi di strumenti – cognitivi, tecnici e metodologici – dedicati all’umanesimo digitale, intesi come “cose utili da progettare e usare”. Non solo dietro di sé deve far luce ora l’archivista: deve entrare dappertutto, deve acquistare altre conoscenze e altre abilità e capacità oltre quelle di saper leggere e intendere le antiche membrane corrose dal tempo. Anche i mezzi di cui si giova sono mutati: una volta gli bastava un calamaio una penna e un pacco di schede…ora deve intendersi di macrofotografia e di microfilm e preoccuparsi dei problemi giuridici connessi con l’autenticazione delle copie fotostatiche e fotografiche, né è forse lontano il tempo in cui dovrà trasformarsi in conoscitore di macchine ancora più complesse e in maneggiatore di macchine elettroniche, che saranno applicate alla ricerca documentaria.48

Nella riflessione del 1970 di Giorgio Cencetti49 traspare ante litteram lo spettro della cultura digitale: ciò che Cencetti esprime per la categoria degli archivisti è estensibile a tutte le professionalità e in ogni ambito di ricerca, didattica e progettazione. Sulla scia della citazione, affrontiamo una breve digressione dedicata al paradosso che nella lingua italiana è sotteso al termine digitale: è digitale tutto ciò che è contrapposto ad analogico ed è digitale anche ciò che riguarda le nostre dita. La prima sfera semantica deriva dall’inglese digit, cifra, la seconda dal latino digitalis, relativo alle dita, entrambe condividono la radice digĭtus, dito: estendendo il ragionamento di Leroi-Gourhan, l’intelligenza delle mani contribuisce alla nostra   André Leroi-Gourhan (Parigi, 1911 - 1986), etnologo, si è dedicato allo studio comparato della tecnologia, focalizzandosi sulla complessità dei processi di adozione di elementi culturali; il riferimento nel testo richiama Le geste et la parole, opera in due volumi (Technique et langage, 1964; La mémoire et les rythmes, 1965), pubblicata in Italia nel 1977 da Einaudi con la traduzione di Franco Zannino. 47   La formula plasma il noto intervento Claudio Pavone, Ma è poi tanto pacifico che l’archivio rispecchi l’istituto?, «Rassegna degli Archivi di Stato», XXX (1970), l, p. 145-149. Claudio Pavone (Roma, 1920 - 2016) partigiano, storico e archivista, presidente della Società italiana per lo studio della storia contemporanea (1995 - 1999). 48   Giorgio Cencetti, Archivi e Archivisti di ieri e di oggi, in Scritti Archivistici, Roma, Il centro di ricerca editore, 1970, p. 9. 49   Giorgio Cencetti (Roma, 1908 - 1970) paleografo e archivista, membro per nomina ministeriale del Consiglio superiore delle accademie e biblioteche (1966 - 1970). 46

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capacità cognitiva, sulla quale opera la capacità intellettiva. Il materiale cognitivo che possediamo, per non restare inattivo, richiede l’innesco di un altro processo, la valorizzazione del sapere: per risolvere problemi o soddisfare bisogni facciamo ricorso a questo secondo strato, che potremmo definire registro intellettivo. Qui un interrogativo: senza confidenza con gli strumenti a nostra disposizione, come agiamo? Deficit cognitivi (per esempio: non conosco quel software oppure lo conosco poco e male) generano deficit intellettivi (per esempio: non uso quel software come potrei oppure non uso quel software perché lo reputo uno strumento inutile e conoscerlo mi farebbe perdere tempo): se non colmiamo le nostre lacune rischiamo di pensare e agire come impreparati funamboli a rischio di caduta. Acrobati goffi, instabili e, talvolta, anche pericolosi, per noi e per gli altri. Carissima Tania, non riesco proprio a scriverti, oggi; mi hanno ancora dato un pennino che gratta la carta e mi obbliga a un vero acrobatismo digitale.50

L’equilibrismo che Gramsci descrive dal carcere nel vergare, con fatica, una lettera alla cognata evoca, per quanto diverso, il funambolismo digitale cui abbiamo assistito in Italia, nel corso degli ultimi trent’anni, dalla prima definizione di documento informatico del 199051 sino alle recenti Linee guida dell’Agenzia per l’Italia digitale:52 esprime fatica, scarsa dimestichezza. Eppure, oggi, ogni pubblica amministrazione è tenuta a formare, gestire e conservare documenti digitali e ogni cittadino ha diritto a rivolgersi a pubbliche attraverso servizi digitali: SPID,53 firma

  Antonio Gramsci, 26 marzo 1927, lettera n. 22, a Tatiana Schucht. Sulle vicende delle lettere gramsciane – che hanno peregrinato in Europa per tornare, dal 1946, in Italia – si veda Chiara Daniele, L’epistolario del carcere di Antonio Gramsci, «Studi Storici», LII (2011) 4, Fondazione Istituto Gramsci, 2011, p. 791-835; sul corpus dei testi e delle prime pubblicazioni si veda Gramsci a Roma, Togliatti a Mosca: il carteggio del 1926, a cura di Chiara Daniele, con un saggio di Giuseppe Vacca, Torino, Einaudi, 1999. 51   Legge n. 241 del 7 agosto 1990 Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi; in particolare l’art. 22 comma 1 lett. d costituisce il primo riconoscimento del documento informatico, intendendolo come «ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale». 52   AgID, Linee guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici, disponibile nella sezione Linee guida sul documento informatico, www.agid.gov.it/it/linee-guida; per le modifiche intervenute tra settembre 2020 e maggio 2021 si segnala il prospetto di sintesi a cura di AgID, www.agid.gov.it/sites/default/files/repository_files/sintesi_modifica_alle_linee_guida.pdf. 53   SPID Sistema pubblico di identità digitale, www.spid.gov.it. 50

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digitale,54 posta elettronica certificata,55 fascicolo sanitario elettronico56 sono soltanto alcuni fra gli strumenti più diffusi. Secondo il DESI57 2022, il rapporto sul Digital Economy and Society Index elaborato dalla Commissione europea, l’Italia è in diciottesima posizione tra i 27 Stati membri dell’Unione europea, con un punteggio di 3 punti inferiore alla media (49,3 vs 52,3). Dal 2021 l’indice è stato riformulato per divenire la cartina di tornasole di competenze, infrastrutture, trasformazione digitale delle imprese e dei servizi pubblici, strettamente connesso con gli obiettivi della Europe’s Digital Decade, secondo i cui principi «the EU will pursue a human-centric, sustainable vision for digital society throughout the digital decade to empower citizens and businesses».58 Human centric: l’uomo al centro e il digitale a servizio dell’uomo. In questo scenario si muove la bussola per il digitale59 che, inaugurata nel primo compleanno dell’emergenza pandemica COVID-19, ha aggiornato la rotta europea, intersecandosi con il Next Generation UE, il dibattuto insieme di misure e stimoli economici del valore di 750 miliardi di euro. Il pacchetto epocale destina alla Recovery and Resilience Facility circa il 90% delle risorse pecuniarie, ossigeno da distribuire ai Paesi membri proporzionalmente agli effetti che l’impatto pandemico ha provocato sulle singole economie e in funzione dei piani nazionali.60

  La firma digitale è un tipo di firma elettronica qualificata, ai sensi del Regolamento eIDAS electronic IDentification Authentication and Signature (Regolamento UE n. 910/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 luglio 2014 in materia di identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno europeo), www.agid.gov.it/it/piattaforme/firma-elettronica-qualificata. 55   Domicilio digitale ai sensi del Regolamento eIDAS, cit., www.agid.gov.it/it/piattaforme/posta-elettronica-certificata. 56   Il fascicolo sanitario elettronico (FSE) è un servizio che opera da collettore di dati e documenti di ambito sanitario: consente ai cittadini di tracciare e consultare la storia dei propri percorsi di cura, www.fascicolosanitario.gov.it. 57   Il DESI, concepito nel 2014, è elaborato sulla base di indicatori per misurare e rappresentare quattro dimensioni: capitale umano, connettività, integrazione delle tecnologie digitali e servizi pubblici digitali. Il 28 luglio 2022 la Commissione europea ha pubblicato il report 2022, digital-strategy.ec.europa.eu/en/policies/desi. 58   Commissione Europea, Europe’s Digital Decade, digital-strategy.ec.europa.eu/en/policies/europes-digital-decade. 59   Commissione europea, Bussola per il digitale 2030: il modello europeo per il decennio digitale - Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, COM (2021) 118 final, 9 marzo 2021. 60   Il 5 maggio 2021 la Presidenza del Consiglio ha reso pubblico il testo del Piano nazionale di ripresa e resilienza – PNRR trasmesso dal governo italiano alla Commissione europea; il 22 giugno 2021 la Commissione ha comunicato la Proposta di Decisione di esecuzione del Consiglio, fornendo una valutazione complessivamente positiva del piano italiano. Il piano è stato definitivamente approvato il 13 luglio 2021 con una Decisione di esecuzione del Consiglio, che ha recepito la proposta della Commissione: alla Decisione è allegato un corposo allegato che definisce per ogni investimento e riforma precisi obiettivi e risultati, cadenzati temporalmente e dal cui conseguimento deriva l’assegnazione delle risorse economiche su base semestrale. 54

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Nelle 267 pagine del tormentato e dibattuto Piano nazionale di ripresa e resilienza61 la parola digitalizzazione conta 135 occorrenze e la radice digital è ripetuta per 419 volte: reingegnerizzazione di processi e realizzazione di strumenti per la transizione digitale – locuzione che da alcuni anni identifica, esplicitamente, strutture governative62 – coinvolgono prassi, azioni e ragionamenti strettamente collegati a strumenti che supportano le persone, in altri termini sono evidenze dell’umanesimo digitale. Ne è un esempio la misura n. 61 dell’asse Digitalizzazione della Pubblica amministrazione,63 concentrata sull’«attuazione della semplificazione e digitalizzazione di 50 procedure critiche che interessano direttamente cittadini»: l’azione, fra il resto, coinvolge i registri dello stato civile. Nascita, cittadinanza, matrimonio e unione civile, morte: eventi cardine della vita delle persone testimoniati e registrati da pubbliche amministrazioni e custoditi dai loro archivi, per tutelare diritti e doveri attraverso oggetti sociali.64 Nuovi mindtool per comuni, prefetture, ufficiali dello stato civile e cittadini tutti, con la speranza di non incorrere in deficit cognitivi e intellettivi tanto per chi oggi progetta e realizza quei nuovi strumenti e servizi, quanto per chi li userà domani: […] mettendola in termini calcistici, il DESI ci dice che abbiamo l’allenatore (Integrazione delle tecnologie digitali) più bravo della media, abbiamo il portiere (Servizi pubblici digitali) quasi nella media, ma ci manca un campo da gioco adeguato (connettività) e più che altro mancano giocatori capaci di permettere a tecnologia e servizi di svilupparsi adeguatamente (specialisti nel settore ICT) e gli spettatori che capiscano cosa sia il gioco del calcio (capitale umano con una minima educazione al digitale). Insomma, l’Italia non passa le selezioni europee neanche quest’anno. Ma, e questa è la speranza della Commissione europea e del governo, il paese ha una carta bonus da giocare senza eguali […]: un pro-

  Governo italiano, Presidenza del Consiglio dei ministri, Italia Domani - Piano nazionale di ripresa e resilienza #NextGenerationItalia, italiadomani.gov.it. 62   Ministeri dedicati all’innovazione tecnologica si sono avvicendati dal 2001, con differenti deleghe e competenze, sino a includere dal 2019 la formula “digitalizzazione” nella denominazione: Ministero per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione MID (Paola Pisano, 2019 - 2021), Ministero per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale MITD (Vittorio Colao, 2021 - 2022). Rimane spia dell’impegno governativo in tema digitalizzazione il Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri «per la promozione e il coordinamento delle azioni del Governo finalizzate alla definizione di una strategia unitaria in materia di trasformazione digitale e di modernizzazione del Paese attraverso le tecnologie digitali», innovazione.gov. it/dipartimento/la-struttura. 63   Consiglio dell’Unione europea, Allegato riveduto della Decisione di esecuzione del Consiglio (COM2021.344) relativa all’approvazione della valutazione del Piano per la ripresa e la resilienza dell’Italia, 10160/21 ADD 1 REV 2, 8 luglio 2021, www.camera.it/temiap/2021/07/13/ OCD177-5010.pdf. 64   La definizione oggetto sociale richiama la teoria della documentalità di Maurizio Ferraris (Torino, 1956), filosofo e presidente del LabOnt Laboratorio di Ontologia dell’Università di Torino; in particolare si veda Documentalità. Perché è importante lasciare tracce, Roma-Bari, Laterza, 2009. 61

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gramma di finanziamenti senza pari con chiari obiettivi e precise tappe da compiere.65

Figura 5. Indice di digitalizzazione dell’economia e della società per l’Italia. Commissione europea, Italia DESI 2022, p. 5

4.6  Alcune “e” per abbracciare il digitale Le opportunità per chi sa sfruttare il design del digitale sono strabilianti. Ma i costi per chi resta escluso possono essere molto seri. Luciano Floridi66 Possiamo elencare i principali obiettivi dell’umanesimo digitale? Nel 2001 Gunter Eysenbach67 formula un decalogo per esprimere le potenzialità dell’eHealth,

  Enzo Maria Le Fevre Cervini, L’Europa s’è desta, 19 novembre 2021, in ISPI Istituto di politica per gli studi internazionali, Pubblicazioni, Commentary, www.ispionline.it/it/pubblicazione/ leuropa-se-desta-32390. Le Fevre Cervini, project leader per la DG DIGIT, la Direzione generale dell’Informatica della Commissione europea, tra 2017 e 2020 ha ricoperto il ruolo di senior expert per AgID ed è stato coordinatore del Thematic Group on Emerging Technologies (AI & Blockchain) del Working Party of Senior Digital Government Officials dell’OCSE Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. 66   Luciano Floridi, La rivoluzione digitale, in Il verde e il blu. Idee ingenue per migliorare la politica, Milano, Raffaello Cortina, p. 39. 67   Gunter Eysembach (Berlino, 1967), ricercatore tedesco-canadese di politica sanitaria ed eHealth, è fautore degli approcci definiti infoveillance (infosorveglianza) e infodemiology (infodemiologia). Il contributo citato è What is eHealth?, «Journal of medical internet research», 3 (2001), 2, 65

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la sanità digitale e i suoi servizi, reputate essenziali: efficiency, enhancing, evidence, empowerment, encouragement, education, enabling, extending, ethics, equity. In addition to these 10 essential “e”, eHealth should also beeasy-to-use, entertaining (no-one will use something that is boring!) andexciting; and it should definitely exist.68

Insieme alle dieci espressioni primarie per l’approccio digitale alla sanità, vivono tre ulteriori declinazioni di metodi e tecniche: facilità d’uso e buona ergonomia, capacità di orientare – piacevolmente, senza suscitare alcuna repulsione – e, addirittura, entusiasmo e coinvolgimento. Inquadrato il corollario, analizziamo le dieci “e” principali, in cui possiamo riconoscere una rotta per il concetto di umanesimo digitale.69

Figura 6. Le tredici “e” di Eysenbach in tema eHealth proposte per un approccio all’umanesimo digitale

Efficiency - Una delle promesse primarie dell’eHealth è il miglioramento dell’efficienza per l’assistenza sanitaria, anche attraverso la diminuzione di costi e, beninteso, senza impatto sulla salute dei pazienti. La ricetta di Eysenbach per contenere i costi derivati da interventi superflui, diagnostici o terapeutici, ha due ingredienti principali: maggiore coinvolgimento dei pazienti e maggiore capacità di comunicazione tra le strutture sanitarie. Nel nostro contesto, efficienza significa coinvolgere gli utenti in uno scenario di servizi digitali interconnessi, come vasi comunicanti.

doi.org/10.2196/jmir.3.2.e20. 68   Ibidem. 69   Il contributo di Eysenbach è stato elaborato nel contesto canadese, in cui il sistema sanitario è di tipo universale, analogamente a quello italiano. Nonostante le linee essenziali del sistema sanitario canadese – e in particolare, la sua base federale – siano contenute nella Costituzione, le sue caratteristiche sono determinate dalla riforma nota come Canada Health Act del 1984; questa legge stabilisce che i piani sanitari debbano rispettare cinque principi fondamentali: universalità (devono riguardare tutti i cittadini), globalità (comprehensiveness, devono comprendere tutti i trattamenti definiti “medicalmente necessari”), accessibilità (devono essere fruibili da tutti i cittadini indipendentemente dal loro reddito), portabilità (la copertura deve essere garantita anche durante i viaggi degli assistiti, all’interno del Paese o all’estero), pubblica amministrazione (devono essere amministrati e gestiti da un’autorità pubblica senza scopo di lucro). Per un inquadramento si segnala Giulia Marchetti - Marco Simonelli - Silvia Declich, La copertura sanitaria universale nel mondo. Istruzioni per l’uso: una logica di confronto. Dicembre 2020, in collaborazione con Maria Grazia Dente, Rita Ferrelli e Maria Elena Tosti, Roma, Istituto Superiore di Sanità, 2020.

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Enhancing Quality - La sanità digitale contribuisce a migliorare la qualità delle cure perché facilita l’orientamento dei pazienti attraverso il coordinato coinvolgimento di medici di base, specialisti e personale delle strutture ospedaliere. Nel nostro ambito significa orientare gli utenti verso informazioni autorevoli e comprensibili, in uno scenario coordinato di prodotti e servizi digitali. Come il saggio medico di medicina generale ci indirizza a un centro specializzato per la nostra patologia, così il responsabile di un percorso di transizione digitale dovrebbe saper orientare la sua organizzazione verso un “percorso di analisi e cura”: per procedere in questa rotta servono evidenze, la “e” successiva. Evidence Based - L’eHealth usa dati gestiti da sistemi con metriche condivise e, con quelle evidenze, misura efficacia ed efficienza dei servizi per la salute. Nel nostro traslato, le evidenze scientifiche scaturite dal confronto fra i saperi diventano una delle chiavi capaci di innescare lo sviluppo armonico di servizi digitali, utili alla società e agli individui. Empowerment - È il potenziamento delle capacità dei pazienti e di tutti coloro che partecipano ai servizi sanitari: secondo Eysenbach avere strumenti ergonomici, fidati e accessibili on line facilita l’accesso ai servizi e la consultazione di dati e documenti; queste condizioni, inoltre, supportano la capacità di prevenzione e cura e guidano il paziente verso scelte responsabili, basate su evidenze: una medicina con al centro la persona. Anche per l’umanesimo digitale la persona è al centro, per questo gli strumenti a servizio delle persone e delle comunità dovrebbero essere il più possibile ergonomici, fidati e facilmente accessibili. Encouragement, Education, Enabling, Extending - Sono le prospettive che Eynsenbach formula con estrema sintesi e altrettanta incisività: rispettando l’ordine di apparizione delle “e” nell’articolo del 2001, l’eHealth incoraggia un nuovo rapporto paziente-sanità grazie a un costante confronto (partnership è il termine eloquente cui ricorre l’autore) in cui le decisioni sono frutto di un processo partecipato e condiviso (encouragement). In tema di educazione e scambio di informazioni (education - enabling), i servizi digitali applicati alla sanità producono – o almeno incentivano – la formazione on line (sia per medici e operatori sanitari, sia per gli assistiti) e consentono lo scambio di dati con regole condivise e standardizzate tra tutte le strutture interessate dai processi. Abbiamo testato l’importanza del progetto e della sostenibilità di alcuni servizi digitali durante l’emergenza pandemica COVID-19, tanto in tema formazione, quanto in tema open data e tracciabilità70. L’eHealth, inoltre, consente di estendere (extending) la portata dell’assistenza sanitaria oltre i suoi confini convenzionali, in senso territoriale e concettuale: si pensi alla crescita esponenziale della disponibilità di consulti e confronti in una logica di rete. Ciascuno di questi aspetti coinvolge il concetto di umanesimo digitale. Ethics, Equity - Cambiando il paradigma dell’interazione paziente-medico, la sanità digitale pone nuovi interrogativi etici: ne sono esempi la pratica professionale   Si segnala Jonathan Montomoli, Raccolta e divulgazione delle evidenze scientifiche ai tempi della pandemia COVID-19, «Annuario dell’Archivio di Stato di Milano» (2020), 1, p. 219-229. 70

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online, il consenso informato, la privacy e le questioni di equità. Rendere l’assistenza sanitaria più equa è una prospettiva a cui tendere senza indugi, come cristallino è l’obiettivo di non aumentare il divario fra le persone; chi può già, potrà di più e meglio, chi non può o può limitatamente, potrà sempre meno: è questo uno dei maggiori rischi da evitare. Si pensi, per esempio, all’analfabetismo digitale diffuso o alle difficoltà di accesso a internet per alcune fasce della popolazione: nel panorama italiano71 una buona fetta di assistiti ha ancora scarsa dimestichezza con l’uso di internet, poca confidenza con device e applicazioni, condizioni anche dipese da condizioni economiche precarie, dei singoli e di enti, che compromettono dotazioni e utilizzi (si pensi alla limitata capacità di connessione, che potrebbe essere favorita da wi-fi pubblici ancora scarsamente ramificati); a questi fattori si somma la percentuale di medici che dichiara resistenza alle tecnologie, per scelta consapevole o derivata da gap, il temuto divario tecnologico. Chi rientra nelle categorie descritte ha scarse probabilità di fruire dei benefici dell’eHealth e, in generale, delle tecnologie dell’informazione: misure politiche dovrebbero favorire, se non garantire, un accesso equo ai servizi digitali. Facciamo un passo indietro nel tempo. Nel 1972 gli autori di Take Today72 immaginarono che con l’evoluzione tecnologica ogni consumatore sarebbe diventato anche produttore. Già nel 1980 Alvin Toffler73 coniò il termine prosumer, unione di producer e consumer, ma è solo nel 1999 che il termine approda in una pubblicazione inglese del filosofo italiano Luciano Floridi74 per poi essere formalizzato dal Comitato nazionale di bioetica75 nel 2015. Come prosumer cimentiamoci in un’esercizio per misurare la nostra consapevolezza digitale – il sapere e il sapere fare digitale – e, ispirandoci ai principi dell’Information literacy,76 proviamo a costruire un sistema di orientamento che tenga in considerazione tre concetti: 71   I dati Istat 2020 confermano il costante aumento dell’età media degli italiani e la percentuale di popolazione con più di 65 anni: gli over 65 rappresentano il 23,2% del totale, gli under 14 il 13%, e la fascia 15-64 anni il 63,8%; secondo le previsioni nel 2050 l’età media degli anni sarà di 50,7 anni e nel 2048 i decessi potrebbero raddoppiare le nascite (784mila contro 391mila). Fonte: Istat Istituto nazionale di statistica, Previsioni della popolazione residente e delle famiglie - Report 26 novembre 2021, www.istat.it/it/files/2021/11/REPORT-PREVISIONI-DEMOGRAFICHE.pdf. 72   Marshall McLuhan - Barrington Nevitt, Take today: the executive as dropout, Harcourt Brace Jovanovich, 1972. 73   Alvin Toffler, The third way, Londra, Collins, 1980 (tradotto in Italia nel 1987 come La terza ondata, Milano, Sperling & Kupfer, 1987); si segnala anche il precedente Future shock, New York, Random House, 1970. 74   Luciano Floridi, Philosophy and computing: an introduction, Londra - New York, Routledge, 1999: il concetto di prosumer è reso nell’opera dalla variante produmer. In Luciano Floridi, La rivoluzione digitale, in Il verde e il blu, cit., p. 29-32, il filosofo spiega la genesi di produmer e la riconcilia con la definizione di Toffler. 75   Si veda il rapporto 2015 del Comitato nazionale bioetica - CNB intitolato Mobile-health e applicazioni per la salute: aspetti bioetici, p. 5, bioetica.governo.it/media/1805/p121_2015_mobile-health_it.pdf: «Come è tipico del web 2.0, l’utente è un prosumer, produttore-consumatore di risorse. In questo caso, di informazioni». 76   Per un inquadramento, si veda Maurizio Lana, Introduzione all’Information literacy, Milano, Editrice Bibliografica, 2020.

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Digital Literacy - il grado di capacità degli individui nel progettare, ottenere, gestire, comprendere, usare e valutare servizi e prodotti digitali, adottando decisioni appropriate al contesto e al fabbisogno; Public Digital Literacy - il livello di competenza delle comunità nel progettare, ottenere, gestire, comprendere, usare e valutare servizi e prodotti digitali, promuovendo e innescando azioni tali da consentire benefici comuni; Digital Managing Behaviour - la competenza nel progetto e nella ricerca digitale, condizionata da fattori sociali e comunicativi oltre che di formazione e imprinting.

Figura 7. Rappresentazione del concetto di Digital literacy

Con questo percorso logico raggiungiamo cinque affermazioni per rappresentare il digitale come bene individuale, comune e collettivo: il digitale è fatto per essere usato, a ogni utente il suo servizio digitale, a ogni servizio digitale il suo utente, non far perdere tempo all’utente, il digitale è un organismo che cresce. Le asserzioni declinano al digitale le leggi della biblioteconomia di Ranganathan,77 ancora oggi considerate uno strumento universale estremamente immediato per sintesi ed espressività, a distanza di quasi un secolo dalla sua elaborazione. Con il supporto di queste cinque chiavi di lettura proseguiamo il viaggio nell’officina di Umanesimo digitale.

  Shiyali Ramamrita Ranganathan (Sirkali, 1892 - Bangalore, 1972), bibliotecario e matematico indiano; autore delle cinque leggi della biblioteconomia universalmente riconosciute («1 Books are for use, 2 Every reader her/his book, 3 Every book its reader, 4 Save the time of the reader, 5 A library is a growing organism»), fautore nel 1933 del sistema di classificazione bibliografica Colon, “a faccette”; Ranganathan si dedicò alla centralità dei servizi di reference e promosse sistemi di classificazione alternativi a quelli enumerativi e tradizionali per affrontare la specializzazione degli studi e la crescita della produzione scientifica e bibliografica. Shiyali Ramamrita Ranganathan, The Five Laws of Library Science, Chennai, Madras Library Association, 1931; per un ulteriore inquadramento, si vedano: Leggere Ranganathan, a cura di Mauro Guerrini, Roma, AIB, 2011; Carlo Bianchini, I fondamenti della biblioteconomia: attualità del pensiero di Ranganathan, Milano, Editrice Bibliografica, 2015. 77

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Bibliografia Aime, Marco, Cultura, Torino, Bollati Boringhieri, 2013. _, Fuori dal tunnel. Viaggio antropologico nella val di Susa, Milano, Meltemi 2016. _, Classificare, separare, escludere. Razzismi e identità, Torino, Einaudi, 2020. Arendt, Hannah, Tra passato e futuro (1954-1961), Milano, Garzanti, 1991. Balboni, Paolo, Teoria, approccio, metodo, tecnica in glottodidattica, «Scuola e Lingue Moderne», XXX (1992), 1, p. 6-11. Bausola, Adriano, Una nuova traduzione e interpretazione della Metafisica di Aristotele, «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», 69 (1969), 1, p. 72-87. Bauman, Zygmunt, Intervista sull’identità, a cura di B. Vecchi, traduzione di F. Galimberti, Roma-Bari, Laterza, 2003. Benigno, Francesco, Identità come problema, «Meridiana» (2006) 55, p. 247-60. Bianchini, Carlo, I fondamenti della biblioteconomia: attualità del pensiero di Ranganathan, Milano, Editrice Bibliografica, 2015. Carpita, Maurizio, Qualità, valore e performance dell’impresa sociale, «Impresa Sociale» (2009), 78, p. 21-48. Cencetti, Giorgio, Archivi e Archivisti di ieri e di oggi, in Scritti Archivistici, Roma, Il centro di ricerca editore, 1970. Chan, Lai-Kow - Wu, Ming-Lu, Quality function deployment: a literature review, «European Journal of Operational Research», 143 (2002), 3, p. 463-497. Commissione europea, The Digital Economy and Society Index, digital-strategy. ec.europa.eu/en/policies/desi. _, Bussola per il digitale 2030: il modello europeo per il decennio digitale – Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, COM (2021) 118 final, 9 marzo 2021. Consiglio dell’Unione europea, Allegato riveduto della Decisione di esecuzione del Consiglio (COM2021.344) relativa all’approvazione della valutazione del Piano per la ripresa e la resilienza dell’Italia, 10160/21 ADD 1 REV 2, 8 luglio 2021, www.camera.it/temiap/2021/07/13/OCD177-5010.pdf. Fazzi, Luca, Governance per le imprese sociali e il non profit. Democrazia, approccio multistakeholder, produttività, Roma, Carocci, 2007. Ferraris, Maurizio, Documentalità. Perché è importante lasciare tracce, Roma-Bari, Laterza, 2009. Floridi, Luciano, Il verde e il blu. Idee ingenue per migliorare la politica, Milano, Raffaello Cortina, 2020. _, Philosophy and computing: an introduction, Londra - New York, Routledge, 1999. Garvin, David A., Competing on the eight dimensions of quality, «Harward Business Review» (1987), 87603-novembre, p. 101-109. Geertz, Clifford, Interpretazione di culture, Bologna, il Mulino, 1987.

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5.  RETROBOTTEGA, OVVERO L’ETICA DEL BUG Herbert Natta

L’architetto è (forse) l’unico e ultimo umanista della società contemporanea.1 Umberto Eco, «umanista scientifico»2 per eccellenza, è tranchant nel rintracciare l’essenza dell’umanesimo nel difficile connubio tra ars e techné. Una natura ancipite, ibrida, condannata a pensare la totalità nella misura della tecnica, in tensione costante tra particolare e universale. Giove che dipinge farfalle.3 Dio impegnato in un esercizio tecnico. La rivoluzione umanistica sintetizzata in un libercolo dalla scarsa fortuna (le Intercenales) di un umanista architetto, Leon Battista Alberti. L’affermazione degli studia humanitatis come discorso autopoietico,4 che contiene, inscrivendole, le proprie premesse, gli auctores, il codice sorgente, principio d’ordine che plasma, definisce, finge una «forma del vivere»5 a misura d’uomo. Un modulor, per dirla con Le Corbusier, che fonde, e programmaticamente confonde, etica ed estetica, grazie alla tecnica. Una forma che è misura, controllo, dominio dello spazio e del tempo. «Il tempo e il suo dominio»6 caratterizzano l’uomo: ancora Alberti, nei Ludi matematici, mentre altrove (nel De Pictura) gettava le basi per la disciplina (prospettica) dello spazio. L’orologio, la carta, la misura dello spazio e del tempo sono fondativi del discorso umanistico. Già nel 1979, Gianfranco Folena osservava la prossimità, spaziale e temporale, tra l’invenzione dell’astrario e il proto-umanesimo di Francesco Petrarca.

  Umberto Eco, La struttura assente. Introduzione alla ricerca semiologica, Milano, Bompiani, 1968.   Piergiorgio Odifreddi, I numeri di Eco. “Sono un umanista scientifico”, «La Repubblica», 13 marzo 2008, roma.repubblica.it/dettaglio/i-numeri-di-eco-sono-un-umanista-scientifico/1433604. 3   L’immagine degli dei che trascorrono l’otium dipingendo farfalle compare nell’intercenale Virtus di Leon Battista Alberti («enim deos aiunt vacare, ut in tempore cucurbite florescant aut curare, ut papilionibus ale perpulchre picte adsint», Leon Battista Alberti, Virtus in Intercenales, a cura di F. Bacchelli e L. D’Ascia, Bologna, Pendragon, 2003, p. 36) ed è poi ripresa nel dipinto di Dosso Dossi Giove pittore di farfalle, Mercurio e la Virtù (1515-1518). A questo proposito si veda anche Elisabetta Di Stefano, Leon Battista Alberti e l’estetica, «Studi di estetica», 18 (1998), p. 173-186. 4   Dominique Mainguenau (Parigi, 1950), linguista francese, professore emerito alla Sorbona: la sua ricerca, che si concentra sull’analisi del discorso, associa una visione pragmatica del discorso alle teorie dell’enunciazione linguistica e ad alcuni aspetti del pensiero di Michel Foucault. Sulla definizione di discorso autopoietico si veda Dominique Mainguenau, Analysing self-constituting discourses, «Discourse studies», 1 (1999), 2, p. 175-199 e Id., Literature and discourse analysis, «Acta Linguistica Hafniensia, International Journal of Linguistics», 42 (2010) 1, p. 147-157. 5   Amedeo Quondam, Forma del vivere. L’etica del gentiluomo e i moralisti italiani, Bologna, il Mulino, 2010. 6   La citazione è riportata in Gianfranco Folena, L’orologio del Petrarca, in Textus textis. Lingua e cultura poetica dalle origini, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, p. 288. 1 2

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Singolare. Il tempo tecnico, meccanizzato, è in realtà un tempo soggettivo, perché informato e, dunque, percepito: «Dante vede dalla riva scorrere il fiume, Petrarca si sente immerso e trascinato dalla corrente».7 Il rimedio umanistico non è un movimento contro il tempo, ma è il controllo (tecnico) della forma del vivere nel tempo (memoria), per renderlo istante durevole: illusione ottica, prospettica. La relazione tra conto e racconto, atti etimologicamente connessi in molte lingue (dal piemontese al castigliano all’inglese), manifesta l’unicità del principio d’ordine che lega informazione e trasmissione: ordinare è memorizzare (trasmissione verticale, diacronica) e condividere (trasmissione orizzontale, sincronica). La misura è la forma (percepita) delle cose. «Il mondo civile» afferma Giambattista Vico nella Scienza nuova ebbe inizio dalla «divisione de’ campi [...] e, con lo star quivi fermi lunga stagione e con le sepolture degli antenati».8 L’arché spaziale e temporale, la carta e l’archivio. Stesso concetto, in altra prospettiva, nella «modernità allargata» di Appadurai: la «produzione di località»9 avviene per socializzazione di spazio e tempo. Il modus è ricorrente, è la morfogenesi di forme generate da un principio ordinatore (logos platonico, non biblico-aristotelico) non rivelato, ma costruito, fabbricato, inventato. Un pattern, che nella coincidenza di forma e funzione definisce, tecnicamente, il proprio spazio nel tempo. Il mundus, luogo ordinato e organizzato, dal Mondo al cucchiaio. L’originario e fondativo sposalizio tra ars e techné rende però il discorso umanistico diacronicamente determinato dalla variabile tecnologica. Mentre le forme culturali restano, devono restare, per supportare l’autopoiesi umanistica, l’illusione prospettica della durata, gli strumenti, i ferri del mestiere che popolano la bottega dell’informazione cambiano. Medium is the message: la spallata (apparente) è data, negli stessi anni in cui Sir Charles P. Snow notificava lo scisma tra culture e segnalava le ingegnerie avanzare in armi oltre il Rubicone accademico.10 Dal modus al medium, insomma. Nell’estate dello stesso 1959, anno di pubblicazione di The two cultures, Theo Lutz, ingegnere informatico presso l’Università di Stoccarda, pubblica sulla rivista «Augenblick» stochastic’ texts:  risultato di un’analisi, condotta attraverso il me  Ivi, p. 277. La metafora è presente anche nell’intercenale Fatum et fortuna, dove gli uomini sono travolti dal fiume della vita e ciascuno naviga secondo le proprie attitudini. Chi sceglie la ricchezza viaggia su gonfi e fragili otri, chi sceglie il potere si arrocca su solide navi, esposte però a numerosi pericoli, vi è poi chi nuota con le proprie forze e chi si avvale dell’aiuto di «tabule […] quidem ille apud mortales bene dicuntur artes». Queste tabule sono state donate agli uomini da altri uomini «simplices et ex omni parte incorrupti» che «a genere hominum dii habiti sunt» (Leon Battista Alberti, Fatum et Fortuna, in Intercenales, cit., p. 43). 8   Per la Scienza Nuova di Giambattista Vico si segnala, in particolare, il volume curato da Manuela Sanna e Vincenzo Vitiell (Milano, Bompiani, 2012) che accorpa le tre edizioni del 1725, 1739 e 1744. 9   Arjun Appadurai, Modernity at large. Cultural dimensions of globalization, University Minnesota Press, 1996. 10   Charles Percy Snow, The two cultures and the scientific revolution, New York, Cambridge University Press, 1959. 7

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todo di Shannon,11 de Il castello di Kafka e la sua ricombinazione attraverso un algoritmo basato sulle catene di Markov. Although program-controlled, electronic data processors were initially developed to satisfy the needs of applied mathematics and computational engineering, it was soon apparent that the possible system applications could far exceed these limits. Today there seem to be endless application possibilities.12

Computare, il nuovo (allora) modus di contare (e di raccontare) determinato dal nuovo (allora) medium digitale: un logos che emerge dal chaos. I testi di Lutz non hanno senso, «sentences where the words are determined randomly», ma danno all’atto del computare un significato: «for the users of such a system it isn’t decisive, what the machine does; it is how the functions of the machine are interpreted». Non il cosa, ma il come. Nelle sue «infinite possibilità applicative», la techne digitale promette un’estensione dell’umanesimo ben al di là della distrazione pittorica, per tornare alla metafora albertiana. Il Fatum, per il quale i tradizionali remedia humanitatis prescrivevano una serena rassegnazione, entra nella forma computazionale, generata da un meccanismo di controllo che restituisce passato (archiviazione), presente (accesso) e futuro (predizione) in un con-tempo rappresentato all’uomo attraverso la mediazione della macchina. Un medium che richiede però un preliminare processo traduttivo: il mundus deve essere reso computabile. L’ordine digitale è fondato sui dati: atomi informativi che discretizzano la continuità percettiva in misure senza forma.13

  Nel 1948 Claude Shannon, un ingegnere degli AT&T Bell Labs, formulò una teoria dell’informazione che si allontanava dalla semiotica classica, basata sul rapporto tra significato e significante, in direzione di un’analisi quantitativa dell’informazione. Shannon descrive così un algoritmo di analisi testuale: «To construct [order-1 letter-level text] for example, one opens a book at random and selects a letter at random on the page. This letter is recorded. The book is then opened to another page and one reads until this letter is encountered. The succeeding letter is then recorded. Turning to another page this second letter is searched for and the succeeding letter recorded, etc. A similar process was used for [order-1 and order-2 letter-level text, and order-0 and order-1 word-level text]. It would be interesting if further approximations could be constructed, but the labor involved becomes enormous at the next stage» (Claude Elwood Shannon, A Mathematical Theory of Communication, «Bell System Technical Journal» (1948), 27, p. 379-423). 12   Theo Lutz, Stochastic text, «Augenblick», 4 (1959) 1, p. 3-9. Nel giugno del 1959, Lutz elaborò un programma con cui generò su una Zuse X22 i suoi “testi stocastici”: il programma è custodito dal German Literature Archive (DLA). Riferimenti: https://www.netzliteratur.net/lutz_schule. htm, www.ub.uni-stuttgart.de/en/collections-of-the-university/news/Theo-Lutz-StochastischeTexte.-From-the-Freiburg-Code-to-the-Stuttgart-Code. Per un inquadramento: Maurizio Lana, Intelligenza artificiale e produzione di testi: una prospettiva storico-critica, «AIB Studi», 62 (2022) 1, p. 169-196, doi: 10.2426/aibstudi-13365. 13   Leon Battista Alberti distingueva la disciplina pittorica da quella matematica esattamente in 11

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La perdita della dimensione estetica svincola la realtà da una relazione analogica e ontologica con il soggetto osservante, traslando la manifestazione dell’istante durevole (sogno umanistico) dall’illusione ottica offerta dalla memoria individuale o collettiva alla fruizione di contenuti, generati a partire dall’elaborazione di dati, archiviati su supporti digitali opachi allo sguardo umano, mediante l’esecuzione di sequenze algoritmiche di operazioni di calcolo. La smaterializzazione digitale trasforma infatti la forma in funzione, l’immagine in interfaccia di sistemi informativi, per i quali è centrale la possibilità di raccogliere, archiviare, classificare, analizzare dati, mentre la visualizzazione assume un valore più comunicativo che cognitivo. Negli stessi anni dei testi di Lutz prendono infatti il via i primi progetti di costruzione di sistemi informativi geografici (GIS),14 strumenti di rappresentazione e conoscenza del mundus per i quali l’esito cartografico è indifferente, rispetto alla raccolta di una base di dati computabile. La mappa e l’archivio, la forma dello spazio e del tempo si confondono nell’elaborazione tecnica digitale. L’ambizioso progetto dell’Agenzia Spaziale Europea Digital Twin Earth è un recente, paradigmatico esito di queste premesse: «alimentata continuamente con i dati di Osservazione della Terra, combinati con misurazioni in situ e intelligenza artificiale, la Digital Twin Earth fornisce una precisa rappresentazione dei passati, presenti e futuri cambiamenti del nostro mondo».15 Il dato diventa quindi il modus dell’umanista digitale e la bottega si espande, necessariamente, a includere nuovi spazi funzionali: retrobottega dove contenere, e arginare, volumi crescenti di dati, accessibili ma separati dalla chiarezza informativa dell’interfaccia. Bulk-storage, come Cristopher Alexander definisce il pattern funzionale di un volume aggiuntivo di deposito, marginale eppure fondamentale per salvaguardare la funzionalità della bottega (e dell’ambiente domestico) dall’entropia della persistenza di ciò che non si è pronti a gettare via16. Il mundus datificato si manifesta nella sua forma geminale geneticamente digitale, responsiva ma controllata, accessibile ma filtrata, interattiva e predittiva, ma

base a un principio estetico/percettivo, all’uso dell’occhio e della vista: centrale per la prima, indifferente per la seconda. Nel De Pictura descrive i matematici come coloro che, «col solo ingegno, separata ogni matera, mesurano le forme delle cose […] delle cose quali non possiamo vedere, neuno nega nulla apartenersene al pittore. Solo studia il pittore fingere quello si vede» (Leon Battista Alberti, Della Pittura, a cura di Cecil Grayson, Bari, Laterza, 1980, libro 1, par. 1.). 14   Il Canada Land Inventory (CLI), spesso considerato uno dei primi e più ambiziosi progetti di cartografia digitale, iniziato negli anni Sessanta e poi interrotto nel 1995, viene descritto come «la memorizzazione e archiviazione su nastro magnetico di tutte le informazioni geografiche note per il Canada» (David H. Douglas, Map making with the electronic digital computer, in Géographie quantitative et géographie qualitative, a cura di Hugh M. French, Jean-Bernard Racine, Ottawa, Ottawa University Press, 1971, p. 113), includendo dati sull’idrografia, sull’uso e la disponibilità di suolo e su aspetti socio-economici. 15   Digital Twin Earth, www.asi.it/2023/04/programma-digital-twin-earth-dellesa/. 16   Cristopher Alexander, A pattern language, New York, Oxford University Press, 1977, p. 687.

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predeterminata e governata dalla tecnica che programma e attiva agenti software, pronti a servire nella camera oscura del retrobottega. Un’altra parola composta, background, definisce, in informatica, la modalità di esecuzione di programmi che non richiedono l’interazione con un utente umano. Un retrobottega digitale che non è (solo) spazio di archiviazione, ma luogo animato da ‘demoni’ (in ambiente Unix) o servizi (in ambiente Windows): programmi attivi e in ascolto al di là del confine percettivo dell’interfaccia. La progettazione di queste stanze segrete, scatole nere (black-boxes) dove agenti software eseguono sequenze di operazioni (task) in autonomia, e delle loro connessioni è il campo di applicazione principale dei modelli architetturali orientati ai servizi (SOA), in base ai quali l’architetto digitale è chiamato a prevedere la ripartizione del software in unità funzionali discrete, autonome e comunicanti mediante protocolli di rete. I servizi possono essere attivati in ambienti virtualizzati operativi sulla stessa macchina fisica, distribuiti su più macchine interconnesse o resi accessibili online: per l’integrità del sistema, è sufficiente che garantiscano un punto di accesso (endpoint), mediante il quale scambiare dati con le altre componenti, e un’interfaccia, una forma non più (o non solo) destinata agli agenti umani. La forma (non più umana, ma computazionale) dei dati assume quindi nuova centralità nello sviluppo di infrastrutture scalabili che rispondano all’aumento progressivo delle risorse necessarie a sostenere la traduzione digitale del mundus in termini di spazio di archiviazione, potenza computazionale, velocità di trasmissione. La possibilità, sempre più frequente, che i dati viaggino attraverso sistemi software flessibili, distribuiti, cross-dominio ha esteso l’ambito di applicazione di paradigmi funzionali di progettazione dal contenitore al contenuto. I dati, appunto, recentemente immaginati non più (o non solo) come pacchetti di bit, ma come oggetti sinaptici, reticolari, mesh,17 con una propria interfaccia, proprietà relative al dominio di origine, ma anche istruzioni relative all’interoperabilità domain-agnostic e ai processi di trasformazione,18 analisi, visualizzazione ai quali sono o possono essere sottoposti. Il concetto di data mesh19 si contrappone programmaticamente sia all’idea di un contenitore centralizzato di elementi eterogenei come il data lake, che offre un’agnostica flessibilità nell’acquisizione, ma un’esponenziale crescita dello spazio di archiviazione richiesto, sia a quella del data warehouse, magazzino federato vincolato a una stringente modellazione preliminare della base dati. Il codice genetico viaggia, inscritto, nella forma del dato. Dall’(Earth) digital twin al data mesh, insomma.

