Terapia del lutto. La cura delle perdite significative 8866522945, 9788866522942

"Occorre evitare di morire con ciò che muore trasformando ciò che rimane in una nuova forma di vita". In quest

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Terapia del lutto. La cura delle perdite significative
 8866522945, 9788866522942

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Edoardo Giusti - Anna Milone

Terapia del lutto La cura delle perdite significative

.,?oVERA

EDIZIONI

Ai miei affetti più cari che lasciano un' impronta indelebile sul mio cammino

©

2015

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I

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Sommario

Presentazione

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PRIMA PARTE: Il lutto - teorie cliniche e scientifiche

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Capitolo primo: I modelli teorici di riferimento nel lutto 1 . 1 Modello psicodinamico psicoanalitico 1 .2 Modello cognitivo comportamentale 1 . 3 Modello umanistico esistenziale 1 .4 Modello sistemico relazionale 1 .5 Modello biofunzionale corporeo 1 .6 Modello pluralistico integrato

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Capitolo secondo: Neuropsicologia e cura degli eventi luttuosi 2. 1 La base neurobiologica della perdita 2.2 Elementi psicologici negli eventi luttuosi 2.3 Fattori stressanti e sociali nella cura 2.4 Il disturbo da lutto nel D SM V

31 31 34 37 38

Capitolo terzo: Principi di base per l'accompagnamento clinico 3 . 1 Effetto matrioska- contenere chi contiene 3 . 2 I gruppi di mutuo aiuto per le persone in lutto

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SECONDA PARTE: Trattamento del lutto nel ciclo

di vita

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Capitolo quarto: Interventi per il lutto infantile 4. 1 Le reazioni psicologiche in età evolutiva 4.2 La perdita di un genitore

51 51 52

5

4.3 La comunicazione della morte 4.4 Morti traumatiche e reazioni del bambino 4.5 Reazioni della figura genitoriale e gli effetti sul bambino

Capitolo quinto: Interventi per il lutto di adolescenti 5 . 1 L'età del cambiamento: il lutto simbolico e il lutto reale 5 . 211 ruolo della famiglia 5 . 3 Il senso di appartenenza e l'adolescente 5 . 4 Psicopatologia e rischi evolutivi 5 . 5 Psicoterapia del lutto con il bambino e l' adolescente 5.6 Psicopatologia e lutto in età precoce

54 56 58

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Capitolo sesto: Interventi con adulti 6. 1 Perdere l'amore: la morte del partner 6.2 La morte di un figlio 6.3 Perdere la figura di attaccamento 6.4 Trattamenti delle perdite degli anziani

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Capitolo settimo: Interventi con le perdite inattese 7 . 1 11 suicidio 7.2 Lutto e omicidio 7 . 3 L' aborto e il lutto 7.4 La morte di un animale da compagnia

101 101 l 05 1 07 1 09

Conclusioni

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Bibliografia

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Presentazione

Che cosa non mi piace della morte? Forse l'ora Woody Allen Con il termine lutto (dal latino luctus, "pianto", lugere, "piangere ed essere in lutto") s ' intendono sia l' insieme delle reazioni psicologiche e dei comportamenti individuali che si sperimentano a causa della perdita di una persona significa­ tiva sia i rituali collettivi e le pratiche sociali e pubbliche che vengono svolte nelle diverse culture intorno all' evento della morte (Crozzoli Aite 2003). Secondo le parole di De Martino occorre "evitare di mo­ rire con ciò che muore, facendolo invece morire in noi tra­ sformando ciò che rimane della persona defunta a livello sia individuale sia sociale in qualcosa che si possa nuovamente investire nella vita" (Gullotta 200 1 ) . Il seguente testo s i pone ali' interno della biografia clinica e vuole essere uno strumento diagnostico e di intervento ri­ spetto alla cura delle perdite significative che attraversano il ciclo vitale dell' individuo. Buona lettura

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PRIMA PARTE Il lutto - teorie cliniche e scientifiche

Capitolo primo I modelli teorici di riferimento nel lutto

Stat sua cuique dies "ad ognuno è fissato il suo giorno" Virgilio, Eneide

1.1 Modello psicodinamico psicoanalitico Freud coglie un' ambivalenza dell' uomo nel rapporto con la morte; da un lato sembrerebbe riuscire a confrontar­ si con una morte astratta, impersonale, accettata in quanto evento naturale, dall' altra la sua struttura psichica si rivele­ rebbe incapace di accogliere e integrare l ' idea della propria morte. In "Lutto e melanconia" del 1 9 1 5 Freud utilizzò il lutto come una metafora per elaborare una teoria interpretativa dei fenomeni depressivi, legati non solo alla perdita di una persona amata, ma anche a quella di un oggetto interno si­ gnificativo, ovvero dell' immagine interiorizzata di un altro essere umano. È proprio a partire da "Lutto e melanconia" che la rifles­ sione psicoanalitica inizia a porre in stretta relazione la de­ pressione e il lutto. La reazione soggettiva alla perdita di una persona cara è descritta da Freud come un doloroso stato d' animo caratte­ rizzato dal venir meno dell' interesse per il mondo esterno, dall' impossibilità soggettiva di accedere a un nuovo oggetto d' amore e dall' avversione per ogni attività che non si ponga in connessione con la memoria del defunto. Punto fondamentale della riflessione freudiana è la con­ statazione che il lutto è una condizione psichica in cui il sog-

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getto è costretto a subire il distacco da un oggetto su cui ha fatto investimenti libidici. In quest' ottica il lavoro del lutto si configura come lento e faticoso processo di ritiro della libido dall' oggetto perduto per poter rendere successivamente disponibile l' energia psi­ chica per nuovi investimenti oggettuali. Tale ritiro o disinvestimento è la caratteristica centrale che per Freud assume la dinamica intrapsichica sollecitata dalla situazione luttuosa. Il disinvestimento libidico con la persona scomparsa è però un lavoro gravoso per la psiche e per questo sempre evitato e differito. Tale evitamento consente al soggetto di negare e allontanare la realtà della propria perdita e, al contempo, di continuare ad alimentare il rapporto con chi è scomparso attraverso la costruzione del proprio mondo inter­ no in una sorta di suo simulacro. Si tratta della creazione di un oggetto sostitutivo con cui il soggetto s' identifica e che in seguito incorpora facendolo diventare parte del proprio lo. Freud propone una visione del lutto in cui il processo psi­ chico innescato dalla perdita determina un passaggio dal rap­ porto con l' oggetto all' identificazione con esso, dall' amore alla sua incorporazione. Freud non fa coincidere i disturbi depressivi (melanco­ nia) con il lutto. Nei primi, secondo Freud, sarebbe centrale il ruolo svolto dal narcisismo del soggetto e dalla sua inca­ pacità di accettare il vissuto della perdita e ciò indurrebbe a un' incorporazione di tipo orale dell' oggetto perduto. In questo processo l ' Io melanconico sarebbe indotto all'identi­ ficazione con l' oggetto incorporato, vissuto però come ostile perché abbandonico. In ragione di questa ostilità l' ogget­ to portato all' interno aggredirebbe l'Io attraverso l' azione dell' istanza superegoica. L'Io del soggetto che sperimenta la perdita diverrebbe così oggetto delle accuse rivolte in origine all'oggetto con

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il quale si è identificato. Ciò determinerebbe nel soggetto un crollo della stima di sé, il sorgere di autoaccuse e un bisogno di autopunizione. È come se l' ombra dell' oggetto perduto ricadesse sull'Io. Alla luce di quanto detto, è importante distinguere i feno­ meni depressivi da quelli luttuosi. Mentre nel lutto sarebbe sempre presente la perdita reale dell' oggetto, la depressio­ ne, pur potendo derivare da un fenomeno simile, sarebbe più spesso collegata alla perdita immaginaria di un oggetto, per­ cepita inconsciamente. I fattori comuni tra le due condizioni risiederebbero nel­ la deflazione dell' umore, nel ritiro dell' interesse dal mondo esterno, nell' inibizione dell' attività e nella perdita della ca­ pacità di amare. Tipici del melanconico sarebbero la deflazione della stima di sé, la presenza di autoaccuse e il bisogno delirante di au­ topunizione, che in "Lutto e melanconia" Freud chiama l 'i­ dentificazione con l 'oggetto perduto, che sarebbe precursore di una condizione di lutto patologico. Infatti questa identifi­ cazione, secondo Freud, apporterebbe ad una incorporazione dell' oggetto perduto indirizzando in tal modo ogni critica verso se stesso. Questa incorporazione porterebbe, secondo lo stesso autore, ad una regressione narcisistica dell' Io tipica della fase orale dello sviluppo. In sintesi il sistema teorico freudiano si articola in questo modo: perdita dell' oggetto amato, ritiro della libido dall' og­ getto, collera verso l ' oggetto, regressione narcisistica dell'Io e ritorno alla fase orale. Affrontando il modello psicoanalitico n eU' elaborazione del lutto è impossibile non considerare il punto di vista teo­ rico di Melanie Klein, la quale fa coincidere il dolore della perdita con le fantasie inconsce di aver perso con quella per­ sona amata anche gli oggetti buoni interni. Infatti, secondo la Klein, l ' elaborazione del lutto e la ricostruzione del proprio

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mondo interno sarebbero possibili solo se il soggetto nella primissima infanzia è divenuto in grado di consolidare i pro­ pri oggetti buoni interni. Uno dei pericoli più significativi, secondo la Klein, per un' elaborazione normale del lutto è il senso di odio nei con­ fronti della persona perduta, odio che spesso rischia di tra­ sformarsi in un "persecutore" interferendo così nel processo di idealizzazione, tappa essenziale sia nel decorso del lutto e sia nel processo di sviluppo psichico. 1.2 Modello cognitivo comportamentale Il Modello cognitivo comportamentale appartiene a quel­ la branca della psicologia che potremmo definire Psicologia Sperimentale basandoci particolarmente sulla Teoria dell' Ap­ prendimento Sociale. Infatti, secondo questa teoria, tutti i comportamenti disa­ dattivi sono determinati non solo dai cambiamenti compor­ tamentali dell' individuo, ma anche e soprattutto dai fattori ambientali, per cui potremmo quasi definire il terapeuta co­ gnitivo comportamentale un risolutore di problemi, in quan­ to il trattamento indica un' analisi dettagliata e continua di ogni singolo problema portato in terapia dal cliente. Il fondatore del Metodo cognitivo comportamentale è J. Watson, il quale nel 1 9 1 3 fonda il movimento del behaviou­ rismo o comportamentismo. L' obiettivo di Watson era quello di elevare la psicologia a scienza del comportamento rifiutando, in opposizione a Freud, l' introspezione come metodo principale di conoscenza. Secondo il teorico, l' uomo non è introspezione ma è in pieno il prodotto delle sue esperienze tanto è vero che egli definì il comportamento umano osservabile e misurabile dando grande rilevanza allo studio dell'apprendimento. Il lutto negli approcci cognitivo-comportamentali, negli

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anni ' 80 venne correlato allo "stress da separazione" rite­ nendo che lo stress della perdita potesse portare ad alcuni disturbi emotivi con conseguenti pensieri disfunzionali. In questi termini la psicoterapia cognitiva comportamentale at­ tuava come tecnica la ristrutturazione cognitiva. Negli ultimi decenni invece la psicoterapia cognitiva comportamentale è passata dai criteri di riadattamento ad una visione del fenomeno luttuoso più processuale basato sul sostegno al cambiamento, sull'accettazione dello stesso e sulla modifica di importanti aspetti personali. Questo ag­ giustamento teorico è stato causato da due fattori, il primo è che l' elaborazione del lutto non è basata solo sull' elabo­ razione delle emozioni, e secondo è che alcuni lutti, come quelli complicati, possono includere ma anche non includere la depressione, l' ansia ed altri disturbi, e quindi necessitereb­ bero di diagnosi differenziali. Infatti, nei lutti complicati, il blocco emotivo non è do­ vuto solo al verificarsi dell'evento luttuoso ma anche perché molto probabilmente si è fermato o è stato carente fin dall' in­ fanzia il meccanismo interno recettore del cambiamento. Addirittura negli ultimi anni è stata messa a punto una psicoterapia specifica, il "Traumatic Grief Reattment", che propone una combinazione di terapie interpersonali per la depressione e alcune tecniche cognitive comportamentali per trattare i sintomi da stress post traumatico, per cui il terapeu­ ta acquisisce il ruolo di contenitore emotivo, di guida in un periodo confuso come quello luttuoso e di accompagnatore in un' altra fase della vita attraverso un rito di passaggio. 1.3 Modello umanistico esistenziale Analizzando il Modello umanistico esistenziale è quan­ tomai opportuno partire dali' analisi teorica dello psicologo statunitense C. Rogers.

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La Psicoterapia Rogersiana viene definita "Approccio Centrato sulla Persona". Questo orientamento, opposto alla psicoanalisi e alle terapie comportamentali, si basa sulla con­ cezione positiva dell' individuo, chiamato Organismo, che tende all' autorealizzazione. Grande importanza in questo approccio teorico ha il ruolo assegnato al Sé . Il Sé infatti scaturisce dall' interazione con il mondo esterno, il Sé lotta per la coerenza in quanto l'incon­ gruenza porterebbe a comportamenti disfunzionali e quindi alla psicopatologia. Per Rogers l' individuo è tanto più sano quanto più il suo Sé è in grado di rivalutare il suo sistema di valori in base al verificarsi dell' esperienza. Secondo il teorico lo scopo della psicoterapia non è quello di aiutare a risolvere un problema ma quello di facilitare le capacità innate di autorealizzazione dell' individuo. Elementi basilari dell' approccio rogersiano sono l' empa­ tia e la non direttività del terapeuta attraverso un' accettazio­ ne positiva incondizionata. Infatti la relazione terapeutica è l' elemento fondamentale della Terapia Centrata sulla Perso­ na. L' attenzione del terapeuta è sulla persona e non sul pro­ blema. L' accettazione positiva incondizionata per come egli è rispetta l'unicità del paziente e la sua capacità nel risolvere i propri problemi, conducendo così il paziente ad una miglio­ re autostima e ad una maggiore fiducia in se stessi. Sempre all' interno dell' approccio umanistico esisten­ ziale rientra la Terapia della Gestalt di cui fu promotore F. Pearls. In questo nuovo approccio teorico il terapeuta non è più un osservatore isolato di quanto avviene al paziente ma è parte essenziale del processo terapeutico attraverso un in­ contro autentico con il paziente. Nella Terapia della Gestalt grande importanza hanno i concetti "Qui ed Ora" e "Figura /Sfondo" dove appunto nel

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"Qui ed Ora", in questo momento terapeutico emergono in figura dei bisogni specifici rispetto al contesto che in questo caso rappresenta lo sfondo. Per Pearls la salute mentale deriva dall' acquisizione da parte del soggetto della consapevolezza del continuo cam­ biamento che acquisisce la propria esperienza in base ai vari contesti relazionali. Il "ciclo gestaltiano" è costituito da quattro stadi prin­ cipali: consapevolezza, eccitamento, azione e contatto. La maggior parte degli sforzi del terapeuta sono dedicati ad in­ dividuare in quale stadio il ciclo si è interrotto. Obiettivo del terapeuta è appunto la maturazione del cliente e la rimozione di questi blocchi che gli impediscono di agire in maniera re­ sponsabile e autonoma. Obiettivo del terapeuta gestaltico attraverso l ' incontro te­ rapeutico autentico, è quello di portare il cliente a restaurare la sua capacità di autoterapia riconoscendo le sue esperienze, completando i bisogni insoddisfatti ed integrando le diverse polarità del Sé. Parlando di bisogni dei pazienti non è possibile non citare il leader della Terapia umanistico esistenziale degli anni ' 60, A. H. Maslow. Maslow elaborò una scala dei bisogni al culmine della quale pose il bisogno di autorealizzazione, intesa come piena attuazione delle potenzialità del soggetto. Infatti per Maslow la psicopatologia è determinata da una mancanza di autorea­ lizzazione, per cui scopo primario della psicoterapia è l' inte­ grazione delle varie parti del Sé. In ambito umanistico esistenziale è utilizzata la tecni­ ca dello psicodramma e del sociodramma, tecnica basata sull'impersonificazione dei ruoli e sull ' improvvisazione tea­ trale, tecnica della quale fu fautore J.L. Mareno. Nello psicodramma gli attori mettono in scena il dramma interiore del paziente, l ' inversione di ruolo è la tecnica prin-

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cipalmente utilizzata, tecnica che porta ad un reale incontro con l ' altro. Teoricamente successivo a Moreno fu E. Berne con la sua Analisi Transazionale. B erne divide la psiche in tre organi psichici. Lo stato del l ' Io Genitore (o Esteropsiche), lo Stato dell' Io Adulto (o Neopsiche) e lo S tato dell' Io Bambino (o Archeopsiche). Nonostante preveda un trattamento individuale l 'Analisi transazionale si è affermata come un trattamento di gruppo in cui viene data grande importanza alla comunicazione non verbale, alle emozioni, ai giochi in cui vengono messi in atto i ruoli ed infine al copione dove si prendono in esame i pro­ getti di vita decisi nella prima infanzia. Il terapeuta transazionale aiuta il cliente, quasi in maniera più teoricamente cognitiva-comportamentale, a trovare modi alternativi di soddisfare i propri bisogni. L' obiettivo fondamentale da raggiungere in psicoterapia è quello di permettere al paziente di avere la possibilità nel "Qui ed Ora" di ridecidere per la propria vita libero da con­ dizionamenti. 1.4 Modello sistemico relazionale L' avvio di questo modello teorico si deve a G.Bateson, psichiatra e antropologo statunitense che attraverso la sua "Teoria del Doppio Legame" è diventato un punto di riferi­ mento per i teorici della comunicazione. La Teoria del Doppio Legame si struttura su un tipo parti­ colare di comunicazione basato su segnali contraddittori che pongono il destinatario in una condizione di profondo dilem­ ma. L' ipotesi di B ateson è che ogni volta che un individuo si trova in una situazione di doppio legame subisce un collasso, producendo reazioni di tipo difensivo simili a quello dello schizofrenico.

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Parlando di pragmatica della comunicazione è inevita­ bile non pensare al libro di Watzlawick "Pragmatica della comunicazione". In questo testo sono descritti gli assiomi della comunicazione, che veicolano il contenuto e la meta­ comunicazione, che veicola la relazione. Il teorico voleva rendere terapeutica la stessa comunica­ zione paradossale strutturando un modello di terapia strate­ gica, modello che vede il terapeuta attivo e direttivo che si assume la responsabilità di influenzare direttamente le per­ sone. In ambito sistemico relazionale diviene indispensabile porre attenzione all' aspetto sistemico familiare. Il teorico maggiormente interessato alle dinamiche familiari fu S . Mi­ nuchin. L ' interesse dell' autore nacque nel momento in cui si rese conto che ragazzi usciti dal penitenziario a contatto con i condizionamenti del sistema familiare ritornavano nei pre­ cedenti comportamenti a rischio. La terapia di Minuchin prende il nome di "Terapia Fami­ liare Strutturale". Detta teoria è basata sul "Qui ed Ora", at­ tenta ai comportamenti comunicativi, si privilegiano le meta­ fore e i membri della famiglia sono incoraggiati ad interagire tra loro per far emergere gli schemi relazionali. L ' obiettivo è quello di far sperimentare nuovi compor­ tamenti funzionali relazionali interrompendo i pattern pa­ togeni . In quest' ottica intrapsichica a Bowen dobbiamo l' inven­ zione del Genogramma familiare, mappa utilizzata nella pro­ fonda convinzione che per affrontare un problema nel "Qui ed Ora" bisogna andare nel "Lì e AI1ora". Tra i terapeuti familiari viene inserito anche M. Erickson. La sua teoria è improntata su un'estrema praticità per arriva­ re a risultati tangibili. Erickson vede nei conflitti familiari la capacità dei mem-

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bri di stare in armonia tra loro. Per cui il sintomo diventa uno strumento utile per un buon risultato terapeutico. Nella relazione terapeutica Erickson considerava di fon­ damentale importanza i Rapport essendo egli un fautore del Metodo ipnotico. Milton infatti considera l' ipnosi il prototi­ po di ogni relazione terapeutica capace di produrre un cam­ biamento. Haley definì Erickson il maestro della terapia strategica. Per Haley infatti le relazioni umane sono delle lotte per de­ cidere chi stabilisce le regole. Le persone creano infatti delle gerarchie, all ' interno delle famiglie, e poi lottano per sov­ vertirle. Lo stesso lavoro terapeutico è una lotta di potere tra cliente e terapeuta, se il terapeuta riesce a sventare le mano­ vre del paziente la terapia ha successo. Figura chiave della terapia familiare è V. Satir. Una sua tecnica efficace è la ricostruzione familiare, un viaggio psi­ codrammatico attraverso i momenti più importanti trans-ge­ nerazionali. La Satir si è interrogata sull' importanza dell' autostima di ogni singolo individuo. Utilizzando il role play vengono vi­ ste situazioni vecchie con occhi nuovi. L' obiettivo è la rielaborazione di esperienze negative pas­ sate per vivere la vita più pienamente nel presente. Una modalità con la quale S atir amava lavorare è la scul­ tura della famiglia con lo scopo di aiutare le persone "a ve­ dere" le loro risorse personali . La psicoterapia personale d i persone i n lutto mette i n luce vari meccanismi tra cui l ' invischiamento dei membri e a lun­ go andare il soffocamento degli stessi. Processi entrambi inadatti al ciclo vitale naturale della fa­ miglia. Un' altra dinamica sempre post lutto è la designazione di un capro espiatorio familiare, cioè una persona su cui scari­ care tutta l ' angoscia e la rabbia della perdita, arrivando ad-

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dirittura a designare il capro espiatorio come l ' incarnazione del fantasma del morto, psicologicamente non sepolto ren­ dendolo portatore dell 'identità delle caratteristiche psicolo­ giche e dei tratti distintivi del defunto. Un'ulteriore tipologia di reattività al lutto familiare è lo scoppio di aggressività e conflitti tra membri. Infatti una condizione psicologica di non contenimento e riconosci­ mento del lutto, porta a proiettare sugli altri rabbia e depres­ siOne. Le terapie familiari vengono quindi svolte al fine di soste­ nere il proseguimento del ciclo evolutivo familiare invitando tutti i membri ad un' elaborazione del lutto in cui la morte non viene né negata né mitizzata, permettendo così che le dinamiche difensive familiari non divengano dannose. 1.5 Modello biofunzionale corporeo

Il modello biofunzionale corporeo nasce con W. Reich il quale fu allievo di Freud. Mentre Freud poneva soltanto attenzione alla produzione verbale dei pazienti, Reich intro­ dusse nella psicoanalisi anche l'osservazione del corpo, in­ fatti fu il primo a descrivere quello che noi oggi chiamiamo "Linguaggio del corpo". L' analisi corporea ebbe una grande importanza per Reich in quanto lui spesso notò una scissione tra le varie espressio­ ni del corpo. L' autore notò che inconsapevolmente le per­ sone non si accorgevano a volte di produrre parole gentili ma che con la bocca avevano espressioni negative, oppure ad esempio potevano ridere ma non rendersi conto che le espressioni del viso erano tristi . Reich sosteneva che alla base di tutte le malattie psichi che ci fossero dei disturbi sessuali e chiamò questa teoria "OR­ GONE": energia cosmica universale onnipresente in natura suscettibile di sperimentazioni e misurazioni.

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Per cui la sanità psichica dipende da questa potenza or­ gastica che spesso viene inibita da una civiltà sessuofobi­ ca producendo delle resistenze caratteriali, per cui compito dell ' analisi è proprio quello di smantellare queste resistenze. Per risolvere queste problematiche Reich consigliava che il lavoro terapeutico si concentrasse ad individuare l ' origine di questi blocchi psico-corporei. Accanto a Reic h il fondatore dell ' analisi bionergetica fu A. Lowen, il quale vide nella sessualità la chiave di tutti i problemi emotivi. In accordo con le prime idee di Freud, Lowen considerò la repressione del le emozioni e degli impulsi naturali come il principio di strutture caratteria­ li nevrotiche che portano a tensioni muscolari croniche. Da queste concezioni parte l ' elaborazione della "Teoria dell ' Idendità Funzionale". Lowen sostiene che durante la crescita facciamo esperien­ za di come l 'espressione delle nostre emozioni si scontri con il rifiuto, la disapprovazione, la punizione. Impariamo per­ ciò a controllare le nostre emozioni con conseguente blocco permanente dei muscoli coinvolti nell' espressione di queste emozioni arrivando a tensioni croniche ed inconsce, per cui l ' obiettivo primario della terapia è quello di rimettere in mo­ vimento l ' energia utilizzando sia tecniche corporee sia l ' ana­ lisi delle difese del carattere. Secondo il modello loweniano, l'espressione del disap­ punto, dell'ostilità, della rabbia per una perdita avvenuta è utile all' individuo per elaborare in modo appropriato la sua condizione interiore di sofferenza e di lutto. Nei pazienti depressi spesso troviamo che essa viene ra­ zionalizzata. "A cosa serve protestare se nulla potrà cambia­ re?", riferiscono questi pazienti nelle sedute. Come ben sappiamo l ' elaborazione del lutto non ha questo scopo, essa non può cambiare una condizione esterna reale. Elaborare un lutto o una condizione di sofferenza estrema è

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concedersi l'espressione di un sentimento che potrà consen­ tire alla vita di procedere. Se l' espressione di questi sentimenti viene trattenuta, il flusso della vita subirà tensioni e limitazioni che potranno portare l' individuo alla depressione. Attraverso metodiche psicocorporee sarà possibile rendere consapevole il pazien­ te di come il suo vissuto depressivo influenzi la personalità nella sua totalità. Questa operazione di "contatto con se stessi", molto deli­ cata dal farsi, può essere non esente da dolore psichico poi­ ché suscita sentimenti e sensazioni che erano state represse in quanto insopportabili. Il problema terapeutico nella relazione con questi pazien­ ti sta nel ristabilire in loro la progettualità esistenziale e far sviluppare la capacità di provare piacere, compito non facile dato che queste persone sono sì affamate di piacere ma non in grado, spesso, di percepire tale fame. Lavorare sul corpo facilita il ricordo delle memorie ri­ mosse e dei sentimenti repressi. 1.6 Modello pluralistico integrato L' approccio integrato in psicoterapia nasce soprattutto per rispondere a tre esigenze: l ' insoddisfazione sul piano clinico verso ogni scuola; la dimostrazione documentata dei risultati e dei fattori comuni riscontrata in ogni psicoterapia; il cambiamento nelle modalità di pagamento della terapia, prima a carico del paziente e poi prevalentemente a carico di terzi, come l' assicurazione sulla salute e il servizio sanitario statale, enti che richiedevano un invito insistente a provare l'efficacia e i costi effettivi della psicoterapia. Attualmente tre tendenze caratterizzano il settore: l' inte­ grazione teorica, la ricerca dei fattori comuni e l ' eclettismo tecnico.

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L'eclettismo tecnico è un approccio pragmatico utilizzato per determinare che il terapeuta utilizza qualsiasi tecnica ri­ tenga efficace scegliendola in base alla sua utilità con poca o nessuna attenzione alla teoria di riferimento. L' eclettismo tecnico si interessa meno al perché le tecniche funzionino e cerca invece di prevedere per chi funzioneranno. Il concetto di eclettismo tecnico è stato introdotto da La­ zarus. Il suo approccio è stato definito Terapia comportamentale Multimodale. Le tecniche di questa terapia sembrano collocarsi tra la terapia comportamentale e una strategia eclettica che trae spunto da qualsiasi sistema terapeutico. Per Lazarus il te­ rapeuta deve avere una griglia di riferimento di sette fatto­ ri, il cosiddetto Basic Id. I 7 fattori sono: comportamento, affettività, sensazioni, immaginazione, cognizioni, relazioni interpersonali e funzionamento biologico. Durante il primo colloquio al paziente viene chiesto di compilare un questionario multimodale per ottenere un qua­ dro completo della storia del paziente oltre che un' analisi delle sue problematiche. Successivamente dal questionario e dagli incontri del te­ rapeuta si ritaglia un trattamento su misura per quel paziente. Il Modello pluralistico integrato di E. Giusti e C. Monta­ nari ha lo scopo di selezionare strategie e tecniche di inter­ vento terapeutico più utili alle diverse fasi del ciclo relazio­ nale terapeuta/cliente. Due sono i processi fondamentali: il tempo e la relazione terapeutica. Giusti e Montanari hanno esplicitato le tappe evolutive di questo approccio: pre-contatto ( 1 -3 sedute) fase di esplo­ razione dei contenuti e degli obiettivi, avvio contatto ( 1 0-30 sedute) caratterizzata dali' emergere di tematiche e rapporto alla relazione tra terapeuta e cliente.

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Contatto pieno ( 40-80 sedute) in cui la presenza del tera­ peuta favorisce l' elaborazione dei vissuti inconsci, l' elabo­ razione di nuove modalità espressive e il soddisfacimento di bisogni non ancora riconosciuti . Post-contatto (20-35 sedute) il paziente interiorizza la fi­ gura del terapeuta rielaborando il lutto primario arriverà alla maggiore autonomia. Sei sono le caratteristiche importanti del percorso tera­ peutico: gli obiettivi, le tecniche, il contenuto, il transfert­ controtransfert, le resistenze dell' alleanza e i compiti. Incrociando queste sei caratteristiche si può arrivare a strategie di intervento riparative. La maggior parte degli autori (ciò si evince anche dal DSM-IV) sono concordi nel ritenere perdite, lutti, abbando­ ni, tra le maggiori cause di disturbi d' ansia, depressione e rabbia. Il modello di psicoterapia integrato, che integra le idee e le tecniche delle psicoterapie psicodinamiche, comportamenta­ le, cognitivo-comportamentale ed esperienziale, descrive gli scopi della terapia, un modello integrato di cambiamento te­ rapeutico e i suoi diversi punti focali, le fasi del trattamento e gli specifici interventi utilizzati in ogni fase. Nel caso dei disturbi d' ansia, tre sono gli obiettivi della psicoterapia integrata: la riduzione dei sintomi, analisi e mo­ dificazione delle difese nei confronti delle percezioni di sé dolorose, guarigione delle ferite del Sé. Il modello di psicoterapia integrata sostiene che il cam­ biamento si verifica a livello comportamentale, cognitivo e affettivo. In questo modello l ' esperienza diretta è un fattore neces­ sario per la modificazione del comportamento, delle cogni­ zioni, degli affetti e delle sottostanti credenze su di Sé. L ' approccio integrato al trattamento dei disturbi d' ansia consequenziale ad un lutto si articola in quattro fasi fonda-

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mentali: la prima è la creazione di un' alleanza terapeutica, la seconda è il trattamento dei sintomi del disturbo, la terza consiste nel far emergere le ferite latenti del Sé che possono essere sanate durante la fase finale. Tutte le psicoterapie efficaci si basano sulla creazione dell'alleanza terapeutica solida, sicura e forte. Questa fase iniziale della psicoterapia, con pazienti che hanno subìto un lutto e si trovano ad esperire uno stato ansioso, è spesso ca­ ratterizzata da una partenza difficile dovuta al loro stile di­ fensivo interpersonale. Il livello di fiducia del paziente nel terapeuta e nel lavoro terapeutico va monitorato durante tutto il corso della psico­ terapia. La seconda fase si focalizza sul livello dei sintomi del disturbo, che generalmente includono le manifestazioni so­ matiche dell' ansia e la rimuginazione ossessiva catastrofica sui sintomi. La combinazione di tecniche di rilassamento, esposizio­ ne e ristrutturazione cognitiva produce una sostanziale ridu­ zione dell' ansia. L' obiettivo terapeutico della terza fase è far emergere le ferite latenti del Sé e le temute catastrofi. La principale tecnica utilizzata è la WFT, una forma modificata di esposizione immaginativa . Ai pazienti che hanno un vissuto luttuoso si chiede prima di tutto di rilassarsi e di eseguire per circa due minuti la re­ spirazione diaframmatica; durante questo processo induttivo i pazienti si predispongono ad aprirsi a qualsiasi pensiero o emozione che possa presentarsi durante l' esercizio. Quindi i pazienti vengono istruiti a focalizzare l' atten­ zione sul segnale ansiogeno e a rilevare qualsiasi pensiero o emozione o immagine che si presenta. Poi si chiede loro di riferire l' esperienza che emerge. L' immaginazione è pervasa da temi di conflitto e catastro­ fe che il paziente è incapace di impedire e far cessare. Questa

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tecnica spesso è seguita da una procedura di immaginazione guidata che permette di esplorare insieme al paziente le idee, i sentimenti e le emozioni tra loro connesse che costituiscono il significato implicito dell' ansia. La maggior parte dei casi delle ferite del Sé che genera­ no sintomi del disturbo d' ansia sono associate all' incapacità di accettare realtà esistenziali inevitabili. Quando le persone perdono i propri cari, tale realtà è difficile da accettare ed as­ similare e i pazienti ansiosi sono terrorizzati da una o più di queste realtà e sembrano incapaci di accettare l ' inevitabile. Il lavoro di immaginazione guidata è particolarmente utile nell' aiutare i pazienti nell' elaborazione emozionale e nell' assimilazione degli eventi dolorosi della loro vita. Nella persona che ha vissuto un lutto, oltre un disturbo d'ansia, si verificano anche comportamenti di rabbia e ag­ gressività. Questa insorgenza di collera successiva ad una perdita, riscontrabile sia nei bambini, sia negli adulti, sembra avere una funzione biologica. Nei casi in cui la separazione è temporanea l ' ira ha due funzioni: quella di contribuire a superare gli ostacoli che si frappongono al ricongiungimento e quella di scoraggiare la persona amata dali' andarsene di nuovo. Quando invece la perdita è permanente come accade dopo un lutto, l' ira e il comportamento aggressivo sono necessa­ riamente privi di funzionalità. Il motivo per cui si verificano ugualmente così spesso anche dopo una morte è che durante le primissime fasi del lutto la persona colpita non crede che la perdita sia veramente definitiva (Preston, 200 l), quindi c ' è un agito come s e fosse ancor possibile non solo ritrovare la persona perduta ma anche rimproverarla per il suo modo di agire. Infatti non a caso, almeno in parte, la persona perduta viene considerata responsabile di quanto è accaduto, cioè di essersene andata. Di conseguenza la rabbia finisce per essere diretta contro la persona perduta.

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Nel modello integrato un primo passo che va attuato all ' in­ temo del setting terapeutico è la valutazione dell'emozione di rabbia e l' esplorazione del suo evitamento. Scoppiare in lacrime, provare un senso di impotenza e di depressione, ren­ dersi insensibili, intellettualizzare, cioè distanziarsi dal senti­ mento di rabbia, sono alcuni dei comportamenti indicatori di interruzione della rabbia (Greenberg, Paivio, 2000). Il terapeuta può agevolare il cliente simbolizzando la sua rabbia e soprattutto la sua interruzione con ipotesi basate sul­ la conoscenza che possiede di lui e grazie alla sintonizzazio­ ne con il processo in atto nel corso della seduta (Giusti, Or­ nelli, 1 999) i clienti non devono essere incoraggiati ad agire in modo distruttivo. Altro punto fondamentale nel lavoro terapeutico con la rabbia è il prestare attenzione alle sensa­ zioni corporee o talvolta sollecitare il paziente a rimanere in contatto con delle tensioni e delle sensazioni spiacevoli per scoprire ad esempio cosa stia tenendo sotto controllo con tanta fermezza (Giusti, Puglisi, Angelini, 2000). Sia le terapie individuali che quelle di gruppo possiedono un grande potenziale e si sono rivelate molto utili nell' elabo­ razione di problematiche concernenti la rabbia e la violenza nei loro aspetti più svariati. Quando si verifica un evento luttuoso la persona che lo subisce può attraversare anche stati depressivi nei quali spe­ rimenta la mancanza di energia, il ritiro sociale, sentimenti di disperazione, di inutilità, sensi di colpa, compromissione dell' affettività, alterazione dei processi del pensiero, riduzio­ ne della creatività, compromissioni somatiche, perdita degli interessi esistenziali. Gli scopi a lungo termine di un percorso terapeutico inte­ grato sono: • cominciare un processo sano di sofferenza per la per­ dita • riuscire a lasciar andar via la persona cara perduta

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• •





accettare la perdita cominciare a riprendere le vecchie relazioni e a intra­ prendere nuovi contatti elaborare i sentimenti di rabbia, colpa, tristezza e ab­ bandono sviluppare piani per il futuro.

I mezzi per raggiungere gli obiettivi sopra descritti potrebbero essere: • sviluppare la relazione terapeutica • fornire un ambiente sicuro • dare speranza, chiedere alla persona di elaborare un' autobiografia sulle circostanze, i sentimenti, gli ef­ fetti della perdita nella sua vita • assisterla nell' identificazione, consapevolizzazione e nella condivisione dei sentimenti inerenti la perdita, • raccontare la storia della perdita • chiedere di portare delle immagini o dei ricordi connessi alla perdita • incrementare la comprensione delle fasi dell' angoscia, • verbalizzare i sentimenti associati alla perdita • integrazione del dolore e del lutto attraverso la fotote­ rapia. L 'utilizzo della "sedia vuota" o la scrittura di una lette­ ra a qualcuno che ha perso può aiutare a risolvere il ciclo irrisolto, educare la persona sullo stadio di addoloramento raggiunto e "normalizzare" appropriatamente i sentimenti di colpa e angoscia, ridurre la frequenza dei periodi di pianto. Strategie ed interventi principalmente cognitivi-compor­ tamentali ed affettivo-emotivi (ad esempio la terapia trans personale) si dimostrano efficaci nel trattare la depressione associata al lutto.

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Capitolo secondo Neuropsicologia e cura degli eventi luttuosi

L' uomo libero a nessuna cosa pensa meno che alla morte; e la sua saggezza è una meditazione alla vita. Spinoza, Etica

2.1 La base neurobiologica della perdita La paura di parlare in pubblico è più forte della paura di morire: come può essere possibile? A confronto diretto con la paura della morte, quella di parlare in pubblico sembra irrilevante. In psicologia sociale emerge che una delle ragioni per cui parlare in pubblico può essere così temuto è riconducibile al concetto di sopravvivenza e dal maggiore rischio di rifiuto che deriva dal parlare ad un gruppo (Baumeister & Leary, 1 995). La paura di parlare in pubblico deriva, inoltre, dalla paura di essere valutati negativamente e rifiutati dalle perso­ ne cui si sta parlando. Durante tutta l 'evoluzione degli esse­ ri umani e delle altre specie di mammiferi, mantenere degli stretti legami sociali, e quindi minimizzare le opportunità di rifiuto e isolamento sociale, sono stati fattori critici per la sopravvivenza. Fin dalla nascita, i mammiferi si affidano a qualcuno che si prenda cura di loro, a causa della loro inca­ pacità di sopravvivere contando solo su se stessi. Successi­ vamente, far parte di un gruppo sociale incrementa le possi­ bilità di sopravvivenza fornendo risorse comuni e protezione dai predatori. Anche se il rifiuto sociale potrebbe non essere più un qualcosa di così pericoloso, la paura di parlare in pub­ blico potrebbe essere un retaggio del passato evolutivo degli

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esseri umani, quando il rifiuto da parte di un gruppo sociale poteva tipicamente avere come conseguenza la morte. Il bisogno degli individui di un' appartenenza sociale non solo ha lasciato il segno nelle loro paure più intense, ma ha anche modellato la loro sottostante costituzione neurale. Il bisogno di appartenenza è così forte che l' esperienza di un rifiuto sociale attiva gli stessi sistemi neurali che si attivano quando proviamo un dolore fisico, cosa che dà supporto all'i­ dea che il rifiuto fa male (Eisenberger & Lieberman, 2004). Se la rottura di legami sociali è vissuta come dolorosa, sarà più probabile che gli individui evitino situazioni che po­ trebbero mettere in pericolo i legami sociali o portare ad un rifiuto (ad esempio, parlare in pubblico), aumentando così la probabilità di integrazione nel gruppo e le possibilità di sopravvivenza. Una delle ragioni per credere che questi due tipi di dolore condividano dei meccanismi che si sovrappongono è che essi hanno un vocabolario comune. Quando gli individui descri­ vono cosa si prova ad essere rifiutati o esclusi, essi descri­ vono la loro esperienza con parole connesse al dolore fisico, lamentando sentimenti come "cuori infranti", o il dolore del rifiuto. Si tratta di un fenomeno che è comune a molte lingue. In ogni caso, le prove linguistiche di per sé non bastano. Un cuore infranto può essere semplicemente un modo di dire (MacDonald & Leary, 2005). Un modo più convincente per dimostrarlo è far vedere che i meccanismi che supportano i processi di dolore socia­ le e fisico si fondano su un circuito neurale condiviso. Le ricerche neuropsicologiche e di neuroimaging suggeriscono che la corteccia cingolata anteriore dorsale (DACC), una grande struttura sulla superficie mediale del lobo frontale, è una delle strutture neurali chiave coinvolte nei processi di dolore sociale e fisico. Nonostante sia indubbio che molte altre strutture neurali sono coinvolte in questa sovrapposi-