  Zhamak Dehghani, How to Move Beyond a Monolithic Data Lake to a Distributed Data Mesh, in «MartinFowler», 20 maggio 2019, martinfowler.com/articles/data-monolith-to-mesh.html; Zhamak Dehghani, Data mesh, Sebastopol, O’Reilly Media, 2022. 18   Sia di tipo extraction-transformation-load (ETL), sia di tipo load-transformation-extraction (ELT). 19   Cfr. nota 17. 17

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Naturalmente, data mesh non è la soluzione, ma una risposta formale a uno stimolo funzionale, in attesa dell’avvento del qbit20 o di chissà quale rivoluzione tecnologica che richiederà un nuovo pattern per la bottega umanistica, e il suo (o i suoi) retrobottega. I dati (e quindi forse le entità più oggettive e misurabili a cui di solito si pensa) non sono più quelli di una volta. I dati, una volta, quando era l’era dell’industria, erano utili perché si potevano contare. Erano una cosa lineare, come la linea di montaggio, come l’orologio che segna i turni in fabbrica […] Non essendo più lineari ed essendo così tanti, non ha quasi più senso contarli. Ha molto senso, invece, cercarci dentro delle forme ricorrenti, e studiare come cambiano, e con che dinamiche e relazioni. Una ecologia di forme di dati.21

L’Arte ha un ruolo enorme in questo. L’umanista, ancora, nelle sue diverse declinazioni. Architetto o poeta, archivista o cartografo, chiamato da Salvatore Iaconesi e Oriana Persico a tessere relazioni di senso intorno al cambiamento che interessa i dati e la computazione e che pone problemi esistenziali. Etici ed estetici, ancora. La logica digitale coesiste cioè, in dialogo e relazione, con l’etica del bug, il cigno nero che alberga e annida in ogni retrobottega digitale. Il corpo estraneo ritrovato in una macchina. L’errore di sistema. L’alterazione tecnica del logos digitale, che impedisce l’attivazione dell’agente software o la corretta, nel senso di attesa, esecuzione delle operazioni programmate. L’impossibilità di eseguire il codice sorgente e, conseguentemente, di realizzare la forma digitale, memorizzata e trasmessa ma, binariamente, rimossa. Il bug come azione eversiva, hacking, emergenza dialettica del dubbio, della devianza, dell’errore nell’esecuzione meccanica di sequenze predefinite di azioni algoritmiche. Il bug come manifestazione accidentale dell’organico, del naturale, dell’agente umano come principio di disordine. Il Fatum che si manifesta, come entropia, nell’ordine digitale.

  Il qbit, forma contratta di quantum bit, è l’unità minima di informazione codificata nell’ambito della computazione quantistica, la disciplina che si occupa di elaborare calcoli utilizzando non più i calcolatori basati su tecnologia a transistor, ma basati appunto sulle proprietà quantistiche della materia. Si tratta di dispositivi ancora destinati a progetti sperimentali, che aprono però a nuovi orizzonti tecnologici e metodologici in ambito informatico e non solo. Da notare inoltre come, in anticipo rispetto a una reale diffusione dell’hardware, i paradigmi software si allineino, anche lessicalmente, con la trasformazione tecnologica in atto. Nella descrizione delle proprietà del paradigma data mesh, Zhamak Dehghani si riferisce agli architectural quantum (Zhamak Dehghani, How to Move Beyond a Monolithic Data Lake to a Distributed Data Mesh, cit.), desumendoli dai principi di architettura evolutiva del software, come componenti autonome e coese, dotate di tutti gli elementi strutturali al proprio funzionamento. 21   HER: She Loves Data, a cura di Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, www.digitalcombatacademy.it/i-dati-come-forma-artistica-della-societa-il-racconto-di-oriana-e-salvatore-fondatori-di-her-she-loves-data. 20

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Il bug richiede un atto filologico, tipicamente umanistico, di ricerca e ricostruzione del senso, di un principio d’ordine funzionale che è estetico ed etico insieme e si estende, nell’era digitale, alla tecnica, per seguire (ed eseguire) il logos, il come, la matrice funzionale della forma digitale.

Bibliografia Alberti, Leon Battista, Ludi matematici _, Intercenales _, De Pictura Alexander, Cristopher, A pattern language, New York, Oxford University Press, 1977. Appadurai, Arjun, Modernity at large. Cultural dimensions of globalization, University Minnesota Press, 1996. Douglas, David H., Map making with the electronic digital computer, in Géographie quantitative et géographie qualitative, a cura di Hugh M. French, Jean-Bernard Racine, Ottawa, Ottawa University Press, 1971. Eco, Umberto, La struttura assente. Introduzione alla ricerca semiologica, Milano, Bompiani, 1968. Folena, Gianfranco, Textus textis. Lingua e cultura poetica dalle origini, Torino, Bollati Boringhieri, 2002. Iaconesi, Salvatore – Persico, Oriana [a cura di], HER: She Loves Data, www. digitalcombatacademy.it/i-dati-come-forma-artistica-della-societa-il-racconto-di-oriana-e-salvatore-fondatori-di-her-she-loves-data. Lana, Maurizio Intelligenza artificiale e produzione di testi: una prospettiva storico-critica, «AIB Studi», 62 (2022), 1, p. 169-196, doi: 10.2426/aibstudi-13365. Lutz, Theo, Stochastic text, «Augenblick», 4 (1959), 1, p. 3-9. Odifreddi, Piergiorgio, I numeri di Eco. “Sono un umanista scientifico”, «La Repubblica», 13 marzo 2008, Quondam, Amedeo, Forma del vivere. L’etica del gentiluomo e i moralisti italiani, Bologna, il Mulino, 2010. Shannon, Claude E., A Mathematical Theory of Communication, «Bell System Technical Journal» (1948), 27, p. 379-423. Snow, Charles Percy, The two cultures and the scientific revolution, New York, Cambridge University Press, 1959. Zhamak Dehghani, How to Move Beyond a Monolithic Data Lake to a Distributed Data Mesh, in «MartinFowler», 20 maggio 2019, martinfowler.com/articles/ data-monolith-to-mesh.html. _, Data mesh, Sebastopol, O’Reilly Media, 2022.

DOI 10.53134/9788893574365-49

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6.  LA RELAZIONE SOCIALE ALLA PROVA DELLA PANDEMIA: LA QUESTIONE DELL’“INTERSOGGETTIVITÀ DIGITALE” Salvatore Maria Pisacane

6.1  Introduzione Proprio come è terribilmente accaduto nelle ere precedenti, anche l’epoca della globalizzazione e dell’inarrestabile avanzamento tecnologico è stata risucchiata nel vortice di una pandemia1 che lascerà una traccia indelebile nelle pagine più drammatiche di storia contemporanea, ma ancor più nei cuori e nelle menti dell’umanità. Sono trascorsi anni da quando i primi contagi da COVID-19 si sono manifestati agli abitanti dell’intero pianeta in tutta la loro inaspettata gravità e in tempi brevissimi la diffusione del virus ha stravolto le nostre quotidianità. La comprensibile paura del contagio e le misure più o meno restrittive adottate opportunamente dai governi, nel corso dei mesi, per contrastare l’avanzata virale hanno ridisegnato vita e abitudini. Lavoro, istruzione, affettività, sport, pratiche di culto, divertimento sono stati totalmente rimodulati grazie all’ausilio di una robusta e preziosa digitalizzazione che ha tentato di arginare l’inevitabile affievolimento della relazionalità e il diradarsi dei contatti sociali. Tali circostanze sono state affrontate nelle riflessioni che si sono susseguite sulla delicata questione della compressione di alcune libertà costituzionalmente garantite innanzi all’esigenza primaria di tutela della salute collettiva e, dunque, della vita umana. Un approccio di questo tipo non ha tralasciato la questione del detrimento relazionale, ma l’ha rappresentata perlopiù come semplice conseguenza delle limitazioni imposte all’esercizio dei diritti fondamentali. La necessità di bilanciare diritti fondamentali deriva dalla circostanza che vi è più di un diritto fondamentale e nessun diritto è privo di limiti. Essi possono collidere l’uno con l’altro. Perciò anche la maggior parte dei diritti fondamentali (come vita e libertà) possono essere espressamente

  C’è chi ha parlato di «un cigno nero di proporzioni immense» che si è scagliato sul mondo globalizzato «con spaventosa virulenza»; così l’economista Sapelli ha definito la pandemia COVID-19, pur intravedendo in essa un’occasione di trasformazione e miglioramento per le future generazioni: Giulio Sapelli, 2020 Pandemia e Resurrezione, Milano, Guerini e Associati, 2020, p. 2 e ss. Non dissimile la posizione di chi ritiene che la pandemia da COVID-19 abbia offerto l’opportunità di generare soluzioni e/o risposte innovative a problemi preesistenti e frequentemente ignorati: Giovanni Lo Storto, Prefazione a Sebastiano Maffettone, Il quarto shock. Come un virus ha cambiato il mondo, Roma, Luiss University Press, 2020, p. 3 e ss. 1

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limitati tramite leggi, non solo per evitare prevedibili collisioni, ma anche per realizzare altri scopi legittimi sul piano giuridico-costituzionale.2

Potrebbe, tuttavia, essere interessante tentare di andare oltre la condivisibile idea dei limiti relazionali come limiti a uno o più diritti, riflettendo più profondamente sul valore filosofico-giuridico della relazione sociale, un bene di cui «come l’aria e la luce» non ci si è mai accorti fino in fondo finché non è venuto «tragicamente» a mancare a causa della catastrofe virale. La privazione come sempre, come dovunque, esercita anche qui la sua provvidenziale funzione. […] Sarebbe preferibile che non vi fosse bisogno delle catastrofi per capire; ma l’uomo è fatto in modo che ha bisogno della terribile pedagogia della storia. (Il guaio è che, per capire, questa è condizione necessaria ma non sufficiente!) Se non che, perché l’insegnamento sia utile, bisogna raccoglierlo metterlo in chiaro farne oggetto di meditazione.3

Meditare sugli insegnamenti che questi ultimi tempi ci hanno lasciato, induce, tra l’altro, come di consueto accade, a riflettere sul rapporto tra uomo e macchina, avendo cura di non tralasciare il contributo che il “digitale” – assunto come viatico di relazionalità esclusivo, nelle fasi più critiche dell’emergenza sanitaria, o complementare, più di recente – potrebbe aver apportato al processo di fondazione dell’identità umana e dei diritti a essa ascrivibili durante questa pandemia.

6.2  La naturale socialità degli uomini Sull’attitudine naturale degli uomini alla socialità le posizioni sono state convergenti fin da epoche risalenti. Già nel IV secolo a.C. Aristotele celebrava la naturale socievolezza degli uomini, facendone uno dei principali fondamenti del proprio modello di Stato misto. Secondo lo Stagirita, difatti, il ritiro degli individui dalla vita sociale avrebbe cagionato la disgregazione politica, ma ancor più gravemente sarebbe stato il preludio allo smarrimento della natura umana. L’uomo per sua natura non riesce a bastare «a

  Queste considerazioni sono tratte dalla rilettura offerta dal teorico del diritto Günther nello scambio di riflessioni con il filosofo Jürgen Habermas circa l’intervento del Presidente del Bundestag tedesco Wolfgang Schäuble. Si veda: Jürgen Habermas, Klaus Günther, Vincenzo Militello, Nessun diritto fondamentale vale senza limiti, «Giustizia insieme», n. 1125, 30 maggio 2020. Sul tema del bilanciamento anche: Giorgio Pino, Conflitto e bilanciamento tra diritti fondamentali. Una mappa dei problemi, «Etica e politica, Ethics&Politics», 1 (2006), p. 23-32. Non sfugga la celebre posizione sul conflitto tra diritti o valori espressa dal filosofo e giurista tedesco Schmitt, secondo cui vi è sempre un valore egemone che tende a imporsi su tutti gli altri, un valore “tiranno”: Carl Schmitt, La tirannia dei valori, trad. it., Brescia, Morcelliana, 2008, p. 61 e ss. 3   Giuseppe Capograssi, Il diritto dopo la catastrofe, «Jus», 2 (1950), p. 177. 2

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sé medesimo», ragion per cui avvertirebbe l’esigenza irrefrenabile di «unirsi al suo tutto». Se non esigesse ciò, «se non fosse capace di civil comunanza, o non ne avesse mestiere», non solo «giammai membro dello stato diverrebbe», ma inizierebbe a insinuarsi il dubbio che «sia di specie inferiore o superiore all’umana, come quella razza di genti che Omero bistrattando appellava selvagge, eslegi e raminghe»,4 tanto è da considerarsi innaturale la cesura di qualsiasi relazione sociale. Nel corso dei secoli gli autori sono rimasti fedeli alle intuizioni aristoteliche pur compiendo qualche passo ulteriore nella direzione della rivalutazione della socievolezza dell’uomo come istinto naturale avvinto al senso morale e alla coscienza. A tal proposito, il pensatore britannico Johan Stuart Mill, nella cornice teorica dell’utilitarismo, prospettava gli istinti sociali come potenti sentimenti naturali e, più puntualmente, come fondamenti naturali del «sentimento della morale utilitaria».5 L’innovativa concezione della socialità come istinto-sentimento – sostenuta fortemente anche da David Hume – si è andata così sempre più consolidando nel tempo. La relazionalità intesa come struttura naturalmente edificata sulle fondamenta dell’empatia e della simpatia tra gli uomini, reca con sé la nitida ammissione «che la felicità e la sventura degli altri non sono spettacolo al tutto indifferente per noi, ma che la vista della prima… ci dà una segreta gioia; l’aspetto dell’altra… stende un velo di malinconia sulla nostra immaginazione».6 La modernità non ha tralasciato nemmeno l’ulteriore idea che la favella, concepita, a differenza del verso animale, «per palesare ciò che è utile o pernicioso, ciò che è giusto od ingiusto»,7 rappresenti uno degli strumenti più utili al genere umano per catalizzare in modo efficace la relazionalità. Non a caso, nel ripensare la struttura del linguaggio umano, il francofortese Karl-Otto Apel ha elevato il logos – che non solo qualifica gli uomini come virtuosi o civili, ma li distingue dalle bestie8 – a fondamento e regola di convivenza e vita sociale. L’interrelazione tra   Si veda Trattato della Politica di Aristotele, a cura di Matteo Ricci, Firenze, 1853, p. 5-7 (in particolare il riferimento al Libro I). 5   John Stuart Mill, Utilitarianism, Parker Son and Bourn West Strand, 1863, p. 46. L’utilitarismo è una concezione filosofica che pone il raggiungimento dell’utile individuale o collettivo al centro dell’agire umano. Mill ha ripreso le teorie del filosofo e giurista londinese Jeremy Bentham il quale individuò la massimizzazione dell’utilità e del piacere come movente per eccellenza dell’agire economico e, più in generale, umano. Si veda: Jeremy Bentham, An Introduction to the Principles of Morals and Legislation (ed. or. 1789), in The Collected Works of Jeremy Bentham, a cura di James Henderson Burns, Herbert Lionel Adolphus Hart, Oxford, Clarendon Press, 1996, traduzione italiana a cura di Eugenio Lecaldano, Introduzione ai principi della morale e della legislazione, Torino, UTET, 1998, p. 89 e ss. 6   David Hume, An enquiry concerning the principles of morals, vol. 37, New York, Harvard Classics - Collier & Son, 1909-14, p. 130 e ss. 7   Ibidem. 8   Antonio Punzi, Dialogica del diritto. Studi per una filosofia della giurisprudenza, Torino, Giappichelli, 2009, p. 173. Per un approfondimento sul pensiero di Karl-Otto Apel, autorevole esponente della Scuola di Francoforte, si veda: Karl-Otto Apel, Das Problem der philosophischen Letztbegründung im Lichte einer transzendentalen Sprachpragmatik, in Sprache und Erkenntnis, a cura di B. Kanitschneider, Innsbruck, 1976; Id., Comunità e comunicazione, Torino, Rosenberg 4

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soggetti di linguaggio, assurta a esperienza di rivalutazione della comunicazione nell’ambito del processo di significazione, può, dunque, concepirsi come autentico orizzonte costitutivo di senso e verità, per cui l’intersoggettività si candiderebbe a essere «condizione di possibilità non della sola realtà comunicativa, ma del pensiero in generale: ogni atto di pensiero si aprirebbe, in virtù della connessione originaria pensare-argomentare, a una pretesa pubblica di verità e alla ricerca di un’intesa il cui raggiungimento può postularsi idealiter nella illimitata comunità della comunicazione».9 È evidente l’affermazione, abbastanza costante nel tempo, di una centralità dell’interazione sociale e, di conseguenza, della comunicazione tra gli individui come strumento efficace attraverso il quale questi ultimi possano naturalmente «perseguire in modo cooperativo l’obiettivo dell’intendersi». L’intesa è il prodotto immediato della relazione dialogica fra gli uomini e la risposta più sensata alla spasmodica ricerca di verità, validità e giustezza.10 A distanza di molti secoli, anche Habermas si ricongiunge, per certi versi, ad Aristotele, nel rappresentare la natura umana come presa da «un invincibile impulso» a relazionarsi e «ad unirsi in civil società», aprendo così il varco a una esigenza di giustizia che diviene «sostanziale elemento dell’aggregazione politica; perché norma della società civile è il diritto; e nel diritto sta la determinazione del giusto».11 Quantunque non spiccatamente votata ad avanzare una proposta teorico-politica, l’intesa sociale habermasiana probabilmente non risiede su un campo del tutto dissimile da quello aristotelico poiché è chiamata a orientare anch’essa diritto e istituzioni e sottende una mediazione sociale capace di produrre proposte

&Sellier, 1977; Id., L’etica della responsabilità nell’era della scienza, traduzione italiana di G.F. Frigo, «il Mulino», 34 (1985), 297; Stefano Petrucciani, Etica dell’argomentazione. Ragione, scienza e prassi nel pensiero di Karl-Otto Apel, Genova, Marietti, 1988. 9   Antonio Punzi, Discorso patto diritto. La comunità tra consenso e giustizia nel pensiero di K.O. Apel, Milano, Giuffrè, 1996, p. 93. 10   Jürgen Habermas, La teoria dell’agire comunicativo. Vol. I Razionalità nell’azione e razionalizzazione sociale, Bologna, il Mulino, 1986, p. 175-176. Si suggerisce anche: Id., Etica del discorso, Roma-Bari, Laterza 1993. 11   Trattato della Politica di Aristotele, cit., p. 6-7. Habermas, i cui primi orientamenti sono rappresentati «dalla dialettica, così com’essa era stata teorizzata nell’ambito della cosiddetta Scuola di Francoforte contro le moderne riduzioni positivistiche e strumentali della razionalità», giunge poi a «una generale revisione del quadro fondativo tradizionale della teoria critica, abbandonando la dialettica e ricorrendo a una teoria della competenza comunicativa o pragmatica universale, mediante la quale egli intende rifondare una teoria complessiva della razionalità che ricostituisca l’unità di ragion teoretica e ragion pratica, opponendosi alle moderne riduzioni strumentalistiche della razionalità. […] In effetti, la teoria della competenza comunicativa o pragmatica universale è sviluppata a partire dalla considerazione di una dicotomia presente in larghi ambiti del dibattito contemporaneo sull’analisi del linguaggio, e cioè a partire dalla dicotomia tra linguaggio e discorso, la quale sembra sussistere nella misura in cui il linguaggio viene prevalentemente considerato nel suo contesto proposizionale piuttosto che nel suo carattere di atto discorsivo». Si veda: Franco Volpi, Jürgen Habermas, «Belfagor», 38 (1983), 2, p. 185-186.

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giuste, condivise, veraci, normativamente valide, così da ristabilire «appartenenze e solidarietà» e concedere a «sistema e ambiente» la possibilità dell’interazione.12

6.3  Intersoggettività digitale Il COVID-19 ha rappresentato per tutti noi una «catastrofe vitale» che, con le sue terribili conseguenze, ci ha messo inevitabilmente «di fronte alla vulnerabilità della nostra esistenza», ma al contempo ha provato a consegnarci i fili più giusti da annodare per una possibile rigenerazione. L’insopportabile confinamento in noi stessi e nelle nostre dimore è stata la comune condizione che testimonia l’interconnessione che lega gli uomini nell’ambiente in cui si trovano a vivere. Del resto, è stato proprio l’azzeramento delle relazioni sociali (tradizionalmente intese) che è riuscito, per certi versi, a «infrangere l’illusione che il guscio protettivo dell’io possa davvero tener fuori l’alterità. La relazione è onnipresente, dentro e fuori al tempo stesso: non dobbiamo costruirla perché c’è già, ma riconoscerla e darle forma».13 In queste circostanze drammatiche, l’innovazione digitale, a cui pur da decenni eravamo stati abituati, è divenuta, probabilmente come non mai, l’unico e irrinunciabile strumento per continuare a tener viva la spinta che ciascuno di noi nutre verso l’altro, che ci viene imposta – come precedentemente evidenziato – dalla nostra natura di esseri umani. Le piattaforme digitali e i social network sono divenuti, anche per i più diffidenti, lo scenario virtuale in cui hanno preso forma nuove modalità di interazione sociale, capaci di favorire, persino quando la tormenta virale imperversava terribilmente, un autentico e tangibile «con-tatto, fatto di consapevolezza e sollecitudine per gli altri prima ancora che preoccupazione per sé».14 La dimensione online ha costituito, in quella fase, l’unico luogo in cui gli enti del mondo potessero appagare le proprie istanze di riconoscimento attivo e passivo e proseguire nelle pratiche intersoggettive su cui si sorreggono le sfere sentimenta-

  Angelo Abignente, L’argomentazione giuridica nell’età dell’incertezza, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018, p. 26-27. 13   Chiara Giaccardi - Mauro Magatti, Nella fine è l’inizio. In che mondo vivremo, Bologna, il Mulino, 2020, p. 8-11. «Così la pandemia ci ha messo di fronte a una dimensione non tecnica, bensì antropologica della connessione: che lo vogliamo riconoscere o no, che ci piaccia o no siamo tutti interconnessi. […] Il virus ha fatto evaporare la comoda quanto astratta contrapposizione noi/voi, dentro/fuori, communitas/immunitas, portando alla luce l’insopprimibile infrastruttura connettiva della nostra vita sociale. È la globalità, bellezza. Il virus ci aiuta a capire che tutti condividiamo lo stesso pianeta; che nessuno è davvero totalmente indipendente, separato dagli altri; che ogni pretesa di secessione è inefficace e prima ancora impossibile. Una condizione che non è solo opprimente: è infatti anche un noi carico di empatia, un con-sentire quello che abbiamo sperimentato durante il lockdown» (Ivi, p. 67). 14   Si tratta di considerazioni estratte della condivisibile riflessione avanzata dalla sociologa Giaccardi durante la prima “ondata” del COVID-19 in: Chiara Giaccardi, “Vita tua, vita mia”. Che sia vitale il tempo virale. L’individualismo è astrazione, disponibile sul sito di «Avvenire», www. avvenire.it. 12

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li, istituzionali e socio-giuridiche.15 L’amore, l’amicizia, gli interessi professionali, la cura dei clienti, dell’istruzione, del culto e della cultura si sono incuneati nelle espressioni lecitamente consentite dalle videochiamate, le chat, i memo vocali. In quei giorni, che sembravano interminabili, si è aperta una evidente dicotomia nelle nostre vite: da un lato la scelta e/o l’obbligo di isolarsi e ritirarsi nelle proprie dimore per sottrarsi alla temuta fine in una condizione di paura, sofferenza, solipsismo, apparente solitudine e chiusura; dall’altra, un germoglio di compassione rispetto all’altrui, comune condizione, che ci spingeva ad attingere con sollecitudine, dai nostri dispositivi tecnologici, dosi massicce di riconoscimento reciproco e a sperimentare il senso più profondo della co-appartenenza e dell’interdipendenza. […] da un lato egli è “necessariamente finito”, cioè per il fatto che gli si oppone un non-io”, viene a situarsi in una realtà nella quale egli è solo una parte, è la non-totalità; da un altro lato, però, egli è “infinito e illimitato”, cioè ponendo sé stesso “abbraccia in sé tutta la realtà”. La compresenza di finito e infinito nell’io è espressiva del ruolo attivo che il soggetto può assumere rispetto alla realtà. Egli non è interamente determinato da ciò che incontra ma viene solo sollecitato in una misura che permette una libera e consapevole reazione. Nel rapporto con ciò che è altro da sé, l’io non è né solo chiuso su sé stesso né solo proteso fuori di sé, come se fosse catturato dal mondo e in esso dissolto: proprio attraverso l’oggettivazione, la soggettività si realizza (si fa reale), in quanto essa, uscendo fuori di sé, non si disperde nel nulla ma lavora alla ricomposizione della propria unità.16

Questa stridente contrapposizione sussistente tra due differenti dimensioni dell’essenza umana induce, per certi versi, a riconsiderare la realtà che viviamo attraverso la lente spessa della lezione fichtiana che, saggiamente votata alla ricomposizione dell’individuo, ritorna a farsi attuale e di particolare interesse per la trattazione in corso poiché riscatta una visione comunitaria sull’origine dell’uomo17 e consente di rigenerare una solida ontologia relazionale.   Si veda Pierluigi Valenza, Asimmetria e reciprocità del riconoscimento in Ricœur, in Attraverso la crisi e il conflitto. Pensare altrimenti con Paul Ricœur, «Archivio di Filosofia», 81 (2013), 1-2, p. 12 e ss. 16   Antonio Punzi, L’intersoggettività originaria. La fondazione filosofica del diritto nel primo Fichte, Torino, Giappichelli, 2000, p. 49-50. 17   Aldo Masullo, Fichte. L’intersoggettività e l’originario, Napoli, Guida, 1986, p. 7. La struttura dei rapporti intersoggettivi, come fondamento determinante la coscienza di sé, è la chiave di lettura ravvisabile già nelle primissime opere del filosofo tedesco che, in questa sede, diviene estremamente utile poiché rappresenterebbe una incredibile innovazione per la categoria dell’intersoggettività, assunta non solo come derivazione naturale delle categorie kantiane (in particolare l’idea che l’autocoscienza sia distinta da un rapporto cognitivo fra soggetto e oggetto), ma quale impareggiabile possibilità per l’autocoscienza individuale. Si veda: Douglas Moggach, Reciprocità, invito, riconoscimento: tematiche dell’intersoggettività nel primo Fichte, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia», serie IV, 1 (1996), 1, p. 407. Vi è un richiamo molto interessante al paragone operato da Kant tra la costituzione della relazione giuridica tra i soggetti e la questione 15

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Chi, però, avrebbe potuto mai immaginare che sarebbe arrivato un tempo in cui solo l’algoritmo ci avrebbe consentito di continuare a profondere questo indispensabile «impegno ontologico»? L’impegno di relazionarsi e tenere concretamente il sé aperto all’altro in modo tale da formare un’identità che possa definirsi davvero autentica, ossia un’identità che, modellandosi indubbiamente «attraverso e per mezzo della relazione con l’altro», non può prescindere dal «reciproco riconoscimento con l’alterità più intima e l’esteriorità più lontana» e dalla necessità di appellarli entrambi.18 L’idea, probabilmente un po’ temeraria, di riferirsi a una “intersoggettività digitale”, pone le proprie basi sull’iniziativa assunta dall’umanità – indotta, innegabilmente, dalle necessità dell’emergenza sanitaria – di avvalersi delle macchine per ristabilire un equilibrio identitario che avrebbe rischiato di essere seriamente compromesso dalla interruzione del rapporto costitutivo che l’io vive con l’altro. La relazione intersoggettiva digitale assume la rete come luogo di scambio, dono reciproco, «autentica disponibilità all’altro, ai suoi bisogni, alle sue richieste di riconoscimento»; solo online, infatti, alcuni doveri morali hanno potuto assumere la forma del «reciproco poter “contare sull’altro”19 quando ve n’è stato maggior bisogno». Non sfugga che tener sempre viva la possibilità di ascoltare ciò che è più lontano da noi induce a una maturazione «nell’esserci, in quanto sé stesso[…] dell’altro esserci», offrendo occasioni di autentico incontro tra l’“io-stesso” e il “tu-stesso” così da consentire il riconoscimento e la conquista della propria ipseità, dell’identità del proprio essere, che si fa dunque “con-essere” e assume i tratti tipici di quel disinteresse entro il quale ogni esserci nella relazione esistente io-tu si rapporta all’altro».20 La relazione intersoggettiva diviene una relazione giuridica per il solo fatto che i due soggetti si riconoscono reciprocamente, cioè si trattano realmente come soggetti liberi e razionali. […] l’autolimitazione che ciascun individuo fa della propria libertà per il concetto della possibilità dell’altro realizza già un atto giuridico o, meglio, si presenta come l’atto giuridico fondamentale e il reciproco riconoscimento è la proposizione fondamentale del diritto.21

dell’interazione fisica tra i corpi celesti in: Immanuel Kant, Die Metaphysik der Sitten, Berlino, Akademie-Ausgabe Band VI, 1968, p. 232. 18   Angela Renzi, L’altro e la formazione dell’identità in un dialogo tra Ricoeur e Fichte, in Ontologia relazionale. Ricerche sulla filosofia classica tedesca, a cura di Antonio Carrano e Marco Ivaldo, Napoli, FedOA Press, 2019, p. 144-145. 19   Francesca Sacchetti, Sé come un altro: l’etica della reciprocità nel pensiero di Paul Ricoeur, «SocietàMutamentoPolitica», 2 (2012) 4, p. 341. 20   Cataldo Giusta, Heiddeger e la questione dell’intersoggettività, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia», serie IV, 9 (2004), 2, p. 365. Si veda: Martin Heiddeger, Die Grundprobleme der Phànomenologie, a cura di F.-W. von Hermann, Frankfurt, GA 24, 1975, edizione italiana a cura di A. Fabris, Genova, 1988, p. 420 e ss. 21   Antonio Punzi, L’intersoggettività originaria, cit., p. 116.

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Tra i tanti rischi sventati dall’utilizzo delle piattaforme vi era il pericolo, ormai scampato, che potessimo smarrire la coscienza della nostra libertà. L’altro pone inevitabilmente una limitazione all’io, di cui bisogna fare esperienza per determinare pienamente la propria libertà e, al contempo, rendere possibili le libertà altrui. Tutto ciò è praticabile solo in una relazione di reciproco riconoscimento, ovvero sia in una «relazione giuridica fondamentale».22 Si delinea un desiderio collettivo di non sottrarsi ai limiti esterni, piuttosto di andarvi incontro, consapevoli che solo l’abbraccio virtuale con l’altro colmerà il vuoto che un bisogno profondamente umano ha tratteggiato. Gli individui hanno rivelato finalmente un’ammirevole maturità perché si sono mostrati capaci di desiderare la fondazione dell’«intersoggettività, ossia l’ambito delle relazioni giuridiche» in cui trova consolazione l’infelicità umana – che usualmente si pone alla base dell’agire vitale23 – ed è possibile l’esercizio di alcuni diritti fondamentali che avrebbero rischiato di essere terribilmente compromessi (o meglio compressi) dal virus. Tali circostanze consentono di riconsiderare positivamente la tecnologia poiché essa, in questo caso, non sembrerebbe imporre affatto le sue ragioni all’uomo, costringendolo a una condizione di totale asservimento, né eserciterebbe un’«azione transumanizzante», come talvolta è stato ipotizzato in maniera condivisibile, bensì proprio attraverso l’impiego delle tecnologie sarebbe garantita la sussistenza di una «dimensione umana necessariamente dialogica».24 Dunque, quella che sembrava una prerogativa esclusiva dei nativi digitali, abituati e interessati, più di ogni altro, a disporre dei social network e delle tecnologie più complesse per relazionarsi, si è estesa anche ai più scettici e inesperti, posto che il bisogno intimo di relazione e la sofferenza ontologica della solitudine non hanno fatto sconti a nessuno. La rinuncia alla relazione non è praticabile poiché non è possibile rinunciare, senza subire gravi conseguenze, a un elemento costitutivo

  Ivi, p. 105-119. In questa appassionante lettura della parte teorica della “Dottrina della Scienza”, in cui la filosofia della libertà fichtiana diviene filosofia del diritto nella prospettiva dell’intersoggettività, Punzi sostiene che: «la relazione di reciproca determinazione indica che l’attività si esprime (e non si nega) solo nella dialettica con la passività: la libertà dell’uomo non appare come una ripetizione della pura identità dalla quale sia esclusa ogni privazione. È proprio la negazione che, spezzando il circolo dell’assolutezza dell’io e ponendo questo in contraddizione, lo sollecita ad agire nella realtà. Il concetto di negazione non esprime, in Fichte, una perdita di realtà, un indebolimento dell’attività dell’io ma è la condizione di possibilità dell’azione» (p. 60-61). Si suggerisce: Johan Gottlieb Fichte, Gesamtausgabe der Bayerischen Akademie der Wissenschaftslehre, a cura di R. Lauth, H. Jacob, Stoccarda, Frommann-Holzboog, I, 2, 1962, p. 280 e ss. Sulla relazione giuridica fondamentale si veda altresì: Bruno Romano, Relazione e diritto tra moderno e postmoderno, con prefazione e cura di Daniele Maria Cananzi, Torino, Giappichelli, 2013, p. 115 e ss. 23   Francesca Zanuso, Introduzione. Per un biodiritto dialettico, in Diritto e desiderio. Riflessioni biogiuridiche, Milano, Franco Angeli, 2015, p. 21. 24   Anna Pintore, Il desiderio dei diritti, «Rivista di filosofia del diritto», 2 (2017), p. 246. Si tratta di un’interessante lettura dell’opera “Diritto e desiderio. Riflessioni biogiuridiche” della filosofa del diritto Francesca Zanuso che, trattando aspetti di biodiritto e bioetica, ha offerto significativi spunti di riflessione anche sulle tecnologie. 22

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della nostra esistenza, quello «che rende possibile la sopravvivenza, la definizione di sé e la storia stessa della persona»;25 per queste ragioni un po’ tutti hanno iniziato a familiarizzare con la macchina più intensamente di quanto accadesse in epoca pre-pandemica. È innegabile che l’eccezionalità dell’occasione abbia intensificato a tal punto la sociabilità in versione digitale che alcuni schemi sono stati superati a vantaggio di un nuovo paradigma di contiguità o coincidenza. Non ha più molto senso ragionare oggi di fronti contrapposti tra sostenitori della relazione de visu e relazioni virtuali, di dicotomie o inconciliabilità tra vita online e offline. Il potere dei social media di penetrare drammaticamente nella nostra vita quotidiana, così come la quasi ubiquità delle nuove tecnologie come i telefoni cellulari, ha costretto tutti noi a concettualizzare il digitale e il fisico; on e offline. E alcuni hanno la tendenza a vedere il digitale e il fisico come separati; quello che chiamo dualismo digitale. I dualisti digitali credono che il mondo digitale sia “virtuale” e il mondo fisico “reale”. Questo pregiudizio motiva molte delle critiche a siti come Facebook e il resto del social web e fondamentalmente penso che questo dualismo digitale sia un errore. Invece, voglio sostenere che il digitale e il fisico sono sempre più intrecciati e voglio chiamare questa prospettiva opposta che fa implodere atomi e bit piuttosto che tenerli concettualmente separati come realtà aumentata.26

La realtà pandemica ha decisamente aperto un varco alla condivisione della prospettiva della realtà aumentata – intravista anzi tempo da Jurgenson – indiscutibilmente consequenziale alla spinta inarrestabile di proseguire nella costruzione della propria vita che in nessun modo può prescindere dagli altri, essendo «frutto di un processo di interazione, di avanzare, arrestarsi, arretrare con, per, a causa, per merito (ecc.) degli altri».27 Non vi è quasi più spazio per tentennamenti e ostilità ai sistemi di intelligenza artificiale in quanto si è riconosciuta in essi, quasi unanimemente, l’idoneità a offrire un’efficace rimodulazione della relazionalità che è tutt’ora in corso e si è rivelata davvero indispensabile. I software ci hanno restituito persino quella dignità che ci

  Concetta Sirna, L’emergenza come bisogno di relazione, «Studium Educationis», 3 (2008), p. 85. Per l’autrice, la relazione costituisce «un dato in quanto alla relazione, come alla vita, non ci si può sottrarre essendo la precondizione costitutiva dell’esistenza umana […], per sapere di esistere l’io ha bisogno dello sguardo e del riconoscimento dell’altro». D’altro canto, la relazione può intendersi anche come «compito, quando diventa azione educativa mossa da impegno consapevolmente orientato verso una dimensione axiologica, dialogica e oblativa». Si veda: Rosa Grazia Romano, Il bisogno di relazione nell’era digitale, «Studium Educationis», XVIII (2017), 3, p. 9. 26   Si tratta della traduzione di alcune suggestioni avanzate, in tempi non sospetti, dal sociologo Nathan Jurgenson nel suo contributo Digital Dualism versus Augmented Reality, disposizione per la rubrica Cybergology di The Society Pages, thesocietypages.org/cyborgology/2011/02/24/ digital-dualism-versus-augmented-reality. 27   Francesca Zanuso, Introduzione. Per un biodiritto dialettico, cit., p. 23. 25

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appartiene nella qualità propria di esseri umani avendo reso possibili le condizioni intersoggettive in cui la dignità umana si produce ed «emerge come percezione di noi stessi in relazione all’altro, perché è dall’altro che vogliamo essere riconosciuti».28 Dignità nella relazionalità significa dunque riconoscere l’altro e garantirgli eguale trattamento, senza che queste condizioni di eguaglianza e parità annientino le singole individualità. Anzi, la relazione esprime la dignità se l’originalità e la specificità della singola individualità sono mantenute e rispettate, a partire dal riconoscimento iniziale e dall’incontro che ne scaturisce. […]. Sperimentare la dignità nella relazionalità significa sperimentare l’altro, riconoscerlo e riconoscersi riflessivamente nello sguardo che l’altro ci rinvia. Sperimentare la dignità, però, significa anche conservare l’originale tensione dell’io e del tu, fondamento necessario di una condizione intersoggettiva che costruisce le singole identità. La dignità non è nella relazione che modella le pluralità delle prospettive in un mondo comune, in un noi che precede anche l’io e il tu ma è nell’io con il tu, Sé con Alter.29

L’habitat digitale ha consentito che non ci smarrissimo gli uni gli altri e, tenendo viva la tensione della socialità, ha evitato che venissero mortificate o non riuscissero più a riconoscersi identità e dignità umana. Anche gli sguardi meno attenti e interessati hanno assistito, nel campo da gioco virtuale, alla prosecuzione di un decisivo tempo supplementare in cui l’esercizio di innumerevoli diritti potesse ritornare in campo con una certa agevolezza, in seguito al time-out prolungato imposto dall’emergenza sanitaria. La riattivazione sugli schermi e nelle chat di un principio di dialogo autentico, comprensivo, aperto, capace di entrare in contatto con tutti senza quelle ostilità e intolleranze in cui manca il vero interesse all’altro, rappresenterebbe una confortante evidenza della strenua volontà che la maggior parte degli uomini nutre «di comprendere gli altri e di convivere con loro»: proprio da tali condizioni, nascerebbero i valori sociali, le civiltà, i diritti come i doveri. I diritti, in particolare, rimanderebbero a un fondamento intersoggettivo se ragionevolmente intesi come «modi di regolare i propri comportamenti […], contratti di convivenza, […] modi in cui riusciamo a metterci d’accordo per convivere più o meno civilmente».30   Francesca Scamardella, La dimensione relazionale come fondamento della dignità umana, «Rivista di filosofia del diritto», 2 (2013), p. 311. 29   Id., Dignità, riconoscimento, relazionalità, in Dignità della persona. Riconoscimento dei diritti nelle società multiculturali, a cura di Angelo Abignente e Francesca Scamardella, Napoli, Editoriale Scientifica, 2013, p. 167-168. 30   Mario Peretti, La filosofia del dialogo di Guido Calogero: III – I diritti dell’uomo e la convivenza civile, «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», 60 (1968) 6, p. 581-582. In queste pagine viene tratteggiata esaustivamente la fase dialogistica di Guido Calogero, caratterizzata da una valorizzazione del principio del dialogo nell’ambito della convivenza etico-politica; per un approfondimento si suggerisce: Guido Calogero, La conclusione della filosofia del conoscere, Firenze, Sansoni, 1959, p. 350 e ss. 28

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Ma la ricerca dell’altro, anche in rete, non è sempre e solo affanno solidaristico, impegno civile e sociale, desiderio di donarsi o riconoscersi nei reciproci diritti ed entità. Non va sottaciuto, difatti, l’anelito egoistico di definire, attraverso i rapporti con l’ambiente circostante e con gli altri, semplicemente la «disponibilità del se-stesso». L’uomo moderno vuole incontrare nell’altro e nel mondo solo l’estensione del suo aversi. Questo uomo deve, così, negare ogni modalità della differenza esistenziale e fare degli altri e del mondo lo specchio ove ritrovare la piena compiutezza dell’aversi totale. […] Il riconoscimento universale e incondizionato – nell’insieme di questa mia esposizione – nomina quella relazione intersoggettiva ove ciascuno ritrova se-stesso in ogni altro; è il rapporto ove l’uno non si identifica nell’altro, ma ove ciascuno è riconosciuto nell’esercizio della sua differenza esistenziale, che non cade nell’incedere come causa di esclusione, nelle due modalità del dominio o dell’in-differenza, quali negazioni della differenza. L’interpretarsi dell’uomo moderno esige un rapporto tale con il mondo ambiente e con l’altro uomo da lasciarli apparire solo come funzioni del concretarsi della volontà di disponibilità del se-stesso, così che la legittimazione della capacità di ogni uomo a porsi come autore di differenza, di originalità è, di conseguenza, svuotata di reale riconoscimento. La relazione diviene solo una relazione prodotta da qualcuno e destinata ad un altro. Questo avviene sia all’interno dei rapporti tra i singoli, che nei rapporti tra i singoli e le istituzioni.31

Sono molteplici i moventi che inducono l’uomo a confrontarsi con quanto d’animato e inanimato lo circondi, ma sono evidentemente così insistenti e connaturati alle nostre esistenze da non poter essere soffocati in nessun modo e in nessun tempo, nemmeno quello pandemico. Una relazionalità innovativa, digitale e non per questo priva di un profondo valore filosofico e giuridico, è entrata repentinamente nel nostro orizzonte e ha segnato, in concomitanza con il dramma dell’umanità, uno dei momenti in cui ciascuno di noi ha avvertito con minor inquietudine il proprio rapporto con l’intelligenza artificiale32. Abbiamo finalmente deposto la nostra diffidenza nei confronti della macchina, in virtù di un’alleanza salvifica che

  Bruno Romano, Relazione e diritto tra moderno e postmoderno, cit., p. 6.   Secondo il filosofo Luciano Floridi non vi sarebbe nulla da temere nell’Intelligenza artificiale, sebbene riconosca che l’algoritmo possa spaventare l’uomo essenzialmente per due ragioni: «la prima è legata alla natura nuova di questi sistemi, una capacità di agire mai vista prima nella storia umana. È la paura dell’ignoto, è come se avessimo introdotto un pezzo nuovo sulla scacchiera. Fa un po’ impressione, e così cominciamo a fantasticare. Il secondo? Siccome sempre di più ci affidiamo a questi sistemi, si profilano sempre più situazioni ad alto rischio. Insomma, se dobbiamo affidarci a un’auto che guida da sola, il timore è giustificato». Si veda: Floridi: «Temere l’intelligenza artificiale? È come temere il demonio o le streghe…», intervista di Francesca Spasiano a Luciano Floridi, 20 dicembre 2021 (disponibile su www.ildubbio.news). 31 32

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si è instaurata con essa, allorquando ci è stata palesata l’opportunità di riattivare la nostra socialità. La dimensione dell’“intersoggettività digitale”, protagonista assoluta di questi tempi infausti, sarebbe dunque contraddistinta da una macchina che non spaventa più, ma che sostiene e protegge il genere umano33 e non intende assoggettarlo, bensì gli si assoggetta, restituendo quanto il virus gli stava traumaticamente sottraendo: l’umanità del relazionarsi con gli altri.