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zione, come l' insula, il grigio periacqueduttale (PAG) e il talamo dorsomediale (Panksepp, 2003); principalmente la DACC gioca un ruolo importante sia nell' angosciante espe­ rienza del dolore fisico negli esseri umani sia nei comporta­ menti di ansia da separazione nei mammiferi non umani, sia nell' esperienza di dolore sociale negli esseri umani. Un'esperienza dolorosa può essere divisa in due compo­ nenti: quella sensoriale e quella affettiva (Price, 2000). La componente sensoriale del dolore ha a che fare con l'intensi­ tà dello stimolo doloroso. La componente affettiva ha a che fare con la percepita sgradevolezza dello stimolo doloroso, che dovrebbe essere possibile, almeno in parte, dissociare dall' intensità dello stimolo. Facendo un paragone con il vo­ lume di una radio, riguardo la prima componente è come se si chiedesse quanto è alto il volume, mentre per la seconda quanto dà fastidio il volume. Sia gli studi neuropsicologici sia quelli di neuroimaging dimostrano che la DACC è coinvolta nella componente af­ fettiva o angosciante dell' esperienza dolorosa. Pazienti con malattie croniche che hanno subito la cingulotomia, una pro­ cedura chirurgica in cui una parte della DACC è rimossa, spesso riportano che nonostante essi siano ancora in grado di identificare la fonte degli stimoli dolorosi, il dolore non li disturba più (Foltz & White, 1 968). In maniera simile, gli studi di neuroimaging hanno mo­ strato che l' attività della DACC tiene traccia della compo­ nente affetti va dell'esperienza dolorosa. Soggetti ipnotizzati in modo da incrementare selettivamente la sgradevolezza degli stimoli nocivi (componente affettiva) senza altera­ re l' intensità (componente sensoriale) hanno mostrato una maggiore attività nella DACC senza cambiamenti nell' at­ tività della corteccia somatosensoriale (Rainville, Duncan, Price, Carrier & B ushnell, 1 997). Allo stesso modo, report personali riguardanti la sgradevolezza del dolore si collega-

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no specificamente con l' attività della DACC (Peyron et al., 2000, Ploghaus et al., 1 999; Sawamoto et al., 2000) e quelli con una maggiore sensibilità al dolore mostrano maggiori ri­ sposte della DACC agli stimoli dolorosi (Coghill, McHaffie, & Yen, 2003). 2.2 Elementi psicologici negli eventi luttuosi La corteccia cingolata anteriore dorso mediale svolge parte attiva nei comportamenti di ansia da separazione nei mammiferi non umani, e ciò ci suggerisce che il ruolo fon­ damentale che gioca in alcune forme di esperienze di dolore sociale. In molte specie di mammiferi, i piccoli emettono dei suoni di disagio quando sono separati dalle loro madri. Si pensa che questi suoni vocali riflettano ansia da separazione nei piccoli e che servano ad inviare un ·segnale alla mam­ ma per recuperare il cucciolo e prevenire una separazione prolungata tra i due (Kirzinger & Jurgens, 1 98 2; MacLean & Newman, 1 998). Dopo aver verificato il coinvolgimento della DACC nel dolore fisico degli esseri umani e nei comportamenti di ansia da separazione nei mammiferi non umani, il restante legame che deve essere analizzato riguarda la possibilità che la stes­ sa regione neurale giochi un ruolo anche nel dolore sociale nelle popolazioni umane. Nel primo studio di neuroimaging connesso all' esclu­ sione sociale negli esseri umani (Eisenberger, Lieberman, & Williams, 2003), i partecipanti furono portati a credere che sarebbero stati esaminati mentre giocavano ad un gio­ co interattivo con delle palle chiamato Cyberball (Williams, Cheung, & Choi, 2000) su Internet con altri due individui che erano anch' essi sottoposti ad una risonanza magnetica funzionale (fMRI). In realtà i partecipanti stavano giocando con un programma per il computer già fissato. I partecipanti

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completarono un round del gioco, in cui erano stati inclusi per intero ed un secondo round in cui essi erano stati esclusi dagli altri giocatori per parte del round stesso. Dopo il gio­ co i partecipanti completarono dei resoconti personali in cui misuravano quanta angoscia sociale avevano provato in ri­ sposta all' essere stati esclusi. I partecipanti riportarono di aver provato dei significativi livelli di dolore sociale e mostrarono una aumentata attività nella regione della DACC in risposta all'esclusione dal gio­ co, in maniera simile alla regione della DACC associata alla sgradevolezza del dolore fisico. Inoltre, l' elevata attività della DACC si correlava in maniera forte con i resoconti individua­ li, così che gli individui che avevano mostrato una maggiore attività della DACC in risposta al rifiuto sociale avevano anche riportato maggiori sentimenti di angoscia rispetto all' episodio. Inoltre, i partecipanti mostrarono anche un' attività dell' in­ sula, una regione conosciuta coinvolta nei processi di do­ lore viscerale, così come negli stati affettivi negativi (Aziz, Schnitzler & Enck, 2000; Cecchetto & Saper, 1 987; Lane, Reiman, Ahem, Schwartz & Davidson, 1 997 ; Phan, Wager, Taylor & Liberzone, 2004; Phillips et al., 1 997). Inoltre, i partecipanti mostrarono, in risposta all' esclusio­ ne, una significativa attività nella corteccia prefrontale ven­ trale destra (RVPFC), una regione del cervello tipicamente associata alla regolazione dell' esperienza di dolore fisico o sentimenti negativi (Hariri, B ookheimer & Mazziotta, 2000; Lieberman et al. , 2004, 2007; Ochsner & Gross , 2005 ; Pe­ trovic & Ingvar, 2002; Wager et al. , 2004). Coerentemente al ruolo di questa regione nei processi che regolano le emo­ zioni, una maggiore attività della RVPFC era associata a li­ velli più bassi di angoscia sociale riportata nei rendiconti in risposta all'esclusione, cosa che suggerisce che questa regio­ ne potrebbe essere coinvolta nella regolazione dell' angoscia derivante dal fatto di essere stati socialmente esclusi.

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In ultimo, si scoprì che la DACC era un significativo me­ diatore della relazione RVPFC-angoscia, tanto che la RVPFC si potrebbe collegare a livelli più bassi di angoscia sociale gra­ zie al fatto che regola verso il basso l' attività della DACC. Perciò le risposte neurali ad un episodio di esclusione so­ ciale riattivano alcune delle stesse regioni che sono coinvolte nell' angoscia (DACC) e nella regolazione (RVPFC) dell' e­ sperienza di dolore fisico. Infatti, se si fa un confronto tra le attivazioni neurali di questo studio con quelle di un altro stu­ dio riguardante il dolore fisico, in pazienti con sindrome da intestino irritabile (Lieberman ed al, 2004 ), si notano regioni di attivazione molto simili nella DACC e nella RVPFC. Di­ mostrano simili schemi di correlazione tra l' attività neurale e il dolore dell' angoscia, tanto che, in entrambi i casi, una maggiore attività della DACC era associata a dei resoconti con maggiori livelli di dolore sociale o fisico riportati, men­ tre ad una maggiore attività della RVPFC erano associati mi­ nori livelli di angoscia riportati ed una minore attività della DACC. Così, non solo il dolore fisico e sociale chiamano in causa alcune delle stesse regioni neurali, ma, per entrambi i tipi di dolore, queste regioni neurali reagiscono alle espe­ rienze dolorose o angoscianti similmente. È importante non dimenticare, in ogni caso, che per quan­ to dolorosi nel breve periodo, i sentimenti di angoscia e tri­ stezza che seguono la rottura di relazioni sociali hanno anche una preziosa funzione, ovvero assicurare il mantenimento di stretti legami sociali. Grazie al fatto che essere rifiutati fa male, gli individui sono motivati ad evitare situazioni in cui il rifiuto è probabile. Nel corso della storia evolutiva, l' evi­ tamento del rifiuto sociale e la connessione sociale aumen­ tavano le probabilità di sopravvivere. Così, l'esperienza di dolore sociale, mentre risulta essere dolorosa e angosciante nel breve termine, è un adattamento evolutivo che promuove i legami sociali e in definitiva la sopravvivenza.

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2.3 Fattori stressanti e sociali nella cura La prospettiva biopsicosociale è considerata l' approc­ cio più euristico per comprendere le sindromi del dolore (Gatchel, 2005 ; Gatchel, Peng, Peters, Fuchs, & Turk, 2007; Turk & Monarch, 2002). Essa mette in interazione i fattori fisiologici, psicologici e sociali. Per una comprensione com­ pleta della percezione e della risposta di un individuo al do­ lore, le relazioni reciproche tra i cambiamenti biologici, la condizione psicologica e il contesto socioculturale sono tutti fattori da tenere in considerazione. Concentrarsi su uno solo di questi fattori risulta irrilevan­ te e non funzionale. Partendo dall' assunto che il dolore è un' esperienza sog­ gettiva, esso incorpora spesso al suo interno stati negativi (ad esempio ansia, rabbia, depressione). L' ansia è una risposta emotiva al dolore molto comune, specialmente nel caso di dolore cronico. Infatti, gli individui che hanno un dolore cronico o persistente diventano ansiosi riguardo al significato dei loro sintomi. Tale ansia può por­ tarli a non impegnarsi in attività che potrebbero esacerbare o peggiorare i loro sintomi, fino ad arrivare all' evitamento e all' inattività (Boersma & Linton, 2005). Come ha notato Gatchel (2005), esiste una relazione reci­ proca tra uno stato emozionale (ad esempio l' ansia) e i pro­ cessi cognitivo-interpretativi: il pensiero influenza l'umore, e l' umore influenza le valutazioni e di conseguenza l'espe­ rienza del dolore che si ha. La rabbia è spesso presente nelle persone che soffrono di dolore cronico (Gatchel, 2005) . Inoltre, i legami tra la rabbia e la severità del dolore si sono rivelati statisticamente signifi­ cativi (Gatchel et al., 2007). Nonostante i precisi meccanismi biopsicosociali, attraverso i quali la rabbia e la frustrazione intensificano i sintomi del dolore, non siano totalmente co-

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nosciuti, la rabbia è connessa in maniera intricata alla com­ plessiva esperienza di dolore. L' elemento caratteristico di questa prospettiva è la sua concentrazione sulla complessa interazione tra i fattori fisio­ logici, psicologici e sociali che possono perpetuare e anche peggiorare il quadro clinico. 2.4 Il disturbo da lutto nel DSM-V La penultima edizione del DSM (DSM-IV-TR) 1 1 , in uso fino al maggio ultimo scorso, colloca il lutto fra le condizioni che possono essere oggetto di attenzione clini­ ca, considerandola una condizione per la quale sussistono informazioni insufficienti a determinare se il problema sia attribuibile o meno ad un disturbo mentale. Fra i sintomi che caratterizzano la reazione alla perdita di una persona cara, figurano spesso sintomi depressivi analoghi a quelli che ca­ ratterizzano l' episodio depressivo maggiore (EDM), e che possono frequentemente essere considerati "normali" così da astenere il soggetto da un possibile contatto specialistico, se non per alleviare sintomi accessori, come insonnia o ipo­ ressia. Nel caso in cui tali sintomi persistano per oltre due mesi dalla perdita della persona cara o si caratterizzino per una compromissione funzionale marcata, autosvalutazione patologica, ideazione suicidaria, sintomi psicotici o rallen­ tamento psicomotorio, il manuale prevede la possibilità di porre diagnosi di EDM. Il DSM-IV-TR contempla quindi due possibilità: • reazione da lutto (anche con sintomi depressivi) che tende a risolversi nell' arco di circa due mesi = lutto non patologico; • reazione da lutto che si protrae oltre i due mesi o pre­ senza (anche da prima dei due mesi) di sintomatologia marcata e compromissione funzionale = EDM.

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L' esperienza clinica dimostra tuttavia, in una minoran­ za dei casi, il possibile sviluppo di sintomi non caratte­ ristici di una "normale" reazione di lutto, quali: • sentimenti di colpa riguardanti cose diverse dalle azio­ ni fatte o non fatte dal soggetto sopravvissuto al mo­ mento della morte; • pensieri di morte diversi dal sentimento del soggetto sopravvissuto che sarebbe meglio essere morto o che avrebbe dovuto morire con la persona deceduta; • pensieri eccessivi e morbosi di inutilità; • marcato rallentamento psicomotorio; • prolungata e intensa compromissione di funzionamento; • esperienze allucinatorie diverse dal pensiero di udire la voce o di vedere fuggevolmente l ' immagine della persona deceduta. In questi casi il DSM suggerisce questi sintomi per la diagnosi differenziale tra lutto e EDM ma non li attribu­ isce ad un' entità nosografico/clinica a se stante. Lo svi­ luppo, negli ultimi decenni, di un numero crescente di ricerche cliniche e neurobiologiche sul Complitated Grief (lutto complicato) ha addotto importanti evidenze che hanno influenzato la stesura del l ' ultima edizione del DSM (DSM-5). Nel DSM-V si parla di Disturbo da lutto persistente com­ plicato. I criteri proposti sono: a. l' individuo ha vissuto la morte di qualcuno con cui aveva una relazione stretta; b. dal momento della morte, almeno uno dei seguenti sin­ tomi è stato presente per un numero di giorni superiore a quello in cui non è stato presente e a un livello di gravità clinicamente significativo, ed perdurato è negli adulti per almeno 1 2 mesi e nei bambini per almeno 6 mesi dopo il lutto:

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l . un persistente desiderio/nostalgia della persona de­

ceduta. Nei bambini piccoli, il desiderio può essere espresso nel gioco e nel comportamento, anche tra­ mite comportamenti che riflettono l ' essere separato da, e anche riunito a, un caregiver o un' altra figura oggetto di attaccamento. 2 . Tristezza e dolore emotivo intensi in seguito alla morte. 3 . Preoccupazione per il deceduto 4. Preoccupazione per le circostanze della morte. Nei bambini, questa preoccupazione per il dece­ duto può essere espressa attraverso i contenuti del gioco e il comportamento e può estendersi fino alla preoccupazione per la possibile morte di altre persone vicine. c. Dal momento della morte, almeno sei dei seguen­ ti sintomi sono stati presenti per un numero di giorni superiore a quello in cui non sono stati presenti e a un livello di gravità clinicamente significativo, e sono perdurati negli adulti per almeno 1 2 mesi e nei bambi­ ni per almeno 6 mesi dopo il lutto. Sofferenza reattiva alla morte l . Marcata difficoltà nell' accettare la morte. Nei bam­

2. 3. 4. 5.

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bini, questa difficoltà dipende dalla capacità di com­ prendere il significato e la definitività della morte. Provare incredulità o torpore emotivo riguardo la per­ dita. Difficoltà ad abbandonarsi a ricordi positivi che ri­ guardano il deceduto. Amarezza o rabbia in relazione alla perdita. Valutazione negativa di sé in relazione al deceduto o alla morte (per es., senso di autocolpevolezza).

6. Eccessivo evitamento di ricordi della perdita (per es., evitamento di persone, luoghi o situazioni associati al deceduto; nei bambini questo può includere l'e­ vitamento di pensieri e sentimenti che riguardano il deceduto.) Disordine sociale/dell'identità 7 . Desiderio di morire per essere vicino al deceduto. 8. Dal momento della morte, difficoltà nel provare fi­ ducia verso gli altri. 9 . Dal momento della morte, sensazione di essere soli o distaccati dagli altri. l O. Sensazione che la vita sia vuota o priva di senso senza il deceduto, o pensiero di "non farcela" senza il deceduto. l l . Confusione circa il proprio ruolo nella vita, o di­ minuito senso della propria identità (per es., sentire che una parte di se stessi è morta insieme al decedu­ to). 1 2 . Dal momento della perdita, difficoltà o riluttanza nel perseguire i propri interessi o nel fare i piani per il futuro (per es., amicizie, attività). d. Il disturbo causa disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. e. La reazione di lutto è sproporzionata o non coerente con le norme culturali e religiose o appropriate per l' età. Nella diagnosi di Disturbo da Lutto è opportuno specifi­ care se si tratta di lutto traumatico: lutto dovuto a omici­ dio o suicidio con persistenti pensieri gravosi riguardo alla natura traumatica della morte ( spesso in risposta a ricordi

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della perdita), tra cui gli ultimi momenti del deceduto, il gra­ do di sofferenza e delle ferite, o la natura dolosa o intenzio­ nale della morte. Il disturbo da lutto persistente complicato è diagnostica­ to solo se sono trascorsi almeno 1 2 mesi (6 mesi nei bam­ bini) dal momento della morte di qualcuno con cui l ' indi­ viduo in lutto aveva una relazione stretta (CRITERIO A). Questa cornice di tempo discrimina il lutto normale dal lut­ to persistente. Anche se ci sono variazioni nel modo in cui il lutto può manifestarsi, i sintomi del disturbo da lutto persistente com­ plicato sono presenti in entrambi i generi e in diversi gruppi culturali e sociali. Caratteristiche associate a supporto della diagnosi Alcuni individui con disturbo da lutto persistente compli­ cato presentano allucinazioni (uditive o visive) in cui perce­ piscono temporaneamente la presenza del deceduto (per es. , vedendo i l deceduto seduto sulla sua sedia preferita). Pos­ sono anche esprimere diverse lamentele somatiche (per es. , problemi digestivi, dolore, fatica), tra cui i sintomi avvertiti dal deceduto. Episodio Depressivo Maggiore e Lutto Nel distinguere il lutto da un episodio depressivo mag­ giore (EDM) è utile considerare che nel lutto il vissuto pre­ dominante consiste in sentimenti di vuoto e di perdita, men­ tre nell' EDM consiste in un umore depresso persistente e un' incapacità di provare felicità o piacere. La disforia nel lutto di solito diminuisce di intensità nel corso di giorni o settimane e si verifica a ondate. Queste tendono a essere as-

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sociate a pensieri o a ricordi del defunto. L' umore depresso nell' EDM è più persistente e non legato a specifici pensieri o preoccupazioni. Il dolore del lutto può essere accompagna­ to da umore ed emozioni positivi che non sono caratteristici dell' infelicità e sofferenza pervasive tipiche di un EDM. Il contenuto del pensiero associato al lutto presenta general­ mente una preoccupazione relativa a pensieri e ricordi del defunto, piuttosto che le ruminazioni autocritiche o pessimi­ stiche osservate nell' EDM. Nel lutto l ' autostima è generalmente preservata, men­ tre nell' EDM sono comuni sentimenti di autosvalutazione e disgusto per se stessi. Se nel lutto è presente ideazione auto-denigratoria, si tratta in genere di carenze percepite nei confronti del defunto (per es. , non averlo visitato ab­ bastanza frequentemente, non aver detto al defunto quan­ to fosse amato). Se un individuo che ha subìto un lutto ha pensieri relativi alla morte e al morire, tali pensieri sono generalmente focalizzati sul defunto ed eventualmente sul "raggiungere" il defunto, mentre nell' EDM tali pensieri sono focalizzati sul mettere fine alla propria vita per senti­ menti di inutilità, di essere immeritevoli della vita, oppure incapaci di far fronte al dolore della depressione.

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Capitolo terzo Principi di base per l'accompagnamento clinico

Il lutto di cui non si parla è un lutto che non guarisce. (Proverbio spagnolo)

3.1 Effetto matrioska: contenere chi contiene L' essere umano, nel corso del suo sviluppo, ha bisogno di attaccarsi e legarsi affettivamente a qualcuno, a qualcosa per vivere, per poi separarsi per intessere nuovi legami e speri­ mentare nuovi attaccamenti (Sandrini L., Un 'età da vivere. Invecchiare si può, Paoline, Milano, 2007, p. 92). Un punto fondamentale riguarda la consapevolezza che "non ci si può sperare senza aprirsi". Il dolore per essere cu­ rato richiede apertura. La matrioska è un' efficace metafora utile a spiegare come funziona il lavoro di sostegno che si mette in atto nella rela­ zione d' aiuto. La relazione d' aiuto è un lavoro individuale o di gruppo in cui gli operatori hanno i l ruolo di facilitatori della comu­ nicazione del vissuto di dolore. La professione dello psicologo svolge proprio tale funzio­ ne, cioè quella di "contenere". Le angosce di perdita, di morte vengono contenute all' interno della relazione con il paziente. L' essenza dell' intervento consiste nel comprendere, ac­ cogliere, contenere un dolore. L' angoscia di morte è uno dei sentimenti centrali con i quali si viene a contatto nell' attività quotidiana. Il poter­ ne parlare, soprattutto in gruppo, sostiene la condivisione dell ' esperienza e delle emozioni ad esse legate.

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Per lo psicologo è molto importante il lavoro svolto in unione con l' équipe professionale, in quanto si attualizza uno scambio continuo tra gli operatori rispetto ai casi che più colpiscono a livello emotivo. È fondamentale fare riunioni settimanali di équipe su casi clinici. Infatti, oltre a dare la possibilità di confrontarsi sul lavoro da fare, aiuta allo stesso tempo a condividere la sof­ ferenza, l' angoscia, i dubbi, il senso di vuoto che il rapporto con tali pazienti attiva. L' esperienza di gruppo è fondamentale in quanto fornisce stabilità e affidabilità. Essa è un' esperienza che dà energia. Michel B alint negli anni ' 50 analizzò le problematiche re­ lazionali tra operatori e pazienti attraverso la formazione di gruppi costituiti da medici allo scopo di discutere le proble­ matiche connesse alla loro professione. Balint ha descritto un tipo di training indirizzato a tutti gli operatori sanitari, e non solo, dell' area del disagio mentale, che permette di imparare ad utilizzare un rapporto identificatorio equilibrato con il paziente. I gruppi Balint insegnano ad utilizzare meglio la vista e l' udito, per arrivare a percepire anche i messaggi non ver­ bali del paziente. Un gruppo B alint è un gruppo di lavoro che si incontra ad intervalli regolari nel corso del tempo. Gli incontri regolari creano relazioni di fiducia e di apertura tra i partecipanti. L' operatore che porta nel gruppo le emozio­ ni comunicategli dai pazienti, provoca risposte razionali ed emotive nel suo gruppo di colleghi. Gli obiettivi educazionali di questi gruppi si possono rias­ sumere in due punti: l . prendere coscienza dei movimenti difensivi messi in gioco dalla relazione; 2. familiarizzare con i più elementari meccanismi di re­ gressione e comunicazione non verbale.

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Questi gruppi permettono agli operatori di allargare il loro campo visivo e riflettere sulle proprie emozioni aiu­ tandoli a sentirsi meglio nello svolgimento della propria attività. 3.2 I gruppi di mutuo aiuto per le persone in lutto

I gruppi di sostegno sono piccole comunità di persone, fe­ rite da esperienze specifiche che si ritrovano periodicamente per aiutarsi insieme (Pangrazzi A, 1986). La nascita di gruppi di mutuo aiuto per persone in lutto è una risorsa importante per affrontare insieme ad altri il processo del l ' elaborazione del lutto, superando la tenta­ zione di chiudersi e vivere la propria disperazione nella solitudine. "In quasi tutte le circostanze pensiamo alle persone in due ruoli diversi: quello di cui ha bisogno e quello di chi dà aiuto; nell 'ottica dell 'auto-mutuo aiuto invece, tutti sono aiutati e tutti danno aiuto, tutti sono caregiver e curati " (Mutti M., 2008) . I gruppi di mutuo aiuto sono reti composte d a persone che condividono uno stesso bisogno e che fondano su questo la propria appartenenza al gruppo. Le persone che fanno parte dei gruppi di mutuo aiuto con­ dividono la stessa problematica, ed è proprio la condivisione l ' aspetto fondamentale del gruppo. Il gruppo è una risorsa comunitaria in quanto promuove condivisione, fornisce supporto, incoraggiamento e strategie di adattamento. Gli obiettivi dei gruppi di mutuo aiuto, per l ' elaborazione del lutto possono sintetizzarsi in tre punti: l . Sostegno emotivo: condivisione dei sentimenti, dei bisogni. 2. Supporto sociale.

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3. Informazione ed educazione: nel gruppo si impara reci­ procamente l ' uno dall' altro a gestire il dolore e render­ lo fecondo proprio attraverso quelle informazioni che, con l' esperienza diventano formazione e che aiutano meglio a gestire il dolore. All' interno di questi gruppi vi è un facilitatore (helper) che ha un compito centrale, cioè quello di "servire" il gruppo attraverso l ' utilizzo delle proprie competenze metodologi­ che e capacità personali. L'helper ha il compito di favorire la nascita del gruppo, coordina gli incontri, stimola i partecipanti a verbalizzare le loro emozioni. I gruppi di mutuo-aiuto si attivano proprio grazie all' in­ tervento dei facilitatori; essi possono essere dei professioni­ sti o altre persone che hanno sperimentato in prima persona la problematica trattata e possiedono caratteristiche adeguate per la conduzione. I gruppi di mutuo aiuto possono essere considerati un vero e proprio strumento terapeutico in quanto offrono la possibi­ lità di un recupero della salute intesa come stato di benessere corporeo, mentale, sociale e spirituale. Bruner (2002) afferma che il «"Sé" è un prodotto del no­ stro raccontare e non una qualche essenza da scoprire sca­ vando nei recessi della soggettività» ; non avere, non potere, non voler raccontare o ascoltare storie ci rende ancora più vulnerabili al rischio della disgregazione del nostro senso d' identità. Nei gruppi di mutuo aiuto avviene una risocializzazione protetta e non scontata, che aiuterà la persona a riadattarsi, riorganizzando la storia dolorosa in un insieme sufficiente­ mente integrato alla propria quotidianità.

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SECONDA PARTE Trattamento del lutto nel ciclo di vita

Capitolo quarto Interventi per il lutto infantile

4.1 Le reazioni psicologiche in età evolutiva Approssimativamente il 4% dei bambini (fino ai 1 8 anni) nei paesi occidentali sperimenta la morte di un genitore (Ga­ mezy & Masten, 1 994; Harrison & Harrington, 200 1 ; Social Security Administration, 2000), il che è considerato uno de­ gli eventi più stressanti che un bambino possa vivere (Yama­ moto et al., 1 996). Molti altri sperimentano la morte di una persona cara, come un nonno, un altro membro della fami­ glia, o un amico. I bambini differiscono in gran misura da un adulto nel modo in cui rispondono alla morte di una persona cara. Molta di questa variabilità è influenzata dallo stadio di svi­ luppo. La differenza di come i bambini rispondono è inoltre influenzata da fattori familiari, come il funzionamento del­ la famiglia prima e dopo la morte e la relazione del bambi­ no con la persona ancora in vita che si prende cura di lui. Ulteriori differenze possono insorgere sulla base di fattori individuali riguardanti il bambino, come il temperamento, l ' accesso e l ' u so al/del supporto sociale, e il suo adatta­ mento. In ogni caso, alcune risposte sono comuni tra i bambini che subiscono un lutto, ad esempio, è probabile che i prin­ cipali sentimenti sperimentati siano confusione, tristezza, rabbia e preoccupazione. Per la maggior parte di essi, que­ sti sentimenti mutano con il passare del tempo soprattutto

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quando possono contare sul supporto di adulti e di una rete sociale accogliente. Altri bambini sembrano vivere momenti più difficili, sperimentando sofferenze psicologiche e isola­ mento sociale che persistono per diversi mesi o più. Questi bambini che soffrono di significativi o prolungati disagi, in seguito alla morte di una persona cara, possono essere colpiti in vari modi, inclusi umore depressione, irrita­ bilità e significativa ansia riguardo la salute e la sicurezza dei membri della famiglia ancora in vita (Abdelnoor & Hollins, 2004; Cerei, Fristad, Verducci, Weller, 2006; Dowdney, 2000; Genevro, Marshall, Miller, & Center for the Advan­ cement of Health, 2004). Possono anche mostrare problemi comportamentali, nelle performance scolastiche e/o ritiro dalla vita sociale (Luecken, 2008). Le difficoltà dei bambini in seguito ad una significativa perdita possono essere connesse allo stress insito nel lutto così come ai problemi di adattamento corrispondenti ai cam­ biamenti nel sistema familiare (ad esempio, alcuni vivranno con il genitore sopravvissuto, che può restare single o rispo­ sarsi, altri con i nonni o con i membri della famiglia estesa, altri ancora verranno accuditi da persone che non sono loro parenti). 4.2 La perdita di un genitore La collera è un' immediata, comune e forse costante re­ azione alla perdita. Si può affermare con certezza che nei bambini piccoli che hanno perduto un genitore in un' età precoce sono osservate risposte di stress dovute al trauma, reazioni di dolore e il protrarsi del lutto. La funzione della collera sembra essere quella di apportare energia agli strenui tentativi sia di recuperare la persona persa sia di convincerla a non abbandonarci ancora, tentativi che risultano poi essere i punti distintivi della prima fase del lutto.

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Fino a cinque anni di vita, i bambini hanno bisogno di credere che il genitore sia disponibile e protettivo nei loro confronti, in modo da sviluppare un senso di integrità fisica ed emotiva. Quando in tale fase il bambino vive la perdita della figura di attaccamento, egli perde alcune modalità di relazione affettiva che organizzano i passaggi chiave dello sviluppo e che costituiscono la struttura per il senso di sé del bambino. La perdita costituisce un fattore di rischio per uno svilup­ po sano, nel caso il bambino non venga sostenuto nel proces­ so di elaborazione del lutto. Questo processo include stati d ' animo di tristezza che hanno a che fare con il dolore, i quali consistono sia nella ri­ nuncia alla speranza che il genitore possa tornare sia nell' in­ tegrazione di ricordi del genitore perduto all' interno di un senso di un sé che si va costruendo. I bambini di solito fantasticano anche sul fatto che si ri­ congiungeranno al genitore morto, risposta comune anche tra gli adulti. I bambini credono contemporaneamente sia che il genito­ re sia morto, sia che sia vivo e sia che ritorni. Le caratteristiche del pensiero magico, tipiche del primo anno di vita, giocano un ruolo primario nel plasmare la com­ prensione del bambino rispetto alla morte del genitore. I bambini piccoli non hanno ancora imparato a differen­ ziare bene tra realtà oggettiva e soggettiva. Il pensiero ma­ gico è una conseguenza della percezione egocentrica di cau­ salità dei bambini piccoli che comprende il percepirsi come causa principale degli venti che li circondano. Di conseguenza i bambini piccoli possono facilmente ri­ tenere che a causare la morte del genitore sia stato qualcosa legato al loro comportamento. Spesso i bambini provano un senso di colpa e di autocri­ tica in quanto cercano di comprendere come avrebbero po-

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tuto prevenire l' accaduto comportandosi diversamente. Tali risposte sono frequenti anche negli adulti. I bambini piccoli, inoltre, percepiscono i loro genitori come onnipotenti e onniscienti e quindi credono addirittu­ ra che il genitore ancora vivo possa far tornare il genitore morto. Inoltre possono negare che il genitore sia morto sia negandone la morte vera e propria, sia negando il modo in cui questa è avvenuta. 4.3 La comunicazione della morte Accade spesso che si ricorra al terapeuta per comunicare al bambino l' avvenuta morte del genitore. Anche nel caso in cui al bambino siano state date le informazioni della morte del genitore prima dell' entrata della figura del terapeuta, sarà necessario ripetere molte volte le notizie relative ali' accadu­ to, sia nel corso del trattamento sia al di fuori di questo. I messaggi che devono essere trasmessi al bambino sono tre: l) il genitore non sarà mai più con il bambino, 2) il ge­ nitore non voleva abbandonare il bambino, 3) il genitore non tornerà mai più. Se il bambino crede di essere la causa della morte del genitore è opportuno introdurre un quarto elemento, quel­ lo della rassicurazione, cioè il terapeuta deve rassicurare il bambino in modo empatico sul fatto che non ha alcuna re­ sponsabilità per la morte del genitore. Tutti i bambini devono ricevere prima possibile una chia­ ra spiegazione sulla morte del genitore in modo da sostenere il loro senso di realtà. I bambini piccoli sono molto consape­ voli della presenza e dell' assenza dei propri genitori. L ' an­ goscia degli altri membri della famiglia e l' assenza del geni­ tore sono per il bambino fattori significativi del fatto che sia successo qualcosa di brutto. Se il bambino arriva in terapia senza essere stato messo

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al corrente di nulla, allora è importante pianificare insieme al genitore o al caregiver cosa e quando comunicare al bambino della morte. Se invece il bambino è già al corrente della morte del ge­ nitore, il trattamento può essere visto come sostegno ed ela­ borazione dei sentimenti di tristezza e rabbia. Tutto ciò che viene detto al bambino deve essere adegua­ to alle capacità di questi di comprendere. Anche quando le parole non sono completamente comprese, i bambini pur se molto piccoli registrano il tono di voce associato alle parole degli adulti, utilizzando il tono emotivo. Quando ci si rivolgerà ad un bambino tra i 9- 1 2 mesi si può dire semplicemente con un tono autenticamente triste: mamma è morta, è andata via, e non tornerà più. A questa co­ municazione deve seguire immediatamente un' informazione rassicurante relativa a chi si prenderà cura del bambino. Ai bambini poco più grandi si possono fornire elementi aggiuntivi: mamma era molto malata ed è morta, non può più essere tra noi. I bambini più grandi, che hanno già acquisito un linguag­ gio espressivo più maturo, possono essere aiutati a prepa­ rarsi alla brutta notizia utilizzando affermazioni caute quali: dobbiamo comunicarti una cosa molto triste, il tuo papà o la tua mamma non può essere più tra noi. Lei era molto malata ed è morta. Questi messaggi devono essere necessariamente seguiti sempre dalla rassicurazione che continueranno ad es­ serci persone che si prenderanno cura di lui. È importante inoltre spiegare al bambino che il genito­ re non voleva morire, perché a quell'età i bambini credono che i genitori facciano solo ciò che desiderano. Il messaggio iniziale dovrebbe focalizzarsi sul fatto che il genitore non voleva abbandonarlo. Quando si comunica ai bambini la morte del genitore è opportuno anche dire che il genitore morto non tornerà mai

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più. Sottolineare il carattere definitivo della morte è fonda­ mentale perché i bambini comprendano la differenza tra la morte e una separazione. Il clinico deve dare al bambino l' opportunità di esperire tutti i sentimenti evocati dalla morte del genitore, facendo af­ fermazioni che normalizzino e sostengano la legittimità delle emozioni del bambino. 4.4 Morti traumatiche e reazioni del bambino Nei bambini che hanno assistito alla morte del genitore è molto frequente la paura per la propria sicurezza personale. Infatti vedere il genitore morire o vederlo ferito può diventa­ re fonte di paura intensa e di sofferenza. Quando ciò avviene le esperienze sensoriali che accompagnano la morte del ge­ nitore diventano delle immagini mentali intrusive che vanno ad interferire con il processo di elaborazione del lutto del bambino piccolo, perché sono incompatibili con la vicinanza emotiva evocata dal genitore prima della morte. Le paure possono includere la rievocazione di ricordi traumatici quali immagini, suoni, odori sentiti dal bambino durante quell ' evento. I processi cognitivi e affettivi posso­ no riflettere delle fantasie specifiche collegate alla morte del genitore. Nei casi di morte violenta, lo sviluppo normale dell' ag­ gressività è profondamente alterato. Il comportamento ag­ gressivo, successivo alla morte, può essere compreso come un' aggressione strumentale che ha la funzione di arrestare il pericolo percepito. I bambini traumatizzati possono diven­ tare molto aggressivi quando si sentono minacciati e questa diventa una forma di auto-protezione. È necessario quindi che tale meccanismo di difesa venga compreso e delineato nel corso della terapia. I bambini più grandi spesso serbano pensieri di rivalsa

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che possono manifestarsi nel gioco o nei confronti dei com­ pagni e degli adulti e possono distorcere il normale sviluppo di autoregolazione dell'aggressività. Nei casi in cui il bambino viva la morte suicida del geni­ tore, la comunicazione tra il genitore in vita e il bambino è seriamente complicata. Quando avviene un lutto per morte suicida di uno dei due genitori, ali ' interno della famiglia gli adulti rispondono con reazioni conflittuali. Quando al bambino viene comunicato il motivo della morte del genitore, il suicidio, è fondamentale fornirgli una doppia spiegazione: da un lato il fatto che il genitore non era in grado di pensare in modo sano a causa di una malattia mentale e, dali' altro il fatto che il genitore abbai commesso un errore per essersi danneggiato tanto fortemente da ucci­ dersi. Tali spiegazioni possono essere fornite a seconda delle circostanze che precedono la morte e a seconda della capaci­ tà di comprensione del bambino. È fondamentale evidenzia­ re e sottolineare che il genitore abbia commesso un errore in quanto c ' è un alta prevalenza di rischio di suicidio tra i figli di genitori morti suicidi. Nel caso di morti suicidarie il vissuto dei bambini è molto differente da altri tipi di morti, in quanto sanno che è stata una scelta del genitore quella di abbandonarli. Questa consa­ pevolezza porta a profondi sentimenti di autosvalutazione e di inadeguatezza. Quando il genitore muore a causa di un' azione criminale, o un omicidio è importante sottolineare al bambino che il genitore aveva intrapreso qualcosa di molto pericoloso e che ha commesso un errore che ne ha provocato il grave feri­ mento. Il genitore deve essere ricordato al di là delle azioni criminali. È necessario che vengano preservati i ricordi positivi che il bambino conserva del genitore e che questi vengano rin-

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forzati affinchè la sua identificazione con il genitore morto possa contenere elementi sani. 4.5 Reazioni della figura genitoriale e gli effetti sul bambino Quando avviene la morte di un genitore oltre al senso di perdita che prova il bambino bisogna anche considerare il lutto degli altri membri della famiglia. Dato che i bambini piccoli crescono all' interno delle relazioni intime, il genito­ re in vita è generalmente la persona più indicata per aiutare il bambino ad affrontare la morte. Allo stesso tempo questo genitore può essere immerso nel suo dolore ed essere emo­ tivamente inaccessibile per il bambino. Gli adulti angosciati dal dolore possono non accorgersi o non dare il giusto peso al dolore del bambino. Anche se consapevoli gli adulti pos­ sono sentirsi empaticamente del tutto svuotati per rispondere al dolore del bambino. Essi possono provare ad alleviare il proprio dispiacere dicendosi che i bambini non comprendono la morte e non possono esserne influenzati a lungo. Il permesso di esprimere i sentimenti è uno dei fattori fon­ damentali della salute emotiva dal momento che l'approva­ zione del genitore è di primaria importanza per i bambini piccoli. Gli adulti spesso raccontano bugie innocenti che sono in contraddizione con la conoscenza che il bambino possiede della morte del genitore. Questo spesso porta ad una scissione interna in cui il bam­ bino si fa portatore di due versioni della realtà che si esclu­ dono a vicenda. Consciamente il bambino si attiene a quello che gli è stato detto dagli adulti, allo stesso tempo inconsciamente il bam­ bino ricorda i fatti così come li conosce dando una sua in­ terpretazione che spesso è distorta dall' immaturità cognitiva nella comprensione della causalità.

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I bambini spesso minimizzano o sopprimono le reazioni di dolore in modo da aderire alla credenza degli adulti secon­ do cui sono capaci di recuperare in fretta. I bambini piccoli hanno bisogno di fare affidamento sui loro genitori o sulle figure di attaccamento per dare un senso a ciò che accade loro. Il percorso terapeutico di un lutto traumatico dovrebbe innanzitutto prevedere la collaborazione e il coinvolgimento del genitore in vita o del caregiver, in quanto è un alleato fondamentale nel trattamento del bambino. È importante stabilire un' alleanza terapeutica con il geni­ tore in quanto consente al terapeuta di conoscere i punti di forza e di debolezza delle sue relazioni primarie e della sua quotidiani tà.

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Capitolo quinto Interventi per il lutto di adolescenti

Non voglio ottenere l' immortalità attraverso il mio lavoro . . . Voglio attenerla non morendo Woody A llen

5.1 L'età del cambiamento: il lutto simbolico e il lutto reale La morte o meglio un evento luttuoso potrebbe verificarsi in infanzia, vita adulta, ma anche durante la fase adolescenziale. Se ciò dovesse realmente avvenire in tale fase potrebbe verifi­ carsi un blocco emotivo. Il blocco evolutivo sarebbe da ricondursi ad un disagio che si viene a creare in un periodo, quello adolescenziale appunto, di strutturazione della propria identità. In questa fase l' adolescente inizia ad essere proiettato al futuro, inizia a confrontarsi con il rischio. Come è noto la fase adolescenziale è una fase di proiezio­ ne, di visione verso il futuro e questo permette all' individuo di affrontare il lutto sia in maniera simbolica che reale. Il cambiamento diviene prima reale e oggettivo e poi in­ terno. In adolescenza è di primaria importanza rendere il dolore per la perdita e la sofferenza comunicabili. Quindi la presa in carico dell' adolescente che affronta un lutto, la costruzione di un sostegno efficace, significa dunque aiutare l 'intero contesto che fa parte di lui a riformulare un nuovo progetto di vita favorendo lo scambio tra l ' esperienza dolorosa dell' uno e dell' altro.

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5.2 Il ruolo della famiglia La famiglia è il contenitore in cui l' adolescente costruisce la propria identità. Attraverso i codici familiari si costruisce un' eredità socia­ le strutturata. La famiglia è il primo luogo, in senso metaforico, in cui ha vita la rete di appartenenza ad un gruppo. Successivamente l' adolescente comincia ad appartenere ad altri gruppi, al gruppo dei pari, al gruppo sociale, tutti spazi portatori di altri codici di significati. L' evento luttuoso nella vita di un adolescente costrin­ ge ad un' elaborazione della matrice strutturale richiedendo nuove capacità rigenerative alla personalità, in formazione, dell' adolescente. 5.3 Il senso di appartenenza e l'adolescente Il gruppo dei pari rappresenta per l ' adolescente una risor­ sa concreta durante l' evento luttuoso avvenuto. La morte si colloca come un' esperienza di separazione che non ha ritorno e che interferisce nel percorso evolutivo di appartenenza e di separazione dell' adolescente. L' ascolto di un altro al suo pari, coetaneo, offre uno spa­ zio ulteriore per arricchire di nuovi significati l'esperienza, sia quella dolorosa sia quella quotidiana successiva al lutto. Lo spazio del gruppo dei pari e degli altri gruppi di appartenenza dell' adolescente è uno tra i fattori più importanti nel potenzia­ mento di competenze emozionali e relazionali. Ciò consente di attivare e sostenere i processi di resilienza, cioè favorire l'a­ dattamento della persona che va incontro a esperienze avverse. L' adolescente vive il lutto come un blocco emotivo, che può manifestarsi con sintomatologie ascrivibili ad un quadro di un disturbo post-traumatico da stress.