Bibliografia Abignente, Angelo, L’argomentazione giuridica nell’età dell’incertezza, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018. Bentham, Jeremy, An Introduction to the Principles of Morals and Legislation (ed. or. 1789), in The Collected Works of Jeremy Bentham, a cura di J. Henderson Burns e H.L.A Hart, Clarendon Press, Oxford 1996, trad. it. a cura di Eugenio Lecaldano, Introduzione ai principi della morale e della legislazione, Torino, UTET, 1998. Calogero, Guido, La conclusione della filosofia del conoscere, Firenze, Sansoni, 1959. Capograssi, Giuseppe, Il diritto dopo la catastrofe, «Jus», 2 (1950). Fichte, J. Gottlieb, Gesamtausgabe der Bayerischen Akademie der Wissenschaftslehre, a cura di R. Lauth, H. Jacob, Stoccarda, Frommann-Holzboog, I, 2, 1962. Giaccardi, Chiara, “Vita tua, vita mia”. Che sia vitale il tempo virale. L’individualismo è astrazione, www.avvenire.it/opinioni/pagine/che-sia-vitale-il-tempo-virale-lindividualismo-astrazion-063dab5f075c4b2eb3603729c1fe870e. Giaccardi, Chiara - Magatti, Mauro, Nella fine è l’inizio. In che mondo vivremo, Bologna, il Mulino, 2020. Giusta, Cataldo, Heiddeger e la questione dell’intersoggettività, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia», serie IV, 9 (2004), 2. Habermas, Jürgen, La teoria dell’agire comunicativo. Vol. I Razionalità nell’azione e razionalizzazione sociale, Bologna, il Mulino, 1986. Habermas, Jürgen - Günther, Klaus - Militello, Vincenzo, Nessun diritto fondamentale vale senza limiti, «Giustizia insieme», n. 1125, 30 maggio 2020, www.giustiziainsieme.it/it/diritto-dell-emergenza-COVID-19/1126-diritti-fondamentali-nessun-diritto-fondamentale-vale-senza-limiti-di-juergen-habermas-e-klaus-guenther-2?hitcount=0. Hume, David, An enquiry concerning the principles of morals, vol. 37, New York, Harvard Classics, Collier & Son, 1909-14.   Si veda: Antonio Punzi, Judge in the machine. E se fossero le macchine a restituirci l’umanità del giudicare?, in Decisione robotica, a cura di Alessandra Carleo, Bologna, il Mulino, 2019, p. 305-316. 33

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Jurgenson, Nathan, Digital Dualism versus Augmented Reality, The Society Pages, Cybergology, 24 febbraio 2011, thesocietypages.org/cyborgology/2011/02/24/digital-dualism-versus-augmented-reality. Kant, Immanuel, Die Metaphysik der Sitten, Berlino, Akademie-Ausgabe Band VI, 1968. Lo Storto, Giovanni, Prefazione, in Maffettone Sebastiano, Il quarto shock. Come un virus ha cambiato il mondo, Roma, Luiss University Press, 2020. Masullo, Aldo, Fichte. L’intersoggettività e l’originario, Napoli, Guida, 1986. Moggach, Douglas, Reciprocità, invito, riconoscimento: tematiche dell’intersoggettività nel primo Fichte, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia», serie IV, 1 (1996) 1. Mill, John Stuart, Utilitarianism, London, Parker Son and Bourn West Strand, 1863. Peretti, Mario, La filosofia del dialogo di Guido Calogero: III - I diritti dell’uomo e la convivenza civile, «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», 60 (1968), 6. Pino, Giorgio. Conflitto e bilanciamento tra diritti fondamentali. Una mappa dei problemi, «Etica e politica, Ethics&Politics» (2006), 1. Pintore, Anna, Il desiderio dei diritti, «Rivista di filosofia del diritto» (2017), 2. Punzi, Antonio, Dialogica del diritto. Studi per una filosofia della giurisprudenza, Torino, Giappichelli, 2009. _, Discorso patto diritto. La comunità tra consenso e giustizia nel pensiero di K.O. Apel, Milano, Giuffrè, 1996. _, Judge in the machine. E se fossero le macchine a restituirci l’umanità del giudicare?, in Decisione robotica, a cura di Alessandra Carleo, Bologna, il Mulino, 2019. _, L’intersoggettività originaria. La fondazione filosofica del diritto nel primo Fichte, Torino, Giappichelli, 2000. Renzi, Angela. L’altro e la formazione dell’identità in un dialogo tra Ricoeur e Fichte, in Ontologia relazionale. Ricerche sulla filosofia classica tedesca, a cura di Antonio Carrano e Marco Ivaldo, Napoli, FedOA Press, 2019. Ricci, Matteo (a cura di), Trattato della Politica di Aristotele, Firenze, 1853. Romano, Bruno, Relazione e diritto tra moderno e postmoderno, con prefazione e cura di Daniele Maria Cananzi, Torino, Giappichelli, 2013. Romano, R. Grazia, Il bisogno di relazione nell’era digitale, «Studium Educationis», XVIII (2017), 3. Sacchetti, Francesca, Sé come un altro: l’etica della reciprocità nel pensiero di Paul Ricoeur, «SocietàMutamentoPolitica», 2 (2012), 4. Sapelli, Giulio, 2020 Pandemia e Resurrezione, Milano, Guerini e Associati, 2020. Scamardella, Francesca, La dimensione relazionale come fondamento della dignità umana, «Rivista di filosofia del diritto» (2013) 2. _, Dignità, riconoscimento, relazionalità, in Dignità della persona. Riconoscimento dei diritti nelle società multiculturali, a cura di A. Abignente e F. Scamardella, Napoli, Editoriale Scientifica, 2013. Schmitt, Carl, La tirannia dei valori, Brescia, Morcelliana, 2008.

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Sirna, Concetta, L’emergenza come bisogno di relazione, «StudiumEducationis» (2008), 3. Valenza, Pierluigi, Asimmetria e reciprocità del riconoscimento in Ricœur, in Attraverso la crisi e il conflitto. Pensare altrimenti con Paul Ricœur, «Archivio di Filosofia», 81 (2013), 1-2. Volpi, Franco, Jürgen Habermas, «Belfagor», 38 (1983), 2. Zanuso, Francesca, Introduzione. Per un biodiritto dialettico, in Diritto e desiderio. Riflessioni biogiuridiche, a cura di F. Zanuso, Milano, Franco Angeli, 2015.

DOI 10.53134/9788893574365-57

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7.  LA NATURA POCO INDULGENTE DEL DIGITALE E IL RAPPORTO CON LE DISCIPLINE UMANISTICHE Alessandro Alfier

7.1  Il paradosso della ricerca e il conformismo disciplinare Noi sappiamo ancora pochissimo delle macchine elettroniche; ma quando riflettiamo (sono veramente cose, le quali pongono problemi che vanno molto al di là del diritto) che ad esse senza metafora si attribuisce sensibilità e memoria, davvero l’avvenire della documentazione può riservarci incredibili sorprese. Francesco Carnelutti1 Il “parodosso della ricerca”: questa definizione, proposta recentemente in un intervento di Benedetta Barbisan,2 ha finalmente offerto un nome allo stato d’animo che mi accompagna da quando ho avviato il mio percorso di ricerca. Parafrasando le parole della docente, è questa la condizione che abbraccia chi si cimenta nella ricerca e si trova a operare in profonda solitudine – accompagnato quasi esclusivamente dalle proprie selezionate fonti di studio e dalle proprie inedite ipotesi – se pur nella consapevolezza che quel suo percorso, anche se apparentemente solitario e individuale, se non addirittura solipsistico in alcuni frangenti, raggiunge un senso compiuto se sa germogliare in un arricchimento per la collettività, sia essa la collettività accademica o, nei casi più fortunati, la più ampia collettività sociale. Non tutte le officine operano in un’atmosfera vivace, animata, caotica: vi sono infatti officine più silenziose di altre, ma non per questo meno operose. L’immagine della bottega, richiamata in premessa di questo volume da Paola Ciandrini, racchiude tanto le une quanto le altre.

  Francesco Carnelutti, La figura giuridica del Notaro, «Rivista del notariato», 5 (1951), p. 8, discorso pronunciato nel 1950 presso la sede madrilena del Colegio de los escribanos. 2   La definizione è stata usata da Benedetta Barbisan, coordinatrice del corso di dottorato in Global Studies dell’Università di Macerata, in occasione della cerimonia di apertura del XXXVIII ciclo di dottorato, svoltasi presso l’auditorium dell’Università degli studi di Macerata il 1° dicembre 2022. 1

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Ho sperimentato il “paradosso della ricerca” – vivere, prima, il senso di solitudine per coltivare, poi, un germoglio di bene collettivo – con lo studio che ho intrapreso: l’indagine dei modi in cui, nella contemporaneità digitale, il documento si ripropone ancora come strumento “performativo”,3 dunque come risorsa che produce degli effetti modificativi sulla realtà sociale, propagandoli con piena credibilità nel tempo e nello spazio, così da superare la limitatezza del qui e ora. Nell’affrontare questo viaggio, ho avvertito fin da subito che la mia disciplina d’appartenenza, l’archivistica, non sarebbe stata un orizzonte esaustivo e che avrei dovuto spingermi al di fuori della mia comfort-zone di formazione e di professione, esplorando la teoria del diritto e soprattutto la diplomatica. Così – mio malgrado o per mia fortuna – ho tentato di far dialogare due discipline che negli ultimi decenni in Italia si sono per lo più ignorate.4 Non è un caso che Paola Carucci, che più di altri ha praticato in tempi recenti un confronto tra questi due ambiti, abbia riconosciuto come «le relazioni disciplinari tra archivistica e diplomatica non siano state nel tempo particolarmente buone, mancando nei fatti momenti di confronto e di costruttivo dibattito».5 Difficoltà che questa studiosa attribuisce alla persistente considerazione, da parte dei diplomatisti, dell’archivio come mero deposito fisico.6 Le responsabilità, per un tale stato di cose, sono forse però da ricercare, più equanimemente, anche tra le fila degli archivisti. A quest’ultimi, infatti, è mancata la percezione dell’andamento variegato del dibattito diplomatistico più recente che, al di là della riproposizione di paradigmi di matrice erudita e medievalistica, presenta nelle sue correnti più critiche anche delle significative innovazioni che, se fossero colte dalla comunità archivistica, potrebbero alimentare dei reali momenti di confronto. Mi riferisco, in particolare, alle riflessioni della diplomatista Giovanna Nicolaj, che approda a nozioni capaci di stimolare incursioni profonde nei territori domi  Tra i primi in Italia a teorizzare il documento in termini espliciti di “performatività” vi è il filosofo Maurizio Ferraris (Maurizio Ferraris, Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce, Roma-Bari, Laterza, 2010, p. 300-302). In ogni caso anche la scienza archivistica, pur senza ricorrere al termine di “performatività”, non ha mancato in tempi recenti di sottolineare la natura fortemente pragmatica del documento e quindi dell’archivio, al di là del loro tradizionale uso come fonti storiche e dunque come strumenti di conoscenza. Così Federico Valacchi, quando riconosce che la documentazione è essenzialmente un fatto politico, in quanto strumento di partecipazione della collettività sociale e linfa vitale di ogni sistema sociale organizzato (Federico Valacchi, La memoria dell’acqua, in Dimensioni archivistiche. Una piramide rovesciata, a cura di Lorenzo Pezzica e Federico Valacchi, Milano, Editrice Bibliografica, 2021, p. 173-186, in particolare per la citazione p. 176-177). 4   Tali difficoltà di dialogo possono apparire, per certi versi, sorprendenti se non solo si rammenta come vi siano degli studiosi che, con autorevolezza, operano su entrambi i fronti disciplinari – primo fra tutti Giorgio Cencetti, considerato un maestro tanto dagli archivisti quanto dai diplomatisti – ma anche se si dà credito alla ricostruzione storica che individua tra le due discipline una comune radice settecentesca (Elio Lodolini, Lineamenti di storia dell’archivistica italiana. Dalle origini alla metà del secolo XX, Roma, Carocci, 1998, p. 86). 5   Paola Carucci - Maria Guercio, Manuale di archivistica, Roma, Carocci, 2009, p. 59. 6  Ibidem. 3

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nati dall’archivio propriamente detto: certamente la tematizzazione del concetto di “ancoraggio archivistico” – inteso come soluzione di sistema al problema dell’attribuzione di credibilità ai singoli esemplari documentali7 – ma anche il riconoscimento di quelle “forme documentarie maggiori”8 – forme complesse, forme a sequenza o seriali, forme composite – che conducono la diplomatica a interessarsi alle aggregazioni di documenti, andando così oltre a quelle tradizionali “forme documentarie minori” già ampiamente indagate nei termini di caratteri intrinseci ed estrinseci del singolo documento. È questo il ponte fra diplomatica e archivistica9 che ho cercato concretamente di attraversare nell’intento di far avanzare la mia indagine, incoraggiato anche dall’esempio di Luciana Duranti che, nella sua pratica di ricerca internazionale dedicata al documento digitale, ha paragonato il rapporto tra diplomatica e archivistica a una lega di metalli,10 in una similitudine che ancora una volta ci riporta all’immagine dell’officina in cui si esercita l’arte della fusione sperimentale. Ebbene, l’attraversamento di quel ponte, saldamente costruito sulla fusione di materiali diversi, ma potenzialmente coesi, non è stato indolore, ha accentuato la mia condizione di “solitudine da paradosso della ricerca”. All’avvio del percorso, i tentativi di confronto fra le due discipline mi sono parsi infatti come una terra di nessuno, forse proprio perché esse si erano caparbiamente ignorate per lungo tempo. La mia ricerca così è sembrata “spuria” ed “eccentrica”. Eccentrica soprattutto nel significato etimologico del termine – fuori dal centro – perché intenta ad animare una terra di mezzo in cui nessuna delle due discipline può riconoscere, d’emblée, i tradizionali filoni d’indagine posti al centro dei rispettivi paradigmi disciplinari. Questo senso di eccentrica solitudine è stato, però, anche una condizione preziosa che, nei fatti, si è tradotta in una dimensione di libertà, di movimento autonomo tra le due discipline, evitando parte delle strettoie e dei condizionamenti legati all’inevitabile conformismo che caratterizza qualsiasi comunità scientifica. E da questa mia modesta esperienza si può allora trarre una prima lezione, valida per quel fenomeno che denominiamo umanesimo digitale: a esso si guarda, per lo più, come a un percorso unidirezionale in cui lo scenario delle nuove tecnologie, per poter realizzare le promesse di progresso con cui s’identifica, fa appello al necessario apporto critico delle scienze umanistiche. È però probabile che vi sia, sottotraccia, anche un percorso in senso inverso: quello in cui l’orizzonte digitale si offre come un inatteso laboratorio, in cui le tradizioni delle discipline umanistiche possono ritrovarsi e lì dar luogo all’abbattimento di barriere, conformismi e conservatorismi, giustificati dal punto di vista storico, ma non più da quello propriamente scientifi-

  Giovanna Nicolaj, Lezioni di diplomatica generale. I: istituzioni, Roma, Bulzoni, 2007, p. 71-72. Si veda anche nota 20 in merito al concetto di “ancoraggio archivistico” qui citato. 8   Ibidem, p. 75-77. 9   Ibidem, p. 217. 10   Luciana Duranti, Diplomatics: New Uses for an Old Science. Part I, «Archivaria», 28 (1989), p. 7-27, in particolare la citazione a p. 24. 7

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co. Lo scenario digitale, dunque, come officina in cui sperimentare, concretamente, una renovatio degli statuti umanistici, certo occasionata esternamente dalle urgenze poste dalle nuove tecnologie, ma capace di far sedimentare un corpus stabile di risultati che vanno ben al di là di quelle impellenze. Un’officina laboratorio in cui sembra avverarsi quanto il filosofo Thomas Kuhn11 osservava già per le scienze esatte, discipline che abbandonano bruscamente consolidati paradigmi di leggi e principi se non più utili a spiegare i nuovi fenomeni osservati delle corrispondenti comunità scientifiche.12 Ecco allora che lo scenario digitale emerge anche come quel “nuovo”, imprevisto e inaspettato rispetto a cui le discipline umanistiche sono chiamate a rinnovare i propri paradigmi, per poter fornire un convincente quadro di interpretazioni e risposte.

7.2  La natura poco indulgente dello scenario digitale Nell’entusiasmo che accompagna la rincorsa alle nuove tecnologie, si dimentica spesso che il loro uso comporta oneri inevitabili e non di poco conto. Anche per il ricorso al digitale vi è, dunque, un prezzo da pagare, che però nulla ha a che vedere con le risorse economiche impiegate per alimentare il mero consumo dei nostri device tecnologici. L’onere a cui mi riferisco è ben altra cosa, è relazionato con quella differenza che intercorre tra il recente passato e il presente: se lo scenario analogico basava molta parte della propria operatività su un patrimonio di conoscenze implicite, l’orizzonte digitale esige al contrario di comprimere quanto più possibile quello stesso patrimonio, in vista della necessità di trasformarlo in conoscenza esplicita. Questo faticoso sforzo di traduzione è, a sua volta, legato al fatto che le tecnologie emergenti risultano assai poco indulgenti: esse, infatti, non tollerano soluzioni contingenti e accidentali o anche solo improvvisate e impreviste, ma richiedono la preliminare e lungimirante esplicitazione di scenari rigorosamente modellati e per questo capaci di fornire risorse attendibili in termini di predizione dei comportamenti funzionali e dei requisiti d’operatività. Si tratta in fondo di quella che Francesca Tomasi, nell’introduzione al presente volume, indica come l’esigenza di dar luogo a rappresentazioni formali dei diversi domini di conoscenza, affinché questi ultimi si possano aprire all’impiego del nuovo paradigma tecnologico. Da questo punto di vista l’ambito analogico offriva una flessibilità – anche in termini d’imprevidenza – che con il nuovo orizzonte è venuta definitivamente meno: è dunque falso che l’introduzione del nuovo contesto tecnologico non richieda un tributo in termini di sacrifici, soprattutto considerando che il ricorso alla dimensione dell’implicito portava con sé aspetti di economicità

  Thomas Samuel Kuhn (Cincinnati, 1892 - Cambridge, 1996), fisico, storico e filosofo statunitense, autore di saggi di storia della scienza, ha sviluppato alcune fondamentali nozioni di filosofia della scienza. 12   Thomas Samuel Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1976. 11

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e di rapidità non irrilevanti. In ogni caso proprio questa necessità impellente, per la traduzione della nostra pregressa conoscenza implicita in modelli formali che la esplicitino, dà conto del perché la diffusione del digitale si accompagni a tutta una serie di strumenti che, per l’appunto, hanno lo scopo di concretizzare tale urgenza di traduzione: non solo la metadatazione, ma anche linee guida, standard, regole tecniche, ontologie, glossari e quant’altro possa riconoscersi come supporto alla logica formale di modellazione. In quest’esigenza di inesorabile trasformazione dell’implicito in esplicito risiede il legame profondo – non occasionale – che lo scenario digitale instaura con le discipline umanistiche, dando così vita al fenomeno dell’umanesimo digitale. Queste, infatti, sono in grado di fungere, per determinati domini di conoscenza, da potente risorsa con cui eseguire in modo rigoroso quell’azione di traduzione: esse, in altri termini, sono capaci di condurci, con la necessaria profondità d’analisi, alla definizione di logiche formali di modellazione, che poi possono essere proiettate sull’orizzonte operativo delle nuove tecnologie. In questo senso – e fungendo da “lingua franca” – le scienze umanistiche ci orientano all’interno di un insidioso, ma indispensabile functional equivalent approach:13 esso è chiamato a esplicitare le condizioni e i requisiti di natura funzionale che devono essere garantiti, anche nel nuovo scenario digitale, per l’operatività di certi costrutti sociali già da tempo esistenti nell’ambito analogico e, per questo, lungamente indagati dalle discipline umanistiche nella trasversalità delle diverse epoche storiche. Certo si tratta di un’opera di traduzione che non ha assolutamente nulla di meccanico: richiede tempo ed energie, perché esplicitare l’implicito delle nostre conoscenze non corrisponde a un’azione scontata, non si rispecchia in un risultato, per così dire, già bell’e pronto, ma esige uno sforzo intenso, simile a quello che ci verrebbe richiesto qualora dovessimo renderci stabilmente consapevoli dei movimenti involontari dei nostri organi corporei. Tempo ed energie che talvolta non sono compatibili con le urgenze e le accelerazioni che caratterizzano l’introduzione delle nuove tecnologie nel quotidiano. In casi come questi il risultato è allora quello di un’azione di tra-

  Di functional equivalent approach si parla esplicitamente in rapporto al documento digitale, considerato come un mezzo per la realizzazione delle transazioni del commercio internazionale, in sostituzione del tradizionale documento analogico, ma con le stesse garanzie funzionali assicurate già da quest’ultimo (Alessandro Alfier, Il sistema di documentazione digitale, Milano, Editrice Bibliografica, 2020, p. 99-101). L’ambito documentale rappresenta uno di quei domini di conoscenza in cui le discipline umanistiche sono chiamate alla definizione di logiche formali di modellazione, che d’altro canto sono richieste dallo stesso scenario digitale. E il functional equivalent approach ora citato rappresenta, per l’appunto, l’esempio di uno strumento con cui esplicitare il pregresso patrimonio di conoscenze implicite che storicamente hanno condizionato la sfera documentale. Al di là però della sua origine specifica, che rimanda come si è visto agli usi del documento nell’ambito del commercio internazionale, l’espressione “approccio di equivalenza funzionale” può essere generalizzata per tutti i domini di conoscenza in cui si esercita l’umanesimo digitale: infatti l’opera di traduzione dell’implicito in esplicito non è altro, nella sostanza, se non un processo per la definizione dei requisiti funzionali irrinunciabili che, avendo contraddistinto l’esistenza dei costrutti sociali nel pregresso scenario analogico, devono essere garantiti anche nel nuovo contesto tecnologico. 13

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duzione realizzata, ahimè, in modo approssimativo e comunque insoddisfacente senza un coinvolgimento vero e strutturato delle discipline umanistiche e che, alla fine, produce un ricorso al digitale che non realizza le promesse attese in termini di efficienza, efficacia, economicità e sostenibilità. In questo senso l’umanesimo digitale si presenta come la miglior garanzia, affinché la potenza tecnologica insita nel nuovo contesto non si vanifichi in una mera “esibizione muscolare”, tanto suggestiva quanto nella sostanza inutile, ma sia indirizzata a un suo ottimale impiego.

7.3  Un ambito di applicazione per l’umanesimo digitale: il dominio documentale Il documento digitale rappresenta, senza dubbio, uno dei domini di conoscenza su cui può utilmente esercitare la propria azione l’umanesimo digitale. Il documento in quanto tale, come strumento performativo che in qualsiasi società produce degli effetti sulle relazioni tra gli individui, s’identifica infatti con un costrutto sociale di antichissima tradizione, che oggi assume un nuovo vestimentum calato dalle tecnologie dell’innovazione, senza che ciò però ne muti la sostanza in termini di funzioni essenziali. Le scienze umanistiche, pertanto, appaiono come candidate ottimali, per supportare la modellazione di una logica formale indispensabile all’uso del documento nel contesto digitale. Esse, infatti, hanno proficuamente indagato quel costrutto sociale trasversalmente alle diverse epoche storiche, ponendosi nelle condizioni migliori per esplicitare la conoscenza implicita del dominio documentale o – che è lo stesso dire – per formalizzare i requisiti di equivalenza in virtù dei quali il documento in quanto tale può adattarsi alle emergenti tecnologie. In realtà, in questo caso specifico, l’opera di traduzione che può essere garantita dalle discipline umanistiche appare ancor più insostituibile: il documento, storicamente, emerge infatti non come un costrutto sociale semplice, ma composito, risultato della sintesi di una molteplicità di costrutti sociali più granulari. Così, nel momento in cui si avverte l’esigenza di modellare una logica formale al servizio dell’uso del documento digitale, ci si trova dinnanzi a un compito particolarmente arduo: l’azione di modellazione esige una preliminare operazione intellettuale di scomposizione per riconoscere i diversi costrutti sociali in gioco e per distinguere le loro dinamiche d’interazione, all’interno di quel tutto rappresentato dal documento in quanto tale. E quale, fra quelle discipline umanistiche, può meglio candidarsi a tale analisi se non l’archivistica e la diplomatica, tradizionalmente caratterizzate da un approccio al dominio documentale che muove dalle categorie del semplice a quelle del complesso e viceversa? Uno dei costrutti sociali che in qualsiasi epoca partecipa alla dinamica funzionale insita nel documento è rappresentato da quella che, in termini generici, potremmo indicare come “credibilità”. Il documento, infatti, non riesce a fungere da strumento performativo che incide sulla realtà sociale se, al contempo, non è anche

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riconosciuto come credibile dai suoi utilizzatori, reali o potenziali.14 Tale attribuzione di credibilità a sua volta ingenera un atteggiamento di affidamento da parte degli individui nei confronti del documento stesso, atteggiamento alimentato dal fatto che il documento è riconosciuto – senza dubbio alcuno – come portatore di un contenuto veridico e non alterato, a dispetto della profondità degli spazi e dei tempi che ha dovuto attraversare. Noi oggi usiamo, con una certa imprecisione, una pluralità di termini per designare tale qualità documentale: oltre al concetto di “credibilità”, ricorriamo infatti alle nozioni di “attendibilità”, “affidabilità”, “fiducia” e “genuinità”. Il termine però al riguardo più specifico è senz’altro quello di “autenticità”. È interessante notare come, proprio con riferimento a questo concetto, si ritrovi una sua definizione all’interno del glossario previsto per le Linee guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici.15 Va ricordato come questo testo rappresenti, nella sostanza, uno strumento con cui il legislatore ha voluto definire un primo modello formale tramite cui esplicitare le condizioni e requisiti di equivalenza funzionale per l’uso del documento nel contesto delle nuove tecnologie. Ebbene, lo stesso legislatore, nell’ambito di questa sua azione di modellazione, avverte la necessità di esplicitare anche il concetto di autenticità: evidentemente sulla scorta della percezione che il documento, in qualsiasi epoca e pertanto anche nella contemporaneità digitale, è nulla se non è al contempo credibile. Percezione, questa, che conduce il legislatore a ritenere che la definizione di una logica formale per il documento digitale non possa considerarsi conclusa senza che sia anche esplicitato quel costrutto sociale, più di dettaglio, che è rappresentato dalla nozione di autenticità. Nel glossario delle Linee guida quest’ultima è allora così definita: «caratteristica in virtù della quale un oggetto deve considerarsi come corrispondente a ciò che era nel momento originario della sua produzione. Pertanto, un oggetto è autentico se nel contempo è integro e completo, non avendo subito nel corso del tempo o dello spazio alcuna modifica non autorizzata. L’autenticità è valutata sulla base di precise evidenze».16 Questa definizione risulta all’apparenza esaustiva. In realtà essa risente del fatto che l’elaborazione delle Linee guida concretizza uno di quei casi in cui l’azione di traduzione dall’implicito all’esplicito, richiesta dallo scenario digitale, è realizza-

  Si veda il richiamo al concetto di oggetto sociale della teoria della documentalità di Maurizio Ferraris, ripreso nel contesto archivistico da Paola Ciandrini; si veda Paola Ciadrini, Records Management. ISO 15489: progettare sistemi documentali, Milano, Editrice Bibliografica, 2020, p. 72-82. 15   Tali Linee guida sono state approvate e modificate con le determinazioni del direttore generale AgID Agenzia per l’Italia Digitale n. 407 del 9 settembre 2020 e n. 371 del 17 maggio 2021 (AgID, Linee guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti digitali. Maggio 2021). Esse, oltre al testo principale, si compongono di una serie di allegati, tra cui si ritrova l’allegato n. 1 intitolato Glossario dei termini e degli acronimi (AgID, Linee guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti digitali. Maggio 2021. Glossario dei termini e degli acronimi). Quest’ultimo raccoglie infatti le definizioni utili a intendere i principali termini e acronimi che ricorrono nel testo principale delle stesse Linee guida. 16   Ibidem, p. 5. 14

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ta in modo approssimativo, senza un coinvolgimento strutturato delle discipline umanistiche che sappia andare al di là di scambi contingenti. Una condizione fattuale, questa, che, proprio per la sua connotazione negativa, si è rivelata come un ottimale punto di partenza per il mio progetto di ricerca: quale miglior occasione, infatti, per sviluppare un’indagine dedicata alla definizione di una logica formale per il documento digitale costruita sugli apporti delle discipline umanistiche – archivistica e diplomatica in primis – utile, tra l’altro, per produrre una maggior consapevolezza critica sulle défaillance d’analisi delle Linee guida? In questa officina, naturalmente non ho potuto fare a meno di prendere le mosse da quel costrutto sociale che s’identifica con la nozione di “autenticità”, vista come una delle componenti che danno vita a quell’apparato composito che è il documento. Un costrutto sociale particolarmente insidioso e scivoloso: esso presenta infatti «una lunghissima, complicata storia alle spalle che gli conferisce una pregnanza specifica a seconda degli ambienti e delle epoche e andrebbe quindi maneggiato con cautela».17 Come allora potersi orientare in questa storia tanto tortuosa e che in ogni caso va percorsa se si vogliono esplicitare i significati più profondi dell’autenticità, con beneficio finale per l’uso del documento digitale? Fortunatamente ho trovato soccorso in una delle discipline umanistiche per antonomasia: l’etimologia. Quest’ultima ha avuto modo d’indagare l’origine della nozione di “autenticità”, sottolineando sia il legame tra i termini authenticum e auctoritas, sia la comune derivazione di quest’ultimi da augere, che a sua volta esprime l’idea di accrescimento.18 Se ci si colloca nello spazio delimitato tra questi tre termini, emerge allora come il concetto di “autenticità”, in origine, indichi una qualità che completa il documento – che infatti per suo tramite acquisisce una credibilità certa – riverberandosi però sullo stesso dall’esterno, come emanazione di un’auctoritas pubblica. Tutto ciò sulla base, evidentemente, di un preciso presupposto: la preventiva svalutazione dei possibili fattori di credibilità insiti nel documento, in sé e per sé considerato, e la complementare valorizzazione dei fattori a esso esterni e con cui conferire la necessaria fiducia al suo contento. Il documento, in questa prospettiva, si può pertanto considerare autentico solo se è correlato – “agganciato” o “ancorato” – a manifestazioni del potere pubblico   Francesca Santoni, Prefazione, in Il sistema di documentazione digitale di Alessandro Alfier, Milano, Editrice Bibliografica, 2020, p. 11-27, in particolare per la citazione a p. 18. Nella stessa citazione, con riferimento alla variabilità semantica della nozione di “autenticità”, si rimanda alla produzione scientifica di Giovanna Nicolaj, tra cui si segnala il saggio “Originale, authenticum, publicum”. Una sciarada per il documento diplomatico, in Charters, Cartularies, and Archives. The Preservations and Transmission of Documents in the Medieval West. Proceedings of a Colloquium of the Commission internationale de diplomatique (Princeton and New York, 16-18 September 1999), a cura di Adam J. Kosto e Anders Winroth, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 2002, p. 8-21. 18   Tale interpretazione è ripresa da Giorgio Costamagna, I concetti di autenticità e di originalità nella documentazione della Cancelleria genovese nel Medioevo, in Landesherrliche Kanzleien im Spätmittelalter, Referate zum VI Internationalen Kongress für Diplomatik (München, 1983), II, a cura di Gabriel Silagi, München, Arbeo-Gesellschaft, 1984, p. 485-504. 17

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che sono socialmente riconosciute come fidefacenti, in modo tale che proprio a partire da queste ultime si possa sopperire a quella che si ritiene essere la congenita insufficienza del documento stesso, la sua intrinseca assenza di credibilità. Diversi sono gli esempi storici, anche piuttosto risalenti nel tempo, che potrebbero essere richiamati: tra essi l’istituto notarile, che a partire dal XII secolo e fino ai nostri giorni funge da contesto autorevole con cui conferire fiducia ai documenti relativi ai rapporti giuridici tra privati19 e ancora l’archivio, nel suo profilo di archivum publicum, che già in epoca romana, ma soprattutto a partire dal basso medioevo, emerge come espressione dell’autorità sovrana in grado di conferire la qualità dell’autenticità20 alla documentazione in esso conservata. È da sottolineare che, in questa sua originaria nozione, l’autenticità si caratterizza essenzialmente come una qualità giuridica: lo stretto collegamento con le manifestazioni fidefacenti della sfera pubblica conferisce infatti alla credibilità attribuita al documento un preciso riconoscimento giuridico, operato dal diritto positivo, da quello consuetudinario o ancora dalla giurisprudenza. E così il cerchio si chiude: il documento può svolgere appieno la sua funzione di strumento performativo, destinato a produrre degli effetti sulla realtà sociale, appunto perché la sua credibilità è riconosciuta come certezza giuridica21 e come tale deve pertanto essere accettata, senza tema di smentita, da tutti i consociati. Nel mio percorso di ricerca sono poi passato dal piano della ricerca etimologica a quello degli studi di diplomatica, scoprendo che quest’originaria nozione di “autenticità” è in realtà destinata ad avere grande fortuna nel tempo. Essa, infatti, pur nella variabilità sottolineata dalla citazione di Francesca Santoni sopra riportata, si propaga nei suoi caratteri sostanziali ora esposti attraverso una lunghissima parabola storica, che dall’antica Roma approda all’età moderna, passando per l’epoca medievale. Solo con gli ultimi decenni del ‘600 questa dimensione monolitica del concetto di “autenticità” viene meno: sono gli anni in cui, attraverso il confronto polemico tra il gesuita Daniel Papebroche e il benedettino Jean Mabillon, la diplomatica prende forma come scienza. A partire dall’identificazione elaborata dall’e-

  Al di là delle apparenze, anche l’istituto notarile rappresenta una manifestazione fidefacente direttamente collegata all’autorità sovrana. Il notaio certo agisce come professionista, ma nell’ambito di prerogative che, tanto oggi quanto ieri, gli sono conferite dall’autorità pubblica. Non a caso nel medioevo la nomina dei notai avveniva per opera dei massimi poteri sovrani, papi e imperatori, e oggi l’esercizio dell’attività notarile è sottoposto a importanti forme di controllo da parte delle autorità pubbliche, che riconoscono nella stessa figura del notaio un pubblico ufficiale. 20   A questo specifico utilizzo dell’archivio, come catena di autenticazione dei singoli documenti, fa riferimento l’espressione “ancoraggio archivistico”, segnalata in precedenza in merito alle riflessioni di Giovanna Nicolaj (vedi nota 7). 21   La dimensione dell’autenticità come certezza giuridica conduce a esaltare, in particolare, il tema della veridicità. In termini generali, infatti, il documento considerato autentico da un certo ordinamento giuridico è anche riconosciuto come veicolo di un contenuto che, sullo stesso piano giuridico, deve ritenersi corrispondente a verità, fatte salve procedure assolutamente eccezionali con cui qualcuno dei consociati può mettere in dubbio quella medesima veridicità, come avviene per esempio nel nostro ordinamento, tramite la procedura giurisdizionale con cui si attiva la querela di falso. 19

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rudizione rinascimentale tra la nozione di documento e quella di fonte storiografica, la nascente disciplina porta in primo piano un inedito concetto di “verità storica”, che fa da detonatore per tutta una catena di altri rivolgimenti. L’attribuire al documento la qualità di fonte capace di disvelare la verità, quantunque storica, porta infatti a riconoscere che il documento, in sé e per sé considerato, è in grado di rivelare la propria veridicità – in quanto non affetto da alcuna congenita insufficienza o connaturata assenza di credibilità – a condizione che lo si sottoponga a un giudizio critico sulla sua genuinità, giudizio che per l’appunto costituisce l’apporto metodologico della nuova scienza che va sorgendo. Si tratta di un ribaltamento di scenario radicale rispetto a come, fino a quel momento e per diversi secoli, è stato invece considerato il documento: contrassegnato, come si è visto, da un’intrinseca insufficienza in ragione della quale esso necessiterebbe, per garantire la credibilità dei propri contenuti, di un intervento esterno che si concretizzerebbe nell’“ancoraggio” del documento stesso a contesti fidefacenti, riconducibili a manifestazioni del potere sovrano. Tutto ciò, infine, si proietta sulla tradizionale nozione di “autenticità” che, allora, diviene oggetto di un’importante rimodulazione da parte della nuova disciplina: questa assume infatti l’autenticità non più come qualità di natura giuridica, bensì come qualità di natura filologico-storica e, in questo senso, come proprietà fattuale e pre-giuridica del documento, ricorrendo per la sua denominazione al termine di “genuinità”. Così il risultato del sorgere della diplomatica è alla fine quello di produrre, per la prima volta nella storia dell’Occidente europeo, uno iato tra due divergenti standard di credibilità documentale (vedi Figura 1):22 da un lato l’autenticità come verità e certezza storica e dall’altro lato l’autenticità come verità e certezza giuridica. A partire da questo momento e nel proseguo sia dell’età moderna che di quella contemporanea, le due nozioni di “autenticità” si trovano a coesistere, occupando, però, la scena di ambiti disciplinari distinti: l’accezione di credibilità come genuinità si impone nel campo della diplomatica delle origini e, in rapida successione di tempo, in quello dell’archivistica, considerato che nel ‘700 quest’ultima prende forma come disciplina autonoma proprio in un iniziale stretto collegamento con la scienza diplomatistica; l’accezione di credibilità come certezza giuridica continua invece a essere usata nel campo delle discipline giuridiche e, nel corso del tempo, in quella “seconda stagione” della diplomatica che oltrepassa gli esordi seicenteschi e che corrisponde alla diplomatica quale oggi pratichiamo.23

  Randolph Conrad Head, Documents, archives, and proof around 1700, «The Historical Journal», 56 (2013), 4, p. 909-930, in particolare per la citazione a p. 922. 23   Antonella Ghignoli, Diplomatica, in Biblioteconomia. Guida classificata, a cura di Stefano Gambari, Milano, Editrice Bibliografica, 2007, p. 908-914, in particolare per la citazione a p. 909. 22

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Figura 1: il concetto di autenticità a partire dall’età moderna

Questa duplicità di significati si va così fortemente sedimentando lungo tutta l’età moderna fin dentro la nostra contemporaneità, creando anche insidiosi momenti di vischiosità. Al riguardo, la diplomatista Giovanna Nicolaj avverte la necessità di distinguere tra l’autenticità in senso generico e l’autenticità in senso stretto24: la prima rimanda alla credibilità come qualità fattuale e pre-giuridica e la seconda, invece, richiama la credibilità come proprietà giuridica. Si tratta, evidentemente, non di un mero problema nominalistico: non solo perché i due standard d’autorevolezza documentale presuppongono, come si è visto, due distinte visioni delle potenzialità e insufficienze del documento, ma anche in quanto essi operano in modo radicalmente diverso. L’autenticità in senso generico è infatti una proprietà non graduata, in quanto nella sua prospettiva il documento può solo essere considerato come genuino oppure come falso, tertium non datur; si accompagna inoltre a una tendenziale diffidenza verso l’uso delle copie – probabilmente per una reminiscenza di tipo filologico – ed enfatizza infine gli aspetti di integrità e completezza documentale. L’autenticità in senso stretto è, al contrario, una qualità graduata – perché, generalmente, i diversi ordinamenti riconoscono al documento

  Giovanna Nicolaj, Ragioni e propositi della traduzione, in Manuale di diplomatica per la Germania e l’Italia, di Harry Bresslau, tradotto dal tedesco all’italiano da Anna Maria Voci-Roth, I, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1998, p. IX-XI, in particolare per la citazione a p. X. 24

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differenti livelli d’efficacia giuridica – e si caratterizza per una tendenziale incentivazione all’uso delle copie25 e per l’enfasi posta sulla dimensione di veridicità del contenuto documentale. Guadagnato questo punto di vista, grazie agli apporti delle discipline umanistiche – diplomatica in primis – che hanno indirizzato il mio progetto di ricerca, emergono con forza i limiti di quella definizione di autenticità contenuta nel glossario delle Linee guida, a cui precedentemente ho fatto riferimento. A questo punto dovrebbero infatti essere evidenti le ragioni per cui quel tentativo di esplicitare la conoscenza implicita nella nozione di “autenticità” debba essere giudicato come approssimativo: esso ignora la duplicità dei significati in campo e, pertanto, finisce per schiacciare il concetto di “credibilità” sulla sola autenticità in senso generico, scartando – quasi senza esserne consapevole – l’autenticità in senso stretto, con il risultato finale di approdare alla definizione di una logica formale per l’autenticità non solo semplificata, ma anche incoerente. Si deve infatti ricordare che le Linee guida dovrebbero permettere un’applicazione nel dettaglio delle norme di   È interessante notare come, nello scenario digitale, venga sostanzialmente meno la distinzione tra documento originale e documento in copia. Come è stato osservato, «qualsiasi evento di riproduzione, trasmissione e riuso documentale mette capo, nello scenario digitale, certamente a una replica duplicativa dell’originario bitstream, ma molto spesso questa vive poi di vita propria, percorrendo nei contesti organizzativi, applicativi e d’uso degli iter distinti da quelli che hanno contrassegnato il documento digitale fonte da cui è stata pure tratta. E in tal modo essa documenta le sue peculiari vicissitudini con una propria sedimentazione di metadati, che inevitabilmente ne fanno variare in maggior o minor grado significato e funzione rispetto all’originario esemplare documentale digitale […] Cosicché, tanto a monte quanto a valle di ogni singolo evento di riproduzione, trasmissione e riuso si ritrovano rappresentazioni documentali digitali sostanzialmente diverse, eppur tra loro imparentate da un rapporto genetico di derivazione. E quanto più quegli eventi si susseguono, come in una catena ininterrotta, tanto più si espande la rete a grappolo delle relazioni di parentela tra una moltitudine di esemplari digitali, ciascuno dei quali si pone come una sorta di “antigrafo” rispetto a quello che gli succede in ordine di tempo» (Alessandro Alfier, Il sistema di documentazione digitale, cit., p. 254-255). Così nell’orizzonte documentario digitale le relazioni tra originali e copie sembrano essere soppiantate: al loro posto una rete di nessi in progressiva espansione tra quegli esemplari digitali imparentati per processi diretti di derivazione. Questo fenomeno sembra richiamare da vicino l’immagine dello stemma codicum, che nella più classica delle discipline umanistiche – la filologia – identifica il grafo, cioè l’albero genealogico dei molteplici testimoni di uno stesso codice manoscritto. Questo apparente paradosso, per cui il presente del documento digitale e il passato della produzione manoscritta sembrano toccarsi nello stemma codicum, è stato sottolineato da me e Paola Ciandrini in tre interventi (Alfier - Ciandrini, C’era una volta l’ordine, nell’ambito del convegno Del metodo storico. Il disordine e l’ordine nella prospettiva digitale, a cura dell’Università degli studi di Macerata, 11 ottobre 2018; Alfier - Ciandrini, Ordine e disordine, nell’ambito del convegno CANVAS. Conoscere Agire Narrare Valori Archivistici Scenari, a cura dell’Università di Macerata (Ibridamente, SDA e Master FGCAD), ANAI e Biblioteca universitaria di Pavia, 11 dicembre 2019; Ciandrini, Multidisciplinarietà: competenze, profili e sistemi in tema di archivio digitale, nell’ambito del convegno Archivi: Ac-crescere l’integrazione delle competenze, Palazzo delle Stelline, 15 marzo 2019). Più di recente, sull’uso dello stemma codicum come immagine efficace per rappresentare le relazioni di derivazione tra i diversi esemplari digitali di uno stesso documento, è intervenuto anche Giovanni Michetti (Giovanni Michetti, Introduzione alla blockchain. Una guida per archivisti, Napoli, Editoriale scientifica, 2020, p. 124). 25

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carattere generale contenute nel Codice dell’amministrazione digitale.26 Condizionale d’obbligo: infatti quando il Codice sancisce che il documento digitale soddisfa la forma scritta27 – al pari del tradizionale documento analogico – richiama, evidentemente, una visione del documento come strumento performativo, capace d’incidere sul piano giuridico delle relazioni sociali. Sorprende allora che da un lato il Codice opti per una definizione di documento digitale dall’evidente profilo giuridico e, dall’altro lato, le Linee guida, ovvero lo strumento che dovrebbe dettagliatamente esplicitare il correlato costrutto di autenticità, prescindano dalla qualificazione giuridica di autenticità, per abbracciare in modo esclusivo la sua accezione fattuale e pre-giuridica, producendo una evidente incoerenza. In tutto ciò si ha conferma di come le discipline umanistiche, dentro il quadro dell’umanesimo digitale, sappiano fungere da felice strumento di traduzione tra l’implicito del precedente scenario analogico e l’esplicito rigorosamente richiesto dal contesto delle nuove tecnologie. Si evita così che i tanto decantati “processi di digitalizzazione” siano calati, sull’onda del mito di potenza che accompagna le tecnologie emergenti, su una realtà erroneamente trattata come fosse una tabula rasa, pronta per essere completamente riscritta per intero. È questa una visione estremamente ingenua della contemporaneità. Al contrario l’umanesimo digitale manifesta la capacità di “tessere” il digitale all’interno di un contextus, dunque di intrecciarlo con una serie ineliminabile di elementi e dimensioni preesistenti, rispetto a cui le nuove tecnologie si presentano come una nuova modalità di espressione e non certo come il loro definitivo venir meno.

  D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82.   Art. 20 comma 1-bis del D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82. L’intero art. 20 è rubricato con la dicitura Validità ed efficacia probatoria dei documenti informatici. Il concetto di “forma scritta”, che compare nel comma citato, non vi figura con un senso generico, bensì con uno specifico significato di derivazione giuridica. Il nostro ordinamento prescrive, infatti, che gli atti giuridici con cui si cristallizzano le relazioni tra individui, per poter essere produttivi di effetti sulla stessa realtà sociale, debbano esteriorizzarsi. Lo stesso ordinamento prevede, a seconda delle tipologie di atti giuridici, diverse forme d’esteriorizzazione: quella orale, quella legata a un comportamento concludente (detta anche forma gestuale o simbolica) e infine la forma scritta, a seguito della quale si materializza il documento. Il comma 1-bis dell’art. 20 stabilisce, per l’appunto, che quando si debba ricorrere alla forma scritta, per esteriorizzare un atto giuridico, il ricorso alle nuove tecnologie del digitale sia assolutamente legittimo, in un rapporto di piena equivalenza con le pregresse tecniche analogiche. 26 27

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UMANESIMO DIGITALE

Bibliografia AgID, Linee guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti digitali, maggio 2021, www.agid.gov.it/sites/default/files/repository_files/linee_guida_sul_documento_informatico.pdf. _, Linee guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti digitali, Glossario dei termini e degli acronimi, maggio 2021, www.agid.gov.it/sites/ default/files/repository_files/allegato_1_glossario_dei_termini_e_degli_acronimi.pdf. Alfier, Alessandro, Il sistema di documentazione digitale, Milano, Editrice Bibliografica, 2020. Carnelutti, Francesco, La figura giuridica del Notaro, «Rivista del notariato», 5 (1951). Carucci, Paola - Guercio, Maria, Manuale di archivistica, Roma, Carocci, 2009. Ciandrini, Paola, Records Management. ISO 15489: progettare sistemi documentali, Milano, Editrice Bibliografica, 2020. Costamagna, Giorgio, I concetti di autenticità e di originalità nella documentazione della Cancelleria genovese nel Medioevo, in Landesherrliche Kanzleien im Spätmittelalter, Referate zum VI Internationalen Kongress für Diplomatik (München, 1983), a cura di Gabriel Silagi, II, München, Arbeo-Gesellschaft, 1984, p. 485-504. Duranti, Luciana, Diplomatics: New Uses for an Old Science. Part I, «Archivaria», 28 (1989), p. 7-27. Ferraris, Maurizio, Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce, Roma-Bari, Laterza, 2010 Ghignoli, Antonella, Diplomatica, in Biblioteconomia. Guida classificata, a cura di Stefano Gambari, Milano, Editrice Bibliografica, 2007, p. 908-914. Head, Randolph Conrad, Documents, archives, and proof around 1700, «The Historical Journal», 56 (2013), 4, p. 909-930. Kuhn, Thomas Samuel, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi, 1976. Lodolini, Elio, Lineamenti di storia dell’archivistica italiana. Dalle origini alla metà del secolo XX, Roma, Carocci, 1998. Michetti, Giovanni, Introduzione alla blockchain. Una guida per archivisti, Napoli, Editoriale scientifica, 2020. Nicolaj, Giovanna, Ragioni e propositi della traduzione, in Manuale di diplomatica per la Germania e l’Italia, di Harry Bresslau, tradotto dal tedesco all’italiano da Anna Maria Voci-Roth, I, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1998, p. IX-XI. _, “Originale, authenticum, publicum”. Una sciarada per il documento diplomatico, in Charters, Cartularies, and Archives. The Preservations and Transmission of Documents in the Medieval West. Proceedings of a Colloquium of the Commission internationale de diplomatique (Princeton and New York, 16-18 Sep-

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La natura poco indulgente del digitale e il rapporto con le discipline umanistiche

tember 1999), a cura di Adam J. Kosto e Anders Winroth, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 2002, p. 8-21. _, Lezioni di diplomatica generale. I: istituzioni, Roma, Bulzoni, 2007. Santoni, Francesca, Prefazione, in Alessandro Alfier, Il sistema di documentazione digitale, Milano, Editrice Bibliografica, 2020, p. 11-27. Valacchi, Federico, La memoria dell’acqua, in Dimensioni archivistiche. Una piramide rovesciata, a cura di Lorenzo Pezzica e Federico Valacchi, Milano, Editrice Bibliografica, 2021, p. 173-186.

DOI 10.53134/9788893574365-71

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CINGHIE DI TRASMISSIONE

8.  ECONOMIA DELL’ESPERIENZA E SOCIALIZZAZIONE DELLE RISOLUZIONI Paola Ciandrini

8.1  Imparare, progettare e condividere Il design è alla base dell’economia dell’esperienza. Il co-design è la socializzazione della risoluzione dei problemi. Luciano Floridi1 Design è un termine equilibrista tra i concetti di progetto e realizzazione: rappresenta un anello di congiunzione tra utenti con problemi da risolvere, progettisti con soluzioni da offrire ed esecutori capaci di costruire. L’esperienza, chiave di accesso al design inclusivo, è un processo interattivo: chi ne fruisce è parte attiva della sua strutturazione; in tal senso, economia dell’esperienza significa pensare e operare in gruppo per ottenere utensili – non necessariamente tangibili, ma necessariamente utili – in grado di far collimare le aspettative di qualità di chi dichiara un bisogno con la percezione di qualità del prodotto o del servizio concretamente fruito. Il leitmotiv di questa sezione di Umanesimo digitale è il principio di socializzazione della risoluzione. Il digitale facilita e sostiene la progettazione di gruppo, in cui i partecipanti contribuiscono, in modo creativo e aperto, a sviluppare soluzioni nuove o migliori individuando problemi, vincoli, opportunità e fini, coinvolgendo gli utenti finali, spesso con supporti di tipo digitale, e in modo reticolare, superando le barriere dell’organigramma o della struttura aziendale. […] non basta l’intelligenza, ci vuole anche buona volontà, spirito di collaborazione e regole per la governance. In altre parole, ci vuole anche un’etica del digitale e un impegno sociale […] perché il singolo sforzo, da solo, è inutile.2

  Tesi n. 95 e n. 96 espresse da Luciano Floridi, filosofo, direttore del Digital Ethics Lab e membro del Data Etiches Group dell’Alan Turing Institute, nel contributo Idee politiche per una società, in Il verde e il blu. Idee ingenue per migliorare la politica, Milano, Raffaello Cortina, 2020, p. 252-253. 2   Luciano Floridi, Il verde e il blu, cit., p. 253. 1

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UMANESIMO DIGITALE

Bruno Munari3 offre un sagace resoconto della scomodità percepita nell’uso di una poltrona:4 con un racconto per immagini rappresenta quanto una poltrona possa diventare scomoda rispetto alla percezione dell’utente, alle sue aspettative e alle modalità d’uso. Software nati nel primo scorcio degli anni Duemila come strumenti per la descrizione archivistica o software per la gestione documentale possono risultare, nel corso del tempo, poco ergonomici, rigidi, scarsamente performanti. Per questo ci è utile conoscere struttura, componenti, funzionamento, tenore delle manutenzioni e assistenza: è grazie a questa consapevolezza che possiamo scegliere soluzioni rispetto al design che reputiamo più qualitativo, cioè le tecniche più funzionali e confortevoli per i nostri bisogni, incentivare e progettare nuovi strumenti oppure individuare guasti e scegliere quando – e quanto – una sostituzione è più conveniente di una riparazione.

Figura 1. Ricerca di comodità in una poltrona scomoda, studio e fotografie di Bruno Munari

Sempre Munari, in Fantasia,5 descrive un esperimento condotto negli anni Settanta in cui è chiesto di descrivere il corpo umano con un disegno corredato da spiegazioni a un gruppo di seicento bambini delle scuole primarie, dai cinque ai tredici anni (Figura 2). Trasliamo l’esperimento nell’ambito del nostro interesse: è forse capacità diffusa produrre un disegno entità-relazioni di un software per la descrizione archivistica, ma è certo meno ampia l’abilità di creare un disegno descrittivo degli strumenti per la gestione documentale o per la conservazione digitale. Convalidano questa deduzione, per esempio, alcune delle risposte a un

  Bruno Munari (Milano, 1907-1998), designer, scultore e scrittore; insignito per tre volte del premio Compasso d’oro, è considerato fra i massimi protagonisti dell’arte, del design e della grafica del XX secolo. 4   La serie di fotografie è intitolata Ricerca di comodità in una poltrona scomoda; si veda Bruno Munari, Uno torna a casa stanco per aver lavorato tutto il giorno e trova una poltrona scomoda, «Domus» (1944), 202, p. 374-375 e Fantasia, Roma-Bari, Laterza, 2017, p. 26-27 (risale al 1977 la denominazione degli scatti, nella prima edizione di Fantasia). 5   Bruno Munari, Fantasia, cit., p. 30-32. Esperimento condotto da un gruppo di psicologici dell’Università di Ginevra e da insegnanti italiani e svizzeri. Bruno Munari non cita anno e responsabilità scientifiche, si limita a indicare Archives de Psychologie, Ginevra, Alberto Munari, Giusi Filippini, Mauro Regazzoni e Anne-Sylvie Visseur. 3

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Economia dell’esperienza e socializzazione delle risoluzioni

sondaggio effettuato nel 2019 in tema di fascicolazione e metadati6 (Tabella 1); osservazioni, per alcuni versi, molto vicine all’essenza naïf dei disegni fanciulleschi dell’esperimento commentato da Fantasia: «non conosco i metadati utilizzati per la fascicolazione», frase di un anonimo compilatore del questionario, fa eco al «io non so cosa c’è nel corpo umano». Con l’auspicio di contribuire alla socializzazione di alcune risoluzioni, l’intera sezione Cinghie di trasmissione illustra esperienze della quotidianità lavorativa, proponendo strumenti contro la solitudine dell’archivista e del records manager, parafrasando il “paradosso della ricerca” espresso da Benedetta Barbisan e citato nel precedente contributo di Alessandro Alfier.

Figura 2. Disegni di bambini, interno del corpo: esperimento descritto in Fantasia di Bruno Munari.

  Questionario Cantieri digitali della PA – Fascicolazione realizzato da Ibridamente nell’ambito dei lavori del gruppo fascicolazione entro il progetto Cantiere Documenti digitali 2019: il sondaggio ha raccolto 92 partecipazioni dal 25 settembre al 25 novembre 2019; per approfondire i risultati si veda Paola Ciandrini, Le prassi di fascicolazione: i risultati del questionario 2019, in Cantiere Documenti digitali Report 2019, a cura di Maria Guercio, Roma, Edizioni Forum PA, 2020, p. 8-27. 6

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UMANESIMO DIGITALE

QUESTIONARIO CANTIERE DOCUMENTI DIGITALI QUESITO “INDICARE I METADATI USATI DALL’ENTE IN AMBITO FASCICOLAZIONE” Tipologia Ente

Risposta

Archivio di Stato

Metadati minimi

Ente territoriale

Non conosco i metadati utilizzati per la fascicolazione

Ente territoriale

Sono previsti tutti i metadati obbligatori del Manuale di gestione

Ente territoriale

Oggetto, descrizione, UO competente, titolario, anno creazione, stato

Ministero

Titolo, numero identificativo e indice di classificazione

Museo

Metadati minimi

Soprintendenza

Non abbiamo accesso a queste informazioni sul SW

Università

Metadati minimi, classificazione, UOR

Tabella 1. Questionario Cantieri digitali della PA – Cantiere Documenti digitali 2019, sondaggio sulle prassi di Fascicolazione curato da Ibridamente: selezione di risposte al quesito “Indicare i metadati usati dall’Ente in ambito fascicolazione”

Il tempo è denaro, scriveva Benjamin Franklin nella Lettera a un giovane imprenditore,7 non far perdere tempo all’utente, sosteneva Ranganathan: indipendentemente dal punto di vista, il tempo è fra i nostri beni più preziosi e come tale è un elemento primario nella progettualità. Avere una cassetta degli attrezzi fornita di utensili adeguati ai nostri bisogni, conoscerne le istruzioni e possederne dimestichezza d’uso sono condizioni che ci aiutano a investire al meglio il tempo per realizzare o aggiustare qualcosa. Partiamo da un presupposto: un oggetto sociale è qualcosa che esiste perché prodotto da qualcuno e riconosciuto da altri.8 E per questo, nel corso di tutto il tempo necessario, enti pubblici e imprese si impegnano quotidianamente a formare, gestire e conservare oggetti sociali fidati in contesti digitali o in transizione digitale. Obiettivo sans papier, senza carta, ma non sans papiers, senza diritti: «[…] sans papiers non significa soltanto “senza documenti e senza diritti”. Al singolare indica anche un’altra circostanza, non meno rilevante dal punto di vista teorico anche se meno tragica, e cioè “senza carta”: da pochi anni, le registrazioni non avvengono più, esclusivamente o essenzialmente, su carta».9

7   Advice to a young Tradesman, written by an old One, lettera di Benjamin Franklin (Boston, 1706 - Filadelfia, 1790; statista, fisico e scrittore statunitense) del 17 luglio 1748, founders.archives.gov/ documents/Franklin/01-03-02-0130. 8   Facendo eco alla teoria della documentalità del filosofo Maurizio Ferraris (Maurizio Ferraris, Documentalità. Perché è importante lasciare tracce, Roma-Bari, Laterza, 2009), qui richiamo e approfondisco quanto ho trattato nel volume Records Management, cit. 9   Maurizio Ferraris, Siamo tutti sans papier, «IlSole24ORE», 22 aprile 2007; sul tema, segnalo anche Sans papier. Ontologia dell’attualità, Roma, Castelvecchi, 2007.

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Economia dell’esperienza e socializzazione delle risoluzioni

Con l’auspicio di produrre risultati di qualità, le realtà pubbliche e private che spesso usano lo stesso approccio nel design di soluzioni, altrettanto frequentemente applicano metodi e tecniche diverse.10 Nelle pagine che seguono illustro due utensili elaborati da Ibridamente, una cartina di tornasole per il benessere documentale degli archivi in formazione e una matrice per la formulazione di perizie dedicate agli archivi storici. Altri utensili, esperienze e proposte di risoluzione seguono nei capitoli a firma di Cecilia Tamagnini e Francesco Del Castillo.

8.2  Una cartina di tornasole per il benessere documentale Come da tuo desiderio, scrivo i seguenti suggerimenti, che mi sono stati utili e potrebbero, se osservati, esserlo anche per te. Benjamin Franklin11 Omne quod recipitur in aliquo, recipitur in eo per modum recipientis,12 ciò che è ricevuto da un soggetto, è ricevuto secondo la capacità del ricevente, sosteneva la filosofia scolastica: in un contesto di managerialità degli archivi in formazione potremmo affermare che ciò che è prodotto o ricevuto da un soggetto è registrato, gestito e conservato secondo le capacità del soggetto che opera la sua registrazione e che si occupa della sua gestione nel corso del tempo. Come possiamo valutare la qualità di queste azioni? E come possono valutarne la qualità i responsabili e gli operatori che presiedono a queste azioni e che, come può capitare, sono scevri da formazione archivistica? La cartina di tornasole elaborata da Ibridamente è una proposta di utensile per questo fabbisogno, uno strumento che è stato applicato in contesti pubblici e privati per stimare la “bontà” degli oggetti sociali-evidenze documentali:13 testandone il tasso di fides. Prima di addentrarci negli ingranaggi

  Per chi fosse interessato a un approfondimento su due casi studio, rimando a un articolo del 2020 in tema di records management e transizione digitale in cui illustro i due approcci paritetici di Politecnico di Milano e Comune di Rivoli, a cui corrispondono declinazioni di metodi e tecniche differenti (Paola Ciandrini, “Muta d’accento e di pensier”: buone pratiche di design documentale, «Archivi» XV (2020), 2, p. 123-140). 11   Traduzione di un passo della lettera di Benjamin Franklin (Boston, 1706 - Filadelfia, 1790; statista, fisico e scrittore statunitense) intitolata Advice to a young Tradesman, written by an old One, 17 luglio 1748, founders.archives.gov/documents/Franklin/01-03-02-0130. 12   Tommaso D’Aquino, in Summa Theologiae, 1a, q. 75, a. 5; 3a, q. 5. 13   Il termine evidenza richiama il lemma evidence del glossario di ISO 15489-1:2016 Information and documentation - Records Management - Concept and Principles: il termine – che richiama anche il capitolo 3.1.5 di ISO 30300:2011 Information and documentation - Management System for Records - Foundamentals and Vocabulary – sostituisce document (informazione o oggetto registrato trattabile come unità, nella versione 2001 dello standard) ed è definito come documentation of transaction. 10

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UMANESIMO DIGITALE

dell’utensile, dipaniamo le ambiguità su tre definizioni: procedura, processo e procedimento. Il processo è l’insieme delle risorse e dei comportamenti tesi alla realizzazione di una particolare procedura, che consiste nell’insieme delle attività, sequenziali e condivise, descritte sotto forma di regole o di prassi per raggiungere un risultato. Tanto la procedura è neutra rispetto a persone e strumenti, tanto il processo subisce modifiche in funzione di variabili ambientali. Un esempio: la procedura per la selezione del personale stabilisce le regole generali (per la partecipazione al concorso pubblico, la valutazione dei candidati, la pubblicazione della graduatoria finale), spetta invece al processo individuare gli agenti, gli strumenti e le modalità per raggiungere il risultato finale nel rispetto della procedura, ovvero la selezione del candidato vincitore. Se procedure e processi sono attuati tanto in ambito pubblico quanto in contesti privati, il procedimento amministrativo è peculiare della sfera pubblica ed è normato: è obbligatorio stabilire i tempi previsti per la conclusione di un procedimento amministrativo, nonché definire l’attribuzione degli adempimenti organizzativi e soggettivi. Il procedimento amministrativo si configura come una pluralità di atti, tra loro autonomi e scanditi nel tempo, destinati all’emanazione di un provvedimento finale: il procedimento svela il modo in cui una pubblica amministrazione agisce e persegue il pubblico interesse, esercitandole funzioni e i poteri che le sono ufficialmente attribuiti. […] La descrizione di processi e procedimenti amministrativi è il requisito basilare per il buon governo documentale: mapparli e rappresentazioni, anche attraverso rappresentazioni grafiche, supporta ogni azione di monitoraggio ed è fondamentale in fase di progettazione o reingegnerizzazione.14

Se il procedimento amministrativo propriamente detto è tipico della sfera pubblica, anche nel contesto privato esiste la necessità di testimoniare la catena di oggetti sociali generata dalle azioni relative ai processi. È proprio in questo contesto che la cartina di tornasole supporta la rappresentazione dello stato dell’arte, evidenziando il tasso di acidità-criticità della gestione documentale: configurata come una matrice, misura i requisiti di fides degli oggetti sociali di interesse, indagandone gli aspetti generali e particolari. A livello generale lo strumento considera cinque elementi: • forma (F), apparenza esterna, configurazione, struttura e formato dell’oggetto, requisiti distinti da significato e contenuto; • affidabilità/reliability (AF), la capacità dell’oggetto di rappresentare i fatti cui si riferisce al momento della sua creazione (un oggetto è affidabile se il soggetto che lo produce è affidabile e identificabile nel suo ruolo);

  Paola Ciandrini, Processi e procedimenti, in Stefano Pigliapoco, Gestione documentale, Lucca, Civita editoriale, 2020, p. 149-150.

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Economia dell’esperienza e socializzazione delle risoluzioni

• autenticità/authenticity (AU), un oggetto è autentico se assicura integrità di forma e contenuti e se attesta con credibilità il soggetto che lo produce e ne è responsabile; • accessibilità/usability (AC),15 l’oggetto deve essere reperibile, usabile e riconoscibile per tutto il tempo considerato necessario dalle norme di interesse, esterne e interne all’organizzazione che lo produce, lo riceve o lo custodisce; • integrità/integrity (IN), la certezza di conservare l’oggetto nel corso di tutto il tempo necessario, senza contraffazioni, manipolazioni, modifiche o integrazioni non autorizzate. Il lessico utilizzato in queste definizioni non è prettamente archivistico, come è evidente, ma risulta intuitivo e immediato a un’ampia comunità di riferimento: anche questa è una scelta consapevole di design, per favorire una condivisa percezione della qualità. Per esempio, la scelta di usare il termine “oggetto” – e non “documento” o “evidenza documentale” – ha una precisa motivazione: non solo richiama la teoria della documentalità di Ferraris, ma agisce da “cavallo di troia”, espressione che non vuole evocare alcun intento bellicoso, né associare alla categoria professionale e accademica di archivisti e record manger il noto timeo Danaos atque dona referentes.16 Appartenendo al linguaggio comune, il termine “oggetto” non crea ex ante frizioni fra le differenti identità di chi partecipa alle analisi e di chi è coinvolto, con ruoli diversi, nel design documentale e nella realizzazione: “oggetto” crea un sentire comune, base per un progetto partecipativo. Permettetemi un inciso: archivisti e records manager sono spesso percepiti come specialisti depositari di un lessico di nicchia, non facilmente codificabile dagli interlocutori, per questo motivo uno degli obiettivi della cartina di tornasole è fornire un registro di codifica e decodifica delle azioni rilevanti da perseguire per un archivio in formazione di sana e robusta costituzione, superando delle possibili barriere linguistiche, rispettando la disciplina archivistica e incentivando la reciproca comprensione. In tal senso, pur richiamando norme tecniche di settore – in primis ISO 15489 – l’utensile usa un registro linguistico smussato, il più possibile universale e facilmente comprensibile: la matrice, infatti, è stata elaborata per essere sfruttata non solo da specialisti abituati a un preciso lessico, ma anche – e soprattutto – dalle organizzazione che vogliono intraprendere o desiderano avviare un percorso di efficienza ed ergonomia funzionale e formale dedicato all’archivio in formazione, viaggio in cui operano responsabili e addetti con le più varie formazioni. Da un lato, la cartina di tornasole ha istruzioni ed etichette mediate da un linguaggio super partes, indipendente dal background di chi lo recepisce e lo

  Lo studio ha assorbito in un unico requisito – accessibility/usability – i concetti di accessibilità e usabilità di ISO 15489. 16   Espressione che Virgilio fa pronunciare a Laocoonte quando vuol dissuadere i Troiani dall’accogliere nella città il cavallo di legno lasciato dai Greci (Eneide, II, 49): la locuzione è entrata nell’uso comune, in senso anche ironico, per esprimere diffidenza verso chi offre qualcosa. 15

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UMANESIMO DIGITALE

applica, dall’altro rende evidente l’importanza di specialisti nel gruppo di lavoro: può essere applicata anche senza l’intervento di specialisti, ma se uno specialista – archivista e records manager – ne coadiuva l’uso, la sua applicazione genera benefici sull’impianto progettuale di un percorso di transizione digitale e sull’economia del tempo.

Figura 3. Cartina di tornasole: requisiti generali (bande orizzontali grige) e requisiti particolari (colonne)

Affrontati i requisiti generali (forma-F, affidabilità-AF, autenticità-AU, accessibilità-AC, integrità-IN), analizziamo nel dettaglio i requisiti particolari della cartina di tornasole.

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CATEGORIA

Macro categoria del tipo di oggetto (per esempio: contratti, decreti, delibere, verbali ecc.). Relazione con requisiti generali: F – AF – AU

RIF. ID

Riferimento al procedimento, attività o affare in cui è incardinato l’oggetto; se è disponibile una ricognizione (per esempio l’elenco dei procedimenti elaborato ai fini della trasparenza amministrativa) è utile sfruttare il codice o la nomenclatura assegnati nell’elenco formale dei procedimenti per richiamare il contesto in cui è incardinato l’oggetto. Relazione con requisiti generali: F – AF – AU

NOME

Denominazione specifica del tipo di oggetto (per esempio: contratto in forma pubblica amministrativa, convenzione quadro, decreto dirigenziale, verbale del consiglio di amministrazione, delibera del consiglio di amministrazione ecc.). Relazione con requisiti generali: F – AF – AU

OBJ

Individua il tipo di oggetto (per esempio: D = documento; Rg = registro; Rp = repertorio; UA = unità archivistica o fascicolo; T=transazione; ecc.). Relazione con requisiti generali: F – AF – AU – AC – IN

Economia dell’esperienza e socializzazione delle risoluzioni

La sigla indica un oggetto (obj) nativo digitale (nd); il requisito serve per rilevare gli oggetti nativi digitali entro la “categoria” di riferimento: – se obj = nd => valore = Sì – se obj ≠ nd => valore = No – se obj = nd oppure obj≠nd => valore = Ibrido.

OBJ-ND

AMBITO

Il valore Ibrido esprime una situazione mista, in funzione di prassi differenti nei perimetri di osservazione (per esempio diverse unità organizzative entro la medesima area organizzativa omogenea) o di alternanza fra percorsi cartacei e digitali entro lo stesso perimetro e per i quali l’organizzazione non esprimere preferenze od obblighi. Relazione con requisiti generali: F – AF – AU – AC – IN Segnalazione dei software, delle applicazioni e/o degli ambienti che concorrono alla formazione e alla gestione dell’oggetto. Classificazione formale dell’oggetto: indica l’applicazione di una tassonomia formale o di un piano di classificazione; il requisito non si focalizza sul codice di classificazione o tassonomia, ma sull’azione di classificazione: – se ∃ ed è applicata => valore = Sì – se ∄ o non è applicata => valore = No.

CLASSIFICAZIONE

FIRMA

Se è presente un sistema di protocollo, il requisito rileva se l’oggetto è gestito da un repertorio integrato nel sistema di protocollo (R) oppure se gestito da registrazioni generiche (P). Se l’oggetto appartiene a un repertorio non integrato nel sistema di protocollo o se non è presente un piano di classificazione, la matrice considera l’oggetto come appartenente a una serie particolare (SP). Questa porzione di matrice ha una struttura a matrioska che, se esplosa, puntualizza alcuni concetti chiave: – P, registrazione di protocollo – dalla registrazione nel sistema protocollo dovrebbero derivare metadati relativi a indice di classificazione, oggetto, numero e descrizione allegati, corrispondente (mittente, destinatario, contraente), RPA, data e numero di registrazione; – R, repertoriazione – analogamente a P, dovrebbe possedere metadati specifici; inoltre ogni repertorio integrato nel sistema di protocollo dovrebbe possedere un codice identificativo; – SP, registrazione in una serie particolare – individua, quando esistente, un’aggregazione di classi di oggetti; una classe di oggetti è un insieme coerente di oggetti per forma e dispositivo, non contenuto, registrati in un collettore differente dal sistema di protocollo. Relazione con requisiti generali: AF – AU Segnala la necessità di firmare l’oggetto; distingue le differenti possibilità di firma: – se obj è cartaceo => firma = A (autografa) – se obj non è cartaceo => firma = E (elettronica, semplice o avanzata) oppure => firma = D (elettronica qualificata o digitale). Per comprendere la distinzione tra questi ultimi due valori è necessario riferirsi a eIDAS e CAD. Relazione con requisiti generali: AF – AU

MARCA

Segnala la presenza di una validazione temporale elettronica applicata all’oggetto. Per comprendere il significato è necessario riferirsi a eIDAS e CAD. Attenzione: la segnatura di protocollo, ai sensi della legislazione vigente, ha gli stessi effetti della validazione temporale elettronica. Relazione con requisiti generali: AF – IN

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UMANESIMO DIGITALE

Fotografa la presenza o l’assenza di strategie, formali e condivise, per la custodia a medio e lungo termine dell’oggetto: – se ∄ o non è applicato => valore = No – se ∃ => valore = Sì.

CONSERVAZIONE

Da questa seconda condizione, deriva un altro approfondimento: indicando con PCC un piano di conservazione certificato (ovvero un piano di conservazione digitale per gli oggetti interessati, piano dimostrato da contratti in essere per accordi di versamento a un sistema di conservazione) otteniamo i seguenti valori: – se ∃ PCC => valore = Sì – se ∄ PCC => valore = No. Relazione con requisiti generali: AF – AC – IN Nel caso di oggetti registrati nel sistema di gestione documentale o nel sistema di protocollo informatico, il requisito indica come l’oggetto è veicolato al destinatario: – se è usato canale PEC => valore = PEC – se è usato altro canale => valore = T/C.

TRASMISSIONE

Un esempio relativo al secondo scenario: l’oggetto prima è registrato in P o R e poi trasmesso per posta elettronica semplice o con vettore cartaceo, quindi esternamente al sistema di protocollo: è opportuno che in questi casi tutti gli oggetti sottoposti a registrazione nel sistema di protocollo rendano evidenti alcuni metadati (in particolare data e numero di protocollo, titolo e classe, indicazione del fascicolo, responsabile). La sigla T/C esprime proprio due di queste caratteristiche: titolo e classe, le definizioni più diffuse dei gradi divisionali di uno schema di classificazione organizzato in due livelli, definizioni che corrispondono a un preciso metadato, l’indice di classificazione. Relazione con requisiti generali: AF – AU

Osserviamo ora un caso di applicazione in un contesto privato, il progetto FastWave17 entro la sede milanese di Fastweb e in particolare l’unità organizzativa denominata Team HR.

  Il progetto, inserito nel Team HC di Fastweb, ed è stato avviato a marzo 2019 e ha generato una convenzione con l’Università di Macerata, a scopi formativi e di ricerca; si ringrazia il Team HC di Fastweb, in particolare Giuseppe Piacentini, responsabile della struttura sino al 2020, e Monica Poma, coordinatrice sino al 2020. 17

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Economia dell’esperienza e socializzazione delle risoluzioni

Figura 4. Progetto FastWave – Esempio di applicazione della matrice per alcune categorie di oggetti dell’unità organizzativa Team HR di Fastweb: stato dell’arte all’avvio del progetto e risoluzioni adottate nel primo semestre (matrice semplificata, con omissione di alcune colonne)

Dallo schema appaiono alcuni risultati del percorso di coscienza archivistica, per esempio testimoniati sia dalla consapevolezza che porta a distinguere gli “oggetti item” dagli “oggetti complessi” – alla categoria “contratti” appartengono infatti sia item (oggetto = singolo contratto) sia oggetti complessi (oggetto = repertorio contratti) – sia dalla cognizione dei differenti tipi di firma elettroniche e del loro opportuno uso. L’applicazione della matrice aiuta sia l’individuazione dei requisiti necessari per produrre, gestire e conservare oggetti fidati, sia la definizione di regole e raccomandazioni per contrastare entropia e anarchia documentale. Ricorrere alla cartina di tornasole, infatti, fa emergere l’opportunità di formalizzare regole, raccomandazioni e requisiti. Regole - Istruzioni generali obbligatorie, da applicare a una o più categorie di oggetti a cura di determinati attori (per esempio coloro che ricevono o predispongono “oggetti” e che si occupano della loro registrazione): le regole possono essere definite come l’insieme degli obblighi da rispettare per la formazione di oggetti sociali, quali documenti informatici, DAI (documenti amministrativi informatici) e ADI (aggregazioni documentali informatiche, entro cui ricadono fascicoli e serie). Raccomandazioni - Istruzioni con cui l’organizzazione invita tutti gli agenti coinvolti – unità organizzative responsabili, responsabili di procedimento, firmatari e operatori di processo – a seguire un determinato comportamento; le raccomandazioni illustrano quali processi e quali formati sono opportuni per la formazione, la gestione e la conservazione di oggetti sociali detentori di fides, che gli standard ISO per il records managament indicano come authoritative records. Requisiti - Attributi dell’oggetto sociale, obbligatori in funzione delle regole generali e sostanziali per l’aderenza alle raccomandazioni.

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UMANESIMO DIGITALE

Tornando all’esempio FastWave, propongo una selezione di regole generali e di raccomandazioni elaborate dopo la prima applicazione della cartina di tornasole, formalizzate all’avvio del secondo semestre operativo, il periodo dedicato alle “correzioni” della precedente gestione documentale (o meglio alla formulazione di una politica e di linee guida per una efficace gestione documentale). Il testo che segue è un estratto della policy18 redatta nel 2019: Regole generali (Reg) Reg1 - Il documento informatico è formato mediante una delle seguenti modalità: • redazione tramite utilizzo di apposito strumento software; • acquisizione di un documento informatico per via telematica o su supporto informatico; • acquisizione della copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico; • acquisizione della copia informatica di un documento analogico; • registrazione informatica delle informazioni risultanti da transazioni o processi informatici o dalla presentazione telematica di dati attraverso moduli o formulari resi disponibili all’utente; • generazione o raggruppamento anche in via automatica di un insieme di dati o registrazioni provenienti da una o più basi dati, secondo una struttura logica predeterminata e memorizzata in forma statica. Reg 2 - Il documento informatico è formato mediante una delle modalità indicate dalla Reg1 ed è identificato e trattato nel sistema di gestione informatica dei documenti. Reg 3 - Ai fini della formazione, gestione e conservazione è necessario scegliere formati che possano garantire la leggibilità e la reperibilità del documento informatico nel suo ciclo di vita. La scelta dei formati dipende dalle caratteristiche proprie del formato e dei programmi che lo gestiscono. Le caratteristiche di cui tenere presente sono apertura, sicurezza, portabilità, funzionalità, supporto allo sviluppo, diffusione, integrità, usabilità, autenticità, autorevolezza, affidabilità. Raccomandazione generali (Rag) Rag 1 Formati e prodotti per la formazione e la gestione dei documenti - Elementi di valutazione sono il rispetto di formati non deprecati o deprecabili, l’efficienza in termini di occupazione di spazio fisico, la possibilità di gestire il maggior numero possibile di metadati, compresi i riferimenti a modifiche, aggiunte o interventi sul documento. Rag 2 Formati e prodotti per la conservazione - Si raccomanda una scelta rispetto alle caratteristiche di immodificabilità, integrità e usabilità. Ulteriore elemento nella scelta del formato è il tempo di conservazione

  In particolare, il riferimento è alla policy inserita nel primo stato di avanzamento attività, del maggio 2019 (il report comprende anche l’illustrazione del metodo, la bozza 1.1 del piano di classificazione, il censimento delle istanze che concorrono alla formazione del cosiddetto “archivio HR” del Team HC (fascicoli di persona e fascicoli procedimentali), e due appendici, rispettivamente dedicate a un breve atlante diplomatico e a note di diplomatica sul documento digitale). 18

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Economia dell’esperienza e socializzazione delle risoluzioni

previsto dalle norme vigenti e dalla policy interna. I formati consigliati sono […] Rag 3 Manuale di gestione - La società non è obbligata alla redazione di un manuale di gestione né all’adozione di un sistema di protocollo, ma reputa opportuno descrivere modalità e contesti applicativi che concorrono alla formazione e gestione dei documenti. In particolare: piano di classificazione, piano di fascicolazione, linee guida per la registrazione, linee guida per la selezione e lo scarto. Rag 4 Manuale di conservazione - La società non è obbligata alla redazione di un manuale di conservazione, ma reputa opportuno descrivere fasi e procedure con cui intende attuare il servizio di conservazione a norma dei documenti informatici prodotti e ricevuti.

La manutenzione documentale generata dall’utensile cui è dedicato questo capitolo ha prodotto ulteriori risultati nel caso FastWave: la società ha elaborato istruzioni operative19 per la gestione dell’archivio in formazione e, in particolare, per la serie dei fascicoli di persona di pertinenza del Team HR. La tabella successiva illustra, per quanto parzialmente, un’ulteriore implicazione dell’utensile:20 in un’ottica di managerialità dei record e di appraisal, ovvero azioni per la definizione del tempo di conservazione e le conseguenti attività di selezione e scarto, è stato realizzato il censimento dei processi e delle evidenze documentali dedicati alla gestione del personale. Lo strumento ha raccordato l’osservanza di buone pratiche di gestione documentale al rispetto del GDPR e alle indicazioni del gruppo multinazionale cui Fastweb appartiene. «Per la fase corrente sono necessarie attività di registrazione, classificazione, indicazione del grado riservatezza»21 recitano le linee guida prodotte dalla società: il cavallo di Troia è stato accolto nelle mura e ne è scaturita cultura, non una battaglia.

  Gestione documentale e archiviazione HC – Istruzione operativa IO.37, a cura di Administration HC FastWave e Ibridamente, elaborazione marzo 2019, applicazione luglio 2019. L’indicazione di riservatezza, da C1 a C4, fa riferimento a un’altra istruzione operativa elaborata nel corso della ricerca (IO.06 Linea guida Classificazione Informazioni). 20   I risultati sono vincolati a un accordo di riservatezza con l’azienda: le parti incluse nell’elaborato non subiscono vincolo perché concertate in sede progettuale come materiale utilizzabile per il resoconto del caso studio. Analoga condizione per gli altri casi studio. 21   Il grado di riservatezza è espresso da quattro gradi, dal livello C1 al livello più alto C4, come indicato dall’Istruzione operativa IO.06 Linee guida Classificazione Informazioni, distinguendo il trattamento fra documento principale ed eventuali allegati. 19

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UMANESIMO DIGITALE

TIPO FAMIGLIA PROVVEDIMENTO Aspettative e congedi

PROCEDIMENTO E ISTANZE

RISERVATEZZA Documento

Allegati

Agevolazioni per il diritto allo studio – Richiesta aspettativa per il conseguimento di diploma post lauream

C1

Agevolazioni per il diritto allo studio – Richiesta congedo non retribuito per formazione

C1

Congedo per gravi motivi familiari

C3

C4

Congedo per motivi di servizio all’estero del coniuge

C3

C4

Aspettativa per vincita concorso pubblico

C1

Aspettativa per cariche elettive

C1

Distacco o aspettativa sindacale

C1

C2/C3

Congedo ex art. 42 D.Lgs 151/2001

C3

C4

Congedo per gravi motivi familiari

C3

C4

Congedo per motivi di servizio all’estero del coniuge

C3

C4

Aspettativa per vincita concorso pubblico

C1

Aspettativa per cariche elettive

C1

Distacco o aspettativa sindacale

C1

C2/C3

Maternità – Richiesta congedo di maternità obbligatoria al settimo mese di gravidanza

C3

C4

Maternità – Richiesta di flessibilità del congedo di maternità (ottavo o nono mese di gravidanza)

C3

C4

Maternità – Richiesta congedo di maternità per affidamento

C3

C4

Maternità – Richiesta congedo di maternità per adozione

C3

C4

Maternità Congedo e malattia ambino

Maternità – Richiesta congedo parentale

C3

C4

Maternità – Richiesta permessi per malattia bambino

C3

C4

Paternità Congedo

Paternità – Richiesta di congedo di paternità

C3

C4

TFR

Richiesta di anticipo

C3

C4

Revoche

Richiesta di revoca di un provvedimento già emanato

C1

C2/C3

Assenze

Cessione ferie e festività soppresse per finalità solidali

C1

C2/C3

Maternità Astensione anticipata e congedo

Tabella 2. FastWave, estratto dell’istruzione operativa per la gestione documentale e l’archiviazione dedicata ai fascicoli di persona

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Economia dell’esperienza e socializzazione delle risoluzioni

8.3  Periziare e non perire Perizia è la dichiarazione che fanno attorno a una cosa certi uomini nei quali la legge presume una speciale cognizione. Carlo Cattaneo22 Facendo eco all’accostamento fra coltura e cultura affrontato nella sezione L’ingresso dell’officina,23 introduco il concetto di perizia con le parole attribuite a Marco Lastri24 nelle Lezioni d’agricoltura: Perché venga rettamente pronunziato il giudizio sopra la stima d’un fondo o altro oggetto, convien che sia preceduto dallo stabilimento di molti dati, coi quali mediante operazioni numeriche se ne forma un sol resultato che ne è la stima o la perizia.25

Gli specialisti che si cimentano in perizie con «lo stabilimento di molti dati» producono una relazione di stima, anche monetaria, basata su criteri misurabili e descrizioni il più possibile analitiche e parametriche. Anche il contesto archivistico opera così: circa vent’anni or sono, il progetto SIAS26 – il Sistema informativo per gli archivi di Stato – incentivò una massiva campagna di perizie27 archivistiche; a partire dal 2004, l’iniziativa elaborò valutazioni dei fondi conservati dagli archivi

  Carlo Cattaneo (Milano, 1801 - Lugano, 1869); la citazione è tratta da Scritti filosofici, a cura di Norberto Bobbio, in particolare Lezioni 2, volume 3, p. 382, Firenze, Le Monnier, 1960. 23   Si veda Recinti, identità e design: una chiave antropologica, p. XX. 24   Marco Lastri (Firenze, 1731 - 1811), ecclesiastico e letterato, membro di numerose accademie, fra cui Georgofili, Crusca e Accademia dell’Agricoltura di Padova; divulgò le teorie degli agronomi inglesi e francesi oltre alla cultura e pratica agronomica toscana nell’ambito della politica leopoldina tesa a sviluppare la proprietà terriera nell’ambito di un libero mercato Per approfondimenti segnalo: Archivio storico dell’Accademia dei Georgofili, b. 105.5 (anno 1774), Ideare un progetto di scuola dell’agricoltura e coerentemente un sistema di educazione per i ragazzi della campagna; Matteo Baragli, Dal podere alla piazza: famiglie, parrochi e agitazioni bianche nelle campagne toscane (1917-1921), Università di Firenze, Dottorato di ricerca in Studi storici per l’età moderna e contemporanea, ciclo XXXI, 2009. 25   Grande dizionario della lingua italiana, a cura di S. Battaglia, Torino, UTET, vol. XIII, voce Perizia, p. 49. La citazione richiama Marco Lastri, Corso di Agricoltura pratica ossia Ristampa dei Lunari pei contadini della Toscana ora ridotti a nuova forma corretti ed in parte accresciuti dal loro autore Accademico Georgofili, Firenze, presso Anton Giuseppe Pagani, e Comp., 1787. 26   Nel dettaglio, si veda Direzione generale archivi, SIAS Sistema informativo degli archivi di stato, www.archivi.beniculturali.it/index.php/archivi-nel-web/sias-sistema-informativo-degli-archivi-di-stato e ICAR, Sistema informativo degli Archivi di Stato – SIAS, www.icar.beniculturali.it/ index.php?id=91. 27   In questo paragrafo richiamo e approfondisco il capitolo Misurare e valutare in Paola Ciandrini, Archivi d’impresa. Gestione documentale e valorizzazione: il contesto digitale, Milano, Editrice Bibliografica, 2021, p. 64-68. 22

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UMANESIMO DIGITALE

di Stato – e di sola proprietà statale – parallelamente alla realizzazione di banche dati archivistiche, sia prodotte ex novo sia incorporando precedenti mezzi di ricerca. Il metodo adottato sfruttò una griglia di coefficienti, elaborata con il Ministero dell’economia e finanza28 nel 2002, che indicava un valore base per metro lineare pari a € 5.162,57, calibrato con indici di abbattimento e innalzamento a seconda di alcuni fattori: lo stato di conservazione e il condizionamento, il periodo storico, la completezza e l’organicità, le condizioni di rarità e pregio. A livello internazionale il solo parametro oggettivo per la valutazione economica degli archivi è lo sviluppo in metri lineari, come dichiarato dall’ICA, l’International Council on Archives: lo stesso ISAD – l’International standard for archival description, la prima norma dedicata alla descrizione archivistica e risalente nella sua prima versione al 1994 – individua fra gli elementi essenziali della descrizione archivistica la consistenza, espressa sia in metri lineari, sia in unità di conservazione. La comunità professionale ha espresso le difficoltà di questo metodo valutativo: fra le iniziative più recenti, segnalo i confronti che hanno preceduto la recente edizione romana dell’International Congress di ICA 2022.29 L’uso di uno schema parametrico impone, infatti, doverosi adattamenti e attente riflessioni metodologiche, sostanziali per le specificità dei singoli casi: per disegni, stampe, cartografia e materiali diversi – che rappresentano i nuclei più ricorrenti per gli archivi del prodotto d’impresa o degli studi di architettura, per esempio – la misurazione in metri lineari è impervia o impossibile, criticità indicata dallo stesso progetto SIAS. Per non parlare del contesto digitale. Il confronto con Soprintendenze ed esperti di settore è la chiave per redigere una perizia precisa, trasparente e con stime reali: diffidare dalle expertises prêt-à-porter prive di indicatori misurabili e avare di descrizioni. Ogni archivio è un unicum e come tale va considerato, stabilendo e dichiarando i criteri e le modalità di valutazione per rendere intellegibile e verificabile la stima, predisponendo un modello anche modificabile nel corso del tempo: la produzione di strumenti di ricerca, per esempio, rientra tra i fattori che incidono sulla stima del valore, così come l’effettiva consultazione dei fondi. Lo schema che segue mostra i cinque fattori di valutazione adottati da SIAS, con i rispettivi coefficienti di abbattimento e innalzamento.