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È fondamentale creare spazi per permettere all' adolescen­ te di esprimere le emozioni legate ali ' evento. 5.4 Psicopatologia e rischi evolutivi I lutti vissuti in età evolutiva, in particolare in età adole­ scenziale, se vissuti in modo traumatico, rischiano di alterare oltre che il sistema di attaccamento anche i processi cogniti­ vi, psico-biologici e di sviluppo della personalità. Esiste un significativo numero di ricerche cliniche che documentano il ruolo chiave degli stati emotivi negativi, come l ' ansia, la rab­ bia e la depressione, nei pazienti con dolore cronico. Dersh, Polatin e Gatchel (2002) hanno anche esaminato in maniera più completa la stretta comorbidità tra dolore cronico e stati psicopatologici come l ' ansia, la depressione, l ' abuso di so­ stanze e i disturbi della personalità. La letteratura internazionale ha evidenziato che il supera­ mento di gravi perdite interpersonali e di lutti è più comples­ so e difficile nei casi in cui l' adolescente aveva un rapporto con il defunto ambivalente oppure di dipendenza. 5.5 Psicoterapia del lutto con il bambino e l'adolescente L' IGTC (terapia integrata del lutto per bambini) può essere applicato a diversi sintomi e circostanze riguardanti i bambini che sperimentano un lutto. Tale metodo va oltre altri approcci di terapia per bambini, non solo trattando spe­ cifici sintomi al momento presenti, come ansia e depressio­ ne, ma anche occupandosi dei punti di forza del bambino e promuovendo la capacità di ripresa. Nonostante la maggior parte degli interventi nella IGTC sia­ no di stampo cognitivo - comportamentale, lo schema teorico comprende anche principi integrati dalla terapia interpersonale, dal lavoro sui sistemi familiari e da approcci narrativi.

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Si utilizzerà il termine "genitore" per indicare la princi­ pale persona che attualmente si occupa del bambino, nono­ stante la consapevolezza che possa essere un altro parente o un altro adulto. La parola "bambino" fa riferimento a giovani tra i 4 e i 20 anni, a meno che non sia specificato diversamente. La parola "bereavement" fa riferimento all' esperienza oggettiva di perdita, mentre "grief" fa riferimento alla rea­ zione soggettiva alla perdita (entrambe si traducono con "lut­ to", ma sono diverse, perché la seconda esprime il dolore). Il "cordoglio" (mourning) è una formalizzata espressione di lutto praticata dalla società o da uno specifico gruppo cultu­ rale ( Genevro et al. ,2004). Il modello IGTC è stato sviluppato sulla base di diverse principali convinzioni, o principi di trattamento, e consiste in tre fasi di trattamento. Sono sette i principi su cui si fonda la IGTC. l . Il processo di lutto (grief) è diverso da persona a per­ sona - non esiste un unico modo "giusto" di soffrire per una perdita . Ad esempio, alcuni bambini si trovano a pro­

prio agio a parlare del decesso, altri preferiscono conservare i propri ricordi in maniera più privata. Non esistono delle fasi o delle risposte standard (Weiss, 2008; Wortman & Silver, 2001 ). I clinici che si occupano di persone in lutto devono adattare il proprio approccio alle esigenze individuali soprat­ tutto se hanno a che fare con bambini, che possono affrontare sfide aggiuntive dipendenti dalla loro età o dal loro sviluppo cognitivo. L' approccio IGTC funziona da guida contenendo una moltitudine di opzioni tra cui un clinico può scegliere gli aspetti che più sono rilevanti per il bambino. 2. Ove possibile, usare interventi comprovati per guidare il trattamento . Non tutti i bambini necessitano di trattamenti e quindi di un ciclo completo di IGTC, che è stata infatti

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pensata specificamente per permettere ai clinici di selezio­ nare gli interventi sulla base dei casi specifici (Currier et al. , 2007) . Il modello, tuttavia, include sia il corpo di ricerche finora disponibile riguardo i bambini in lutto (per fornire una guida ai clinici sulla base di ciò che è stato dimostrato ef­ ficace finora) e sul trattamento di bambini in generale, sia la nostra esperienza, nella convinzione che ulteriori ricerche devono essere effettuate, soprattutto nel campo delle terapie individuali. 3. Individuare gli obiettivi in maniera collaborativa e de­ terminare il modo in cui raggiungerli. È importante che il terapeuta presenti un piano di trattamento basato sull' attiva discussione degli obiettivi con il bambino e, in alcuni casi, soprattutto quando si tratta di bambini molto piccoli, con il genitore. Ciò non solo dà al bambino un senso di controllo sul trattamento, ma fornisce un senso di struttura e di cresci­ ta, che permette al terapeuta e al bambino di conoscere ed essere d' accordo su cosa è stato raggiunto e sul lavoro che resta. L' implicazione è che la discussione degli obiettivi è continua e non limitata solo al momento di inizio della te­ rapia. 4. Costruire la relazione tra il genitore e il bambino. I risultati ottenuti dai bambini sono strettamente connessi alla funzione della persona ancora in vita che si occupa di lui. Includere quest' ultima e sviluppare tale relazione è quindi strumentale al trattamento dei bambini in lutto, anche perché una perdita influenza le relazioni dell'intera famiglia (for a review, vedi Leucken, 2008). 5 . Creare ed implementare un piano di trattamento co­ erente con lo stile, cultura familiare e temperamento del bambino . Non solo è importante scegliere quali interventi

utilizzare sulla base delle esigenze del bambino, ma è altret­ tanto importante scegliere come presentarli sulla base della personalità, del temperamento, dell' età, delle abilità e dei

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gusti del bambino. l terapeuti devono prendere tempo per ca­ pire cosa funziona meglio per ciascun bambino. Allo stesso modo, quando si include il genitore nel trattamento bisogna tenere in considerazione il suo stile, così come la relazione tra lo stesso e il bambino. 6. Fornire chiare aspettative per la terapia . Le famiglie in lutto hanno a che fare con profondi cambiamenti di vita e potrebbero non avere esperienza di ciò che una terapia ti­ picamente implica. È importante dunque che il terapeuta, spesso visto come guida, offra al bambino un posto sicuro in cui i sui pensieri e sentimenti più profondi possano essere comodamente rivelati. Allo stesso modo, è importante che spieghi sia al genitore che al bambino da dove proviene sia in termini di approccio generale di trattamento sia in termini di responsabilità professionali, includendo la questione della confidenzialità e dei suoi limiti (soprattutto se il genitore è coinvolto nel trattamento). 7 . Strutturare i punti di forza del bambino e della fami­ glia in modo da fornire delle capacità che continueranno ad aiutarli nel tempo. L' idea è di incrementare la qualità

della vita del bambino e della famiglia non solo riducendo i problemi e i sintomi (cioè non solo focalizzandosi sulle que­ stioni diagnostiche), ma anche incrementando le interazioni positive e strutturare ciò che essi già fanno per aiutarsi. In questo modo il bambino imparerà come affrontare la perdita di una persona cara e sarà più preparato ad adattarsi ai signi­ ficativi cambiamenti di vita ad essa connessi. A vendo in mente i principi di trattamento di base, il clini­ co attraversa tre fasi di trattamento. Nella prima fase, il clinico esamina il bambino in lutto e determina quali bisogni devono essere soddisfatti, quali sin­ tomi affrontati e a quali risorse attingere per costruire la sua capacità di recupero. Si tratta di una fase critica per la perso­ nalizzazione del piano di trattamento, in modo da soddisfare

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le esigenze peculiari del bambino. La prima fase termina con la determinazione degli obiettivi per il trattamento e con la preparazione del bambino e del genitore al lavoro succes­ sivo, presentando le capacità di base che serviranno come mattoni per la terapia. La seconda fase consiste nell' affrontare qualsiasi sinto­ mo o problema si presenti, come depressione, PSTD (distur­ bo post-traumatico da stress), ansia o problemi comporta­ mentali. Questi sintomi vanno gestiti prima di focalizzarsi sul lutto perché essi hanno l' impatto più importante sulla vita di tutti i giorni del bambino. In ogni caso, questa fase può essere omessa se il bambino non presenta tali problemi. La terza fase del trattamento si focalizza di più sulla per­ dita in sé e sul processo di lutto (griej), promuovendo in­ tanto capacità di recupero nel bambino. Una componente importante di questa fase è costituita dali' aiutare il bambino a mantenere una connessione con il defunto in una maniera che garantisce sicurezza e consolazione, nonché dali' aiutarlo ad utilizzare risorse aggiuntive, come il supporto degli altri o le proprie capacità (Field, 2008; Klass & Walter, 200 1 ; Malkinson, 200 1 ; Silverman, Nickman, & Worden, 1 992; Weiss, 2008). In ogni fase, il clinico è incoraggiato ad usare quegli aspetti del trattamento che sono più rilevanti e che più si ad­ dicono al bambino in terapia. Trattare i sintomi di depressione nei bambini in lutto Il sintomo più associato alla perdita di un genitore du­ rante l' infanzia è la presenza di sintomi depressivi (Lutz­ ke, Ayers, S andler, & Barr, 1 997). È importante notare che i bambini che hanno subìto un lutto potrebbero non soddisfare necessariamente tutti i criteri di un serio episodio di depres­ sione, ma si potrebbero presentare con sintomi depressivi

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sottosoglia, che li pone a rischio di una più grave depressione in un momento successivo (Clarke et al. , 1 995 ; Lewinsohn, Clarke, Seeley, & Rohde, 1 994). Inoltre, vi sono prove che la morte prematura di un genitore possa essere uno dei fat­ tori che contribuiscono ad una successiva e più importante depressione e a comportamenti suicidi durante l' adolescenza e l ' età adulta (vedi Brent & Melhem, 2008). Perciò, bambini e adolescenti che per un periodo esteso di tempo hanno ele­ vati sintomi di depressione, ma che non soddisfano i requisiti diagnostici di una grave depressione possono trarre beneficio dal trattamento. Il modello IGTC per il trattamento dei sintomi depressivi combina componenti di approcci per il trattamento dei bam­ bini e degli adolescenti con depressione, includendo la te­ rapia interpersonale per adolescenti (IPT -A) e la terapia cognitivo-comportamentale (CBT), così come approcci dei sistemi familiari (Carr, 2009) . La IPT-A, originaria­ mente sviluppata per essere utilizzata nel trattamento della depressione in età adulta, è stata adattata agli adolescenti da Mufson e i suoi colleghi, e si è rivelata efficace nel trattamen­ to di adolescenti con gravi sintomi di depressione (Mufson & Dorta, 2003). V ' è stato supporto anche per la CBT nel trat­ tamento sia della depressione di bambini che di adolescenti, tuttavia la superiorità della stessa su altre forme di trattamen­ ti non è stata stabilita (APA Working Group of Psychoactive Medications for Children and Adolescents, 2006). Interventi basati sulla famiglia, che si focalizzano sulla diminuzione dello stress e sull' incremento del supporto all' interno della famiglia stessa, attraverso uno sviluppo della comunicazione tra genitore e bambino, un efficace risoluzione dei proble­ mi, un riduzione delle interazioni critiche e una promozione dell' attaccamento sicuro, si sono rivelati efficaci nel tratta­ mento di bambini depressi così come la CBT individuale e le terapie psicodinamiche (Carr 2009; Trowell et al., 2007).

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Insieme agli interventi psicoterapeutici, il terapeuta do­ vrebbe condurre un esame accurato per determinare se è ne­ cessario o no fare ricorso a farmaci psichiatrici. Molti bambini descrivono sentimenti di tristezza. In ogni caso, tristezza e depressione possono presentarsi in maniera differente nei diversi stadi di sviluppo. L 'aiuto ai bambini con depressione I genitori dei bambini che hanno subìto un lutto e mostra­ no sintomi di depressione spesso descrivono i propri bambi­ ni come lunatici, giù di morale o difficili da risollevare. È im­ portante diffondere speranza e informare il genitore che un importante obiettivo del trattamento sarà aiutare il bambino nell' affrontare tali sentimenti di tristezza e nel comunicare in maniera più efficace. Potrebbe essere utile rassicurare il ge­ nitore e il bambino facendo notare che malgrado l' esperienza di perdita possa aver cambiato il bambino in un certo modo, molte cose che lo riguardano restano le stesse. Il modello IGTC enfatizza l' importanza di offrire una psicoeducazione alle famiglie in lutto. Educazione dovreb­ be essere fornita su cosa è la depressione, specialmente nel contesto del lutto, e come essa può impattare la vita di tutti i giorni. Tale discussione potrebbe includere un riepilogo dei sintomi del bambino, una educazione generale sulla depres­ sione e modi in cui la terapia può risultare di aiuto. L' edu­ cazione psicologica può essere d' aiuto nelle prime fasi del trattamento per normalizzare ciò che il bambino sta speri­ mentando (Mufson & Dorta, 2003). La CBT (Terapia Cognitiva Comportamentale) enfatizza l' importanza di una relazione collaborativa tra il terapeuta e il paziente (A.T. B eck, Rush, S haw, & Emery, 1 979). Le tecniche comportamentali usate con i bambini consistono spesso in strategie per aiutare i pazienti ad incrementare il

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proprio coinvolgimento in attività piacevoli o a sviluppare capacità sociali e di risoluzione dei problemi. La programmazione delle attività può essere un impor­ tante intervento per promuovere l' aumento di attività e com­ portamenti positivi e salutari e può essere particolarmente utile per un bambino in lutto che si rivela depresso e tendente all' isolamento. Tale intervento significa essenzialmente far sì che il bambino dia priorità al divertimento e ad attività di piacere. I bambini possono essere incoraggiati a cercare di valutare il proprio umore durante ogni attività usando un "termometro dei sentimenti", o un indice di intensità emo­ zionale (su una scala da O a 10) . Dopo una settimana che il bambino h a monitorato l e pro­ prie attività con una apposita scheda, il bambino e il terapeu­ ta possono rivedere insieme come il bambino sta trascorren­ do il proprio tempo e quanto piacere sta traendo dalle attuali attività. Il passo successivo consiste nel generare una lista di attività che il bambino ha smesso di svolgere dalla morte della persona cara, o almeno da quando i sintomi depressivi sono iniziati (spesso si tratta di attività che egli svolgeva con la persona deceduta). Il terapeuta dovrebbe aiutare il bambi­ no ad esprimere i propri sentimenti riguardo a questo argo­ mento, essere d' aiuto per i sentimenti del bambino e mostra­ re empatia. È importante trovare soluzioni con il bambino per identi­ ficare altri partner o attività sostitutive che egli può svolgere senza il genitore defunto. Un sistema a punti è utile nel promuovere l' impegno del bambino a svolgere attività divertenti. Il numero di punti associati ad ogni attività dovrebbe essere basato su quanto impegno richiede quella attività per il bambino (il terapeuta può aiutare ad identificare le attività facili, difficili o di me­ dia difficoltà). Per alcuni bambini il sistema a punti in sé può essere rin-

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forzante, per altri potrebbe invece essere utile stabilire un sistema di ricompense con il genitore per supportare il rag­ giungimento degli obiettivi. Quando si lavora con adolescen­ ti, dovrebbe essere scritta una lista di obiettivi su un foglio bianco, in modo da dare loro un senso di autonomia. In base al livello di depressione, alcuni bambini potreb­ bero avere maggiori difficoltà rispetto ad altri. Il terapeu­ ta dovrebbe riconoscere e sviluppare empatia verso la loro mancanza di interesse, ma allo stesso tempo incoraggiarli a provare una nuova attività nonostante la riluttanza. Il passo successivo consiste nel creare una nuova scheda di attività per aiutare il bambino a programmare le attività piacevoli per la settimana successiva. Il numero di attività dovrebbe aumentare in maniera graduale ogni settimana in base ai progressi individuali del bambino. (Stallard, 2005) . Individuare i pensieri negativi Il primo passo per iniziare a cambiare le cognizioni nega­ tive è aiutare il bambino o l' adolescente ad identificare una specifica situazione in cui si sente triste o depresso. Un modo per tirar fuori i pensieri automatici del bambino è semplice­ mente chiedergli cosa stava pensando in quella situazione. Pensieri comuni nei bambini che hanno subìto un lutto sono ad esempio "i bambini mi guardano divertiti" o "tutti sono dispiaciuti per me". Contestare i pensieri negativi

È importante per il terapeuta determinare quali pensieri hanno bisogno di essere contestati. Il terapeuta deve ovvia­ mente mostrare empatia verso i sentimenti di tristezza e per­ dita del bambino, che sono comprensibili data la particolare

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situazione. Tuttavia, se il bambino mostra degli schemi di pensiero che servono a mantenere i suoi sentimenti di tristez­ za, allora il terapeuta dovrebbe lavorare con il bambino per mettere alla prova l' accuratezza di tali cognizioni. Il terapeuta può lavorare con il bambino per esaminare le prove che supportano o contrastano con tali pensieri. Una volta che i pensieri negativi sono stati tirati fuori e messi alla prova, è anche d' aiuto fornire consapevolezza cir­ ca le basilari strutture di pensiero irrazionali o negative, o distorsioni cognitive (Belsher & Wilkes, 1 994) (come ad esempio la lettura del pensiero, i "devo" o il pensiero pala­ rizzato). Riconoscere tali tipi di schemi è particolarmente utile quando si lavora con adolescenti, che sono tipicamente in grado di capire gli errori cognitivi. Con la pratica, essi posso­ no anche imparare come contestare i propri pensieri negativi. Riguardo ai "devo", i bambini e gli adolescenti in lutto spesso cercano di crescere in fretta e possono avere un com­ portamento da adulto, cercando di sostituire il genitore che è morto. Potrebbero provare senso di colpa a riprendere la propria vita normale e preoccuparsi di abbandonare il pro­ prio genitore ancora in vita. Un tema comune nelle terapie per bambini depressi, che si accentua per i bambini in lut­ to, è costituito dalla tendenza del bambino a servire come confidente o sistema di supporto per il genitore, di solito la madre (Campbell et al. , 2003). Le questioni che implicano il ruolo del bambino nella famiglia sono meglio affrontate in sessioni con il genitore e il bambino insieme. Nello specifi­ co, il terapeuta dovrebbe comunicare al genitore la tendenza ad aspettarsi che il bambino maturi più velocemente o che assuma nuovi ruoli, e accrescere la comprensione delle re­ sponsabilità appropriate ali' età del bambino. Per quanto riguarda il pensiero polarizzato, consideran­ do l'esperienza di perdita, i bambini in lutto in particolare

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possono avere la tendenza ad aspettarsi il peggio o avere ri­ sposte esagerate a situazioni meno gravi. Tali strategie cognitive si applicano maggiormente ad adolescenti e pre-adolescenti. Con i bambini più piccoli, bi­ sogna assicurarsi che siano almeno in età scolastica e che i processi cognitivi vengano spiegati in maniera più semplice, rendendoli concreti tramite giochi o metafore. È inoltre d' aiuto, quando si lavora con bambini più picco­ li, usare metodi creativi per assistere il bambino nell' identifi­ care i pensieri negativi e comprendere quale potrebbe essere un nuovo pensiero. Aumentare l'autostima

È importante aiutare i bambini a generare pensieri positivi su se stessi non solo per sostituire quelli negativi, ma anche per sviluppare l ' autostima. Un esempio di attività disegnata per accrescere l ' autosti­ ma e i pensieri posti vi è la creazione di un libro che eviden­ zi le caratteristiche speciali del bambino. In particolare, il terapeuta può incoraggiare il bambino in lutto a considerare le qualità positive che il genitore deceduto o il genitore an­ cora in vita potrebbe indicare/aver indicato di apprezzare in lui. Tale attività dà anche spazio alla creatività nel processo terapeutico. Se il bambino è bloccato, il terapeuta può dare dei suggerimenti. Con gli adolescenti, attività più appropriate all' età pos­ sono anche essere realizzate. Ciò potrebbe includere fare un resoconto giornaliero degli eventi, scrivere delle poesie o delle storie, o creare dei collage. Il terapeuta potrebbe porre delle domande dirette per ispirare l' adolescente nelle proprie attività e che lo aiutino a formulare il modo in cui vorrebbe vedere se stesso. Così come il bambino, anche l ' adolescente dovrebbe essere incoraggiato a riflettere sulle qualità posi-