 Allegato B Coefficienti di valutazione del patrimonio archivistico del Decreto del Ministero dell’Economia e delle finanze del 18 aprile 2002, in Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 34 del 30 gennaio 2003, p. 38-44; per ulteriori riferimenti si veda Manuale SIAS versione 3.0.2, a cura di Pierluigi Feliciati, ICAR, 2006, in particolare p. 118-123, www.icar.beniculturali.it/biblio/pdf/ lgSias/manualeSIAS3-02.pdf. 29   Mi riferisco, fra il resto, ai Digital Talks dell’iniziativa Waiting for ICA 2022, realizzati da SOS Archivi con la partecipazione della Direzione generale archivi e, in particolare, all’appuntamento Quanto vale un file? Il valore economico degli archivi, con i contributi di Sabrina Mingarelli (Direzione generale archivi), Debora Chiarelli (Sapienza Università di Roma), Fabio Giulio Grandis e Lucia Biondi (Università Roma Tre), Alessandra Federici (ISTAT), Chiara Faggiolani (Sapienza Università di Roma) e la moderazione di Giovanni Michetti (Sapienza Università di Roma), www. youtube.com/watch?v=Pt1WoB_qh0w. 28

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Economia dell’esperienza e socializzazione delle risoluzioni

A. Stato di conservazione e di completezza - Valutazione dello stato di conservazione fisica e della completezza del fondo o sua partizione. Attribuzione di un valore elaborato combinando il giudizio sulla conservazione e quello sulla completezza. COEFFICIENTI 0,1-2 pessimo

2,1-4 mediocre

4,1-6 discreto

6,1-8 buono

8,1-10 ottimo

B. Periodo storico - Valutazione del periodo storico del fondo o sua partizione. Attribuzione di un valore in considerazione degli estremi cronologici iniziali. COEFFICIENTI 0,1-2 sec. XX-XXI

2,1-4 sec. XVIII –XIX

4,1-6 sec. XVI-XVII

6,1-8 sec. XIII-XV

8,1-10 sec. VII-XII

C. Supporto e condizionamento - Valutazione del fondo o sua partizione in relazione a qualità e funzionalità delle scaffalature, delle unità di condizionamento e di tutti i fattori conservativi, comprese le condizioni e i parametri ambientali.30 Attribuzione di un valore elaborato combinando il giudizio sulle unità di condizionamento a quello ambientale. COEFFICIENTI 0,1-2 pessimo

2,1-4 mediocre

4,1-6 discreto

6,1-8 buono

8,1-10 ottimo

D. Rilevanza per la ricerca storica - Valutazione del fondo o sua partizione sulla base della frequenza di consultazione e della effettiva fruibilità, in relazione agli strumenti di ricerca disponibili. Somma dei valori attribuiti al giudizio su strumenti di ricerca e a quello sulla consultazione. COEFFICIENTI STRUMENTI RICERCA 0,1-1 nulla

1,1-2 elenco

2,1-3 inventario parziale

3,1-4 inventario sommario

4,1-5 inventario analitico

2,1-3 bassa

3,1-4 media

4,1-5 alta

COEFFICIENTI CONSULTAZIONE 0,1-1 nulla

1,1-2 sporadica

  Ai sensi dell’art. 29 del Codice dei beni culturali e del paesaggio rientrano fra i fattori della conservazione anche i locali, gli impianti, le armadiature e le scaffalature, i sistemi di condizionamento.

30

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UMANESIMO DIGITALE

E. Rarità e pregio - Valutazione del fondo o sua partizione sulla base della sua rilevanza. In mancanza di altri riferimenti, attribuzione di un valore che attesti la rilevanza su base geografica e sulla presenza e disponibilità pubblica di altre fonti equivalenti (copie, riproduzioni ecc.)31. COEFFICIENTI 5,1-6 locale

6,1-7 provinciale

7,1-8 regionale

8,1-9 nazionale

9,1-10 internazionale

Richiamando il metodo di valutazione applicato per il progetto SIAS, Ibridamente ha elaborato una matrice di valutazione considerando tre fattori aggiuntivi, dedicati alla misurazione del trattamento digitale: • la presenza di banche dati, anche “fagocitabili” da sistemi informativi archivistici su base nazionale o territoriale (per esempio, rispettivamente SIUSA – il Sistema informativo unificato delle Soprintendenze archivistiche32 – e Lombardiarchivi33); • la presenza di corpora digitali, associabili alle descrizioni (per esempio, la digitalizzazione di una serie pergamenacea o di registri oppure di una singola pergamena o di un registro o altro documento); • la consistenza delle digitalizzazioni, come percentuale dei corpora digitali rispetto alla consistenza del complesso archivistico. F. Banche dati - L’indicatore distingue fra uso di fogli elettronici – ancora oggi lo strumento più diffuso per azioni di descrizione e riordino di archivi, come rivela il report Archival Arrangement and Description. Global practices realizzato da ICA nel 202134 – e uso di software per le attività di descrizione, riordino e pubblicazione. Nell’ambito di questa seconda categoria, i coefficienti considerano l’ergonomia di colloquio fra software (che abbrevieremo in SDA, software per la descrizione archivistica) e sistemi informativi archivistici (che sintetizzeremo come SIA) e la loro capacità di esportazione/importazione dati (in logica XML, con l’uso di EAD35 ed EAC,36 oppure per finalità di stampa, attraverso la produzione di reportistica di supporto all’impaginazione, quindi maneggevole in termini di formattazione).

  La ricognizione SIAS consigliava l’uso di coefficienti nel range 5-10, escludendo i valori del range 0-5 in considerazione dell’unicità della documentazione archivistica. 32   SIUSA, siusa.archivi.beniculturali.it. 33   Lombardiarchivi, lombardiarchivi.servizirl.it. 34   ICA, Archival Arrangement and Description. Global practices 2021, www.ica.org/en/archival-arrangement-description-global-practices; sul tema segnalo le riflessioni affrontate in occasione del convegno La biblioteca piattaforma della conoscenza (Paola Ciandrini, Le nuove piattaforme per gli archivi, in La biblioteca piattaforma della conoscenza, atti del Convegno delle Stelline, Milano, 29-30 settembre 2021, p. 367-374, DOI: 10.53134/9788893573948-467). 35   EAD Encoded Archival Description, www.loc.gov/ead. 36   EAC (CPF) Encoded Archival Context for corporate bodies, persons and families, eac.staatsbibliothek-berlin.de. 31

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Economia dell’esperienza e socializzazione delle risoluzioni

COEFFICIENTI 0,1-2 fogli elettronici e assimilabili

2,1-4 SDA

scarsa

4,1-6 SDA in colloquio verificato con SIA

6,1-8 SDA in colloquio verificato con SIA comprensivi di tool di reportistica

QUALITÀ

8,1-10 SDA in colloquio verificato con SIA comprensivi di tool di reportistica e tool di esportazione (EAD-EAC, ecc.)

elevata

G. Qualità digitalizzazione - L’indicatore ha due componenti: un valore attribuito sulla base di coefficienti per esprimere la qualità dei file (formati e risoluzione) e un valore attribuito alla dimensione del trattamento archivistico (qualità archivistica); l’indice di qualità non è dedotto esclusivamente dalla generazione di file master ad alta definizione e in formati adeguati per la conservazione, ma è anche derivato dalla presenza di metadati con informazioni di raccordo alle descrizioni archivistiche oppure dalla gestione dei file interna a una banca dati archivistica. L’indicatore può considerare sia campagne di digitalizzazione programmate, cioè pianificate nel corso di progetti concertati anche su base pluriennale, sia azioni sporadiche, quali riproduzioni una tantum per singole ricerche, progetti editoriali oppure carotaggi digitali di gruppi di unità, indipendentemente dalla loro struttura di appartenenza nella gerarchia dell’archivio: per questa seconda categoria è fondamentale la relazione con una banca dati di descrizione oppure – in alternativa o aggiunta – la presenza di metadati di contestualizzazione (almeno segnatura e relazione con struttura di pertinenza del complesso archivistico). COEFFICIENTI PER QUALITÀ FILE (FORMATI E DEFINIZIONE) 0,1-1 file compressi

1,1-2 file compressi e/o file master

2,1-3 file master DPI≤300

3,1-4 file master 300≤DPI≤600

4,1-5 file master DPI≥600

3,1-4 file in SDA con possibilità di gestione metadazione oggetti digitali

4,1-5 file in SDA in colloquio verificato con SIA con possibilità di gestione metadazione oggetti digitali

COEFFICIENTI PER QUALITÀ ARCHIVISTICA 0,1-1 metadati complesso archivistico di pertinenza

scarsa

1,1-2 metadati complesso archivistico di pertinenza e segnatura

2,1-3 file in SDA

QUALITÀ

elevata

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UMANESIMO DIGITALE

H. Consistenza digitalizzazione - L’indicatore esprime in termini percentuali l’impatto della campagna di digitalizzazione rispetto alla consistenza del complesso archivistico considerato o di una sua struttura (per esempio una serie). Disporre di una banca dati archivistica con descrizione analitiche supporta l’indicazione della percentuale, perché fornisce dati obiettivi e ponderabili. COEFFICIENTI 0,1-2 N≤20%

scarsa

2,1-4 20%≤N≤40%

4.1-6 40%≤N≤60%

6,1-8 60%≤N≤80%

QUALITÀ

8,1-10 80%≤N≤100%

elevata

Secondo il metodo adottato nel progetto SIAS, che definiamo “perizia classica”, il valore di un complesso archivistico è ottenuto dalla somma dei coefficienti A, B, C, D ed E moltiplicati per i metri lineari, in funzione della base valoriale per metro lineare, espressa dal decreto MEF del 2002. La matrice elaborata da Ibridamente, che definiamo “perizia digitale”, aggiunge il totale dei coefficienti F, G e H moltiplicati per i metri lineari alla “perizia classica”. Il modello consente anche di valutare l’investimento effettuato per la produzione di banche dati e di corpora digitali, verificando la congruità dei costi sostenuti rispetto al risultato ottenuto.

Figura 5. Schema elementi perizia classica e perizia digitale: relazioni

DOI 10.53134/9788893574365-89

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9.  LE REGOLE DEGLI ALTRI E LE BUONE PRATICHE: UNA PROPOSTA DI LINEE GUIDA PER UNA POLICY SUI FORMATI DI CONSERVAZIONE Cecilia Tamagnini

9.1  Il perché di una policy per la conservazione: l’attenzione al nodo dei formati Non si deve cadere nell’errore di vedere e ridurre la conservazione dei documenti digitali come un lungo elenco di operazioni meccaniche e tecniche o di elementi contrapposti (informatici contro archivisti; analogico contro digitale; standard contro prassi; gestione economica e snellimento dei processi contro costi crescenti per la conservazione e la razionalizzazione); andrebbe piuttosto pensata e concepita fin da subito come occasione per creare sinergie e collaborazione tra diverse professionalità ed esperienze variegate con lo scopo di trasmettere non solo i caratteri di autenticità, ma anche di creare un insieme di regole condivise: il dialogo, in particolare, tra archivisti e informatici potrebbe portare alla redazione di policy, cioè di documenti «developed in the real world to support common behaviour and to ensure normalised practises».1 Le policy possono inoltre costituire un momento di verifica sull’applicazione degli standard legati alla gestione documentale,2 quanto essi, cioè, siano accolti, recepiti e adottati nella realtà dei fatti e delle esperienze: diventano strumento di auto protezione e di trasparenza per i conservatori digitali; inoltre nelle policy è possibile esplicitare le pratiche messe in atto per la conservazione, definire le responsabilità e i ruoli che ogni attore (soggetto produttore, soggetto conservatore, utente) assume, gli ambiti di azione e di svolgimento delle proprie competenze. Le policy hanno poi la funzione di descrivere nel concreto le infrastrutture dedicate alla conservazione, fornendo testimonianza dell’affidabilità dei depositi e delle scelte tecnologiche perseguite, nonché esplicitando quali standard si intendono seguire per le procedure adottate (decretandone quindi la sostenibilità nello specifico contesto descritto). Possono inoltre dare rilevanza ad aspetti documentari e tecnologici ritenuti cruciali, definendo un elenco di priorità che il soggetto conser-

  Aparsen, Exemplar Good Governance structures and Data Policies, 2013, p. 6, www.alliancepermanentaccess.org/wp-content/uploads/downloads/2014/06/APARSEN-REP-D35_1-01-1_0_ incURN.pdf. 2   Si fa particolare riferimento agli standard ISO 15489 Records Management e ISO 23081 Managing metadata for records. 1

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UMANESIMO DIGITALE

vatore dovrà tenere presente. In esse è possibile esplicitare quali attività vengono ritenute fondamentali, come, ad esempio, le tecniche di migrazione, la descrizione dei contesti, la metadatazione, e in quale momento del processo di formazione, gestione e conservazione devono attuarsi. Ultimo aspetto delle policy, non meno importante, è che costituiscono terreno fertile per altri documenti analoghi, che possono trarre ispirazione da quanto già formalizzato, favorirne l’evoluzione e renderlo disponibile anche in altra forma per altri contesti. Se rivolgiamo l’attenzione al problema specifico dei formati nell’ambito della conservazione digitale, emergono alcuni punti da sottolineare perché potenzialmente critici: • i formati non sono unici: si riuniscono in famiglie costituite da più versioni dello stesso formato, pur mantenendo la medesima estensione (il file della tesi di laurea di molti scritta alcuni anni fa con Microsoft Word non è più apribile con l’attuale versione del software, anche se è contenuta in file .doc); • ogni tipo di oggetto digitale (testi, messaggi, audio, immagini, video ecc.) ha formati specifici; • lo stesso tipo di oggetto digitale può essere creato da comunità di riferimento diverse, acquisendo quindi valore diverso in sede di conservazione; • l’utente medio che crea documenti nella propria quotidianità non presta attenzione alla capacità del formato di essere utilizzabile nel lungo periodo;3 • i documenti per essere conservati sono oggetto di operazioni diverse, come la migrazione, e, quindi, sottoposti a interventi che ne modificano inevitabilmente alcune caratteristiche e alcuni elementi: le modificazioni accettabili sono diverse a seconda del documento e della comunità di riferimento; • l’esperienza relativa ai formati è probabilmente ancora troppo breve e ancora non significativa per valutare i risultati della scelta di un formato per la conservazione di lungo periodo; • i formati standard, cioè ISO, sono ancora pochi; • i sistemi di memorizzazione non sono ancora del tutto adeguati, per garantire la gestione dei dati (bit) e dei metadati necessari e per descrivere i processi ai quali sono sottoposti i documenti digitali, compresi le migrazioni di formato4 e presentano set di metadati per la conservazione estremamente limitati;

  Stefano Pigliapoco, La conservazione delle memorie digitali, in Archivistica. Teorie, metodi, pratiche, a cura di Linda Giuva e Maria Guercio, Bologna, Carocci, 2014, p. 307-308. 4   «[…] il corredo di metadati che la risorsa porta con sé dallo sfaccettato contesto d’origine registrato dall’applicativo o dagli applicativi in cui è stata creata e gestita fino al momento dell’invio al conservatore – non solo rimane ad essa stabilmente associato lungo tutto lo svolgersi del percorso della preservation, ma si arricchisce di nuove meta-informazioni che documentano la storia dell’oggetto digitale all’interno del contesto di conservazione» in Alessandro Alfier, La politica di metadatazione di ParER per l’autenticità dei documenti digitali, «Archivi & Computer», XXIII (2013), 2, p. 37. 3

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Le regole degli altri e le buone pratiche: una proposta di linee guida per una policy sui formati di conservazione

• la componente economica, quindi i costi, sono elemento dirimente per le scelte non solo tecnologiche adottate; • la scelta del formato deve essere fatta consapevolmente, ma implica strategie di lunga durata, coordinate tra loro, in relazione alla specificità delle risorse da conservare. I formati hanno un ruolo di primo piano nella conservazione tout court, anche come veicolo di autenticità; da essi può partire una riflessione approfondita sui concetti tradizionali dell’archivistica, tra cui, per esempio, alcune delle caratteristiche estrinseche del documento, la sua unicità e la immutabilità, riviste alla luce delle nuove acquisizioni in campo tecnologico e digitale. Anche nell’utilizzo quotidiano dei documenti, è evidente che i formati hanno un ruolo che altri aspetti degli oggetti digitali non hanno; forse ciò accade per la loro “materialità”, cioè grazie al fatto che si esplicitano nelle estensioni che accompagnano i nomi dei file, mentre non è in nessun caso possibile percepire il bitstream che essi decodificano. Per questi motivi l’aspetto dei formati è da includere nella creazione di policy sulla conservazione digitale e in presenza di realtà complesse (grandi istituzioni, produttori d’archivio di dimensioni significative, documenti particolari e di tipologia specifica) sarebbe utile pensare a policy specifiche a loro dedicate. Quello che è auspicabile è quindi la creazione di policy quanto più possibile partecipate e guidate dalla riflessione sui formati, nonché maggiormente integrate nel rapporto tra istanze tecnico-informatiche e istanze archivistiche. Vale la pena ricordare importanti iniziative e progetti di conservazione nei quali sono presenti attenzioni specifiche sui formati. Ci si riferisce in particolare alle esperienze dei National Archives inglesi con PRONOM5 e della Harvard University Library, unitamente a JStor,6 con JHOVE:7 pur essendo esperienze tecniche, hanno il pregio di esistere coordinate a istituzioni tradizionalmente all’avanguardia nella conservazione digitale, che garantiscono, inoltre, la presenza di figure professionali idonee e le competenze necessarie. Il registro di formati PRONOM (PRactical ONline cOMpendium) nasce in seno ai National Archives inglesi nel 2002 con l’obiettivo di fornire un servizio per la conoscenza delle proprietà tecniche dei singoli formati e delle famiglie di formati, nonché sulle relazioni e dipendenze dai supporti, dall’hardware e dai software, in chiave valutativa della qualità della documentazione. Sviluppato dagli archivi nazionali britannici per le proprie esigenze di conservazione a lungo termine con l’intento di supportare le attività di migrazione alla base della conservazione dei National Archives è stato successivamente messo a disposizione di tutte le comunità scientifiche e degli interessati alla conservazione digitale,8 con l’inten-

  PRONOM, National Archives (UK), www.nationalarchives.gov.uk/PRONOM/Default.aspx.   Jstor, about.jstor.org. 7   JHOVE, jhove.openpreservation.org/about. 8   Maria Guercio, Archivistica Informatica. I documenti in ambiente digitale, Roma, Carocci, 2010, p. 185. 5 6

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to di condividere quei principi contenuti nelle policy cui si accennava. Gli utenti esterni vengono inoltre chiamati in prima persona a contribuire a PRONOM: è incoraggiato l’invio di materiali tecnici, o comunque inediti, utili per l’analisi e la conservazione dei formati, nel tentativo di mantenere aggiornati gli strumenti di migrazione e il registro stesso grazie alle esperienze di altri soggetti. Con il progetto JHOVE (JStor / Harvard Object Validation Environment) si perde l’aspetto britannico della conoscenza condivisa legata ai formati, ma vengono poste domande fondamentali relativamente all’autenticità dei documenti informatici. In particolare il progetto persegue la valutazione dei formati sulla base della loro identificazione (“I have a digital object; what format is it?”), validazione (“I have an object purportedly of format F; is it?”; in particolare la validazione è basata sulla correttezza del bitstream dell’oggetto digitale, well-formeDNess, e sulla validità dell’oggetto digitale in termini di correttezza semantica e di trasmissione del suo contenuto) e caratterizzazione (“I have an object of format F; what are its salient properties?”). Il limite di JHOVE, oltre all’implementazione non partecipata, è la possibilità di analizzare solo un numero limitato di formati, secondo moduli specifici per un elenco predefinito di essi (per lo più quelli standard).

9.2  Censimento delle policy sui formati Ma quali sono i documenti che realmente pongono attenzione sui formati e sul rilievo che i formati hanno nella conservazione? Quali istituzioni hanno pienamente recepito l’importanza che un formato ha nella conservazione da lungo termine? Le domande sono importanti soprattutto se pensiamo che non è proponibile uno standard universale che stabilisca le modalità della scelta del formato e della sua gestione, dato che troppe sono le variabili da prendere in considerazione.9 Al fine di rispondere ai quesiti indicati, è necessario analizzare quali elementi debbano essere tenuti in considerazione a partire dall’esame dei risultati raggiunti in questo ambito dai principali progetti di ricerca e dalle istituzioni competenti in grado quindi di fornire regole e indicazioni che potremmo considerare delle vere e proprie best practice.

  È necessario ricordare che allo stato attuale la conservazione digitale è più quasi ovunque conforme allo standard ISO 14721:2012 OAIS Reference Model for an Open Archival Information System, secondo il quale il processo di conservazione dovrebbe essere personalizzato per una specifica e ben definita comunità di riferimento, al fine cioè di soddisfare le esigenze di accesso, consultazione e comprensione di una comunità di utenti ben individuata e di cui si conoscono le capacità operative, gli argomenti di interesse e la terminologia. 9

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Un primo elenco di policy era stato redatto in occasione di una tesi di specializzazione10 a partire da quanto suggerito nel progetto Aparsen.11 Da quelle selezionate erano state poi escluse quelle policy non accessibili da un punto di vista linguistico (come ad esempio quella creata dal Ministry of Education and Culture of Finland, disponibile solo in lingua finlandese), quelle il cui scopo era di promozione per lo sviluppo di policy (le “policy per le policy” di Jisc e Disc-UK), quelle non disponibili in rete (Sapienza Digital Library), quelle non pertinenti alla conservazione di oggetti digitali, ma di oggetti digitalizzati (National Library and National Archives of Norway). All’elenco proveniente da Aparsen erano state aggiunte quelle redatte dalla Library of Congress e da Nestor, il network tedesco per la conservazione digitale; tale scelta è stata fatta per il prestigio delle istituzioni coinvolte e per l’esperienza riconosciuta a tali organizzazioni. L’elenco finale era composto di 18 documenti. Tale elenco è stato ripreso in occasione di questo contributo, verificandone la coerenza e l’utilità sia per quanto riguarda l’attuale esistenza delle policy citate che per gli eventuali aggiornamenti rilevati. Sono stati inoltre aggiunti i riferimenti ad altre policy, che sono individuabili perché il nome del produttore della policy appare in corsivo. Quello che segue è quindi un primo censimento di istituzioni che hanno redatto policy per la conservazione12 in grado di essere considerate best practice:13 POLICY AgID - Agenzia per l’Italia Digitale www.agid.gov.it/sites/default/files/repository_files/allegato_2_formati_di_file_e_riversamento.pdf Archives New Zealand www.archives.govt.nz/manage-information/how-to-manage-your-information/transfer/file-formatsfor-digital-transfers ARCW - Archives and Records Council Wales archiveswales.files.wordpress.com/2018/02/digital-preservation-policy-for-wales.pdf Biotechnology and Biological Sciences Research Council (BBSRC) bbsrc.ukri.org/documents/data-sharing-policy-pdf Deutsche National Bibliothek kopal.langzeitarchivierung.de/downloads/kopal_Universelles_Objektformat.pdf

  Cecilia Tamagnini, Conservare archivi digitali: le policy sui formati, relatrice prof. Maria Guercio, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Scuola di Specializzazione in Beni Archivistici e Librari, a.a. 2013-2014. 11   Aparsen, Exemplar good governance structures and data policies, cit. 12  Il 4 gennaio 2023 è stato pubblicato da AgID il documento di aggiornamento all’Allegato 2 delle Linee Guida, quando la scrittura di questo contributo era già terminata. Le considerazioni sul documento – è un auspicio personale – confluiranno in un contributo dedicato al documento. 13   Tutti i link sono stati verificati a maggio 2023. 10

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POLICY European Commission ec.europa.eu/research/participants/data/ref/h2020/grants_manual/hi/oa_pilot/h2020-hi-oa-pilotguide_en.pdf NAA - National Archives of Australia www.naa.gov.au/information-management/building-interoperability/interoperability-developmentphases/data-governance-and-management/open-data-and-formats www.naa.gov.au/information-management/storing-and-preserving-information/preservinginformation/born-digital-file-format-standards National Archives of Estonia www.ra.ee/en/information-management/digital-archives National Museum of Australia www.nma.gov.au/__data/assets/pdf_file/0009/558846/POL-C-028_Digital_preservation_and_ digitisation-2.2_public.pdf Nestor - Network of expertise in long-term storage of digital resources in Germany www.langzeitarchivierung.de/Webs/nestor/EN/Publikationen/nestor_Handbuecher/nestor_ handbuecher_node.html NLA - National Library of Australia www.nla.gov.au/policy-and-planning/digital-preservation-policy Parliamentary Archives UK www.parliament.uk/business/publications/parliamentary-archives/who-we-are/preservation-andaccess/digitalpreservation/ Queensland State Archives www.forgov.qld.gov.au/information-and-communication-technology/recordkeeping-andinformation-management/recordkeeping/store-protect-and-care-for-records/store-protect-andcare-for-digital-records/file-formats-for-long-term-digital-records Swedish Research Council www.vr.se/download/18.312b62c9166b295ec241390/1541065048121/Guide-to-researchinfrastructures_VR_2018.pdf The Library of Congress www.loc.gov/preservation/resources/rfs/ The National Archives of Canada library-archives.canada.ca/eng/services/government-canada/information-disposition/guidelinesinformation-management/pages/guidelines-file-formats-enduring-value.aspx The National Library of Wales www.library.wales/catalogues-searching/about-our-collections/conservation/preservation-activities TNA - The National Archives UK www.nationalarchives.gov.uk/information-management/manage-information/preserving-digitalrecords UK Data Archive - University of Essex dam.data-archive.ac.uk/controlled/cd062-preservationpolicy.pdf

I formati hanno un ruolo organicamente correlato con l’insieme di processi che costituiscono la conservazione, in ragione della necessità di gestire tali aspetti con interventi di ampia progettualità. Sembra che negli ultimi anni, nelle comunità che sviluppano policy, sia emersa una nuova sensibilità, con particolare riferimento alla consapevolezza che la conservazione è un processo e non un insieme di attività scollegate. Continuano a essere scritte e dichiarate policy, ma all’interno di cornici definite strategie (strategies) e attività (activities) che vengono attuate per garantire 114

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la conservazione dei documenti (come nel caso dei documenti distinti tra Policy e Strategy del Parliamentary Archive UK). Nel caso della Library of Congress la conservazione parte dai formati per estendersi a tutti gli aspetti della conservazione. È evidente come stia maturando la consapevolezza che la garanzia di esistenza di un documento non sia data da singole azioni successive, da decisioni diacroniche, ma da un insieme di attività sincroniche che agiscono all’unisono, di concerto. In tal senso le policy relative ai formati diventano allo stesso tempo strategiche, ma sono anche il trampolino di lancio verso altri aspetti rilevanti da considerare. I formati continuano ad avere una funzione prettamente tecnica: rimangono centrali i rimandi a progetti come PRONOM (aggiornato costantemente, a differenza di altri documenti prodotti dai National Archives inglesi), ma si percepisce che il tema dei formati non ha soluzione unica e definita, come infatti viene suggerito nei documenti della National Library of Australia14 e del National Museum of Australia.15 Sembra evidente che la complessità scaturisce anche in specifici contesti, nei quali la comunità scientifica che redige la policy è consapevole della necessità di azioni organiche. Tale consapevolezza si traduce sia nella creazione di gruppi più ampi di lavoro (come avviene nel caso degli Archives New Zealand),16 sia nella trasformazione che caratterizza lo sviluppo di alcuni progetti nati su un piano più teorico e via via tradotti in supporto a esperienze concrete come nel caso del progetto Nestor i cui elaborati sono divenuti per la Deutsche National Bibliothek e la sua comunità scientifica di riferimento un supporto applicativo essenziale) sia quando un documento viene assunto come protocollo ufficiale per l’operatività. Questa percezione di complessità determina anche la necessità di stabilire delle vere e proprie cornici di riferimento (framework) all’interno delle quali operare e definire attività, con ruoli e responsabilità ben precisi (Archives of Wales; Swedish Research Council; UK Data Archive; National Museum of Australia). Una partecipazione limitata dal punto di vista degli attori protagonisti e della diffusione geografica rende le policy statiche, limitate, non aperte a una riflessione. Questo avviene laddove la comunità di riferimento è chiusa e non accessibile dal   Il documento della National Library of Australia dichiara la necessità di prevedere approcci diversificati per il trattamento dei formati: «[It] Will consider the following broad preservation action approaches that are likely to be required: Format migration at the point of collecting; Format migration on recognition of risks; Format migration at the point of delivery; Emulation of various levels of software and hardware environments; Maintenance or supply of appropriate software or hardware; Documenting known problems for which no other action can be taken; and Deaccessioning or deletion». 15   «The four main methods of preserving digital material are: migration, encapsulation, emulation, software archiving and hardware archiving». 16  La stessa tendenza sembra emergere, da una rapida lettura, anche nell’aggiornamento all’Allegato 2 delle Linee Guida di AgID: nelle premesse, pubblicate sul sulla pagina web, emerge che il documento di guida e di valutazione dei formati creato con le raccomandazioni comprese nell’allegato è stato redatto dall’International Comparison of Recommended File Formats group (ICRF) per il confronto dei formati dei file consigliati a livello internazionale. 14

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punto di vista linguistico (come i National Archives of Estonia, la cui policy è disponibile solo in lingua estone17) oppure nei casi in cui la riflessione non è tenuta viva (i National Archives of Wales parlano di Strategy, ma il documento non è stato aggiornato negli ultimi anni e si riferisce ad azioni da compiere nel periodo 2012-2015; il documento per le pubblicazioni scientifiche UE Commission Recommendation of 17.7.2012 on access to and preservation of scientific information non è aggiornato dal 2017).

9.3  Realizzare una policy per i formati di conservazione Uno degli interrogativi cruciali rispetto all’obiettivo di questo lavoro riguarda i principi e i riferimenti da considerare per la redazione di linee guida finalizzate alla creazione di policy sui formati di conservazione. Un aiuto importante è fornito da due esperienze di “policy sulle policy”, che pur essendo ormai datate possono offrici spunti interessanti. La prima è Jisc, esperienza no profit inglese che nel suo documento del 2008 Digital Preservation Policies Study18 ha proposto alle istituzioni e agli specialisti del settore un modello per la creazione di policy per la conservazione. La proposta si concretizzava con la creazione di una cornice (framework) condivisa per la creazione di policy, in cui i formati erano presi in considerazione sulla base di quattro aspetti: 1. Necessità di esplicitare gli obiettivi della conservazione e le modalità con le quali essa viene perseguita (Preservation Objectives): ci si pone quindi tra gli obiettivi quello di identificare ogni possibile tentativo di interoperabilità e di utilizzo di formati aperti o di software largamente documentati, per avere poi la possibilità di esportare i file così creati con formati ritenuti particolarmente adatti alla migrazione. 2. Identificazione delle tipologie di materiali (Identification of Content) da conservare: è necessario redigere una lista dei materiali secondo diversi criteri, tra cui il livello di complessità e problematicità di conservazione specifica. Tale complessità è data anche dai formati. Per ogni categoria identificata è

  Nella pagina introduttive della policy sono comunque elencati i principi della conservazione, che per i formati sottolineano: «[…] digital records are always kept in a form that is usable employing widespread hardware and software at that moment. Through analysing various file formats, a list of file formats has been compiled, which contains the most highly commendable file formats for long-term preservation, all files transferred to the National Archives will be migrated into these formats. International developments concerning the support of these formats are monitored, the list of file formats will be updated should the need arise and files will be migrated into new formats». 18   Neil Beagrie - Najla Semple - Peter Williams - Richard Wright, Digital preservation policies study. Part 1: Final Report, 2008, www.jisc.ac.uk/publications/reports/2008/jiscpolicyfinalreport. aspx, www.jisc.ac.uk/publications/reports/2008/jiscpolicyfinalreport.aspx. 17

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poi opportuno dichiarare l’arco temporale di conservazione e le modalità, tra cui i formati accettati e, soprattutto non accettati e quali formati la policy promuove. 3. Dichiarazione degli standard ai quali la policy fa riferimento (Standards Compliance); tra questi sono compresi anche quelli dei formati, il cui utilizzo specifico potrebbe anche essere visto obiettivo della policy stessa. 4. Auditing e gestione dei rischi (Auditing and Risk Assessment), nei quali i formati devono essere valutati in termini di percentuale di utilizzo e soppesati per la possibilità di essere conservati. Un’altra esperienza è quella svolta tra il 2007 e il 2009 dalle Università di Edimburgo, Southampton e Oxford dando data vita a Project DataShare,19 all’interno dell’esperienza di Disc-UK (Data Information Specialists Committee - UK) con lo scopo di riflettere sulla conservazione dei dataset legati alla ricerca scientifica e sulla creazione di sistemi dedicati a questo tipo di documenti. Nel maggio 2009 il progetto ha pubblicato un documento specifico20 per la creazione di policy dedicate ai set di set dati scientifici, proponendosi anche di supportare la loro creazione. Già negli obiettivi originari del progetto si accennava all’importanza dei formati, che poi ripresa in vari punti del documento. In particolare: • nel paragrafo 1.e Data File Formats si stabilisce che la scelta dei formati da utilizzare che riguarda la possibilità di conversione con l’obiettivo di garantire che i documenti siano sempre leggibili e utilizzabili; si precisa inoltre che il sistema di conservazione può in alcuni casi accettare ogni tipo di formato, non garantendo però la conservazione di formati non descritti e obsoleti. Inoltre, si prende in considerazione la possibilità di accettare anche i software che hanno creato i documenti; • si individuano tre momenti critici per i formati (la produzione dei documenti, il passaggio verso il sistema di conversione con una eventuale normalizzazione dei formati e la disseminazione nel tempo dei documenti); • nel paragrafo relativo ai metadati (2.c Metadata types and sources) si propone di inserire tra i metadati amministrativi (che derivano dichiaratamente da Premis21) quelli sui formati con i quali i documenti sono stati immagazzinati; • si ammette l’impossibilità di garantire la leggibilità di alcuni formati a causa dell’obsolescenza dei software, ma si precisa anche la necessità di prestare comunque l’attenzione per l’usabilità e la comprensibilità dei documenti nel   Disc-UK, www.ed.ac.uk/information-services/about/organisation/edl/data-library-projects/ disc-uk-datashare. 20   Ann Green - Stuart Macdonald - Robin Rice, Policy making for Research Data in Repositories: A Guide Version 1.2, www.coar-repositories.org/files/guide.pdf. 21   Per un approfondimento su Premis (www.loc.gov/standards/premis) si veda Priscilla Caplan, Understanding Premis (trad. Angela Di Iorio), Washington, Library of Congress, 2017, www.loc. gov/standards/premis/Understanding-PREMIS_italian2017rev.pdf. 19

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tempo. Per questa ragione si sottolinea l’esigenza di specificare quali formati siano ammessi dal sistema di conservazione in uso. Sulla base delle indicazioni di Jisc e Disk-UK i presupposti che devono guidare la redazione di una policy sui formati e che devono essere esplicitati sono: • gli obiettivi della conservazione; • il contesto in cui la policy viene creata, ruoli e responsabilità; • l’identificazione dei documenti e delle tipologie documentarie che si vogliono conservare, prevedendo anche di dichiarare che non si conserveranno tipologie specifiche, ma generalmente contenuti digitali; • la dichiarazione delle policy e degli standard che guideranno la conservazione (nella bibliografia finale); • la valutazione dei rischi ai quali i documenti conservati possono andare incontro, prevedendone anche la gestione; • il momento o i momenti critici della conservazione cui la policy sui formati si riferisce oppure quali azioni si intendono perseguire a seconda del momento; nel caso in cui, come si è detto, l’orientamento sia finalizzato a gestire “strategie” complesse, si prevedono azioni diversificate sui formati in diversi momenti del processo di formazione, gestione e conservazione dei documenti). Certamente le best practice elencate sono un punto di partenza importante. Dalla loro lettura emergono alcuni aspetti che non possono mancare poiché, unitamente agli aspetti sottolineati da Jisc e Disk-UK i, contribuiscono a definire una scaletta dei contenuti relativi ai formati da tenere presente in sede di redazione di una policy. 1. Genericità o specificità del documento - Il documento potrà essere più o meno specifico a seconda del contesto per il quale viene creato. Se la comunità di riferimento destinataria del documento si configura come consapevole e formata in tema di conservazione si può ipotizzare di inserire gli aspetti specifici dei formati all’interno non tanto di una policy, ma di una vera e propria strategia complessiva. Inoltre, si potrà pianificare una azione precoce, pensando di intervenire fin dalla creazione del documento, fornendo quindi un elenco e/o dei criteri per la scelta iniziale del formato nel quale creare il documento. Questo sarà possibile solo se la gestione documentale del produttore dell’archivio sarà basata su criteri condivisi, controllati, elaborati con attenzione, periodicamente rivisti e resi aderenti al contesto. 2. Comunità di riferimento - Una specifica comunità di riferimento può determinare la presenza di attenzione particolari riferibili sia al contesto di produzione documentaria, sia a specifici formati. In questo ambito si può fare riferimento, tra le best practice elencate, ai documenti creati dal Biotechnology and Biological

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Sciences Research Council (BBSRC). L’attenzione riguarda in questo caso sia la formazione e gestione documentaria, sia la necessità di conservare documenti prodotti in formati altamente specifici e spesso poco diffusi. Questa esigenza può portare alla scelta di conservare non solo i documenti, ma anche i software utilizzati per la loro creazione; può includere azioni da svolgere in tempi predeterminati e con una cadenza stabilita; può infine rendere necessaria una definizione più precisa dei ruoli e delle responsabilità connesse, per garantire l’efficienza della conservazione di dati e documenti. 3. Metodi per la conservazione - Da tenere in considerazione è la scelta della National Library of Australia e del National Museum of Australia di prevedere la possibilità di approcci diversificati. Se solitamente i metodi per la conservazione sono solitamente tre (migrazione, emulazione, conservazione dei software di produzione22), non è detto che non si possa pensare a prevederne più d’uno, dando così la possibilità di scegliere quello più idoneo in base alle specifiche circostanze. 4. Criteri di selezione dei formati - Per gestire il tema della scelta dei formati è necessario identificare i criteri di selezione coerenti con i profili idonei alle diverse esigenze della conservazione a lungo termine. La letteratura di settore sottolinea che i formati idonei a questo fine debbano avere le seguenti caratteristiche:23 • apertura e non proprietà: possibilità di accedere alle specifiche descrittive e tecniche (che devono essere autorevoli, complete, accessibili, utilizzabili); • standardizzazione consolidata (de iure o de facto) garantita da un organismo di standardizzazione o comunque da una ampia comunità di riferimento; • trasparenza: l’analisi diretta di un file può essere svolta in modo semplice e con strumenti di base; • ampia adozione assicurata dall’uso del formato da parte di una ampia comunità; • indipendenza dal dispositivo: il formato consente la decodifica del file anche attraverso una piattaforma hardware e software diversa da quella usata per la sua creazione; • assenza di meccanismi tecnici di protezione e limitazioni di utilizzo: sono assenti meccanismi che proteggono la proprietà intellettuale e che ne impediscono la fruizione; i file non sono vincolati da brevetti o da pagamento per l’utilizzo; • autodocumentazione: il formato supporta l’inclusione di metadati descrittivi.

  L’elenco dei metodi della conservazione è tratto da Maria Guercio, Conservare il digitale, cit., p. 38-42, che fornisce anche una valutazione dei benefici e dei rischi connessi alle scelte compiute. 23   Per l’elenco dei criteri si è fatto riferimento a quelli indicati in Stefano Pigliapoco - Stefano Allegrezza, Produzione e conservazione del documento digitale. Requisiti e standard per i formati elettronici, EUM, Macerata, 2008, p. 194. 22

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Sono da considerare, comunque, anche i requisiti di qualità e funzionalità specifici per determinati formati, sia pure residuali in termini di diffusione, ma ampiamente utilizzati da una comunità di riferimento altamente specializzata; in questi casi i formati dovranno riguardare proprietà importanti che futuri utilizzatori si aspettano di trovare conservati nel tempo. 5. Elenco dei formati preferibili e accettabili - Le best practice prese in considerazione preferiscono limitarsi a fornire indicazioni e suggerimenti senza porre obblighi nei confronti dei soggetti produttori sull’ammissibilità o meno di un formato. Si parla quindi di formati “preferibili” e “accettabili”. Sulla base di questa precisazione e dei criteri sopra elencati è opportuno redigere un elenco dei formati che rientrano in queste due categorie, prestando attenzione affinché la seconda sia residuale rispetto alla prima e fornendo comunque i criteri secondo i quali sarà possibile derogare dai formati “preferibili”. L’elenco potrà riportare i formati, come avviene per il documento della Library of Congress, tenendo presenti le diverse tipologie documentarie laddove non ci sia una comunità di riferimento determinata; l’elenco così strutturato dovrà essere in ordine di preferenza; oltre a ciò, sarà preferibile fornire anche i riferimenti agli standard e alle caratteristiche tecniche che si vogliono rispettare. Non si deve in ogni caso confidare nel fatto che le soluzioni tecnologiche adottate per la conservazione siano uniche e statiche, poiché la dimensione digitale è dinamica e in continua evoluzione. L’elenco dei formati accettati, suggeriti, non ammessi dovrà essere perciò rivisto periodicamente,24 proprio al fine di mantenerlo attuale e aggiornato con l’evoluzione dei formati stessi.25 6. Eventuale trattamento dei formati non accettati - La gestione dei formati non accettati deve prevedere, più che un elenco di formati, l’esplicitazione dei criteri che escludono determinati formati dall’elenco di quelli preferibili e accettabili. Il conseguente trattamento dei documenti creati in formati non accettati dipende da diverse variabili: • le caratteristiche del sistema di conservazione, in relazione alla capacità di conservare i file prodotti nel tempo, in attesa di evoluzioni tecnologiche utili; • utilizzo dei formati all’interno di una specifica comunità di riferimento, con caratteristiche di unicità;

  In tale direzione va il documento della Library of Congress, Library of Congress Recommended Format Statement 2022-2023, che viene rivisto periodicamente anche con i contributi volontari degli utenti, nonché la scelta dei National Archives inglese di “delegare” un progetto dedicato come PRONOM a questo aspetto. Non è invece da ritenere in tal senso una best practise l’Allegato 2 alle Linee Guida redatte dall’Agenzia dell’Italia Digitale, che rimanda la scelta dei formati a criteri poco chiari e scarsamente intuitivi. 25   Da tenere sempre presente la frase «We do not know what aspects will be considered important in the future», in Lars R. Clausen, Handling file formats, Copenhagen, State and University Library Arhus and the Royal Library, 2004, p. 9. 24

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• le possibilità tecnologiche del sistema di conservazione (cioè la possibilità o meno di prevedere l’analisi dei formati non accettati per una eventuale futura migrazione o applicazione di altro metodo di conservazione); • la possibilità del sistema di conservazione di conservare anche i software di creazione del documento; • la possibilità di conservare l’hardware di creazione del documento. 7. Gestione tecnica dei formati - In chiave di collaborazione tra diverse professionalità coinvolte nella gestione della conservazione è importante elencare anche le caratteristiche tecniche dei formati eventualmente compresi negli elenchi di “preferibili” e “accettabili”, intese come versione, mimetype e magic number identificativo dei formati. È utile anche dare i riferimenti delle specifiche così come proposte da progetti quali PRONOM e Apache Tika.26 8. Metadatazione - Per metadatazione si intende la capacità di un formato di auto documentarsi. Si fa in questo caso riferimento alla circostanza per cui i formati supportando l’inclusione di metadati, che ne descrivano il contenuto, documentano le fasi della loro produzione e forniscono i dettagli tecnici per facilitare la rappresentazione negli ambienti tecnologici futuri, perché siano più semplici da gestire e conservare.27

In particolare è utile qui fare riferimento al Data Dictionary for preservation metadata di Premis, che propone più metadati per la descrizione dei formati; questi tengono presenti il mimetype del formato e la sua versione (formatName e formatVersion); inoltre il dizionario prevede l’opportunità di memorizzare quale registro è stato utilizzato per il riconoscimento del formato e le modalità per rintracciare le specifiche del formato all’interno del registro: da qui la presenza di altri due metadati, entrambi ripetibili, formatDesignation e formatRegistry. 9. Glossario - Si può valutare se fornire un glossario specifico relativo ai temi dei formati o se inserirlo, in presenza di una strategia più ampia, in un glossario generale. Il glossario riporterà le definizioni specifiche per le diverse figure con diverse competenze che hanno contribuito alla redazione della policy. 10. Bibliografia - Come nel caso del glossario, la bibliografia potrà essere più o meno specifica, con riferimento non solo a pubblicazioni, ma anche a standard. Devono essere citate eventuali best practice, soprattutto se hanno fornito elementi

  Apache Tika, tika.apache.org.   Stefano Pigliapoco - Stefano Allegrezza, Produzione e conservazione, cit., p. 184.

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preziosi alla definizione dei punti precedenti e come elemento di collegamento e confronto tra diverse esperienze. Quando si parla di formati in ambiente digitale non si affronta solo una questione tecnica relativa alla decodifica di informazioni binarie, ma si prende in considerazione una varietà di aspetti anche strettamente archivistici che passano attraverso l’autenticità stessa del documento. Per questo motivo le attività di formazione, gestione e conservazione degli archivi digitali devono essere gestite e regolamentate per mezzo di documenti frutto della collaborazione di professionalità diverse altamente qualificate (archivisti e informatici) e devono essere predisposte per una comunità di riferimento quanto più ampia, che condivida indirizzi, vocabolario, terminologia, obiettivi. Come si è sottolineato in precedenza, se in passato ci si limitava ad auspicare la crescita di policy specifiche sui formati, in stretto collegamento con policy più generali sulla conservazione, ora si sottolinea la necessità di adottare vere e proprie “strategie conservative”, che prevedono momenti diversi di azione coordinata. Tali strategie, create indubbiamente con una consapevolezza maggiore rispetto alle precedenti policy, sono il veicolo da privilegiare nel diffondere sensibilità e competenze sugli aspetti informatici del documento in generale e sui formati in particolare; la formalizzazione della best practice è da incentivare in ogni istituto di conservazione e da diffondere sia al fine di dare notizia della loro esistenza sia al fine di condividere il loro contenuto specifico. Le strategie messe in atto devono essere dinamiche, devono recepire i cambiamenti tecnologici e i mutamenti nella gestione documentale del produttore dei documenti. La comunità di riferimento, destinataria delle policy e delle strategie deve essere coinvolta nell’aggiornamento, includendo anche le professionalità più tecniche, in grado di garantire la correttezza degli interventi di natura tecnologica, che dovranno essere sempre a loro volta indicati e contestualizzati.

Bibliografia Alfier, Alessandro, La politica di metadatazione di ParER per l’autenticità dei documenti digitali, «Archivi & Computer», XXIII (2013), 2. Allegrezza, Stefano, La produzione di documenti informatici: requisiti dei formati elettronici, in Conservare il digitale, a cura di Stefano Pigliapoco, Macerata, EUM, 2010. Beagrie, Neil - Semple, Najla - Williams Wright, Peter Richard, Digital preservation policies study. Part 1: Final Report, Charles Beagrie Limited, 2008 (ottobre), library.avanet.nl/digital-preservation-policies-study-part-1-final-report. Caplan, Priscilla, Understanding PREMIS, traduzione italiana di A. Di Iorio, Library of Congress Network Development and MARC Standards Office, 2017, www.loc.gov/standards/premis/Understanding-PREMIS_italian2017rev.pdf.

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Le regole degli altri e le buone pratiche: una proposta di linee guida per una policy sui formati di conservazione

Clausen, Lars R., Handling file formats, Copenhagen, The Royal Library - The State and University Library Aarhus, 2004 (maggio). Duranti, Luciana, Il documento archivistico, in Archivistica. Teorie, metodi, pratiche, a cura di Linda Giuva e Maria Guercio, Bologna, Carocci, 2014. Macneil, Heather, Providing Grounds for Trust: Developing Conceptual Requirements for the Long- Term Preservation of Authentic Electronic Records, «Archivaria» (2000), 50. Michetti, Giovanni, Il modello OAIS, «Digitalia», 3 (2008), 1. Giuva, Linda - Guercio, Maria, Archivistica. Teorie, metodi, pratiche, Bologna, Carocci, 2014. Green, Ann - Macdonald, Stuart - Rice, Robin, Policy making for Research Data in Repositories: A Guide Version 1.2, Data Information Specialists Committee UK, 2009 (maggio). Guercio, Maria, Conservare il digitale. Principi, metodi e procedure per la conservazione a lungo termine di documenti digitali, Roma-Bari, Laterza, 2013. _, Digital archiving and preservation: The role of policies for an ethical approach to the research data, workshop on “Digital memories”, Ispra (Italia) 16-17 January 2014. _, Archivistica Informatica. I documenti in ambiente digitale, Roma, Carocci, 2021. InterPARES, Authenticity Task Force Report, www.interpares.org/book/interpares_book_d_part1.pdf. _, Chain of Preservation Model Narrative, www.interpares.org/ip2/display_file. cfm?doc=ip2_book_part_5_modeling_task_force.pdf. _, General Study 11 Final Report: Selecting Digital File Formats for long – term preservation, www.interpares.org/display_file.cfm?doc=ip2_gs11_final_report_english.pdf. _, Preservation Task Force Report, www.interpares.org/book/interpares_book_f_ part3.pdf. Pearson, David - del Pozo, Nicholas, Explaining Pres Actions: a Working Document, National Library of Australia Staff Papers, 2009. Pearson, David - Webb, Colin, Defining file format obsolescence: a risk journey, National Library of Australia Staff Papers, 2008. Pigliapoco, Stefano [a cura di], Conservare il digitale, Macerata, EUM, 2010. _, La conservazione delle memorie digitali, in Archivistica. Teorie, metodi, pratiche, a cura di Linda Giuva e Maria Guercio, Roma, Carocci, 2014. _, Progetto archivio digitale. Metodologia, sistemi, professionalità, Lucca, Civita Editoriale, 2018. Pigliapoco, Stefano - Allegrezza, Stefano, Produzione e conservazione del documento digitale. Requisiti e standard per i formati elettronici, Macerata, EUM, 2008. Rothenberg, Jeff, Ensuring the longevity of Digital Record, «Scientific American» (1995), gennaio.

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Tamagnini, Cecilia, Conservare archivi digitali: le policy sui formati, relatrice prof. Maria Guercio, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Scuola di Specializzazione in Beni Archivistici e Librari, a.a. 2013-2014. Zanni Rosiello, Isabella, Gli archivi nella società contemporanea, Bologna, il Mulino, 2009. ISO 15489-1:2001 Information and documentation - Records Management Part 1: General. ISO 15489-1:2016 Information and documentation - Records Management - Part 1: Concept and principles. ISO/TR 15489-2:2001 Information and documentation - Records Management - Part 2: Guidelines. ISO 23081-1:2006 Information and documentation - Records management processes - Metadata for records - Part 1 - Principles. ISO 23081-1:2017 Information and documentation - Records management processes - Metadata for records - Part 1 - Principles. ISO 23081-2:2007 Information and documentation - Records management processes - Metadata for records - Part 2 - Conceptual and implementation issues. ISO 23081-2:2009 Information and documentation - Managing metadata for records - Part 2 - Conceptual and implementation issues. ISO 14721:2003 Space data and information transfer systems - Open Archival Information System, Reference model. ISO 14721:2012 Space data and information transfer systems - Open Archival Information System (OAIS), Reference model.

DOI 10.53134/9788893574365-109

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10.  TRASFORMAZIONE DIGITALE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: RIFLESSIONI PER ORIENTARSI Francesco Del Castillo

10.1  A buona domanda, buona risposta: un possibile percorso digitale Le esperienze quotidiane ci mostrano quanto sia oneroso realizzare la digitalizzazione della pubblica amministrazione, se si vuole semplificare realmente i processi e garantire quella correttezza giuridico-amministrativa di cui un’accurata gestione documentale è contemporaneamente presupposto e conseguenza. Il compito non è facile nemmeno quando la strada da seguire è chiaramente tracciata da interventi nazionali, quando lo Stato mette a disposizione infrastrutture e piattaforme ben studiate e meticolosamente descritte da linee guida e specifiche tecniche. L’implementazione delle soluzioni si scontra con difficoltà organizzative, con opposizioni culturali talvolta pretenziose, con carenza di risorse economiche e umane. Non ultimo si presenta l’ostacolo dell’inadeguatezza delle soluzioni informatiche, degli applicativi offerti dal mercato, al quale si rivolgono quelle amministrazioni – la stragrande maggioranza – che non dispongono di risorse tali da progettare, sviluppare e realizzare in proprio soluzioni informatiche, software e hardware, per soddisfare le proprie esigenze. Capita di impiegare ore di interlocuzioni e giorni di lavoro per ottenere il minimo risultato da fornitori di servizi che pure dichiarano i loro prodotti conformi alle specifiche tecniche delle piattaforme abilitanti, quali ANPR,1 SPID,2 pagoPA,3 solo per citare alcuni esempi. Sono invece frequenti le risposte dei fornitori che fanno rimbalzare le nostre aspettative: «è una funzione che nessuna amministrazione ci richiede» oppure «la funzione richiesta non è di interesse per la plu-

  ANPR Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente è un sistema integrato che consente ai Comuni di interagire con le altre amministrazioni pubbliche e che ha come obiettivo il colloquio fra i dati, evitando duplicazioni di documenti, garantendo certezza del dato anagrafico e tutelando i dati personali dei cittadini, www.anagrafenazionale.interno.it. 2   SPID Sistema Pubblico di Identità Digitale, chiave di accesso ai servizi digitali delle amministrazioni locali e centrali, www.spid.gov.it/cos-e-spid. 3   PagoPA è la piattaforma nazionale che permette di effettuare pagamenti, assolvere tributi, imposte o rette verso la pubblica amministrazione e altri soggetti aderenti che forniscono servizi al cittadino, www.pagopa.gov.it. 1

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ralità dei clienti»,4 sonore argomentazioni non di rado accompagnate da richieste economiche esorbitanti. Non si può negare che, spesso, questa situazione genera un senso di frustrazione: è ragionevole investire tante energie per ottenere un risultato che è appannaggio di un’unica amministrazione, che avrà effetti su una minima parte di cittadini? Per non parlare delle risorse economiche impiegate: fermarsi a fare proporzioni e proiettare gli investimenti fatti sulla totalità delle amministrazioni locali è esercizio i cui risultati possono lasciare interdetti. Ne vale la pena? Non sarebbe meglio che lo Stato fornisse a tutti un sistema di contabilità e uno per il protocollo informatico, che decidesse come fare transitare le fatture elettroniche in entrambi i sistemi, che fornisse poi l’occorrente per collegarsi a pagoPA o per fornire un portale di servizi con autenticazione SPID, et cetera et cetera? A questa domanda abbiamo probabilmente già risposto di no, convinti che la diversità, in ogni ecosistema e anche in quello della burocrazia, sia un valore e una ricchezza da tutelare e preservare. Al momento, l’unica strada percorribile per migliorare la qualità complessiva della digitalizzazione della pubblica amministrazione è innalzare, ciascuno per quanto può, la qualità della domanda. Si tratta di un percorso lungo, che richiede perseveranza e pazienza: chi lo intraprende deve essere consapevole che, con ogni probabilità, non riceverà particolari gratificazioni o riconoscimenti di merito. Infatti, se prendiamo a esempio il caso di un servizio per presentare istanze on line, l’attenzione e il giudizio dei più si concentreranno sulla facilità e sull’immediatezza d’uso da parte dell’utente, poco importerà se non c’è garanzia circa la provenienza della domanda o la sua integrità, se i dati raccolti non sono riusabili all’interno del sistema informativo dell’amministrazione. Gli aspetti documentali restano spesso nell’ombra, così come quelli di sviluppo armonico e integrato del sistema informativo. Sicuramente, a conclusione di un progetto di digitalizzazione di un procedimento, osservare documenti e fascicoli che, rispettivamente, si registrano e formano apparentemente da soli, osservare dati che transitano da un applicativo a un altro è fonte di intima soddisfazione per chi concorre al progetto di transizione digitale. Per chi partecipa a disseminare e far germogliare cultura, perché di questo stiamo ragionando: cultura nel progettare strumenti – utensili per richiamare i contributi di questo volume – e cultura nell’usare strumenti. Tuttavia, la speranza che l’impegno profuso nell’analisi preliminare, nella definizione di requisiti funzionali, nella condivisione con i fornitori di progetti di massima per soluzioni operative riesca a portare benefici oltre le mura della propria amministrazione è forse l’unica prospettiva in grado di rinfrancare degli sforzi fatti. In definitiva, oggi, l’idea che si possa avviare un percorso virtuoso e contribuire a migliorare i servizi ICT proposti alla pubblica amministrazione italiana – e quindi la qualità complessiva dell’amministrazione digitale, tramite il dialogo costruttivo   Talvolta l’argomento può avere la sua dignità, altre volte, purtroppo, suona come una frase fatta: per esempio quando la richiesta è utilizzare SPID come metodo di autenticazione. 4

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con chi definisce le regole di cornice, con i fornitori e con le amministrazioni di pari livello – è, a mio vedere, la migliore compagna di viaggio per attraversare la giungla della trasformazione digitale.

10.2  La gestione documentale è negletta se il filo conduttore non c’è Ogni evoluzione tecnologica necessita di un periodo di assestamento, di verifica delle prestazioni e della soddisfazione del fabbisogno. Cito – con estrema sintesi e per inquadrare il contesto – tre casi, affrontati come matematico e archivista di formazione che per professione è funzionario di un ente territoriale: • la piattaforma ANPR ai suoi esordi sembrava essere stata progettata senza considerare la qualità documentale del certificato composto e proposto alle anagrafi comunali; • i progetti di e-procurement parevano provocare il rischio di frammentazione dell’archivio,5 rischio che, anche oggi, diventa realtà in quelle soluzioni – offerte da soggetti pubblici ad altri soggetti pubblici – del tutto prive di meccanismi di interoperabilità documentale; • l’apparato informativo di pagoPA non parla mai degli oggetti digitali scambiati all’interno della piattaforma come documenti, salvo poi caldeggiare per alcuni di essi la conservazione a norma. Evidentemente, nei regolamenti nazionali, la norma ISO 15489 è citata così per impreziosire il testo con un riferimento di spessore internazionale, non per reale comprensione delle esigenze che sottende6. In estrema sintesi la norma ricorda che ogni attività produce documenti che vanno gestiti, che occorre fissare dei requisiti di qualità documentale e integrare nelle procedure anche la gestione dei documenti prodotti. In tema di archivi in formazione, quando si acquisisce un software – e, purtroppo, ancora nella maggior parte dei casi – la sua “integrazione col protocollo” è una costosa personalizzazione e, talvolta, il fornitore preferisce offrire servizi aggiuntivi di “conservazione sostitutiva” – il mantenimento della locuzione desueta è voluto – proponendoli come soluzione definitiva per assolvere a ogni obbligo di legge relativo alla tenuta della documentazione. In effetti l’immaginario collettivo è alimentato anche dalla risonanza che obblighi di conservazione digitale specifici, in primis quelli per le fatture elettroniche, hanno anche su mezzi   Rimando ai paragrafi successivi con l’illustrazione di esperienze e risoluzione e a Francesca Del Neri, La classificazione ibrida: il caso della documentazione del procedimento di acquisto gestita dentro e fuori dal Sistema Informativo Contratti Pubblici dell’Alto Adige, «JLIS.it», 8 (2017), 2, p. 143-149, DOI: 10.4403/jlis.it-12360. 6   Sul tema, segnalo le riflessioni della curatrice di questo volume (Paola Ciandrini, Records Management. ISO 15489: progettare e realizzare sistemi documentali, Milano, Editrice Bibliografica, 2020) e quelle di Giorgetta Bonfiglio-Dosio (Giorgetta Bonfiglio-Dosio, Sistemi di gestione documentale, Padova, Cleup, 2017). 5

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di comunicazione di larga diffusione. Tuttavia, quelle comunicazioni sono indirizzate primariamente ai privati, per i quali la tenuta di archivi e documenti è soggetta a meno vincoli normativi rispetto a quanto avviene nelle pubbliche amministrazioni.7 Nel settore pubblico gli obblighi verso i documenti ne coprono esplicitamente tutto il ciclo di vita: chi opera all’interno della pubblica amministrazione non può ignorarlo e non può nemmeno ignorare che la gestione documentale non è un adempimento di legge, ma uno strumento chiave per garantire l’efficienza e la correttezza dei procedimenti amministrativi. Un sistema di protocollo informatico articolato e ricco di funzioni, che espone API8 e servizi web9 per consentire il dialogo con altri applicativi, consente di progettare un’adeguata gestione dei documenti anche prodotti da software distinti. Non solo, una ragionata integrazione con gli applicativi consente di raggiungere livelli qualitativi minimi di tenuta della documentazione, altrimenti non ottenibili, specie quando si trattano grandi volumi di documenti. Si pensi per esempio all’indicazione di generare e mantenere un fascicolo personale per ogni contribuente di un comune: una volta che le comunicazioni, gli avvisi, le ricevute di pagamento sono gestite dall’applicativo verticale in modo pressoché automatico, la successiva organizzazione manuale dei documenti in fascicoli non è umanamente realizzabile, anche solo per i numeri di cui si parla. Oppure, si pensi all’obiezione, spesso mossa dagli operatori comunali, secondo la quale la registrazione a protocollo di una comunicazione (per non parlare della sua fascicolazione) rallenta i frenetici ritmi di lavoro all’interno del comune10: prevedere forme di protocollazione e fascicolazione automatiche consente di ottenere immediatezza – «non far perdere

  Anche questa visione risente di un eccesso di generalizzazione. È senz’altro vero che per il Codice dei beni culturali documenti e archivi pubblici sono beni culturali ex lege e sin dalla loro formazione e che per i soggetti pubblici il Codice stesso impone l’obbligo di tenere ordinati gli archivi (anche quelli in formazione). Tuttavia, se pur in forma ridotta e con talune esclusioni di applicazione, il Codice civile prescrive che «l’imprenditore che esercita un’attività commerciale […] deve altresì […] conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite» (art. 2214). Anche il Codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. 82/2005), con le linee guida che ne discendono, si applica in buona parte al settore privato, per quanto riguarda in particolare la formazione e la validità dei documenti digitali. 8   Le API (Application Programming Interface) sono interfacce di programmazione delle applicazioni, intermediari software grazie ai quali due applicazioni possono comunicare tra loro e compiere l’una operazioni sui dati dell’altra. 9   I servizi web, o web services, sono particolari tipi di API che sfruttano il protocollo HTTP, proprio del web, per mettere in comunicazione due applicazioni distinte. 10   Non voglio sottrarmi allo stereotipo popolare e propongo un vivace ritratto di un dipendente comunale, tratto dalla narrativa contemporanea: «il quarto uomo si chiama Pilade del Tacca, ha assistito al placido scorrere di settantaquattro primavere ed è felicemente soprappeso. Anni di duro lavoro al Comune di Pineta, in cui se non fai colazione quattro volte per mattina non sei nessuno, lo avevano forgiato sia fisicamente che caratterialmente […]» (Marco Malvaldi, La briscola in cinque, Palermo, Sellerio, 2007). 7

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tempo all’utente», Ranganathan docet11 – e mantenere al contempo il valore giuridico-probatorio della comunicazione e la completezza del fascicolo. Nel sistema di gestione documentale, entità specializzata nella tenuta della documentazione e nella sua accessibilità agli operatori, si realizza l’indipendenza dei dati e dei documenti – e del patrimonio informativo – dalle specifiche tecnologie che li hanno prodotti. A un livello alto, tendenzialmente estraneo alla materia specifica trattata nei documenti, si realizzano procedure di carattere generale: a quel livello si riconduce la varietà delle tipologie documentarie prodotte nel Comune. Da un lato si fissano i dati in documenti con contenuto stabile svincolati dagli applicativi (magari a scapito della loro immediata riusabilità), riportandoli a una dimensione unica, con la stessa logica per cui l’utente di un archivio storico consulta con la medesima modalità il fascicolo di un’opera architettonica e quello personale di un dipendente. Dall’altro lato, ci si può impegnare per sviluppare nel sistema di gestione documentale funzionalità utili durante il ciclo di vita del documento, indipendenti dal processo di formazione del documento stesso, prima fra tutte la sua trasmissione. Il paradigma della condivisione di dati e informazioni e della specializzazione dei compiti non è diffuso: è evidente, invece, come per i fornitori ICT sia commercialmente conveniente e preferibile proporre un servizio completo piuttosto che software specializzati, applicazioni ad hoc che per assolvere la loro funzione complessiva dipendono da interazioni con altri componenti del sistema informativo comunale, magari prodotti da fornitori concorrenti. Anche per l’amministrazione stessa limitare le attività di integrazione costituisce una semplificazione e un risparmio, ma solo nell’immediato: per questo motivo sarebbe gradito, anche in questo settore, un intervento statale. Un esempio: per l’invio selettivo telematico/postale di comunicazioni, sarebbe auspicabile arrivare a una definizione nazionale univoca e condivisa non solo dei metadati da associare al documento, ma anche del formato elettronico con cui presentarli; queste condizioni sarebbero fondamentali per realizzare concretamente lo strumento di spedizione e adeguare gli applicativi che intendono utilizzarlo: con quei presupposti qualunque applicativo che genera un output documentale da trasmettere verso l’esterno si adatterebbe a regole condivise e sarebbe in grado di dialogare, con minime operazioni di configurazione, con qualsiasi sistema di gestione documentale, a sua volta aggiornato e adeguato per ricevere documenti e metadati dall’applicativo. Su questo tema, sottopongo alla vostra attenzione un caso, tanto specifico quanto diffuso. All’interno dell’ente territoriale in cui opero, la mancanza di regole di interoperabilità condivise – o imposte – fra applicativi interni al sistema informativo comunale è stata segnalata come insidia a proposito dell’implementazione del sistema di pagamenti pagoPA. Per quanto sia una realtà un po’ distante dalla gestione documentale in senso stretto, i due applicativi maggiormente coinvolti, il   Richiamo il riferimento a una delle cinque leggi di Ranganathan, già illustrate da Paola Ciandrini in questo volume, p. 45. 11

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software middleware che raccoglie le esigenze di pagamento dei gestionali verticali e quello del partner tecnologico che gestisce ed espone le posizioni da pagare, hanno dovuto stabilire regole di comunicazione specifiche per comunicarsi i dati dei pagamenti. Motivo? Le specifiche nazionali si occupano solo del dialogo col nodo dei pagamenti centrale gestito dallo Stato. Estendere anche agli applicativi interni al sistema informativo comunali gli stessi vocabolari e gli stessi formati di interscambio potrebbe semplificare il dialogo fra applicativi, ma è un’opzione lasciata alla libera iniziativa delle parti coinvolte. A una prima analisi, le regole di interoperabilità con il nodo dei pagamenti sembrano adattarsi anche a esigenze interne perché le informazioni da veicolare sono le medesime e perciò, con opportuni accorgimenti altrettanto condivisi, negli attuali formati elettronici di interscambio si potrebbero prevedere elementi riservati all’uso interno.12 Va comunque osservato che non si conoscono ambiti in cui le regole nazionali arrivano a dettare regole cogenti per lo scambio di dati all’interno dei sistemi propri delle amministrazioni, la cui conduzione, evidentemente, si fa rientrare sotto l’autonomia organizzativa della singola amministrazione. Da un punto di vista politico, poi, fa senz’altro più notizia l’elaborazione di strumenti visibili e immediatamente utilizzabili dai cittadini, piuttosto che un’azione di normalizzazione di linguaggi che operano dietro le quinte. Slogan del tipo «unica password per tutti i servizi» o «piattaforma unica per le notifiche digitali» attirano l’attenzione e il consenso più della definizione di regole precise che rendano effettivamente utilizzabili quelle stesse piattaforme e i sistemi già esistenti. In realtà sarebbe opportuno lavorare su entrambi i versanti, giacché le interfacce e i punti di accesso – ciò che si vede – e le regole per struttura e trasmissione dei dati – ciò che non si vede – sono complementari e solo se sviluppati contemporaneamente possono dare vita a un sistema funzionante e funzionale.

10.3  Un salvagente: l’analisi preliminare e una terna di requisiti Da questi passaggi emerge con chiarezza l’importanza dell’analisi preliminare all’acquisizione di una tecnologia – gli strumenti software sopra menzionati – per gestire funzioni e procedimenti. Si tratta di un’attività talvolta onerosa e lunga, ma sempre necessaria: non ci si può affidare alle offerte generiche dei fornitori (o, peggio ancora, al loro buon cuore) oppure pensare di mettere a fuoco aspettative e definire requisiti in corso d’opera. Un simile approccio è destinato a fallire qua-

  A una prima lettura, da verificare nelle implementazioni reali, la versione aggiornata delle Specifiche attuative del nodo dei pagamenti (SANP) – le regole che sovrintendono al funzionamento dell’ecosistema pagoPA – sembrano andare proprio nella direzione di standardizzare anche operazioni che escono dal tradizionale perimetro di azione di pagoPA: senza entrare nel dettaglio tecnico, fra tali operazioni ci sono la creazione di una posizione debitoria da parte di un agente esterno alla banca dati delle posizioni da pagare o l’avvio di un pagamento a partire da un servizio online.

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lunque sia l’oggetto dell’acquisizione e lo è ancor di più in un ambito come l’ICT, in cui la progettazione e la preventiva formalizzazione sono inevitabili, come ci indica Alessandro Alfier nel suo contributo a proposito della “scarsa indulgenza”. Ricordiamoci anche quanto e come la carenza di risorse, tempo e competenze spesso impedisca di condurre un’adeguata analisi preliminare: anche per questo sarebbe preferibile trovare metodi di collaborazione fra enti funzionalmente e/o geograficamente vicini. Accurate analisi preliminari condotte in un ambito specifico possono facilmente essere riutilizzare e adattate in ambiti apparentemente distanti. In tema di collaborazione, mi permetto una breve digressione: la rete, con i social e le piattaforme di collaborazione e discussione, offrirebbe buone opportunità per condividere esperienze, sciogliere dubbi, trarre ispirazioni. La stessa piattaforma forum.italia.it13 è uno strumento utile per il confronto fra operatori della pubblica amministrazione che partecipano al suo percorso di digitalizzazione. Tuttavia, la condivisione e il confronto spesso si mantengono a un livello piuttosto superficiale: senz’altro il timore di mettere in mostra carenze delle quali si è più o meno consapevoli e la scarsa propensione a condividere, tradizionali della cultura dell’amministrazione pubblica italiana, giocano un ruolo cruciale nel determinare questa situazione. Sarebbe utile che il riuso delle (buone?) pratiche individuate – frutto di analisi attente – potesse estendersi anche ad amministrazioni diverse o che fosse, quantomeno, possibile condividerle, in modo che altre realtà possano valutarne la rispondenza alle proprie esigenze o contribuire a migliorarle, superando quella sensazione secondo la quale ogni volta che un’amministrazione si accinge a compiere un percorso di digitalizzazione sembra essere la prima ad affrontarlo. Il possibile salvagente? Oltre all’analisi preliminare, l’esperienza ci insegna una terna da considerare in ogni acquisizione di software, tre richieste che devono confluire nei capitolati tecnici o comunque essere oggetto di accordi puntuali con il fornitore: • la migrazione dei dati pregressi; • l’integrazione con il protocollo informatico (sistema di gestione documentale) e con gli applicativi verticali; • l’esportazione dei dati al termine dell’uso del software. Se escludiamo l’integrazione con il protocollo informatico, tipica delle realtà pubbliche, gli altri due punti dovrebbero indicare la rotta a ogni organizzazione. Analizziamo ora le singole componenti della terna salvagente. I dati pregressi, gestiti tramite un software specifico o altri strumenti informatici, esistono necessariamente ed è indispensabile riversarli nel nuovo software acquisito o eventualmente sviluppato per il fabbisogno: in questo modo, in primo luogo si garantiscono disponibilità e accessibilità dei dati senza necessità di mantenere   ForumItalia.it è uno spazio di discussione sui servizi pubblici digitali curato dal Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e da AgID, forum.italia.it. 13

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attivi i precedenti strumenti, abitudine che non solo genera costi e inefficienze, ma lascia i dati in una sorta di stato di abbandono incapace di tutelarli dall’inevitabile obsolescenza tecnologica che – è solo questione di tempo – li renderà inaccessibili. Al contrario, la migrazione nel nuovo software consente di mantenerli in un ambiente attivo, oggetto di manutenzione costante, e la qualità dei dati beneficia anche delle operazioni di pulizia e normalizzazione, azioni inevitabili prima della migrazione. Perché la richiesta di migrazione non sia generica e quindi vana, è buona norma fornire sin da subito, se disponibile, lo schema della struttura dei dati pregressi o almeno il dettaglio dei dati e delle relazioni che si intendono mantenere. I benefici dell’integrazione con il sistema di gestione documentale sono stati già richiamati in precendenza: oltre a conferire certezza giuridica ai documenti prodotti e alla realtà in essi rappresentata, l’ingresso dei dati raccolti e formati dai gestionali verticali nell’archivio sotto forma di documenti, intesi come evidenze fisse e stabili, rende disponibile il patrimonio informativo e documentario del Comune in un ambiente indipendente dai software e dalle procedure che hanno contribuito a produrli. Nota a margine: menziono il caso di enti territoriali quali i comuni per l’esperienza diretta da cui nascono queste osservazioni, ma potremmo considerare qualsiasi organizzazione di ambito pubblico o privato dotato di un sistema di gestione documentale. Ovviamente il sistema di gestione documentale è esso stesso un software – o, più frequentemente, un arcipelago di software che colloquiano con il sistema di protocollo informatico – e non garantisce da solo la perenne disponibilità di dati e documenti: tuttavia, se l’amministrazione riconduce il proprio patrimonio informativo e documentario in un unico luogo, in un archivio digitale unitario, può concentrare in un’unica direzione gli sforzi per mantenerlo disponibile e accessibile nel tempo, indipendentemente dall’evoluzione tecnologica, avendo inoltre a supporto indicazioni, norme e strumenti che nel tempo si stanno affinando e che sono riconducili all’ambito della conservazione digitale dei documenti. È altrettanto evidente che il sistema di gestione documentale, l’archivio digitale del Comune, a meno di abilissime soluzioni, ospita primariamente documenti e dati in forma statica, non ulteriormente elaborabili da sistemi automatici. Per migliorare l’efficienza delle procedure è così necessario prevedere la corretta integrazione di un applicativo che assiste e sovrintende a una data funzione non solo con il sistema di gestione documentale, ma anche con altri applicativi verticali, di area affine e/o strumentali alla funzione, in modo tale da evitare duplicazioni di lavoro che recano con sé non solo costi, ma soprattutto rischi concreti di errori materiali dovuti, banalmente, al data entry manuale. Applicativi e livelli attesi di integrazione sono la muscolatura della fase di analisi preliminare. Infine, così come per l’avvio del software è necessario importare i dati pregressi, alla fine del suo uso occorre prevederne l’esportazione: stabilire preventivamente che il fornitore dovrà rendere disponibile una copia dei dati secondo formati prestabiliti rende possibile, in primo luogo, un eventuale passaggio verso un altro software con modalità agevoli e scongiura sin dall’inizio il rischio del vendor

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lock-in. Secondariamente, la definizione tempestiva di politiche di migrazione e portabilità dei dati da una parte consente all’amministrazione di mantenere un certo livello di controllo sui propri dati e, dall’altra, impone al fornitore di essere trasparente nella gestione dei dati dell’amministrazione. La portabilità dei dati è anche uno dei requisiti previsti da AgID per la qualificazione dei servizi SaaS, Software as a Service.14 Il tema del “fine vita di un servizio ICT” è inoltre trattato nel Regolamento sui criteri per la fornitura dei servizi di conservazione dei documenti informatici – emanato ancora da AgID – il cui Allegato B affronta il tema del piano di cessazione di un servizio di conservazione che, pur mantenendosi a un livello molto alto e distante da operatività e indicazioni concrete di implementazione, pone al centro dell’attenzione il tema del recupero dei dati (e dei documenti, in questo caso) da un sistema dismesso verso un nuovo sistema. Un’amministrazione che intende digitalizzarsi in modo consapevole e sostenibile dovrebbe gestire con lo stesso scrupolo il “fine vita” di qualsiasi applicativo di cui intenda dotarsi. I tre requisiti non esauriscono certamente quanto necessario per il successo dell’acquisizione e dell’uso di un software, ma si adattano a qualsiasi situazione in cui l’amministrazione intenda dotarsi di un gestionale o sostituirne uno esistente nel percorso di automatizzazione e digitalizzazione, definendo un “ciclo dell’avvicendamento dei gestionali”, procedura che, nell’esperienza, è utile tenere sempre presente e alla quale dare concretezza durante l’analisi preliminare, tesa a individuare i requisiti specifici delle forniture.

10.4  Alcune tentazioni: software unico, certificazioni, liste di riscontro Quando si parla di pubblica amministrazione locale – che svolge la maggior parte delle sue funzioni nell’ambito del sistema normativo di livello nazionale e quindi unico – è costante il desiderio di software gestionali unici forniti direttamente dallo Stato accanto a banche dati centralizzate e piattaforme comuni, non solo la formulazione di regole tecniche, linee guida e standard cui attenersi per il formato e la trasmissione di dati. Si tratta di un argomento ricorrente nelle conversazioni degli addetti ai lavori e degli operatori “in trincea”, tema non deplorevole in sé. Tuttavia, non si può che prendere atto che la direzione ormai intrapresa dallo Stato per digitalizzare l’amministrazione è quella di dettare regole di uniformazione e obiettivi, definire degli standard e mettere a disposizione infrastrutture nazionali, materiali e immateriali,

  SaaS (Software as a Service) è un modello cloud in cui un software applicativo è fornito come un servizio: il produttore mette a disposizione un programma installato in una infrastruttura digitale, sua o di terze parti, e questo è fruito con modalità telematiche, solitamente come applicazione web tramite un comune browser. 14

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in alcuni settori chiave. Tocca poi alle amministrazioni, soprattutto nell’interazione col mercato ICT, dotarsi degli strumenti particolari per inserirsi nella cornice definita dallo Stato. È senz’altro vero che una sana e leale concorrenza, intesa sia come “correre insieme” – riferito a settore pubblico e imprese private – sia come “correre in competizione” – riferito ai player privati – può essere uno strumento efficace per il continuo miglioramento dei prodotti, tenendo come metro di giudizio la qualità, tema ricorrente sino dalle prime pagine di questo volume. Serve però la giusta disposizione di tutti gli attori coinvolti perché il mercato sia in grado di sviluppare un modello virtuoso di concorrenza. Da un lato le amministrazioni devono andare oltre il modello del mero adempimento normativo quando si tratta di innovare il proprio modo di lavorare, dall’altro i privati devono abbandonare un modello basato unicamente sulla massimizzazione dei profitti e farsi diffusori e artefici di buone pratiche. Esemplificando, questi ultimi dovrebbero fare meno leva sui meccanismi del vendor lock-in, tesi a difendere le quote di mercato acquisite con politiche conservative ispirate alla chiusura dei sistemi stessi, e puntare sulla qualità dei loro prodotti, da misurarsi anche in termini di apertura dei sistemi stessi, di condivisione ed esportabilità dei dati che i software gestiscono. Le amministrazioni, da parte loro, dovrebbero migliorare il loro livello di cultura digitale. Accanto al software unico è parimenti invocata la certificazione dei software utilizzati dalla pubblica amministrazione. Indipendentemente dalle forme e dalle modalità possibili per esprimere giudizi di conformità sui prodotti informatici, si possono individuare tre direttrici principali su cui il giudizio dovrebbe svilupparsi: conformità alla normativa legislativa e tecnica generale e di settore, conformità alle regole generali di formazione, gestione e conservazione di documenti e archivi digitali, adeguatezza sistemistico-informatica. Il Cloud Marketplace,15 ancorché basato primariamente su autocertificazioni, si pone come primo passo verso l’obiettivo: tuttavia, oltre a limitarsi ai SaaS, si concentra principalmente sugli aspetti sistemistico-informatici, quali l’installazione su cloud “di qualità”, la disponibilità del servizio e i suoi livelli prestazionali, la disponibilità di API per l’interoperabilità con altri sistemi. Tolto l’unico requisito della conformità legislativa al GDPR16 (che, per la moda del momento, sembra l’unica norma di carattere generale da rispettare), invece il Cloud Marketplace non fornisce indicazioni circa la conformità del prodotto alla normativa di settore o ai principi generali di gestione docu-

  Il Cloud Marketplace di AgID è la piattaforma che espone i servizi e le infrastrutture qualificate da AgID secondo quanto disposto dalle circolari n. 2 e n. 3 del 9 aprile 2018; al suo interno è possibile consultare la scheda tecnica di ogni servizio, che evidenzia le caratteristiche tecniche, il modello di costo e i livelli di servizio dichiarati dal fornitore in sede di qualificazione. A partire dal 19 gennaio 2023, successivamente alla scrittura di questo contributo, le competenze per il percorso di qualificazione dei servizi cloud sono passate all’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN). Si veda Cloud Marketplace AgID, catalogocloud.agid.gov.it. 16   GDPR Regolamento generale sulla protezione dei dati, Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016. 15

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mentale. Anche le indicazioni sulle API, gli strumenti di interoperabilità messi a disposizione, demandano all’amministrazione la loro valutazione. Si può osservare che anche i meccanismi di certificazione hanno aspetti di debolezza, sono imperfetti e, se si concentrano su indicatori di qualità particolari, rischiano di perdere di vista la qualità complessiva fino addirittura a prestare il fianco a inganni se non vengono interpretati adeguatamente: non bisogna quindi riporvi fiducia cieca. Inoltre, se la certificazione è in un certo senso un’autorizzazione alla messa in commercio, si deve prendere atto che la tendenza attuale è di superare il concetto di autorizzazione preventiva privilegiando il meccanismo della dichiarazione, eventualmente sottoposta a controlli successivi, proprio come avviene per il Cloud Marketplace. Entrando nel dettaglio di quest’ultimo, i requisiti17 su cui si basa la qualificazione dei prodotti sono di carattere generale: organizzativi (assistenza al cliente, aggiornamenti), di sicurezza informatica, di performance e scalabilità, di interoperabilità e portabilità, di conformità al GDPR. Questo scenario, come già rimarcato, lascia sempre all’amministrazione acquirente la valutazione della conformità del software alla normativa di settore e alla sua integrabilità nel sistema informativo.18 Per venire in aiuto delle amministrazioni che devono dotarsi di software gestionali per specifiche funzioni, sarebbe utile avere a disposizione, se non la certificazione o la qualificazione per il dato dominio di utilizzo, almeno delle liste di riscontro, checklist specifiche di ogni settore di attività, sulla base delle quali verificare il soddisfacimento di requisiti funzionali individuati da un soggetto autorevole come minimi o raccomandati perché una soluzione software sia in grado di garantire l’assolvimento della specifica funzione in maniera adeguata e il più possibile ergonomica, anche in relazione all’integrazione nel sistema informativo dell’amministrazione che lo utilizza.

  I requisiti per la qualificazione di un prodotto SaaS sono contenuti nel primo allegato della circolare AgID n. 3 del 9 aprile 2018, consultabile all’URL cloud-italia.readthedocs.io/projects/ cloud-italia-circolari/it/latest/circolari/SaaS/allegato_a_qualificazione_SaaS_v6.html. A partire dal 18 gennaio 2023, i requisiti sono quelli contenuti nel Regolamento per il Cloud della PA, pubblicato da AgID il 15 dicembre 2021 con la determinazione n. 628 Adozione del Regolamento recante i livelli minimi di sicurezza, capacità elaborativa, risparmio energetico e affidabilità delle infrastrutture digitali per la PA e le caratteristiche di qualità, sicurezza, performance e scalabilità, portabilità dei servizi cloud per la pubblica amministrazione, le modalità di migrazione, nonché le modalità di qualificazione dei servizi cloud per la pubblica amministrazione, trasparenza.agid.gov. it/archivio28_provvedimenti-amministrativi_0_123065_725_1.html. 18   Emblematico in tal senso è quanto contenuto nelle Linee guida su acquisizione e riuso di software per le pubbliche amministrazioni, emanate ancora da AgID,/www.agid.gov.it/it/design-servizi/riuso-open-source/linee-guida-acquisizione-riuso-software-pa: «è importante ricordare che la verifica della piena conformità ai contesti normativi rimane in capo all’amministrazione che prenda in riuso un software, poiché solo ad essa compete la responsabilità delle decisioni assunte nell’ambito dei margini di discrezionalità assegnati e nel rispetto dei principi costituzionali di buon andamento». Qui si parla di riuso ma il precetto si applica chiaramente anche all’acquisizione di software disponibili sul mercato. 17

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10.5  Riflessioni sull’ergonomia di alcuni utensili: l’esperienza di un Comune 10.5.1 E-procurement Il contesto - In ottemperanza al Codice dei contratti pubblici19 dall’ottobre 2018 tutte le amministrazioni pubbliche devono essere dotate di una piattaforma per condurre le procedure di affidamento di servizi, forniture e lavori in modalità interamente telematica. L’AgID, in esecuzione di quanto prescritto dal Codice, ha definito con apposita circolare le Regole tecniche aggiuntive per garantire il colloquio e la condivisione dei dati tra sistemi telematici di acquisto e di negoziazione.20 Già a ridosso della formalizzazione del Codice alcune regioni hanno commissionato la realizzazione di piattaforme di e-procurement, consentendone l’utilizzo alle amministrazioni locali del territorio: è il caso, per esempio, del sistema Sintel della Regione Lombardia o del sistema Start della Regione Toscana. In questi casi le amministrazioni locali hanno un proprio spazio riservato nel sistema regionale e su questo possono pubblicare le proprie gare, comunicare con gli operatori economici, gestire le sedute, individuare l’aggiudicatario. Da un punto di vista archivistico, i rischi connessi alla gestione delle gare telematiche su piattaforme digitali esterne al sistema informativo dell’amministrazione appaltante sono stati evidenziati da Francesca Delneri21 nel 2017, in un contributo che fa riferimento alla specifica situazione dell’Alto Adige. Questi riguardano primariamente il fatto che la documentazione di gara è sottratta in tutto o in parte all’archivio dell’amministrazione procedente, situazione che rende necessario individuare strumenti per ricondurre all’unitarietà dell’archivio la documentazione di gara frammentata su almeno due sistemi distinti: la piattaforma di e-procurement e il sistema di gestione documentale dell’amministrazione. Sotto l’impulso dell’obbligo normativo, le software house hanno sviluppato ulteriori sistemi di e-procurement e li propongono alle amministrazioni, che possono scegliere se installare il sistema presso il proprio data center (ormai localizzato nel cloud) o usare installazioni gestite direttamente dalla software house presso data center specializzati. L’esperienza - Il caso qui illustrato, che si muove nel contesto piemontese del Comune di Rivoli, si snoda attraverso una soluzione offerta dal mercato e l’installazione nel virtual data center comunale (cloud): questo non solo perché all’epoca (anno 2018) non esistevano sistemi messi in condivisione dall’amministra-

  D.lgs 50/2016: in particolare il Codice prescrive l’obbligatorietà delle comunicazioni elettroniche dal 18 ottobre 2018 (art. 40) e descrive le regole applicabili alle comunicazioni stesse (art. 52) e alcuni requisiti funzionali di massima per le piattaforme di e-procurement (art. 58). 20   Circolare AgID n. 3 del 6 dicembre 2016, reperibile in trasparenza.agid.gov.it/archivio19_regolamenti_0_5354.html. 21   Francesca Delneri, La classificazione ibrida, cit. 19

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zione regionale, ma soprattutto per avere possibilità di integrare la piattaforma di e-procurement con il sistema informativo comunale, operazione mediamente più onerosa, se non impossibile, nel caso di soluzioni non progettate per consentire l’interazione con i software delle amministrazioni che le utilizzano. Individuato il fornitore che garantisse la maggiore interoperabilità con il protocollo informatico del comune, si è ottenuta la valutazione economica dello “sforzo” necessario per implementare l’integrazione, che, per quanto prescritta come requisito generale per una piattaforma di e-procurement dalla citata circolare dell’AgID, per il mercato restava evidentemente un requisito aggiuntivo, apparentemente non richiesto dalla generalità delle amministrazioni e che, quindi, rientrava nella costosissima categoria delle “personalizzazioni”. Pur non avendo esplicitato nel dettaglio i requisiti dell’integrazione con protocollo informatico e sistema di gestione documentale, al momento dell’installazione, della configurazione e della personalizzazione del software, la strategia per mantenere la documentazione delle procedure – nella sua completezza – sotto il controllo del Comune era chiara: registrare a protocollo e trasferire nel sistema di gestione documentale, nel modo il più possibile automatico e trasparente per l’utente, la documentazione di gara e tutte le comunicazioni in partenza e in arrivo22. Un documento preparatorio a uso interno, poi condiviso col fornitore, esplicita chiaramente, in termini generali, oltre ai requisiti funzionali specifici, l’obiettivo da raggiungere con l’integrazione: Aspetti generali dell’integrazione In linea di massima sui documenti si agisce direttamente dentro il sistema di e-procurement che, in modo trasparente all’utente, si occupa della registrazione nel sistema di gestione documentale (SGID). Tutto ciò che è prodotto durante la procedura confluisce nel SGID, in particolare in un fascicolo, eventualmente organizzato in sottofascicoli, in modo che la documentazione sia accessibile – col dovuto sistema di autorizzazioni – indipendentemente dal sistema di e-procurement e disponibile per l’utilizzo con gli usuali strumenti, a fini di conservazione, esibizione, consultazione ecc.