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tive percepite dal genitore deceduto, da altri membri della famiglia o da amici. Sviluppare le relazioni I bambini che perdono un genitore possono sottilmente alienarsi dagli altri, riducendo così il rischio di perdite future (Wolfelt, 1 983). Abbiamo osservato che alcuni bambini in lutto, soprattutto adolescenti, rispondono al sentirsi diverso dai propri compagni stringendo amicizia con persone che hanno sofferto simili esperienze nella vita. Ciò può dare una sensazione positiva di identificazione, ma allo stesso tempo rappresentare un' altra esperienza di perdita. Dovrebbe essere fornita educazione psicologica sull' im­ patto dei sintomi depressivi sulle relazioni familiari e con i compagni. Il terapeuta può sottolineare come sia comune per i bambini che hanno subìto un lutto sentirsi stigmatizza­ ti e riconoscere che potrebbero sentirsi etichettati dagli altri come diversi. Se nella discussione con il bambino risulta che egli è escluso dalle sue attività sociali, è importante lavorare con il genitore per assicurarsi che egli abbia accesso ad attività so­ ciali in momenti programmati della settimana. Se il bambino presenta problemi interpersonali, il terapeuta può simulare le attuali situazioni che si rivelano un problema per il bambino. Il terapeuta dovrebbe aiutare il bambino a trovare soluzioni a problemi difficili. Il genitore come figura di aiuto La IGTC sottolinea come includere il genitore nel tratta­ mento sia strumentale al raggiungimento e al mantenimen­ to di un risultato positivo sui sintomi depressivi (IPT-A; Mufson & Dorta, 2003). Durante tale parte del trattamento,

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il genitore e il bambino tipicamente partecipano ad alcune sessioni insieme, facendo sì che vi sia l' opportunità di tratta­ re i conflitti e i problemi di comunicazione nella relazione tra bambino e genitore e di creare uno sviluppo nell' ambiente familiare che risulta benefico per il bambino anche dopo la fine del trattamento. Le famiglie dei bambini colpiti da depressione sono spesso caratterizzate da stress e conflitti (Kaslow, Deering, & Racusin, 1 994; Marmorstein & Iacono, 2004). Ciò può avere diverse conseguenze sui sintomi depressivi del bam­ bino (Mufson & Dorta, 2003) . Anche il genitore può com­ portarsi in maniera diversa, specialmente se anch' egli ha i propri sintomi di depressione o dolore per il lutto (griej). Ciò ha delle implicazioni sulle dinamiche tra il genitore e il bambino. Il primo passo consiste nel riformulare tali problemi tra genitore e bambino come una risposta familiare all' esperien­ za di perdita e ai connessi sentimenti di dolore e depressione. Il secondo passo per il terapeuta consiste nell' incoraggia­ re il genitore ad identificare e rinforzare gli attributi positivi del bambino e aiutare il genitore a vedere gli sforzi che il bambino compie per compiacerlo. Una volta che il genitore inizia a guardare il proprio bambino in maniera più chiara e positiva, il terapeuta dovrebbe guidarlo nel capire come trasmettere maggior calore e interesse. La famiglia dovrebbe anche essere incoraggiata a pianificare delle piacevoli attività insieme. Infine, è importante aiutare il genitore e il bambino a comunicare circa i cambiamenti avvenuti nelle aspettative di ruolo in seguito alla morte del genitore. L 'ansia nei bambini in lutto

È stato dimostrato che i bambini che hanno subìto un lutto possono presentare livelli più elevati di paura e di preoccu-

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pazioni rispetto ai bambini che non hanno subìto una perdita. Come rivelato da alcuni studi, così come dalle nostre espe­ rienze cliniche, è chiaro che uno dei problemi che spinge i bambini in lutto a cercare un trattamento è la presenza di sintomi di ansia, soprattutto quelli di ansia generalizzata (ad esempio preoccupazioni per la vita di tutti i giorni) e di ansia da separazione (ad esempio preoccupazioni sulla separazio­ ne da coloro che si prendono cura di loro). Ciò non signifi­ ca che i bambini in lutto siano necessariamente più inclini a soddisfare i criteri diagnostici dell' ansia (Sanchez et al., 1 994), ma che alcuni possono presentarsi con tipi di ansie di diversa gravità. Gran parte delle ricerche cliniche effettuate sui bambini ansiosi, inclusi gli studi che coinvolgono trattamenti indi­ viduali e di gruppo, così come interventi di prevenzione, si sono basati sul lavoro di Kendall e colleghi (Kendall, 1 990; Kendall, Aschenbrand, & Hudson, 2003). È di aiuto per i bambini in ansia e per i loro genitori ca­ pire che le preoccupazioni, le paure e le ansie sono normali esperienze vissute da tutte le persone. Possono insorgere dei problemi quando le persone non sanno cosa fare quando si sentono ansiose, e questi problemi tendono ad essere esacer­ bati da esperienze stressanti come la perdita di una persona. Fortunatamente, il superamento dell' ansia richiede delle ca­ pacità che si possono imparare. È un concetto importante che deve essere discusso sia con il bambino che con colui che se ne occupa. Affinché il bambino impari a gestire l' ansia, è importante che lui prima di tutto capisca come identificare i propri unici segnali d' ansia e le cause scatenanti (Kendall et al., 2003) Se il bambino ha bisogno di un ulteriore aiuto per capire tale concetto, allora il terapeuta può porre delle domande speci­ fiche sulle sensazioni provate nelle diverse parti del corpo. Le seguenti strategie possono essere usate dai bambini

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con ansia in modo tale da minimizzare le proprie preoccu­ pazioni, così come l' impatto che esse hanno sulla loro vita quotidiana (vedi King, Heyne, & Ollendick, 2005). Le tecniche di rilassamento (ad esempio la respirazione diaframmatica e il progressivo rilassamento muscolare) po­ trebbero essere utili. In base all'età del bambino e ai tipi di ansia, il terapeuta sceglierà quale strategia di rilassamento esaminare, spiegan­ do al bambino come utilizzarla e in quali circostanze. Un comportamento frequentemente osservato nel corso del nostro lavoro è la riluttanza del bambino a dormire da solo per un prolungato periodo di tempo dopo una perdita significativa. Dormendo con la persona che si prende cura di lui, il bambino trova conforto ai propri sentimenti di tristez­ za, paura e preoccupazione; in molti casi, anche colui che si prende cura del bambino trova conforto avendo il proprio bambino vicino durante il sonno. Si tratta di un argomen­ to sensibile per molte famiglie in lutto, che risulta meglio esplorato con il bambino e il genitore insieme. Nel tempo, i genitori di solito iniziano a riconoscere i benefici dell' avere il proprio spazio personale, così come a insegnare al bambi­ no a tollerare l ' angoscia e a confortare se stessi. Considerando che i pensieri e le sensazioni tendono ad inftuenzarsi a vicenda, ne consegue che i pensieri ansiosi del bambino possono incrementare le sue sensazioni di ansia. Per questo i pensieri vanno modificati. Poiché questo concetto può risultare difficile, è impor­ tante presentare le strategie per il cambiamento dei pensieri ansiosi in maniera concreta. Noi suggeriamo che il terapeu­ ta utilizzi delle vignette con delle nuvole di pensiero vuote che rappresentino ciò che il personaggio raffigurato pensa. Il terapeuta inizia presentando una o due situazioni a basso livello di stress che non si basano sull' esperienza di perdita del bambino; poi, chiede al bambino di dire cosa potrebbe

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pensare il personaggio o cosa potrebbe dire a se stesso in quella situazione (Kendall , 1 990). In seguito ad una generale discussione sul dialogo inte­ riore caratterizzato da ansia, il terapeuta può presentare delle vignette con situazioni potenzialmente più ambigue e stres­ santi. Il presupposto è che quando i bambini si aspettano che accadano cose negative, è più probabile che si sentano ansio­ si o preoccupati. Alcuni temi comuni sono emersi nel nostro lavoro tramite i pensieri; ad esempio, molti bambini in lutto hanno avuto difficoltà a riprendere attività piacevoli in seguito alla perdi­ ta, altri hanno mostrato urgenza nel proteggere i genitori che soffrono per il lutto. La IGTC incoraggia i terapeuti a fare molta attenzione ai pensieri dei bambini e a ciò che potreb­ bero evidenziare. Strategia chiave usata per affrontare tale comportamento è l ' esposizione a situazioni che provocano ansia. Il terapeuta può aiutare il bambino a praticare le proprie capacità tramite un' esposizione immaginaria, così come tramite un' esposi­ zione reale (quest' ultima risulta di maggiore aiuto) . Nel prepararsi a tale fase del trattamento, è spesso d i aiuto per il terapeuta lavorare con il bambino per creare una gerar­ chia di situazioni che generano paura, classificandole come situazioni che provocano poca, moderata o molta ansia. L ' o­ biettivo è di introdurre gradualmente ogni situazione nella gerarchia, una alla volta, con il bambino che resta esposto alla situazione finché la sua ansia non si riduce. Dopo che il bambino ha imparato con successo che può tollerare l ' ansia ad un livello più basso, viene inserito il nuovo elemento nella gerarchia. Affrontando la situazione che genera paura e restandovi finché l ' ansia finalmente diminuisce o è eliminata, i bambini sono in grado di vedere che possono superarla con successo e che le conseguenze temute non si verificano.

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Come passaggio finale, i bambini sono incoraggiati a pre­ miare se stessi per ogni progresso, anche parziale. I premi potrebbero includere delle frasi positive dette a se stessi, condividere i traguardi raggiunti con gli altri o svolgere una attività piacevole. 5.6 Psicopatologia e lutto in età precoce Le ricerche dimostrano che i bambini in lutto mostrano maggiori problemi comportamentali rispetto ai bambini che non hanno subito un lutto (Dowdney et al., 1999); Elizur & Kaffman, 1 983 ; Kranzler, Shaffer, Wasserman, & Davies, 1 990). Sulla base di tale risultato, così come delle nostre espe­ rienze cliniche, la IGTC aiuta i clinici a concettualizzare e rimuovere i problemi comportamentali nel contesto del pro­ cesso di lutto. Nonostante i problemi comportamentali potrebbero non essere comunemente associati a reazioni al lutto, alcuni bam­ bini reagiscono con rabbia e collera dopo aver perso un geni­ tore. Ciò non implica che i bambini in lutto siano più inclini a soddisfare i criteri diagnostici di tali disordini. Piuttosto, quando un bambino è disturbato dai pensieri e dai sentimenti connessi alla morte di una persona cara può esprimere disa­ gio tramite cattivi comportamenti. Focalizzarsi sui punti di forza Per incoraggiare una struttura più positiva in cui iniziare ad affrontare le difficoltà del bambino, i clinici dovrebbero lavorare con il genitore per identificare i punti di forza del bambino e le sue caratteristiche positive, in linea con il ge­ nerale modello IGTC. Ciò è forse ancora più importante con quei genitori che hanno problemi con i comportamenti dei

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bambini; essi possono avere un bisogno urgente di fare una lista dei problemi che stanno avendo a casa. È importante contenere questo tipo di conversazione, specialmente se il bambino è presente nella sessione, perché i bambini risulta­ no sensibili all' essere dipinti in maniera negativa, soprattutto da parte dei genitori. Il processo di identificazione dei punti di forza crea una struttura per i genitori in modo che essi vedano i propri figli in maniera positiva, e li incoraggia inoltre a fare un passo indietro e a collocare le proprie preoccupazioni sui cattivi comportamenti nel contesto della recente perdita e dei con­ nessi fattori di stress. Ciò aiuta i genitori a provare empatia per il bambino e a lavorare per aiutarlo a tornare sulla buona strada. Un altro modo importante per comunicare calore e offrire al bambino un' attenzione genitoriale positiva è attraverso il gioco. Il terapeuta dovrebbe incoraggiare il genitore a gio­ care ogni giorno con il proprio bambino per incrementare le interazioni positive e impegnarsi con il bambino in un modo non conflittuale. Anche un periodo breve di interazione ( 5 o 1 5 minuti al giorno) può fare l a differenza nel comporta­ mento del piccolo; è importante sottolinearlo, considerando che i genitori ancora in vita spesso si sentono sopraffatti dal dolore e stressati per le richieste aggiuntive che gravano su di loro in seguito alla morte del proprio partner. Non sono necessari giochi elaborati o giocattoli costosi; la funzione più importante del tempo di gioco è l' interazione tra genito­ re e figlio. In alcuni casi, il terapeuta potrebbe fornire aiuto facendo un brainstorming con il genitore e il bambino per individuare le potenziali attività, in modo da assicurarsi che scelgano le più appropriate.

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Lavorare con gli adolescenti Nonostante molte delle strategie descritte precedentemen­ te siano adattate ad un uso con i bambini piccoli, lo schema concettuale si applica anche al lavoro con preadolescenti ed adolescenti. I comportamenti negativi durante l' adolescenza potrebbero comprendere il rifiuto di osservare le regole del genitore o comportamenti che comportano dei rischi, quali l ' abuso di sostanze, comportamenti sessuali rischiosi, delin­ quenza, assenze ingiustificate a scuola, e così via. Per questi motivi, è importante per i genitori mantenere il proprio ruolo di persona che stabilisce una disciplina, ruolo che potrebbe essere diventato più difficile essendo la persona in lutto o magari un genitore ormai single. È spesso di aiuto rivedere con i genitori dei modi concreti per stabilire dei limiti ap­ propriati ali' età del figlio e incoraggiarli a includerlo nelle attività familiari di routine. Nonostante sia comune per i te­ enager dare priorità alle relazioni sociali con i compagni e mettere in discussione le regole poste dai genitori, esistono prove che indicano che aiutare i genitori a stabilire una coe­ rente disciplina con i giovani promuove dei risultati positivi. La morte di un genitore può interferire con il percorso deli' adolescente verso l' indipendenza. Il processo di cordo­ glio con i conseguenti cambiamenti nei ruoli può tenere le­ gati i teenager alla famiglia, nel preciso momento in cui essi avevano iniziato ad essere indipendenti . In alcuni casi, gli adolescenti possono anche finire nel ruolo di secondo geni­ tore, assumendo delle responsabilità ulteriori. Tali problemi possono portarli a cattivi comportamenti. Il terapeuta può lavorare con il genitore per definire dei limiti e comunica­ re efficacemente. Come per i bambini più piccoli, anche gli adolescenti sono più portati a cercare i loro genitori se sen­ tono che verranno accolti con calore (Lin, Sandler, Ayers, Wolchik, & Leucken, 2004).

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Migliorare la comunicazione Un 'altra area da affrontare nelle sessioni congiunte tra ge­ nitore e bambino è la comunicazione tra i due. Il genitore può essere allenato in tecniche come l ' ascolto riflessivo per aiu­ tarlo a promuovere una comunicazione positiva, incrementa­ re la comprensione e ridurre i conflitti. Il terapista dovrebbe prima modellare l ' ascolto riflessivo permettendo al bambino di parlare liberamente e dando delle risposte empatiche alle frasi e al comportamento del bambino, per poi far provare la stessa cosa al genitore durante la sessione. Una continua pra­ tica di questa strategia può essere assegnata come compito a casa durante le sessioni. Quando si lavora con bambini in età scolare o più grandi, sia il bambino che il genitore posso­ no essere allenati nelle abilità di ascolto riflessivo. I genitori dovrebbero essere incoraggiati ad abbassarsi al livello dei bambini e parlare chiaramente e in maniera calma con voce rassicurante. Il terapeuta dovrebbe anche rivedere le regole di conversazione che devono essere seguite durante le ses­ sioni e a casa. Ciò include parlare a turno, o parlare uno alla volta; non interrompere; evitare minacce o insulti. Inoltre, il terapeuta dovrebbe incoraggiarli ad utilizzare frasi con "io", piuttosto che frasi che si focalizzano su come il comporta­ mento dell ' altro li ha turbati. Per quanto riguarda gli adolescenti, essi, insieme ai ge­ nitori, dovrebbero avere l ' opportunità di discutere dei pro­ blemi che possono ostacolare la loro abilità di comunicare in maniera efficace tra loro. In sessioni congiunte, dovreb­ bero essere invitati a condividere le proprie preoccupazioni con le stesse regole di comunicazione prima descritte, sen­ za inasprire le ostilità. Parte del lavoro potrebbe includere il chiarire e il modificare le aspettative che entrambi hanno sull ' altro. Migliorare la comunicazione è fondamentale per gli adolescenti in lutto e per i loro genitori, visto che risulta

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essenziale che i genitori siano disponibili a parlare ai propri figli del lutto e delle sue conseguenze. A tutti i livelli di età del bambino, il ruolo del terapeu­ ta è aiutare il bambino e il genitore a lavorare insieme per raggiungere la relazione desiderata. Il genitore e il bambino possono lavorare insieme su un recente problema di scarsa gravità, generando possibili soluzioni e decidendo insieme quale possa essere più efficace. Il terapeuta potrebbe chiede­ re nella sessione successiva se questa è risultata efficace e di continuare ad usarla in futuro. Ruolo della famiglia Aiutare i genitori ad etichettare in maniera specifica i pro­ pri sentimenti in una data situazione può essere di aiuto a far sì che essi possano rimodulare le proprie risposte e i propri comportamenti in modo che siano di aiuto ai loro bambini. I genitori in lutto potrebbero avere le proprie complesse reazioni alla perdita del partner o ex partner, e ciò può inficia­ re il modo in cui rispondono al dolore del proprio bambino. Provare empatia per i genitori e aiutarli a tirar fuori le proprie reazioni dalle reazioni dei propri bambini è spesso di aiuto. Strategie di gestione Nonostante sia importante aumentare la consapevolezza delle proprie emozioni, a volte i genitori potrebbero aver bi­ sogno di distrarsi attivamente dalle sensazioni negative per focalizzarsi meglio sui bisogno della famiglia. Le tecniche di distrazione includono spostare la propria attenzione altrove, utilizzare un dialogo interiore positivo, o lasciar perdere la situazione negativa finché non ci si sente più calmi. È importante ricordare ai genitori altre strategie, quali la respirazione profonda e il rilassamento, prendere del tem-

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po per se stessi quando ci si sente arrabbiati o sopraffatti, e ricercare supporto emotivo. Sebbene tali strategie possano sembrare ovvie, bisogna ricordare che il genitore ha presu­ mibilmente perso il proprio compagno, e che ciò rappresenta forse una delle situazioni più stressanti. Tali strategie do­ vrebbero essere rafforzate e praticate. Cura di se stessi I genitori dovrebbero essere incoraggiati a partecipare ad attività positive e piacevoli su base regolare e a dare priorità al prendersi del tempo per sé. Ciò è spesso difficile. Molti genitori in lutto possono sentire che devono continuamen­ te focalizzarsi sui propri bambini e su altre responsabilità. Dovrebbe essere spiegato ai genitori che essi devono pren­ dersi cura di se stessi per prendersi cura in maniera efficace dei propri bambini. È spesso di aiuto offrire suggerimenti su attività che possono essere facilmente inserite nei propri programmi della giornata. Supporto sociale I genitori in lutto potrebbero dover contare sul supporto sociale in modi che non facevano prima della perdita. Coloro che hanno perso un coniuge non solo soffrono per la morte del partner, ma assumono anche il nuovo ruolo di genitore single. Il terapeuta può aiutarli a identificare la loro cerchia di amici e membri della famiglia estesa in modo che li possano contattare per bisogni specifici. Questo dialogo dovrebbe aiu­ tare il genitore ad essere consapevole di quando ha bisogno di una pausa dal dolore e dalle faccende di casa, e dovrebbe includere un brainstorming sui modi per farlo accadere.

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Favorire la resilienza La capacità di ripresa fa riferimento all' abilità di andare avanti nonostante le avversità e le sfide della vita. Una com­ ponente chiave di tale capacità è la focalizzazione sul posi­ tivo in contrasto al negativo (Leucken, 2008) . Per includere un lavoro di capacità di ripresa nel trattamento, è importante evidenziare i punti di forza del bambino e della famiglia sia implicitamente sia esplicitamente. Durante un colloquio sulla capacità di ripresa, il terapeuta dovrebbe esplorare con il bambino e il genitore i punti di forza individuali e familiari e lavorare per sviluppare i fattori associati alla capacità di recupero, come i sentimenti di auto­ stima, autoefficacia, ottimismo ecc. Le persone che hanno subìto un lutto potrebbero esita­ re a permettere a se stessi di avere esperienze o sentimenti positivi durante il processo di lutto (griej) . Non è raro per le persone che hanno subìto un lutto sentire che quando non provano attivamente dolore per il lutto esse stanno tradendo la persona che è morta. Inoltre, potrebbero preoccuparsi che se smettono di sentirsi tristi, allora è come se non amassero o sentissero più la mancanza della persona deceduta. Parte del ruolo del terapeuta è aiutare la persona che ha subìto un lutto a vedere che è possibile essere in lutto ed essere allo stesso tempo coinvolta in alcuni dei piaceri della vita. Il terapeuta può fare delle domande per guidare una di­ scussione sui punti di forza, per esaminare le sfide di adattar­ si alla perdita, e per sapere di più sulle risorse personali che possono essere favorite durante il processo terapeutico.