Parallelamente ai requisiti dell’integrazione si sono individuati anche i criteri di gestione documentale relativi alla classificazione e alla fascicolazione della documentazione di gara. Si è scelto innanzitutto di distinguere fra la documentazione di gara e la successiva documentazione di esecuzione del contratto, fasi che trovano cesura nel momento di aggiudicazione della gara e stipula del contratto. Si individuano così due fascicoli, uno relativo alla procedura di affidamento, che accoglie

  Nel citato articolo, Francesca Delneri propone di ricostituire l’unitarietà della documentazione di gara oltre che nel sistema di gestione documentale dell’amministrazione anche nel sistema di conservazione oppure nella stessa piattaforma di e-procurement che, difficilmente, è specializzata nella gestione documentale. Quest’ultima opzione reca quindi con sé ulteriori complicazioni. 22

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la documentazione a partire dall’individuazione del bisogno da soddisfare tramite un appalto fino all’atto di aggiudicazione23 e l’altro che accoglie la documentazione relativa all’esecuzione del contratto e ai rapporti con l’aggiudicatario.24 Già dalle prime analisi è risultato chiaro che alcune peculiarità delle procedure di gara rendono difficoltosa, o comunque non immediata, l’integrazione col sistema di gestione documentale. Fra queste, si intende concentrare l’attenzione sulla necessità di mantenere segrete le offerte dei partecipanti fino alla seduta di apertura delle buste che, come conseguenza, impone di gestire due questioni: • l’impossibilità di trasferire nel sistema di gestione documentale le offerte già al momento della loro ricezione; • l’impossibilità di affidarsi a canali sicuri e collaudati come la PEC per la trasmissione delle offerte con conseguente necessità di mettere a disposizione un canale in grado di garantire analoghe garanzie sul momento della trasmissione, sull’effettiva consegna, sull’integrità e non ripudiabilità dei documenti trasmessi. Per quanto riguarda la questione del trasferimento delle offerte nel sistema di gestione documentale, le idee erano chiare sin da subito, tanto che il documento precedentemente citato, pur non elegante nella forma, traccia la strada da seguire per assicurare le offerte degli operatori economici all’archivio comunale. Busta amministrativa, offerte tecniche ed economiche (art. 52, all. XI) […] Ipotesi: il sistema [di e-procurement] richiede al SGID la protocollazione immediata delle offerte (data e ora certe) ma trasmette la sola impronta dei file (garanzia di integrità). Quando le buste sono aperte il sistema di e-procurement trasmette anche i documenti con verifica della corrispondenza delle impronte (l’operazione può avvenire una volta aperte una o tutte le buste, o, al limite dopo l’apertura di ogni tipologia di busta, limitatamente a quella tipologia).

Durante la fase di integrazione col protocollo informatico si è invece scoperto che il concetto di “integrazione”, secondo il fornitore, prevede solo la registrazione a protocollo delle offerte con trasferimento delle impronte dei file ma non il successivo trasferimento dei file stessi. Il fornitore consiglia d’abitudine di scaricarli a gara conclusa, insieme a verbali e altra documentazione non oggetto di trasmissione verso l’esterno, e di inserirli manualmente nel fascicolo informatico. A specifica richiesta di implementare un meccanismo automatico di trasferimento dei file in   Il fascicolo può in realtà accogliere anche documentazione successiva, quali le verifiche o altri adempimenti giuridico-amministrativi che si concludono dopo l’aggiudicazione e, per completezza, il contratto con l’appaltatore. Per la classificazione di questa documentazione si segue quanto indicato dal Titolario dei comuni italiani: IV/4 Gestione della spesa o IV/10 Economato per procedure relative a beni e servizi, VI/5 Opere pubbliche per i lavori. 24   Questa documentazione è classificata nella classe che individua la specifica funzione comunale a cui è riferibile la materia oggetto del contratto. 23

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corrispondenza della precedente registrazione di protocollo, oltre a una richiesta economica del tutto spropositata, il fornitore ha opposto alcune, contestabilissime, obiezioni di carattere giuridico-documentale: L’associazione dei file effettivi al protocollo originariamente staccato implicherebbe la modifica di un protocollo che, per quanto di nostra conoscenza da “non esperti”, è un’attività non propriamente raccomandata dalla vigente normativa. Il DPR 445/2000, artt. 53 e 54, disciplina infatti che un protocollo è “immodificabile”, fatto salvo il processo di “rinnovazione” che consente di cambiare solamente oggetto e mittente/ destinatario (ma non i file allegati). Qualsiasi ulteriore modifica dovrebbe generare l’annullamento del protocollo. Per questi motivi, l’implementazione delle chiamate di modifica protocollo tramite servizi dedicati messi a disposizione dal protocollo informatico necessaria ad allegare i file dopo lo sbustamento, non può rientrare in uno standard applicativo ma può essere realizzata in termini di evoluzione personalizzata.

La questione di un mezzo di recapito elettronico sufficientemente sicuro e di garanzia per entrambe le parti si è invece palesata durante le dimostrazioni più approfondite del software e i confronti sul tema integrazione col protocollo. Dopo che l’operatore economico ha depositato una comunicazione, la piattaforma invia tramite PEC una ricevuta, che conferma l’avvenuto deposito indicandone ora e data, ma senza fare riferimento al suo contenuto o ai file eventualmente allegati. L’operatore economico non ha così certezza, se non per quanto vede in piattaforma e che comunque è fuori dal suo controllo, di quanto effettivamente ha inviato e la piattaforma ha ricevuto. Per quanto la comunicazione in tutte le sue componenti sia memorizzata nel sistema e la sua storia tracciata nei log, un’eventuale contestazione da parte del mittente circa la rispondenza di quanto esaminato dalla commissione di gara a quanto da lui inviato richiederebbe, per essere risolta in sede di contenzioso, un’analisi del sistema approfondita e dispendiosa (almeno in termini di tempo) che rimetterebbe poi la decisione al libero apprezzamento del giudice. A tal proposito, si riporta anche parte della richiesta trasmessa al fornitore per adeguare il sistema di recapito integrato nella piattaforma: Ricevuta completa di elenco file e impronta digitale La normativa italiana da anni riconosce pieno valore legale, opponibile a terzi, alla PEC come canale di comunicazione in grado di garantire, oltre a prove di invio e consegna e certezza del tempo, anche integrità e individuazione del contenuto digitale trasmesso (CAD, art. 48; regolamento per l’utilizzo della PEC, dpr 11 febbraio 2005 n. 68; regole tecniche sulla PEC, decreto del Ministro per l’innovazione e le tecnologie 15 novembre 2995, n. 266). Il sistema PEC, a sua volta applicazione di norme tecniche di trasmissione telematiche sicure (standard S/MIME), prevede che l’integrità e la certezza della comunicazione siano garantite dall’emissione di ricevute di accettazione e consegna da parte dei gestori delle caselle

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di mittente e destinatario. In particolare il messaggio PEC di ricevuta di consegna riporta, di norma, l’intero messaggio recapitato. Alternativamente è possibile richiedere la cosiddetta “ricevuta breve” che, in luogo del messaggio originario, riporta la lista degli oggetti digitali (file) di cui si compone con relativa impronta digitale. Anche il regolamento europeo eIDAS definisce un astratto “servizio elettronico di recapito certificato” come «un servizio che consente la trasmissione di dati fra terzi per via elettronica e fornisce prove relative al trattamento dei dati trasmessi, fra cui prove dell’avvenuto invio e dell’avvenuta ricezione dei dati, e protegge i dati trasmessi dal rischio di perdita, furto, danni o di modifiche non autorizzate» (articolo 3, definizione n. 36). Poiché le “buste” contenenti le offerte devono rimanere riservate fino alla loro apertura (Codice dei contratti pubblici, d.lgs. 50/2016, art. 52, c. 5), un sistema di e-procurement non può poggiare sulla PEC come canale di comunicazione (poiché le offerte sarebbero altrimenti depositate e teoricamente accessibili, senza possibilità di tracciamento delle operazioni, sul server di posta elettronica certificata) e deve quindi implementare un canale di comunicazione che garantisca il pieno valore legale e quindi si avvicini il più possibile ai requisiti di un servizio di recapito elettronico certificato (e/o alla PEC). In quest’ottica, l’aggiunta dell’elenco di file con impronta digitale al messaggio di avvenuto deposito dell’offerta di gara (o di altra comunicazione) garantisce a entrambi i terminali della comunicazione integrità e immodificabilità del contenuto della trasmissione.

In definitiva, si richiede di allegare alla ricevuta inviata all’offerente lo stesso file che il sistema associa alla registrazione di protocollo, in modo, da un lato, di poter verificare che i file che il comune dichiara di acquisire siano effettivamente quelli da lui predisposti e, dall’altro – accettando anche solo per acquiescenza la ricevuta – non poter in seguito eccepire di aver inviato file differenti. Prima e sempre, analisi preliminare - La conclusione da manuale, in questo caso, è che l’acquisizione di una piattaforma di e-procurement, come quella di qualsiasi altro software (e, in generale, di qualsiasi altro bene o servizio), deve essere successiva a un’attenta analisi preliminare che ne individui chiaramente i requisiti funzionali e che confluisca in un dettagliato capitolato tecnico. Va però osservato con reale pragmatismo, che questo scenario può essere proprio solo delle grandi amministrazioni che commissionano un software “su misura”. Nella stragrande maggioranza dei casi un comune, dopo una comparazione più o meno formale di alcune proposte di mercato, affida la fornitura di un sistema di e-procurement con modalità che non prevedono l’elaborazione – anche ammesso che il comune abbia le competenze e le risorse per elaborarlo – di un dettagliato capitolato tecnico che, invece, in assenza di norme cogenti per i fornitori ICT, dovrebbe invece garantire la conformità del prodotto alle regole tecniche. Senza un capitolato tecnico vincolante, il solo esame di un software durante una dimostrazione, non necessariamente approfondita o eseguita da personale che ne conosca tutti i dettagli, non è

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sufficiente a valutare la reale qualità del prodotto e la sua capacità di integrarsi nel sistema informativo comunale. Si pone di nuovo la tematica della certificazione dei software: questa verrebbe senz’altro in aiuto delle pubbliche amministrazioni di dimensione medio-piccola, che non hanno le competenze per valutare l’aderenza dei prodotti alle norme giuridiche e tecniche oppure non hanno la forza per pretendere e ottenere che il prodotto sia migliorato per raggiungere la conformità alle norme. Inoltre, la certificazione dei software sarebbe vantaggiosa anche per amministrazioni di dimensioni maggiori, che non dovrebbero investire eccessive risorse per stimare la qualità generale di un prodotto ed eventualmente dedicarsi esclusivamente a valutarne la compatibilità o l’adattabilità alle proprie procedure. In alternativa, insieme a linee guida troppo spesso distanti dalla dimensione pratica e implementativa, lo Stato dovrebbe fornire dettagliate descrizioni dei requisiti funzionali dei software unite a liste di riscontro o checklist che consentano di evidenziare e apprezzare la qualità e, quindi, di orientare la scelta verso i software migliori. Nel caso dell’e-procurement alcuni requisiti obbligatori, utili a evitare le problematiche sopra evidenziate (e non solo), potrebbero essere i seguenti: • il sistema è dotato di uno strumento per comunicare in via telematica con gli operatori economici. In caso di comunicazioni in arrivo, rilascia ricevuta all’operatore economico; la ricevuta contiene, oltre a data e ora di deposito della comunicazione sulla piattaforma, l’oggetto della comunicazione, il testo della comunicazione (se inserito dall’operatore economico in un modulo on line) e la lista di eventuali file allegati con la relativa impronta; • il sistema si integra con il protocollo informatico (interoperabilità) per la registrazione e la fascicolazione della documentazione di gara pubblicata, ricevuta e trasmessa tramite la piattaforma; • il sistema registra a protocollo le offerte al momento della loro ricezione e associa le impronte dei file che compongono l’offerta alla registrazione di protocollo (o come metadato o allegando alla registrazione un file contenente la lista dei file ricevuti con le impronte); • il sistema, venuta meno l’esigenza di segretezza delle offerte, trasferisce i file che le compongono nel sistema di gestione documentale associandoli alle registrazioni di protocollo precedentemente effettuate, previo raffronto delle impronte già memorizzate; • il sistema identifica i fornitori già al momento dell’iscrizione alla piattaforma tramite SPID, CIE, CNS (Carta nazionale dei servizi) o il sistema europeo di identificazione eIDAS login;25 • il sistema è collegato al sistema di pagamenti pagoPA dell’amministrazione;

  Il login eIDAS consente l’interoperabilità transfrontaliera delle identità digitale, permettendo la circolarità delle stesse fra gli stati membri dell’Unione europea, www.eid.gov.it. 25

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• il sistema consente l’esportazione dei dati di gara per l’adempimento degli obblighi di pubblicità e trasparenza (es.: pubblicazione dei dati delle gare secondo l’XML Schema previsto dall’ANAC); • il sistema garantisce la costante sincronizzazione della data e dell’ora alla scala di tempo nazionale italiana UTC (IT) tramite server NTP (Network Time Protocol) autorevoli. 10.5.2 Edilizia e SUAP “Chi ben comincia è a metà dell’opera” - Nel 2018 il Comune ha avviato le riflessioni sulla sostituzione del gestionale delle pratiche del SUE (Sportello Unico Edilizia) e del SUAP (Sportello Unico Attività Produttive), in via di dismissione dalla software house che lo ha elaborato e, quindi, non più in grado di stare al passo coi tempi, sia per quanto riguarda gli adeguamenti normativi di settore, sia, soprattutto, per quanto riguarda gli aspetti informatici e documentali. La software house del nuovo gestionale lo ha progettato e realizzato come soluzione SaaS nativa, in grado, con un’unica installazione dell’applicativo in un ambiente cloud certificato, di servire amministrazioni differenti, mantenere separati i dati e offrire ampi margini di personalizzazione, anche per l’integrazione non solo con il sistema informativo comunale, ma anche con gli sportelli telematici di composizione e inoltro delle istanze. Infatti, gli affari gestiti con l’applicativo, riferibili primariamente a edilizia, commercio e ambiente, sono a istanza di parte e per ricevere l’istanza il comune si appoggia a due portali esterni: il portale nazionale camerale per il SUAP26 e un portale regionale per il SUE. Nonostante il fatto che l’applicativo integri anche uno sportello telematico proprio, il Comune ha scelto di mantenere gli sportelli centralizzati, riconoscendo loro almeno tre indubbi vantaggi: • la presenza di un autorevole soggetto istituzionale che li mantiene aggiornati e li adegua, per la parte riguardante la modulistica e la raccolta di dati e documenti, alle modifiche normative nazionali e regionali; • fornire all’utente l’archivio delle pratiche che lo riguardano, in un sistema indipendente dagli applicativi utilizzati per la loro trattazione ed esterno al comune, che è quindi sollevato dall’onere di mantenere la documentazione accessibile all’utente a lungo termine; • garantire un certo “orientamento all’utenza”, consentendole di interagire con comuni diversi attraverso il medesimo strumento, senza necessità di adattarsi a sistemi particolari.

  Il portale impresainungiorno.gov.it gestito dal sistema della Camere di commercio tramite la software house Infocert. 26

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In questo caso l’interlocuzione col fornitore sui temi dell’integrazione è stata avviata, già in una fase precoce, con la specificazione di requisiti funzionali puntuali e la dichiarazione delle aspettative del comune. A tal fine è stata fondamentale la disponibilità pubblica delle specifiche dei web service esposti dal portale regionale: dopo l’analisi delle possibilità di integrazione del portale è stato possibile formulare al fornitore richieste precise, chiare e realizzabili, che consentissero di gestire i procedimenti in ossequio alle regole della correttezza giuridico-amministrativa e alle esigenze di gestione documentale. Il portale camerale per il SUAP, invece, non esponeva, all’epoca, API utilizzabili dai sistemi informativi comunali e aveva un meccanismo di interazione più primitivo, basato – per le comunicazione in arrivo – sul download di pacchetti corredati di file XML strutturati secondo schemi predefiniti che raccolgono i dati dell’istanza e – per le comunicazioni in partenza – sull’invio di PEC a indirizzi dedicati, il cui contenuto, sulla base dell’oggetto, è depositato sul portale (alternativamente è possibile l’upload manuale tramite web app). Da parte sua, la software house si è mostrata disponibile ad accogliere le richieste di integrazioni, spinta anche dalla volontà di implementarle nell’applicativo per renderle disponibili ad altri comuni che si trovassero a utilizzare i medesimi strumenti. Il taglio del nastro del nuovo gestionale comunale è avvenuto nel 2020. In fase di collaudo si è verificato come la maggior parte delle richieste fosse stata accolta con implementazioni soddisfacenti: la risposta ad altre richieste, invece, è stata pianificata per successive release del software. Per alcuni aspetti dell’integrazione sono stati necessari degli interventi per correggere situazioni non preventivate: è il caso dell’acquisizione nel gestionale di documenti dal sistema di gestione documentale che, invocata con l’utente macchina associato al sistema, non sottostava alle usuali regole di accesso ai documenti e consentiva potenzialmente agli utenti del gestionale di visualizzare tutti i documenti non riservati. La versatilità dei web service27 esposti dal protocollo e la disponibilità di una loro documentazione piuttosto esaustiva ha permesso al comune stesso di indicare tempestivamente al fornitore la strada da seguire per correggere l’anomalia. Il possesso da parte del Comune di competenze utili alla comprensione del funzionamento, delle potenzialità e dei limiti dei web service ha consentito non solo di progettare regole e meccanismi delle integrazioni, ma anche di pretenderne e controllarne la corretta applicazione con cognizione di causa. Vista la modalità SaaS dell’applicativo è anche verosimile che, almeno in questa occasione, gli sforzi progettuali del Comune possano avere ricadute positive dirette anche su altri comuni utilizzatori del gestionale che utilizzano lo stesso protocollo informatico e gli stessi portali: altri comuni potrebbero quindi beneficiare della socializzazione

  I web service sono particolari tipi di API in grado di far interagire due software tramite il protocollo di trasporto HTTP, lo stesso che consente la visualizzazione delle pagine web in un browser (fondamentalmente, oltre che contenuti ipertestuali tipici delle pagine web, tramite protocollo HTTP due sistemi possono scambiarsi anche dati strutturati secondo formati differenti). 27

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della risoluzione, risoluzione descritta, pronta per l’uso, integrata e ragionata. Una soluzione di qualità, potremmo azzardare. Una questione aperta, legata a una carenza del portale regionale di competenza, riguarda la trasmissione di comunicazioni all’utente esterno, cioè il professionista incaricato per la presentazione della pratica. Infatti, se il portale camerale nazionale del SUAP utilizza la PEC per inviare all’utente le comunicazioni depositate dal comune sul portale o comunque per notificarne la presenza, diversamente il portale regionale dedicato all’edilizia residenziale si limita a notificare via posta elettronica semplice la presenza di nuovi documenti sul sistema. È orientamento giurisprudenziale diffuso che il mero deposito di una comunicazione su un sistema accessibile al destinatario, senza una notifica che consenta di ottenere la prova della consegna, non è sufficiente a garantire il corretto adempimento degli obblighi di comunicazione.28 Per questo, per il SUE si è previsto un doppio invio delle comunicazioni in uscita: oltre al deposito sul portale regionale anche l’invio via PEC al professionista incaricato. Contestualmente si è richiesto alla Regione di adeguare il portale prevedendo un sistema di notifica via PEC. L’altra metà dell’opera: la migrazione dei dati - Il cambio di gestionale ha comportato anche la migrazione dei dati pregressi, operazione che non è stata priva di insidie. In primo luogo, il precedente gestionale, senz’altro prodotto in tempi meno attenti alla portabilità, non disponeva di funzioni specifiche di esportazione di dati, fatto che non ha consentito al comune di partecipare assiduamente al processo di estrazione dei dati e di verificare in itinere la corretta mappatura fra i campi dei due database: il comune ha partecipato “in differita”, osservando il risultato di alcune importazioni parziali di dati. Oltre a non essere orientato all’interoperabilità, il precedente gestionale era anche figlio di continui adeguamenti, spesso estemporanei, applicati per assecondare le richieste degli uffici che lo utilizzavano: questo probabilmente ha peggiorato la qualità dei dati e l’ordine nella loro struttura, fino forse a farne perdere il controllo anche alla stessa software house. A riprova della maggior attenzione che oggi, almeno a livello regolamentare, è riservata all’interoperabilità e alla portabilità, la circolare AgID Criteri per la qualificazione di servizi SaaS per il Cloud della PA29 considera anche questi due aspetti. fra i requisiti per la qualificazione. In particolare, la circolare prevede: • la possibilità di estrarre in qualsiasi momento una copia completa di dati, metadati e documenti memorizzati in formati pubblici e aperti; • la possibilità di importare i dati all’interno del servizio SaaS tramite formati pubblici e aperti, allo scopo di consentire la migrazione da un altro fornitore SaaS;

  Si veda la sentenza TAR Lazio, Roma, Sez. III, 1192/2019.   Circolare AgID n. 3 del 9 aprile 2018.

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• l’esposizione di opportune API di tipo SOAP30 e/o REST31 associate alle funzionalità applicative, di gestione e configurazione del servizio. Il software gestionale, scelto prima dell’entrata in vigore della circolare, ha ottenuto la qualificazione come servizio SaaS durante la fase di messa in produzione: questa circostanza, del tutto inattesa e non valutata nella fase di selezione del software, consente al Comune di avere una maggiore forza contrattuale, visto che la qualificazione del software impegna il fornitore a garantire determinati livelli di qualità che il comune non deve esigere come condizioni particolari di fornitura. Il già citato Cloud Marketplace, gestito da AgID e facilmente consultabile sul web,32 raccoglie gli elenchi dei fornitori di servizi cloud qualificati e, in particolare, le schede dei software acquistabili dalle amministrazioni in modalità SaaS. Si tratta di un passo avanti nella direzione della certificazione dei software e senz’altro di un’importante opportunità per le pubbliche amministrazioni che devono orientare le proprie scelte. Rivolgersi a un fornitore qualificato,33 oltre che obbligo di legge dal 1° aprile 2019, garantisce la qualità del software almeno su aspetti sistemistico-informatici di sicurezza, performance e interoperabilità e di assistenza e supporto e quindi solleva le pubbliche amministrazioni dall’onere, non sempre sostenibile, di verificarla in proprio. Tuttavia, la conformità legislativa garantita dai software qualificati è limitata alla protezione dei dati personali, resta quindi in capo all’amministrazione valutare la conformità del servizio alle proprie procedure e alla normativa di settore. Allo stesso modo spetta all’amministrazione utilizzare opportunamente le opzioni di interoperabilità dichiarate dal software, per integrarlo nel proprio sistema informativo a partire, aspetto che più ci interessa, dal sistema di gestione documentale e dall’archivio. 10.5.3 Avvisi di accertamento e invii massivi In un Comune, anno 2019 - Racconto un altro caso, con tono leggero e con grande rispetto per l’ente comunale in cui è avvenuta la vicenda. Certa di migliorare la   SOAP (acronimo di Simple Object Access Protocol) è un particolare tipo di API della famiglia dei web service, che utilizza il protocollo di trasmissione HTTP (lo stesso delle pagine web, appunto), e prevede lo scambio di dati tramite file in formato XML. 31   REST (acronimo per REpresentational State Transfer) è un altro tipo di web service (API che sfrutta il protocollo HTTP), spesso associato allo scambio di dati nel formato JSON. 32   Si veda Cloud Marketplace AgID, catalogocloud.agid.gov.it. Come riferito in precedenza, dal 19 gennaio 2023 le competenze in materia di qualificazione dei servizi cloud sono passate all’ACN – Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale. 33   Le regole per la qualificazione dei servizi cloud sono definite dalla già citata circolare AgID n. 3 del 9 aprile 2018, cloud-italia.readthedocs.io/projects/cloud-italia-circolari/it/latest/circolari/ SaaS/circolare_qualificazione_SaaS_v_4.12.27.html. Si sottolinea che dal 18 gennaio 2023 le regole sono contenute nel Regolamento per il Cloud della PA, pubblicato da AgID il 15 dicembre 2021 e citato in precedenza. 30

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qualità e l’efficienza del lavoro, la dirigente che si occupa di tributi richiede al fornitore del relativo software un modulo aggiuntivo per firmare digitalmente – in un colpo solo, tramite il software stesso – un numero arbitrariamente grande di avvisi di accertamento. Operazione con due importanti caratteristiche: è necessaria per contenere i costi, visto che almeno trecento dei duemila destinatari hanno un domicilio digitale certo, e, inoltre, velocizza il lavoro, poiché evita alla dirigente di apporre la firma autografa almeno su quei trecento avvisi di accertamento. L’ufficio tributi ha le idee chiare sull’invio: usare la PEC. Chi si occupa della postalizzazione degli avvisi cartacei è disposto anche a occuparsi dell’invio telematico, basta passargli le credenziali della casella certificata istituzionale. In un eccesso di zelo, forse una pulce messa nell’orecchio dal fornitore stesso, per l’ufficio tributi è anche necessario, trattandosi di documenti informatici, mandare gli avvisi di accertamento in conservazione “sostitutiva” – torna un fossile guida della consuetudine linguistica di chi opera in trincea. Certo, protocollarli a uno a uno (per raccordarsi al sistema di conservazione digitale del comune) diventa più lungo che firmarli a mano: si potrebbe pensare a un’unica registrazione che li accolga tutti? Oppure mandarli in conservazione “senza passare dal via” del protocollo? Eventualmente, anche il fornitore del software dei tributi offre il servizio di conservazione. Questa la scena introduttiva, per i più un resoconto dell’ordinaria routine da ufficio animata da buona volontà, ma tristemente sospesa fra il nonsense e l’orrore splatter per chi ha una certa sensibilità. Gli archivisti presenti tentano di fare ordine: «conservazione “sostitutiva” di cosa?», questo è il loro primo pensiero. Ma poi il pragmatismo ha il sopravvento sulle questioni terminologiche, che pure sono sostanza. Emerge una constatazione: risultano esclusi dalla protocollazione gli avvisi di accertamento cartacei, prassi consolidata in più comuni da quanto si apprende – se è peccato, di certo è veniale. I documenti in questione hanno una loro numerazione autonoma, sono “soggetti a registrazione particolare”, perciò ben identificati e rintracciabili nell’archivio cartaceo. Nel trattare analogico e digitale si assiste a un cambio di percezione, che pare un cambio di paradigma: «il documento informatico deve assolutamente essere registrato nel sistema di gestione informatica dei documenti», echeggia negli uffici. Va protocollato, insomma, a prescindere dalle esigenze di conservazione a norma (sottolineo che gli archivisti presenti hanno scandito bene le ultime due parole: non hanno resistito, non c’è pragmatismo che tenga... “sostitutiva” di cosa?). Protocollazione, sì, ma non manuale: si dovrebbe prevedere un meccanismo automatico. Il protocollo informatico è già predisposto, perciò si tratta solo di adeguare – la dirigente traduce la parola in “spesa” – il software dei tributi. Ma si può fare di più, visto che già da anni esiste l’obbligo di produrre ab origine documenti informatici: emerge così la timida proposta di firmare digitalmente e protocollare tutti gli avvisi di accertamento. Con questo metodo, quelli destinati a possessori di domicilio digitale partono in automatico per PEC dal protocollo, mentre per gli altri si immagina la procedura descritta dal CAD negli articoli sul domicilio digita-

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le (per questi, basta aggiungere la formuletta prescritta e affidarli come al solito al “postalizzatore”, che si occuperà di stampa, imbustamento e invio). La variabile tempo di questo caso: dall’emersione dell’esigenza alla scadenza di invio intercorre un lasso temporale di tre mesi, tempo non sufficiente per allestire i sistemi come si deve (e per reperire i fondi, dicono gli occhi della dirigente comunale). Non solo: se anche si aderisse alla proposta della dirigente, il risparmio di tempo sarebbe risibile, il “postalizzatore” non invia certo gratis et amore Dei le PEC (questo sottolineano gli archivisti, che, anche quando parlano di bit, tradiscono sempre la loro inclinazione umanistica). Ecco allora la soluzione proposta: «inviate tutto in cartaceo come sempre» (e così «evitiamo anche la complicazione dell’archiviazione ibrida analogico-digitale per l’annata 2019 degli avvisi» pensano gli archivisti un po’ egoisticamente, del resto, sono umani anche loro, per di più umani dipendenti pubblici). Ad altro imminente progetto la resa con sistemi efficientissimi e infallibili. E la spesa sostenuta per il modulo di firma degli avvisi? È un sicuro investimento per il futuro. E ancora, la dirigente firmerà a mano duemila avvisi? Ma no, c’è il decreto legislativo 39/93, norma vecchia ma ancora vigente che viene in aiuto proprio in questi casi, quando si creano documenti in serie in una forma predeterminata attingendo i dati variabili da una banca dati. Se molti documenti cartacei sono prodotti usando sistemi automatizzati, l’eventuale firma autografa può essere sostituita dall’indicazione a stampa del firmatario o del responsabile, sic.34 Anche l’Agenzia delle entrate usa la “firma autografa sostituita a mezzo stampa ai sensi dell’art. 3 d.lgs. 39/93”: l’esempio autorevole è servito. Conclusione: mai richiedere interventi su un software senza consultare l’ufficio che si occupa di sistemi informatici. Mai compiere azioni che hanno ripercussioni documentali senza consultare l’ufficio che si occupa di archivio e, possibilmente, archivisti e records manager. Soprattutto quando si richiede un intervento su un software che ha ripercussioni documentali, la partecipazione degli specialisti ai processi decisionali è irrinunciabile. La morale della favola: l’esito e il soccorso della diplomatica - Il caso illustrato ha generato la descrizione dei requisiti funzionali dell’integrazione fra il software dei tributi e il sistema di gestione documentale del comune, finalizzata alla produzione di documenti informatici ab origine e al loro invio selettivo telematico o analogico, secondo le prescrizioni dell’articolo 3-bis del CAD. Insieme ai requisiti funzionali si sono fornite anche indicazioni tecniche puntuali circa le modalità di interazione col protocollo informatico. La procedura di massima per arrivare allo scopo, quasi scontata, consiste in:

Eravamo comunque nel 1993 e la norma, di evidente compromesso, consentiva di automatizzare le operazioni di produzione di documenti e loro trasmissione. Per quanto questa norma sia ancora vigente, la successiva evoluzione tecnologica e normativa consente adesso di arrivare allo scopo con processi interamente digitali e più efficienti.

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• generazione e firma digitale degli avvisi di accertamento all’interno del gestionale dei tributi; • registrazione a protocollo dell’avviso con contestuale trasferimento delle sue componenti digitali (comunicazione principale, eventuali allegati); • invio e monitoraggio dal software dei tributi della comunicazione via PEC (tramite il protocollo informatico, che così associa le ricevute alle registrazioni) ai destinatari dotati di domicilio digitale; • predisposizione secondo la normativa di copia analogica da avviare a postalizzazione tradizionale per gli altri. Nella descrizione di dettaglio si è anche cercato di fornire indicazioni per le formule da inserire nell’originale informatico e nella copia analogica, cercando di aderire pedissequamente al disposto normativo del codice, creando, quindi, istruzioni operative ben comprensibili per il comune. Ci si è però imbattuti in un’insidia, questa volta sotto la veste di dubbio su come mettere in pratica le istruzioni: l’arcano è stato oggetto di confronto nella comunità di discenti e docenti del master FGCAD.35

10.6  Il cloud: un mondo dietro una parola Fino a qui si sono riportate alcune esperienze applicative, relative cioè agli aspetti logici, procedurali e organizzativi sottesi all’erogazione di un servizio o all’assolvimento di una funzione da parte di una pubblica amministrazione tramite l’uso di strumenti digitali. Il processo di digitalizzazione non può prescindere, tuttavia, dall’infrastruttura informatica. Il Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione36 individua chiaramente la razionalizzazione dei data center come requisito fondamentale per il successo della digitalizzazione. In particolare, il principio ispiratore è riassunto, come da moda del momento, nella sibillina espressione anglofona cloud first: gli applicativi della pubblica amministrazione devono essere installati su server ospitati in asset infrastrutturali specializzati che servono più amministrazioni. Le modalità per realizzare l’obbiettivo del cloud first sono molteplici, non a caso il primo anglicismo se ne tira dietro altri, addirittura sotto forma di acronimi: SaaS, PaaS,37 IaaS,38 per citare i tre più ricorrenti. La stessa definizione

  Master di II livello FGCAD Formazione, gestione e conservazione di archivi digitali di ambito pubblico e privato dell’Università degli Studi di Macerata, www.masterarchividigitali.unimc.it. 36   Si veda AgID, Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione, www.agid.gov. it/it/agenzia/piano-triennale. 37   PaaS (Platform as a Service) è il modello di cloud che prevede che un soggetto esterno fornisca, in una sua infrastruttura, una combinazione di risorse per server, database, storage e servizi di rete, lasciando al fruitore del servizio la sola incombenza dell’installazione del software applicativo, che, in un certo senso, trova già un ambiente favorevole al suo funzionamento. 38   IaaS (Infrastructure as a service) è il modello di cloud che prevede che un soggetto esterno for35

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di cloud proposta da AgID lascia spazio a molteplici scenari implementativi: «il cloud computing (in italiano nuvola informatica), più semplicemente cloud, è un modello di infrastrutture informatiche che consente di disporre, tramite internet, di un insieme di risorse di calcolo (ad es. reti, server, risorse di archiviazione, applicazioni software) che possono essere rapidamente erogate come servizio».39 In buona sostanza e a eccezione di rari casi che si distinguono per dimensioni e qualità, il Comune conforme (compliant) ai dettami del Piano dovrebbe dismettere i server che conduce all’interno dei propri locali e spostarli in un data center remoto, messo a disposizione da un soggetto qualificato. Anche qui le insidie non mancano: ci sono servizi di sistema (e quindi server, per l’appunto) che non è assolutamente conveniente, e spesso addirittura tecnicamente possibile, trasferire nel data center remoto. Basti pensare ai servizi di dominio, quali il server di autenticazione, il server di stampa, il file server per lo storage dei file a supporto di quelle ineliminabili attività non rigidamente proceduralizzate all’interno di gestionali specifici, i server a supporto della gestione del traffico di rete sulla LAN (cablata o senza fili) ecc. Il Piano non si sofferma su quali servizi informatici possano essere forniti o sia preferibile fornire tramite macchine (fisiche o virtuali) locali o su indicazioni su come spostare nel cloud servizi apparentemente erogabili con efficacia solo in locale. Anche strumenti pensati come guide operative per la pubblica amministrazione, quali il Cloud enablement kit,40 non sciolgono questo dubbio. Anzi, il citato kit suggerisce di iniziare la migrazione verso il cloud degli applicativi dai casi più semplici,41 passare «subito dopo» agli applicativi con «semplicità di migrazione media» e rimandare a «più tardi […] la migrazione degli applicativi rimanenti forti delle esperienze precedenti». Si lasciano alla singola amministrazione i compiti di «identificare le strategie di migrazione applicabili» e di «valutare le competenze necessarie per attuare le strategie identificate». Il rischio concreto, che si sta realizzando nel comune le cui esperienze stiamo descrivendo, è che il “più tardi” si traduca in un “mai” e che, di fatto, l’amministrazione continui a mantenere attivo un proprio data center, sottoutilizzato, ospitato nei medesimi locali che, per dirne una, sono da mantenere a temperatura costante per tutto l’anno. Le insidie non si limitano però a questo. Un motto che imperversa sulla rete è there is no cloud: it is just someone else’s computer:42 si tratta di una verità inconte-

nisca nella sua infrastruttura le risorse di calcolo, di archiviazione e di rete essenziali, lasciando al fruitore del servizio l’allestimento dell’ambiente necessario per il funzionamento dei software che intende installare nel cloud. 39   Il modello di Cloud della PA, sezione Cos’è il Cloud, a cura di AgID e Team digitale, docs.italia. it/italia/piano-triennale-ict/cloud-docs/it/stabile/cos-e-il-cloud.html. 40   Programma di abilitazione al cloud, a cura di Dipartimento per la trasformazione digitale e AgID, cloud.italia.it/it/cloud-enablement. 41   La formula ufficiale è «identificare gli applicativi che possono ottenere maggiore beneficio dall’adozione del cloud con un rischio ridotto per quanto riguarda la criticità dei servizi che erogano e la relativa semplicità di migrazione». 42   Tradotto: non esiste nessun cloud, è solo il computer di qualcun altro. Il motto è ripreso anche

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stabile, anche se non va intesa come un giudizio perentorio sull’inutilità del cloud. Tutto dipende da come si implementano le soluzioni, da quale architettura si sceglie per i sistemi. In effetti, nel forzato processo di migrazione sul cloud, la soluzione più immediata consiste nello spostare i server e i loro applicativi progettati e realizzati per funzionare in locale a servizio di un’unica organizzazione, nella sala server di qualcun altro, come se, idealmente, si spostasse un computer in un altro palazzo allungando i cavi che lo collegano alla rete informatica locale.43 Questo approccio non produce razionalizzazioni e risparmi evidenti: anzi, da un lato si lasciano invariate le modalità di manutenzione di software e database presenti sul server, dall’altro si aumenta la complessità del sistema informativo che si arricchisce di componenti dislocati in reti locali diverse, gestite da altri soggetti e con le quali è necessario creare collegamenti (logici, non fisici) stabili e sicuri che talvolta richiedono anche adeguamenti di quei software non pensati per un simile scenario. L’allungamento indefinito dei cavi, infatti, è efficace come metafora, non come soluzione tecnica concreta che, invece, va cercata nella costituzione di VPN – reti private virtuali –, tunnel sicuri ecc. Si ritiene invece che il cloud sia in grado di produrre i suoi benefici se utilizzato per far funzionare software e servizi pensati per servire contemporaneamente più organizzazioni (amministrazioni) distanti, consentendo le dovute personalizzazioni d’uso. Si tratta delle soluzioni SaaS, in cui il software è erogato come se fosse un qualsiasi servizio: oggetto del rapporto non è tanto la fornitura del software di cui realizzare un’installazione specifica, ma proprio la messa a disposizione di una sua installazione già pienamente funzionante e della cui gestione il fornitore SaaS si fa totale carico. Quanto appena enunciato, tuttavia è la teoria. Nella pratica i SaaS si distinguono per la qualità di progettazione e implementazione. Infatti, da un punto di vista giuridico-amministrativo, si ottiene una soluzione SaaS anche quando il fornitore riserva in una sua infrastruttura cloud (IaaS) delle risorse di calcolo riservate a un’amministrazione, vi realizza un’installazione del software dedicata a quell’amministrazione e si fa carico di manutenzione e aggiornamenti. Un’unica installazione centralizzata a servizio di più utenti – soluzione più corretta dal punto di vista della razionalizzazione delle risorse informatiche – rende apparentemente difficili le cosiddette “personalizzazioni”, ma non è necessariamente così. Facendo riferimento alle esperienze descritte in precedenza, per esempio, il software per la gestione delle pratiche edilizie fornito nella modalità SaaS con unica installazione centralizzata ha consentito una completa integrazione con il protocollo informatico e con il portale regionale di comunicazione con l’utenza; il software per l’e-procurement, invece, nella sua versione SaaS non consente alcun tipo di integrazione e per questo si è dovuto realizzare un’installazione dedicata, sul cloud comunale,

da Luciana Duranti e Darra Hofman nell’articolo Trust in the Balance: Data Protection Laws as Tools for Privacy and Security in the Cloud, «Algorithms», 10 (2017), 2. 43   In questo scenario l’amministrazione acquisisce il servizio IaaS e, semplificando, usa l’ambiente cloud come se fosse una sala server dislocata in un altro edificio.

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che è poi stata “personalizzata” (a caro prezzo) in modo da integrarsi con il sistema di gestione documentale. Da un punto di vista dell’aggiornamento e della manutenzione del software, nel primo caso il fornitore rilascia continuamente aggiornamenti dei quali l’utente viene a conoscenza tramite notifiche quando accede al software aggiornato, nel secondo caso è necessario concordare il fermo del sistema per applicare gli aggiornamenti.

Bibliografia AgID, Circolare n. 3 del 6 dicembre 2016 recante “Regole Tecniche aggiuntive per garantire il colloquio e la condivisione dei dati tra i sistemi telematici di acquisto e di negoziazione”. _, Circolare n. 3 del 9 aprile 2018 recante “Criteri per la qualificazione di servizi SaaS per il Cloud della PA”. AgID - Dipartimento per la Trasformazione Digitale, Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione (aggiornamento 2021-2023), ottobre 2021, www.agid.gov.it/it/agenzia/piano-triennale. _, La qualificazione dei servizi cloud per la PA, cloud.italia.it/qualificazione-servizi-cloud. _, Programma di abilitazione al cloud, cloud.italia.it/it/cloud-enablement. AgID - Team Digitale, Il modello di Cloud della PA, febbraio 2020, docs.italia.it/ italia/piano-triennale-ict/cloud-docs/it/stabile/cos-e-il-cloud.html. Bonfiglio-Dosio, Giorgetta, Sistemi di gestione documentale, Padova, Cleup, 2017. Ciandrini, Paola, Records Management. ISO 15489: progettare e realizzare sistemi documentali, Milano, Editrice Bibliografica, 2020. Delneri, Francesca, La classificazione ibrida: il caso della documentazione del procedimento di acquisto gestita dentro e fuori dal Sistema Informativo Contratti Pubblici dell’Alto Adige, «JLIS.it», 8 (2017), 2, p. 143-149, DOI: 10.4403/jlis. it-12360. Pagopa SPA, Documentazione sulla piattaforma pagoPA per pubbliche amministrazioni ed enti creditori, www.pagopa.gov.it/it/pubbliche-amministrazioni/ documentazione.