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Sviluppare i ricordi ed integrare il passato con il presente In linea con altri attuali modelli per il lutto (Bonanno & Kaltman, 1 999 ; Klass, S ilverman, & Nickman, 1 996; Nei­ meyer & Stewart, 1 996; M. Stroebe & Schut, 2005), la IGTC sostiene che gli individui in lutto dovrebbero preservare e continuare a mantenere un legame con la persona amata de­ ceduta. Il nostro lavoro e quello di altri suggeriscono che sia i bambini sia gli adulti in lutto beneficiano in gran misura dal mantenere una connessione con il defunto e dali' inte­ grare i propri ricordi nelle proprie vite attuali (Rando, 1 985 ; White, 1 988). Ciò differisce dalle precedenti concettualiz­ zazioni del dolore per il lutto (grief) che incoraggiavano un processo di separazione o distacco dal defunto, cosa che portava ulteriore dolore e tristezza. Un ruolo importante del terapeuta è invece aiutare il bambino a guardare alle re­ lazioni in una nuova prospettiva (Silvermann, Nickman, & Worden, 1 992). Condividere i ricordi I bambini in lutto che hanno bisogno di un trattamento sono spesso angosciati o infastiditi dai ricordi del loro geni­ tore deceduto. A volte, essi si chiedono perfino quando non penseranno più al defunto, poiché credono che l' unico modo per sentirsi meglio sia avere meno ricordi e meno pensieri sulla persona amata. Un modo attraverso il quale siamo in grado di aiutare questi bambini è capire come cambiare il modo in cui essi vedono o vivono i propri ricordi in modo che siano una fonte di conforto e addirittura di felicità, piut­ tosto che di tristezza o turbamento. L' angoscia che accompagna i ricordi può essere associata a una varietà di fattori, ad esempio, al modo in cui la perso-

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na è morta; parte del compito del terapeuta IGTC è aiutare il bambino a concentrarsi non su come la persona è mor­ ta, ma anche su come ha vissuto. Ciò non suggerisce che i sentimenti sulla morte in sé debbano essere evitati, quanto piuttosto sottolinea i benefici di ricordare l' intera vita delle persona amata invece che solo il modo in cui essa è terminata (E.J. Brown & Goodman, 2005). Un' altra fonte di stress deriva dalle reazioni degli altri quando il bambino condivide i ricordi sulla persona decedu­ ta. Alcuni bambini non sentono di poter condividere i ricordi con i membri della famiglia o con gli amici (probabilmente perché quest'ultimi vorrebbero proteggere il genitore ancora in vita o gli altri membri della famiglia per non farli sentire tristi o preoccupati). Essi possono anche aver sperimenta­ to reazioni da altri come ad esempio non sapere cosa dire od offrire loro conforto quando non ne sono alla ricerca. Un obiettivo terapeutico, dunque, è far sì che il bambino trovi dei modi appropriati per parlare apertamente della persona deceduta con gli altri quando egli lo desidera. Ancora, un altro aspetto del costruire ricordi positivi è riconoscere gli altri sentimenti che sono in conflitto o che complicano la condivisione di sentimenti positivi sul geni­ tore. I bambini hanno spesso sentimenti di rabbia, colpa e confusione riguardo alla loro esperienza di perdita (Haine et al ., 2008) . Sebbene questi sentimenti possano essere stati discussi precedentemente, essi probabilmente vengono fuori in qualche forma quando il bambino esamina i ricordi della persona deceduta. I modi per aiutare i bambini in tal senso verranno discussi più avanti. Il semplice atto di chiedere ai bambini in lutto di pensare a delle esperienze positive con la persona cara deceduta può permettere loro di riconnettersi con aspetti della persona che potrebbero non aver considerato o a cui potrebbero non aver pensato da tanto tempo. Questo dà anche un' opportunità al

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bambino di parlare della persona amata in un ambiente di comprensione e dà al terapeuta la possibilità di incoraggiare e premiare il lasciarsi andare ai ricordi. Se il bambino era trop­ po piccolo al momento della perdita, per riportare alla mente ricordi specifici, allora potrebbe essere invogliato ad illustrare ciò che egli ha imparato dagli altri o da video e foto. Il bambi­ no può essere impegnato in tale processo tramite una varietà di modelli: verbalmente, attraverso lavori artistici, o portando con sé fotografie, video o altri oggetti che ricordano il genitore. Con i bambini più piccoli, si dovrebbe incoraggiare il genitore ancora in vita a partecipare attivamente al processo identifi­ cando ricordi appropriati da condividere. Con gli adolescenti, il terapista dovrebbe incoraggiare l'individuo a condividere i ricordi del genitore che egli conserva in maniera più cara. L 'idea è presentare il processo di condivisione dei ricor­ di come una opportunità per il bambino che si sente pronto o vuole fare ciò. I bambini non dovrebbero essere forzati a condividere ricordi o a parlare del defunto se non sono inten­ zionati a farlo. È fondamentale che il terapeuta capisca la risposta del bambino alla morte nel contesto del suo sistema familiare. Il genitore ancora in vita avrà la propria reazione alla morte, e il terapeuta, quando facilita la condivisione dei ricordi, deve affrontare delicatamente il processo transazionale di lutto tra il bambino e il genitore. Alcuni bambini possono avere maggiori difficoltà a con­ dividere i ricordi che hanno evitato per un po' . In questi casi, può essere di aiuto utilizzare dei suggerimenti per chiedergli degli aspetti concreti della propria esperienza in una manie­ ra che lo aiuti a ricordare. Se il bambino ha difficoltà a ri­ spondere alle domande, allora il terapeuta dovrebbe capire se ciò è dovuto al fatto che esse tirano fuori sentimenti tristi o ansiosi, o al fatto che il bambino non ha un chiaro ricordo dell'evento. Se il bambino diventa ansioso o turbato, allo-

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ra il terapeuta può usare le tecniche di rilassamento o altre strategie precedentemente imparate durante le sessioni. A volte, può essere di aiuto passare al momento successivo del modello IGTC, ovvero ingaggiare il genitore per aiutare il bambino a completare i dettagli mancanti e per collaborare a creare un ricordo condiviso della persona amata cui essi possono ritornare in futuro. Può anche essere che discute­ re verbalmente dei ricordi non rappresenti la modalità più adatta ad un particolare bambino. Abbiamo usato di tutto per aiutare i bambini ad esprimersi, dali' arte alle canzoni, dalle foto ai video. N ello specifico, è spesso utile far sì che il bambino crei un libro dei ricordi per preservarli. Il terapeuta dovrebbe incoraggiarlo ad essere creativo, in modo da rendere il li­ bro quanto più vivace e significativo possibile. Con gli ado­ lescenti, il libro può essere presentato come una specie di diario, che potrebbe includere qualsiasi pensiero, citazione, poesia o altro che li aiuti ad esprime i loro sentimenti. Fotografie Per i bambini più piccoli, potrebbe essere di aiuto affron­ tare i cambiamenti nella loro visione di se stessi attraverso l ' uso di metodi più creativi. Ad esempio, il terapeuta po­ trebbe utilizzare delle fotografie per facilitare una maggiore comprensione dei cambiamenti cui sono andati incontro. Il terapista può chiedere al bambino di portare una foto di se stesso prima della perdita, insieme ad una foto recente scat­ tata dopo la perdita. Il terapeuta può chiedergli di descrivere, quanto più dettagliatamente possibile, chi vede in entrambe le foto. In questo modo, essi possono vedere cosa è cambiato e cosa è rimasto lo stesso. Il terapeuta può anche chiedere al bambino come la persona cara perduta, o il genitore ancora in vita, lo descriverebbero.

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Creare nuove relazioni Il genitore del bambino potrebbe essere d' aiuto nell' iden­ tificare ulteriori persone che potrebbero essere aperte a par­ lare del defunto con il bambino, come ad esempio membri della famiglia estesa e amici. Nel tempo, è probabile che i ricordi del defunto diventino meno dolorosi e persino con­ fortanti, e il bambino sarà in grado di focalizzare la propria energia su altre aree della propria vita. Una volta che il bam­ bino ha capito come ha incorporato in sé le qualità del de­ funto, la sua percezione di sé si rafforzerà, e nuove relazioni e sistemi di supporto si formeranno. Non appena il bambino inizierà a identificare nuove fonti di supporto, è probabile che stringa dei forti legami con tali individui.

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Capitolo sesto Interventi con adulti

Il dolore per una perdita è una parte naturale dell 'esperienza umana

Ciascuno di noi per quanto possa essere geloso della sua autonomia, non vive mai in condizioni di isolamento, ma fa parte di una fitta rete di relazioni che lo collegano ad altre persone nella società. È inevitabile che un evento, lieto o doloroso, finisca per coinvolgere, insieme al soggetto, anche le persone che con lui entrano in contatto. Il coinvolgimento è ancora più intenso se queste persone hanno un legame affettivo. 6.1 Perdere l'amore: la morte del partner La morte del partner è un lutto che comporta molte per­ dite concomitanti in quanto non è solo marito o moglie, un compagno o una compagna, ma è anche un amico, un soste­ gno, una persona di cui ci si fida. Il partner nel rapporto di coppia è una figura importante sia sul piano affettivo sia su quello psicologico, perché favo­ risce la costruzione del proprio benessere, equilibrio perso­ nale e il proprio senso di identità. Con la perdita del coniuge svaniscono ali' improvviso tut­ te quelle cose che rappresentava. Una parte del mondo interno di chi vive il lutto muore con la morte della c oppia e con questa scompare anche una buona parte delle relazioni sociali che prima si con­ dividevano.

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Il lutto, in questo senso, colpisce non solo il sistema indi­ viduale, ma anche familiare e sociale. La stessa casa che prima era un posto sicuro, diventa fonte di ricordi dolorosi. Tutto diventa difficile. Sembra proprio che la vita stessa si fermi e, che da quel momento in poi, ci potrà essere solo sofferenza. Nelle persone più giovani i sentimenti di vuoto sono inten­ si e devastanti, ma possono essere compensati dalle energie vitali dell' età, che aiutano a trovare la forza per ricominciare. Nei vedovi, ad esempio, soprattutto se anziani, sono più evidenti le manifestazioni del lutto complicato, che con una certa frequenza evolve verso il lutto patologico. Nelle persone anziane in lutto aumenta il rischio di ma­ lattie fisiche e psichiche come i disturbi cardiocircolatori e i disturbi depressivi. I primi tentativi di adattamento compaiono dopo le fasi di turbolenza affettiva e shock. La ripresa di ruoli e funzioni, che prima erano stati morti­ ficati, produce gradualmente un aumento della fiducia nelle proprie possibilità e pone le premesse per la ripresa. Occuparsi delle esigenze concrete e degli aspetti orga­ nizzativi, cercando nei limiti del possibile la struttura e la routine della vita familiare, rafforzerà la funzione di "conte­ nimento" che è la sola che può dare a tutti la sensazione che la vita continua nonostante tutto. La famiglia è un fattore di grande conforto e fornisce forza e determinazione per superare ostacoli morali e materiali. In questo clima collaborativo i sentimenti possono essere più fa­ cilmente espressi e condivisi rafforzando la coesione interna. Mantenere attiva la comunicazione permetterà di utiliz­ zare meglio l ' aiuto che arriva dall' esterno da parte di altri familiari o di famiglie amiche che possono dare supporto af­ fettivo, consigli pratici e organizzativi (M.G. Sforza, Jorge L. Tizon, Giorni di dolore, 2009)

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6.2 La morte di un figlio La morte di un figlio viene definita come "una morte con­ tro il senso della vita" in quanto l' ordine delle cose non è più naturale. Forse o sicuramente è la sofferenza più devastante che un essere umano possa provare. La morte di un figlio comporta la perdita contemporanea di più cose; un figlio rappresenta in modo profondo e istin­ tivamente radicato una proiezione biologica e psicologica di noi stessi nel futuro. I genitori trasmettono geneticamente ai figli una parte di sé. È il perpetuarsi del sangue della famiglia, dell' eredità e della stirpe. In un figlio vengono proiettati desideri e spe­ ranze, oltre che investimenti affettivi e aspettative di ogni genere. Con la morte di un figlio si sente che viene spezzato il legame di grande amore per un oggetto insostituibile, è l ' a­ more per la vita stessa che viene colpito. La fase dello schok è molto intensa e devastante. Quando subentra la fase della turbolenza affettiva compare un dolore immenso mentre l ' ansia e l' agitazione producono pensieri e interrogativi che tormentano senza sosta. È un periodo in cui si alternano sentimenti di paura, col­ pa, impotenza, rabbia, e senso profondo di vuoto. Questi sentimenti coinvolgono anche gli altri membri del­ la famiglia, creando sconvolgimenti che, in alcuni casi, rie­ scono anche ad incrinare i rapporti familiari. Gli altri figli spesso diventano oggetto di attenzioni ecces­ sive e di atteggiamenti iperprotettivi per la paura che possa­ no anch' essi morire. In questi casi, i genitori tendono ad esercitare un controllo più stretto, o addirittura soffocante che può diventare perico­ loso per il futuro degli altri figli.

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Altre volte l 'impossibilità di rassegnarsi alla perdita porta ad assegnare ad uno dei figli superstiti il ruolo di sostituto del figlio morto. È lo stesso meccanismo che può spingere a concepire un figlio durante il periodo di lutto, nell' il lusione di poter attenuare il senso di vuoto e di sofferenza. Nei figli che diventano i "sostituti designati" i problemi sono numerosi e vanno dalle somatizzazioni e dai disturbi dell ' apprendimento ai disturbi emozionali e alle depressioni. Aumenta, soprattutto, il rischio che questi bambini pre­ sentino alterazioni del processo evolutivo di "separazione individuazione", un processo durante il quale un essere uma­ no può costruire la sua identità e il suo senso di sicurezza. Nei bambini molto piccoli possono comparire disturbi del comportamento e del sonno, ma anche sintomi psicotici o manifestazioni regressive. La morte di un figlio, oltre che per i genitori, è un dolore estremamente difficile da elaborare anche per tutto il resto della famiglia. Le manifestazioni con cui ciascun genitore sente e mani­ festa il suo dolore possono essere diverse da quelle del l ' altro. Una delle possibili conseguenze è che, sotto i colpi di queste emozioni incontrollate, la coppia si sfaldi, arrivando gradualmente alla separazione, prima affettiva e poi a quella di fatto. Questa ultima evenienza è ancora più probabile se nella coppia erano presenti delle difficoltà. In questo caso il trau­ ma diventa un fattore che fa precipitare una crisi che già era presente. I rapporti sessuali ne risentono anche nelle coppie più af­ fiatate. In uno dei coniugi la ricerca di vicinanza fisica ed affettiva può aumentare per il bisogno di conforto, mentre nell' altro questa necessità può diminuire a causa del grande dolore che lo porta ad isolarsi. Per molti genitori il conflitto fra il dover gestire il proprio

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dolore e il doversi prendere cura delle necessità concrete ed affettive degli altri figli a volte è quasi irrisolvibile. Altri nuclei familiari si rifugiano nella simbiosi, cioè a stringere ancora di più i rapporti, fino a fondersi in un tutt'u­ no indifferenziato. Altre famiglie tendono invece a staccarsi allentando i legami affettivi fra i membri. Alcuni gruppi fa­ miliari vengono travolti dall' odio e dalla violenza e vivono gli uni contro gli altri. L ' elaborazione del lutto per la perdita di un figlio è un compito difficilissimo che dura a lungo. Molte famiglie hanno risorse interne che mettono in moto risposte vitali e strategie efficaci per realizzare elaborazioni positive. Una reazione è sostanzialmente sana quando i genitori sono capaci di rimanere uniti, di confrontarsi ed aiutarsi re­ ciprocamente. Una buona comunicazione all' interno della famiglia per­ mette di ridurre i sensi di colpa e di ridimensionare nella realtà le fantasie magiche del pensiero infantile. Il modo con cui i genitori si comportano in questi momen­ ti diventa un modello da cui i figli imparano a costruire molte delle strategie che servono ad affrontare la vita, e soprattutto la gestione del dolore (M.G. Sforza, Jorge L. Tizon, Giorni di dolore, 2009). 6.3 Perdere la figura di attaccamento Il comportamento di attaccamento è una forma di com­ portamento istintivo che si sviluppa nell' uomo e, in altri mammiferi nell' infanzia, ed ha come movente e scopo la vi­ cinanza alla figura materna. La funzione del comportamento di attaccamento, probabilmente, è quella di protezione dai predatori. Il comportamento di attaccamento si manifesta in modo

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intenso nell'infanzia, diretto verso le figure dei genitori, ma continua ad essere presente anche in età adulta, diretto in questo caso verso una figura attiva e dominante, spesso un parente ma a volte anche un datore di lavoro o un personag­ gio importante della comunità. Il comportamento di attaccamento viene suscitato ogni­ qualvolta una persona è malata o in difficoltà, ed è suscitato in modo particolarmente intenso quando la persona è spa­ ventata o quando una figura di attaccamento non è presente. Il quadro del comportamento di attaccamento, conside­ rato come "normale" e "sano" ci porta a considerare anche l ' angoscia da separazione come la naturale ed inevitabile ri­ sposta nel caso di un'immotivata mancanza della figura di attaccamento. Un passaggio spesso citato di Totem e Tabù ( 1 902- 1 3) dice così: «Il lutto ha il compito di assolvere una funzione psichica nettamente definita: staccare dai morti i ricordi e le speranze dei superstiti». Non solo i bambini ma anche gli adulti necessitano dell' as­ sistenza di un' altra persona di fiducia per riprendersi dalla per­ dita. È fondamentale che un bambino abbaia a disposizione un singolo e permanente sostituto a cui possa gradualmente attac­ carsi. Solo in queste circostanze possiamo aspettarci che un bambino accetti definitivamente la perdita come irreversibile e riorganizzarsi la sua vita interiore di conseguenza. La stessa cosa vale per gli adulti, anche se in età adulta è leggermente più semplice trovare sostegno nell' amicizia di qualcuno. Affinché il lutto possa avere un esito positivo invece che negativo, è necessario per la persona colpita dar libero sfogo alle proprie sensazioni. Shakespeare scriveva: «Dà voce alla sofferenza , il dolore che non parla imprigiona il cuore agitato e lo fa schiantare». È oggi dimostrato che i sentimenti più intensi e distur-

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banti a cui dà luogo una perdita sono il timore di essere ab­ bandonati, lo struggimento per la figura persa e la collera per l' impossibilità di ritrovarla, sentimenti collegati da una parte all 'impulso a ricercare la persona persa e dall' altra alla ten­ denza a rimproverare chiunque appaia alla persona colpita responsabile della perdita. Perché alcune persone più di altre trovano difficile mani­ festare le proprie emozioni di dolore? Una delle principali ragioni per cui alcuni trovano diffi­ cile manifestare il proprio dolore è il fatto che nella famiglia in cui sono cresciuti e con cui sono ancora in rapporto, il comportamento di attaccamento del bambino viene scarsa­ mente considerato. In famiglie del genere il pianto o altre manifestazioni di protesta alla separazione tendono ad esse­ re considerate come infantili. In tali famiglie, inoltre, più il bambino richiede la presenza del padre o della madre, più gli viene detto che tali richieste sono ingiustificate. In se­ guito a tali pressioni è probabile che egli finisca per far sue queste norme. Così egli quando subirà una grave perdita, invece di dar libero sfogo alle sensazioni dolorose, tenderà a soffocarle. Evitare il lutto è un' importante variante patologica del dolore. 6.4 Trattamenti delle perdite degli anziani L' anzianità comporta un gran numero di perdite. L' espe­ rienza del lutto negli anziani ha molte caratteristiche comuni ad altri lutti, anche se si differenzia per le particolari condi­ zioni di vita e delle relazioni dell' età avanzata. Le coppie che arrivano unite all' anzianità mantengono di solito legami così stretti che la perdita o la separazione tende a scompensare profondamente i vedovi o le vedove in ogni aspetto della loro vita.