DOI 10.53134/9788893574365-125

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FUORI DALL’OFFICINA Postfazione

11.  I RISCHI DEL DIGITALE SENZA BUSSOLA1 Paola Ciandrini

11.1  Genio e sregolatezza: gli Albert Einstein archives «Ciò che ho da dire su questo libro si può trovare al suo interno»: nel 1938 Albert Einstein rispondeva con sagacia a un giornalista del «New York Times»,2 colpevole di aver formulato allo scienziato la richiesta di un commento su The Evolution of Physics.3 Alcuni anni fa mi imbattei nelle note di Pensieri di un uomo curioso:4 colpita dalle distinzioni fra Collected Papers, Love Letters e Archivio Einstein tout court, indagai le vicende delle carte Einstein. Con sorpresa, non trovai una bussola per archivi, ma un intricato mosaico di strumenti in manutenzione. Ciò che possiamo dire su un archivio, si può trovare al suo interno? Se possediamo capacità di accesso e codifica degli strumenti di navigazione predisposti per quel complesso organizzato di documenti e relazioni, la risposta è affermativa. Possiamo interrogare ogni archivio, ma non da tutti otterremo risposta: dalla qualità delle bussole per archivi5 deriva tenore e contenuto della risposta che cerchiamo, i contributi archivistici delle sezioni precedenti ci hanno fornito alcuni esempi. Nel 2012 è una giornalista de «Il Sole 24 ORE» che interroga Einstein attraverso il suo archivio: Le lettere alle amanti, i quaderni di appunti con gli studi rivoluzionari che porteranno alla teoria della relatività, una messe di materiali che ricostruiscono l’uomo dietro al genio che fu Albert Einstein. Tutto online, per la prima volta. Lo ha deciso la Hebrew University di Gerusalemme, proprietaria dell’archivio del fisico tedesco di famiglia ebrea che ha deciso di fotografare in alta risoluzione i documenti e li ha postati online.6

  Il contributo adatta le riflessioni già pubblicate in Altà fedelta, un ABC: archivisti, bussole, navigazione, «Biblioteche oggi», 39 (2021), settembre, p. 22-39. 2   Anita Ehlers, Liebes Hertz! Physiker und Mathematiker in Anekdoten, Berlino, Birkhäuser, 1994, p. 65. 3   Albert Einstein - Leopold Infield, The Evolution of Physics: The Growth of Ideas from Early Concepts to Relativity and Quanta, Cambridge, Cambridge University Press, 1938. 4   Albert Einstein, Pensieri di un uomo curioso, a cura di Alice Calaprice, Milano, Mondadori, 1997. 5   La locuzione fa eco a Claudia Salmini, Bussole e ami da pesca. I siti archivistici come strumento per la ricerca: come cambia il lavoro dell’archivista, «Archivi & Computer», 12 (2002), 3, p. 34-47. 6   Angela Manganaro, Tutto online l’archivio Einstein: lettere segrete e appunti che ricostruiscono vita e carattere del genio, «Il Sole 24 ORE», 20 marzo 2012, st.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-03-20/ tutto-online-archivio-einstein-125626.shtml?uuid=Abpn9IBF. 1

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Un passo indietro nel tempo. Einstein muore a Princeton nel 1955: le sue ultime volontà, risalenti al 1950, indicano Helen Dukas7 e Otto Nathan,8 rispettivamente segretaria e amico, come esecutori testamentari dell’intero corpus di manoscritti e dell’annessa filiera dei diritti d’autore e di pubblicazione. Con Gerald Holton,9 fisico e storico della scienza di Harvard, i due si cimentano nell’impresa di “fare ordine” fra le carte dello scapigliato premio Nobel: realizzano una tassonomia embrionale e redigono una prima descrizione, immaginando una complessa edizione di fonti. Negli anni Novanta è realizzato un primo database ispirato alla struttura dati di quella primigenia operazione di schedatura e ordinamento: il progetto accelera quando nel 2003 è coinvolta Diana L. Kormos Buchwald, storica della fisica moderna del dipartimento di Humanities and Social Sciences del California Institute of Technology di Pasadena, Calthec. Il database, se pur incompleto, è pubblicato on line e contestualmente nasce l’Einstein Papers Project,10 curato da Hebrew University – di cui Einstein era membro del Consiglio dal 1925, anno della fondazione – e Caltech: gli atenei collaborano per il mantenimento della base dati unificata e per le operazioni di digitalizzazione. La Princenton University è il terzo attore, coinvolto nel progetto editoriale The Collected Papers of Albert Einstein,11 declinato in forma cartacea e digitale, in modalità open access. Un altro passo indietro. Sino al 1919 Albert Einstein non si preoccupa di organizzare sistematicamente le testimonianze della sua attività: in quell’anno un’eclissi solare e la pervicacia di un astrofisico inglese, Arthur Stanley Eddington,12 cambiano le regole del gioco. La Germania e la Gran Bretagna sono in guerra quando Einstein, tra la fine del 1915 e l’inizio del 1916, pubblica la teoria della relatività generale: lo scritto, stampato oltre Manica, non raggiunge per vie legali l’Inghilterra, ma Eddington intercetta e studia la teoria di Einstein grazie all’amicizia con l’astronomo e fisico olandese Willem De Sitter,13 che rende l’opera galeotta. Nonostante le difficoltà logistiche ed economiche post-belliche, Eddington organizza due spedizioni per osservare e analizzare l’eclissi solare del 29 maggio 1919, evento

  Helen Dunkas (Freiburg, 1896 - Princeton 1982): segretaria privata di Albert Einstein; con il fisico e matematico britannico Banesh Hoffmann (Richmond, 1896-1986) è stata co-autrice di Albert Einstein: creator and rebel (Princeton University Press, 1979) e curatrice di Albert Einstein: the human side (Princeton University Press, 1972). 8   Otto Nathan (Bigen, 1893 - New York 1987), economista, amico intimo di Albert Einstein: fu consigliere economico della Repubblica di Weimar dal 1920 al 1932 e delegato tedesco alla Conferenza economica mondiale a Ginevra nel 1927. Su invito della Brookings Institution, Nathan raggiunse gli Stati Uniti a metà degli anni Trenta. 9   Gerald Holton (Berlino, 1922), fisico americano, professore emerito di storia della scienza all’Università di Harvard. 10   Einstein Paper Project, www.einstein.caltech.edu. 11   The Collected Papers of Albert Einstein, einsteinpapers.press.princeton.edu. 12   Arthur Stanley Eddington (Kendal, 1882 - Cambridge, 1944), astrofisico inglese. 13   Willem De Sitter (Sneek, 1872 - Leida 1934), matematico, fisico e astronomo olandese; fu docente all’Università di Leida dal 1908 e dal 1918 direttore dell’Osservatorio di Leida, incarico che ricoprì sino alla morte. 7

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I rischi del digitale senza bussola

che potrebbe confutare o approvare la teoria rivoluzionaria: le destinazioni sono Sobral, nella giungla amazzonica brasiliana, e l’isola di Principe, al largo delle coste occidentali africane, nel golfo di Guinea. Il meteo non gioca a favore degli scienziati: alcune nubi disturbano le osservazioni e complicano gli scatti fotografici. Seguono lunghe e pervicaci analisi sulle immagini, la suspence cresce di mese in mese sino a quando, il 6 novembre 1919 nella sede della Royal Society di Londra, il team di ricerca fornisce pubblicamente il responso: Eddington annuncia al mondo che l’esperimento ha confermato la teoria della relatività generale, esclamando il risultato a pochi passi dal ritratto di Isaac Newton, testimone muto della dichiarazione che cambia il paradigma della percezione dell’universo. Sir Arthur Stanley Eddington catalizza l’attenzione di tutto il mondo su Albert Einstein, improvvisamente sotto i riflettori e con un carico di corrispondenza tale da coinvolgere Ilse Löwenthal,14 figlia della sua seconda moglie Elsa15, nella gestione di lettere e documenti: dalla fine del 1919 Ilse Löwenthal imprime alle scombinate carte del genio un primo ordine di sedimentazione e nel 1928 interviene Helen Dukas, che individua alcune regole per l’archivio in formazione. Qualcosa, però, sfugge: le lettere del fisico indirizzate a colleghi, familiari e amici non sono sistematicamente conservate in minuta o trascrizione. Ma non è tutto: quando nel 1933 Elsa e Albert fuggono dalla Germania e raggiungono Princeton per non essere perseguitati dai nazisti, è il marito di Ilse, Rudolph Kaiser,16 che a Berlino salva la documentazione, supportato dell’ambasciata francese. Il materiale raggiunge Princeton e rimane custodito nella casa di Mercer Street dal 1935: è in quei locali che, dopo la morte di Einstein, operano Helen Dukas e Otto Nathan ed è lì che la documentazione triplica di consistenza per l’impegno dei due collaboratori e amici fidati, concentrati nella ricostruzione della rete di corrispondenza. Negli anni Sessanta inizia una nuova fase di interventi, Helen Dukas e Gerald Holton riorganizzano il materiale con l’obiettivo di renderlo accessibile agli studiosi attraverso l’edizione di fonti The Collected Papers of Albert Einstein: per facilitare il lavoro editoriale, i documenti sono trasferiti da casa Einstein all’Institute for Advanced Study di Princeton, dove rimangono per ventisei anni. Nel dicembre 1981, nei giorni prossimi al Natale e con lo sfondo di una Princenton quasi deserta, un cambio repentino di scena:

  Ilse Löwenthal (Hechingen, Baden-Württemberg, 1897 - Parigi, 1934), anche conosciuta come Ilse Einstein, figlia di Rudolf Max Löwenthal e Elsa Einstein-Löwenthal. 15   Elsa Einstein (Hechingen, 1876 - Princeton, 1936), è stata la seconda moglie di Albert Einstein e sua cugina di primo grado. Elsa muore prematuramente nel 1936, nella casa di Mercer Street a Princeton. 16   Rudolf Kayser (Parchim, 1889 - New York City, 1964), storico della letteratura tedesca, autore nel 1930, con lo pseudonimo di Anton Reiser, di una biografia su Albert Einstein. Rudolf sposa nel 1930 Ilse Löwenthal, nel 1935 si trasferisce a New York, dove insegna alla Brandeis University, e nel 1936 sposa in seconde nozze Eva Agathe Urgiß (Berlino, 1911 - New York, 1999), figlia di Ulius Urgiß (Anklam, 1873 - New York, 1948), sceneggiatore, musicista e critico cinematografico ebreo tedesco. 14

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UMANESIMO DIGITALE

Era una notte buia e piovosa. Fermo davanti all’Institute, un grosso camion era sorvegliato da una pattuglia di soldati israeliani ben armati. Passavo di lì per caso e mi sono fermato per osservare cosa stesse succedendo. Non si vedeva nessun altro, ma ero certo che ci fosse anche Helen; è probabile che controllasse le operazioni dalla finestra del suo ufficio all’ultimo piano. In rapida successione, innumerevoli casse di legno vennero trasportate fuori dall’ascensore, oltre la porta d’ingresso e caricate sul camion. I soldati saltarono a bordo e il camion si allontanò nell’oscurità. L’indomani, il fondo era giunto alla sua destinazione ultima, a Gerusalemme. Helen continuò a lavorare nell’Institute; rispondeva alle lettere e sistemava gli scaffali un tempo ricolmi di documenti. Sei settimane dopo quella notte, morì all’improvviso. Non abbiamo mai saputo se avesse avuto una premonizione; aveva comunque fatto in modo che il suo amato archivio fosse in mani fidate prima della sua dipartita.17

Le carte personali raggiungono Gerusalemme: grazie al supporto della Hebrew University e dell’associazione American Friends of The Hebrew University, il corpus è trasferito nella Jewish National & University Library. Negli anni seguenti anche altra documentazione lascia la residenza di Princeton: collezioni personali di ristampe, fotografie, medaglie e diplomi, nonché la biblioteca privata di Albert Einstein: Albert Einstein Archives, soggetto plurale. Nel 1988 gli aspetti gestionali coinvolgono la Dibner Fund18 e nel 2008 la Hebrew University’s Library Authority assume la responsabilità del patrimonio, ospitandolo in una nuova sede nell’edificio Levi del campus Edmon J. Safra.19 Ho iniziato questo paragrafo raccontando del senso di curiosità che ho provato nel decifrare le note a Pensieri di un uomo curioso, tentando di orientarmi fra Archivio Einstein (sic nel volume di Mondadori, soggetto singolare), Collected Papers e Love Letters. Ciò che possiamo dire sugli archivi Einstein, si può trovare al loro interno, ma senza una bussola archivistica l’orientamento è scarno: la digitalizzazione delle carte non è sufficiente per restituire a quel complesso archivistico piena voce, plasmato dagli interventi di Ilse Löwenthal, Helen Dukas, Otto Nathan e Gerald Holton. Operazioni che non si percepiscono dalle immagini in alta risolu-

  Freeman Dyson, Prefazione in Albert Einstein, Pensieri di un uomo curioso, cit., p. 6-7.   Dibner Fund, costituita nel 1957 per volere dell’ingegnere e mecenate Bern Dibner (Kiev, 1897 - Wilton, 1988), tra il 1992 e il 2006 ha contribuito alla realizzazione del Dibner Institute for the History of Science and Technology al Massachusetts Institute of Technology. Sino al 2006, l’Istituto è stato sostenuto da un consorzio composto da MIT, Boston University, Brandeis University e Harvard University: il suo cuore era la Burndy Library, dal patrimonio iniziale di circa 37mila volumi sulla storia della scienza e della tecnologia, raccolti dalla Dibner Fund. La biblioteca, che possedeva anche una vasta collezione di strumenti scientifici, nel 1995 riceve la collezione Babson (600 volumi dedicati a Isaac Newton) e nel 1999 la collezione Volterra, dall’Italia (7mila volumi). Con la chiusura del Dibner Institute nel 2006, il posseduto della Burndy Library è stato trasferito alla Huntington Library di San Marino, in California: l’acquisizione ha reso la biblioteca fra le realtà che conservano il più esteso patrimonio dedicato alla storia della scienza e della tecnologia al mondo. 19   Hebrew University, The Albert Einstein Archives, www.albert-einstein.org. 17 18

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zione pubblicate on line, eppure parti integranti della storia degli Albert Einstein Archives.

11.2  Sulla relatività archivistica «L’archivistica, come la fisica, riesce a interpretare il tempo, perché si nutre di tutti i presenti che hanno costruito gli archivi e li costruiranno»:20 con estrema sintesi, Federico Valacchi in una recente riflessione esprime il significato della relatività archivistica e dell’importanza dei metodi costitutivi delle bussole per archivi. Le vicende che prima ho raccontato non illustrano la struttura degli articolati complessi organizzati definiti Einstein Archives, ma descrivono circostanze e fatti che nel corso del tempo li hanno forgiati: forniscono, se pur con rapide pennellate, un inquadramento sui soggetti produttori – uso il plurale perché, oltre al premio Nobel, la forza aggregativa di alcuni nuclei deriva, per esempio, dall’intervento degli esecutori testamentari e dalle loro operazioni di recupero della corrispondenza – e sulla storia archivistica. Ogni bussola per archivi inizia con questo tipo di indagini, studia il produttore, fa emergere il contesto, le relazioni fra entità da descrivere: un documento non è una monade, ma un atomo di una molecola che deve essere descritta inquadrandola nei presenti che ha vissuto. Certo, chi effettua operazioni descrittive di impianto archivistico e ancor più chi compie azioni di ordinamento – o ri-ordinamento – dovrebbe ricordarsi questa responsabilità: Helen Dukas fu fedele e attenta amica, ineccepibile segretaria, premurosa custode, ma fu affiancata, consigliata, indirizzata da archivisti? La letteratura consultata sul progetto non risponde al quesito, ma attesta un gruppo di lavoro di composto da persone con un elevatissimo grado di competenza sulla materia e di profondissima conoscenza dell’uomo Albert Einstein, scienziato, collega, amico, marito, amante: la scelta dell’edizione di fonti e le esigue informazioni dedicate alle logiche di sedimentazione, ai criteri di ordinamento, allo stato di conservazione e alla struttura degli Albert Einstein Archives fanno propendere per un no di risposta all’interrogativo. La Hebrew University, per penna di Roni Grosz, attuale curatore degli Albert Einstein Archives, oggi dichiara: Dear visitor, […] The Albert Einstein Archives’ website which you are looking at right now will be replaced in the course of 2023 by a newly designed website at www.alberteinstein.info. The delay was caused by budgetary constraints but these have been overcome since. I will inform you on the upcoming change when we get closer to it. After the switch the renewed website will serve as an entry portal to everything

  Federico Valacchi, “Quiddam divinum”: riflessioni sul metodo storico, «Archivi», 15 (2020), 1, p. 69-87.

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Einstein. www.alberteinstein.info whose main function is hosting our catalog for the public is available again. We have set up a temporary website for you where you can search the catalog. We are operating the database underlying the catalog as a joint venture with our partner organization [...]. We are continuously investing huge efforts in improving our database content. We finished adding First Lines, Title and Language to every record (where relevant). We are currently completing the names of all persons relevant to the documents, whether author, receiver or any person mentioned, as well as geographical information [...]. Additionally, we have added digital images to all of our records. Please note that due to contractual constraints not all images can be viewed by clicking on the record but all images can be requested by email. As always, if you have suggestions or want to voice your criticism, please feel free to contact me. 21

Egregia disponibilità, ma traballante vetrina. Colpisce imbattersi nel sito satellite della Hebrew University dedicato agli Albert Einstein Archives: lo stupore deriva dal suo impianto che, per impostazione grafica, struttura e menù fisso, ricorda gli anni Novanta, quasi fosse un viaggio nello spazio-tempo. Relatività e percezioni: tanto coinvolgente è la vetrina dell’Einstein Papers Project e della connessa edizione di fonti The Collected Papers of Albert Einstein, quanto respingente è la porta di ingresso che sul web apre l’accesso alle fonti archivistiche. Un merito, però, deve essere riconosciuto al sito: la Folder list22 è l’unica testimonianza che rappresenta una struttura logica di organizzazione del complesso archivistico, se pur distante dagli standard internazionali di descrizione archivistica e dalla restituzione di uno strumento inventariale. E dopo un merito, una giustificazione: il sito è dichiaratamente provvisorio, per quanto abbia questa forma da lungo tempo, e l’Archives’ Holdings Database, primigenia bussola internauta disponibile al pubblico ancora prima che l’Einstein Papers Project balzasse agli onori della cronaca una decina di anni fa, tornerà accessibile nei prossimi mesi, o almeno così è dichiarato. L’articolo de «Il Sole 24 ORE» richiamato nell’incipit di questi ragionamenti è un esempio dell’enfasi comunemente dedicata alla fruibilità degli archivi: schiaccia l’acceleratore su due aspetti, Internet e digitalizzazione. Eppure è nel metodo descrittivo, nella resa dei contesti, delle strutture, delle relazioni che si espleta la tutela, l’accessibilità e la promozione delle risorse archivistiche. Estremizzando, la digitalizzazione è un di cui, pregevole e utile ma non sostanziale per gli archivi storici: se digitalizzo una lettera di Albert Einstein e non la inserisco in un reticolo strutturato di informazioni, non amplifico il suo potenziale, lo depaupero. Il rischio aumenta esponenzialmente in un contesto di transizione digitale, quello in cui oggi viviamo: se pensiamo a chi oggi sarà premio Nobel della fisica di domani,   Albert Einstein Archives, www.albert-einstein.org (sino alla stampa di questo volume, la home page risulta aggiornata alla data 2 gennaio 2023). 22   Albert Einstein Archives, Folder list, www.albert-einstein.org/userguide_toc.html. 21

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dobbiamo considerare che gli alias di Ilse, Helen e Otto gestiranno testimonianze sempre meno tangibili e sempre più evanescenti, con ulteriori rischi di dispersione e obsolescenza. Qui entrano in gioco gli archivisti, ma alcuni interrogativi sorgono spontanei: chi lo sa? E ancora, noi archivisti siamo realmente preparati a conciliare le legittime esigenze di promotori, eredi, committenti, conservatori e pubblici differenti nel rispetto di azioni scientifiche sul “bene archivio”? Sappiamo comunicare la caleidoscopica utilità del nostro mestiere? Si tratta di manutenzione della nostra professione e dei suoi strumenti.23 Suppongo non sia un caso che anche l’archivio di un premio Nobel italiano, Giulio Natta, abbia subìto un trattamento descrittivo e di ordinamento non condotto da un gruppo interdisciplinare composto anche da archivisti oltre che da eccellenti chimici e docenti universitari. Dopo la notifica di interesse storico della Soprintendenza archivistica di competenza territoriale, per qualche anno osservai da vicino le vicende dell’archivio Natta:24 con rammarico, constatai la preferenza verso un’operazione di digitalizzazione e la realizzazione di un sito – nota di colore: oggi il sito Giulio Natta Archive ha un sapore vintage simile a quello del sito Albert Einstein Archives in dismissione – rispetto alla produzione di un strumento di ricerca, conforme agli standard di descrizione archivistica e derivato da una banca dati, magari realizzabile con un software open source. Quella bussola inventariale avrebbe consentito l’associazione di immagini, la descrizione del soggetto produttore e delle strutture del complesso, l’illustrazione della storia archivistica, sino a raggiungere la schedatura delle unità archivistiche e avrebbe potuto spingersi, con tempi e investimenti adeguati, anche alla schedatura delle singole unità documentarie. Purtroppo – avverbio che esprime il mio sentire – si scelsero gli atomi, non le molecole: quella scelta oggi consente di navigare in gruppi tematici di immagini che rappresentano una selezione di documenti prodotti e raccolti dall’inventore del neo propilene, ma non forniscono segnature e contesto, sono privi dei riferimenti al ramo a cui quelle foglie appartengono, in un albero senza radici. Per i custodi dell’archivio Natta era urgente offrire immagini, non una mappa di navigazione universale, in grado di soddisfare pubblici diversi. Digitalizzazioni di questo tipo appagano solo apparentemente e parzialmente un bisogno urgente: vedo e decifro la pagina dell’agenda in cui Giulio Natta annotò «Fatto il polipropilene», ma non trovo strumenti per comprendere come il chimico arrivò a quella scoperta, perché l’annotò su una agenda, con chi lavorò e cosa produsse oltre a quell’appunto. Ciò che possiamo dire su un archivio è nell’archivio e nelle sue relazioni, ma senza bussole nessun archivio parla.   Richiamo le riflessioni del volume Dimensioni archivistiche. Una piramide rovesciata, a cura di Lorenzo Pezzica e Federico Valacchi, Milano, Editrice Bibliografica, 2021; sull’evoluzione degli standard di descrizione archivistica segnalo Descrivere gli archivi al tempo di RIC-CM, a cura di Giorgia di Marcantonio e Federico Valacchi, Macerata, EUM, 2018; sull’identità e l’evoluzione della figura dell’archivista, segnalo Paola Ciandrini, Lo zen e l’arte della manutenzione dell’archivistica. Ibridi e resilienti, «JLIS.it», 9 (2018), 3, p. 171-199. 24   Giulio Natta Archive, www.giulionatta.it. 23

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L’appeal della pubblicazione degli strumenti di corredo – anche realizzati con modalità digitali, con immagini associate e fruibili on line – sembra perlopiù ricadere nella sfera di interesse degli archivisti e degli organismi di vigilanza e tutela, le Soprintendenze e le strutture preposte del Ministero della Cultura: eppure, senza bussole, senza mappe, qualsiasi individuo è disorientato nell’immergersi in un terreno poco noto o addirittura sconosciuto. La tutela dei beni culturali, archivi compresi, parte dalla descrizione, Codice dei beni culturali e del paesaggio docet: l’applicazione di regole condivise e sistematiche per la descrizione non solo pone in sicurezza quelle entità complesse che sono gli archivi, ma permette anche di renderli accessibili, promuoverli e valorizzarli come beni della collettività. Consente di conoscerli e farli conoscere. Dalla descrizione derivano tutte le azioni possibili di conservazione e di fruizione, non si scappa: perché, allora, manca l’appeal? In cosa sbagliamo, noi archivisti e, più estensivamente noi operatori dei beni culturali? Se abbiamo riferimenti disciplinari e metodologici, se abbiamo strumenti e tecnologie, forse allora i quattro assi che mancano al nostro mazzo di carte sono capacità progettuale non autoreferenziale, competenze di fundraising, confronto costante con la rete professionale e strategie di comunicazione. Questi tasselli non sono frutto di un elenco emotivo: sono rare le eccezioni di percorsi archivistici di formazione universitaria o della sfera delle scuole degli archivi di Stato che propongono insegnamenti di questo tipo.25 «Perché questa stupenda scienza applicata che risparmia lavoro e rende la vita più facile ci porta così poca felicità? La risposta è semplice: perché non abbiamo ancora imparato a farne un uso assennato»:26 mutatis mutandis, le parole di Einstein richiamano nel mio pensiero l’importanza di fornire cassette per gli attrezzi, utensili, esempi e istruzioni. Unire Cultura e Scultura, come da proposito del sogno di Luciano di Samosata da cui è partito questo nostro breve percorso a tappe dedicato all’umanesimo digitale. DOI: 10.53134/9788893574365-155

  La riforma delle scuole di Archivistica, paleografica e diplomatica degli archivi di Stato introduce un timido accenno alla questione; si veda il decreto del Ministero della Cultura del 1° ottobre 2021, n. 241, Regolamento concernente le funzioni, l’organizzazione e il funzionamento delle Scuole di archivistica, paleografia e diplomatica degli archivi di Stato, in attuazione dell’articolo 9, commi 3 e 4, del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368. 26   Albert Einstein, Pensieri di un uomo curioso, cit., p. 128; il frammento è tratto da un discorso tenuto da Einstein al California Institute of Techology di Pasadena nel febbraio del 1931, pubblicato parzialmente nel «New York Times», 17 febbraio 1931, p. 6. 25

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12.  RIFLESSIONI DA UN PING Roberta Maggi

Le dense pagine di questo volume miscelano punti di vista, saperi, esperienze, competenze. Si assapora l’aspirazione a sconfiggere la solitudine del ricercatore e il gusto di progettare e costruire utensili – cose utili da usare, come il libro esprime e come ci ricorda la sua curatrice – per esigenze comuni, collettive, non solo individuali. Proprio quest’anno, nel 2023, il Consiglio nazionale delle ricerche celebra cent’anni dalla sua fondazione:1 ci aspettano mesi di appuntamenti, fermenti, fatiche, soddisfazioni, impervietà. Desidero ricordare un evento che ha segnato la storia del CNR – e quella di tutti noi – ricorrendo a un “ping”, quattro lettere digitate su una tastiera, rappresentate su un video e seguite da un “invio” per esprimere un comando. Erano le ore 18 del 30 aprile del 1986: con quel “ping” il CNUCE, il Centro nazionale universitario di calcolo elettronico del CNR, sfruttava un’antenna parabolica di trenta metri di diametro ospitata dalla stazione di Telespazio del Fucino e, servendosi di SATNET (SATellite NETwork) e un collegamento a 64KB, si connetteva a Roaring Creak in Pennsylvania e atterrava su Arpanet, la tela di ragno fra università nata negli Stati Uniti nel 1969. Per chi non avesse vissuto quei momenti o per chi desiderasse ricordare quella fucina di pensieri e azioni, segnalo l’interessante documentario di Riccardo De Luna e Alice Tomassini Login. Il giorno in cui l’Italia scoprì Internet, prodotto da RaiCultura e disponibile online. Online: in una formula della nostra quotidianità vive tutta la forza di quella rivoluzione. Torno al cambiamento epocale di quel “ping”, una rivoluzione affrontata con urla di giubilo in sordina: dal 26 aprile di quell’anno, infatti, la cronaca internazionale fu concentrata sull’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl. Quando si dice l’intreccio degli eventi. Da una parte capacità dell’uomo di progettare, governare e sfruttare tecnologie, dall’altra incapacità, incuria e sopraffazione. Da quella connessione – e anche grazie a quella connessione – comunità scientifica e società accelerano le riflessioni sulla condivisione di informazioni. A partire da quel momento di oltre trent’anni fa, gradualmente e costantemente assistiamo a un’evoluzione che comprende anche le nostre consuetudini per la formazione, l’accesso, l’usabilità e la conservazione di documenti. E, presto, le riflessioni hanno coinvolto anche gli strumenti per la ricerca, dai cataloghi delle biblioteche agli strumenti di corredo per gli archivi e alle descrizioni del patrimonio culturale. Il mio commento non può che partire da qui: tecnologia, sistemi, reti applicati ai beni culturali e rivolti al pubblico. Tecnologia, sistemi e reti pensati da persone per   CNR, 1923-2023 La ricerca venuta dal futuro, www.centenario.cnr.it.

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altre persone, per comunità. Come biologa di formazione prestata al mondo biblioteconomico – quel mondo e io ci siamo reciprocamente adottati – ho vissuto quegli anni e tutte le innovazioni che da quegli anni sono scaturite nel campo dei servizi offerti dalle biblioteche. Innovazioni di strumenti e innovazioni di pensieri, in continuo e fruttuoso cortocircuito. In questo libro ricorrono spesso la parola design e il sotteso concetto di socializzazione delle risoluzioni, evocazioni che mi hanno ricordato «il linguaggio delle cose»: […] è il design che può fornire i mezzi per creare un senso di identità – civico, collettivo o personale. […]. Certo, non conta solo quel che il design significa – il suo “perché”, per così dire. Il suo “come” costituisce un modo altrettanto formidabile per capire il mondo fisico, materiale – non da ultimo perché le tecnologie e le tecniche continuano ad espandersi ed evolversi. Dalla combinazione del contesto culturale in cui il design opera otteniamo un modo particolarmente efficace di guardare il mondo e di comprenderlo. Il design ha anche un altro tipo di risonanza. Non dimentichiamo che il buon design è anche un piacere di per sé. […] E così l’eleganza con cui un software interagisce con i suoi utenti. Il design è usato per dar forma alle percezioni con cui comprendiamo gli oggetti. Talvolta è una questione di comunicazione diretta: per usare una macchina, si deve capire intuitivamente che cos’è, e come farle fare quello che si vuole che faccia. […] È un linguaggio che si evolve e che modifica i propri significati con la stessa rapidità di ogni altro linguaggio. Può essere manipolato con sottigliezza e ingegno, o con la mano pesante dell’ovvietà. Ma è la chiave che ci permette di comprendere il mondo fatto dall’uomo.2

Sottigliezza e ingegno contro ovvietà, ergonomia e funzionalità contro dispersione di forze e scarse prestazioni: quotidianamente, contribuendo al lavoro di gruppi che progettano e sviluppano soluzioni informatiche applicate a ciò che definiamo “collettori di patrimoni di beni culturali”, faccio i conti con l’ago di una bilancia che desidera pervicacemente essere favore degli utenti. A favore di chi contribuisce al popolamento di quei collettori e di chi – spesso inconsapevole di tutte le dinamiche del “dietro le quinte” – usa quegli strumenti. Non è una mera questione di tecniche, ma come scrive Francesca Tomasi nel suo contributo si tratta di «un processo, che vede dati, persone, oggetti, teorie e strumenti cooperare adottando nuove metodologie per garantire il dialogo e lo scambio all’interno di un ecosistema». In questa postfazione, lo spazio che per definizione commenta e trae conclusioni, ho scelto di parlare di un inizio, il debutto di quel “ping” che ha contribuito all’avvento di Internet, il maggior fautore dell’infosfera, un’altra locuzione che anima questo libro e che fa eco alle teorie di Luciano Floridi. Nello stesso anno della connessione prodroma di Internet e dello sciagurato incidente nucleare, il premio

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  Dayan Sudjic, Il linguaggio delle cose, Roma-Bari, Laterza, 2008, p. 37-38.

Riflessioni da un ping

Nobel per la medicina fu assegnato a Rita Levi Montalcini e al biochimico Stanley Cohen, scopritori del Nerve Growth Factor, la proteina NGF che ha rivoluzionato la conoscenza del sistema nervoso e di malattie come cancro, Alzheimer e Parkinson. Ebbene, in un’intervista del 2008, alla domanda su quale fosse la più grande scoperta del Novecento, la scienziata Rita Levi Montalcini rispose al giornalista: «E me lo chiede? Internet». Richiamo, in chiusura, un breve passaggio di Umanesimo digitale che ha fatto vibrare armonicamente le corde della mia formazione da biologa insieme a quelle di operatrice nell’ambito delle scienze documentarie latu sensu. Per contestualizzare gli utensili dedicati all’umanesimo digitale, Paola Ciandrini richiama la teoria di Leroi-Gourhan: l’Homo sapiens non usa strumenti nuovi perché ha un cervello più grande di altri ominidi o primati, ma il suo cervello si sviluppa perché è costantemente in esercizio, perché progetta, costruisce e usa strumenti per risolvere problemi – in altre parole, per vivere meglio il mondo che ha intorno e le relazioni con altri individui. Una mente che evolve in un corpo che evolve, attraverso esperienze. Ricordiamoci dei due cervelli che vivono in ciascuno di noi. Nell’ippocampo abbiamo un cervello arcaico, fermo nella sua evoluzione da tre milioni di anni, molto vicino a quello dell’Homo sapiens e dei mammiferi: è lui che controlla le emozioni, che ci fa reagire all’ambiente, alle ostilità. Il cervello primordiale, potremmo dire. Poi abbiamo un cervello cognitivo, nato con il linguaggio e che in “soli” 150mila anni ha vissuto uno sviluppo straordinario, «specie grazie alla cultura» commentava Rita Levi Montalcini. È proprio quest’ultimo il cervello che sviluppa mindtool, gli strumenti di costruzione della conoscenza con i quali, e non solo dai quali, impariamo. Per tornare alle parole della curatrice, «ragionare sull’evoluzione della cassetta degli attrezzi a nostra disposizione aiuta la comprensione del contesto digitale in cui siamo immersi»: in questo orizzonte, da ligure e con linguaggio marinaro, auguro buon vento alle ricerche di tutti gli autori coinvolti da Umanesimo digitale e a ogni lettore, con la speranza che questo libro diventi un maneggevole utensile delle nostre cassette degli attrezzi. Per apprendere e applicare approcci, metodi e tecniche, in officina prima, come cinghia di trasmissione poi.

DOI: 10.53134/9788893574365-163

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GLI AUTORI

Alessandro Alfier - Archivista informatico, attualmente impegnato in un progetto di ricerca dedicato a un’analisi del documento digitale nell’ambito del XXXV ciclo di dottorato dell’Università La Sapienza. È membro del tavolo di esperti del progetto Archivio nazionale informatizzato dei registri dello stato civile, coordinato dal Dipartimento della trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dal 2017 opera presso la Direzione dei sistemi informativi e dell’innovazione del Ministero dell’economia e finanze, occupandosi di gestione e conservazione degli archivi digitali. Tra 2009 e 2017 ha operato per ParER, il Polo archivistico della regione Emilia-Romagna, occupandosi di conservazione della documentazione sanitaria digitale. È stato docente a contratto del master FGCAD Formazione, gestione e conservazione di archivi digitali dell’Università di Macerata. Paola Ciandrini - Archivista di formazione e professione, dottoressa di ricerca in Studi linguistici, filologici e letterari con indirizzo in Memorie e Digital Humanities, è docente delle Scuole di archivistica, paleografia e diplomatica degli Archivi di Stato di Milano e Modena e del master FGCAD – Formazione, gestione e conservazione di archivi digitali dell’Università di Macerata. Le sue linee di ricerca sono dedicate a progettazione e sviluppo di sistemi per la gestione documentale e a metodi e strumenti per la valorizzazione di archivi storici. È assegnista di ricerca nell’ambito del progetto Portale delle fonti per la storia della Repubblica italiana (CNR - IMATI) e membro del tavolo di esperti del progetto Archivio nazionale informatizzato dei registri dello stato civile coordinato dal Dipartimento della trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Responsabile e curatrice del progetto e del collettivo Ibridamente, è autrice della collana In Archivio di Editrice Bibliografica e collabora con realtà pubbliche e private. Francesco Del Castillo - Dottore di ricerca in matematica e archivista diplomato alla Scuola di archivistica, paleografia e diplomatica dell’Archivio di Stato di Torino e al master FGCAD Formazione, gestione, conservazione di archivi digitali dell’Università di Macerata, è funzionario del Servizio sistemi informativi e archivistici della Città di Rivoli con profilo di specialista informatico e della transizione digitale. Precedentemente ha svolto mansioni dedicate alla gestione documentale per l’Istituto degli Innocenti di Firenze. Nel 2022 è stato membro della task force dedicata alle azioni di digitalizzazione, monitoraggio e performance del Piano nazionale di ripresa e resilienza per i 46 comuni della provincia di Piacenza. Ideatore e curatore di larchivistadigitale.it, dal 2021 è membro del collettivo Ibridamente.

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Gli autori

Roberta Maggi - Laureata in scienze biologiche all’Università di Genova, dal 1994 opera nel Servizio di Documentazione Scientifica dell’Area della ricerca di Genova del CNR – Consiglio nazionale delle ricerche, dal 2009 come responsabile. È membro del Comitato di coordinamento permanente per la gestione delle biblioteche del CNR e coordina alcuni gruppi di lavoro, fra cui quello dedicato alle Acquisizioni centralizzate e Open Access. Per il suo istituto di afferenza, IMATI, l’Istituto di matematica applicata e tecnologie informatiche Enrico Magenes, coordina le attività dedicate alla progettazione e sviluppo di una piattaforma per la gestione e la descrizione di beni culturali, sia per il progetto DigitXL sia per il progetto Portale delle fonti per la storia della Repubblica italiana. Herbert Natta - Assegnista di ricerca in Digital Humanities (CNR - IMATI, come membro gruppo di lavoro per il progetto Portale delle fonti per la storia della Repubblica italiana) e consulente GIS. Collabora con l’Università degli studi di Roma La Sapienza (Dipartimento PDTA) e ha lavorato con università e centri di ricerca (Università di Siegen, CNR, Human Ecosystem Relations, Spin Unit) come analista dati e sviluppatore di strumenti digitali per l’elaborazione di mappe e la visualizzazione di dati. I suoi principali interessi di ricerca riguardano la relazione tra lingue, culture e spazio, con particolare attenzione ai contesti urbani e alla mappatura di fenomeni culturali. Ha pubblicato Topologia del discorso letterario periferico (Meltemi, Milano, 2019) e alcuni articoli su tecnologie digitali e cartografia (Digital Urban Narratives: the image of the city in the age of big data - Mappare per perdersi: intelligenza artificiale e immaginazione cartografica) e su lingue minoritarie, letteratura elettronica e studi urbani. Salvatore Maria Pisacane - Assegnista di ricerca in Metodologia della scienza giuridica, Program Manager e dottore di ricerca in Diritto e Impresa presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Luiss Guido Carli. Premio Tesi d’eccellenza Luiss in Giurisprudenza per l’A.A. 2015-16. La sua attività di ricerca verte principalmente sul rapporto tra diritto, economia ed etica, nonché sui temi dell’innovazione, della sostenibilità e dell’etica pubblica, con particolare attenzione alla ristrutturazione dei paradigmi contemporanei sul piano giuridico-economico, politico e sociale. Cecilia Tamagnini - Laureata in Conservazione dei beni culturali con indirizzo archivistico, diplomata alla Scuola di archivistica, paleografia e diplomatica dell’Archivio di Stato di Modena, della Scuola di specializzazione per archivisti e bibliotecari dell’Università La Sapienza e del master FGCAD Formazione, gestione e conservazione di archivi digitali. Tra 2002 e 2010 ha realizzato attività didattiche per l’Archivio storico comunale di Carpi e dal 2011 al 2018 ha curato la gestione dei processi di conservazione per enti pubblici per ParER, il Polo archivistico della regione Emilia-Romagna. Attualmente è funzionaria archivista per il Ministero della cultura presso l’Archivio di Stato di Mantova, in cui è anche docente della

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Scuola di archivistica, paleografia e diplomatica. Dal 2021 è membro del collettivo Ibridamente. Francesca Tomasi - Professoressa associata in Archivistica, Bibliografia e Biblioteconomia all’Università di Bologna, si occupa di informatica umanistica e Digital Humanities, con un’attenzione speciale alla modellazione di testi e documenti nel solco dei sistemi di organizzazione della conoscenza in biblioteche e archivi digitali. Coordina il dottorato in Patrimonio culturale nell’ecosistema digitale ed è direttrice di DH.ARC Digital Humanities Advanced Research Centre, entrambi presso l’Università di Bologna, ateneo in cui ha fondato ed è stata coordinatrice del corso di laurea magistrale internazionale in Digital Humanities and Digital Knowledge. È stata presidente dell’AIUCD, l’Associazione per l’informatica umanistica e la cultura digitale. Federico Valacchi - Professore ordinario in Archivistica e Archivistica informatica all’Università di Macerata e presidente di AIDUSA, l’Associazione italiana dei docenti universitari di archivistica. I suoi principali ambiti di ricerca indagano il rapporto fra tecnologie dell’informazione e archivi, con particolare riferimento al web e alle problematiche di conservazione di lungo periodo del documento informatico. Più recentemente si è interessato di dimensione pubblica e politica dell’archivistica, valutando i concetti di archivistica attiva e public archival science. È ideatore e moderatore del gruppo ArchivisticaAttiva. Ibridamente - Nato nel 2018 nell’ambito dei “cantieri” del master FGCAD dell’Università di Macerata, il progetto si è sviluppato in sinergia con il curriculum Memorie e Digital Humanities del XXXIV ciclo di dottorato in Studi linguistici, filologici e letterari dello stesso ateneo, su iniziativa e coordinamento di Paola Ciandrini. Dal 2021 Ibridamente è un progetto partecipativo e collettivo improntato all’offerta di una filiera di servizi di matrice archivistica per realtà pubbliche e private (seminari e occasioni formative, consulenze, realizzazione di streaming, documentari e contributi multimediali): obiettivo di Ibridamente è diffondere “cassette degli attrezzi” per la cultura e la consapevolezza digitale, rivolte sia ad addetti ai lavori sia a pubblici non specialistici. Dal 2021, accanto a Paola Ciandrini, Francesco Del Castillo e Cecilia Tamagnini, hanno contribuito a Ibridamente Ilaria Cristallini, Francesco Lattanzi, Michela Molitierno e Michela Nigris. Promemoria - Promemoria e Ibridamente collaborano da tempo per trovare le domande e indagare sulle risposte e le soluzioni migliori nell’ambito di archivi e beni culturali. Un confronto attivo, all’interno del quale Promemoria è felice di sostenere questo volume. La realtà degli archivi è più dinamica di quanto possa sembrare a chi la osserva da fuori: le sfide sono nuove e il digitale rivoluziona giorno dopo giorno il settore. Parlare e confrontarsi in tema archivi e umanesimo digitale coinvolgendo anche i non addetti ai lavori è una delle sfide che ci piace affrontare. 168

studi e ricerche / 3 L’uomo al centro e il digitale a servizio dell’uomo: tecnologie come strumenti cognitivi, mind tools con i quali, e non solo dai quali, impariamo. Riflettendo su approcci, metodi, tecniche dell’umanesimo digitale, il volume presenta una “cassetta degli attrezzi” che offre utensili – cose utili da usare – concepiti da un laboratorio improntato all’ibridazione. Le sezioni del libro corrispondono a tappe di un percorso di contaminazioni disciplinari: L’ingresso dell’officina propone una bussola per orientarci nella definizione di Digital Humanities; Dentro l’officina incarna la fucina di ragionamenti sulle ripercussioni del “pensare e fare” digitale e sull’ergonomia delle tecnologie; infine, la sezione Cinghie di trasmissione è dedicata all’analisi di casi e alla socializzazione di alcune risoluzioni di matrice archivistica. Un’opera collettiva che prova a rappresentare la “bottega digitale umanistica” come catalizzatrice di conoscenze, competenze e abilità differenti. Con i contributi di – in ordine di intervento – Francesca Tomasi, Federico Valacchi, Herbert Natta, Salvatore Maria Pisacane, Alessandro Alfier, Cecilia Tamagnini, Francesco del Castillo e Roberta Maggi.

PAOLA CIANDRINI

Archivista di formazione e professione, dottoressa di ricerca in Studi linguistici, filologici e letterari con indirizzo in Memorie e Digital Humanities, è docente delle Scuole di archivistica, paleografia e diplomatica degli Archivi di Stato di Milano e Modena e del master FGCAD – Formazione, gestione e conservazione di archivi digitali dell’Università di Macerata. Le sue linee di ricerca sono dedicate a progettazione e sviluppo di sistemi per la gestione documentale e a metodi e strumenti per la valorizzazione di archivi storici. È assegnista di ricerca nell’ambito del progetto Portale delle fonti per la storia della Repubblica italiana (CNR - IMATI) e membro del tavolo di esperti del progetto Archivio nazionale informatizzato dei registri dello stato civile coordinato dal Dipartimento della trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Responsabile e curatrice del progetto e del collettivo Ibridamente, è autrice della collana In Archivio di Editrice Bibliografica e collabora con realtà pubbliche e private.