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Le conseguenze sono ancora più sentite quando, chi so­ pravvive, è la persona più dipendente della coppia. L' insieme delle perdite che si susseguono nel tempo, con­ centrandosi spesso in pochi anni, obbligano l' anziano a com­ plessi processi di elaborazione. A volte l' anziano è costretto a subire l'esperienza doloro­ sa di dover abbandonare la propria casa dopo la perdita del coniuge e di trovarsi proiettato in una realtà estranea. La so­ litudine e molti altri fattori stressanti espongono a maggiori rischi di disturbi fisici e psichici. Una delle conseguenze più comuni del difficile processo di adattamento ai tanti cambiamenti che avvengono con l ' in­ vecchiamento è la difficoltà di riadattare il proprio senso di identità personale. Nell' anziano i lutti si accompagnano ad una maggio­ re tendenza alla depressione e ad una più alta frequenza di tentativi di suicidio. I disturbi ansiosi e depressivi, quando insorgono in età avanzata, diventano più difficili da trattare. Per aiutare una persona anziana ad affrontare il suo dolore bisogna prima di tutto mettersi in una posizione di ascolto, di comprensione, e disponibilità, tenendo sempre presente la particolarità dei vissuti e delle relazioni emozionali di una persona in là con gli anni. L' anziano va incoraggiato a non isolarsi ma, a cercare aiuto e compagnia, mantenendo stretti contatti con parenti e amici, con la chiesa o con i gruppi che possono sostenerlo. Altrettanto utili sono le attività fisiche (passeggiate, grup­ pi di ginnastica), attività artistiche, attività ricreative e rela­ zioni sociali e culturali. L ' anziano, grazie a tutte queste attività che possono sti­ molarlo fisicamente e intellettivamente, può evitare il rischio di precipitare nello sconforto e di conseguenza nell' isola­ mento. La cura della propria persona e della propria salute è un

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obiettivo di primaria importanza nella gestione del lutto. L' aiu­ to all' anziano deve essere prima di tutto pratico. I suoi tempi di elaborazione e di reazione, che sono natu­ ralmente più lenti, vanno rispettati, evitando di fare pressioni perché si sbrighi a riorganizzare la sua vita. In loro presenza non bisogna avere timore di parlare della persona morta, si può fare usando discrezione, tatto e sensi­ bilità. Non bisogna inoltre trascurare coloro che si prendono cura (i caregiver), i quali possono essere familiari, o come capita negli ultimi tempi, badanti. Queste persone che svol­ gono un ruolo prezioso sia nei confronti di coloro che cu­ rano, sia verso l' intera società, devono essere sostenute nel loro compito non sempre facile.

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Capitolo settimo Interventi con le perdite inattese

Non posso morire adesso. Ho il tutto esaurito in sala! George Burns

7.1 Il suicidio Nel corso della storia il suicidio è stato considerato da diverse popolazioni in rapporto alle loro credenze religio­ se, alle loro culture e alla loro organizzazione sociale. In Giappone e in Cina, ad esempio, il suicidio viene rispettato in quanto espressione di lealtà o di complesse forme cerimo­ niali. Presso i Maya i gesti suicidari erano considerati sacri, infatti c' era addirittura la dea dei suicidi, Ixtab, la Signora della corda, che veniva rappresentata appesa ad un capestro mentre accoglieva in paradiso coloro che commettevano il suicidio. Nella cultura occidentale, improntata sui valori del Cri­ stianesimo, il gesto suicidario è stato inizialmente tollerato per poi essere condannato a partire dal IV secolo d.C. Anche nell' Islam il suicidio viene condannato e conside­ rato come un atto più grave dell' omicidio. Con il progredire degli studi medici e psicologici, le moti­ vazioni e le dinamiche del suicidio sono state approfondite e studiate soprattutto come espressione di disagi fisici, psichici o di difficoltà di adattamento. Secondo l' Organizzazione Mondiale della Sanità, almeno 800.000 persone si tolgono la vita ogni anno. Al mondo si registra un suicidio ogni 40 secondi. In Italia nel 20 1 2, 4.000 persone si sono tolte la vita. Circa il 75% del totale dei sui-

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cidi, sottolinea l ' OMS, avviene nei Paesi a basso e medio reddito. L'incidenza dei suicidi è più alta nella fascia di età over 70. Tuttavia, in alcuni Paesi le incidenze più alte si registra­ no invece tra i giovani. Globalmente, avverte l ' OMS, il suicidio è la seconda principale causa di morte nella fascia di età 1 5-29 anni. Da tali dati possiamo dedurre che un gran numero di per­ sone sono costrette ad affrontare un difficilissimo processo di lutto. La decisione di compiere un atto suicida non compare all ' improvviso. S olo in alcune occasioni può avvenire sotto forma di raptus, vale a dire come un comportamento impul­ sivo irrefrenabile. In questi casi c ' è spesso la concomitanza di un' alterazione dovuta agli effetti di sostanze psicoattive o a malattie neuropsichiatriche. In altri casi, alla decisione suicidaria ci si arriva gradual­ mente. In una prima fase gli stati d' animo sono caratterizzati dal malessere psichico e dal desiderio di sfuggire alla soffe­ renza. Più che la morte, la persona vorrebbe un altro tipo di vita in cui non essere costretta a provare il suo dolore. Col passare del tempo, se la sofferenza persiste o si ag­ grava, l 'idea della morte comincia ad insinuarsi sempre più spesso e quindi si arriva a pensare che se la causa della sof­ ferenza non può essere eliminata, dovrà essere eliminata la capacità di percepirla e cioè il soggetto che la prova. Solitamente queste intenzioni vengono tenute nascoste e solo una piccola parte di questi soggetti ne parla con qual­ cuno. Il progetto concreto per la realizzazione dell' atto compare quando il soggetto ha ormai deciso di ricorrere al suicidio e ha già pensato al modo con cui farlo. Il suicidio è prevalentemente associato ai disturbi affettivi maggiori. I fattori determinanti del comportamento suicida

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possono essere tanto biologici quanto psicologici. In molti casi la sola psicoterapia è insufficiente con i pazienti che ma­ nifestano gravi tendenze suicide. Freud definì il suicidio come una vittimizzazione dell'IO da parte di un SUPER-IO sadico. Elaborare questo tipo di lutto è particolarmente diffici­ le per i familiari e gli amici della perona suicidata. I fattori costanti e particolarmente disturbanti, come i sentimenti di vergogna, di colpa, di rabbia e di malessere sono spesso esa­ sperati dal rifiuto e dall' incomprensione sociale. Il suicidio, insieme alla perdita di un figlio e ali' omicidio, è probabilmente uno dei processi di lutto di più lunga e diffi­ cile elaborazione nelle culture occidentali e cristiane. Il senso di colpa che è presente in ogni lutto, in questo caso è più evidente ed ulteriormente complicato dalla vergo­ gna. I sentimenti di colpa rendono molto difficile la vita del familiare e danno spesso origine a comportamenti autopu­ nitivi, una sorta di auto mortificazione che gli psicoanalisti chiamano attacchi compulsivi al self. Nei familiari di un suicida sono sempre molto frequenti le reazioni di rabbia e di risentimento. Ci si trova a porsi mille angosciose domande che non trovano nessuna risposta ragionevole che possa spiegare l' accaduto. Tutto questo pro­ voca intensi sentimenti di rabbia, rabbia per chi ha compiuto il gesto che ha devastato la vita di tutta la famiglia, e rabbia contro se stessi per non aver compreso e per non aver saputo evitare la tragedia. L' intensità di questo sentimento finisce per ingigantire i sensi di colpa, dando origine ad un circolo vizioso difficil­ mente risolvibile. Un' altra reazione emotiva è la paura. Spesso la paura è la proiezione dei propri impulsi distruttivi che vengono at­ tribuiti ad altri. La persona che si suicida dà libero sfogo ai suoi impulsi autodistruttivi e i familiari, per identificazione

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possono temere che anche a loro possa capitare di non esse­ re in grado di controllarsi e di essere spinti a commettere il suicidio. È molto utile poter parlare delle colpe reali o immaginarie nei riguardi della persona morta e del gesto da lei commesso, perché sono proprie le colpe fantasticate che rendono diffici­ le l' elaborazione del lutto. A volte è possibile che la persona abbia colpe reali per quanto è accaduto, per qualcosa che ha fatto o ha mancato di fare. In questo caso la relazione di aiuto richiede un' attenzio­ ne ancora maggiore. Gradualmente la persona deve poter accettare che è molto difficile rendersi conto delle intenzioni di chi intende com­ mettere un suicidio, perché il processo che porta a quel gesto estremo è graduale e non viene mai dichiarato apertamente. Un atteggiamento di perdono e di accettazione per se stessi e per i propri limiti è la via da percorrere per ritrovare la serenità. È fondamentale fare un lavoro di ristrutturazione delle negazioni, delle distorsioni cognitive e dei miti familiari. È senz' altro utile parlare del suicidio in modo realistico e chia­ ro, evitando negazioni. È importante sapere che questa chia­ rezza può essere dolorosa, ma sappiamo anche che affrontare direttamente l' argomento aiuterà a considerare con maggiore realismo il dramma dell' accaduto per poterlo gradualmente accettare. Chi assiste al tragico gesto o si è trovato nella situazione di trovare il corpo, ha maggiori possibilità che il suo lutto venga complicato da un "disturbo post traumatico da stress". Le persone con questo disturbo, sono spesso tormentate per anni da immagini intrusive del morto, dal gesto suici­ dario o dai particolari della situazione. Paterne parlare ed esplorare questi ricordi insieme, fornisce un aiuto efficace soprattutto nei primi mesi. La difesa da queste angosce può dar luogo a volte a reazioni eccessive o patologiche.

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Affrontare in modo dettagliato la realtà fin dalle prime settimane permette di aiutare un familiare a vedere il suicida come una persona con i suoi aspetti positivi e negativi, in modo da evitare pericolose idealizzazioni o fantasie perse­ cutorie. Anche le paure non reali vanno affrontate, e fra le più frequenti c ' è quella di ereditare la tendenza a suicidarsi e che pertanto anche i figli possono correre questo rischio. Permet­ tere di esprimere tale paura, oltre al sollievo porterà anche il vantaggio di poter monitorare e ridurre il rischio di suicidio negli altri familiari. Accettare una perdita significa accettare i nostri sentimen­ ti e la nostra personalità nei suoi aspetti positivi e negativi. Un rapporto disponibile ali' ascolto facilita l'espressione di rabbie e rancori che sono sempre quasi presenti nei confronti della persona scomparsa. Con altrettanto realismo vanno affrontati i vissuti di ab­ bandono per arrivare col tempo a contenerli e a gestirli cor­ rettamente al fine di evitare la caduta pericolosa nella dram­ matizzazione, nel masochismo o nella dipendenza affettiva. È opportuno mantenere un' attenzione vigile anche se bisogna considerare che molte famiglie possiedono risorse inaspettate e buone capacità di adattamento. Quando è pos­ sibile è senz' altro da consigliare la partecipazione a gruppi per familiari di suicidi dove il confronto e la condivisione del dolore avviene in un clima di reciproco aiuto. Sono gruppi complessi e di difficile organizzazione e che richiedono alta professionalità. 7.2 Lutto e omicidio La morte per omicidio è un altro evento traumatico di grande importanza. Tale morte inaspettata e violenta non permette alcuna preparazione al lutto.

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Le difficoltà di elaborazione del lutto sono dovute alle particolari implicazioni emotive e cognitive che fanno preci­ pitare una persona in un mondo inaspettato. L' omicidio si colloca nella posizione di maggiore diffi­ coltà di elaborazione psicologica. In tale lutto è frequente l ' accanimento sulla ricerca osses­ siva del colpevole e del risarcimento morale che costituisce un modo per attenuare la violenza del dolore. La complessità delle emozioni rispetto a questo lutto si accompagna anche a problemi fisici o a malattie. Sul piano psichico sono frequenti i disturbi depressivi, i disturbi di per­ sonalità e altri disturbi mentali. Altra reazione è l ' isolamento. I familiari si chiudono nel loro dolore e nelle loro fantasie vendicative. Essi finiscono per perdere ogni fiducia nella possibilità che gli altri possono capire e tollerare i loro vissuti distrutti­ vi. Poteme parlare e capire che sono reazioni normali, all'in­ temo dell ' anormalità dell' evento può essere di grande aiuto. In queste situazioni sono molto frequenti anche le paure e le sensazioni di vulnerabilità. La rabbia e lo sconforto possono attaccare le proprie convinzioni più profonde, viene a mancare ogni fiducia e si precipita sempre di più nei sensi di colpa, nella solitudine e nell' isolamento. Il primo importante aiuto è quello che permette ai fami­ liari di esprimere i tanti sentimenti da cui rischiano di essere travolti, portando alla luce fantasie e desideri di vendetta. Uno dei rischi da non trascurare è quello del passaggio ali' atto, cioè della realizzazione di atti di violenza innescati dai desideri di vendetta. La possibilità di pericolose conseguenze rende necessari interventi di prevenzione che si possono realizzare attraverso percorsi psicoterapici. In questo modo oltre ad alleviare l ' angoscia dei familiari

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possiamo acquisire informazioni utili per evitare che tali sen­ timenti si trasformino in comportamenti lesivi per se stessi e per gli altri. 7.3 L 'aborto e il lutto La perdita di un figlio durante una gravidanza o nel perio­ do che precede o segue immediatamente il parto è un lutto difficile ed è in moltissimi casi uno di quei lutti nascosti, cioè una di quelle perdite di cui non si può parlare e che tendono a restare nascoste e a non essere elaborate. Per una madre, a livello psicologico, l' aborto continua a mantenere il significato della morte di un essere umano, ed è un evento capace di creare uno sconvolgimento emozionale che non sempre è manifestato apertamente. Altrettanta attenzione meritano i padri quando la loro compagna abortisce. Anche se non possono avere l ' esperienza del coinvolgi­ mento fisico diretto che la donna sperimenta, i padri tendono lo stesso ad avere risposte emotive intense. I padri sperimentano sensi di colpa per aver trascurato la compagna o per non aver provveduto alle sue necessità. Il padre spesso ha il ruolo di comunicare l' accaduto ai parenti. Il lavoro per l' uomo può essere una possibilità per raggiungere la normalità, ma anche una barriera per esprime­ re il proprio lutto. Negli aborti spontanei l'intensità del dolore è strettamente relazionata con la durata della gravidanza, soprattutto se il figlio era fortemente desiderato. L' ansia, la depressione e le conseguenze a livello fisico, psicologico e sociale sono sen­ tite fortemente dalla maggior parte delle donne. Quando l' aborto avviene durante la prima gravidanza, spesso la donna è tormentata dalla paura di non poter più avere altri bambini.

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Gli aborti sono lutti che suscitano una grande sofferenza. Purtroppo tali perdite sono sminuite e nel tentativo di portare conforto vengono incoraggiate reazioni di negazione che mi­ rano a far cancellare tutto troppo velocemente. Nelle primissime fasi dopo il lutto, la famiglia va aiutata a prendere decisioni rispetto al funerale, il nome del bambino e stabilire come avvisare i parenti. È fondamentale non dimenticare e trascurare la presenza di fratellini. Spesso il fatto di non vedere il fratellino morto rende la perdita meno reale e quindi più fantasmatica e più esposta a fantasie. E fondamentale per la donna un supporto psicologico al fine di favorire l'espressione e la gestione delle emozioni do­ lorose. Infatti la donna tende ad allontanare da sé tali emo­ zioni negando la sua sofferenza e non chiedendo aiuto. Tale atteggiamento la espone a complicazioni più gravi. La percezione dell ' aborto come morte di un essere umano genera sentimenti di sensi di colpa, che possono manifestarsi sottoforma di irritabilità, rabbia, o in soggetti predisposti sot­ to forma di depressione o di altri disturbi psichici. Dopo un aborto tutta la famiglia ha bisogno di conteni­ mento affettivo, conforto e compagnia. Dopo la morte del bambino bisogna permettere ai geni­ tori di abbracciarlo, di fargli le ultime carezze, di avere un contatto fisico. V edere e toccare il bambino può aiutare molto nei proces­ si di lutto complicato. I genitori hanno bisogno di un tempo sufficiente per ela­ borare la perdita. Scegliere il nome del bimbo morto, anche se a pochi mesi di gestazione, è importante perché è come confermargli un posto in famiglia. I genitori possono a distanza di tempo scrivere una lette­ ra, una poesia, accendere una candela e salutare il bambino

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morto con il consumarsi di essa, piantare un albero in suo onore, riscrivere l' albero genealogico della famiglia inseren­ do il nome del bimbo. Col tempo i genitori riusciranno a trovare un posto nel proprio mondo interno per il proprio piccolo. Solo così i genitori saranno pronti a pensare alla possibi­ lità di avere un altro figlio. 7.4 La morte di un animale da compagnia La comunicazione fra esseri umani ed animali avviene su una base istintiva ed emozionale. La vicinanza e la cooperazione fra uomo e animali è mol­ to antica. È importante il significato simbolico che l' animale ha per noi e l' investimento affettivo che facciamo su di lui. La perdita di una relazione significativa qualunque essa sia comporta dolore. Anche in questo caso il dolore può essere molto intenso, variando da una persona all' altra in rapporto al carattere, al legame che la persona aveva con il suo animale. Possono comparire disturbi dell' umore con depressione, vissuti di abbandono, e perdita della gioia di vivere e, soprat­ tutto nei primi giorni dopo la perdita, sono frequenti anche disturbi fisici. Molte persone provano vergogna nel farsi vedere addolo­ rati e purtroppo alcune persone non riescono a capire quello che si può provare dopo la perdita di un animale da compa­ gnia qualunque esso sia.

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Conclusioni

Perdita e speranza In questo volume sono stati affrontati i temi della perdita e del lutto, analizzati in ogni fascia d'età e di vita, dall' infan­ zia all' adolescenza, alla vita adulta fino al periodo dell' età senile. La lettura e l' analisi del testo ci porta a concludere e a rilevare come a secondo dell' età in cui avviene il lutto o/e la perdita, vi siano differenti conseguenze e differenti modalità di intervento. Quel che però accomuna l ' essere umano rispetto al vis­ suto della morte è il sostegno di cui necessita da parte della famiglia primaria fonte di riferimento, da parte della società come il gruppo dei pari dell' adolescente, da parte di profes­ sionisti esperti sia esso in funzione di psicoterapeuta indivi­ duale o di gruppo. Risulta quantomai fondamentale, richiamare inoltre l ' in­ dividuo anche ad una sua personale responsabilità nell' ela­ borazione della perdita, attraverso la capacità e il soprag­ giungere di uno stato di consapevolezza, in cui l' individuo diviene consapevole di aver bisogno di aiuto. Non va inoltre dimenticata l ' importanza dell' ambiente in­ tomo alla persona che subisce un lutto, sia esso più o meno inaspettato. L' ambiente e qui si richiama al concetto di resilienza, svolge funzione indispensabile nella ristrutturazione del be­ nessere personale. Infatti essere reinseriti dopo un lutto in un ambiente, sia esso familiare o sociale, positivo o meglio propositivo, che favorisce la libera espressione delle emozioni, permette alla

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persona che ha subìto la perdita di sentirsi accolto, ascoltato e libero di avere "il suo tempo" per ritornare ad una quoti­ dianità, rielaborata.

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" O c c o rr e e v it a re d i m o r ire c o n c iò c h e m u o re trasfo rm a n d o c iò c h e rimane i n u n a n u ova f o rm a d i v it a " .

I n q u esto testo s o n o p re s e ntate l e m o d a l it à d i i nt e rv e n t o i n e re n t i la te ra p i a d e l l utto e la c u ra d e l le p e rd it e s i g n if ica t iv e . L'e la bo ra z io n e d i q u esta m a n ca n za va aff ro ntata i n s ie m e a u n a ri s t r ut tu ra z io n e d e l l a p e rs ona. D o p o u n a f e ri t a t ra u m at ic a è n ecessa r io c o n d iv id e re i l d o l o re p e r re c u p e ra re le ri s o rse u t i l i p e r la r ip resa .

Edoardo Giusti, Presid ente d e l l ' A.S.P. I . C . - Assoc iazion e per lo Svi l u ppo Psicolo gico dell'In dividu o e della Comu nità, con sedi dislocate a livello nazion ale. È d irettore della Scuola di specia lizzazione i n Psicote rapia Plural istica Integrata con autori zzazio ne m i n isteria le e professore a contratto presso la Scuola di specia lizzaz ione i n Psicolo gia clinica dell'U n iversità degli Studi di Padova.

Svolge attività clinica e di supervisione didattica per psicoterapeut i. È Preside nte onora rio dell'A SPI C ARSA Ricerca Scient ifica Applic ata. Autore d i oltre 1 00 volum i.

Anna Milone, Psicolo ga e psicot erapeu ta specia l izzata presso l'ASPI C.

Perfez ionata i n Psichia tria Occup aziona le " rischi psicoso ciali e psicopatolog ia ne­ gli ambienti d i lavoro " presso l ' U n iversità Cattol ica del Sacro Cuore di Roma , svol­

ge attività di forma zione, oltre a l l'attività clinica . Responsabile di Sporte lli d'asco l­ to in vari istitut i scolas tici s u l l a valuta zione e preve nzion e dello stress lavoro-correlato. Coautrice di " Strategie di comun icazion e nella gestio ne della pazient e stran iera " .

ISBN 97&-&6 -6652 -294-2

lIl11 1111111

9 7 8886 6 5 2 2 9 4 2

E u ro 1 5,0 0